innovazione tecnologica e sviluppo locale, il caso iit (istituto italiano di tecnologia)
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Università degli Studi di Torino Scuola di Scienze Giuridiche, Politiche ed Economico-Sociali
Corso di Laurea Magistrale in:
Produzione e Organizzazione della Comunicazione e della Conoscenza
Tesi di Laurea
Sviluppo locale e Innovazione tecnologica. Caso di studio: L’Istituto Italiano di Tecnologia, IIT.
Candidato: Giovanni Capello Relatore: Prof. Sergio Scamuzzi Matricola: 758815 Correlatore:
Anno Accademico: 2013-2014
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INDICE
PREFAZIONE…………………………………………………………………………………
CAPITOLO 1……………………………………………………………………….................
SVILUPPO LOCALE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA……………………………………..
1.1 L’importanza dello sviluppo locale………………………………………. 1.2 Quali sono le caratteristiche dello sviluppo locale?..........................................
1.3 Il capitale sociale……………………………………………………………………….
1.4 I distretti High-Tech: un esempio di sviluppo locale……………………………….
1.5 I distretti industriali, alcune definizioni……………………………………………….
1.6 Analisi dei distretti High-Tech italiani…………………………………………........
1.7 La normativa italiana sui distretti High-Tech……………………………………….
1.8 Le caratteristiche dei distretti High-Tech esteri…………………………………...
1.8.1 Il distretto High-tech di Yamacraw (Georgia, Usa)……………………..
1.8.2 Il Distretto High-Tech di Sophia-Antipolis (Francia)…………………..
1.8.3 Il Distretto High tech di Cambridge (UK)………………………………
1.9 I distretti High-Tech in Italia……………………………………………………………
1.9.1 Torino Wireless……………………………………………………………….
1.9.2 Biotecnologie in Lombardia………………………………………………..
1.9.3 Hi-Mech in Emilia Romagna…………………………………………….
1.9.4 Aerospazio in Lazio……………………………………………………….
1.10 Le determinanti del distretto High-Tech……………………………………………..
1.11 Analisi comparativa delle performance innovative nell’area UE………………..
1.12 Analisi comparativa tra le Regioni italiane…………………………………………
1.13 Confronto tra i distretti High-Tech analizzati………………………………………
1.14 Conclusioni………………………………………………………………………….......
CAPITOLO 2…………………………………………………………………………………….......
LE POLITICHE PER LO SVILUPPO LOCALE…………………………………………………….
2.1 L’intervento dello stato………………………………………………………………….
2.2 Origine e caratteri dei piani territoriali………………………………………………
2.3 Problemi di realizzazione e le critiche ai patti……………………………………….
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2.4 Tre storie di patti…………………………………………………………………………
2.5 Risultati della ricerca e osservazioni conclusive
2.6 La pianificazione strategica nelle città………………………………………………..
2.7 Il piano strategico della città di Genova……………………………………………..
2.7.1 Il contesto socio-economico della città……………………………………
2.7.2 Il contesto istituzionale……………………………………………………….
2.7.3 Le tappe del piano strategico………………………………………………..
2.7.4 La riorganizzazione del comune……………………………………………
2.7.5 Il piano della Città di Genova 2002………………………………………...
2.7.6 La navigazione strategica…………………………………………………….
2.7.7 Pianificazione di medio-lungo periodo e stili di governance……………
2.8 Premessa sul paragrafo successivo………………………………………………….
2.9 La storia del Distretto High-Tech Genovese………………………………..
2.10 La vocazione tecnologica del distretto genovese
2.11 La storia del Dixet……………………………………………………………………..
2.12 Il parco scientifico tecnologico degli Erzelli: una Silicon Valley in Liguria?.....
2.13 Evoluzione cronologica del Parco Scientifico Tecnologico degli Erzelli…..
CAPITOLO 3…………………………………………………………………………………………
L’ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA (IIT)………………………………………………….
3.1 Prefazione al Capitolo…………………………………………………………………
3.2 IIT: storia e l’intervento dello Stato italiano………………………………………..
3.2.1 Gli scettici ……………………………………………………….
3.2.1 I favorevoli…………………………………………………………
3.2.3 I contrari…………………………………………………………..
3.3 IIT, Descrizione e composizione interna…………………………………………..
3.4 Centri IIT nel mondo…………………………………………………………………
3.5 I primi risultati……………………………………………………………………….
3.6 Operatività e piano scientifico……………………………………………………… 3.7 Lo staff………………………………………………………………………………….
3.8 Le pubblicazioni e gli indicatori bibliometrici……………………………………
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3.9 Fund raising e brevetti………………………………………………………………
3.10 Il processo di Valutazione di IIT………………………………………………….
3.11 I primi 6 anni………………………………………………………………………..
3.11.1 Il piano scientifico 2012-2014…………………………………. 3.11.2 Evoluzione dello staff e della produttività…………………
3.11.3 Pubblicazioni e indicatori bibliometrici………………………….
3.11.4 Ranking Internazionale……………………………………………. 3.11.5 Valutazione della ricerca…………………………………………. 3.11.6 Progettualità scientifica…………………………………………..
3.11.7 Trasferimento tecnologico……………………………………….
3.11.8 Attività di formazione e di avviamento alla ricerca…………….
3.12 I primi 7 anni……………………………………………………………………………. 3.12.1 Le nuove frontiere: i materiali intelligenti………………….
3.12.2 Le nuove frontiere: i robot al servizio dell’uomo……………….
3.12.3 Valutazione e ranking………………………………………………
3.12.4 Formazione e collaborazioni………………………………………
3.12.5 Trasferimento tecnologico……………………………………….. 3.12.6 Sintesi dell’anno 2013……………………………………………
3.12.7 Il percorso di carriera per gli scienziati alla fine del 2013….
3.12.8 La presenza di IIT nel panorama scientifico internazionale..
3.13 Nikon e IIT: il progetto comune sul microscopio ottico del 2014……………..
3.14 Un progetto triennale con INAIL per la robotica riabilitativa
3.15 iCub……………………………………………………………………………………….
3.15.1 Intervista ad A. Roncone (iCub Facility, Phd Fellow)…… ….
3.16 Il rapporto con le industrie e il tessuto produttivo
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3.17 IIT ed il fotovoltaico a basso costo - alta efficienza
3.18 Osservazioni conclusive………………………………………………………………
CAPITOLO 4…………………………………………………………………………………………
UNA PICCOLA REALTA’ HIGH-TECH ITALIANA: ELBATECH............................
4.1 Micro sviluppo locale e innovazione: Elbatech……………………………………..
4.2 Intervista a Manuela Adami (Elbatech)……………………………………….
4.3 Il progetto ElbaTech4Nature…………………………………………………………… 4.4 Conclusioni……………………………………………………………………………….
Elenco delle figure……………………………………………………………………………………
Elenco delle tabelle…………………………………………………………………………………..
Riferimenti bibliografici………………………………………………………………………………
Sitografia……………………………………………………………………………………………….
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PREFAZIONE
Sviluppo locale e innovazione tecnologica: un’equazione piuttosto intricata da risolvere,
che rappresenta un argomento estremamente attuale. La sociologia economica ha dedicato
molte energie ad analizzare le variabili in gioco e le condizioni necessarie alla crescita
economica, tenendo in considerazione diverse parole chiave fondamentali, prima fra
queste, la tecnologia.
Nel primo capitolo saranno analizzati l’impatto ed i benefici che la tecnologia può avere su
scala locale. Questo proposito richiederà l’analisi delle caratteristiche di diversi distretti
High-Tech oltreoceano che si sono distinti per le loro caratteristiche ma anche di alcuni
casi di studio italiani (nel capitolo 1);
Il secondo capitolo sarà dedicato all’analisi delle politiche attuabili per favorire lo sviluppo
locale e nello specifico, il capitolo 3 si occuperà dell’analisi dell’Istituto Italiano di
Tecnologia (IIT) di Genova, la sua struttura, le sue caratteristiche e il suo sviluppo. Reputo
fondamentale analizzare diverse organizzazioni che hanno saputo fare la differenza, questo
non servirà tanto per costruire delle banali best practices, ma ci aiuterà a capire quali
variabili debbano essere tenute in considerazione per comprendere in profondità i vari
passaggi di questo percorso.
Per analizzare lo sviluppo locale come fenomeno, non possiamo guardare solo a variabili
numeriche come il PIL procapite locale o alla crescita delle transazioni economiche, ma
sarà necessario iniziare a guardare a complicati aspetti sociali e politici che si sviluppano
sul territorio e determinano vantaggi competitivi che la sola azione del mercato non
potrebbe realizzare. Attraverso la cooperazione e la creazione di reti di attori stabili nel
tempo, aumenta la capacità locale di visione e di azione, che determina il cosiddetto
sviluppo.
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Ed è proprio questa “componente sociale” l’elemento chiave dello sviluppo locale. Per
questo motivo la Sociologia può essere la giusta chiave di lettura, perché in grado di
analizzare l’azione dell’individuo all’interno di una complessa rete di relazioni.
Innovazione tecnologica e sviluppo locale sono elementi che corrono sullo stesso binario;
per questo motivo, lo scopo di questa tesi sarà analizzare come l’innovazione tecnologica
possa generare economia, come la conoscenza possa generare benessere.
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CAPITOLO 1
SVILUPPO LOCALE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA
1.1 L’importanza dello sviluppo locale
Il tema della globalizzazione dell'economia è un tema particolarmente significativo.
L'economia è diventata sempre più mobile nello spazio: movimenti di capitali, produzione
di beni e servizi in luoghi lontani, gli investimenti vengono quasi sempre dirottati
all'estero. All'immagine di questo tipo di economia alimentata dalla globalizzazione, se ne
affianca un'altra che si muove nella direzione opposta: lo sviluppo locale.
In questo caso l'attenzione non è a livello globale ma va posta sullo sviluppo di territori,
Città e Regioni che mostrano segni di particolare dinamismo e vitalità. Lo sviluppo locale
si occupa del legame con un particolare territorio, con il suo ambiente istituzionale e
sociale; la novità in questo caso è che rispetto al passato si affermano dei percorsi di
sviluppo meno dipendenti da politiche nazionali dello Stato, ma correlate a soggetti
istituzionali locali che sviluppano esperienze di cooperazione innovativa attraverso accordi
più o meno formalizzati tra loro.
Analizzeremo diversi esempi per delineare le caratteristiche dello sviluppo locale: La
Silicon Valley ed il polo delle biotecnologie di Oxford (che analizzeremo nei paragrafi
successivi) nonostante siano molto diverse, hanno in comune molti elementi. Lo sviluppo
urbano di città che hanno affrontato i problemi del declino delle industrie tradizionali o
hanno avviato progetti innovativi, come la città di Barcellona, Glasgow e Francoforte che
hanno diversi elementi che si ripetono; analizzeremo infine l'esperienza dei distretti
industriali italiani e successivamente un piano strategico di una città.
Di per sé, lo sviluppo locale non si identifica con particolari specializzazioni di tipo
produttivo o con modelli istituzionali nazionali di regolazione dell'economia. Lo sviluppo
locale riguarda sistemi produttivi locali che possono assumere caratteri diversi: possono
coinvolgere grandi o medie imprese-rete che organizzano un insieme di fornitori localizzati
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sullo stesso territorio, oppure agglomerati di piccole imprese (clusters) con un minore
grado di cooperazione tra loro rispetto ai distretti. Nello specifico, anche la
specializzazione produttiva può cambiare: oltre ai casi più conosciuti di sistemi legati alla
produzione di beni per la persona e per la casa come abbigliamento, calzature e ceramiche
vi sono sistemi di imprese specializzate in settori ad alta tecnologia come informatica,
telecomunicazioni, biotecnologie. Possono addirittura esserci sistemi specializzati in
attività terziarie come finanza e turismo o in attività agro-industriali.
1.2 Quali sono le caratteristiche dello sviluppo locale?
«…L’elemento principale dello sviluppo locale è determinato dalla capacità dei suoi
soggetti locali di cooperare per avviare e condurre percorsi di sviluppo condivisi che
mettano in moto risorse e competenze locali…» (C. Trigilia1, 2005).
Questo non implica la creazione di un localismo autarchico, ovvero una chiusura difensiva
verso un'economia globalizzata, al contrario il protagonismo dei soggetti locali sarà in
grado di favorire lo sviluppo di un territorio quando riuscirà ad attrarre in modo utile le
risorse esterne, che possono essere di tipo politico (per es. investimenti pubblici),
economico e culturale (come decisioni di investimento di soggetti privati). Dunque un
punto forte dello sviluppo locale è la sua capacità di avvalersi di risorse esterne per
valorizzare quelle interne: cercare di attrarre investimenti, imprese, risorse scientifiche e
culturali, non solo come occasione per la crescita della produzione, del reddito e
dell'occupazione, ma come strumento che possa incrementare le competenze e le
specializzazioni locali. Lo sviluppo locale non nasce per difendersi dalla minaccia della
globalizzazione, ma si fonda sulle capacità di cooperazione e di strategia dei soggetti locali
per coglierne le opportunità. Come abbiamo già detto in precedenza, il secolo scorso è
stato segnato dalla reazione alla crisi del capitalismo liberale.
1 Trigilia C. Sviluppo Locale: un progetto per l’Italia, Pag. 6. Editori Laterza, 2005.
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Il fordismo e keynesismo hanno conquistato la scena economica: Il fordismo cercava di
separare l'economia dalla società mediante la creazione di grandi imprese verticali che
sfruttavano le nuove tecnologie per realizzare economie di scala, sostituendo infatti la
gerarchia al mercato, rimpiazzando gli imprenditori con i manager e concentrando al loro
interno le diverse fasi produttive, per controllare il mercato del lavoro e quello dei beni.
L'impresa, si autonomizza maggiormente rispetto ai condizionamenti ambientali, in questo
quadro i fattori non economici che influenzano lo sviluppo diventano prevalentemente di
due tipi: a livello micro, riguardano la capacità organizzativa dell'impresa, mentre a livello
macro le cosiddette politiche statali, sia quelle Keynesiane di regolazione della domanda e
stabilizzazione del mercato, sia per le aree meno sviluppate, quelle che vogliono attirare
con incentivi e infrastrutture le grandi imprese esterne, le politiche di sviluppo territoriale
come interventi per il mezzogiorno praticati fino alla fine degli Anni 80 (che vedremo
successivamente).
“Stabilità” era la parola chiave del vecchio assetto che ha guidato il grande sviluppo post-
bellico. Nell'ultimo trentennio essa è stata sempre più sostituita da un'altra parola:
“flessibilità”: la ricerca di maggiore flessibilità, come la capacità di rapido adattamento a
un mercato fattosi più incerto e variabile e insieme la corsa verso una maggiore qualità dei
prodotti diventano scelte obbligate per le imprese dei paesi sviluppati con i più alti costi
del lavoro. Furono inizialmente le piccole imprese, specie se integrate tra loro in sistemi
locali ad elevata specializzazione (distretti) a cogliere le nuove opportunità che si aprono
con la saturazione dei mercati dei beni standardizzati e l'emergere di nuove domande più
variegate. L'aumento del benessere nei paesi più sviluppati si è infatti accompagnato ad un
rilevante mutamento delle preferenze dei consumatori, specie dei benestanti, orientati
sempre più verso prodotti differenziati e ovviamente di maggiore qualità.
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Con il tempo anche le grandi imprese hanno seguito la strada della ricerca di maggiore
flessibilità e qualità, hanno dato più autonomia alle unità produttive decentrate, hanno
modificato l'organizzazione del lavoro taylorista cercando maggiore flessibilità,
coinvolgendo maggiormente i lavoratori, si sono anche ulteriormente aperte alla
collaborazione con piccole e medie imprese esterne per ridurre i costi e i tempi dei processi
di innovazione e di introduzione di nuovi prodotti. Ciò ha spinto anche le grandi imprese
multinazionali a collocare le loro unità produttive in aree a forte specializzazione, dove è
possibile sviluppare una collaborazione con piccole e medie imprese di subfornitura.
Così facendo, si sono formate reti di imprese (o distretti) oppure agglomerazioni di piccole
e medie aziende a minor integrazione, ma anche grandi e medie imprese-rete che si
localizzano in determinati territori.
3.3 Il capitale sociale
Il funzionamento dei beni collettivi è influenzato dall'esistenza di relazioni sociali
personali tra i soggetti coinvolti, che ne facilitano la cooperazione. Esse sono relazioni
extra-economiche che incidono sullo sviluppo economico, sia direttamente nel processo
produttivo (per esempio nel caso dei rapporti tra imprenditori e tra imprenditori e
lavoratori) sia indirettamente attraverso la formulazione di politiche pubbliche o interventi
che creano beni collettivi dedicati per il contesto locale.
Il ruolo di queste reti di relazioni sociali è fondamentale, in quanto rende possibili le
transazioni complesse e rischiose sul piano economico o politico, e fornisce risorse di
fiducia che consentono ai soggetti di cooperare anche in presenza di condizioni di
incertezza e di carenza di informazioni. Come abbiamo visto in precedenza, le condizioni
della produzione flessibile e di qualità richiedono più intensi rapporti di collaborazione,
che non possono essere generati soltanto da meccanismi contrattuali. In questo caso la
disponibilità di reti di relazione tra i responsabili di diverse istituzioni (pubbliche e private)
può essere decisiva per la capacità di produrre in modo efficiente beni collettivi adeguati
alle esigenze delle economie locali in analisi.
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Negli ultimi anni si è diffusa la tendenza a definire le reti di relazioni sociali personali tra
soggetti individuali come il cd. capitale sociale (R. Putnam2, 1994). In alcuni casi si fa
riferimento a una cultura condivisa dai soggetti di un determinato contesto territoriale: il
capitale sociale diventa anche sinonimo di cultura civica (civicness): ovvero una cultura
condivisa che limita i comportamenti opportunistici e favorisce la cooperazione.
Il capitale sociale è l'insieme delle relazioni sociali di cui un soggetto individuale (come
un imprenditore o un lavoratore) o un soggetto collettivo (privato o pubblico) dispone in un
determinato momento. Attraverso questo capitale di relazioni si alimenta la formazione di
risorse cognitive, (come le informazioni) o risorse normative (come la fiducia) che
permettono agli attori di realizzare obiettivi che non sarebbero altrimenti raggiungibili, o lo
sarebbero a costi molto più alti.
Analizzando il capitale sociale a livello aggregato, si potrebbe dire che un determinato
contesto territoriale può essere considerato più o meno ricco di capitale sociale a seconda
che i soggetti individuali o collettivi che vi risiedono siano coinvolti in reti di relazioni
cooperative più o meno diffuse.
Possiamo dunque porci diverse domande importanti relative al capitale sociale:
• Da cosa dipende la sua formazione?
• Ci sono tipi di capitale sociale con origini diverse?
• Come funzionano nella produzione di beni collettivi?
Quando si parla di un territorio ben fornito di capitale sociale, si fa riferimento alla
presenza di reti cooperative con effetti positivi per la collettività: ciò non vuol dire però,
che in assenza di tali effetti manchi necessariamente il capitale sociale. Vi sono diversi
processi di generazione di capitale sociale.
2 Putnam R. Making Democracy Work, Civic Traditions in Modern Italy, Princeton University Press, 1994 -
Cit. in Trigilia C. Sviluppo Locale: un progetto per l’Italia, Pag. 6. Editori Laterza, 2005.
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• Un primo tipo è legato a quelle dotazioni originarie di cui abbiamo parlato prima, che
sono generate e alimentate da identità collettive particolarmente radicate in un territorio, in
questo caso l'origine del capitale sociale e più esterna alla sfera economica, ma vi si
estende facilitandone il funzionamento.
• Il secondo tipo si basa su attività economiche che attraversando la loro ripetizione nel
tempo, vanno al di là dei rapporti contrattuali, generando legami sociali più duraturi.
Possiamo definire il primo processo, che va dalla società all'economia come generazione
per appartenenza, e il secondo, si muove nel senso opposto, come generazione per
sperimentazione. Diciamo che le dotazioni di capitale sociale generate da appartenenza
riguardano la concentrazione in un determinato territorio di gruppi sociali molto legati da
un'identità etnica, religiosa o politica; sono processi che risalgono spesso all'indietro nel
tempo. Il radicamento territoriale può essere legato a forme di difesa della società locale
(K. Polany4, 1944), di fronte alle sfide provenienti dalla penetrazione del mercato, si
determinano processi di mobilitazione sociale a livello territoriale, si intensificano i legami
tra i soggetti coinvolti, si sviluppano forme di rappresentanza politica condivise, si rafforza
la cooperazione sul piano economico.
Un esempio attuale può essere la formazione di subculture etnico-linguistiche, come per
esempio la formazione di comunità di immigrati che si stabiliscono in alcuni territori, o in
determinati quartieri di aree metropolitane.
I legami di appartenenza generano capitale sociale sia tra soggetti individuali che soggetti
collettivi. Per quanto riguarda gli imprenditori, si formano più facilmente reti di relazioni
che alimentano la fiducia reciproca e favoriscono la cooperazione, d'altro canto a livello
locale funzionano i meccanismi di controllo sociale che permettono di individuare e di
isolare chi rompe la fiducia attraverso una rapida circolazione dell'informazione.
3 Polany K. The Great Transformation, Farrar & Rinehart, New York, 1944. Cit. In Trigilia C. Sviluppo
Locale: un progetto per l’Italia, Editori Laterza, 2005.
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Questo senso di appartenenza crea una forte pressione sul comportamento individuale,
contribuendo a limitare l'opportunismo, quindi l'esistenza di un'identità collettiva forte
facilita la formazione di reti cooperative. La generazione per appartenenza alle
conseguenze di rilievo per i caratteri dei legami sociali.
Prendiamo in considerazione i cosiddetti legami forti (M. Granovetter 4,1973) cioè
particolarmente intensi e frequenti. Per quel che riguarda le reti individuali, legami di
questo tipo hanno vantaggi che sono da considerare con attenzione. Tra i vantaggi c'è la
possibilità di cooperazione più complesse e rischiose, che viene ad essere maggiormente
sostenuta da un più forte cemento fiduciario. Tra gli svantaggi va però valutato il rischio di
una chiusura eccessiva delle reti, che potrebbe limitare le informazioni circolanti e influire
negativamente sui processi economici.
Per quanto riguarda i meccanismi di formazione del capitale sociale basati sulla
sperimentazione, a differenza di quelli precedenti, si fondono prevalentemente su legami
deboli. Si formano relazioni meno intense e più occasionali, un'impresa esterna o locale
può stabilire rapporti con altre aziende di una determinata area, se questi rapporti si
concludono con soddisfazione, possono ripetersi e generare legami sociali che vanno al di
là della singola transazione, rendendo anche possibili operazioni più complesse.
Quando manca una comune appartenenza è più difficile cooperare per la produzione di
beni collettivi. Ciascun attore può fidarsi poco degli altri e sulla stessa base giudica con
sospetto eventuali forme di collaborazione con altri soggetti. Oltre alla cosiddetta
conflittualità tra attori collettivi, possono diffondersi legami politici clientelari, in una
situazione in cui le appartenenze sono deboli e il consenso è più difficile da ottenere, i
politici locali possono essere spinti a usare le risorse che controllano per fini
particolaristici, a scapito della produzione di beni collettivi (è spesso successo nel Sud
Italia che si sviluppasse il cd. particolarismo sociale).
4 Granovetter M. The Strenght of Weak Ties, American Journal of Sociology, Vol 78 n° 6, 1973.
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Vengono così privilegiate delle politiche che aumentano la possibilità di dividere le risorse
a fini di consenso (per esempio assunzioni indiscriminate di impiegati pubblici o
distribuzione di sussidi a imprese e famiglie).
In un quadro di questo tipo, non si migliora il contesto locale ma anzi si creano
comportamenti non favorevoli all'imprenditorialità economica e al mercato (Vedi gli studi
di R. Putnam 5, 1994).
1.4 I distretti High-Tech: un esempio di sviluppo locale
Il mutamento dei processi produttivi e la sempre maggiore attenzione ai contesti locali
come fonte di sviluppo economico richiede un'attenta analisi delle caratteristiche strutturali
del sistema economico italiano, per garantire le corrette politiche pubbliche di intervento.
La crisi economica mondiale, oltre a quella italiana ha focalizzato l’attenzione sulla perdita
di competitività del nostro sistema industriale: i settori tradizionali, usualmente legati alla
produzione poco tecnologica e caratterizzata da una manodopera poco qualificata, non
sono in grado di tenere il passo rispetto alle grandi nazioni in via di sviluppo come Cina e
India; il fenomeno della delocalizzazione, che ultimamente molte imprese considerano
l'unico modo per tornare al passo con la concorrenza straniera, è una risposta alla crisi
spesso obbligata. D'altro canto, certe politiche di riammodernamento dei settori tradizionali
e un investimento verso i settori High-tech possono in qualche modo fornire una risposta
alla crisi: i distretti tecnologici in Italia sono uno degli aspetti più innovativi degli ultimi
trent'anni, la loro forte propensione all'innovazione, nita ad una rete locale di istituti di
ricerca può davvero rappresentare una svolta per il nostro sistema economico.
5 Putnam R. Making Democracy Work, Civic Traditions in Modern Italy, Princeton University Press, 1994.
In questa prospettiva è molto interessante il confronto tra Regioni della Terza Italia e del Mezzogiorno
effettuato dall’autore, che nelle sue ricerche ha attirato l'attenzione sulla mancanza nel Sud Italia di capitale
sociale, inteso come cultura civica ereditata da un passato lontano. Nella storia del mezzogiorno si è fatta
molto sentire la carenza di appartenenze sociali allargate.
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1.5 I distretti industriali, alcune definizioni
La crisi del sistema fordista, che fino agli Anni Settanta ha dominato il mercato industriale,
ha creato un veloce mutamento del sistema industriale dei paesi avanzati. La costante
pressione dei mercati emergenti ha reso l'innovazione tecnologica una risorsa
fondamentale per le organizzazioni. I mercati si sono differenziati repentinamente e sono
diventati molto più instabili ed in questo contesto, si inizia a pensare che il processo di
innovazione tecnologica non debba essere più preso in considerazione dalle grandi
imprese, ma distribuito all'interno del mondo delle piccole-medie imprese, molto più
specializzate e vincolate al territorio in cui operano.
Una forte connessione con il territorio è alla base della nascita dei primi cluster
tecnologici: essi si fondano sulla vicinanza tra imprese immerse nello stesso contesto
produttivo e la circolazione della conoscenza attraverso la mobilità del lavoro. La storia dei
distretti industriali italiani è stata fondamentale per lo sviluppo economico.
A partire dagli Anni 90, la posizione delle imprese italiane sui mercati internazionali ha
cominciato a indebolirsi mettendo in crisi il sistema economico e spingendo le piccole
imprese dei distretti a riorganizzarsi in un'ottica più innovativa; è per questo diventato
evidente che il vantaggio competitivo non possa derivare solo dalla specializzazione della
manodopera ma richiede anche componenti basate sull'innovazione e sulla tecnologia. Per
questo motivo in Italia, si sono sviluppati degli agglomerati territoriali formati da piccole-
medie imprese con l'idea comune di basare la loro azione sull'innovazione e sulla
specializzazione settoriale: Si parlerà perciò di Distretti High-Tech.
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«… Il distretto industriale è caratterizzato da un limitato ambito geografico caratterizzato
dalla presenza di un insieme di imprese di piccole e medie dimensioni, specializzate nelle
fasi di uno stesso processo produttivo, con una cultura locale ben definita e che
presentano una rete di istituzioni locali favorevoli all'interazione, competitiva e
cooperativa, sia fra imprese diverse, sia fra imprese e popolazione lavoratrice…».
(G. Becattini 6, 1998)
Questa definizione mette in luce diversi aspetti del distretto industriale:
• l'importante ruolo delle istituzioni;
• il ruolo dei valori e della cultura presenti sul territorio;
• il ruolo del capitale sociale;
• il ruolo delle risorse umane.
Becattini cerca di mettere in luce le differenze e le similitudini tra i cluster, il
distretto industriale e il distretto High Tech. il primo elemento è rappresentato dal ruolo
delle istituzioni, come fattore fondamentale per la nascita dei distretti industriali. Le
istituzioni permettono di creare la rete di relazioni tra imprese e individui che è alla base
del concetto di distretto industriale. Un altro elemento è rappresentato dall'accumulazione
di capacità che, nell'ambito dei distretti industriali avviene mediante processi learning by
doing, attraverso i quali la manodopera, pur non avendo un alto livello di capitale umano in
partenza, sviluppa le conoscenze all'interno del processo produttivo. Tale meccanismo di
trasmissione delle conoscenze, favorisce un vantaggio competitivo che si manifesta con
l'aumento sostanziale della produttività della manodopera impiegata.
6 Becattini G. Distretti Industriali e Made in Italy, Bollati Boringhieri, Torino 1998.
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Un altro elemento nell'ambito del distretto industriale è costituito dalla cultura locale,
ovvero quell'insieme di relazioni tra settore imprenditoriale e la comunità locale che
permette la circolazione delle conoscenze ed è alla base delle reti di relazioni. Questo
elemento ricopre un ruolo primario per la nascita dei distretti industriali e per la loro
crescita sul territorio italiano.
La cultura locale è sicuramente l'elemento che differenzia il distretto industriale dal cluster
tecnologico. I cluster tecnologici sono agglomerati geograficamente concentrati di imprese
connesse ed istituzioni associate in un particolare settore, legate da tecnologie e capacità
comuni. La crescita dei cluster è più facile in situazioni geografiche che consentano facilità
di comunicazione e di interazione personale, e si individuano a livello regionale o a livello
di singole città. Il distretto High-Tech è un elemento innovativo rispetto al distretto
industriale e al cluster.
M. Storper 7 (1997) definisce il distretto High-Tech come: «un sistema territoriale in cui
convivono componenti relazionali e cognitive e processi di accumulazione della
tecnologia»7.
Tale definizione racchiude il concetto di aree in cui la dinamica dell'apprendimento si pone
alla base del processo produttivo e prevede una partecipazione attiva di tutti gli enti di
ricerca e di formazione all'interno del processo produttivo. Più in generale altri autori
definiscono il distretto High-Tech (lungo il corso del testo, per semplificare sarà chiamato
anche distretto HT) come l'insieme di aggregazioni territoriali di attività ad alto contenuto
tecnologico nel quale forniscono il proprio contributo, enti pubblici di ricerca, grandi
imprese, piccole imprese ed enti locali La presenza sul territorio di questi fattori è
essenziale perché si venga a creare un ambiente in cui i costi e i rischi della ricerca
scientifica siano sostenuti dalle imprese anche di piccole e medie dimensioni.
7 Storper M. The Regional World, Territorial development in Global economy, The Guilford Press, New
York. 1997.
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Oltre ai diversi servizi legati alla ricerca e alla formazione, un ruolo di rilievo
fondamentale hanno i servizi finanziari, quelli di assistenza alle start-up e quelli legati al
marketing. In particolare, la finanza specializzata, specie nella forma del venture capital, è
fondamentale per lo sviluppo di attività High-Tech, in quanto gli investimenti in questi
settori tendono in media ad essere più rischio. Infine si deve tenere conto del ruolo della
cultura e del capitale sociale, fattori immateriali già precedentemente considerati come
elementi fondanti del distretto HT.
1.6 Analisi dei distretti High-Tech italiani
Il paragrafo precedente mostra alcuni elementi fondamentali per la nascita e l'evoluzione
dei distretti High-Tech. I processi che portano alla nascita di questi distretti sono molto
difficili da comprendere, specialmente sul territorio italiano dove i distretti HT hanno
assunto connotazioni diverse e si sono sviluppati in maniera non omogenea partendo
spesso da accordi privati tra imprese e non da una precisa volontà pubblica. Le principali
linee di ricerca in questo ambito possono essere ricondotte a due filoni principali:
• Il primo cerca di individuare i distretti High-Tech attraverso l'utilizzo di un numero di
variabili relative alla conoscenza e al potenziale delle risorse connesse agli aspetti
tecnologici. Attraverso queste analisi si cerca di riconoscere le aree dotate di livelli di
capacità innovativa e tecnologica più adatti alla nascita dei distretti HT. Il merito di questo
filone di ricerca è stato quello di portare alla luce aspetti ritenuti minori nell'identificazione
dei distretti stessi, come il ruolo del capitale sociale e della cultura locale.
• Il secondo filone di cerca si basa su una scelta a priori delle caratteristiche dei
distretti High-Tech, per l'identificazione della loro fisionomia. la scelta degli aspetti
rilevanti avviene attraverso specifiche analisi e confronti sulle realtà già esistenti: per
esempio attraverso la comparazione di diversi distretti, da cui emerge la presenza di
regolarità nella loro nascita. Questi studi hanno evidenziato la presenza di caratteristiche
comuni ai distretti High Tech, permettendo analisi empiriche specifiche sulle determinanti
dei distretti HT.
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Bosi e Scellato 8 (2005) evidenziano alcuni degli aspetti maggiormente ricercati:
- la presenza di centri di ricerca pubblici;
- la presenza di imprese High-Tech (italiane o straniere);
- un elevato tasso di crescita delle imprese;
- la presenza di risorse umane qualificate;
- uno spirito imprenditoriale nel campo delle nuove tecnologie;
- la disponibilità di strumenti finanziari dedicati alle iniziative ad alto contenuto di
innovazione;
- la presenza di rapporti internazionali (di ricerca, tra imprese) e di imprese
multinazionali.
Negli ultimi anni, grazie ad un'intensa attività condotta dal MIUR (Ministero
dell'Università e della Ricerca) sono state sviluppate alcune ricerche specifiche sui
distretti High-Tech italiani. Queste indagini portate avanti a livello europeo, hanno come
finalità l'integrazione delle realtà esistenti in un quadro internazionale.
1.7 La normativa italiana sui distretti High-Tech
I distretti High-Tech, secondo il piano nazionale della ricerca 2005-2007 (PNR), sono
“aggregazioni territoriali di attività ad alto contenuto tecnologico nelle quali forniscono il
proprio contributo, enti pubblici di ricerca, grandi imprese, piccole imprese nuove o già
esistenti, enti locali. “ 9
8 Bosi G. Scellato G. Politiche Distrettuali per l’innovazione delle Regioni italiane , COTEC, 2005. 9 Vedi: http://www.miur.it/0003Ricerc/0141Temi/0478PNR_-_/0783PNR_20/4811Progra_cf3.htm.
23
L'affermazione del distretto High-Tech quale strumento di sviluppo economico all'interno
dei sistemi nazionali più evoluti, trae origine dalle linee guida per la politica scientifica e
tecnologica del governo approvate il 19 aprile 2002 ed è tutelata dal PNR 2005-2007; essa
segnala la necessità di creare, in numerose aree del paese, dei poli di ricerca e di
innovazione di eccellenza nell'ambito di progetti condivisi tra i vari attori del sistema
scientifico e dell'innovazione. A differenza dei distretti industriali, l'avvio dei distretti HT
utilizza più genericamente gli strumenti della politica della programmazione della ricerca
italiana. In particolare, il processo di collaborazione tra diversi soggetti pubblici
(amministrazioni centrali, regionali e locali) e privati avviene mediante il ricorso agli
strumenti della programmazione negoziata (accordi di Programma quadro, accordi di
Programma).
A tale proposito è opportuno soffermarsi sui rapporti istituzionali che proprio negli anni di
sviluppo dei DT hanno mutato il loro assetto. La riforma del Titolo V della Costituzione
del 2001, varata dopo un lungo iter normativo, individua il settore della ricerca scientifica e
tecnologica e il sostegno all’innovazione come materia concorrente tra Stato e Regioni. La
potestà legislativa spetta alle Regioni ad eccezione della determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
L’insediamento del Governo della XIV legislatura (30 maggio 2001) ed il nuovo assetto
istituzionale, inducono il MIUR a “formulare a questo stadio nuove linee guida anziché
procedere immediatamente alla stesura del documento di dettaglio” ovvero il PNR. Tale
documento programmatico individua quattro assi strategici tra cui l’Asse 4 “Promozione
delle capacità di innovazione nei processi e nei prodotti delle piccole e medie imprese e
creazione di aggregazioni sistemiche a livello territoriale”. L’Asse 4 sancisce il ruolo delle
Regioni nella programmazione delle azioni ad esso riferite ed individua come strumento di
attuazione il ricorso alla programmazione negoziata. Le linee guida pertanto, pur
anticipando la definizione del Distretto High Tech, non definiscono un quadro chiaro di
risorse con cui attivare tale strumento. L’occasione, per le Regioni del Mezzogiorno, si
manifesta con l’attuazione della delibera CIPE 17/2003. Il CIPE (Comitato per la
programmazione Economica), nel destinare le risorse del Fondo per le Aree Sottoutilizzate
(FAS), nella delibera 17/2003 vincola una quota destinata ad interventi gestiti dalle
24
Amministrazioni centrali (in particolare il MIUR ed il Dipartimento per l’innovazione
tecnologica della Presidenza del Consiglio dei Ministri) all’esito positivo di un percorso di
concertazione con le Regioni del Mezzogiorno. Inoltre, in considerazione del fatto che
l’assegnazione di tali risorse ricadeva nel centro del periodo di programmazione dei Fondi
strutturali 2000/2006 e che queste, per quanto riguarda le politiche di sostegno alla ricerca,
erano quasi esclusivamente indirizzate al mondo delle imprese, la delibera invita ad avere
particolare attenzione ai “profili dell’offerta, alle esigenze di alta formazione e ricerca sia
tecnica che umanistica”. Quindi, pur potendo destinare tali risorse al potenziamento della
ricerca di base e della formazione, il MIUR e le Regioni hanno optato concordemente per
sostenere azioni di ricerca industriale attraverso la costituzione di diversi DT nelle Regioni
meridionali. Contestualmente si arriva ad una prima definizione formale degli obiettivi e
delle caratteristiche dei DHT, intesi come strumento dell’Amministrazione Pubblica per
attuare una politica di sviluppo e diversificazione delle specializzazioni esistenti nei
diversi tessuti produttivi regionali. I principali interventi suggeriti sono:
1) prevedere la partecipazione di imprese del Distretto Tecnologico, imprese caratterizzate
da un elevato grado di competenze tecnologiche e/o di risorse disponibili per l’attività di
ricerca e sviluppo (R&S);
2) assicurare il collegamento potenziale con il tessuto di imprese sub-fornitrici esistenti
nella Regione o nel restante territorio dell’Obiettivo 1;
3) garantire effetti di riposizionamento competitivo degli attori regionali che possono
derivare dal progetto del DHT, soprattutto in termini di diversificazione e di
specializzazione produttiva;
4) essere in grado di determinare l’attrazione di nuove presenze high-tech di origine
esterna al territorio di riferimento del distretto;
5) assicurare la concentrazione spaziale di strutture scientifiche (pubbliche e private),
centri di competenza e organismi di alta formazione che possano essere coinvolti
25
nell’implementazione del progetto di Distretto HT;
6) favorire l’attivazione di relazioni privilegiate e stabili con fonti di innovazione e centri
di competenza esterni alla Regione che possano essere rafforzate attraverso il progetto di
Distretto Tecnologico;
7) promuovere il coinvolgimento degli attori di mercato (venture capital, organismi
imprenditoriali, Fondazioni bancarie, ecc.) interessati ad investire nelle azioni proposte
attraverso il DT a complemento dei finanziamenti di origine pubblica.
Successivamente, con una serie di delibere (n. 20/2004, n. 81/2004, n. 35/2005, n. 3/2006)
il CIPE avvia il finanziamento per l' attuazione dei DHT.
1.8 Le caratteristiche dei distretti High-Tech esteri
Un primo passo per l’analisi dei Distretti HT è quello di definire gli ambiti e le condizioni
che hanno portato alla loro nascita; un approccio storico al problema, che metta a
confronto le circostanze in cui sono nati i distretti High-Tech esteri rispetto a quelli italiani
potrebbe essere il più idoneo. Verranno successivamente presentati tre casi di eccellenza
nell’ambito dei distretti HT esteri, che delineano diverse esperienze effettuate in contesti
istituzionali differenti. In particolare, si è preso in esame un Distretto HT sviluppatosi negli
Stati Uniti, nello Stato della Georgia, caratterizzato da una forte spinta iniziale da parte del
Governo locale e il Distretto di Sophia Antipolis, in Francia, rappresentativo di una
situazione in cui è la capacità di attrazione sul territorio di grandi imprese estere a
determinare il successo di una iniziativa. Il caso di Cambridge in Inghilterra, ove già
esisteva un importante e affermata presenza dell’High-Tech, testimonia, invece, un
successo legato alla capacità di coordinare le risorse e le competenze di un grande centro
di ricerca pubblica. Sebbene i tre casi trattati presentino delle differenze e delle analogie,
l’analisi delle loro caratteristiche ci aiuterà a individuare alcune dimensioni comuni utili
per la valutazione delle strategie di policy di innovazione in ambito locale e per la
definizione di future linee-guida da applicare al caso Italiano.
26
1.8.1 Il distretto High-tech di Yamacraw (Georgia, Usa)
Fin dai primi Anni 60 nello Stato della Georgia furono avviate numerose iniziative con
l’obiettivo di realizzare una generale ristrutturazione dell’economia locale, promuovendo i
progetti di ammodernamento e favorendo lo sviluppo di industrie ad alto contenuto
tecnologico. Nello stesso periodo venne avviato un primo importante programma per
stimolare il trasferimento di conoscenze scientifiche e tecnologiche verso le industrie locali
e nel 1980 venne istituito uno dei primi incubatori tecnologici americani, l’Advanced
Technology Development Center, presso il Georgia Institute of Technology (GT), la più
grande università dello Stato. Negli Anni 80 e 90 lo Stato dello Georgia ha avviato diversi
progetti e ha investito ingenti capitali con l’obiettivo di creare sul territorio una base di
conoscenza scientifica e tecnologica di alto livello.
Tra queste iniziative, una delle più rilevanti è stata la creazione della Georgia Research
Alliance (GRA), un’organizzazione privata no-profit creata con l’obiettivo di coordinare le
attività delle diverse Università e centri di ricerca pubblici. Questa organizzazione,
favorendo l’incontro tra soggetti pubblici e privati, ha consentito di realizzare importanti
sinergie e reti di collaborazione che hanno contribuito a far nascere sul territorio un polo di
eccellenza tecnologico, soprattutto nel settore delle nuove tecnologie (in particolare, nel
settore dell'ICT, Information Communication Technology) In questo contesto, nel 1999 è
stato individuato il distretto di Yamacraw su iniziativa del governatore della Georgia. La
creazione del distretto è stata realizzata attraverso la stesura di un programma di iniziative
per favorire l’avvio di attività ad alto contenuto tecnologico nel campo delle tecnologie di
comunicazione a banda larga. Si tratta di un programma quinquennale focalizzato su tre
aree specifiche: broad band devices, embeddeds systems e prototyping.
Gli elementi caratterizzanti di questa iniziativa sono stati:
• l'avvio del programma di ricerca su temi di interesse industriale, con un investimento di
circa 5 milioni di dollari all’anno;
27
• la disponibilità di un ampio e crescente pool di laureati nelle aree di localizzazione del
distretto;
• la creazione di un fondo di investimento destinato alle start-up ad alto contenuto
tecnologico;
• la messa in atto di una vasta attività di marketing per attrarre capitali e risorse;
• la creazione di spazi per le imprese del distretto.
Attualmente il programma sembra aver ampiamente portato a termine gli obiettivi iniziali:
in pochi anni infatti, sono sorte più di 30 nuove imprese e alcuni tra i principali produttori
di componentistica elettronica per telecomunicazioni a livello mondiale hanno scelto di
localizzare sul territorio i propri impianti e laboratori di ricerca.
La caratteristica più evidente di questa esperienza è data dal forte impegno delle istituzioni
pubbliche nel favorire la nascita del distretto10 e nel sostenerne la crescita. Il distretto di
Yamacraw, infatti, nasce proprio per iniziativa dello Stato della Georgia che agisce come
soggetto propulsore, definendo le priorità e gli obiettivi del progetto, individuando le
strategie e gli strumenti operativi e sostenendo finanziariamente gran parte delle attività.
L’impegno pubblico si è concretizzato soprattutto nel sostegno alle attività di ricerca e di
formazione, con ingenti investimenti per favorire il raggiungimento di livelli di eccellenza.
Lo stanziamento statale complessivo, tra il 1999 e il 2004, è stato di circa 100 milioni di
dollari. Il fattore decisivo nel determinare il successo dell’iniziativa è stato senza dubbio
l’efficienza del sistema pubblico della ricerca e la sua capacità di instaurare cooperazioni al
suo interno e soprattutto con il mondo industriale, con il quale si è stabilita una stretta rete
di relazioni e collaborazioni che ha consentito di sfruttare commercialmente l’eccellenza
raggiunta in ambito scientifico.
10 Per un approfondimento si veda: http://www.senate.ga.gov/sro/Documents/Highlights/1999Highlights.pdf
28
1.8.2 Il Distretto High-Tech di Sophia-Antipolis (Francia)
Il distretto di Sophia-Antipolis, localizzato nell’entroterra di Antibes, tra Nizza e Cannes, è
Un parco tecnologico avviato all’inizio degli anni Settanta11 che ha ottenuto grande
successo tanto da essere spesso presentato come un importante caso di riferimento per le
attività HT in Europa. Un'idea della dimensione del fenomeno può essere offerta da pochi
dati: a partire dal 2000 il numero di imprese era di 1.193 e il numero di lavoratori in
quest’area nel settore HT era 21.535, mentre il numero di studenti e ricercatori era pari a
circa 5.000. Nella storia del distretto si possono individuare due fasi.
1) Nella prima fase di realizzazione del progetto, la strategia è stata quella di cercare di
attrarre nell’area il maggior numero di imprese senza un preciso disegno strategico in
termini di specializzazione produttiva. L’unico criterio di selezione era quello di preferire
attività ad alto contenuto di ricerca e sviluppo rispetto alle attività manifatturiere
tradizionali. Il progetto inizialmente si sviluppò quindi attraverso l’aggregazione spontanea
di attività anche molto diverse tra loro, senza alcuna strategia comune e senza alcun
intervento pubblico. Ben presto, però, apparve evidente che per sostenere lo sviluppo del
progetto era necessaria la partecipazione ed un sostegno finanziario diretto da parte delle
istituzioni pubbliche locali e nazionali. Nel 1977 la gestione del progetto divenne pubblica,
con un cambiamento nell’identità del progetto stesso. Esso, infatti, divenne un parco
internazionale in cui potevano essere localizzate attività industriali selezionate, non
inquinanti, ad alto contenuto di innovazione.
A partire dalla fine degli Anni Settanta, l’intervento delle istituzioni pubbliche consentì di
dare al progetto una dimensione internazionale con la localizzazione nell’area degli
impianti produttivi di numerose grandi imprese multinazionali, soprattutto americane.
11 Per un approfondimento si veda: http://www.sophia-antipolis.org/index.php/fondation-sophia
antipolis/documents/8-fsa/96-naissance-d-une-ville
29
L’aggregazione di attività, seppur su scala maggiore, rimase però in qualche modo casuale,
dunque non guidata da una precisa scelta di specializzazione. Le caratteristiche della prima
fase di sviluppo del progetto Sophia-Antipolis possono essere così riassunte:
• la localizzazione nell’area dei centri di R&S da parte di grandi imprese internazionali,
con l’obiettivo di adattare i loro prodotti al mercato europeo;
• la prevalenza di decisioni esterne nella gestione del progetto;
• l'alta diversificazione delle attività localizzate nell’area;
• il basso livello di interazione tra le diverse componenti del progetto.
Nonostante alcune criticità, la prima fase di sviluppo del progetto determinò risultati
estremamente positivi dal punto di vista quantitativo, con la creazione di circa 12.000
nuovi posti di lavoro alla fine degli Anni 80. L’intervento delle autorità pubbliche si
concentrò quindi su due obiettivi specifici: un'intensa attività di marketing nei confronti del
contesto internazionale, in particolare quello statunitense e la creazione nell’area di
infrastrutture e technical facilities per le imprese.
Quest’ultimo elemento, in particolare, ha reso l’area di Sophia-Antipolis estremamente
attraente per le grandi multinazionali (tra cui: Philips, Hitachi, IBM ed Hewlett Packard) e
le ha dato un grande vantaggio competitivo nei confronti di altre aree Europee. A fronte di
questi aspetti positivi rimaneva, tuttavia, la debolezza iniziale dovuta al carattere
essenzialmente esterno dello sviluppo, con attività innovative concentrate sopratutto in due
settori: il settore della computer science delle telecomunicazioni - microelettronica e il
settore delle scienze mediche.
Il settore della computer science delle telecomunicazioni e microelettronica ha
rappresentato il vero motore di sviluppo del progetto con circa il 75% delle attività,
mediante partnership di grandi imprese francesi, internazionali e con numerosi centri di
ricerca impegnati su questi temi.
30
2) La seconda fase di sviluppo, cominciata a partire dagli Anni 80, è stata caratterizzata dal
passaggio da un modello determinato essenzialmente da decisioni esterne ad un modello
orientato dalle decisioni interne. Tale trasformazione è stata resa possibile soprattutto
grazie ai risultati raggiunti durante la prima fase.
Soprattutto durante la seconda fase, si verifica un elevato aumento del numero di studenti
nell’area. In precedenza, infatti, solo pochi centri di formazione e di ricerca si erano
localizzati nell’area (Ecole Nationale Supérieure des Mines de Paris, Centre National de
la Recherche Scientifique, Institut National de Recherche en Informatique et Automatique).
Queste realtà non erano però sufficienti per la formazione delle risorse umane necessarie
per sostenere un adeguato sviluppo dell’area. Un cambiamento significativo si ebbe nel
1986 con la localizzazione nell’area di Sophia-Antipolis degli istituti di ricerca e dei
programmi di dottorato dell’Università di Nizza. La seconda fase di sviluppo del progetto
Sophia-Antipolis sembra dunque essere caratterizzata dai seguenti elementi:
• il continuo aumento nel numero delle istituzioni di ricerca localizzate nell’area;
• la diminuzione nel numero di grandi compagnie esterne che stabiliscono i loro impianti
produttivi dell’area.
• l’aumento nel numero delle start-ups locali, soprattutto nelle attività e nei servizi legati
all’ICT ;
• l’aumento dell’importanza di imprese piccole e molto piccole;
• l’aumento del coinvolgimento nel progetto dell’Università di Nizza;
• la creazione di una specifica atmosfera volta a favorire le interazioni e la collaborazione
tra i soggetti locali.
31
La debolezza iniziale del modello di sviluppo viene dunque corretta con un profondo
cambiamento di strategia, mentre la diminuita presenza di grandi imprese nell’area crea
un’occasione di sviluppo per nuove start-ups locali. L’esempio più famoso è quello dello
stabilimento della Digital Equipment Company che riduce i suoi dipendenti da più di 1.100
a poco più di 200, dopo l’acquisizione da parte di Compaq. Molti di questi lavoratori,
estremamente qualificati, non accettarono di lasciare la regione e cercarono di farsi
assumere da altre imprese locali o di creare loro stessi nuove start-ups.
Contemporaneamente molti Istituti di Ricerca riuscirono ad implementare a scopo
commerciale le conoscenze scientifiche sviluppate, sia attraverso brevetti e licenze
concesse alle imprese, sia direttamente dando vita a nuove imprese.
Tra gli aspetti negativi dell’esperienza del distretto Sophia Antipolis, va citata la mancanza
di una forte tradizione industriale nella regione. Di conseguenza le SMEs (Small and
Medium Enterprises) sono poche e rappresentano ancora oggi un’evidente debolezza del
progetto Sophia-Antipolis. Le SMEs presenti nella regione sono nate per lo più nel settore
ICT, ma sono poco numerose ed ancora piuttosto fragili. Alcune di esse sono riuscite ad
espandersi su tutto il mercato francese creando società sussidiarie nell’area; soltanto un
numero minore di imprese è riuscito a realizzare progetti di collaborazione con grandi
imprese locali. Anche le politiche pubbliche, sia nazionali sia locali, hanno inizialmente
contribuito a determinare un modello di sviluppo fortemente dipendente da fattori esogeni.
Esse sono state prevalentemente orientate a favorire l’attrazione nell’area di risorse esterne,
soprattutto internazionali.
Tali debolezze erano particolarmente evidenti nella prima fase del progetto ma hanno
continuato ad esserlo anche nella seconda. Le istituzioni pubbliche, infatti, non hanno
contribuito con una politica coerente al passaggio verso un modello di sviluppo
determinato internamente e meno dipendente dal contesto esterno. Tra i fattori positivi del
modello di sviluppo vi sono però gli ingenti investimenti effettuati per la realizzazione di
infrastrutture e di technical facilities per le imprese. Tra queste, in particolare hanno avuto
grande importanza per lo sviluppo del distretto:
32
1) la telecommunication network, basata sulla tecnologia in fibra ottica: negli Anni 80
proprio questa realizzazione contribuì in modo decisivo al riconoscimento di Sophia-
Antipolis come centro di eccellenza nell’area ICT;
2) il progetto CICA (International Center for Advanced Communication), un sistema
integrato di servizi comunicativi d’avanguardia a disposizione delle aziende locali.
Va ricordato che a fine del 2013 Huawei (colosso Cinese delle telecomunicazioni) ha
deciso di inaugurare il nuovo centro di Ricerca e Sviluppo in questo distretto. Il CEO e
fondatore Huawei Ren Zhengfei afferma in un intervista che:
«…tale decisione è stata dettata, dal fertile ecosistema IT del polo tecnologico, e dalla
grande competenza nel settore dei tecnici presenti sul territorio. Conosciuti in tutto il
mondo per il loro know how in materia dei dispositivi tecnici elettronici e software…»12
12 http://www.corrierecomunicazioni.it/it-world/29730_huawei-inaugura-il-centro-rd-di-sophia-antipolis.htm
33
1.8.3 Il Distretto High tech di Cambridge (UK)
Il Cambridge Science Park 13 venne istituito dal Trinity College nel 1973 ma inizialmente
ebbe uno sviluppo piuttosto lento. Venne inaugurato ufficialmente solo nel 1976 e a due
anni da quella data risultavano solo sette membri del distretto e poco più del 20% delle
strutture inizialmente previste risultava già realizzato. Ciò era legato essenzialmente ai
criteri estremamente selettivi applicati dal Trinity College per l’ammissione al Parco.
Nei primi Anni 80 numerose sussidiarie inglesi di grandi multinazionali cominciarono a
localizzare in quest’area i loro impianti (le prime due furono la svedese LKB Biochrom e
l’americana Coherent, leader nelle tecnologie laser).
Attorno alla seconda metà degli Anni 80 il numero di compagnie nel parco era pari a circa
25. Seguì un periodo di intensa crescita in termini sia di imprese presenti sia di
infrastrutture e facilities. Nella seconda metà degli anni Ottanta numerose società di
venture capital aprirono propri uffici all’interno del Parco, favorendo così la creazione di
nuove imprese. Nello stesso periodo furono create le prime associazioni di imprese del
Parco, quali Qudos, fondata dal laboratorio di microelettronica dell’Università di
Cambridge, Prelude Technology Investments e Cambridge Consultants.
Negli Anni 90 il numero di imprese nella regione di Cambridge era pari a circa 1.200 con
l’impiego di oltre 35.000 dipendenti. In questo periodo vennero creati numerosi incubatori
in tutta la regione ed aumentò in modo significativo la disponibilità di finanziamento da
parte di società di venture capital. Se inizialmente le attività prevalenti nel parco erano
quelle legate all’ICT, sul finire degli Anni Novanta cominciano ad assumere sempre
maggiore importanza le cd. scienze della vita, fino a diventare il settore prevalente.
Attualmente sono circa 75 le imprese all’interno del parco con l’impiego di più di 4.000
dipendenti. Nelle aree circostanti vi è il St. John’s Innovation Centre (www.stjohns.co.uk),
creato nel 1987, che ospita circa 64 start-ups high-tech, con l’impiego di circa 1.000
dipendenti e altre 52 imprese tecnologiche sono localizzate nella regione di Cambridge.
13 http://www.cambridgesciencepark.co.uk/about/history/
34
In totale quindi, la regione può contare su poco più di 1.000 imprese hightech, con circa
27.000 dipendenti ed è la regione europea con il più alto livello di concentrazione nell’alta
tecnologia. La presenza di un Centro Universitario e di altri centri di ricerca di eccellenza
costituiscono un indubbio stimolo al processo di sviluppo imprenditoriale. Negli Anni 70 e
80, molte delle imprese sviluppatesi all’interno del Parco nacquero direttamente
dall’iniziativa di ricercatori universitari alla loro prima esperienza imprenditoriale. La
maggior parte delle imprese del Cambridge Science Park sono però rimaste relativamente
piccole. Ciò è in parte dovuto allo specifico orientamento del Parco verso la ricerca
scientifica di base.
Bisogna considerare però che, se da un lato la specializzazione del Parco e la selettività del
Trinity College hanno limitato il numero e le dimensioni delle imprese al suo interno,
dall’altro, proprio queste caratteristiche hanno favorito lo sviluppo di un centro di
eccellenza scientifica e tecnologica di altissimo livello i cui effetti positivi si riflettono in
gran parte sulle imprese collocate nelle aree circostanti. All’esterno del Parco si è infatti
sviluppata una rete piuttosto vasta di attività di supporto e di servizi ausiliari. Nel
Cambridge Science Park e nelle aree circostanti è localizzato circa il 60% degli impianti
hi-tech dell’intera regione di Cambridge. In conclusione, molti studi hanno evidenziato la
straordinaria vitalità del distretto di Cambridge (paragonabile solo a quella della Silicon
Valley) nella realizzazione di attività imprenditoriali e nello sviluppo di istituzioni e
organizzazioni di supporto sorte senza l’intervento pubblico.
35
1.9 I distretti High-Tech in Italia
Per quanto concerne l’Italia, l’intensa attività d'indagine svolta dal MIUR14 ha portato
all’identificazione di 27 Distretti Tecnologici relativi a vari settori e distribuiti nelle
seguenti Regioni:
• Campania: 1 (materiali polimerici e strutture);
• Piemonte: 1 (tecnologie wireless);
• Veneto: 1 (nanotecnologie);
• Liguria: 1 (sistemi intelligenti integrati per la logistica);
• Lombardia: 3 (ICT, biotecnologie, materiali avanzati);
• Sicilia: 3 (micro e nanosistemi, agro-bio e pesca ecocompatibile, logistica);
• Lazio: 3 (aerospazio e difesa, farmaceutico, beni e delle attività culturali);
• Emilia Romagna: 1 (Hi-Mech);
• Sardegna: 1 (biomedicina e tecnologie per la salute);
• Calabria: 2 (beni culturali, logistica);
• Friuli-Venezia Giulia: 1 (biomedicina molecolare);
• Puglia: 3 (biotecnologie, hi-tech, meccatronica);
• Toscana 1: (ICT);
• Trentino Alto Adige: 1 (tecnologie per l’edilizia sostenibile).
Inoltre, sono in corso i lavori per la costituzione di altri 4 Distretti nelle Regioni Abruzzo
(innovazione, sicurezza e qualità degli alimenti), Basilicata (tecnologie innovative per la
tutela dei rischi idrogeologici), Molise (innovazione agroindustriale), Umbria (edilizia
sostenibile). Sebbene l’identificazione abbia raggiunto buoni risultati, appare oggi evidente
che non è possibile tracciare un quadro globale sul processo alla base della nascita di questi
DHT. Infatti, come verrà chiarito in seguito, molto spesso la nascita dei Distretti High-
Tech è avvenuta in maniera spontanea e non attraverso un preciso quadro progettuale. In
altre parole, l’interazione tra le imprese ha creato un terreno fertile per l'interazione e lo
scambio di conoscenze, senza servirsi delle istituzioni come mediatori.
14 Per un approfondimento si veda: http://leg16.camera.it/561?appro=92#paragrafo631.
36
È inoltre importante notare che all’interno delle realtà individuate dal MIUR ci sono
diversi gradi di realizzazione del Distretti HT partendo da realtà già ampiamente
consolidate come i Distretti HT del Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna fino ad
arrivare a realtà proto-distrettuali come i Distretti del Veneto e del Lazio.
In questo ambito verranno analizzate in modo approfondito alcune realtà distrettuali
italiane (tra cui: Torino Wireless, Biotech in Lombardia, High Mech in Emilia Romagna,
Nanotecnologie in Veneto e Aerospazio in Lazio) ed il capitolo 3 sarà interamente dedicato
al distretto High-Tech Genovese e nello specifico all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di
Genova, vero fulcro della presente trattazione.
1.9.1 Torino Wireless
Il Distretto HT Torino Wireless15 si contraddistingue per l’adozione di una forma
strutturata di governance delle proprie attività (una fondazione), che appare
particolarmente efficace nel coordinamento delle risorse. Il distretto si fonda sulla presenza
locale di un polo di ricerca accademica di eccellenza nell’ambito tecnologico di pertinenza.
La presenza di un focus sulle telecomunicazioni è testimoniata sia dalla performance dei
brevetti sia dai dati sui finanziamenti MIUR e sui progetti europei.
Il distretto è stato in grado di attrarre risorse pubbliche e ha saputo formare partnership con
strutture di supporto all’imprenditorialità innovativa già presenti sul territorio; in
particolare, il progetto distrettuale sembra porre una particolare attenzione ai temi della
proprietà intellettuale, prevedendo interventi al fine di garantire i vantaggi competitivi per
le imprese che introducano innovazioni di processo e di prodotto ma, al tempo stesso,
incentivando la propagazione delle innovazioni all’interno del settore. In tal modo il
distretto ha saputo generare esternalità positive all'interno del contesto locale.
15 http://www.torinowireless.it/index.php?IDpage=5708&lang=ita.
37
Data l’importanza della protezione degli assets legati all’attività culturale, negli ultimi anni
si è messa in atto un’attenta politica di creazione, gestione e valorizzazione dei Diritti di
Proprietà Intellettuale (DPI) in qualunque forma: brevetto, diritto d’autore, segreto
industriale, che sono strumenti utili a capitalizzare un bene intangibile come la conoscenza.
La valorizzazione dei diritti di proprietà intellettuale avviene sia tramite forme tradizionali
come la licenza d’uso, sia attraverso forme innovative come l’avvio di start-up.
Nell’economia del distretto i DPI svolgono un’importante funzione di collegamento fra
l’aspetto tecnologico, industriale e quello economico. In maggior dettaglio, il DHT
piemontese si caratterizza per l’elevata presenza di personale del settore ICT (oltre 7.000
addetti) e per l’intensa attività brevettuale, che vede attribuirsi alle aziende nella sola
provincia di Torino il 20% dei brevetti nazionali.
Dal punto di vista settoriale, il distretto è dedicato all’ICT ed è strutturato in 4 settori
principali:
• le tecnologie software: sistemi operativi, linguaggi e applicativi per elaborazione e
trasmissione di informazioni;
• le tecnologie multimediali: applicativi orientati al trasferimento di dati, da immagazzinare
e trasferire;
• dispositivi microelettrici e ottici: i componenti di base per lo sviluppo di sistemi di
telecomunicazione e trasferimento dell’innovazione;
• tecnologie wireline: i sistemi di telecomunicazione su cavo.
Una rilevante generazione di valore deriva dall’interazione fra le tecnologie ICT ed i
comparti industriali presenti all’interno contesto piemontese. Infatti, la diffusione delle
tecnologie ICT nei settori industriali tradizionali contribuisce all’evoluzione dei loro
prodotti e modelli di servizio e ne aumenta il valore aggiunto, costituendo un importante
mezzo per la crescita del Distretto.
38
Rispetto alla capacità d'interazione con agenti economici esterni alla Regione, il distretto
ha saputo impiegare nel modo consono la leva strategica degli investimenti da parte di
società estere, come Motorola 16 , che nel 2000 si è stanziata sul territorio impegnandosi in
attività di R&S. L’apertura internazionale del distretto è stata promossa anche attraverso
l’organizzazione di conferenze scientifiche internazionali nell’ambito delle
telecomunicazioni. Le attività distrettuali si sono indirizzate al settore delle piccole e medie
imprese, tramite interventi di finanziamento di progetti innovativi e l’adozione di misure
atte a favorire lo sviluppo locale.
1.9.2 Biotecnologie in Lombardia
Il distretto delle Biotecnologie in Lombardia si sviluppa attraverso strumenti operativi e
manageriali già presenti all’interno della Regione (Per maggiori informazioni si rimanda al
sito ufficiale17 ). Milano è attualmente sede della più importante concentrazione italiana del
settore biomedico, sia pubblico che privato. Nella città operano 1.897 imprese attive nel
settore della Sanità e in altri servizi sociali ad essa collegate. Nella provincia hanno sede
124 delle 210 grandi imprese farmaceutiche aderenti a Farmindustria con oltre 2.000
addetti alla ricerca, circa il 20% del totale nazionale, e sono concentrati in 29 centri di
ricerca. Queste industrie esportano medicinali e prodotti di base per 6,5 miliardi di euro, il
45% del totale nazionale. Anche la nascente industria biotecnologica ha sede nel
capoluogo lombardo e numerosi tra i farmaci più innovativi a livello mondiale sono stati
sviluppati da aziende milanesi, che tuttora detengono una notevole capacità di scoperta e di
sviluppo. Snodo centrale del distretto è il nuovo polo intitolato al premio Nobel per la
medicina Renato Dulbecco (1914-2012), che opererà principalmente negli ambiti della
farmacogenomica (lo studio della correlazione tra effetto dei farmaci e caratteristiche
genetiche individuali), dello sviluppo di farmaci basato sulle nuove conoscenze
scientifiche quali quelle sul genoma umano, e della ricerca sulle cellule staminali e sulle
loro applicazioni cliniche.
16 http://www.967arch.it/1423/motorola_torino/ 17 http://www.biotecnolombardia.it/pdf/scheda_distretto_bio_lombardia.pdf
39
In particolare, l’iniziativa a favore delle biotecnologie viene realizzata dedicando
specificamente a tale ambito tecnologico una quota di risorse e servizi erogata tramite
strumenti legislativi già in atto. Si può rlevare che tra le iniziative di policy mancano
invece, al momento, specifici interventi dedicati alla formazione sulla proprietà
intellettuale, elemento peraltro di assoluto rilievo nel settore delle biotecnologie.
1.9.3 Hi-Mech in Emilia Romagna
Il distretto Hi-Mech in Emilia-Romagna si basa su un progetto focalizzato sul networking
per la ricerca lungo le filiere produttive della meccanica, coerentemente con le
caratteristiche strutturali del sistema regionale di innovazione. Il settore meccanico è il
motore originario dello sviluppo tecnologico dell’industria italiana: produce oltre il 40%
del valore aggiunto dell’industria manifatturiera (90 miliardi di euro) e contribuisce
all’export complessivo per il 48%. L’industria meccanica in Emilia-Romagna rappresenta
il 43% del comparto manifatturiero, il 55% delle esportazioni e, con oltre 28.000 imprese,
costituisce una delle più alte concentrazioni del Paese, in particolare nella produzione di
macchine per l’industria e nella filiera ‘automotive’. Distribuite su tutto il territorio
regionale, con una particolare presenza nelle Province centrali, le imprese meccaniche
esprimono quasi il 70% della domanda di ricerca del settore industriale. L’Emilia
Romagna è anche una delle Regioni italiane che realizzano la maggior attività di ricerca,
con il 10,5% dei ricercatori a fronte del 6% della popolazione nazionale. Presso le
Università della Regione, il CNR, l’ENEA e l’INFM operano, con competenze specifiche
d’interesse del settore meccanico, 30 dipartimenti e istituti di ricerca che impiegano
complessivamente 1.600 ricercatori18. Svolgono inoltre attività rilevanti per la meccanica,
104 dei 230 laboratori accreditati dal MIUR e 19 dei 30 centri per l’innovazione e il
trasferimento tecnologico presenti in regione. Hi-Mech è distribuito su tutto il territorio
regionale e si configura come una rete di eccellenza interdisciplinare focalizzata sulla
meccanica avanzata, che prevede come strumento operativo i laboratori a rete (Net-Lab).
18http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ricerca/ricerca-internazionale/technological-district/emilia-
romagna
40
Ogni Net-Lab raccoglie e organizza le migliori competenze in uno specifico settore di
ricerca, in grado di raggiungere l’eccellenza nella ricerca industriale e di trasferire
efficacemente tecnologia. I Net-Lab mettono in rete laboratori, strumentazioni e facilities e
ne creano di nuovi, sviluppano nuovi progetti di ricerca e trasferimento tecnologico,
formano talenti e attraggono nuove risorse umane di elevato profilo scientifico e
tecnologico, elaborano un programma per la creazione di nuove imprese Hi-Tech con
riferimento al settore meccanico. Un’accurata analisi del fabbisogno delle imprese,
dell’offerta di competenza nel mondo della ricerca e l’identificazione delle aree di sviluppo
più promettenti secondo studi di technology foresight, hanno determinato la scelta di 3
ambiti tecnologici, a cui fanno riferimento i Net-Lab:
• metodi innovativi per l’ingegneria meccanica (tecnologie per la progettazione:
simulazione e progettazione integrata, rumore e vibrazioni);
• sistemi meccanici intelligenti (meccatronica e automazione: sensori, attuatori e sistemi di
automazione per l’industria meccanica; tecnologie, prodotti e processi in atmosfera
controllata e modificata);
• materiali, superfici e nanofabbricazione (materiali e superfici: nano-fabbricazione,
materiali per la progettazione avanzata, superfici e ricoprimenti per la meccanica avanzata
e la nanomeccanica).
Nei 3 ambiti tecnologici sono state identificate 8 aree di ricerca alle quali corrispondono gli
8 Net-Lab:
1. Metodi innovativi per l’ingegneria meccanica
SIMECH: simulazione e progettazione integrata nel settore automotive e della meccanica
avanzata, simulazione e progettazione integrata – simulazione avanzata per il veicolo;
41
LAV: laboratorio di acustica e vibrazioni, monitoraggio e diagnostica mediante analisi
sperimentali e simulazioni vibro-acustiche - controllo attivo e passivo del rumore e delle
vibrazioni.
2. Sistemi meccanici intelligenti
AUTOMAZIONE: sensori, attuatori e sistemi di automazione per l’industria meccanica -
studio e sperimentazione di sistemi di controllo embedded su architetture distribuite con
applicazioni in campo automotive, robotica e macchine automatiche - sviluppo di tecniche
diagnostiche per sistemi di automazione fault-tolerant in campo automotive, robotica e
macchine automatiche - sviluppo di sistemi robotici ad elevata interazione con l’ambiente
con particolare riferimento alla telemanipolazione, alle interfacce evolute ed alla
navigazione autonoma;
MECTRON: applicazioni meccatroniche - progettazione meccatronica per la generazione,
la trasmissione ed il controllo del moto - diagnostica, affidabilità e sicurezza del prodotto
meccatronico;
TECAL: tecnologie, prodotti e processi in atmosfera controllata - sviluppo di tecnologie
asettiche nel confezionamento di liquidi alimentari - progettazione e ingegnerizzazione di
ambienti di lavoro a contaminazione controllata.
3. Materiali, Superfici e nano-fabbricazione
NANOFABER: nanofabbricazione e processi con controllo spaziale nanometrico di
materiali multi-funzionali - fabbricazione ed integrazione di dispositivi in materiali
convenzionali e relativi dimostratori;
MATMEC: materiali e processi per la progettazione meccanica - caratterizzazione dei
materiali per l’ingegneria meccanica - applicazione dei materiali nell’ingegneria
meccanica. La forma di governance adottata appare adeguata. Dal punto di vista
organizzativo il processo di individuazione di cluster tecnologici risponde a pieno
42
all’esigenza di mappatura delle competenze scientifiche e tecnologiche presenti sul
territorio. L’organizzazione e la tipologia delle attività del distretto appaiono ben inserite
all’interno del quadro legislativo adottato dalla Regione Emilia Romagna.
Uno degli aspetti positivi di maggior rilevanza risiede nella effettiva progettazione di un
network di laboratori di ricerca delocalizzati, orientati a favorire il trasferimento
tecnologico verso la media impresa.
1.9.3 Nanotecnologie in Veneto
Il Distretto Tecnologico delle Nanotecnologie in Veneto19 si trova ancora in una fase di
avvio. Il focus del Distretto sarà l'applicazione delle nanotecnologie ai materiali: proprietà
strutturali e funzionali, nano-componenti per l'industria elettronica, nanocomposti per la
biomedicina e la farmaceutica, nano-sistemi per le parti elettromeccaniche tradizionali di
dimensioni micro e nanoscopiche.
Le nanotecnologie di base saranno le nano-strutture e le analisi e modelli. Il Distretto
Tecnologico è caratterizzato da una buona presenza locale di competenze tecnologiche
nell’area di ricerca delle applicazioni delle nanotecnologie. La forma di governance
adottata è quella della società consortile che vede al suo interno la partecipazione di
imprese locali, Regione ed Università. In ragione sia delle caratteristiche della ricerca di
base che interessano l’ambito tecnologico di riferimento, sia delle caratteristiche del
sistema regionale di innovazione, le attività del distretto dovranno essere orientate non solo
al trasferimento tecnologico ma anche e soprattutto all’attrazione sul territorio di
ricercatori accademici altamente qualificati. Inoltre, il comparto delle nanotecnologie
sembra prestarsi poco ad attività tradizionali di trasferimento tecnologico verso la piccola e
media impresa già presente sul territorio. Gli strumenti di policy dovranno essere
indirizzati ad offrire ai centri di ricerca distrettuali ampie opportunità di accesso ai network
di ricerca di eccellenza tramite finanziamenti per la mobilità dei ricercatori e la
partecipazione a grandi progetti di ricerca internazionale.
19 Per un approfondimento si veda: http://www.venetonanotech.it/.
43
1.9.4 Aerospazio in Lazio
Come il distretto veneto, il distretto Aerospaziale del lazio20 si trova in una fase di start-up.
La Regione Lazio del resto ha scarsa esperienza anche in riferimento ai distretti industriali
tradizionali. Il Distretto Tecnologico non prevede al momento una specifica forma di
governance basata su un ente consortile. A causa della moderata performance brevettuale
della Regione nel campo delle tecnologie aerospaziali, è plausibile ipotizzare che
l’efficacia del distretto nel medio periodo dipenderà dalla capacità di attrarre localmente
grandi imprese coinvolte nella filiera produttiva dell’ aeronautica e dalla capacità di
sviluppare un efficiente sistema di networking che garantisca successivamente la
partecipazione ad importanti commesse internazionali. In questo senso è opportuno
sottolineare come siano presenti nelle linee guida del distretto due specifici punti:
• interventi per la grande impresa;
• sostegno a grandi progetti.
L’assenza di un’istituzione preposta al governo del distretto, d’altra parte rischia di dilatare
i tempi necessari per la realizzazione di partenership con altri hub tecnologici specializzati
nel settore aerospaziale (ad esempio, con i centri di Torino presso il Politecnico ed Alenia
Spazio21).
20 http://www.lazio-aerospazio.it 21 http://www.finmeccanica.com/business-mercati-markets/settori/spazio/thales-alenia-space
44
1.10 Le determinanti del distretto High-Tech
L’obiettivo strategico enunciato dal Consiglio Europeo di Lisbona del 23-24 Marzo del
200022 propone il passaggio verso società ed economie fondate sulla conoscenza. In
quest’ambito, risulta importante il sapere incorporare capacità elevate di generazione e
diffusione dell’innovazione nelle imprese e nella società. Due sono le principali strade
individuate per il raggiungimento di questo obiettivo.
• La prima, a carattere tradizionale, colloca la generazione dell’innovazione prima del
processo produttivo in una logica di sviluppo lineare, che procede a cascata
dall’invenzione e prima elaborazione dell’idea innovativa in grandi laboratori di ricerca, al
suo sviluppo e commercializzazione per l’uso entro la produzione di beni e servizi ad opera
delle imprese. Il mutamento delle dinamiche industriali, con il passaggio da grandi imprese
accentrate verticalmente ad un decentramento delle fasi produttive, mette in crisi questa
visione, rendendo più difficile l’incontro fra l’offerta e la domanda di innovazione, quando
le fasi differenti non siano riunite sotto il “tetto” di grandi imprese.
• Alla visione tradizionale si è andata affiancando una visione alternativa fondata
sull’interazione di piccole e medie imprese, strettamente legate al territorio in cui operano.
Il riconoscimento di città dinamiche, Distretti HT, Regioni metropolitane e sistemi
regionali di innovazione come specifiche unità di indagine e di politiche è un punto
centrale per l’adozione di strutture di intervento (e di identificazione degli obiettivi delle
politiche) basate sulla promozione di reti di attori più o meno radicati localmente. E’
importante notare che l’analisi presentata in questa parte si pone l’obiettivo di analizzare i
contesti che meglio si prestano alla nascita dei Distretti HT, e per questo motivo sono stati
individuati, a priori, alcuni aspetti fondamentali che derivano dalla definizione di Distretto
HT e che assumono un ruolo centrale nel determinare le performances dei Distretti stessi.
22 La cd. Agenda di Lisbona è un programma di riforme ti carattere economico approvato a Lisbona dai capi
di stato e di governo delle nazioni dell’Unione Europea. Tra i vari temi trattati vi sono: Innovazione, Capitale
umano e sviluppo sostenibile. Per analizzare le conclusioni tratte dal consiglio Europeo:
http://www.europarl.europa.eu/summits/lis1_it.htm
45
1.11 Analisi comparativa delle performance innovative nell’area UE
Il volume degli investimenti in R&S rappresenta uno dei principali input del processo
innovativo. Secondo l’indagine condotta dalla Fondazione COTEC (2009), Nell’area
europea, tra il 1990 e il 2006, gli investimenti in R&S sono aumentati in tutte i principali
Paesi, compresa l’Italia. Nel caso italiano, l’incremento maggiore è avvenuto tra il 2000 e
il 2006 ed è stato in media del 2,5%. Questo dato conferma un importante mutamento delle
dinamiche industriali, con il passaggio da piccole e medie imprese, a basso contenuto
tecnologico, verso imprese più legate a settori strategici High-Tech. L’incremento della
percentuale di investimento in R&S dell’Italia è stato secondo solo a quello di Germania e
Spagna, Paese quest’ultimo che ha assistito, negli ultimi anni, a una forte espansione dei
propri investimenti in R&S. Come mostra la Figura 1, in cui si riportano le percentuali di
investimento in R&S sul Prodotto Interno Lordo, per i Paesi UE-15 il gap tra i leader
europei in R&S e i followers (tra cui l’Italia), non sembra affievolito e si assiste oggi ad
una netta separazione tra le zone dell’Europa del Centro-Nord e quelle del Sud-Ovest.
Figura 1 - Intensità degli investimenti in R&S in percentuale del PIL (Fonte: OECD 2008).
46
La quota maggiore di investimenti in R&S è attribuita ai Paesi dell’Europa del Nord e ad
alcuni Paesi dell’Europa centrale. I paesi in coda sono Irlanda, Portogallo, Italia e Grecia.
Questo dato è confermato anche dall’ampiezza del settore R&S descritto attraverso il
numero degli addetti. Infatti, come mostra la Figura 2, i leader sono i Paesi dell’Europa del
Nord e in particolare quelli della penisola scandinava. Dato interessante è quello
dell’Inghilterra che, sia per percentuale d’investimenti, che per ampiezza del settore R&S,
è al di sotto della media Europea.
Figura 2 - Addetti alla R&S sul totale degli occupati, zona UE-15 (Fonte:OECD).
47
La Tabella 1 mostra un quadro estremamente differenziato, con una netta prevalenza del
settore privato come principale finanziatore della spesa in R&S, specialmente nell’Europa
settentrionale e una quota ampia di alta formazione in Paesi come Grecia, Italia, Portogallo
e Spagna.
Tabella 1 - Principali enti finanziatori della spesa in R&S (Fonte: OECD 2008).
In particolare, la Grecia è la nazione europea con la prevalenza maggiore del settore
pubblico nei R&S. In Italia la composizione dei R&S è da attribuirsi in parti uguali al
settore pubblico e privato, anche se negli ultimi anni la prevalenza del settore privato sta
acquisendo un ruolo sempre maggiore, passando dal 2000 al 2006 da 1,2% al 4,1%
(COTEC, 2009). Quanto emerso dall’analisi degli investimenti in R&S, può essere solo in
parte esteso alle performance innovative nei paesi UE-15. Come mostrato dalla Figura 3,
infatti, a fronte di un investimento, in media più basso, l’Italia ha un numero di brevetti sul
totale della popolazione superiore alla media Europea. Questo dato è in linea con gli
andamenti all’interno del periodo, con un incremento da 117 a 400 brevetti nel lasso
temporale 2000-2006.
48
Figura 3 - Quota dei brevetti sul totale della popolazione, zona UE -15. (Fonte: OECD 2008)
Tabella 2 - flussi attivi e passivi della bilancia Tecnologica dei pagamenti, incidenza % rispetto al PIL.
(Fonte: OECD 2008)
La performance brevettuale cattura solo in parte l’output innovativo dei Paesi UE-15. Un
altro indicatore è costituito dalla bilancia tecnologica dei pagamenti. Questo indicatore
misura la differenza tra importazione ed esportazione di tecnologia. La Tabella 2 riporta i
flussi attivi e passivi che compongono la bilancia tecnologica dei pagamenti (in
percentuale del PIL). In Italia la bilancia tecnologica dei pagamenti registra un passivo fino
49
al 2006 a differenza di altri paesi concorrenti, come Regno Unito, Germania e Francia
(COTEC 2009). Questo dato rispecchia un mutamento delle dinamiche tecnologiche, con
un progressivo rafforzamento di settori ad alta concentrazione tecnologica nei Paesi in
attivo. La tendenza è confermata anche dalle quote esportative per i principali settori ad
alta tecnologia, quote presentate nella Tabella 3.
Tabella 3 - Quote di esportazioni per i principali settori ad alta tecnologia, zona UE- 15 (Fonte: OECD 2008)
L’elemento più interessante che emerge dalla Tabella 3 è rappresentato dalla composizione
delle esportazioni in Italia. I primi due settori nazionali per quote esportative sono il
settore farmaceutico e quello dell’Aerospazio. Entrambi i settori rappresentano due dei
principali Distretti HT, individuati dal MIUR, e sono molto concentrati nella Provincia di
Roma. Il quadro descritto fino ad ora tralascia un aspetto fondamentale per la performance
innovativa, quello che riguarda la dotazione di capitale umano. Sia sul fronte della forza
lavoro impiegata nel settore manifatturiero, che su quello della dotazione di capitale umano
prodotto dalle scuole e dal sistema universitario, l’Italia manifesta la sua debolezza. Ad
esempio, secondo il rapporto COTEC (2009), in Italia solo il 13% della forza lavoro ha una
qualifica universitaria, a fronte di un 26% della media europea. Il dato più preoccupante è
il tasso di abbandono scolastico in Italia, che nel 2007 è stato del 19% (early school
leavers).
50
D’altra parte la quota di spesa pubblica in istruzione destinata all’Università è solo del 17%
(contro il 25% della Germania e il 22% del Regno Unito), pari appena allo 0,76% del PIL,
contro una media europea del 1,15% (Eurostat, 2007). Questo quadro è riscontrabile nella
Tabella 4, in cui è riportata la percentuale della popolazione con almeno un’istruzione
secondaria superiore. Anche in questo caso l’Italia, insieme a Spagna e Portogallo,
rappresenta il fanalino di coda all’interno della zona europea.
Tabella 4 - Percentuale della popolazione tra 25-64 anni con almeno un’istruzione secondaria superiore
(Fonte: OECD 2008)
51
1.12 Analisi comparativa tra le Regioni italiane
L’analisi presentata nel precedente paragrafo ha messo in luce alcune delle ze del sistema
economico italiano, sia per quanto riguarda la spesa in R&S sia per la dotazione di capitale
umano. In generale si è riscontrata una forte limitazione del sistema economico italiano
nell’investire in Ricerca e Sviluppo, anche se il problema più grave sembra essere la scarsa
presenza di manodopera specializzata in rapporto alla popolazione. I risultati descritti
hanno una valenza d’insieme, ma non riescono a catturare le performance regionali
all’interno del contesto nazionale. Questo paragrafo, quindi, si pone un duplice obiettivo:
• far emergere l’estrema eterogeneità del contesto italiano;
• introdurre il nesso tra performance tecnologica e presenza di Distretti HT.
Questo secondo aspetto è affrontato attraverso la comparazione tra le Regioni con
maggiore concentrazione di Distretti HT che, come descritto in precedenza, sono:
Piemonte, Lombardia, Veneto Emilia Romagna e Lazio. Le Regioni Lombardia e Lazio
hanno un ruolo di leader nel settore della R&S. Una visione più particolareggiata è fornita
dalla tabella 5, dove è riportata la composizione della spesa in R&S (in valori assoluti)
secondo i principali finanziatori. Un dato molto interessante che emerge dal confronto tra
Lombardia e Lazio è che, nel primo caso, la spesa in R&S avviene principalmente ad opera
di soggetti privati ed imprese mentre, nel secondo, è prevalente la spesa in R&S di enti
pubblici.
52
Tabella 5 - Composizione della spesa in R&S. Fonte: (ISTAT 2008).
Un quadro analogo a quello appena descritto è evidenziato dalla Figura 4, dove si mostra il
numero di brevetti EPO (European Patent Office) e la spesa media per addetto in
innovazione.
A) B)
A) numero di brevetti EPO per milione di abitanti. B) Spesa media in innovazione per addetto.
Figura 4 - Performance innovativa nelle Regioni italiane. Fonte: (ISTAT 2008).
53
Anche in questo caso si può notare una netta separazione delle Regioni del Centro-Nord
d’Italia da quelle del Mezzogiorno. A differenza della spesa in R&S, in questo contesto è
evidenziata la fragilità della performance innovativa di alcune Regioni. Interessante è il
caso del Lazio che, a fronte di massicci investimenti in R&S, non è in grado di convertire
le risorse impiegate in un adeguato livello d’innovazione. Questo può sicuramente
dipendere dalla difficoltà di trasferire le conoscenze dall’ambito della ricerca pubblica al
settore privato, e quindi di innescare un processo d’innovazione tecnologica all’interno
delle imprese. Una situazione sostanzialmente differente è quella delle Regioni Piemonte e
Lombardia, caratterizzate da un’elevata incidenza delle spese private in R&S e una
performance brevettuale su livelli medi. In questo caso, l’obiettivo primario dell’attività
distrettuale appare quello di selezionare opportunamente l’eccellenza industriale, anche se
di nicchia, già presente sul territorio.
Nello specifico caso della Lombardia, il sistema regionale d’innovazione può per altro
contare su di una propensione all’investimento da parte di operatori del capitale di rischio
di assoluto rilievo (COTEC, 2005). Gli indici di specializzazione precedentemente riportati
testimoniano, unitamente ai valori assoluti sui finanziamenti per la ricerca ottenuti dagli
Atenei, l’effettiva presenza in tutte le aree geografiche esaminate di una non trascurabile
massa di competenze scientifiche ed industriali negli specifici ambiti di pertinenza
tecnologica. In particolare, nel caso del Piemonte, l’elevata incidenza di progetti europei
vinti nell’area delle telecomunicazioni suggerisce la presenza locale di una determinante
propensione innovativa in questo settore, sia da parte dei centri di ricerca pubblica, sia da
parte di imprese private. (Tabella 6)
54
Tabella 6 - Finanziamenti dei progetti all’interno delle cinque Regioni considerate, dati in migliaia di Euro.
1.13 Confronto tra i distretti High-Tech analizzati
L’analisi dei Distretti Tecnologici di Yamacrow, Sophia-Antipolis e Cambridge, mette in
luce alcune regolarità nella nascita e crescita dei distretti e alcuni aspetti di contrasto con le
esperienze italiane.
In primo luogo, dalla storia dei tre distretti analizzati, si evidenzia l’importanza delle
istituzioni come motore di sviluppo dell’attività di ricerca e di promozione, oltre alla messa
appunto delle infrastrutture che permettono l’espansione delle attività produttive. In
particolare, le istituzioni sono state alla base della nascita del distretto di Yamacrow e
all'espansione e razionalizzazione del distretto di Sophia-Antipolis, mentre hanno avuto un
ruolo più ristretto in quello di Cambridge. Il ruolo delle istituzioni, nel contesto di Sophia-
Antipolis, si è rilevato fondamentale anche per aumentare gli scambi tra le imprese del
distretto. In secondo luogo, specialmente nel contesto di Sophia-Antipolis, è risultato
centrale il ruolo delle grandi imprese multinazionali, come elemento trainante nella nascita
dei DHT. Questo sembra quindi superare in parte il concetto che vede il DHT legato solo a
piccole e medie imprese.
55
Un terzo elemento è rappresentato dal contesto industriale in cui viene a formarsi il
Distretto HT. Infatti, un punto di debolezza per la crescita di quest’ultimo può risultare la
mancanza di un'adeguata cultura industriale locale, che preclude la presenza di quegli
elementi di forza che sono stati evidenziati nel caso dei distretti industriali. Infine,
l’esperienza di Sophia-Antipolis, evidenzia la necessità di creare un meccanismo endogeno
alla base della crescita del Distretto High Tech, che si basi sull’interazione tra Università e
centri di ricerca, istituzioni pubbliche e imprese. Tale meccanismo endogeno prevede che
istituti di alta formazione e imprese, in modo sinergico, formino una manodopera
specializzata che, inserita nel processo produttivo, ne incrementi la produttività.
L’endogenità del processo di accumulazione del capitale umano è anche alla base della
crescita del distretto di Cambridge.
In conclusione, i fattori cruciali individuati dal confronto internazionale dei Distretti High-
Tech possono essere così riassunti:
• la pianificazione ad opera di istituzioni locali e centrali ha un ruolo chiave nei DHT;
• l’importanza delle imprese multinazionali;
• l’importanza della cultura locale e industriale;
• la necessità di ultimare un meccanismo endogeno per la creazione di capitale umano
altamente specializzato.
Per quanto riguarda la situazione dei cinque distretti italiani di Lazio, Veneto, Emilia
Romagna, Lombardia e Piemonte, l’analisi mostra alcune regolarità. In primo luogo, come
evidenziato dal contesto laziale e veneto, i proto-distretti sembrano seguire una precisa
volontà politica, che vede alla base della nascita del DHT l’interazione tra imprese,
istituzioni locali e Università. Questo elemento, risulta vitale in un’ottica di crescita
endogena del Distretto, che segue un preciso percorso di sviluppo concordato.
56
In secondo luogo, in tutti i DHT descritti, assume un ruolo rilevante la capacità di
attrazione di grandi imprese o multinazionali. L’interazione tra piccole e medie imprese e
grandi imprese, può rappresentare un’importante motore per lo sviluppo locale. In
particolare, è interessante il caso della Lombardia, dove il distretto nasce a seguito
dell’uscita dal territorio di grandi imprese che rappresentano i leader nel settore.
Quindi, nel caso italiano i fattori chiave della nascita dei Distretti High Tech sono:
• lo sviluppo concordato tra Enti Locali, imprese e Università;
• il ruolo delle Multinazionali.
Pur tenendo conto delle iniziative messe in atto, rimangono sul campo alcuni problemi di
assoluta rilevanza, direttamente connessi alle caratteristiche strutturali dell’economia
italiana. In sintesi, le criticità individuate sono:
• la distribuzione della dimensione media delle attività industriali è ancora troppo
sbilanciata a favore della piccola e piccolissima impresa;
• i mercati finanziari nazionali dedicati al capitale a rischio appaiono ancora estremamente
limitati e di difficile accesso per le piccole imprese operanti nei settori High-Tech;
• non è attiva una sufficiente capacità di collaborazione e di interazione per la ricerca nel
medio periodo tra il mondo accademico e della ricerca pubblica e il settore industriale.
57
1.14 Conclusioni
L’analisi che abbiamo condotto seguendo l'obiettivo di delimitare e caratterizzare i contesti
tecnologici europei e nazionali ha portato alla luce molti aspetti su cui avviare un'attenta
riflessione.
Come abbiamo mostrato, il posizionamento dell’Italia rispetto ai competitors europei
soffre di alcune carenze strutturali dovute ad una scarsa capacità di innovare e investire in
R&S e capitale umano. Queste carenze, se si considera l’insieme delle Regioni italiane,
sembra presentarsi in maniera estremamente eterogenea, con una spaccatura netta tra
Regioni del Centro-Nord e quelle del Sud d’Italia. In questo contesto, la Regione Lazio
sembra soffrire meno delle altre e si pone, insieme alla Lombardia, come leader nell'attività
innovativa e di formazione.
Tenendo conto di questo quadro generale, si possono trarre alcune considerazioni e
implicazioni più specifiche. In primo luogo, una delle problematiche che emerge in
maniera più forte dal contesto italiano ed internazionale, è la difficoltà di trasferire le
conoscenze dall’ambito della ricerca pubblica (prevalente in Italia) al settore privato, e
quindi di innescare un processo di innovazione tecnologica all’interno delle imprese.
Questa problematica è particolarmente presente nella Regione Lazio, dove a fronte di
massicci investimenti in R&S, non si è raggiunto un livello di eccellenza nell’attività di
innovazione. In secondo luogo, come evidenziato in più parti nel corso della ricerca, la
carenza maggiore del sistema produttivo italiano sembra essere legata alla scarsità di
capitale umano e alla possibilità di impiegare manodopera altamente specializzata e
qualificata. Infatti si riscontra una disparità tra domanda e offerta di occupazione
qualificata nei nuovi settori ad alta tecnologia.
58
Infine, per quanto riguarda la Regione Lazio, la performance esportativa rispetto ai due
settori con alta intensità distrettuale sembra avere un grosso impatto sul complesso
dell’economia Italiana. In particolare, i settori in cui si inseriscono i due distretti -
Aerospazio e Biotecnologie - sono quelli con una maggiore propensione ad esportare e in
cui si riscontra una minore perdita di competitività rispetto all'apparato produttivo italiano
nel suo complesso. In sintesi, le principali criticità individuate per i DHT italiani sono:
1) debolezze strutturali del sistema economico italiano, specialmente negli investimenti in
R&S e capitale umano;
2) difficoltà di trasmissione delle conoscenze tra gli istituti di ricerca e le imprese;
3) carenza di manodopera specializzata;
4) la performance dell’export migliora per le imprese che appartengono a settori ad alta
intensità distrettuale.
59
CAPITOLO 2
LE POLITICHE PER LO SVILUPPO LOCALE
2.1 L’intervento dello stato
Nei capitoli precedenti abbiamo messo a confronto due esperienze significative di sviluppo
locale: i distretti tecnologici tradizionali e i distretti High-Tech. Nei primi il processo di
sviluppo è maggiormente legato a conoscenze e valori, nei secondi l'elemento importante è
la costruzione volontaria e consapevole da parte degli attori locali. In entrambi i casi però
notiamo la combinazione di processi spontanei e di azioni collettive intenzionalmente
orientate a incoraggiare lo sviluppo locale. Una variante diversa, che si è diffusa negli
ultimi anni è invece il tentativo di incrementare lo sviluppo locale mediante l'utilizzo di
politiche che mirano a promuovere la cooperazione tra gli attori locali.
Per molto tempo, le politiche per lo sviluppo delle aree cd. "arretrate" sono state attuate
mediante l'intervento dello Stato Centrale, i Governi, realizzavano grandi infrastrutture di
trasporto e di comunicazione per ridurre la distanza delle imprese dei mercati, o
redistribuivano sul territorio risorse per incrementare e favorire la localizzazione di nuove
attività economiche: questo accadeva mediante incentivi agli investimenti delle imprese
private o mediante l'impiego delle imprese pubbliche. Questo quadro è cambiato
nell'ultimo decennio, mediante la nascita delle cosiddette nuove politiche per lo sviluppo
locale. E se perseguono innanzitutto l'obiettivo di promuovere un maggior protagonismo
dei soggetti locali nel definire le scelte di sviluppo del territorio, ciò significa che l'aiuto
esterno, sotto forma di finanziamenti monetari e di assistenza tecnica si lega all'impegno a
valorizzare risorse locali più o meno latenti. In secondo luogo, per raggiungere tale
obiettivo, le nuove politiche presuppongono forme di cooperazione tra soggetti privati e
pubblici, che insieme si impegnano a intraprendere una serie di iniziative integrate in un
progetto condiviso. Perché si è manifestato questo cambiamento?
60
Prima di tutto occorre ricordare le profonde trasformazioni che hanno investito i modelli di
organizzazione produttiva, il declino del fordismo manifestatosi negli ultimi decenni,
specie in relazione ai mutamenti intervenuti nella domanda dei consumatori e nei caratteri
del mercato, (che abbiamo approfondito in prcedenza) si è accompagnato a modelli di
organizzazione produttiva volti alla ricerca di flessibilità e di qualità. Questa strada è
diventata fondamentale per le imprese dei paesi sviluppati, anche per difendersi dalla
competizione basata sui costi, alimentata sempre più dai paesi in via di sviluppo.
Rispetto alla fase fordista, in cui prevalevano imprese più autonome dall'ambiente, le
economie esterne diventano quindi più importanti e danno nuovo rilievo al rapporto tra
economia e territorio. In questo quadro prendono forma in vari paesi dell'unione europea,
le nuove politiche per lo sviluppo locale, che mirano a qualificare l'ambiente economico e
sociale con interventi volti ad elevare la dotazione di infrastrutture e servizi, e a favorire la
cooperazione tra le imprese private nei processi di produzione di beni o servizi.
A questo fine, le nuove politiche si basano su forme di coordinamento tra i soggetti
pubblici e privati (specialmente le associazioni di rappresentanza degli interessi) nella
formulazione di progetti di sviluppo che possono essere sostenuti, a seconda dei
programmi coinvolti, con aiuti esterni da diversi livelli istituzionali (Regioni, Stato, Unione
Europea). Non bisogna dimenticare anche una strada diversa, che fa leva sul ruolo di
agenzie di sviluppo indipendenti volte ad attrarre gli investimenti esterni a favore di un
determinato territorio, specie con servizi e benefici fiscali, tra gli esempi più rilevanti vi
sono quelli dell'Irlanda e del Galles. Questa strada può conseguire risultati significativi in
termini di investimenti e occupazione, nel breve periodo, ma per ora appare più
problematica se valutata in termini di radicamento delle imprese nel contesto locale e di
rafforzamento della specializzazione delle economie locali.
61
Le politiche di sviluppo locale assumono in Europa una varietà di forme istituzionali, ma
presentano un elemento comune: si basano su accordi formalizzati tra soggetti istituzionali
pubblici e privati. Gli attori pubblici possono essere di vario livello: Comuni, Province,
Regioni, Istituzioni Statali ed Europee. I soggetti privati includono organizzazioni di
rappresentanza degli interessi economici, ma anche l'associazionismo sociale e culturale o
le fondazioni bancarie.
Per sottolineare la novità rappresentata da queste forme di regolazione territoriale si usa
spesso il termine di Governance, distinguendolo da government, cioè dai meccanismi
tradizionali di governo. Queste nuove politiche di sviluppo infatti, non si basano solo
sull'autorità pubblica, né si configurano come meri interventi di deregolazione, orientati a
creare più spazio per i soggetti privati. Si tratta piuttosto di forme di regolazione
dell'economia e della società basate su accordi tra soggetti pubblici e privati.
In Europa si possono riscontrare due tipi principali:
• Il primo: più normato, basato su un programma istituzionale che stabilisce le procedure
di funzionamento e di relazione tra i diversi attori e definisce le modalità di finanziamento;
• una variante più volontaristica, legata invece ad accordi che prendono corpo su
un'iniziativa autonoma dei soggetti locali.
Un esempio del primo tipo è costituito dalle politiche di sviluppo regionale promossa
dall'Unione Europea con i fondi strutturali: essi hanno introdotto, il requisito del
partenariato, cioè una forma di concertazione tra soggetti pubblici e privati come
condizione per il finanziamento dei progetti di sviluppo.
Il modello europeo ha influenzato in molti casi le politiche di sviluppo nazionali, ma è
accaduto anche il contrario: l'esperienza di patti locali per lo sviluppo e l'occupazione,
avviati in alcuni paesi, ha spinto per esempio l'Unione Europea a sperimentare "i patti
territoriali europei".
62
Tra le politiche informatiche a livello nazionale, nel caso italiano particolare interesse
assumono i patti territoriali; ma esperienze simili sono riscontrabili anche in Germania, in
Francia e in Gran Bretagna. vi sono poi molteplici esempi della variante non normata,
basata su accordi volontari tra i soggetti locali.
In Europa e in Italia si riscontra una serie di esperienze che vanno sotto l'etichetta di "patti
per lo sviluppo e l'occupazione", "patti per l'occupazione", "patti per il lavoro".
Nell'ambito di questo tipo si possono poi anche considerare l'esperienza di governo dello
sviluppo delle città che vengono in genere definite di "pianificazione strategica".
2.2 Origine e caratteri dei piani territoriali
In Italia le nuove politiche pro-sviluppo locale basate sul coordinamento tra attori pubblici
e privati hanno assunto nell'ultimo decennio un ruolo particolare. I motivi sono molti,
riguardano da un lato le caratteristiche dell'organizzazione produttiva e i processi di
riaggiustamento che si sono resi necessari a livello locale. Dall'altro, entrano in gioco le
modificazioni intervenute nell'assetto istituzionale dello Stato, con una rilevante
cambiamento nei rapporti tra centro e periferia, tra Stato Centrale e Governi Regionali e
Locali.
È noto come l'Italia sia, tra i principali paesi europei, quello più fortemente caratterizzato
da sistemi produttivi locali basati sul ruolo delle piccole-medie imprese (C. Crouch1,
2001); l'intenso sviluppo di questo modello produttivo, a partire dagli Anni 70, ha
consentito di compensare la crisi delle grandi imprese di tipo fordista.
1 Crouch C., Le Galès, P., Trigilia, C., Local Production System in Europe, Oxford University Press, New
York, 2001.
63
Questo fenomeno ha però anche creato una consistente domanda di politiche per lo
sviluppo locale. È cosi nata un'ampia e variegata sperimentazione di interventi a sostegno
dello sviluppo locale, in parte sostenuta dai governi locali e regionali, specie nelle aree
della cd. Terza Italia (Definizione di Arnaldo Bagnasco, ovvero l’Italia Centrale, che
comprende Lazio, Marche,Toscana e Umbria), che ha visto la partecipazione delle
associazioni di rappresentanza delle categorie economiche.
D'altra parte anche i processi di crisi delle vecchie strutture industriali, specie nel Nord-
ovest, o di carenza di sviluppo, specie nel Sud, hanno spesso sollecitato i governi locali a
interventi per affrontare i problemi delle economie locali.
Tanto più che nel frattempo la crisi delle imprese pubbliche, la grave situazione dei conti
pubblici, richiedevano un ruolo più attivo dei governi locali per far fronte ai problemi
economici e occupazionali.
Veniamo così al secondo aspetto che caratterizza l'esperienza italiana: la tendenza verso un
decentramento politico-amministrativo che ha aumentato dal lato dell'offerta istituzionale il
coinvolgimento dei governi locali nelle politiche di sviluppo economico e di welfare. In
Italia si è da tempo sviluppata una tradizione di ricerca socio-economica che ha posto
l'attenzione sulle economie locali non solo in termini di rapporti di mercato, ma anche in
relazione a meccanismi di cooperazione formale e informale tra gli attori privati e pubblici
delle diverse aree.
Le prime sperimentazioni dei patti territoriali hanno una connotazione volontaristica e sono
promosse nell'ambito del CNEL24 (Il consiglio nazionale per l'economia e il lavoro);
diverse decine di patti sono state avviate nel mezzogiorno intorno alla metà degli anni '90.
2 Per un approfondimento si veda: http://www.camera.it/parlam/leggi/96662l09.htm#legge.
64
Successivamente, dal '95-'96, i patti vengono regolati da una normativa nazionale che
definisce i caratteri dello strumento, le procedure e le modalità di finanziamento. In sintesi
essi diventano una politica pubblica di sviluppo locale che cofinanzia (fino a una quota
massima di 100 miliardi di lire) un accordo tra attori pubblici e privati per realizzare un
programma di iniziative integrate di investimento, localizzate in un determinato territorio.
L'idea di fondo si può riassumere nel tentativo di favorire lo sviluppo attraverso interventi
che stimolino, con incentivi finanziari, gli attori locali (pubblici e privati) a cooperare per
mettere a punto progetti integrati di sviluppo locale, da sottoporre a procedimenti di
valutazione. La cooperazione appare necessaria per creare beni collettivi locali dedicati,
cioè tarati sulle specifiche esigenze e risorse dei sistemi locali. Questi possono assumere la
forma specifica di beni categoriali o di club, come per esempio servizi per le imprese
(formazione, marketing, trasferimento tecnologico), o di veri e propri beni pubblici, come
infrastrutture di comunicazione, creazione di parchi, rafforzamento della sicurezza nei
territori.
Ovviamente la cooperazione tra soggetti pubblici e privati è indispensabile anche per la
valorizzazione di un territorio con particolari qualità ambientali o storico-artistiche. Si
tratta di risorse comuni che sono sfruttabili da tutti i soggetti locali ed esterni, ma che
possono deperire se il consumo non è disciplinato.
Il contributo allo sviluppo locale consiste in questo caso nella capacità di regolare l'uso
delle risorse comuni attraverso una efficace cooperazione.
In questo quadro, gli incentivi individuali alle imprese, così come eventuali vantaggi di
costo a livello fiscale e salariale, non si giustificano in una logica esclusivamente
aziendale, cioè con l'obiettivo tradizionale di compensare la carenza di produttività delle
singole aziende. Si tratta piuttosto di rimuovere gli ostacoli che influenzano negativamente
la produttività, migliorando il contesto in cui le imprese si muovono o possono nascere. Si
vogliono quindi accrescere le economie esterne tangibili (infrastrutture, servizi) e
intangibili (capacità relazionali, capitale sociale). Non si tratta però di tentare una banale
replica dei distretti industriali, i patti sono da concepire come uno strumento di sviluppo
locale che può indirizzarsi verso forme diverse di sistema produttivo locale che
65
coinvolgano anche grandi imprese, e verso specializzazioni non necessariamente ancorate
all'industria manifatturiera. Come abbiamo già notato, la valorizzazione di tradizioni in
campo agricolo, o di risorse ambientali e storico-artistiche richiede progetti a elevata
interdipendenza dei diversi attori pubblici e privati, e un'elevata capacità di realizzare beni
collettivi.
L'elemento guida delle nuove politiche è dunque che obiettivi di sviluppo locale non
possono essere conseguiti senza una mobilitazione e una responsabilizzazione dei soggetti
locali stessi, che dispongono di risorse di informazione e di consenso indispensabili.
Da un lato infatti, le istituzioni pubbliche mancano delle informazioni adeguate per
interventi che possano agire efficacemente sulle economie locali, dall'altro, gli stessi
soggetti privati, specie in zone arretrate o con problemi di ristrutturazione, non hanno di
solito le motivazioni e le risorse sufficienti per uscire dalla trappola di equilibri a bassa
produttività e per valorizzare meglio le risorse locali attraverso processi di cooperazione.
Da qui discende l'obiettivo di fondo delle nuove politiche: puntare sulla cooperazione e
sull'accordo tra i diversi interessi pubblici e privati così da produrre e far circolare
informazioni e consenso per azioni più ricche ed efficaci a sostegno dello sviluppo locale
(Il Capitale sociale analizzato in precedenza è dunque una caratteristica necessaria).
Le nuove politiche non sono da identificare con un decentramento di competenze e risorse,
non sono un sostegno al localismo, ma si basano su nuovi rapporti intergovernativi tra
centro e periferia. I livelli istituzionali superiori (U.E, Stato Centrale e Regioni) devono
mantenere un ruolo importante di offerta di opportunità, per stimolare gli attori locali a
mobilitarsi, ma anche di valutazione dei progetti. In tal modo si intende evitare che si
formino coalizioni collusive volte a convogliare risorse finanziarie verso determinate aree,
senza credibili progetti di sviluppo.
66
La ragione di fondo delle nuove politiche è che attraverso lo strumento del patto, i soggetti
coinvolti siano stimolati a scoprire nuove preferenze, a ridefinire i loro interessi in modo
da impegnarsi in azioni più rischiose e innovative; Attraverso l'interazione ripetuta e la
concertazione, possono svilupparsi fiducia e reti di relazioni che aiutano l'innovazione
economica e "allungano la vista" degli attori, nel tentativo di stimolare processi di
apprendimento collettivo attraverso la partecipazione e il monitoraggio reciproco (learning
by monitoring: Sabel 3 1994).
2.3 Problemi di realizzazione e le critiche ai patti
Negli anni tra il 1997 ed il 1999 sono stati attivati 61 patti, di cui 10 europei, ovvero gestiti
con una procedura prevista da un programma specifico dell'Unione Europea. Più tardi, ad
essi si sono aggiunti altri casi, tra cui i patti agricoli (91) e quelli per le calamità naturali
(32), per un totale al 2003 di 220 (esclusi i patti europei). Nel complesso circa l'80% della
popolazione e della superficie del mezzogiorno è stato interessato dal fenomeno, e il 27%
della popolazione e il 34% della superficie del Centro-Nord. Questi dati testimoniano il
successo dell'esperienza dei patti, ma mostrano una scarsa selettività dei meccanismi di
valutazione che ha spesso inciso negativamente sulla qualità dei progetti.
Sono state riscontrate diverse difficoltà in sede di realizzazione che hanno alimentato forti
critiche nei riguardi dei patti come strumento di sviluppo. E se sono state avanzate siano
importanti organizzazioni di rappresentanza degli interessi, come Confindustria, sia da
numerosi economisti e studiosi appartenenti a orientamenti culturali e politici diversi.
3 Sabel, C. F. Learning by monitoring, The Institutions of economic development, Princeton University, 1994.
67
Dopo il 2001, le competenze sui patti sono state trasferite al ministero per le attività
produttive ed è stato poi realizzato il passaggio alle Regioni. In generale lo strumento
“Patti” non è stato più valorizzato nella politica economica del governo, è da sottolineare
che non sono solo i ritardi nella realizzazione ad essere messi sotto accusa, ma le
caratteristiche stesse dei patti, con riferimento a due aspetti principali:
• la lentezza delle procedure decisionali legate alla concertazione;
• la diffusione di pratiche collusive tra i soggetti locali.
Il secondo punto costituirebbe in pratica la creazione di coalizioni per attingere a
finanziamenti pubblici illudendo quei vincoli, relativi all'integrazione dei singoli interventi
da finanziare in un progetto di sviluppo locale.
Gli obiettivi dei patti non sono, infatti misurabili solo in termini esclusivamente aziendali e
occupazionali. Si tratta piuttosto di realizzarne l'impatto sul territorio a tre diversi livelli:
• il grado di integrazione delle iniziative private tra di loro e con le infrastrutture previste;
• la realizzazione di infrastrutture pubbliche e servizi che migliorano il contesto locale, sia
per le imprese che per il benessere dei cittadini e il rafforzamento delle capacità della
pubblica amministrazione;
• il cambiamento nella concezione dello sviluppo del territorio da parte dei soggetti locali
in termini di maggiore responsabilizzazione, e la crescita di capacità relazionali e
cooperative tra i soggetti istituzionali pubblici e privati (il capitale sociale).
Come si vede, non si tratta di aspetti facili da valutare, specie quanto più ci si allontana da
indicatori finanziari e occupazionali. Per muoversi in tale direzione è necessario disporre di
indagini dirette sul campo.
68
2.4 Tre storie di patti
Prima di assumere i principali risultati della ricerca, vale la pena richiamare brevemente
l'esperienza di alcuni casi di patti territoriali, sono tre storie maturate in tre contesti diversi
quasi tutti segnati da condizioni di disagio economico e sociale.
1) L'Alto Belice Corleonese (Analisi effettuata da D. Cersosimo e G. Wolleb 4)
L'area della Sicilia Nord-Occidentale, vicino a Palermo, in cui si è realizzato questo passo
è nota per essere uno dei centri di maggior insediamento della Mafia. È un territorio che
comprende 20 comuni tra i quali Monreale, Piana degli Albanesi e Corleone; una zona
caratterizzata, nella seconda metà degli anni 90, da condizioni di forte disagio economico
(bassi redditi ed elevata disoccupazione) e da deboli tradizioni associative. Nello stesso
periodo si determina tuttavia una novità importante sul piano politico e istituzionale: le
nuove regole di elezione diretta dei sindaci portano all'affermazione in quasi tutti i comuni
dell'area dei sindaci di centro-sinistra. I nuovi sindaci iniziano una nuova prassi: si
incontrano, si interrogano sul da farsi, rompendo un'antica tradizione di separazione tra i
diversi comuni, cominciando a lavorare insieme costituiscono un gruppo di collegamento
tra loro. Gli amministratori locali vengono a conoscenza dell'iniziativa del CNEL che sta
lanciando i patti territoriali. Si decide di dare avvio a questa esperienza e si coinvolge nella
preparazione del patto un vasto arco di forze sociali locali con un'intensa fase di
discussione degli interventi da proporre. Vengono raccolte le proposte di infrastrutture e
servizi degli enti locali, e quelle di investimento dei privati. Si costituisce l'assemblea di
partenariato istituzionale e sociale del patto, che è presieduta dal coordinatore istituzionale,
individuato nel sindaco di Piana.
4 Cersosimo D. e Wolleb G. Politiche pubbliche e contesti istituzionali. Una ricerca sui Patti Territoriali, in
Stato e Mercato, 2001.
69
Nel 1998 il piano di azione locale sottoscritto dei soggetti locali è presentato all'Unione
Europea e approvato. Viene costituita la società di gestione del patto, di cui fanno parte i
20 Comuni aderenti e le parti sociali coinvolte.
Nel 1999 partono i primi investimenti e nel 2001 tutti quelli previsti si concludono (la
procedura dei patti europei favorisce una rapida realizzazione degli interventi, pena la
perdita dei finanziamenti).
In un contesto come quello che è stato esaminato si potrebbe considerare già un risultato
positivo il fatto di essere riusciti a presentare un piano e spendere le risorse finanziate. I
finanziamenti sembrano essere ben spesi, il progetto si è basato su tre punti:
• il rafforzamento della filiera agro-alimentare e dell'artigianato tradizionale;
• la valorizzazione turistica delle risorse naturalistiche e culturali;
• il rafforzamento del tessuto civile e dell'associazionismo.
Intorno a questi obiettivi che si sono legati incentivi alle imprese e investimenti pubblici in
infrastrutture. Per esempio accanto ai progetti imprenditoriali finanziati, sono state
realizzate e migliorate le aree attrezzate per gli insediamenti artigianali e industriali, il
sostegno agli agriturismi si è accompagnato alla realizzazione di percorsi naturalistici
attrezzati, al ripristino di tratte ferroviarie dismesse, al recupero dei siti monumentali, a
interventi per la riqualificazione ambientale (discariche) e per attrezzature legate al tempo
libero e alle attività sportive.
Nel complesso le iniziative private che realizzano investimenti con i finanziamenti del
patto sono 125. Gli investimenti ammontano a circa 65 miliardi di lire, coperti per i due
terzi da contributi pubblici, con una occupazione aggiuntiva di 400 addetti. I progetti
pubblici finanziati sono 44, pari a un investimento di circa 20 miliardi di lire, l'80% dei
quali indirizzati a finanziare opere pubbliche nell'ambito della valorizzazione turistica del
territorio.
70
Ma non bisogna limitarsi a questi dati per valutare l'impatto dell'iniziativa. Occorre tenere
conto di una serie di accordi sottoscritti tra i soggetti pubblici e privati (i cd. protocolli),
che riguardano temi fondamentali come la distribuzione delle infrastrutture del territorio, il
controllo delle infiltrazioni mafiose nella realizzazione delle opere, l'avvio di procedure
che agevolano le aziende nelle richieste di autorizzazione licenze, la convenzione per la
creazione di uno sportello unico per le imprese e di un marchio per il vino locale (Il
Monreale Doc 5). Questi effetti non sono meno importanti per il territorio, perché avviano
esperienze di collaborazione e di governo che, anche attraverso il ruolo attivo della società
di gestione del patto nella progettazione locale, si estendono poi ad esperienze successive,
come il patto per l'agricoltura (il cd. "patto verde") e il PIT (Piano Territoriale Integrato
previsto dalla regione nell'ambito della gestione dei fondi regionali europee).
L'esperienza del patto territoriale in Sicilia va valutata positivamente.
2) Napoli Nord-est (Analisi effettuata da Paola De Vivo6 )
La fascia metropolitana tra Napoli e Caserta, racchiude nove comuni tra i quali Acerra,
Pomigliano e Caserta, con una popolazione di 270.000 abitanti. In questo caso non ci
troviamo in un'area periferica con strutture economiche tradizionali, ma in una
conurbazione metropolitana che ha visto concentrarsi in passato consistenti investimenti
industriali, sostenuti da vari interventi straordinari. Il contesto economico locale è
caratterizzato negli Anni 90 dalla crisi dei vecchi insediamenti industriali e dalla crescita di
un tessuto di piccole e medie imprese in settori legati a tradizione di artigianato locale,
come abbigliamento e calzature. Vi sono inoltre settori di agricoltura più dinamici.
Nel complesso, si tratta di un territorio ad elevatissima densità demografica, con forti tassi
di disoccupazione e lavoro nero, con un assetto urbano segnato dalla speculazione edilizia
e dalla diffusa presenza della criminalità legata alla camorra. In seguito alla nuova legge
elettorale comunale, si manifestano dei cambiamenti della classe politica locale.
5 http://www.dps.tesoro.it/documentazione/uval/materiali_uval/MUVAL_26_PIT_SICILIA.pdf. 6 De Vivo P. Pratiche di concertazione e sviluppo locale, l’esperienza dei patti territoriali e dei Pit della
regione Campania, Franco Angeli, 2004
71
Ad Acerra viene eletta una giovane donna come Sindaco della città (Coalizione di centro-
sinistra) che si pone l'obiettivo di introdurre elementi innovativi nel governo del territorio.
Vengono promossi una serie di incontri con altri sindaci della zona, con le forze sociali
locali (Sindacati, Organizzazioni di categoria), gli istituti bancari, con parlamentari ed
esponenti del CNEL. Si decide di percorrere la strada del patto territoriale e l'iniziativa è
appoggiata la Provincia di Napoli. Si formalizza la costituzione di un tavolo di
concertazione e si arriva alla predisposizione del piano di azione locale sottoscritto da
soggetti pubblici e privati.
I punti più importanti del progetto locale sono due:
• il sostegno al tessuto di piccole-medie imprese, concentrate specialmente nei settori
dell'abbigliamento, delle calzature e della meccanica;
• l'intervento sulla qualità urbana per combattere il degrado, e sul tessuto sociale per
migliorare l'orientamento e la formazione professionale, e per contrastare la devianza e il
disagio giovanile.
Si realizzano aree attrezzate mediante la promozione di esperienze consortili, per esempio
in un ex biscottificio (Colussi), è stata realizzata un'area attrezzata per un complesso di
piccole imprese prima localizzate in edifici poco idonei, che hanno anche costituito un
consorzio per la produzione di servizi comuni. In campo agricolo è stata finanziata la
costruzione di serre e la realizzazione di strutture collettive per la commercializzazione e il
marketing dei prodotti (in particolare il vino).
Per quanto riguarda la qualità urbana, sono stati intrapresi diversi interventi di recupero e
ristrutturazione di edifici di interesse storico, sono stati costruiti giardini per l'infanzia,
parchi e attrezzature sportive. Un impegno consistente per combattere il disagio sociale è
stato preso mediante attività di orientamento e formazione dei giovani, incorporazione con
le scuole con attività di laboratorio legati alla musica, al teatro e alla produzione
artigianale, ma anche la promozione di iniziative di carattere sociale, culturale e sportivo.
72
Nel complesso si è trattato di oltre 50 milioni di euro di investimenti per più di 350
iniziative, quasi tutte realizzate tra il 1999 e il 2001, con occupazione aggiuntiva di oltre
1000 unità. Per quanto riguarda Le conseguenze indirette e a lungo periodo, la
sottoscrizione di numerosi protocolli tra diversi soggetti pubblici e privati, per la sicurezza
e la legalità, per lo snellimento nelle procedure amministrative per le imprese e per i
rapporti di lavoro, non tutte queste imprese hanno funzionato bene ma hanno segnato un
cambiamento nella governance locale. Anche in questo caso il patto ha seminato qualcosa
che ha lasciato il segno in una realtà locale particolarmente disagiata e di difficile
governabilità.
3) Il Sangro Aventino (Analisi effettuata da Rossella Di Federico7)
A differenza delle due esperienze precedenti, quella che ora viene considerata non è
collocata in un'area di particolare disagio economico sociale. Il Sangro Aventino è un
territorio dell'Abruzzo, tra le province di Chieti e dell'Aquila, caratterizzato negli Anni 90
da un buon livello di sviluppo economico, una debole pressione demografica, un'elevata
integrazione sociale con bassissimi tassi di criminalità. Il tasso di disoccupazione (9%) si
collocava ben al di sotto della media meridionale, l'occupazione industriale è consistente
ed è sostenuta dagli insediamenti industriali della Val di Sangro (Fiat e Honda).
L'iniziativa del Sangro Aventino non nasce dal volere di un sindaco, ma da un
parlamentare dei democratici di sinistra alla sua prima esperienza dopo un'attività di
insegnante. La provincia di Chieti sostiene la proposta di attivare una concertazione tra le
varie forze locali e le amministrazioni pubbliche. Nel 1998 viene approvato il piano di
azione locale, alcuni mesi dopo viene costituita la società di gestione del patto, una società
consortile a maggioranza pubblica alla quale partecipano le amministrazioni pubbliche
dell'aria e i soggetti istituzionali privati impegnati nella fase di concertazione (28 soci).
7 Di Federico R. Sviluppo locale: il ruolo della partecipazione e della comunicazione, Homeless books, 2012.
73
Il progetto locale vuole rafforzare le risorse esistenti e la crescita di nuove attività. Si punta
innanzitutto a qualificare il tessuto delle piccole e medie imprese locali nel settore
metalmeccanico, in parte legate alle reti di subfornitura delle grandi imprese localizzate
nell'area; ciò avviene attraverso il sostegno a progetti imprenditoriali di innovazione
tecnologica organizzativa, e attraverso la realizzazione di servizi collettivi, tra i quali la
formazione professionale, l'accesso al credito, la costruzione di aree attrezzate e di
infrastrutture di comunicazione.
Si vuole incrementare la produttività del settore agricolo e le produzioni locali tipiche (per
esempio le industrie importanti nella produzione della pasta).
L'altro asse è costituito dalla valorizzazione delle risorse naturalistiche e ambientali per lo
sviluppo del turismo. Sotto questo profilo c’è l’impegno a sostenere la struttura recettiva e
a realizzare servizi collettivi di promozione e infrastrutture per lo sport e tempo libero;
complessivamente sono state ammesse al finanziamento 313 iniziative con un contributo
pubblico accordato di € 45.000 e una investimento totale di oltre € 116.000. Circa due terzi
degli investimenti riguardanti progetti imprenditoriali, mentre la parte restante va alle
infrastrutture. L'occupazione aggiuntiva è di oltre 1000 unità. La maggior parte degli
interventi erano già completati alla fine del 2002.
Sono stati effettuati diversi accordi: il protocollo sulle relazioni industriali e i rapporti di
lavoro, siglato tra le associazioni imprenditoriali e quelle sindacali, che interviene sulla
formazione professionale e la flessibilità; ma anche il protocollo sottoscritto dagli enti
locali per la realizzazione dello sportello unico per le attività produttive. In tutte queste
esperienze la società di gestione del patto svolge un ruolo propulsivo importante come
strumento che favorisce la cooperazione e sostiene sul piano tecnico la progettazione
locale.
74
2.5 Risultati della ricerca e osservazioni conclusive
I tre casi che abbiamo esaminato sono certamente tra quelli di miglior funzionamento dei
patti. Ci sono stati anche molti esempi di insuccessi o di risultati più modesti. In Italia è
stata sperimentata diffusamente un'importante politica di sviluppo locale basata sui patti
territoriali; questa politica ha cercato di promuovere più il contesto locale piuttosto che le
singole aziende considerate isolatamente. L'obiettivo è stato quello di non limitarsi a
compensare con aiuti pubblici (incentivi, sgravi fiscali) le imprese per affrontare problemi
ambientali che ne limitano la produttività, ma di incidere sulle condizioni di contesto. Si è
puntato dunque a promuovere la crescita di economie esterne, materiali e immateriali che
favoriscono la produttività e la competitività.
La stessa Unione Europea ha cercato di contribuire alla sperimentazione di queste politiche
per l'innovazione economica e sociale, che sono però difficili e ambiziose, i cui effetti più
significativi non si misurano a breve termine. Paradossalmente, l'Italia si è spinta molto in
avanti nella sperimentazione, ma ha anche incontrato molti problemi di realizzazione che
hanno minato la credibilità di questo strumento. Alcuni patti, nonostante le condizioni
istituzionali sfavorevoli, hanno funzionato, molto sembra dipendere dalla capacità della
leadership politica locale di cogliere le opportunità offerte da strumenti come i patti per
impegnarsi su progetti di sviluppo solidi, coinvolgendo altri attori pubblici e privati.
Lo sviluppo locale non è solo diventato più importante come strumento per coniugare
crescita economica e coesione sociale, ma è anche meno condizionato dai vincoli della
storia e della geografia di quanto spesso si creda: l'importante è comunque per seguire con
interventi intelligenti che stimolino il protagonismo dei soggetti locali.
75
2.6 La pianificazione strategica nelle città
Nascono dagli Anni 90 nuovi esperimenti di governo del territorio e di promozione dello
sviluppo locale che sono stati portati avanti, in varie città europee e italiane.
La pianificazione strategica si basa su un processo di cooperazione volontaria tra diversi
soggetti pubblici e privati, che collaborano alla creazione di un percorso di sviluppo
condiviso, individuano alcuni obiettivi strategici e si impegnano a realizzare una serie di
azioni tra loro integrate.
In questo modo si cercano di affrontare non solo diversi problemi relativi al coordinamento
tra diverse istituzioni politiche, che è impossibile ottenere solo per via gerarchica, ma
anche di associare le organizzazioni di rappresentanza degli interessi economici, sociali e
culturali. In questo caso il ruolo degli attori privati è cruciale, non solo per le risorse
finanziarie che possono investire, ma ancor di più per le conoscenze e il consenso necessari
a realizzare interventi efficaci che richiedono un elevato coordinamento e un impegno a
più lungo termine. Tali sono esperimenti che in Italia tendono a misurarsi con i nodi che la
riforma istituzionale del 1993 (un'importante riforma che si poneva l'obiettivo di rafforzare
le istituzioni locali) ha in parte lasciato irrisolti. Essi cercano di accrescere il protagonismo
dei soggetti locali nello sviluppo del territorio e si basano sull'utilizzo di accordi
formalizzati tra attori pubblici e privati: si tratta di un'esperienza di tipo volontaristico,
molte città hanno deciso di intraprendere la pianificazione strategica per far fronte ai
problemi posti dalla crisi del vecchio modello di industrializzazione, o comunque dalla
necessità di sostenere l'economia locale e l'occupazione nelle condizioni di crescente
competizione internazionale. Ci sono diverse esperienze in varie città europee, a partire
dalla seconda metà degli Anni 80 e soprattutto, nel decennio successivo: ricordiamo i casi
di Barcellona30, Manchester, Stoccolma, ma anche Praga e Budapest.
8 Campanella R. Barcellona: città-laboratorio: Una praxis per il progetto della Città Metropolitana,
Rubbettino editore, 2002
76
In Italia il fenomeno si sta diffondendo dalla fine degli Anni 90: tra le città più grandi sono
Torino, Firenze, Venezia; tra quelle di dimensioni minori sono già in fase avanzata La
Spezia, Genova, Pesaro, Trento.
La pianificazione strategica assume in Europa una varietà di forme istituzionali. In genere
sono presenti tre aspetti:
• vi è un aspetto tipico di quelle che abbiamo definito nuove politiche di sviluppo: una
mobilitazione dei soggetti locali su obiettivi di sviluppo economico del territorio, per
migliorare le condizioni di vita degli abitanti.
• Il coinvolgimento di attori privati e diverse forme di collaborazione tra diversi soggetti
istituzionali pubblici e privati, promuovendo il coordinamento tra di loro mediante accordi
formalizzati;
• il perseguimento di obiettivi integrati (economici, sociali, infrastrutturali) di medio e
lungo periodo, ritenuti strategici per lo sviluppo locale.
Le interrelazioni tra queste diverse dimensioni sono al centro della pianificazione
strategica. Si riconosce che non è possibile accrescere l'inclusione sociale e ridurre le aree
di disagio senza aumentare le opportunità per attività lavorative stabili e qualificate.
D'altra parte, non si può per seguire il rafforzamento di determinate specializzazioni
produttive senza adeguati collegamenti con le politiche della ricerca, della formazione, o
anche dell'inclusione sociale. E ancora: non è possibile migliorare la qualità sociale e
rendere più attraente un'area per i lavoratori qualificati senza un'adeguata politica
infrastrutturale che migliori la mobilità e l'accessibilità, e senza una politica urbanistica
che distribuisca le funzioni produttive, i servizi e le residenze in modo equilibrato nel
territorio. Sono diversi elementi correlati tra loro. Nei processi di pianificazione strategica
è possibile distinguere tra diverse fasi.
77
Il primo momento iniziale è caratterizzato dall'iniziativa di un soggetto istituzionale
pubblico (di solito il Comune) che promuove la costruzione di un primo nucleo di attori
interessati (Organizzazioni di rappresentanza degli interessi, Università, altre associazioni).
Viene quindi elaborata, con l'aiuto di esperti, ma in stretto collegamento con le istituzioni e
le forze sociali, un'analisi dei punti di forza e di debolezza del contesto e sono individuati
alcuni assi strategici di intervento.
Sulla base di questa cornice, vengono presentate le iniziative pubbliche a una platea più
ampia di soggetti e alla cittadinanza.
Si apre la seconda fase, dedicata alla progettazione, cioè all'individuazione degli interventi
che nel loro insieme costituiscono il piano. Questa fase è importante per la creazione di
una visione condivisa dello sviluppo dell'area e per la sua traduzione in una serie di
interventi specifici attraverso il confronto tra i diversi soggetti. I gruppi di lavoro che
definiscono i progetti sono in genere coordinati da esperti che svolgono un ruolo di dialogo
e di intesa tra i vari attori coinvolti. Questa fase si conclude con la sottoscrizione di un
piano che in genere si accompagna alla costituzione di un organismo più stabile, come
un'associazione che raccolga i sottoscrittori e gli altri soggetti collettivi interessati, con
l'obiettivo di seguire la fase di realizzazione dei progetti e di aggiornamento del piano. Tale
associazione non avrà però i compiti operativi, non gestirà dunque in modo diretto i
finanziamenti, questo compito sarà lasciato alle istituzioni pubbliche, che hanno maggiori
competenze. L'associazione ha il compito di promuovere il coordinamento necessario tra i
diversi soggetti dai quali dipende l'efficace e rapida realizzazione dei singoli interventi
previsti dal piano.
78
2.7 Il piano strategico della città di Genova
A titolo di esempio, essendo la tesi incentrata sullo sviluppo locale dell’area Genovese e in
particolare sulla figura di IIT, ho deciso di inserire il piano strategico della città di Genova,
nel quale si riesce a intravedere (già agli inizi del nuovo millennio) una spiccata vocazione
High-Tech.
2.7.1 Il contesto socio-economico della città
Nell’ultimo decennio del secolo scorso, similmente ad altre realtà territoriali occidentali, la
città di Genova ha dovuto fare i conti con la crisi del modello socio-economico che aveva
caratterizzato la sua storia precedente. Tra i fattori critici più significativi, occorre rilevare:
• la crisi della grande industria a partecipazione statale;
• le difficoltà di sviluppo del porto e delle infrastrutture ad esso collegate, all’interno delle
quali hanno assunto particolare rilievo le problematiche relazioni tra il sistema porto e il
resto della città;
• la crisi demografica, legata all’incremento della popolazione anziana, e la nascita di
nuovi bisogni sociali;
• la situazione di oblio caratterizzante il patrimonio artistico e culturale della città.
Allo stesso tempo rimanevano forti le opportunità di valorizzazione e sviluppo della città:
• in termini geografici, ambientali e culturali, grazie in particolare alla presenza del mare e
al grande patrimonio artistico da riscoprire;
• in termini di capitale sociale e di reti ed identità politiche e territoriali, in gran parte
risultato del recente passato di sviluppo della grande industria. Basti pensare all’Università,
al sistema formativo e professionale e alle dimensioni dell’associazionismo.
79
Rispetto a tali criticità e opportunità c’era bisogno di un ripensamento profondo,
finalizzato a:
- creare una nuova idea di città, con riferimenti strategici capaci di orientare in termini
convergenti i principali attori della vita sociale culturale ed economica;
- essere base di riferimento per l’azione delle istituzioni pubbliche, ed in particolare del
Comune. La valutazione delle esperienze di successo che si erano svolte all’inizio degli
Anni 90, specialmente riguardo ad un primo intervento di recupero del rapporto fra città e
mare attuato nell’area del porto antico in occasione delle celebrazioni della scoperta
dell’America del 1992, la riorganizzazione delle strutture portuali e la forte ripresa delle
attività, aveva posto in evidenza che trasformazioni profonde e miglioramenti significativi
erano possibili a condizione che:
- si operasse con una visione ed una prospettiva di medio lungo periodo (almeno 10-15
anni) nella consapevolezza della complessità dei processi necessari, sul piano tecnico,
economico ed istituzionale/amministrativo;
- l’orizzonte fosse il più possibile ampio e condiviso, sufficientemente strutturato, in modo
che risultasse riconoscibile di per sé, tendenzialmente al riparo dalle difficoltà di tipo
contingente derivanti da valutazioni divergenti che singoli soggetti istituzionali e socio-
economici in gioco potessero effettuare di volta in volta (ad esempio, per ragioni settoriali
o di orientamento politico conseguente ai cambi di maggioranza).
80
2.7.2 Il contesto istituzionale
A livello istituzionale, due aspetti fondamentali hanno determinato le condizioni di
contesto in grado di spingere non solo Genova, ma anche altre città italiane verso
l’attivazione di processi di pianificazione strategica:
• il progressivo decentramento istituzionale ed amministrativo dello Stato, volto ad
accrescere l’autonomia e la responsabilità degli enti locali rispetto al governo territoriale;
• la crescente attenzione rispetto alle compatibilità economiche nazionali ed europee delle
politiche di bilancio pubblico con conseguente riduzione del volume dei trasferimenti
finanziari agli enti locali e territoriali.
Altro elemento trainante è stato l’elezione diretta del Sindaco, con la quale si è determinato
a livello delle città una forte coincidenza tra ruolo di responsabilità, rappresentanza della
comunità amministrata e relazioni con gli ambiti di espressione delle esigenze e delle
risorse presenti sul territorio. Il Sindaco, specialmente di una grande città, per
corrispondere a tale ruolo in modo reale, si trova quindi nella condizione di sviluppare
comportamenti e strumenti di governance che vanno oltre i confini delle competenze
amministrative e delle risorse finanziarie e organizzative del comune strettamente intesi,
per coinvolgere al meglio i soggetti che esprimono il tessuto socioeconomico della città, e
rapportarsi attivamente agli altri ambiti istituzionali locali e nazionali. (come abbiamo visto
nei 3 esempi di Patti, par. 2.3)
Il “programma di mandato” del Sindaco deve quindi farsi carico non solo dei servizi e dei
risultati che derivano dall’esercizio delle specifiche attribuzioni amministrative del
Comune, ma dell’insieme delle esigenze e potenzialità di sviluppo della Città. Di
conseguenza si tratta di attivare percorsi e processi in grado di coinvolgere soggetti diversi
in termini interistituzionali e di relazioni pubblico/ privato, che quindi non possono contare
su strumenti organizzativi e operativi stabili unitari complessivamente definiti e
formalizzati; ma piuttosto devono contare sulla capacità di cooperazione che le leadership
territoriali riescono ad attivare, provvedendo al meglio a mettere insieme le attribuzioni e
81
le risorse delle diverse istituzioni e le esigenze e opportunità che si presentano nel
territorio. Il Comune, essendo l’ente che più complessivamente rappresenta le istanze
territoriali e che, con la figura del Sindaco direttamente eletto dispone di una leadership a
ciò corrispondente, si trova nelle condizioni:
• da un lato, di poter-dover promuovere un adeguato livello di programmazione strategica;
• dall’altro di raccordare a ciò, sia in termini di contenuti che in termini di flessibilità e
capacità di evoluzione, i propri strumenti istituzionali di programmazione: piano regolatore
e sistema di bilancio in primo luogo.
Sotto questo aspetto, il processo di pianificazione strategica del Comune di Genova si è
sviluppato in un contesto in cui, a fronte di una forte esigenza di governance locale,
permanevano gap significativi connessi alle specifiche attribuzioni delle singole istituzioni.
In particolare, gli aspetti principali che hanno caratterizzato il contesto istituzionale
genovese in proposito riguardano:
• il rapporto fra Comune, Provincia, Regione ed Autorità Centrali, in un territorio in cui la
Città di Genova rappresenta la grande maggioranza (in termini di popolazione, strutture
produttive e PIL) della Provincia e dell’intera Regione;
• il rapporto fra Città e Porto (uno dei più grandi del Mediterraneo e l’azienda di gran
lunga maggiore della regione), ben diverso da quello che caratterizza le esperienze Nord-
Europee;
• il rapporto con le autorità centrali, storicamente determinante in considerazione della
presenza massiccia dell’industria a partecipazione statale.
82
2.7.3 Le tappe del piano strategico
Alla fine degli Anni 90, in occasione dell’avvio del mandato, l’Amministrazione
Comunale ha deciso di misurarsi con le problematiche illustrate in precedenza, attivando
un percorso di analisi, valutazione e proposizione che coinvolgesse i principali soggetti
espressione delle forze economiche, sociali e culturali della città. Tale percorso, definito
“Verso la Conferenza strategica”, si è sviluppato a partire da un Workshop sulla
metodologia del governo urbano con la partecipazione dei soggetti (cittadini,
organizzazioni produttive, scientifiche, associative) portatori delle specifiche esigenze e
interessi. L’obiettivo primario dell’amministrazione è stato quello di dare risposte alla
domanda “come operare per assicurare uno sviluppo desiderabile e sostenibile per la
nostra città ?”, attraverso:
• l’attivazione di un dialogo strutturato con tutti gli attori pubblici e privati della città;
• la raccolta di tutte le idee ed i progetti realizzabili, provenienti dalle diverse realtà;
• l’organizzazione di un percorso di condivisione del progetto di sviluppo della città. La
preparazione, l’esecuzione degli incontri e l’elaborazione dei materiali conseguenti hanno
richiesto un impegno di 6 mesi, sono state coordinate direttamente dagli assessori
competenti per le diverse tematiche, con il supporto degli uffici comunali. Il percorso di
condivisione ha trovato una sua prima conclusione nella Conferenza strategica che si è
svolta nei giorni 12-13-14 maggio 1999. La partecipazione alla Conferenza è stata
imponente, con l’adesione di più di 250 associazioni produttive, culturali e sociali del
territorio e una presenza media di circa 500 persone alle sei sessioni di discussione. Sulla
base del percorso preparatorio la Conferenza si è aperta definendo una nuova idea di città
fondata sui seguenti riferimenti strategici:
• “Una città di città ”, al fine di riconoscere e valorizzare le specificità territoriali, ed al
contempo aprire maggiormente al rapporto con i piccoli comuni circostanti;
83
• “Perseguire uno sviluppo policentrico (porto, industria, turismo, servizi)”, per superare
alternative schematiche, spesso occasione di conflitti e di alibi paralizzanti rispetto al
riconoscimento e perseguimento delle opportunità effettive di crescita;
• “Essere parte del Nord-Ovest italiano”, in modo da ritrovare su base territoriale quelle
sinergie indispensabili per lo sviluppo, recuperando su tali basi quello che nella prima metà
del secolo scorso aveva costituito il cosiddetto “triangolo industriale” (Piemonte,
Lombardia e Liguria) fondato però su una “divisione del lavoro” in genere fortemente
diretta a livello di governo centrale (prevalenza delle industrie a partecipazione statale);
• “Essere porta da e per il Mare Mediterraneo”, per ricongiungere la collocazione
geografica alla cultura ed esperienza storica che aveva visto la Repubblica Marinara di
Genova protagonista economica nei secoli scorsi.
Nel corso della Conferenza strategica è stato possibile giungere ad una prima definizione
di un documento chiamato “Piano della città”, che ha rappresentato il primo passo per la
formulazione di un vero e proprio piano strategico . Complessivamente, la Conferenza si è
rivelata un successo, in quanto sono stati raggiunti due importanti obiettivi:
• la condivisione di un percorso di sviluppo strategico della città, mediante il
coinvolgimento attivo di tutte le componenti della società che vi operano;
• la formalizzazione di tale percorso in un piano/programma articolato in linee strategiche,
obiettivi ed azioni, che è divenuto anche punto di riferimento per l’azione amministrativa
del Comune.
Un terzo obiettivo, volto a concretizzare uno “steering committee” in cui far evolvere e
monitorare l’intero processo, è stato caratterizzato da uno sviluppo più complesso, sfociato
fino alla costituzione del “Comitato per lo Sviluppo ” avvenuta nel 2004, su cui si dirà
oltre.
84
Su questo aspetto hanno inciso le difficoltà di strutturare in termini complessivi organismi
di governance in presenza di più enti, ciascuno dotato di attribuzioni specifiche rispetto
alla città e, soprattutto, di organi elettivi o di nomina autonomi (Regione, Provincia,
Comune, Camera di Commercio, Autorità Portuale) particolarmente sensibili all’alternarsi
delle maggioranze e delle posizioni politiche. Non si è quindi pervenuti alla istituzione
formale di un nuovo organismo di governance ma, in coerenza con tale impostazione e
con il Piano della città, è stato invece possibile procedere efficacemente attraverso forme di
concertazione e di governo coordinato rispetto a singoli obiettivi ed azioni di peso molto
rilevante come ad esempio la preparazione e gestione di “Genova Capitale Europea della
cultura 2004 ”.
2.7.4 La riorganizzazione del comune
Parallelamente al percorso avviato con la Conferenza strategica , nel 1999 si provvedeva
ad una ridefinizione complessiva dell’organizzazione comunale che doveva sempre più
caratterizzarsi come “sistema aperto”. Punto di riferimento centrale del processo di
riorganizzazione è stato l’orientamento verso il cittadino/cliente, il quale è servito non solo
e non tanto da singoli uffici comunali, ma piuttosto da una rete articolata di erogatori
appartenenti alle diverse istituzioni pubbliche, anche privati o diretta espressione della
partecipazione ed autoorganizzazione sociale. Pertanto, anche rispetto all’erogazione dei
servizi (e non solo rispetto allo sviluppo del territorio) il comune può svolgere sempre più
un ruolo rilevante di integratore della rete (sensore, coordinatore e promotore) piuttosto
che di semplice produttore e diretto finanziatore. Perciò la struttura organizzativa comunale
è stata trasformata agendo su tre direzioni principali9:
• il decentramento, con la costituzione di 9 divisioni territoriali al fine di avvicinare
l’intervento pubblico agli ambiti di espressione dei bisogni di servizio ma anche di capacità
di risposta;
9 http://www.direttorigenerali.it/documenti/0/0/50/58/PRESENTAZIONE_ANDIGEL.doc.
85
• l’esternalizzazione, con la costituzione di aziende ed istituzioni autonome, non solo per
assicurare le necessarie condizioni per l’efficienza dei servizi di tipo produttivo/industriale
ma per disporre progressivamente di organismi e strumenti gestionali idonei alla
partecipazione degli altri soggetti pubblici e privati che possono e devono contribuire ai
risultati;
• la riduzione delle strutture centrali, al fine di liberarle dei compiti operativi,
riqualificando le risorse verso quelle funzioni di programmazione e progettazione con gli
altri soggetti che operano sulla città.
Inoltre, sul piano strutturale va sottolineata l’istituzione dell’Unità di Progetto Piano della
città, a cui è stato attribuito il compito di supportare la giunta comunale nella gestione e
nell’aggiornamento aggiornamento del piano strategico, coordinando direttamente i
principali progetti di tipo urbanistico e infrastrutturale che si sviluppano sul territorio
cittadino, interfacciandosi con i competenti uffici comunali e delle altre istituzioni
pubbliche locali e nazionali nonché con i soggetti privati coinvolti. A questi interventi di
tipo strutturale è stato associato un quarto aspetto relativo allo sviluppo degli strumenti di
pianificazione e controllo. È infatti attraverso tali strumenti che si può assicurare il
coordinamento e l’integrazione di un’organizzazione sempre più aperta rispetto
all’ambiente esterno e decentrata, sul territorio e attraverso aziende ed istituzioni
specifiche. Oltre alla costruzione e gestione del Piano della città, lo sviluppo dei sistemi di
pianificazione e controllo ha visto una crescente cura nella predisposizione e gestione degli
strumenti di programmazione triennale quali il bilancio triennale e la relativa Relazione
Previsionale e Programmatica ed il Piano Triennale dei Lavori Pubblici, e la realizzazione
di una procedura di budgeting e gestione per obiettivi (assegnati dalla Giunta ai dirigenti),
annuale, e con controllo trimestrale sia delle grandezze di ordine finanziario che degli
indicatori di efficacia, efficienza e qualità rispetto alle principali linee di attività.
86
2.7.5 Il piano della Città di Genova 2002
Il Piano del 2002 ha consentito di pervenire ad una maggiore strutturazione degli strumenti
di pianificazione strategica e della loro integrazione con gli strumenti di pianificazione
gestionale ed operativa. In particolare il Piano della città è stato impostato su un orizzonte
temporale al 2010, ed è stato articolato secondo 7 linee strategiche:
• “Città di tutti ”, comprendente obiettivi volti a promuovere attivamente la persona nelle
diverse fasi della vita;
• “Città della qualità”, comprendente obiettivi volti a realizzare la riqualificazione urbana
ed il riequilibrio del territorio;
• “Città dell’economia e del lavoro”, comprendente obiettivi volti a realizzare lo sviluppo
compatibile e dell’occupazione;
• “Città superba”, comprendente obiettivi volti a valorizzare il patrimonio storico della
città al fine della comunicazione e marketing;
• “Capitale portuale”, comprendente obiettivi volti a sviluppare il sistema portuale e le
infrastrutture;
• “Capitale della cultura”, comprendente obiettivi volti ad assicurare all’evento Capitale
Europea della Cultura 2004 10 un impatto strutturale e duraturo per identificare Genova
quale città d’arte;
• “La gestione della città”, comprendente obiettivi volti alla valorizzazione della
partecipazione e alla razionalizzazione delle strutture organizzative, di erogazione dei
servizi e dell’impiego delle risorse patrimoniali e finanziarie direttamente disponibili, in
funzione delle altre linee strategiche.
10 Per un approfondimento: http://mediterranee.revues.org/2840#abstract
87
Complessivamente le 7 linee strategiche sono state sviluppate attraverso 35 obiettivi (qui
sotto gli obiettivi della prima linea strategica: “Città di tutti”).
Tabella 7 - Azioni della linea strategica n.1: “Città di tutti”, Il Piano della città di Genova 2002.
88
I documenti di programmazione finanziaria e di budgeting fanno riferimento
sostanzialmente alle risorse di stretta competenza comunale, per cui non considerano
organicamente gran parte delle risorse di origine privata o di altre amministrazioni che
comunque concorrono in misura rilevante, quando non preponderante, al conseguimento
degli obiettivi e alla realizzazione delle azioni del Piano della città. L’aspetto più
importante della ricerca di coerenza fra i tre livelli di programmazione e dell’impegno a
realizzare l’integrazione fra gli strumenti (Piano della città ; bilancio pluriennale e budget
annuale del Comune) è, quindi, proprio relativo al sostegno del programma ed al richiamo
alla responsabilità e adeguatezza di comportamenti che i principali soggetti che
intervengono nei sistemi decisionali (Consiglio e Giunta) e gestionali (dirigenti) mettono
gradualmente in atto per assicurarne lo sviluppo.
2.7.6 La navigazione strategica
La natura concertativa della pianificazione strategica di una grande città come Genova
mette in primo piano l’aspetto processuale della stessa. Il concorso di più soggetti
istituzionali autonomi, unitamente alla complessità degli obiettivi e delle azioni, (sotto i
diversi aspetti: tecnico/normativo, dimensione delle risorse economiche, pluralità degli
interessi,ecc.) richiede un continuo intervento di adeguamento che coinvolge i livelli
decisionali e gestionali. I vincoli e le opportunità difficilmente possono essere definiti una
volta per tutte e richiedono, per essere affrontati e colti con efficacia, flessibilità tattica,
attenzione costante, e l’esercizio di idonee capacità di leadership. Per rispondere a tale
esigenza di aggiornamento continuo, si è deciso di intervenire sulle modalità di lavoro
della Giunta comunale: le riunioni settimanali della Giunta costituiscono, infatti, l’ambito
di regolazione del processo di programmazione strategica, dal momento che sono
occasione non solo per prendere decisioni formalizzate (Deliberazioni) ma anche per
acquisire informazioni, approfondire ed effettuare verifiche rispetto agli obiettivi di fondo
che l’Amministrazione comunale persegue.
89
Pertanto, accanto alla tradizionale verbalizzazione formale delle riunioni di Giunta è stata
introdotta una verbalizzazione informale, a solo supporto del Sindaco e degli Assessori,
relativa agli argomenti trattati: ogni argomento viene sinteticamente descritto in termini di
contenuti ed attività da svolgere, indicando gli amministratori responsabili delle stesse e i
tempi di conclusione previsti. A partire dal 2004 gli argomenti sono stati suddivisi in tre
categorie: informativi, gestionali (propedeutici a provvedimenti di indirizzo ai dirigenti e
gli uffici), e programmatori. Questi ultimi costituiscono l’occasione per affrontare le
esigenze di regolazione e di adeguamento della pianificazione strategica, sia per risolvere
difficoltà sopravvenute, sia per cogliere nuove opportunità.
2.7.7 Pianificazione di medio-lungo periodo e stili di governance
L’esperienza genovese conferma che i progetti strategici per un’area metropolitana si
rivelano molto complessi sotto diversi aspetti (normativi, tecnici, economici) e soprattutto
in relazione alla composizione degli interessi in gioco. Nel momento in cui vengono
affrontati problemi di ordine trasversale che investono la generalità del territorio, della
popolazione e del sistema produttivo, occorrono stili di governance innovativi rispetto alle
tradizionali logiche di intervento, che tendono a focalizzare l’attenzione su segmenti
limitati dal punto di vista territoriale, settoriale, temporale o economico. Secondo queste
logiche:
• le problematiche di sviluppo socio-economico del territorio vengono affrontate
prevalentemente in ambiti circoscritti, in base alle attribuzioni di singoli enti ed istituzioni;
• gli aspetti di complessità gestionale interna prevalgono sulla progettualità diffusa, e
pertanto ogni problematica specifica viene affrontata attraverso l’applicazione di
appropriate soluzioni organizzative;
• l’interazione tra enti del settore pubblico viene disciplinata esclusivamente nell’ambito
del quadro normativo ed istituzionale che regola una determinata materia e gli accordi tra i
diversi soggetti coinvolti si basano esclusivamente su strumenti e procedure formali
previsti dalla normativa;
90
• il rapporto tra pubblico e privato vede tendenzialmente il primo in posizione di
supremazia sul secondo. Comunque sia, il settore privato viene soprattutto visto come
destinatario di politiche ed interventi definiti dal settore pubblico. È molto raro il
coinvolgimento attivo del privato, secondo una logica di corresponsabilità con il settore
pubblico, nella pianificazione e nell’attuazione delle politiche pubbliche sul territorio.
La pianificazione di medio-lungo periodo, invece, impone uno stile di governance nel
quale il coinvolgimento dei principali soggetti che rappresentano il tessuto istituzionale
economico e sociale nell’identificazione dei problemi e delle soluzioni diventa
indispensabile per assicurare adeguato e coerente sviluppo nel tempo agli interventi. Tale
coinvolgimento deve essere dinamico e processuale, conquistato sul campo in termini di
governance , attraversare i confini fra le diverse istituzioni pubbliche e gruppi di interesse,
e non può contare su soluzioni dirigistiche stabilite una volta per tutte. Con ciò non si
vuole comunque negare l’importanza di momenti di impostazione e verifica esplicitamente
scanditi, quali le conferenze strategiche. Pertanto, per il positivo sviluppo del processo
diventa fondamentale la capacità di governance da parte dei vertici istituzionali, che
devono essere in grado:
• da un lato, di promuovere, nell’ottica degli interessi generali, il merito dei problemi e dei
risultati da conseguire;
• dall’altro, di assicurare il rispetto delle specifiche prerogative delle istituzioni coinvolte e
dei loro organi.
La delicatezza dei processi decisionali connessi con le scelte strategiche richiede uno
specifico “stile di governance ”:
• attento ed adeguato, contestualmente, rispetto agli aspetti, politici, economico-
imprenditoriali e giuridico-amministrativi;
91
• capace di praticare l’innovazione e la collaborazione progettuale, trasversalmente rispetto
ai diversi ambiti istituzionali e di rappresentanza sociale, senza creare “incidenti di
percorso” che possano bloccare il processo.
La sedimentazione delle azioni e delle esperienze positive di questo tipo è particolarmente
importante perché crea una nuova identità propulsiva fra i diversi soggetti che possono
agire sullo sviluppo cittadino: in tal modo si costruisce la base per superare sia gli
orientamenti verso le “posizioni di rendita”, sia le eventuali identità settoriali,
tendenzialmente di tipo collusivo anziché progettuale. Il piano strategico della città di
Genova racchiudeva al suo interno delle forti connotazioni high-tech, in questa sede, già si
teneva in considerazione l’operato del Dixet, del Progetto Leonardo inerente al Parco
Scientifico Tecnologico degli Erzelli e anche della nascita di IIT, che ricordiamo, è attivo
dall’ottobre del 2005.
92
2.8 Premessa sul paragrafo successivo
Volendo analizzare nello specifico l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova (IIT), risulta
necessario osservare le basi strutturali su cui l’economia dell’innovazione genovese si
fondava in precedenza, mi riferisco al distretto High-Tech già esistente, ma anche al Dixet
(Distretto di Elettronica e Tecnologie Avanzate di Genova11) e al Programma Leonardo da
Vinci 12 (che include la creazione del Parco Scientifico Tecnologico degli Erzelli).
2.9 La storia del Distretto High-Tech Genovese
Il distretto tecnologico di Genova affonda le proprie radici nella sua tradizione industriale
che, a partire da fine Ottocento ha contribuito allo sviluppo industriale della Regione e del
Paese intero. In particolare la grande impresa a partecipazione statale ha avuto a Genova
un ruolo determinante nell’ultimo dopoguerra, coprendo settori quali l’energia,
l’impiantistica, la siderurgia e la cantieristica. A partire dagli anni Ottanta tale impresa ha
affrontato una profonda crisi strutturale a seguito della quale hanno preso gradualmente
spazio nuove attività tecnologiche legate all’automazione industriale, all’elettronica ed alle
telecomunicazioni.
Tali imprese di fatto sono nate dalle ceneri delle grandi industrie presenti in Liguria:
• costruzioni navali;
• elettromeccanica;
• siderurgia;
• produzioni militari;
• trasporti elettrificati, ecc.
11 Per un approfondimento sulla mission del Dixet si veda: http://www.dixet.it/index.php?P=4.
12 http://programmaleonardo.net
93
Rispetto all’iniziale specializzazione tecnologica basata sull’elettronica industriale e
sull’automazione di processo, la specializzazione tecnologica si è gradualmente allargata
verso l’elettronica per telecomunicazioni, l’informatica, il biomedicale, i servizi, il
software, l’information technology e l’e-commerce.
Oggi, dunque, esistono sul territorio realtà profondamente diverse: grandi società già a
partecipazione statale, importanti aziende che fanno capo a gruppi multinazionali, piccole e
medie società private, spin-off industriali ed universitari e giovani imprese innovative.
Inoltre, la provincia di Genova, e in generale la Regione Liguria, ha avuto da sempre un
ruolo chiave nel sistema dei trasporti e della logistica Nazionale ed Europea grazie alla sua
localizzazione sul territorio, che costituisce una cerniera nelle relazioni nazionali ed
internazionali che si evidenzia nei volumi di traffico che raggiungono i tre porti principali.
2.10 La vocazione tecnologica del distretto genovese
La scelta di creare a Genova un distretto HT basato sui sistemi intelligenti integrati deriva
da diverse considerazioni. In Liguria esiste un sistema produttivo flessibile basato su un
numero elevato di piccole-medie imprese e si sono sviluppati alcuni comparti produttivi a
medio e alto contenuto tecnologico (es. energia, meccanica, strumentazione, robotica,
microelettronica, tecnologie biomedicali, ecc.), dove la produzione si colloca su posizioni
d’avanguardia a livello internazionale. Inoltre, tenendo conto dell’originaria
specializzazione dell’area nel settore dei trasporti e della logistica, è stata avvertita la
necessità di creare un distretto incentrato non su un’unica tecnologia, ma su un settore
verso il quale far convergere più tecnologie, prevalentemente di tipo informatico,
elettronico, telematico e robotico.
La materia del distretto è dunque quella del trasporto e della logistica, con attenzione
mirata agli aspetti marittimi e portuali, vera e significativa peculiarità genovese. Proprio
per la presenza in Liguria di un know-how tecnico scientifico e di attività industriali che
gravitano intorno ad attività marittime e portuali, e per la sensibilità nell’ambito dei temi
legati al mare e alla navigazione è nata la proposta di porre la Liguria come centro di
riferimento nell’area delle tecnologie sopracitate, valorizzando le conoscenze e le
94
professionalità che nei vari comparti pubblici e privati, si sono sviluppate e accumulate. Lo
sviluppo di tali tecnologie infatti rappresenta per la Regione un percorso privilegiato
rispetto ad altre tematiche quali le ICT e le nano - biotecnologie, sulle quali il numero di
possibili competitors è certamente maggiore.
Le motivazioni della costituzione a Genova di un distretto HT possono essere ricondotte a
due:
• quasi tutte le imprese liguri operavano per progettare sistemi, sia quelle ICT sia quelle
più manifatturiere; ne consegue una vocazione aperta alla moderna tecnologia ICT;
• la presenza di eccellenza nei diversi settori dei sistemi intelligenti in ambito accademico,
come conseguenza di una lunga tradizione fondata sulla ricerca scientifica.
Nel luglio del 2003 la Regione Liguria, l’Università di Genova, la Camera di commercio di
Genova, il Parco Scientifico Tecnologico della Liguria 13 e Dixet (vedi successivamente)
hanno firmato un protocollo d’intesa per la realizzazione di un distretto High-Tech ligure
sui “Sistemi intelligenti integrati” nel settore dei trasporti e della logistica.
Nel settembre del 2004 è stato sottoscritto il protocollo d’intesa con il MIUR; esso
prevedeva la nascita di una società mista (50% pubblica, 50% privata) per la gestione dei
progetti del distretto prevedendo un finanziamento iniziale di 30 milioni.
Il Parco scientifico Tecnologico della Liguria è una società senza fini di lucro, che ha tra i
propri compiti specifici la promozione, la realizzazione e il coordinamento delle iniziative
dirette a favorire in Liguria l'aggregazione di attività di ricerca, formazione e servizi, quali
fattori determinanti dei processi innovativi e del trasferimento di tecnologie al sistema
produttivo, utilizzando e valorizzando le risorse scientifiche e tecnologiche esistenti sul
territorio regionale e favorendo lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali.
13 http://erzelli.it/.
95
In particolare, le sue competenze sono:
• favorire l’innovazione tecnologica nelle piccole-medie imprese liguri al fine di
migliorarne l’efficienza interna e la competitività;
• rafforzare la relazione tra ambiente accademico della ricerca e il tessuto delle imprese
locali;
• valorizzare il patrimonio scientifico e tecnologico esistente all’interno della Regione;
• diventare un punto di riferimento per lo sviluppo, la promozione e la valorizzazione dei
poli tecnologici in Liguria;
• diffondere i risultati ottenuti dall’attività svolta;
• favorire la diffusione dell’innovazione: promuovendo momenti di confronto con i
rappresentanti del sistema produttivo regionale e scambio di conoscenze-esperienze tra il
sistema locale e altre realtà a livello nazionale ed internazionale.
2.11 La storia del Dixet
Rispetto alla vocazione industriale del ‘900 (siderurgia, cantieristica, impiantistica) il focus
tecnologico dell’industria genovese si è progressivamente spostato verso l’elettronica
industriale e l’automazione di processo e, più recentemente, verso l’elettronica per
telecomunicazioni, l’informatica, il biomedicale, il software, l’information technology e
Internet. Nel gennaio 2000, la Provincia di Genova ha promosso un primo studio di
fattibilità sul comparto della “Elettronica e tecnologie avanzate”, che si concluse con
l’organizzazione di un Convegno, durante il quale venne evidenziato il totale consenso
delle imprese coinvolte ad aderire ad una iniziativa di tipo ‘distrettuale’. Nel giugno 2000,
si costituì il Comitato Promotore, espressione delle diverse realtà imprenditoriali coinvolte
(grandi imprese, P-M imprese, neo-imprese) con l’adesione di 76 di esse.
96
Nel novembre 2000 venne convocata presso la Camera di Commercio di Genova,
l’Assemblea Generale delle imprese aderenti all’iniziativa (salite, nel frattempo a 120), che
approvò le proposte presentate dal Comitato Promotore e deliberò di dar vita
all’Associazione no-profit “Distretto Elettronica e Tecnologie Avanzate di Genova – Club
d’Imprese”, successivamente conosciuta con l’acronimo di Dixet 14. Nel febbraio 2001
venne stipulato l’atto di nascita della nuova Associazione, che si diede per finalità
“…la promozione ed il coordinamento delle attività e delle iniziative finalizzate allo
sviluppo delle imprese che operano nei settori dell’elettronica e delle tecnologie
avanzate…”.
Nel giugno 2001, la Giunta regionale della Liguria ha approvato la personalità giuridica di
diritto privato dell’Associazione Dixet.
Ricordiamo che la tradizione di Genova è, da sempre, legata alla grande industria pesante e
al porto, ma dopo un periodo di declino, è rifiorita sia grazie ai pilastri industriali sui quali
ha appoggiato in passato sia attraverso nuove realtà industriali, quali quelle dell’High-
Tech. Ecco, allora, che grazie alla capacità di lavorare alla riconversione di un patrimonio,
il nuovo si è rigenerato da una tradizione antica. E’ in questa ottica che l’innovazione deve
essere vista come elemento necessario al raggiungimento di nuovi obiettivi, in uno
scenario industriale certamente diverso rispetto al passato. Oggi il settore dell’High-Tech
è in forte espansione, sta creando nuove opportunità di occupazione ed in tale direzione
deve andare lo sforzo comune, nella costante ricerca di soluzioni che favoriscano un
rapporto collaborativo tra industria tradizionale e nuove attività. Su questo percorso si
pone Dixet, che raggruppa oltre 110 aziende di cui oltre l’80% è rappresentato da piccole e
medie imprese che operano nei settori dell’elettronica, robotica, meccatronica, informatica,
telecomunicazione e biomedicale.
14 Per maggiori informazioni sulla storia del Dixet: http://www.dixet.it/index.php?P=44
97
Nel corso della sua attività Dixet è stato protagonista di importanti iniziative, facendo
emergere un tessuto industriale che era in parte sconosciuto, ma che rappresentava e
rappresenta tuttora un tassello fondamentale nella struttura economica di Genova e della
Liguria.
Il Distretto costituisce una struttura innovativa anche perché non si tratta del tradizionale
Distretto italiano che nasce dalla corporazione di più aziende, operanti nel medesimo
settore con una relazione di tipo artigianale, ma sono, viceversa, tante, diverse, realtà che
ruotano intorno ad un punto di eccellenza. Obiettivo principale di Dixet è di creare una
massa critica in grado di produrre innovazione, una concentrazione di risorse e di capacità
scientifiche, formative e tecnologiche proprie dei distretti tecnologici o, per meglio dire,
dei technology village, così come sta avvenendo in altri Paesi europei.
L'Associazione del Dixet è apolitica e apartitica, non ha fini di lucro e si pone come
obiettivo di operare nell'ambito della provincia di Genova. Dixet intende valorizzare il
patrimonio costituito dalle imprese ad alta tecnologia che già oggi operano nell'area
metropolitana di Genova e contribuire concretamente allo sviluppo di un nuovo tessuto
produttivo, promovendo i seguenti aspetti:
• la crescita del potenziale umano, in modo da allineare l'offerta formativa con la domanda
delle imprese per professionalità ad alto livello di qualificazione;
• il recupero e la trasformazione di aree industriali dismesse per l'insediamento di nuove
imprese high tech;
• lo sviluppo di reti telematiche e servizi avanzati, in grado di favorire le sinergie e la
cooperazione tra le imprese del distretto;
• l’attivazione di processi di technology transfer e la creazione di laboratori congiunti tra
le imprese, l'Università e gli enti di ricerca;
98
• la promozione del distretto e delle sue imprese in ambito nazionale, europeo ed
internazionale;
• il collegamento e collaborazione con altri distretti e poli tecnologici italiani ed europei.
Dixet costituisce un formidabile volano tecnologico per il sistema economico di Genova e
della Liguria ed intende contribuire a trasformare la costa Nord del Mediterraneo in un'area
preferenziale per la localizzazione di imprese e centri di ricerca ad alta tecnologia.
Alcuni Dati:
• Numero imprese High-Tech della provincia di Genova: 2418 (fonte Istat);
• Totale addetti High-Tech della provincia: 14780 (fonte Istat);
• numero di imprese del DHT: 150 (fonte locale);
• numero di addetti del DHT: 7500 (fonte locale);
Il distretto genovese, localizzato prevalentemente nell’area Sestri Ponente-Valpolcevera,
conta circa 7.500 addetti (di cui il 75% circa operante presso grandi imprese e il 25% circa
presso piccole e medie imprese) che operano in circa 150 imprese, tra le quali alcune di
grande rilevanza nazionale ed internazionale (es. Marconi, Esaote, Elsag, Piaggio Aero
Industries, Siemens Automation) ma per la maggior parte di dimensioni medie e piccole. In
particolare, una decina di imprese sono di grandi dimensioni (con più di 200 addetti),
mentre la grande maggioranza delle aziende sono medie (tra i 50 e i 200 addetti), piccole
(tra i 10 e i 49 addetti) e micro-neo imprese (con meno di 10 addetti). Tali imprese hanno
come comune denominatore la matrice tecnologica nel settore delle ICT, ma operano in
vari settori: dall’elettronica e microelettronica all’informatica, dall’automazione e robotica
alle telecomunicazioni. Entro il 2021, dice il presidente del Dixet Carlo Castellano:
99
«…Vogliamo stabilire 190 imprese d’alta tecnologia con oltre 21.000 addetti entro il 2021
a Genova. Questa è la sfida dell’High-Tech a Genova e in Liguria…»15
2.12 Il parco scientifico tecnologico degli Erzelli: una Silicon Valley in Liguria?
Tanti paesi hanno tentato di replicare una Silicon Valley a casa loro. Sono stati tanti i casi
di cloni, più o meno fortunati, da Shanghai e Singapore, da Bangalore e a Seoul. Genova
prova a diventare un polo d'attrazione di cervelli, per invertire la fuga dei talenti dall'Italia.
Quello che però a Genova hanno capito alcuni imprenditori visionari, è che l'esperimento
ha bisogno di un'alleanza solida tra pubblico e privato, che la ricerca scientifica ha la
necessità di instaurare un dialogo con il mondo dell'impresa, che un polo di sviluppo
scientifico-tecnologico ha bisogno di unire colossi multinazionali e minuscole start-up
create dai giovani, e infine che tutto il territorio debba sentirsi coinvolto e partecipe nella
sfida.
La spianata degli Erzelli, un'altura che domina le colline adiacenti all'aeroporto Cristoforo
Colombo, sta prendendo forma e solleva la testa dopo cinque anni di crisi, guardando
molto lontano, progetta e costruisce una nuova vocazione globale. L'orizzonte è ampio, si
spinge fino a includere il progetto "Genova 2021, città della tecnologia". Per forza
un'operazione simile deve avere respiro lungo. Questa nasce dalla creatività di alcuni
"grandi vecchi" (over-70) e già passa le consegne a una generazione di trentenni.
Giuseppe Rasero, direttore del Parco Scientifico e Tecnologico di Genova High-Tech
afferma:
15 Tratto da: http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2012/05/18/APL6TkXC-dixet_imprese_tech.shtml.
100
«…in una città che ha perso 200.000 abitanti nell'ultimo ventennio, noi ne riportiamo già
15.000, facendoli venire dal mondo intero…» 16.
Due realtà già ben visibili sono i palazzi che ospitano i laboratori di ricerca costruiti da
Ericsson (azienda svedese leader nel mondo delle telecomunicazioni) e dalla Siemens
(azienda tedesca che si occupa di energia e telecomunicazioni), la prima delle quali ha
trasferito 950 persone, la seconda 750. Seguirà ben presto Esaote, il gioiello
multinazionale di Castellano, che produce elettronica per apparecchi biomedici. La
giapponese Toshiba è in trattative per insediare qui un altro centro di ricerca.
Il Parco Scientifico e Tecnologico è un costante work in progress, un cantiere aperto in
costante evoluzione, un'opera aperta, con pezzi che si aggregano di volta in volta. Siamo su
un'altura a 120 metri sul livello del mare, esposta a Sud. L'area è davvero immensa, quasi
sorprendente per una città avara di spazio come Genova. Non a caso, prima quest'area fu
adibita a deposito di container. 440.000 metri quadri, di cui oltre 220.000 destinati al verde
pubblico: la definizione di Parco non è usurpata. Proprio perché una vera Silicon Valley
deve essere altamente vivibile, deve sprigionare fascino verso i giovani talenti da tutto il
mondo intero: qui sorgeranno un lago, una pista per correre di 10 km, diversi campi
sportivi all'aperto, palestre per fitness, ristoranti multietnici, asili nido, librerie, negozi di
musica. La sola area verde e ricreativa occuperà lo spazio di dieci campi di calcio. Per i
collegamenti con Genova, dovrà entrare in funzione una funivia-cabinovia dalla nuova
stazione ferroviaria che servirà anche l'aeroporto. La questione dei trasporti è vitale perché
entro pochi anni si trasferirà qui tutta la facoltà di Ingegneria dell'università di Genova.
16 Tratto da: Rampini F. Erzelli: Come la Silicon Valley, ecco il Parco del futuro, 12/08/2013, La Repubblica.
101
«…Con 84.000 metri quadri dedicati tutti all'insegnamento e alla ricerca - dice il
direttore dei lavori - l'università diventerà parte di un ecosistema capace di stimolare la
creatività e l'innovazione attraverso l'incontro diretto tra scienziati, tecnologi, studenti,
manager, imprenditori. Nascerà un gigantesco incubatore di idee, investimenti,
occupazione qualificata. È proprio questa fertilizzazione incrociata, tra pubblico e privato,
tra ricerca pura e applicazioni produttive, quella che finora tanti giovani italiani erano
costretti a cercare all'estero…» (F. Rampini, 2013).
Sono pochi i Parchi che uniscono scienza pura e industria. Pochissimi di dimensioni così
vaste e nati dal nulla: il PST di Genova è tra i primi 20 del mondo, capace di competere
con il celebre Sophia Antipolis, citato in precedenza, sulla vicina Riviera francese.
Elisabetta Migone, ingegnere meccanico, si occupa dei progetti di start-up, del Talent
Garden che si aprirà ai giovani per il coworking, e degli accordi internazionali: l'hanno
mandata a lungo a studiare poli tecnologici su altri continenti, da Pechino a Boston.
«…Anche per le multinazionali straniere è preziosa la vicinanza di giovani creativi…» -
dice E. Migone . «…This is the future, questo è il futuro…», hanno commentato i top
manager svedesi vedendo Erzelli.
Elisabetta Migone va spesso in Cina anche per seguire un progetto che sta molto caro a
Rasero: integrare alle altre attività che sorgono qui a Erzelli un polo medico. La Regione
Liguria sta già progettando di creare un nuovo ospedale di ricerca proprio su questa
collina, e gli investitori cinesi sono interessati proprio a tale progetto.
102
La parte più delicata e avveniristica del Parco è quella che riguarda l'incubatore di start-up.
Due trentenni come Maria Silva ed Elisabetta Migone sono naturalmente già in contatto
con realtà interessanti come la Fondazione Mind the Bridge17 (quella che porta i giovani
innovatori italiani nella palestra-incubatore di San Francisco), sono consapevoli del rischio,
presente soprattutto in Italia, di trasformare le start-up in un fenomeno mediatico, più
marketing che sostanza.
"Bisogna concentrarsi sulla sostanza e selezionare progetti che abbiano una vera
consistenza industriale, una competenza dimostrabile". (Maria Silva).
Aiuta il fatto che Genova abbia avuto tante eccellenze tecnologiche, solo in parte colpite
dalla crisi. E non è un caso che questo Parco di Erzelli stia decollando proprio mentre dalla
parte "antica" della città, il porto di Genova, si moltiplicano i segnali di ripresa dell'export
Made in Italy. Certo, dalla nascita di Genova High Tech (di cui parleremo nel paragrafo
successivo) nel 2003 sono passati dieci anni, dalla firma del primo accordo con l'università
(2007) ne sono trascorsi sei. Sono tempi quasi storici, rispetto alla velocità del
cambiamento in Cina o in California. I soci tutti privati di GHT hanno già investito 1,5
miliardi di Euro, la facoltà di Ingegneria si è fatta pregare molto, prima di rassegnarsi a
lasciare la sua sede storica nel pieno centro città: "elegante, affascinante, perfino
romantica - la definisce Maria Silva - ma poco adatta a fare ricerca avanzata”.
17 http://mindthebridge.org/
103
2.13 Evoluzione cronologica del Parco Scientifico Tecnologico degli Erzelli
Agli inizi degli anni 2000, un gruppo d'imprenditori e manager liguri riuniti sotto
l'associazione DIXET (di cui abbiamo precedentemente parlato) costituiscono la società
Genova High-Tech (GHT) S.p.A finalizzata proprio alla realizzazione del polo tecnologico.
La società viene capitanata da Carlo Castellano, amministratore delegato di Esaote Spa e
da Giuseppe Rasero, ex dirigente dell'IRI. Nella società sono presenti, tra le altre, quote di
Intesa San Paolo, Banca Carige, Aurora Costruzioni, Coop Liguria, Prometeo Srl di
Giuseppe Rasero, Talea SpA ed EuroMilano Spa, la società immobiliare che ha progettato
il campus universitario Bovisa del Politecnico di Milano nella zona nord del capoluogo
lombardo.
• Nel 2003 Genova High Tech firma un impegno d'acquisto dell'area degli Erzelli da Aldo
Spinelli, allora proprietario dell'area che usava per il deposito container. Nel 2006 viene
conclusa la vendita, con il versamento di 39 milioni di euro.
• Nell'ottobre 2006 è stato siglato l’accordo di pianificazione tra Regione Liguria,
Provincia e Comune di Genova, che approvava la variante urbanistica inerente l’intera area
di Erzelli.
• Nel dicembre 2006 viene sottoscritto un "atto d'intenti" tra Regione Liguria e Università
di Genova per ottenere risorse per la Facoltà di Ingegneria a Erzelli.
• Nell'aprile 2007 viene firmato un'accordo di programma tra Comune di Genova, Regione
Liguria, Università di Genova e Genova High-Tech che prevede la costruzione del parco
tecnologico con ampi spazi per aziende high tech, oltre al trasferimento della Facoltà
d'Ingegneria dell’Università di Genova e di alcuni laboratori del CNR.
• Da aprile 2009 hanno il via i lavori di costruzione del Parco Scientifico Tecnologico,
chiamato PST "Leonardo Da Vinci".
104
Il progetto del nuovo Parco Scientifico Tecnologico di Genova prevede, oltre alla
realizzazione di una nuova sede per la Facoltà d'Ingegneria dell’Università di Genova, la
costruzione di edifici per centri di ricerca e aziende high tech come Siemens ed Ericsson, la
creazione di un parco urbano con strutture ricreative, servizi commerciali e culturali,
laboratori e residenze per studenti e ricercatori. Il parco tecnologico sarà interamente
connesso ad una rete wi-fi a banda larga.
• Nel corso del 2012 altre entità scientifiche e industriali hanno espresso la propria volontà
di considerare un eventuale trasferimento agli Erzelli. Tra queste, il Consiglio Nazionale
delle Ricerche (CNR) nonché la giapponese Toshiba.
• Nel maggio 2012 effettua il trasferimento agli Erzelli la sede genovese della
multinazionale Ericsson.
• Nel luglio 2012 il Consiglio d'Amministrazione dell’ateneo genovese ha espresso parere
negativo al trasferimento per la Facoltà d'Ingegneria dell’Università di Genova per
problemi di copertura economica dell'operazione. Tuttavia nei mesi successivi si sono
rimesse in moto le trattative tra Regione Liguria, Università di Genova e Genova High-
Tech per migliorare le condizioni per il trasferimento della facoltà ingegneristica presso la
collina del ponente cittadino. Il rettore dell'Università di Genova ha annunciato che una
decisione definitiva sarà presa entro la primavera 2013.
• Nel luglio 2013 anche Confindustria Genova ha ribadito il pieno appoggio all'operazione
Erzelli.
• A fine luglio 2013 è arrivata la formale accettazione da parte del senato accademico
dell'Università di Genova per il trasferimento della facoltà d'ingegneria ad Erzelli. Il 31
luglio 2013 a Roma, Regione Liguria, Università di Genova, Comune di Genova, Agenzia
Nazionale Invitalia e Ministero per lo Sviluppo Economico hanno ufficializzato e
sottoscritto l'accordo definitivo per il via libera al progetto.
105
• Nell'estate 2013 il progetto del Parco Scientifico Tecnologico sembra aver preso
definitivamente forma, e il suo interesse aumenta sia tra la popolazione genovese sia, di
conseguenza, nella carta stampata. In quel periodo, il giornalista e saggista Federico
Rampini pubblica sul quotidiano “la Repubblica” un reportage sul progetto Erzelli, in cui
tra le altre cose scrive:
«Diversi segnali mi sembrano incoraggianti: lo spirito di cooperazione tra pubblico e
privato, l'incrocio fra ricerca pura e applicazioni industriali, l'alleanza fra "grandi vecchi"
come Carlo Castellano che sono custodi di un "know how" genovese, e una giovane leva di
manager cosmopoliti (tra cui molte donne trentenni). Insomma mi è parso che Erzelli sia
un caso in cui una serie di forze genovesi sono riuscite a pensare positivo, come si usa in
America». (F. Rampini, 2013).
• Nel dicembre 2013 viene aperta, presso il parco tecnologico degli Ezelli, una sede di
Talent Garden, dedicata al "coworking".
• Agli inizi del 2014 Roberto Cingolani, direttore scientifico dell' IIT (di cui parleremo
nello specifico), ha confermato l'intenzione del centro di ricerca scientifica da lui diretto di
aprire nel parco degli Erzelli un laboratorio dedicato alla robotica riabilitativa.
• A metà gennaio 2014 purtroppo un nuovo ostacolo si presenta di fronte al progetto. Una
sentenza dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP) stabilisce che il
trasferimento della Facoltà d'Ingegneria dell'Università di Genova necessita d'una gara
d'appalto a livello europeo.
• A fine gennaio 2014 anche la multinazionale tedesca Siemens ha trasferito la sua sede
genovese presso il parco tecnologico degli Erzelli.
• Nei mesi successivi gli attori coinvolti si sono impegnati per permettere all'Università di
Genova d'acquistare direttamente il terreno dove dovrà sorgere la Facoltà d'Ingegneria che
nel frattempo ha cambiato nome in "Scuola Politecnica". Riguardo al progetto, alcuni
docenti universitari hanno espresso dubbi sulla logistica e sul trasporto delle persone dal
centro città alla collina del parco.
106
• Alla fine di Aprile 2014 è arrivato il parere positivo dell'Autorità per la Vigilanza sui
Contratti Pubblici (AVCP) sul trasferimento della Scuola Politecnica dell'Università di
Genova presso il parco tecnologico degli Erzelli.
Quando quindi gli ultimi dubbi di fattibilità del progetto sembrano essere sgomberati, a
sorpresa il preside della Scuola Politecnica (nonché candidato rettore dell'Università di
Genova) Fausto Massardo fa approvare in Consiglio di Facoltà un documento per bloccare
nuovamente il trasferimento della facoltà presso il polo tecnologico. Questa scelta
inspiegabile viene considerata da molti come una boutade elettorale, rischia purtroppo
d'aumentare ulteriormente i ritardi per i lavori di completamento del parco.
Nonostante i costanti ritardi, il Parco Tecnologico ha preso forma. Concludiamo il
paragrafo con un pensiero espresso da Rasero, che spiega il suo intento e le sue elevate
aspettative verso il parco tecnologico:
«…Alla fine, anche lo Stato e le sue Istituzioni stanno facendo la loro parte. Stiamo
riuscendo a pensare in grande, il nostro modello è un'intuizione come il Cern di Ginevra,
che i fondatori della Comunità europea vollero creare mezzo secolo fa e oggi sembra
quasi un miracolo. Noi qui stiamo creando le condizioni per una diversità notevole:
scientifica, economica, etnica, culturale. Se in questo Parco lavorano insieme l'impresa, la
ricerca ingegneristica, la medicina, il potenziale creativo sarà fantastico. Siamo in un
luogo ideale: tutti i trend demografici dicono che le élite di talento si spostano verso le
città, e verso il mare. Questo è un laboratorio che avrà rilevanza globale, non solo per
l'Italia…» 18.
18 Tratto da: Rampini F. Erzelli: Come la Silicon Valley, ecco il Parco del futuro, 12/08/2013, La Repubblica
107
CAPITOLO 3
L’ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA (IIT)
3.1 Prefazione al Capitolo
Il fulcro della tesi è analizzare come l’innovazione tecnologica possa incrementare il
fenomeno dello sviluppo locale e quindi generare benessere a livello sociale. Oltre agli
esempi già citati, il mio compito sarà analizzare l’Istituto Italiano di Tecnologia nato a
Genova circa dieci anni fa; essendo Ligure, ho avuto modo di entrare in contatto con IIT
personalmente, raccogliendo le informazioni necessarie (anche tramite una piccola
intervista) direttamente alla fonte. IIT è un esempio brillante di come Tecnologia, Sviluppo
Locale, Università e Benessere siano sì diverse variabili, ma tutte appartenenti alla stessa
equazione, per questo motivo, sarà dedicato molto spazio all’analisi dell’istituto, dalla sua
organizzazione interna al suo operato.
Immagine 1. L’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, visto dall’ingresso.
108
3.2 IIT: storia e l’intervento dello Stato italiano
L'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) è un centro di ricerca scientifica statale, governato da
una Fondazione e creato per promuovere la ricerca scientifica in Italia. La sede scientifica
è a Genova, mentre conta diversi centri di ricerca distaccati e attivi in varie città italiane, in
collaborazione con diverse Università. Il direttore scientifico, nonché ideatore del progetto,
è il fisico Roberto Cingolani.
Per quanto riguarda l’intervento dello Stato per favorire lo sviluppo, va nominata la Legge
24 novembre 2003, n. 326. Tale legge, il cui titolo I riporta: “Disposizioni per favorire lo
sviluppo”, descrive direttamente l’Istituto Italiano di Tecnologia, la sua fondazione e gli
interventi strutturali necessari. Riporto direttamente l’articolo 4:
Legge 24 novembre 2003, n. 326. Articolo 4: Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) 1
1. E' istituita la fondazione denominata Istituto italiano di tecnologia (IIT) con lo scopo di
promuovere lo sviluppo tecnologico del Paese e l'alta formazione tecnologica, favorendo
così lo sviluppo del sistema produttivo nazionale. A tal fine la fondazione instaura rapporti
con organismi omologhi in Italia e assicura l'apporto di ricercatori italiani e stranieri
operanti presso istituti esteri di eccellenza.
2. Lo statuto della fondazione, concernente anche l'individuazione degli organi
dell'Istituto, della composizione e dei compiti, e' approvato con decreto del Presidente
della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri
dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'economia e delle finanze.
1 Tratto da: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/03326l.htm.
109
3. Il patrimonio della fondazione e' costituito ed incrementato da apporti dello Stato, di
soggetti pubblici e privati; le attività, oltre che dai mezzi propri, possono essere finanziate
da contributi di enti pubblici e di privati. Alla fondazione possono essere concessi in
comodato beni immobili facenti parte del demanio e del patrimonio disponibile e
indisponibile dello Stato. Il trasferimento di beni di particolare valore artistico e storico e'
effettuato di intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali e non modifica il regime
giuridico, previsto dagli articoli 823 e 829, primo comma, del codice civile, dei beni
demaniali trasferiti.
4. Al fine di costituire il patrimonio dell'Istituto Italiano di tecnologia, i soggetti fondatori
di fondazioni di interesse nazionale, nonché gli enti ad essi succeduti, possono disporre la
devoluzione di risorse all'Istituto fino a 2 anni dopo la pubblicazione dello statuto di cui al
comma 2, con modifiche, soggette all'approvazione dall'autorità vigilante, degli atti
costitutivi e degli statuti dei propri enti. Con le modalità di cui al comma 2, vengono
apportate modifiche allo statuto dell'Istituto per tenere conto dei principi contenuti negli
statuti degli enti che hanno disposto la devoluzione.
5. Ai fini del rapido avvio delle attività della fondazione Istituto italiano di tecnologia, con
decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, sono nominati un commissario unico, un comitato
di indirizzo e regolazione ed un collegio dei revisori. Il commissario unico con i poteri
dell'organo monocratico realizza il rapido avvio delle attività della fondazione Istituto
italiano di tecnologia in un periodo non superiore a due anni dalla sua istituzione di cui al
comma 1 ed al termine rende il proprio bilancio di mandato.
6. Per lo svolgimento dei propri compiti il commissario unico e' autorizzato ad avvalersi,
fino al limite massimo di 10 unità di personale, anche delle qualifiche dirigenziali,
all'uopo messo a disposizione su sua richiesta, secondo le norme previste dai rispettivi
ordinamenti, da enti ed organismi di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni ed integrazioni. Può avvalersi, inoltre,
della collaborazione di esperti e di società di consulenza nazionali ed estere, ovvero di
università e di istituti universitari.
110
7. Per le finalità di cui al presente articolo, la Cassa depositi e prestiti e' autorizzata alla
emissione di obbligazioni e alla contrazione di prestiti per un controvalore di non oltre
100 milioni di euro. Nell'ambito della predetta somma la Cassa depositi e prestiti e'
autorizzata ad effettuare anticipazioni di cassa, in favore del commissario unico nei limiti
di importo complessivi stabiliti con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze che
fissano, altresì, le condizioni di scadenza e di tasso di interesse.
8. Gli importi delle anticipazioni concesse dalla Cassa depositi e prestiti al commissario
unico devono affluire in apposito conto corrente infruttifero aperto presso la Tesoreria
centrale dello Stato, intestato alla fondazione Istituto italiano di tecnologia e ne
costituiscono il patrimonio iniziale.
9. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede, a decorrere dal 2005 e per un
massimo di venti anni, al rimborso alla Cassa depositi e prestiti dei titoli emessi, dei
prestiti contratti e delle somme anticipate, secondo modalità da stabilire con propri
decreti. Gli interessi di preammortamento, calcolati applicando lo stesso tasso del
rimborso dei titoli emessi, dei prestiti contratti o delle anticipazioni sono predeterminati e
capitalizzati con valuta coincidente all'inizio dell'ammortamento e sono corrisposti con le
stesse modalità, anche di tasso e di tempo.
10. A favore della fondazione, ai fini della sua valorizzazione, e' autorizzata la spesa di 50
milioni di euro per l'anno 2004 e di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2005
al 2014.
11. Tutti gli atti connessi alle operazioni di costituzione della fondazione e di conferimento
e devoluzione alla stessa sono esclusi da ogni tributo e diritto e vengono effettuati in
regime di neutralità fiscale.
Il punto 10 sicuramente è il più diretto: l’Istituto ha ricevuto dunque un finanziamento
dallo Stato Italiano di 50 milioni di euro per l’anno 2004, e 100 milioni di euro per
ciascuno degli anni dal 2005 al 2014.
111
La legge 326/2003 ha scatenato numerose reazioni da parte dalla comunità scientifica,
politica e industriale Italiana, creando diverse fazioni: gli scettici, i favorevoli e i contrari,
successivamente saranno analizzati alcuni articoli di giornale e punti di vista discordanti.
3.2.1 Gli scettici
Sin dalla sua nascita, l'IIT ha ricevuto diverse critiche per l’ingente quantità di fondi
Statali, considerata da alcuni eccessiva rispetto alle dotazioni di altri Istituti Universitari e
di ricerca. Per un breve periodo il presidente del centro, Vittorio Grilli, è stato
contemporaneamente anche direttore generale del Ministero del Tesoro; per risolvere il
conflitto di interessi a dicembre 2011 Gabriele Galateri di Genola gli è subentrato. Dopo i
primi anni, numerose critiche sono inoltre cadute sull'IIT riguardo alla scarsità di risultati
rispetto all'alto numero di fondi pubblici ricevuti.
Così scrive Angelo Leopardi in un articolo per Leragioni.it nel novembre 2010:
«…Consideriamo uno dei dipartimenti, quello di robotica (Advanced Robotics), e
prendiamo come anno di riferimento il 2009. Risultano 52 pubblicazioni, di queste solo 9
sono articoli su riviste con revisione paritaria ("peer review"), 2 sono contributi su libro e
ben 41 sono articoli presentati a convegni. Se ripetiamo lo stesso esercizio per gli altri
gruppi di ricerca troviamo una situazione migliore. In totale nel 2009 i ricercatori IIT
hanno prodotto circa 200 articoli su riviste internazionali, un risultato sicuramente buono
anche se non eccezionale, considerando che, sommando i componenti di tutti i gruppi di
ricerca, si arriva a circa 300 persone. Passiamo alle richieste di brevetto: anche qui
abbiamo un risultato buono, ma sicuramente non sconvolgente: 12 richieste di brevetto nel
2009. Per comprendere questi numeri dobbiamo confrontarli con quelli di strutture di
ricerca con analoghi finanziamenti. I ricercatori del Politecnico di Torino (che ha un
Fondo di Finanziamento Ordinario poco superiore ai 100 milioni di euro / anno, quindi
quasi uguale a quello dell'IIT) hanno prodotto circa 700 articoli su rivista nell’anno 2009.
I brevetti sono stati 18… ». 2
2 Leopardi A. : Tratto da "Che fine ha fatto l’Istituto Italiano di Tecnologia? Una “storia italiana”", 2010-
11-08, Leragioni.it
112
3.2.2 I favorevoli
L’economista Francesco Giavazzi, ha scritto nel 2003 su Corriere della sera:
«…Perché sia un successo, IIT deve superare molte difficoltà. Innanzitutto il rapporto con
le Università. Senza studenti un istituto di soli ricercatori diverrebbe presto sterile: ciò
significa collocarlo in una città dove c’è un'università eccellente. Genova, di cui si è
parlato, ha il vantaggio di un ambiente industriale fertile, frutto della tradizione di
imprese come Ansaldo, ma una Università non altrettanto vivace: forse meglio Pisa, dove
già esistono eccellenze, non solo alla Scuola Normale. Poi le aree di ricerca dalle quali
partire, poche, individuate tra quelle dove più alta è la probabilità di raggiungere in breve
la frontiera della ricerca - o perché già esistono in Italia laboratori eccellenti, o perché si
spera di convincere qualche ricercatore, non solo italiano, a spostarsi in Italia. Le
biotecnologie e la filiera della fisica, da quella teorica alla tecnologia dei materiali,
sembrano aree ovvie. Il rapporto con le imprese è particolarmente delicato: uno dei fattori
del successo è la possibilità di trasferire nuova tecnologia all'industria: questo richiede
imprese che sappiano utilizzare tecnologie di frontiera. Nella fisica dei materiali è
naturale pensare alla St. Microelectronics, una delle poche imprese europee (è una società
italo-francese) che regge la concorrenza dei colossi americani, Intel e Motorola. Ma vi è il
rischio che il rapporto con le imprese distorca il progetto: senza ricerca di base si fa
design o innovazione di processo, non scienza di frontiera, nella quale c’è cesura tra
ricerca astratta e ricerca applicata. Se IIT uscirà indenne dal Parlamento, la palla
passerà al mondo della ricerca: a quel punto la responsabilità dell'occasione sprecata
sarebbe in gran parte nostra. IIT deve essere visto come un’opportunità da cogliere, uno
strumento per far compiere un salto al paese, perché introdurrà la competizione nel
mondo dell'università e della ricerca e romperà lobby e baronie…». 3
3 Giavazzi F. : Tratto da”Una Cambridge anche in Italia”, 23-10-2003, Il Corriere della Sera.
113
La posizione di Giavazzi è sicuramente più propositiva, anche se con qualche riserva. Egli
auspica all’impegno degli attori convolti nel creare un Istituto che possa davvero fare la
differenza, sul piano scientifico e occupazionale, descrivendo IIT come “un’opportunità da
cogliere”.
3.2.3 I contrari
Intervista al Prof. Carlo Rubbia, Premio Nobel per la Fisica (da parte di Giovanni Caparra,
4-11-2003, Il Corriere della Sera4):
«Professor Carlo Rubbia, le piace l’idea dell’IIT, il nuovo istituto per la ricerca applicata
previsto dalla legge finanziaria?»
«…Mi pare che non ci sia molta consapevolezza su che cosa significhi la nascita di un
organismo del genere: tutto è molto più complicato di quanto si immagina. Devo
constatare che c’è un silenzio assordante sugli altri enti italiani di ricerca già esistenti
come il CNR, l’istituto di fisica nucleare, lo stesso Enea. Per cominciare a raccogliere
qualche frutto da una istituzione nuova occorrerà una decina d’anni e intanto che cosa
succede agli altri enti? E poi perché crearne un altro se quelli già attivi possono fare le
stesse cose? Di questi, invece, non si parla più. Risolviamo i problemi che hanno ma
salviamo ciò che di buono offrono e sosteniamoli con una politica di sviluppo. Si destinano
100 milioni di euro l’anno al neonato organismo quando l’intero contributo dello Stato
all’Enea, 3.700 dipendenti e 10 laboratori, è di 200 milioni di euro l’anno. Che cosa poi
debba fare il fantomatico IIT è oscuro…».
«Dovrebbe svolgere una ricerca applicata... »
4 Giovanni Caparra, Intervista a Carlo Rubbia: No al Mit Italiano – Il Corriere della Sera- 4-11-2003
114
«…La ricerca applicata è una banalità. Come diceva Einstein esistono soltanto le
applicazioni della ricerca. Prima, però, bisogna investire nella scienza fondamentale.
Oggi non avremmo l’ingegneria genetica se Watson e Crick non avessero scoperto
cinquant’anni fa la struttura del Dna. Puntare solamente alla ricerca applicata è un
grosso errore…».
«E allora su che cosa dobbiamo puntare?»
«Sui ricercatori. Nei discorsi che si ascoltano negli ultimi tempi ci si dimentica degli
uomini e delle donne che fanno ricerca. Inseguiamo modelli stranieri ma intanto da tre
anni sono bloccate le assunzioni e oggi l’età media di chi lavora è intorno ai 50 anni,
quindi fuori gioco. Nel frattempo ci sfuggono le nuove generazioni dalle quali nascono i
risultati. In altre parole, si è perso il fulcro della discussione».
«E poi su che cosa crede che bisognerebbe investire?»
«Sulle infrastrutture, gli strumenti, che nei nostri centri sono vecchi, superati e non ci
permettono di essere competitivi. Dobbiamo rimettere in funzione la ricerca pubblica,
riempire i laboratori di giovani e la messe fiorirà».
Il ministro Letizia Moratti ha varato una strategia della ricerca. Non è adeguata?
«Sono state formulate solo delle linee guida generali. Possono andare bene ma ancora non
c’è un vero piano destinato a precisare che cosa si vuol fare e, soprattutto, con quali
risorse. Quel piano, poi, dovrebbe nascere con il concorso degli scienziati e non fatto
scendere dall’alto. Così perdiamo tempo e andiamo indietro invece che progredire».
Il governo vuole arrivare per la fine della legislatura a spendere l’1% del Pil nella ricerca
pubblica, mentre un altro 1% dovrebbe essere garantito dal mondo privato...
115
«Mancano due anni alla fine della legislatura e non vedo cambiamenti in prospettiva
rispetto alle risorse attuali: alla fine rimarrà il solito 1%, tutto compreso. Nascondersi
dietro le difficoltà economiche internazionali non serve. I Paesi nordici sono nella stessa
condizione ma investono intorno al 3% e cifre altrettanto pesanti dedicano Francia,
Germania, Giappone e Usa. Ci siamo dimenticati che i ministri della ricerca europei a
Barcellona nel 2000 si sono impegnati ad arrivare in dieci anni ad una spesa, per l’Ue,
pari al 3% del Pil».
«Rinnovando le strutture, aprendo ai giovani e garantendo risorse potremmo emergere dal
fondo delle statistiche internazionali in cui ci troviamo per innovazione e competitività?»
«No. Ci vuole anche un cambiamento di metodo. In Italia si lavora con la mentalità del
singolo ricercatore. Invece, oggi, per vincere bisogna fare team. Poi occorre modificare il
modo di gestire la ricerca. Un esempio: nel ’99 l’Enea ha presentato un piano
sull’idrogeno che doveva essere finanziato con soldi recuperati dalle licenze per i cellulari
Umts. Erano stati garantiti 100 milioni di euro. Poi tutto si complicò e solo all’inizio di
quest’anno si è iniziata una valutazione, ma con disponibilità ridotta a un quarto.
Conclusione: si sono persi 4 anni. Un ricercatore impegnato su questo fronte che cosa
dovrebbe fare intanto?».
«Per migliorare le cose è utile cercare di riportare a casa gli scienziati italiani che lavorano
all’estero?»
«In nessun Paese straniero verrebbe in mente di lanciare un’operazione del genere. Io mi
preoccuperei soprattutto di quelli che sono in Italia. Abbiamo tanti cervelli eccellenti che
non hanno le possibilità di esprimersi: pensiamo a loro invece di rimpatriare uomini con il
miraggio di non far pagare le tasse per incentivarli. Pensiamo a non fare scappare quelli
che abbiamo, che essendo bravi vengono subito accettati all’estero dove fanno carriera.
116
«E poi chi lavora all’estero cosa verrebbe a fare in Italia, senza risorse per la ricerca,
senza infrastrutture, senza un’organizzazione adeguata?».
3.3 IIT, Descrizione e composizione interna
La struttura di ricerca, presso la sede genovese, è articolata in vari dipartimenti e
laboratori5:
a. Robotica avanzata (Advanced Robotics);
b. scoperta e sviluppo di farmaci (Drug Discovery and Development);
c. neuroscienze e tecnologie del cervello (Neuroscience and Brain Technologies);
d. robotica, scienze cognitive, del cervello (Robotics, Brain and Cognitive Sciences);
e. nanochimica (Nanochemisty);
f. nanostrutture (Nanostructures);
g. nanofisica (Nanophysics);
h. analisi di modelli e visione automatica ("Pattern Analysis and Computer Vision");
i. Nikon Imaging Center (NIC@IIT), centro di microscopia ottica.
Immagine 2: Progetto Definitivo dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). 5 Per maggiori informazioni: http://www.iit.it.
117
Dalla fondazione dell'istituto fino al 2010 è stato attivo anche un dipartimento di
Telerobotica, chiuso poi per il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati. Sul piano
contrattuale, l'istituto ha scelto di seguire l'impostazione del Max Planck Institute tedesco:
per gli scienziati e i ricercatori non esistono posizioni a tempo indeterminato, ma soltanto
contratti con validità quinquennale, rinnovabili soltanto nel caso lo scienziato abbia
raggiunto gli obiettivi prefissati. L'amministrazione prevede un consiglio e un comitato
esecutivo. Il programma di dottorato di ricerca viene gestito dall'IIT insieme all'Università
di Genova.
3.4 Centri IIT nel mondo
I Centri IIT6 costituiscono uno strumento fondamentale per l’ampliamento del portafoglio
degli obiettivi di ricerca previsto dal piano strategico 2009-2011. Logisticamente si trovano
presso realtà accademiche e scientifiche di eccellenza e sono parte integrante
dell’organizzazione nazionale di IIT, permettendo così di collaborare, con personale di
ricerca proprio e strumentazione all’avanguardia, con il sistema di ricerca nazionale.
Tra i principali centri vi sono:
1. Center for Space Human Robotics IIT@PoliTo - Politecnico di Torino;
2. Center for Nano Science and Technology IIT@PoliMi - Politecnico di Milano;
3. Center for Genomic Science IIT@Semm - Istituto FIRC, Milano;
4. Center for Neuroscience and Cognitive Systems IIT@UniTn - Università di
Trento.
5. Brain Center for Motor and Social Cognition IIT@UniPr - Università di Parma;
6. Center for Nanotechnology Innovation IIT@NEST - Normale di Pisa;
7. Center for Micro-Biorobotics IIT@SSSA - Sant'Anna di Pisa;
6 http://www.iit.it/en/research/centers.html.
118
8. Center for Advanced Biomaterials for Health Care IIT@CRIB - Università di
Napoli;
9. Center for Biomolecular Nanotechnologies IIT@UniLe - Università di Lecce;
10. Center for Nano Science IIT@Sapienza - Sapienza Università di Roma;
11. Laboratory for Computational and Statistical Learning IIT@MIT, Boston, U.S.A;
12. Laboratorio per lo Studio della funzione nervosa, Ospedale San Martino, Genova;
Nel resoconto relativo all'attività scientifica del 2012, curato dal direttore scientifico
Roberto Cingolani e pubblicato nell'estate 2013 sul sito web dell'Istituto, si annuncia
l'imminente avvio d'un nuovo laboratorio IIT presso il Dipartimento di Neurobiologia7
della Harvard University a Boston negli Stati Uniti. Nel Novembre 2013 un accordo di
collaborazione scientifica è stato firmato tra IIT e istituto scientifico russo Skoltech
(Skolkovo Institute of Science and Technology), situato a Skolkovo, vicino a Mosca.
Agli inizi del 2014 Roberto Cingolani, direttore scientifico dell'Istituto Italiano di
Tecnologia, ha dichiarato l'intenzione del centro di ricerca scientifica da lui diretto di aprire
un laboratorio dedicato alla robotica riabilitativa nel parco scientifico tecnologico degli
Erzelli a Genova.
3.5 I primi risultati
IIT fa parte delle istituzioni censite e valutate dal Scimago Institution Rankings (SIR), la
classifica mondiale delle istituzioni di ricerca prodotto ogni anno da Scimago. Per poter
essere censiti è necessario aver pubblicato almeno 100 documenti scientifici di qualsiasi
tipo (articoli, revisioni, lettere, articoli di conferenze, ecc.) nell'ultimo anno del
quinquennio a cui si riferisce il report, e che siano censiti da Scopus (base di dati).
7 http://neuro.med.harvard.edu/resources-funding/department-funding-sources.
119
Nel SIR 20098 (riferito al quinquennio 2003-2007) IIT non è stato censito perché non
esisteva per la maggior parte del periodo di riferimento. Nel SIR 2010 (riferito al
quinquennio 2004-2008), pur non esistendo negli anni 2004 e 2005, IIT si è piazzato alla
posizione 2823 su 2833 istituti nel mondo, ma in posizione 363 nella classifica per indice
di impatto normalizzato (NI, ossia la misurazione dell'impatto scientifico che le istituzioni
hanno sulla comunità scientifica). Nel SIR 2011 (riferito al quinquennio 2005-2008), IIT
sale alla posizione 2738 su 3042 istituti nel mondo, ma al 240º posto nella classifica per
indice di impatto normalizzato e al 1479º posto per tasso d'eccellenza.
Nel SIR 2012 (riferito al periodo 2006 - 2010), l'IIT raggiunge la posizione 1907a su 2640,
mentre nella classifica per impatto normalizzato va al 130º posto su 297 istituti. Nel SIR
2013 (relativo al periodo 2007 - 2011) l'IIT sale alla 1547a posizione su 2740, mentre nella
classifica per impatto normalizzato va al 140º posto su 309 enti analizzati.
3.5.1 Valutazione Anvur 2013
La valutazione dall'agenzia governativa Anvur (Agenzia Nazionale di valutazione del
sistema universitario e della ricerca9), relativa alla produzione scientifica di Università e
Centri di Ricerca scientifica italiani nel periodo 2004 - 2010, e resa pubblica nel luglio
2013 è risultata sostanzialmente positiva per l'IIT10.
In tutte le quattro aree scientifiche in cui l'istituto opera e per le quali è stato valutato
(scienze fisiche, scienze chimiche, scienze biologiche, e ingegneria industriale e
dell’informazione, risulta una valutazione media dei prodotti della ricerca scientifica
superiore alla media nazionale dell'area stessa.
8 http://www.scimagoir.com/pdf/SIR%20Global%202009%20O.pdf.
9http://www.anvur.org
10http://www.iit.it/it/notizie-a-eventi/notizie/1998-excellent-results-for-iit-in-the-evaluation-of-research-
anvur.html
120
In seguito alla pubblicazione dei risultati della valutazione Anvur, il presidente del
Comitato Esecutivo dell'IIT Gabriele Galateri di Genola ha espresso la sua soddisfazione.
L'Istituto Italiano di Tecnologia - IIT - nasce con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo
tecnologico del paese e l'alta formazione in ambito scientifico/tecnologico. In questo senso,
infatti, l'IIT è impegnato a realizzare il proprio programma scientifico, che vede
nell'integrazione fra la ricerca scientifica di base e lo sviluppo di applicazioni tecniche, il
principale principio ispiratore. Gli ambiti di ricerca riguardano campi della scienza
dall'elevato contenuto innovativo, che rappresentano le frontiere più avanzate della
tecnologia moderna, con ampie possibilità applicative in molteplici settori dalla medicina
all'industria, dall'informatica alla robotica, alle scienze della vita, alle nanobiotecnologie.
La ricerca è condotta seguendo piani strategici di durata triennale. Il primo Piano
Strategico (2005-2008), basato su 3 piattaforme, era focalizzato sullo sviluppo di
tecnologie umanoidi (Robotica, Neuroscienze, Scoperta Farmaci).
Il terzo Piano Strategico (2012-2014) mira a consolidare le basi poste negli anni precedenti
rafforzando l’impatto e il trasferimento dei prodotti della ricerca al sistema produttivo,
anche grazie ai risultati sinergici delle attività scientifiche interdisciplinari e a nuove
collaborazioni internazionali.
IIT ha pubblicato nel Maggio del 2011 un resoconto dettagliato sui suoi primi 5 anni11 di
vita. Da esso apprendiamo che le tappe fondamentali del percorso per l’istituzione e lo
svolgimento delle prime attività, riportate nel documento sottostante, sono le seguenti:
1) 2004-2005: a seguito della legge istitutiva di novembre 2003, è stato costituito un board
internazionale di esperti per la redazione dello statuto, della governance e della struttura
della Fondazione IIT.
11 http://www.iit.it/images/stories/scientific_plan/iit-primi-5-anni-report-ita.pdf.
121
2) 2005-2008: la fase di startup.
L’Istituto ha iniziato la sua attività scientifica il giorno 8 dicembre 2005, con l’assunzione
del Direttore Scientifico e ha terminato la fase di start up di 36 mesi nel dicembre 2008.
Nel luglio del 2006 sono stati selezionati i direttori di ricerca con un bando internazionale
su Nature e Science, cui hanno applicato 155 scienziati da tutto il mondo tra cui sono stati
selezionati 23 candidati.
La valutazione è stata effettuata da panel internazionali tematici costituiti ad hoc. Sono
stati assunti 6 direttori provenienti da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Italia. Durante
lo start up è stata inoltre allestita la sede centrale dei laboratori, ristrutturando
completamente l’edificio di circa 30.000 metri quadri situato a Genova.
Sono stati progettati oltre 20.000 metri quadri di laboratori di fisica, chimica, life science,
farmacologia e microscopia elettronica. Infine sono stati attivati numerosi dottorati di
ricerca in collaborazione con una rete multidisciplinare di Università e centri di ricerca in
Italia; sono state condotte interviste a migliaia di candidati e sono stati assunti gli
scienziati. Per quanto non fossero attesi risultati scientifici nel periodo di startup, lo
scaglionamento dell’avvio dei laboratori e dei diversi dipartimenti ha consentito il
raggiungimento di particolari traguardi, in termini di pubblicazioni, brevetti e contratti già
nei primissimi anni di attività.
3) 2009-2011: è stato completato il laboratorio centrale di Genova e il suo staff (circa 600
unità, aggiornato al dicembre 2010). Nell’ultimo quadrimestre del 2009 è iniziata la
costituzione di dieci laboratori IIT presso alcune importanti istituzioni di ricerca e
accademiche italiane (La cd rete dei centri IIT). Tali strutture hanno durata quinquennale,
rinnovabile sulla base della valutazione fatta dal Comitato tecnico scientifico della
fondazione (CTS).
122
Ciascuno dei centri della rete è istituito presso infrastrutture messe a disposizione dalla
struttura ospite, dove scienziati IIT lavorano con strumentazione propria. In questi centri
collaborano anche numerosi ricercatori, e studenti della struttura ospite, tutti associati
all’IIT, in modo da aumentare la sinergia fra IIT, Università ed enti di ricerca.
3.6 Operatività e piano scientifico
IIT è un istituto di ricerca fortemente interdisciplinare che sviluppa sia ricerca di base sia
ricerca tecnologica nell’ambito di un piano scientifico triennale approvato dal CTS e dagli
organi della Fondazione. L’interdisciplinarietà di IIT discende innanzitutto dalla
concezione del piano scientifico che si articola nello sviluppo di sette piattaforme
scientifico-tecnologiche complementari e sinergiche, che si differenziano in 7 dipartimenti:
• Robotics Brain and Cognitive Sciences - RBCS ;
• Advanced Robotics - ADVR ;
• Neuroscience and Brain Technologies – NBT;
• Drug Discovery and Development - D3;
• Nanochemistry – NACH;
• Nanophysics – NAPH;
• Nanostructures – NAST;
Ciascuna piattaforma ha una “zona culturale” che si sovrappone con quelle vicine, in modo
da garantire che i risultati di ciascuna siano utili e funzionali allo sviluppo delle altre. (vedi
Figura 5) I centri della rete coinvolgono istituti attivi in differenti aree di ricerca (come per
esempio l’Università di Torino, di Milano, di Trento, di Pisa e di Lecce), tale
organizzazione consente ad IIT di disporre delle più avanzate conoscenze nei diversi
settori, necessarie allo sviluppo del piano scientifico, e contestualmente permette la
massimizzazione delle sinergie con la ricerca a livello nazionale, mediante lo scambio e la
condivisione di informazioni e risultati tra i diversi dipartimenti territorialmente dislocati
(in questo modo, per esempio, il dipartimento di Nanoscienza con sede a Milano può
comunicare con un dipartimento omologo di Pisa).
123
Figura 5 - Piattaforme di ricerca del piano scientifico 2009-2011. (Fonte: www.iit.it)
3.7 Lo staff
Le basi cui si fonda la visibilità e la reputazione scientifica internazionale dell’IIT sono:
• attrattività per i giovani ricercatori;
• internazionalità dello staff ;
• pubblicazioni e indicatori bibliometrici;
• progettualità scientifica.
La figura 6 mostra la crescita dello staff di IIT presso il laboratorio centrale di Genova e
l’impulso dovuto all’attivazione della rete dei centri. Una volta a regime (fine 2011/inizio
2012) l’intero IIT si assesterà su circa 1000 unità complessive. La successiva figura 7
mostra la distribuzione delle categorie di personale aggiornata a dicembre 2010. È
chiaramente dominante la percentuale di staff scientifico e di supporto tecnico a fronte di
una struttura amministrativa piuttosto leggera come nello standard degli istituti di ricerca
internazionali. A tutto dicembre 2010 la rete contava circa 190 unità di personale su un
124
totale di circa 750. La figura 8 mostra la distribuzione delle età associate alle tipologie di
profili scientifici, indicando una buona omogeneità fra le figure professionali.
L’età media risulta essere di circa 34 anni e quella per i ruoli apicali (senior e direttori) di
circa 49 anni.
Per quanto riguarda l’attrattività dei giovani, è importante sottolineare la larga base
rappresentata dai profili PhD e Post Doc, che, oltre a tenere bassa l’età media, garantisce il
necessario turnover su scala triennale. L’internazionalità dello staff è provata dalla
provenienza dei ricercatori da oltre 30 nazioni nel mondo (chiara indicazione di inversione
del fenomeno della cd. fuga dei cervelli) con una percentuale di 48% di ricercatori
provenienti dall’estero (28% di passaporti stranieri e 20% di italiani rientrati) e 52% di
italiani.
Figura 6 - Crescita dello staff del laboratorio centrale dal 2006 al 2010. (Fonte: www.iit.it)
Figura 7 - Staff a dicembre 2010: Distribuzione categorie di personale: Scienziati:
75.9% - Tecnici: 11.4% - Amministrativi: 12.6% (Fonte: www.iit.it)
125
Figura 8 - Distribuzione per età dei ricercatori IIT a dicembre 2010. (Fonte: www.iit.it)
Figura 9 - Nazionalità dei ricercatori IIt (Zone Blu) Dicembre 2010. (Fonte: www.iit.it)
126
L’insieme di questi dati mostra come l’Istituto sia stato in grado di attrarre scienziati di
giovane età ma con diversa seniority scientifica e diverso background da tutto il mondo.
(Figura 9) Questo è il risultato di un’attenta politica di selezione del personale e di
un’offerta al ricercatore in termini di proposta di lavoro, ambiente scientifico e budget di
ricerca, che ha cercato di perseguire le migliori pratiche internazionali.
3.8 Le pubblicazioni e gli indicatori bibliometrici
La figura 10 mostra la crescente produttività scientifica di IIT nei suoi primi 5 anni di vita.
Ad aprile 2011 IIT conta circa 1800 pubblicazioni scientifiche, il 70% delle quali sono
state pubblicate nell’ultimo biennio, da quando cioè è terminata la fase di start up e la
costruzione del laboratorio centrale. La rete dei centri IIT, lanciata nel settembre 2009, ha
prodotto nel 2010 circa 160 pubblicazioni, sia pur con organico e laboratori in fase di
costruzione. Parallelamente al raggiungimento della condizione di regime, è aumentata
anche la qualità delle riviste di pubblicazione.
Le pubblicazioni di IIT comprendono articoli su riviste scientifiche con comitato di
redazione internazionale, full papers e proceedings a conferenze internazionali con peer
review e capitoli di libri. Occorre precisare che l’impatto dei proceedings a conferenze
internazionali può essere più o meno alto in relazione ai settori scientifici di riferimento.
Nel caso della robotica, una delle piattaforme più grandi di IIT, i full papers a conferenze
internazionali sono i principali deliverables riconosciuti dalla comunità scientifica.
127
Figura 10- Pubblicazioni di IIT su riviste Internazionali, full papers e conference proceedengs con peer
review, libri o capitoli di libri. (Fonte: www.iit.it)
Figura 11 - Distribuzione statistica degli Impact Factor delle pubblicazioni di IIT su riviste Internazionali. (Fonte: www.iit.it)
128
La figura 11 mostra la distribuzione percentuale delle pubblicazioni su riviste scientifiche
internazionali suddivise per fasce di Impact Factor. Le riviste di alto impatto (IF>7:
Advanced Materials, JACS, Nature Publishing Group, PNAS, Physical Review Letters,
Neuron, etc.) rappresentano circa il 21% del totale delle pubblicazioni; è particolarmente
importante segnalare che la maggior parte di queste risalgono all’ultimo biennio, in linea
con le aspettative della Fondazione entrata nella fase di regime. La produttività di
pubblicazioni con IF fra 4 e 7 comprende tutte le principali riviste internazionali di settore
(American Physical Society, Applied Physics Letters etc..), il cui minor IF dipende dalla
più ristretta comunità a cui sono indirizzate e non da valutazioni di qualità. Considerazioni
analoghe valgono per le pubblicazioni con IF fra 1 e 4, tipiche della comunità robotica, che
in IIT ha contribuito in maniera rilevante alla produttività totale.
La figura 12 mostra un’analisi più approfondita della produzione scientifica di IIT, con
riferimento al numero di articoli pubblicati sulle riviste internazionali più prestigiose
(Impact Factor ≥7) negli ultimi anni. La varietà delle riviste scientifiche ad alto contenuto
tecnologico sottolinea chiaramente il livello di interdisciplinarietà raggiunto dalla
Fondazione.
129
0 5 10 15 20 25 30
Figura 12 - Riviste scientifiche con IF≥7 (in parentesi quadre) su cui sono comparsi articoli IIT
(Fonte: www.iit.it).
130
3.9 Fund raising e brevetti
Analizziamo infine i dati relativi al fund raising e ai brevetti di IIT. A tutto dicembre 2010,
IIT ha 32 Progetti Europei in corso, vinti su base competitiva a livello europeo. Inoltre,
conta ad oggi 1 vincitore e 2 finalisti di ERC grants, che rappresentano la selezione più
avanzata di progetti di ricerca individuale per giovani scienziati a livello europeo. A questo
vanno aggiunti circa 30 contratti e grant competitivi da strutture private e pubbliche,
nazionali e internazionali (Figura 13). Tutto ciò risulta in un portafoglio complessivo di
circa 16.5 milioni di Euro di progetti esterni, con una decisa tendenza ad aumentare vista
l’avvenuta approvazione di ulteriori nuovi grants sottomessi nel 2010 e approvati fra la
fine del 2010 e l’inizio del 2011. Per quanto riguarda le attività di trasferimento
tecnologico, occorre ricordare che l’obiettivo di sviluppare e cedere tecnologie richiede
tempi solitamente molto lunghi, in quanto dipende a sua volta dal raggiungimento di una
qualità scientifica e infrastrutturale di alto livello. Non esiste, infatti, possibilità di
sviluppare e trasferire tecnologie innovative al sistema produttivo se non si è prima
raggiunta una consolidata eccellenza scientifica in settori pertinenti e una reputazione
internazionale tale da essere attrattivi per le aziende.
In tal senso IIT ha cominciato ad essere produttivo e visibile a livello internazionale, grazie
essenzialmente al crescente numero di brevetti registrati (figura 14) e ai numerosi risultati
di rilievo tecnologico pubblicati e presentati a conferenze internazionali. È il caso del robot
umanoide iCub12, che è divenuto in pochi anni la più avanzata piattaforma open source nel
mondo per robotica umanoide sulla quale si studia lo sviluppo di capacità cognitive. Ad
oggi sono stati distribuiti 17 esemplari completi, oltre a diversi componenti, nei principali
laboratori di robotica europei ed è inoltre emerso un interesse crescente negli Stati Uniti e
in Giappone, sviluppando di fatto la più grande world community di robotica umanoide
esistente basata su tecnologia IIT.
12 http://www.icub.org/
131
Figura 13 - Numero di progetti finanziati da fondi esterni. (Fonte: www.iit.it)
Figura 14 - Numero di brevetti IIT depositti per anno. (Fonte: www.iit.it)
È da segnalare che di pari passo alla crescita della struttura, dal 2010 sono scaturite anche
alcune iniziative di trasferimento tecnologico maturate dai risultati della ricerca di IIT:
1) Sviluppo di un nuovo farmaco antidolore per il quale è pronta la fase di test preclinico
(Dipartimento D3)13;
2) costituzione di un laboratorio congiunto IIT;-Leica Gmbh per lo sviluppo di sistemi di
misura STED (Facility di Nanophysics)14;
3) Costituzione di un laboratorio congiunto IIT-Nikon Ltd, per lo sviluppo di microscopi
ottici a super risoluzione15, Facility di Nanophysics (che analizzeremo successivamente).
13 Per un approfondimento si veda: http://www.iit.it/it/notizie-a-eventi/notizie/notizie-2011.html?start=25.
14http://www.leica-microsystems.com/science-lab/institutions/detail/institute/iit-italian-institute-of-
technology-genoa-italy/show/institute/. 15http://www.iit.it/en/news/news/2014-news/2465-launch-of-nikon-imaging-centeriit-the-new-top-center-for-
optical-microscopy.html.
132
Esse testimoniano non solo la crescente capacità tecnologica di IIT, risultante dall’avvio
completo delle sue strutture negli ultimi due anni, ma anche la crescente attrattività su
aziende tecnologiche leader mondiali che investono su IIT per lo sviluppo di prodotti
innovativi. In generale, l’obiettivo del trasferimento tecnologico è di lungo termine. Si
ritiene che esso possa consolidarsi progressivamente nei prossimi anni e che i risultati
conseguiti ad oggi siano significativi e vadano nella direzione attesa.
3.10 Il processo di Valutazione di IIT
IIT è stato sottoposto a costante valutazione da parte di panel esterni composti da scienziati
stranieri16. Ogni anno i ricercatori di IIT producono un report di valutazione che per i
livelli apicali viene esaminato dal Comitato Tecnico Scientifico. Inoltre, periodicamente le
strutture di ricerca sono soggette a valutazione da parte di panel di esperti esterni.
Nel 2008 è stato effettuato il primo assessment da parte di un Comitato di Valutazione
nominato dal Consiglio della Fondazione e costituito da esperti dell’industria, della
consulenza e del mondo scientifico. Sempre nel 2008 è stata organizzata la prima
valutazione con on-site visit dei 3 dipartimenti di Robotica (ADVR, RBCS, TERA). Il
panel era composto da esperti provenienti dalle Università di Stanford, di Karlsruhe e dal
Massachusetts Institute of Technology (MIT).
Nel 2010 sono state effettuate tre on-site visits per la valutazione del dipartimento
TeleRobotics and Applications (TERA) a luglio, dei dipartimenti di Robotics Brain and
Cognitive Sciences (RBCS) e Advanced Robotics (ADVR) a settembre, e sempre nello
stesso mese del dipartimento Neuroscience and Brain Technologies (NBT). I panels
costituiti ad hoc erano costituiti da scienziati provenienti dall’Università di Stanford,
Harvard, Berkeley, Rockefeller, ETH-Zurigo, MIT e dai Laboratori Roche. I rapporti dei
panel sono stati positivi, tranne che per il dipartimento TERA. Per quest’ultimo le
valutazioni annuali del recente biennio mostravano il non raggiungimento degli obiettivi
prefissati; è stato pertanto necessario l’approfondimento da parte di un panel esterno.
16 Alcuni dati: http://fisiciaroundtheworld.wordpress.com/2013/04/03/chi-valuta-liit/
133
La commissione ha confermato la mancanza di una performance di elevato livello,
decretando la chiusura del dipartimento entro la metà del 2011.
Nel corso del 2011 e all’inizio del 2012 hanno avuto luogo le on-site visits delle strutture
più recenti di IIT: le facilities di Nanophysics, Nanochemistry e Nanostructures e il
dipartimento D3. Concludiamo ricordando che fino all’inizio del 2012 erano oltre 30 gli
accordi scientifici bilaterali siglati da IIT con enti di ricerca italiani e stranieri (fra cui
CNR, MIT, e Korean Institute of Technology etc.) e oltre 200 studenti di dottorato in
formazione.
3.11 I primi 6 anni
Il 2011 è coinciso con l’applicazione del piano scientifico 2012-2014.
Riprendendo in analisi le 7 piattaforme scientifico-tecnologiche, l’interdisciplinarietà e
complementarietà della ricerca di IIT è stata confermata dall’ampia distribuzione dei
profili scientifici dello staff di IIT, i quali sono riconducibili a 17 settori disciplinari
differenti, divisi quasi equamente fra hard-science e life science. Le pubblicazioni
scientifiche di IIT nel periodo 2006-201117 rispecchiano ulteriormente tale
interdisciplinarità; la figura 15 presenta la loro distribuzione nelle aree tematiche
individuate dalle categorie del database Scopus di Elsevier, mostrando la compresenza di
oltre 13 discipline diverse, le quali coprono la maggiore parte dei settori fondamentali delle
scienze tecniche (come ingegneria, informatica e scienze dei materiali) e numerosi settori
delle scienze della vita (come medicina, neuroscienze e biologia).
17 http://www.iit.it/images/stories/scientific_plan/iit-6th-year-2011-report-eng.pdf.
134
Figura 15 - Distribuzione delle pubblicazioni di IIT per area tematica, basata su campione di 1798
pubblicazioni (fonte: Database Scopus – www.scopus.com).
135
3.11.1 Il piano scientifico 2012-2014
Il nuovo piano scientifico18 ha forti elementi di continuità con quello precedente e rafforza
le attività sinergiche delle sette piattaforme scientifico-tecnologiche che lo articolano. In
particolare, il piano mira a valorizzare le caratteristiche interdisciplinari dell’attività
scientifica di IIT e a potenziare la sua capacità di trasferimento tecnologico. (Figura 16)
Figura 16 - Descrizione delle piattaforme scientifiche del piano scientifico 2012-2014. (Fonte: www.iit.it) 18 http://www.iit.it/images/stories/scientific_plan/iit-strategic-plan-2012-2014.pdf.
136
La colonna di sinistra elenca le entità biologiche la cui complessità cresce all’aumentare
della scala di grandezza: da quelle, come gli anticorpi, in cui il funzionamento e i
meccanismi di riconoscimento sono regolati principalmente da leggi biochimiche, fino
all’uomo, in cui l’interazione corpo-mente raggiunge i massimi livelli di complessità.
La colonna accanto rappresenta l’equivalente artificiale che viene sviluppato mediante
tecniche e tecnologie di tipo chimico, biochimico, micromeccanico, nanotecnologico,
cognitivo e biologico. Ciascuna entità-prototipo, dall’anticorpo all’uomo, ha un suo
equivalente artificiale bioispirato, che viene sintetizzato e/o assemblato grazie alla sinergia
di differenti tecnologie (chimiche e meccatroniche) e per cui è richiesta l’introduzione di
capacità cognitive crescenti. Ciascuna riga orizzontale dello schema rappresenta uno
specifico dominio disciplinare: chimica, biologia e biochimica sono i principali settori di
sviluppo e ricerca su virus, cellule, anticorpi e le loro controparti biomimetiche. La scienza
dei materiali, le nanotecnologie e la sensoristica contribuiscono all’incremento della
complessità delle architetture sino a giungere a sistemi animaloidi e umanoidi in cui
giocano un ruolo crescente le attività cognitive, il riconoscimento di immagini, la
percezione dello spazio e di se stessi, e la coordinazione senso-motoria.
3.11.2 Evoluzione dello staff e della produttività scientifica
Lo staff scientifico dei laboratori centrali di Genova, rispetto ai dati precedentemente
analizzati (del resoconto dei primi 5 anni di attività dell’IIT19) passa da 571 unità
(scienziati) a 611 (dati di fine 2011). Per quanto riguarda l’internazionalità dello staff di
IIT, Il 40% dei ricercatori provenienti dall’estero è costituito da un 23% di passaporti
stranieri e da un 17% di italiani rientrati. Quest’ultimo dato mostra un’inversione del
fenomeno della fuga dei cervelli, in quanto nei dati precedentemente analizzati, il 48%
dello staff proveniva dall’estero (quindi l’occupazione registra un aumento dell’8% di
scienziati Italiani).
19 http://www.iit.it/images/stories/scientific_plan/iit-first-5-years-report-eng.pdf.
137
3.11.3 Pubblicazioni e indicatori bibliometrici
Analizzando i dati relativi agli anni passati, c’è stato un notevole incremento degli output
di IIT: nel 2010 sono state prodotte circa 160 pubblicazioni, mentre nel 2011 salgono a
quasi 800. A fine del 2011 il database di IIT contava oltre 2000 pubblicazioni,
comprensive della produzione di tutti i settori, dal farmaceutico alla robotica. In media nel 2011 la produttività individuale si è attestata intorno a 2 pubblicazioni per
unità di staff (includendo direttori/coordinatori, senior scientist, team leader e post-doc). In
seguito al raggiungimento di una situazione di regime a Genova e alla crescita nella rete,
anche la qualità scientifica media di IIT è aumentata. La figura 11 mostra la produzione
scientifica globale di IIT suddivisa in quattro fasce di Impact Factor che riflettono
approssimativamente le classi di pubblicazioni su proceedings (IF=1-2), topical journals
(IF=2-4), riviste di settore di alto (IF=4-7) e di altissimo livello (IF>7). Oltre a dimostrare
che le riviste di alto impatto rappresentano il 47% del totale delle pubblicazioni (48% per il
2011), è particolarmente importante segnalare che l’Impact Factor globale di IIT cresce
costantemente negli anni, e che le pubblicazioni su riviste di prestigio sono aumentate del
46% dal 2010 al 2011. Pur essendo consapevoli delle limitazioni oggettive del significato
degli indicatori bibliometrici e della recente storia di IIT, l’insieme di questi dati indica che
l’Istituto continua a crescere in maniera rapida e a guadagnare visibilità nella comunità
scientifica mondiale.
3.11.4 Ranking Internazionale
La crescita a livello internazionale di IIT è confermata dal terzo SIR World Report 201120
(SIR 2011, Global Ranking) che presenta la classifica mondiale delle istituzioni di ricerca
prodotto da Scimago21. SIR 2011 analizza la produzione scientifica e gli indicatori
bibliometrici per il periodo 2005-2009 degli istituti scientifici che nell’anno 2009 abbiano
pubblicato almeno 100 lavori registrati dal database mondiale Scopus.
20 per leggere tutto il rapporto: http://www.ireg-observatory.org/pdf/sir_2011_world_report.pdf 21 www.scimagoir.com.
138
Ricordiamo che Scopus22 censisce la maggior parte delle pubblicazioni su International
Journals e in misura molto minore i full papers delle conferenze internazionali o i capitoli
di libro.
SIR 2011 ha recensito 3042 istituzioni di ricerca (di cui 1046 europee e 125 italiane) che
producono oltre l’80% delle pubblicazioni mondiali. SIR 2010 (anni di osservazione 2004-
2008) ne recensiva 2833, SIR 200923 (anni di osservazione 2003-2007) circa 2000. I
parametri della valutazione sono quantitativi, quali: il numero di output (O); la percentuale
di pubblicazioni su riviste scientifiche ad alto IF (Q1); la percentuale di pubblicazioni con
coautori di istituzioni di un’altra nazione (IC) e qualitativi, come: l’impatto normalizzato
(NI), dato dal valore medio di citazioni delle pubblicazioni di un ente rispetto alla media
mondiale delle riviste di settore nello stesso periodo di osservazione, definita pari a 1
(valori con NI< 1 sono associati a bassa qualità e hanno un indicatore rosso; valori con NI
fra 1 e 1.75 sono considerati medio-buoni con indicatore giallo; valori con NI> 1.75 danno
l’indicatore verde di eccellenza “green label of excellence”); il parametro “excellence rate”
(EXC) indica per ciascun istituto quale percentuale degli output prodotti entra a far parte
del gruppo del 10% delle pubblicazioni più citate in un dato campo scientifico, le “top
10%”, nel quinquennio di analisi.
IIT non esisteva nei primi due anni di osservazione del SIR 201024 (2004-2008), tuttavia le
pubblicazioni del 2008 sono state sufficienti a censirne la presenza nel ranking mondiale.
Per numero totale di output sul quinquennio di riferimento (216 pubblicazioni visibili a
Scopus), IIT era alla 2823esima posizione su 2833 istituti nel mondo. Al primo posto
compariva l’Accademia Cinese delle Scienze con 130,000 output; al secondo posto il
CNRS francese con 125,000. Invece, la classifica in base al fattore di impatto normalizzato
vedeva IIT alla 363esima posizione nel mondo, con NI=1.77, e quindi all’interno del
gruppo dei 375 istituti segnalati con il “green label of excellence”.
22 http://www.scopus.com. 23 http://www.scimagoir.com/pdf/SIR%20Global%202009%20O.pdf. 24 http://www.scimagoir.com/pdf/SIR%20Global%202010%20O.pdf.
139
Secondo tale graduatoria, l’Accademia Cinese delle Scienze scendeva intorno alla
2000esima posizione con indicatore rosso, il CNRS francese intorno alla 1000esima
posizione con indicatore giallo.
Nel SIR 201125 la statistica di IIT migliora in maniera sostanziale. Benché nel quinquennio
di riferimento (2005-2009) il 2005 non sia ancora un anno di attività e il 2009 sia l’anno di
start up della rete (istituita nell’ultimo trimestre dell’anno), Scopus rileva 560 output. Per
numero di pubblicazioni IIT è al 2738esimo posto su 3042 istituti totali. Il fattore di
impatto normalizzato cresce a NI=1.98, indicando che i lavori di IIT sono citati circa il
doppio della media mondiale nei settori comparabili. Rispetto a tale parametro (si veda il
Normalized Impact Report, SIR 2011), IIT sale al 240esimo posto su 3042 nella classifica
globale, rimanendo nel gruppo dei “green label of excellence” (costituito da 402 istituti),
all’85esima posizione in quella europea e al 13esimo posto in quella italiana (dove è primo
come istituto di carattere tecnologico). Queste posizioni corrispondono al “top 8%” nel
mondo, al “top 8%” in Europa e al “top 10%” in Italia, e collocano IIT nelle immediate
vicinanze di grandi istituzioni scientifico-tecnologiche straniere, quali il California
Institute of Technology (una posizione prima di IIT, cioè al 239esimo posto) e il Weizmann
Institute of Science (al 353esimo posto). È interessante notare che nonostante il
quinquennio di osservazione (2005-2009) comprendesse anni di attività nulla o parziale di
IIT, il parametro “rate” d’eccellenza è EXC=12.63, superiore alla soglia minima di buona
qualità (EXC=10) indicata da SCImago. Rispetto a tale valore, IIT si posiziona al
1479esimo posto, ovvero in una posizione entro la prima metà della classifica, nonostante
le citazioni abbiano avuto meno di quattro anni per crescere.
25 http://www.scimagoir.com/pdf/SIR%20Global%202011%20O.pdf
140
3.11.5 Valutazione della ricerca
L’incremento della produzione scientifica di IIT in termini di qualità e quantità è reso
possibile anche dalla costante attività di monitoraggio e di valutazione della ricerca che
l’Istituto conduce grazie al supporto dei propri organi interni, e attraverso il
coinvolgimento di panel internazionali di esperti.
Nel 201126 tale attività si è esplicata nelle seguenti azioni:
• Valutazione annuale dei rapporti dei direttori e dei coordinatori da parte del Comitato
Tecnico Scientifico (CTS);
• On-site visit per la conclusione del processo di riorganizzazione e potenziamento del
Dipartimento Neuroscience and Brain Technologies (NBT), che ha generato le unità di
Neurotechnologies (direttore J. Assad) e Synaptic Neuroscience (direttore F. Benfenati) e
la Neuro Facility di servizi biochimici (coordinata da L. Franco);
• On-site visit per la valutazione delle facility di Nanochemistry, Nanophysics e
Nanostructures da parte di un panel internazionale composto da E. Bizzi (MIT - USA),
Chairman del CTS di IIT, A. Nurmikko (Brown University- USA), J. Feldmann (Ludwig
Maximillian University - Germania) e Y. Arakawa (Tokyo University - Giappone).
26 http://www.iit.it/images/stories/scientific_plan/iit-6th-year-2011-report.pdf.
141
3.11.6 Progettualità scientifica
Nel 2011 il fund raising di IIT è cresciuto in maniera sostanziale. Attualmente IIT ha in
corso oltre 50 Progetti Europei (erano 32 nel 2010) vinti su base competitiva, con un grado
di successo intorno al 18%. Anche nella partecipazione alle selezioni più prestigiose a
livello europeo, IIT ha migliorato i propri risultati: nel 2011 sono stati vinti 2 bandi
European Research Council (ERC) e 5 programmi Marie Curie27. A Dicembre 2011 il
portafoglio progetti totale di IIT ammonta a oltre 40 milioni di Euro come rappresentato
nella figura 17; tali progetti troveranno realizzazione a partire dal 2012.
Figura 17 - Portafoglio totale progetti. (Y= milioni di Euro, X= Anni). (Fonte: www.iit.it)
27 http://ec.europa.eu/research/mariecurieactions/index_it.htm
142
3.11.7 Trasferimento tecnologico
Nel 2011 è stata completata la struttura organizzativa dedicata al Trasferimento
Tecnologico (TT Office) con l’assunzione di un dirigente di ampia esperienza
internazionale. Il TT Office è stato strutturato in due unità: una dedicata al trattamento,
protezione e licensing della proprietà intellettuale generata dai ricercatori di IIT, l’altra al
networking con aziende e investitori e alla gestione di contratti e processi di trasferimento
tecnologico. Di seguito si elencano le principali iniziative avviate nel 2011:
• Finalizzazione del piano finanziario di uno spin off costituito da un gruppo di ricercatori
del Dipartimento di NBT volto alla produzione di un nuovo sistema per la registrazione di
impulsi elettrici in reti neuronali, con applicazioni diagnostiche e cliniche;
• Avvio da parte del Dipartimento D3 di una fase di test preclinico di un farmaco
antidolore di brevettazione IIT;
• Avvio di un laboratorio congiunto tra IIT (Dipartimento di Nanophysics) e Nikon Ltd,
per lo sviluppo di microscopi ottici a super risoluzione;
• Definizione di una collaborazione tra IIT (Dipartimenti di ADVR e RBCS) e INAIL,
Centro di Riabilitazione Motoria di Volterra, per lo sviluppo di tecnologie robotiche e
strategie riabilitative per pazienti con patologie post-traumatiche;
• Definizione di un laboratorio congiunto con l’Istituto Giannina Gaslini di Genova per la
riabilitazione robotica. Dal punto di vista della produzione di proprietà intellettuale il
portafoglio di brevetti nel 201128 è ulteriormente cresciuto come mostrato dalla figura 18.
Al momento IIT dispone di 68 invenzioni che hanno dato luogo a 112 domande di
brevetto, di cui 61 italiane e 51 internazionali. Le estensioni dopo 12 mesi dal primo
deposito sono 31.
28 http://www.iit.it/images/stories/scientific_plan/iit-6th-year-2011-report.pdf.
143
Figura 18 – Evoluzione del portafoglio brevetti IIT 2006-2011(Fonte: www.iit.it)
La figura 19 mostra il numero di brevetti depositati da parte dei dipartimenti e dei centri
della rete. Si nota una predominanza di produttività da parte dei gruppi di robotica e di
quelli che sviluppano nanotecnologie e scienza dei materiali. Questo è ben visualizzato
dalla figura 20 che mostra la produzione di brevetti suddivisa per piattaforme.
Figura 19 - Distribuzione dei brevetti per dipartimenti e centri della rete. (Fonte: www.iit.it)
144
Figura 20 - Distribuzione dei brevetti per piattaforma. (Fonte: www.iit.it)
3.11.8 Attività di formazione e di avviamento alla ricerca
Durante il periodo dei sei anni di attività, IIT ha costruito una fitta rete di rapporti nazionali
e internazionali con enti di ricerca pubblici e privati, con aziende e con istituzioni
accademiche. Nel corso del 2011 sono stati siglati circa 20 accordi tra convenzioni quadro
e attuative. Tutti gli accordi prevedono la possibilità per i ricercatori di accedere alle
reciproche strutture e di trascorrere periodi anche prolungati presso i laboratori degli enti
coinvolti per ricerca e formazione, oltre a contemplare dottorandi in co-tutela. Di seguito
una lista dei principali accordi stipulati nel 2011 con una breve descrizione dell’argomento
della collaborazione:
• IIT-CMBR con Chonnam National University: micro e nano biorobotica;
• IIT-CMBR con Linköpings Universitet: microattuatori bioispirati, sensoristica integrata;
• IIT-CMBR con Scuola Superiore Sant’Anna e Stazione Zoologica A. Dohrn:
caratterizzazione biomeccanica del braccio del polpo;
145
• IIT-CBN con CNR-NNL: nanotecnologie per materiali avanzati, life science, energia e
MEMS;
• IIT-RBCS con Istituto Giannina Gaslini: laboratorio congiunto per la ricerca clinica e
riabilitazione robotica;
• IIT-RBCS con Fondazione Maugeri: bioingegneria per la riabilitazione motoria;
-IIT-D3 con New Anti-Infectives Consortium: esperimenti e analisi di simulazioni su
molecole di comune interesse;
• IIT-D3 con Università di Camerino: sviluppo farmaci;
• IIT-D3 con Università di Pisa, Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia
e Biotecnologie: progettazione, sintesi chimica, screening e test farmacologici per la cura
dell’Alzheimer;
• IIT-D3 con Università di Milano-Bicocca: progettazione, sintesi, screening di molecole di
interesse per la cura di patologie neurologiche;
• IIT-Nanostructures con Recruit R&D Co., Ltd.: nanotecnologia per batterie al litio;
• IIT-RBCS con Università di Modena e Reggio Emilia (rinnovo): studi di risonanza
magnetica funzionale per attività di interfaccia cervello-macchina (BMI);
• IIT-RBCS con Università di Ferrara (rinnovo): elettrofisiologia su primati inferiori dei
circuiti cerebrali deputati alla codifica di alcuni movimenti della mano;
• IIT-CNST con Università di Bologna, Dipartimento di Chimica: fotosintesi artificiale
e nanomateriali per efficienza energetica;
146
• IIT con Università di Pisa, Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale: sviluppo di
prototipi di microattuatori con applicazioni robotiche e in bio-medicina;
Particolare attenzione è stata dedicata alla stipula di accordi relativi a programmi formativi,
tra cui nel 201129 con:
• Alta Scuola Politecnica: alta formazione;
• Politecnico di Torino e Commissione per gli scambi culturali fra Italia e Stati Uniti:
Fulbright Distinguished Chair per docenti statunitensi in ambito di studio dei materiali e
componentistica per robotica umanoide ad uso spaziale.
Inoltre, sono state strette convenzioni mirate allo svolgimento di tirocini formativi e di
orientamento con istituti d’istruzione universitaria nazionali (ad es. Università di Genova,
Università di Napoli Federico II, Università di Bari, Politecnico di Milano) ed esteri (ad es.
Université Pierre et Marie Curie, Parigi).
29 http://www.iit.it/images/stories/scientific_plan/iit-6th-year-2011-report.pdf.
147
3.12 I primi 7 anni
Il 2012 rappresenta il settimo anno di attività dell’IIT e coincide con il lancio del piano
scientifico triennale 2012-2014, un programma che consolida definitivamente la natura
interdisciplinare dell’istituto, focalizzandosi su alcune aree di ricerca funzionali allo
sviluppo di scienza e tecnologia intorno all’essere umano. Il piano segue e talora anticipa il
trend internazionale di convergenza tecnologica di nanoscienze, bioscienze e scienze
cognitive. Durante l’anno il CTS è stato potenziato con l’istituzione di tre panel tematici
dedicati a robotica, neuroscienze e nanomateriali, ciascuno coordinato da uno scienziato di
rilevanza internazionale, e guidati nello sviluppo delle attività dal nuovo Presidente del
CTS, il Prof. Giorgio Margaritondo (EPFL, Losanna). Il CTS, oltre a svolgere un’attività di
supervisione scientifica annuale della performance dei dipartimenti e centri, compie on site
visit periodiche di valutazione, avvalendosi di panel di esperti esterni, e formula
raccomandazioni strategiche per la prosecuzione ottimale dell’attività.
Nel corso dell’anno 2012 è stata inoltre completata la valutazione di IIT in termini di
struttura, organizzazione, management, risorse umane, impostazione scientifica e risultati
da parte di un Comitato di Valutazione nominato dal Consiglio della Fondazione nel 2011.
Presieduto dal prof. Margaritondo e composto da altri 6 membri del panorama scientifico-
manageriale internazionale, il comitato ha concluso il suo programma di verifica a maggio
2012, dopo 15 mesi di attività, confermando i risultati di IIT come più che soddisfacenti e
suggerendo importanti azioni per il miglioramento dello sviluppo scientifico organizzativo
di IIT. In particolare, il comitato ha riportato il seguente commento:
«…We found the institute well positioned to fulfill all aspects of its statutory mission. In
particular, the development of infrastructures, human resources and quality control is
right on target. The research output already meets stringent international standards both
in Genoa and in the network of poles/centers... » 30
30 http://www.iit.it/images/stories/scientific_plan/IIT-seventh-year-ita.pdf.
148
Il comitato ha inoltre evidenziato alcune note particolarmente positive, quali:
Special commendations to IIT and its management for:
• The outstanding accomplishments concerning the growth of the institute, in particular its
human resources and infrastructure;
• The rapid achievement of research output rates comparable to the best institutions in
Italy and abroad;
• The international openness, in particular in its hiring practices;
• The adoption of strict international standards for its quality evaluations;
• The rapid and effective establishment of the center/poles in many Italian regione;
• The brilliant and cost-effective solution for the IIT central site;
• The dedication and hard work of its staff, in particular the top leaders;
Al fine di supportare il Direttore Scientifico nello svolgimento di alcune attività strategiche
è stato nominato un team di 4 Vicedirettori con deleghe specifiche: Recruiting and Career
track of the scientific staff, European calls and initiatives, Integration of the IIT Network,
Outreach and Science Dissemination.
Le indicazioni del comitato tecnico scientifico e del comitato di valutazione hanno, infine,
portato a:
• Avvio della iCub Facility, con lo scopo di convogliare tutti gli sforzi dell’area robotica
della Fondazione verso il costante aggiornamento della piattaforma umanoide di IIT;
149
• Estensione della rete IIT negli Stati Uniti con il nuovo laboratorio congiunto presso il
Dipartimento di Neurobiologia della Harvard University di Boston (U.S.A);
• Rafforzamento del laboratorio di Computational Machine Learning attivato nel 2010
presso il MIT (U.S.A)
Infine, nel corso dell’anno la visibilità di IIT è aumentata anche grazie allo spazio
guadagnato dai ricercatori nell’ambito di iniziative di comunicazione scientifica pubbliche
e di competizioni. Le proposte originali di Trasferimento Tecnologico riguardanti progetti
di start-up hanno partecipato alla selezione di Start Cup Ricerca - il Sole 24 Ore, il Premio
Nazionale dell’Innovazione (PNI) 2012 e Italia Camp.
3.12.1 Le nuove frontiere: i materiali intelligenti
Una spugna capace di assorbire gli olii separandoli dall’acqua e manovrabile con campi
magnetici, e una carta multifunzionale - idrofobica, fluorescente, antibatterica e magnetica
sono due esempi di nuovi materiali innovativi 31 realizzati all’IIT nel corso del 2012.
La spugna oleofila è realizzata con materiali economici e processi nanotecnologici
facilmente riproducibili su scala industriale. Il materiale di base è, infatti, la schiuma di
poliuretano, un polimero comunemente usato per il confezionamento degli imballaggi e per
l’isolamento termico, che trattato con nanoparticelle di ossido di ferro e di
politetrafluoroetilene (noto in commercio come Teflon) acquisisce proprietà magnetiche,
superidrofobiche e superoleofile. Il processo rende il materiale di partenza capace di
assorbire una quantità di sostanza oleosa fino a tredici volte il suo peso. Le possibili
applicazioni sono molteplici, innanzitutto nel campo ambientale per la pulizia delle acque
da inquinanti oleosi.
31 Per un apprfondimento: http://www.iit.it/images/stories/scientific_plan/IIT-seventh-year-ita.pdf.
150
La carta “intelligente” rimane stampabile e riciclabile anche dopo le modificazioni che
l’hanno resa idrofobica, fluorescente, antibatterica o magnetica. Il processo di
realizzazione prevede la produzione di un polimero arricchito da nanoparticelle, il quale,
una volta spalmato sulla carta – o su altri materiali cellulosici – avvolge le fibre formando
soffici gusci polimerici tridimensionali che intrappolano una quantità controllabile di
nanoparticelle. L’aspetto complessivo del materiale, sia esso carta o tessuto, non muta, ma
le proprietà sono diverse a seconda del tipo di nanoparticelle utilizzato: diventa
antibatterico se sono d’argento, autopulenti o altamente idrofobico se di cera o Teflon,
fluorescente se quantum dots, o magnetico se nano particelle magnetiche. L’invenzione ha
numerose possibilità di utilizzo: può essere materiale per il packaging, o per la
preparazione di tessuti impermeabili o con proprietà antibatteriche e fungicide utili in
campo sanitario, dell’abbigliamento, della domotica.
3.12.2 Le nuove frontiere: i robot al servizio dell’uomo
HyQ è il robot idraulico32 quadrupede disegnato e sviluppato dai ricercatori di IIT traendo
ispirazione dagli animali, dal cane al cavallo allo stambecco, con l’obiettivo di sostituire
l’uomo in situazioni di emergenza o in ambienti difficili da raggiungere. Nel maggio 2012
i ricercatori hanno testato le sue capacità di movimento su terreni reali e accidentati,
portando il robot fuori dal laboratorio in una pista lunga 20 metri. I risultati sono strati
sorprendenti: il robot è in grado di camminare a una velocità di 2 m/s e di superare ostacoli
che trova lungo il percorso adeguando il proprio passo. HyQ è un quadrupede in alluminio
di 1 metro di lunghezza per un peso di circa 70 chilogrammi, capace di camminare,
correre, saltare e sollevarsi sulle zampe posteriori. HyQ è uno dei pochi robot quadrupedi
al mondo che riesce a compiere movimenti veloci e precisi grazie a soluzioni
ingegneristiche innovative. (ref. Semini et al., ICRA 2012, Saint Paul, Minnesota, USA).
32 http://www.iit.it/en/advr-dls-hyq-robot.html.
151
Per quanto riguarda iCub33, sono circa 25 gli esemplari costruiti da IIT e sono più di 20 i
laboratori nel mondo che lo utilizzano per i loro studi sull’intelligenza artificiale: iCub
continua ad affermarsi come la piattaforma robotica di ricerca più diffusa al mondo. Il
robot ha la forma e le dimensioni di un bambino di circa 4 anni, da cui il nome “cub” che
in inglese significa “cucciolo”. Possiede 53 “snodi” (gradi di libertà) di movimento, la
maggior parte dei quali sono nelle braccia e nelle mani per consentire azioni di presa e di
manipolazione fine degli oggetti. iCub ha telecamere che riproducono la vista, microfoni
per la ricezione di suoni, sensori inerziali che riproducono il senso dell’equilibrio e sensori
di forza per misurare l’interazione con l’ambiente. Tali caratteristiche rendono iCub un
robot umanoide che è in grado di vedere l’ambiente che lo circonda, riconoscere alcuni
oggetti, capire se una persona è presente di fronte a esso e rispondere a semplici comandi
vocali. Nel 2012 il torso, le braccia e i palmi delle mani di iCub sono stati ricoperti di una
“pelle” artificiale, una superficie sensorizzata che gli permette di avere il senso del tatto,
registrando e rispondendo alle interazioni di contatto fisico con le persone.
L’introduzione del nuovo piano scientifico vede il raggiungimento a regime dello staff del
Laboratorio centrale a Genova e la crescita progressiva di quello della rete. A fine 2012 il
numero totale di persone in forza all’IIT è di 1143: oltre 450 scienziati nei laboratori di
Genova, quasi 400 scienziati nella rete dei centri e meno di 300 tra figure di supporto
amministrativo e tecnico prevalentemente nella sede di Genova. La distribuzione delle
categorie che compongono lo staff mostra una percentuale di personale scientifico e di
supporto tecnico di circa l’85%, dominante rispetto alla struttura amministrativa e di
supporto alla ricerca costituita dal restante 15%. La distribuzione dell’età dello staff
scientifico mostra un’età media globale inferiore a 34 anni e, nella suddivisione associata
alle diverse tipologie di profili scientifici, indica una preponderante presenza di giovani
(post doc e PhD per oltre il 75%) e un’età media dei ruoli apicali (senior scientist e
direttori) inferiore ai 50 anni.
33 Per maggiori informazioni, consultare il mini sito dedicato ad iCub: http://icub.focus.it/.
152
La grande concentrazione di profili giovani è garantita, oltre che dalla forte attrattività
internazionale nei confronti dei post doc, anche dagli accordi di collaborazione con istituti
universitari italiani, per cui un consistente numero di studenti di dottorato svolge il proprio
percorso di alta specializzazione scientifica all’interno e sotto la supervisione dello staff
scientifico di IIT. In particolare, nel 2012 il numero degli studenti che hanno svolto le loro
attività didattiche e di ricerca secondo il piano scientifico di IIT sono 311, di cui circa 180
nella sede centrale.
Le figure dei dottorandi e dei post-doc sono caratterizzate da una giovane età e da un
elevato turnover, quest’ultimo determinato dalla generale propensione degli scienziati a
confrontarsi con realtà di ricerca differenti per arricchire la propria esperienza
professionale. Per esempio, nel corso dell’anno giovani scienziati IIT hanno ottenuto
posizioni di prestigio presso istituti di ricerca internazionali, quali l’ETH e il Max-Planck.
L’elevato rinnovamento dello staff è condizione essenziale per mantenere alta la
produttività e per avere sempre una riserva adeguata di talenti giovani sui quali investire
per futuri percorsi di carriera. In questa prospettiva, IIT ha introdotto l’iter di “tenure
track” e “long term contracts”, che permette di selezionare e di trattenere i cervelli migliori
da tutto il mondo. Le candidature per le posizioni di “tenure” sono esaminate da panel di
esperti esterni, che svolgono l’importante compito di valutarle secondo standard
internazionali, aiutando a rafforzare, così, la qualità scientifico tecnologica di IIT. Grazie
anche a tale approccio, il numero di paesi di provenienza dei ricercatori e dottorandi è
salito a circa 50, confermando l’attrattività di IIT e la sua capacità di essere una realtà
multiculturale. Il 42% dei ricercatori proviene dall’estero: per il 24% sono stranieri e per il
18% italiani rientrati dopo lunghe permanenze all’estero.
Il melting pot culturale è affiancato da una forte interdisciplinarietà, data dall’ampia varietà
di curricula scientifici dello staff. Un’analisi della distribuzione dei titoli di studio ha
evidenziato la presenza di oltre 17 aree disciplinari, che comprendono le scienze dure e
applicate, le scienze della vita e medicina, ma anche filosofia, psicologia e disegno
industriale. La multidisciplinarietà è punto centrale del piano scientifico 2012-2014, e al
fine di rafforzarla, nel 2012 è stato lanciato un bando interno per lo sviluppo di progetti
153
interdipartimentali della durata di due anni da svilupparsi grazie alla condivisione di un
post doc tra due dipartimenti o un dipartimento e un centro. Un panel esterno ha valutato le
50 proposte pervenute, selezionandone 14.
Anche la distribuzione delle pubblicazioni attesta un’ampia varietà disciplinare, infatti,
secondo la categorizzazione del database Scopus (Elsevier), esse ricadono in 13 categorie
scientifiche coprendo in modo piuttosto omogeneo tutti i settori fondamentali delle scienze
tecniche e molti delle scienze della vita. Il trend di crescita del numero di pubblicazioni
registrato negli anni ha avuto conferma anche nel 2012, con oltre 850 output nell’anno, per
un totale di oltre 3000. Il numero di pubblicazioni congiunte fra diversi centri di ricerca o
dipartimenti è cresciuto a circa 65, oltre alle numerose comunicazioni a congressi
internazionali.
A fine 2012 le pubblicazioni di IIT sulle riviste ad alto impatto costituiscono circa il 47%
del totale. Infine, sia la produttività media individuale di oltre 2 pubblicazioni per unità di
staff (il quale include direttori/coordinatori, senior scientists, team leaders e post doc), sia
l’Impact Factor medio per ricercatore di circa 7, hanno mantenuto un ottimo livello.
3.12.3 Valutazione e ranking
Il carattere internazionale dell’Istituto pone i processi di verifica e di valutazione quali-
quantitativi dell’attività di ricerca al centro della programmazione scientifica e della
valorizzazione del capitale umano. Un Comitato di Valutazione esterno opera
periodicamente per verificare il raggiungimento degli obiettivi scientifici e l’adozione di
misure gestionali di standard internazionale. Tale attività affianca la valutazione interna
annuale dello staff secondo un modello Money By Objective (MBO).
Nel 2012 le attività di analisi sono state le seguenti:
• valutazione annuale dei rapporti di attività di direttori e coordinatori da parte del CTS;
• report finale del Comitato di Valutazione;
154
• on site visit per il Dipartimento D3;
• adesione al programma di valutazione da parte dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del
sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR).
Secondo un benchmark effettuato dal Comitato di Valutazione nel 2012, il numero di
citazioni medio per pubblicazione di IIT è comparabile a quello di altre istituzioni
internazionali. La statistica seguente è stata calcolata considerando le citazioni medie per
pubblicazione riscontrate a febbraio 2012 su output del 2009 e del 2010.
2009 2010
IIT 9.84 5.19
Weizmann 8.37 5.54
EPFL 8.45 4.91
Caltech 11.02 7.20
MIT 12.06 6.13
Berkeley 9.37 5.45
Stanford 9.31 5.08
(Fonte: www.scimagoir.com)
I parametri bibliometrici (Q1 e EXC) di IIT valutati da Scimago Institutions Rankings
(Report 201234) sono confrontabili in modo consistente con i parametri misurati per gli
istituti sopra menzionati e riconosciuti a livello internazionale.
34 Per informazioni dettagliate: http://www.scimagoir.com/pdf/SIR%20Global%202012%20O.pdf.
155
3.12.4 Formazione e collaborazioni
Nel 2012 IIT ha proseguito l’ampliamento della rete di rapporti nazionali e internazionali
per ricerca e formazione con istituti pubblici e privati e con aziende, siglando circa 40
accordi tra convenzioni quadro e attuative. Tali accordi prevedono la possibilità per i
ricercatori di fruire dei reciproci laboratori avanzati e di condividere la conoscenza
scientifica, e spesso contemplano dottorandi in co-tutela. A titolo di esempio, correlati allo
sviluppo delle piattaforme del piano scientifico di IIT, sono stati definiti i seguenti accordi:
• Robotica e Computazionale: Waseda University, Università di Verona, Università di
Pisa;
• Nuovi materiali: Nanjing University, IMT Alti Studi Lucca, Università di Barcellona,
Kilometro Rosso;
• D4 e Neuroscienze: Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Bologna, Università
di Trieste.
Inoltre, sono state strette convenzioni per lo svolgimento di tirocini formativi e di
orientamento con istituti d’istruzione universitaria nazionali ed esteri, quali l’Università di
Genova, l’Università di Roma Tre, l’Università Politecnica delle Marche, l’École
Polytechnique Universitaire “Pierre et Marie Curie” e l’Université d’Aix-Marseille.
IIT, nell’ambito del Programma Erasmus35, ha accolto studenti provenienti da Università
europee, tra cui l’Université de Bourgogne, Delft University of Technology e Utrecht
University. Infine, nell’ambito delle partnership istituzionali mirate a programmi di alta
formazione, sono da segnalare gli accordi congiunti di Dottorato di Ricerca che permettono
agli studenti di svolgere il proprio percorso di specializzazione su tematiche del piano
scientifico di IIT e all’interno dei suoi laboratori.
35http://www.erasmusplus.it/
156
Nel 2012 sono state assegnate 107 borse di dottorato congiunte, portando il numero totale
di dottorandi a circa 311 unità. Nel contesto dell’alta formazione IIT e l’Università di
Genova, insieme a importanti imprese ed enti High-Tech liguri, hanno collaborato per
l’avvio del master in Trasferimento Tecnologico, Imprenditorialità e Innovazione, con
l’obiettivo di trasferire a laureati le competenze specifiche per la gestione di processi di
innovazione nelle imprese high-tech e negli enti di ricerca.
3.12.5 Trasferimento tecnologico
Il raggiungimento di un alto livello di qualità scientifica da parte di IIT è confermato anche
dalla crescita del fund raising proveniente da progetti competitivi e dai risultati del
trasferimento tecnologico. Alla fine del 2012 l’Istituto ha un portafoglio progetti pari ad un
totale di quasi 60 milioni di Euro, che rappresenta una fonte di finanziamento per ricerche
specifiche, anche pluriennali, in particolare36:
• 64 progetti finanziati dall’Unione Europea;
• 12 progetti finanziati dal Ministero della Salute;
• 19 progetti finanziati da Fondazioni italiane o Europee;
• 5 progetti finanziati da Fondazioni o Enti USA;
Tra questi si segnalano, inoltre, la vincita di 1 bando European Research Council (ERC) e
di 3 programmi Marie Curie. Il 2012 ha visto un forte incremento delle attività di
trasferimento tecnologico; oltre ai circa 160 brevetti depositati, 25 concessi e numerose
procedure di licenza avviate, sono stati lanciati i primi progetti di start-up legati a
invenzioni originali dei ricercatori IIT, tra cui:
• 3Brain: sviluppa dispositivi per la diagnostica cellulare d’interesse farmaceutico. Il
sistema è costituito da chip in grado di leggere e analizzare l’attività neuronale su reti
complesse di cellule, permettendo di capire meglio il funzionamento del cervello, ma
anche di studiare le malattie e testare i medicinali;
36 http://www.iit.it/images/stories/scientific_plan/iit-strategic-plan-2012-2014.pdf.
157
• HIRIS (Human Interactive Reliable Integrated System) nasce all’interno di un progetto di
human-computer interaction. É un sistema modulare e riconfigurabile di sensori e attuatori
capaci di interagire tra loro e scambiare informazioni tramite feedback aptici evoluti (tatto,
vibrazione, calore). Per la commercializzazione della tecnologia è stata costituita la società
Circle Garage con focus sui settori del gaming, outdoor&sports, field operations and
security;
• Microturbine: mira alla commercializzazione di una turbina dal diametro di 14 millimetri
che sfrutta la pressione di un fluido disponibile nell’ambiente o in un impianto industriale
per produrre energia elettrica in loco;
• QB Robotics: produce componenti per applicazioni robotiche che mirano alla
realizzazione di robot compliant, ovvero dai movimenti sempre più simili a quelli umani,
aumentandone l’efficienza energetica, la velocità e la versatilità;
• Rehab Technologies: mira alla creazione di una società che produca e commercializzi
soluzioni robotiche per la riabilitazione, in particolare della caviglia e del polso. Il progetto
trae vantaggio dalle collaborazioni in corso con INAIL e Ospedale Giannina Gaslini.
Accanto a questi, sono in corso di definizione altri tre progetti di start-up. A conferma di
una crescente attività di trasferimento tecnologico, le commesse industriali hanno
raggiunto un valore di circa 4.7 milioni di Euro, inclusi i contributi in-kind sotto forma di
strumentazione da parte di aziende leader mondiali nel campo della microscopia e nella
stampa e trattamento di nuovi materiali. L’incremento del valore dei contratti commerciali
di oltre cinque volte rispetto all’anno precedente è conseguente all’aumento del loro
numero così come del loro valore medio. interessante notare che il risultato è stato
raggiunto grazie al contributo di più centri e piattaforme tecnologiche.
158
3.12.6 Sintesi dell’anno 2013
Durante il 2013 gli scienziati di IIT hanno proseguito le attività previste dal terzo piano
scientifico (2012-2014) con un approccio tecnologico rivolto al miglioramento della vita
dell’uomo. Lo sviluppo di progetti ambiziosi non sarebbe possibile senza il contributo e lo
scambio di conoscenze e scoperte da parte di scienze diverse; la scienza dei materiali, le
neuroscienze, la farmacologia e le nanoscienze si sono integrate perfettamente.
Il 2013 è stato per IIT un anno di consolidamento, del percorso di carriera per gli scienziati
e della struttura “a rete” dei centri e dipartimenti, della presenza di IIT nel panorama
scientifico internazionale e del rapporto con le industrie e il tessuto produttivo.
3.12.7 Il percorso di carriera per gli scienziati alla fine del 2013
Nel corso del 2012 è stato inaugurato un iter di tenure track per selezionare e trattenere i
migliori cervelli e per proporre ai ricercatori di tutto il mondo un modello ispirato alle best
practices internazionali. La tenure track di IIT è definita mediante un percorso di
formazione continua della durata massima di 10 anni durante i quali lo scienziato viene
valutato da un panel internazionale di esperti. I principi essenziali del percorso sono:
• Call internazionali: selezione con lettere di referenza e interviste;
• Livelli di ingresso connessi alla seniority del candidato denominati stage 1, stage 2 e
stage 3, equivalenti a figure accademiche quali assistant professor, associate professor e
full professor.
• Ingresso, passaggi di livello e valutazione mediante una serie di esami finali sulla base di
lettere di referenza e interview da parte di referee esterni.
• Possibilità di posizioni tenured solo per gli stage 2 e 3 (Associate e full professor).
159
• Massima autonomia scientifica e finanziaria dello scienziato in tenure track.
• Numero di scienziati in tenure a regime non superiore al 15% dello staff totale di IIT.
• Gender policy specifica per la tenure track (es. “stop the clock for maternity”).
Il processo di valutazione è condotto interamente dal CTS di IIT (Comitato Tecnico
Scientifico) con la collaborazione di differenti uffici amministrativi e di supporto, nonché
un panel di esperti internazionali (Standing Committee of External Evaluators, SCEE) che
ad oggi annovera quasi 200 membri incaricati di esaminare la produzione scientifica dei
candidati in maniera trasparente e indipendente.
Nel 2013 è stato avviato un periodo transitorio di valutazione di talenti già presenti nello
staff di IIT: a seguito di uno screening dei 150 Principal Investigators (PI) basato sulle
performances scientifiche e tecnologiche, circa 20 scienziati sono oggi in tenure o tenure
track. Una success rate pari al 13% evidenzia processi di selezione rigorosi, in accordo con
la volontà di trattenere alcuni talenti chiave pur lasciando immutata la caratteristica
dinamicità di un contesto di ricerca internazionale: turnover dei giovani su base triennale
ed età media al di sotto dei 34 anni.
160
3.12.8 La presenza di IIT nel panorama scientifico internazionale
Il portafoglio totale di progetti contrattualizzati da IIT ha superato i 90 Milioni di Euro dal
2006 al 201337. Tale portafoglio include oltre 90 programmi europei e oltre 110 progetti
industriali, di cui attivi al 2013:
• 57 Progetti Europei;
• 26 Progetti nazionali PON, POR, FIRB, INAIL e Ministero della Salute;
• 11 Progetti competitivi finanziati da fondazioni Italiane o europee;
• 6 Progetti finanziati da organizzazioni U.S.A;
• 83 Progetti industriali;
In particolare, i nuovi progetti acquisiti nel 2013 sono stati:
• 19 Progetti Europei (oltre 11.7 Milioni di Euro);
• 16 da enti ministeriali e/o agenzie nazionali e internazionali (circa 10 Milioni di Euro);
• 44 Progetti industriali (circa 3.7 Milioni di Euro);
A livello europeo, l’inizio dell’anno è coinciso con l’avvio dell’attività scientifica dei 2
progetti FET Flagship (Brain e Graphene) di durata decennale e con un finanziamento pari
a 10 Milioni di Euro assegnati dalla Commissione Europea.
37 http://www.iit.it/images/stories/scientific_plan/IIT-seventh-year-ita.pdf.
161
IIT è partner del programma dedicato agli studi sul grafene con un ruolo specifico nei
settori “Energia”, “Comunicazione” e “Trasferimento Tecnologico”. A fronte di questo
successo è nato “Graphene labs”, un laboratorio multidisciplinare volto ad esplorare le
potenzialità di questo materiale innovativo e le sue applicazioni.
A dicembre 2013 IIT e l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul
Lavoro (INAIL) hanno avviato un’importante collaborazione scientifica per lo sviluppo di
tecnologie robotiche nel campo della riabilitazione e della protesica38, mirata alla futura
industrializzazione e diffusione dei dispositivi che saranno sviluppati (come vedremo in
modo approfondito successivamente).
In particolare, verranno avviati due progetti di elevato livello tecnologico e ad alto impatto
sociale mirati allo sviluppo di un esoscheletro motorizzato per la deambulazione di soggetti
paraplegici e di un sistema protesico avanzato di arto superiore. L’accordo prevede nei suoi
tre anni di durata un apporto di risorse da parte dei due istituti per un valore complessivo di
11.5 milioni di euro.
Il consolidamento della reputazione di IIT a livello nazionale è cresciuto anche in seguito
alla presentazione del rapporto di valutazione generale della ricerca italiana effettuato
dall’Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca
(ANVUR) per il settennio 2004-2010 da parte del MIUR nel luglio del 201339. La
valutazione dello stato della ricerca nazionale è stata eseguita sulla base di un complesso
modello dipendente da molti parametri che tiene conto di numerosi fattori fra cui analisi
bibliometriche, trasferimento di tecnologia, dimensione della struttura, attrattività dei
ricercatori, mobilità interna.
38 http://www.iit.it/en/results/projects-office/projects/2290-progetto-inail-iit.html. 39 http://www.anvur.org/rapporto/main.php?page=menu.
162
Le classifiche sono state prodotte suddividendo gli enti in piccoli, medi e grandi,
dipendentemente dal numero di persone operative in ciascuna area. IIT risulta in generale
di media grandezza. Delle 14 aree disciplinari analizzate dai Gruppi di Esperti della
Valutazione (GEV), 4 hanno riguardato IIT (scienze fisiche, chimiche, biologiche e
ingegneria): per ciascuna di queste sono stati stabiliti un valore medio nazionale
normalizzato (Voto Medio Nazionale di Area) e una percentuale media di pubblicazioni
eccellenti.
Nelle 4 aree sopra elencate i risultati della valutazione dei prodotti di IIT sono sempre stati
ottimi, mostrando valori maggiori alla media e posizionando IIT sempre ai primi posti
delle relative classifiche. La prestazione di IIT è globalmente fra le migliori degli enti di
ricerca della propria categoria, risultato rimarchevole anche in considerazione del fatto che
nei primi anni del periodo esaminato (2004-2010) le attività non erano praticamente
iniziate.
3.13 Nikon e IIT: il progetto comune sul microscopio ottico del 2014.
La multinazionale giapponese Nikon ha deciso di investire su IIT nella collaborazione a
sviluppare un nuovo centro di microscopia ottica40; la scelta è ricaduta su IIT in quanto
cosiderato uno dei cinque centri di eccellenza al mondo nello sviluppo della ricerca sui
microscopi. Per IIT è un ulteriore motivo di soddisfazione: il nuovo centro Nikon imaging
center (NIC@IIT) viene annoverato tra i 9 laboratori di eccellenza Nikon nel mondo
insieme alle sedi ad Harvard, Singapore, Londra, San Francisco, Parigi, Chicago,
Hokkaido e Heidelberg.
Tutto nasce nel 2008, quando Nikon mette a disposizione dei ricercatori dell’IIT strumenti
molto avanzati per le indagini nel campo dell’oncologia molecolare, cioè lo studio delle
alterazioni nei meccanismi che regolano il funzionamento delle cellule tumorali, e delle
malattie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer.
40 Per approfondire l’argomento: http://oggiscienza.wordpress.com/2014/07/02/iit-nikon-supermicroscopio/
163
Per vedere sempre di più e sempre meglio cosa accade a livello molecolare, però, era
necessario operare delle modifiche, perfezionare gli strumenti offerti da Nikon adattandoli
agli scopi di ricerca.
La mission comune è dunque sviluppare tecnologie innovative a costi contenuti: Nikon ha
il compito di fornire gli strumenti e i fondi (un investimento pari a 2.8 milioni di Euro), il
Dipartimento di Nanofisica dell’IIT contribuisce invece con un’equipe di 22 ricercatori e
scienziati, per formare il nuovo centro di sviluppo di microscopia a cui sarà affidato il
compito di sviluppare entro i prossimi 3 anni la nuova generazione di strumenti ottici con
applicazioni biomediche. La ricerca sarà affiancata da un’attività di formazione (prevista
dal 2015) per la nuova generazione di medici, biologi e ingegneri che in futuro utilizzerà i
nuovi strumenti.
Quest’ultimo obiettivo in particolare sta molto a cuore ai ricercatori dell’IIT:
«…È fondamentale formare medici e biologi del futuro perché siano in grado di leggere le
immagini catturate dai nuovi microscopi, di riconoscere le molecole e i loro movimenti, e
di tradurre tutto questo in informazioni. Proprio come ciascuno di noi tutti i giorni è in
grado di riconoscere le persone osservandone il volto…»;
«Se non dovessimo riuscirci, avremmo in mano uno strumento potentissimo ma
inutilizzabile».
La finalità della collaborazione Nikon-IIt è affinare sempre più il microscopio ottico, già
ora in grado di visualizzare un’immagine con una definizione inconcepibile soltanto cinque
anni fa, nitidezza che veniva invece garantita dal microscopio elettronico (ma con un costo
di realizzazione, di mantenimento e di preparazione dei materiali 20 volte superiore). Il
nuovo Centro, di recentissima inaugurazione aggiunge un altro fiore all’occhiello nella
serie dei successi di IIT.
164
«Seeing is believing: si crede a ciò che si vede», osserva Diaspro, si prendono decisioni, si
elaborano diagnosi e terapie. Uno degli strumenti di elezione per studiare il vivente è
senz’altro il microscopio ottico: permette di penetrare la materia biologica senza
danneggiarla e utilizza una radiazione “naturale” come quella della luce visibile, sotto la
quale viviamo e cresciamo quotidianamente.
«Complesso di inferiorità», lo definisce Diaspro quando si riferisce al microscopio ottico
rispetto a quello elettronico (che offriva utilissimi dettagli molecolari), il nuovo
microscopio ottico però, potrà competere con quelli attuali anche per alcuni aspetti
fondamentali: la possibilità di realizzare analisi in vivo sull’uomo senza essere invasivo
(sostituendo in parte la biopsia), l’operatività in assenza di molecole o sostanze traccianti
artificiali nel corpo per individuare il tessuto o l’organo da studiare, e garantire accesso alla
misurazione del campione biologico in 4 dimensioni (le tre dimensioni dello spazio e l’
evoluzione nel tempo). I nuovi strumenti permetteranno di produrre immagini di campioni
biologici inedite in termini di precisione, dove l’errore della diagnosi potrà essere minore
rispetto alla situazione attuale.
L’impatto medico-sanitario sarà equivalente all’introduzione delle prime analisi a raggi X,
o delle immagini a risonanza magnetica: sarà possibile visualizzare con maggiore dettaglio
le strutture e il comportamento della biologia umana. Inoltre, tra le novità di questa nuova
strumentazione, i ricercatori hanno intenzione non solo di miniaturizzare il microscopio,
ma anche di integrarlo su un sondino o in un dispositivo plastico applicabile sulla pelle, in
grado di raccogliere le informazioni biologiche utili e inviarle ad un computer via wireless:
sfruttando le potenzialità di nuovi materiali come il grafene, la prospettiva è non troppo
lontana, secondo gli esperti. L’obiettivo, dunque, è quello di rendere meno invasivo
possibile il dispositivo.
Nel prossimo futuro, ed è anche questo che ci si aspetta dalla collaborazione tra Nikon e
Iit, «il microscopio - osserva Diaspro - permetterà di vedere molecola per molecola ciò
che realmente accade all’interno del corpo umano». Evoluzione che consentirà al medico
di ricevere un più efficace aiuto nelle decisioni da prendere: «Ad esempio permetterà di
evitare una biopsia per valutare lo stato di una malattia, neurodegenerativa o
oncologica».
165
Nel dettaglio, il microscopio già ora - ma il processo si affinerà sempre più - fa vedere le
singole proteine. Che utilità avrà questa ricerca in campo medico? Individuare, grazie alla
precisione del microscopio, la proteina di adesione, per cui le cellule aderiscono una
all’altra, permetterà di sviluppare metodologie per limitare la formazione di metastasi, e
consentire un esame della situazione in modo più rapido e attendibile.
«Nikon riconosce all’IIT la necessaria competenza per affermarsi come centro all’altezza
dello scenario internazionale», ha commentato Toshiyuki Masai, Presidente di Nikon
Instruments. Non manca poi un messaggio di fiducia da parte di Gabriele Galateri di
Genola, Presidente di IIT:
«…Dal nuovo laboratorio ci attendiamo risultati importanti sia per le nostre ricerche e
per gli sviluppi industriali di Nikon Instruments sia in termini di brevetti, di trasferimento
tecnologico, di formazione di nuove professionalità d’avanguardia a beneficio del tessuto
produttivo italiano che ha uno straordinario bisogno di opportunità di innovazione per
recuperare competitività e rilanciare la crescita…».
La collaborazione sinergica tra Nikon e IIT è un esempio di come l’innovazione
tecnologica possa essere un fattore determinante sia per la conoscenza, che per la
generazione di quel “benessere” inteso non solo come sicurezza economica e fonte
occupazionale, ma anche benessere quale tutela e prevenzione della salute dell’uomo.
166
3.14 Un progetto triennale con INAIL per la robotica riabilitativa
Lo sviluppo di nuove soluzioni robotiche per la riabilitazione e la protesica è al centro
della collaborazione scientifica siglata tra IIT e INAIL (Istituto Nazionale per
l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) (Dicembre 2013). Il progetto41 avrà la durata
di tre anni e porterà alla costituzione di una squadra interdisciplinare di ingegneri,
personale sanitario e medici che progetteranno e realizzeranno dispositivi robotici avanzati,
verificati nell’efficacia direttamente con i pazienti, ed economicamente sostenibili per il
sistema sanitario nazionale.
Il focus centrale sarà posto sulla costruzione di un esoscheletro motorizzato per gli arti
inferiori e di un sistema protesico mano-polso. La realizzazione dell’esoscheletro, una
struttura robotica vestibile da pazienti paraplegici per il recupero del movimento degli arti
inferiori, sarà basato sull’esperienza clinica di INAIL e sui risultati ottenuti da IIT nel
campo della robotica umanoide con i progetti Coman e iCub. Per i due umanoidi, infatti,
sono state impiegate soluzioni ingegneristiche avanzate per il controllo e compimento di
movimenti sicuri per la deambulazione e il bilanciamento dell’equilibrio su terreni inclinati
o sconnessi, e in seguito a spinte esterne.
Il sistema protesico mano-polso sarà costituito da una mano artificiale poliarticolata e di un
polso in grado di interfacciarsi con le migliori tecnologie oggi disponibili per le protesi
della parte alta del braccio. Il nuovo sistema sarà di più facile utilizzo e con un buon livello
di affidabilità e prestazioni, rispetto alle numerose mani poliarticolate già presenti sul
mercato.
41 http://www.iit.it/en/results/projects-office/projects/2290-progetto-inail-iit.html.
167
Il patrimonio di esperienze tecnologiche e scientifiche di IIT è testimoniato dalla
progettazione e realizzazione di diverse mani poliarticolate: la mano del robot umanoide
iCub fornita di sensori tattili, e la Soft Hand, sviluppata in collaborazione con il Centro
Ricerche E. Piaggio dell’Università di Pisa42, che ha un design innovativo basato sullo
studio delle “sinergie” proprie di una mano umana, ed è robusta e flessibile.
I due progetti rientrano nel Piano di Ricerca 2013-2015 del Centro Protesi INAIL di
Bologna, che contribuirà con il proprio personale e le competenze scientifiche e cliniche
maturate a diretto contatto con i pazienti, valorizzando anche la collaborazione con IIT nel
Centro di Riabilitazione di Volterra per lo sviluppo di un robot per la riabilitazione della
caviglia. L’accordo prevede un apporto di risorse da parte dei due istituti per un valore
complessivo di 11.5 milioni di euro.
3.15 iCub
iCub43 è un robot androide alto 1,04 metri e con un peso di circa 25 kg, (delle dimensioni
di un bambino di 3 anni) nato nel 2004 da un team di ricercatori di IIT, con caratteristiche
ritenute fino ad allora impensabili per un automa. È infatti l'umanoide più completo sulla
faccia della Terra: ha mani di metallo, muscoli ad azionamento elettrico, due telecamere
per occhi, due microfoni per orecchie, uno speaker al posto della bocca, la possibilità di
comunicare con le espressioni del volto e perfino una pelle artificiale. Un progetto
avanzato e a lungo termine, con importanti ricadute tecnologiche e, soprattutto, un
ambizioso obiettivo scientifico: simulare un bambino di pochi anni di vita per scoprire
qualcosa di più su come siamo fatti e su come funziona il nostro cervello.
I primi prototipi di robot umanoidi erano molto diversi da quello attuale: avevano soltanto
una telecamera fissa, alla quale fu aggiunta la capacità di movimento.
42 http://www.centropiaggio.unipi.it/. 43 http://www.icub.org/.
168
Poi sono arrivati i primi esemplari dotati di due occhi e di un braccio meccanico, seguiti da
modelli sempre più complessi, fino alla versione attuale di iCub. Tra tutti i componenti del
robot, uno dei più importanti è la mano.
Secondo le teorie attuali, infatti, le facoltà cognitive umane più elevate derivano dalla
nostra capacità di usare le mani: nel corso dell'evoluzione è stato proprio l'uso della mano a
consentire lo sviluppo dell'intelligenza grazie alla possibilità che ci offriva di interagire con
l'ambiente afferrando gli oggetti e manipolandoli. Un'altra eccellenza di iCub è la pelle, che
ricopre gli arti e il torso ed è - ad oggi - costituita da 5 mila sensori di tipo capacitivo simili
a quelli dei touch screen di smartphone e tablet.
Soprattutto, è la combinazione tra capacità motorie, sensoriali e computazionali che rende
questo robot unico, una piattaforma ideale per lo studio dell'intelligenza.
Il progetto iCub riunisce 200 ricercatori da tutto il mondo, e grazie al loro apporto, oggi il
robot è già in grado di fare molte cose che fa un bambino: per esempio, dopo aver
"imparato" a gattonare nel 2010, è capace di tenersi in equilibrio (capacità che richiede
molta energia anche a un essere umano, perché la posizione eretta è instabile per natura) e
anche di camminare, seppur lentamente.
Addirittura è in grado di "capire" semplici comandi vocali ed esprimere emozioni (gioia,
disappunto, sorpresa) verso i suoi interlocutori. Ovviamente non si tratta di vere emozioni,
ma di espressioni facciali simulate per mezzo di luci, che però aiutano a migliorare
l'interazione tra umani e robot, a farci sentire più a nostro agio con lui. iCub sa inoltre
parlare, vedere, riconoscere e afferrare gli oggetti. E, soprattutto, imparare dagli errori. La
prima volta che prova ad afferrare qualcosa, infatti, può sbagliare; ma poi si corregge e
impara anche a dosare la forza in modo opportuno.
169
Anno dopo anno, i ricercatori migliorano le prestazioni dei sensori e dei circuiti di iCub,
per renderlo sempre più simile a noi. Fino a poco tempo fa, gli occhi del robot erano
costituiti da "semplici" telecamere. Oggi, invece, sono allo studio sensori ottici più
avanzati, detti "neuromorfi" perché ispirati all'occhio umano.
Un'altra particolarità di iCub è il fatto di essere un progetto open source, come il sistema
operativo Linux. Ogni gruppo di ricerca che partecipa all'iniziativa può modificare iCub
secondo le proprie esigenze, purché ne condivida i risultati con gli altri.
Il piccolo androide, di cui a Genova esistono 3 esemplari ha 25 di fratellini sparsi nel
mondo. Il vantaggio, per i gruppi di ricerca che li usano, è evidente: il fatto di basare i
differenti studi sullo stesso corpo meccanico permette di condividere più facilmente i
risultati e quindi di progredire più velocemente nella ricerca. iCub è nato come progetto a
lungo termine di interesse puramente scientifico. Non mancano, però, le applicazioni.
In campo medico gli studi sul movimento degli arti del robot si possono applicare alla
riabilitazione di persone che, per esempio a causa di un ictus, sono rimaste paralizzate: in
un certo senso, si può dire che il robot impara i movimenti dall'uomo, per tornare a
insegnarli all'uomo. Sono attive in tal senso alcune collaborazioni tra IIT e alcune strutture
ospedaliere. Gli scienziati di Genova sono convinti che un giorno i loro umanoidi potranno
entrare nelle case delle persone, contando anche sul fatto che il prezzo di produzione può
diminuire sensibilmente grazie alla produzione di massa.
Si sta studiando la possibilità, per esempio, che i robot siano utilizzati per l'assistenza agli
anziani: potrebbero controllare lo stato di salute, l'assunzione di medicine e fornire
assistenza.
Non bisogna infine dimenticare il progetto originale, cioè il fatto che iCub sia usato come
modello per le neuroscienze. In questi primi 10 anni iCub ha percorso molta strada.
Eppure, da un certo punto di vista, è appena arrivato al punto di partenza: servire da
modello per gli studi sull'intelligenza. Nei prossimi 10 anni il cucciolo potrà finalmente
crescere, soprattutto da questo punto di vista.
170
3.15.1 Intervista ad A. Roncone (iCub Facility, PhD Fellow)
1. «Come sei entrato in contatto con IIT»?
«Ho scritto la tesi con un professore che lavorava nel dipartimento di RBCS (Robotics
Brain and Cognitive Sciences) associato all’Università di Genova, e mi ha offerto di fare il
dottorato (phd) all’IIT. Sono stato selezionato e ho deciso di partecipare ad un progetto
della durata di 3 anni».
2. «Parliami di IIT, cosa ne pensi»?
«l’istituto è una fondazione di ricerca che opera in diversi campi. Per quanto mi riguarda,
l’ambito della robotica da un punto di vista scientifico è stimolante in quanto è applicabile
a diversi ambiti ingegneristici, meccanica, elettronica ed ingegneria del software; dal
punto di vista lavorativo sono convinto che la robotica sia un’area estremamente
promettente per un futuro non troppo lontano. Qual’è il mio parere su IIT? è un istituzione
che lavora nel lungo termine dunque difficile da valutare (per i risultati): per esempio un
farmaco studiato nel dipartimento di Drug Discovery, ha un ciclo di vita di 25 anni tra
l’ideazione e la messa in commercio, quindi è difficile valutare dopo “solo” 10 anni di
attività di IIT. Alcuni dipartimenti se non raggiungono risultati tangibili (5 anni) vengono
chiusi, come è accaduto con quello di Telerobotica, dove 50 ricercatori hanno perso il
lavoro».44
3. «Quale ruolo ricopri all’interno di IIT»?
«Sono uno studente di dottorato (3 anni all’IIt) che si occupa del lato software di iCub,
quindi l’intelligenza artificiale, machine learning, integrazioni multisensoriali, percezione
robotica in generale; in pratica gli insegno come avere una migliore percezione del
mondo, come integrare le informazioni che riceve dalle due telecamere (i suoi occhi) per
creare una migliore ricostruzione tridimensionale dell’ambiente esterno»
44 vedi: http://www.scienzainrete.it/files/Sole_2010_11_30_Ravenna.pdf.
171
4. «Parliamo di iCub: dove vuole arrivare»?
«iCub è una piattaforma concepita nell’ambito della robotica cognitiva, che in sostanza
significa una robotica concettualmente diversa da quella tradizionale, come la robotica
industriale o la Home Automation (I robot aspirapolvere per intenderci). La robotica
industriale si occupa di creare dei robot capaci di fare cose difficili, per rimpiazzare
l’uomo in task anche complicate e pericolose, hanno la possibilità di essere programmati
per diverse attività, però hanno il problema che sanno fare una sola cosa, e sono
essenzialmente dei robot che non sanno interagire con l’essere umano, e potenzialmente
pericolosi, in quanto non hanno una minima percezione del mondo esterno. (non sanno
quindi rilevare la presenza dell’essere umano intorno a loro). la Home Automation
presenta invece robot già in grado di avere una minima percezione dell’ambiente esterno e
di adattarsi ad esso, però anche loro sono in grado di eseguire un solo task (ciò per cui
sono stati progettati) e non sanno adattarsi a nuovi compiti».
«La robotica cognitiva ha un punto di vista più ampio, si ispira all’essere umano e agli
animali superiori in generale, e cerca di sfruttare l’apprendimento come mezzo per
sviluppare nuovi task e adattarsi a situazioni contestuali impreviste».
«iCub è una piattaforma di ricerca acquistabile dalle altre università per fare ulteriore
ricerca (il suo costo attuale nel 2014 è di 300.000 Euro); l’obiettivo è quello di abbassarne
drasticamente i prezzi, per poterlo inserire in settori e contesti diversi come per esempio
nelle settore della medicina, già in uso in questo campo il cd, braccio di ferro: è un robot
progettato da IIT, viene usato per la riabilitazione fisioterapica di arti superiori, a seguito
di disabilità o ictus»;
«Un’ applicazione pensata è l’utilizzo di robot nelle cd. clean room, degli ambienti adibiti
a laboratori chimici, e/o elettronici la cui caratteristica principale è la presenza di aria
molto pura, cioè a bassissimo contenuto di microparticelle di polvere in sospensione; un
robot con diverse abilità in queste situazioni anche pericolose (per esempio il trattamento
di sostanze tossiche) potrebbe essere in grado di sostituire un essere umano».
172
5. «Il futuro: ti vedi all’interno di IIT nei prossimi anni»
«In questo momento sono al termine del mio PhD di 3 anni, finirò l’esperienza IIT a fine
2014; per politica interna, esiste l’obbligo di non tenere ricercatori per il post dottorato,
questo per favorire la nascita di nuove idee e per far circolare i ricercatori a livello
internazionale».
«in che senso»?
«La ricerca essenzialmente avanza in maniera condivisa, nel senso che esiste una
collaborazione tra vari enti di ricerca, laboratori e ricercatori di tutto il mondo, quindi,
favorendo la rotazione di competenze, per diffondere in modo più distribuito la
conoscenza. “Facendo girare” i ricercatori, si evita inoltre il cd. fenomeno tutto italiano
del mantenimento “della poltrona a vita”, il ricercatore è stimolato a livello professionale
perché cambia contesto di lavoro e anche le collaborazioni che instaura, e in più se non
raggiunge un determinato risultato, è obbligato a fare le valigie e a lasciare il posto ad un
altro ricercatore potenzialmente più competente».
6. «Quindi cosa farai»?
«La mia idea sarà di spostarmi in un altra facility, ma rimanendo nello stesso ambito di
ricerca, reputo interessante lo studio del machine learning e della percezione artificiale, è
un settore estremamente in fermento, e ha bisogno di ricercatori con nuove idee».
7. «Vedremo quindi a breve i robot entrare a fare parte della nostra vita quotidiana»?
«Sicuramente, sono già più di quelli che ci si possa aspettare, sono tra noi ma non li
vediamo…».
173
3.16 Il rapporto con le industrie e il tessuto produttivo
Nel 2013 sono state prodotte 57 invenzioni e sottomesse 73 domande di brevetto, che
portano il portafoglio complessivo di IIT a 242 (dati aggiornati a gennaio 201445). La
distribuzione delle domande di brevetto per dipartimenti e centri della rete, dimostra lo
sforzo delle strutture di IIT di proteggere la proprietà intellettuale interna. I settori più
attivi nella produzione di idee sono le nanotecnologie degli smart materials e la robotica,
seguite dall’attività nell’ambito farmacologico.
La vivacità scientifica e la vocazione tecnologica di IIT hanno attirato l’attenzione di
numerose industrie, dal settore tessile a quello energetico, cui ha fatto seguito la
sottoscrizione di contratti di vendita o di ricerca. In aggiunta ai 44 progetti industriali
siglati, IIT ha avviato collaborazioni con aziende leader nel campo della produzione di
strumentazione di laboratorio, le quali hanno messo a disposizione dei ricercatori
attrezzature stato dell’arte perché fossero oggetto di ulteriori miglioramenti tecnologici.
Durante il 2013, le attività di trasferimento tecnologico hanno portato al perfezionamento
delle linee guida legate alla creazione e partecipazione di IIT in iniziative di Start up. Nel
periodo iniziale durante cui la start up deve trovare gli investitori, IIT assicura ai
ricercatori-imprenditori il mantenimento della loro posizione nello staff, la creazione di
una squadra capace di sviluppare l’idea di impresa e l’utilizzo regolamentato della
strumentazione per la realizzazione dei primi prototipi. L’attenzione rivolta verso
l’integrazione con il tessuto produttivo ha portato al lancio di 3 nuove start up e
all’affermazione di 2 idee di impresa (On-Iris e Dual Cam) durante concorsi dedicati. A
questo si aggiunge la trasformazione del progetto Microturbina premiato nel 2012 durante
Italia Camp, nella società Advanced Microturbine.
45 http://iit.it/images/stories/scientific_plan/IIT-8-year-ita-final.pdf.
174
3.17 IIT ed il fotovoltaico a basso costo - alta efficienza
Produrre energia fotovoltaica a basso costo e ad alta efficienza sarà possibile grazie a
semiconduttori policristallini con struttura di Perovskite utilizzati in celle solari di nuova
generazione. Un gruppo internazionale di ricerca, composto da scienziati del Center for
Nano Science and Technology (CNST) di IIT a Milano e dell’Università di Oxford, ha
svelato i meccanismi di funzionamento di queste promettenti celle solari. La Perovskite46,
un cristallo inorganico che prende il nome dal suo scopritore (il mineralogista russo L.A.
Von Perovski), ha conquistato l’attenzione della comunità scientifica nell’ultimo anno
perché, quando è usato come semiconduttore consente la fabbricazione di celle solari
ibride con un rendimento di circa 15%, candidandosi a sostituto del silicio in quanto i costi
di produzione sono più bassi, dovuti all’abbondanza in natura dei materiali attivi e ai
metodi di fabbricazione semplici, che avvengono a basse temperature e sono estendibili su
aree più vaste.
I ricercatori hanno dimostrato che attraverso una corretta progettazione dei cristalli di
Perovskite è possibile realizzare un dispositivo solare ad alta efficienza di conversione,
semplice e poco costoso allo stesso tempo. In particolare il team ha studiato i processi che
avvengono all’interno del cristallo quando interagisce con la luce, e ne ha ottimizzato la
composizione chimica, facendo sì che le cariche elettriche foto-generate possano viaggiare
per distanze maggiori di 1 micrometro nel dispositivo: significative se si confrontano con
le dimensioni nanometriche (mille volte più piccole) della struttura cristallina. Questa è
una nuova e ulteriore sfida per IIT.
46 http://iit.it/images/stories/scientific_plan/IIT-8-year-ita-final.pdf.
175
3.18 Osservazioni conclusive
L’Istituto Italiano di Tecnologia è nato ufficialmente alla fine del 2003 e regolamentato
dalla Legge 24/11, n. 326 (Vedi nota n.1 Par. 3.2). Come abbiamo affermato in
precedenza, tale legge sanciva l’intervento Statale mediante una spesa di 50 milioni di
Euro per l’anno 2004 e successivi 100 milioni di Euro per ogni anno successivo, dal 2005
fino al 2014. Possiamo affermare che il periodo di “assestamento logistico” dell’Istituto è
terminato, dal venturo 2015 IIT dovrà camminare “con le proprie gambe”.
Abbiamo analizzato l’evoluzione di tale istituto, dal punto di vista del personale, dal punto
di vista del trasferimento tecnologico, dei brevetti e anche le diverse partnership che ha
saputo creare con aziende esterne (come per esempio Nikon, vedi par. 3.13). Come
abbiamo evinto dall’intervista con un membro interno, IIT ha iniziato a creare una fitta rete
di contatti con altre Università, italiane ed Estere, stipulando diversi accordi, con aspetti
finanziari molto interessanti (per esempio: i prototipi di iCub saranno venduti alle altre
università, sempre per fare ricerca, per un ammontare di circa 300.000 Euro per unità).
IIT sta iniziando a muoversi in modo autonomo, ha superato i 1200 membri di staff 47 con
un’elevata percentuale di lavoratori con età inferiore ai 35 anni, e ha saputo incrementare
la percentuale di lavoratori italiani (al 2014, più del 54%) invertendo il cd. fenomeno della
fuga di cervelli. IIT si è fatta avanti nella comunità scientifica, sfornando brevetti
internazionali rilevanti e incrementando il numero di pubblicazioni scientifiche. Possiamo
affermare che parte degli scettici che avevano commentato negativamente la nascita di tale
istituto dovranno almeno in parte ricredersi, in basi ai risultati presentati, l’istituto ha
decisamente superato la fase di test. Dal punto di vista dello sviluppo locale, la nostra
domanda era: potranno i risultati di IIT incrementare il benessere dei propri cittadini?
47 http://iit.it/images/stories/scientific_plan/IIT-8-year-ita-final.pdf.
176
Come affermato all’interno dell’intervista ad un membro della facilità iCub, IIT è un
istituzione che lavora nel lungo termine dunque è molto difficile valutare i suoi risultati,
(per esempio un farmaco studiato nel dipartimento di Drug Discovery, ha un ciclo di vita di
25 anni tra l’ideazione e la messa in commercio) “solo“ dopo 10 anni di attività;
sicuramente l’ottimo rapporto con l’Università di Genova e altri Atenei sta favorendo
l’ingresso in IIT di giovani Universitari, per programmi di Dottorato (PhD) e assunzioni a
tempo determinato. Grazie al progetto Leonardo e alla successiva nascita di IIT, Genova ha
attraversato un periodo di trasformazione logistica, senza abbandonare le sue vecchie
ambizioni portuali, ha cercato di evolvere verso una concezione di città più High-Tech,
plasmando il volto urbano della città, (Il Progetto “Erzelli”) sta cercando di porre
innovazione tecnologica e conoscenza all’interno dell’identità delle piccole-medie imprese
locali e delle startup.
Ricordiamo i dati già analizzati in precedenza (Par. 2.11):
• Numero imprese High-Tech della provincia di Genova: 2418 (fonte Istat);
• Totale addetti High-Tech della provincia: 14780 (fonte Istat);
• numero di imprese del DHT: 150 (fonte locale);
• numero di addetti del DHT: 7500 (fonte locale);
Sommiamo questi numeri ai dati inerenti ad IIT, come per esempio i dati relatvi al
personale interno, che a metà 2014 arrivano a quasi 1300 unità. E calcolando che i numeri
stanno aumentando, nel complesso abbiamo ottenuto risultati molto confortanti.
Innovazione tecnologica e sviluppo locale possono convivere insieme? È un percorso
ancora tortuoso, ma sicuramente Genova ha capito di avere una chance a livello Europeo
per dimostrare che l’High-Tech debba essere considerato una risorsa per uscire dalla crisi,
IIT ha ancora molta strada da fare, anche se possiamo affermare con certezza che la
macchina si è messa in moto, dal 2014 è “ufficialmente” diventata indipendente da quei
177
100 milioni annui erogati dallo Stato, dunque ci possiamo aspettare un’ottica più
imprenditriale da parte dei vertici IIT, sperando nelle assunzioni di giovani laureati e
talenti “nostrani”. Confindustria e Dixet hanno da poco fondato l’associazione Genova
2021, città della tecnologia : sarà possibile nei prossimi 7 anni raggiungere un risultato
così ambizioso? Sicuramente siamo sulla strada giusta.
178
CAPITOLO 4
UNA PICCOLA REALTA HIGH-TECH ITALIANA: ELBATECH.
Dopo aver analizzato la connessione tra sviluppo locale e innovazione a livello macro con
l’Istituto Italiano di tecnologia, spostiamo la lente di ingrandimento su una dimensione
molto più piccola di realtà High-Tech. Le dimensioni spesso non sono direttamente
proporzionali ai risultati conseguiti, anzi, spesso proprio queste micro realtà HT riescono a
ottenere risultati a dir poco straordinari.
4.1 Micro sviluppo locale e innovazione: Elbatech
Elbatech1 nasce nel Settembre 1999 all’Isola d’Elba (Toscana) usufruendo di un indotto
creato da un consorzio misto pubblico-privato chiamato Technobiochip (1992-1996), tale
consorzio era formato da diverse Università italiane (come la facoltà di biologia e fisica di
Firenze e Milano) e da industrie che avevano lo scopo di portare sul mercato i prodotti che
la loro ricerca avrebbe prodotto. Tale consorzio aveva vinto una serie di bandi ministeriali:
tra cui uno sulla bioelettronica e uno sui biosensori, inerenti alla microscopia ad alta
risoluzione. I risultati si sono ottenuti ma le industrie non hanno effettuato tale
trasferimento tecnologico. Il progetto Technobiochip è uscita di scena nel 1996, seguendo
gli spostamenti e la destinazione dei fondi ministeriali, mentre una parte dei ricercatori
industriali originari ha deciso di creare una piccola realtà imprenditoriale High-Tech che ha
usufruito dei contatti che si era creata negli anni di ricerca, per esempio alcune Università
italiane come Firenze, Milano e Torino.
1 http://www.elbatech.com.
179
Elbatech ha intenzione di offrire soluzioni che nascono da un ampio spettro di conoscenze,
che spaziano dalla biofisica all’elettronica digitale, per offrire servizi vari come la
progettazione del software applicativi e vari prodotti, come controller, amplificatori ad alta
tensione con basso rumore ed altissima precisione, fino ad arrivare alla creazione di
strumentazione nanogravimerica.
Collaborando con i vari ricercatori, Elbatech cerca di creare dei prototipi e customizzare
una serie di prodotti ah hoc rispetto alle esigenze sperimentali delle varie Università e
aziende del loro indotto.
I due settori in cui Elbatech opera sono la microscopia a sonda di scansione (hanno
progettato e realizzato un microscopio STM/AFM in collaborazione con l’Università di
Firenze e l’istituto di ottica e gli amplificatori di segnale con basso rumore. Questi sono
stati i due filoni trainanti dell’attività di ricerca e poi da questi sono nati dei prodotti che
hanno una loro applicazione nel mercato, tipo amplificatori per posizionare le fibre ottiche
e alimentatori di vario tipo.
4.2 Intervista a Manuela Adami (Elbatech)
«…Tutto quello che vedi è stato fatto a spese dell’azienda, noi non riceviamo fondi di
alcun genere, abbiamo partecipato a qualche progetto europeo ma senza grossi risultati,
invece nel 2013 siamo subentrati in due progetti del CNR…»
1. «Quali sono i vostri ultimi progetti»?
«Diversi laboratori di ricerca chiedono a noi di progettare un prodotto di cui hanno
bisogno. Noi lo facciamo e lo installiamo per un periodo di test all’interno del loro
laboratorio, per es. un microscopio o un particolare Amplificatore. Nel 2013 abbiamo
portato all’Università di Canberra, in Australia, una ventina di amplificatori di segnale
180
marchiati Elbatech, è stata una soddisfazione immensa, e pensa che pochi mesi dopo un
visiting professor Polacco ci ha contattati per avere le stesse macchine all’interno di una
facility in Polonia…».
2. «In Italia avete dei buoni contatti? O dovete sempre uscire dai confini»?
«In Toscana facciamo parte di una consolidata realtà Universitaria di ricerca, mentre con
le aziende è molto difficile entrare in contatto, in quanto progettiamo prodotti di nicchia,
per esempio solo noi e una ditta di Trieste ci occupiamo di quel particolare ramo della
microscopia e siamo solo noi in tutta Italia. Anche a livello aziendale le soddisfazioni non
mancano, un’impresa italiana del tessile ci ha commissionato un microscopio che gli ha
permesso di riconoscere il filo di Cashmere da altri tessuti meno pregiati».
3. «Trovarvi su un’isola così piccola e “lontana” dalle grandi realtà universitarie ed
Industriali italiane ha creato un limite alla vostra attività? Cioè, la distanza ha inciso sulla
qualità dei vostri contatti»?
«Beh, indubbiamente agli albori, negli anni 90, i componenti erano difficili da trovare e
spedire, i tempi erano lunghi e certi fornitori non credevano che una laboratorio High-
Tech potesse operare dall’Isola d’Elba, ma con l’avvento di Internet tutto è cambiato, che
differenza fa trovarsi a Milano o su un isoletta sperduta? Nessuna. Non abbiamo mai
avuto limiti per quanto riguarda il nostro operato, l’evoluzione di internet è stata
ovviamente fondamentale. Con il tempo abbiamo superato i confini europei, da qualche
anno abbiamo un rappresentante dei nostri prodotti (per la parte sensori e nano
gravimetrico) in paesi molto fertili economicamente, come Brasile e Korea, che si occupa
di creare nuovi contatti e clienti». Questi sono i nostri ultimi risultati:
181
• All’Università di Cambridge abbiamo spedito un amplificatore di segnale marchiato
Elbatech che viene usato in un laboratorio di fisica per muovere tubi piezoelettrici.
• All’Università di Oxford abbiamo creato insieme ai ricercatori un microscopio ad alta
risoluzione.
• Il Max Planck Institute tedesco ha recentemente acquistato degli amplificatori di segnale.
«Sull’isola si è creata una rete di collaborazioni con un’altra azienda che opera nel
settore, la Caen, con il loro contributo, produciamo strumentazione e riforniamo
nientemeno che il Cern di Ginevra, che ha bisogno di sensori, più recentemente abbiamo
creato una collaborazione con l’EPFL (Ecole polytechnique Federale de Lausanne)
mediante diverse forniture di amplificatori lineari ad alta tensione.”Sempre all’interno
della EPFL sono stati installati tre microscopi a forza atomica (AFM) prodotti da noi
(sono microscopi con risoluzione di un miliardesimo di metro)».
182
4.3 Il progetto ElbaTech4Nature
Il progetto ElbaTech4nature2 nasce dalla passione dei membri di Elbatech per la natura.
ElbaTech4Nature è un progetto parallelo che opera nel settore ambientale per realizzare
sistemi di misura, di telecontrollo e di gestione dati e video in real-time su Internet/Intranet
e nel "cloud" in genere. ET4N è importante progetto che fonda le sue radici nell’High-
Tech, ma si riscopre “green”, dando la giusta importanza alla natura e ai suoi aspetti,
cercando di trovare nell’HT uno strumento che possa valorizzare l’aspetto naturale. Esso si
occupa in genere di:
• monitoraggio ambientale;
• fototrappolaggio;
• sensoristica ambientale;
• sorveglianza faunistica;
• rilevamento temperatura e salinità;
• videoriprese infrarossi;
• monitoraggio dell’habitat marino;
Gli ultimi progetti ET4N racchiudono:
• Il progetto del Parco dell’Arcipelago Toscano3 per il telecontrollo tramite telecamere per
la salvaguardia del cinghiale e del muflone;
• Il progetto del Parco dell’Arcipelago Toscano per il monitoraggio con telecamere diurne
e notturne di una colonia di gabbiani corsi sull’isola di Pianosa e invio dello streaming
video su internet; 2 www.et4nature.it/
3 http://www.islepark.it/
183
• Il progetto del Parco dell’Arcipelago Toscano per il monitoraggio con telecamere ad
infrarossi customizzati di una tana di berta minore (uccello marino) sull’Isola di
Montecristo con registrazione dello streaming con VCR;
• Realizzazione di una rete sensoristica marina per il controllo della temperatura a varie
profondità di un tratto del Mar Tirreno per studiare l'evoluzione delle praterie di posidonia
oceanica;
• Installazione di una telecamera subacquea con diretta video su internet per il
monitoraggio della vita marina a Cala dei Turchi sull’Isola di Pianosa;
• Controllo delle temperature delle vasche dello stabulario di rane presso il CNR di
Genova;
• Controllo di un sistema di qualità tramite microscopio a forza atomica nel settore tessile
di prestigio;
• Studio dell'influenza delle maree sulla temperatura all'interno della laguna di Orbetello
• Studio dell’influenza di parametri microclimatici sul comportamento e sullo sviluppo di
alcune specie di farfalle target per capire la loro potenziale vulnerabilità in un’ottica di
aumento globale delle temperature (Università degli Studi di Torino – Dipartimento di
Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi – Laboratorio di Zoologia).
• Monitoraggio di temperatura e umidità nelle tane degli orsi bruni (Ufficio Faunistico -
Wildlife Office Parco Naturale Adamello Brenta)
184
«ET4N è la nuova frontiera della nostra visione di innovazione. High-tech e natura
possono convivere insieme, il nostro scopo è conservarla, studiarla e valorizzarla. La
Green Economy è un settore molto promettente, siamo sicuri che questa nuova frontiera
darà ottimi risultati nel breve periodo».
185
4.4 Conclusioni
La presente trattazione ha cercato di approfondire diverse realtà produttive e di ricerca, per
comprendere e delineare quali fattori (in primis l’innovazione tecnologica) possano
favorire concretamente la ripresa economica del nostro paese.
Le opere di Carlo Trigilia sono il punto di partenza per l’analisi del fenomeno dello
sviluppo locale; egli ha nettamente contribuito allo studio delle origini e dello sviluppo
delle regioni del Centro-Nordest (la cd. Terza Italia di A. Bagnasco, vedi par. 2.2)
mettendo in evidenza il ruolo svolto dalle città e dalle politiche locali nel plasmare un
ambiente favorevole allo sviluppo della piccola impresa e dei distretti industriali. Questi
elementi hanno contribuito a creare un tessuto di rapporti fiduciari (ricordiamo il fattore
capitale sociale, vedi R. Putnam51) e di saper fare diffuso legato a tradizioni artigianali e
commerciali in diversi settori produttivi.
In diversi studi, Trigilia ha analizzato la componente sociale dell’innovazione, il ruolo dei
fattori istituzionali, socio-culturali e politici nello sviluppo locale e nei distretti industriali e
high-tech in Italia e in Europa (vedi Crouch C., Le Galès, P., Trigilia52). L’ autore ha
evidenziato come nell'economia contemporanea le dimensioni sociali e relazionali
dell'innovazione spesso siano più rilevanti rispetto ad altre tipicamente aziendali. I processi
innovativi maturano non solo all'interno dei confini dell'impresa, ma sempre di più
attraverso le relazioni formali e informali che le imprese sviluppano tra loro, con i
fornitori, con i clienti e con le strutture della formazione e della ricerca.
51 Putnam R. Making Democracy Work, Civic Traditions in Modern Italy, Princeton University Press, 1994
Cit. in Trigilia C. - Sviluppo Locale, un progetto per l’Italia, Editori Laterza. 2005.
52 Crouch C., Le Galès, P., Trigilia, C., Local Production System in Europe, Oxford University Press, New
York, 2001.
186
Questa connotazione interattiva e comunicativa è correlata ad un nuovo radicamento locale
delle attività innovative: è nel territorio, attraverso interazioni di natura informale, che
nasce la conoscenza tacita come risorsa cruciale per l'innovazione.
L’innovazione assume sempre più una dimensione sociale, da qui la maggiore importanza
che assumono le nuove politiche per lo sviluppo locale e i tentativi di accrescere il capitale
sociale relazionale nei territori (vedi il successo delle tre storie di patti, par. 2.4).
In diversi studi compiuti dei primi Anni Novanta, Trigilia ha attirato l’attenzione sulle
condizioni non economiche dello sviluppo, specialmente localizzate nelle regioni
meridionali53. La carenza di cultura civica o di capitale sociale, il prevalere di relazioni
politiche clientelari, la conseguente tendenza delle istituzioni locali a perseguire politiche
scarsamente efficienti nell’offerta di beni collettivi (infrastrutture, servizi) sono tutti fattori
che ostacolano uno sviluppo autonomo, capace di auto-sostenersi. In questo quadro, gli
aiuti dello stato per lo sviluppo economico e per la fornitura di servizi essenziali ai cittadini
meridionali finiscono per avere degli effetti perversi. Invece di favorire la crescita , portano
ad alimentare corruzione e criminalità.
Di conseguenza, le istituzioni locali devono porre maggiore attenzione alle politiche di
sviluppo, per creare un ambiente economico e sociale più favorevole alla crescita
economica di solide attività di mercato, e per offrire ai cittadini servizi più efficienti e
efficaci in campi fondamentali come la sanità, la formazione, l’istruzione e l’assistenza
(come abbiamo visto nei tre casi positivi nel paragrafo 2.4).
53 Trigilia C. Sviluppo senza autonomia. Effetti perversi delle politiche nel Mezzogiorno, 1994 Cit. in Trigilia
C. Sviluppo Locale, un progetto per l’Italia, Editori Laterza. 2005.
187
Partendo dal esperienze positive di alcuni distretti High-Tech internazionali (tra cui
Cambridge e Sophia-Antipolis) sono stati analizzate diverse realtà innovative italiane già
consolidate, come il distretto delle Biotecnologie in Lombardia (vedi par. 1.9.2) e il
distretto ICT di Torino Wireless46, cercando di capire quali fattori abbiano reso possibile lo
sviluppo di aree altamente tecnologiche anche sul nostro territorio e come si siano distinte
per la loro capacità di “produrre innovazione”, sia in maniera autonoma da incentivi statali,
ma anche grazie al supporto finanziario delle istituzioni (non dimentichiamo il ruolo chiave
delle Agenzie di sviluppo, il cui scopo primario è supportare e incentivare il potenziamento
e la qualificazione dei sistemi produttivi locali).
Ricordiamo alcuni dati:
• Il Distretto Piemontese di Torino Wireless concentra più di 7000 addetti (nel settore ICT)
e produce il 20% dei brevetti nazionali;
• Il Distretto delle Biotecnologie in Lombardia racchiude 1897 imprese nel settore della
sanità (124 su 200 imprese farmaceutiche nazionali aderenti a Farmindustria) con un
indotto di più di 2000 addetti che producono ed esportano il 45% delle medicine prodotte
sul territorio nazionale. Milano è la sede delle più importanti aziende del settore
Biomedico.
• Il distretto High-Mech in Emilia racchiude 28000 imprese meccaniche, 30 istituti di
ricerca che danno lavoro a più di 1600 ricercatori.
Questi sono risultanti in costante crescita e sono molto rassicuranti.
54 Per maggiori dettagli, vedi. Pacetti V. e. Pichierri A. : Policies & Agencies: New policies instruments up
against the crisis, italienforschung.de
188
Le politiche di sviluppo locale sono una importante leva che può incrementare lo sviluppo
locale; le modalità di intervento dello Stato sono state delineate grazie all’analisi di tre
storie di patti territoriali, tre storie di successo che hanno consolidato la necessità di
intervenire a livello locale.
Ed è proprio a livello locale che nascono i piani strategici delle città. Per ovvia comodità è
stato analizzato il piano strategico della Città di Genova, che tra le righe aveva già una
radicata vocazione per la tecnologia, ed essendo sede di un porto internazionale, la scelta di
creare un istituto italiano di tecnologia non poteva che ricadere su una città ben immersa
nelle logiche finanziarie dei trasporti e degli scambi internazionali.
Tenendo a mente le condizioni sociali favorevoli analizzate da Trigilia, la nostra lente di
ingrandimento si sposta sull’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), che sovvenzionato dallo
Stato, ha iniziato a ottenere ottimi risultati, sia dal punto di vista della ricerca che
occupazionali. Purtroppo per vedere risultati tangibili abbiamo dovuto aspettare quasi 10
anni, come già detto i tempi della ricerca sono molto più lunghi, anche se il tempo è
purtroppo, il fattore più importante da considerare in una situazione di crisi come quella
odierna. L’Istituto ha saputo creare ottime relazioni con l’Università di Genova in primis e
con altre Università italiane ed internazionali. Nei primi anni di operato ha creato una fitta
rete di contatti con diverse realtà innovative, anche grazie al distretto High-tech Genovese
(Dixet) che ha saputo unire a Genova diverse realtà produttive multinazionali,
fondamentali per la logistica e la sopravvivenza del distretto HT stesso (Vedere il Progetto
Leonardo, par. 2.13). Entro il 2021, il presidente del Dixet Carlo Castellano prevede che ci
saranno 21.000 addetti nel settore High-Tech a Genova.
Dunque gli studi di Trigilia hanno avuto un ulteriore riscontro pratico: lo sviluppo locale è
legato in modo indissolubile alla qualità dei rapporti di fiducia instaurati sul territorio.
Questo fatto è stato dimostrato anche dai diversi casi presentati all’interno della trattazione:
dove si instaurano rapporti sociali basati sull’onestà e sulla fiducia, lo sviluppo è evidente.
189
Cosa ci insegna il caso IIT? Lo sviluppo locale genovese è stato incrementato grazie ad
un’intensa relazione fiduciaria che ha chiamato in causa diverse forze sociali presenti sul
territorio: le aziende, le Istituzioni, l’Università; possiamo dire con certezza che
l’innovazione tecnologica derivante, ha generato benessere a livello occupazionale e di
riflesso, a livello sociale.
Si possono delineare i primi passi per costruire un paradigma Innovazione tecnologica-
Sviluppo locale? Forse.
L’importante è imparare a coltivare, come sanno fare certe nazioni oltreoceano, ciò che
abbiamo di più caro: la conoscenza.
190
Elenco delle figure e delle immagini
Figura 1 - Intensità degli investimenti in R&S in percentuale del PIL (Fonte: OECD
2008)……………………………………………………………….………………....Pag. 85
Figura 2 - Addetti alla R&S sul totale degli occupati, zona UE-15 (Fonte:OECD)....Pag. 86
Figura 3 - Quota dei brevetti sul totale della popolazione, zona UE -15……………...Pag. 88
Figura 4 - Performance innovativa nelle Regioni italiane………………………………Pag. 92
Immagine 1. - L’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, visto dall’ingresso. 107
Immagine 2: Progetto Definitivo dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). ... …….116
Figura 5 - Piattaforme di ricerca del piano scientifico 2009-2011…………………Pag. 159
Figura 6 - Crescita dello staff del laboratorio centrale dal 2006 al 2010……………Pag 161
Figura 7 - Staff a dicembre 2010: Distribuzione categorie di personale…………… .Pag 161
Figura 8 - Distribuzione per età dei ricercatori IIT a dicembre 2010………………...Pag.161
Figura 9 - Nazionalità dei ricercatori IIt (Zone Blu) Dicembre 2010………………..Pag. 162
Figura 10 - Pubblicazioni di IIT su riviste Internazionali, full papers e conference
proceedengs con peer review, libri o capitoli di libri…………………………………...Pag 163
Figura 11 - Distribuzione statistica degli Impact Factor delle pubblicazioni di IIT su riviste
Internazionali………………………………………………………………………..Pag. 164
Figura 12 - Riviste scientifiche con IF≥7 (in parentesi quadre) su cui sono comparsi
articoli IIT…………………………………………………………………………..Pag. 165
Figura 13 - Numero di progetti finanziati da fondi esterni ………………………...Pag. 167
Figura 14 - Numero di brevetti IIT depositti per anno……………………………...Pag. 167
Figura 15 - Distribuzione delle pubblicazioni di IIT per area tematica, basata su campione
di 1798 pubblicazioni (fonte: database Scopus, 31-12-2011)……………………….Pag 169
Figura 16 – Descrizione piattaforme scientifiche del piano scientifico 2012-2014...Pag. 170
Figura 17 - Portafoglio totale progetti. (Y= milioni di Euro, X= Anni)……………..Pag 175
Figura 18 - Evoluzione del portafoglio brevetti IIT 2006-2011……………………Pag. 176
Figura 19 - Distribuzione dei brevetti per dipartimenti e centri della rete………... Pag. 177 Figura 20 - Distribuzione dei brevetti per piattaforma……………………………...Pag. 177
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Elenco delle tabelle
Tabella 1 - Principali enti finanziatori della spesa in R&S (Fonte: OECD 2008)…..Pag. 87
Tabella 2 - flussi attivi e passivi della bilancia Tecnologica dei pagamenti, incidenza %
rispetto al PIL ………………………………………………………………………..Pag. 88
Tabella 3 - Quote di esportazioni per i principali settori ad alta tecnologia, zona UE- 15
(Fonte: OECD 2008)………………………………………………………………….Pag.89
Tabella 4 - Percentuale della popolazione tra 25-64 anni con almeno un’istruzione
secondaria superiore Fonte: OECD (2008)………………………………………….Pag. 90
Tabella 5 - Composizione della spesa in R&S Fonte: (ISTAT 2008)………………..Pag. 92
Tabella 6 - Finanziamenti dei progetti all’interno delle cinque Regioni considerate, dati in
migliaia di Euro……………………………………………………………………... Pag. 94
Tabella 7 - Azioni della linea strategica n.1: “Città di tutti”, Il Piano della città di Genova
2002…………………………………………………………………………………Pag. 124
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