interazione tra immunità e ambiente

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17/11/2015 1 Interazione tra immunità e ambiente Mauro Ceroni e Diego Franciotta Uomo e ambiente La neocorteccia ha consentito all’homo sapiens di adattarsi ai cambiamenti ambientali, con l’affermazione della specie (verosimilmente i dinosauri si sono estinti perché, con una neocorteccia molto primitiva, non potevano adattarsi all’ecosistema che cambiava); negli ultimi secoli, la neocorteccia umana sta andando oltre il limite, avendo prodotto cambiamenti ambientali che mettono a rischio la specie e il pianeta

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Interazione tra immunità e ambiente

Mauro Ceroni e Diego Franciotta

Uomo e ambiente

� La neocorteccia ha consentito all’homo sapiens di adattarsi ai cambiamenti ambientali, con l’affermazione della specie (verosimilmente i dinosauri si sono estinti perché, con una neocorteccia molto primitiva, non potevano adattarsi all’ecosistema che cambiava); negli ultimi secoli, la neocorteccia umana sta andando oltre il limite, avendo prodotto cambiamenti ambientali che mettono a rischio la specie e il pianeta

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Uomo e ambiente

� La nascita della coscienza, caratteristica unica nei termini come la sperimentiamo della specie homo sapiens, ha fatto entrare nell’evoluzione biologica un fatto assolutamente nuovo: l’uomo ha dato inizio alla evoluzione culturale che si sviluppa ad una velocità con crescita esponenziale, imparagonabile a quella della evoluzione biologica

Uomo e ambiente

� A un livello meno strutturato, ma sicuramente non meno complesso, una delle funzioni che fanno in modo che la specie vivente si adatti e sopravviva ai cambiamenti ambientali è rappresentata dal sistema immunitario

� L’evoluzione combinata cervello-sistema immunitario è cominciata circa mezzo miliardo di anni fa (Cohen and Kinney, 2001) con una finalità prioritaria, cioè quella di adattare l’organismo all’ambiente. Durante questo periodo, il sistema immunitario ha generato e affinato meccanismi sempre più efficienti per difendersi da patogeni esterni e per rigettare antigeni presenti in altri organismi della stessa specie (in generale, il ‘non self’), tollerando, allo stesso tempo, gli antigeni dell’organismo ospitante (il ‘self’, ‘io biologico’), con gradi di sofisticata difficoltà, per esempio, il dover affrontare un feto che cresce nel ventre materno, estraneo ‘per metà’ alla madre, dato che il 50% dei suoi geni sono paterni

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Uomo e ambiente

� Considerando oggi i risultati di questa lunga evoluzione, si può affermare di aver raggiunto una buona conoscenza dei meccanismi operativi del sistema immunitario, mentre, per quanto riguarda il cervello, pur essendone noti molti dei processi funzionali elementari, sfuggono alla comprensione i meccanismi sottostanti le manifestazioni della sfera cognitiva, al punto da dover ritenere ancora valida la citazione del biologo e filosofo inglese Thomas H. Huxley (1886): “il fatto che un fenomeno così fondamentale come lo stato di coscienza derivi dalla sollecitazione di un tessuto nervoso, è una cosa tanto inesplicabile quanto la comparsa del Genio quando Aladino strofina la Lampada”

Uomo e ambiente

� L’esposizione di antigeni MHC di classe I interviene, nel cervello in via di sviluppo e in quello adulto, in processi fisiologici coinvolti nel rimodellamento strutturale e sinaptico (Huh et al., 2000). Queste evidenze dimostrano come, attraverso un processo dinamico e incessante, il “self MHC” svolga un ruolo primario nel ridefinire i confini dello ‘Io cognitivo’ (principium individuationis) e dell’ ‘Io biolgico’. Ne deriva, a corollario, che l’unità stessa dell’Io, ‘la continuità della sua presenza nel tempo, interrotta di tanto in tanto dal sonno, la sua inalienabile interiorità nello spazio della percezione sensoriale, la invariabilità del suo ‘punto di vista’, la dimensione privata della sua esperienza’ (Eccles, 1994), presupponga comunque una costante variabilità (adattamento) del substrato biologico che la genera (plasticità cerebrale)

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Uomo e ambiente� I due sistemi, nervoso e immunitario, hanno mantenuto connessioni

reciproche, sebbene, nel corso dell’evoluzione, la barriera emato-encefalica – un complesso glio-endoteliale che limita l’accesso di cellule e proteine dal circolo ematico al cervello – sia intervenuta a separarli, in modo da configurare il cervello quale ‘organo immunologicamente unico’ e a basso ‘profilo infiammatorio’: racchiuso all’interno della teca cranica, è l’organo più suscettibile agli effetti collaterali dell’infiammazione (tumor, calor, functio laesa), dai quali si difende meno efficacemente rispetto agli altri organi

Uomo e ambiente

� A rinforzare il concetto di cervello come organo a basso ‘profilo infiammatorio’, è importante sottolineare come gli antigeni HLA di classe I siano presenti su tutte le cellule nucleate del corpo umano, tranne che sui neuroni, purché dotati di fisiologica attività elettrica. Assente tale attività, il neurone espone antigeni di classe I e quindi, riconosciuto dal sistema immunitario come cellula morta, può essere oggetto di rimozione

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Immunità e ambiente

� Il sistema immunitario, plasmato dall’evoluzione, rappresenta un efficiente meccanismo di difesa contro agenti microbici esterni (non self), ma, nel corso di un’infezione microbica, risposte anticorpali e cellule T-specifiche contro antigeni del self possono essere generate (risposte autoimmuni)

� Tali risposte non generano automaticamente malattie autoimmuni, che si manifestano verosimilmente in seguito a ulteriori, e sostanzialmente ignoti, fattori eziologici e meccanismi patogenetici

Immunità e ambiente

� I dati a disposizione suggeriscono che la patogenesi di una malattia autoimmune quasi certamente coinvolge una complessa interazione tra assetto genetico dell’ospite e fattori ambientali

� Tra i fattori ambientali, le infezioni virali sono state proposte, in vari periodi e con varia fortuna, quali possibili agenti promuoventi l’autoimmunità (per

esempio, associazioni tra infezione da HTLV-I e artropatie autoimmuni e Paraparesi Spastica Tropicale, tra EBV e lupus eritematoso sistemico)

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Immunità e ambiente

� Vorrei far notare che nel campo delle malattie autoimmuni la domanda circa la causa di esse potrebbe non essere adeguata al problema. E’ ben vero che la scoperta delle malattie infettive ha mostrato tutta la pertinenza e pregnanza di questa domanda in medicina. Tuttavia, le malattie autoimmuni si presentano come risultato del disequilibrio fra due sistemi di estrema complessità, immunità e ambiente

Immunità e ambiente

� E’ dunque probabile che le domande più pertinenti in questo campo della Medicina siano: quali sono i fattori che inducono o favoriscono questo squilibrio? e quali modificazioni del sistema immunitario rendono permanente tale disequilibrio?

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Autoimmunità

� O in altri termini qual è il “peso” dell’assetto genetico vs fattori ambientali nella patogenesi dell’autoimmunità?

� Una considerevole discordanza nell’incidenza di patologie autoimmuni in gemelli omozigoti (20-30% di concordanza nella SM) suggerisce che, in molti casi, devono essere coinvolti fattori ambientali (peraltro, dati epidemiologici indicano che è l’esposizione a infezioni virali in età pediatrica a definire, almeno in parte, le percentuali di rischio di sviluppare una data malattia autoimmune, e i gemelli normalmente condividono l’esposizione a fattori ambientali nei primi anni di vita)

Autoimmunità

� Una volta acquisito il rischio autoimmune nei primi anni di vita (first hit), si ritiene che le infezioni, non necessariamente legate al primo insulto, possano successivamente scatenare la manifestazione autoimmune (second hit) mediante importanti risposte infiammatorie nei vari organi

� Per contro, la cosiddetta ‘hygiene hypothesis’ postula un effetto protettivo, nei confronti dell’autoimmunità, da parte delle infezioni acquisite in età pediatrica

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Le infezioni favoriscono o proteggono dall’autoimmunità?

� l’infezione diretta di organi può causare il rilascio di antigeni sequestrati che, a loro volta, possono sostenere risposte T regolatorie piuttosto che autoaggressive

� il gradiente chemochinico attivato dall’infezione può attrarre linfociti T autoaggressivi in un organo, oppure può sottrarli da un potenziale processo autoimmune se il gradiente chemochinico li dirige verso un altro organo, coinvolto dall’infezione

Le infezioni favoriscono o proteggono dall’autoimmunità?

� L’infiammazione locale può alterare il repertorio di epitopi del self presentati dalle Antigen Presenting Cells : in queste condizioni si ha una minor attivazione delle T regolatorie, con peggioramento dell’autoimmunità

� La presentazione di epitopi del patogeno con struttura simile a epitopi del self può attivare linfociti autoreattivi (molecularmimicry)

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Le infezioni favoriscono o proteggono dall’autoimmunità?

� La risposta immunitaria, inizialmente diretta verso epitopi del patogeno, si amplifica e si espande verso epitopi del self, con il reclutamento di linfociti autoreattivi che riconoscono epitopiintramolecolari o intermolecolari di un antigene di per sé non generante una risposta autoimmune (epitope spreading)

Le infezioni favoriscono o proteggono dall’autoimmunità?

� Possibili meccanismi che sostengono l’ hygiene hypothesis

� 1) un’infezione virale può innescare o sopprimere una reazione autoimmune (iniezione di coxsackievirus in NOD mice; effetto protettivo di IFNg e TNFa in EAE se somministrati tardivamente nel corso del processo infiammatorio): importanza del timing

� 2) infezioni parassitarie stimolano lo shift Th1-Th2 e induzione e attivazione di T-cells regolatorie

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Le infezioni favoriscono o proteggono dall’autoimmunità?

� 3) una massiva attivazione del sistema immunitario favorisce l’efficace spegnimento della stessa, una volta debellata l’infezione che l’ha innescata: la massiva attivazione di linfociti T autoaggressivi ne favorisce l’apoptosi; al contrario, una basso livello di attivazione della risposta immunitaria, come quello ipotizzabile generato dalla molecularmimicry, rischia di espandere le popolazioni di linfociti T autoaggressivi, in mancanza di efficiente apoptosi

Il self identifica l’Io biologico

Partendo dall’intuizione di Garrod, che nel 1902 per primo propose il concetto di “individualità chimica", e passando per Burnet, che nel 1949 intuì le strutture antigeniche del self (contrapposto a tutto ciò che è altro, il non-self), la scoperta degli antigeni HLA, e del loro straordinariopolimorfismo, ha permesso di definire l’ “unicità biologica” di ciascunindividuo

The Nobel Prize in Physiology or Medicine 1980 was awarded jointly to B. Benacerraf, J. Dausset and G.D. Snell "for their discoveries concerning genetically determined structures on the cell surface that regulate immunological reactions"

Baruj BenacerrafPrize share: 1/3

Jean DaussetPrize share: 1/3

George D. SnellPrize share: 1/3

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Autoimmunità svelata

� Nonostante l’ampio spettro delle malattie autoimmuni oggi note, dal diabete mellito insulino-dipendente, al lupus eritematoso sistemico, alla miastenia grave, etc, soltanto nella sd di Guillain-Barré, una poliradicolonevrite acuta demielinizzante, è stato possibile dimostrare formalmente, sia dal punto di vista biochimico, sia da quello della riproduzione della patologia in animale sperimentale (Ang et al., 2004), che l’omologia strutturale tra il liposaccaride del Campylobacter jejunie il ganglioside GM1, componente del nervo periferico, può scatenare autoimmunità specifica

Autoimmunità svelata

� Dal momento che gli ipotetici meccanismi patogenetici legati alla ‘molecular mimicry’ prevedono l’interazione tra antigeni ‘non-self’ (liposaccaride del Campylobacter jejuni) e del ‘self’ (ganglioside GM1), evento prevedibilmente molto comune e frequente, il passaggio logico tra una causalità necessaria ma non sufficiente a una necessaria e sufficiente si basa sulla compartecipazione della predisposizione genetica, principalmente a carico del sistema HLA

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Un caso molto interessante

� La narcolessia è una patologia neurologica autoimmune dipendente da polimorfismi di geni HLA e geni codificanti per il T cell receptor

� E’ un esempio di interazione tra ‘Io biologico’, mancato riconoscimento del ‘self’ e ambiente

Un caso molto interessante

� La malattia è caratterizzata da un deficit di ipocretina, neurotrasmettitore mediante il quale neuroni ipotalamici, con assoni estesi all’intero cervello e midollo spinale, inducono e mantengono lo stato di veglia e controllano l’appetito

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Un caso molto interessante

� La narcolessia colpisce circa 1 persona su 2000, e induce una grave e irresistibile sonnolenza diurna, con pattern elettroencefalografici sonno-veglia anormali

� La perdita di neuroni ipotalamici producenti ipocretina è causata da un processo autoimmune che dipende da una specifica interazione tra un peptide HLA e un T cell receptor(Kornum et al., 2011)

Un caso molto interessante

� L’esordio di narcolessia in bambini che avevano manifestato infezioni da Streptococcus Pyogenes, da virus influenzale A H1N1, o che erano stati vaccinati per H1N1 (reviewed by Kornum et al., 2011), suggerisce come primo momento patogenetico un fattore ambientale che innesca la reazione

autoimmune tramite meccanismi di ‘molecular mimicry’ o ‘bystanderactivation’

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Un caso molto interessante

� La narcolessia è la malattia che, in assoluto, ha la più forte associazione con geni HLA, dato che il 99% dei pazienti è portatore dell’allele HLA DQB1*06:02, o dell’allele DQA1*01:02, in quasi completo linkage disequilibrium con il primo (Mignot et al., 1997)

� Tuttavia, gli omozigoti DQB1*06:02 o gli eterozigoti DQB1*06:02/03:01 hanno un rischio più alto di narcolessia rispetto agli eterozigoti DQB1*06:02 in generale, mentre altre combinazioni eterozigoti tra l’allele di suscettibilità DQB1*06:02 e altri specifici alleli DQB1 risultano addirittura protettive (Kornum et al., 2011)

Un caso molto interessante

� Questi dati sorprendenti fanno ritenere che la predisposizione alla malattia non fosse esclusivamente legata a geni HLA

� Infatti, successivamente Hallmayer e Colleghi (2009) hanno dimostrato una fortissima associazione tra la narcolessia e comuni polimorfismi del locus del T cell receptor alfa, con significatività massima per il polimorfismo rs1154155

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Un caso molto interessante

� In nessun’altra malattia è stato mai documentato il coinvolgimento genetico di loci del T cell receptor alfa codificanti funzionalmente per i recettori principali del complesso HLA-peptide, nell’ambito della ‘sinapsi immunologica’

Un caso molto interessante

� Il ‘modello narcolessia’ si presenta, quindi, come apripista per lo studio sul come le interazioni HLA-T cell receptorcontribuiscano all’autoimmunità organo-specifica, conferendo suscettibilità di malattia nelle oltre 100 malattie associate a polimorfismi dei geni HLA

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Microbiota

� Louis Pasteur (1822-1895) per primo ha affermato che gli animali non potrebbero vivere in assenza di microrganismi

� L’ ‘Io biologico’ è anche ‘Io ambientale’:

� le cellule microbiche che albergano nel corpo umano (microbiota) sono dieci volte più numerose delle cellule che costituiscono il nostro corpo (100.000 miliardi)

Microbiota� il tratto gastrointestinale è sede di interazione tra la più alta

concentrazione di cellule del sistema immunitario, un esteso network di 500 milioni di neuroni e il microbiota intestinale, che si presentacome una massa stimata di 1–2 kg, comprendenti 1800 generi e finoa 40,000 specie, con un numero complessivo di geni circa 100 volte maggiore di quello del genoma umano

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Microbiota� il tratto gastrointestinale è sede di interazione tra la più alta

concentrazione di cellule del sistema immunitario, un estesonetwork di 500 milioni di neuroni e il microbiota intestinale, che si presenta come una massa stimata di 1–2 kg, comprendenti 1800 generi e fino a 40,000 specie, con un numero complessivo di geni 100 volte maggiore di quello del genoma umano

Microbiota

� L'intestino umano è quindi habitat naturale per una popolosacomunità di batteri, che ha caratteristiche dinamiche, perchè i suoi membri possono variare nel tempo, per vie naturali, legate a dieta, igiene, antibiotici, urbanizzazione, o meno naturali, come il trapianto di microbiota intestinale, piùvolgarmente ‘trapianto di feci‘ (il primo in Italia, il 30 maggio2013, a Milano, Ospedale Sacco, protagonista una giovane donna con una grave infezione intestinale da Clostridium

difficile, un microrganismo particolarmente resistente agli antibiotici)

� Sebbene non sia stato ancora descritto in maniera esaustiva, il microbiota umano ha ben documentata importanza sia in condizioni fisiologiche che patologiche per l'ospite

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Microbiota

� Le funzioni più importanti includono attività metaboliche connessecon il recupero energetico e l'assorbimento dei nutrienti, importanti effetti trofici sugli epiteli intestinali e sulla funzioneimmunitaria, e la protezione da colonizzazioni deleterie da parte di microbi alieni

Microbiota

� Per ora soltanto in ipotesi, la flora intestinale potrebbegiocare un ruolo anche in alcune condizionipatologiche, come la sindrome da disfunzionemultiorgano (multisystem organ failure syndrome), il tumore del colon e le malattie infiammatorie intestinali

� Senza dubbio, l‘evoluzione ha selezionato per i batterifunzioni utili per la promozione della salute umana, funzioni che si è cercato di ‘riprodurre‘ con i‘probiotici‘, fermenti che dovrebbero rinforzare le difese immunitarie, e i ‘prebiotici‘, fibre alimentari che, se associate a una corretta alimentazione, migliorano l'azione dei fermenti lattici (Guarner F, Malagelada JR. Gut

flora in health and disease. Lancet 2003;9356:512-9)

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Il microbiota umano ha un ‘core‘ filogenetico

� Usando metodi basati su ‘sequence alignment‘ o ‘tetranucleotidefrequency‘, Tap e colleghi hanno trovato 3180 operational taxonomic units (OTUs) batteriche. Le sequenze di 16S rRNA appartenevanoprincipalmente ai seguenti phyla (classi batteriche): Firmicutes (79.4%), Bacteroidetes (16.9%), Actinobacteria (2.5%), Proteobacteria (1%) e Verrumicrobia (0.1%). Degno di nota che la maggior parte delle OTUsfossero individuo-specifiche, e che il 2.1% di esse fossero presenti in più del 50% dei campioni, rappresentando il 35.8% del totale delle sequenze

Tap J, Mondot S, Levenez F, et al. Towards the human intestinal microbiota phylogeneticcore. Environ Microbiol. 2009;11:2574-84

Il microbiota umano ha un ‘core‘ filogenetico

� Le operational taxonomic units (OTUs) prevalentiappartenevano a membri dei generiFaecalibacterium, Ruminococcus, Eubacterium, Dorea, Bacteroides, Alistipes e Bifidobacterium.

� Le metodiche di detezione si sono rivelate robuste, dato che la maggior parte delle OTUs sono state confermate in diversi lavori con procedure sperimentali differenti

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Il microbiota umano ha un ‘core‘ filogenetico

� Le prevalenze delle OTUs sono state confermate da modellistatistici

� Lo studio dimostra quindi che nonostante l'elevato numero di specie batteriche e l‘elevatissimo grado di specificità proprio di ciascun individuo, un numero limitato di OTUs è condiviso tra gliindividui e potrebbe rappresentare il ‘core‘ filogenetico del microbiota intestinale umano

� Rimane da dimostrare in maniera dettagliata il suo ruolo nelmantenimento dello stato di salute nel genere umano

Immunità e ambiente

�Grazie per l’ascolto