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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. INTRODUZIONE 1 F.Angotti, A.Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98 1 INTRODUZIONE 1.1 PREMESSA La Scienza delle Costruzioni è la disciplina di base dell’ingegneria strutturale. Essa si colloca a valle di quasi tutti gli insegnamenti fondamentali comuni a tutti i corsi di laurea dell’ingegneria e può esser vista come lo sviluppo, in senso ingegneristico, della meccanica razionale. Infatti la Scienza delle Costruzioni prende le mosse dalla meccanica del continuo con i capitoli riguardanti lo studio della deformazione, dello stato di tensione, dell’equilibrio elastico, ecc. Inoltre riprende, per evidenziarne gli aspetti maggiormente applicativi, alcuni classici argomenti della meccanica razionale quali la statica e la geometria delle masse. Requisito importante, per seguire con profitto queste dispense, è una buona conoscenza dei contenuti dei corsi di Analisi Matematica I e II, di Geometria, di Fisica I, nonché del corso di Meccanica Razionale. Lo scopo principale del corso è quello di fornire, con riferimento agli organi resistenti delle costruzioni e delle macchine, gli strumenti per valutare a) La sicurezza b) La funzionalità a) Verificare la sicurezza significa controllare che gli organi resistenti di una costruzione siano in grado di sopportare, per tutta la durata della loro vita, i carichi che su di essi graveranno, senza che si verifichino eventi traumatici quali possono essere il crollo totale o parziale. b) Verificare la funzionalità significa controllare che la risposta degli organi resistenti ai carichi sia compatibile con un corretto esercizio. Per la prima verifica occorre conoscere lo stato di cimento del materiale con cui è realizzato l’organo resistente e confrontarlo con la resistenza dello stesso materiale. La seconda verifica molto spesso si esaurisce controllando che la deformazione dell’organo resistente sia compatibile con il suo corretto esercizio. Frequentemente parleremo di strutture, intendendo con ciò riferirci ad un solido avente la funzione di resistere alle azioni cui è assoggettato nel corso di tutta la sua vita. Le strutture sono inserite nelle costruzioni ed hanno il compito di riportare al terreno di fondazione, o più in generale ai vincoli, le azioni cui sono sottoposte. Vedremo che per valutare la sicurezza e la funzionalità di una struttura occorre in generale conoscere la geometria della struttura il materiale con cui è realizzata i vincoli a cui è assoggettata

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. INTRODUZIONE 1

F.Angotti, A.Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

1 INTRODUZIONE

1.1 PREMESSA

La Scienza delle Costruzioni è la disciplina di base dell’ingegneria strutturale. Essa si colloca a valle di quasi tutti gli insegnamenti fondamentali comuni a tutti i corsi di laurea dell’ingegneria e può esser vista come lo sviluppo, in senso ingegneristico, della meccanica razionale. Infatti la Scienza delle Costruzioni prende le mosse dalla meccanica del continuo con i capitoli riguardanti lo studio della deformazione, dello stato di tensione, dell’equilibrio elastico, ecc. Inoltre riprende, per evidenziarne gli aspetti maggiormente applicativi, alcuni classici argomenti della meccanica razionale quali la statica e la geometria delle masse.

Requisito importante, per seguire con profitto queste dispense, è una buona conoscenza dei contenuti dei corsi di Analisi Matematica I e II, di Geometria, di Fisica I, nonché del corso di Meccanica Razionale.

Lo scopo principale del corso è quello di fornire, con riferimento agli organi resistenti delle costruzioni e delle macchine, gli strumenti per valutare

a) La sicurezza

b) La funzionalità

a) Verificare la sicurezza significa controllare che gli organi resistenti di una

costruzione siano in grado di sopportare, per tutta la durata della loro vita, i carichi che su di essi graveranno, senza che si verifichino eventi traumatici quali possono essere il crollo totale o parziale.

b) Verificare la funzionalità significa controllare che la risposta degli organi resistenti ai carichi sia compatibile con un corretto esercizio.

Per la prima verifica occorre conoscere lo stato di cimento del materiale con cui è realizzato l’organo resistente e confrontarlo con la resistenza dello stesso materiale.

La seconda verifica molto spesso si esaurisce controllando che la deformazione dell’organo resistente sia compatibile con il suo corretto esercizio.

Frequentemente parleremo di strutture, intendendo con ciò riferirci ad un solido avente la funzione di resistere alle azioni cui è assoggettato nel corso di tutta la sua vita. Le strutture sono inserite nelle costruzioni ed hanno il compito di riportare al terreno di fondazione, o più in generale ai vincoli, le azioni cui sono sottoposte.

Vedremo che per valutare la sicurezza e la funzionalità di una struttura occorre in generale conoscere

• la geometria della struttura • il materiale con cui è realizzata • i vincoli a cui è assoggettata

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• i carichi a cui è sottoposta Gran parte dei problemi della Scienza delle Costruzioni sono problemi di

equilibrio, ad iniziare dalla determinazione di tutte le forze agenti ivi comprese cioè le reazioni offerte dai vincoli che non sono generalmente note. La determinazione delle reazioni vincolari è stato oggetto di studio anche nell’ambito della statica dei corpi rigidi dove tuttavia sono risultati evidenti alcuni limiti.

1.2 TRAVI LABILI, ISOSTATICHE ED IPERSTATICHE

Riprendiamo un argomento già trattato nel corso di meccanica razionale: la statica dei corpi rigidi vincolati. Più in particolare riferendosi a quei solidi che per la particolare forma sono denominati travi (1.1) . Con riferimento a questi solidi si vuole evidenziare quali siano i limiti propri della statica dei corpi rigidi.

I vincoli che considereremo sono, salvo avviso contrario, bilaterali, indipendenti dal tempo e privi di attrito. Essi, a seconda del numero di gradi di libertà che tolgono alla trave cui sono applicati, si classificano in vincoli semplici o composti.

Con riferimento ai moti rigidi piani e quindi alle travi piane, il vincolo semplice o elementare, in grado di togliere cioè un solo grado di libertà, è costituito da un’asta incernierata alle estremità denominata biella o pendolo (v. Fig. 1.1a), equivalente al carrello (v. Fig. 1.1b). La cerniera invece è un vincolo doppio che toglie due gradi di libertà (v. Fig. 1.1c) e consente soltanto la rotazione attorno all’asse passante per il suo centro e normale al piano. Il glifo, detto anche incastro scorrevole o anche bipendolo,

(v. Fig. 1.1d) è un vincolo doppio che consente una sola traslazione ed infine si cita l’incastro (v. Fig. 1.1e) che è un vincolo che non consente alcun movimento.

Fig. 1.1a: Pendolo Fig. 1.1b: Carrello Fig. 1.1c: Cerniera

(1.1) Si definisce trave, un solido di forma allungata, ossia con una dimensione

prevalente sulle altre due, che si può pensare come generato dal movimento di una figura piana il cui baricentro G percorre una linea che è sempre ortogonale al piano della stessa figura.

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Fig. 1.1d: Glifo Fig. 1.1e: Incastro

I vincoli, per impedire i movimenti, reagiscono con azioni denominate reazioni

vincolari. Ad esempio il pendolo è in grado di reagire con un forza diretta secondo il suo asse e di qualsiasi intensità, mentre la cerniera è in grado di reagire con una forza qualsiasi passante per il centro della stessa cerniera. Nella fig. 1.2 sono indicate le reazioni che i vincoli più comuni sono in grado di esercitare, sempre con riferimento al caso piano.

Fig. 1.2a: V ≠ 0, H=M=0 Fig. 1.2b: V ≠ 0, H=M=0 Fig. 1.2c: V ≠ 0, H ≠ 0, M=0

Fig. 1.2d: V ≠ 0, M ≠ 0, H=0 Fig. 1.2e: V ≠ 0, H ≠ 0, M ≠ 0

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Le reazioni vincolari di un corpo rigido soggetto ad assegnate forze attive, sono in genere incognite e devono perciò di volta in volta essere determinate imponendo innanzi tutto l’equilibrio a tutte le forze esterne, ossia forze attive e reazioni vincolari.

Un primo problema fondamentale che la Scienza delle Costruzioni deve risolvere

è proprio quello della ricerca delle reazioni vincolari. Per fare ciò occorre stabilire per prima cosa se i vincoli sono insufficienti, ed in tal caso la struttura è labile, ossia cinematicamente indeterminata. L’equilibrio è allora impossibile, a meno che non si incontrino particolari sistemi di forze attive. Non esistono in generale reazioni vincolari in grado di assicurare l’equilibrio e perciò il corpo si metterà in movimento.

Organismi di questo tipo, detti catene cinematiche o sistemi ipostatici, sono privi

di interesse per la Scienza delle Costruzioni, mentre vengono studiati nell’ambito della Meccanica applicata alle macchine.

Se il numero di vincoli semplici imposti al corpo rigido sono nel numero

strettamente necessario per fissarne la posizione nella varietà a cui esso appartiene, tre nel piano e sei nello spazio, e se naturalmente tali vincoli sono “ben disposti”, ossia sono traducibili in altrettante equazioni indipendenti nelle coordinate dei punti vincolati, allora il problema si dice isocinematico. Le componenti di reazione vincolare incognite corrispondenti alle condizioni di vincolo sono quindi nello stesso numero delle equazioni d’equilibrio dei sistemi rigidi e possono perciò essere determinate in modo univoco. E siccome esiste una ed una sola soluzione nelle incognite, le strutture così vincolate si chiamano isostatiche o statisticamente determinate, in quanto bastano le sole equazioni della statica dei sistemi rigidi per la loro risoluzione.

Può infine capitare che le condizioni di vincolo ed i corrispondenti parametri delle

reazioni vincolari siano in numero superiore a quello delle equazioni fornite dalla statica dei corpi rigidi. La struttura, assimilata ad un corpo rigido, si dice allora iperstatica o staticamente indeterminata, perché, in tal caso, esistono infiniti sistemi di reazioni vincolari che rispettano l’equilibrio rigido. Si può pensare infatti di fissare ad arbitrio le n componenti di reazione vincolare incognite eccedenti il numero delle equazioni disponibili e ricavare corrispondentemente le incognite rimanenti. Il grado di indeterminazione di una struttura è misurato dal numero n di condizioni di vincolo eccedenti quello delle equazioni disponibili.

Con riferimento ad un insieme di travi, denominato travatura, si possono

presentare le seguenti situazioni :

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Travatura isostatica (con un numero di vincoli semplici pari al grado di libertà posseduto) : negli esempi che seguono si giunge ad un’unica soluzione.

Esempi:

Fig. 1.3a: Soluzione grafica

Fig. 1.3b: Soluzione analitica

H

V V F

V l Fb

a

a b

a

=

+ =

− =

0

0

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Travatura iperstatica (con un numero di vincoli semplici superiore al grado di libertà posseduto).

Esempi :

Fig. 1.4a: Soluzione grafica

Per ogni arbitraria scelta di Rc si determinano R

a e R

b. Il problema ha allora

infinite soluzioni, corrispondenti a scelte arbitrarie per Rc , si è perciò in una

situazione indeterminata.

Fig. 1.4b: Soluzione analitica ( 3 equazioni 4 incognite)

( )

H

V V V F

V l l V l Fb

a

a b c

a a

=

+ + =

+ + − =

0

01 2 2

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Riepilogando : • Nel caso a), ad ogni R

c arbitrariamente scelto, corrisponde una soluzione come

indicato graficamente in figura ; • Nel caso b) si hanno 3 equazioni algebriche lineari in 4 incognite.

In entrambi i casi la soluzione è indeterminata. Esistono ∞1 soluzioni equilibrate.

Il caso delle strutture iperstatiche è quello più frequente nella pratica e per queste

l’esperienza dimostra che l’equilibrio risulta ben definito. È perciò evidente che è l’ipotesi di corpo rigido che rende indeterminato il problema delle strutture iperstatiche, problema che viceversa ridiventa determinato quando si tenga conto della deformabilità dei corpi. Per questo motivo lo studio della Scienza delle Costruzioni è basato sulla meccanica dei solidi deformabili.

La conoscenza delle deformazioni poi è utile di per sé stessa in quanto consente quei riscontri sperimentali che si effettuano in sede di collaudo di una struttura.

Le lezioni che seguono si concentreranno essenzialmente su di un unico tipo di struttura : la trave. Lo studio della trave sarà tuttavia preceduto dai fondamenti della meccanica dei solidi da cui poi deriverà quello della trave stessa. Tale impostazione generale vuole anche costruire il presupposto per affrontare lo studio di altre tipologie strutturali quali le piastre, le lastre, i gusci, le cupole oppure i semispazi e, più in generale, i solidi tridimensionali.

Si tenga infine presente che il corso è direttamente propedeutico ai corsi successivi di Tecnica delle Costruzioni, di Geotecnica e di Costruzioni di Macchine.

In questa introduzione si è spesso parlato di trave. Come già detto essa è un solido di forma allungata, ossia con una dimensione prevalente sulle altre due, che si può pensare come generato dal movimento di una figura piana il cui baricentro G percorre una linea che è sempre ortogonale al piano della stessa figura.

La figura piana rappresenta la sezione della trave, mentre la linea descritta da G rappresenta la linea d’asse o più semplicemente l’asse della trave.

Da questa definizione nascono più classificazioni per la trave a seconda che la sezione si mantenga costante (trave prismatica) oppure vari la sua forma mentre percorre la linea d’asse (trave a sezione variabile). In genere si ammette che la sezione vari con continuità. Inoltre la linea d’asse può essere una curva sghemba, una curva piana, una retta, ecc. Conseguentemente si avranno travi spaziali, travi curve ( ad es. archi, travi ad anello, travi elicoidali, ecc), travi ad asse rettilineo, ecc.

La trave viene rappresentata disegnando semplicemente la sua linea d’asse ed a parte, quando occorre, la sezione.

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1.3 UN CENNO SULLE AZIONI A CUI PUÒ ESSERE ASSOGGETTATA

UNA TRAVE

Le azioni che possono agire su di una struttura si possono classificare sotto diversi aspetti :

• IN BASE ALLA LORO DURATA : - PERMANENTI (peso proprio della trave, sovraccarico fisso, ecc) - VARIABILI (sovraccarichi di esercizio) • IN BASE ALLA LORO NATURA : - STATICI (masse ferme e masse considerabili tali) - DINAMICI (urti, esplosioni, azioni sismiche, vento, ecc) • IN BASE A COME SONO APPLICATI : - CONCENTRATI (idealmente) - DISTRIBUITI (su linee, superfici, volumi, ecc) Le azioni, più in generale, comprendono anche le variazioni termiche ed

igrometriche, i cedimenti di vincoli, ecc. Le azioni a cui più frequentemente ci si riferisce sono forze e coppie, e queste possono essere concentrate o distribuite, e per esse si adotta la seguente rappresentazione :

Fig. 1.5 Rappresentazione grafica di forze e coppie

Salvo diverso avviso, le azioni si intendono sempre ridotte all’asse della trave.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. ANALISI DELLA DEFORMAZIONE 1

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2 ANALISI DELLA DEFORMAZIONE

2.1 SCOPO

Si richiamano nozioni in parte già apprese nella Meccanica dei continui allo scopo di :

a. puntualizzare gli aspetti maggiormente applicativi.

b. adattare la simbologia matematica a quella più specifica dell'ingegneria.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. STUDIO DELLA DEFORMAZIONE 1

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2.2 STUDIO DELLA DEFORMAZIONE

Sia C0 la configurazione assunta da un corpo B nell'istante t = 0 e ′C quella

assunta dallo stesso corpo in un successivo istante t . Si osservi che il tempo t

interviene soltanto come parametro che ordina la successione delle configurazioni e

che consente di chiamare C0 , configurazione iniziale, o di riferimento, e ′C

configurazione finale o deformata od attuale.

Senza preoccuparsi delle cause che hanno prodotto il movimento, sulle quali si

ritornerà nel prossimo capitolo, la configurazione ′C può essere individuata dalla

relazione:

Fig. 2.1

( )′ ′r = r r, t (2.1)

nella quale r ed r’ rappresentano rispettivamente la posizione occupata dalla particella

materiale nella configurazione di riferimento C0 e nella configurazione attuale C’. (v.

Fig. 2.1).

La (2.1), che e' la naturale estensione della descrizione del moto di un punto

materiale, e' nota come descrizione referenziale o lagrangiana del moto.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. STUDIO DELLA DEFORMAZIONE 2

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Sulla (2.1) si fanno le ipotesi di invertibilità e di differenziabilità fino all'ordine

necessario.

La biunivocità della corrispondenza tra C0 e ′C è il requisito matematico che

assicura l'assenza di implosioni, ovvero di compenetrazione di materia, e di esplosioni,

ovvero di rotture (v. Fig. 2.2). Sotto queste ipotesi e' possibile invertire la (2.1):

Fig. 2.2

( )r = r r ,′ t (2.2)

ottenendo in tal modo la descrizione spaziale od euleriana del moto. Nella (2.2) la

variabile indipendente è la posizione ′r occupata dalla particella materiale nella

configurazione attuale. Questa descrizione e' usata nella meccanica dei fluidi.

Per la ipotesi di biunivocità si impone che, con riferimento alla descrizione

referenziale, sia diverso da zero il determinante Jacobiano:

( )J = ′ ≠det ,ri h 0

In tutte le considerazioni che seguono si farà esclusivo riferimento alla descrizione

lagrangiana e non si prenderà in considerazione, per quanto detto, la variabile tempo,

pertanto si avrà :

( )′ ′r = r r

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. STUDIO DELLA DEFORMAZIONE 3

F.Angotti, A.Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

Adottando un riferimento cartesiano ortogonale (x1, x2, x3) con i versori i, j, k, i

vettori r ed ′r si possono rappresentare nel seguente modo:

r = i j k r = i j kx x x x x x1 2 3 1 2 3+ + ′ ′ + ′ + ′; (2.3)

Con tali notazioni le precedenti due relazioni si scrivono:

( ) ( )′ = ′ = ′ =x x x x i ji i j i jJ det , , ,, 1 2 3

ed il campo di spostamento:

( ) ( )u r r r r= ′ −

può essere rappresentato dalle componenti u u u1 2 3, , nel riferimento assunto (v. Fig.

2.1):

u i j k= + +u u u1 2 3

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.LA DEFORMAZIONE NELL'INTORNO INFINITESIMO DI UN PUNTO P 1

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2.3 LA DEFORMAZIONE NELL'INTORNO INFINITESIMO DI UN PUNTO

Con riferimento alla Fig. 2.3 , ci si propone di studiare come si deforma il generico vettore infinitesimo dl, spiccato dal punto P0 , avente la direzione individuata dal

versore n i cui coseni direttori si indicano con α α α1 2 3, ,

Fig. 2.3

dx dl

dx dl

dx dl

1 1

2 2

3 3

=

=

=

α

α

α

essendo :

dl = dl

inoltre:

dl = + +dx dx dx1 2 3i j k

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.LA DEFORMAZIONE NELL'INTORNO INFINITESIMO DI UN PUNTO P 2

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Si suppone di conoscere in P0 la funzione spostamento u = u0 e le sue derivate e

quindi di poter calcolare il valore che essa assume nel punto P infinitamente vicino a P0 , mediante lo sviluppo in serie di Taylor:

( )u u u dxj j j i i= 0 0+ +, .......

dove è stata introdotta la notazione tensoriale, con la sommatoria degli indici da 1 a 3 sottintesa tutte le volte che sono ripetuti nella stessa espressione monomia.

A meno di infinitesimi di ordine superiore al primo si può quindi scrivere :

u u u dlj j j i i= 0 + , α (2.4)

Il punto P estremo del segmento infinitesimo di retta individuato dalla equazione parametrica ( parametro dl ) :

x x dlj j j= +0 α

si trasforma, a deformazione avvenuta, nel punto ′P di coordinate :

′ = +x x uj j j

che, tenute presenti le (2.4), diviene:

′ = + + +x x dl u u dlj j j j j i i0 0α α,

ossia :

( )′ = ′ + +x x u dlj j j j i i0 α α, (2.5)

che corrisponde ancora alla equazione parametrica di una retta. La precedente (2.5) qualora si ponga :

dx x x a u u x x xi i i j j j i i i i j j= − = − =0 0 0 0; ;, δ

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.LA DEFORMAZIONE NELL'INTORNO INFINITESIMO DI UN PUNTO P 3

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diviene (2.1)

( )′ = + +x a u xj j i j j i i0 δ , .

Questa relazione tra i punti P e P’, nell’ipotesi di biunivocità della corrispondenza ( )J ≠ 0 è una “affinità”, ovverosia una corrispondenza che, nell’intorno infinitesimo di

P0 , trasforma rette in rette, piani in piani, circonferenze in ellissi, sfere in ellissoidi ;

inoltre conserva il parallelismo fra rette e piani ma non l’ortogonalità. Ha poi la proprietà che almeno una terna di direzioni ortogonali conserva, nella

trasformazione l’ortogonalità. Come è noto dalla geometria si tratta della direzioni principali della trasformazione.

È possibile quindi affermare che segmenti infinitesimi di retta si trasformano in segmenti infinitesimi di retta.

Dalla (2.5) si ottiene :

( )dx x x u dlj j j ij j i i′ = ′ − ′ = +0 δ α, (2.6)

E' ora possibile calcolare la metrica dell'elemento deformato mediante:

( ) ( )dl dx dx u dl u dlk k ik k i i jk k j j′ = ′ ′ = + +2 δ α δ α, , (2.7)

da cui, con facili passaggi, si ottiene :

( )dl

dlu u u ui j j i k i k j i j

', , , ,

2

21= + + + α α (2.8)

La quantità:

( )e u u u uij i j j i k i k j= + +1

2 , , , , (2.9)

è un tensore doppio simmetrico, noto come tensore delle deformazioni finite o tensore

di Almansi.

In funzione di tale tensore la (2.8) assume la forma più compatta:

(2.1)

( ) ( )( )

( )

′ = ′ + + = ′ + + − =

′ + + − − = − + +

x x u dx x u x x

x x x u x u x u u x u x

j j ij j i i j ij j i i i

j j i j i j j i i j j i i ij j i i

0 0 0

0 0 0 0 0

δ δ

δ

, ,

, , , ,

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.LA DEFORMAZIONE NELL'INTORNO INFINITESIMO DI UN PUNTO P 4

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dl

dleij i j

'2

21 2− = α α (2.10)

La conoscenza del tensore eij in ogni punto di C0 consente di effettuare una serie

di valutazioni quantitative, come si vedrà in dettaglio nei paragrafi seguenti.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. COEFFICIENTE DI DILATAZIONE LINEARE 1

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2.4 COEFFICIENTE DI DILATAZIONE LINEARE

Con riferimento ad un elemento lineare dl , preso nella configurazione C0 , ed

individuato dai coseni direttori α i si definisce coefficiente di dilatazione lineare la

quantità:

ε l

dl dl

dl=

−' (2.11)

la cui conoscenza ci consente di valutare la variazione di lunghezza ( )′ −s s di una

qualunque linea s interna al corpo nel passaggio dalla configurazione C0 alla ′C .

Infatti dalla (2.11) si ottiene immediatamente:

′ − = − =∫ ∫s s dl dl dls

l

s

( ' ) ε (2.12)

E' facile esprimere il coefficiente ε l nel caso in cui la direzione dell'elemento

coincida con una delle direzioni coordinate. Infatti riferendosi all'elemento

inizialmente parallelo all'asse x1 (v. Fig. 2.4) si ottiene :

ε1

1 1

1

1

1

1=−

= −dl dx

dx

dl

dx

' ' (2.13)

Fig. 2.4

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ricordando la (2.10), nella quale ora i coseni direttori valgono α α α1 2 31 0= = =, , si

perviene a :

dl

dxe1

2

1

2 111 2'

− =

da cui si deduce

( )1 1 21

2

11+ = +ε e (2.14)

e quindi:

ε1 111 2 1= + −e (2.15)

Naturalmente per rotazione degli indici si possono ottenere i coefficienti di

dilatazione lineare nelle altre due direzioni coordinate e, ruotando il sistema di

riferimento, è possibile ottenere il coefficiente di dilatazione lineare per una qualunque

direzione.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. COEFFICIENTE DI DILATAZIONE ANGOLARE 1

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2.5 COEFFICIENTE DI DILATAZIONE ANGOLARE

Presi nella configurazione indeformata C0 due elementi lineari dl, dm formanti un

angolo ϕ lm e, detto ′ϕ lm l'angolo formato dagli stessi elementi a deformazione

avvenuta, ossia nella configurazione ′C , si definisce dilatazione angolare la quantità:

γ ϕ ϕlm lm lm= − ′ (2.16)

Assumendo due elementi inizialmente paralleli agli assi coordinati x1 ed x2 La

dilatazione angolare è data dalla quantità:

γπ

ϕ12 122

= − ′ (2.17)

da cui segue :

sin cosγ ϕ12 12= ′ (2.18)

e quindi, con riferimento alla Fig. 2.5 e ricordando la relazione fra coseni direttori di

due direzioni e coseno dell’angolo compreso tra esse, è possibile esprimere il cos ′ϕ12

mediante:

cos ′ =′

′+

′+

′ϕ12

11

1

21

2

12

1

22

2

13

1

23

2

dx

dl

dx

dl

dx

dl

dx

dl

dx

dl

dx

dl (2.19)

da cui:

dl dl dx dx u dx u dxi i i i i i′ ′ ′ = ′ ′ = + +1 2 12 1 2 1 1 1 2 2 2cosϕ δ δ( ) ( ), , (2.20)

e, ricordando la (2.9), si ha:

dl

dx

dl

dxe

′ ′′ =1

1

2

2

12 122cosϕ (2.21)

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Fig. 2.5

e, per la (2.13)

( )( )cos1 1 21 2 12 12+ + ′ =ε ε ϕ e (2.22)

Concludendo la dilatazione angolare tra due direzioni inizialmente parallele agli

assi x x1 2, , uscenti dal punto P, vale:

sine

γε ε

1212

1 2

2

1 1=

+ +( )( ) (2.23)

ovverosia, in termini di sole componenti del tensore di Almansi:

sine

e eγ 12

12

11 22

2

1 2 1 2=

+ +( )( ) (2.24)

Per rotazione degli indici è possibile ottenere gli scorrimenti angolari γ 23 e γ 31 .

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2.6 COEFFICIENTE DI DILATAZIONE SUPERFICIALE

Siano dl e dm due elementi lineari che nella configurazione indeformata C0

individuano l'elemento di area dAlm . Siano dl ′ e dm′ i corrispondenti elementi in ′C .

Essi individueranno l'elemento di area dAlm′ . Si definisce coefficiente di dilatazione

superficiale la quantità:

λlmlm lm

lm

dA dA

dA=

′ − (2.25)

la cui conoscenza consente di valutare la variazione di area ( )′ −A A di una qualunque

superficie interna al corpo nel passaggio dalla configurazione C0 alla ′C . Infatti dalla

(2.25) si ottiene immediatamente:

′ − = ′ − =∫ ∫A A dA dA dAlm lm

A

lm

A

( ) λ (2.26)

Con riferimento ad un elemento di area inizialmente parallelo al piano coordinato

x x1 2, (v. Fig. 2.6) si può scrivere:

Fig. 2.6

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λ1212 12

12

12 1 2

1 2

=′ −

=′ −dA dA

dA

dA dx dx

dx dx (2.27)

da cui, ricordando che

dA dl dl′ = ′ ′ ′12 1 2 12sinϕ (2.28)

e che, per i risultati conseguiti in 2.4, si può porre

dl dx′ = +1 1 11( )ε

dl dx′ = +2 2 21( )ε

con facili passaggi, si perviene a:

λ ε ε γ12 1 2

2

121 1 1 1= + + − −( )( ) sin

ovverosia, in termini del tensore della deformazione:

λ12 11 22 12

21 2 1 2 4 1= + + − −( )( )e e e (2.29)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. COEFFICIENTE DI DILATAZIONE CUBICA 1

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2.7 COEFFICIENTE DI DILATAZIONE CUBICA

Con ovvio significato dei simboli, si definisce coefficiente di dilatazione cubica la

quantità:

Θ =′ −dV dV

dV (2.30)

dalla cui conoscenza deriva la possibilità di calcolare la variazione di volume subita da

una qualunque porzione finita di corpo B mediante:

′ − = ′ − =∫ ∫V V dV dV dVV V

( ) Θ (2.31)

Se la corrispondenza tra C0 e ′C è assegnata mediante :

( )′ = ′x x xi i j

ricordando il significato del determinante Jacobiano, si può scrivere :

( )dV dV x dVi j′ = = ′J det ,

e quindi si ottiene:

Θ = −J 1 (2.32)

Si vedrà nel prossimo paragrafo che sarà possibile esprimere anche Θ in termini

di eij .

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.UNA RAPPRESENTAZIONE GEOMETRICA DELLA DEFORMAZIONE 1

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2.8 UNA RAPPRESENTAZIONE GEOMETRICA DELLA DEFORMAZIONE

La deformazione nell'intorno di un punto P è suscettibile di una rappresentazione

geometrica molto efficace. Infatti, in sintesi, si è visto che, nella deformazione,

l'elemento lineare dl si trasforma nell'elemento ancora lineare dl′ e che valgono le :

dl dx dxi i

2 = (2.33)

( )dl e dx dxij ij i j′ = +2 2 δ (2.34)

che rappresentano la prima, l’equazione di una sfera di centro P e raggio infinitesimo

dl nelle variabili infinitesime dxi , e la seconda, nelle stesse variabili, l'equazione di un

ellissoide. Si noti che

( )det 2 0eij ij+ ≠δ

Sovrapponendo la rappresentazione di (2.33) e (2.34), cioè facendo coincidere P

con P', si può avere una delle situazioni indicate in Fig. 2.7.

Fig. 2.7

L’intersezione della sfera (2.33) con l’ellissoide (2.34) individua il cono:

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2 0e dx dxij i j = (2.35)

E’ facile vedere che tale cono divide la stella di elementi lineari intorno a P in due

categorie : quella che subisce dilatazioni positive (allungamenti), quella che subisce

dilatazioni negative (accorciamenti). Tali due categorie di elementi sono separate dal

cono (2.35) che individua gli elementi lineari che non subiscono alcuna dilatazione.

Per tale motivo il cono prende il nome di cono degli scorrimenti. E’ poi evidente

che il cono può essere reale, come indicato nella Fig. 2.7a, oppure immaginario come

nei casi delle Fig. 2.7b e c. In tali casi le dilatazioni intorno a P saranno tutte positive

(Fig. 2.7b) o tutte negative (Fig. 2.7c).

Si può ora calcolare la variazione di volume nel passaggio dalla sfera

all’ellissoide :

dV dl=4

3

dV dr dr dr′ = ′ ′ ′4

31 2 3π

essendo dr dr dr′ ′ ′1 2 3, , i semiassi dell’ellissoide. Indicando con ε ε εξ η ζ, , le

dilatazioni principali, ossia quelle degli elementi lineari che andranno a coincidere con

i tre semiassi dell’ellissoide che, come è noto, sono relativi rispettivamente ad un

punto di massimo, di minimo e di stazionarietà, per la dilatazioni lineari si avranno :

( )dr dl′ = +1 1 εξ

( )dr dl′ = +2 1 εη

( )dr dl′ = +3 1 εζ

Il coefficiente di dilatazione cubica (2.29) può quindi essere espresso in termini di

dilatazioni principali mediante :

( )( )( )Θ = + + + −1 1 1 1ε ε εξ η ζ (2.36)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. DEFORMAZIONI INFINITESIME 1

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2.9 DEFORMAZIONI INFINITESIME

Il caso in cui gli spostamenti ui e le derivate ui j, siano delle grandezze molto piccole

rispetto alle dimensioni del corpo è quello che corrisponde alla situazione

tecnicamente più ricorrente. In tali condizioni si ottengono delle semplificazioni

rilevanti.

Infatti, potendo considerare come infinitesime del primo ordine le ui j, , le

espressioni precedentemente trovate si semplificano nel modo qui di seguito indicato.

2.9.1 Tensore delle deformazioni infinitesime

Il tensore (2.9):

( )e u u u uij i j j i k i k j= + +1

2, , , ,

trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo, si trasforma nel tensore delle

deformazioni infinitesime:

( )εij i j j iu u= +1

2, , (2.37)

2.9.2 Coefficiente di dilatazione lineare

L’espressione (2.15)

ε1 111 2 1= + −e

mediante sviluppo in serie di Mc Laurin, trascurando gli infinitesimi di ordine

superiore al primo, diviene :

ε ε1 11 11 11 111 2 1 1 1= + − = + − = =e e e (2.38)

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2.9.3. Coefficiente di dilatazione angolare

Dall’espressione (2.23) :

( )( )1 1 21 2 12 12+ + =ε ε γsin e

trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo si ottiene :

γ ε12 12 122 2= =e (2.39)

2.9.4 Coefficiente di dilatazione superficiale

Dall’espressione (2.28) :

λ ε ε γ12 1 2 121 1 1= + + −( )( )cos

trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo si ottiene :

λ ε ε ε ε12 1 2 11 22= + = + (2.40)

2.9.5 Coefficiente di dilatazione cubica

Dall’espressione (2.36)

( )( )( )Θ = + + + −1 1 1 1ε ε εξ η ξ

(2.41)

trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo si ottiene :

Θ = + + = + + =ε ε ε ε ε ε εξ η ξξ ηηζ ζζ tr ij (2.42)

Il tensore delle deformazioni infinitesime:

( )εij i j j iu u= +1

2, ,

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. DEFORMAZIONI INFINITESIME 3

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prende così anche il nome di tensore delle dilatazioni e degli scorrimenti per il

significato che assumono le sue componenti :

ε

ε γ γ

ε γ

ε

ij

simm

=

1 12 13

2 23

3

1

2

1

21

2 (2.43)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. CONGRUENZA DELLA DEFORMAZIONE 1

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2.10 CONGRUENZA DELLA DEFORMAZIONE

Se la corrispondenza :

( )′ ′r = r r

ovverosia

( )′ = ′x x xi i j

tra le configurazioni C0 e ′C è tale da assicurare l'assenza di implosioni o di esplosioni

(v. Fig.2.2), allora il campo di spostamenti

( ) ( )u r r r r= ′ −

si dice che è congruente internamente.

Se inoltre ( )u r rispetta i vincoli cinematici imposti al corpo B sulla sua frontiera

allora la deformazione sarà congruente esternamente.

Un campo di spostamenti che sia congruente internamente ed esternamente si dice

cinematicamente ammissibile oppure, più semplicemente, congruente.

Quando sia assegnata la deformazione C C0 → ′ mediante una terna di funzioni

( )u xi j , continue con le derivate prime e monodrome è sempre possibile determinare il

tensore delle deformazioni mediante le (2.37) :

( )ε i j i j j iu u= +1

2, ,

Ci si può chiedere se, assegnate comunque ad arbitrio in V sei funzioni :

ε εi j ij hx= ( )

pensate come le componenti di un tensore delle deformazioni, sia possibile far loro

corrispondere una deformazione effettiva per il corpo B , ossia un campo di

spostamenti ( )u xi j a cui corrispondano le ε i j in accordo con le (2.36).

La riposta a tale quesito risiede evidentemente nella possibilità di integrare il

sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali :

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( )2ε i j i j j iu u= +, , (2.44)

E’ facile ottenere delle condizioni necessarie di integrabilità per il sistema (2.44),

dove ora, per quanto detto, le ε i j rappresentano i termini noti, con un procedimento di

eliminazione delle ui dalle (2.44).

Infatti dalle (2.44) si ottengono le seguenti relazioni :

2ε ij hk i jhk j ihku u, , ,= +

2ε hk ij h kij k hiju u, , ,= +

2ε ik jh i kjh k ijhu u, , ,= +

2ε jh ik j hik h jiku u, , ,= +

e, sottraendo le ultime due dalle prime due si perviene alle seguenti equazioni :

ε ε ε εij hk hk ij ik jh jh ik, , , ,+ − − = 0 (2.45)

Le (2.45) sono necessarie per l’esistenza di un campo di spostamenti ui in grado

di individuare una corrispondenza biunivoca tra C0 e ′C . Esse sono state trovate per

la prima volta da Saint-Venant e sono note come equazioni esplicite di congruenza o

anche come equazioni di Saint-Venant.

Se il corpo occupa un volume V semplicemente connesso ed è libero nello spazio,

allora le (2.45) sono anche sufficienti ad assicurare l’esistenza delle tre funzioni

spostamento ui ad un sol valore, continue con le derivate fino al terzo ordine.

Le (2.45) sono formalmente 34 = 81 equazioni, riducibili in realtà soltanto a sei

distinte. La scelta di una sestupla di equazioni distinte può esser fatta attribuendo agli

indici i seguenti valori : i j h k

1 1 2 2

2 2 3 3

3 3 1 1

1 1 2 3

2 2 3 1

3 3 1 2

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3.1 INTRODUZIONE

La nozione di stato di tensione in un punto interno di un continuo nasce da

considerazioni di equilibrio tra azioni e reazioni che interessano due parti dello stesso

corpo supposti separati da una superficie ideale.

Un esempio elementare è, ad es., quello di una trave soggetta a forza normale

semplice di trazione, oppure a flessione pura. Ricordando infatti la definizione di

caratteristica di sollecitazione, si determina facilmente la risultante delle azioni che,

attraverso una qualunque sezione, si trasmettono le due porzioni di trave (v. Fig. 3.1).

Fig. 3.1

Se invece siamo interessati a conoscere le azioni che le due porzioni di trave si

trasmettono punto per punto, allora si può procedere nel seguente modo.

Si consideri un corpo qualsiasi B, non necessariamente una trave, in equilibrio

sotto assegnate azioni esterne e si divida il volume V da esso occupato in due parti V1

e V2 mediante una sezione fatta con un piano π n individuato dal versore normale n e

dal punto P (v. Fig. 3.2).

Il versore n viene, per convenzione, orientato verso l'esterno della porzione di

corpo rispetto alla quale si esamina l'equilibrio. Poiché in generale ciascuna porzione

non sarà più in equilibrio, appare evidente che attraverso πn venivano trasmesse

delle azioni, il cui andamento per ora non è dato conoscere, ma che il taglio effettuato

ha evidentemente annullato.

Si supponga che di tali azioni, quelle che interessano l'area generica ∆ An ,

contenente il punto P, pensato appartenente alla porzione V1 e ridotte al punto P, siano

equivalenti ad una forza ∆ Rn e ad una coppia ∆ Mn .

Si considerino i rapporti:

Rn

nA e

Mn

n A

e si ammetta che esistano finiti i limiti:

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Fig. 3.2 Equilibrio del corpo B sezionato con il piano πn .

A

A

n

n

n

n

n

n

n

n

n

=

0

0

0

lim

lim

= d

d

e

=

R

M

R

A A

A

t

(3.1)

Al vettore tn , che ha le dimensioni di una pressione [ ]FL−2 si dà il nome di vettore

tensione relativo al piano π n nell'intorno del punto P.

Risulta evidente che:

( )t t nn n = P, (3.2)

e, per il principio di azione e reazione, che:

( ) ( ) - t n t nn nP P, ,= − (3.3)

ricordando la convenzione più sopra adottata per il segno del versore n.

Per stato di tensione in un punto interno P di un corpo si intende l'insieme dei

vettori tensione tn , quando n descrive la stella di piani passanti per P.

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3.2 EQUILIBRIO DI UN CONTINUO

Le cause che possono deformare i corpi sono molteplici, ci si limita tuttavia a

considerare, in quanto più interessanti nell'ambito dell'ingegneria strutturale, quelle

puramente meccaniche, escludendo perciò eventuali azioni derivanti da fenomeni di

natura termodinamica, chimica, elettrostatica o magnetica.

Con questa restrizione, le azioni agenti sul corpo B si possono classificare in due

tipi: forze di superficie e forze di massa o di volume. Le prime si suppongono

applicate sulla superficie esterna e le seconde si suppongono distribuite con continuità

nel volume.

Forze di superficie

Le argomentazioni che hanno portato all'introduzione del vettore tensione tn ,

consentono ora di riconoscere che la natura delle azioni che due corpi si trasmettono

quando entrano in contatto, può essere descritta in maniera identica all'azione tra due

porzioni dello stesso corpo, separati da una superficie ideale. Basta infatti portare il

punto P, fin sulla superficie ∂ V di V nel punto P' ed n fino a coincidere con la

normale esterna a ∂ V in P' . In tal caso il vettore tensione tn viene a coincidere con

la forza superficiale f esercitata dal secondo corpo sul primo. Si ha pertanto:

f t= n (3.4)

La forza esercitata attraverso l'elemento di area superficiale dA sarà perciò espressa

da:

d dF f= A (3.5)

Forze di massa e di volume

Le forze di massa, che insorgono tutte le volte che il corpo è immerso in un campo di

accelerazioni, tipiche quelle gravitazionali, sono proporzionali alle masse delle

particelle su cui esse agiscono; con riferimento all'elemento di massa dm ed al campo

gravitazionale g, risulta

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d dF g = m (3.6)

dove g denominato forza di massa, ha il significato di forza per unità di massa. Se

( )ρ d dx V= m / (3.7)

è la densità di massa, allora si può definire la forza di volume b, ossia la forza agente

sull'unità di volume, mediante:

bF F

g= = ⋅ =d

d

d

d

d

d

V Vm

mρ (3.8)

Equazioni di equilibrio

Sotto l'azione delle forze di volume e di superficie il corpo B sarà in equilibrio se sono

verificate le seguenti equazioni:

ρ∂

d d g f OV A

VV

+ =∫∫ (3.9)

d d ρ∂

x g + x f OVV

∧ ∧ =∫∫ V A (3.10)

Queste due equazioni vettoriali, sei equazioni scalari, sono la naturale estensione ai

corpi deformabili delle equazioni cardinali della statica ed esprimono le condizioni

necessarie per l'equilibrio del continuo deformato.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. IL TENSORE DEGLI SFORZI 1

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3.3 IL TENSORE DEGLI SFORZI

Si è visto che lo stato di tensione in un punto interno P di un corpo è completamente conosciuto quando si sappia determinare il vettore tensione tn per qualunque n della stella di piani passanti per P. Per raggiungere tale risultato si ripercorre ora il ragionamento classico di Cauchy (3.1) , riportato nei suoi famosi Exercices de

mathématique (1827).

Fig. 3.3: Augustin-Louis Cauchy (1789-1857).

(3.1) Augustin-Louis Cauchy (1789-1857) (Fig.3.2) nasce a Parigi il 21 agosto 1789. Un anno dopo aver conseguito il grado di ingegnere (1809) gli viene dato un posto per i lavori del porto di Cherbourg e contemporaneamente, nelle ore tolte al riposo, coltiva il suo vivo interesse per la scienza alla quale decide di dedicarsi interamente lasciando il lavoro per tornare a Parigi nel 1813. Tre anni dopo viene nominato, con ordinanza regia, membro per la sezione di meccanica dell'Accadémie des sciences e, nella stessa epoca, è chiamato ad insegnare all'École Polytechnique, alla Sorbona e al Collège de France. Viene rimosso dalla cattedra e abbandona volontariamente la patria, riparando a Friburgo in Svizzera, quando rifiuta di prestare giuramento al nuovo regime instauratosi in seguito alla rivoluzione del 1830 e che depone la casa di Borbone. Nel 1831 accetta l'invito di Re Carlo Alberto di recarsi a Torino a coprire la cattedra di Fisica sublime. Nel 1838 ritorna a Parigi dove torna a frequentare l'Accadèmie des Sciences. Tiene l'insegnamento di Fisica matematica fino al 23 maggio 1857 quando muore a Sceaux (Seine).

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. LE COMPONENTI DEL VETTORE TENSIONE 1

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3.3.1 Le componenti del vettore tensione

Il vettore tensione tn può essere rappresentato in un riferimento cartesiano ortogonale

( )x x x1 2 3, , (v. Fig. 3.4) in cui i , j , k siano i versori relativi ai tre assi :

Fig. 3.4: Vettore della tensione nel riferimento ( )x x x1 2 3, , .

t i j kn n n nt t t = 1 2 3+ + (3.11)

ovverosia in un riferimento ortogonale intrinseco all'elemento piano π n costituito da

n , v, r (v. Fig. 3.5), essendo v ed r versori ortogonali e tangenti al piano π n

= t n v rn n n n n rσ σ σ

ν+ + (3.12)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. LE COMPONENTI DEL VETTORE TENSIONE 2

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Fig. 3.5: Vettore della tensione nel riferimento n , v ed r.

Le componenti ( )σ σ σνn n n n r , , prendono i seguenti nomi :

σn n tensione normale, e σ σνn n r tensioni tangenziali.,

Si noti che in generale con il simbolo σa b si indica la componente, lungo la

direzione b, del vettore tensione ta relativo all'elemento piano di normale a. Quindi il

primo indice individua l'elemento piano ed il secondo indica la direzione della

componente.

Spesso, e quasi sempre nella letteratura tecnica, le tensioni tangenziali sono

indicate con i simboli τνn e τ n r .

E' immediato verificare che il modulo della tensione tangenziale totale τ n

sull'elemento piano π n è data da:

τ σ σνn n n r =

2 2+ (3.13)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. EQUILIBRIO IN UN PUNTO INTERNO 1

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3.3.2 L'equilibrio in un punto interno

In un punto P generico del corpo B si consideri un tetraedro infinitesimo

idealmente isolato all'interno dello stesso mediante tre piani paralleli ai piani

coordinati, passanti per il punto considerato, e da un quarto piano avente per normale n

e distante dh dal punto P (v. Fig. 3.6).

Fig. 3.6: Tetraedro infinitesimo isolato intorno al punto P.

Essendo interessati all'equilibrio del tetraedro così individuato, si dovranno

considerare le azioni che su di esso esercitava il corpo B prima dei tagli. In virtù delle

ipotesi fatte, si orienteranno le normali alle facce del tetraedro verso l'esterno e di

conseguenza le azioni che agiscono sul tetraedro sono:

forze di superficie: d d d d1 2 3 , , , − − −t t t tA A A A1 2 3 n n

forze di volume: db V

Per l'equilibrio dovrà risultare:

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. EQUILIBRIO IN UN PUNTO INTERNO 2

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t gt t tn n d d d d 1 2 3 d = 0A A A A V− − − +1 2 3 ρ (3.14)

Ricordando che

d d ( 3) A Ai n i i= =α 1 2, , (3.15)

in cui

αi cos = n i$ (3.16)

la (3.14), dividendo per d An dà luogo a :

t t t t gn h d = 01 2 3− − − +α α α ρ1 2 3

1

3 (3.17)

e, facendo tendere a zero l'altezza del tetraedro, si riduce a:

t t t tn 1 2 3= + +α α α1 2 3 (3.18)

La (3.18) dimostra che il vettore tensione tn su di un generico piano passante per

P è perfettamente determinato dalla conoscenza dei tre vettori tensione su tre elementi

piani mutuamente ortogonali. Questa dimostrazione è dovuta a Cauchy.

L'equazione (3.18) scritta in componenti diviene:

t

t

t

n

n

n

1 11 1 21 2 31 3

2 12 1 22 2 32 3

3 13 1 23 2 33 3

=

=

=

+ +

+ +

+ +

σ σ σ

σ σ σ

σ σ σ

α α α

α α α

α α α

(3.19)

dove σ i j , componenti dei vettori t j , sono chiamate componenti speciali di tensione.

In notazione compatta le (3.19) si scrivono nella forma:

tn j i j i i j ( 2, 3)= =σ α , ,1 (3.20)

che sintetizza il “teorema di Cauchy” e dove, come abbiamo più volte avvertito, è

sottintesa la sommatoria, da 1 a 3, rispetto all'indice ripetuto.

Dalla (3.20) discende che σ i j è un’applicazione lineare che al generico vettore n

fa corrispondere il vettore tn . Si tratta di un tensore (del secondo ordine) le cui

componenti cartesiane, nel riferimento (x1, x2, x3) sono proprio le quantità

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. EQUILIBRIO IN UN PUNTO INTERNO 3

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σ σ σ

σ σ σ

σ σ σ

11 21 31

12 22 32

13 23 33

(3.21)

Resta quindi dimostrato che, conoscendo le 9 componenti del tensore σ i j , è

possibile risalire, mediante le (3.20), al vettore tensione su un qualunque elemento

piano.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.CONVENZIONI SUI SEGNI DELLE COMPONENTI SPECIALI DI TENSIONE 1

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3.3.3 Convenzione sui segni delle componenti speciali di tensione

Per definire una convenzione sui segni delle componenti speciali di tensione si fa

riferimento alle giaciture parallele ai piani coordinati del riferimento cartesiano

( )x x x1 2 3, , ed in particolare alle facce di un cubo elementare (v. Fig. 3.7).

Fig. 3.7: Componenti speciali di tensione nel riferimento ( )x x x1 2 3, , .

La convenzione può essere così enunciata: con riferimento all'azione esercitata sul

cubo elementare dal corpo che sta dalla parte positiva degli assi di riferimento (il

versore n coincide di volta in volta con i, j, k), le componenti di t j sono positive se

equiverse con gli assi ( )x x x1 2 3, , . Viceversa, se ci si riferisce all'azione esercitata sul

cubo elementare dal corpo che sta dalla parte negativa degli assi di riferimento ( il

versore n coincide di volta in volta con -i, -j, -k ), le componenti di t j sono positive se

discordi con gli assi x x x1 2 3, , .

Si noti che le tensioni normali positive denotano una trazione.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. RECIPROCITÀ DELLE TENSIONI TANGENZIALI 1

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3.3.4 Reciprocità delle tensioni tangenziali

Si supponga di isolare all'interno del corpo B , un cubo elementare avente tre facce coincidenti con i piani coordinati del riferimento ( )x x x1 2 3, , . Con ragionamento

analogo a quello già fatto nel precedente punto, se ne possono studiare le condizioni di equilibrio applicandogli, oltre alle eventuali forze di volume cui era soggetto all'interno del corpo, anche le forze che, attraverso le sue facce, vi esercitava la parte rimanente.

La situazione è quella rappresentata nella Fig. 3.8, dove sono indicate le componenti speciali di tensione nell’ipotesi che siano tutte positive.

Ritenendo ammissibile per le funzioni σ σij ij x x x= ( , , )1 2 3 uno sviluppo in serie di

Taylor nell’intorno del punto P, supponendo cioè che le componenti di tensione siano continue e derivabili in P, passando ad es. dalla faccia d dx x1 3 , alla sua parallela,

distante da essa dx2 , le tensioni agenti, a meno di infinitesimi di ordine superiore al

primo, saranno:

σ σ∂σ

∂'21 21

21

22= +

xdx ; σ σ

∂σ

∂'22 22

22

22= +

xdx ; σ σ

∂σ

∂'23 23

23

22= +

xdx .

E' ovvia l'estensione alle altre facce. E' così possibile risalire alle forze di superficie agenti su tutte le facce del cubo

elementare considerato. Ad es. sulle facce opposte normali all'asse x2 agiscono le

forze:

σ σ∂σ

d d ;

d d23 1 3 2323

22 1 3x x

xdx x x+

.

Poiché l'intero corpo B è in equilibrio, lo sarà anche il cubo elementare sotto le azioni sopra considerate.

Se ora si impone l'equilibrio alla rotazione intorno ad un qualunque asse, scegliendo qui per comodità l’asse baricentrico parallelo all’asse x1 , si trova che i

contributi non nulli portano a scrivere l'equazione:

σ σ∂σ

σ σ∂σ

23 1 3 2 2323

22 1 3 2

32 1 2 3 3232

33 1 2 3

1

2

1

2

1

2

1

20

dx dx dxx

dx dx dx dx

dx dx dxx

dx dx dx dx

+ +

− − +

=

(3.22)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. RECIPROCITÀ DELLE TENSIONI TANGENZIALI 2

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Dividendo tutto per d d dx x x1 2 3 e, trascurando gli infinitesimi rispetto alle

quantità finite, si perviene alla equazione:

σ σ23 32= (3.23)

che è nota come reciprocità delle tensioni tangenziali.

Fig. 3.8: Cubo elementare isolato nel corpo B.

E' immediato verificare che, con riferimento alle facce normali agli assi

ed , risulta σ σ 12 21= e σ σ 13 31= . Si può perciò scrivere :

σ σi j j i = (3.24)

Il tensore degli sforzi risulta essere quindi un tensore doppio simmetrico. Tale proprietà riduce da 9 a 6 le sue componenti distinte.

Nella Fig. 3.9. è illustrato il significato della simmetria con riferimento ad un

generico diedro rettangolo.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. RECIPROCITÀ DELLE TENSIONI TANGENZIALI 3

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Fig. 3.9: Simmetria delle tensioni tangenziali.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. EQUAZIONI INDEFINITE DI EQUILIBRIO 1

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3.4 EQUAZIONI INDEFINITE DI EQUILIBRIO

Con riferimento allo stesso cubo elementare sopra utilizzato per dimostrare la

reciprocità delle tensioni tangenziali (v. Fig. 3.9), si vuole ora esprimere l'equilibrio

alla traslazione, ad es. nella direzione dell'asse x2 . Si ottiene l'equazione:

- - -

σ σ σ σ∂σ

σ∂σ

∂σ

∂σ

22 1 3 32 1 2 12 2 3 2222

2

2 1 3

3232

3

3 1 2 1212

1

1 2 3 2 1 2 3 0

dx dx dx dx dx dxx

dx dx dx

xdx dx dx

xdx dx dx b dx dx dx

+ +

+

+ +

+ +

+ =

(3.25)

dalla quale, con ovvie semplificazioni, si deduce:

∂σ

∂σ

∂σ

12

1

22

2

32

3

2 0x x x

b+ + + = (3.26)

e, per rotazione degli indici:

∂σ

∂σ

∂σ

11

1

21

2

31

3

1 0x x x

b+ + + = (3.26a)

∂σ

∂σ

∂σ

13

1

23

2

33

3

3 0x x x

b+ + + = (3.26b)

Si sono così ottenute le equazioni indefinite di equilibrio note anche come

equazioni di Cauchy, le quali esprimono l'equilibrio dei punti interni al corpo B.

In notazione compatta queste si possono scrivere nella forma :

σ , ( 2, 3)i j i jb i j+ = =0 1, , (3.27)

dove, come già detto, l'indice ripetuto si intende sommato da 1 a 3 ed inoltre il segno

"," denota la derivata parziale rispetto alla coordinata individuata dall'indice che segue.

Una dimostrazione delle (3.27) può essere fatta osservando che, se il corpo B è in

equilibrio, sarà in equilibrio una qualunque regione ′V , delimitata dalla superficie

′S (v. Fig. 3.10).

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. EQUAZIONI INDEFINITE DI EQUILIBRIO 2

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Fig. 3.10

Devono perciò essere soddisfatte le (3.9) :

b tdV dAnSV

+ =∫∫ 0''

ovverosia, nel riferimento ( )x x x1 2 3, , :

b dV t dAj nSV j

+ =∫∫ 0''

che , ricordando le (3.21), divengono :

b dV dAj i j iSV

+ =∫∫ σ α 0''

e, per il teorema della divergenza, danno luogo a :

b dV dVj i j iSV

+ =∫∫ σ ,''

0

ossia :

( )σ i j i jS

b dV,'

+ =∫ 0

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. EQUAZIONI INDEFINITE DI EQUILIBRIO 3

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Per l’arbitrarietà della scelta di ′V e per la supposta continuità uniforme della funzione

integranda, quest’ultima relazione implica che, in ogni punto del continuo V deve

risultare :

σ i j i jb, + = 0 (3.27)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. EQUAZIONI AI LIMITI 1

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3.5 EQUAZIONI AI LIMITI

La relazione (3.4), riferita al punto P' di ∂V e tenuta presente la (3.18), fornisce:

f t t t 1 2 3 = + +α α α1 2 3

nella quale α α α1 2 3 , , sono i coseni direttori della normale n esterna al contorno

del corpo B.

In notazione compatta la precedente espressione si scrive:

f j i j i i j ( 2, 3)= =σ α , ,1 (3.28)

che rappresenta le equazioni ai limiti.

Le (3.27) e le (3.28), particolarizzate al continuo in esame,

σ

ασ

,

in

( j 2, 3)

su

i j i j

j i j i

b

i

f

+ =

=

=

0

1

V

V

, ,

(3.29)

rappresentano le equazioni di equilibrio per tutti i punti del volume V occupato dal

corpo B.

Si noterà che le equazioni di equilibrio disponibili sono tre mentre le componenti

di tensione da determinare in ogni punto del volume V sono le sei σ i j . La ricerca

dello stato di tensione si presenta quindi come un problema tre volte iperstatico.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. TENSIONE NORMALE E TANGENZIALE 1

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3.6 TENSIONE NORMALE E TANGENZIALE

Partendo dalla espressione (3.21) delle componenti cartesiane del vettore tensione

tn è facile esprimere la tensione normale σ n n e la componente tangenziale σ νn

lungo una direzione v qualsiasi del generico piano πn (v. Fig. 3.4) individuato dal

versore normale n mediante:

σ

σ ν

n n n

n n

x

= x

= t n

t v

(3.30)

In componenti le (3.30) danno luogo alle espressioni:

σ σ α α

σ σ αν β

n n i j i j

n i j i j

i j

( 2, 3)

=

=

=

, ,1 (3.31)

essendo α β , i j i coseni direttori dei versori n e v rispettivamente.

Le espressioni (3.31) consentono di esaminare come variano, in un punto P, le

componenti σ i j nel riferimento ( )x x x1 2 3, , , al ruotare del riferimento che porti la

terna iniziale nella terna finale ( )′ ′ ′x x x1 2 3, , .

Infatti, posto :

α cos h i h ix x= ′$ (3.32)

per le (3.31), è immediato verificare che, ad es., la tensione normale sull'elemento

piano di normale k', ossia che ha per normale l'asse ′x3 , vale:

σ σ α α′ = 33 3 3i j i j (3.33)

e che la tensione tangenziale nella direzione j' , ossia nella direzione dell'asse ′x2 vale:

σ σ α α′ = 32 3 2i j i j (3.34)

Si può porre perciò porre, in notazione compatta:

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. TENSIONE NORMALE E TANGENZIALE 2

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σ σ α α′ = h k i j h i k j (3.35)

La (3.35) conferma la natura tensoriale di σ i j . Del resto il nome di "tensore" è

stato usato per la prima volta proprio nello studio dello stato di tensione.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. PIANI, DIREZIONI E TENSIONI PRINCIPALI 1

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3.7 PIANI, DIREZIONI E TENSIONI PRINCIPALI

Nella stella di piani intorno al punto P, è possibile individuarne alcuni che

godono di particolari proprietà. Fra questi, i più interessanti sono i piani per i quali il

vettore tensione risulta parallelo alla normale n al medesimo piano e, di conseguenza,

sui quali la tensione tangenziale τ n è nulla.

Questi piani sono detti piani principali e le direzioni normali da essi individuate

sono dette direzioni principali.

Se n è una direzione principale vuol dire che, per la definizione sopra data, si può

porre :

t nn = σ (3.36)

in cui σ è il modulo di tn e, con notazione ormai consueta e ricordando la (3.21) :

( 2, 3) t i jn j i j i j= = =σ α σ α , ,1 (3.37)

da cui, ricordando il significato del simbolo di Kronecker

δ δ δ , ( quando e quando i j i j i ji j i j= = = ≠1 0 ) , si perviene a :

σ α σ α ( 2, 3)i j i i i j i j− = =δ 0 1, ,

ossia

( ) ( 2, 3)σ σ αi j i j i i j− = =δ 0 1, , (3.38)

Si è così pervenuti ad un sistema omogeneo di 3 equazioni nelle 3 incognite

α α α1 2 3 ,, , le quali, per essere dei coseni direttori, non possono essere tutti nulli e di

conseguenza ciò porta ad escludere la soluzione banale e dovrà perciò risultare

soddisfatta la condizione:

( )Det σ σi j i j− =δ 0

che, scritta esplicitamente, fornisce:

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σ σ σ σ

σ σ σ σ

σ σ σ σ

11 21 31

12 22 32

13 23 33

0

= (3.39)

che è l'equazione caratteristica del tensore σ i j . Si tratta, come è noto, di

un'equazione di terzo grado in σ, che, introdotta da Lagrange (3.1) , conosciuta anche

col nome di equazione secolare, possiede sempre radici reali σ σ σI II III , , , che

rappresentano le tensioni principali.

Se si sviluppa la (3.39) si ottiene la forma esplicita dell'equazione caratteristica del

tensore σ i j :

σ σ σ 3

1

2

2 3 0− − − =I I I (3.40)

in cui

I

I

I i j

1 11 22 33

2 11 22 12

2

22 33 23

2

33 11 31

2

3

Det

= + +

= − + − + −

=

σ σ σ

σ σ σ σ σ σ σ σ σ

σ

(3.41)

sono, rispettivamente, gli invarianti (3.2) di primo, secondo e terzo ordine.

(3.1) Giuseppe Luigi Lagrange (1736-1813), nato a Torino, matematico; ebbe alte cariche scientifiche a Berlino

e a Parigi; grande studioso della meccanica, di cui fornì importanti e definitivi contributi.

(3.2) I valori di queste grandezze rimangono inalterati qualunque sia il sistema di riferimento adottato.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. RICERCA DELLE DIREZIONI PRINCIPALI 1

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3.7.1 Ricerca delle Direzioni Principali

Sostituendo, una alla volta, le tensioni principali σ σ σI II III , , , in (3.38), si

ottengono 3 terne di coseni direttori che individuano le 3 direzioni principali e cioè:

a corrisponde la direzione σ α α αI

I I I

1 2 3, ,

a corrisponde la direzione σ α α αII

II II II

1 2 3, ,

a corrisponde la direzione σ α α αIII

III III III

1 2 3, ,

Si dimostra facilmente che le 3 direzioni principali formano una terna ortogonale.

Inoltre si vede subito che:

- se le 3 radici di (3.39) sono distinte la terna principale sarà univocamente

determinata;

- se si hanno due radici coincidenti risulteranno indeterminate le due direzioni

principali nel piano ortogonale alla terza direzione;

- se tutte le radici coincidono rimangono indeterminate tutte e tre le direzioni

principali. Di conseguenza ogni direzione è principale e ciò significa che su qualunque

elemento piano si esercita la stessa tensione, sempre diretta secondo n, come accade

nei fluidi perfetti (principio di Pascal).

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. PROPRIETÀ DI ESTREMO DELLE TENSIONI PRINCIPALI 1

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3.7.2 Proprietà di Estremo delle Tensioni Principali

Una strada alternativa per la ricerca delle tensioni principali σ σ σI II III , , , discende

dalla circostanza che, tra tutte le componenti di tensione, quelle principali godono di una proprietà di estremo.

Infatti se interpretiamo la legge di trasformazione delle componenti del tensore σ i j (3.35) come funzione dei coseni direttori α h i e se ricordiamo la condizione di

ortogonalità:

α α h i k j i j h kδ δ=

la condizione di stazionarietà per la σ ′ hk può ricondursi ad un problema di

stazionarietà libero per la funzione

( ) ( )f h i i j h i k j h i k j i j h kα λ σ α α λ α α , = − −δ δ (3.42)

in cui λ rappresenta un opportuno moltiplicatore di Lagrange. Supposte verificate tutte le condizioni di continuità richieste, la condizione di estremo è facilmente ottenuta annullando le derivate della ( ) , f h iα λ rispetto agli α h i supposti indipendenti e

rispetto al moltiplicatore λ. Si ottiene:

( )∂

∂ασ α λ α σ λ α

f

h i

i j k j k j i j i j i j k j= =− = −δ δ 0 (3.43)

∂ λα α

fh k h i k j i j= −δ δ (3.44)

E' immediato osservare che la (3.43) coincide con la (3.38), mentre la (3.44) esprime la condizione di ortogonalità.

In particolare i 3 valori λ λ λ I II III, , che rendono stazionaria la

( ) , f h iα λ coincidono con le 3 tensioni principali σ σ σI II III , , .

Delle 3 tensioni principali una è massima, una è minima ed una è semplicemente stazionaria. Di solito le 3 tensioni principali vengono ordinate nel seguente modo:

σ σ σI II III ≥ ≥ .

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. STATI DI TENSIONE MONO, BI E TRI-ASSIALI 1

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3.8 STATI DI TENSIONE MONO, BI E TRI-ASSIALI

Gli stati di tensione possono essere classificati in base al numero di tensioni principali diverse da zero. Più precisamente uno stato di tensione si definisce monoassiale, biassiale oppure triassiale a seconda che vi siano due, una, oppure nessuna tensione principale diversa da zero. È evidente che tale classificazione discende immediatamente dall’esame dei coefficienti dell’equazione secolare :

σ σ σ 3

12

2 3 0− − − =I I I (3.45)

senza che sia necessario risolverla. Infatti è facile verificare che : se I3 ≠ 0 lo stato di tensione è triassiale ; se I3 = 0 & I2 ≠ 0 , lo stato di tensione è biassiale ; e infine se I2 = 0 & I3 = 0 & I1 ≠ 0, lo stato di tensione è monoassiale. Si può infine osservare che nel caso monoassiale il vettore tensione tn relativo a qualunque elemento piano risulta sempre parallelo ad una medesima direzione, mentre nel caso biassiale risulta appartenente sempre ad una medesimo piano, che prende il nome di piano delle tensioni. Se in tutti i punti di un solido i piani delle tensioni sono paralleli ad una medesima giacitura, si dirà che il solido è soggetto ad uno stato piano

di tensione.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. LINEE ISOSTATICHE 1

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3.9 LINEE ISOSTATICHE

Escludendo i casi di indeterminazione ricordati al paragrafo 3.7.1. , in ogni punto

del continuo si individua una terna di direzioni principali relativa ad altrettanti piani

principali sui quali agiscono soltanto tensioni normali. In generale da punto a punto del

continuo la terna sarà diversamente orientata. E' così possibile individuare tre famiglie

di curve inviluppo delle tre direzioni principali in ogni punto che sono dette linee

isostatiche.

Ne discende che, lungo le direzioni individuate dalle linee isostatiche, si hanno,

per definizione, soltanto tensioni normali e la materia risulta perciò semplicemente

tesa o compressa. Se si potesse concentrare la materia che costituisce il continuo lungo

le linee isostatiche si realizzerebbe una specie di tessuto fibroso sollecitato

esclusivamente da trazioni o da compressioni, senza tensioni tangenziali che di solito,

impegnano il materiale in modo più sfavorevole.

In natura esistono esempi interessanti di strutture nelle quali la materia è proprio

disposta lungo le linee isostatiche.

Ad esempio il tessuto spugnoso che costituisce le ossa (trabecole ossee) presenta

un'architettura tutt'altro che casuale; essa è infatti conformata all'andamento delle linee

isostatiche corrispondenti alla sollecitazione prevalente a cui sono assoggettate (v. Fig.

3.11). A ciò va indubbiamente attribuita la notevole resistenza da esse posseduta in

rapporto al peso di materiale che le costituisce.

Fig. 3.11: Trabecole ossee: "disposizione ottimale della materia".

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. LINEE ISOSTATICHE 2

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Anche nel campo dell'ingegneria strutturale vi sono alcune importanti applicazioni

nelle quali, disponendo la materia il più possibile lungo le traiettorie isostatiche, si

cerca di realizzare quanto la natura fa spontaneamente: individuazione di schemi

reticolari all'interno di strutture complesse, forme particolari di gusci che richiamano

quelle di alcuni animali, disposizione della armature all'interno delle strutture in

cemento armato.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. DEVIATORE DI TENSIONE 1

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3.10 DEVIATORE DI TENSIONE

Il tensore delle tensioni, come tutti i tensori del secondo ordine, può essere

scomposto additivamente i due parti, rispettivamente denominate parte sferica e parte

deviatorica nel seguente modo:

σ σ i j m i j i js= +δ (3.46)

dove si j , per definizione, è tale che

s s s si j i jδ = + + =11 22 33 0 .

Risulta pertanto :

( )

σ δ σ δ δ

σ σ σ σ

i j i j m i j i j

m

=

+ + = 11 22 33 3

(3.47)

da cui :

( )σ σ σ σm =1

3 11 22 33+ +

ossia σ m è la media delle tensioni normali.

Dalle (3.46) si deduce immediatamente:

s i j i j m i j = −σ σ δ (3.48)

che, in forma esplicita, si può scrivere:

s i j

m

m

m

=

σ σ σ σ

σ σ σ σ

σ σ σ σ

11 12 13

21 22 23

31 32 33

(3.49)

da cui, essendo s i ji j i j per = ≠σ , si deduce che le direzioni principali del deviatore

coincidono con quelle del tensore, mentre è facile verificare, che i valori principali di

s i j sono dati da:

s s sI I m II II m III III m = = =− − −σ σ σ σ σ σ; ; (3.50)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. DEVIATORE DI TENSIONE 2

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Inoltre, con facili passaggi, si perviene ai seguenti valori per gli invarianti secondo

e terzo del deviatore:

( )J s s s s s s s si j i j2 11

2

22

2

33

2

12

2

23

2

31

2 - 1

2 -

1

2 2 2 2

= = + + + + + (3.51)

Det J s i j3 = (3.52)

ed alle loro espressioni in termini di componenti principali:

( )J s s sI II III2

2 2 2 - 1

2

= + + (3.53)

( )J s s sI II III3

3 3 3 1

3

= + + (3.54)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. RAPPRESENTAZIONE DELLO STATO DI TENSIONE 1

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3.11 RAPPRESENTAZIONE DELLO STATO DI TENSIONE

Lo stato di tensione, in quanto individuato da un tensore doppio simmetrico, è

suscettibile di alcune rappresentazioni geometriche fra le quali presenta un particolare

interesse applicativo quella introdotta da Otto Mohr (3.1) , che ora ci si accinge a

descrivere, con riferimento agli elementi piani appartenenti ad un medesimo fascio di

sostegno una qualsiasi retta x3 (v. Fig.3). Il generico piano π n di questo fascio è

individuato dall'angolo φ che n forma con l'asse x1 .

νννν

Fig. 3.12. - Fascio di piani di sostegno x3.

Se α α α1 2 3 , e sono i coseni direttori di n sussistono le seguenti relazioni:

(3.1) Otto Mohr (1835-1918) nasce a Wesselburen (Holstein). Studia e si diploma al Politecnico di Hannover. In

seguito si dedica alla ricerca e all'attività professionale in un campo, quello delle costruzioni metalliche, che

rappresenta una novità nella Germania di questo periodo. Ben presto, all'età di 32 anni, viene chiamato

all'insegnamento al Politecnico di Stoccarda dove ricopre l'incarico dal 1868 al 1873 quando passa a Dresda; qui

rimane sino alla fine della sua carriera. E' un professore molto ammirato ed è per anni un vero pilastro della

cultura scientifico-tecnica tedesca, egemone in Europa, sino alla prima guerra mondiale. Si può dire che i suoi

Beiträge, pubblicati solitamente nella "Zeitschrift des Architekten und Ingenieur Vereins" di Hannover, formano

la moderna Scienza delle Costruzioni.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. RAPPRESENTAZIONE DELLO STATO DI TENSIONE 2

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α φ α φ α1 2 3 0= c os = s i n =; ;

Se si sceglie il versore tangente v , individuato dai coseni direttori ( )β β β1 2 3 , , ,

in maniera che la coppia d'assi ortogonali (n , v) sia sovrapponibile agli assi del

riferimento ( )x x1 2 , , è facile verificare che:

( )β φ φ β φ β1 2 3 0= c os 90 s i n = c os =+ = - ; ;

Con tali posizioni, le componenti normali e tangenziali del vettore tensione su

π n , ricordando le formule (3.31), risultano:

( )

( )

( )

σ σ α α σ σ

σ σ σ

σ σ

σ σ

σ φ φ φ φ

φ φ φ

φ φ

n n i ji j

os

sin sin cos

1

2

1

2 sin sin

1

2 c sin

1

2

cos 2

cos 1

2

= = =

= −

− =

=

+ +

+ + +

+ +

+

11

2

22

2

12

11

2

11

2

22

2

22

2

12

11 22

1

1 2

( )

( )

+ −

+

1

2 sin

-1

2 sin sin

cos

cos

σ

σ σ

φ φ

φ φ φ

11

2 2

22

2 2

12 2

da cui

( ) ( )σ σ σ σ σ σφ φnn = + −+ + 1

2

1

2 cos sin 11 22 11 22 122 2 (3.55)

Inoltre τ σ α β σ φ φ σ φ φ

σ φ σ φ

n v = = - i j i j s i n c os + s i n c os +

+ c os - s i n

11 22

12

2

21

2

da cui :

( )τ σ σ σφ φn v = − − + 1

2 sin cos 11 22 122 2 (3.56)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. COSTRUZIONE GRAFICA DELLA CIRCONFERENZA DI MOHR 1

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3.11.1 Costruzione grafica della circonferenza di Mohr

E' facile provare che le espressioni trovate nel paragrafo precedente per σ n n e per

τ νn sono le equazioni parametriche di una circonferenza nel piano ( )σ τ νn n n , .

Infatti, eliminando il parametro φ dalle (3.55) e (3.56), si perviene all'equazione:

( ) ( )σ σ σ σ σ στ νn n n

2

2

1

2

1

2 − +

+ = −

+11 22

2

11 22 12

2 (3.57)

che nel, riferimento ( )σ τ νn n n , , è appunto l'equazione di una circonferenza di

centro C e raggio R , dati da:

( ) ( )C R≡ +

= −

+

1

2 , ;

1

2

1

2

σ σ σ σ σ11 22 11 22

2

12

20 (3.58)

Questa circonferenza è nota come circonferenza di Mohr ed il piano

( )σ τ νn n n , viene più sinteticamente indicato con (σ, τ).

Si ricorda che nel linguaggio tecnico σ è sinonimo di tensione normale, mentre τ

lo è di tensione tangenziale.

La costruzione di questo cerchio nel piano (σ, τ) è immediata (v. Fig. 3.13). Basta

infatti riportare sull'asse delle ascisse σ i punti rappresentativi di σ σ e 11 22 e

sull'asse delle ordinate τ il punto rappresentativo di σ 12 ed eseguire la costruzione

indicata nella stessa figura.

Ricordando che le espressioni (3.55) e (3.56) sono la versione parametrica della

circonferenza (3.57), si può affermare che il punto rappresentativo delle componenti

σ τ νn n n , descrive una circonferenza al variare di φ da 0 a 2π. Si è stabilita così una

corrispondenza tra gli elementi piani del fascio di sostegno x3 ed i punti della

circonferenza di Mohr.

Per dimostrare che questa corrispondenza è biunivoca, basta far vedere che il

generico punto S della circonferenza di Mohr, individuato mandando da

( )P ≡ −σ σ , 11 12 , detto polo della rappresentazione, la parallela alla traccia del

piano π n , ha proprio come coordinate ( )σ τ νn n n , . Infatti, moltiplicando

l'espressione (3.55) di σ n n per cos φ e la (3.56) di τ νn per sin φ si ottiene:

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. COSTRUZIONE GRAFICA DELLA CIRCONFERENZA DI MOHR 2

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Fig. 3.13: Costruzione del cerchio di Mohr.

σ φ σ σ σφ φ φ φ φn n

3

2

2 cos cos sin sin cos cos= + +11 22 122

τ ν φ σ σ

σ σ

φ φ φ φ

φ φ φ

n

2

2

2

3

sin cos

sin sin

sin sin cos

cos

= − + +

+ −

11 22

12 21

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. COSTRUZIONE GRAFICA DELLA CIRCONFERENZA DI MOHR 3

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e, sottraendo membro a membro e dividendo il risultato per cos φ , si perviene

all'espressione:

σ φ σ στ ν φn n n tg tg − = +11 12 (3.59)

la quale dimostra, come si può dedurre dalla Fig. 3.13, che le coordinate di S sono

proprio la tensione normale σ n n e tangenziale τ νn dell'elemento piano π n .

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. CIRCONFERENZE PRINCIPALI DI MOHR 1

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3.11.2 Circonferenze principali di Mohr

E' importante osservare, a questo punto, che se la direzione x3 è principale, ed in

tal caso la indichiamo con ζ, la tensione tangenziale τ νn è la tensione tangenziale

totale su π n ; il fascio di piani si chiamerà fascio principale e la circonferenza di

Mohr associata prende il nome di circonferenza principale relativa alla direzione

principale ζ.

E' facile ora, dopo aver costruito la circonferenza principale associata a ζ, con gli

elementi base σ σ σ , , 11 22 12 , individuare le altre due direzioni principali (ξ, η) e le

relative tensioni principali σ σ σ σξ η e ≡ ≡I II .

Basta infatti proiettare dal polo della rappresentazione P i punti S SI II e (v.

Fig. 3.14) per individuare i piani principali e quindi le direzioni principali e misurare le

ascisse OS SI II e O per ottenere le espressioni delle tensioni principali:

( ) ( )

( ) ( )

σ σ σ σ σ σ σ

σ σ σ σ σ σ σ

ξ

η

1

2

1

2

1

2

1

2

≡ = + ≡ + + −

+

≡ = − ≡ + − −

+

I

II

OC R

OC R

11 22 11 22

2

12

2

1

2

11 22 11 22

2

12

2

1

2

(3.60)

Inoltre, annullando la espressione (3.56) di τ νn si trova che la direzione

principale ξ è individuata dall'angolo φ 0 dato da:

tg

22

012

11 22

φσ

σ σ=

− (3.61)

Le tensioni tangenziali massime, rappresentate dai punti T T e 1 2 (v. Fig. 3.15),

valgono:

( )τ

τσ σ

σ σ σ

1

2

11 22

2

122

1

24

= ±−

= ± − +I II (3.62)

e gli elementi piani su cui agiscono sono individuati dall'angolo:

tg

22

11 22

12

φσ σ

σT = −

− (3.63)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. CIRCONFERENZE PRINCIPALI DI MOHR 2

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Fig. 3.14: Tensione normale e tensione tangenziale sul piano di Mohr.

che è ottenuto imponendo, nella (3.55), a σ n n il valore

σσ σ

n n

=+11 22

2

e risolvendo quindi rispetto a φ.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. CIRCONFERENZE PRINCIPALI DI MOHR 3

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Fig. 3.15

Si noti che questi piani, su cui la τ è massima e minima, risultano ruotati di (π/4)

rispetto ai piani principali.

Resta infine del tutto evidente che quanto detto per il fascio principale di sostegno

ζ può ripetersi identicamente per gli altri due fasci principali relativi alle altre due

direzioni ξ ed η. Si giunge così al tracciamento delle tre circonferenze principali di

Mohr, che risultano mutuamente tangenti (Fig. 3.16). Da questa si può anche

constatare che, se le tensioni principale vengono ordinate nel seguente modo:

σ σ σI II III ≥ ≥

allora la τ max ha l'espressione:

τσ σ

max =

−III I

2 (3.64)

Fig. 3.16: Circonferenze principali di Mohr.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. INTRODUZIONE 1

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4. IL PRINCIPIO DEI LAVORI VIRTUALI

4.1 INTRODUZIONE

Fino ad ora si è condotto lo studio del problema della deformazione e di quello della

tensione per un corpo continuo giungendo alla formulazione di importanti relazioni,

che sono le equazioni di congruenza, per il primo, e le equazioni indefinite di

equilibrio e le equazioni ai limiti per il secondo. In entrambi i casi si è giunti a tali

risultati considerando i due problemi indipendentemente l’uno dall’altro.

Utilizzando le equazioni ottenute fino ad ora, si possono ottenere alcune relazioni

formali che, pur non rappresentando nulla di concettualmente nuovo rispetto alle

equazioni sopra ricordate, forniscono uno strumento analitico molto potente per

affrontare una gran quantità di problemi diversi. Tali relazioni hanno quindi un

notevole interesse e sono di assoluta generalità essendo valide per qualsiasi continuo

deformabile a prescindere dalle sue proprietà fisiche.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. IL PRINCIPIO DEI LAVORI VIRTUALI 1

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4.2 IL PRINCIPIO DEI LAVORI VIRTUALI

Nello studio del problema della deformazione sono state scritte le equazioni di

congruenza che, per un generico sistema di spostamenti e deformazioni u i i j* * e ε

infinitesimi, assumono la forma:

( )ε in i j i j j iu u V*

,

*

,

*= +1

2 (4.1)

Fig. 4.1

Mentre lo studio dello stato di tensione ha portato alle equazioni di equilibrio:

σ in i j i jb V, + = 0 (4.2)

σ ∂i j i in f= su V (4.3)

Abbiamo anche mostrato che è σ σ i j j i= .

Un campo di spostamenti e deformazioni infinitesimi che soddisfa gli evetuali

vincoli cinematici esterni e le (4.1) è detto congruente, mentre un campo di forze e

tensioni che soddisfa (4.2) e (4.3) è detto equilibrato.

Moltiplicando la (4.2) per il campo di spostamenti u j

* ed integrando sul volume V

si ottiene :

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σ i j i j j j

VV

u dV b u dV,

* *+ =∫∫ 0 (4.4)

Con riferimento alla identità :

( )σ σ σ i j j,i

i j i j i j j i

VVV

u dV u dV u dV*

,

*

,

*= + ∫∫∫

ed al teorema della divergenza :

( )σ σ α∂

i j j,i

i j i j

VV

u dV u dA* *= ∫∫

si perviene alla seguente uguaglianza:

σ α σ σ∂

i j i j

V

i j i j

V

i j j i

V

u dA u dV u dV*

,

*

,

*= +∫ ∫ ∫ (4.5)

Partendo dalla scomposizione del gradiente di spostamento :

( ) ( )u u u u uj i j i i j j i i j,

*

,

*

,

*

,

*

,

*

= + + −1

2

1

2, (4.6)

per la congruenza (4.1) si può scrivere :

( )ε i j i j j iu u*

,

*

,

*= +1

2

mentre è facile riconoscere che :

( )ω j i j i i ju u,

*

,

*

,

*= −1

2

è il tensore anti-simmetrico della rotazione infinitesima.

Alla luce di queste posizioni, la (4.4), avuto riguardo alla (4.5), e ricordando che il

prodotto σij ω*ji di un tensore simmetrico per uno emisimmetrico è nullo, si perviene

alla relazione :

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f u dA b u dV dVj j j j i j

VVV

i j

* * *+ = ∫∫∫ σ ε∂

(4.7)

che rappresenta l’equazione dei lavori virtuali.

Il primo membro della (4.7) è il lavoro che la forze esterne f i o b j compiono in

corrispondenza del campo di spostamenti ui

* , del tutto indipendente dalle medesime

forze esterne e che perciò prende il nome di lavoro virtuale esterno :

Le j j j j

VV

f u dA b u dV* * *= + ∫∫

Il secondo membro della (4.7) rappresenta il lavoro che le tensioni σ i j compiono

in corrispondenza delle deformazioni ε i j

* , anch’esse del tutto indipendenti dalle

medesime σ i j , e che perciò prende il nome di lavoro virtuale interno. Infatti , se si

suppone di associare ad un assegnato campo di tensioni σ i j , un campo di deformazioni

indipendente ε i j

* è immediato verificare, con riferimento alla faccia dx dx1 3 in Fig. 4.2

che :

Fig. 4.2

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• per la dilatazione lungo la direzione x2 la forza è σ 22 1 3 d dx x e quindi, se lo

spostamento èε

d22 2

*x , il lavoro che viene compiuto è σ ε22 22 1 2 3

d d d*x x x , ossia

σ ε22 22

d*V ;

• per lo scorrimento tra gli assi (x2, x3,) la forza è σ23 1 3dx dx , lo spostamento

vale ( )2 23 2 2312 23 ε ε γ* * *

dx = e quindi il lavoro sarà 2 23 23 σ ε *dV .

Per estensione resta provato che l’espressione

L dVi i j i j

V

* *= ∫σ ε .

a secondo membro della (4.7) rappresenta proprio il lavoro che le σ i j compiono in

corrispondenza delle ε i j

* e che perciò prende il nome di lavoro virtuale interno :

Si può quindi enunciare il seguente teorema :

Dato un continuo deformabile V sul quale siano assegnati un campo di

spostamenti e deformazioni infinitesimi qualsiasi purché congruente ed un campo di

forze e tensioni qualsiasi purché equilibrate, allora vale l’uguaglianza :

L Le i

* *= (4.8)

Questa uguaglianza, nonostante sia stata dimostrata, è spesso nota come principio

dei lavori virtuali.

Se il corpo continuo è rigido si ha che ε i j

* = 0 e quindi la relazione precedente si

scrive semplicemente

L e

* = 0

L’equazione (4.7) è anche nota come principio degli spostamenti virtuali o come

principio dei lavori virtuali nella forma diretta quando si considera un sistema di

spostamenti e deformazioni virtuale; mentre invece quando si considera il sistema di

forze e tensioni come virtuali la (4.7) è nota come principio delle forze virtuali,

ovverosia come principio dei lavori virtuali nella forma inversa .

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4.3 RELAZIONI TRA EQUILIBRIO, CONGRUENZA E LAVORI

VIRTUALI

Si può dimostrare che se, con riferimento al solido di Fig. 4.1., due delle seguenti

proposizioni sono vere, la terza è anch’essa vera:

– “il campo di spostamenti e deformazioni è congruente”

– “il campo di forze e tensioni è equilibrato”

– “il principio dei lavori virtuali è verificato”

Si è già dimostrato nel paragrafo precedente che le prime due affermazioni

(congruenza ed equilibrio) portano alla formulazione del teorema dei lavori virtuali. Si

dimostreranno ora le altre due affermazioni.

1 ) [P.L.V. + Congruenza] ⇒ [Equilibrio]

Si è già visto che vale la :

u j i i j i j,

* * *

= +ε ω

e quindi, per sostituzione nell’espressione (4.7) del principio dei lavori virtuali, si ha :

f u dA b u dV u dV dVj j j j i j j i i j i j

VVVV

* *

,

* *+ = − ∫∫∫∫ σ σ ω∂

e, per l’identità (4.6) si ha :

f u dA b u dV n u dA u dV dVj j j j

VV

i j i j i j i j i j i j

VVV

* * *

,

* *+ = − −∫∫ ∫∫∫∂ ∂

σ σ σ ω

Quest’ultima si può scrivere :

( ) ( )f n u dA b u dV dVj i j i j j i j i j i j ij

VVV

− + + + =∫∫∫ σ σ σ ω∂

*

,

* * 0 (4.9)

Ora, per l’arbitrarietà con cui si possono scegliere i campi di spostamento, pur nel

rispetto della congruenza, discende che, affinché la relazione precedente sia vera, sotto

Congruenza

Equilibrio

P.L.V.

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ipotesi di continuità per le funzioni integrande, è necessario che l’argomento di ciascun

integrale sia nullo:

f n bj i j j j i j i i j i j i j j i= + = = ⇒ =σ σ σ ω σ σ ; ;,

*0 0

Si ottengono così proprio le condizioni di equilibrio (4.3), (4.4) e la simmetria del

tensore della tensione.

2 ) [P.L.V. + Equilibrio] ⇒ [Congruenza]

Dal P.L.V. :

f u dA b u dV dVj j

V

j j

V

i j i j

V

* * *

σ ε∫ ∫ ∫+ =

che, per l’equilibrio, assume la forma :

σ σ σ ε∂

i j i j

V

i j i j

V

i j i j

V

n u dA u dV dV*

,

* *

∫ ∫ ∫− =

e, per il teorema della divergenza, si riduce a :

σ σ ε i j j i

V

i j i j

V

u dV dV,

* *

∫ ∫=

per la (4.8), diviene :

( ) ( )[ ]σ σ ε i j i j j i j i i j

V

i j i j

V

u u u u dV dV12

12,

*

,

*

,

*

,

* *+ + − =∫ ∫

Per la simmetria di σ i j si ottiene :

( )[ ]σ σ ε i j i j j i

V

i j i j

V

u u dV dV12 ,

*

,

* *+ =∫ ∫

Per l’arbitrarietà del campo di tensioni, purché equilibrato, dovrà necessariamente

essere

( )ε i j i j j iu u*

,

*

,

*= +12

che è il risultato cercato.

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5.1 INTRODUZIONE

Da quanto discusso fino ad ora si comprende che il problema matematico tipico

della meccanica dei solidi è così impostato :

DATI : V = Volume occupato dal solido

b j = forze di volume assegnate in V

Condizioni al contorno :

$f j forze assegnate sulla superficie ∂ ′V

$u j spostamenti assegnati sulla superficie ∂ ′′V

TROVARE in ogni punto di V ( , , )x x x1 2 3 i campi di spostamenti, deformazioni e

tensioni :

u u x x x

x x x

x x x

j j

i j i j

i j i j

=

=

=

( , , )

( , , )

( , , )

1 2 3

1 2 3

1 2 3

ε ε

σ σ

(5.1)

che siano soluzione del seguente problema al contorno :

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Equilibrio σ

σ ∂

i j i j

i j i j

b V

n f in V

,

$

+ =

= ′

0 in (5.2)

Congruenza ( )ε

i j i j j i

i i

u u in V

u u su V

= +

= ′′

12 , ,

$

(5.3)

Come si vede, a fronte di 9 equazioni differenziali alle derivate parziali, occorre

determinare le 15 funzioni incognite (5.1). In alcuni casi particolari il numero delle

funzioni incognite da determinare si riduce tanto da consentire la risoluzione del

problema (5.2),(5.3). Si tratta dei problemi così detti staticamente determinati,

mutando il linguaggio della statica dei corpi rigidi. In generale però il problema non si

può risolvere se non si tiene conto della particolare natura che costituisce il solido.

In altri termini, mentre le equazioni (5.2) e (5.3) valgono in ogni continuo a

prescindere dal particolare materiale di cui è costituito, per poter risolvere problemi

concreti occorre descrivere il comportamento dei singoli materiali attraverso opportune

relazioni che siano in grado di individuare le particolari classi di processi che ciascuno

di essi è in grado di subire.

Tali relazioni prendono il nome di equazioni costitutive che, nella formulazione

più semplice, legano il tensore della tensione con quello della deformazione :

( ) ( )σ σ εij ij hk i j h k= =, , , , ,12 3 (5.4)

Le (5.4), che in generale sono non-lineari, rappresentano la più generale relazione

per descrivere il comportamento di un materiale elastico. Esso perciò ha la proprietà

che la generica componente di tensione σ ij è determinata dal valore che assumono

tutte le 9 componenti εhk di deformazione.

Si noti che per un materiale elastico non ha alcuna influenza la storia deformativa

subita dal materiale prima che esso venga sottoposto alla nostra osservazione.

Particolare importanza riveste per le applicazioni nell’ingegneria il caso in cui le

equazioni costitutive (5.4) siano lineari, ossia quando sia possibile scrivere le (5.4)

nella forma :

[ ]σ ε= C (5.5)

essendo C una applicazione lineare che trasforma lo spazio dei tensori ε in quello dei

tensori σ ossia, lo spazio dei tensori del secondo ordine in se stesso ; C è quindi un

tensore del 4° ordine. La (5.5), scritta in componenti con riferimento ad una base

ortonormale [ ]e e e1 2 3, , , diviene :

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σ εij ijhk hkC= (5.6)

La (5.6) è una generalizzazione della famosa legge di R.Hooke il quale nel 1676

diede il primo contributo in tema di equazioni costitutive. Egli condensò le sue

esperienze sulle molle di orologi nella relazione di proporzionalità ( ut tensio sic vis ) :

F ku ossia E= =σ ε

Questa relazione, che oggi può apparire del tutto scontata, ha avuto una notevole

importanza metodologica in quanto dimostrò la possibilità di misurare la forza, ossia la

tensione, attraverso misure di spostamenti, ossia di deformazioni. Inoltre provò

l’invarianza della legge costitutiva dal particolare riferimento nella quale si scrive.

La (5.6) descrive pertanto il comportamento di un materiale elastico lineare, e

deve la sua estesa fortuna alla circostanza che quasi tutti i materiali da costruzione, se

poco sollecitati, sono riconducibili ad esso. La (5.6) tuttavia è pur sempre la

descrizione di un materiale ideale che non esiste a rigore in natura ed in tal senso

sarebbe più corretto parlare di stato elastico anziché di solido elastico o di materiale

elastico.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. IL SOLIDO ELASTICO LINEARE 1

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5.2 IL SOLIDO ELASTICO LINEARE

Il solido o, per meglio dire, lo stato elastico lineare è descritto da una relazione

che è la generalizzazione della legge di Hooke

( )σ εij ijhk hkC i j= =, , ,1 2 3 (5.7)

in cui Cijhk sono le componenti, in un riferimento ortonormale, di un tensore del 4°

ordine, detto tensore elasticità.

Si ha, ad esempio, ricordando la usuale convenzione di sommatoria sugli indici

ripetuti :

σ ε ε ε

ε ε ε

ε ε ε

23 2311 11 2312 12 2313 13

2321 21 2322 22 2323 23

2331 31 2332 32 2333 33

= + + +

+ + + +

+ + +

C C C

C C C

C C C

Essendo un tensore del 4° ordine le componenti Ci j h k

di C sono 3 814= . Le

componenti effettivamente distinte si riducono però a 36 per la simmetria di σσσσ ed εεεε

che, come è noto, presentano ciascuno solo sei componenti distinte.

I coefficienti Ci j h k

non dipendono dalla deformazione ma, eventualmente, dalla

posizione della particella materiale. Quando ciò accade si parlerà di materiali

eterogenei. Quando viceversa le Ci j h k

non dipendono dal punto diremo che il

materiale è omogeneo, le componenti Ci j h k

sono quindi delle costanti per tutto il

corpo.

Anche il comportamento più semplice, ossia quello elastico lineare, implica quindi

la conoscenza di ben 36 costanti materiali che sono evidentemente difficili da valutare

soprattutto quando si pensi che ciò può esser fatto solo sperimentalmente.

Il numero di tali costanti che descrivono il legame può però essere ridotto se il

materiale presenta particolari proprietà di simmetria nella risposta, ossia delle

simmetrie nel suo comportamento. Questa eventualità, che viene considerata nella

maggior parte dei casi di interesse tecnico (5.1), verrà analizzata in maniera più

approfondita nel paragrafo seguente.

(5.1) Accade spesso in pratica di poter considerare l’ipotesi di comportamenti simmetrici viste le proprietà di

simmetria della natura cristallina del materiale e la possibilità di modificare, attraverso una lavorazione

dall’avanzato rilievo tecnologico, il comportamento dei materiali stessi nelle varie direzioni.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.PROPRIETÀ DI SIMMETRIA NELLA RISPOSTA DI UN MATERIALE 1

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5.2.1 Proprietà di simmetria nella risposta di un materiale

Al fine di descrivere eventuali simmetrie nella risposta di un materiale si vuole ora

studiare (v. Fig.5.1) quello che accade nell’intorno infinitesimo di un punto individuato dal vettore posizione x nel riferimento cartesiano ( )O x x x, , ,1 2 3 .

Fig. 5.1

Si supponga di applicare un campo di spostamenti ( )u y in un punto y a distanza

infinitesima da x . Si consideri poi il punto y* individuato da :

( ) ( )y* x Q y x− = − (5.8)

essendo Q un tensore ortogonale, ed il campo di spostamenti ( )u y* * legato ad

( )u y dallo stesso tensore ortogonale Q :

( ) ( )u y Q u y* * = (5.9)

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In sostanza, il vettore ( )y* x− e il campo di spostamenti ( )u y* * non sono altro che

il vettore ( )y x− ed il campo di spostamenti ( )u x , ruotati di Q . In generale la

risposta del materiale nel punto x è diversa nelle due direzioni considerate; se però il materiale presenta delle simmetrie potremmo avere la stessa risposta.

È facile verificare, ricordando la regola di derivazione delle funzioni composte, che :

∇ = ∇ ∇ = ∇ = ∇− −u Q u y Q Q u Q Q u Q*1 1 T (5.10)

da cui, considerando solo la parte simmetrica, che come è noto coincide con il tensore delle deformazioni, si ottiene

εεεε εεεε* = Q Q T (5.11)

Resta così provato che εεεε ed εεεε ∗∗∗∗ descrivono la stessa deformazione in x .

Ora se Q è una trasformazione di simmetria per il materiale (ossia se il materiale

presenta la stessa risposta nelle due direzioni) si può affermare che [ ]σσσσ εεεε= C e

[ ]σσσσ ∗∗∗∗ εεεε ∗∗∗∗= C rappresentano lo stesso stato di tensione e quindi deve valere la

σσσσ σσσσ* = Q Q T (5.12)

da cui :

[ ] [ ]C Q C Qεεεε εεεε* = T

e quindi :

[ ] [ ]C Q Q Q C Qεεεε εεεεT T= (5.13)

che rappresenta quindi la condizione necessaria affinché Q sia una trasformazione di simmetria.

Si può dimostrare che le trasformazioni di simmetria costituiscono un gruppo G e che se Q ∈G allora anche Q − ∈1

G ; inoltre il prodotto di due trasformazioni di simmetria è ancora una trasformazione di simmetria (quindi il tensore I , di componentiδ ij in un riferimento ortonormale verifica la condizione I ∈G ).

Indicando con O il gruppo dei tensori ortogonali si parla di solido elastico lineare

isotropo se G O≡ : questo corrisponde al massimo grado di simmetria in quanto per

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ogni trasformazione ortogonale (per ogni rotazione) è valida la (5.13) e quindi il comportamento del materiale è lo stesso per qualsiasi direzione (5.2) ; nel caso in cui questo non sia verificato il materiale si dice anisotropo.

Il gruppo G presenta infiniti sottogruppi ma è stato dimostrato (Coleman & Noll)

che 12 sottogruppi propri sono in grado di descrivere tutti i materiali che presentano simmetrie e che 11 di questi descrivono tutte le classi di cristalli note.

Hanno un grande rilievo particolari classi di materiali anisotropi:

• i materiali elastico lineari trasversalmente isotropi per i quali la relazione

(5.13) è valida quando Q appartiene al sottogruppo proprio ( )I R, e

ϕ che è

generato del tensore unitario I e di una rotazione di un angolo ϕ attorno ad una

direzione e ;

• i materiali elastico lineari ortotropi per i quali la relazione (5.13) è valida

quando Q appartiene al sottogruppo proprio ( )R R Ri j k

π π π, , che è generato

delle riflessioni rispetto a tre piani ortogonali di normali i, j, k. Passando dalle condizioni di assenza di simmetria, alla ortotropia, alla isotropia

trasversale per arrivare alla isotropia il numero delle costanti indipendenti necessarie a descrivere il comportamento elastico lineare si riduce rispettivamente da 36 a 9, a 5 per finire a 2.

(5.2) Si pensi di poter isolare dei provini intorno al medesimo punto ma prendendo materiale secondo direzioni diverse: effettuando ad esempio una prova di trazione si otterrebbero i medesimi diagrammi tensione - deformazione su tutti i provini prelevati.

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5.2.2 Il solido elastico lineare isotropo

Si può dimostrare che per un solido elastico lineare isotropo valgono le seguenti 3

proprietà:

a) ad una dilatazione uniforme, corrisponde uno stato di tensione sferico :

[ ] [ ]εεεε = ⇒ = = ⇒ =e e K e K eI C C I I Iεεεε σσσσ3 3

b) ad una deformazione che sia uno scorrimento puro, corrisponde uno stato di

tensione tangenziale puro (sono nulle le tensioni normali)

[ ]ε

ε ε

ε ε

ε ε

ε µ ε µ=

⇒ = ⇒ =

0

0

0

2 2

12 13

21 23

31 32

C s e

c) ad una deformazione deviatorica (a traccia nulla) (5.3) , corrisponde uno stato di

tensione anch’esso deviatorico

[ ]εεεε εεεε εεεε εεεε εεεε σσσσ εεεε= = ⇒ = ⇒ =o o o o ocon tr 0 2 2C µ µ

Si dimostra che le tre proprietà sopra evidenziate sono anche condizioni necessarie

e sufficienti affinché il solido elastico lineare sia isotropo.

Basandosi sulle stesse tre proprietà è ora possibile dimostrare che un solido

elastico lineare è isotropo se e solo se il suo legame costitutivo è espresso dalla :

[ ]σσσσ εεεε εεεε εεεε= = +C I2 µ λ tr (5.14)

che viene anche indicata come equazione di Lamé (1852) e dove il numero delle

componenti del tensore di elasticità che definiscono il comportamento del materiale si

è ridotto alle sole due λ µe (prima e seconda costante di Lamé).

Per dimostrare la sufficienza della (5.14) si può scrivere per ogni tensore

ortogonale Q :

(5.3) Ad esempio le deformazioni a volume costante.

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[ ]Q C Q Q Q Q I Qεεεε εεεε εεεεT T T= +2 µ λ tr

ma, se si osserva che :

( ) ( ) ( ) ( )tr tr tr trQ Q Q Q I

Q Q

εεεε εεεε εεεε εεεε

1111 1111

T T

T

= = =

=

(5.4)

si ha :

[ ] ( ) [ ]Q C Q Q Q Q Q I C Q Qεεεε εεεε εεεε εεεεT T T T= + =2 µ λ tr

che è la condizione di isotropia di un materiale (5.14) stante l’arbitrarietà di Q .

La (5.14) rappresenta anche la condizione necessaria, infatti, scomponendo il

tensore εεεε nelle due parti sferica e deviatorica, si ha

εεεε εεεε εεεε= +1

3tr I

o

da cui, ricordando le proprietà a) e c) viste in precedenza, deriva che

[ ] ( ) [ ] ( )C C I C Iεεεε εεεε εεεε εεεε εεεε=

+ = + =

1

33

1

32tr tr o o

k µ

( ) ( ) ( )= + −

= + −

k ktr tr tr ε µ ε ε µ ε µ εI I I2

1

32

2

3

e, se si pone :

λ µ= −

k

2

3

si ha :

[ ]C Iεεεε εεεε εεεε= +2 µ λ tr

(5.4) La prima uguaglianza è possibile in quanto, date due matrici A e B, vale la: tr (A B) = tr (B A)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. IL SOLIDO ELASTICO LINEARE ISOTROPO 3

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che conclude la dimostrazione.

L’equazione costitutiva (5.14) può anche essere invertita per esprimere ε in

funzione di σ. Infatti da essa si ottiene immediatamente

( )εεεε σσσσ εεεε= −1

2 µλ tr I

e da questa, considerando che

( )tr tr tr tr σσσσ εεεε εεεε εεεε= + = +2 3 2 3µ λ µ λ

si ottiene la relazione inversa cercata:

εεεε σσσσ σσσσ= −+

1

2 2 3µ

λ

µ λtr I (5.15)

dove si assume µ µ λ≠ + ≠0 2 3 0e .

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.SIGNIFICATO FISICO DELLE PRINCIPALI COSTANTI ELASTICHE 1

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5.2.3 Significato fisico delle principali costanti elastiche

Si è visto che se lo stato di deformazione in un punto è uno scorrimento puro :

ε

ε

εi j =

0 0

0 0

0 0 0

12

21

il corrispondente stato di tensione è di tipo tangenziale puro :

σ

τ

τi j =

0 0

0 0

0 0 0

con τ espressa da :

τ µ ε µ γ= =2 12 12

dove γ 12 è lo scorrimento (dilatazione angolare) e µ prende, per il significato che così

assume, il nome di modulo di elasticità tangenziale ed ha le dimensioni di una

tensione. Nella letteratura tecnica tale modulo è indicato con G.

Se invece lo stato di deformazione in un punto è una dilatazione uniforme :

εεεε = e I

lo stato di tensione corrispondente è di tipo idrostatico σσσσ = 3 k e I in cui è facile

vedere che :

3 2 3k = +µ λ

dove I1 = tr εεεε ; k prende il nome di modulo di elasticità cubica ed ha le dimensioni

di una tensione.

Si consideri ora lo stato di tensione monoassiale :

σ

σ

i j =

11 0 0

0 0 0

0 0 0

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Utilizzando le equazioni costitutive nella forma (5.15) è immediato verificare che

le uniche componenti di deformazione non nulle sono :

( )

εµ

σλ

µ λσ

µ

µ λ λ

µ λσ

µ λ

µ µ λσ11 11 11 11 11

1

2 2 3

1

2

2 3

2 3 2 3= −

+

=

+ −

+=

+

+ (*)

( )

ε εµ

λ

µ λσ

λ

µ µ λσ22 33 11 11

1

20

2 3 2 2 3= = −

+

= −

+

(**)

Se si definisce il modulo di elasticità normale, o modulo di Young dato dalla :

( )

E =+

+

µ µ λ

µ λ

2 3 (5.16)

l’equazione (*) diventa :

ε σ11 11

1=

E

che esprime la dilatazione lineare nella direzione i longitudinale in pieno accordo con

la legge di Hooke σ ε11 11= E . La costante E ha le dimensioni di una tensione ed è

definita positiva ( E > 0 ) perché a trazioni (tensioni positive) corrispondano

allungamenti.

Si definisce infine il coefficiente di Poisson o coefficiente di dilatazione

trasversale mediante:

( )

νε

ε

ε

ε

λ

µ λ= − = − =

+

2 2

11

33

112

(5.17)

in cui l’ultima uguaglianza è una immediata conseguenza delle (**) e da cui discende :

ε ε νεν

σ22 33 11 11= = − = −E

e quindi il tensore della deformazione corrispondente allo stato di tensione

monoassiale in esame si riduce a:

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ε

σ

νσ

νσ

i j

E

E

E

= −

11

11

11

0 0

0 0

0 0

E’ facile provare che, in termini delle costanti E, ν, la (5.16) diviene :

( )[ ]ε ν σ ν δσi j i j i jE

I= + −1

1 (5.18)

con Iσ = tr σσσσ .

Lo stato di tensione monoassiale considerato è quello che si determina in ogni

punto di un’asta rettilinea soggetta a forza normale di trazione. Il caso sperimentale di

riferimento potrebbe essere il seguente (v. Fig. 5.2): un’asta di lunghezza l, in seguito

ad una forza normale N nella direzione dell’asse x1 si deforma variando la sua

lunghezza di ∆ l ; l’area di base, inizialmente di superficie A, subisce una variazione

∆ A :

Fig. 5.2

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Si possono quindi determinare sperimentalmente le grandezze :

σ ε11 11= =N

A

l

l;;;;

e quindi ottenere il valore di E mediante :

E = =σ

εϕ11

11

tg

E’ immediato trovare anche una relazione tra E, µ, ν . Si consideri infatti,

partendo dalla (5.16), il rapporto :

E

µ

µ λ

µ λ

µ λ

µ λ

λ

µ λ

λ

µ λ=

+

+=

+

++

+= +

+

2 3 2 22

da cui, ricordando l’espressione (5.17) di ν, si giunge immediatamente a:

E

21

µν= + (5.19)

Delle cinque costanti elastiche che si sono definite ( k, λ, µ = G, E, ν ) E e ν sono

quelle di più facile determinazione sperimentale per cui verranno più spesso utilizzate

nel seguito.

Nella tabella seguente vengono indicati i valori di E e ν per alcuni materiali.

E ν

Calcestruzzi 25 - 40 kN/mm^2 0,1 - 0,15 kN/mm^2

Acciaio 206 kN/mm^2 0,3 kN/mm^2

Alluminio 70 kN/mm^2 0,36 kN/mm^2

Rame 120 kN/mm^2 0,35 kN/mm^2

In ultimo, ricordando che per un solido elastico lineare isotropo sono solamente

due le costanti indipendenti necessarie a descrivere il legame costitutivo, si raccolgono

nella seguente tabella le relazioni tra le varie costanti elastiche fino ad ora introdotte.

COSTANTI λ , µ k , µ µ , ν E , ν E , µ

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λ k −

2

2

1 2

µν

ν−

( )( )ν

ν ν

E

1 1 2+ − ( )µ µ

µ

E

E

2

3

µ

( )E

2 1+ ν

k 3 2

3

λ µ+

( )( )

2 1

3 1 2

µ ν

ν

+

− ( )

E

3 1 2− ν

( )E

E

µ

µ3 3 −

E ( )µ λ µ

λ µ

3 2+

+

9

3

k

k

µ

µ+

( )2 1+ ν µ

ν

( )λ

λ µ2 +

( )3 2

2 3

k

k

+

µ

µ

E − 2

2

µ

µ

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. SOLIDO ELASTICO SECONDO GREEN 1

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5.3 SOLIDO ELASTICO SECONDO GREEN

Il problema della determinazione del numero dei parametri necessari a descrivere

il comportamento di un materiale, in particolare di un solido elastico lineare, generò

una disputa durata diversi decenni.

Navier e Cauchy basarono i loro studi sulla teoria molecolare che, come osservò

Poisson, portava alla determinazione di un valore costante del coefficiente di

contrazione trasversale (ν = 0.25), indipendentemente dal materiale. Si doveva

ammettere quindi, seguendo quella teoria, che il comportamento del materiale potesse

essere descritto da una sola costante.

Esperienze successive sviluppate da ricercatori inglesi e tedeschi portarono alla

determinazione di valori di ν diversi da 0.25 per materiali metallici quali acciaio e

ottone, suggerendo di abbandonare definitivamente la teoria molecolare.

Un contributo fondamentale al problema venne nel 1839 da G. Green (1793-1841)

che, modificando tutta l’impostazione del problema, dimostrò come, per descrivere il

comportamento di un solido elastico, lineare, omogeneo e isotropo, siano necessarie

due costanti.

L’ipotesi di elasticità, già introdotta in precedenza, comporta l’esistenza di uno

stato naturale prefissato a partire dal quale il solido si può deformare sotto l’azione di

forze e al quale ritorna quando ne viene liberato, indipendentemente dalle modalità

seguite nell’applicare e nel togliere le forze stesse. Il comportamento a cui si fa

riferimento è quello tipico di sistemi a trasformazioni completamente reversibili per i

quali l’energia spesa nella deformazione viene integralmente restituita in accordo con

il principio di conservazione dell’energia.

Partendo da questa ipotesi, i concetti generali sull’energia potenziale, già

introdotti in quel periodo da Laplace, portarono Green ad ammettere l’esistenza di

una funzione di stato dipendente solo dagli estremi della trasformazione e non dal

percorso seguito. Le proprietà meccaniche di un materiale elastico possono quindi

essere descritte da uno scalare Φ, chiamato energia potenziale elastica per unità di

volume, ovvero densità di energia di deformazione, funzione solo dalle grandezze che

definiscono lo stato naturale e da quelle che determinano la deformazione.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. ENERGIA POTENZIALE ELASTICA 1

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5.3.1 Energia potenziale elastica

Sia sε una curva nello spazio delle ε i j che descriva la “storia” della deformazione

in un intorno di un punto del continuo e che si possa esprimere analiticamente

mediante un parametro α:

( )ε ε α α α αi j i j= ≤ ≤;;;; 0 1 (*)

con ( ) ( )ε α ε αij ijA B0 1= =e . Si può dire che la curva (*) rappresenta un processo di

deformazione che ha inizio in A e termina in B (Fig. 5.3).

Fig. 5.3 Processo di deformazione Sε .

Si ipotizzi che la linea di deformazione Sε sia continua e regolare a tratti e che ad

essa corrisponda, nello spazio delle tensioni, il processo tensionale

( ) ( )σ α ε α α α αi j ijkl k lC= ≤ ≤; 0 1

Ne consegue che il lavoro (interno) di deformazione compiuto, per unità di

volume, lungo Sε vale:

( )ϕ σε

ααε

α

α

sd

ddi j

i j= ∫

0

1

(5.20)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. ENERGIA POTENZIALE ELASTICA 2

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In generale, senza ipotesi sulla natura del solido, il valore di ( )ϕ εs dipende dal

percorso seguito fra gli estremi A e B. L’ipotesi di elasticità, come già accennato,

portò Green ad ammettere l’esistenza di una funzione potenziale per l’energia di

deformazione elastica, o anche densità di energia, ( )Φ ε i j , per modo che l’incremento

di lavoro è dato proprio dal differenziale totale della ( )Φ ε i j

( )d di j i j i jΦ ε σ ε = (5.21)

dalla quale, per l’indipendenza delle d i jε , si ricava la

σ∂

∂ εi j

i j

(5.22)

dove, nella derivazione, ( )Φ ε i j deve essere considerata funzione delle nove

componenti della deformazione senza tener conto della simmetria di ε i j . La (5.22) è

la relazione cercata che lega tensioni e deformazioni e cioè l’equazione costitutiva del

materiale.

Si mostra facilmente che, utilizzando la funzione densità di energia sopra definita,

il lavoro di deformazione è indipendente dal percorso seguito nella deformazione ed è

solo funzione degli estremi della trasformazione. Esprimendo la tensione nei termini

della (5.22) si ha infatti

( ) ( )[ ] ( )[ ] ( )[ ]ϕ∂

∂ ε

ε

αα ε α ε α ε αε

α

α

α

α

sd

dd d

i j

i j

i j i j i j= = = −∫ ∫Φ

Φ Φ Φ0

1

0

1

1 0 (5.23)

Se si considera il seguente sviluppo

( )d d di j i j i j i j i j i jσ ε σ ε ε σ = + (5.24)

si può affermare che il termine ε σ i j i jd , essendo la differenza di due differenziali,

rappresenta il differenziale totale di una funzione ( )$Φ σ i j detta energia potenziale

elastica complementare o densità di energia complementare, introdotta per la prima

volta da Castigliano nel 1875. Dalla

( )d di j i j i j$Φ σ ε σ= (5.25)

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. ENERGIA POTENZIALE ELASTICA 3

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con l’ipotesi di indipendenza delle nove componenti d i jσ , si ottiene

ε∂

∂σ

i j

i j

=$Φ

(5.26)

che rappresenta l’inversione delle (5.22).

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.ESISTENZA DI UNA DENSITÀ DI ENERGIA POTENZIALE ELASTICA 1

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5.3.2 Esistenza di una densità di energia potenziale elastica

Si è già avuto modo di vedere che lo stato elastico lineare è descritto dalla

relazione (5.7) :

σ εi j i jkl klC=

in cui Ci jkl è il tensore d’elasticità.

Si dimostra ora che le seguenti tre proposizioni sono equivalenti:

a) il lavoro che si compie in un processo di deformazione descritto da una curva chiusa sε è nullo.

b) il tensore di elasticità C è simmetrico (5.5).

c) la densità di energia è espressa dalla

Φ ( )ε ε εi j i jkl i j k lC=1

2 (5.27)

se si assume come stato naturale quello a deformazione nulla e che, in questo stato,

ci sia assenza di tensioni, ossia le autotensioni siano nulle.

• a) ⇒ b)

Il lavoro nullo lungo una curva chiusa sε implica che il tensore di elasticità C è

simmetrico cioè ( )ϕ εs C Co

i jkl kl i j= ⇒ =0 :

Si considerino due tensori simmetrici qualunque A e B e la curva chiusa :

( )ε α α α πi j i j i jA sin B= − + ≤ ≤cos 1 0 2

si ha allora che :

(5.5) Il tensore C è simmetrico se :

A C [B] = B C [A] ossia se A C B B C Aij ijkl kl kl klij ij=

qualunque siano i tensori doppi simmetrici A e B. In componenti quindi C è simmetrico se C Cijkl klij=

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.ESISTENZA DI UNA DENSITÀ DI ENERGIA POTENZIALE ELASTICA 2

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σ α αi j i j k l k l i j k l k lC A sin C B= − +(cos )1

Considerato anche che :

d

dsin A B

i j

i j i j

ε

αα α= − + cos

segue che la funzione integranda (5.20) ha l’espressione:

σε

αα α α αi j

i j

i j i j k l kl i j i j k l k l

d

dsin sin A C A sin A C B= − − +( cos )

2

+ − +(cos cos ) cos2 α α α αB C A sin B C Bi j i j k l k l i j i j k l k l

e, integrando ed introducendo l’ipotesi a) ( )ϕ εso = 0 , si ha :

( )ϕ σε

αα π πε

π

sd

dd B C A A C B

o

i j

i j

i j i j k l k l i j i j k l k l= = − =∫02

0

da cui discende :

A C B B C Ai j i j k l k l i j i j k l k l=

che per l’arbitrarietà di Aij e Bij dimostra la simmetria di C.

• b) ⇒ c)

Se il tensore di elasticità C è simmetrico allora la densità di energia è espressa dalla (5.27):

Dalle equazioni costitutive per lo stato elastico lineare si ha :

σ ε σ εi j i jkl kl kl kl i j i jC C= =

da cui per l’ipotesi di simmetria di C, si ottiene :

∂ σ

∂ ε

∂ σ

∂ ε

i j

kl

kl

i j

=

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e, in virtù delle (5.22) :

∂ ε ∂ ε

∂ ε ∂ ε

2 2Φ Φ

i j k l

i jkl kl i j

k l i j

C C= = =

Questa relazione, per il teorema di Schwartz, garantisce la continuità delle derivate parziali miste di ( )Φ ε i j ; ci sono quindi le condizioni per lo sviluppo in serie

di Mac-Laurin della funzione ( )Φ ε i j che, arrestato ai termini del 2° ordine, fornisce :

Φ ΦΦ Φ

( ) ( )ε∂

∂ εε

∂ ε ∂ εε εi j

i j

i j

i j k l

i j k l= + +01

20

2

0

doveΦ ( )0 è l’energia potenziale elastica per ε i j = 0 mentre il termine :

∂ εε σ

Φ

i j

i j i j

o

0

=

rappresenta lo stato di tensione in assenza di deformazione e prende il nome di autotensione. Nell’ipotesi di assenza di autotensioni, σ i j

o = 0 , la densità di energia è

quindi espressa dalla (5.27) :

Φ ( )ε ε εi j i jkl i j k lC=1

2

a meno di una costante additiva, inessenziale Φ ( )0 , che può supporsi nulla. Si noti che

a noi interessano le derivate di Φ ( )ε i j .

• c) ⇒ a)

Se la densità di energia esiste ed in particolare è espressa dalla (5.27) allora il lavoro

lungo una curva chiusa sε è nullo.

La dimostrazione di questa asserzione è banale se si utilizza l’espressione (5.23) per il calcolo del lavoro.

Un solido elastico lineare per cui valga l’ipotesi di Green si dice solido

iperelastico o di Green altrimenti viene detto solido di Cauchy. Nel solido iperelastico la simmetria del tensore di elasticità C porta alla riduzione del numero delle costanti

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necessarie a descrivere la legge costitutiva del materiale: le costanti elastiche effettivamente indipendenti (distinte) passano da 36 a 21 (5.6) .

Se C è invertibile e si pone K C= −1 si può scrivere :

ε σi j i jkl klK=

dove K è ancora un tensore simmetrico e quindi si può definire la densità di energia complementare :

$ ( )Φ σ σ σi j i jkl i j k lK=1

2 (5.28)

Attraverso delle semplici sostituzioni si può dimostrare che :

( )$ ( )Φ Φσ ε σ εi j i j i j i j= =1

2 (5.29)

infatti è :

$ ( ) ( )Φ Φσ σ σ σ ε ε ε εi j i jkl i j k l i j i j i jkl k l i j i jK C= = = =1

2

1

2

1

2

Se, ad esempio, si riconsidera la prova di trazione del § 5.2.3 la densità di energia è :

( )Φ ε σ εi j =1

2 11 11

che è rappresentata dall’area tratteggiata in figura 5.3 :

Fig. 5.3

(5.6) In una matrice simmetrica di ordine n le componenti distinte sono: n (n+1)/2.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. IPERELASTICITÀ ED ISOTROPIA 1

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5.3.3 Iperelasticità ed isotropia

Si è visto che il legame costitutivo di un solido elastico lineare isotropo è espresso

dalla (5.14) che, scritta in componenti, da luogo a :

σ ε µ ε λ δεi j ijkl kl i j i jC I= = +2 (5.30)

dove I trε = εεεε rappresenta l’invariante primo del tensore della deformazione.

Si può ora dimostrare che il tensore d’elasticità espresso dalla (5.30) è simmetrico,

ossia che il solido elastico lineare isotropo è iperelastico. Infatti con riferimento ad una generica coppia di tensori doppi simmetrici A e B si ha :

[ ]C B = +2 µ λ δB Ii j B i j

e quindi :

[ ]A C B = + =2 µ λ δA B I Ai j i j B i j i j

[ ]= + = + =2 2µ λ µ λ δA B I I B A I Bi j i j A B i j i j A ij ij B C A (5.31)

che dimostra la simmetria di C data l’arbitrarietà dei tensori doppi simmetrici A e B (v. nota (5.5) al &5.3.2).

È facile ora calcolare la densità di energia potenziale elastica mediante la (5.27) :

Φ ( )

( )

ε ε ε σ ε

µ ε λ δ ε µ ε ε λε ε

i j ijkl ij kl ij ij

i j i j i j i j i j

C

I I

= = =

= + = +

1

2

1

212

2 12

2

(5.32)

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5.3.4 Iperelasticità e disuguaglianze a priori sulle costanti elastiche

La forma quadratica per l’energia potenziale elastica espressa dalla (5.28) deve

essere definita positiva in quanto rappresenta l’energia necessaria per deformare il solido.

Sfruttando questa proprietà è possibile dedurre alcune limitazioni sulle costanti elastiche. Infatti la densità di energia di deformazione Φ scritta nel caso isotropo (5.32) e facendo uso della scomposizione :

ε ε δεi j i j i jI= +o 13

dà luogo alla seguente espressione :

[ ][ ]Φ = + = + + + =µ ε ε λ µ ε δ ε δ λε ε ε εi j i j i j i j i j i jI I I I12

13

13

12

2 2o o

= + + + + = ++

>µ ε εµ

λ µ ε εµ λ

ε ε εi j i j i j i jI I Io o o o0 0

93 1

22 3

602 2 2

che deve risultare positiva per qualunqueε i j ≠ 0 . Pertanto, se assumiamoε εi j i j=0 la

precedente disequazione diventa :

Φ = > ⇒ >µ ε ε µi j i j 0 0 (a)

mentre, se si considera una dilatazione uniforme, si ha

Φ =+

> ⇒ + >2 3

60 2 3 02µ λ

µ λεI (b)

Riconsiderando poi lo stato di tensione monoassiale (prova di trazione) del § 5.2.3, la densità di energia vale :

( )Φ ε σ ε εi j E= =1

2

1

211 11 112

da cui si ritrova la condizione

E > 0 (c)

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Ricordando ora le espressioni di E e ν in funzione di µ e λ

( )

( )E =

+

+=

+

µ µ λ

µ λν

λ

µ λ

2 3

2

e osservando che

1 2 1− = −+

=+ −

+=

λ

µ λ

µ λ λ

µ λ

µ

µ λ

e che perciò

12 3

2+ =

+

µ λ

µ λ( )

si può scrivere

E E

21

2 31 2

µν

µ λν= +

+= −

( )( )

per cui, in virtù delle (a), (b) e (c), risulta

( ) ( )1 0 1 2 0+ > − >ν ν

ossia

− < <11

2ν (5.33)

che rappresentano i limiti teorici per il coefficiente di Poisson ν. Se si ricorda però il tensore della deformazione :

ε

ε

νε

νεi j = −

11

11

11

0 0

0 0

0 0

corrispondente allo stato di tensione monoassiale (prova di trazione) del § 5.2.3,

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σ

σ

i j =

11 0 0

0 0 0

0 0 0

si osserva che almeno nei materiali da costruzione risulta :

ε νε

ε νε

11 11

11 11

0 0

0 0

> ⇒ − <

< ⇒ − >

da cui si deduce, per il coefficiente di Poisson ν , il limite inferiore, fisicamente accettabile, ν > 0.

I limiti pratici di ν risultano perciò :

0 0 5< <ν , (5.34)

Si osserva infine che il valore limite n = 0,5 non può essere raggiunto. In tal caso infatti non sarebbe possibile invertire la (5.15) nella forma (5.19).

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5.4 IL PROBLEMA DELL’EQUILIBRIO ELASTICO LINEARE

Con riferimento al solido elastico-lineare che inizialmente occupa il volume V

(v.fig. 5.4) siano dati :

− il tensore elasticità [ ]C εεεε

− le forze di volume ( )b b x=

− le forze di superficie $f su ∂ ′V

− gli spostamenti di superficie $u su ∂ ′′V

Fig. 5.4

∂ ∂′ ′′V e V sono parti complementari della superficie ∂V che racchiude il volume V.

La soluzione del problema dell’equilibrio elastico consiste nel determinare, in

corrispondenza dei dati assegnati, per ogni punto x di V, lo spostamento u, la

deformazione εεεε , la tensione σσσσ tali che risultino soddisfatte le seguenti equazioni :

• Equazioni di congruenza

( )εi j i j j i

u u V= +12 , ,

in (5.35)

• Equazioni costitutive

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σ µ ε λ δεi j i j i jI= +2 (5.36)

• Equazioni indefinite di equilibrio (Cauchy)

σ i j i jb V, + = 0 in (5.37)

• Condizioni al contorno :

σ ∂i j i jn f V= ′$ su (5.38)

u u Vi i

= ′′$ su ∂ (5.39)

Si tratta quindi di risolvere un problema al contorno di tipo lineare misto, dacché

le equazioni sono lineari e le condizioni al contorno riguardano sia le forze sia gli

spostamenti. Risultano poi interessanti i due casi particolari, ∂ ∂V V= ′ e ∂ ∂V V= ′′ ,

in cui rispettivamente il problema è ricondotto alle sole forze (non sono assegnati gli

spostamenti) ed ai soli spostamenti (non sono assegnate le forze); nei prossimi due

paragrafi esprimeremo le equazioni date rispettivamente in termini di sole componenti

di spostamento e di sole tensioni.

Si noti che le forze di volume ( )b b x= e le forze di superficie ( )$ $f f x= sono

assegnate sulla configurazione iniziale V del solido, mentre l’equilibrio sotto queste

forze è raggiunto nella configurazione deformata. Poiché però gli spostamenti sono,

per ipotesi, piccoli, l’errore che si introduce con questa approssimazione è da ritenersi

trascurabile.

Del resto, a proposito delle equazioni costitutive :

σ εi j i j k l k lC=

si deve a rigore sottolineare una certa inconsistenza. Infatti nella definizione del

tensore di deformazione ε i j è stato assunto che le componenti di spostamento ui sono

funzioni delle coordinate ( )x x x1 2 3, , del solido nella configurazione iniziale

indeformata.

Viceversa nella definizione del tensore degli sforzi σ i j si è fatto riferimento alla

configurazione equilibrata e quindi alle coordinate ( )′ ′ ′x x x1 2 3, , del solido nella

configurazione deformata.

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Naturalmente se gli spostamenti ui e le derivate ui j, sono piccoli allora i valori

( )σ i j x x x′ ′ ′1 2 3, , e ( )σ i j x x x1 2 3, , differiscono di una quantità trascurabile.

Per avere un’idea della approssimazione operata si può osservare che, posto :

′ = +x x uh h h

si ha :

∂σ

∂σ

∂σ

∂δ

∂σ

∂δ

∂σ

∂σ

∂σ

i j

k

i j

h

h

k

i j

h

hkh

k

i j

h

hk

i j

h

h

k

i j

k

i j

h

h

kx x

x

x x

u

x x x

u

x x x

u

x=

′⋅

′=

′+

=

′+

′ ′=

′+

′ ′

e perciò, l’approssimazione :

∂σ

∂σ

i j

k

i j

hx x=

significa ritenere trascurabili le derivate dello spostamento rispetto all’unità.

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5.4.1 Il problema elastostatico in termini di spostamenti

Per giungere alle equazioni del problema elastico in termini di spostamenti ui , si

sostituisce alla tensione, nell’equazione indefinita di equilibrio (5.37), la sua

espressione proveniente dall’equazione costitutiva (5.36), si ottiene così :

2 0µ ε λ δεi j i i i j jI b, ,+ + =

sfruttando anche l’equazione di congruenza e notando che :

I u u uk k k k k k k kε ε= = + =12( ), , ,

si ottiene :

µ µ λ δu u u bi j i j i i k k i i j j, , ,+ + + = 0

Osservando che

u u ui j i i i j k k j, , ,= =

e che inoltre

u uj i i j, = ∇ 2

essendo ∇ 2 l’operatore di Laplace, si ottiene la formulazione del problema

elastostatico in termini di soli spostamenti :

µ λ µ∇ + + + =2 0u u bj i i j j( ) , (5.40)

Le tre equazioni così ottenute sono note come equazioni di Navier (Louis Marie

Henri ) (1827).

Alle equazioni di Navier occorre associare le corrispondenti condizioni al

contorno costituite solo dalle (5.38), nel caso di ∂ ∂V V= ′′ , oppure da queste insieme

alle

( )µ λ ∂u u n u n f su Vi j j i i k k j j, , ,$+ + = ′ (5.41)

nel caso più generale del problema misto.

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Integrando il sistema di equazioni differenziali si arriva alla soluzione in termini di

spostamenti ( )u u xi i j

= dai quali è facile ottenere sia il tensore della deformazione

che quello della tensione.

Derivando le equazioni di Navier (5.40) rispetto alla variabile xj si otteniene:

µ λ µu u bj i i j i i j j j j, , ,( )+ + + = 0

e quindi

( ) ( ), , , ,λ µ λ µ ε+ + = ⇒ + + =2 0 2 0u b I bi i j j j j j j j j

in quanto u u Ij i i j i i j j j j, , ,= = ε .

Proseguendo, si può scrivere

( ) ,λ µ ε+ ∇ + =2 02I b j j (5.42)

che, ove risulti b j j, = 0 ed ammettendo ( )λ µ+ ≠2 0 , diventa

∇ =2 0I ε (5.43a)

e, se si ricorda che I Iσ εµ λ= +( )2 3 , anche

∇ =2 0Iσ (5.43b)

Resta così provato che I Iε σe quando b tj = cos , sono funzioni armoniche.

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5.4.2 Il problema elastostatico in termini di tensioni

Si parte dalle equazioni esplicite di congruenza

ε ε ε εi j hk hk i j i h j k j k i h, , , ,+ = + (a)

per arrivare, in modo concettualmente analogo a quanto visto nel paragrafo precedente,

alle equazioni del problema elastostatico in termini di sole componenti di tensione.

Sostituendo infatti nelle (a) alle deformazioni la loro espressione data

dall’equazione di legame nella forma (5.18)

( )[ ]ε ν σ ν δν

σν

νδσ σi j i j i j i j i j

EI

EI= + − =

+

+

1

11

1

si ottengono le seguenti equazioni :

σν

νδ σ

ν

νδσ σi j h k h k ij h k i j i j h kI I, , , ,−

++ −

+=

1 1

= −+

+ −+

σν

νδ σ

ν

νδσ σi h j k j k i h j k i h i h j kI I, , , ,

1 1

Come già osservato di tali 81 equazioni solamente 6 sono indipendenti.

Un modo per ottenerle consiste nel contrarre la prima coppia di indici (ponendo i

= j ) pervenendo così, dopo aver riorganizzato i termini, a :

( )σ σ σ σν

νδ δ δ δσ σ σ σi i h k h k i i i h i k i k i h h k i i i i h k i k i h i h i kI I I I, , , , , , , ,+ − − =

++ − −

1

o anche

( )I I Ih k h k i h i k i k i h h k h kσ σ σσ σ σν

νδ, , , ,+ ∇ − − =

++ ∇2 2

1 (5.44)

avendo utilizzato le seguenti uguaglianze

σ δ δ δσ σ σ σ σ σi i h k h k h k i i h k i k i h i h i k h kI I I I I I, , , , , , ,; ;= = = =3

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Fin qui si è tenuto conto delle equazioni di congruenza e di quelle costitutive; ora

è facile controllare che le (5.44) possono essere ulteriormente semplificate utilizzando

le equazioni di equilibrio scritte per le coppie di indici i,h ed i,k come qui di seguito

riportate :

σ σi h i h i k i kb b, ,+ = + =0 0

Queste derivate rispettivamente rispetto a k ed h, si traducono nelle :

σ σi h i k h k i k i h k hb b, , , ,= − = −

che, sostituite nelle (5.44) e poi riordinando, portano alle :

( )I b b I Ihk h k h k k h h k h kσ σ σσν

νδ, , , ,+ ∇ + + =

++ ∇2 2

1

∇ ++

= − + −+

2 21

1 1σ

ν

ν

νσ σh k h k h k k h h kI b b I, , , , (5.45)

Ricordando poi :

I I I Iσ ε ε σµ λ µ λ= + ⇒ ∇ = ∇ +( ) / ( )2 3 2 32 2

e che, per la (5.42), si può scrivere :

( ) ,λ µλ µ

µ λε σ+ ∇ =

+

+∇ = −2

2

2 3

2 2I I b j j

da cui :

∇ = −+

+

2 2 3

2I b j jσ

µ λ

λ µ,

e quindi, ricordando le relazioni tra costanti elastiche, con facili passaggi si trova :

ν

ν

λ

µ λ

µ λ

λ µ

λ

λ µ

ν

νσ

1 2 3

2 3

2 2 1

2

+∇ = −

+

+

+= −

+= −

−I b b bj j j j j j, , ,

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Sostituendo quest’ultimo risultato nella (5.45) si ottengono le equazioni di

Beltrami, Donati, Michell (5.6) :

∇ ++

= − + +−

2 1

1 1σ

ν

ν

νδσh k h k h k k h j j h k

I b b b, , , ,

(5.46)

che, nel caso particolare di forze di volume costanti diventano:

∇ ++

=2 1

10σ

νσh k h k

I,

(5.47)

Le equazioni (5.47) sono quelle che verranno maggiormente utilizzate in quanto le

forze di volume, quando non sono costanti o assumibili tali, in molti casi possono

essere considerate come forze di superficie. La liceità di questa assunzione, che il

rigore analitico vorrebbe negata, è però dimostrata dalle applicazioni tecniche.

Le (5.46) scritte per esteso divengono :

( )

( )

( )

∇ ++

= − +−

+ +

∇ ++

= − +−

+ +

∇ ++

= − +−

+ +

∇ ++

= −

2

11 11 1 1 1 1 2 2 3 3

2

22 22 2 2 1 1 2 2 3 3

2

33 33 3 3 1 1 2 2 3 3

2

12 12 1

1

12

1

1

12

1

1

12

1

1

1

σν

ν

ν

σν

ν

ν

σν

ν

ν

σν

σ

σ

σ

σ

I b b b b

I b b b b

I b b b b

I b

, , , , ,

, , , , ,

, , , , ,

, ,( )

( )

( )

2 2 1

2

23 23 2 3 3 2

2

13 13 1 3 3 1

1

1

1

1

+

∇ ++

= − +

∇ ++

= − +

b

I b b

I b b

,

, , ,

, , ,

σν

σν

σ

σ

Per determinare lo stato di tensione in un corpo elastico occorre pertanto risolvere

il sistema di equazioni (5.46) soggette alle condizioni al contorno (5.38).

(5.6) Queste equazioni furono ottenute da Eugenio Beltrami (1892) nel caso b j = 0 ; da Donati (1894) e J. H.

Michell (1900) nella loro forma generale. Esse sono note come equazioni di Beltrami-Michell, sebbene Donati le

abbia scoperte sei anni prima di Michell.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. I TEOREMI CLASSICI DELLA ELASTICITÀ LINEARE 1

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5.5 I TEOREMI CLASSICI DELLA ELASTICITÀ LINEARE

In virtù della linearità delle equazioni indefinite di equilibrio (5.37), di quelle ai limiti (5.38), delle equazioni di congruenza (5.35), di quelle di vincolo (5.39) e delle equazioni costitutive in una qualsiasi delle forme viste in precedenza, è possibile formulare alcuni teoremi classici di notevole interesse applicativo.

In particolare ci soffermiamo su:

1) Principio di sovrapposizione degli effetti

2) Teorema di Clapeyron (o del lavoro di deformazione)

3) Teorema di unicità (o teorema di Kirchhoff)

4) Teorema di Betti (o principio di reciprocità)

5) Teorema di Maxwell L’ipotesi di linearità, fondamentale nella formulazione di questi teoremi, si basa

sull’assunzione di domini indipendenti dalle soluzioni (&5.4), ossia si accetta l’ipotesi semplificativa che sia possibile scrivere le relazioni di equilibrio facendo riferimento alla configurazione iniziale, anziché, come dovrebbe essere, a quella finale in cui la deformazione altererebbe lo stato di tensione. Qualora ciò non fosse possibile si incorrerebbe inevitabilmente in equazioni non lineari.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE DEGLI EFFETTI 1

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5.5.1 Principio di sovrapposizione degli effetti

Si dice che un campo di spostamenti, deformazioni e tensioni [ ]ui ij ij, ,ε σ definiti

in V (v.fig.5.4) costituiscono uno stato elastico se, oltre ad essere sufficientemente

regolari (ammissibili), soddisfano le equazioni :

( )ε

σ ε

σ

i j i j j i

i j i j k l k l

i j i j

u u

C in V

b

= +

=

+ =

1

2

0

, ,

,

inoltre :

f su Vj i j i= σ α ∂

Come si vede allo stato elastico [ ]ui ij ij, ,ε σ così definito restano associate le forze

di volume b j e le forze f j agenti su tutta la superficie che racchiude V. Si può quindi

dire che [ ]b fj j, sono le forze esterne associate allo stato elastico [ ]ui ij ij, ,ε σ definito

in V.

Il principio di sovrapposizione degli effetti, ovverosia il principio di

sovrapposizione degli stati elastici, può essere dimostrato (5.7) considerando due

distinti stati elastici e le corrispondenti forze esterne :

u b f

u b f

, , ,

, , ,

εεεε σσσσ

εεεε σσσσ1 1 1 1 1

se α βe sono due scalari, allora :

α β α β α βu u+ + +1 1 1,,,, εεεε εεεε ,,,, σσσσ σσσσ

è uno stato elastico a cui corrispondono le forze esterne

α β α βb b f f+ +1 1,,,,

(5.7) Notare che quando, come in questo caso, qualche asserzione viene dimostrata cessa di essere un principio ed

assume più propriamente la dizione di “teorema”.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE DEGLI EFFETTI 2

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come si verifica facilmente attraverso la sostituzione delle grandezze nelle equazioni di

equilibrio, congruenza e legame.

E’ importante notare che il principio di sovrapposizione degli effetti non è applicabile

a qualsiasi grandezza; occorre fare attenzione, ad esempio, nel ricorrervi quando si

opera con l’energia di deformazione. Infatti, ricordando l’espressione (5.27) per la

densità di energia elastica, si può definire l’energia elastica posseduta dal corpo che

occupa il volume V mediante:

U dV C dVi j i j

V

i j h k i j h k

V

ε ε ε ε= =∫ ∫Φ [ ] 12

(5.48)

Se ε i j è ottenuta come somma di due deformazioni ε ε εi j i j i j= + ~ : l’energia

elastica di deformazione risulta

U C dVi j i j i j h k i j i j h k h k

V

ε ε ε ε ε ε+ = + + =∫~ ( ~ )( ~ )1

2

= + +∫ ∫12

12

C dV C dVi j h k i j h k

V

i j h k i j h k

V

ε ε ε ε~ ~

+ +∫ ∫12

12

C dV C dVi j h k i j h k

V

i j h k i j h k

V

~ ~ε ε ε ε

che, sfruttando la simmetria del tensore C , diventa :

[ ] [ ]U U U C dVi j i j i j i j i j h k i j h k

V

ε ε ε ε ε ε+ = + + ∫~ ~ ~ (5.49)

La (5.49) prova che per l’energia elastica U i jε non vale la sovrapposizione degli

effetti:

[ ] [ ] U U Ui j i j i j i jε ε ε ε+ ≠ +~ ~

Se si raddoppia la deformazione non è detto quindi che raddoppi anche l’energia

di deformazione: occorre tenere conto di un “termine di accoppiamento tra i due stati

di deformazione” che è proprio l’integrale che compare nella (5.49).

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE DEGLI EFFETTI 3

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Esiste solo un caso in cui vale il principio di sovrapposizione degli effetti per

l’energia elastica e cioè quello in cui gli stati di deformazione sono tra loro

energeticamente ortogonali come accade, ad esempio, quando i due tensori della

deformazione sono uno deviatorico e l’altro sferico. I tal caso infatti il termine di

accoppiamento è nullo.

In conclusione si può enunciare il principio di sovrapposizione degli effetti come

segue:

applicando contemporaneamente ad uno stesso sistema elastico lineare vari sistemi di

forze, si producono spostamenti , deformazioni e tensioni uguali alla somma di quelle

prodotte separatamente da ciascun sistema di forze o anche, in altre parole, ad una

combinazione lineare di stati elastici si associa una combinazione lineare delle

corrispondenti forze.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. TEOREMA DI CLAPEYRON 1

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5.5.2 Teorema di Clapeyron (o del lavoro di deformazione)

Si è visto che il lavoro interno per unità di volume ( )ϕ εs , che è stato chiamato lavoro

specifico, in un processo di deformazione ( )ε ε αi j i j= con α α α0 1≤ ≤ , è dato dalla

(5.21) :

( )ϕ σε

ααε

α

α

sd

ddi j

i j= ∫

0

1

Partendo da questa espressione è facile esprimere il lavoro di deformazione Ld

che si compie quando il solido di volume V viene sottoposto ad un processo di deformazione conseguente all’applicazione di forze esterne [ ]b fj j, mediante :

( )L s dVd

V

= ∫ϕ ε

Ammettendo l’esistenza di una densità di energia di deformazione ( )Φ ε i j , si può

scrivere (5.24) :

( ) ( )[ ]L dVd i j i j

V

= −∫ Φ Φε ε1 0

essendo ( ) ( )ε ε α ε ε αi j i j i j i j

11

00= =, .

Supponendo ora che il processo di deformazione abbia inizio in ε i j

0 0= (stato

indeformato) e si concluda quando ε εi j i j

1 = (deformazione finale) e che sia

( )Φ 0 0= , la precedente espressione del lavoro di deformazione Ld diviene :

( ) L dV C dV dV Ud i j

V

i j k l i j k l

V

i j i j

V

i j= = = =∫ ∫ ∫Φ ε ε ε σ ε ε1

2

1

2 a)

In queste uguaglianze si è fatto uso delle (5.48) e (5.30). Ld rappresenta quindi il lavoro necessario per deformare un solido elastico dallo

stato naturale ( )ε σi j i j

0 0 0= = ad un certo stato finale individuato dal tensore di

deformazione ε i j . Questo lavoro è ovviamente compiuto dalle forze esterne [ ]b fj j,

applicate al solido.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. TEOREMA DI CLAPEYRON 2

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Avendo implicitamente supposto che il processo di deformazione a cui è sottoposto il solido è puramente meccanico, ossia che tutto il lavoro delle forze esterne L f si trasformi in energia di deformazione, si può scrivere il bilancio energetico :

L Lf d= b)

Questo bilancio presuppone che le forze esterne siano applicate “staticamente” ossia in maniera tale che si possano escludere effetti dinamici che, a causa degli inevitabili smorzamenti provocherebbero una dissipazione di energia.

Consideriamo ora un corpo elastico che occupi il volume V , in equilibrio sotto le b fj j, . Siano ui ij ij, ,ε σ gli spostamenti, le deformazioni e le tensioni corrispondenti

alla soluzione dell’equilibrio elastico. Proprio con riferimento al sistema di forze e tensioni certamente equilibrato :

b fj j i j, , σ

ed al sistema di spostamenti e deformazioni certamente congruente :

ui ij, ε

si scrive l’equazione dei lavori virtuali :

b u dV f u dA dVj j

V

j j

V

i j i j

V

∫ ∫ ∫+ =∂

σ ε

Il secondo membro esprime, per la a), il doppio del lavoro di deformazione Ld

, e

per la b) possiamo scrivere :

L L dV b u dV f u dAf d i j i j

V

j j

V

j j

V

= = = +

∫ ∫ ∫1

2

1

2σ ε

essendo L f il lavoro delle forze esterne.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. TEOREMA DI CLAPEYRON 3

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Risulta così immediata l’enunciazione del teorema di Clapeyron (Paolo Emilio) (1852):

L b u dV f u dAf j j

V

j j

V

= +

∫ ∫1

2∂

(5.50)

“il lavoro compiuto dal sistema di forze applicate ad un corpo elastico lineare è uguale alla metà del lavoro che le forze stesse compirebbero se agissero fin dall’inizio con la loro intensità finale”.

È ovvio che il risultato acquisito è riferito ai solidi elastici dotati di energia di deformazione (solidi iperelastici).

Un semplice esempio di applicazione del teorema di Clapeyron è rappresentato nella figura seguente

Il diagramma P-u rappresenta la relazione di proporzionalità carico-freccia. Da questo grafico discende immediatamente che il lavoro compiuto da P per deformare la trave è rappresentato dall’area tratteggiata. Si noti che il carico raggiunge il suo valore finale P solo quando la freccia ha raggiunto il suo valore finale u.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. TEOREMA DI KIRCHHOFF 1

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5.5.3 Teorema di Kirchhoff (o teorema di unicità) (1859)

La dimostrazione di questo teorema viene condotta per assurdo. Supponiamo

infatti che alle medesime forze esterne b fj j, $ assegnate rispettivamente in V e su

∂ ′′V ed ai medesimi vincoli cinematici $u j assegnati su ∂ ′V corrispondano due distinte

soluzioni.

[ , , ] [ , , ]u u1 1 1 2 2 2εεεε σσσσ εεεε σσσσ

allora le funzioni :

u u u= −

= −

= −

1 2

1 2

1 2

εεεε εεεε εεεε

σσσσ σσσσ σσσσ

a)

la differenza tra le due soluzioni , per il principio di sovrapposizione degli effetti, deve

essere la soluzione corrispondente a dati omogenei, ossia :

$

$

u 0

f 0

b 0

= ′

= ′′

=

su V

su V

in V

∂ b)

Il teorema di Clapeyron (5.50), applicato alla soluzione differenza a) e b) fornisce :

[ ]L L U C dVf d i j i j h k i j h k

V

= ⇒ = = =∫0 012

ε ε ε

e cioè si annulla il lavoro di deformazione: l’unico caso che permette tale circostanza,

essendo la densità di energia per ipotesi, una funzione quadratica definita positiva, è la

condizione εi j

= 0 , vale a dire

εεεε εεεε εεεε εεεε εεεε= − = ⇒ =1 2 1 20

da cui discende immediatamente:

σ σ1 2=

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Per quanto attiene agli spostamenti, è noto che essi sono determinati a meno di

eventuali moti rigidi del solido ; ovverosia alla deformazione εεεε εεεε1 2= corisponderà il

campo di spostamenti :

u u1 2

0= + u

essendo u0 un campo di spostamenti rigidi ( )εεεε 0 0= . Se il solido è sufficientemente

vincolato su ∂ ′V in maniera tale da impedire moti rigidi, avremo u0 0= e quindi :

u u1 2=

Resta così provata l’unicità del problema misto elastostatico.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. TEOREMA DI BETTI 1

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5.5.4 Teorema di Betti (o teorema di reciprocità)

Sia [ , , ]′ ′ ′u j i j i jε σ la soluzione del problema elastostatico, in un solido

iperelastico di volume V, corrispondente al sistema di forze equilibrate [ , ]′ ′f bj j e

[ , , ]′′ ′′ ′′u j i j i jε σ quella relativa a [ , ]′′ ′′f bj j anch’esse equilibrate. Il principio dei

lavori virtuali scritto associando al primo sistema di forze e tensioni il sistema di

spostamenti e deformazioni del secondo è

′ ′′ + ′ ′′ = ′ ′′∫ ∫ ∫b u dV f u dA dVj j

V

j j

V

i j i j

V∂

σ ε a)

mentre se si associa al secondo sistema di forze e tensioni il sistema di spostamenti e

deformazioni del primo si ha

′′ ′ + ′′ ′ = ′′ ′∫ ∫ ∫b u dV f u dA dVj j

V

j j

V

i j i j

V∂

σ ε b)

entrambi validi in quanto i due sistemi di forze e i due di spostamento rispettano

equilibrio e congruenza per essere soluzioni del problema elastostatico.

La simmetria del tensore C assicura che

[ ] [ ]′ ′′ = ′ ′′ = ′ ′′ = ′′ ′σ ε ε ε ε ε σ εi j i j i j i jC C

e quindi sono uguali i secondi membri da a) e b) e per conseguenza dovranno esserlo

anche i primi :

′ ′′ + ′ ′′ = ′′ ′ + ′′ ′∫ ∫ ∫ ∫b u dV f u dA b u dV f u dAj j

V

j j

V

j j

V

j j

V∂ ∂

(5.51)

Questa equazione esprime il teorema di Betti (1872), noto anche come I° Teorema

di Reciprocità per cui il lavoro che un sistema di forze equilibrate (a) compie per

effetto degli spostamenti causati da un secondo sistema di forze equilibrate (b),

coincide con il lavoro del sistema di forze (b) per effetto degli spostamenti dovuti al

sistema di forze (a), cioè

L La b b a=

I due termini della (5.51) prendono anche il nome di lavoro mutuo (o indiretto).

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Se supponiamo di applicare il sistema di forze (b) quando il solido ha già

raggiunto l’equilibrio sotto il sistema di forze (a), è evidente che il lavoro delle forze

(a) è proprio espresso dal primo membro della (5.51) in quanto queste hanno già

raggiunto la loro intensità finale quando si producono gli spostamenti corrispondenti al

secondo sistema di forze. Si può quindi enunciare il teorema di Betti nel seguente

modo : “il lavoro eseguito dalle forze (a) durante l’applicazione delle forze (b) è

uguale al lavoro che le forze (b) compiono durante l’applicazione delle forze (a)”.

Vale la pena di annotare che le deformazioni prodotte dalle forze esterne si

sovrappongono a quelle eventuali proprie dello stato naturale (coazioni) senza ricevere

alcuna influenza e pertanto il teorema di Betti mantiene la sua validità anche in

presenza di coazioni.

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5.5.5 Teorema di Maxwell

Nel caso particolare in cui i due sistemi di forze (a) e (b) considerati nel paragrafo

precedente sono ridotti a due sole forze concentrate F a e Fb applicate rispettivamente

nei punti A e B, il teorema di Betti si riduce a :

F u F ua Ab b B a=

in cui con u Ab e u B a si sono indicati rispettivamente lo spostamento di A prodotto da

Fb lungo la direzione di F a e lo spostamento di B prodotto da F a lungo la direzione

di Fb (v. Fig. 5.5).

Fig.5.5

Assumendo F Fa b= = 1 ed indicando con αααα e ββββ le direzioni di F a e Fb si ha

allora

u uAb B a= (5.52)

che rappresenta il teorema di Maxwell (1864): "lo spostamento di un punto A, valutato

in una direzione arbitraria αααα , provocato da una forza unitaria agente in un punto B

secondo una qualsiasi direzione ββββ , è uguale allo spostamento di B, valutato nella

direzione ββββ , provocato da una forza unitaria agente in A secondo la direzione αααα ".

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Applicando il teorema di Maxwell ad una trave in cui A e B siano due punti

qualsiasi del suo asse (v. fig. 5.6) ed αααα e ββββ coincidono con j versore dell’asse y, si ha :

u u u uAb B a C a A c= =;

Nella fig. 5.6 sono indicati gli assi della trave nella configurazione iniziale

rettilinea e nella configurazione deformata, nota come linea elastica.

Fig. 5.6

E’ quindi immediata conseguenza che gli spostamenti prodotti da una forza

unitaria viaggiante ( )F Fb c= =1 1, ,..... sulla trave in una determinata sezione A, si

possono leggere direttamente sulla linea elastica prodotta dalla Fa = 1, ossia da una

forza unitaria applicata proprio nella sezione A.

Per tale motivo la linea elastica in a) coincide con la linea di influenza(5.8) dello

spostamento uA .

E’ facile dimostrare che il teorema di Maxwell continua a valere se si considerano

coppie e rotazioni in luogo di forze e spostamenti.

(5.8) Se la trave è percorsa da un carico concentrato unitario verticale, si chiama linea di influenza di un

determinato effetto (ad es. lo spostamento verticale) un diagramma tale che la sua ordinata letta sotto le varie

posizioni del carico misuri il valore dell’effetto provocato dal carico unitario viaggiante.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. PRINCIPI VARIAZIONALI 1

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5.6 PRINCIPI VARIAZIONALI

5.6.1 Principio di stazionarietà per l’energia potenziale

In questo e nel successivo punto si vuole caratterizzare, con due classici principi di

minimo, la soluzione dei problemi di equilibrio elastico lineare impostati nel punto 5.4.

in forma differenziale. Si tratta del principio della minima energia potenziale e della

minima energia complementare. Attraverso di essi si apre la strada per la ricerca di

soluzioni numeriche dei problemi al contorno misti dell’elastostatica.

Incominciamo col dimostrare due principi di stazionarietà.

Sia dato un solido elastico lineare con tensore elasticità C simmetrico ed

assegnate

− le forze di volume ( )b b x= nel volume V,

− le forze di superficie $f su ∂ ′V

− gli spostamenti di superficie $u su ∂ ′′V

x1

x3

b

V

∂V’’

∂V’

x2O

f

x

Come già assunto in 5.4., ∂ ∂′ ′′V e V siano parti complementari della superficie ∂V

che racchiude il volume V.

Siano [ ui ,ε ij ] un campo di spostamenti e deformazioni congruenti definiti in V.

Risultano pertanto soddisfatte le equazioni di congruenza (5.35) e le condizioni al

contorno (5.39) :

( )εi j i j j i

u u V= +12 , ,

in (5.35)

u u Vi i

= ′′$ su ∂ (5.39)

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Inoltre al campo di deformazione resta associato, attraverso il tensore di elasticità C il

campo di tensione dato dalla relazione :

σ εij ijhk hkC= (5.6)

Il campo s = [ ui ,ε ij , σij ] che soddisfa oltre alla congruenza anche l’equazione

costitutiva (5.6) viene chiamato stato elastico cinematicamente ammissibile.

Con queste premesse e supponendo inoltre che le forze esterne siano

conservative, possiamo definire il seguente funzionale :

[ ] J u U b u dV f u dAj i j i j j j

V

j j

V

, ε ε∂

= − −∫ ∫)

1 24444 344442

Ψ

(5.53)

dove U ijε e Ψ sono rispettivamente l’energia di deformazione, il potenziale dei

carichi(5.9).

Il funzionale [ ]J ui ij,ε prende il nome di “energia potenziale” e, come si evince

dalla definizione (5.53), è espresso come somma dell’energia di deformazione e del

potenziale delle forze esterne, supposte conservative.

La variazione prima di [ ]J ui ij,ε può essere espressa mediante :

[ ] [ ] [ ]δ ε δ ε δε εJ u J u u J uj i j j i i j i j j i j, , ,= + + − (5.54)

dove δui e δε ij sono variazioni del campo congruente [ ui ,ε ij ] sul quale è definito il

funzionale J e perciò geometricamente ammissibili nel senso che sono soddisfatte le

relazioni :

( )δε δ δi j i j j iu u V= +12 , , in (a)

δ δ ∂u u Vi i= = ′′$ 0 su (b)

(5.9) Anziché al funzionale J ci si può riferire alla “energia potenziale totale” :

[ ] EC u U b u dV f u dA f u dAj i j i j j j

V

j j

V

j j

V

, ε ε∂ ∂

= − − −∫ ∫ ∫)

1 24444 34444

)

1 24 342 1

Infatti per la (b) è immediato verificare che δ δE JC = .

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Sviluppando l’espressione di δ J si ottiene :

[ ] ( ) ( )δ ε ε δε δ δ∂

J u U b u u dV f u u dAj i j i j i j j j j

V

j j j

V

, = + − + − + −∫ ∫)

2

− + +∫ ∫U b u dV f u dAi j j j

V

j j

V

ε∂

)

2

(5.55)

In virtù della (5.49), per un solido elastico lineare di Green, si può scrivere :

U U U C dVij ij ij ij ijhk hk ij

V

ε δε ε δε ε δε+ = + + ∫

e, assumendo di poter trascurare il termine U ijδ ε , in quanto infinitesimo del secondo

ordine e, posto

σ εi j i j hk hkjC=

si perviene a

U U dVi j i j i j i j i j

V

ε δ ε ε σ δε+ = + ∫

Sostituendo l’espressione così ottenuta nella (5.55), sviluppando e semplificando le

operazioni ivi contenute si giunge a :

[ ]δ ε σ δε δ δ∂

J u dV b u dV f u dAj i j i j i j

V

j j

V

j j

V

, = − −∫ ∫ ∫)

2

(5.56)

Appare così evidente che la condizione di stazionarietà per l’energia potenziale

[ ]J ui ij,ε

[ ]δ εJ u j i j, = 0 (5.57)

coincide con il principio dei lavori virtuali :

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σ δε δ δ∂

i j i j

V

j j

V

j j

V

dV b u dV f u dA∫ ∫ ∫= +)

2

scritto per il campo di spostamenti e deformazioni δui , δε ij , che, per le ipotesi fatte è

certamente congruente.

Segue pertanto che dovrà risultare verificato l’equilibrio, ossia :

σ i j i jb V, + = 0 in

σ ∂i j i jn f V= ′$ su

Si può quindi affermare che nella classe delle funzioni congruenti (5.35) e (5.36) il

funzionale energia potenziale [ ]J ui ij,ε risulta stazionario in corrispondenza di una

soluzione equilibrata (primo principio di stazionarietà)(5.10).

(5.10) Questo risultato notevole si dimostra anche per un solido elastico non lineare

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.PRINCIPIO DI STAZIONARIETÀ PER L’ENERGIA COMPLEMENTARE 1

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5.6.2 Principio di stazionarietà per l’energia complementare

Il ragionamento seguito fino a questo punto a partire dalla definizione del funzionale J per un campo di spostamenti e deformazioni congruente, può, parallelamente, condursi per un funzionale K definito su campi di forze e tensioni equilibrati.

Sia dato un solido elastico lineare con tensore elasticità C simmetrico ed assegnate

− le forze di volume ( )b b x= nel volume V,

− le forze di superficie $f su ∂ ′V

− gli spostamenti di superficie $u su ∂ ′′V

Siano [σ ij , bi ,

)f j ] un campo forze e tensioni equilibrato per modo che risultano

soddisfatte le equazioni di equilibrio (5.37) e le condizioni al contorno (5.38) :

σ i j i jb V, + = 0 in (a)

σ ∂i j i jn f V= ′$ su (b)

Possiamo definire il funzionale “energia complementare” :

[ ] K f U f u dAi j j k i j j j

V

σ σ∂

, = − ∫)

1

(5.58)

dove le fi date da

σ i j i jn f= su∂ ′′V (c)

sono le reazioni vincolari (5.11) .

La variazione prima di [ ]K fij iσ , può essere espressa mediante :

[ ] [ ] [ ]δ σ σ δσ δ σK f K f f K fij i ij ij i i ij i, , ,= + + −

(5.11) Anziché al funzionale K (5.58) ci si può riferire alla “energia complementare totale” :

[ ] E f U f u dA bu dV f u dAK i j j k i j j j

V

i i i iσ σ∂

, = − − −∫ ∫∫) )

1

Infatti per le (c) e (d) è immediato verificare che δ δE KK =

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto.PRINCIPIO DI STAZIONARIETÀ PER L’ENERGIA COMPLEMENTARE 2

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dove [δσ δij if, ] sono variazioni del campo equilibrato [σ ij , bi ,)f j ] sul quale è definito

il funzionale K e perciò staticamente ammissibili, ovvero equilibrate nel senso che sono soddisfatte le relazioni :

δ (σ ij ),i = 0 in V (δ bi = 0 ) (d)

δ fi = δ)f j = 0 su ∂ ′′V (e)

È facile provare che, sviluppando l’espressione di δ K si perviene a :

[ ] [ ]δ σ δ σ δ δ σ δ∂ ∂

K f U f u dA dV f u dAi j j k i j j j

V

i j

V

j j

V

, = − = − =∫ ∫ ∫) ) )

1 1

Φ

= − = −∫ ∫ ∫ ∫∂

∂ σδ ε δσ δ

∂ ∂

)

) )Φ

i jV

j j

V

i j i j

V

j j

V

dV f u dA dV f u dA

1 1

Appare così evidente che la condizione di stazionarietà per l’energia

complementare [ ]K fij iσ ,

[ ]δ σK fi j j, = 0 (f)

coincide con il principio dei lavori virtuali :

ε δσ δ∂

i j i j

V

j j

V

dV f u dA∫ ∫− =)

1

0

scritto per il campo di forze e tensioni [δσ δij if, ] che, per le ipotesi fatte, è

certamente equilibrato. Segue pertanto che dovrà risultare verificata la congruenza, ossia :

( )εi j i j j i

u u V= +12 , , in

u u V

i i= ′′$ su ∂

Si può quindi affermare che “nella classe delle forze e tensioni equilibrate il

funzionale K risulta stazionario in corrispondenza di una soluzione congruente”.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. PRINCIPI DI MINIMO 1

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5.7 PRINCIPI DI MINIMO

5.7.1 Principio della minima energia potenziale

Si è visto che in corrispondenza di uno stato elastico [ ]u j i j ij, ,ε σ è possibile definire

il funzionale energia potenziale:

[ ] J u U b u dV f u dAj i j i j i i

V

i i

V

, ε ε

= − −∫ ∫)

2

(5.53)

purché lo stato [ ]aaaa = u j i j ij, ,ε σ sia cinematicamente ammissibile.

Si suppone poi che il tensore di elasticità Ci j hk , oltre ad essere simmetrico, sia

anche definito positivo.

Detto AAAA l'insieme di tutti gli stati cinematicamente ammissibili si può dimostrare il

seguente teorema:

Principio della minima energia potenziale: Se aaaa AAAA∈ è soluzione del problema

misto enunciato in (5.4), allora

[ ]J aaaa = min

ovverosia

[ ] [ ]J Jaaaa aaaa aaaaoooo oooo

AAAA≤ ∀ ∈

dove l'uguaglianza vale solo se aaaa aaaaoooo= a meno di moti rigidi.

Dimostrazione: Per lo stato cinematicamente ammissibile a 'a 'a 'a ' aaaa aaaaoooo= − è immediato

verificare che:

( )ε ε εij ij

o

ij i j j iu u V'

,

'

,

'= − = +1

2in (a)

σ σ σ εij ij

o

ij ijhk hkC V' '= − = in (b)

u u u u Vi i i

'$ $= − = 0 2s ∂ (c)

Inoltre, in virtù della (5.49) si può scrivere:

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U U U U C dVij

o

ij ij ij ij ij ijhk hk

V

ε ε ε ε ε ε ε= + = + + ∫' ' '

e quindi

U U U dVij

o

ij ij ij ij

V

ε ε ε σ ε− = + ∫' '

e, di conseguenza, per il funzionale energia potenziale (5.53) si può parimenti scrivere:

[ ] [ ] J Jaaaa aaaaoooo − = + − −∫ ∫ ∫U dV b u dV f u dAij ij ij

V

i i

V

i i

V

ε σ ε

' ' ' ')

2

(d)

Per le (a) e (c) i campi [ ]ui ij

' ', ε sono congruenti mentre, se σ ij è soluzione del

problema misto formerà insieme con bi ed $f i un sistema di forze e tensioni

equilibrate; risulta in tal caso verificata l'equazione dei lavori virtuali per i campi

[ ]ui ij

' ', ε e [ ]σ ij i ib f, , $ :

σ ε

ij ij

V

i i

V

i i

V

dV b u dV f u dA' ' '

∫ ∫ ∫= +)

2

(e)

la (d) di conseguenza si riduce a:

[ ] [ ] J Jaaaa aaaaoooo − = = ≥∫U C dVij ijhk ij hk

V

ε ε ε' '1

20 (f)

dove la disuguaglianza segue immediatamente dall'ipotesi che il tensore di elasticità

Ci j hk sia definito positivo.

Dalla (f) segue immediatamente che

[ ] [ ]J Jaaaa aaaaoooo≤ ossia [ ]J aaaa = min

dove l'uguaglianza vale solo quando εij

' = 0 .

Possiamo dire che, di tutti gli spostamenti ui che soddisfano le assegnate

condizioni al contorno, quelli che soddisfano anche le equazioni di equilibrio

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implicano un minimo assoluto per l'energia potenziale; in altre parole possiamo anche

dire che la differenza

[ ] J u U b u dV f u dAj i j i j i i

V

i i

V

, ε ε

= − −∫ ∫)

2

tra l'energia di deformazione ed il lavoro fatto dalle forze esterne (di volume e di

superficie) assegnate assume, in corrispondenza della soluzione, il valore più piccolo

di quello associato ad un qualunque stato cinematicamente ammissibile.

Come corollario del principio di minimo ora dimostrato scende il teorema di

unicità già dimostrato al punto 5.5.3 (Teorema di Kirchhoff). Infatti, se aaaa aaaa1111 2222

e sono

due soluzioni, il principio ci assicura che:

[ ] [ ]J Jaaaa aaaa1111 2222

≤ e [ ] [ ]J Jaaaa aaaa2222 1111

di conseguenza dovrà risultare:

[ ] [ ]J Jaaaa aaaa1111 2222

=

potendo così concludere che aaaa aaaa1111 2222

e differiscono al più per un moto rigido.

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5.7.2 Principio della minima energia complementare

Si dimostra ora un teorema di minimo basato sui campi di tensione staticamente ammissibili, ossia i campi σ i j che soddisfano l’equilibrio e le equazioni ai limiti :

σ i j i jb V, + = 0 in

σ ∂i j i jn f V= ′$ su

Sia A l’insieme di tutti i campi di tensione staticamente ammissibili e definiamo su A il

funzionale “energia complementare”

[ ] K U n u dAi j k i j i j i jV

σ σ σ∂

= − ∫)

1

(5.58)

già introdotto nel 5.6.2. Si può dimostrare il seguente teorema .

Principio della minima energia complementare - Se σ i j ∈ A è un campo di tensione

soluzione del problema misto enunciato in 5.4., allora

[ ] [ ] [ ]K os s i a K K pe r Ai j i j i j i jσ σ σ= ≤ ° ∀σ° ∈mi n

dove l’uguaglianza vale solo se σ σi j i j= ° .

Dimostrazione. Sia [ u i i j i j, ,ε σ ] la soluzione del problema misto e sia ~σ i j un qualsiasi campo di

tensione appartenente ad A . È immediato verificare che, per il campo

′ = ° −σ σ σi j i j i j

risulta :

′ =σ ij i, 0 in V (a)

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′ =σ ij in 0 su ∂ ′V

(b)

′ = ′σ ij in f su ∂ ′′V (c)

È facile provare che anche per l’energia elastica complementare, la cui densità è stata definita con la (5.28),

U K dVK i jV

i j hl i j hlσ σ σ= ∫1

2 (5.59)

sussiste la relazione analoga alla (5.49)

U U U dVK i j K i j K i j i j i jV

σ σ σ σ ε° − = ′ + ′∫ (5.60)

e, di conseguenza

K K U dV n u dAi j i j K i j i j i jV

i j i jV

σ σ σ σ ε σ∂

° − = ′ + ′ − ′∫ ∫′

$ (d)

Poiché il campo [ ′ ′σ i j jf, ], in virtù delle (a) e (c) è equilibrato, mentre il campo di

spostamenti e deformazioni u i ed ε i j in quanto supposti effettivi sono certamente

congruenti, risulta verificata l’equazione dei lavori virtuali

′ = ′′

∫∫ σ ε σ∂

i j i j i j i jVV

dV n u dA$ (e)

per cui la (d) si riduce a :

K K U K dVi j i j K i j i j hk i j hkV

σ σ σ σ σ° − = ′ = ′ ′ ≥∫1

20 (5.61)

dove la disuguaglianza segue dall’ipotesi che l’inverso del tensore di elasticità K i j hk

sia definito positivo. Dalla (5.61) segue immediatamente che

K K Kij ij ijσ σ σ° ≥ =ossia min ,

dove l’uguaglianza vale solo quando ′ =σ i j 0 ossia quando σ σ° =i j i j . (c.v.d.)

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Possiamo quindi dire che di tutti i campi σ i j staticamente ammissibili, quello

che risolve il problema elastostatico misto rende minima la differenza tra l’energia elastica complementare ed il lavoro compiuto dalle reazioni vincolari per gli spostamenti assegnati.

Nel caso in cui gli spostamenti $u i imposti su ∂ ′V sono nulli (vincoli perfetti),

l’espressione del funzionale “energia complementare” (5.58) si riduce a

[ ] K Ui j k i jσ σ=

e di conseguenza il principio della minima energia complementare equivale ad un priuncipio di minimo per l’energia elastica complementare (5.59), ovvero, ricordando

la (5.29), dell’energia potenziale elastica UC i jε . Sotto questa forma esso prende il

nome di Teorema di Menabrea e si può enunciare nel seguente modo : tra tutti i campi

σ i j staticamente ammissibili, quello che risolve il problema misto, in presenza di

vincoli perfetti ( $u i = 0 su ∂ ′V ), rende minima l’energia elastica complementare.

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5.7.3 Teorema di Castigliano

Se applichiamo i risultati ottenuti nei due paragrafi precedenti al caso in cui le

forze esterne si riducano a sole forze concentrate Pk (caso tipico delle travi), il

funzionale [ ]J u i i j,ε (5.53) diviene :

[ ] J u U P ui i j i j

k

n

k k, ε ε= −

=

∑1

(5.62)

Se inoltre è possibile esprimere la (5.62) in termini di soli spostamenti, ossia se è

possibile porre

[ ] J u U u P uk k

k

n

k k= −

=

∑1

(5.63)

il primo principio di stazionarietà (5.57) diviene :

k

n

k

k

k

n

k k

U

uu P u

= =

∑ ∑− =

1 1

0∂

∂δ δ (5.64)

che si può anche scrivere

∂δ

U

uP u

k

k

K

n

k−

=

=

∑1

0

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. TEOREMA DI CASTIGLIANO 2

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Per l’arbitrarietà di δ uk(purché congruenti) devono risultare nulli tutti i

coefficienti, e pertanto deve essere

U

uP i n

i

i= = 1 2, , ..., (5.65)

che rappresenta il primo teorema di Castigliano.

Sempre con riferimento al caso in cui le forze esterne si riducano a sole forze

concentrate Pk il funzionale energia complementare [ ]K i jσ (5.58) diviene :

[ ] K U P ui j k i j

k

n

k kσ σ= −

=

∑1

(5.66)

da cui, se è possibile esprimere Uk i j

σ in funzione dei soli carichi applicati, si

perviene a

[ ] K P U P P ui k i

k

n

k k= −

=

∑1

(5.67)

e, da questa, per il secondo principio di stazionarietà [v. 5.6.2. (f)], si perviene a :

i

n

k

i

i

k

n

k kk

h

h h

h

nU

PP u P

U

Pu P

= = =

∑ ∑ ∑− = ⇒ −

=

1 1 1

0 0∂

∂δ δ

∂δ (5.68)

In questo caso l ‘arbitrarietà di δ Ph , purché equilibrato, porta alla condizione

U

Pu i nk

i

i= = 1 2, , ..., (5.69)

che esprime il secondo teorema di Castigliano (o teorema di Castigliano) (5.11) .

L ‘utilità di questi due teoremi può essere evidenziata facendo ricorso a un

esempio molto semplice ma che può essere facilmente esteso a casi più complessi.

(5.11) I due teoremi sono ancora validi se, in luogo di spostamenti e forze, si considerano rotazioni e momenti.

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. TEOREMA DI CASTIGLIANO 3

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Si consideri una molla di costante elastica k per cui sia valida l’equazione

costitutiva

P = k u

dove u è lo spostamento provocato dall’applicazione del carico concentrato P.

Per il teorema di Clapeyron, l’energia di deformazione in termini di spostamenti u

vale :

U u Pu k u= =1

2

1

2

2

ed in termini di forze P vale :

U P PuP

kk= =

1

2

1

2

2

Dal primo teorema di Castigliano si trova immediatamente che

U

uku P= =

Dal secondo teorema di Castigliano si trova immediatamente che

U

P

P

kuk = =

Infine può essere interessante notare l’analogia tra il primo ed il secondo teorema

di Castigliano e le espressioni (5.22) e (5.26), rispettivamente, delle tensioni e delle

deformazioni in termini di energia di deformazione e di energia complementare di

deformazione:

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Cap. Errore. L'argomento parametro è sconosciuto. TEOREMA DI CASTIGLIANO 4

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σ∂

∂ εε

∂ σi j

i j

i j

i j

= =Φ Φ

)

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Cap. VI INTRODUZIONE 1

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6.1 INTRODUZIONE

In questo capitolo si affronta un problema particolare di equilibrio elastico di notevole interesse applicativo. Utilizzeremo perciò gli argomenti sviluppati fino ad ora e riferiti ad un continuo tridimensionale di forma qualsiasi per studiare il comportamento di un solido elastico, omogeneo, isotropo di forma cilindrica, ossia un solido che possiamo chiamare, almeno per la sua forma, trave.

Lo speciale problema al contorno a cui in tal modo si perviene è stato impostato e risolto da Adhémar Jean-Claude Barré, conte di Saint-Venant, nella famosa memoria “De la torsion des prismes” presentata all’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1853.

Il metodo proposto dal Saint-Venant, ingegnere civile e professore di meccanica all’Ècole des ponts et Chauussées, per risolvere il problema unisce al rigore matematico l’intuizione dell’ingegnere.

Egli infatti dette l’avvio ad uno dei capitoli più suggestivi della Scienza delle Costruzioni, proponendo una soluzione che si rivelava sbalorditiva per la portata pratica e stimolante per la congettura (postulato) avanzata a giustificazione del procedimento proposto.

Tale congettura, di cui parleremo al punto 6.5, ha rappresentato una vera sfida per tutti coloro che ne hanno tentato una rigorosa dimostrazione.

Il modello, che nel prossimo paragrafo preciseremo in ogni aspetto, può apparire piuttosto lontano dalla realtà, esso invece, proprio grazie all’accennata congettura di Saint-Venant, è in grado di descrivere il comportamento di molte travi reali.

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Cap. VI IPOTESI GENERALI 1

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6.2 IPOTESI GENERALI

Il modello di Saint-Venant si basa sulle seguenti ipotesi:

1) IPOTESI DI TIPO GEOMETRICO: si considera una trave prismatica (asse rettilineo

e sezione retta costante). Nella sezione la dimensione minima e massima non

sono troppo differenti l’una dall’altra; la lunghezza del prisma è molto più

grande delle dimensioni della sezione retta. Assumeremo un riferimento

cartesiano ortogonale ( , , )x x x1 2 3 con x3 coincidente con l’asse della trave e

origine nel baricentro G della sezione x3 0= . Su questi assi assumeremo i

versori i, j, k.

2) IPOTESI SUL MATERIALE: si considera il materiale elastico, lineare, omogeneo,

isotropo.

3) IPOTESI SUI CARICHI: si considerano le forze di massa nulle e le forze di

superficie agenti solo sulle basi x3 0= e x l3 = . La superficie laterale del

prisma risulta scarica mentre le forze di superficie costituiscono da sole un

sistema equilibrato.

4) IPOTESI SUI VINCOLI: si considera il solido non vincolato coerentemente con

l’ipotesi di sistema di forze equilibrato (v. Fig. 6.1). Tuttavia, per fissare la

posizione del solido nello spazio, impedendo qualunque moto rigido,

supporremo che:

( )u u u

u u uG

per il punto 1 2 3

3 1 3 2 2 1

0

00 0 0

= = =

= = =

=, , ,

, , , (6.1)

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Cap. VI IPOTESI GENERALI 2

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Fig. 6.1

5) IPOTESI SULLE TENSIONI: si considera che sugli elementi piani paralleli a x3 la

tensione normale è nulla per cui (v. Fig. 6.2) si ha:

Fig. 6.2

( )[ ]σ σ α α σ α σ α σ α α α α nn i j i j n= = + + = =11 1

2

22 2

2

12 1 2 1 22 0 0, , (6.2)

e quindi, per l’arbitrarietà con cui possono essere scelte le componenti di n, purché

α α

1

2

2

2 1+ = (ad esempio unitaria la prima e nulla la seconda, poi unitaria la

seconda e nulla la prima), segue cheσ σ σ 11 22 12 0= = = , ossia il tensore degli

sforzi è del tipo

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Cap. VI IPOTESI GENERALI 3

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σ

σ

σ

σ σ σ

i j =

0 0

0 0

13

23

31 32 33

(6.3)

che descrive uno stato di tensione bi-assiale. Il piano del vettore tensione è quello

contenente i vettori σσσσ 3 33= σ k e ττττ 3 = +σ σ31 32i j esso è perciò parallelo

all’asse del cilindro; si può facilmente provare che su questi piani la tensione

tangenziale è diretta secondo x3 . Come si vede il modello di Saint-Venant, nel caso

più generale, comporta quindi la riduzione da 6 a 3 del numero delle incognite

σ i j .

Occorre naturalmente rendersi conto che questa “ipotesi sulle tensioni” è una

previsione sulla soluzione. In realtà Saint-Venant nel proporre la sua soluzione intuì

che il cilindro V, sotto l’azione delle forze superficiali applicate sulle basi si deforma

in modo tale che gli elementi piani di normale n k⊥ interagiscono in modo tale da

trasmettere solo azioni tangenziali. La soluzione che troveremo effettivamente

conferma questa, che, per comodità continuiamo a chiamare ipotesi.

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Cap. VI RIDUZIONE DELLE EQUAZIONI AL PROBLEMA DI DE S. VENANT 1

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6.3 RIDUZIONE DELLE EQUAZIONI AL PROBLEMA DI S. VENANT

Equazioni di Cauchy

Essendo nulle, per ipotesi, le forze di volume, si ha:

( )σ i j i i j in V, , , ,= =0 1 2 3 (6.4)

e, per esteso, ricordando le ipotesi sullo stato di tensione :

σ

σ

σ σ σ

31 3

32 3

13 1 23 2 33 3

0

0

0

,

,

, , ,

=

=

+ + =

dalle prime due equazioni si deduce che la distribuzione delle tensioni tangenziali è

indipendente dalla particolare sezione scelta, in quanto non dipende da x3 , ossia

( )

( )

σ σ

σ σ

31 31 1 2

32 32 1 2

=

=

x x

x x

,

,

(6.5)

e naturalmente la medesima osservazione vale per il valore tensione tangenziale:

ττττ 3 31 32= +σ σi j

Ciò vuol dire che la distribuzione delle tensioni tangenziali è identica in tutte le sezioni

e quindi, derivando la terza equazione di Cauchy rispetto a x3 si ottiene :

σ 33 33 0, =

In particolare se ττττ 3 è nulla in una sezione, ad es. sulla base x3=l, risulterà nulla in

tutta la trave. In tal caso, dalla terza equazione di Cauchy si ottiene :

ττττ 3 33 3 33 33 1 20 0= ⇒ = ⇒ =σ σ σ, ( , )x x (6.5’)

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Cap. VI RIDUZIONE DELLE EQUAZIONI AL PROBLEMA DI DE S. VENANT 2

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

Concludendo, dalle equazioni indefinite di equilibrio discende che :

a) σ 31 e σ 32 hanno distribuzione invariabile da sezione a sezione.

b) se ττττ 3 0= sulla base x l3 = sarà nulla dappertutto, ossia sarà ττττ 3 0≠ solo quando si

hanno tensioni tangenziali non nulle sulle basi.

c) ττττ 3 330= ⇒ σ invariabile da sezione a sezione.

d) σ 33 è al più funzione lineare di x3 .

Condizioni al contorno

Sulla superficie laterale del cilindro devono risultare verificate le equazioni ai limiti :

σ α i j i jf= $ (6.6)

Sulle basi del prisma le equazioni ai limiti scritte per esteso forniscono :

-) ( )x3 0 0 1= =l n , ,

σ

σ

σ

31 1

32 2

33 3

=

=

=

$

$

$

f

f

f

--) ( )x3 0 0 0 1= = −n , ,

σ

σ

σ

31 1

32 2

33 3

= −

= −

= −

$

$

$

f

f

f

mentre, sulla superficie laterale che, per ipotesi, è scarica si riducono a :

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Cap. VI RIDUZIONE DELLE EQUAZIONI AL PROBLEMA DI DE S. VENANT 3

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σ α i j i = 0

Per esteso, si ha :

( )n = α α 1 2 0, ,

σ α σ α σ α

σ α σ α σ α

σ α σ α σ α

11 1 21 2 31 3

12 1 22 2 32 3

13 1 23 2 33 3

0

0

0

+ + =

+ + =

+ + =

Le prime due equazioni sono identicamente soddisfatte, mentre la terza,

σ α σ α31 1 32 2 0 + = (6.6.a)

ricordando le posizioni :

ττττ 3 31 32= +σ σi j ; n i j= +α α1 2

si può scrivere nella forma di prodotto scalare fra i vettori ττττ 3 e n :

ττττ 3 0⋅ =n

che è verificato quando :

ττττ

ττττ

3

3

0=

n

sono le due possibilità. (6.6.b)

Equazioni costitutive

Le equazioni costitutive del solido elastico, lineare, isotropo scritte con riferimento alle

due costanti elastiche E, modulo di elasticità normale, e ν , coefficiente di contrazione

trasversale,

( )[ ]ε ν σ ν δσ i j i j i jE

I= + −1

1

nel caso in esame, forniscono ( )Iσ σ= 33

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Cap. VI RIDUZIONE DELLE EQUAZIONI AL PROBLEMA DI DE S. VENANT 4

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( )[ ]

(*)

ε ν σ

ε ν σ

ε ν σ ν σσ

ε

εν

σσ

µ

εν

σσ

µ

11 33

22 33

33 33 33

33

12

13 13

13 13

23 23

23 23

1

1

11

0

1

2 2

1

2 2

= −

= −

= + − =

=

=+

= =

=+

= =

E

E

E E

E G

E G

ττττ

ττττ

(6.7)

Dalle prime tre è facile notare che ε ε ν ε νσ

11 22 3333= = − = −

E.

Con riferimento al modulo di elasticità tangenziale µ = G , gli scorrimenti γ 13 e

γ 23 hanno le seguenti espressioni :

γ εσ

µ

γ εσ

µ

13 13

13 13

23 23

23 23

2

2

= = =

= = =

ττττ

ττττG

G

Equazioni di Beltrami

Le equazioni di Beltrami :

( )∇ ++

= =2 1

10 1 2 3σ

νσh k h kI h k , , , ,

ricordando il significato dell’operatore di Laplace ∇ 2 ed essendo Iσ σ= 33 ,

divengono :

( )( )1 011 22 33 33+ + + + =ν σ σ σ σ h k h k h k h k, , , , (6.8)

ricordando le ipotesi sullo stato di tensione, da cui, si possono estrarre le seguenti 6

equazioni :

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Cap. VI RIDUZIONE DELLE EQUAZIONI AL PROBLEMA DI DE S. VENANT 5

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( ) ( )

( )( )

( )( )

11

33 11

22

33 22

12

33 12

33

33 33 33 33 33 33 33 33

13

13 11 13 22 33 13

23

23 11 23 22 33 23

0

0

0

1 2 0 0

1 0

1 0

σ

σ

σ

ν σ σ ν σ σ

ν σ σ σ

ν σ σ σ

,

,

,

, , , ,

, , ,

, , ,

=

=

=

+ + = + = ⇒ =

+ + + =

+ + + =

dove si è posto σ σ 13 33 23 33 0, ,= = come diretta conseguenza delle (6.5).

Dalle prime 4 equazioni discende che l’espressione più generale diσ 33 è la

seguente :

( )σ 33 1 2 3 1 1 1 1 2= + + − + +a b x c x x a b x c x (6.9)

Nel caso particolare in cui ( )ττττ ττττ3 3 1 2= =x x, 0 abbiamo visto che (6.5’)

( )σ σ 33 33 1 2= x x, . In tal caso la (6.6) si riduce a :

σ 33 1 2= + +a b x c x (6.10)

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Cap. VI I QUATTRO CASI FONDAMENTALI DI SOLLECITAZIONE 1

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6.4 I QUATTRO CASI FONDAMENTALI DI SOLLECITAZIONE

6.4.1 Risultante e momento risultante delle forze superficiali $f j applicate alle basi

Con riferimento alla base x l3 = del cilindro, possiamo esprimere la risultante $R

ed il momento risultante $M , rispetto al baricentro G della stessa base. Le componenti

di $R ed $M nel riferimento ( )x x x1 2 3, , , ( ) ( )$ $ , $ , $ $ $ , $ , $R M≡ ≡T T N e M M M1 2 1 2 3 ,

valgono :

$ $ $ $ $ $N f dA T f dA T f dAA A A

= = =∫ ∫ ∫3 1 1 2 2

(6.10.a)

( )$ $ $ $ $ $ $M f x dA M f x dA M f x f x dA

A A A

1 3 2 2 3 1 3 2 1 1 2= = − = −∫ ∫ ∫

dove ci si è riferiti alla figura 6.3 ed alla convenzione sui segni in essa indicata.(6.1)

Fig. 6.3

(6.1) Nella letteratura tecnica si trova spesso la seguente notazione : $ ( $ $ $ ), $ ( $ $ )R M= =V , V , N M , M , T1 2 1 2

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Cap. VI I QUATTRO CASI FONDAMENTALI DI SOLLECITAZIONE 2

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È noto che molto spesso ciò che si conosce sono proprio $R ed $M piuttosto che le effettive azioni superficiali $f . Vedremo che tale questione sarà brillantemente risolta

da Saint-Venant. Inoltre è evidente che, dovendo essere equilibrate le forze superficiali applicate alle basi, il sistema di forze applicate alla base x3 0= deve ammettere una

risultante − $R ed un momento risultante, rispetto al baricentro, pari a − $M , cioè uguali e contrari a quelli ora calcolati per la base x l3 = .

In una generica sezione di ascissa x3 possiamo esprimere le caratteristiche della

sollecitazione (6.1) nel seguente modo :

N N T T T T= = =$ $ $1 1 2 2

( ) ( )M M T x M M T x M M1 1 2 3 2 2 1 3 3 3= − − = + − =$ $ $ $ $l l

Inoltre se σ i j è il tensore degli sforzi nella sezione di ascissa x3 sussistono le

relazioni :

$ $ $N dA T dA T dA

A A A

= = =∫ ∫ ∫σ σ σ33 1 31 2 32

( )$ $ $M x dA M x dA M x x dA

A A A

1 33 2 2 33 1 3 32 1 31 2= = − = −∫ ∫ ∫ σ σ σ σ

(6.1) In generale gli assi x1 e x2 non sono assi principali d’inerzia e quindi a rigore T T M M1 2 1 2, , , non

sono caratteristiche della sollecitazione.

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Cap. VI I QUATTRO CASI FONDAMENTALI DI SOLLECITAZIONE 1

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6.4.2. I quattro casi fondamentali

Valori particolari delle componenti $ , $ , $ , $ , $ , $T T N M M M1 2 1 2 3 danno luogo ai seguenti

4 casi fondamentali :

1) FORZA NORMALE SEMPLICE

In tal caso si ha :

$ $ $ $ $ $T T M M M N1 2 1 2 3 0 0= = = = = ≠

e quindi in ogni sezione N N= $ .

L’unica caratteristica di sollecitazione non nulla è la forza normale.

2) FLESSIONE SEMPLICE

In tal caso si ha:

$ $ $ $ $ $ $N T T M M M M= = = = = + ≠1 2 3 1 20 0 i j

e quindi in ogni sezione M M1 1= $ e M M2 2= $ .

L’unica caratteristica di sollecitazione non nulla è il momento flettente.

3) TORSIONE

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Cap. VI I QUATTRO CASI FONDAMENTALI DI SOLLECITAZIONE 2

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In questo caso si ha:

$ $ $ $ $ $N T T M M M M= = = = = = ≠1 2 1 2 3 30 0

e quindi in ogni sezione M M3 3= $ .

L’unica caratteristica di sollecitazione non nulla è il momento torcente.

4) FLESSIONE COMPOSTA

In questo caso si ha:

$ $ $ $ $ $ $N M M M T T T= = = = = + ≠1 2 3 1 20 0 i j

e quindi in ogni sezione avremo al più le seguenti caratteristiche di sollecitazione :

T T T T1 1 2 2= =$ $

( ) ( )M T l x M T l x1 2 3 2 1 3= − − = −$ $

Si tratta perciò di un caso di sollecitazione composta per la concomitanza di taglio

e momento flettente.

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Cap. VI IL PRINCIPIO DI SAINT-VENANT 1

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6.5 IL PRINCIPIO DI SAINT-VENANT

Abbiamo già osservato che molto spesso ciò che si conosce delle azioni

superficiali applicate sulle travi sono semplicemente dei sistemi di forze staticamente

equivalenti, in genere ridotti ad una risultante R e ad un momento risultante M.

Anche nel modello di Saint-Venant non sono generalmente note le effettive

distribuzioni delle forze superficiali $f applicate sulle basi, ma piuttosto $R e $M e le

cui componenti sono date dalle 6.4.1 a).

Si tenga poi presente che la soluzione di problemi al contorno dell’elasticità è resa

difficile dalla forma complicata che assumono le equazioni ai limiti. Molto spesso è

possibile ottenere la soluzione di un problema se in qualche modo vengono modificate

le condizioni al contorno.

Su questo punto Saint-Venant, con riferimento al suo modello di trave, propose un

principio che può essere così enunciato: se una certa distribuzione di forze superficiali

agenti su una porzione della superficie di un corpo è sostituita da un’altra agente sulla

stessa porzione di superficie, allora gli effetti prodotti dalle due distribuzioni in punti

sufficientemente distanti dalla zona di applicazione della forza sono essenzialmente gli

stessi purché le due distribuzioni di forze siano staticamente equivalenti, ossia

abbiamo la stessa risultante e lo stesso momento risultante.

In base a questo principio, pur di escludere un certo volume di trave in prossimità

della base caricata, gli effetti prodotti dai sistemi di forze staticamente equivalenti sono

praticamente gli stessi. Nella figura sono riportati alcuni sistemi di forze staticamente

equivalenti ed è tratteggiato il volume che risente della particolare distribuzione di

forze superficiali.

1)

$ $N f dAA

= ∫ 3

2)

$ $ $M F e f x dAA

= ⋅ = ∫ 3 2

3) Analogo per la torsione

4) Analogo per la flessione e taglio

Il principio di Saint-Venant ha una portata che va ben al di là del solido di forma

cilindrica per il quale fu enunciato e, poiché la teoria lineare dell’elasticità alla quale il

principio si riferisce è di per se un modello matematico ipotetico-deduttivo coerente e

completo, è evidente che lo stesso principio non può essere accettato come postulato,

ma deve essere dimostrato come una conseguenza logica di tutte le ipotesi poste a base

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Cap. VI IL PRINCIPIO DI SAINT-VENANT 2

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della stessa teoria lineare dell’elasticità. Su questa dimostrazione, la cui prima

difficoltà risiede proprio nella formulazione matematica della stesso principio, si sono

cimentati numerosi ricercatori.

Il primo tentativo di formulazione e dimostrazione del principio risale a

J.V.Boussinesq (1885) il quale diede la seguente formulazione : un sistema equilibrato

di forze esterne applicate ad un solido elastico, i cui punti d’applicazione stanno entro

una sfera assegnata, produce deformazioni trascurabili a distanza dalla sfera sufficiente

in rapporto al suo raggio. In questa formulazione che è riferita ad un generico solido

tridimensionale e quindi ad un problema più ampio di quello di Saint-Venant, permane

una certa vaghezza. Fu per primo Zanaboni a porre l’accento su un aspetto essenziale,

osservando che per la verifica del principio, la trascurabilità della deformazione

( )ε ij x non è da intendersi punto per punto bensì con riferimento al valore integrale :

ε i j

V

dV*

∫2

a)

dove

ε ε εi j i j i j

2

=

L’integrale è esteso a porzioni V* del cilindro lontane dalle basi. In tal modo

Zanaboni ha superato alcune questioni legate alla singolarità che si presenta nei

cilindri aventi degli spigoli rientranti (v. Fig. 6.4) come il punto A, dove la

deformazione ε i j raggiunge valori infinitamente grandi, mentre ha invece senso

considerare l’integrale a) esteso ad un volume V* di cilindro di altezza assegnata e

dimostrare che tale integrale tende a zero quanto più V* si allontana dalle basi dello

stesso cilindro.

Fig. 6.4

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Cap. VI FORZA NORMALE SEMPLICE 1

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6.6 FORZA NORMALE SEMPLICE

6.6.1 Azioni sulle basi

Abbiamo visto che questo caso corrisponde alla seguente situazione :

$

$ $ $ $ $

N

T T M M M

= = = = =

0

01 2 3 2 1

Pertanto in ogni sezione della trave avremo la sola presenza di forza normale N N= $ .

Le condizioni al contorno (6.10.a) sulla base x l3 = che realizzano tale situazione

sono :

$ $ , $f f f1 2 30 0= = ≠

con :

$ $N f dAA

= ∫ 3 ; $ $M f x dAA

1 3 2 0= =∫ ; $ $M f x dAA

2 3 1 0= − =∫ .

Inoltre, dalle (6.6) si deduce, sempre sulla base x l3 = :

σ σ σ31 32 33 30= = =$f .

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Cap. VI FORZA NORMALE SEMPLICE 1

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6.6.2 Stato di tensione

Avendo trovato che σ σ31 32 0= = nella sezione x l3 = , allora le tensioni tangenziali

saranno nulle in tutta la trave, mentre, l’unica componente non nulla del tensore degli

sforzi avrà l’espressione (6.10) :

σ 33 1 2= + +a b x c x (a)

La soluzione è così ricondotta alla ricerca delle costanti a, b, c, la cui

determinazione è presto fatta ricordando che, in ogni sezione, si dovrà verificare che

risulti :

N N M M M= = = =$ ; $ ; $1 1 20 0

Dalla prima, scritta tenendo presente la (a),

( )$

( om. ) ( om. )

N dA a bx cx dA a dA

a A

b x dA c x dA a A

A A A A A

m stat m stat

= = + + =

=

+

=

+

=

=∫ ∫ ∫ ∫ ∫σ 33 1 2 1 2

0 0

123 124 34 124 34

segue che :

aN

A

N

A= =

$.

Dalle rimanenti due :

( )$M x dA a bx cx x dA

A A

1 33 2 1 2 20= = = + + =∫ ∫σ

= + + = + =∫ ∫ ∫=

a x dA b x x dA c x dA b J c J

A

m stat

A

m entocentrifugo

A

m entodi inerzia

2

0

1 2 2

2

12 2 0

( om. .)om om

123 1 24 34 124 34

( )$M x dA a bx cx x dA

A A

2 33 1 1 2 10= − = = + + =∫ ∫σ

= + + = + =∫ ∫ ∫=

a x dA x dA x x dA b J c J

A

m stat

A

m entodi inerzia

A

m entocentrifugo

1

0

1

2

2 1 2 21 0

( om. .)om om

123 123 1 24 34

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Cap. VI FORZA NORMALE SEMPLICE 2

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si perviene al sistema nelle incognite b, c :

bJ cJ

bJ cJ

12 2

1 21

0

0

+ =

+ =

che, essendo :

J J

J J

12 2

1 21

0≠

per le ben note proprietà del tensore di inerzia, ha la sola soluzione banale :

b = c = 0.

Nel caso della forza normale semplice si ha allora, dalla (a)

σ 33 = =aN

A (6.11)

Il tensore σij si riduce a :

σ i j

NA

=

0 0 0

0 0 0

0 0$

e lo stato di tensione risulta essere monoassiale.

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6.6.3 Stato di deformazione

Dalle (6.7) si ottiene immediatamente, per il tensore delle deformazioni la seguente

espressione :

ε

ν

ν

i j

N

EAN

EAN

EA

=

0 0

0 0

0 0

(6.12)

Le componenti ε i j sono quindi costanti ed in particolare gli scorrimenti sono tutti

nulli.

Facendo riferimento alle espressioni generali già considerate in precedenza

(Cap.II) si ottiene quindi, in ordine :

( )

( ) ( ) ( )

ll

l

l

= =

= + = − = −

= + + = − = −

ε

ε ε ν ν

ε ε ε ν ν

33 3

0

11 22

11 22 33

2 2

1 2 1 2

dxN

EA

A dAN

EAA

N

E

V dVN

EAV

N

E

A

V

(6.13)

Si vede quindi che ad una forza di trazione (N > 0) corrisponde un aumento della

lunghezza della trave, del volume della stessa ed una riduzione di area della sezione,

l’opposto si verifica nel caso di compressione (N < 0).

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6.6.4 Stato di spostamento

Per determinare gli spostamenti ( )u u x x xi i= 1 2 3, , abbiamo a disposizione le sei

relazioni differenziali (in cui i termini a primo membro sono noti) :

( )ε ij i j j iu u= +1

2, ,

alle quali vanno aggiunte le condizioni di vincolo (6.1). Ponendo ε =N

EA, per esteso

le precedenti relazioni divengono :

u

u

u

u u

u u

u u

1 1 11

2 2 22

3 3 33

1 2 2 1

1 3 3 1

2 3 3 2

0

0

0

,

,

,

, ,

, ,

, ,

= = −

= = −

= =

+ =

+ =

+ =

ε ν ε

ε ν ε

ε ε

Questo sistema di 6 equazioni differenziali va integrato e, a tale scopo, si nota che

le prime 3 (prima parentesi) forniscono ciascuna un integrale generale per u u u1 2 3, , ,

che dovrà poi soddisfare le ultime 3 relazioni (seconda parentesi). Si ha così, dalle

prime 3 equazioni :

( )

( )

( )

( )

*

,

,

,

u x a x x

u x a x x

u x a x x

1 1 2 3

2 2 1 3

3 3 1 2

= − + ′

= − + ′′

= + ′′′

νε

νε

ε

in cui ( ) ( ) ( )′ ′′ ′′′a x x a x x a x x2 3 1 3 1 2, , , , , sono funzioni arbitrarie. Sostituendo queste

espressioni nelle ultime 3 equazioni si perviene a :

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( )**

, ,

, ,

, ,

′ + ′′ =

′ + ′′′ =

′′ + ′′′ =

a a

a a

a a

2 1

3 1

3 2

0

0

0

Per derivazione, dalle (**), si ottiene :

′ =

′ =

′′ =

′′ =

′′′ =

′′′ =

a

a

a

a

a

a

,

,

,

,

,

,

22

33

11

33

11

22

0

0

0

0

0

0

da cui si deduce la seguente forma generale per le tre funzioni

( ) ( ) ( )′ ′′ ′′′a x x a x x a x x2 3 1 3 1 2, , , , , :

′ = ′ + ′ + ′ + ′

′′ = ′′ + ′′ + ′′ + ′′

′′′ = ′′′ + ′′′ + ′′′ + ′′′

a A B x C x D x x

a A B x C x D x x

a A B x C x D x x

2 3 2 3

1 3 1 3

1 2 1 2

,

con A,B,C,D costanti arbitrarie.

Queste espressioni, per sostituzione nelle (**), danno luogo a :

( )

( )

( )

′ + ′′ + ′ + ′′ =

′ + ′′′ + ′ + ′′′ =

′′ + ′′′ + ′′ + ′′′ =

′ + ′′ =

′ + ′′′ =

′′ + ′′′ =

′ + ′′ =

′ + ′′′ =

′′ + ′′′ =

B B D D x

C B D D x

C C D D x

B B

C B

C C

D D

D D

D D

3

2

1

0

0

0

0

0

0

0

0

0

da dove si vede che ′ = ′′ = ′′′ =D D D 0 , e quindi :

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Cap. VI FORZA NORMALE SEMPLICE 3

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′ = ′ + ′ + ′

′′ = ′′ − ′ + ′′

′′′ = ′′′ − ′ − ′′

a A B x C x

a A B x C x

a A C x C x

2 3

1 3

1 2

da cui

u x A B x C x

u x A B x C x

u x A C x C x

1 1 2 3

2 2 1 3

3 3 1 2

= − + ′ + ′ + ′

= − + ′′ − ′ + ′′

= + ′′′ − ′ − ′′

νε

νε

ε

Rimangono ancora da soddisfare le condizioni di vincolo (6.1) che consentono di

determinare le rimanenti costanti :

u A

u A

u A

u C

u C

u B

1

2

3

3 1

3 2

2 1

0 0

0 0

0 0

0 0

0 0

0 0

= ⇒ ′ =

= ⇒ ′′ =

= ⇒ ′′′ =

= ⇒ ′ =

= ⇒ ′′ =

= ⇒ ′ =

,

,

,

e così, infine, si perviene al seguente campo di spostamenti:

u xN

EAx

u xN

EAx

u xN

EAx

1 1 1

2 2 2

3 3 3

= − = −

= − = −

= =

νε ν

νε ν

ε

(6.14)

Conoscendo il campo di spostamenti è immediato ottenere la relazione fra

coordinate iniziali e finali :

( )

( )

( )

x x u x

x x u x

x x u x

'

'

'

1 1 1 1

2 2 2 2

3 3 3 3

1

1

1

= + = −

= + = −

= + = +

νε

νε

ε

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Cap. VI FORZA NORMALE SEMPLICE 4

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da cui si nota che, poiché u 3 dipende solo da x3 , il luogo dei punti x t3 = cos si porta

nel luogo dei punti ′ =x t3 cos , ciò vuol dire che, nel caso della forza normale

semplice, le sezioni inizialmente piane restano piane, compiendo una semplice

traslazione nella direzione x3 .

Si osservi invece cosa accade per i punti a x3 costante, non più nella direzione

dell’asse x3 , bensì nel piano x1 x2 . In riferimento alla figura 6.5, dove è rappresentata

la generica sezione della trave, consideriamo il vettore spostamento u limitato alle due

componenti u1 e u2 sul piano della sezione :

u i j= +u u1 2

Fig. 6.5

Dalle (6.14), con riferimento al generico punto ( )P x x≡ 1 2, si trova :

u

u

x

xtg2

1

2

1

= = α .

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Cap. VI FORZA NORMALE SEMPLICE 5

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Si può quindi dire che ogni punto P della sezione A si sposta, nella deformazione,

in direzione del baricentro G e verso di esso se N>0 (trazione). L’entità dello

spostamento sarà misurato dal modulo di u :

u u u x x r= + = + =1

2

2

2

1

2

2

2ν ε νε

e questo dimostra che le sezioni del cilindro si trasformano omoteticamente.

Nella figura 6.6 è data una rappresentazione della configurazione deformata.

Fig. 6.6

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6.6.5 Caratteristica di deformazione assiale

Abbiamo visto, nel precedente punto 6.6.4 che le sezioni della trave, nel caso della

sollecitazione a forza normale restano piane e compiono una semplice traslazione nella

direzione dell’asse x3 .

Questo risultato consente di descrivere il movimento della generica sezione retta

attraverso la caratteristica di deformazione assiale, che si indica con ρ3 , ovverosia con

ρz e che è definita come lo spostamento relativo tra due sezioni poste a distanza

unitaria, ossia :

( )

ρ ρ εz

spostamento relativo

dis za trale sezioni

u du u

dx

du

dx

N

EA= =

+ −= = =3

3 3 3

3

3

3

6 744 844

tan

(6.15)

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6.6.6 Lavoro di deformazione

Si vuole a questo punto calcolare il lavoro di deformazione; a tale scopo si possono

seguire più strade a seconda che si faccia riferimento al lavoro compiuto dalle forze

esterne, alla energia elastica totale, oppure al lavoro compiuto dalle azioni interne :

• Lavoro compiuto dalle forze esterne

Per il teorema di Clapeyron si può scrivere :

L N NN

EA

N

EAd = = =1

212

1

2

2

$ $$ $

∆ll l

• Energia elastica totale

Essendo Φ = = = =1

2

1

2

1

2

1

233 33

2

2σ ε σ ε i j i j

N

A

N

EA

N

EA ,

risulta :

L dV VN

EAV

N

EAA

N

EAd

V

= = = = =∫Φ Φ 1

2

1

2

1

2

2

2

2

2

2

ll

• Lavoro compiuto dalle azioni interne

Dalla figura e dalla definizione di ρ3 si ottiene :

dL N du N dxd = =1

2

1

23 3 3 ρ

che è il lavoro di deformazione riferito al concio elementare di trave compreso fra le

ascisse ( ) x x dx3 3 3, + .

Sostituendo a ρ3 l’espressione (6.15) ed integrando si ottiene :

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L N dxN

EAd = =∫

12

1

23 3

0

2

ρ

l

l

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Cap. VI FLESSIONE SEMPLICE 1

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6.7 FLESSIONE SEMPLICE (PURA)

6.7.1. Azioni sulle basi

Si ha flessione semplice (v. 6.4.2) quando :

$ $ $ $

$ $ $

N T T M

M M

= = = =

= + ≠

1 2 3

1 2

0

0M i j

Pertanto in ogni sezione avremo la presenza di un momento flettente costante

M M= $ ossia M M1 1= $ , M M2 2= $ nel riferimento x x1 2, (6.2) .

Si noti che, dato il vettore $M , resta individuato il piano su cui agisce la coppia,

che perciò chiameremo piano di sollecitazione. Si definisce asse di sollecitazione s ( v.

Fig. 6.7) la traccia di questo piano sulla sezione retta della trave.

Fig. 6.7

(6.2) Si può osservare che a rigore non si tratta di caratteristiche della sollecitazione in quanto gli assi x x1 2, in

genere non coincidono con gli assi principali centrali d’inerzia della sezione.

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Le condizioni al contorno (6.10.a) sulla base x l3 = che realizzano le azioni

ipotizzate sono :

$ $ , $f f f1 2 30 0= = ≠

con

$ $ $ $M f x dA M f x dAA A

1 3 2 2 3 1= = −∫ ∫ $ $N f dA

A

= =∫ 3 0

Inoltre dalle (6.6) si trova che sulla medesima base x l3 = dovrà essere :

σ σ σ31 32 33 30= = =, $f

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6.7.2 Stato di tensione

Procedendo come nel caso della forza normale semplice, anche qui si trova che, per la

(6.5’), l’unica componente non nulla di σ i j avrà la forma (6.10) :

σ 33 1 2= + +a bx cx

La determinazione delle tre costanti a,b,c sarà fatta risolvendo il sistema di tre

equazioni algebriche :

σ σ σ33 33 2 1 33 1 20dA N x dA M x dA MA A A

∫ ∫ ∫= = = − =$ ; $ ; $

che, sostituendo l’espressione trovata per la σ 33 , ed integrando, si riducono a :

Aa

J b J c M

J b J c M

=

+ =

− − =

0

12 1 1

2 12 2

$

$

La prima equazione fornisce :

a = 0

mentre le rimanenti due, scritte nel riferimento principale centrale d’inerzia ( , )ξ η , si

riducono a forma canonica. Ruotando infatti gli assi ( x x1 2, ) fino a farli coincidere con

( , )ξ η , con ovvio significato dei simboli (v. Fig. 6.8) si ottiene :

Fig. 6.8

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cJ M

bJ M

bM

J

cM

J

ξ ξ

η η

ξ

ξ

η

η

=

= −

=

= −

$

$

$

$

ed allora, ricordando che M M M Mξ ξ η η= =$ , $ si trova :

σ η ξξ

ξ

η

η

33 = −M

J

M

J (6.16)

che è la soluzione del problema della flessione semplice in termini di tensione.

Introducendo i raggi principali d’inerzia ρ ρξ η, e ponendo, nella espressione di

σ 33 :

J A J Aξ η η ξρ ρ= =2 2

dove A è l’asse della sezione. La (6.16) si riduce a :

σρ

ηρ

ξξ

ξ

η

η

33 2 2

1= −

A

M M

Il luogo dei punti in cui si ha tensione nulla è perciò la retta baricentrica, detta

asse neutro della flessione, di equazione :

M Mξ

ξ

η

ηρη

ρξ

2 20− = (6.17)

Se indichiamo con α l’angolo che il vettore M forma con l’asseξ , risulta :

M M tgη ξ α=

e quindi il coefficiente angolare dell’asse neutro (6.17) :

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( )tg ξρ

ρη

ξ

ξ

η

nM

M=

2

2

si può esprimere mediante :

( )( )

tg tg tg

ξ αρ

ρ ξ

ρ

ρ

ξ

η

ξ

η

ns

= = −

2

2

2

2

1 (6.18)

in cui si è posto :

( )

tg tg

αξ

= −1

s

essendo :

( )ξπ

α ξ α g s tg s= + ⇒ = −2

cot

La precedente relazione (6.18), dà luogo, in definitiva, alla equazione :

( ) ( )tg tg ξ ξρ

ρ

ξ

η

s n = −

2

2 (6.19)

che è la ben nota equazione dei diametri coniugati, rispetto all’ellisse centrale di

inerzia della sezione.

Si può perciò concludere che l’asse di sollecitazione e l’asse neutro sono

coniugati rispetto all’ellisse centrale di inerzia della sezione. Tale risultato riconduce la

determinazione dell’asse neutro, partendo dall’asse di sollecitazione, nell’ambito della

polarità di inerzia delle figure piane.

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6.7.3 Stato di deformazione

Si prosegue ora con lo studio della deformazione nel sistema di riferimento

( )G z x, , ,ξ η ≡ 3 . Ricordando le equazioni costitutive, noto σ i j , si ricava il tensore

delle deformazioni, che nel riferimento adottato è descritto dalle componenti :

ε εν

σ εσ

ε ε εξ ξ η η ξ η ξ η = = − = = = =E E

z z z z

zz

z z 0

in cui σ z z è data dalle (6.16).

E’ possibile scegliere un altro sistema di riferimento in cui le componenti di σσσσ e

quindi di εεεε risultino più semplici: è il riferimento costituito dalla coppia di assi

ortogonali asse neutro-asse di flessione ( )G n f, , che, in seguito, verrà indicato con

(G, x, y). L’asse di flessione, ortogonale all’asse neutro, è il terzo asse notevole della

flessione. Al successivo punto 6.7.4 sarà reso chiaro il significato della denominazione

adottata.

In tale sistema la (6.16) si riduce all’espressione monomia :

σ z z k y =

Per determinare k basta considerare che

M y dA k y dA k J kM

Jx z z

A A

xx

x

= = = ⇒ =∫ ∫σ 2

da cui allora

σ z zx

x

M

Jy = (6.20)

che prende il nome di formula di Navier. Si noti che Mx è la coppia attiva nel piano di

flessione (y,z).

Posto :

cM

EJ

x

x

= (a)

il tensore degli sforzi e quello della deformazione sono così rappresentati :

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σ ε

ν

ν i j

x

x

i j

M

Jy

c y

c y

c y

=

=

0 0 0

0 0 0

0 0

0 0

0 0

0 0

(6.21)

Possiamo ora calcolare la variazione di area della sezione :

( )∆ A dA c y dAx y

A A

= + = − =∫ ∫ε ε ν2 0

e la variazione di volume della trave :

( ) ( )∆ V dV c dz y dAx y z

V A

l

= + + = − =∫ ∫∫ε ε ε ν1 2 00

Si può quindi affermare che, nella flessione, l’area della sezione ed il volume della

trave rimangono inalterati.

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6.7.4 Stato di spostamento

Si è visto che per la flessione semplice conviene studiare la deformazione nel sistema

di riferimento asse neutro-asse di flessione; tale sistema di riferimento risulta

conveniente anche per lo studio del campo di spostamenti, cui adesso ci si dedicherà

partendo dal porre, al fine di operare una distinzione con le notazioni proprie del

sistema di riferimento x i :

u u u u w 1 2 3 = = =; ;v

Le equazioni di congruenza ( )ε i j i j j iu u= +1

2, , scritte per esteso, con le notazioni

attuali, divengono :

u cy

v cy

w cy

u

u w

w

x x

y y

z z

y x

z x

z y

,

,

,

, ,

, ,

, ,

= = −

= = −

= =

+ =

+ =

+ =

ε ν

ε ν

ε

v

v

0

0

0

queste 6 equazioni differenziali, nelle tre funzioni incognite u, v, w, con le condizioni

al contorno (6.1), possono essere integrate e, seguendo un procedimento simile a

quello descritto al punto 6.6.4, forniscono la soluzione seguente :

( )[ ]

u c x y

cz x y

w c y z

= −

= − − −

=

ν

ν

v2

2 2 2 (6.22)

in cui si è posto (v. 6.7.3) :

cM

EJ

x

x

= (6.23)

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Cap. VI FLESSIONE SEMPLICE 2

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Si noti che c nell’ipotesi adottata di teoria infinitesima, può essere considerato

come una quantità molto piccola.(6.3)

Dalle (6.22) si deducono immediatamente le relazioni fra le coordinate nella

configurazione deformata e quelle nella configurazione indeformata :

( )[ ]

x x c x y

y yc

z x y

z z c y z

'

'

'

= −

= − − −

= +

ν

ν

2

2 2 2 (6.24)

Se si considera c infinitesimo, dalla seconda delle (6.24) a meno di infinitesimi del

2° ordine si ottiene :

c y c y ' = (6.25)

e di conseguenza, sostituendo nella terza delle precedenti equazioni, si ottiene :

z z c y z z c y' ' ( ' )= + = + 1 (6.26)

dalla quale è facile dedurre che il piano z z= c si trasforma nel luogo dei punti

z z c yc' ( ' )= + 1 che è ancora l’equazione di un piano. Ossia le sezioni rette si

mantengono piane. Tale piano deformato è parallelo all’asse x ed è inclinato di c z c

rispetto al piano xy. Inoltre, per qualunque cz ossia per qualunque sezione, quando

( ' )1 0+ =c y , ossia yc

'= −1

, si ha z'= 0 ; ciò significa che tutte le sezioni rette

deformate si collocano in piani che contengono tutti la retta di equazione :

′ =

+ ′ =

z

c y

0

1 0

Si può perciò affermare che, nella deformazione, i piani, inizialmente paralleli,

delle sezioni rette della trave si trasformano nei piani del fascio avente per sostengno

la rette del piano ′ =z 0 parallela all’asse x e distante da questo della quantità :

yc

EJ

M

x

x

' = − = −1

(6.3) Vedremo con la (6.27a) che c ha il significato di curvatura della linea deformata dell’asse della trave

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Essendo poi nulli gli scorrimenti γ γx z y ze ne deriva che le rette inizialmente

parallele all’asse del solido (cioè le traiettorie ortogonali ai piani delle sezioni rette) si

trasformano nelle traiettorie ortogonali ai piani del fascio di sostegno A, ossia in archi

di circonferenza di centro A (v. Fig. 6.9). In particolare l’asse della trave si trasforma

in un arco di circonferenza di raggio :

Rc

E J

M

x

x

= =1

(6.27)

La deformata dell’asse della trave, denominata linea elastica, è contenuta nel

piano y-z che, proprio per questo motivo, prende il nome di piano di flessione e rivolge

la concavità verso le y < 0 se M x > 0 .

Al precedente punto 6.7.3 abbiamo già anticipato che la traccia di questo piano sul

piano della sezione retta generica prende il nome di asse di flessione.

La precedente relazione mostra che la costante (6.23) :

cR

M

EJ

x

x

= =1

(6.27.a)

è proprio la curvatura della linea elastica. La quantità EJ x prende il nome di rigidezza

flessionale.

Fig. 6.9

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La sezioni trasversali, pur restando piane, si deformano; considerando poi che il

tensore delle deformazioni non dipende da z si conclude che tutte le sezioni si

deformano allo stesso modo. Dalla prima delle relazioni (6.24), avuto riguardo della

(6.25), si ottiene :

x x x c y x c y' ' ( ' )= − = −ν ν 1

dalla quale si vede che le rette parallele a y, x xc= , si trasformano nelle rette

x x c yc' ( ' )= − 1 ν che incontrano tutte l’asse y nel punto B yc

E J

M

x

x

≡ = ='1

ν ν

,

costituendo quindi un fascio di rette di centro B (v. Fig. 6.10) .

Essendo γ x y = 0 , le rette inizialmente parallele ad x (ortogonali alle x xc= ) si

mantengono ortogonali con le rette del fascio trasformandosi di conseguenza in archi

di circonferenza di centro B. Gli archi sono più lunghi dei segmenti da cui provengono

se ε x > 0 (y < 0); sono più corti se ε x < 0 (y > 0); mantengono la medesima

lunghezza se ε x = 0 (y = 0).

Si noti che il punto A della fig. 6.9 ed il punto B della fig. 6.10 stanno da parte

opposta rispetto all’origine degli assi di riferimento.

Fig. 6.10

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Cap. VI FLESSIONE SEMPLICE 5

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L’espressione di :

ε νx

x

x

M

EJy= −

fornita dalla (6.21) indica che, per M x > 0 , le corde y yc= , subiscono dilatazioni

proporzionali alla loro distanza dall’asse neutro. Inoltre per y > 0 le corde si

accorciano, per y < 0 si allungano, mentre la corda inizialmente distesa sull’asse

neutro ( )y = 0 non subisce alcuna dilatazione.

Nella Fig. 6.11 è rappresentato il caso di una sezione rettangolare :

Fig. 6.11

L’equazione della configurazione deformata dell’asse della trave, ossia della linea

elastica, è facilmente ottenuta dalla (6.24) ponendovi x y= = 0 , ossia :

u

vc

z

w

=

= −

=

0

2

0

2 (6.28)

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Cap. VI FLESSIONE SEMPLICE 6

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Resta così confermato che la linea elastica è una curva piana, appartenente al piano di

flessione ( )y z, . Si tratta di una curva parabolica anziché di una circonferenza, come

più sopra osservato ; ciò non deve sorprendere in quanto è conseguenza delle

approssimazioni adottate, nel cui ambito l’arco di circonferenza si può praticamente

ritenere coincidente con l’arco di parabola.

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6.7.5. Caratteristica di deformazione flessionale

Dall’esame della (6.26) abbiamo dedotto che nel caso della flessione le sezioni

rette della trave restano piane, compiendo una semplice rotazione intorno all’asse x. Di

conseguenza si può introdurre la caratteristica di deformazione flessionale k x ,

definendola come la rotazione relativa tra due sezioni poste a distanza unitaria, ossia,

se si indica con ϕ x la rotazione della generica sezione, si può porre :

kd

dzx

x=ϕ

(6.29)

Dove, per coerenza con la convenzione sui segni già adottata per M x , si assumerà

ϕ x > 0 quando porta y su z.

Dall’equazione della linea elastica (6.28) :

v = −c

z2

2

si deduce immediatamente che :

ϕ x

x

x

dv

dzcz

M

EJz= − = = (6.30)

e pertanto la caratteristica della deformazione flessionale è data da :

k cM

EJx

x

x

= = (6.31)

e, come si può notare, coincide con la curvatura della linea elastica.

La rotazione relativa fra due sezioni rette poste a distanza dz, può essere espressa

direttamente in termini di componenti del tensore delle deformazioni. Tenendo

presente che le sezioni restano piane, ruotando intorno all’asse neutro x, supponendo di

bloccare la sezione di sinistra del concio elementare dz, ed attribuendo l’intera

rotazione d xϕ alla sezione di destra, dall’esame della figura 6.12: seguente si vede

facilmente che :

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Cap. VI FLESSIONE SEMPLICE 2

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Fig. 6.12

( )−ε z dz

1 è l’accorciamento del lembo superiore e ( )εz

dz2

è l’allungamneto del lembo

inferiore. Se si divide l’allungamento totale ( ) ( )[ ]ε εz z

dz2 1

− per l’altezza h della trave, si

ottiene la rotazione relativa.

( ) ( )

dh

dzx

z zϕ

ε ε=

−2 1

dalla quale, ricordando la definizione (6.29), si deduce l’espressione della caratteristica

di deformazione in termini di componenti del tensore della deformazione :

( ) ( )[ ]k

hx

z z=

−ε ε2 1

(6.31.a)

Questa espressione sarà particolarmente utile nel caso in cui la deformazione nella

trave sia indotta da variazioni termiche.

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6.7.6 Lavoro di deformazione

Il lavoro che si compie passando dalla situazione indeformata a quella deformata si

può calcolare in 3 differenti modi, ossia considerando la densità di energia elastica, il

lavoro compiuto dalle forze esterne, oppure il lavoro compiuto dalle azioni interne.

A- Densità di energia elastica

L dVdV

= ∫ Φ

dove Φ è la densità di energia che nel caso di materiale elastico lineare si può

esprimere mediante (5.30) :

Φ =1

2σ εi j i j

Nel caso particolare della flessione pura, l’unica componente di tensione non nulla

è σ σz

=33

e perciò :

Φ =1

2σ εZ Z

e quindi, ricordando le (6.21) si ottiene la seguente espressione per il lavoro di

deformazione :

L dVM

J E

M

Jy dAdz

M

EJdz y dA

M l

EJd Z Z

x

x

x

x

x

x A

x

x

l

VV

= = ⋅ ⋅ ⋅ = =∫∫∫∫1

2

1

2

1 1

2 2

2

2

2

2

2

0

σ ε (6.32)

B- Lavoro compiuto dalle forze esterne

L’unica azione esterna che compie lavoro è la coppia applicata alla base z l= .

Per il teorema di Clapeyron si può scrivere :

L Md x x= × =1

2

1

2M ϕϕϕϕ ϕ

e, ricordando che, per la (6.30) :

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ϕ xx

x

M

EJl= ⋅

si perviene alla :

L MM

EJl

M l

EJd x

x

x

x

x

= ⋅ ⋅ ⋅ =1

2 2

2

che è appunto il lavoro di deformazione.

C- Lavoro compiuto dalle azioni interne

Si consideri un concio elementare di lunghezza dz :

Supponendo bloccata la sezione di sinistra, il lavoro interno è quello compiuto

dalla coppia Mx per la rotazione relativa d

xϕ data dalla :

d k dzx x

ϕ =

Tenuto conto del teorema di Clapeyron ed integrando su tutto il solido si ha :

L M k dz MM

EJdx

M l

EJd x

l

x x

lx

x

x

x

= = ⋅ =∫ ∫1

2

1

2 20 0

2

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6.7.7 Flessione retta e flessione deviata

Si è visto nei precedenti paragrafi che la linea elastica, nel caso di flessione pura,

resta nel piano yz (6.4) pur in presenza di una coppia M , la quale agisce sul piano sz (6.5). Quanto detto, con riferimento alla figura seguente, rende importante la valutazione dell'angolo β , tra gli assi s ed y che prende il nome di deviazione.

È evidente che, quando l’asse di sollecitazione s coincide con uno degli assi principali d’inerzia (v. fig. 6.14) , l’asse neutro x, in quanto coniugato di s, viene a coincidere con l’altro asse principale e di conseguenza anche l’asse di flessione y coinciderà con s. In tali condizioni risulta β = 0 e la trave si dirà soggetta a flessione

retta.

Fig. 6.13 Fig. 6.14

Se viceversa l’asse di sollecitazione non coincide con un asse principale di inerzia (v. fig. 6.13), s ed x non sono più ortogonali e di conseguenza s ed y saranno distinti, ossia il piano di flessione differisce da quello di sollecitazione. In tale caso sarà β ≠ 0 e la trave si dirà soggetta a flessione deviata.

(6.4) Si ricorda che y f≡ è l'asse di flessione ossia l'asse perpendicolare all'asse neutro. (6.5) Si ricorda che s è l'asse di sollecitazione ossia l'asse coniugato dell'asse neutro.

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6.7.8 Ulteriori espressioni della σzz

Per completezza nella trattazione relativa allo stato di tensione della flessione

pura, oltre alle espressioni (6.16) e (6.20) :

σ η ξξ

ξ

η

η

33 = −M

J

M

J (6.16)

σ z z

x

x

M

Jy= (6.20)

ottenute, rispettivamente, ponendosi nel riferimento principale ξ η, e nel riferimento x n y f≡ ≡, , è interessante mostrare come queste si modificano nel riferimento obliquo costituito dall'asse neutro x n≡ e dall'asse di sollecitazione s (v. fig. 6.15 )(6.6)

Fig. 6.15

Risulta

y s= cos β

(6.6) Le distanze si misurano ora parallelamente all’asse di sollecitazione S e non perpendicolarmente all’asse neutro

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M Mx = cos β

′ = = =∫ ∫J s dA y dAJ

xA A

x22

22

1

cos cosβ β

sostituendo le precedenti nella formula di Navier [6.20] si ha:

σβ β

βz z

x

x x x

M

Jy

M s

J

M

Js= =

′=

cos cos

cos2 (6.33)

come si vede in tale espressione compare il modulo del vettore momento applicato M e non una sua componente. Essa si presta a molte utili applicazioni e risulta particolarmente vantaggiosa quando si vogliano calcolare le tensioni massime e minimie. Infatti dalla (6.33) risulta :

σ zz

x x

M

Js

M

Wmax max' '= =

(6.33.a)

σ zz

x x

M

Js

M

Wmin min' "= =

in cui sono stati introdotti i moduli di resistenza relativi all’asse x :

WJ

sx

x''

max

= WJ

sx

x"'

min

= − (6.33.b)

È immediato verificare che :

′ =′

= =′W

J

sA

sAx

x x

max max

λ2

WJ

sA

sAx

x x" "min min

=′

= =′ρλ

2

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Cap. VI FLESSIONE SEMPLICE 3

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essendo λ’ e λ” i raggi del nocciolo centrale d’inerzia distesi sull’asse s(6.7) Le espressioni trovate per ′Wx ' e W x" provano che i moduli di resistenza variano proporzionalmente ai raggi di nocciolo distesi sull’asse di sollecitazione. Il nocciolo centrale di inerzia viene così ad assumere il significato di diagramma polare dei moduli di resistenza.

(6.7) ρ’x come è noto rappresenta il raggio d’inerzia relativo all’asse x e perciò disteso sull’asse coniugato s

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Cap. VI FORZA NORMALE ECCENTRICA 1

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6.8. FORZA NORMALE ECCENTRICA

6.8.1. Azioni sulle basi

Quando le azioni applicate sulla base x l3 = del cilindro di Saint-Venant sono

equivalenti staticamente ad una forza $N , parallela all’asse z, passante per un punto X,

denominato centro di sollecitazione, distinto dal baricentro G, la trave si dice soggetta

a sforzo normale eccentrico. Si consideri quindi la generica sezione (v. fig. 6.16) in cui

X indica il punto di applicazione della forza N, supposta di trazione e quindi positiva.

In tali condizioni, in ogni sezione della trave, avremo una forza normale ed un

momento flettente dati da :

N N M N e= = ⋅$ ;

in cui e GX= denota l’eccentricità che è distesa (v. fig. 6.16) sull’asse di

sollecitazione s dello stesso momento flettente.

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Fig. 6.16

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Cap. VI FORZA NORMALE ECCENTRICA 1

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6.8.2. Stato di tensione

Il principio di sovrapposizione degli effetti ci consente di esprimere la tensione

σ 33 come somma di 2 contributi : sforzo normale semplice N e flessione pura

M N e= ⋅ . Pertanto ricordando le (6.11) e (6.16) possiamo scrivere :

σ η ξξ

ξ

η

η33 = + −

N

A

M

J

M

J (6.34)

dove (v. fig. 6.16) :

M N M NX Xξ ηη ξ= = − (6.35)

se poniamo :

J A J Aξ ξ η ηρ ρ= =2 2

la (6.34) diviene :

ση η

ρ

ξ ξ

ρξ η33 2 21= + +

N

A

X X (6.36)

da cui si ottiene l’equazione dell'asse neutro ( )σ 33 0= della sollecitazione composta :

1 02 2+ + =η η

ρ

ξ ξ

ρξ η

X X (6.37)

Come è noto la (6.37) è l’equazione della retta antipolare del punto di coordinate ( )X x x≡ ξ η, , ossia del centro di sollecitazione rispetto all'ellisse centrale d'inerzia.

Come si vede tale asse non è baricentrico. Con riferimento alla figura 6.17, ricordando che X ed ′X sono coniugati nell’involuzione che la polarità di inerzia subordina sull’asse di sollecitazione, si ha che i punti X e ′X risultano legati dalla relazione :

GX GX x⋅ ′ = − ρ0

2

dove ρx 0 è il raggio d'inerzia relativo all’asse x0 che risulta perciò disteso sull’asse

coniugato s. È facile verificare che x0, retta baricentrica parallela ad n, è l’asse neutro della flessione pura M.

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Cap. VI FORZA NORMALE ECCENTRICA 2

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Fig. 6.17

Introducendo le notazioni adottate nella figura 6.17 si ha :

e d x⋅ = − ρ0

2

Questa relazione consente di determinare la distanza d GX= ′ , noti ρx 0 e

l’eccentricità e mediante :

de

x

= −ρ

0

2

ed inoltre dimostra che l’asse neutro è situato dalla parte opposta del centro di sollecitazione rispetto al baricentro della sezione.

Ricordando che il nocciolo centrale d'inerzia si può definire come il luogo degli antipoli delle rette che non secano la sezione e che il centro di sollecitazione X e l'asse neutro n sono legati dal fatto che X è l'antipolo dell'asse neutro n , si possono trarre le seguenti considerazioni (6.7) :

(6.7) Se il centro di sollecitazione X coincide con il baricentro, l'asse neutro è la retta impropria del piano della sezione, ci si riconduce così al caso di forza normale semplice perfettamente centrata ( )e = 0 .

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Cap. VI FORZA NORMALE ECCENTRICA 3

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1. Se X è interno al nocciolo centrale d'inerzia, l'asse neutro è esterno alla sezione, per cui la sezione stessa risulterà o tutta tesa o tutta compressa (σ 33 0≠ in tutti i punti della sezione; v.

fig. 6.18)

Fig. 6.18

2. Se X si trova sul bordo del nocciolo centrale d'inerzia, l'asse neutro è tangente alla sezione. Anche in questo caso la sezione risulterà o tutta tesa o tutta compressa e le tensioni si annulleranno solamente nei punti di tangenza (v. fig. 6.19 ).

Fig. 6.19

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Cap. VI FORZA NORMALE ECCENTRICA 4

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3. Se X è esterno al nocciolo centrale d'inerzia, l'asse neutro è secante la sezione, per cui si avrà che quest'ultima in parte sarà tesa ed in parte sarà compressa (v. fig. 6.20).

Fig. 6.20

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Cap. VI FORZA NORMALE ECCENTRICA 1

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6.8.3. Tensioni massime e minime

Abbiamo visto che la tensione normale, nel caso della forza normale eccentrica, ha

l’espressione (6.36) nel riferimento principale ( )ξ η, :

ση η

ρ

ξ ξ

ρξ η

33 2 21= + +

N

A

x x

mentre, con riferimento alla formula di Navier (6.17), applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, l’espressione della σ 33 si semplifica nella:

σ330

0

= +N

A

M

Jy

x

x

(6.38)

essendo x0 l’asse baricentrico parallelo all’asse neutro ed y l’asse di flessione.

GX e

X G d

A G

GB

GA s

BG s

t retta

t retta

A

B

A

B

a

b

raggio di nocciolo

raggio di nocciolo

=

′ =

′ =

′ =

=

=

=

=

λ

λ

( )

( )

tangentee non secante

la sezione, parallela a

tangentee non secante

la sezione, parallela a

n

n

Fig. 6.21: N.B. In questa figura non è disegnata la sezione ma solo la sua ellisse centrale di inerzia.

Analogamente, quando ci si riferisce all’espressione monomia (6.23) l’espressione della σ 33 si riduce a:

σ 33 = +′

N

A

M

Js

x

(6.39)

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Cap. VI FORZA NORMALE ECCENTRICA 2

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Se nella (6.39) si pone:

M N e= ⋅ (6.40)

si ottiene la seguente espressione per la σ 33 :

σρ33 21

0

= +

N

A

e s

x

(6.41)

in cui ρx0è il raggio di inerzia relativo all’asse x0 e perciò disteso sull’asse coniugato s.

La σ33 varia pertanto proporzionalmente alla distanza dall’asse neutro n (v.fig.6.21) e raggiunge i valori estremi, massimo e minimo, sui punti della sezione che sono i più distanti dall’asse neutro. Per individuare questi punti basta tracciare le due rette ta e tb parallele all’asse neutro n e che sono tangenti e non secanti la sezione. Si determinano così le distanze sA e sB dei punti sui quali la tensione σ33 è in grado di estremo e, sostituendo questi valori nella (6.41) si trovano le tensioni massime e minime:

max

min

σρ

σρ

33 2

33 2

1

1

0

0

= +

= +

N

A

es

N

A

es

x

A

x

B

(6.42)

Con riferimento alle notazioni GX e= , ′ =X G d , con riferimento al verso assunto sull’asse s (v. fig.6.21), ricordando:

ρx e d0

2 = − ⋅ (6.43)

le precedenti espressioni divengono:

max

min

σ

σ

33

33

1

1

= −

= −

N

A

s

d

N

A

s

d

A

B

(6.44)

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Cap. VI FORZA NORMALE ECCENTRICA 3

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Infine, ricordando la nozione di nocciolo centrale di inerzia supponiamo che, alla retta ta corrisponde il punto di nocciolo ′A ed alla retta tb il punto di nocciolo ′B , entrambi appartengono alla retta s e distanti dal baricentro G rispettivamente:

′ = ′ =′ ′A G GBA Bλ λ; (6.45)

Essendo le coppie di punti A A e B B− ′ − ′ coniugati, ne consegue che:

ρ λ ρ λx A A x B Bs s0 0

2 2= − ⋅ = − ⋅′ ′; (6.46)

e queste, introdotte nelle (6.42) forniscono le espressioni:

max

min

σλ

σλ

33

33

1

1

= −

= −

N

A

e

N

A

e

A

B

(6.47)

note come formule di Ritter. È facile provare che la ricerca delle tensioni massime e minime può essere

condotta anche mediante formule monomie relative alla flessione semplice. Questo risultato è conseguito osservando che sono del tutto equivalenti le seguenti

sollecitazioni: a) N applicata in X b) N applicata in G + momento di trasporto: M N GX N e= ⋅ = ⋅ c) N applicata in ′A + momento di trasporto: ( )M N A X N eA A′ ′= ⋅ ′ = − λ

d) N applicata in ′B + momento di trasporto: ( )M N B X N eB B′ ′= ⋅ ′ = − λ

La sollecitazione b), somma delle due sollecitazioni semplici di forza normale e

di momento flettente, è quella che abbiamo utilizzato nei punti precedenti per il calcolo della σ33 ed in particolare per dimostrare che l’asse neutro della sollecitazione a) è la retta n, antipolare di X.

Se invece utilizziamo il principio di sovrapposizione degli effetti per calcolare la σ33 prodotta dalla forza normale N applicata in X, come somma delle σ33 prodotte

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Cap. VI FORZA NORMALE ECCENTRICA 4

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dalle sollecitazioni c) ne deriva che la N applicata in ′A ha come asse neutro la retta ta sulla quale quindi la σ33 sarà nulla e di conseguenza si avrà:

maxσ33

0 0

=′

=′

′ ′M

Js

M

W

A

x

A

A

x

(6.48)

ed analogamente, con riferimento alla sollecitazione d), avremo:

minσ33

0 0

=′

=′′

′ ′M

Js

M

W

B

x

B

B

x

(6.49)

In queste espressioni ′Wx0 e ′′Wx0

(v. 6.33.b) sono i moduli di resistenza della

sezione relativamente all’asse x0 . Resta così dimostrato che, nel caso della forza normale eccentrica, introdotti i momenti:

( )

( )

M N e

M N e

A A

B B

′ ′

′ ′

= −

= −

λ

λ

(6.50)

denominati momenti di nocciolo, le tensioni massime e minime si possono calcolare mediante formule monomie (6.48) e (6.49).

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6.8.4. Sezione rettangolare

Nel caso di trave a sezione rettangolare con centro di sollecitazione X

appartenente ad una mediana, sianoξ , η gli assi principali di inerzia e siano b, h le

dimensioni della sezione (v. fig. 6.22). Inoltre N sia positiva.

Fig. 6.22

Sapendo che l’asse neutro n è parallelo a ξ e che la sua distanza da esso vale:

′ = = − = −X G de

h

e

ρξ2 21

12

Inoltre risulta:

′ = = − ′ = =′ ′A Gh

GBh

A Bλ λ6 6

;

e quindi dalle (6.47) si traggono i valori estremi delle σ 33 :

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max

min

σ

σ

33

33

16

16

= +

= −

N

bh

e

h

N

bh

e

h

Volendo utilizzare le (6.48) e (6.49) per calcolare le tensioni σ 33 massime e

minime, si osserva che i moduli di resistenza relativi all’asse x0 ≡ ξ , in questo caso

coincidono in quanto s sA B= − e quindi risulta:

′ = − ′′ = =W WJ

hbhx x

x

0 0

0

2

1

6

2

e, in virtù delle espressioni richiamate, risulta:

max ; minσ σ33 2 33 2

6 6= =′ ′M

bh

M

bh

A B

nelle quali si porrà, ricordando la definizione di momento di nocciolo (6.50):

M N eh

M N eh

A B′ ′= +

= −

6 6;

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6.9 TORSIONE

6.9.1 Azioni sulle basi

Al punto 6.4.2. abbiamo visto che, nel caso della torsione, le azioni sulla base

x l3 = si riducono a :

$ $ $ $ $ $N M M T T M= = = = = ≠1 2 1 2 30 0

per cui l’unica caratteristica di sollecitazione diversa da zero, in ogni sezione della

trave è un momento torcente costante M M3 3= $ .

In virtù delle (6.10.a) possiamo riferirci alla seguente condizione di carico sulla base

x l3 = :

$ $ $f f f1 2 30 0 0≠ ≠ =

con f 1 ed f 2 tali che:

( )$ $ $ $ $ $ $M f x f x dA T f dA T f dAA AA

3 2 1 1 2 1 1 2 20 0= − = = = =∫ ∫∫ (6.36)

inoltre dalle condizioni al contorno (6.6) sulla base x l3 = deriva:

σ σ σ31 1 32 2 33 3 0= = = =$ $ $f f f (6.37)

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Cap. VI TORSIONE 1

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6.9.2 Stato di tensione

Preliminarmente si osserva che, in virtù delle (6.37), risulta :

( ) ( )σ σ33 1 2 33 1 20 0x x x x l, , , ,= =

e quindi dalla (6.9) si deduce che dovrà essere :

( )σ33 1 2 3 0x x x, , =

Ricordando poi le ipotesi generali sullo stato di tensione, ossia σ σ σ11 22 12 0= = = , dalle equazioni indefinite di equilibrio di Cauchy, in assenza di forze di volume, assumendo σ 33 0= , si perviene a :

σ

σ

σ σ

31 3

32 3

13 1 23 2

0

0

0

,

,

, ,

=

=

+ =

(6.38)

da cui, ripetendo quanto già osservato con le (6.5), segue :

( )( )

σ σ

σ σ

31 31 1 2

32 32 1 2

=

=

x x

x x

,

, (6.38.a)

e che pertanto in tutte le sezioni si ha la medesima distribuzione delle tensioni tangenziali.

Le equazioni di Beltrami (6.8), essendo ( )Iσ σ σ σ= = = =0 011 22 33 , si riducono alle:

∇ = + =

∇ = + =

231 31 11 31 22

232 32 11 32 22

0

0

σ σ σ

σ σ σ

, ,

, ,

(6.39)

Il problema della torsione è così ricondotto alla ricerca delle due funzioni(6.38.a), definite nel dominio A della sezione retta della trave, che soddisfino le due equazioni (6.39), la terza equazione di Cauchy (6.38) e la condizione al contorno (6.6.a):

σ α σ α31 1 32 2 0+ = (6.40)

Infatti è noto che ogni forma differenziale ϖ di classe C1 :

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Cap. VI TORSIONE 2

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ϖ ( , ) ( , ) ( , )x x A x x dx B x x dx1 2 1 2 1 1 2 2= +

definita in un campo semplicemente connesso e soddisfacente la condizione A,2=B,1 è esatta.

Ponendo allora :

ϖ σ σ( , ) ( , ) ( , )x x x x dx x x dx1 2 32 1 2 1 31 1 2 2= −

ed osservando che per l’equilibrio risulta σ σ32 2 31 1, ,= − si ha che ϖ è una forma

differenziale integrabile. Esiste pertanto una funzione f* tale che :

df x x x x dx x x dx* ( , ) ( , ) ( , )1 2 32 1 2 1 31 1 2 2= −σ σ (6.41)

e quindi

σ σ32 1 31 2= = −f f, ,* * (6.42)

Naturalmente la f* deve soddisfare le equazioni di Beltrami (6.39) che forniscono :

( )

( )

∇ =

∇ =

∇ =

∇ =

⇒ ∇ = =

21

22

2

1

2

2

21 2

0

0

0

0

f

f

f

f

f x x K t

,

,

,

,

*

*

*

*

* ( , ) cos (6.43)

per la linearità dell’operatore di Laplace e della derivazione.

Restano infine da soddisfare le condizioni al contorno (6.40) che, con riferimento alla figura 6.21, in virtù delle (6.42) divengono :

− + =f f, ,* *2 1 1 2 0α α (6.44)

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Cap. VI TORSIONE 3

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α δ

α δ

β γ

β γ

1 1

2 2

1 1

2 2

=

=

=

=

cos

cos

cos

cos

Fig. 6.21

in cui α α1 2, sono i coseni direttori del versore normale esterno n.

Se, nel generico punto P del contorno della sezione A, si introduce il riferimento ortogonale intrinseco (n , t) essendo t il vettore tangente, orientato in maniera tale che (n,t) sia sovrapponibile con (x1,x2). Posto :

( ) ( )n t= =α α β β1 2 1 2, , (6.45)

la (6.44), osservando che β α β α1 2 2 1= − =, , diviene :

f f, ,* *2 2 1 1 0β β+ = (6.46)

od anche, in notazione assoluta :

gradf * × =t 0

e quindi in definitiva :

f

t

*= 0 (6.47)

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Cap. VI TORSIONE 4

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che esprime l’annullarsi della derivata direzionale lungo t (derivata tangenziale) della funzione f * ; ciò implica naturalmente che f * è costante sul contorno della sezione.

La determinazione della funzione f * è così ricondotta alla soluzione del problema al contorno :

∇ =

=

21 2f x x K

in A

f ksu A

* ( , )

*∂

(6.48)

Siccome a noi interessa conoscere le funzioni σ31 e σ32 , dalle (6.42) si deduce immediatamente che si può porre, per semplicità, k = 0.

Rimane comunque la difficoltà della determinazione della costante K che può tuttavia essere rimossa, almeno a questo livello, introducendo la funzione ( )f x x1 2, tale che :

( ) ( )f x xK

f x x* , ,1 2 1 22= . (6.49)

Con tale posizione si ha infatti

∇ = ∇ = ⇒ ∇ =2 2 2

22f

Kf K f*

ed il problema al contorno (6.48) si trasforma nel seguente :

∇ =

=

21 2 2

0

f x xin A

fsu A

( , )

(6.50)

la funzione f , che gioca un ruolo importante nella torsione, prende il nome di funzione

degli sforzi o di Prandtl. Una volta risolto il problema (6.50) e determinata la funzione ( )f x x1 2, , dalle

(6.42) e (6.49) si ricavano le tensioni tangenziali :

σ σ31 2 32 12 2= − =Kf

Kf, ,, (6.51)

Come si vede il problema di determinare la costante K introdotta in (6.48) si è semplicemente spostato ad un passo successivo.

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Cap. VI TORSIONE 5

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Il problema al contorno (6.50) può ricondursi ad un problema di Dirichelet classico, per funzioni armoniche, osservando che :

fx x

=+1

222

2

è un integrale particolare, per cui, posto :

fx x

= ++

ϕ 12

22

2 (6.52)

e quindi constatato che :

∇ = ∇ +2 2 2f ϕ

si perviene al seguente problema al contorno per la funzione ( )ϕ x x1 2, :

∇ =

= −+

21 2

12

22

0

2

ϕ

ϕ ∂

( , )x x in A

x xsu A

(6.53)

Si tratta del ben noto problema di Dirichlet (Peter Gustav Lejeune) che consiste nel trovare una funzione armonica nel dominio A che assuma valori prefissati sulla sua frontiera. È evidente poi che le tensioni tangenziali (6.51) in termini della nuova funzione ( )ϕ x x1 2, soluzione del problema (6.53), in virtù della (6.52), valgono:

σ ϕ σ ϕ31 2 2 2 32 2 1 1= − + = +K Kx x( ) ( ), , (6.54)

Come è noto il problema di Dirichlet ammette anche una formulazione duale,

relativa cioè ad una funzione ψ ( , )x x1 2 , che nel caso della torsione prende il nome di funzione d’ingobbamento, tale che :

ψ ϕ

ψ ϕ

, ,

, ,

1 2

2 1

=

= −

(6.55)

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Cap. VI TORSIONE 6

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relazioni che, derivate, portano a

ψ ϕ

ψ ϕ

ψ

, ,

, ,

11 21

22 12

2 0

=

= −

⇒ ∇ = (6.56)

e quindi anche ψ ( , )x x1 2 è una funzione armonica. Si possono allora riscrivere le (6.54) in termini di ψ ( , )x x1 2 come segue:

σ ψ σ ψ31 1 2 32 2 12 2= − + = − −Kx

Kx( ) ( ), , (6.57)

che originano, valendo σ α σ α31 1 32 2 0+ = , sul contorno della sezione, la seguente :

( ) ( )− + − − =K

xK

x2 2

01 2 1 2 1 2ψ α ψ α, ,

da cui :

ψ α ψ α α α, ,1 1 2 2 1 2 2 1+ = −x x

relazione che si può esprimere anche come :

grad n x xψ α α× = −1 2 2 1

ossia

∂ψ

∂α α

nx x= −1 2 2 1 (6.58)

che rappresenta il valore della derivata direzionale lungo n (derivata normale). Si giunge così in virtù della (6.56) e (6.58) al seguente problema al contorno:

∇ =

= − +

2

2 1 1 2

∂ψ

∂α α ∂

in A

x x su An

(6.59)

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Cap. VI TORSIONE 7

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che come è noto prende il nome di problema di Neumann (F. E.) che consiste nel trovare una funzione armonica nel dominio A tale che la sua derivata nella direzione della normale si riduca, sulla frontiera di A, ad una funzione assegnata.

La soluzione dei problemi al contorno (6.50) e (6.59), ai quali è stato ricondotto il problema della torsione, dipende esclusivamente dalla forma della sezione retta del cilindro di Saint-Venant. Per forme circolari, ellittiche o triangolari equilatere si può trovare la soluzione completa in forma chiusa. Per altre forme, come la rettangolare, si può risalire alla soluzione mediante sviluppi in serie di Fourier.

Dando per scontato di sapere risolvere ad es. il problema al contorno (6.59) e di

aver quindi determinato la funzione ingobbamento ψ ( , )x x1 2 , resta ancora da determinare la costante K, senza la cui conoscenza non è possibile risalire allo stato di tensione mediante le (6.57). Si deve osservare tuttavia che ancora restano da verificare la (6.36). Dalla prima di esse ed in virtù delle (6.57) si deduce:

( ) ( )M f x f x dA x x dAA A

ζ σ σ= − = − =∫ ∫$ $2 1 1 2 32 1 31 2

( ) ( )[ ]= − − + + =∫ K K

A

x x x x dA2 2 1 1 2 1 2 2ψ ψ, ,

( ) ( )= − + + = − −

∫ ∫K

A

K

A

x x x x dA J x x dA2 1 2 2 1 12

22

2 0 2 1 1 2ψ ψ ψ ψ, , , ,

essendo J0 il momento di inerzia polare della sezione. Ponendo :

( )q

J

J x x dAA

=

− −∫

0

0 2 1 1 2ψ ψ, ,

(6.60)

la precedente espressione di M3 diviene :

MK J

q30

2=

e da qui, infine :

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Cap. VI TORSIONE 8

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KqM

J= 2 3

0

. (6.61)

Il rapporto q fornito dalla (6.60) prende il nome di fattore di torsione e si può dimostrare che dipende solo dalla forma della sezione e non dalle sue dimensioni, in più è anche possibile dimostrare che :

q ≥ 1

Sostituendo il valore di K dato dalla (6.61) nelle espressioni (6.57) si conclude che le tensioni tangenziali sono fornite dalle seguenti espressioni :

( )

( )

σ ψ

σ ψ

313

01 2

323

02 1

= − +

= − −

qM

Jx

qM

Jx

,

,

(6.62)

che determinano completamente il tensore delle tensioni, una volta che si sia risolto il problema di Neumann (6.59).

Resta infine da verificare che la soluzione (6.62) è tale da soddisfare le ultime 2 delle (6.36) ossia :

( ) ( )$ $ , ; $ $ ,T f dA x x dA T f dA x x dAA A A A

1 1 31 1 2 2 2 32 1 20 0= = = = = =∫ ∫ ∫ ∫σ σ

che, per le (6.62), con facili passaggi portano a :

ψ ψ, ,;1 20 0dA dAA A

= =∫ ∫ (6.63)

Trasformando questi integrali sull’area A in integrali estesi sul contorno∂ A e sfruttando un lemma di Green sulle funzioni armoniche si dimostra agevolmente che le (6.63) sono effettivamente verificate.

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Cap. VI TORSIONE 1

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6.9.3 Stato di deformazione e di spostamento

È immediato verificare, tramite le equazioni costitutive (6.7), che il tensore delle

deformazioni diviene :

ε

ε

ε

ε ε

σ

σ

σ σ

ij

G

G

G G

=

=

0 0

0 0

0

0 02

0 02

2 20

31

32

13 23

31

32

31 32

(6.64)

e da questo, integrando le equazioni di congruenza, che ora si riducono a :

( )

( )

u u u

u u

u uK

Gx

u uK

Gx

1 1 2 2 3 3

1 2 2 1

1 3 3 1 1 2

2 3 3 2 2 1

0

0

2

2

, , ,

, ,

, , ,

, , ,

= = =

+ =

+ = − +

+ = − −

ψ

ψ

(6.65)

con il procedimento già utilizzato al punto 6.6.4, si perviene al seguente campo di spostamenti :

( )

( )

( ) ( )

[ ]

[ ]

[ ]

uK

Gx x

uK

Gx x

uK

Gx x

uK

Gx x a

uK

Gx x b

uK

Gax bx

1 3 2 10

2 3 1 20

3 10

1 20

2

1 3 2

2 3 1

3 1 2

2

2

2

2

2

2

= − +

= −

= + −

=

= − +

= −

= + −

ψ

ψ

ψ ψ ψ ψ

,

,

, ,

(6.66)

una volta che si sia posto, per semplicità, ( )a = ψ ,10 , ( )b = ψ ,2

0.

Dalle (6.64) si osserva facilmente che le ε ij , così come le σ ij , non dipendono da

x3 e quindi sono identiche in tutte le sezioni della trave. Inoltre essendo ε ε ε11 22 33 0= = = non si avranno, nella deformazione, variazioni di lunghezza degli

elementi lineari paralleli agli assi coordinati, in particolare l’asse della trave resterà

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Cap. VI TORSIONE 2

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della medesima lunghezza, ed inoltre saranno nulle le variazioni di area della sezione retta della trave e le variazioni di volume.

Dall’esame del campo di spostamenti (6.66) è possibile trarre le seguenti considerazioni.

a) Dalla terza delle (6.66) si deduce che, essendo :

( )[ ]uK

Gax bx x x3 1 2 1 22

= + −ψ ,

risulta :

( )u u x x3 3 1 2= ,

e, dovendo essere, in virtù della (6.1), ( )u3 0 0 0, = segue che ( )ψ 0 0 0, = . Inoltre dalla relazione :

( )′ − =x x u x x3 3 3 1 2,

si deduce che tutti i punti appartenenti al medesimo segmento parallelo all’asse della trave si spostano della medesima quantità. In particolare i punti dell’asse della trave non subiranno spostamenti lungo x3 .

Se si esclude il caso in cui ( )ψ x x1 2, sia lineare, o nulla, le sezioni rette del cilindro

non restano piane, ma si ingobbano e la misura dell’ingobbamento è proprio data dalla funzione ψ che da ciò prende appunto il nome di funzione ingobbamento. Per quanto più sopra osservato gli unici punti che rimangono nel piano della sezione retta sono i baricentri.

b) Prescindendo dalla componente u3 , dall’esame delle altre due componenti :

( )

( )

uK

Gx x a

uK

Gx x b

1 3 2

2 3 1

2

2

= − +

= −

(6.67)

che esprimono la deformazione della generica sezione x t3 = cos nel proprio piano, si evince che si tratta di una rotazione rigida intorno al punto :

( )C b at ≡ −,

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Cap. VI TORSIONE 3

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che perciò prende il nome di centro di torsione. Infatti, per provare che la generica sezione ruota attorno a Ct è sufficiente

considerare un generico punto P di una sezione qualunque (v. fig. 6.22)e far vedere che lo spostamento che esso compie ha direzione ortogonale a quella della congiungente il punto stesso con il centro di torsione ed entità direttamente proporzionale alla distanza tra tali 2 punti.

La suddetta proporzionalità risulta subito da :

( ) ( )u = + = + + − = +u uK

Gx x a x b

K

Gx MC PMt1

222

3 2

2

1

2

32 2

2 2( ) ( )

u =K

Gx PCt2 3 (6.68)

Fig. 6.22

Circa poi la direzione di u i j= +u u1 2 , si ha, detti β 1 e β 2 i coseni direttori del

vettore u rispetto alle direzioni coordinate x1 e x2 e ϑ1 e ϑ 2 quelli del segmento PCt :

( ) ( )

β ϑ11 2

2

2

1

2 2= = −+

+ + −= −

u x a

x a x bu

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Cap. VI TORSIONE 4

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( ) ( )

β ϑ22 1

2

2

1

2 1= =−

+ + −=

u x b

x a x bu

e quindi l’ortogonalità tra u e PC t .

Si è visto che nel piano ( )x x1 2, il campo di spostamenti trovato descrive una rotazione rigida attorno al punto Ct ; di tale rotazione se ne può calcolare il valore mediante :

( )ϕ33

2 1 1 2 3 3

1

2

1

2

1

2 2 2=

= − = +

=rot u u

K

Gx

K

Gx( ) , ,u

= = =K

Gx q

M

GJx

M

GJx

t2 33

03

33 (6.69)

dove si è indicato con :

JJ

qt =0 (6.70)

il momento di inerzia ridotto. La quantità :

GJ

qGJt

0 = (6.71)

prende il nome di rigidezza torsionale. Si noti che partendo dalla (6.68) si perviene per la ϕ3 al medesimo risultato ;

infatti :

ϕ3 32= =

u

PC

K

Gx

t

Abbiamo visto che le coordinate del centro di torsione Ct non dipendono da x3 e quindi possiamo definire l’asse di torsione parallelo a x3 , come il luogo dei punti Ct delle sezioni della trave.

Quest’asse, nella deformazione, rimane rettilineo, mentre tutte le altre rette parallele all’asse dei baricentri x3 , si portano su eliche cilindriche, il cui passo lp si

ricava dalla (6.69), ponendo ϕ π3 2= e vale :

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lGJ

Mp

t= 23

π (6.72)

In genere risulta l lp >> .

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6.9.4 Caratteristica di deformazione torsionale e lavoro di deformazione

Nel caso della forza normale semplice e della flessione pura si sono definite

rispettivamente la caratteristica di deformazione assiale e flessionale; analogamente,

nel caso della torsione, si definisce caratteristica di deformazione torsionale la

rotazione relativa tra 2 sezioni poste a distanza unitaria, ossia il rapporto, fornito dalla

(6.69) :

kd

dx

M

GJt

3

3

3

3= =

ϕ (6.73)

che, come si vede, risulta costante.

Si noterà la stretta analogia formale nelle espressioni fino ad ora trovate per le

caratteristiche di deformazione :

ρ3 3

3= = =

N

EAk

M

EJk

M

GJx

x

x t

rispettivamente nei casi di forza normale, flessione e torsione. Si tratta in ogni caso del

rapporto tra la caratteristica di sollecitazione ed una grandezza che prende il nome di

“rigidezza”. Parleremo perciò in ognuno dei tre casi di :

EA = rigidezza a forza normale ;

EJx = rigidezza flessionale ;

GJt = rigidezza torsionale.

Con procedimento identico a quello seguito nei casi della forza normale semplice

e della flessione pura, si può adesso calcolare il lavoro di deformazione nel caso della

torsione. Ricorrendo al teorema di Clapeyron, si perviene a :

L M MM

GJ

M

GJd

t t

= = =1

2

1

2

1

23 3 3

3 3

2

ϕ ( )ll l

(6.74)

così come ricorrendo alla nozione di caratteristica di deformazione si perviene

parimenti a :

L M k dzM

GJd

t

= =∫1

2

1

23 3

3

2l

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6.9.5 Sezione circolare

A questo punto si hanno gli strumenti necessari per studiare la torsione in alcuni

casi particolari, a partire da quello della sezione circolare, che è uno dei più semplici

poiché presenta la maggiore simmetria possibile.

In riferimento alla sezione circolare piena di raggio R (v. fig. 6.23) per ogni punto

( )P x x= 1 2, del contorno della sezione, il versore normale n sarà diretto come il raggio

R ed avrà coseni direttori :

α α1

1

2

2= =

x

R

x

R

da cui segue :

d

dnx

x

Rx

x

R

ψ= − + =2

1

1

20

e quindi il problema al contorno da risolvere si riduce a :

∇ =

=

2 0

0

ψ

ψ∂

in A

d

dnsu A

che ha soluzione :

ψ = cos t

Questo risultato è valido anche per sezioni a corona circolare, dal momento che

anche in tale situazione la derivata normale continua ad essere nulla in ogni punto; il

ragionamento che si svilupperà adesso per la sezione circolare è quindi

immediatamente estensibile, a meno di qualche ovvio adattamento, al caso della

sezione a corona circolare.

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Fig. 6.23

• STATO DI TENSIONE

Le tensioni tangenziali si deducono immediatamente dalle (6.62) e valgono :

σ

σ

31

0

2

0

2

32

0

1

0

1

= − = −

= =

qM

Jx

M

Jx

qM

Jx

M

Jx

z z

z z

(6.75)

dove si è assunto :

( )q

J

J x x dA

J

J

A

=

− −

= =

0

0 2 1 1 2

0

0

1

ψ ψ, ,

che implica anche J J t0 = .

La tensione tangenziale risultante ττττ 3 data da :

ττττ 3 31 31= +σ σi j (6.76)

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ha come modulo l’espressione :

τ 3

3

0

=M

Jr (6.77)

come si deduce immediatamente dalla (6.75) ed avendo indicato con r la distanza del

punto generico dal baricentro G. Si noti l’identità formale della (6.77) con la formula

di Navier (6.20).

La direzione di ττττ 3 , è individuata dai coseni direttori :

βσ

τα

βσ

τα

1

31

3

2

2

2

32

3

1

1

= = − = −

= = =

x

r

x

r

e ciò mostra che tale direzione è ortogonale al raggio.

L’andamento delle tensioni lungo un diametro qualunque, è rappresentato in

figura 6.24:

Fig. 6.24

Ricordando che per la sezione circolare di raggio R è :

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J R0

4

2=

π

ne deriva per la tensione tangenziale massima l’espressione :

τπ3

3

3

2max =

M

R

Nel baricentro G lo stato di tensione è identicamente nullo.

• SPOSTAMENTI E DEFORMAZIONI

Essendo ψ=cost. dalle (6.66) si deduce che il campo di spostamenti è il seguente :

uK

Gx x

uK

Gx x

u

1 2 3

2 1 3

3

2

2

0

= −

=

=

(6.78)

da cui segue che il centro di torsione Ct coincide con il baricentro, che le sezioni rette

si mantengono piane, ruotando rigidamente intorno al baricentro, essendo la rotazione :

ϕ3

3

0

3=M

GJx (6.79)

Riguardo, in ultimo, allo stato di deformazione, è facile provare che le componenti

εij valgono :

ε ij

M

GJx

M

GJx

M

GJx

M

GJx

=

0 02

0 02

2 20

3

0

2

3

0

1

3

0

2

3

0

1

(6.80)

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Cap. VI TORSIONE 1

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6.9.6 Sezione rettangolare

Si consideri una sezione rettangolare di lati 2a e 2b con a b≥ (v. fig. 6.25) .

Fig. 6.25

Nel riferimento ( )x y, il problema al contorno (6.59), essendo :

sui lati x a n

sui lati y b n

= ± ⇒ = ±

= ± ⇒ = ±

( , )

( , )

1 0

0 1

Si riduce a :

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Cap. VI TORSIONE 2

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∇ =

= = ±

= ± = ±

2 0ψ

ψ

ψ

in A

d

dny su x a

d

dnx su y b

m (6.81)

Tale problema al contorno non ammette soluzione in forma chiusa, ma è possibile

tuttavia determinarla mediante uno sviluppo in serie di Fourier. Omettendo per

semplicità i passaggi matematici, facilmente reperibili nei trattati classici (6.8), nel

riferimento della figura 6.26 , si perviene a ( )a b> :

( )( )

( )ψ

πx y xy b

k

sinh K x sin K y

K a

k

k

,( ) ( )

cosh ( )= − +

=

∑42 1

2 1

3

2

1

31 1

11

(6.82)

dove :

Kk

b1

2 1

2=

− π

Fig. 6.26

(6.8) ad es. R.Baldacci - Scienza delle Costruzioni - vol.1°,1970 UTET

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Cap. VI TORSIONE 3

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Sostituendo la (6.82) nella (6.60), tenendo inoltre presente che per la sezione

rettangolare di lati 2a e 2b si ha :

( ) ( )J ab a b ab a b0

3 3 2 24

3

4

3= + = +

si perviene alla seguente espressione del fattore di torsione q :

( )

q

a

b

b

a ktgh

k a

bk

=

+

=

4

3

1

16

3

4 1

2 1

2 1

2

2

5

5

π (6.83)

Si noti che q dipende soltanto dal rapporto a/b e, in funzione di questo rapporto di

allungamento si forniscono nella seguente tabella alcuni valori numerici :

a/b 1.0 1.2 1.5 2.0 2.5 3.0 4.0 5.0 10.0 → ∞

q 1.185

6

1.224 1.382 1.820 2.454 3.167 5.037 7.445 28.32

0 → ∞

Se l’allungamento del rettangolo a/b è sufficientemente grande, la Σ nella (6.83)

può arrestarsi al primo termine, ottenendo per la q la seguente espressione

approssimata :

q

a

b

b

a

a

b

b

a

+

=

+

1

43

4

4

1

4 2 5

2

5

2

π.

Tralasciando le espressioni complete della σz x e σz y possiamo limitarci ad

osservare che il loro andamento lungo le mediane del rettangolo è messo in evidenza

nella figura seguente.

La simmetria della sezione comporta G Ct= , quindi il baricentro è anche il centro

di torsione.

L’andamento delle tensioni lungo segmenti paralleli ai lati più corti del rettangolo

non è propriamente lineare, però l’errore che si commette con tale approssimazione è

generalmente trascurabile.

Nei punti A e B (v. fig. 6.27) ossia al centro dei lati più lunghi, si hanno le

massime tensioni tangenziali il cui valore è fornito dalla seguente espressione :

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Cap. VI TORSIONE 4

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Fig. 6.27

σ τπzx

z

k

qM b

J k K a

max

max ( ) cosh( )= = −

=

∑2 18 1

2 1

1

0

2 2

11

(6.84)

e, per la sezione quadrata, con buona approssimazione, si può assumere :

τmax .= 16050

M

Jb

z (6.85)

Quando il rapporto b/a è piccolo (sezione molto allungata), la sommatoria che

compare nella relazione precedente è trascurabile e quindi si ha una buona valutazione

della τmax mediante :

τmax = =2 20

qM

Jb

M

Jb

z z

t

(6.86)

in cui si è posto JJ

qt = 0 .

Dalla (6.84), raggruppando tutti i termini che dipendono dal rapporto di

allungamento che, con riferimento alla figura successiva, ora si esprime mediante h/b

(con b≤h), si perviene alla seguente espressione compatta della tensione tangenziale

massima :

ταmax =1

3

M

b hb

z (6.87)

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in cui il coefficiente α α=

h

bpuò essere facilmente calcolato.

Analogamente si può esprimere la caratteristica di deformazione torsionale

mediante :

kM

Gb hz

z=1

3β (6.88)

in cui è facile verificare che β β=

h

b.

Nella tabella seguente sono indicati alcuni valori di α e β :

h/b 1.0 1.2 1.5 2.0 3.0 10.0 → ∞

α 0.208 0.219 0.231 0.246 0.263 0.312 1/3

β 0.141 0.166 0.196 0.229 0.263 0.312 1/3

Si può vedere che a partire da un certo punto in poi i valori di α e β tendono al

valore di 1/3. Per quelle sezioni per cui è h/b > 10 si può assumere α β= =1

3e le

(6.87) e (6.88) divengono :

τ max = =M

b hb k

M

Gb h

z

z

z

13

3 13

3 (6.89)

da cui si deduce dal confronto con la (6.86), che il momento di inerzia per le sezioni

rettangolari allungate è semplicemente :

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Cap. VI TORSIONE 6

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JJ

qb ht = =

0 31

3 (6.90)

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Cap. VI TORSIONE 1

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6.9.7 La teoria di Bredt per sezioni chiuse in parete sottile

La teoria di Bredt ha il suo fondamento nelle sole equazioni di equilibrio. Infatti

dalla terza equazione indefinita di equilibrio σ σ13 1 23 2 0, ,+ = , si deduce che il vettore

tensione tangenziale ττττ ττττz = = +3 31 32σ σi j , ha divergenza nulla :

div zττττ = 0 (6.91)

Pertanto, se s è una qualunque linea chiusa contenuta nella sezione A ed As è

l’area da essa racchiusa, dal teorema della divergenza si ottiene :

( )div dA dsz

A

z

ss

ττττ ττττ∫ ∫= ⋅ =n 0 (6.92)

Risulta quindi nullo il flusso di ττττ z attraverso una qualunque linea chiusa s.

Se consideriamo due linee di flusso s1 ed s2 del vettore tensione tangenziale ττττ z ed

applichiamo il risultato (6.92) alla linea chiusa ABCD (v. fig. 6.28), in cui i segmenti

AB t e CD t= =1 2 sono ortogonali alla linea media s tracciata fra le s1 ed s2 , e

conveniamo di considerare positivo il flusso entrante e negativo quello uscente,

otteniamo :

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Cap. VI TORSIONE 2

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− ⋅ + ⋅ =∫ ∫ττττ ττττz

A

B

z

C

D

s dt s dt 0 (6.93)

essendo nullo il flusso di ττττ z lungo gli archi BC e DA essendo, per definizione, ττττ z

tangente alle linee di flusso.

Per il teorema della media, la (6.93) si può scrivere nella forma :

− + =τ τz zt t1 1 2 2 0 (6.94)

in cui τ τz ze1 2 denotano il valor medio, sugli spessori t1 e t2 rispettivamente, della

componente di ττττ z nella direzione della linea media s.

Dalla (6.94) si deduce che :

τ τz zt t1 1 2 2= (6.95)

Supponiamo ora che lo spessore t fra le due linee di flusso s1 ed s2 sia molto

piccolo, tanto che si possa ritenere che lungo di esso il vettore ττττ z abbia direzione

costante e ben approssimata dalla tangente alla linea media s e che inoltre il suo

modulo locale τ z sia molto prossimo al suo valor medio lungo lo stesso spessore t.

In tal caso la (6.95), per l’arbitrarietà con cui si sono scelti gli spessori t1 e t2

fornisce il risultato :

τ zt t= cos (6.96)

lungo il canaletto di flusso elementare compreso fra le linee s1 ed s2 .

Si noti che, là dove aumenta la distanza t fra le due linee di flusso, si avrà una

riduzione della tensione tangenziale e viceversa.

Fig. 6.28

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Cap. VI TORSIONE 3

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Possiamo ora calcolare la quota di momento torcente ( )M sz riferita al canaletto di

flusso compreso fra le due linee s1 ed s2 , nell’ipotesi che sia valida la (6.96).

Innanzi tutto si può osservare che la risultante F delle ττττ z sull’area compresa fra le

due linee di flusso è nulla. Infatti, con riferimento alla figura 6.29 e per una arbitraria

direzione r :

Fig. 6.29

si ha :

R tds t dsz

s

z

s

= = =∫ ∫τ α τ αcos cos 0

e quindi per calcolare ( )M sz si può assumere un polo O arbitrario, rispetto al quale

risulta :

M s tds h t hds t Az z

s

z

s

z s( ) = = =∫ ∫τ τ τ 2

essendo As l’area racchiusa dalla linea media s. Si ottiene così la formula di Bredt

(1896):

τ z

z

s

M s

A t=

( )

2 (6.97)

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Cap. VI TORSIONE 4

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che fornisce la tensione tangenziale in funzione del momento torcente Mz(s), che in

genere non è noto se non in alcuni casi particolari, tecnicamente importanti,

rappresentati dalle travi tubolari a parete sottile.

I seguenti sono esempi di sezioni chiuse in parete sottile, dove si considera sottile

una parete quando il quadrato del suo spessore massimo tmax, sia molto minore

dell’area che racchiude:

t Asmax

2<<

In queste sezioni il contorno esterno e quello interno sono certamente linee di

flusso per τ z e quindi è immediatamente applicabile la (6.97) nella quale Mz(s)

coincide con il momento torcente Mz.

Dalla (6.97) si ricava così l’espressione della tensione tangenziale :

τ z

zM

A t=

2l

(6.98)

che agisce sullo spessore t=t(s) del tubo. Generalmente lo spessore t è costante a tratti

e quindi la τ z massima andrà ricercata in corrispondenza di tmin.

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Cap. VI TORSIONE 1

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6.9.8 La teoria di Bredt per la sezione rettangolare allungata

La teoria di Bredt può essere applicata anche ad una sezione che apparentemente non

rientra nella categoria delle sezioni chiuse in parete sottile: la sezione rettangolare

molto allungata ( a a1 2>> ).

Infatti, sotto le seguenti ipotesi :

a) che sia lecito trascurare il contributo delle zone ombreggiate (Fig. 6.30).

b) che le linee di flusso di ττττ z siano parallele ai lati più lunghi del rettangolo tranne che

nelle adiacenze dei lati più corti

è applicabile la formula di Bredt (6.98) per esprimere il contributo al momento

torcente dMz fornito dal canale di flusso elementare generico individuato dalla

posizione x2 della linea media e dallo spessore dx2 .

Fig. 6.30

Infatti dalla (6.98) si deduce immediatamente :

dM A dxz s= −2 31 2σ

dove il segno negativo indica che, nel riferimento adottato, ad Mz > 0 corrisponde una

σ31 0< (v. fig. 6.30).

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Cap. VI TORSIONE 2

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

Ponendo A a xs = ⋅1 22 si ottiene :

dM a x dxz = −4 1 31 2 2σ (6.99)

Le equazioni di Beltrami :

∇ =2 0σhk

nel presente caso si riducono all’unica equazione :

σ σ31 11 31 22 0, ,+ =

dalla quale, essendo dx t2 = cos . lungo un canaletto di flusso e quindi essendo

( )σ σ31 31 2= x , discende che :

σ σ31 22 31 2 10, = ⇒ = − +kx k

e, dalla condizione T1 0= , segue che :

( )T a dx kx k a dx k a dx k1 31 1 2 2 1 1 2 1 1 2 10 0= = − + = = ⇒ =∫ ∫ ∫σ

e quindi la seguente espressione per la σ31 :

σ31 2= −kx (6.100)

che, sostituita nella (6.99), consente di calcolare il momento torcente Mz mediante :

M ka x dx ka x kaa

ka a

z

a a

= =

= =∫4 4

1

34

24 61 2

2

2

0

2

1 2

3

0

2

1

2

3

1 2

32

2

Da questa si ricava il valore della costante k :

kM

a a

z=

6

1 2

3

che sostituito nella (6.100), fornisce l’espressione della tensione tangenziale:

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Cap. VI TORSIONE 3

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σ31

1 2

3 2

6= −

M

a ax

z (6.101)

Resta così provato che per sezioni rettangolari allungate, per le quali siano di

conseguenza trascurabili le zone prossime ai lati corti (v. Fig. 6.30) le tensioni

tangenziali sono parallele ai lati lunghi (τz=σ31) e variano linearmente con x2 lungo le

corde x1=cost. ed attingono il loro valore massimo agli estremi di esse :

σ31

1 2

3

2

1 2

32 2

6

2 1

3

max= − = − = −

M

a a

a M

a a

aM

Ja

z z z

t

(6.102)

avendo posto J a at =1

3 1 2

3 come nella (6.90).

Si può osservare che il valore ottenuto è formalmente identico alla prima delle

(6.89), corrispondente nella teoria rigorosa della torsione, per sezioni rettangolari con

a a1 2 10> .

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Cap. VI TORSIONE 1

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6.9.9 Teoria di Bredt e caratteristica di deformazione nelle travi tubolari a parete

sottile

Si indica ora la strada per calcolare la caratteristica di deformazione torsionale

k z coerentemente con la teoria di Bredt. In virtù del teorema di Clapeyron e ricordando

la definizione di caratteristica di deformazione torsionale (6.73), il lavoro di

deformazione relativo ad un concio infinitesimo di trave dz ha la seguente

espressione :

dL M k dzd z z=1

2 (6.103)

Si può osservare che dLd può essere espresso mediante la densità di energia di

deformazione :

dL dV dz dAd

V

ij ij

A

= =∫ ∫Φ1

2σ ε (6.104)

Ricordando che :

σ ε σ ε σ ε σσ

σσ σ σ τ

ij ij

z

G G G G= + = + =

+=2 2 2

22

231 31 32 32 31

31

32

32 31

2

32

2 2

la (6.104) diviene :

dL dzG

dA dzG

tdsdz

G

t

tdsd

z

A

z

s

z

s

= = =∫ ∫ ∫1

2

1

2 2

2 2 2 2τ τ τ

dove, trattandosi di sezione in parete sottile si è posto dA t ds= .

Per la (6.96) e la (6.97) si ottiene successivamente :

dLdz

Gt

ds

t

dzM

G A

ds

td z

s

z

s s

= =∫ ∫2 2 4

2 2

2

2τ (6.105)

e quindi infine, confrontando le (6.103) e (6.105), si ha :

kM

GA

ds

tz

z

s s

= ∫4 2 (6.106)

che è l’espressione della caratteristica di deformazione torsionale coerente con la teoria

di Bredt.

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Infine ricordando la (6.73) :

kM

GJz

z

t

= (6.107)

segue che è possibile valutare il momento di inerzia ridotto, uguagliando i secondi

membri delle (6.106) e (6.107) :

1 1

4

42

2

J A

ds

tJ

A

ds

tt s s

t

s

s

= =∫∫

(6.108)

dove l’integrale di linea, per le sezioni cave di più frequente impiego, è facilmente

calcolabile.

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6.9.10 Sezioni aperte in parete sottile composte con più rettangoli

Molte sezioni usate nelle costruzioni hanno una forma ottenuta mediante

composizione di rettangoli.

Sono un classico esempio di ciò le seguenti sezioni:

Conoscendo quale parte di momento torcente Mzi compete al rettangolo i mo− in

cui si può pensare scissa la sezione, si possono applicare ad esso i risultati ottenuti al

punto 6.9.7 per il singolo rettangolo allungato.

Ma in generale non si conosce Mzi . Se però si ipotizza che la sezione mantenga la

sua forma, ossia che ruoti rigidamente nel suo piano, allora, per congruenza, ogni

singolo rettangolo ruoterà dello stesso angolo di cui ruota la intera sezione. Si potrà

perciò porre :

k k k kz z z zn= = = = =

1 2... ... (6.109)

Essendo, per la (6.73) :

kM

GJk

M

GJk

M

GJk

M

GJz

z

t

z

z

t

z

z

t

z

z

tn

n

n

= = = =, , , ..., ...,1

1

1

2

2

2

si ha :

M

J

M

J

M

J

M

J

z

t

z

t

z

t

z

t

n

n

= = = = =1

1

2

2

... ... (6.110)

che permette di scrivere:

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Cap. VI TORSIONE 2

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M

J

M

J

z

t

z

i

n

t

i

n

i

i

= =

=

∑1

1

(6.111)

Siccome per l’equilibrio dovrà risultare :

M Mz zi

n

i=

=

∑1

dalla (6.111) segue che :

J Jt tii

n

==

∑1

(6.112)

ossia il momento di inerzia ridotto dell’intera sezione è dato dalla somma dei momenti

di inerzia ridotti delle singole parti componenti la sezione.

Con riferimento alla figura 6.31, se ai e bi sono i lati ( )a bi i> del rettangolo i mo− ,

dalla (6.90) risulta perciò che il momento di inerzia ridotto Jt della sezione composta

da n rettangoli vale:

J a bt i ii

=∑1

33 (6.113)

Fig. 6.31

Con questo risultato è allora possibile calcolare la tensione tangenziale massima

relativa ad ogni rettangolo e la tensione tangenziale massima assoluta:

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Cap. VI TORSIONE 3

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τ z

z

t

i

z

t

ii

i

i

M

Jb

M

Jb

max= = τ z

z

tass

M

Jb

.

max

max= (6.114)

• Confronto fra sezioni chiuse e sezioni aperte

Supponiamo di avere le 2 seguenti sezioni: la prima chiusa e la seconda aperta,

entrambe composte con 4 rettangoli eguali, ciascuno di dimensioni a e t con a >> t. Le

due sezioni hanno perciò la stessa area.

Calcoliamo, per ciascuna delle due sezioni, il momento di inerzia ridotto.

Sezione chiusa :

Dalla (6.108) si ottiene :

JA

ds

t

a

a

t

a tt ch

s

s

= = =

4 4

4

2 4

3

Sezione aperta :

Dalla (6.112) si ottiene :

J a t att ap i ii

n

= ==

∑1

3

4

3

3 3

1

Ne segue che :

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Cap. VI TORSIONE 4

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J

J

a

t

t ch

t ap

= >>

3

41

2

ossia il momento di inerzia ridotto della sezione chiusa è molto più grande di quello

della sezione aperta a parità di area.

Inoltre, a parità di momento torcente applicato Mz , le tensioni tangenziali

massime che si raggiungono nella sezione aperta sono molto maggiori di quelle che si

attingono nella sezione chiusa. Infatti per le (6.114) e (6.98) si può scrivere :

τ

τ

z

z

z

t

z

s

z

z

z

z

ap

ch

M

Jt

M

A t

M

at

t

M

a t

M

at

a t

M

a

t

.

.

max

max = = = = >>

2

4

3

2

3

4

2 3

21

3

2

2

2

Risulta quindi evidente il miglior comportamento della trave tubolare a sezione

chiusa rispetto alla trave a sezione aperta la quale inoltre risulterà molto più

deformabile della prima, come si può facilmente dedurre dal confronto fra i momenti

di inerzia ridotti sopra riportato.

Il confronto può completarsi osservando come si modificano le linee di flusso nei

due casi (v. fig. 6.32) e quale sia il diagramma delle τz lungo lo spessore.

Fig. 6.32

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Cap. VI TORSIONE 1

.F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

6.9.11 Analogia della membrana o di Pradtl

Prandtl osservò che il problema al contorno (6.50) è identico a quello della

inflessione di una membrana elastica sottile, di spessore costante, perfettamente

flessibile, di forma simile a quella della sezione soggetta a torsione, semplicemente

poggiata ed uniformemente tesa sul contorno e caricata ortogonalmente da una

pressione uniforme.

Supponiamo infatti di avere una membrana posta in trazione da forze

uniformemente applicate sul suo contorno e caricata come indicato nella figura 6.33:

Fig. 6.33

Se ( )w w x x= 1 2, è la superficie elastica, p la pressione uniforme ed H la tensione

uniforme esercitata sul contorno della membrana A (v. fig. 6.33) si sa che l’equazione

che risolve il problema è:

∇ =

=

2

0

wp

Hin A

w su A∂

(6.115)

che è identico al problema della torsione :

x2

G

A

x1

H

H

p

H

w(x1, x2)

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Cap. VI TORSIONE 2

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∇ =

=

2 2

0

f in A

f su A∂

(6.116)

in termini di funzione degli sforzi se si pone :

f x xH

pw x x( , ) ( , )1 2 1 22= (6.117)

come si prova facilmente, sostituendo la (6.117), nelle (6.116). Questo risultato rende

possibile esprimere le tensioni tangenziali in termini di w ; infatti, ricordando le (6.51)

e (6.61) :

σ σ31 2 32 12 2= − =

Kf

Kf, , con

Kq

M

J

z

2 0

=

e sostituendo in esse l’espressione di f(x1,x2) fornita dall’analogia (6.117), si ottiene :

σ σ31

0

2 32

0

12 2= − =qM

J

H

pw q

M

J

H

pw

z z

, , (6.118)

Inoltre, essendo :

( )M x x dAz

A

= −∫ σ σ32 1 31 2

in virtù delle (6.50) e della (6.117) si perviene a :

( ) ( ) ( )MK

f x f x dAK

fx fx dA f f dAz

A A A

= + = + − +

=∫ ∫ ∫

2 21 11 1 2 2 1 2, ,

= − = − = − = −∫ ∫ ∫K

fdA K fdA KH

PwdA q

M

J

H

PV

A A A

z

m22 2 2 2

0

(6.119)

essendo chiaramente Vm il volume della regione dello spazio delimitata dalla superficie

elastica della membrana e dal piano x1, x2 .

Proseguendo dalla (6.119) si ottiene:

J

q

H

PVm

04= (6.120)

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Cap. VI TORSIONE 3

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Tale equazione, dal momento che J0 è facilmente calcolabile, H e p sono noti,

fornisce il valore di q e quindi anche quello di J t , a patto di poter misurare

sperimentalmente Vm .

Indicando con s le curve di livello della superficie elastica w, ossia il luogo dei

punti sui quali risulta ( )w x x t1 2, cos .= e quindi sui quali è :

dw

ds= 0

essendo s l’ascissa curvilinea sulla generica curva di livello, sulla quale, essendo

( ) ( )[ ]w w x s x s= 1 2, , si trae :

dw

dsw

dx

dsw

dx

dsw w= + = + =, , , ,1

1

2

2

1 1 2 2 0β β

in cui si è posto (v. fig. 6.34) :

Fig. 6.34

w=0

w=cost

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Cap. VI TORSIONE 4

.F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

dx

ds

dx

ds

1

1

2

2= =β β;

essendo β β1 2e i coseni direttori del versore tangente t alla curva di livello s. Dalle

(6.118) segue quindi che :

σ β σ β32 1 31 2 0− =

Introducendo i coseni direttori α α1 2e del versore n , si ottiene :

− − = ⇒ ⋅ =σ α σ α τ32 2 31 1 0 0z

n

Questo risultato esprime che la tensione tangenziale totale in un punto qualunque è

tangente ad s ; si può perciò affermare che le curve di livello della superficie elastica

della membrana coincidono con le linee di flusso delle tensioni tangenziali della

torsione.

Il modulo del vettore tensione tangenziale si può calcolare mediante :

ττττ ττττz z z= = ⋅ = +τ σ β σ βt 31 1 32 2

da cui, per le (6.118), si perviene a :

( )τ β βz

zqM

J

H

Pw w= − + =

0

2 1 1 22 , , ( )qM

J

H

Pw w q

M

J

H

P

dw

d

z z

0

2 2 1 1

0

2 2, ,α α+ =n

Resta così dimostrato che il modulo della tensione tangenziale ττττ z è proporzionale,

in ogni punto, alla massima pendenza dw

dndella superficie elastica della membrana nel

punto corrispondente.

Se si rappresenta la superficie elastica ( )w w x x= 1 2, sul piano x x1 2, con la tecnica

delle curve di livello ottenute sezionando la membrana con piani x t3 = cos .

equidistanti, si ha una lettura immediata dell’andamento delle ττττ z . Là dove le curve di

livello sono più fitte si hanno pendenze più forti e quindi tensioni tangenziali più

elevate. Le pendenze più elevate si presentano su quei punti del contorno che sono più

vicini al punto di ordinata massima (o minima). Tale punto, che ovviamente

corrisponde al centro di torsione (τz=0), è facilmente individuabile nella medesima

rappresentazione in quanto in esso la curva di livello si riduce ad un punto. In tal modo

si individuano i punti della sezione dove si avranno le massime ττττ z .

L’analogia della membrana può essere utilizzata ricorrendo a semplici dispositivi

sperimentali, in scala appropriata, impiegando ad es. sottili pellicole di oleato sodico

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Cap. VI TORSIONE 5

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(sapone) tese su di un foro praticato in un lamierino di alluminio ed esercitando su di

esse una leggera depressione.

Tuttavia anche senza ricorrere ad una effettiva sperimentazione, l’analogia aiuta a

visualizzare la soluzione del problema della torsione, seppure soltanto in maniera

qualitativa, anche in sezioni di forma irregolare (ad es. è abbastanza semplice intuire

dove la pendenza della superficie elastica della membrana, e quindi la ττττ z , è massima).

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Cap. VI TORSIONE 1

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6.9.12 Analogia idrocinetica o di Greenhill

Oltre all’analogia della membrana è interessante, principalmente dal punto di vista

qualitativo l’analogia idrocinetica suggerita da Greenhill, per lo studio della torsione. Prendiamo un cilindro cavo che abbia per base la sezione della trave ed al cui

interno vi sia un fluido perfetto e incomprimibile, e poniamolo in rotazione attorno ad un asse parallelo alle generatrici, in maniera tale che dopo un certo intervallo di tempo il fluido abbia assunto un moto solidale con il cilindro stesso, arrestando improvvisamente la rotazione del cilindro, si vede che il fluido, almeno negli istanti iniziali, continua a muoversi per inerzia di moto piano stazionario.

Con riferimento a tale moto, detta v la velocità del fluido in un punto generico di coordinate ( )x x1 2, , risulta (Fig. 6.35):

v x v x1 2 2 1= − =ω ω (a)

dove ω indica la velocità angolare di rotazione, supposta costante. Trattandosi di moto piano possiamo porre :

v i j= +v v1 2 . Essendo per ipotesi il fluido incomprimibile, il fluido entrante sarà uguale al

fluido uscente attraverso una qualunque linea chiusa s. Ciò significa che :

v n⋅ =∫ dss

0

e, per il teorema della divergenza e l’arbitrarietà della linea chiusa s, che :

divv = 0 (6.121)

Inoltre, per la stazionarietà del moto risulta :

( ) ( )v v v= =x x t x x1 2 1 2, , ,

cioè la velocità è indipendente dal tempo e quindi il percorso di una particella di fluido coincide con la linea di corrente, ossia con la linea che ha in ogni punto come tangente la velocità v.

Dalla espressione :

( )rot v vv k= −2 1 1 2, ,

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Cap. VI TORSIONE 2

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essendo k il versore dell’asse x3 e dalle relazioni (a) segue che :

rot v k= 2ω (6.122)

Fig. 6.35

Il moto del fluido, nelle ipotesi su descritte, è quindi retto dalle equazioni (6.121), (6.Errore. Il segnalibro non è definito.) a cui va aggiunta la condizione che sul contorno del cilindro le particelle fluide abbiano velocità ad esso tangente, ossia :

div in A

rot in A

su A

v

v k

v n

=

=

⋅ =

0

2

0

ω

(6.122)

È facile provare che le (6.122) implicano un problema al contorno identico a quello della torsione. Infatti, la prima di esse, scritta in forma scalare,

v v1 1 2 2 0, ,− =

è interpretabile come condizione di integrabilità per la forma differenziale :

ν ν2 1 1 2dx dx−

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Cap. VI TORSIONE 3

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Esiste pertanto nel dominio A una funzione ( )h x x1 2, , detta funzione di corrente, tale

che :

v h2 1= , v h1 2= − ,

Sostituendo queste ultime nella seconda delle (6.122), che in forma scalare diviene :

v v2 1 1 2 2, ,− = ω

si trova :

h h h, ,11 222 2+ = ∇ = ω

da cui, se la velocità angolare ω è unitaria segue:

∇ =2 2h , in A Infine, dalla terza delle (6.122) discende che :

h = 0 su ∂ A . Resta così provato che la funzione di corrente ( )h x x1 2, è formalmente identica alla

funzione degli sforzi (6.50) e quindi, dal confronto con la (6.51) si deduce :

σ

σ

31 13

01

32 23

02

2

2

= =

= =

kv q

M

Jv

kv q

M

Jv

ossia le tensioni tangenziali sono proporzionali alle corrispondenti componenti della velocità del fluido.

Alle linee di flusso di ττττ z corrispondono le linee di corrente. La sperimentazione suggerita dalla analogia idrocinetica presenta maggiori difficoltà di quella legata alla analogia della membrana sulla quale tuttavia conserva una migliore possibilità di previsione qualitativa. È infatti relativamente agevole prevedere, anche se solo approssimativamente, l’andamento delle linee di corrente anche in sezioni di forma irregolare.

Se si disegnano le linee di corrente in maniera tale che per ogni coppia di esse (contigue) la portata sia costante, si vede che la velocità del fluido è tanto maggiore

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Cap. VI TORSIONE 4

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quanto più tali linee si addensano e perciò la ττττ z sarà inversamente proporzionale alla distanza mutua fra le linee di corrente.

Nei punti X degli spigoli rientranti (Fig. 6.36.a) la distanza tra due linee di corrente tende a zero, di conseguenza la velocità tende ad infinito e corrispondentemente la tensione tangenziale (tale situazione nella pratica non accade per l’impossibilità materiale di realizzare un spigolo perfetto, occorre tuttavia cercare di diminuire il valore della tensione tangenziale in tali punti realizzando sempre un certo “addolcimento dello spigolo”).

Viceversa nei punti Y degli spigoli sporgenti (Fig. 6.36.a) si creano delle zone morte dove la velocità e quindi la tensione tangenziali sono nulle. Particolarmente utile risulta infine l’analogia idrocinetica nello studio degli effetti prodotti da fori, intagli e più in generale da ostacoli frapposti al moto del fluido che obbligano le linee di corrente a ripiegarsi e ad addensarsi come indicato qualitativamente nella figura 6.36.b.

Fig. 6.36 a

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Cap. VI TORSIONE 5

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Fig. 6.37 b

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 1

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6.10 FLESSIONE COMPOSTA

6.10.1 Azioni sulle basi

In tale caso, come già visto al punto 6.4.2, sono verificate le seguenti condizioni sulle

basi x l3 = :

$ $ $ $N M M M= = = =1 2 3

0 $ $T T1 2

0 0≠ ≠

e quindi in ogni sezione avremo al più le seguenti caratteristiche di sollecitazione

diverse da zero :

( )

( )

T T

T T

M T l x

M T l x

1 1

2 2

1 2 3

2 1 3

=

=

= − −

= −

$

$

$ $

$ $

(6.124)

Si ha presenza di momento flettente e di taglio e perciò questo quarto caso di

sollecitazione prende il nome di flessione composta.

Sulla base x3 0= , per l’equilibrio, le azioni applicate devono risultare equivalenti

a :

− − = = −$ ; $ ; $ $ ; $ $T T M T l M T l1 2 1 2 2 1 (6.125)

Avuto riguardo alle (6.10.a) possiamo porre sulla base x l3 = :

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 2

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$ $ $f f f1 2 30 0 0≠ ≠ = (6.126)

con $f1 e $f

2 tali da verificare le condizioni :

$ $ ; $ $ ; $ ( $ $ )T f dA T f dA M f x f x dAA A A

1 1 2 2 3 2 1 1 2 0= = = − =∫ ∫ ∫

mentre sulla base x3 0= :

$ $ $f f f1 2 30 0 0≠ ≠ ≠ (6.127)

e tali da ammettere le risultanti (6.125).

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 1

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6.10.2 Stato di tensione : tensione normale

Abbiamo visto che la più generale espressione della tensione normale σ33

nella

trave di Saint Venant è data dalla (6.9) :

σ33 1 2 1 1 1 1 2 3

= + + + + +a bx cx a b x c x x( )

nella quale compaiono ben 6 costanti di integrazione, che si riducono subito a 3 dal

momento che in x l3

= si ha σ33 3

0= =$f , ossia :

a bx cx a b x c x+ + + + + =1 2 1 1 1 1 2

0( )l

Questa espressione introdotta nella precedente (6.9), fornisce la tensione normale

σ33

a meno di 3 sole costanti :

σ33 1 1 1 1 2 3

= + + −( )( )a b x c x x l (6.128)

Sfruttando poi il fatto che in x3 0= deve risultare :

( ) ( )

( ) ( )

N

M T x T x T

M T x T x T

=

= − − = − − = −

= − = − =

0

1 2 3 2 3 2

2 1 3 1 3 1

$

$

l l l

l l l

si perviene al seguente sistema di 3 equazioni algebriche nelle 3 incognite a b c1 1 1, , :

( )

( )

( ) ( )

− + + =

− + + = −

+ + =

=

+ =

+ =

a b x c x dA

a b x c x x dA T

a b x c x x dA T

a A

b J c J T

b J c J T

A

A

A

1 1 1 1 2

1 1 1 1 2 2 2

1 1 1 1 2 1 1

1

1 12 1 1 2

1 2 1 12 1

0 0l

l l

l l

l

l l l

l l l

(6.129)

Risolvendo il sistema ottenuto e sostituendo i valori di a b c1 1 1, , così determinati

nella (6.128) siamo in grado di conoscere l’espressione della tensione σ33

.

Tuttavia se come assi di riferimento si scelgono quelli principali centrali di

inerzia, portando x1 in ξ e x

2 in η , il sistema (6.129) si riduce a forma canonica :

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 2

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a

c J T

b J T

a

b T J

c T J

1

1

1

1

1

1

0 0=

=

=

=

=

=

ξ η

η ξ

ξ η

η ξ

dando così luogo, per sostituzione dei valori trovati nella (6.128), alla espressione :

( )σ ξ ηξ

η

η

ξ

33 3= +

T

J

T

Jx l (6.130)

che si semplifica ulteriormente, quando si tenga conto che, nel riferimento ( )ξ η, le

ultime due delle (6.124) forniscono :

( ) ( )

( ) ( )

M T x T x

M T x T x

ξ η η

η ξ ξ

= − − = −

= − = − −

l l

l l

3 3

3 3

(6.131)

Infatti, sostituendo le (6.131) nella (6.130) si perviene a :

σ η ξξ

ξ

η

η

33= −

M

J

M

J (6.132)

che è un’espressione formalmente identica a quella della flessione pura, (6.16) con la

differenza che in questo caso M Mξ η, sono variabili da sezione a sezione e non più

costanti.

L’identità formale delle (6.132) con la (6.16) consente di utilizzare, sezione per

sezione, i risultati già ricavati nel caso della flessione semplice, in particolare per

quanto riguarda la ricerca dell’asse neutro e dell’asse di flessione.

Se s è l’asse di sollecitazione, individuato dalla direzione del taglio risultante :

T i j= +T T1 2

come si può constatare dalla figura 6.37,

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 3

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Fig. 6.37

nel sistema di riferimento ( )G x y, , , asse neutro, asse di flessione, la (6.132) si riduce

alla formula di Navier (6.20):

σ σ33

= = = −−

=−

zz

x

x

y

x

y

x

M

Jy

T z

J

T z

J

( ) ( )l l (6.133)

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 1

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6.10.3 Stato di tensione : tensioni tangenziali

Dalla terza equazione di Cauchy (6.4) scritta nel riferimento ( )x y, asse neutro,

asse di flessione, tenendo conto dell’espressione (6.133) per la σzz si perviene a :

σ σxz x yz y

y

x

T

Jy, ,+ + = 0 (6.134)

da cui trae la condizione :

− = +

σ σxz x yz

y

x y

T

J

y,

,

2

2

che può essere interpretata, con ragionamento analogo a quello che ci ha portato, nel caso della torsione, alla (6.41), come condizione di esistenza di una funzione ( )f x y

* ,

tale che :

( )df x yT

J

ydx dyyz

y

x

xz

* , = +

−σ σ

2

2 (6.135)

L’esistenza di tale primitiva ( )f x y*

, implica le relazioni :

σ

σ

xz y

yz x

y

x

f

fT

Jy

= −

= −

,

*

,

* 1

22

(6.136)

Come per la torsione, anche in questo caso di sollecitazione, la determinazione delle due funzioni incognite σxz , σ yz , è ricondotta alla ricerca di una sola funzione

( )f x y*

, risultando con ciò così automaticamente verificata l’equazione di Cauchy

(6.134). Per determinare la ( )f x y

*, sono ancora disponibili le equazioni di Beltrami (6.8)

che, tenuta presente la (6.133), divengono :

( )

∇ =

+ ∇ + =

2

2

0

1 0

σ

ν σ

xz

yz

y

x

T

J

(6.137)

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 2

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

mentre dalle (6.136) è possibile ricavare :

∇ = −2f yz x xz y

*

, ,σ σ

e successivamente da quest’ultima, tenuta presente la (6.134), si ottiene :

( )

( )

∇ = − = −+

− −

∇ = − = +

2

2

1

1f

T

J

f

xyz xx xz yx

y

x

yz yy xz yx

yyz xy xz yy yz xy xz xx

*

,, , , ,

*

,, , , ,

σ σν

σ σ

σ σ σ σ

(6.138)

Le (6.138), per la (6.134) danno luogo a :

( ) ( )

( ) ( )

∇ = −+

− + = −+

+ =+

∇ = − =

2

2

1

1

1

1 1

0

fT

J

T

J

T

J

T

J

f

x

y

x

xz x yz yy

y

x

y

x

y

x

yxz x yz y

x

*

,, , ,

*

,, , ,

νσ σ

ν

ν

ν

σ σ

(6.139)

e, integrando, portano all’equazione differenziale :

( )∇ =+

+2

1f x y

T

Jx K in A

y

x

*,

ν

ν (6.140)

dove K è una costante di integrazione.

All’equazione di campo ora trovata si associa la condizione al contorno :

σ α σ αxz x yz y+ = 0 (6.141)

che, con riferimento alle notazioni della figura 6.38, dove, come già fatto in precedenza, si usa per semplicità, lo stesso simbolo per indicare l’angolo ed il coseno dello stesso angolo, avuto riguardo alle (6.136), si riduce a :

− − = −f fT

Jy

x x x y

y

x

x,

*

,

*β β β

1

22

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 3

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

Fig. 6.38

e, posto βx

dx

ds= , dà luogo a :

− × = −grad fT

Jy

dx

ds

y

x

*t

1

22

ossia :

d f

ds

T

Jy

dx

ds

y

x

*

= −1

22

che, integrata lungo il contorno s della sezione, sulla quale si prende un punto arbitrario come origine delle ascisse, dà :

( )f x yT

Jy dx k su A

y

x

s*

, = +∫1

22

0

∂ (6.142)

con k costante arbitraria. In conclusione, il problema, della flessione composta implica la determinazione

delle tre funzioni σzz ,σxz ,σ yz .

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 4

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Per quanto riguarda la σzz la soluzione è disponibile in forma chiusa ed è data dalla (6.133) ; per quanto riguarda invece la determinazione delle tensioni tangenziali σxz ,σ yz , occorre risolvere il problema di Dirichelet generalizzato (6.140) e (6.142)

nella funzione incognita ( )f x y*

, :

( )

( )

∇ =+

+

= +

2

2

0

1

1

2

f x yT

Jx K in A

f x yT

Jy dx k su A

y

x

y

x

s

*

*

,

,

ν

ν

(6.143)

È immediato constatare che il problema al contorno (6.143) così ottenuto, può essere scisso nei due problemi nelle funzioni ( )f x y

* , e ( )f x yT , :

( )∇ =

=

2f x y K in A

f k su A

*

*

,

(6.144)

( )

( )

∇ =+

=

2

2

0

1

1

2

f x y x in A

f x y y dx su A

T

T

s

,

,

ν

ν

(6.145)

essendo chiaro che risulta :

( ) ( ) ( )f x y f x yT

Jf x y

y

x

T* *, , ,= + (6.146)

Emerge così chiaramente che il problema della flessione composta, per quanto attiene alla determinazione delle tensioni tangenziali, consta della somma dei due contributi secondo la (6.146) ciascuno dei quali è ricondotto alla soluzione di un problema di Dirichelet generalizzato. Si può poi prendere atto che il primo dei due problemi, il (6.144), è identico a quello della torsione (6.48) e pertanto può essere anche convertito in termini di funzione degli sforzi ( )f x y, ovverosia di funzione di

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 5

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ingobbamento ( )ψ x y, secondo le (6.50) o le (6.59), pervenendo così allo stato di

tensione tangenziale che può essere espresso ad es. mediante le (6.57) :

( ) ( )τ ψ τ ψxz

M

x yz

M

y

Ky

Kx0 0

2 2= − + = − −, ,; (6.147)

in cui sono stati adottati i simboli τ τxz

M

yz

Me0 0 per le tensioni tangenziali associate alla

torsione, mentre si indicano con τ τxz

T

yz

Te quelle associate al taglio che chiaramente

saranno date dalle relazioni :

τ τxz

T y

x

y

T

yz

T y

x

x

TT

Jf

T

Jf y= − = −

, ,;

1

22 (6.148)

dedotte dalle (6.136) ove si tenga conto della posizione (6.146). Le tensioni tangenziali (6.136) si otterranno semplicemente come somma delle

(6.147) e (6.148):

τ τ τ

τ τ τ

xz xz

M

yz

T

yz yz

M

yz

T

= +

= +

0

0 (6.149)

ovverosia :

( )

( )

τ ψ

τ ψ

xz x

y

x

y

T

yz y

y

x

x

T

Ky

T

Jf

Kx

T

Jf y

= − + −

= − − + −

2

2

1

22

, ,

, ,

(6.150)

Dalla torsione sappiamo che le tensioni tangenziali (6.147) hanno come unica risultante un momento torcente, che ora indichiamo con Mz

0 e che per la (6.61) vale :

MK J

qz

0 0

2= (6.151)

Le tensioni tangenziali (6.148), associate al solo taglio, ammettono anch’esse, come risultante oltre al taglio T1 un momento torcente Mz

T , che si può calcolare mediante :

( ) ( )M x y dAT

Jxf yf xy dAz

T

yz

T

xz

T

A

y

x

x

T

y

T

A

= − = + −

∫ ∫τ τ , ,

1

22 (6.152)

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 6

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Per l’equilibrio della trave, essendo sulle basi $M3 0= , deve essere :

M Mz z

T0 0+ = (6.153)

Questa relazione consente di determinare la costante K che compare sulla (6.151) :

( )KJ

qM

J

q

T

Jxf yf xy dAz

T y

x

x

T

y

T

A

= − = − + −

∫2 2

1

20 0 2

, , (6.154)

Se, una volta risolto il problema al contorno (6.145) nella ( )f x yT , , si assume per

la costante K proprio il valore dedotto dalla precedente (6.154), allora il momento torcente risultante dalle tensioni tangenziali τ τxz yze date dalle (6.149) è nullo.

È interessante infine notare che in questo caso, unico fra quelli in cui è stato diviso il problema di Saint-Venant, la soluzione (6.145) e quindi la distribuzione delle tensioni tangenziali, dipende dal coefficiente di Poisson.

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 1

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6.10.4 Centro di taglio

Da quanto esposto nel precedente punto 6.10.3, emerge che il problema del taglio

è rappresentato dalle (6.145) a cui resta associato lo stato di tensione tangenziale (6.148).

Supponiamo che gli assi ( )x y, siano assi principali di inerzia e perciò li

indicheremo con ( )ξ η, e limitiamoci al caso in cui il taglio T , baricentrico, sia diretto

secondo l’asse η e quindi sia T T= η (nella Fig. 6.39 è indicato anche il caso T=Tξ).

È facile provare che possiamo ricondurre questo caso alla somma dei due effetti suggeriti dalle (6.149), come indicato nella figura 6.39.

Fig. 6.39

1° effetto

Se poniamo K = 0 nelle (6.150), per la (6.151), risulta Mz

0 0= . Lo stato di tensione tangenziale, in tal caso, sarà quello corrispondente alle (6.148), che, come abbiamo visto, ammette il momento torcente risultante Mz

T dato dalla (6.152). Ciò

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 2

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implica che il taglio Tη non passa per il baricentro ma presenta una eccentricità ξT (v.

fig. 6.39) data da :

ξη

T

z

TM

T= (6.155)

2° effetto Al 1° effetto occorre sommare quello torsionale prodotto dal momento torcente

Mz

0 dato dalla (6.151) che, per la (6.153) e la (6.155), vale :

M M Tz z

T

T

0 = − = − η ξ

a questo momento torcente resta associato lo stato di tensione tangenziale, tipico della torsione, espresso dalle (6.147). Se ripetiamo lo stesso ragionamento con riferimento al taglio baricentrico agente lungo l’altra direzione principale T T= ξ , giungeremo a

definire l’eccentricità ηT e quindi ad individuare il punto :

( )CT T T≡ ξ η, (6.156)

che prende il nome di centro di taglio.

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Cap. VI TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO 1

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6.10.5 Teoria approssimata del taglio

Abbiamo visto che la ricerca delle tensioni tangenziali condotta, in via rigorosa,

attraverso la soluzione del problema al contorno (6.143) nella funzione incognita ( )f x y

* , , avuto riguardo alle (6.136), presenta qualche difficoltà, anche per sezioni di

forma semplice. Fortunatamente si dispone di una trattazione semplice, approssimata, dovuta a

D.J.Jourawski e perciò nota anche col nome di teoria di Jourawski, che rappresenta la strada normalmente utilizzata nelle applicazioni per la determinazione delle tensioni tangenziali.

Consideriamo una generica sezione della trave di Saint-Venant ed una corda BC che la divida in due parti A1 e A2 .

Fig. 6.40

Assumiamo il riferimento intrinseco alla corda costituito dagli assi coordinati

ortogonali l, r con r rivolto verso A1 (v. fig. 6.40), ed esprimiamo l’equilibrio alla traslazione lungo z del concio elementare di trave delimitato dai piani z z dz, + e dall’elemento piano b dz (v. fig. 6.41).

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Cap. VI TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO 2

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Fig. 6.41

A tale scopo si dovranno considerare le azioni dirette secondo l’asse z che si

esplicano sul concio elementare attraverso le superfici che lo delimitano e cioè le superfici verticali ( ) ( )A z A z dz1 1, + e quella staccata dalla corda b (bdz ).

Scriveremo perciò :

( )σ σ σ τzz zz z

A

zz

A

rz

b

dz dA dA d dz+ − − =∫ ∫ ∫,

1 1

0l

da cui segue :

τ σrz

b

zz z

A

d dAl∫ ∫= ,

1

(6.157)

Dalla (6.133) segue che :

σzz z

y

x

T

Jy, =

e quindi :

τrz

b

y

x A

y

x

xdT

JydA

T

JSl∫ ∫= =

1

1 (6.158)

in cui Sx1 indica il momento statico dell’area A1 rispetto all’asse neutro x .

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Cap. VI TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO 3

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

È immediato verificare che il primo membro della (6.157) rappresenta il flusso ( )ϕ b del vettore ττττ z attraverso la corda BC , assunto positivo se entrante in A1 . Infatti

risulta :

( ) ( )ϕ τb d dz

b

zr

b

= ⋅ =∫ ∫ττττ r l l (6.159)

Se indichiamo con τzr il valor medio di τzr sulla corda BC , per definizione, si ha :

τ τzr zr

bb

d= ∫1

l (6.160)

Sostituendo la (6.160) nella (6.158)), in virtù della reciprocità delle tensioni tangenziali τ τzr rz= , si ottiene la seguente formula di Jourawski:

τ zr

y x

x

T S

J b=

1 (6.161)

nella quale i simboli riportati hanno il seguente significato : Ty = componente del taglio T lungo l’asse di flessione ;

S x1 = momento statico dell’area A1 rispetto all’asse neutro ;

Jx = momento di inerzia dell’intera sezione rispetto all’asse neutro ;

b = lunghezza della corda BC .

La (6.161) esprime, in una qualunque sezione retta del cilindro di Saint-Venant, la media delle tensioni tangenziali che si esercitano sulla corda BC nella direzione r, ortogonale alla medesima corda. Il metodo per giungere alla formula di Jourawski (6.161) è del tutto indipendente dalla particolare corda prescelta, fermo restando che essa deve essere tale da dividere in due parti la sezione della trave. Essa può perciò essere costituita da più parti indipendenti ed avere forma poligonale o curvilinea. La particolare forma della sezione potrà richiedere il ricorso a qualunque di queste corde. Ad es. nel caso di sezioni a connessione multipla può risultare necessario tagliare la sezione in più punti per dividerla in due parti.

La teoria di Jourawski è perfettamente lecita per determinare la tensione tangenziale media τzr sulla corda b, diventa invece più o meno approssimata quando si ipotizza di poter confondere, come si fa nelle applicazioni, tale media con il valore locale :

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Cap. VI TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO 4

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τ τzr zr= (6.162)

Questa ipotesi è ammissibile nei casi in cui la lunghezza b sia tanto piccola da poter ritenere che i valori di τzr alle estremità della corda differiscono di poco. Quando invece si assume che :

τ τ τzr z z= = (6.163)

occorre accertarsi che, oltre all’ipotesi precedente sulla lunghezza della corda, le tangenti al contorno alle estremità della corda siano ortogonali alla corda stessa. In tal caso infatti risulta rigorosamente τ τzr z= alle estremità di b, potendo ritenere che tale uguaglianza sia sufficientemente verificata anche nei punti interni della corda, data la sua piccolezza.

Tali osservazioni suggeriscono di scegliere, tra il fascio di corde passanti per il punto P della sezione, quella che ottimizza la condizione di relativa piccolezza di b e di ortogonalità delle tangenti al contorno alle estremità di b.

Si noti che, se anziché all’area A1 , ci si riferisce all’area complementare A2 , nella

(6.50) cambia il segno del momento statico S x1 dal momento che :

S S S Sx x x x1 2 2 10+ = ⇒ = − (6.164)

e contemporaneamente cambia il verso di r che, per ipotesi, è entrante nell’area che si considera.

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Cap. VI TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO 5

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Il risultato è che il valore di τzr fornito dalla (6.161) è indifferente rispetto alla scelta di una delle due aree in cui la corda b divide la sezione.

Merita infine rilevare che lo stato di tensione tangenziale ottenuto con la teoria approssimata del taglio non dipende dal coefficiente di Poisson, contrariamente a quanto richiesto dalla soluzione rigorosa.

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Cap. VI TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO 1

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6.10.6 Teoria approssimata del taglio : sezioni simmetriche

Supponiamo che il taglio T agisca secondo un asse di simmetria della sezione che

perciò darà luogo ad una sollecitazione di taglio retto ; asse di sollecitazione ed asse di flessione risultano coincidenti (v. fig. 6.42) .

Considerando corde parallele all’asse neutro x, la (6.161) e l’approssimazione (6.162) forniscono :

τ zy

y x

x

T S

J b=

1 (6.164)

Fig. 6.42

Sulla tensione tangenziale τ zy espressa dalla (6.164) si osserva facilmente che :

1) ( )τ τzy zy y= ovverosia la τ zy non dipende da x ;

2) per Ty ≥ 0 risulta τzy ≥ 0 ;

3) ( ) ( )τ τy y1 2 0= = ossia la τ zy è nulla ai lembi della sezione ;

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Cap. VI TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO 2

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4) il prodotto τzy

y

x

xbT

JS= 1 attinge il valore massimo in corrispondenza della corda

baricentrica ; 5) La τ zy raggiunge il valore massimo là dove risulta :

τzy y, = 0

ossia dove è verificata la condizione :

bS S bx y x y1 1 0, ,− = (6.165)

dedotta dalla (6.164). Dato che per y = 0 risulta S x y1 0

,= , se risulta anche b y, = 0 , allora è verificata la

(6.165) e possiamo concludere che la τ zy prende il valore massimo sulla corda

baricentrica. Va da sé che se ( )b b y= presenta un massimo od un minimo in y = 0 , oppure è

costante nel suo intorno siamo nel caso ora descritto e la tensione tangenziale raggiunge il valore massimo proprio sull’asse neutro. È questo il caso più frequente nelle applicazioni. Ove però si tenga conto che ( )b b y= può presentare degli

andamenti del tutto arbitrari, occorre confrontare il valore ( )τzy 0 con eventuali altri

punti di massimo interni al dominio ( )− ≤ ≤y y y2 1 o eventuali punti di discontinuità

della funzione ( )b b y= , come capita ad es. nella sezione di figura 6.43 dove si vede

chiaramente che il valore massimo della τ zy non è raggiunto sulla corda baricentrica

che è sede invece di un massimo relativo.

Fig. 6.43

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Cap. VI TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO 3

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Per le sezioni simmetriche sollecitate da T Ty= , come nel caso che stiamo qui

studiando, è anche possibile, con sole considerazioni di equilibrio, determinare, sui punti delle corde b parallele all’asse neutro x, anche la τzx (v. fig. 6.44).

Infatti, scrivendo la terza equazione di Cauchy :

τ τ σzx x zy y zz z, , ,+ + = 0

derivando rispetto ad x e ricordando che gli ultimi 2 termini del primo membro sono indipendenti da x , si ottiene :

τzx xx, = 0

da cui, integrando, si trova :

τzx Ax B= + (6.166)

Questo risultato mostra che il diagramma delle tensioni tangenziali τzx lungo la corda b, ha andamento lineare.

Fig. 6.44

B C

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Cap. VI TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO 4

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Le condizioni al contorno :

τ τ βzx zy

btg±

=

2m

come si deduce immediatamente dal particolare riportato nella figura 6.44, permettono poi di determinare le costanti di integrazione A e B e quindi di giungere alla seguente espressione :

τβ

τzx zy

tg

bx= −

2 (6.167)

È immediato verificare che la tensione tangenziale totale ττττ z nel generico punto P

della corda b è diretta secondo la congiungente PD , essendo D il punto di incontro delle due tangenti al contorno nei punti di estremità della corda medesima, come risulta dal particolare della figura 6.44. Per la supposta simmetria della sezione, il punto D si troverà sull’asse y.

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 1

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6.10.7 Caratteristiche di deformazione

Rinunciando allo studio puntuale della deformazione, che richiederebbe la

conoscenza del tensore della deformazione ε ij , limitiamoci a descrivere la

deformazione globale della sezione mediante le caratteristiche della deformazione. La deformazione globale può vedersi come somma degli effetti deformativi

derivanti dal solo taglio e dalla sola flessione operando la separazione delle due sollecitazioni, così come abbiamo già fatto nello studio tensionale.

Caratteristica di deformazione flessionale

Il momento flettente, per quanto visto al punto 6.10.2 induce una σ33 , che, nel

riferimento principale ( )ξ η, ha l’espressione (6.132) :

σ η ξξ

ξ

η

η33 = −

M

J

M

J

e nel riferimento, asse neutro-asse di flessione ( )x y, ha l’espressione monomia

(6.133) :

σ33 =M

Jy

x

x

dove, a differenza delle corrispondenti espressioni della flessione pura (6.16) e (6.20) ora i momenti flettenti non sono costanti per tutta la trave.

È immediato da qui concludere che la σ33 indurrà una rotazione relativa fra due sezioni a distanza dz , che può essere valutata mediante la (6.30) :

dM

EJdzx

x

x

ϕ =

in cui però si deve tener presente che Mx non è costante ma variabile da sezione a sezione secondo la relazione :

( )M T l zx y= − −

Si deduce così la seguente espressione della caratteristica della deformazione flessionale :

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 2

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( )

kd

dz

M

EJ

T z l

EJx

x x

x

y

x

= = =−ϕ

(6.168)

Caratteristica di deformazione tagliante

Per quanto riguarda il taglio T, ovvero le tensioni tangenziali τz , si può osservare

che esse inducono, in un concio elementare di trave dz, uno scorrimento relativo fra le due facce, in direzione ortogonale all’asse z, di entità dvγ , accompagnato da

ingobbamento della sezione (le sezioni quindi non restano piane).

Essendo interessati al movimento globale della sezione, descriveremo tale

movimento di traslazione mediante la caratteristica della deformazione tagliante ρy

definita come la traslazione relativa di due sezioni poste a distanza unitaria, ossia :

ργ

y

dv

dz= (6.169)

In maniera perfettamente analoga e con ovvio significato dei simboli si definiscono le caratteristiche di deformazione tagliante nel riferimento principale ( )ξ η, :

ρ ρξ

ξγ

η

ηγ= =

du

dz

du

dz (6.170)

D’altra parte, il lavoro di deformazione associato alle tensioni tangenziali nel concio elementare della figura precedente è dato da :

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 3

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dL dz dA dz dA dzG G

dAd

A

ij ij

A

zx

zx

zy

zy

A

= = = +

=∫ ∫ ∫Φ

1

2

1

22

22

2σ ε τ

ττ

τ

( )= +∫dz

GdAzx zy

A2

2 2τ τ

Se la geometria della sezione supposta simmetrica e sollecitata, per semplicità, da T Ty= con y asse di flessione (v. punto 6.10.5) è tale per cui sia lecito assumere

τzx

= 0 , sostituendo nella precedente espressione la τzy ottenuta ricorrendo alla

formula di Jourawski (6.164) si perviene a :

dLdz

G

S

J bdAd

zy x

xA

= ∫2

212

2 2

τ (6.171)

In virtù del teorema di Clapeyron si ha anche (vedi figura precedente) :

dL T dzd y y

=1

2ρ (6.172)

e quindi, uguagliando le due espressioni di dLd così ottenute, si trova la seguente

espressione di ρy :

1

2 2

2

212

2 212

2T dz

dz

G

T

J

S

bdA

T

GJ

S

bdA

y y

y

x

x

A

y

y

x

x

A

ρ ρ= ⇒ =∫ ∫

che, con la posizione :

χy

x

x

A

A

J

S

bdA= ∫2

12

2 (6.173)

assume la forma semplificata :

ρ χy y

yT

GA= (6.174)

La quantità adimensionale χ y prende il nome di fattore di taglio nella direzione y

e si può dimostrare che dipende unicamente dalla forma della sezione.

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 4

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Inoltre si dimostra che : χ y ≥ 1 .

Se, ferma restando l’ipotesi di simmetria della sezione e di T Ty= con y asse di

flessione, si rimuove invece l’ipotesi semplificativa τzx = 0 , l’espressione del lavoro di deformazione (6.171), per la (6.167), diviene :

dLdz

G btg x dAd zy

A

= +

∫2

142

22 2τ β

che, con facili passaggi, porta a :

dLdz

G

T

Jtg

S

bdyd

y

x y

y

x= +

∫21

1

322

2

1

2

1

β

e, dal confronto con la (6.172) si giunge alla medesima espressione (6.174) per la ρy , dove però il fattore di taglio χ y ha ora l’espressione :

χ y

x y

yA

Jtg

S

bdy

x= +

∫22

2

11

31

2

1

β (6.175)

Si noti che la ipotizzata simmetria ortogonale della sezione e dell’azione tagliante rispetto all’asse y, che è asse di sollecitazione e di flessione, implica che siano nulli gli scorrimenti nella direzione dell’asse x.

È bene ricordare che l’espressione (6.174) della caratteristica di deformazione tagliante :

ρ χy y

yT

GA=

è stata determinata nell’ipotesi che y sia un asse di simmetria ortogonale e che l’asse di sollecitazione coincida con esso, ossia che T Ty= .

Ove ciò non fosse, l’espressione della caratteristica di deformazione tagliante si modifica e, nel riferimento principale di inerzia ( )ξ η, si dimostra che essa si esprime

mediante le due componenti nelle direzioni principali ρξ e ρη date da :

ρ χ χ ρ χ χξ ξ

ξ

ξη

η

η η

η

ξη

ξ= + = +

T

GA

T

GA

T

GA

T

GA; (6.176)

dove i fattori adimensionali χ χ χξ η ξη, , dipendono dalla forma della sezione.

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 1

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6.10.8 Lavoro di deformazione

Con riferimento al caso di sezione simmetrica, con y asse di simmetria e di

sollecitazione ( )T Ty= , possiamo esprimere il lavoro di deformazione, per il teorema di

Clapeyron, come somma di due contributi :

L T f L T fd

fl

y M d

tg

y T= =1

2

1

2 (6.177)

essendo f M la freccia prodotta dal momento flettente ed fT quella prodotta dal taglio, pensando, come abbiamo già detto di poter idealmente separare le due sollecitazioni.

È poi evidente che il primo contributo Ld

fl potrà calcolarsi mediante :

L dVE

dVd

fl

zz zz

V

zz

zz

V

= = =∫ ∫1

2

1

2σ ε σ

σ

= = =−

=∫ ∫ ∫1

2

1

2

1

22

2

2

22 2

2

2

EdV

E

M

Jy dV

E

T z

Jy dAdz

zz

V

x

xV

y

xV

σ( )l

( ) ( )= − = −

= =∫ ∫

T

EJy dA z dz

T

EJz

T

EJ

T

EJ

y

x A

J

y

x

y

x

y

x

x

2

22 2

0

23

0

2 3 2 3

2 2

1

3 2 3 6

678

l ll ll l

(6.178)

mentre il secondo contributo, per la (6.172) e la (6.174) si potrà esprimere mediante :

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 2

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L T dz T dz TT

GAd

tg

y y y y y y

y y= = = =∫ ∫

1

2

1

2

1

2 20 0

2

ρ ρ ρχl l

ll

(6.179)

Dalle (6.178) e (6.179) si ottiene la seguente espressione del lavoro di deformazione totale :

L L LT

EJ

T l

GAd d

fl

d

tg y

x

y

y= + = +

2 3 2

6 2

lχ (6.180)

mentre dal confronto con le (6.177) si perviene alle seguenti espressioni di f M e fT :

fT

EJf

T

GAM

y

x

T y

y= =

l l3

3χ (6.181)

È poi evidente che la freccia effettiva prodotta dalla forza Ty sarà data dalla

somma dei due contributi :

f f fM T= +

Il risultato consegnato nelle (6.181) consente di esprimere gli spostamenti

dell’asse z della trave nel piano di flessione mediante la somma dei due contributi tagliante vγ e flettente v M :

v v vM= +γ

con :

vT

GAz v

T

EJz

y

M

y

x

γ γχ= =;3

3 (6.182)

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 3

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Resta così confermato che il taglio produce degli scorrimenti puri (le sezioni non ruotano) come schematicamente indicato nella figura 6.45 :

Fig. 6.45

mentre la flessione, come conseguenza della rotazione delle sezioni intorno all’asse neutro x, che per il concio generico è espressa da :

d k dzx x

ϕ =

con :

kd

dz

M

EJx

x x

x

= =ϕ

dove Mx

non è più costante, dà luogo ad una deformata della linea d’asse che ha l’andamento di una parabola

cubica (curva del terzo ordine) (6.182).

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Cap. VI CENTRO DI TAGLIO E CENTRO DI TORSIONE 1

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6.10.9 Centro di taglio e centro di torsione

Il centro di taglio, le cui coordinate sono date dalle (6.156) è inteso come il punto

di incontro delle rette d’azione delle risultanti Tξ e Tη delle tensioni tangenziali

prodotte dal solo taglio, ponendo cioè K = 0 nelle (6.150).

Il centro di taglio può altresì essere definito in maniera tale da rendere la

sollecitazione tagliante energeticamente ortogonale a quella torcente, ovverosia può

essere definito come quel punto CT da cui deve passare la retta d’azione di T affinché

sia nullo il lavoro mutuo compiuto da ( )T T T≡ ξ η, per la rotazione torsionale ϕz

prodotta dalla torsione. In tal modo si garantisce l’indipendenza delle deformazioni da

taglio da quelle prodotte dalla torsione.

Se consideriamo i due sistemi :

a) TAGLIO

ipotesi : ϕz

a( ) = 0 ( il taglio non produce

rotazione torsionale)

b) TORSIONE

C centro di torsionet

z

b

=

≠ϕ ( ) 0

per ipotesi risulta :

( )L M

L T

ba z z

a

ab z

b

T Ct

= =

= −

ϕ

ϕ ξ ξη

( )

( )

0

Dovendo essere, per il teorema di Betti, L Lba ab= = 0 si trova che :

ξ ξT Ct=

e perciò che Tη deve passare per Ct .

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Cap. VI CENTRO DI TAGLIO E CENTRO DI TORSIONE 2

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Ripetendo lo stesso procedimento per il caso T T= ξ , resta dimostrato che

l’indipendenza energetica tra taglio e torsione è assicurata purchè T passi per Ct che

perciò prende anche il nome di centro di taglio.

Molto spesso risulta più agevole trovare il centro di taglio, partendo dalla

distribuzione delle tensioni tangenziali corrispondenti a Tξ e Tη eventualmente

determinate nell’ambito della teoria approssimata del taglio.

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 1

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6.10.10 Sezione rettangolare

Dalla (6.164) :

τzy

y x

x

T S

J b=

1

posto :

S bh

yh

yb h

Ayx1

2

2

2

1

2 2 2= −

⋅ +

= −

(6.183)

J bhx =1

123 (6.184)

Si ottiene :

τ zy

y yT

bh

hy

T

bh

y

h= −

= −

6

4

3

21 4

3

2

2

2

2 (6.185)

La tensione tangenziale τ zy varia dunque con legge parabolica e raggiunge il suo

massimo sulla corda baricentrica ( )y = 0 :

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Cap. VI FLESSIONE COMPOSTA 2

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

maxτzy

yT

bh=

3

2 (6.186)

pari a 1,5 volte la tensione tangenziale media sull’intera sezione.

Si noti poi che τzx = 0 .

Il fattore di taglio si ricava facilmente dalla (6.173) :

χy

x

x

A

A

J

S

bdA=

∫2

1

2

che, per le (6.183) e (6.184), dà luogo a :

χ y

x A x h

h

A

J

hy dA

A

J

hy bdy= −

= −

= >∫ ∫

−4 4 4 4

6

51

2

2

2

2

2

2

2

2

2

2

(6.187)

Data la simmetria della sezione il centro di taglio CT e il centro di torsione Ct

coincidono con il baricentro G.

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Cap. VI SEZIONI APERTE IN PARETE SOTTILE 1

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

6.10.11. Sezioni aperte in parete sottile

La teoria approssimata del taglio di Jourawski trova le applicazioni più significative nel caso delle sezioni aperte in parete sottile, genericamente indicate nella figura 6.46.

Fig. 6.46

Si tratta di sezioni solitamente composte mediante rettangoli allungati, tipiche le sezioni a T, a C, a Y, a doppio T, ecc.

Poniamoci nel riferimento principale (ξ , η ) e supponiamo che agisca un taglio

ηTT =

passante per il centro di taglio . Data la forma della sezione, è evidente che la scelta ottimale delle corde è quella

lungo lo spessore, in tal modo esse risultano le più corte e, nello stesso tempo, quasi ortogonali, alle estremità, al contorno. In un generico punto P, di ascissa curvilinea s, misurata lungo la linea media della sezione a partire dalla estremità A, la tensione tangenziale media sulla corda b = b(s) è data da :

)(1s

bJ

STzrzr ττ

ξ

ξη== (6.188)

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Cap. VI SEZIONI APERTE IN PARETE SOTTILE 2

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

in cui : • S1ξ è il momento statico dell’area A1(s) compresa tra A e P, • Jξ è il momento di inerzia della sezione rispetto all’asse neutro ξ Abbiamo già visto che per queste sezioni si può ritenere valida l’ipotesi (6.163) :

zzrzzr ττττ ===

ossia è lecito confondere il valor medio della tensione tangenziale lungo la corda con il valore puntuale ed inoltre si può ritenere che la tensione tangenziale totale sia diretta secondo la normale alla corda stessa. Si dimostra ora che tali ipotesi comportano l’annullarsi del lavoro che le tensioni tangenziali indotte dal taglio Tη compiono per le deformazioni prodotte dal momento torcente Mz . Intanto, ricordando che alle sezioni in parete sottile soggette a torsione si possono estendere i risultati conseguiti per la sezione rettangolare allungata, dalla (6.101) segue che la tensione tangenziale lungo la corda b ha l’espressione :

22

2b

lb

conlJ

M

t

zM

zrz +≤≤−=τ (6.189)

a cui corrisponde la deformazione :

22

22b

lb

conlGJ

M

G t

z

M

zrzrzr

z

+≤≤−===τ

γε (6.190)

che, per la (6.61), diviene :

γ zr

K l

Gcon

bl

b= − ≤ ≤ +

2 2 (6.191)

È ora possibile esprimere il lavoro mutuo Lab , per un tratto unitario di trave, mediante :

L dAab zr zr

A

= ∫ τ γ

che, in virtù delle (6.188) e (6.191), diviene :

LT S

J b

K l

Gds dl

T

J

K

G

S

bds l dlab

b

b

A

B

= = =−∫∫∫∫

η ξ

ξ

η

ξ

ξ1 1

2

2

0 (6.192)

resta così provato quanto volevasi dimostrare.

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Cap. VI SEZIONE A C 1

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a 1997-98

6.10.12 Sezione a C

La sezione a C della figura 6.47 sia sollecitata da un taglio T diretto secondo l’asse

principale di inerzia η. L’altro asse principale di inerzia ξ è anche asse di simmetria

per la sezione.

Fig. 6.47

• Tensioni tangenziali

Ala superiore .

Sulla generica corda 1b la ξττ zz = , per la (6.188), vale:

1

1

1

2s

h

J

T

bJ

STz

ξ

η

ξ

ξη

ξτ == (6.193)

essa varia quindi linearmente con l’ascissa 1s e raggiunge il massimo per 11 hs = :

( )1min 2

hhJ

Tz

ξ

ηξτ = (6.194)

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Cap. VI SEZIONE A C 2

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a 1997-98

Ala inferiore .

Data la simmetria della sezione rispetto all’asse ξ è immediato provare che

valgono le precedenti espressioni con il segno cambiato:

12

sh

J

Tz

ξ

ηξτ −= ; ( )

1max 2hh

J

Tz

ξ

η

ξτ −=

Anima.

Sulla generica corda b la τ τ ηz z= ha la seguente espressione:

τ η

η

ξz

T

J bb h

hbs

h s= + −

1 1

2 2 2 (6.195)

in cui s è l’ascissa, lungo la linea media, misurata a partire da B (v. fig. 6.0a). La τ ηz

varia con legge parabolica e raggiunge il suo massimo sulla corda baricentrica sh

=2

:

( )

+−= hbbh

h

bJ

Tz

4

1

211max

ξ

η

ητ (6.196)

Nella figura 6.0b è riportato l’andamento delle τ z per l’intera sezione.

• Centro di taglio

Per trovare il centro di taglio calcoliamo la risultante delle tensioni tangenziali

lungo le ali 1V e lungo l’anima V.

Per la (6.193) sulle ali risulta:

V1 =2

111

0

14

1

hbhJ

Tsdb

h

z

ξ

η

ξτ ±=∫ (6.197)

dove il segno + si riferisce all’ala superiore ed il segno – all’ala inferiore, mentre, dalla

(6.195) deriva che:

ηητ TsbdV

h

z == ∫1

0

(6.198)

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Cap. VI SEZIONE A C 3

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a 1997-98

Le tre risultanti così calcolate, per quanto osservato al punto 6.10.11, hanno come

rette d’azione le AB, BC, CD. Esse sono equivalenti ad una forza ηTV = avente come

retta d’azione la BC e ad una coppia positiva (antioraria) hV ⋅1 .

Fig. 6.48

In conclusione la distribuzione delle zτ risulta equivalente ad un taglio ηT che abbia

come retta d’azione la retta parallela ad η che incontra l’asse ξ al punto CT

individuato da (v. fig. 6.48):

ηT

hVd 1= (6.199)

che, per la (6.197):

ξJ

hbhd

4

2

11

2

=

Resta così individuata l’ascissa Cξ del centro di taglio:

edC +=ξ

Data la simmetria della sezione il punto CT è il centro di taglio e ricordando quanto

detto ai punti 6.10.9 e 6.10.11, esso è anche il centro di torsione.

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Cap. VI SEZIONE A C 4

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a 1997-98

OSSERVAZIONE:

Nelle sezioni aperte, sottili, composte da rettangoli tutti confluenti in un punto C,

il centro di taglio e perciò anche il centro di torsione coincide con tale punto. Infatti,

con riferimento alle sezioni riportate nella figura 6.49, la risultante delle tensioni

tangenziali sarà sempre ottenuta come risultante delle zτ sui singoli rettangoli e perciò

passanti per il punto C che sarà quindi in ogni caso, cioè qualunque sia la direzione del

taglio esterno T, il centro di taglio.

Fig. 6.49

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Cap. VI SEZIONE A DOPPIO T 1

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

6.10.13 Sezione a doppio T

Con procedimento analogo a quello seguito per la sezione a C, ed osservando che ora la sezione presenta due assi di simmetria (v. fig. 6.50) che coincidono con gli assi principali centrali di inerzia ηξ , , calcoliamo le tensioni tangenziali prodotte da un taglio ηTT = .

Fig. 6.50

• Tensioni tangenziali Ali.

Sulla generica corda 1b dell’ala superiore, nel tratto AB la ξττ zz = , per la (6.188),

si calcola mediante:

2

02

111

1

1 hss

h

J

T

bJ

STz ≤≤==

ξ

η

ξ

ξη

ξτ

essa varia quindi linearmente con l’ascissa 1s e raggiunge il massimo per 211 hs = :

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Cap. VI SEZIONE A DOPPIO T 2

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

( )τ ξ

η

ξz

T

Jh h

max=

2 1

Per simmetria si possono dedurre gli andamenti della zτ nei tratti BC, DE, EF, ottenendo il diagramma riportato nella figura 6.50.

Anima.

Sulla generica corda b la ηττ zz = ha la seguente espressione:

−+=

22211

shbs

hhb

bJ

Tz

ξ

η

ητ

dove s è l’ascissa lungo la linea media misurata a partire da B (v. fig. 6.0). La ητ z varia

con legge parabolica e raggiunge il massimo sulla corda baricentrica 2

hs = :

( )

+= bhhb

h

bJ

Tz 4

1

2 11maxξ

η

ητ

• Centro di taglio

È immediato provare che il centro di taglio, che è anche centro di torsione,

coincide con il baricentro della sezione

Fattore di taglio Il fattore di taglio relativo all’asse η può essere calcolato mediante la (6.173):

∫=A

dAb

S

J

A2

21

2

ξ

ξ

ηχ (6.200)

e, posto:

nel tratto AB 2

02

111

1

1 hss

h

b

S≤≤=

ξ

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Cap. VI SEZIONE A DOPPIO T 3

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

nel tratto BG 2

0222

111

1 hs

shbs

hhb

bb

S≤≤

−+=

ξ

bhhbA += 112

131

2

113

12

12

42

12

1hb

hhbbhJ ++=ξ

Si noti che nell’espressione di ξJ l’ultimo termine è generalmente trascurabile

rispetto agli altri. Sostituendo queste espressioni nella (6.200), introdotte le quantità adimensionali:

β β11

1

2= =b

h

b

h;

e trascurando le potenze di β e 1β superiori al terzo grado si perviene alla seguente espressione per il fattore di taglio relativo all’asse di sollecitazione η :

( ) ( ) ( )[ ]

−+−+−−

+= 1112

12

113

14

51 525412115

15

240βββββββ

β

ββ

ρχ

ξ

ηA

hh

Con analoga procedura ed approssimazione si perviene alla seguente espressione per il fattore di taglio relativo all’asse di sollecitazione ξ :

( )ββρ

χη

ξ 158960 14

51 −=A

hh

Per alcune travi metalliche della serie IPE ed HE si ottengono i valori riportati nel prospetto seguente. Si noti la relazione tra ηχ ed il rapporto bhA .

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Cap. VI SEZIONE A DOPPIO T 4

F. Angotti, A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1997-98

SERIE h 1h b

1b A ξρ 1β β

ηχ bhA ηρ ξχ

IPE 100 100 55 4,1 5,7 1030 40,7 0,114 0,075 2,310 2,512 12,4 1,689

IPE 200 200 100 5,6 8,5 2850 82,6 0,085 0,056 2,312 2,545 22,4 1,767

IPE 300 300 150 7,1 10,7 5380 125 0,071 0,047 2,310 2,526 33,5 1,821

IPE 400 400 180 8,6 13,5 8450 165 0,068 0,048 2,247 2,456 39,5 1,882

IPE 500 500 200 10,2 16 11600 204 0,064 0,051 2,113 2,275 43,1 1,928

IPE 600 600 220 12 19 15600 243 0,063 0,055 2,023 2,167 46,6 1,992

HE 200A 190 200 6,5 10 5380 82,8 0,105 0,033 3,935 4,356 49,8 1,514

HE 200B 200 200 9 15 7810 85,4 0,150 0,045 4,013 4,339 50,7 1,419

HE 200M 220 206 15 25 13130 90 0,227 0,073 3,677 3,979 52,7 1,318

HE 300A 290 300 8,5 14 11250 127 0,097 0,028 4,137 4,564 74,9 1,516

HE 300B 300 300 11 19 14910 130 0,127 0,037 4,134 4,518 75,8 1,456

HE 300M 340 310 21 39 30310 140 0,229 0,068 3,893 4,245 80,0 1,309

HE 400A 390 300 11 19 15900 168 0,097 0,037 3,446 3,706 73,4 1,553

HE 400B 400 300 13,5 24 19780 171 0,120 0,045 3,405 3,663 74,0 1,500

HE 400M 432 307 21 40 32580 179 0,185 0,068 3,365 3,591 77,0 1,384

HE 500A 490 300 12 23 19750 210 0,094 0,040 3,135 3,359 72,4 1,588

HE 500B 500 300 14,5 28 23860 212 0,112 0,048 3,108 3,291 72,7 1,547

HE 500M 524 306 21 40 34430 217 0,153 0,069 3,108 3,291 74,6 1,462

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Cap. 6.11 LA TEORIA TECNICA DELLE TRAVI 1

F. Angotti , A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1999-00

6.11. LA TEORIA TECNICA DELLE TRAVI

6.11.1. Estensione del modello di Saint-Venant

Sono molteplici le ipotesi del modello di Saint-Venant, in vero molto sofisticato, che nelle travi reali non trovano alcun riscontro. Le principali sono : • le azioni sono applicate sulla superficie laterale delle travi e non sulle basi • le travi non sempre sono a sezione costante • l’asse della trave non sempre è rettilineo Tuttavia i risultati conseguiti con il modello di Saint-Venant sono direttamente utilizzabili nello studio delle travi reali, con alcuni accorgimenti suggeriti dal postulato enunciato dallo stesso Saint-Venant (v. punto 6.5). Il postulato infatti, svincola i risultati del problema di Saint-Venant dalla particolare condizione di carico in quanto, escludendo le zone direttamente influenzate dalle modalità di applicazione dei carichi, fa dipendere la soluzione unicamente dalla risultante e dal momento risultante, ossia dalle caratteristiche della sollecitazione N, Tξ , Tη , Mξ , Mη , Mz .

Consideriamo ora una trave prismatica, ad asse rettilineo, sulla quale siano applicate forze concentrate in equilibrio (v. fig. 6.50).

Fig. 6.50 - Trave prismatica soggetta a forze concentrate

Se ci riferiamo al tratto di trave compreso tra due forze concentrate successive, ad es. F1, F2, è evidente che tale tratto può essere assimilato, nel suo comportamento, alla trave di Saint-Venant, avendo però l’accortezza di escludere quelle zone direttamente sotto i carichi che inevitabilmente risentono della loro presenza. Possiamo pertanto studiare tale tratto di trave come se fosse il solido di Saint-Venant sollecitato alle basi dalle caratteristiche della sollecitazione in esse presenti. Tale idea può essere estesa a tutti i tratti rettilinei e prismatici compresi fra due carichi concentrati, come indicato nella figura 6.50. Più in generale possiamo calcolare ad es. lo stato di tensione in una sezione applicando i risultati del problema di Saint-Venant, con riferimento alle caratteristiche della sollecitazione presenti in quella sezione.

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Cap. 6.11 LA TEORIA TECNICA DELLE TRAVI 2

F. Angotti , A. Borri - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1999-00

Tale estensione nella pratica viene fatta per tutta la trave, anche cioè per le zone tratteggiate della figura 6.50 , che sono direttamente interessate dai carichi. Non solo, ma il modello di Saint-Venant può essere altresì esteso anche alle travi con debole curvatura dell’asse, a travi a sezione variabile, ad esclusione però delle zone contigue alle variazioni discontinue ed a travi con carico distribuito sulla sua superficie (v. fig. 6.51). Tutto ciò è confortato da una lunga ed estesa esperienza

Fig. 6.51 - Trave a debole curvatura, a sezione variabile, soggetta a forze concentrate

In conclusione, nello studio delle travi reali, riterremo che lo stato di tensione e di deformazione in una sezione qualunque sono gli stessi di quelli della trave di Saint-Venant avente la stessa sezione e le stesse caratteristiche di sollecitazione. In pratica tale estensione viene operata anche nelle zone (come quelle tratteggiate nella fig. 6.51) che abbiamo dichiarato di dovere escludere. Infatti per queste zone il vero problema è quello di determinare lo stato di tensione e di deformazione aggiuntivo rispetto a quello determinato con le ipotesi di Saint-Venant. 6.11.2. Il lavoro di deformazione nelle travi

Nello studio del problema di Saint-Venant abbiamo trovato le seguenti espressioni del lavoro di deformazione nei quattro casi fondamentali di sollecitazione :

N L NN l

EAd =1

2

Mx L MM l

EJd x

x

x

=1

2

(6.201)

Mz L M qM l

GJd z

z=

1

2 0

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Cap. 6.11 LA TEORIA TECNICA DELLE TRAVI 3

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Ty L TT l

GAT

T l

EJd y y

y

y

y

x

= +1

2

1

2 3χ

dove x,y,z denotano rispettivamente l’asse neutro, l’asse di flessione e l’asse della trave. Per un concio elementare di trave, nei quattro casi elementari, si perviene alle seguenti espressioni per il lavoro di deformazione :

dL NN

EAdzd =

1

2 dL M

M

EJdzd x

x

x

=1

2

(6.202)

dL M qM

GJdzd z

z=

1

2 0

dL TT

GAdzd y y

y=

1

e, se indichiamo con w = lo spostamento lungo l’asse z ϕx = la rotazione intorno all’asse di flessione x ϕz = la rotazione intorno all’asse z vγ = lo spostamento nella direzione dell’asse di flessione y indotto dal solo taglio Ty

si riconosce immediatamente che si può porre :

dwN

EAdz= d

M

EJdzx

x

x

ϕ =

(6.203)

d qM

GJdzz

zϕ =0

dvT

GAdzy

y

γ χ=

e quindi, ricordando che le caratteristiche di deformazione delle travi sono così definite

ρz

dw

dz= ; ρ

γ

y

dv

dz= ; k

d

dzx

x=

ϕ; k

d

dzz

z=

ϕ (6.204)

si perviene alle seguenti espressioni :

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Cap. 6.11 LA TEORIA TECNICA DELLE TRAVI 4

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ρz

N

EA= ; ρ χy y

yT

GA= ; k

M

EJx

x

x

= ; k qM

GJz

z=

0

(6.205)

Le (6.204) rappresentano le equazioni di congruenza mentre le (6.205) sono interpretabili come le equazioni costitutive per le travi. Il lavoro di deformazione, riferito al concio elementare dz di trave, risulta quindi espresso da:

dzkMTkMNdL zzyyxxzd )(2

1+++= ρρ (6.206)

6.11.3. Il lavoro virtuale interno nelle travi

È facile ora esprimere il lavoro virtuale interno nelle travi. Infatti, con riferimento alla generica trave di fig. 6.52, siano definite, in ogni sezione di ascissa s, le caratteristiche di sollecitazione N , Tξ , Tη , Mξ , Mη , zM , indotte carichi esterni assegnati,

F

i i

M f z

η

Ri

Fig. 6.52 - Generica trave

essendo ξ η, il riferimento principale centrale di inerzia della sezione e z la direzione della tangente all’asse della trave, e siano altresì note le caratteristiche di deformazione

ρz

dw

dz

* *=

dz

du*

* γ

ξρ = dz

dv*

* γ

ηρ =

dz

dk

** ξ

ξ

ϕ=

dz

dk

** η

η

ϕ=

dz

dk z

z

** ϕ

=

espresse sempre nello stesso riferimento, e definite sulla medesima trave, ma del tutto indipendenti dalle sollecitazioni N , Tξ , Tη , Mξ , Mη , zM , e perciò contrassegnate con un

asterisco. È immediato constatare che l'espressione del lavoro virtuale interno, ottenuto associando le caratteristiche di sollecitazione

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Cap. 6.11 LA TEORIA TECNICA DELLE TRAVI 5

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N , Tξ , Tη , Mξ , Mη , zM ,

con le caratteristiche di deformazione

*zρ , *

ξρ , *ηρ , *

ξk , *ηk , *

zk

in virtù della (6.206), è espresso da:

dskMTTkMkMNL zzz

s

i )******* +++++= ∫ ηηξξηηξξ ρρρ (6.207)

Nel caso in cui le deformazioni siano indotte da forze esterne, le caratteristiche di deformazione possono essere espresse in termini di caratteristiche di sollecitazione mediante le (6.205), ovvero

EA

Nz

** =ρ

GA

T*

* ξξξ χρ =

GA

T*

* ηηη χρ =

(6.208)

ξ

ξ

ξEJ

Mk

** =

η

η

ηEJ

Mk

** =

0

**

GJ

Mqk z

z =

essendo ξ η, gli assi principali centrali di inerzia della sezione e z la direzione tangente all'asse della trave. Fra le azioni che inducono deformazioni nelle travi, o nei corpi deformabili in genere, occorre annoverare, per la loro particolare importanza, quelle termiche. Di ciò ci occuperemo nel prossimo paragrafo. 6.11.4. Deformazioni termiche

Finora abbiamo completamente trascurato gli effetti che una variazione di temperatura può generare in un continuo elastico e, siccome, in alcuni casi, questa può produrre stati di tensione o di sollecitazione non trascurabili, occorre metterle in conto.

Sperimentalmente si osserva che, se sottoponiamo un elemento infinitesimo di materiale, termicamente isotropo, ad una variazione di temperatura

ϑ = Tfin - Tini, (6.209)

esso subirà una dilatazione uniforme in tutte le direzioni, talché la deformazione prodotta può essere rappresentata dal tensore sferico :

ijij e δε ϑϑ = (6.210)

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A questa deformazione non si associa alcuno stato di tensione. In altri termini la deformazione termica si esplica liberamente, producendo soltanto un effetto deformativo descritto dalla (6.210).

Ammettendo che ϑe sia funzione della sola variazione di temperatura, ossia

)(ϑϑϑ ee = (6.211)

e che, se la deformazione termica è reversibile, dovrà risultare

0)0( =ϑe . (6.212)

nell'ipotesi che la variazione di temperatura ϑ sia piccola rispetto alla temperatura iniziale Tini (in pratica dell'ordine di qualche decina di °C), si può porre

αϑϑϑϑ == )(ee (6.213)

dove α prende il nome di coefficiente di dilatazione termica (lineare) ed è una grandezza caratteristica di ogni materiale.

Qui di seguito vengono riportati alcuni valori di α riferiti ai materiali più noti nelle costruzioni.

Come si può notare, le deformazioni termiche sono molto piccole e, nell'ambito di validità della (6.213), risultano dello stesso ordine di grandezza di quelle elastiche.

Acciaio α = 12 x 10-6 °C-1

Alluminio α = 24 x 10-6 °C-1

Calcestruzzo α = 10 x 10-6 °C-1

Laterizio α = 6 x 10-6 °C-1

In presenza di deformazioni elastiche e termiche possiamo, sovrapponendo gli effetti, esprimere la deformazione totale mediante:

hlijhl

e

ijijij Keij

σδεεδε ϑϑ +=+= (6.214)

dove la seconda eguaglianza trae origine dalla circostanza che lo stato di tensione ijσ è

prodotto dalle sole deformazioni elastiche e

ijε e dove ijhlK è il tensore inverso d'elasticità.

Se dall'elemento infinitesimo di materiale passiamo a considerare un corpo di dimensioni finite, ammettiamo che, per variazioni termiche ϑ di modesta entità, si possa ritenere che non ci sia interazione tra deformazioni elastiche e termiche. Facciamo cioè l'ipotesi che la deformazione non influenzi la distribuzione delle temperature del corpo stesso e che in

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sostanza i due fenomeni, elastico e termico, siano disaccoppiati. In tal caso possiamo ritenere che la le costanti elastiche non dipendano da ϑ .

Supponiamo inoltre che sul corpo non agiscano né forze di volume né forze superficiali allo stato naturale.

Si possono presentare due casi:

(a) le deformazioni termiche )( hij xϑε sono congruenti sia internamente sia esternamente

(b) le deformazioni termiche )( hij xϑε non sono congruenti.

Nel caso (a) il corpo subisce una semplice deformazione non accompagnata da tensioni. È questo il caso delle strutture isostatiche.

Nel caso (b) è evidente che la deformazione totale non può coincidere con )( hij xϑε e perciò

dovrà nascere nel corpo uno stato di tensione ijσ che a sua volta produrrà una ijε tale che la

deformazione totale

ijε = ϑε ij + ijε (6.215)

sia rispettosa della congruenza. La deformazione ijε è di natura elastica e pertanto sarà legata

alla ijσ dalla ben nota relazione

ijσ = ijhlC hlε (6.216)

dove ijhlC rappresenta il tensore d'elasticità. Si noti che le ijσ , come tutte le autotensioni,

sono autoequilibrate. Questa condizione insieme con la (6.216) rendono determinato il problema della ricerca della coazioni termiche.

Alcuni esempi valgono a chiarire i concetti qui espressi.

Trave semplicemente appoggiata con variazione termica uniforme:

Esempio 1 (trave isostatica)

ϑ >0 La variazione termica comporta un semplice

allungamento della trave pari a ϑα ll =∆

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Esempio 2 (trave iperstatica) 1 2 ϑ >0 3

Il libero allungamento dell’asta (2), la sola interessata dalla variazione termica ϑ >0, è impedito dalla presenza delle aste (1) e (3), ossia non rispetta la congruenza, quindi nasceranno delle coazioni ijσ che ristabiliranno la

congruenza della deformazione totale. 6.11.5. Caratteristiche della deformazione termica nelle travi.

Consideriamo un concio elementare di trave soggetto a variazione termica ϑ e supponiamo che all'interno della trave la variazione termica assuma valori linearmente compresi tra quelli, noti, in superficie.

a) Variazione termica uniforme

z + dsdw 0αϑ= 0αϑρ ==ds

dwz (6.217)

ds dw 0ϑ

b) Variazione termica con valore nullo al baricentro (ξ , η assi principali centrali di inerzia della sezione)

La rotazione relativa fra le due sezioni estreme del concio elementare è data da :

ξϕd ηϑ2

ηh

z dshh

dsdsd

η

ηη

η

ηη

ξ

ϑϑα

αϑαϑϕ 2121 −

=−

=

ds dw ηϑ1 η

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e di conseguenza la caratteristica della deformazione vale:

η

ηη

ξ

ϑϑα

hk

21 −= (6.218)

ed analogamente, con riferimento alla rotazione intorno all’altro asse principaleη , con ovvio significato dei simboli, si trova:

ξ

ξξ

η

ϑϑα

hk

21 −= (6.219)

I due a) e b) casi ora studiati coprono tutte le situazioni in quanto una qualunque variazione termica lineare si può sempre scomporre nella somma di due variazioni tipo a) e b) come schematicamente indicato nella seguente figura: 1ϑ ηϑ1

0ϑ z = 0ϑ +

2ϑ ηϑ2

In conclusione, le caratteristiche di deformazione, tenendo conto delle sollecitazioni termiche, valgono:

0αϑρ +=EA

Nz

GA

ξξ χρ = GA

ηη χρ =

(6.220)

η

ηη

ξ

ξ

ξ

ϑϑα

hEJ

Mk

21 −+=

ξ

ξξ

η

η

η

ϑϑα

hEJ

Mk

21 −+=

0GJ

Mqk z

z =

6.11.6. Il lavoro virtuale esterno nelle travi

A questo punto è immediato scrivere l'espressione del lavoro virtuale esterno nel caso delle travi, ricordando di annoverare fra le forze esterne anche le reazioni vincolari che possono compiere un lavoro nel caso siano sede di cedimento. Con ovvio significato dei simboli e con riferimento alla Fig. 6.52 si perviene alla seguente espressione: ∑ ∑ ∑ ∑+++= iCiiCiiiii

e uRMuFL***** ϕϕ M (6.221)

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Cap.7 SPOSTAMENTI E ROTAZIONI NELLE TRAVATURE - LE TRAVI INFLESSE 1

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7. SPOSTAMENTI E ROTAZIONI NELLE TRAVATURE.

LE TRAVI INFLESSE

INDICE

7.1. Ricerca di spostamenti e rotazioni.

7.1.1. Caso soli carichi espliciti.

7.1.2. Caso sole variazioni termiche.

7.1.3. Caso soli cedimenti vincolari.

7.2. Travi inflesse

7.2.1. Generalità

7.2.2. Equazioni indefinite di equilibrio

7.2.3. Linea elastica

7.2.4. Linea elastica in presenza di discontinuità

7.2.5. Il teorema ed il corollario di Mohr

7.2.6. Influenza del taglio sulla deformazione

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Cap.7 SPOSTAMENTI E ROTAZIONI NELLE TRAVATURE - LE TRAVI INFLESSE 2

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7. RICERCA DI SPOSTAMENTI E ROTAZIONI NELLE TRAVATURE. Abbiamo visto, nel paragrafo 6.11., che, nel caso delle travi, il lavoro virtuale esterno è espresso da (v. 6.221):

∑ ∑ ∑ ∑+++= iCiiCiiiii

e uRMuFL***** ϕϕ M

e quello interno da (vedi 6.207):

dskMTTkMkMNL zzz

s

i )******* +++++= ∫ ηηξξηηξξ ρρρ

dove Fi

, Mi , R

i ,

IM indicano sinteticamente tutte le forze applicate sulla trave, u*

i ,

iu

*,

i*ϕ , iCu

* , iC*ϕ i movimenti dei punti di applicazione delle predette forze, N , Tξ , Tη , Mξ ,

Mη , zM le caratteristiche della sollecitazione, ed infine *zρ , *

ξρ , *ηρ , *

ξk , *ηk , *

zk le

caratteristiche di deformazione. Inoltre ξ η, sono gli assi principali centrali di inerzia della sezione ed s è la linea d'asse della trave. Se, con riferimento alla trave di fig. 7.1, il sistema di forze F

i , M

i , R

i , I

M , e di sollecitazioni N , Tξ , Tη , Mξ , Mη , zM ,

Ri

R1 FFFFi i

M f f f f

s Rj

F F F F1

η

R2

Fig. 7.1. Trave genericamente caricata e vincolata risulta equilibrato e, se il generico sistema di spostamenti u*

i , i

u* ,

i*ϕ , iCu

* , iC*ϕ e

deformazioni *zρ , *

ξρ , *ηρ , *

ξk , *ηk , *

zk riferito alla medesima trave, è congruente, come è

noto, vale l'uguaglianza:

=+++∑ ∑ ∑ ∑ iCiiCiiiiiuRMuF

**** ϕϕ M

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Cap.7 SPOSTAMENTI E ROTAZIONI NELLE TRAVATURE - LE TRAVI INFLESSE 3

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(7.1)

dskMTTkMkMN zzz

s

)****** +++++= ∫ ηηξξηηξξ ρρρ

7.1. RICERCA DI SPOSTAMENTI E ROTAZIONI. La relazione (7.1), che esprime il principio dei lavori virtuali, viene correntemente impiegata nella ricerca di spostamenti e rotazioni nelle strutture elastiche. A tale scopo si dovrà scegliere: - come sistema di forze e sollecitazioni quello equilibrato corrispondente ad una opportuna

condizione di carico ipotetica (virtuale) che chiameremo carico di esplorazione e che contrassegneremo con l'apice 1 (quantità senza * nella (7.1)). Siccome l'unico requisito richiesto a questa condizione di carico è l'equilibrio, essa potrà, più utilmente, riferirsi alla struttura assegnata, preventivamente resa isostatica;

- come sistema di spostamenti e deformazioni quello effettivo, dovuto cioè alla reale condizione di carico e perciò certamente congruente (quantità con * nella (7.1))

Nel prossimo paragrafo vedremo come si applica concretamente la (7.1) per la ricerca di spostamenti e rotazioni, distinguendo, per semplicità tre casi a seconda che si sia in presenza di soli carichi espliciti, di sole variazioni termiche ovvero di soli cedimenti vincolari. 7.1.1. CASO DI SOLI CARICHI ESPLICITI. Dati i carichi agenti sulla struttura, che nella figura sottostante sono genericamente rappresentati da F1 ed F2 , si supponga di avere determinato le reazioni vincolari e le caratteristiche di sollecitazione, di avere cioè risolto la struttura. Si vuole quindi calcolare lo spostamento del punto S nella direzione r-r.

VB B HB F2 F1 r HA MA A S r VA C

VC Fig. 7.2. Struttura soggetta a soli carichi espliciti Siano u , ϕ , zρ , ξρ , ηρ , ξk , ηk , zk (7.2)

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il sistema di spostamenti e deformazioni effettivi, che indichiamo con sistema "a". Tale sistema è certamente congruente in quanto corrisponde alla soluzione della struttura assegnata Consideriamo ora la stessa struttura, resa isostatica, ed applichiamo si di essa un carico virtuale F*= 1 nella sezione S e nella direzione r-r, come indicato nella seguente figura:

B F* = 1 MA* A S HA* r VA* C Fig. 7.3. Struttura isostatica soggetta al carico virtuale unitario Siano F*=1, M*, H* , V*

(7.3) N *, Tξ *, Tη *, Mξ *, Mη *, zM *,

il sistema di forze e sollecitazioni virtuali, che indichiamo con "b". Tale sistema è certamente equilibrato. Possiamo perciò scrivere l'equazione dei lavori virtuale associando il sistema (7.2) con il sistema (7.3) . Risulta: Ae uL 1* =

(7.4) dskMTTkMkMNL zzz

s

i )******* +++++= ∫ ηηξξηηξξ ρρρ

Dall'uguaglianza **ie LL = si ricava lo spostamento cercato:

=Au1 dskMTTkMkMN zzz

s

)****** +++++∫ ηηξξηηξξ ρρρ (7.5)

è ovvio come modificare il procedimento per calcolare la rotazione di una sezione generica di una trave. 7.1.2. CASO DI SOLE VARIAZIONI TERMICHE. Per la struttura precedentemente esaminata si vuole calcolare lo spostamento della sezione S, nella direzione r-r conseguente ad una variazione termica assegnata.

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VB B HB ϑ r A ϑ S r C

Fig. 7.4. Struttura soggetta a sole variazioni termiche

Essendo la struttura iperstatica, la variazione termica ϑ , supposta in generale del tipo già esaminato e riportato qui di seguito: 1ϑ 0ϑ ηϑ1

z = + Sezione 2ϑ ηϑ2

Fig. 7.5. Andamento delle variazioni termiche nella sezione

indurrà delle sollecitazioni ϑ

N , ϑξT , ϑ

ηT , ϑξM , ϑ

ηM , ϑzM . Il sistema di spostamenti e

deformazioni sarà pertanto individuato da

u, ϕ

0αϑρϑ

+=EA

Nz

GA

ξξ χρ = GA

ηη χρ =

(7.6)

ξ

ϑξ

ξEJ

Mk = +

η

ηη ϑϑα

h

21 −

η

ϑη

ηEJ

Mk = +

ξ

ξξ ϑϑα

h

21 −

0GJ

Mqk z

z

ϑ

=

Scriviamo l’equazione dei lavori virtuali associando al sistema (7.6) il sistema virtuale (7.3) indicato nella Fig. 7.3 : Risulta:

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Ae uL 1* =

(7.7) dskMTTkMkMNL zzz

s

i )******* +++++= ∫ ηηξξηηξξ ρρρ

Dall'uguaglianza **ie LL = si ricava lo spostamento cercato:

Au = dskMTTkMkMN zzz

s

)****** +++++∫ ηηξξηηξξ ρρρ (7.8)

Si noti che se la struttura data è isostatica risulta:

ϑN = ϑ

ξT = ϑηT = ϑ

ξM = ϑηM = ϑ

zM = 0

7.1.3. CASO DI SOLI CEDIMENTI VINCOLARI. Sempre per la stessa struttura si vuole calcolare lo spostamento del punto A nella direzione generica r-r conseguente ai cedimenti vincolari indicati in figura. VB B HB r A β S r δ C

Fig. 7.6. Struttura soggetta a cedimenti vincolari Siccome la struttura è iperstatica, i cedimenti vincolari, supposti assegnati ed anelastici, indurranno delle sollecitazioni C

N , CTξ , C

Tη , CM ξ , C

M η , C

zM . Il sistema di spostamenti e

deformazioni sarà pertanto individuato da

uC, ϕ C

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EA

NC

z =ρ GA

TC

ξ

ξξ χρ = GA

TC

η

ηη χρ =

(7.7)

ξ

ξ

ξEJ

Mk

C

= η

η

ηEJ

Mk

C

= 0GJ

Mqk

C

z

z =

Scriviamo l’equazione dei lavori virtuali associando al sistema (7.7) il sistema virtuale (7.3) indicato nella Fig. 7.3 : Risulta: Ae uL 1* = - MA* β

(7.7) dskMTTkMkMNL zzz

s

i )******* +++++= ∫ ηηξξηηξξ ρρρ

Dall'uguaglianza **ie LL = si ricava lo spostamento cercato:

Au =MA* β + dskMTTkMkMN zzz

s

)****** +++++∫ ηηξξηηξξ ρρρ (7.8)

Si noti che se la struttura data è isostatica risulta:

CN = C

Tξ = CTη = C

M ξ = CM η = C

zM = 0

e quindi risulta: Au = MA* β

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7.2. TRAVI INFLESSE

7.2.1. GENERALITÀ Si dicono inflesse le travi piane1 ad asse rettilineo soggette a soli carichi flettenti, ossia

normali all’asse della trave. Inoltre, se π è il piano della trave, esso deve essere piano di simmetria geometrica ovvero deve contenere un asse principale di inerzia della sezione della trave. Di conseguenza in ogni sezione le caratteristiche di sollecitazione saranno al più momento flettente e taglio.

Si adotti il riferimento cartesiano ortogonale x,y,z, (fig. 7.7), con y e z appartenenti al piano π , x ortogonale a π ed y asse principale centrale di inerzia della sezione della trave.

F

S p

M x G

z S

y V1 V2 Sezione S-S y Fig. 7.7. Esempio di trave inlfessa

In generale le caratteristiche della sollecitazione non nulle saranno al più Mx , Ty . Con riferimento alla fig. 7.7, posto

Mx = M , Ty = T,

(l’assenza degli indici non implica alcuna ambiguità) con le usuali convenzioni sui segni, si può osservare immediatamente che risulta: con riferimento a forze alla destra della generica sezione S,

T > 0 se diretto verso il basso (concorde con y) M > 0 se antiorario (y z)

con riferimento a forze alla sinistra della generica sezione S, T > 0 se diretto verso l’alto (opposto a y) M > 0 se orario (z y)

7.2.2. Le equazioni indefinite di equilibrio

Le condizioni di equilibrio, espresse per il concio infinitesimo di trave riportato nella fig 7.8, forniscono :

Equilibrio alla traslazione: -T + T+dT + p dz = 0 ;

1 Le travi piane hanno sia l’asse sia i carichi collocati sul medesimo piano che è il piano della trave

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Equilibrio alla rotazione: -M + M+dM –Tdz + pdz2/2 = 0 p

M T M+dM

z

T+dT y dz Fig. 7.8. Equilibrio di un concio elementare di trave inflessa Dalle quali discendono le equazioni indefinite di equilibrio:

dz

dT= - p(z) ;

dz

dM= T(z) (7.9)

le quali a loro volta implicano

2

2

dz

Md =

dz

dT= - p (7.10)

L’integrazione delle equazioni differenziali (7.9), ovvero della (7.10), presuppone la conoscenza di p = p(z) che di solito è un dato del problema e delle condizioni al contorno riguardanti le funzioni M e T, ossia le condizioni al contorno di tipo statico. Nei casi isostatici è perciò possibile l'integrazione, come si può constatare dai due seguenti semplici esempi:

M = 0 M = 0 M = 0 T = 0

Fig. 7.9. Travi inflesse isostatiche - Esempi di condizioni al contorno di tipo statico 7.2.3. EQUAZIONE DELLA LINEA ELASTICA

Abbiamo visto che la ricerca di spostamenti e rotazioni nelle travature può essere condotto con l'ausilio del principio dei lavori virtuali.

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Nel caso delle travi inflesse è molto utilizzata, per la sua semplicità, una strada differente che porta a determinare l'intera deformata della linea d’asse, ossia la linea elastica. Tale ricerca si basa sui risultati ottenuti nel 4° caso di Saint Venant, della flessione composta, più precisamente sulla relazione momento flettente - curvatura:

r

1 = -

EJ

M (7.11)

dove r

1 è la curvatura della linea elastica, EJ è la rigidezza flessionale della trave. Si noti che,

nonostante la (7.11) sia relativa al caso di trave prismatica (EJ = cost.) e T = cost.2, tuttavia essa è utilizzata anche in presenza di taglio variabile, in quanto di regola si prendono in considerazione le sole deformazioni flessionali rispetto alle quali quelle prodotte dal taglio sono trascurabili. Nei casi in cui ciò non sia lecito, si tratta di valutare separatamente gli effetti deformativi prodotti dal taglio e quindi di sommarli a quelli puramente flessionali. Infine si ammetterà che la (7.11) possa essere applicata anche quando EJ = EJ( z) ossia quando la trave sia a sezione variabile.

Se v = v(z) (7.12)

è la linea elastica (v fig. 7.10)

Fig. 7.10. Trave inflessa - Linea elastica allora la formula di Gauss, nel riferimento (y,z), fornisce la seguente espressione della curvatura:

r

1 =

32 )1( v

v

′+

′′ ≅ v ′′ (7.13)

2 Un T costante provoca uno scorrimento yzγ costante e quindi una curvatura nulla. Diversamente anche il

taglio, insieme al momento flettente, induce una curvatura nella trave.

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Cap.7 SPOSTAMENTI E ROTAZIONI NELLE TRAVATURE - LE TRAVI INFLESSE 11

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dove la seconda eguaglianza deriva dall’ipotesi che sia lecito trascurare 2v′ rispetto all’unità.

Si suppone anche che siano trascurabili, rispetto a v, gli spostamenti w lungo l’asse z della trave. Con queste ipotesi, la (7.11) e la (7.13) forniscono l’equazione differenziale della linea elastica della trave inflessa: EJ v ′′ + M = 0 (7.14)

Nelle precedenti equazioni si è fatto uso della notazione ( )' = dz

d.

Si noti che, con le usuali convenzioni sui segni, la curvatura r

1 ed il momento flettente

M hanno sempre segno opposto, come si può constatare dalla Fig. (7.11): z z M > 0 M < 0

y r

1 < 0 y

r

1 > 0

Fig. 7.11. Relazione fra i segni di M e r

1

L'integrazione della (7.14) presuppone la conoscenza di M e quindi l'integrazione del

problema (7.10) ed inoltre delle condizioni al contorno che ora possono riguardare, come è noto, v e v' . Si tratta cioè di condizioni geometriche. Nella fig. (7.12) sono riportati alcuni semplici esempi di travi inflesse isostatiche.

v = 0 v = 0 v = 0 v’ = 0

Fig. 7.12. Travi inflesse isostatiche - Esempi di condizioni al contorno di tipo geometrico

In conclusione, nei casi isostatici, è possibile, partendo dai carichi p = p(z), giungere alla equazione della linea elastica v = v(z), integrando in successione e nell’ordine, le equazioni differenziali (7.10) e (7.14), avuto riguardo alle relative condizioni al contorno. Tutto ciò non è possibile nei casi iperstatici, nei quali, all’aumento dei vincoli cinematici fa riscontro una diminuzione di quelli statici che perciò non consentono di integrare la (7.10). In questi casi occorre combinare i due problemi, quello statico e quello cinematico, e ciò si ottiene

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Cap.7 SPOSTAMENTI E ROTAZIONI NELLE TRAVATURE - LE TRAVI INFLESSE 12

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facilmente sostituendo nella (7.10) l’espressione di M ricavato dalla (7.14) giungendo così all’equazione differenziale del 4° ordine:

(EJv”)” = p(z) (7.15)

alla quale, come è noto, si possono associare condizioni al contorno sulla funzione v = v(z) e sulle sue derivate fino al 3° ordine. Ad esempio nel caso della trave di fig.7.13, all’equazione differenziale (715) vanno associate le condizioni al contorno:

v A( ) = 0 v B( ) = 0 ′ =v A( ) 0 M B EJv( ) = ≡ ′′ =0 0

Fig. 7.13 - Trave inflessa iperstatica

Si noti che, una volta determinata l’equazione della linea elastica, mediante le

EJ v ′′ = - M (7.16)

(EJ v ′′ )’ = - dz

dM= - T(z) (7.17)

dedotte facilmente dalla (7.14), è immediata la soluzione del problema statico. Queste ultime relazioni consentono, infatti, di conoscere i diagrammi di M e T e quindi di determinare anche le reazioni vincolari. ESEMPIO – Determinare v = v(z) per la trave prismatica (EJ = cost.) di fig. (7.13) soggetta ad

un carico uniforme p = p° per tutta la sua lunghezza l. Trattandosi di trave prismatica l’equazione (7.15) diviene: EJ v

IV = p° in 0 < z < l (a) ed a questa si associano le condizioni al contorno: v(0) = 0 v(l) = 0 (b) v’(0) = 0 EJv”(l) = 0 v”(l) = 0 L’integrale generale della (a) è:

v = 24

4z

EJ

p°+ Az

3 + Bz2 +Cz +D (c)

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Per determinare e quattro costanti di integrazione A,B,C,D abbiamo a disposizione il sistema:

v(0) = D = 0 v’(0) = C = 0

v(l) = 24

4l

EJ

p°+ Al

3 + B l2 = 0

v”(l) = 2

2l

EJ

p° + 6Al + 2B = 0

che fornisce la soluzione.

A = - EJ

lp°

48

5; B =

EJ

lp2

48

3 °; C = 0 ; D = 0 (d)

Introducendo le (d) nella (c) si perviene all’equazione della linea elastica cercata:

v = 24

4z

EJ

p° -

EJ

lp°

48

5 z3 +

EJ

lp2

48

3 ° z2 (e)

che, con facili passaggi, si riduce a:

v = 48

4l

EJ

p°( 2

4

4

l

z - 5

3

3

l

z + 3

2

2

l

z) (f)

La conoscenza della linea elastica (f) consente di determinare, mediante le (7.16) e (7.17), le caratteristiche della sollecitazione M(z) e T(z) lungo la trave:

- EJv’’ = M(z) = - 8

2lp°

(4 2

2

l

z - 5

l

z + 1)

- EJ v”’ = T(z) = 8

1 p° l (8

l

z- 5)

ed in particolare alle sollecitazione nelle sezioni vincolate A e B (Fig. 7.13):

M(A) = - EJ v ′′ (0) = - 8

2lp°

T(A) = - EJ v”’(0) = + 8

5 p° l

T(B) = - EJ v”’(l) = - 8

3 p° l

dalle quali è immediato passare alle reazioni vincolari, come qui di seguito indicato:

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MA p°

A l B

VA VB

MA = 8

2lp°

VA = 8

5 p° l

VB = 8

3 p° l

Fig. 7.14 - Trave inflessa iperstatica. Reazioni vincolari

7.2.4. LINEA ELASTICA IN PRESENZA DI DISCONTINUITÀ L’integrazione della (7.15) è sovente resa più complicata a causa della presenza di

discontinuità. In tali casi si possono seguire sostanzialmente due strade, quella dell’uso delle funzioni di singolarità, ovvero quella della suddivisione dell’intervallo d’integrazione in tratti in cui le funzioni in gioco siano continue.

Va preliminarmente osservato che né la funzione v(z) né la sua derivata prima v’(z) possono presentare discontinuità. Infatti, nel primo caso, si avrebbero rotture con traslazione di una parte di trave rispetto all’altra in direzione ortogonale all’asse della stessa trave e, nel secondo caso, si avrebbero delle cuspidi, ossia una medesima sezione ruoterebbe diversamente a seconda che appartenga ad una porzione di trave od all’altra immediatamente contigua.

In realtà va tuttavia osservato che le discontinuità in v(z) e v’(z) si possono avere in presenza di particolari sconnessioni interne del tipo T = 0 (glifo) ed M = 0 (cerniera).

In generale le discontinuità possono viceversa interessare le derivate seconde, terze e quarte della funzione v(z). Tali discontinuità si verificano sia in presenza di discontinuità nella rigidezza flessionale EJ, sia in presenza di discontinuità nel diagramma del momento flettente M(z), sia in quello del taglio T(z) sia nel carico p(z), come risulta evidente dalle relazioni (7.16), (7.17) e (7.15):

EJ v ′′ = - M (7.16)

(EJ v ′′ )’ = - dz

dM= - T(z) (7.17

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(EJ v)IV = p(z) (7.15) Cause di discontinuità possono perciò essere:

variazioni brusche di sezione, variazioni brusche nel carico ripartito p(z) coppie concentrate, forze concentrate,

In tutti questi casi si può procedere suddividendo l’intervallo di integrazione in tratti in cui le funzioni in gioco siano continue, tenendo tuttavia presente che, oltre alle condizioni al contorno, occorre considerare le condizioni di raccordo fra un tratto e l’altro. Le condizioni di raccordo devono garantire sia il rispetto sia delle condizioni di continuità di sia di quelle di discontinuità. Illustriamo questo concetto con alcuni esempi. ESEMPIO 1: DISCONTINUITÀ DEL TAGLIO.

La presenza della forza concentrata F dà luogo ad una discontinuità nel taglio T nella sezione in cui è applicata la stessa forza. Occorre perciò dividere l’intervallo 0 < z < l in due intervalli e ricercare in ognuno di essi la linea elastica ossia le funzioni

v1 = v1(z) per 0 < z < a v2 = v2 (z) per a < z < l

Questa determinazione richiede 4 + 4 = 8 costanti di integrazione e quindi alle 4 condizioni imposte dai vincoli in A e B, occorre aggiungere le 4 condizioni di raccordo come qui descritto nella fig. 7.15.

a b

MA F A l B z

VA VB

Fig. 7.15 – Trave inflessa con carico concentrato.

Condizioni di raccordo nella sezione z = a Condizioni geometriche:

v1 = v2 v’1 = v’2

Condizioni statiche:

(EJv”2)’ = (EJv”1)’ – F EJv”1 = EJv”2

ALTRI ESEMPI DI DISCONTINUITÀ Nelle Figure (7.16) (7.17) sono esemplificati altri discontinuità di carico.

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a b

MA MS A l B z

VA VB

Fig. 7.16 – Trave inflessa con coppia concentrata

Condizioni di raccordo nella sezione z = a Condizioni geometriche:

v1 = v2 v’1 = v’2

Condizioni statiche:

EJv”2 = EJv”1 - MS (EJv”2)’ = (EJv”1)’

a b

MA p° A B z

VA VB

Fig. 7.17 – Trave inflessa con carico discontinuo

Condizioni di raccordo nella sezione z = a Condizioni geometriche:

v1 = v2 v’1 = v’2

Condizioni statiche:

(EJv”2)’ = (EJv”1)’ EJv”1 = EJv”2

a b

p° MA A B z VA VB

Fig. 7.17 – Trave inflessa con cerniera

Condizioni di raccordo nella sezione z = a Condizioni geometriche: v1 = v2 Condizioni statiche: (EJv”2)’ = (EJv”1)’ EJv”1 = 0 EJv”2 = 0

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7.2.5. IL TEOREMA ED I COROLLARI DI MOHR Se scriviamo le equazioni (7.10) e (7.14) nella forma

2

2

dz

Md = - p (7.18)

v ′′ = - EJ

M (7.19)

certamente non sfugge la loro analogia formale sebbene scritte con una notazione differente. La prima equazione regola il passaggio dai carichi p al momento flettente M, la seconda il

passaggio dalla curvatura EJ

M alle inflessioni v della linea elastica.

È evidente quindi che posso usare, nella ricerca di v , gli stessi procedimenti che utilizzo per tracciare i diagrammi M con l'avvertenza di partire dalla curvatura anziché dai carichi. In sostanza, con riferimento al carico fittizio

p* = EJ

M (7.20)

applicato su di una trave ausiliaria, come definita nel seguito, la linea elastica di una trave inflessa sarà data da: v(z) = M*(z) (7.21) avendo indicato con M*(z) il diagramma del momento flettente associato al carico p* . La (7.21) è noto come Teorema di Mohr, che può così enunciarsi: la linea elastica di una trave

inflessa coincide con il diagramma del momento flettente fittizio indotto su di una trave

ausiliaria (associata alla trave inflessa), dal carico fittizio p* . È immediato constatare che alla (7.21) segue il seguente corollario di Mohr: v'(z) = T*(z) (7.22)

ossia le rotazioni delle sezioni di una trave inflessa coincidono con il diagramma del taglio

fittizio indotto, in ogni sezione della trave ausiliaria, dal carico fittizio p* .

TRAVE AUSILIARIA - Dalle (7.21) e (7.22) discende che il teorema ed il corollario di Mohr associano ad un problema geometrico un problema statico e pertanto anche i vincoli debbono subire la medesima trasformazione. Ciò significa in particolare che ai vincoli geometrici che riguardano v e v' , compreso le eventuali discontinuità dovute alla presenza di sconnessioni interne, dovranno corrispondere vincoli statici che riguardano M* e T* pervenendo così ad una trave diversamente vincolata sulla quale applicheremo il carico fittizio p*. Questa trave prende il nome di trave ausiliaria o trave di Mohr. Illustriamo nelle figure da (7.18) a (7.21) come si perviene alla trave ausiliaria. Se la trave inflessa è a sezione costante, si può assumere come carico fittizio il diagramma

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p* = M anziché p* = EJ

M

avendo però l’avvertenza di dividere in fondo M* e T* per EJ. Si noti (fig. 7.21) come, partendo da una trave inflessa iperstatica, si giunga ad una trave ausiliaria labile. Inoltre è facile provare che il grado di iperstaticità della trave inflessa e quello di labilità della trave ausiliaria coincidono. L’iperstaticità impone di prefissare, ad arbitrio, alcuni valori delle reazioni vincolari o delle caratteristiche della sollecitazione per definire, con le sole equazioni della statica, il diagramma del carico fittizio. Questi valori prefissati saranno poi determinati imponendo che il carico fittizio p* sia equilibrato pur in presenza di labilità della trave ausiliaria.

Trave inflessa A B

vA = 0 vB = 0 Trave ausiliaria M*A = 0 M*B = 0 Fig. 7.18 - Trave ausiliaria di trave semplicemen-

te appoggiata

Trave inflessa A B vA = 0 vB ≠ 0 v'A = 0 v'B ≠ 0 Trave ausiliaria M*A = 0 M*B ≠ 0 T*A = 0 T*B ≠ 0

Fig. 7.19 - Trave ausiliaria di trave incastrata

Trave inflessa Trave ausiliaria A C D B A C D B vA = 0 v'SIN ≠ v'DEX vD = 0 vB ≠ 0 M*A = 0 TSIN ≠ TDEX M*D = 0 M*B ≠ 0 v'A = 0 v'B ≠ 0 T*A = 0 T*B ≠ 0 Fig. 7.20 - Trave ausiliaria in presenza di discontinuità

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Trave inflessa (iperstatica) Trave ausiliaria A B A B vA = 0 vB = 0 M*A = 0 M*B = 0 v'A = 0 T*A = 0 Fig. 7.21 - Trave ausiliaria labile Esempio: Calcolare la rotazione ϕ B della sezione B della trave inflessa iperstatica di Fig. 7.22

– Trave ausiliaria A M MA B p* pB* l VB A B

pA* MA VB* pA* = MA pB* = M x + M

Fig. 7.22 – Trave incastrata con appoggio Il valore del momento di incastro MA si determina imponendo che sulla trave ausiliaria il carico fittizio p* dia un momento nullo in B. Ossia scrivendo l’equazione di equilibrio alla rotazione intorno a B:

2

1pA* x (l - x/3) =

2

1pB* (l – x) (l – x)/3

dalla quale si ottiene

pA* = 2

1pB* ossia MA =

2

1M

da cui discende

x = 3

1l

e quindi

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VB* = 2

1(pA* +pB*)

3

1l =

4

1 pB* l

Si trova così per la rotazione cercata il valore

ϕ B = 4

1

EJ

Ml

7.2.6. L’INFLUENZA DEL TAGLIO SULLA DEFORMAZIONE

Nel caso delle travi inflesse, i risultati (6.203) conseguiti nel Cap. 6.11.2., ci consentono

di esprimere i movimenti relativi fra due sezioni poste a distanza infinitesima dz mediante:

dzEJ

Md

x

x

x =ϕ , dvT

GAdzy

y

γ χ=

in cui xϕ è la rotazione della sezione intorno all’asse di flessione x e γv lo spostamento della

sezione nella direzione dell’asse di flessione y, indotto dal solo taglio Ty . È poi evidente che, se si indica con ϕv lo spostamento prodotto dal solo momento flettente Mx nella direzione y,

risulta (v. 6.30):

xϕ = - dz

dvϕ

dove il segno - sta ad indicare che a derivata positiva corrisponde una rotazione negativa secondo le convenzioni adottate. Segue pertanto

dv = d ϕv + d γv = - xϕ dz + γ dz

dz

dv= - xϕ + γ (7.23)

avendo posto

γ = GA

Ty

yχ (7.24)

ed indicato con v lo spostamento totale, nella direzione trasversale y, che risulta così composto di due contributi, flessionale e tagliante.

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La (7.23) evidenzia poi che, salvo nel caso in cui sia γ = cost., la curvatura della trave è anch'essa somma di due contributi, rispettivamente flessionale e tagliante, come risulta immediatamente dalla relazione:

2

2

dz

vd = -

dz

d xϕ+

dz

dγ (7.25)

ottenuta derivando rispetto a z la (7.23). L’integrazione della (7.25), con le opportune condizioni al contorno, consente di risalire alla linea elastica v = v(z) completa. Attraverso alcuni esempi vediamo ora quale sia l'influenza del taglio sulla deformazione. Esempio 1 - Mensola con carico concentrato all'estremità l F

I contributi ϕv e γv alla freccia (ordinata

massima della linea elastica), rispettivamente flessionale e tagliante, sono espressi da

ϕv = EJ

Fl

3

3

, γv = GA

Flχ (a)

come risulta immediatamente dalle (6.181). Da questa segue

v = ϕv + γv = ϕv ( (1 + γv / ϕv ) = ϕv (1 + 3 χG

E

2

2

l

ρ) (b)

Nel caso di trave in acciaio di sezione rettangolare di lati b,h, introducendo nella (b) i valori: x

h

b y

G

E= 2(1 + ν ) = 2 (1 + 0,3) = 2,6 ; 2ρ =

12

2h

; χ ≈ 1,2

si perviene a

v = ϕv (1 + 3 x 1,2 x 2,6 12

12

2

l

h) = ϕv (1 + 0.78

2

2

l

h) (c)

Da cui discende che:

- per le travi ordinarie (l > 10 h ); v = ϕv (1 + 0.78 2

2

l

h) = ϕv (1 + 0.0078) ≈ ϕv

la deformazione tagliante è quindi trascurabile rispetto a quella flessionale

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Cap.7 SPOSTAMENTI E ROTAZIONI NELLE TRAVATURE - LE TRAVI INFLESSE 22

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- per le travi tozze (ad es. l = 2 h) ; v = ϕv (1 + 0.78 2

2

l

h) = ϕv (1 + 0.195) = 1,195 ϕv

la deformazione tagliante non più trascurabile, portando ad un incremento del 19,5% della freccia.

Esempio 2 – trave semplicemente appoggiata con carico uniforme p

I contributi ϕv e γv alla freccia (ordinata

massima della linea elastica), rispettivamente flessionale e tagliante, sono espressi da

ϕv =384

5

EJ

pl4

, γv = GA

pl

8

2

χ (d)

Procedendo come nell’esempio precedente si perviene a:

v = ϕv + γv = ϕv ( (1 + γv / ϕv ) = ϕv (1 + 9,6 χG

E

2

2

l

ρ) (e)

e, con i dati dell’Esempio 1 :

v = ϕv (1 + 2,42

2

l

h) (e)

da cui discendono facilmente considerazioni analoghe a quelle svolte nell’Esempio 1. Esempio 3 – trave doppiamente incastrata con carico uniforme p

I contributi ϕv e γv alla freccia (ordinata

massima della linea elastica), rispettivamente flessionale e tagliante, sono espressi da

ϕv =384

1

EJ

pl4

, γv = GA

pl

8

2

χ (f)

Procedendo come negli esempi precedenti si ottiene:

v = ϕv + γv = ϕv ( (1 + γv / ϕv ) = ϕv (1 + 1,92 χG

E

2

2

l

ρ) (g)

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Cap.7 SPOSTAMENTI E ROTAZIONI NELLE TRAVATURE - LE TRAVI INFLESSE 23

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e, con i dati dell’Esempio 1 :

v = ϕv (1 + 0.482

2

l

h) (h)

Si noti come, rispetto all’Esempio 2, il solo cambiamento dei vincoli, da cerniere ad incastri, ha provocato una diminuzione della sola freccia flessionale, mentre è rimasta immutata quella tagliante. Da questi esempi si può dedurre che in generale il rapporto γv / ϕv dipende dal carico, dai

vincoli e dal rapporto di snellezza 2

2

l

ρ.

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 1

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8. TRAVATURE IPERSTATICHE

INDICE

8.1. SISTEMA PRINCIPALE ED INCOGNITE IPERSTATICHE.

8.2. EQUAZIONI DI Müller-Breslau O DI CONGRUENZA 8.2.1. CASO DI SOLI CARICHI. 8.2.2. CASO DI SOLA VARIAZIONE TERMICA. 8.2.3. CASO DI SOLI CEDIMENTI VINCOLARI. 8.3. CALCOLO DEI COEFFICIENTI E DEI TERMINI NOTI.

8.4. STRUTTURE IPERSTATICHE CON VINCOLI ELASTICI.

8.5. TRAVATURE RETICOLARI IPERSTATICHE.

8.6. TRAVE CONTINUA 8.7.8.7.8.7.8.7. SSSSIMMETRIA ED ANTISIMMIMMETRIA ED ANTISIMMIMMETRIA ED ANTISIMMIMMETRIA ED ANTISIMMETRIAETRIAETRIAETRIA

8.8. METODO DEGLI SPOSTAMENTI: CENNI

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 2

F. Angotti - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1999-00

8. TRAVATURE IPERSTATICHE 8.1. SISTEMA PRINCIPALE ED INCOGNITE IPERSTATICHE.

Per le travature iperstatiche si pone il problema di scrivere un numero di equazioni aggiuntive a quelle fornite dalla statica rigida in maniera da determinare le reazioni vincolari e le caratteristiche della sollecitazione.

Il metodo che si descrive qui di seguirlo è quello cosiddetto “delle forze” in quanto si assumono come incognite le reazioni vincolari e/o le caratteristiche della sollecitazione che risultano staticamente indeterminate. Il procedimento inizia associando alla travatura iperstatica una isostatica, detta “sistema principale” ottenuta dalla prima sopprimendo tutti i vincoli interni e/o esterni sovrabbondanti. Tale operazione non è univoca nel senso che è possibile, dedurre, da una struttura iperstatica più sistemi principali.

Una volta che si sia scelto un sistema principale, restano automaticamente individuate le incognite in quanto queste sono le reazioni e/o le caratteristiche di sollecitazione annullate con la soppressione dei vincoli e vengono chiamate “incognite iperstatiche”. Le equazioni che si possono scrivere sono equazioni di congruenza.

Infatti le incognite iperstatiche Xi devono essere determinate in maniera tale che la struttura principale per effetto dei carichi F; delle variazioni termiche θ, dei cedimenti vincolari uc, ϕ c e delle Xi coincida con la struttura iperstatica data. Tale coincidenza è chiaramente ottenuta se le Xi sono in grado di ricondurre i punti svincolati e sconnessi al rispetto dei vincoli presenti. Per ogni vincolo soppresso si può pertanto scrivere:

iη = iη ( F, θ, uc, ϕ c, Xi ) = )( iη (8.1)

Dove iη = iη ( F, θ, uc, ϕ c, Xi ) indica l’effetto (spostamento o rotazione, eventualmente

relativi) prodotto, in corrispondenza della sconnessione ima, nel sistema principale, da F, θ, uc, ϕ c, Xi e la seconda uguaglianza semplicemente esprime che tale effetto deve coincidere con

quello )( iη effettivamente presente nella travatura iperstatica.

8.2. EQUAZIONI DI Müller-Breslau O DI CONGRUENZA Si riconosce facilmente che, per il principio di sovrapposizione degli effetti, le equazioni

(8.1), si possono scrivere nella forma:

η i0 + η it + η ic + ∑=

n

k 1

η ik Xk = η (i) (8.2)

in cui sono separati i contributi rispettivamente dei carichi (η i0), delle variazioni termiche

(η it), dei cedimenti vincolari (η ic) e delle incognite iperstatiche (∑=

n

k 1

η ik Xk ). Le (8.2) sono

note come equazioni di Müller-Breslau.

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 3

F. Angotti - Lezioni di scienza delle costruzioni, a.a. 1999-00

8.2.1. CASO DI SOLI CARICHI.

Nel caso in cui non siano presenti variazioni termiche o cedimenti vincolari le equazioni di congruenza, scritte nella forma (8.2), si riducono a:

η i0 + ∑=

n

k 1

η ik Xk = 0 (8.3)

Esaminiamo il seguente caso particolare: F

struttura iperstatica

struttura principale

F X1 incognite iperstatiche X2

Fig. 8.1 - Struttura iperstatica soggetta a soli carichi espliciti Il procedimento illustrato ed il principio di sovrapposizione degli effetti richiedono che la

struttura iperstatica assegnata sia pensata come la somma delle strutture “0”, “1” e “2” simbolicamente indicate qui di seguito nella Fig. 8.2.-

Pertanto, in forma simbolica, possiamo esprimere la congruenza mediante la sovrapposizione degli effetti:

"i" = "0" + "1" + "2"

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 4

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struttura iperstatica "i" struttura "0” η10 η20 struttura “1” X1=1 η11 η21

η12 η22 struttura “2” X2=1

Fig. 8.2 - Struttura iperstatica soggetta a soli carichi - Sovrapposizione degli effetti In tal modo si comprende bene che tutti i coefficienti ed i termini noti del sistema (8.3), il

cui significato è indicato nella precedente figura, si valutano su strutture isostatiche. Le incognite X1 ed X2 si ottengono così risolvendo il sistema di 2 equazioni in 2

incognite: η10 + η11 X1 + η12 X2 = 0

(8.4)

η20 + η21 X1 + η22 X2 = 0 È importante prestare attenzione ai segni da attribuire agli ηij per effettuare una corretta

sovrapposizione degli effetti. Vedremo che converrà adottare la convenzione di considerare positivi spostamenti e rotazioni quando siano coerenti con i versi prefissati per le incognite iperstatiche.

8.2.2. CASO DI SOLA VARIAZIONE TERMICA. Nel caso in cui sia presente la sola variazione termica, le equazioni di congruenza (2) si

riducono alle ηit + Σ ηik Xk = 0 (8.5)

le quali esprimono il principio di sovrapposizione degli effetti in quanto richiedono che la struttura iperstatica assegnata sia pensata come la somma delle strutture “0”, “1” e “2”. Ossia :

"i" = "0" + "1" + "2"

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− θ1 struttura iperstatica (a) + θ2 − θ1 struttura “0” η1t η2t + θ2 struttura “1” X1=1 η11 η21

η12 η22 struttura “2” X2=1

Fig. 8.3 - Struttura iperstatica soggetta a coazioni termiche - Sovrapposizione degli effetti Si perviene quindi al sistema di due equazioni

η1t + η11 X1 + η12 X2 = 0 (8.6)

η2t + η21 X1 + η22 X2 = 0 dalle quali è possibile ricavare le incognite iperstatiche X1 e X2 .

8.2.3. CASO DI SOLI CEDIMENTI VINCOLARI. Nel caso in cui siano presenti dei cedimenti vincolari, le equazioni di congruenza (8.2), si

riducono a: ηic + Σ ηik Xk = η (i) (8.7)

e quindi, seguendo il procedimento già illustrato, si potrà scrivere simbolicamente

"i" = "0" + "1" + "2"

con riferimento alla seguente struttura:

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 6

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struttura iperstatica

φA δC cedimenti vincolari "i"

l

b

η1C δC struttura “0” η2C X1=1 η11 η21 struttura “1”

η12 η22 struttura “2” X2=1

Fig. 8.4 - Struttura iperstatica soggetta a soli cedimenti vincolari - Sovrapposizione degli effetti Si perviene perciò a

η1C + η11 X1 + η12 X2 = φA (8.8)

η2C + η21 X1 + η22 X2 = 0 in cui

η1C = δC/ l η2C = - b δC / l

da cui è possibile ricavare le incognite iperstatiche X1 e X2 .

8.3. CALCOLO DEI COEFFICIENTI E DEI TERMINI NOTI.

Abbiamo visto che le equazioni di congruenza assumono la forma di un sistema di n equazioni lineari algebriche

ηi0 + ηit + ηic + Σ ηik Xk = η (i) (8.2)

nelle n incognite Xi . In questo sistema i coefficienti e termini noti hanno il seguente significato:

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 7

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η (i) = movimento, da valutarsi in direzione e verso della Xi, nella struttura iperstatica, del punto in cui è applicata la Xi stessa. Questo è l’unico termine che si valuta sulla struttura iperstatica.

Gli altri coefficienti e termini noti si valutano nella struttura principale e rappresentano sempre movimenti del punto in cui è applicata la Xj da valutarsi in direzione e verso della stessa Xi.

Il loro significato è : ηi0 = movimento indotto dai carichi ηit = movimento indotto dalle variazioni termiche ηic = movimento indotto dai cedimenti vincolari ηik = movimento indotto dalla Xk = 1

In definitiva, la determinazione delle incognite iperstatiche richiede la valutazione di un certo numero di movimenti (spostamenti e/o rotazioni) su di una struttura isostatica. Segue pertanto che, indicando con N0, M0, T0 le sollecitazioni indotte dai carichi e con Ni, Mi, Ti quelle indotte da Xi = 1 sul sistema principale risultano immediatamente, tenuto conto anche della convenzione sui segni, le seguenti espressioni:

∫ ∫ ∫++= dsGA

TTds

EJ

MMds

EA

NN iiii

0000 χη

∫ ∫−

+= dsh

MdsN iiit21

0

θθααθη

(8.9) )( C

i

C

iiiC uR ϕηi

M+−=

∫ ∫ ∫++= dsGA

TTds

EJ

MMds

EA

NN kikikiik χη

Si riconosce facilmente che:

ηik = ηki , ηii > 0 (8.10) Ciò implica che la matrice dei coefficienti del sistema (8.2) è simmetrica e che inoltre i

termini che stanno sulla diagonale principale sono tutti positivi. Si noterà poi che i coefficienti ηik dipendono esclusivamente dalle caratteristiche

geometriche ed elastiche del sistema principale e perciò la loro determinazione può esser fatta una volta per tutte ed utilizzata poi per le diverse condizioni di carico che occorre considerare.

Inoltre si può osservare che la somma degli ηik rispetto all'indice k, ossia rispetto alla ima equazione

∑=

=n

k

iki

1

ηη (8.11)

esprime lo spostamento o la rotazione del punto "i" del sistema principale caricato simultaneamente da

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 8

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X1 = 1, X2 = 1,.…., Xk = 1, ……, Xn = 1;

e pertanto la determinazione di iη può essere controllata mediante calcolo diretto.

Circa i movimenti effettivi η (i) occorre distinguere i due casi seguenti:

1) Xi sia un’iperstatica interna, ovverosia una caratteristica di sollecitazione. In tal caso η(i) denota il movimento relativo delle sezioni che fanno capo alla sconnessione alla quale corrisponde proprio la incognita iperstatica Xi; siccome tale sconnessione non esiste nel sistema effettivo, risulta sempre η (i) = 0.

2) Xi sia un’iperstatica esterna. Escludendo per ora il caso di un vincolo cedevole

elasticamente, η(i) è nullo se il vincolo è perfetto, altrimenti vale il cedimento anelastico misurato (calcolo di verifica) o previsto (calcolo di progetto).

OSSERVAZIONE

I momenti di inerzia J e le sezioni A che figurano nelle espressioni degli ikη ed 0iη (8.9)

sono incogniti in un calcolo di progetto; i loro valori, tuttavia, devono essere acquisiti per procedere alla determinazione delle reazioni vincolari e quindi alle caratteristiche di sollecitazione. Occorre pertanto istituire un procedimento iterativo partendo da un proporzionamento preliminare da perfezionare in base ai risultati ottenuti.

8.4. STRUTTURE IPERSTATICHE CON VINCOLI ELASTICI.

Supponiamo che all'incognita iperstatica Xi corrisponda un vincolo esterno cedevole

elasticamente di costante elastica ki. In tal caso il secondo membro dell'equazione ima del sistema (8.2) diviene

η (i) = - ki Xi (8.12) dove il segno negativo sta ad indicare che il cedimento elastico avviene sempre nella direzione della Xi ma in verso contrario, come è chiarito nella fig. 8.5.-

F

k1 )(1η )(1η = - k1X1

X1

Fig. 8.5 - Struttura iperstatica con vincoli elastici.

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Di conseguenza il sistema (8.2) si modifica nel seguente modo:

η i0 + η it + η ic + η i1 X1 + η i2 X2 + …… + (η ii + ki ) Xi + ……. η in Xn = 0 (8.13)

8.5. TRAVATURE RETICOLARI IPERSTATICHE. Nel caso delle travature reticolari iperstatiche i coefficienti delle equazioni di Müller-Breslau (8.2) assumono una forma particolarmente semplice che illustriamo con alcuni esempi, limitati al caso piano e distinguendo tra iperstaticità esterna, dovuta ad una sovrabbondanza di vincoli esterni, ed iperstaticità interna, dovuta ad una sovrabbondanza di aste. IPERSTATICITÀ ESTERNA Si abbia la travatura reticolare indicata nella Fig. 8.6 F F F F F F F F F F θ Cδ X1

Fig. 8.6. Travatura reticolare con iperstaticità esterna

Con riferimento alla struttura principale indicata nella figura e con procedimento ormai già noto, per ricavare l’incognita iperstatica X1 si scrive l’equazione di Müller-Breslau

η(1) = η10 + η1C + η1t + η11 X1 dove

η(1) = - Cδ

ed i termini η10 , η1C , η1t ed η11 , assumono delle espressioni semplificate essendo riferite ad una struttura nella quale si ha una sola caratteristica di sollecitazione e per di più costante a tratti. Infatti risulta:

∫=s

dsEA

NN 0110η = ∑ l

EA

NN 01 = ∑ ρ01NN

∫=s

dsEA

N21

11η = ∑ lEA

N21 = ∑ ρ2

1N

∫=s

t dsN αθη 11 = ∑ lN αθ1

η1C = 0

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 10

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dove ρ = EA

l è l’estensibilità della generica asta e la sommatoria si intende estesa a tutte le

aste della travatura reticolare. IPERSTATICITÀ INTERNA Il procedimento rimane sostanzialmente lo stesso anche nel caso, riportato nella fig. 8.7, in cui la iperstaticità sia dovuta ad una ridondanza di aste. In tal caso l’incognita iperstatica è la forza normale X1 nell’asta sovrabbondante. F F F F F F F F F F θ X1 X1

Fig. 8.7. Travatura reticolare con iperstaticità interna

Il procedimento per determinare la X1 non differisce da quello precedentemente descritto. Si farà perciò sempre ricorso all’equazione:

η(1) = η10 + η1t + η11 X1 dove ora risulta η(1) = 0, trattandosi di iperstatica interna. DIFETTI DI MONTAGGIO Se l’asta di una travatura reticolare iperstatica è stata tagliata con una lunghezza minore o maggiore di quella teorica, essa può essere montata solo operando un forzamento che ovviamente mette in tensione l’intera travatura. Se il difetto δ , ossia la differenza tra lunghezza teorica lteorica e lunghezza effettiva leffettiva è dell’ordine di grandezza delle deformazioni elastiche, allora si può immaginare di operare con il seguente procedimento. Si annulla il

δ = lteorica - leffettiva mediante una variazione termica θ tale che:

δ = α θ l Naturalmente risulterà

θ > 0 se δ < 0 θ < 0 se δ > 0

Una volta riportata l’asta alla sua lunghezza teorica è possibile montarla correttamente. A partire da questo istante l’asta subirà una variazione termica esattamente pari a -θ e questa

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 11

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variazione termica, che interessa una sola asta, solleciterà la trave reticolare in un modo che sappiamo valutare. La valutazione degli effetti prodotti da un difetto di montaggio sono stati così ricondotti allo studio di una travatura reticolare soggetta a variazione termica in una sola asta. 8.6. TRAVE CONTINUA. 8.6.1. GENERALITÀ. Le travi continue rientrano nella categoria delle travi inflesse e sono caratterizzate dall’essere sostenute da più di due appoggi e dall’essere prive di sconnessioni interne. Si noti che gli appoggi sono tutti costituiti da carrelli, idonei quindi a consentire il libero esplicarsi delle dilatazioni assiali, tranne uno, in genere intermedio, che è fisso, per impedire gli spostamenti rigidi paralleli all’asse. Un esempio di trave continua è riportato nella fig. 8.8. A C1 Cm-1 Cm+1 Cn - 1 Cn B Cm

l1 lm lm+1 ln ln+1

Fig. 8.8. Trave continua

La trave continua presenta tante indeterminazione quanti sono gli appoggi intermedi. Il grado di iperstaticità è quindi dato dal n – 2 , con n numero degli appoggi. Ad essa si può associare un qualunque sistema principale ottenuto ad es. sopprimendo gli appoggi intermedi e sostituendo ad essi le reazioni vincolari, come indicato nella fig 8.9 nel caso in cui sia n = 7. A B X1 X2 X3 X4 X5

Fig. 8.9. Trave principale ottenuta sopprimendo gli appoggi sovrabbondanti

Questa scelta tuttavia può essere adottata quando il grado di iperstaticità sia basso, mentre risulta generalmente più conveniente introdurre delle sconnessioni interne del tipo M = 0, ossia delle cerniere. Ad es., nel caso di trave continua su 4 appoggi (Fig. 8.10) si possono adottare le strutture principali indicate nella Fig. 8.11. Questi schemi sono legati al nome dell’ing. Bavarese G. H. Gerber che perciò da lui prendono il nome.

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 12

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A B l1 C1 l2 C2 l3 Fig. 8.10. Trave continua su 4 appoggi

A B C0 l1 C1 l2 C2 l3 A B

C0 l1 C1 l2 C2 l3 C3

Fig. 8.11. Esempi di travi continue isostatiche: travi Gerber

8.6.2. L’EQUAZIONE DEI TRE MOMENTI La scelta di struttura principale più conveniente risulta in genere quella ottenuta introducendo delle cerniere in corrispondenza degli appoggi. A questa scelta restano associati, come incognite iperstatiche, i momenti flettenti sugli appoggi, come indicato nella fig. 8.12. Questa scelta risponde alla regola generale che consiglia di adottare delle strutture principali alle quali corrispondano delle configurazioni deformate le più vicine possibili a quella della struttura iperstatica alla quale sono associate. M1 M2 A B C0 l1 C1 l2 C2 l3

Fig. 8.12. Esempio di struttura principale di trave continua su 4 appoggi.

Si può osservare che in un sistema principale così scelto non si ha trasmissione di azioni da una campata all’altra per cui, nel caso di una trave continua su n appoggi, (fig. 8.8.), per scrivere la generica equazione di Mueller-Breslau, possiamo esaminare un campo costituito da due campate adiacenti, come indicato nella fig. 8.13.

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 13

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Mm-1 Mm Mm+1 Cm-1 lm Cm lm+1 Cm+1 Fig. 8.13. Struttura principale

Questa, riferita all’appoggio m

mo, dove si è operata la sconnessione Mm = 0, esprimerà la condizione di continuità della trave ossia la condizione che la linea elastica abbia una tangente unica e quindi una rotazione relativa nulla fra le due sezioni facenti capo alla sconnessione, cioè:

1+mα

Cm

mβ + 1+mα = 0 (8.14)

dove mβ rappresenta la rotazione della sezione Cm considerata appartenente alla campata di

sinistra e 1+mα la rotazione della medesima sezione pensata appartenente alla campata di

destra. Naturalmente si tratta di rotazioni indotte dai carichi, dai cedimenti vincolari, dalle variazioni termiche e dalle incognite iperstatiche sulla struttura principale. Trattandosi di travi inflesse, mβ ed 1+mα possono più agevolmente calcolarsi mediante il

teorema di Mohr illustrato al punto 7.2.5.- Supponendo che la trave continua abbia rigidezza costante per ogni campata, è facile vedere che mβ ed 1+mα possono calcolarsi come qui di seguito indicato.

Rotazioni indotte dai carichi: mβ 1+mα

Cm-1 lm Cm lm+1

Cm+1 p* p* B*m A*m+1

mβ = m

m

EJ

B*

(8.15)

1+mα = 1

*1

+

+

m

m

EJ

A

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 14

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Le reazioni B*m e A*m+1 rappresentano le reazioni vincolari della trave ausiliaria sottoposta al carico fittizio p* costituito dal diagramma dei momenti flettenti. Le rotazioni mβ ed 1+mα sono

perciò ottenute dividendo B*m e A*m+1 rispettivamente per EJm ed EJm+1 . Le reazioni B*m e A*m+1, note come termini di carico, si possono calcolare, una volte per tutte, per le condizioni di carico più frequenti. Nella tabella seguente sono riportati i valori di A* e B* per alcune condizioni di carico. a b F

A B L

A* = l

blFb

6

)( 22 −

B* = l

alFa

6

)( 22 −

P

A B

l

A* = 24

3pl

B* = 24

3pl

a b M A B l

A* = l

blM

6

)3( 22 −

B* = l

alM

6

)3( 22 −

Rotazioni indotte dalle incognite iperstatiche: Mm-1 mβ mβ Mm

lm lm

mβ = m

mm

EJ

lM

61− mβ =

m

mm

EJ

lM

3 (8.16)

Mm Mm+1

1+mα 1+mα

lm+1 lm+1

1+mα = 1

1

3 +

+

m

mm

EJ

lM 1+mα =

1

11

6 +

++

m

mm

EJ

lM (8.17)

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 15

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Rotazioni indotte dai cedimenti vincolari: mδ

Cm-1 mβ Cm 1+mα 1+mδ

Cm+1 lm lm+1

Se indichiamo con 1−mη , mη ed 1+mη i

cedimenti, supposti anelastici, degli appoggi Cm-1 , Cm e Cm+1 rispettivamente, posto

mδ = mη - 1−mη , 1+mδ = 1+mη - mη

risulta:

mβ = - m

m

l

δ 1+mα =

1

1

+

+

m

m

l

δ (8.18)

Tenendo conto di tutti i contributi, l’equazione di congruenza (8.14) dà luogo alla seguente espressione:

m

mm

EJ

lM

61− +

m

mm

EJ

lM

3 +

1

1

3 +

+

m

mm

EJ

lM +

1

11

6 +

++

m

mm

EJ

lM +

m

m

EJ

B*

+1

*1

+

+

m

m

EJ

A -

m

m

l

δ +

1

1

+

+

m

m

l

δ = 0 (8.19)

La (8.15) assume una forma particolarmente semplice nel caso in cui la trave sia a rigidezza costante ovvero quando si possa porre:

EJm = EJm+1 = EJ In tal caso infatti la (8.19) si semplifica nella seguente:

lm Mm-1 +2(lm + lm+1 )Mm + lm+1 Mm+1 = - 6(B*m + A*m+1 )+ 6EJ (m

m

l

δ -

1

1

+

+

m

m

l

δ) (8.20)

La generica equazione (8.15), così come la (8.16), contiene i momenti incogniti su tre appoggi consecutivi. Essa è perciò nota come equazione dei 3 momenti. Nella forma (8.20) essa è nota anche come equazione di Bertot – Clapeyron. Di queste equazioni ne possiamo scrivere tante quanti sono gli appoggi intermedi ossia in numero pari al grado di iperstaticità. La prima e l’ultima equazione contengono soltanto due momenti incogniti in quanto risulta

MA = MB = 0 Esse assumono perciò la forma : prima equazione:

2(l1 + l2 )M1 + l2 M2 = - 6(B*1 + A*2 )+ 6EJ (1

1

l

δ -

2

2

l

δ) (8.21)

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 16

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ultima equazione:

ln Mn-1 +2(ln + ln+1 )Mn = - 6(B*n + A*n+1 )+ 6EJ (n

n

l

δ -

1+n

B

l

δ) (8.22)

Se però gli estremi A e B sono incastrati, i momenti MA ed MB sono staticamente indeterminati. In tal caso occorrono due ulteriori equazioni che si possono facilmente scrivere osservando che, se gli incastri A e B siano sede di cedimenti angolari α e β rispettivamente, per le due campate di riva l1 , ln+1 si può scrivere A α A l1 C1

β B B Cn ln+1

α A = 1

*1

EJ

A +

1

1

3EJ

lM A + 1

11

6EJ

lM +

1

1

l

δ

(8.23)

β B = 1

*1

+

+

n

n

EJ

B +

1

1

6 +

+

n

nn

EJ

lM +

1

1

3 +

+

n

nB

EJ

lM +

1+n

B

l

δ

Si ottengono così le due equazioni aggiuntive cercate:

( 2MA + M1) l1 = - 6 A*1 + 6EJ1 ( α A - 1

1

l

δ )

(8.24)

( 2MB + Mn) ln+1 = - 6 B*n+1 + 6EJn+1 ( β B + 1+n

B

l

δ )

È interessante notare che le equazioni (8.24) si possono anche ottenere pensando che al posto di ciascuno degli incastri A e B vi sia una coppia di appoggi molto vicini fra di loro, comprendenti cioè una campata di luce infinitesima. È così possibile scrivere un’equazione analoga alla (8.20) e precisamente: A’ α A A C1

l0 l1

ponendo m = 0 nella (8.20) si perviene a:

2 l1 MA + l1 M1 = - 6 A*1 + 6EJ (α A - 1

1

l

δ)

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 17

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B’ Cn β B B ln+1 ln+2

mentre, ponendo m = n+1, si perviene a:

ln+1 Mn +2 ln+1 MB = - 6 B*n+1+6EJ(1+n

B

l

δ + β B)

entrambe le equazioni ottenute coincidono con le (8.24).

Siamo così in grado, in ogni caso, di scrivere un numero di equazioni di congruenza pari al numero delle incognite. Risolvendo questo sistema di equazioni algebriche si perviene ai valori dei momenti flettenti sugli appoggi. Siamo quindi in grado di calcolare le reazioni vincolari e di tracciare i diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione M e T. 8.6.3. LE REAZIONI VINCOLARI Lo studio della trave continua si completa con il calcolo delle reazioni vincolari, ottenuto facilmente una volta noti i momenti flettenti sugli appoggi. Infatti, con riferimento alla Fig. 8.14 a), dove il carico applicato sulla campata mma è, per semplicità, limitato ad una sola forza concentrata Fi, il momento flettente Mm al termine della campata, vale: Xm

a) b)

TmS Fi TmD TmD T(m+1)S

z bi Mm-1 Mm

Cm-1 lm Cm

Cm

Fig. 8.14. Calcolo delle reazioni vincolari

Mm = Mm-1 + TmS lm - Fi bi (8.25) da cui si deduce il taglio a sinistra della medesima campata

TmS = m

mm

l

MM 1−− +

m

ii

l

bF (8.26)

È evidente che se Cm-1 è il primo appoggio della trave continua allora la reazione vincolare coincide proprio con TmS . Altrimenti è facile constatare che in una generica sezione S di ascissa z, il taglio ed il momento flettente valgono: - Se la sezione S è a destra del carico Fi T(z) = TmS - Fi

M(z) = Mm-1 + TmS z - Fi [z –( lm - bi)] (8.27)

- Se la sezione S è a sinistra del carico Fi T(z) = TmS - Fi

M(z) = Mm-1 + TmS z

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 18

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La reazione vincolare Xm si ottiene facilmente osservando che dalla prima delle (8.27) si deduce che il taglio a destra della campata è dato da:

TmD = TmS - Fi (8.28) Mentre dalla Fig. 8.14 b) si deduce: Xm = T(m+1)S - TmD (8.29)

8.7. SIMMETRIA ED ANTISIMMETRIA Una struttura piana si definisce simmetrica rispetto ad un asse s , detto asse di simmetria, quando le due parti sono l’una l’immagine speculare dell’altra rispetto all’asse s. È questa la simmetria ortogonale, alla quale limitiamo le seguenti considerazioni. È facile constatare che una struttura simmetrica, soggetta ad un carico dissimmetrico, può sempre ricondursi alla sovrapposizione di due effetti, il primo relativo ad un carico simmetrico ed il secondo ad uno antisimmetrico. Nella Fig. 8.15 è indicato come si opera questa scomposizione, in presenza di un solo carico concentrato F . F

2F

2F

2F

2F

= + carico generico carico simmetrico carico antisimmetrico Fig. 8.15-Struttura simmetrica carico dissimmetrico: scomposizione in carico simmetrico ed

antisimmetrico La simmetria e l’antisimmetria di carico su di una struttura simmetrica implicano anche effetti (deformazioni, tensioni e spostamenti) rispettivamente simmetrici ed antisimmetrici. Per le travi, in particolare, ciò significa che le caratteristiche della sollecitazione, gli spostamenti e le rotazioni delle sezioni godranno delle medesime proprietà di simmetria. Vediamo quindi quali conseguenze si possano trarre da questa proprietà. Struttura simmetrica con carico simmetrico

In tal caso anche gli effetti devono essere simmetrici rispetto all’asse s, come indicato nella Fig. 8.16.

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 19

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z1 zs z2 z z1 zs z2 z T T

M M w w

N N ϕ ϕ v v

y y

Caratteristiche della sollecitazione Spostamenti e rotazioni v, w e ϕ simmetriche simmetrici

Fig. 8.16. - Struttura simmetrica con carico simmetrico Come si evince dalla Fig. 8.16., avuto riguardo alle convenzioni adottate per i segni delle grandezze in gioco, la simmetria delle caratteristiche della sollecitazione e quella di spostamenti e rotazioni implica :

N (z1 ) = N (z2 )

M (z1 ) = M (z2 )

T (z1 ) = - T (z2 )

w (z1 ) = - w (z2 ) ϕ (z1 ) = - ϕ (z2 ) (8.30)

v(z1 ) = v (z2 )

Si può quindi affermare che la N, M e v sono funzioni simmetriche, mentre le restanti grandezze sono emisimmetriche. Di conseguenza sull'asse di simmetria deve risultare:

T (zs ) = - T (zs ) = 0

w (zs ) = - w (zs ) = 0 ϕ (zs ) = - ϕ (zs ) = 0

2F

Fig. 8.17. -

Struttura simmetrica con carico antisimmetrico

In tal caso anche gli effetti devono essere antisimmetrici rispetto all’asse s, come indicato nella Fig. 8.18.

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 20

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z1 zs z2 z z1 zs z2 z T

M M w v

N N ϕ ϕ T v w

y y

Caratteristiche della sollecitazione Spostamenti e rotazioni v, w e ϕ antisimmetriche antisimmetrici

Fig. 8.18. - Struttura simmetrica con carico antisimmetrico La antisimmetria delle caratteristiche della sollecitazione e quella di spostamenti e rotazioni implica :

N (z1 ) = - N (z2 )

M (z1 ) = - M (z2 )

T (z1 ) = T (z2 )

w (z1 ) = w (z2 ) ϕ (z1 ) = ϕ (z2 ) (8.31)

v(z1 ) = - v (z2 )

In questo caso risulta che la N, M e v sono funzioni emisimmetriche, mentre le restanti grandezze sono simmetriche. Di conseguenza sull'asse di simmetria deve risultare:

N (zs ) = - N (zs ) = 0

M (zs ) = - M (zs ) = 0 v(zs ) = - v(zs ) = 0

2F

Fig. 8.19. -

Risulta quindi evidente che una struttura simmetrica può ricondursi allo studio di due strutture, l’una simmetrica (Fig. 8.17) l’altra antisimmetrica (Fig. 8.19), ciascuna delle quali presenta un più ridotto grado di iperstaticità rispetto alla struttura di partenza. È quindi evidente la convenienza ad utilizzare le proprietà di simmetria che la struttura presenta, sia perché lo studio può essere limitato a metà struttura, sia perché si ha a che fare con strutture di minore iperstaticità.

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 21

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8.8. METODO DEGLI SPOSTAMENTI: CENNI In alternativa al metodo delle forze, la risoluzione delle strutture iperstatiche può essere affrontata con un procedimento duale noto come metodo degli spostamenti. Al punto 8.2. abbiamo visto che con il metodo delle forze le incognite iperstatiche Xi, coincidenti con le reazioni vincolari e/o con le caratteristiche della sollecitazione sovrabbondanti, si individuano andando a ricercare, fra le infinite soluzioni equilibrate, l'unica congruente. Infatti le Xi, si determinano proprio mediante la soluzione di un sistema di equazioni di congruenza (8.2). Il metodo degli spostamenti consiste viceversa nell'andare a ricercare, fra le infinite soluzioni congruenti, l'unica equilibrata. Infatti il metodo assume come incognite gli spostamenti iδ o le

rotazioni iϕ indipendenti dalla cui conoscenza sia possibile risalire allo stato di sollecitazione

interna. Queste componenti di movimenti vengono determinate andando a ricercare fra gli infiniti valori iδ e iϕ congruenti quelli che rispettano l'equilibrio.

Alcuni esempi valgono a chiarire il metodo: Esempio 1 - Si consideri la trave reticolare rappresentata in figura, simmetrica rispetto all'asta A B C

l2 l1 l2

α α

D 1δ

2δ F

BD e soggetta alla forza F . Per la supposta simmetria, è chiaro che lo spostamento 1δ del nodo D avviene lungo la direzione dell'asta BD. Inoltre è facile dimostrare che noto 1δ è possibile risalire agli sforzi nelle tre aste. Infatti, se indichiamo con X1 lo sforzo nell'asta BD e con X2 lo sforzo nelle aste AD e CD, gli allungamenti

1δ e 2δ valgono:

1δ = 1

11

EA

lX 2δ =

2

22

EA

lX (a)

Da cui si ottiene:

X1 = 11

1 δl

EA X2 = 2

2

2 δl

EA (b)

Osservando che per la congruenza deve risultare 2δ = 1δ cosα (c ) dalle (b) si deducono le espressioni cercate:

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 22

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X1 = 11

1 δl

EA X2 =

2

2

l

EA1δ cosα (d)

È evidente quindi che le (d) forniscono infinite soluzioni, tutte congruenti, corrispondenti a scelte arbitrarie di 1δ . Tuttavia l'equilibrio del nodo D richiede che sia rispettatala condizione: X1 + 2 X2 cosα = F (e) ovvero, in virtù delle (d):

11

1 δl

EA + 2

2

2

l

EA1δ cos2α = F (f)

da cui discende l'unico valore di 1δ che è anche equilibrato:

1δ = α2

2

2

1

1 cos2l

EA

l

EA

F

+

(g)

Introducendo il valore di 1δ così ottenuto nelle (d), si perviene alla determinazione di X1 e di X2 :

X1 = 1

1

l

EA

α2

2

2

1

1 cos2l

EA

l

EA

F

+

, X2 = 2

2

l

EAcosα

α2

2

2

1

1 cos2l

EA

l

EA

F

+

(h)

Esempio 2 - Mensola rigida strallata. Per semplicità nella figura è indicato soltanto l' imo degli n stralli. Seguendo lo stesso procedimento dello esempio precedente, è facile ora provare che gli sforzi negli stralli possono essere tutti determinati in funzione della rotazione ϕ della mensola. C li

F

iα Di

A ϕ vi B

l

Infatti, se indichiamo con Xi lo sforzo nello strallo CDi e con iδ il suo allungamento che

vale:

iδ = i

ii

EA

lX (i)

si ricava

Xi = i

i

l

EAiδ (l)

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 23

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Avendo supposto rigida l'asta AB, la congruenza della deformazione impone che sia: iδ = vi sen iα = ϕ zi sen iα (m)

Introducendo la (m) nella (l) si ottiene:

Xi = i

i

l

EAϕ zi sen iα (n)

Resta così provato che la determinazione degli sforzi Xi negli stralli è legata alla conoscenza di ϕ . Le (n) infatti forniscono, per ogni strallo, infinite soluzioni, tutte congruenti, corrispondenti a scelte arbitrarie di ϕ . La presenza della cerniera A richiede che in essa sia nullo il momento flettente, ossia

∑ Xi li sen iα = Fl (o )

che in virtù della (n) diviene:

∑i

i

l

EAϕ zi li sen2

iα = Fl (p)

da cui si ricava l'unico valore di ϕ che è anche equilibrato:

ϕ =

ii

i

i zl

EA

Fl

α22 sen∑ (q)

Infine, introducendo il valore di ϕ così ottenuto nelle (n), si perviene alla determinazione di Xi

Xi = i

i

l

EA zi sen iα

ii

i

i zl

EA

Fl

α22 sen∑ (r)

La ( r) fornisce il valore del tiro negli n stralli. Si noti come risolvendo una sola equazione di equilibrio (p), si perviene alla soluzione di un problema a molte iperstatiche. Il metodo delle forze avrebbe richiesto la scrittura e la soluzione di un sistema di n - 1 equazioni di congruenza.

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 24

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Esempio 3 - Telaio con 4 aste incastrate alle estremità. C

l3

l1 M l2

A H B l4 D Questa volta dimostriamo che la conoscenza delle sollecitazioni nelle 4 aste, nell'ipotesi che esse siano indeformabili assialmente, dipende dalla rotazione ϕ del nodo H. Infatti, con riferimento allo schema di trave HB con appoggio in H ed incastro in B, la rotazione 2α della sezione in H, vale: M2 l2

2α B H

2α = 2

22

4EJ

lM (s)

Con analogo procedimento, per le rimanenti 3 aste si perviene, con ovvio significato dei simboli al seguente risultato:

1α = 1

11

4EJ

lM 3α =

3

33

4EJ

lM 4α =

4

44

4EJ

lM (t)

Da queste si ricavano le espressioni dei momenti.

M1 = 1

14

l

EJ1α M2 =

2

24

l

EJ 2α M3 =

3

34

l

EJ3α M4 =

4

44

l

EJ4α (u)

La congruenza del nodo H richiede che tutte le sezioni facenti capo ad esso ruotino della stessa quantità ϕ . Deve perciò aversi 1α = 2α = 3α = 4α = ϕ (v)

par cui le (u) divengono:

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Cap. 8 TRAVATURE IPERSTATICHE 25

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M1 = 1

14

l

EJϕ M2 =

2

24

l

EJ ϕ M3 =

3

34

l

EJϕ M4 =

4

44

l

EJϕ (w)

Resta così provato che è possibile esprimere i 4 momenti flettenti in funzione della rotazione ϕ del nodo. Ad ogni valore di ϕ corrisponde una soluzione congruente. Fra queste quelle equilibrata si ottiene imponendo l'equilibrio del nodo, ossia imponendo che: M1 + M2 + M3 + M4 = M (x) Questa avuto riguardo alle (w) fornisce l'equazione

(1

14

l

EJ +

2

24

l

EJ +

3

34

l

EJ +

4

44

l

EJ) ϕ = M (y)

da cui si ricava l'unico valore equilibrato di ϕ :

ϕ =

4

4

3

3

2

2

1

1 4444

l

EJ

l

EJ

l

EJ

l

EJ

M

+++

(z)

che, introdotto nelle (w) fornisce la soluzione cercata. Si noti che anche in questo esempio, una struttura con un grado di iperstaticità n = 9, ha richiesto, con il metodo degli spostamenti, la soluzione di una sola equazione.

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 1

F. Angotti - Lezioni di scienza delle costruzioni. a.a. 1999-00

CAP. 9 - CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA

INDICE

9.1 Introduzione

9.2 Stati di tensione monoassiali

9.3 Stati di tensioni pluriassiali

9.3.1 Criterio della massima tensione normale

9.3.2 Criterio di Coulomb o dell'attrito interno

9.3.3 Criterio di Mohr o della curva intrinseca

9.3.4 Criterio di Tresca o della massima tensione tangenziale

9.3.5 Criterio della massima (minima) dilatazione

9.3.6 Criterio di Beltrami o dell'energia potenziale

9.3.7 Criterio di Mises

9.4 Confronto e rappresentazione grafica dei vari criteri

9.5 Cenni di sicurezza strutturale 9.5.1. Introduzione 9.5.2. Metodi deterministici - Criterio delle tensioni ammissibili 9.5.3. Metodi probabilistici

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 2

F. Angotti - Lezioni di scienza delle costruzioni. a.a. 1999-00

9. CRITERI DI RESISTENZA E DI SICUREZZA

9.1. - INTRODUZIONE

La trattazione fin qui svolta, con riferimento al continuo ovvero alle travi, ci consente di calcolare, in corrispondenza d’assegnate condizioni al contorno, lo stato di tensione ijσ e di

deformazione ijε in ogni punto del solido.

Si pone ora il problema di stabilire se per caso, in qualche punto del solido o della trave, si sia superata la soglia d’elasticità del materiale. È infatti evidente che la piena validità della soluzione trovata richiede che in nessun punto si sia superato il comportamento elastico del materiale, pena il venir meno della validità delle equazioni costitutive utilizzate che sono appunto quelle del solido elastico lineare.

Per rispondere a tale quesito occorre conoscere i limiti che caratterizzano il comportamento elastico del materiale impiegato.

Noti questi limiti si potrà, dal confronto, stabilire se lo stato ijσ , ijε del solido o della

trave è, in tutti i punti, all’interno dello stato elastico. Più in generale, il confronto fra stati di tensione consente di stabilire se in qualche punto

si sia superata la tensione di crisi del materiale. Quest’ultima, come abbiamo visto a proposito della prova di trazione, può coincidere di volta in volta con la tensione limite di elasticità, con la tensione di snervamento oppure con la tensione di rottura.

In definitiva occorre stabilire in che modo sia possibile, ai fini sopra indicati, istituire un confronto fra stati di tensione.

Resta inteso che lo stato di tensione di riferimento è quello monoassiale dedotto dalla sperimentazione attraverso una prova di trazione:

ijσ =

000

000

000

σ

dove 0σ indica la tensione di crisi.

9.2. - STATI DI TENSIONE MONOASSIALI

Per stati di tensione monoassiali il confronto è diretto con i dati desunti dalle prove di trazione e di compressione condotte sui materiali.

Se indichiamo con 0σ ′ e 0σ ′′ , rispettivamente per la trazione e per la compressione, la

tensione limite di elasticità, oppure di snervamento, oppure la resistenza del materiale, ossia,

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 3

F. Angotti - Lezioni di scienza delle costruzioni. a.a. 1999-00

se in generale indichiamo con 0σ ′ e 0σ ′′ le tensioni di crisi a trazione ed a compressione,

possiamo scrivere le seguenti condizioni: a) condizione di crisi:

oz σσ ′=′ ; oz σσ ′′=′′ (9.1)

b) condizione di resistenza:

oz σσ ′<′ ; oz σσ ′′<′′ (9.2)

c) condizione di sicurezza:

γ

σσ

′≤′ 0

z ; γ

σσ

′′

′′≤′′ o

z (9.3)

in cui zσ ′ = massima tensione (di trazione, positiva)

zσ ′′ = minima tensione (di compressione, negativa)

0σ ′ = tensione di crisi in trazione

0σ ′′ = tensione di crisi compressione (è consuetudine esprimerla con un numero

positivo) ′γ e ′′γ = coefficienti di sicurezza entrambi maggiori di 1.

1Fλ

2Fλ 3Fλ

Fig. 9.1.

L’introduzione dei coefficienti di sicurezza dovrebbe garantire che la condizione di resistenza è sempre verificata, nonostante tutte le incertezze del problema, sulle quali ritorneremo più avanti.

Con riferimento alla trave pressoinflessa riportata in Fig. 9.1, nella quale si esemplifica il caso in cui si abbia in tutti i punti uno stato di tensione monoassiale con zσ tensione principale variabile da punto a punto, si può scrivere:

zσ = zσ ( ,x λ ) (9.4)

supponenedo di avere fissato la terna di vettori F1 , F2, F3.

Essendo in regime di proporzionalità, la precedente relazione si può anche scrivere:

zσ = λ zσ ( x ) (9.5)

essendo zσ ( x ) la soluzione per λ = 1.

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 4

F. Angotti - Lezioni di scienza delle costruzioni. a.a. 1999-00

Facciamo ora crescere λ da λ = 0 a λ = λ 1 in corrispondenza del quale in uno o più

punti x (ma non in tutti) si raggiunga la condizione di crisi. Se il materiale è fragile ciò provoca la rottura in quei punti x nei quali si verifica oz σσ ′=′

oppure oz σσ ′′=′′ ; a ciò corrisponde in genere l’inizio di un fenomeno progressivo di

rottura che rende la struttura incapace a resistere al carico λ 1F1 , λ 1F2 , λ 1F3 . Si può quinid dire che nei materiali fragili il raggiungimento della crisi in un sol punto implica la crisi dell’intera struttura.

Se il materiale è duttile , viceversa, la zσ ′ (o la | zσ ′′ | ) può restare al valore di

snervamento 0σ ′ (o 0σ ′′ ) senza che si abbia rottura, ma solo deformazione plastica. Al

raggiungimento della crisi (snervamento) in un punto non segue in genere la crisi dell’intera struttura; anzi la struttura è in grado di sopportare ulteriori incrementi di carico (ridistribuzione delle tensioni).

9.3. STATI DI TENSIONE PLURIASSIALI

Per gli stati di tensione pluriassiali si perde la possibilità di un confronto diretto con i risultati della prova di trazione (o di compressione). Infatti, mentre per gli stati di tensione monoassiali sono sufficienti le due tensioni limiti 0σ ′ e 0σ ′′ per delimitare il dominio di crisi

(v. 9.1.), nel caso di stati di tensioni pluriassiali sono infiniti gli stati di tensione limiti della crisi per un dato materiale, come si può dedurre dall'esempio qui di seguito illustrato.

Supponiamo di operare con un metallo duttile il cui comportamento a trazione sia approssimato da una bilatera (modello elastico - perfettamente plastico) zσ z zσ 0σ

x y zε

Fig. 9.2. a - Caso monoasssiale

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 5

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zσ z zσ 0σ

xσ b

x y zε

Fig. 9.2. b - Caso pluriassiale con xσ di compressione

zσ z zσ

c

xσ 0σ x y zε

Fig. 9.2. c - Caso pluriassiale con xσ di trazione

Ricordando la relazione costitutiva (5.18)

( )[ ]ε ν σ ν δσi j i j i jE

I= + −1

1 (5.18)

con Iσ = tr σσσσ , si deduce facilmente che, nel caso particolare in cui sia yσ = 0, | xσ | = zσ ,

risulta:

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 6

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caso a - zzE

σε1

=

caso b - zzE

σνε )1(1

+=

caso c - zzE

σνε )1(1

−=

Come è noto, la prova di trazione (Fig. 9.1. a), fornisce il modulo di elasticità E e la

tensione di crisi 0σ .

Se alla zσ di trazione si associa una compressione trasversale (Fig. 9.1. b), si osserva che

la tensione di snervamento viene raggiunta ad un livello più basso. Se si opera con | xσ | = zσ ,

per metalli duttili, si può raggiungere lo snervamento anche ad una tensione b

0σ ≈

2

10σ .

Se esaminiamo invece il caso in cui alla zσ di trazione si associ una trazione trasversale

con xσ = zσ , l'intuizione porterebbe a ritenere che ora la tensione di snervamento debba

aumentare. Tuttavia l'esperienza insegna che in tali casi la modificazione è modesta se non del tutto irrilevante. zσ (<0) z zσ xσ 0σ x yσ

y zε

Fig. 9.2. d - Caso di compressione idrostatica

Se infine se si considera il caso di una compressione idrostatica (Fig. 9.2.d), [in tal caso

risulta zzE

σνε )21(1

−= ] mentre il risultato sperimentale porta a ritenere che la tensione di

snervamento è difficile da raggiungere.

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 7

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Questi quattro casi esaminati portano a concludere che il raggiungimento della condizione di snervamento o di crisi in un punto è influenzato da tutte e tre le tensioni principali, ossia dall'intero stato di tensione. Non è possibile pertanto utilizzare i risultati delle prove di trazione (o di compressione), né è pensabile tuttavia di condurre sperimentazioni specifiche per ogni singolo stato di tensione.

Tale difficoltà può essere superata soltanto se si trova il modo di ricondurre gli infiniti stati tensionali di crisi di un dato materiale, alle due tensioni di crisi 0σ ′ e 0σ ′′ rispettivamente

a trazione ed a compressine, della prova monoassiale. Occorre quindi poter dedurre dallo stato di tensione triassiale due tensioni ideali idσ ′ e

idσ ′′ riconducibili ad uno stato di tensione monoassiale ugualmente pericoloso. Si tratta, in

altre parole, di istituire un confronto far stati di tensione sulla base della loro pericolosità, ossia del raggiungimento dello stato di crisi.

3

2

1

σ

σ

σ

confronto

0

0

0

σ

(9.6)

Si apre così il capitolo dei criteri di snervamento o di plasticizzazione (od anche di

resistenza o di rottura). Strettamente correlati ai criteri di snervamento sono quelli di fessurazione che fanno

specifico riferimento alla meccanica della frattura.

NOTA SULLA FORMA GENERALE DEI CRITERI DI SNERVAMENTO

Come già avvertito al cap. 9.1. più in generale il confronto fra stati di tensione deve consentire di stabilire se in qualche punto del solido si sia superata la tensione di crisi del materiale. Quest’ultima, come abbiamo visto a proposito della prova di trazione, può coincidere di volta in volta con la tensione limite di elasticità, con la tensione di snervamento oppure con la tensione di rottura.

Nel seguito lo stato di tensione di riferimento è quello monoassiale dedotto da una prova di trazione:

ijσ =

000

000

000

σ

dove 0σ indica la tensione di crisi; ovvero da una prova di trazione e da una di compressione

che, in condizione di crisi, forniscono i valori:

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 8

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per la trazione: ijσ =

000

000

000

σ ′

e per la compressione: ijσ =

000

000

000

σ ′′

dove 0σ ′ e 0σ ′′ sono le due tensioni di crisi rispettivamente a trazione ed a compressione.

Il problema così impostato implica che qualunque criterio può essere espresso in funzione del solo stato di tensione ijσ nel punto considerato, mentre è ovvio che il criterio,

applicato al caso monoassiale, deve risultare coerente con i risultati sperimentali. Di conseguenza l'espressione più generale che si può attribuire ad un qualunque criterio è perciò una funzione di 6 variabili:

f( ijσ ) = σ k ,

essendo σ k una appropriata costante. Il numero delle variabili di questa funzione si riduce a 3, se si ammette che il materiale sia isotropo nei confronti del raggiungimento della crisi e pertanto in tal caso si potrà scrivere:

f( 321 ,, σσσ ) = k ,

dove 321 ,, σσσ sono le tensioni principali e k una costante che si determina, come vedremo

nel seguito, applicando il criterio al caso monoassiale, ossia:

f( 0,0,0 σ ) = k .

Nei punti che seguono illustreremo alcuni criteri di snervamento o di rottura.

9.3.1. Criterio della massima tensione normale

È il criterio più semplice ed antico, implicitamente adottato da G. Galilei e successivamente da Navier e Rankine.

Esso afferma che lo stato di tensione ijσ , le cui tensioni principali siano 1σ , 2σ e 3σ ,

con 1σ > 2σ > 3σ , raggiunge la crisi quando

| 1σ | < 0σ ′

(9.7) | 3σ | < 0σ ′′

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 9

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Ciò significa che nel piano di Mohr, i tre cerchi principali devono essere contenuti nella striscia definita dalle due rette

nσ = 0σ ′

nσ = - 0σ ′′

S'individua così il massimo cerchio Γ compatibile con la crisi del materiale (Fig. 9.3). nτ

Γ 0τ

- 0σ ′′ 0σ ′ nσ

Fig. 9.3. – Cerchio limite

È interessante notare che al cerchio Γ corrisponde una τ max , non accompagnata da

nσ , data da

000 σστ ′′′= (9.8)

che, per materiali con ugual resistenza a trazione ed a compressione ( 0σ ′ = 0σ ′′ = 0σ ), implica:

0τ = 0σ (9.9)

Questo risultato non ha alcun riscontro sperimentale, certamente per i materiali duttili,

per i quali la tensione tangenziale limite 0τ assume, di solito, valori alquanto minori. Il

criterio tuttavia trova interessanti applicazioni come criterio di rottura per materiali fragili quali la ghisa, i materiali vetrosi ed i materiali lapidei.

Dalle espressioni precedenti si deduce che, nel caso in cui sia 1σ > 0 e 3σ < 0,

introdotte le tensioni ideali:

idσ ′ = 1σ

idσ ′′ = | 3σ |

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 10

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la condizione di crisi (v. 9.1.) è espressa mediante:

idσ ′ = 0σ ′

idσ ′′ = | 0σ ′′ |.

Nel caso di materiali con ugual resitenza a trazione ed a compressione, ossia quando risulti 0σ ′ = 0σ ′′ = 0σ , l’espressione della idσ risulta:

idσ = max (| 1σ |, | 2σ |, | 3σ |) (9.10)

e la condizione di crisi è espressa mediante :

idσ = 0σ .

9.3.2. Criterio di Coulomb o dell’attrito interno

Questo criterio fa risalire la rottura allo scorrimento lungo elementi piani nei quali sia violata la condizione

)( σµτ −< c (9.11)

nella quale σ e τ sono rispettivamente tensione normale e tangenziale sull'elemento piano, c è una costante detta coesione, µ è il coefficiente d'attrito interno, legato all'angolo d'attrito

interno ϕ dalla ben nota relazione: ϕµ tang= (9.12)

La (9.11) individua, nel piano di Mohr (Fig. 9.4), una superficie Ω delimitata dalle due rette:

)( σµτ −±= c (9.13)

Noti i valori di µ e c, assegnato uno stato di tensione ijσ , è possibile stabilire se esso

rispetta il criterio (9.11) semplicemente calcolando le tre tensioni principali 1σ , 2σ e 3σ e

verificando che il più grande cerchio di Mohr sia interno, od al più tangente, alle due rette (9.13).

Dalla Fig. 9.4. discende che per una data tensione normale σ ', il valore massimo della tensione tangenziale τ si verifica nel punto di tangenza (σ ', τ ') del più grande cerchio di

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 11

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Mohr. Questo punto individua anche il piano di scorrimento. Infatti, come è noto dalla costruzione dei cerchi di Mohr, esso appartiene al fascio avente come sostegno la direzione principale relativa a 2σ ed è inclinato di φ /2 rispetto al piano relativo a 1σ (Fig. 9.4). L'angolo φ è dato da:

Ω 2/φ σ ’ 1σ 3σ

Fig. 9.4. Criterio di Coulomb

tgφ = 1/ µ , ϕπ

φ −=2

(9.14)

Si può notare che la tensione tangenziale |τ '| che provoca lo scorrimento cresce con la

compressione σ ' sul piano di scorrimento. Il criterio (9.11) può essere espresso anche in termini di tensioni principali. Infatti, posto

1σ > 2σ > 3σ , dalla Fig. 9.4. si deduce immediatamente:

φσσσσ

σ cos22

' 3131 −+

+= (9.15)

φσσ

τ sin2

' 31 −= (9.16)

ϕ nσ

φ

)','( τσ

φ

3σ 1σ

c

)( σµτ −−= c

)( σµτ −= c

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 12

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Combinando la (9.11) con la (9.14), (9.15) e (9.16), si perviene a:

ϕµϕσσσσ cos2)()( 3131 csin =++− per 1σ > 2σ > 3σ (9.17)

e, per la (9.12) ϕϕσσσσ sincsin 2)()( 3131 =++− per 1σ > 2σ > 3σ (9.18)

In termini di tensioni principali, il criterio di Coulomb è perciò espresso, a seconda di quale delle tre tensioni principali sia quella intermedia, da una delle sei seguenti relazioni: tensione intermedia 1σ : | 2σ - 3σ | + ( 2σ + 3σ ) sinϕ = 2 c sinϕ

tensione intermedia 2σ : | 1σ - 3σ | + ( 1σ + 3σ ) sinϕ = 2 c sinϕ (9.19)

tensione intermedia 3σ : | 2σ - 1σ | + ( 1σ + 2σ ) sinϕ = 2 c sinϕ

Per tracciare le due rette (9.13), occorre conoscere almeno 2 circonferenze limiti.

Eseguendo, ad es., una prova di trazione ed una di compressione, si determinano i due stati tensionali di crisi:

0

0

0

σ ′

e

0

0

0

σ ′′

(9.20)

e quindi le due circonferenze limiti Γ ' e Γ ". Si possono così individuare le due tangenti comuni a queste due circonferenze, come indicato nella Fig. (9.5).

τ n B τ 0

Γ " A H Γ ' ϕ

σ"0 C” C’ σ'0 c σn Fig. 9.5. - Criterio di Coulomb dedotto da una prova di trazione(circonferenza Γ ') ed una di

compressione (circonferenza Γ " )

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 13

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Dalla Fig (9.5) si deduce inoltre che

2

10σ ′ = (c -

2

10σ ′ ) sinϕ

2

10σ ′′ = (c +

2

10σ ′′ ) sinϕ

e quindi, con facili passaggi, si trovano i valori della coesione c e dell’angolo di attrito interno ϕ

c = 00

00

σσ

σσ

′−′′

′′′

(9.21)

sinϕ = 00

00

σσ

σσ

′+′′

′−′′

Inoltre, sempre dalla Fig. (9.5), è facile dedurre il valore massimo della tensione

tangenziale 0τ non accompagnata da tensione normale. Infatti risulta

0τ = BD = AD = 2

1 C’H

C’H = (C’C”2 – HC”2) 0,5 = 200200 )2

()2

(σσσσ ′−′′

−′′+′

Da cui discende

0τ = 2

100σσ ′′′ (9.22)

Si tratta di un valore che è esattamente la metà di quello ottenuto con il criterio della

massima tensione normale (v. 9.8). Questo criterio, con valori di µ positivi, trova importanti applicazioni nella

geotecnica e, in generale, nei materiali fragili che presentano una resistenza a compressione molto più alta di quella a trazione, come la ghisa ed alcuni materiali ceramici. 9.3.3. - CRITERIO DELLA CURVA INTRINSECA O DI MOHR.

Il criterio di Mohr è una generalizzazione di quello di Coulomb e, analogamente a questo, presuppone che:

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 14

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1. la rottura si manifesti lungo un elemento piano in dipendenza dei valori che su di esso assumono la tensione normale σ e tangenziale τ . La circonferenza che individua la crisi è sempre quella più grande.

2. le superfici di scorrimento appartengano al fascio di sostegno σ 2 (σ 1>σ 2>σ 3) la quale però, come nel criterio di Coulomb, non esercita alcuna influenza sul raggiungimento dello stato di crisi. Diversamente dal criterio di Coulomb, quello di Mohr prescinde dalla relazione lineare di

crisi (9.13) )( σµτ −= c in quanto suppone che la crisi si raggiunge quando la tensione

tangenziale τ sul piano di scorrimento perviene ad un certo valore massimo legato alla σ da una relazione più complessa f(σ ,τ ) = 0. (9.23)

In tal modo i cerchi di crisi Γ individuano una curva inviluppo f(σ ,τ ) = 0, luogo geometrico dei punti A, A’ che, a parità di σ , hanno la massima ordinata τ (Fig. 9.6). Tale curva è naturalmente simmetrica rispetto all’asse σ n. f(σ ,τ ) = 0 τn A Γ τ σ3 C σ σ1 c σn

A’ Fig. 9.6. Curva intrinseca di Mohr

Per un dato materiale, la curva intrinseca potrebbe essere costruita per punti

sperimentalmente, operando con stati di tensione biassiali. Per qualunque materiale la curva intrinseca presenta le seguenti caratteristiche:

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 15

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a) i due rami simmetrici si incontrano, dal lato delle σ n> 0. nel punto σ n = c. In tale punto il cerchio limite si riduce ad una punto (σ 1 = σ 2 = σ 3 ). La crisi si manifesta sotto trazioni uguali agenti secondo le tre direzioni principali di tensione.

b) È presumibile che la curva intrinseca non incontri l’asse σ n dalla parte negativa. Numerose esperienze infatti confermano che nessun corpo perviene a rottura sotto una pressione uniforme.

c) È plausibile che sotto pressioni elevate tutti i materiali assumano uno stato plastico per modo che al crescere di |σ | sul piano di scorrimento, la τ tende a diventare costante ed indipendente dal valore della stessa σ . Se ne deduce quindi che la curva intrinseca presenta un asintoto orizzontale e che la sua concavità è rivolta verso l’asse delle ascisse.

In molti casi, nel tratto compreso tra il cerchio Γ ' corrispondente alla crisi per trazione semplice e quello Γ " corrispondente alla crisi per compressione semplice, si può sostituire, alla curva, una coppia di rette (Fig. 9.7), come nel criterio di Coulomb.

f(σ ,τ ) = 0 τn A Γ " B σ’0 σ”0 C c σn B’

Γ ' A’

Fig. 9.7. Curva intrinseca di Mohr modificata Per i materiali duttili, come l’acciaio, la curva intrinseca tende a trasformarsi in due rette

parallele all’asse delle ascisse (vedi criterio di Tresca), delimitate dal cerchio di crisi per trazione semplice (Fig. 9.8)

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 16

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τ n σ'0 σn Fig. 9.8. Curva intrinseca di Mohr per materiali duttili

9.3.4. CRITERIO DELLA TENSIONE TANGENZIALE MASSIMA O DI TRESCA

Il criterio della tensione tangenziale massima fu originariamente proposto da Coulomb (1773) e successivamente (1868) da Tresca, a seguito delle sue indagini sperimentali sul flusso di metalli sottoposti ad elevate pressioni. Esso deriva dalla osservazione che, in un materiale duttile, lo scorrimento allo snervamento si manifesta secondo certi piani orientati i quali fanno pensare ad un ruolo rilevante da parte della tensione tangenziale massima. Si può perciò ritenere che il raggiungimento della crisi si manifesti quando la tensione tangenziale massimaτ max raggiunge un certo valore critico τ 0:

|τ max|= τ 0 (9.24) Se σ 1 > σ 2 > σ 3 sono le tensioni principali, risulta (Fig. 9.9.):

τ max = 2

1(σ 1 - σ 3), (9.25)

mentre il valore della τ 0 viene dedotto applicando il criterio al caso della trazione semplice allo stato di crisi, ossia allo stato di tensione monoassiale:

ijσ =

0

0

0

σ ′

(9.26)

da cui si deduce

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 17

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τ max = 2

1σ ’0 = τ ’0 (9.27)

Si può poi osservare che, applicando il criterio allo stato di compressione semplice

ijσ =

0

0

0

σ ′′

, (9.28)

si perviene a

τ max = 2

1σ ”0 = τ ”0 . (9.29)

Dovendo essere necessariamente unico il valore limite

τ 0 = τ ’0 =τ ”0 (9.30) dovrà evidentemente risultare σ 0 = σ ’0 = σ ”0, (9.31) dal che segue che il criterio è applicabile solo per quei materiali che presentano un'eguale resistenza a trazione ed a compressione.

La tensione tangenziale di crisi vale:

τ max = 2

1σ 0 = τ 0 . (9.32)

Dalle (9.24) e (9.25), sempre nel caso σ 1 > σ 2 > σ 3 , si deduce:

2

1(σ 1 - σ 3) =

2

1σ 0 (9.33)

da cui discende che la tensione ideale σ id assume il valore: σ id = (σ 1 - σ 3) (9.34) e, più in generale, può essere espressa dalla seguente relazione: σ id = max (| 1σ - 3σ |, | 2σ - 3σ |, | 2σ - 1σ |) (9.35)

Sul piano di Mohr ne deriva la rappresentazione riportata nella Fig. 9.9., riferita al caso σ 1 > σ 2 > σ 3. La zona di crisi è esterna alle due rette a e b.

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 18

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τ n

a τ 0 σ ’0 σ 3 σ 1 σ n b Fig. 9.9. Criterio della tensione tangenziale massima o di Tresca Osservazioni:

1. Se allo stato di tensione σ ij si aggiunge uno stato di tensione idrostatico (cioè tale che σ 1 =σ 2 = σ 3) non se ne modifica il raggiungimento della crisi. Infatti tale aggiunta ha il solo effetto di traslare il più grande cerchio lungo l’asse delle ascisse, mentre resta immutato il valore di τ max .

2. Il criterio di Tresca può essere visto come un caso limite di quello di Coulomb quando c → ∞ µ → 0 .

In tal caso infatti le rette )( σµτ −±= c (9.13)

diventano parallele all’asse delle σ n 3. Qualche perplessità desta il fato che il criterio (vedi Fig. 9.9) è illimitato dalla parte delle

σ n > 0, tanto che alcuni propongono una delimitazione con il cerchio Γ 1 della trazione semplice Fig. (9.10)

τ n τ 0 0σ ′ σ n

Fig. 9.10. Criterio di Tresca modificato

Il criterio di Tresca ha avuto significative applicazioni nella teoria della plasticità.

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 19

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9.3.5 CRITERIO DELLA DILATAZIONE MASSIMA E MINIMA O DI GRASHOFF

In base a questo criterio la condizione di crisi in un punto viene fatta risalire al superamento di una certa soglia da parte della dilatazione massima e minima. Sia ijε il tensore delle

deformazioni e siano 0ε ’ ed 0ε ” le soglie, rispettivamente per allungamenti e per

accorciamenti, il criterio si può scrivere nella forma:

maxε = 0ε ’

(9.36) | minε | = 0ε ”

Per esprimere in termini di tensioni la condizione di crisi (9.36) occorre fare

riferimento ad un modello costitutivo. Se ammettiamo che il materiale sia elastico lineare isotropo e che tale resti fino al raggiungimento della crisi, si può scrivere:

maxε = E

1[ σ1 - ν (σ2 + σ3 )]

(9.37)

minε = E

1[ σ3 - ν (σ1 + σ2 )]

in cui σ1 > σ2 > σ3 sono le tensioni principali.

I valori di di soglia 0ε ’ ed 0ε ” si ottengono applicando il criterio al caso della trazione

semplice e delle compressione semplice rispettivamente. Infatti, con riferimento alla condizione di crisi in trazione semplice (9.26) si ottiene:

maxε = E

1σ '0 = 0ε ’

(9.38)

| minε | = E

1σ"0 = 0ε ”

Il criterio (9.36) in virtù delle (9.37) e (9.38) diviene: σ1 - ν (σ2 + σ3 ) = σ '0

(9.39) σ3 - ν (σ1 + σ2 ) = σ"0

La tensione ideale, sempre nel caso in cui σ1 > σ2 > σ3, assume i valori: σ 'id = σ1 - ν (σ2 + σ3 )

(9.40) σ"id = |σ3 - ν (σ1 + σ2 )|

In generale, a seconda di quale delle tre tensioni principali sia quella intermedia, il criterio assume una delle seguenti espressioni:

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 20

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tensione intermedia σ1 : σ 'id = |σ3 - ν (σ1 + σ2 )|

σ"id = |σ2 - ν (σ1 + σ3 )|

tensione intermedia σ2 :

σ 'id = |σ1 - ν (σ2 + σ3 )|

σ"id = |σ3 - ν (σ1 + σ2 )| tensione intermedia σ3 :

σ 'id = |σ2 - ν (σ1 + σ3 )|

σ"id = |σ1 - ν (σ2 + σ3 )|

Si noti che il criterio sarebbe inaccettabile se limitasse la sola dilatazione massima. Infatti in tal caso, con riferimento allo stato di compressione monoassiale di crisi:

ijσ =

0

0

0

σ ′′

, (9.28)

(σ"0 < 0) a cui corrisponde la deformazione

ijε =

3

2

1

ε

ε

ε

in cui

ε 1 = ε 2 = - νE

1σ"0

(9.41)

ε 3 = E

1σ"0

Dovendo limitare la sola dilatazione massima, si porrà la seguente condizione di crisi:

|ε 1| = |ε 2| = 0ε ’ = E

1σ '0

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 21

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e, dal confronto con la (9.41)1 , segue

νE

1σ"0 =

E

1σ '0 ⇒ ν σ"0 = σ '0

risultato, quest'ultimo, senza alcun riscontro sperimentale. Infatti per molti materiale risulta σ"0 ≈ σ '0 e, per altri, |σ"0| < σ '0 .

Il criterio della dilatazione massima e minima è stato adottato per molti anni dalla maggior parte dei regolamenti ufficiali europei. Nel caso in cui σ '0 = σ"0 = σ0 , la tensione ideale si può esprimere mediante: σ id = max ( |σ1 - ν (σ2 + σ3 )|, |σ2 - ν (σ1 + σ3 )|, |σ3 - ν (σ1 + σ2 )|) (9.42) Nel caso di uno stato di tensione tangenziale puro risulta:

ijσ =

00

000

00

τ

τ

τ

τ

0

ossia σ1 = τ σ2 = 0 σ3 = - τ e quindi dalla (9.40)1 σ 'id = σ1 - ν σ3 = τ + ν τ da cui

τσ

ντ=

+≡o

o1 (9.43)

nel caso dell’acciaio (ν = 0,3) si ha:

τ σo o= ⋅ ′0 77. (9.44)

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9.3.6 Criterio dell'Energia Potenziale Totale o di Beltrami

Secondo Beltrami si raggiunge la crisi in un punto quando la densità di energia

potenziale elastica raggiunge, in quel punto, una certa soglia. Ricordando che la densità di energia ha l'espressione (5.29) :

( )$ ( )Φ Φσ ε σ εi j i j i j i j= =1

2 (9.45)

e che, avuto riguardo alle equazioni costitutive del solido lineare, elastico, questa in termini di tensioni diviene

$ ( )Φ σ σ σi j i jkl i j k lK=1

2 (9.46)

dove Kijkl è il tensore inverso di elasticità, si verifica immediatamente e che nel caso isotropo la (9.46) si riduce all'espressione:

( ) ( )IIIIIIIIIIIIIIIIIIEE

σσσσσσν

σσσ ++−++=Φ 222

2

1ˆ , (9.47)

la condizione di crisi si esprime semplicemente mediante:

oΦ=Φ ˆˆ (9.48)

essendo oΦ il valore di soglia.

Con riferimento alla condizione di crisi in trazione semplice

ijσ =

0

0

0

σ ′

(9.26)

la (9.47) si riduce a

0Φ ' = E2

10σ '2

mentre il riferimento alla condizione di crisi in compressione semplice

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 23

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ijσ =

0

0

0

σ ′′

, (9.28)

implica

0Φ " = E2

10σ "2

e, dovendo essere unica la soglia 0Φ , si deduce che il criterio di Beltrami è applicabile

soltanto a quei materiali aventi egual resistenza a trazione ed a compressione. Ossia:

0σ ' = 0σ " = 0σ ; 0Φ = E2

10σ 2 (9.49)

In tal caso la condizione di crisi (9.48) diviene:

( ) ( )IIIIIIIIIIIIIIIIIIEE

σσσσσσν

σσσ ++−++=Φ 222

2

1ˆ = E2

10σ 2 (9.50)

da cui si deduce la seguente espressione della tensione ideale:

σ id = Φ2E (9.51) ossia:

σ id = ( ) ( )IIIIIIIIIIIIIIIIII σσσσσσνσσσ ++−++ 2222 (9.52)

Nel caso di uno stato di tensione tangenziale puro :

ijσ =

00

000

00

τ

τ

τ

τ

0

ossia σ1 = τ σ2 = 0 σ3 = - τ

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la (9.52) fornisce:

( )σ ν τid = + ⋅2 1 e questa, in condizione di crisi, si riduce a

( ) 012 τνσ ⋅+=id = 0σ

da cui discende:

=0τ)1(2

0

ν

σ

+ (9.53)

e, nel caso dell’acciaio (ν = 0,3) si ha:

oo στ ⋅= 62.0 (9.54)

9.3.7 Criterio della massima energia distorcente o di Mises

Sulla strada indicata da Beltrami (1885), dapprima M. T. Huber (1904) quindi R. von Mises (1913), dal quale il criterio ha preso successivamente il nome, ed infine H. Hencky (1925) proposero, soprattutto sulla base delle esperienze condotte da Huber, di fare riferimento non alla energia potenziale totale, ma piuttosto a quella distorcente. Tale proposta nasceva dall'esigenza di tener conto della indifferenza, per quanto riguarda il raggiungimento del limite di elasticità, rispetto a stati di tensione idrostatici di compressione. Le esperienze di Huber avevano dimostrato che non si perveniva alla plasticizzazione dei metalli sotto stati di tensione idrostatici di compressione comunque elevati.

Partendo dalla (9.45)

( ) jijiji εσε2

1=Φ (9.45)

e scomponendo entrambi i tensori ijσ ed ijε additivamente nelle parti sferica e deviatorica (v.

pargf 3.10):

jijimji s+= δσσ

jijimji ηδεε +=

si può dare alla Φ la seguente forma:

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 25

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( ) jijiji εσε2

1=Φ =

2

1 ) ( jijim s+δσ ) ( jijim ηδε + =

2

1ijs ijη +

2

3mσ mε (9.55)

dalla quale si riconosce che il primo termine

Φ d = 2

1ijs ijη (9.56)

corrisponde all'energia distorcente, associata quindi alla variazione di forma del solido, mentre il secondo

Φ m = 2

3mσ mε (9.57)

è riferibile alla energia associata alla variazione di volume del solido.

Ritenendo ininfluente la parte idrostatica del tensore σ ij sul raggiungimento della plasticizzazione, si può affermare che si ha la crisi quando la sola energia distorcente (9.56) attinge una certa soglia: Φ d = Φ d° . (9.58)

Naturalmente questa ipotesi presuppone, analogamente a quanto visto con il criterio di Beltrami, che il materiale abbia ugual resistenza (ovvero limite di elasticità) a trazione ed a compressione ( 0σ ' = 0σ " = 0σ ).

Nel caso di solido elastico, lineare, isotropo, la Φ d, espressa in termini di tensioni, vale:

Φ d = 2

1ijs

G

sij

2 =

G4

1ijs ijs (9.59)

mentre, con procedimento ormai noto, l'applicazione del criterio al caso monoassiale, opportunamente scomposto nella parte sferica ed in quella deviatorica:

3/2

3/

3/

3/

3/

3/

0

0

0

0

0

0

0

0

0 σ

σ

σ

σ

σ

σ

σ

+= (9.60)

consente di valutare la soglia Φ d° . Infatti è facile vedere che in tal caso risulta:

Φ d° = G4

1(

9

1 +

9

1 +

9

4) 0σ 2 =

G4

1

3

20σ 2 (9.61)

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E questa, introdotta nella (9.58), avuto riguardo alla (9.59), fornisce:

G4

1ijs ijs =

G4

1

3

20σ 2 →

2

3ijs ijs = 0σ 2 (9.62)

da cui è immediata l'espressione della tensione ideale:

idσ = ijijss3

2 (9.63)

Si noti che : - l'ipotesi (9.58) che il raggiungimento del limite di elasticità non è influenzato dalla parte

idrostatica del tensore σ ij , mentre è da ritenersi valida per le compressioni idrostatiche

non lo è altrettanto per le trazioni idrostatiche1. In questo senso il criterio di Mises non è del tutto giustificato.

- l'espressione della idσ (9.63) non dipende dalle costanti elastiche. Questo risultato rende in

un certo senso indipendente il criterio dall'ipotesi costitutiva adottata. Quest'ultima osservazione ha spinto gli studiosi alla ricerca di altre interpretazioni del criterio di Mises, che pure ha il pregio di avere un forte significato fisico in quanto lega il raggiungimento della crisi al superamento di una certa soglia per l'energia accumulata dal solido.

Una forma alternativa del criterio di Mises, strettamente legata all'ipotesi di ritenere ininfluente la parte idrostatica del tensore σ ij sul raggiungimento della plasticizzazione, consiste nell’attribuire la crisi al raggiungimento di una certa soglia da parte dell’invariante secondo del deviatore ijs :

J2 + k2 = 0 (9.64)

essendo (v. pargf 3.10)

2

1 - 2 jiji ssJ =

e k una costante che, come al solito, viene determinata applicando la (9.64) al caso monoassiale.

Si può osservare che questa ipotesi, meno significativa sul piano fisico, è del tutto svicolata da modelli costitutivi.

1 Huber proponeva di adottare la (9.58) quando mσ < 0, ossia quando la deformazione implica una diminuzione

di volume.

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 27

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\Con riferimento alla scomposizione (9.60), la (9.64) diviene:

J2 + k2 = - 2

1 (

9

1 +

9

1 +

9

4) 0σ 2 + k2 = -

3

10σ 2 + k2 = 0

da cui si deduce

k2 = 3

10σ 2

e quindi il criterio assume la forma:

J2 + 3

10σ 2 = 0 3 J2 = 0σ 2

che dà luogo alla seguente espressione per la tensione ideale

idσ = 23J− = ijijss2

3 (9.65)

coincidente con la (9.63). È facile provare che in termini di tensioni principali la idσ è data da

idσ = ijijss2

3 = ( ) 2 2 2

2

3 2

31 2 23

2 12

2 33

2 22

2 11 ssssss +++++ =

= [ ]23

22

21 )()()(

2

3mmm σσσσσσ −+−+−

(9.66)

=

−−−++ )(

3

2

2

3133221

23

22

21 σσσσσσσσσ

= 13322123

22

21 σσσσσσσσσ −−−++

La (9.66)3 suggerisce un'ulteriore forma alternativa al criterio di Mises. Infatti è facile

provare che la tensione tangenziale ottaedrale ottτ ha la seguente espressione:

ottτ = [ ]23

22

21 )()()(

3

1mmm σσσσσσ −+−+− (9.67)

Questa suggerisce di enunciare il criterio dicendo che si raggiunge la crisi quando la tensione tangenziale ottaedrale (9.67) raggiunge una certa soglia

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 28

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ottτ = 0

ottτ (9.68)

valutabile, con procedimento ormai noto, con riferimento allo stato di tensione monoassiale

0σ . In tal modo risulta infatti:

0ottτ =

3

20σ .

che dà luogo alla seguente espressione per la idσ è

idσ = 2

3 ottτ (9.69)

che, come è facile provare, coincide con quelle già trovate. Al criterio di Mises nella forma (9.68) si può dare un’interessante giustificazione fisica. Intanto ricordiamo che, assegnato il tensore ζ

n (3

1,

3

1,

3

1)

η ijσ =

3

2

1

σ

σ

σ

ξ Fig. 9.11 - Piano ottaedrale avente come direzioni principali gli assi ξ ,η ,ζ , la tensione normale sul piano ottaedrale, ossia sul piano avente coseni direttori eguali rispetto agli assi ξ ,η ,ζ , vale:

ottσ = ijσ α i α j = 3

1(σ 1 + σ 2 + σ 2 ) = mσ (9.70)

mentre la ottτ ha l’espressione (9.67).

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 29

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Dal momento che la parte idrostatica di ijσ , ossia, in virtù della (9.70), la ottσ non

influisce sul raggiungimento della crisi, è logico ricercare il piano in cui questa ottσ si

presenta come tensione normale ed attribuire quindi alla componente tangenziale sul medesimo piano il raggiungimento della crisi. Rispetto al criterio della maxτ di Tresca si

osserva che pur essendo la ottτ più piccola (di poco) della maxτ , tuttavia essa si verifica su

quattro elementi piani, mentre la maxτ solo su due. Di conseguenza la ottτ ha una maggiore

probabilità di interessare piani cristallini che sono orientati favorevolmente allo scorrimento e questa circostanza può compensare il fatto di essere di poco più piccola della maxτ .

Il criterio, applicato al caso di uno stato di tensione tangenziale puro:

ijσ =

00

000

00

τ

τ

τ

τ

0

ossia per σ1 = τ σ2 = 0 σ3 = - τ fornisce (9.66) il seguente valore per la tensione ideale:

τσ ⋅= 3id

e quindi al limite

ooid στσ =⋅= 3

da cui

oo

o σσ

τ 58.03

== (9.71)

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 30

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9.4 CONFRONTO ED APPLICAZIONI DEI VARI CRITERI

Abbiamo finora esaminato diversi criteri ciascuno dei quali coglie aspetti particolari del complesso fenomeno del raggiungimento del limite di elasticità o della plasticizzazione ovvero della rottura in un punto di un dato materiale soggetto ad uno stato di tensione pluriassiale. Può essere ora utile effettuare un confronto che, per semplicità, riferiremo ad un materiale avente uguale resistenza a trazione ed a compressione, limitandone l'applicazione al caso di uno stato di tensione biassiale. Escluderemo altresì dal confronto il criterio di Coulomb e quello della curva intrinseca di Mohr.

Intanto nei precedenti punti abbiamo trovato per le seguenti espressioni delle tensioni ideali : Criterio della massima tensione normale:

idσ = max (| 1σ |, | 2σ |, | 3σ |) (9.72)

Criterio di Tresca: σ id = max (| 1σ - 3σ |, | 2σ - 3σ |, | 2σ - 1σ |) (9.73)

Criterio della dilatazione massima e minima: σ id = max ( |σ1 - ν (σ2 + σ3 )|, |σ2 - ν (σ1 + σ3 )|, |σ3 - ν (σ1 + σ2 )|) (9.74) Criterio di Beltrami:

σ id = ( ) ( )13322123

22

21 2 σσσσσσνσσσ ++−++ (9.75)

Criterio di Mises:

σ id = 13322123

22

21 σσσσσσσσσ −−−++ (9.76)

Assumendo ′ = ′′=σ σ σo o o e riducendoci al caso biassiale ponendo σ 3 = 0, le precedenti

espressioni si semplificano nel seguente modo:

− Criterio della massima tensione normale : σ id = max (|σ 1|, |σ 2|) (9.77)

− Criterio di Tresca: σ id = max (|σ 1 -σ 2 |, |σ 1|, |σ 2|) (9.78)

− Criterio dilatazione massima e minima:

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 31

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( )( )211221 ,,max σσννσσνσσσ +−−=id (9.79)

− Criterio di Beltrami: 2122

21 2 σνσσσσ −+=id (9.80)

− Criterio di Mises: 2122

21 σσσσσ −+=id (9.81)

dove la condizione di crisi è data, per tutti i criteri, da: σ σid o= (9.82)

Ne derivano le seguenti rappresentazioni nel piano delle tensioni ( 1σ , 2σ ): Criterio della massima tensione normale: 0σ

2σ + 0σ

- 0σ + 0σ 1σ

- 0σ

Il dominio all'interno del quale è verificato il

criterio è delimitato dalle 4 rette: 1σ = ± 0σ

2σ = ± 0σ

Criterio di Tresca:

2σ + 0σ

- 0σ + 0σ 1σ

- 0σ

Il dominio all'interno del quale è verificato il

criterio è delimitato dalle 6 rette: σ 1 -σ 2 = ± 0σ

1σ = ± 0σ

2σ = ± 0σ

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 32

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− Criterio di Mises:

2σ + 0σ

- 0σ + 0σ 1σ

- 0σ

Il dominio all'interno del quale è verificato il criterio è delimitato dall'ellisse :

1σ 2 + 2σ 2 - 1σ 2σ = 0σ 2

che interseca gli assi coordinati nei punti: 1σ = ± 0σ

2σ = ± 0σ

Intersezione con la retta 1σ = 2σ :

1σ = 2σ = ± 0σ

Intersezione con la retta 2σ = - 1σ :

1σ = + 0σ / 3 1σ = - 0σ / 3

2σ = - 0σ / 3 2σ = + 0σ / 3

- Criterio dilatazione massima e minima

2σ + 0σ /ν

- 0σ /ν - 0σ + 0σ /ν 1σ

- 0σ /ν

Il dominio all'interno del quale è verificato il

criterio è delimitato dalle 6 rette: σ1 - ν σ2 = ± 0σ

σ2 - ν σ1 = ± 0σ

- ν (σ1 + σ2 ) = ± 0σ

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 33

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− Criterio di Beltrami:

2σ + 0σ B A - 0σ + 0σ 1σ

- 0σ

Il dominio all'interno del quale è verificato il criterio è delimitato dall'ellisse : 1σ 2 + 2σ 2 - 2ν 1σ 2σ = 0σ 2

che interseca gli assi coordinati nei punti: 1σ = ± 0σ

2σ = ± 0σ

Intersezione con la retta 1σ = 2σ :

1σ = 2σ = ± 0σ / )1(2 ν−

Intersezione con la retta 2σ = - 1σ :

1σ = + 0σ / )1(2 ν− 1σ = - 0σ / )1(2 ν−

2σ = - 0σ / )1(2 ν− 2σ = + 0σ / )1(2 ν−

Con riferimento ad uno stato di tensione corrispondente alla trave di Saint Venant ( si

pensi per es. al caso della flessione e taglio), e ad un opportuno riferimento, ossia con riferimento al tensore

ijσ =

zστ

τ

0

00

000

ed alle tensioni principali corrispondenti: 1σ = 0

2σ = 2

1zσ +

2

1 22 4τσ +z (9.83)

3σ = 2

1zσ -

2

1 22 4τσ +z

è facile provare, alla luce delle espressioni da (9.72) a (9.76), che si perviene ai risultati qui di seguito riportati. Criterio della massima tensione normale:

idσ = |2

1zσ +

2

1 22 4τσ +z | (9.84)

Criterio di Tresca:

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 34

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idσ = 22 4τσ +z (9.85)

Criterio della dilatazione massima e minima:

σ id = |2

1 ν−zσ +

2

1 ν+ 22 4τσ +z | (9.86)

Nel caso dell'acciaio (ν = 0,3). La (9.86) fornisce

σ id = |0,35 zσ + 0,65 22 4τσ +z | (9.87)

Criterio di Beltrami:

σ id = 22 )1(2 τνσ ++z (9.88)

Nel caso dell'acciaio (ν = 0,3). La (9.86) fornisce

σ id = 22 6,2 τσ +z (9.89)

Criterio di Mises:

σ id = 22 3τσ +z (9.90)

E’ immediato rilevare che il criterio di Tresca è il più cautelativo in quanto implica la σid

più grande.

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 35

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9.5. CENNI DI SICUREZZA STRUTTURALE

9.5.1. Introduzione. Nella lezione introduttiva abbiamo dichiarato che scopo principale del corso era quello di fornire, con riferimento agli organi resistenti delle costruzioni e delle macchine, gli strumenti per valutare la sicurezza e la funzionalità. 1. Verificare la sicurezza significa controllare che gli organi resistenti di una costruzione siano in grado di sopportare, per tutta la durata della loro vita, i carichi che su di essi graveranno, senza che si verifichino eventi traumatici (crollo totale o parziale). 2. Verificare la funzionalità significa controllare che la risposta degli organi resistenti ai carichi sia compatibile con un corretto esercizio. Siamo ora in grado di affrontare la prima delle due verifiche avendo imparato a calcolare lo stato di sollecitazione e di tensione, almeno nel caso delle travi. La seconda verifica molto spesso si esaurisce controllando che la deformazione dell’organo resistente sia compatibile con il suo corretto esercizio. Si comprende che la verifica della sicurezza di una struttura è l’operazione fondamentale della progettazione, occorre perciò capire bene da cosa dipende. È evidente tuttavia che la sicurezza coinvolge anche la fase di esecuzione (ad es. il controllo dei materiali impiegati) e l’esercizio (ad es. corretto uso e controllo del degrado dei materiali) di una costruzione. Infine va tenuto presente che la sicurezza è un concetto probabilistico. Non esiste, infatti, sicurezza assoluta (certezza), ma piuttosto un probabilità, seppur remota, che si verifichi un evento temuto (ad es. un crollo). Inoltre è chiaro che la sicurezza ha un costo; aumentare la sicurezza significa generalmente aumentare i costi della costruzione. Di conseguenza la scelta del rischio ritenuto accettabile non può essere lasciata alla decisione del singolo progettista ma investe la sfera socio-economica di un paese. Le grandezze da cui dipende la sicurezza di una struttura sono molteplici e fra queste le più importanti sono: - le azioni - la resistenza dei materiali - modello matematico (geometria, equazioni costitutive, modello reologico, eccc.) - criteri di resistenza - incertezze su esecuzione e montaggio - durabilità (degrado)

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Un giudizio sulla sicurezza di una struttura può esser acquisito, almeno da un punto di vista concettuale, su tre livelli, ossia dal confronto fra le grandezze schematicamente indicate nel seguente schema a blocchi: confronto ( c )

modello matematico calcolo elastico elastico o plastico

( b ) modello matematico criterio di resistenza plasticità ( a )

schema a blocchi Nel caso in cui tutte le grandezze in gioco fossero perfettamente note, ossia deterministiche, allora la condizione di resistenza, espressa al livello (a), potrebbe essere la seguente: max idσ < 0σ . (9.91)

Sappiamo però che così non è. Infatti, la determinazione di idσ richiede almeno la

conoscenza delle azioni che agiscono sulla struttura, la disponibilità di un modello matematico per il calcolo delle sollecitazioni e dello stato di tensione ijσ ed

il riferimento ad un criterio di resistenza per giungere alla determinazione in ogni punto della struttura della idσ . Si tratta di grandezze che sono tutte aleatorie.

Max carico previsto

carico di crisi

sollecitazioni sollecitazioni resistenti

max idσ tensione di crisi

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Anche la tensione di crisi 0σ è una grandezza aleatoria. Essa si determina

attraverso l’esecuzione di un certo numero di sperimentazioni su saggi prelevati dal materiale costituente la struttura. Trattandosi di grandezze aleatorie, anziché riferirci alla (9.91), che perde di significato, possiamo definire la probabilità di crisi Pf mediante: Pf = Prob ( idσ > 0σ ) (9.92)

e verificare la sicurezza controllando che Pf sia inferiore ad un valore prefissato, cioè: Pf < Pf *. (9.93) Il calcolo di Pf richiede, fra l'altro, la conoscenza di molte statistiche e la distribuzione probabilistica almeno delle azioni e delle resistenze. Non avendo a tutt’oggi un grado di conoscenza delle grandezze in gioco così approfondito, almeno per la progettazione corrente, occorre trovare dei modi indiretti per verificare la (9.93), prescrivendo ad es. che sia verificata la condizione:

idσ * < γ

σ *0 (9.94)

in cui idσ * e 0σ * sono degli opportuni valori convenzionali di riferimento per idσ e

0σ rispettivamente e γ un coefficiente > 1, detto coefficiente di sicurezza, il cui valore

ha la funzione di coprire tutte le incertezze ed aleatorietà, insite nel tipo di verifica.

9.5.2. Metodi deterministici - Metodo delle tensioni ammissibili. Il metodo delle tensioni ammissibili è basato su una misura della sicurezza effettuata mediante relazioni tipo (9.94):

idσ * < γ

σ *0 = ammσ (9.95)

dove

idσ * rappresenta la tensione ideale prodotta dalle azioni applicate con i loro valori

nominali, ovvero di esercizio. Il valore di idσ * si calcola sempre mediante un

calcolo elastico lineare;

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0σ * è il valore convenzionale di riferimento della tensione di crisi e può assumere un

valore rappresentativo (vedi fig. a) delle resistenze del materiale quale ad es.:

0σ m = valore medio della resistenza del materiale, ovvero valore più probabile;

0σ k = valore caratteristico della resistenza del materiale, in genere coincidente

con il frattile inferiore al 5% di probabilità di essere minorato.

γ

σ *0 = ammσ = valore ammissibile della resistenza del materiale, ovvero tensione

ammissibile. γ = coefficiente di sicurezza Il metodo così sinteticamente descritto, noto come metodo delle tensioni

ammissibili per il termine di confronto al secondo membro della (9.95), si basa quindi sui seguenti passi: a) Si applicano sulla struttura le azioni di esercizio F. Normalmente si fa riferimento

alle azioni caratteristiche Fk , di volta in volta rappresentate dalle azioni permanenti Gk, e da quelle variabili Qk.

b) Si calcola lo stato di tensione e, con riferimento ad un criterio di resistenza, la

tensione ideale, attraverso un’analisi elastica lineare: idσ = idσ (Fk) = idσ (ΣGk, ΣQk) (9.96)

f0σ

idσ * ammσ 0σ k 0σ m 0σ ,

Fig. 9.12 - densità di probabilità della resistenza del materiale

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c) Si determina la tensione ammissibile generalmente con riferimento alla resistenza caratteristica:

ammσ = γ

σ k0 (9.97)

d) Il coefficiente di sicurezza γ assume valori piuttosto elevati in quanto deve coprire

globalmente tutte incertezze più sopra elencate sia quindi quelle lato resistenza del materiale sia quelle lato azioni. Possiamo perciò ritenere che γ sia dato da:

γ = γ m γ F, (9.98)

in cui γ m copre le incertezze sulla resistenza del materiale e γ F quelle sulle azioni. Si comprende in tal modo perché γ assuma valori piuttosto elevati. Questo metodo, unico per molti anni, tuttora usato, mostra sicuri vantaggi insieme con indiscussi limiti.

9.5.3. Metodi probabilistici. Con riferimento alla (9.92) ed allo schema a blocchi su riportato, in luogo del confronto fra idσ e 0σ possiamo riferirci al sistema R, S in cui

R denota la resistenza strutturale, ossia la capacità di resistere alle sollecitazioni S denota la sollecitazione, ossia l'azione o l'effetto da essa prodotta.

Le grandezze S ed R si corrispondono proprio secondo lo schema su riportato e quindi di volta in vota potranno assumere il significato di tensioni, idσ e 0σ , livello

(a), come nella (2); sollecitazioni come effetto delle azioni e sollecitazioni resistenti, livello (b), ed infine azione applicata ed azione resistente, livello (c). In ciascuno dei tre casi potremo effettuare la verifica nello spazio delle tensioni, delle sollecitazioni e delle azioni rispettivamente. L'affidabilità di un certo stato strutturale potrà essere misurata dall'esito E, rispetto al quale sarà considerato come favorevole quell'evento che implica E > e° , dove e° denota un limite ritenuto accettabile per E. L'esito E può essere espresso in più modi fra i quali quelli più noti sono: E = R - S = margine di affidabilità E = R/S = fattore di affidabilità La misura dell'affidabilità è positiva se Pf = FE(e°) = P(E < e° ) < Pr* (9.99)

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 40

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Dove FE(e°) è la distribuzione di E e Pr* un valore prefissato, sufficientemente piccolo a seconda dei valori assunti per e°. Il valore limite minimo per e° vale: e° = 0 nel caso E = R - S e° = 1 nel caso E = R/S La verifica della (9.99) richiede perciò nel primo caso che Pf = FE(e°) = P(E < 0 ) < Pf* (9.100) e, nel secondo caso Pf = FE(e°) = P(E < 1 ) < Pf* (9.101) Come già anticipato nell'Introduzione 9.5.1. i valori di Pf* non possono essere lasciati alla libera scelta del singolo progettista, ma sono piuttosto prefissati in base a considerazioni economiche e sociali e sono legati alla pericolosità dell'evento E temuto. I valori di Pf* adottati nell'ingegneria strutturale sono i seguenti: a) per stati limite ultimi senza avvertimento (rottura fragile, instabilità, ecc.): Pf* = 10-5 ÷ 10-7 b) per stati limite ultimi con avvertimento (rottura duttile, assestamenti di fondazione, ecc.): Pf* = 10-4 ÷ 10-5 c) per stati limite di esercizio (deformazioni elastiche eccessive, sensibilità alle vibrazioni, ecc.): Pf* = 10-2 ÷ 10-3 La misura della sicurezza nei riguardi degli stati ritenuti pregiudizievoli può essere condotta su più livelli. Quello più semplice, noto come metodo di livello 1 consiste nel determinare per S ed R due valori significativi Sd ed Rd denominati valori di calcolo Sd = gS(x1,estr , x2,estr , …….. , xn,estr ) Rd = gR(y1,estr , y2,estr , …….. , ym,estr ) E nel controllare che risulti:

Sd < Rd come indicato nella fig. 9.13

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 41

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fR fS fS fR Sd Rd S, R Fig. 9.13 - densità di probabilità di S ed R La scelta dei valori estremi delle variabili va fatta di regola maggiorando le xj,estr dalle quali dipende la sollecitazione e minorando le yj,estr dalle quali dipende la resistenza. In pratica si opera come indicato nella fig. 9.14 per le variabili xj fX fx xj,estr,inf xj Fig. 9.14 - densità di probabilità di XJ e, come indicato nella fig. d per le variabili per yj

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Cap. 9 CRITERI DI RESISTENZA E SICUREZZA 42

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fy fy yj,estr,sup yj Fig. 9.15 - densità di probabilità di yj Generalmente si assumono - lato resistenza R i frattili inferiori al 5% di probabilità - lato sollecitazione S i frattili di ordine 95% di probabilità ossia quei vaolri che, per le assegnate distribuzioni soddisfano le relazioni: xj,estr,inf = xi,k tale che Prob(xi < xik) = 0,05 yj,estr,sup = yi,k tale che Prob(yi > yik) = 0,95 In tale impostazione si prescinde dalle incertezze insite nelle funzioni gS(x1,estr , x2,estr , …….. , xn,estr ), gR(y1,estr , y2,estr , …….. , ym,estr ) Nel caso delle strutture, le variabili xi rappresentano le azioni prese nei loro valori caratteristici e con i loro coefficienti di combinazione. In tal caso si può scrivere pertanto: Sd = gS( Σ Fiγ iψ FKi ; cS )

gS( Σ Fiγ iψ FKi ; cS ) = analisi strutturale

Σ = simbolo di "combinazione"

Fiγ = coefficiente di sicurezza lato azioni

iψ = coefficiente di combinazione

FKi = valore caratteristico dell'azione considerata cS = racchiude tutto ciò che può considerarsi deterministico