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1 Introduzione Questo lavoro rivolge la propria attenzione ad un aspetto specifico della semiotica di Peirce; si interroga infatti sul ruolo della componente iconica all‟interno della teoria generale del segno, articolata come è noto attorno alla tripartizione fondamentale icona/indice/simbolo. Tuttavia l‟obiettivo dell‟indagine è più ampio: l‟ipotesi che la sorregge – e della quale, ovviamente, si cercherà di dare ragione- è che approfondire questo aspetto “interno” alla semiotica possa essere un modo di portare in chiaro tutta la portata e l‟interesse speculativi dell‟intera prospettiva teorica di Peirce. Per dar conto di questa tesi, si sono analizzati i concetti di ground e icona, a partire dagli scritti giovanili sino alle opere della maturità, e la metodologia utilizzata per sviluppare il lavoro è stata quella di esplorare, attraverso opportune ricerche lessicali condotte sui Collected Papers e sui Writings) l‟ occorrenza di termini quali icon, ground, nature, convention e analogy. In realtà l‟analisi che Peirce offre della struttura e del percorso di formazione del segno investe a pieno titolo, dandole spesso nuova forma unitaria, l‟intera materia delle discipline filosofiche tradizionali dall‟ontologia, alla logica, all‟epistemologia, all‟estetica, all‟antropologia. Sta in questa sua peculiarità a mio avviso la fonte dell‟interesse ma anche della difficoltà di una lettura approfondita della sua proposta teorica. Non accade lo stesso in altri autori la cui proposta non è, per questo, meno carica di implicazioni filosofiche di vasto respiro. Basta pensare per esempio alla semiotica saussuriana per tanti versi rivale e complementare. L‟orizzonte in cui si muove l‟analisi saussuriana del segno è in qualche modo dall‟origine quella del segno linguistico. Il tema di fondo è il linguaggio e la via intrapresa dall‟ indagine ha l‟effetto di situare la linguistica stessa all‟interno del campo dell‟antropologia, della psicologia, delle scienze sociali, Nell‟analisi di Peirce l‟orizzonte linguistico del segno appare piuttosto guadagnato attraverso un percorso, incessantemente rimesso in gioco e riattraversato, che, portando alla luce il carattere “segnico”, se così vogliamo dire, di ogni tratto del reale, tende a riformulare e a riorganizzare questi campi disciplinari. Peirce non assolutizza il ruolo delle lingue, non subordina la semiotica alla riflessione sui segni linguistici. È proprio la struttura ternaria del modello di segno elaborato dalla semiotica peirceana a rendere quest‟ultima una forma di sapere filosofico e logico- matematico. Con semiosi Peirce intende sempre un‟azione che si svolge tra tre dimensioni: segno, oggetto e intepretante, e tale triade non è mai risolvibile in una relazione di tipo binario. Nell‟azione tra segno, oggetto, e interpretante il percorso parte dall‟oggetto, perviene, attraverso il segno, all‟interpretante. Ma in questo percorso accade qualcosa di nuovo: ciò che il segno esprime acquisterà consapevolezza mediante l‟interpretante. Per Peirce il segno è una relazione triadica in cui “Un segno o Representamen è un Primo che sta in una tale relazione triadica genuina con un Secondo, chiamato il suo Oggetto, da essere capace di determinare un Terzo, chiamato il suo Interpretante […] La relazione

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Page 1: Introduzione - UniPa · 2019-11-12 · presente. In questo senso il rapporto istituito dal segno con il referente è un rapporto di implicazione e in questi termini il segno si pone

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Introduzione

Questo lavoro rivolge la propria attenzione ad un aspetto specifico della semiotica di Peirce;

si interroga infatti sul ruolo della componente iconica all‟interno della teoria generale del

segno, articolata come è noto attorno alla tripartizione fondamentale icona/indice/simbolo.

Tuttavia l‟obiettivo dell‟indagine è più ampio: l‟ipotesi che la sorregge – e della quale,

ovviamente, si cercherà di dare ragione- è che approfondire questo aspetto “interno” alla

semiotica possa essere un modo di portare in chiaro tutta la portata e l‟interesse speculativi

dell‟intera prospettiva teorica di Peirce. Per dar conto di questa tesi, si sono analizzati i

concetti di ground e icona, a partire dagli scritti giovanili sino alle opere della maturità, e la

metodologia utilizzata per sviluppare il lavoro è stata quella di esplorare, attraverso

opportune ricerche lessicali condotte sui Collected Papers e sui Writings) l‟ occorrenza di

termini quali icon, ground, nature, convention e analogy.

In realtà l‟analisi che Peirce offre della struttura e del percorso di formazione del segno

investe a pieno titolo, dandole spesso nuova forma unitaria, l‟intera materia delle discipline

filosofiche tradizionali dall‟ontologia, alla logica, all‟epistemologia, all‟estetica,

all‟antropologia. Sta in questa sua peculiarità a mio avviso la fonte dell‟interesse ma anche

della difficoltà di una lettura approfondita della sua proposta teorica. Non accade lo stesso

in altri autori la cui proposta non è, per questo, meno carica di implicazioni filosofiche di

vasto respiro. Basta pensare per esempio alla semiotica saussuriana per tanti versi rivale e

complementare. L‟orizzonte in cui si muove l‟analisi saussuriana del segno è in qualche

modo dall‟origine quella del segno linguistico. Il tema di fondo è il linguaggio e la via

intrapresa dall‟ indagine ha l‟effetto di situare la linguistica stessa all‟interno del campo

dell‟antropologia, della psicologia, delle scienze sociali, Nell‟analisi di Peirce l‟orizzonte

linguistico del segno appare piuttosto guadagnato attraverso un percorso, incessantemente

rimesso in gioco e riattraversato, che, portando alla luce il carattere “segnico”, se così

vogliamo dire, di ogni tratto del reale, tende a riformulare e a riorganizzare questi campi

disciplinari.

Peirce non assolutizza il ruolo delle lingue, non subordina la semiotica alla riflessione sui

segni linguistici. È proprio la struttura ternaria del modello di segno elaborato dalla

semiotica peirceana a rendere quest‟ultima una forma di sapere filosofico e logico-

matematico. Con semiosi Peirce intende sempre un‟azione che si svolge tra tre dimensioni:

segno, oggetto e intepretante, e tale triade non è mai risolvibile in una relazione di tipo

binario. Nell‟azione tra segno, oggetto, e interpretante il percorso parte dall‟oggetto,

perviene, attraverso il segno, all‟interpretante. Ma in questo percorso accade qualcosa di

nuovo: ciò che il segno esprime acquisterà consapevolezza mediante l‟interpretante. Per

Peirce il segno è una relazione triadica in cui “Un segno o Representamen è un Primo che

sta in una tale relazione triadica genuina con un Secondo, chiamato il suo Oggetto, da

essere capace di determinare un Terzo, chiamato il suo Interpretante […] La relazione

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triadica è genuina in quanto collega insieme i suoi tre membri in un modo che non consiste

in alcun complesso di relazioni diadiche”1. È questa struttura che ci consente di

comprendere che non siamo di fronte ad un modello di segno statico; al contrario il segno di

Peirce è una dimensione dinamica, esso non stabilisce una corrispondenza, una correlazione

statica con il suo referente. Se la questione del segno in Peirce acquista dall‟inizio alla fine

una portata filosofica “radicale”, ciò è da imputare al fatto che il segno stesso viene pensato

come un processo e indagato nell‟atto stesso in cui nasce. La fatica di Peirce è quella di

pensare l‟atto stesso di costituzione del segno poiché è in questo atto che il referente si

rivela. È nella relazione triadica, nel rinvio del segno che il referente acquista identità. E in

questi termini la relazione tra segno e referente non può essere fondata sulla

corrispondenza, perché questa relazione presupporrebbe due dimensioni già realizzate, già

compiute.

La questione del segno si configura allora in tal modo che parlare dell‟ origine del segno

significa parlare dell‟origine del reale; non già nel senso che il reale viene interamente

risolto nel segno, ma nel senso che il segno ne diventa l‟unica manifestazione possibile. E

allora il rapporto di uguaglianza viene sostituito da un rapporto di implicazione, poiché in

virtù delle „qualità‟ del segno, si può accedere al reale; ovvero, dati alcuni „rispetti‟

espressi dal segno, si può inferire che il referente possa avere le medesime qualità. Dunque

il segno non è una copia della cosa, ma nemmeno si identifica con la cosa; piuttosto, sulla

base della sua declinazione fondamentale, iconica,indicale e simbolica, ci permette di

rendere conoscibile il modo di manifestarsi della cosa, l‟”aspetto” sotto il quale si fa

presente. In questo senso il rapporto istituito dal segno con il referente è un rapporto di

implicazione e in questi termini il segno si pone come un‟inferenza.

L‟analisi del segno abbraccia tutti i livelli del pensiero e della realtà, essa tocca tutti i livelli

e tutte le componenti dell‟essere e in tal modo si fa carico di un compito di sintesi

altrettanto vasto, che chiama distintamente in gioco tanto una logica quanto una ontologia e

al tempo stesso esige di esplorare l‟interna connessione delle due discipline. Qualificherei

allora questo compito come metafisico, se è vero che la metafisica si è sempre caratterizzata

per l‟attitudine a legare insieme queste due direzioni di ricerca in vista dell‟interrogazione

sulla natura ultima della verità e della realtà. La riserva di significati che sta dentro la realtà

è disponibile grazie alla istituzione della catena segnica; pur costituendo un limite

invalicabile e imprescindibile per mettere in moto il processo della semiosi, il reale non si

dà mai come un che di “immediato”, poiché può dar conto di sé soltanto in una dimensione

mediata-segnica. A mio avviso non è possibile comprendere la struttura del segno in Peirce

se non cogliamo tutta la portata gnoseologica del tentativo di destituire di senso l‟idea stesa

di una “intuizione immediata” come base, e punto di avvio del conoscere. Il processo della

semiosi, così come Peirce lo configura, suppone questo gesto ampio di messa in questione

di uno dei capisaldi più illustri della riflessione filosofica antica e moderna. La demolizione

dell‟intuizione, enunciata da Peirce in Questions concernig certain Faculties claimed for

1 Peirce, Voce Represent del Dictionary of pholosophy and Psychology ( a cura di James Mark Baldwin 1902), trad.it.,

M. Bonfantini, Bompiani, Milano, 2003, p.163

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Man conduce il pensatore americano a ritenere che il pensiero può realizzarsi soltanto

all‟interno di un processo inferenziale. Proprio questo, proprio il fatto che a nessun pensiero

è consentito di realizzarsi nell‟immediato, decreta l‟atto di nascita del segno: “Dunque, dire

che un pensiero non può accadere in un istante, ma richiede certo tempo, non è che un altro

modo di dire che ogni pensiero deve essere interpretato in un altro, o che ogni pensiero è nei

segni”2. ( “To say, therefore, that thought cannot happen in an instant, but requires a time,

is but another way of saying that every thought must be interpreted in another, or that all

thought is in signs”.). Nemmeno, allora, ha senso ipostatizzare un primum convenzionale

immediato, ritenendo che la catena delle inferenze dei segni debba comunque a sua volta

rinviare all‟inizio della sequela di inferenze-segni. Poiché le facoltà cognitive sono

strutturate in un modo per cui possono realizzare conoscenze, a patto che istituiscano

relazioni, queste ultime non sono da riguardare come contenitori che possano riempirsi dei

dati presenti nel mondo attuale. Ma se bisogna liberarsi dall‟idea di un primum intuitivo del

conoscere, allo stesso modo risulta errata l‟idea di concepire una realtà inconoscibile, poiché

in entrambi i casi si andrebbe incontro ad un contraddizione che consisterebbe

nell‟immaginare che il pensiero incontri un oggetto assoluto e in quanto tale irrelato. Se

pensare significa, secondo Peirce,essenzialmente porre relazioni, l‟idea di uno inconoscibile

in sé risulta contraddittoria. I quattro veti enunciati da Peirce in Some Consequences of

Four Incapacities, volti a negare qualsiasi potere di introspezione, e di intuizione, nonché a

rifiutare l‟idea di un pensiero senza segni e la stessa concepibilità dell‟inconoscibile”, ci

permettono di capire da una parte l‟equivalenza tra pensiero e segno, dall‟altra la

necessità che il segno si faccia mediatore tra pensiero e realtà. Tenere presente che la

semiotica nasce dalle rovine dell‟impalcatura cartesiana è essenziale per comprendere che in

questa prospettiva non c‟è spazio per un concezione corrispondentistica, speculare tra

pensiero e oggetto. Il segno deve in qualche modo costituire il nesso tra i due versanti, il

pensiero e il reale, poiché entrambi non sono se non là dove transitano l‟‟uno nell‟altro e ciò

non accade se non nella mediazione del segno; in assenza della mediazione del segno,

dunque, essi non risultano disponibili. Ragionare significa essenzialmente istituire nessi tra

segni per scoprire la verità. Per innescare il processo della conoscenza, il pensiero deve

compiere operazioni idonee a trarre inferenze, e tali operazioni devono diventare

osservabili perché possano offrirsi alla dimensione interpretativa. È necessario esternare le

operazioni, perché queste ultime possano essere oggetto di ulteriori trasformazioni e, se

valutate positivamente, possano essere codificate e diventare abiti mentali. Qui già viene

anticipato, nel rinvio alle operazioni, il principio stesso del pragmatismo, che ufficialmente

sarà elaborato soltanto qualche anno dopo i saggi del „68. Al di là delle varie dottrine che

confluiscono già in questa fase del pensiero peirceano il punto fondamentale sta nel fatto

che se si presuppone dapprima il reale da una parte e il pensiero dall‟altra, queste due

dimensioni rimangono destinate a non incontrarsi. E allora comprendere che il pensiero,

secondo Peirce, si rende disponibile in uno spazio ipotetico, che perciò stesso diventa

2 CP 5.253.

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comunicabile e interpretabile, significa al tempo stesso prendere atto del fatto che il segno

si pone come la dimensione più congeniale al pensiero. Il segno offre al pensiero una tela

su cui riconoscere il percorso di formazione dei suoi diversi stadi, e così accade per il reale,

il quale non è una dimensione già compiuta in se stessa bensì un processo, che da una parte

orienta il segno, poiché produce degli effetti, dall‟altra solo nel segno rivela la sua identità.

Insomma, il compito arduo di Peirce è quello di mostrare che è nel segno che pensiero e

reale nascono e rivelano la loro relazione interna. In questi termini il problema della

“semiotica” non è soltanto quello di avvicinarsi allo studio del segno in modo sistematico,

costruendo intricate tricotomie segniche, ma quello di porre domande del tipo: che cosa

significa pensare? che cosa significa realtà? Semmai le tassonomie, sorrette da queste

domande, assolveranno al compito di rendere più solida la relazione interna tra pensiero e

reale. Il punto è che in Peirce la semiotica si misura con l‟impresa di raggiungere e di

colpire, sia pure per riportarla al linguaggio, una certa componente extralinguistica del

segno. Questa componente è per molti versi da ravvisare nell‟icona, che per Peirce è la base

e la condizione di possibilità del segno, ma al tempo stesso è un suo tratto costitutivo, che

non potremmo dunque distinguere e analizzare senza riferimento alla forma dell‟intero di

cui è parte In questo senso tutta la costruzione teorica di Peirce sembra muoversi in circolo e

ciò indubbiamente costituisce una sfida per il lettore che voglia cogliere ed esporne la

logica interna. L‟ambizione del mio lavoro è, in qualche modo, reggere questa sfida; una

sfida non ignota tuttavia alla tradizione speculativa della filosofia.

Come non evocare il nome di Hegel? L‟impostazione peirceana proprio riguardo questo

punto rivela le sue matrici hegeliane, poichè e il pragmatismo e l‟idealismo ritengono

impossibile l‟idea che la conoscenza possa partire da un primum immediato che sia in grado

di innescare il processo conoscitivo, poiché tale assiomatizzazione finirebbe per divaricare

in modo irreversibile il reale dal pensiero. Per Peirce, il reale rimane per un verso

indipendente rispetto al segno, ma per altro verso non si mostra che negli effetti che esercita

sul segno: il problema sta nel fatto che, secondo Peirce, non si attua mai un impatto

diretto tra il segno e la cosa che ne è oggetto, il segno non incontra mai l‟oggetto, se non

all‟interno di riflessi, di tracce che riorganizza all‟interno della sua struttura, perché possano

essere sottoposti a verifica, esponendoli alla dimensione dell‟interpretante. La possibilità di

attingere alla cosa, una volta demolita l‟illusione di poterla trasferire nel pensiero in modo

immediato e di poter disporre della sua totalità, è quella di appropriarsene in modo

parziale, in modo differito, irrompendo nella sua interezza, introducendo un elemento di

discontinuità. L‟irruzione non deve essere effettuata allo scopo di trafugare la totalità

dell‟oggetto per catturarla all‟interno del pensiero, quasi fosse una cosa da trasportare; al

contrario, essa deve servire allo scopo di istituire una relazione con l‟oggetto. E‟ solo in

questo modo, sempre mediato e differito, che possiamo attingere alla cosa. La relazione si

istituisce ipostatizzando alcuni degli infiniti aspetti dell‟oggetto. In questo senso il segno

prende su di sé la responsabilità di tradurre l‟oggetto, ma non si identifica con esso, il segno

ha una sua processualità, possiede dei livelli interni che gli danno l‟opportunità di esibire la

sua distanza dalla cosa che ne è oggetto, ma è proprio questa stessa distanza a garantire la

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possibilità di rompere la continuità del reale, per immetterlo in un flusso di relazioni,

impossibili da realizzare se il segno avesse la pretesa di diventare la copia della cosa. E

allora la difficoltà di Peirce è quella di immaginare qualcosa che stia dentro e fuori nel

segno, nel senso che il segno deve formalizzare quella eco del reale, che altrimenti

rimarrebbe inesprimibile. Ma in che modo questi riflessi si traducono nel segno e soprattutto

in quella che costituisce la sua base?

La “base” del segno, negli scritti giovanili di Peirce, in cui sostanzialmente dovrebbe

risuonare l‟eco del reale e in cui quest‟ultimo dovrebbe trovare la sua trascrizione formale, è

il round: nozione per tanti versi criptica che, pure, è espressione della specificità del gesto

segnico quale è colta dal pensatore americano. Il ground è l‟infinita riserva relazionale in

virtù della quale si potrà equiparare un aspetto del reale ad una relazione possibile. Ma

tale operazione, effettuata dal ground, rivela la condizione originaria attraverso la quale si

comprende come qualcosa si potrebbe configurare e a che cosa potrebbe assomigliare. Il

ground in questo senso è condizione del segno, poiché è il nesso tra il reale e il segno, ma

non nel senso che essi, già compiuti in sé, vengono successivamente posti in relazione, ma

nel senso che il ground ipostatizzando una relazione aggancia il reale alla catena segnica,

ponendola come veicolo di quest‟ultimo. E tale gesto diventa comprensibile soltanto nel

momento in cui la dinamica del segno è stata già avviata. Il ground , infatti, produce un

elemento di discontinuità, che negli scritti giovanili viene chiamata likeness, (qualità di

essere simile –somiglianza), poiché incarna una delle possibili relazioni, costituendo il

rinvio al „rispetto‟, termine chiave per leggere l‟accordo o la differenza tra le cose.

Insomma il ground è quell‟astrazione che assume come condizione per la conoscenza la

somiglianza, che non si istituisce tra cose ma tra relazioni: se scopro relazioni simili scopro

mediatamente la fisionomia delle cose. È la relazione che restituisce la cosa e non

viceversa. Nella versione matura della triade segnica, l‟icona appare incarnare il rapporto

tra ground e likeness e, in effetti, le definizioni che incontriamo nella semiotica matura,

ribadiscono la valenza fondativa del segno, nel senso che è a questo livello che viene

lanciata un‟ipotesi sull‟oggetto e mediata attraverso gli altri livelli del segno. Infatti

un‟icona è un segno, il cui potere rappresentativo dipende dalle qualità che essa stessa

possiede, indipendentemente dall‟eventuale esistenza di un referente che presenti i

medesimi caratteri.

Non è l‟esistenza dell‟oggetto la ratio essendi dell‟icona, bensì la capacità di offrire una

connessione, conferendo a quest‟ultima un‟immagine: in questo senso la figura di un

triangolo è un‟icona, poiché in se stessa dispone di un‟autonomia, poiché la sua forza

significativa non dipende dal suo possibile referente o dall‟interpretante. Il potere dell‟icona

consiste nel fatto che, ponendosi come oggetto osservabile sensibilmente, diventa punto di

partenza per scoprire ipotesi nuove, relazioni inedite, che si aggiungono a quelle che sono

state utilizzate al momento della costruzione della medesima icona. La capacità da parte

dell‟icona di significare pur non denotando la rende corrispondente alla likeness, quella,

invece, di qualificarsi come ponte per la scoperta di nuove verità, a mio avviso, l‟abilita ad

inglobare tutta la fecondità relazionale del ground. In questo modo l‟icona eredita la

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miniera di relazioni del ground, che le permette di anticipare gli esiti che si otterranno nel

momento indicale e simbolico. L‟icona evoca l‟oggetto senza dargli nomi o luoghi, questi

ultimi saranno denotati dall‟indice, la cui specificità è legata al fatto di essere fattualmente

connesso con il referente. Ma perché questo legame venga in luce ( e il processo segnico,

senza pretesa di conclusività, possa compiersi), esso necessita del momento simbolico, il

quale trasformerà in un abito o regola la relazione proposta dall‟icona.

In questi termini la dimensione del simbolo che corrisponde alla nozione di interpretante è

l‟atto che consente di riconoscere, e così codificare la connessione inedita cui ha dato vita

l‟icona. Quindi la connessione strutturale tra icona e indice non si lascia riconoscere a

partire dall‟icona ma solo in un terzo- il simbolo; quindi solo a partire dalla struttura del

segno, già operante, già in atto. E ciò ha una importanza teorica decisiva: la componete

dell‟interpretazione, e con essa la dimensione ermeneutica del pensiero, così cara alla

riflessione filosofica del Novecento, che ha fatto dell‟interpretazione un tratto costitutivo

della verità stessa, viene portata nella struttura stessa del segno. Se da una parte la

risoluzione della questione dell‟essere in un processo interpretativo pone le condizioni per

un dialogo tra la semiotica peirceana, il prospettivismo nietzscheano e l‟ermeneutica

heideggeriana, dall‟altra la potenzialità espressiva dell‟icona che eccede incessantemente il

simbolo che di volta in volta in base ad essa prende forma, fa dell‟icona un segno

trasversale che può essere ritrovato, oltreché sul piano semiotico, all‟interno del

ragionamento logico, matematico, e riconosciuto nelle sue matrici fenomenologiche.

L‟idea dell‟icona come spazio di intersezione tra questi diversi universi- che costituisce il

fulcro della tesi sviluppata in questo lavoro- inserisce la prospettiva peirceana nel dibattito

contemporaneo tra logica e metafisica, che vede logici e matematici, alle prese con le

diverse formalizzazioni logiche e interessati a valorizzare e a capire le ragioni di Peirce

riguardo alla necessità di dare un adeguato rilievo a quella che egli chiama “formalizzazione

iconica”.

Per comprendere la centralità dell‟icona nell‟ambito delle questioni sollevate dai logici e

dai matematici, dobbiamo evidenziare il nesso, istituito da Peirce, tra icona e ragionamento

logico, e tra icona e ragionamento matematico. Sull‟Algebra della Logica: Un contributo

alla Filosofia della Notazione è il testo in cui Peirce dichiara la necessità di introdurre le

icone all‟interno delle relazioni logiche, poiché in questo saggio in cui si sintetizzano le

indicazioni più feconde della logica matematica del X1X secolo, viene messo in chiaro dal

filosofo americano che l‟argomento deduttivo non necessita soltanto di indici e simboli,

che garantiscono la fruizione di nomi e di “generali”, ma anche del tratto iconico, la cui

specificità è quella di anticipare il “generale”. Infatti Peirce insiste sul fatto che se qualsiasi

proposizione può essere espressa con i simboli e gli indici, essa, comunque, non può

divenire oggetto di ulteriori ragionamenti. Ragionare significa osservare e, individuate

alcune relazioni significative, scoprirne altre; ma questa operazione , come abbiamo

constatato, è la caratteristica dell‟icona, quindi è necessario, secondo Peirce, che una

notazione logica adeguata prenda in considerazione, oltre che gli indici e i simboli, anche le

icone. L‟icona è tale proprio perché evoca qualcos‟altro, essa si fa espressione di un nesso,

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che può essere concepito come un rapporto di implicazione, e quindi essenzialmente l‟icona

è leggibile come un‟inferenza. In particolare è l‟inferenza abduttiva ad avere una natura

iconica, poiché l‟abduzione si qualifica come un argomento che stabilisce una similarità

tra i fatti contenuti nella premessa da cui muoviamo e i fatti asseriti nella conclusione; ma

i fatti presentati nella premessa potrebbero essere veri, indipendentemente dalla verità della

conclusione; in questi termini, afferma Peirce, non si può essere certi della conclusione, ma

la si può assumere come spiegazione possibile di un fatto, rispetto a cui i fatti della

premessa costituiscono un‟icona‟3. In particolare Peirce formalizza l‟abduzione in questo

modo: “Viene osservato il sorprendente fatto C; ma se A fosse vero, C sarebbe un

conseguenza logica. Quindi c‟è ragione di sospettare che A sia vero”4. (“The surprising fact,

C is observed; But if A were true, C would be a matter of course, Hence, there is reason to

suspect that A is true”).

In questi termini l‟abduzione è una retroduzione, poiché dalla contemplazione di un fatto

perviene ad una teoria; in realtà l‟oggetto di contemplazione è un ens rationis, poiché la sua

spiegazione risiede in altro. L‟abduzione nei fatti contenuti nelle premesse riconoscerà il

conseguente di un possibile antecedente, ovvero in quei fatti che essenzialmente si

presentano come un‟icona riconosce dei possibili caratteri che potrebbero essere spiegati,

qualora si scoprisse un principio in grado di qualificarsi come il loro antecedente. In questi

termini si coglie la profonda collaborazione tra immaginazione e ragione. L‟abduzione

necessita di figure, perché in esse si coglie quella sintesi, che permetterà di scoprire il nesso

tra il conseguente, già disponibile, e il suo possibile antecedente. In questi termini l‟icona è

segno di una relazione inferenziale che costituisce il punto di partenza dell‟abduzione.

La centralità dell‟icona all‟interno del ragionamento logico è però per Peirce frutto di una

generalizzazione del modo di procedere del ragionamento matematico. Infatti nel saggio

del 1885, già citato, la matematica non viene concepita soltanto come un sapere analitico ma

come una scienza osservativa e la logica si apre all‟inesauribilità della riserva relazionale

delle icone, qualificandosi così non mero calcolo formale, ma come una forma di sapere che

affonda le sue radici nello spartito segnico. Nel ragionamento matematico che Peirce

definisce “teorematico”, diversamente dal ragionamento “corollariale”, che coincide con il

ragionamento strettamente analitico, è possibile procedere dalla tesi verso la dimostrazione

sperimentando sugli schemi costruiti, in geometria. Ad esempio, si tracciano linee ausiliarie,

il matematico deve tradurre in linguaggio diagrammatico la tesi da dimostrare e il

diagramma diventa l‟elemento concreto e dinamico, il testo di sperimentazione. In questo

tipo di sperimentazione, Peirce ritiene che ci sia un‟analogia con il procedere del chimico,

il quale sperimenta su un campione, ad esempio di metallo, e ad esso aggiunge questo o

quel reagente per verificare cosa accade e se viene fuori qualcosa di nuovo, di significativo.

Nella struttura del ragionamento teorematico è necessario realizzare costruzioni ausiliarie,

affinché si possa procedere verso la dimostrazione. È necessario che tutte le premesse

vengano esplicitate, e questo metodo ci potrà guidare nell‟individuazione delle premesse

3 Peirce, Minute logic (1902), cit., p. 126.

4 CP 5.189.

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mancanti. E allora in questo senso diventa indispensabile l‟introduzione di icone che

sostanzialmente incarnano le abduzioni dalle quali il matematico prende le mosse, in modo

tale che queste diventino osservabili e modificabili, consentendo così al matematico di

guadagnare il percorso necessario per raggiungere la conclusione. Nell‟universo

matematico, così come viene concepito da Peirce, non vi è alcun vincolo con l‟esistente, e

quindi l‟atto creativo incide in modo determinante, poiché la matematica si configura come

il regno del possibile e quindi qualsiasi catena di pensieri che proceda secondo il

ragionamento necessario, sul piano matematico risulta giustificata. In questo senso il

ragionamento matematico rivela lo stretto rapporto tra icona e abduzione, poiché la

manipolazione del diagramma, grazie all‟abduzione, darà luogo a figure, che diventeranno

segni di altre inferenze, e così via.

Alla luce del rapporto tra il segno iconico e il ragionamento logico-matematico, la logica e

la matematica di Peirce oggi suscitano particolare interesse, soprattutto in riferimento alla

„formalizzazione iconica‟, che, non esclude la „formalizzazione simbolica‟, ma contiene

qualcosa in più, qualcosa come una potenzialità, una riserva infinita di significazione, che

resta sempre fissata alla base di ogni „formalizzazione simbolica‟. La formalizzazione

iconica introduce nella logica un riferimento che sta fuori dalla logica e in questo senso ne

istanzia, se così possiamo dire, la vocazione al reale, ne mette in gioco la potenziale

apertura ontologica. La logica per Peirce è infatti una scienza positiva, essa fa i conti con il

reale, essa deve fondare conoscenze nuove e stabili, e ciò è realizzabile con il supporto

ineliminabile del pensiero diagrammatico-iconico.

La grande innovazione della logica di Peirce, come afferma Hintikka, è quella di avere

compreso che anche in logica si procede così come nel ragionamento teorematico mediante

costruzioni ausiliarie, diagrammi, che sono manipolabili e quindi in grado di rappresentare

non soltanto l‟esistente ma anche il possibile. La centralità del diagramma iconico è

essenziale, poiché se i simboli sono essenzialmente abiti e idonei a legittimare i frutti di un

processo, non sono sperimentabili e proprio per questo non sono capaci di produrre nuove

conoscenze; al contrario le icone non hanno una funzione denotativa bensì quella di

immaginare ciò che può essere logicamente possibile e quindi sono quelle che possono

contribuire a produrre nuove conoscenze.

In questo senso la logica di Peirce, proprio perché ritiene imprescindibile la costruzione del

diagramma, che è fondamentalmente iconico, si colloca in una tradizione lontana da

quella di Frege e Russell, in cui risulta assente l‟idea di fornire alla logica una base

sensibile. Logici come Hintikka, Sun Joo Shin ed altri proprio in questi anni hanno

sottolineato il grande valore attribuito da Peirce all‟inserimento delle icone nella

grammatica logica, perché l‟icona fornisce un‟immmediatezza visiva che non è propria della

formalizzazione simbolica e ciò che è più importante, diversamente dalla formalizzazione

simbolica, essa non chiude il processo conoscitivo, ma lo apre, perché, una delle sue

funzioni fondamentali è che, attraverso la sua stessa osservazione, si possono scoprire

nuovi campi iconici di livello più complesso, che consentiranno inediti incrementi

conoscitivi. Insomma così come nel ragionamento matematico è necessario manipolare il

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diagramma per scoprire relazioni, equivalenze e analogie che possono assumere la funzione

di tramite tra la tesi e la dimostrazione, allo stesso modo, i nomi, le proposizioni, gli

argomenti, perché possano essere giustificati, devono esporsi ad una diagrammatizzazione,

e ad una dimensione interpretativa dialogica che, obbedendo a certe regole, potranno

apportare delle modifiche e pervenire alla dimostrazione degli assunti enunciati. Ma ciò

che ancora deve essere messo in evidenza, per quanto già intrinseco alla specificità della

formalizzazione iconica, sta nel fatto che le modifiche apportate al diagramma, per quanto

scelte dal matematico o dal logico, sembrano scaturire da ciò che il testo diagrammatico

lascia per sé intravedere. Infatti operata la scelta, il matematico arriverà effettivamente alla

dimostrazione e il logico alla giustificazione delle sue assunzioni. La costruzione iconica da

una parte esibisce tratti osservabili, e in questo senso lascerebbe emergere la sua base

formale, dall‟altra l‟icona, proprio perché sperimentabile, rivelerà una relazione, una forma

logicamente possibile che non era stata scoperta al momento della sua costruzione. Ciò che

si vuole dire è che la costruzione non è interamente dovuta all‟esercizio di convenzioni,

poiché l‟icona nel momento in cui diventa oggetto di sperimentazione sarà in grado di

rivelare nuove conoscenze.

In questo atto l‟icona manifesta la sua ricchezza che è, al tempo stesso, convenzionale e

naturale. Essa trascende la costruzione stessa, nel senso che getta un ponte con il reale, ma

non nel senso che crea una corrispondenza con l‟esistente, perché in quel caso saremmo di

fronte ad un elemento indicale, ma perché traccia un‟analogia tra la forma diagrammatica e

una forma di relazione nella quale può riconoscersi il reale, come accade quando uno

scienziato scopre una determinata relazione che diventa capace di spiegare un fenomeno del

reale. Il referente del diagramma iconico non è una cosa, bensì una relazione che sia

analoga alla struttura della cosa stessa. La matrice semiotica dell‟icona viene inverata dalla

centralità che essa assume nel ragionamento logico-matematico. Alla luce degli investimenti

conoscitivi che è possibile effettuare sull‟icona, non è più possibile pensare all‟iconismo

ingenuo secondo il quale un ritratto di un uomo sarebbe simile alla sua figura reale: il

referente dell‟icona non è una datità bensì una relazione. Così la figura costruita dal

matematico acquista valenza iconica non perché essa si riferisce, ad esempio, ad un

triangolo in particolare, ma perché mostra relazioni nelle quali può riconoscersi qualsiasi

triangolo.

La specificità dell‟icona sta nel fatto che pur all‟interno di un tratto materiale determinato,

esibisce una forma universale. Risulta chiaro il motivo per cui la formalizzazione iconica

presenta dei vantaggi rispetto a quella simbolica ed emerge che l‟icona stessa consuma lo

scambio tra natura convenzione, nella misura in cui non si lascia scoprire per intero in virtù

delle convenzioni messe in atto al momento della sua costruzione, ma rivela in seguito la

sua riserva infinita di significazione attraverso le modifiche apportate alla rappresentazione

diagrammatiche. Altrettanto chiaro potrà risultare allora che la logica - intrecciandosi con

la semiotica, poiché utilizzerà segni diversi e specificamente quei segni fondamentali di cui

si avvale la semiotica- estenderà i confini del suo universo includendo anche il modo reale

al quale si riferisce la semiotica in senso stretto. La logica a pieno titolo si qualifica scienza

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positiva nella stessa misura in cui è non solo plausibile ma strettamente consequenziale

fruire al suo interno delle risorse del linguaggio naturale, proprio perché il ragionamento

più astratto necessita di segmenti osservabili, a partire dai quali sia possibile scoprire e

produrre altre conoscenze. Allo stesso modo, non c‟è uno iato tra il mondo precategoriale e

quello categoriale, infatti attingere al mondo è operazione possibile sempre e soltanto

attraverso una certa formalizzazione segnica. In questo senso, il segno è un filtro attraverso

il quale si articolano sia le inferenze logico-matematiche sia quelle relative alla conoscenza

del mondo reale. In questi termini, il linguaggio naturale costituisce quel fondo dal quale è

possibile estrapolare infinite interpretazioni e con il quale si può garantire l‟elaborazione di

una semantica che non affranca mai il linguaggio dal riferimento mondo esterno, senza

per questo cadere nella trappola del corrispondentismo.. Una logica del genere è

concepibile perché se essa da una parte non è affrancata dal reale ed accoglie segni che le

permettono di assorbire i rinvii al reale, come accade nel caso dei segni iconici, e

nell‟accogliere il linguaggio naturale, dall‟altra la visione sinechistica provvede a fornire

una prospettiva unitaria nella misura in cui mostra che le leggi del pensiero convengono

con quelle del reale.

Già a partire dal Il Rinnovamento della logica, Peirce afferma che la logica deve fornire le

sue formalizzazioni alla Metafisica perché essa possa assestarsi su basi solide. E questo è

possibile a sua volta perché il pensiero e il reale convengono. Se da una parte la logica

peirceana è una logica che si rende disponibile ad accogliere l‟esperienza, la realtà si mostra

compatibile con la logica, perché si declina secondo diverse modalità. Essa non ospita

soltanto la modalità dell‟esistenza, ma anche quelle della possibilità e della necessità.

Queste ultime non sono soltanto categorie logico-matematiche, ma hanno anche uno statuto

ontologico, in virtù dell‟elaborazione del sinechismo e della fenomenologia. La realtà non è

statica, bensì dinamica, poiché essa evolve dalle possibilità, che via via estrinseca, verso

la legalità , la regolarità.

Questi accenni al sinechismo ci confermano che da una parte la forma del pensiero è

analoga a quella della realtà, e quindi ci confortano riguardo all‟idea che il pensiero-segno si

mostra idoneo a formalizzare il reale, dall‟altra questa stessa adeguatezza può essere

appresa dalla struttura logico-segnica, che come sappiamo è l‟unico tramite di conoscenza:

in questo senso constatare o focalizzare l‟attenzione sull‟intreccio segnico-logico diventa

fondamentale, a mio avviso, perchè non ne va soltanto del pensiero ma anche del reale.

Ma ancora una volta: cos‟è che permette alla logica di non rimanere scollata rispetto al

reale? È il momento iconico che non vive se non all‟interno del simbolo e tuttavia, come

dicevo, lo eccede, in forza della natura peculiare dell‟icona: del suo potere di significare

senza giungere ancora a denotare, di ospitare nella propria forma una infinita proliferazione

di forme possibili, di lasciar vedere senza giungere ancora a indicare. Il simbolo si avvale di

questa eccedenza, pur prendendone le distanze, allo stesso modo in cui il linguaggio della

logica si avvale necessariamente dell‟apporto del linguaggio naturale con tutta la sua

carica di polisemicità e di indeterminatezza. Questa eccedenza introduce dunque una

tensione feconda e irrisolta all‟interno del segno, una tensione che insisterei a chiamare

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ancora una volta meta-fisica nella misura in cui mette in giuoco un piano di trascendenza,

un movimento di rinvio a un oltre che non cade tuttavia oltre il segno, ma si trattiene per

intero al suo interno mostrandone la natura più intima: non si tratta, in altri termini della

trascendenza del reale rispetto al segno ( o a ciò che ne è segno) – una simile divaricazione

non ha posto e avrebbe bene poco senso dentro la propettiva di Peirce -- bensì della

trascendenza stessa del segno.

Questo tipo di tensione chiama, a mio avviso, in causa un tema classico della filosofia,

cruciale fin dai tempi di Platone; un tema che pur polarizzandosi, condensandosi, nello

spazio della teoria del segno, viene da lontano: dal campo dell‟ etica e della politca ma

anche della logica e della teoria della verità: quello del rapporto fra natura e convenzione,

fra ciò che ci precede, che è già da sempre nell‟ordine del reale e ciò che si deve

all‟originalità, alla libertà, dell‟inventiva umana. Natura e convenzione sono termini che non

ricorrono in modo specifico o, se vogliamo, “tecnico“ all‟interno dell‟analisi peirceana.

Seguire però il filo dell‟analisi in base a questo registro è a mio avviso importante. Credo

che la teoria peirceana del segno si collochi per molti aspetti in continuità con un

messaggio che forse era già nel Cratilo e che tuttavia per suo tramite ci è restituito in piena

luce: l‟opposizione fra natura e convenzione non può essere presa come una dicotomia ma

come una polarità, dove ciascuno dei termini antagonisti si definisce solo dentro un gioco di

rinvio reciproco e dove la differenza crea una paradossale continuità.

L‟ idea che conoscere necessiti di osservazione, di costruzione, di azioni, di manipolazioni,

che i ragionamenti abbiano una base iconica e che bisogna uscire da un‟ ottica di tipo

corrispondentistico sono esiti che lasciano trasparire la loro matrice greca. In tale

direzione il Cratilo sembra spingerci, poiché anche nel caso del nome è necessario

abbandonare ogni visione di tipo corrispondentistico, poiché la parola, alla stessa stregua

di un‟ immagine mentale, non è mera riproduzione della cosa: al contrario il nome

all‟interno di un segno determinato mette in forma i significati del reale. Così come si è

detto del rapporto tra icona e reale, non si deve pensare ad una sovrapponibilità tra nome e

cosa ma ad una loro cooriginarietà, nel senso che è la loro imprenscindibile relazione ad

innescare il processo di significazione. Nella strutturazione del nome la cosa sembra

riconoscersi: il nome diventa modello della cosa, nel senso che esibisce i tratti salienti della

cosa,ma il suo essere modello non è conforme ad una metodologia analitica, nel senso che la

sua finalità non è quella di descrivere la cosa come se essa fosse già compiuta in se stessa,

ma quella di scoprire, lasciare emergere la cosa. In questi termini il nome si pone come

modello dinamico e sintetico e può dar conto, nel rapporto con la cosa, di una circolarità tra

natura e convenzione, che supererebbe l‟ unilateralità delle posizioni di Ermogene e Cratilo,

perché entrambe responsabili di un‟assolutizzazione, se pur opposta, che non giova a

comprendere adeguatamente il rapporto tra segno e oggetto. La posizione di Socrate,

piuttosto, sembrerebbe quella più avvertita, poiché si mostra già consapevole della

continuità sussistente tra nome e cosa, nel senso che non è pensabile un modello in cui la

parola è riproduzione della cosa o viceversa; lo è, piuttosto, un modello in cui è il

“convenire” di entrambe a rendere possibile la loro costituzione. Così un suono

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assolutamente privo di significato, costituisce uno spazio in cui dimora la distanza tra

pensiero, significato e oggetto, indicando comunque una direzione, che se pur definitiva,

crea le condizioni per innescare il movimento grazie al quale si darà il significato. E allo

stesso modo l‟icona costituisce quel discreto che si crea nell‟ambito del flusso continuo che

costituisce l‟energia segnica del ground, istituendo una discontinuità e fornendo così un

„occasione di estremo valore, poiché lascia intendere il modo in cui si configurerebbe un

oggetto, nel caso in cui esistesse. Torna incisivo il gesto del ground, che all‟interno della

totalità delle possibilità, operando alla stessa stregua di un paio di forbici, ritaglia una parte

di esso, mostrando un foro e permettondoci così di accedere al reale, altrimenti

impenetrabile. All‟interno di questo spazio sarà possibile articolare il movimento della

conoscenza, perché si è data la possibilità di determinare e infatti, in rapporto a questa

cesura, si pone un primo, un secondo e la relazione fra loro.

Il pensiero diagrammatico, proprio in virtù delle sue “convenzioni”, lascia emergere principi

stabili e oggettivi, e in questo modo esso coniuga logica e metafisica: quello iconico è

l‟unico spazio in cui la metafisica può scoprire il valore ontologico delle inferenze logiche,

perché l‟osservazione delle continue sperimentazioni sul diagramma lascia scoprire

orizzonti assolutamente inediti che trascendono l‟atto costruttivo in sé. In questa prospettiva

tale costruzione può essere concepita come fenomenologica e trascendentale: essa è

fenomenologica, poiché dispone di tratti visivi, e materiali; essa può ritenersi anche

trascendentale, poiché le inferenze logiche espresse manifestano una tensione ontologica.

Come affermano alcuni studiosi, il legame tra Peirce e gli insegnamenti kantiani rimane

profondo: così come Kant ci insegna che le cose che conosciamo devono essere omogenee

al pensiero, allo stesso modo reale e pensiero in Peirce possono incontrarsi e comprendersi,

a patto che condividano un terreno comune che è quello offerto dal segno, che lascia

intendere il modo in cui si configurerebbe un oggetto, nel caso in cui esistesse.

Se il reale si può comprendere quando si dispiega nel segno, per antonomasia il segno è

l‟analogo del reale e la sua idoneità a comprendere il reale si estrinseca attraverso forme

che si riassumono nell‟analogia di cui l‟icona è la forma espressiva5. Così come il reale è

continuo e si esplica crescendo ed esibendo sempre nuove sfaccettature, allo stesso modo il

pensiero approda a una verità che non ci si offre che in un passaggio, in un transito,

manifestandosi sempre e soltanto all‟interno di nuove analogie.

E‟ questo, in estrema sintesi, il percorso che le pagine seguenti cercheranno di illustrare in

modo più analitico e per molti versi “interno” al linguaggio e alla problematica “semiotica”

di Peirce, adottando il criterio di seguire passo dopo passo l‟evoluzione del pensiero

dell‟autore dagli scritti giovanili alla maturità.

Il tentativo di questo lavoro potrà dirsi riuscito se verrà bene in chiaro che, concependo

l‟icona come uno spazio di intersezione tra i vari universi semiotico-logico-matematico-

fenomenologico, Peirce coglie un profondo rapporto tra sapere scientico e filosofico, e così

la sua prospettiva teorica torna più che mai, oggi, degna di rilievo per la sua originalità e al

5Cfr.CP 1.316; CP 1.90; CP 1.140.

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tempo stesso per la sua classicità: essa è originale per le strutture trasversali, se così

possiamo dire, del “sistema”, e classica, perché capace di solcare il tracciato della

tradizione, ridestando le sue domande e impegnandosi nel fornire possibili risposte in grado

di illuminare più in profondità il senso stesso dell‟interrogazione che sta alla base. Non è

forse questo da sempre il lavoro proprio della filosofia? In breve, esplorando la dimensione

iconica, non si tratta solo di mettere in luce i presupposti e le implicazioni filosofiche della

semiotica peirceana- operazione che indubbiamente andrà fatta- ma di mostrare che

quest‟ultima è già in se stessa una filosofia e come tale va compresa e studiata, e

considerata una risorsa del novecento, forse, ancora non adeguatamente valorizzata.

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PRIMA PARTE

PRIMO CAPITOLO

Ground e likeness negli scritti giovanili di Peirce

1) Le radici metafisiche del progetto semiotico

Con la semiotica di Peirce più che uscire dalla metafisica si ritorna ad essa con attrezzi

nuovi per gestirla con tutte le risorse della modernità. A mio avviso il modo in cui nasce la

semiotica peirceana nelle pagine delle Harvard Lectures of 1865 e nelle Lowell Lectures of

1866 è tale per cui sembra plausibile pensare che non la si possa leggere senza far

riferimento a coordinate metafisiche, oltre che logico-matematiche. Si potrebbe dire che la

Semiotica di Peirce compie il tentativo di far comprendere che la metafisica “si dice in molti

modi”, che è plastica e che si rimodella, a condizione che venga accettato il suo dettato

fondazionale. Per quanto la natura della ricerca metafisica che le è sottesa, appaia più

congeniale alla modernità e più scaltrita rispetto alle pretese della metafisica classicamente

intesa, la teoria del segno di Peirce lascia emergere l‟ineludibilità e in certo senso

l‟intrascendibilità delle questioni connesse a una tale pretesa. L‟apparentamento del ground

con nozioni quali „essenza‟, „predicato‟, „misura‟ e in qualche caso anche 'Trinità‟, di

„metafisica‟ con „metafora‟ e di „uomo‟ con „simbolo‟ ci danno forse le coordinate per

immetterci in un contesto in cui termini tecnici quali ground, sign, reference,

representation, likeness image resemblance copy superano già dall‟inizio i confini di una

dimensione prettamente semiotica. L‟impressione immediata è che nell‟opera peirceana si

delineino tante dimensioni congruenti o equivalenti che, in qualche modo, si corrispondono

e che contribuiscono a conferire maggiore intelligibilità e globalità a termini come realtà,

conoscenza e pensiero. Infatti la semiotica di Peirce, più che edificarsi all‟interno di uno

spazio ben delimitato, si ritrova declinata in tante forme, o meglio in queste varie forme

ritrova il suo senso.

Per dar conto di questo e per inquadrare correttamente le coordinate al cui interno s‟inscrive

la semiotica di Peirce, è opportuno analizzare gli scritti giovanili, nei quali si configurano

diversi profili che danno vita ad un‟intersezione filosofica sicuramente inedita. Occorre

seguire passo dopo passo le argomentazioni svolte in questi scritti, dove l‟autore,

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muovendosi tra tradizione e innovazione, getta le fondamenta di un “sistema” di pensiero

che, sebbene destinato a delinearsi con chiarezza in seguito, grazie anche a profondi

cambiamenti che interverranno lungo il tragitto speculativo del filosofo americano,

sostanzialmente, a mio avviso, si manterrà coerente con le premesse già ben stabilite sin

dagli esordi, a partire dal 1861. Negli anni immediatamente precedenti, tra il 1855-1859,

Peirce si era misurato con le opere più importanti di Kant, di Hume, con gli scritti di logica

e metafisica di William Hamilton e con alcuni dei lavori di Aristotele, Locke, Whewell,

Whately e altri. In A Treatise on Metaphisics, nell‟ambito della riflessione sulla

defnizione di metafisica, egli prenderà le distanze e allo stesso tempo prenderà spunto da

alcuni di questi autori e argomenterà in favore dell‟idea di un piano di intersezione tra

metafisica e logica.

Influenzato dalla lettura kantiana, Peirce partendo dalla distinzione tra conoscenze che

vengono acquisite dai dati e conoscenze che provengono dai principi, pone in evidenza che

la metafisica non dispone mai di una base osservativa ma soltanto di concetti. Riguardo ai

concetti bisogna però distinguere due tipi di approcci: quello psicologico da quello

strettamente logico; il primo estrae i concetti dal sistema della psicologia e riflette sui loro

significati; l‟altro è volto ad esaminare le formalizzazioni logiche dei concetti.

Quest‟ultimo, secondo Peirce, è il metodo corretto di cui deve avvalersi la metafisica:

essa deve occuparsi dei concetti così come essi si presentano ovvero in una forma

fenomeno-logica, poiché il metodo logico è indirizzato essenzialmente ad identificare le

relazioni logiche intriseche ai concetti; in questo senso è necessario penetrare dentro le

definizioni, per comprendere le relazioni che le costituiscono, infatti la definizione,

secondo Peirce, è in se stessa una relazione, cioè è frutto di una relazione. Così afferma:

“The logical method will consist only in a study of the logical relations of conceptions since

definition is itself a statement of relation”6. E dal momento che la metafisica analizza le

relazioni logiche dei concetti, non si affida all‟osservazione, e non produce proposizioni

sintetiche, infatti Peirce perviene alla seguente definizione: “Metaphysics is the analysis of

conceptions. Hence its conclusions have no synthetical content”7. In questi termini la

metafisica diventa, potremmo dire, quella sezione della logica che analizza i concetti. E

così come metafisica e logica si ritrovano strettamente correlate, allo stesso modo

metafisica e matematica sono accomunate dal fatto di disporre esclusivamente di

proposizioni analitiche. Infatti sul piano aritmetico un‟operazione come, ad esempio,

un‟addizione, secondo Peirce, asserisce una relazione e in quanto tale è una definizione.

Se le affermazioni precedenti sono volte essenzialmente a far cogliere in modo immediato

il rapporto tra metafisica, logica e matematica, le considerazioni successive decretano l‟atto

di nascita della semiotica. Essa infatti viene definita in Teleological Logic (Harvard lecture

of 1865) “The science of representations”8. Questo passaggio viene ripreso mesi dopo, nei

confronti del concetto di intuizione, anticipando così uno dei temi dei saggi del 68, in cui

6 W1: 63. Le medesime espressioni vengono riportate nel MS 920, p.14.

7 Ms 920, p. 23.

8 W1:303.

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viene demolita l‟idea di un sapere di tipo immediato. Peirce infatti, dice che la logica si

occupa del pensiero che rappresenta l‟intuizione. La logica perciò privilegia la valenza

rappresentativa del pensiero, e in questo senso precisa affermando che “So that it is more

correct to say that logic is the science of the forms of representation than that the science of

the forms of thought”9. Già in Teleological Logic Peirce distingue le rappresentazioni in

signs, symbols, e copies e precisamente le definisce nel seguente modo: “Signs.

Representations by virtue of a convention. Symbols. Representations by virtue of original

or acquired nature. Copies. Representations by virtue of a samness of predicates”10

. Le

condizioni alle quali devono sottostare i diversi tipi di segni sono rispettivamente la

grammatica speculativa, la retorica, la logica. Queste tre scienze sono interrelate e

manterranno questo nesso anche negli scritti della maturità11

. Se nei passaggi precedenti si è

constatato come la dimensione metafisica prenda corpo sul piano logico, allo stesso modo

nella Lecture XI (Lowell Lectures of 1866) si pone in evidenza come il segno estenda i

propri confini toccando le sponde della morale, della estetica e addirittura della teologia.

Questo testo, se pur concentrato sulla definizione di uomo, risulta assai utile per

comprendere come il pensiero peirceano sia sempre polivalente, poichè capace di spostare

l‟oggetto specifico di riflessione da un ambito ad un altro restituendo così il senso delle cose

di cui parla. Procediamo, seguendo le argomentazioni peirceane: essenzialmente le

riflessioni della tradizione si raccolgono intorno a due modi di concepire l‟uomo ora come

anima ora come corpo, ora secondo una spiegazione di tipo induttivo ora di tipo ipotetico,

ora secondo necessità, ora secondo libertà. Un modo forse per ridare unità e togliere le

inevitabili contraddizioni al modo di concepire l‟uomo è quello di concentrare l‟attenzione

sul fatto che essenzialmente ogni suo pensiero è un‟inferenza e che la sua vita consiste in

una catena inferenziale. Ma se si considera che l‟uomo è essenzialmente pensiero, prosegue

Peirce, è possibile concludere che l‟uomo è equiparabile ad un simbolo. Infatti uomo e

parola presentano tante affinità, poiché a parte la macrodifferenza riguardante la presenza di

un corpo nel caso dell‟uomo, uomo e parola si ritrovano a condividere tante funzioni, ad

esempio la coscienza serve per indicare l‟atto pensante, cioè per garantire unità al pensiero.

Ma questa è proprio la funzione della parola che si esplica nell‟unità della simbolizzazione.

Così come l‟uomo può acquisire percezioni dal mondo esterno, anche le parole possono

ricevere nuove informazioni. In che senso? L‟uomo modella i pensieri e li rende plastici,

traendo fuori significati inediti, e così produce nuove parole; ma dal momento che l‟uomo

può elaborare i pensieri soltanto per mezzo di parole, queste ultime hanno un ruolo attivo

9 W1:322.

10 W1:304.

11 In A New list of Categories e più tardi, nel 1902, Peirce riproporrà in Partial Synopsis of a Proposed Work in Logic

il medesimo spartito: “la logica originaria, o grammatica speculativa, è la dottrina delle condizioni generali dei simboli

e degli altri segni che hanno un carattere significante, la logica in senso stretto è la teoria delle condizioni generali del

riferimento dei simboli e degli altri segni agli oggetti che essi professano di denotare, cioè è la teoria delle condizioni di

verità. La logica transuasionale, che io chiamo retorica speculativa, è sostanzialmente ciò che va sotto il nome di

metodologia o, meglio, di metodeutica. È la dottrina delle condizioni generali del riferimento dei simboli e degli altri

segni agli interpretanti che essi hanno lo scopo di determinare”. Peirce, Opere (a cura di M. Bonfantini), Bompiani,

Milano, 2003, pp. 124-125.

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nel processo di significazione, e allora in questo senso le parole danno nuove informazioni

all‟uomo, insomma l‟uomo diventa l‟interpretante degli insegnamenti provenienti dalle

parole stesse. In questi termini Peirce può concludere che si instaura un‟osmosi tra uomo e

parola: i nuovi significati cui dà vita l‟uomo fanno crescere le parole e queste ultime a loro

volta diventano una risorsa formativa per l‟uomo. Ma queste corrispondenze vengono

spinte oltre, poiché addirittura la moralità verrà attribuita non soltanto all‟uomo ma anche

alla parola. Infatti, se per moralità viene inteso ciò che è conforme ad una “legge di idoneità

delle cose”, è possibile trovare un corrispettivo nella parola, la quale rivela la sua forza non

soltanto in riferimento alla capacità di denotare uno stato di cose, ma soprattutto in relazione

alla sua capacità di significare. “Così si esprime Peirce: “Beauty and truth belong to the

mind and word alike. The third excellence is morality on the one hand, Grammar on the

other”12

.

Tali considerazioni ci permettono di collocare in un ampio contesto la riflessione sui segni e

di radicalizzarne il senso. Le argomentazioni che seguono ci incoraggiano a procedere in

questa direzione, infatti il confronto tra la funzione procreativa dell‟uomo e quella della

parola permette alla metafora e alla metafisica di riconoscersi e ritrovare la loro profonda

unità. La parola per sua natura ha la facoltà di creare, di istituire nuovi simboli ma non per

rivestire pensieri già dati ma per rendere disponibili gli spazi semantici entro cui alloggiare i

pensieri nascenti, e allora quando, ad esempio, un autore si riferisce ai suoi scritti come alle

sue creature, in realtà questa non è un‟espressione da considerare metaforica, cioè nel senso

che esprimerebbe una similitudine, così come quando, aggiunge Peirce, il segno di

predicazione è impiegato al posto del segno di somiglianza, - “As when we say this man is a

fox instead of this man is like a fox-13

. L‟analogia tra la parola e l‟uomo è molto più

profonda e radicale, nel senso che entrambi partecipano di un gesto che è essenzialmente

puro e creativo. Se la metafora è da intendersi come una radicale comparazione realizzata in

forza della capacità pura di pensare la condizione della somiglianza, allora e la parola e la

sua valenza metaforica acquistano carattere fondativo, e in questi termini metafisica è un

altro termine che sta al posto di metafora, cioè la metafora viene riconosciuta nella sua

essenza, nel suo compito di mostrare una forma, prima ancora che questa venga sanzionata

o resa intelligibile. La parola si assumerebbe l‟onere di fornire un luogo all‟innominabile,

direbbe Sini9; le analogie successive tra la parola e l‟uomo confermano lo statuto universale

della riflessione sui segni, poiché dalla riflessione sulla parola vengono fuori modalità di

essere che sembrano apparentemente diverse da quelle proprie dell‟uomo e che in realtà

anche da quest‟ultimo sono possedute. La parola, afferma Peirce, può ritrovarsi in tanti

luoghi, poiché la sua essenza è spirituale. Nei passaggi precedenti già Peirce diceva che la

differenza tra l‟uomo e la parola risiedeva nel fatto che l‟uomo fosse dotato di corpo, ma in

effetti l‟uomo riguardo a questo aspetto non è in una condizione di subalternità, poiché

l‟uomo si realizza ed esprime la sua identità nel dare significato alla realtà, escogitando

12

W1:496. 13

Ivi, 497. 9 Cfr. Sini, Metafisica (Analogia e scrittura della verità), Cuem, Milano, 1996-1997, pp.17

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sempre nuove denotazioni e connotazioni, delle quali egli stesso diventa la custodia, la

memoria, producendo così la dimensione dell‟interpretante, che consiste nella “futura

memoria” delle cognizioni via via elaborate. In questi termini l‟uomo finisce per valicare la

sua natura corporea mostrando la sua analogia con la parola. Il carattere puramente formale

del simbolo risulta fondamentale per comprendere in che termini si può parlare di

immortalità e di quello che Peirce chiama cognizione delle cose in generale. Il significato

della parola sei, indipendentemente dall‟esistenza nell‟universo di sei cose, rimane

necessariamente vero.

“Truth, it is said, is never without a witness; and, indeed, the fact itself-the state of things-is a

symbol the general through the principles of induction; so that the true symbol has an interpretant so

long as it is true. And as it is identical with its interpretant, it always exists”14

.

Allo stesso modo la permanenza delle opinioni, dei pensieri, garantisce l‟immortalità

all‟uomo, ed essa non è un‟esistenza impersonale, afferma Peirce, poiché la personalità

risiede nell‟unità del pensiero, che è essenzialmente l‟unità della simbolizzazione. Quindi è

la natura del simbolo che spiega il senso dell‟immortalità, così come la peculiarità

dell‟uomo, che consiste essenzialmente nella cognizione delle cose in generale, è

riconducibile essenzialmente alla dimensione simbolica. Sin da bambino l‟uomo cerca di

orientarsi nella realtà prendendo in considerazione tre coordinate: nome, storia e materia.

Qui però nota Peirce, queste domande devono essere precedute da un‟altra più originaria,

che si riferisce alla focalizzazione dell‟attenzione sull‟oggetto, al modo in cui la mente si

orienta verso qualcosa. La mente così orientata produrrà una determinazione, che

corrisponde ad una domanda: qual è il suo nome? Denominare implica non soltanto un mero

atto denotativo, ma soprattutto un riferimento alla possibilità infinita di istituire relazioni, al

fine di mettere in rete la realtà. “Bur that symbol whose information is all-embracing; which

significs every fact about everything, not contingently but necessarily. As every soul of

man is a relative philosophy so this symbol is the absolute unattainable philosophy. This is

the Creator of the World since all is necessary conformed thereto”15

. Evidentemente qui

Peirce si riferisce al creatore come espressione di un simbolo infinito, e il simbolo inteso in

questo senso non denota il contingente ma la legge e l‟unità che regola l‟universo. Ma la

legge, afferma Peirce, coincide con il simbolo, poiché esso come ogni cosa o fatto,

potremmo dire, è auto-simbolizzante. L‟ interpretante, a sua volta, s‟identifica con il

simbolo, poiché, come è stato ricordato nei passaggi precedenti, l‟interpretante costituisce la

futura memoria delle cognizioni, ma le cognizioni non sono mai intuizioni bensì

rappresentazioni. Ma se l‟oggetto e l‟interpretante coincidono con il simbolo, anche cio che

costituisce l‟essenza del simbolo, il ground, s‟identifica con esso16

. Il ground, nella triade

14

W1: 500. 15

W1: 502. 16

Il termine ground nella lingua inglese designa molti significati: fondamento, punto di vista, ma anche nesso,

interrelazione. Questi ultimi, a mio avviso, risultano particolarmente efficaci, soprattutto perché pongono in evidenza il

Page 19: Introduzione - UniPa · 2019-11-12 · presente. In questo senso il rapporto istituito dal segno con il referente è un rapporto di implicazione e in questi termini il segno si pone

19

segnica, quando è considerato in se stesso, è la forma, l‟idea in virtù della quale una cosa

viene colta in riferimento ad un certo carattere. Esso costituisce la condizione in base alla

quale si può attingere alla cosa, poiché conferendole un carattere, la si pone in relazione con

qualcos‟altro. Nel caso della Trinità, il ground s‟identifica con il referente e l‟interpretante,

perché il ground determina il simbolo in modo assoluto.

“ This trinity agrees with the Christian trinity [….] The interpretanti is evidently the Divine Logos

or word; and if our former guess that a Reference to an interpretant is Paternity be right, this would

be also the Son of god. The ground, being that partaking of which is requisite to any comunication

with the Symbol, corresponds in its functions to the Holy Spirit”17

.

Tale passo, in cui Peirce rende simile la triade oggetto - ground- interpretante alla Trinità,

non costituisce soltanto una metafora, poiché troverà ampio sviluppo nell‟ambito della

riflessione teologica che egli elaborerà negli scritti della maturità. Inoltre questo

accostamento tra triade segnica e Trinità mette in chiaro che la metafisica e la teologia

rimangono a pieno titolo universi spendibili anche per la conoscenza, purché si avvalgano

delle formalizzazioni della logica, le quali non hanno un uso esclusivamente metodologico,

ma anche contenutistico. Il bagaglio logico è finalizzato a riflettere anche su questioni

metafisiche o religiose La permeabilità tra l‟ambito logico e quello metafisico appare tanto

più feconda quanto più ci si avvede che quest‟idea attraversa tutto il pensiero peirceano.

Così come da un lato la logica non esaurisce il suo fine nelle formalizzazioni, allo stesso

modo la metafisica e la religione devono mostrare la capacità di ospitare la veste logica per

dare maggiore solidità ai loro argomenti18

. Qui Peirce ci fornisce un esempio efficace di

questa osmosi tra logica e religione, poiché pone un confronto tra la triade, potremmo dire,

di carattere logico- semiotico e la Trinità. Tale corrispondenza tra la triade segnica e la

Trinità ci permette di capire anche l‟analogia tra l‟uomo e la parola, infatti afferma Peirce,

così come il valore delle parole è eterno, allo stesso modo l‟immortalità dell‟uomo è data

dalla permanenza dei suoi pensieri, ed è proprio questo che garantisce all‟uomo immortalità

e personalità, poiché di fatto sono la coerenza e l‟organizzazione dei contenuti di pensiero

che connotano l‟uomo. Ma tale unità che assicura la trascendenza dell‟uomo rispetto alla

sua esistenza animale coincide essenzialmente con l‟unità della simbolizzazione. Infatti,

significato di apertura, di possibilità che ineriscono in modo essenziale al concetto di ground, che costituirà l‟oggetto

specifico di riflessione delle pagine successive. 17

W1: 503. Lo stesso tema viene ripreso dal Ms 359. 18

In questa direzione N. Bosco, nell‟ambito della riflessione sulla proposta teologica di Peirce, argomenta: “La realtà

non è mai il dato, ma il termine di riferimento finale della conoscenza, il correlato di quell‟ideale, che è perfino la più

modesta delle verità. Perciò gli è lecito affermare che la conoscenza, sia essa scientifica o meta scientifica, ha sempre

un oggetto trascendente, per l‟appunto il reale, al quale indefinitamente si approssima, come una serie continua di

grandezze finite si approssima al limite dell‟infinito. Perciò rispetto alla conoscenza scientifica, la metafisica non

costituisce un‟alternativa, ma semplicemente una più forte approssimazione al limite. Questo non può toglierle,

ovviamente, dignità teoretica; in un certo senso, anzi glie l‟accresce; ma le impone una sobrietà ancora maggiore di

quella richiesta alla scienza. Proprio perché è in certo senso più scienza della stessa scienza, in quanto osa una maggiore

approssimazione alla verità ultima e totale cui anche la scienza guarda di lontano, la meta-scienza dev‟essere più

autocritica della scienza stessa: più consapevole della qualità supremamente ipotetica e simbolica dei propri enunciati

(ogni conoscenza, anche la più sperimentale, essendo in qualche grado simbolica e ipotetica); perciò orientata piuttosto

ad interpretare il senso ultimo dell‟esperienza che non a descrivere presunte forme necessarie dell‟essere e/o del

pensiero. Questo vale, in scala crescente, della cosmologia, della metafisica, della teologia razionale. N. Bosco Dalla

scienza alla Metafisica, Giappichelli –Editore-Torino, p. 173.

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procede Peirce, il simbolo non ha il carattere dell‟esistenza, anzi al contrario costituisce una

sospensione, una vera e propria separazione dal mondo esterno. Queste ultime

considerazioni ci permettono di capire che la dimensione formale e del simbolo e

dell‟uomo, dal momento che essenzialmente per Peirce l‟essere immortale dell‟uomo

discende dal fatto che l‟essere dell‟uomo coincide con la natura del simbolo, conviene con il

carattere personale ma non con il carattere dell‟esistenza. In tal modo s‟instaura

un‟analogia tra uomo e Dio, poiché Dio e l‟uomo costituiscono le espressioni fondamentali

del simbolo, se pur di grado diverso. Tale analogia pone una somiglianza assolutamente

interessante tra i principi strutturali dell‟Assoluto e quelli dell‟uomo, nella misura in cui

entrambi condividono quelli della simbolizzazione.

Ma quali sono i meccanismi della simbolizzazione? Essi sono espressi proprio dalla triade

ground, oggetto, interpretante. Il ground si fa espressione della condizione di possibilità

dell‟oggetto, poiché esso stesso è relazione e costituisce il luogo in cui in trasparenza si può

cogliere la fisionomia dell‟oggetto. Il ground fornisce la modalità fondamentale secondo cui

si struttura l‟oggetto e quindi crea lo spazio in cui si confrontano individuale e universale,

poiché esibisce la fisionomia dell‟oggetto lasciando intravedere la sua determinazione e il

suo carattere universale, dal momento che esso essenzialmente coincide con il suo principio

strutturante. Il meccanismo di funzionamento della Trinità, sembra rispecchiare proprio la

struttura della simbolizzazione: la Trinità per esplicarsi deve essere intesa come movimento,

come ciò che istituisce la relazione, ma istituire relazione significa determinare e allora

anche qui è necessario passare da una possibilità originaria alla determinazione di

quest‟ultima. E quindi in questo senso il ground corrisponderebbe allo Spirito, poiché è il

movimento che consente di tenere insieme condizione di possibilità della determinazione e

determinazione. È Dio d‟altra parte che è capace di tenere insieme la differenza in modo

assoluto, ed è proprio questo ossimoro che forse può tornare utile per esprimere una

categoria che di fatto coincide con una leva di comando dell‟intera filosofia peircena ovvero

la Somiglianza. Essa è messa in atto dal movimento mediante il quale l‟identità si

costituisce attraverso la possibilità di assimilare qualcosa ad un carattere; in questo atto si

ascrive una pura possibilità ad una qualità. Potrebbe essere utile ricordare che nello stesso

anno Peirce affermava che “Tutto quello che è, è in qualche modo”19

. Insomma dal

momento che è la somiglianza che istituisce il significato, allo stesso modo per leggere Dio

dobbiamo utilizzare la struttura della simbolizzazione. E questo sembra confermare intanto

che la Metafisica e la teologia sono compatibili con i principi logico-semiotici che stanno

alla base dell‟impianto peirceano. Cioè per leggere Dio possiamo usare la struttura della

simbolizzazione poichè l‟Ente supremo si qualifica come somiglianza originaria20

. A mio

19

Peirce, Categorie, (a cura di R. Fabbrichesi Leo), Laterza, Roma-Bari 1992, p. 8. 20

Le riflessioni di Peirce, a mio avviso, forse con qualche forzatura, si rivelano assai significative anche tenendo conto

di certi esiti della teologia contemporanea. Infatti Peirce sembra anticipare alcune tendenze della riflessione teologica,

come ad esempio quella di Eberhard Jungel, il quale sviluppando le premesse di Barth ritiene che pensare Dio oltre la

necessità, significa pensarlo come Possibilità. E in questo senso Dio è inteso come evento, poiché Dio può incontrare

l‟uomo nella misura in cui si fa parola ed è nel suo essere luogo di differenza di universalità e contingenza ovvero nel

suo essere ossimoro che si lascia incontrare dall‟uomo. Ma ancora una volta il piano della parola istituisce un piano di

convergenza che invera l‟idea di concepire Dio come somiglianza. Dio si svela all‟uomo mostrando che esso stesso è

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21

avviso la riflessione contenuta nella Lecture XI condensa i motivi fondamentali della

teologia peirceana e anticipa l‟impostazione degli scritti della maturità. Che Dio sia forma, e

che in quanto tale realizzi l‟essenza del simbolo, rivelando la medesima struttura del

simbolo sintetizza alcuni dei concetti fondamentali, che si rivelano utili per capire alcuni

assi portanti del sistema dell‟autore. Intanto l‟equivalenza tra simbolo e Dio potrebbe

qualificarsi come un‟introduzione all‟idea che l‟Intero si strutturi secondo le modalità del

segno, che sicuramente, costituisce una delle costanti più significative del sistema

peirceano. Infatti il simbolo, come risultato di un movimento che grazie al ground riconosce

il dato reale come tale, provvede a irreggimentare l‟esistente e costituisce il frutto prezioso

di un altro concetto assolutamente fondamentale che consiste nella valenza ipotetica del

ground. Infatti il ground, come luogo originario delle possibili relazioni è essenzialmente

luogo delle ipotesi: ciò avrà una conseguenza importante, poiché anche a Dio non ci si può

approcciare postulandolo e quindi pensandolo come un primum. Se Dio è la realizzazione

più elevata del simbolo ed è chiaro il modo in cui il simbolo si costituisce, Dio non può

essere considerato una realtà già data, piuttosto Dio dispiega nella sua assolutezza un

movimento che ha il compito di dar vita a nuove possibilità, per le quali bisogna trovare

sempre nuove forme21

. Insomma Dio è da intendersi come quel movimento in virtù del

somiglianza e lo mostra rendendo quest‟ultima operante nel suo grado più elevato. Cioè Dio può irrompere nella vita

dell‟uomo trasformandola e affrancandola dal mondo in vista di una speranza ultramondana proprio nel rivelare il suo

ossimoro. Questo farsi contingenza da parte di Dio corrisponde a quella stessa necessità del ground di creare

dicontinuità determinando uno dei tratti di quel continuum relazionale in cui consiste esso stesso. E si potrebbe osare

forse una corrispondenza più ardita tra Jungel e Peirce, poiché il primo sostiene che Dio è più originario del principio di

contraddizione, dal momento che bisogna pensarlo oltre la necessità. In Peirce si potrebbe dire che Dio costituisce la

versione teologica della messa in discussione della originarietà del principio di contraddizione, cioè pensare la

razionalità come possibilità. A parte il fatto che entrambi lascerebbero emergere la possibilità di coniugare teologia

razionale e teologia della rivelazione, ciò che più interessa per il presente discorso è che si potrebbe riscontrare una

valenza metafisica e addirittura teologica di alcuni concetti apparentementi legati ad un ambito esclusivamente logico-

semiotico. Oltre la linea critica Barth–Jungel, le medesime insistenze argomentative si riconoscono nella riflessione

teologica di alcuni studiosi italiani come V. Melchiorre, G. Bonaccorso, R. La Delfa, i quali valorizzano la dimensione

della persona e il corpo come luogo di svelamento; il corpo del Cristo risorto costituisce un luogo di mediazione tra

infinito e finito: l‟uso dell‟immagine, in questa prospettiva, è espressione di mediazione. Tali considerazioni, come ha

rilevato Bonaccorso, in occasione del recente Convegno di Ecclesiologia “Il compiersi del corpo ecclesiale”

troverebbero delle corrispondenze assolutamente straordinarie, ai fini di una riflessione sull‟Intero, in alcuni esiti della

ricerca delle scienze esatte, legati essenzialmente alla teoria della complessità. In tale prospettiva di pensiero ad

esempio nello studio della coscienza non viene adottata un‟ottica riduzionistica, poiché si ritiene indispensabile studiare

non soltanto il cervello ma soprattutto il corpo nelle sue dinamiche. La complessità stessa è l‟origine della coscienza: il

modello di riferimento più idoneo sembra essere quello reticolare, il formarsi della coscienza inizia con la dimensione

del preconscio. L‟idea è sempre quella di essere già da sempre anticipati e l‟oggetto non è mai dato ma diventa

un‟ipotesi d‟azione. In quest‟ottica scienza e religione sembrano ritrovare consonanze assai significative. In questi

termini ridiventa centrale la ritualità che finirebbe per qualificarsi come realtà interattiva a diversi livelli. Questi pochi

accenni alle tendenze della teologia contemporanea con i loro risvolti scientifici non hanno la pretesa di tematizzare il

rapporto tra la teologia di Peirce e quella contemporanea, che certamente esula dal presente studio, piuttosto l‟esigenza

è quella di comprendere che il pensiero del filosofo americano si declina in tante forme: le diverse anime dello

scienziato, del teologo, del logico, del semiologo nonché del metafisico incredibilmente convengono, si armonizzano,

e, non solo, si implicano reciprocamente, per cui non è possibile considerare l‟una senza l‟altra, esse nel loro insieme

restituiscono un‟immagine unitaria dell‟autore. 21

Qui Peirce s‟inserisce nella tradizione, in particolare sul solco hegeliano, poiché sembra mutuare la nota critica

hegeliana ai postulati kantiani. Nelle pagine sulla moralità, contenute nella Fenomenologia, Hegel critica l‟attività del

postulare, poiché è da essa che scaturiscono gravi contraddizioni che non permettono di conciliare reale e ideale.

Sebbene certamente i contesti siano diversi, mi sembra che sostanzialmente qui le tesi dei due autori possono trovare

delle consonanze.

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quale l‟origine riscrive sempre se stessa. Dio apparirebbe come quel foglio originario su cui

è possibile scrivere il processo che dà alla luce i significati. In questa prospettiva Dio si

qualificherebbe come dimensione segnica costitutiva. Ma se queste considerazioni possono

essere sintetizzate da queste due parole chiave: simbolo e ipotesi, la terza parola da

aggiungere potrebbe essere quella di somiglianza. Infatti lo Spirito corrisponderebbe al

ground, nella misura in cui articola quel movimento imprescindibile, in virtù del quale si

rende possibile il discontinuo nel fondo del continuo, il determinato nel cuore

dell‟indeterminato, l‟a priori nel contingente, rivelando cosi la sua destinazione assoluta

come struttura (analogica), all‟interno della quale si legge il rapporto tra identità e

differenza, ovvero il gesto dell‟origine, di cui il gesto simbolico si fa ripetizione. Dio

assemblea tutte le relazioni possibili, ma per dar conto di questo deve renderle contingenti.

Ma questo movimento coincide con il movimento proprio della somiglianza, perché

determinare significa rendere simile qualcosa a qualcos‟altro. Ecco che qui sembra

anticipata la linea argomentativa adottata nella riflessione teologica della maturità ma anche

le coordinate dell‟intero sistema peirceano, a conferma della sua coerenza e continuità22

.

Questa analisi che potrebbe sembrare una lunga digressione, rispetto all‟argomento del

presente lavoro, in realtà costituisce, a mio avviso, un primo esempio del modo in cui sono

profondamente radicati i nessi tra le varie riflessioni dell‟autore.

2) Dall’essere al segno: metafisica e logica

Dopo l‟analisi volta ad accennare i possibili nessi all‟interno del sistema peirceano tra

l‟esordiente semiotica e gli altri universi filosofici dell‟autore, riprendiamo l‟analisi di A

Treatise on Metaphisics del 61, per comprendere la posizione di Peirce in merito alla

tradizione, in particolare alla filosofia trascendentale, e al rapporto tra la riflessione sul

segno e le singole scansioni, attraverso le quali si rintracciano i passaggi fondamentali dalla

possibilità all‟essere, dalla verosimiglianza alla verità, cosi come si configurano nel testo

suddetto. Gli esiti di questa analisi dovrebbero mostrare come il progetto semiotico

22

Sicuramente la ricostruzione elaborata da N. Bosco della riflessione religiosa di Peirce offre un esempio del modo in

cui quest‟ultima s‟integri organicamente con le diverse dottrine del filosofo. Infatti l‟autrice afferma: “Quanto

all‟esercizio che Peirce fa della filosofia della religione e della teologia razionale, la loro integrazione colla logica, la

metafisica, la faneroscopia, la cosmologia,la psicologia, l‟etica, l‟estetica è fin troppo scoperta […]. Quanto alla loro

incoerenza pragmatica, essa può essere presunta solo da chi intenda il pragmatismo o come un banale prassismo, o

come un empirismo radicale di tipo jamesiano o neopositivista; ma svanisce, appena si tengono presenti le

caratteristiche del pragmaticismo di Peirce. Questo è infatti in primo luogo il tentativo, nell‟insieme considerevolmente

riuscito, di conciliare le ragioni dell‟empirismo e del prassismo con quelle importanti dell‟idealismo. Si potrebbe

riassumerlo nell‟affermazione che non si vive per l‟azione, anche se l‟azione è necessaria, ma per l‟evoluzione organica

del significato razionale nella realtà e nell‟intelligenza […]. La filosofia della religione “resiste al confronto delle

successive, più raffinate formulazioni, che presentano la regola (pragmatica) come un criterio per la definizione degli

accessi operativi al significato dei concetti, o per l‟adozione delle ipotesi e la pratica dell‟inferenza, o per la

chiarificazione della metafisica. Peirce indica infatti quali sono gli atteggiamenti e i comportamenti teorici e pratici che

permettono di fare, o rifare, o riconoscere un‟autentica esperienza religiosa e una corretta riflessione teologica”. N.

Bosco, op. Cit, pp.190-191-192, passim.

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scaturisce da una riflessione di tipo metafisico. Conformemente a questo scopo significative

risultano le argomentazioni che Peirce conduce in riferimento alle diverse forme di

trascendentalismo in A Treatise on Metaphysics: Peirce considera tre forme di

trascendentalismo, che denomina trascendentalismo psicologico, trascendentalismo

dogmatico e trascendentalismo logico, attribuendo il primo a Kant, il secondo a Hume, e il

terzo ad Hamilton. La prima forma di trascendentalismo ovvero quella kantiana viene

identificata con quella forma di conoscenza che si fonda sull‟Io penso; la seconda, che

corrisponde alla prospettiva di Hume, viene concepita com quella conoscenza che deve

fare i conti con le premesse ultime, poiché ogni conoscenza è una sequela di sillogismi, e

quindi l‟obiettivo deve essere quello di pervenire alle premesse maggiori; la terza, quella

identificata con la posizione di Hamilton, viene considerata come quella conoscenza che

deve sottoporre a verifica le astrazioni per comprendere la loro tenuta logica ovvero la

loro eventuale contraddittorietà.

Delineate queste tre forme di trascendentalismo, Peirce critica il loro modo di approcciarsi

alla metafisica. Il trascendentalismo psicologico ritiene che la metafisica potrebbe

approdare ad esiti certi, qualora trovasse un principio capace di fondare „l‟autorità della

coscienza‟. Peirce ribatte dicendo che quest‟ultima è da ritrovare all‟interno della

coscienza, e d‟altra parte se ciò non accadesse, si dissolverebbe la validità delle scienze e

dello stesso psicologismo trascendentale. II trascendentalismo dogmatico asserisce che la

metafisica non può assumere premesse senza giustificarle, ma Peirce ribatte dicendo che la

metafisica non si avvale di premesse, sue proprie, piuttosto essa deve qualificarsi come

pura analisi dei concetti. Infine il trascendentalismo logico ritiene che la metafisica risulta

infondata, tranne che riesca a verificare la non contraddittorietà dei suoi concetti. Ma anche

questa argomentazione, secondo Peirce, non è legittima, poiché l‟autocontraddittorietà è

propria dei giudizi; i concetti, prosegue Peirce, non possono essere contraddittori, “in the

right use of reason, for No A is not-A”23

.

Poste in evidenza queste critiche, Peirce ritiene che la metafisica in Kant approderà ad una

prospettiva di tipo fideistico, tant‟è che le idee della ragione, sebbene non dimostrate, sono

credute da Kant. Riguardo a questa dimensione della fede Peirce ritiene che, diversamente

da Kant e da altri che hanno distinto fede da conoscenza, laddove c‟è fede c‟è conoscenza.

La fede dal pensatore americano viene concepita come una possibile metodologia per

arrivare alla verità, comincia a farsi strada l‟idea che la fede non è così separata dalla

conoscenza, poiché qui con la parola fede Peirce allude a quell‟istinto a congetturare, ad

ipotizzare, che costituirà un tema centrale degli scritti più maturi. Comunque Peirce, dopo

avere sottolineato gli errori del dogmatismo e del trascendentalismo, ritiene che proprio alla

luce della funzione della fede sul piano metafisico, il trascendentalismo viene valorizzato.

Infatti così si esprime: “Transcendentalism as a study of the out-reaching of the human

mind retain its full value”24

.

23

W1:74. 24

W1:79.

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24

Ora se accettiamo di concepire la metafisica come analisi dei concetti, e allora, afferma

Peirce, non possiamo prescindere dalla questione circa il modo in cui si configura l‟accordo

tra i nostri concetti e il mondo esterno. Per rispondere a questa problematica il pensatore

americano ritiene che la stessa metafisica ci fornisce tre principi guida che s‟identificano

con i concetti di Truth, Innateness, Externality. Ci soffermeremo su questi concetti, per far

comprendere come dall‟analisi di questi ultimi scaturisce la triade segnica. È come se il

segno con i suoi strati venisse fuori proprio dallo spartito metafisico, come se ritagliando

questi concetti venisse fuori una struttura, che è quella nella quale si riconosce il segno

stesso. E allora prendiamo in considerazione il primo concetto, la verità. In essa è possibile

riscontrare tre livelli che progressivamente si approssimeranno alla verità e cioè

verisimilitude, veracity e verity. Che cosa intende Peirce con verosimiglianza? Essa viene

identificata con l‟accordo che si stabilsce in virtù di una rassomiglianza tra una

rappresentazione e il suo oggetto. Peirce afferma: “I call this [la rassomiglianza]

verisimilitude, and representation a copy”25

. Qui quando parla di rappresentazione Peirce,

per quanto ancora la sua riflessione sia ancora in nuce, non è difficile riconoscere ciò che

affermerà dopo con maggiore chiarezza nei saggi successivi, e cioè che la rappresentazione

non si identifica con un„immagine mentale, poiché non stabilisce un rapporto di

corrispondenza con l‟oggetto, essa esprime la rappresentabilità dell‟oggetto, e in questo

senso, essa presenta un oggetto possibile. Infatti, afferma Peirce, se la rassomiglianza viene

assolutizzata, essa stessa si rinchiude in se stessa, implode, diventando identità. Quindi la

rassomiglianza deve essere in se stessa relativa, deve avere un limite, ma questo limite non

la riduce, ma al contrario rende possibile la sua capacità esplicativa. Lo statuto della

verosimiglianza è infatti quello di qualificarsi verità parziale. D‟altra parte, afferma Peirce,

“Truth has no absolute antithesis”26

. Questa è un‟affermazione molto significativa, poiché

permette di capire che lo spazio di occorrenza della verità non è interamente occupato dalla

verità, nel senso che la verità risulta essere un processo, di cui l‟inizio è caratterizzato da

una commistione di vero/falso. La falsità non costituisce allora un‟antitesi assoluta alla

verità. Ma anche il falso è una rappresentazione, essa è una copia imperfetta della verità,

quindi la verosimiglianza è falsità: nella verosimiglianza convivono il vero e il falso. Qui è

come se Peirce immaginasse l‟Essere dotato di stratificazioni interne, una sorta di rispetti,

come se contemplasse al suo interno la presenza di negazioni.

La veracità consiste in una connessione che si instaura tra la rappresentazione e il suo

referente. La rappresentazione viene denominata segno: è utile precisare che il segno non

ha un significato generico, poiché corrisponde esattamente a quello che nelle tricotomie

della semiotica matura, viene denominato indice ovvero quella rappresentazione che non ha

alcuna rassomiglianza con il referente, poiché ha la funzione piuttosto di indicarlo, come

può accadere nel caso di un segnale stradale, il quale si caratterizza per il fatto che denota

qualcosa. Anche qui siamo di fronte ad una dimensione che non può possedere interamente

verità, poiché essa è destinata al contingente, infatti, se l‟identità del segno, in questo caso,

25

W1:Ibidem. 26

W1:Ibidem.

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25

risiede nella connessione con l‟oggetto, il segno non è da sempre segno ma diventa segno.

E quindi anche in questo caso la veracità non può identificarsi con la verità.

Ma, secondo Peirce, se si assolutezza il concetto di veracità, essa si identifica con la natura

delle cose. “The nature of a thing is that which it derives from its origin. Derivation not in

time is the relation of accident to substance. Hence, an invariabile connection in the nature

of things is unity of substance. The qualities of things are founded in the nature of things;

hence, unity of substance implies perfect correspondence of qualities”27

. Da qui si perviene

al concetto di verity, infatti, afferma Peirce, “Since conceptions perfectly correspond with

qualities and since they have a connection therewith in the nature of things, they are types of

things”28

. In questo caso il rapporto tra cose e segni è ascrivibile alla verità. Questo

passaggio è espressione del modo in cui Peirce vede nel segno un vero e proprio

movimento, grazie al quale la dimensione convenzionale del segno sembra assestarsi

proprio sulla natura delle cose, d‟altra parte la stessa natura delle cose risulta garantita

proprio da quest‟ultima. Il convenzionale si qualifica come l‟unica ribalta possibile per il

reale. La verità è nei concetti, ma la misura della verità è custodita dalla natura delle cose.

Le considerazioni che seguono nel testo di Peirce sulla nozione di Innateness e di

Externality, a mio avviso, confermano e l‟intenzione di collocare sempre all‟interno di un

universo “metafisico” la riflessione sul segno e di porre in una linea di continuità materia e

mente, possibilità ed essere, natura e convenzione. Infatti il prosieguo dell‟analisi della

mente attraverso la nozione di Innateness contribuisce a chiarire il tipo di rapporto tra questi

dualismi. Prima di entrare nel merito della spiegazione di questo concetto denominato da

Peirce Innateness è opportuno tenere presente che per Peirce tale nozione non

corrisponde a quello che intende la tradizione del pensiero filosofico ovvero le idee innate,

le verità eterne. Peirce riferendosi a questo termine intende ciò che è in nuce nel pensiero,

ciò che è ancora non articolato. Per avere un‟idea di quello che intende dire qui Peirce con

tale termine, potremmo richiamare il termine ingenuo, con il quale si intende ciò che è

connaturato e in quanto tale è ripiegato in se stesso. Infatti per Peirce l‟innateness non ha

riferimento all‟esterno, e in questo senso non è né vero, né falso, è ciò che ancora si

mantiene dentro, contratto all‟interno della mente. In questi termini, secondo Peirce anche il

pensiero, quando ancora non si è dispiegato, si trova in una condizione equivalente a quella

della sensazione, la quale si configura come qualcosa di connaturato, nel senso che il

vedere, il sentire, non sono azioni che si apprendono dall‟esterno, nessuno insegna a vedere

o a sentire, esse si danno così come sono connaturate all‟uomo, e in questo senso le

sensazioni non sono né vere né false. Sembra qui che Peirce voglia attribuire alla

dimensione innata un carattere di riserva, da cui emergerà qualcosa che potrà estrinsecarsi

con il concetto. Ciò che si pone in evidenza è che qui innato non significa un concetto vero,

incontrovertibile, ma una sorta di dimensione che i concetti in una condizione di latenza

abitano senza essersi accordati con il principio di non contraddizione. Infatti Peirce

afferma: “Each element of thought is a motion of the mind. In each element of thought it is

27

W1: 80. 28

W1:Ibidem.

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26

innate. It is innate in its possibility. It is true in its actuality”29

. Peirce vuole porre l‟accento

sul fatto che ogni pensiero implica movimento, le facoltà del pensiero dalle più elementari

alle più complesse realizzano se stesse nell‟azione. Il senso del movimento del pensiero sta

nell‟esplicare, nell‟articolare la possibilità in attualità, attribuendo caratteri all‟essere: questo

è un atto di costruzione, la cui legittimità, comunque sta nella natura della mente e nella sua

omologa, la realtà. Nelle proposizioni precedentemente citate si dà conto di quel

movimento proprio del segno, grazie al quale, si istituiscono significati, che rendono

appunto attuali le cose, perché è in essi che si riconoscono le cose, e soprattutto nella loro

stratificazione. Il significato compiuto o simbolo inizia la sua storia a partire dalla base del

segno, è li che appare, negli altri gradi del segno si consolida.

Infine la nozione di externality fornisce un‟altra coordinata importante per assestare

all‟interno di un quadro di riferimento metafisico la dimensione del segno. Con tale termine,

che già veniva usato da Hamilton e da Reid, Peirce intende ciò che si può qualificare come

esteriore o rispetto ai processi mentali o all‟interno del pensiero, nella misura in cui ciò che

è esteriore diventa l‟oggetto della riflessione del pensiero stesso. L‟esteriorità pone le

condizioni dell‟esperienza della dualità, la quale si può realizzare o all‟interno del pensiero

o nell‟impatto con il mondo esterno che esiste indipendentemente dalla dimensione mentale.

Peirce in merito all‟externality afferma che “All unthought is thought-of”30

, infatti il

soggetto si ritrova ad avere il concetto di infinito, nonostante non sia conoscibile.

Proseguendo la riflessione Peirce afferma che: Se si pensa il carattere di una cosa ovvero il

suo essere, quest‟ultimo è pensato in una relazione di differenza con il carattere di un‟altra

cosa. E così argomenta “To think of a think in such a way that our conception has a relation

to that thing. When we think of a thing‟s being blue, we think of blue things, in general.

When we think of a thing‟s being long, we have a reference to those that are short. In the

same way, any unthought which is not thought of as thought, is by the relation of complete

negation, negatively thought of as unthought”31

. Quindi anche l‟impensato ottiene

cittadinanza nel pensiero, d‟altra parte già la tradizione idealistica e quella materialistica

giustificano tale impostazione: dall‟idealismo, afferma Peirce, scaturisce il principio

secondo il quale nulla esiste che non sia pensabile come pensato e dal materialismo che il

non pensato non esiste affatto e che quest‟ultimo può essere pensato come viene pensata la

perfezione ovvero Dio. Quindi, conclude Peirce, esistono tre mondi: materia, mente, Dio.

Tali universi sono distinti ma identici nella sostanza, ed è per questa ragione che ciò che

viene partorito dalla mente, e quindi anche i suoi elementi innati sono in accordo con

l‟esteriorità. Tale accordo risulta governato da una vera e propria armonia e in questo modo

il filosofo risponde alla questione che si era posto relativamente al modo in cui i concetti

potevano qualificarsi come veri rispetto al mondo esterno.

Il modo in cui Peirce argomenta sembra veramente animato dall‟idea di ripensare la realtà a

partire dal segno, ma trasferendo in esso tutti gli insegnamenti della tradizione metafisica

29

W1: 82. 30

Ibidem 31

Ibidem.

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27

che, declinata nella forma segnica, finisce per assumere una veste del tutto inedita,

proponendo soluzioni nuove a questioni classiche.

E se da un lato il segno sembra stagliarsi sullo sfondo delle coordinate del pensiero

metafisico, dall‟altro, in altri scritti, successivi di pochi anni al saggio del 61, si pone in

evidenza la prospettiva prettamente logica da cui Peirce intende partire per edificare la

struttura segnica.

3) La nozione di rappresentazione e la triade segnica

Forse prima di On a New List of Categories, è opportuno seguire l‟analisi del concetto di

rappresentazione, così come si configura in Logic of the Science (1865) per dar conto

delle coordinate del concetto di ground. Ad apertura di questo testo Peirce indugia sul concetto

di rappresentazione, sottolineando che la logica si occupa delle diverse forme assunte dalla

rappresentazione. Il modo in cui Peirce tratteggia tali forme sembra caratterizzato dalla

ripresa di alcuni concetti base della tradizione, che nell‟impianto peirceano risuonano in

modo nuovo, manifestando nuove angolazioni ed inedite prospettive. Una rappresentazione

non deve essere considerata un„immagine mentale e Peirce avverte che il suo intento è

quello di considerare le rappresentazioni nella loro totalità cioè anche quelle che non sono

relative alla mente. Insomma qui Peirce intende già fornire un concetto di rappresentazione

che non coincide affatto con il modo soggettivo umano di approcciarsi alla realtà ma, al

contrario sta cercando di guadagnare i passaggi per provare l‟intrascendibilità della

dimensione rappresentativa. Per quanto un concettualista, afferma Peirce, potrebbe pensare

che i concetti di fatto dispiegano l‟astrazione, denotata dalla parola, ma non ciò che

appartiene intrinsecamente alla cosa, in effetti la mente stessa è stata organizzata secondo un

modello che è quello della rappresentazione naturale. Insomma, secondo Peirce, sarebbe

falso pensare che l‟uomo potenzi l‟uso delle parole rispetto a qualsiasi parola che impiega,

poiché in tal caso le parole diventerebbero mezzi delle astrazioni e queste ultime veicolate

dalle parole non potrebbero certo pretendere di rappresentare la cosa cosi come è in se

stessa. Tale impostazione è completamente rifiutata, poiché questo creerebbe un diaframma

tra la rappresentazione e la realtà. Se ci fossero le cose da una parte e le rappresentazioni

dall‟altra, ciò significherebbe postulare l‟idea di qualcosa non suscettibile di

rappresentazione, ma, prosegue Peirce, se si ipotizzasse l‟idea di qualcosa non ascrivibile

alla dimensione rappresentativa, essa non potrebbe essere rappresentata, poiché “[.…] An

object represented is a representation of the same object in itself. But the supposition of

anything unrepresented, is self-contradictory since that which is supposed is thereby

represented. Hence all is representative”32

. Ma se stanno così le cose, sarebbe tutto un

indifferenziato, nel senso che non avremmo alcuna grammatica per distinguere le

articolazioni del rappresentativo, essenzialmente per capire “i suoi nomi, la sua materia, la

sua storia”. Ora l‟unica grammatica per capire le distinzioni fondamentali all‟interno della

32

W1:324.

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dimensione rappresentativa è proprio quella segnica, la quale sembra proprio assolvere al

compito non soltanto di stratificare la rappresentazione ma di renderla possibile,

dispiengandone i movimenti. E quindi sin dal suo esordio la teoria del segno nasce e per

portare alla luce i diversi strati che si sedimentano nella dimensione rappresentativa, per

trasformare in energia ciò che sembrerebbe non ulteriormente riducibile e nello stesso

tempo per fornire un vero e proprio piano su cui rendere possibile la sua articolazione.

La capacità rappresentativa non ha a che fare con la facoltà di riprodurre le cose, e da qui

scaturisce l‟idea che la rappresentazione con tutte le sue scansioni segniche può adoperarsi

al fine di approntare un‟ontologia da spendere in modo trasversale, perché indispensabile e

al piano semiotico, logico, epistemologico, nonché a quello matematico. Qui a mio avviso,

si traccia già la strada maestra del pensiero peirceano, poichè si coagulano intorno alla

parola rappresentazione tanti concetti basilari che saranno propri dei saggi del „68 e della

filosofia matura di Peirce: l‟idea di una continuità tra mente e realtà, la negazione di una

conoscenza immediata dell‟essere, se non declinato nelle forme della rappresentazione, e la

valorizzazione di una dimensione dell‟immagine che si rivelerà fruttuosissima nella semiotica

matura.

E allora è necessario esercitare una sorta di speleologia dentro la rappresentazione per

scoprirne i suoi strati: la rappresentazione è costituita da un oggetto, da una mente e da un

ground. La rappresentazione implica sempre un oggetto di riferimento, una mente, che non

coincide con gli elementi soggettivi della mente umana, poiché essa non ha un‟accezione di

tipo psicologico, e un ground33

ovvero, afferma Peirce, “Or reason which determines it to

represent that object to that subject”34

.

A partire già da questa classificazione emerge dalle stesse parole di Peirce il carattere

costitutivo del ground, poiché Peirce immediatamente dopo aggiungerà che se cerchiamo un

discrimine tra le varie rappresentazioni, questo è da ravvisare nelle differenze tra i diversi

tipi di marks. Le differenze delle rappresentazioni sono apprezzabili in termini di marks (le

diverse tracce del segno). Ma seguendo i passaggi del filosofo americano, i marks sono dati

dal rinvio ora al soggetto ora all‟oggetto ora al ground, quindi le differenze tra i marks

diventano tali rispetto a ciò a cui rinviano. Ma ciò che permette di assemblare i diversi tipi

di rinvii è il ground (l‟interrelazione) della rappresentazione, e allora una differenza in

quest‟ultima si riflette in tutti gli altri “marks”.

“ Now the ground of a representation has three marks:1st) It determines representation to refer to a

certain Object; 2st) It determines that representation to refer to it; 3rd; It determines that

representation to refer to a certain subject. These marks of determination. Now a determination is

in reference to another determination either mediate or immediate; that is, it either result from the

33

Il termine ground compare per la prima volta in Logic of the Sciences e in Lecture II, scritti durante l‟inverno del

1865, secondo la ricostruzione dei manoscritti contenuta nei Writings. Nel primo viene fornita la seguente definizione:

“[…] Whatever is must have a ground for being; that is, it must have qualities or marks and it is on ly in virtue of them

that it is” W1:332. Nel secondo scritto Peirce afferma: “What we seek i san explicit statement of the logical ground of

the logical ground of these different kinds of inference”. W1:183. 34

W1:327.

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latter or not. The second of the above determinations is absolutely immediate and the others are

mediate in reference to it. Hence they are proximate differences of the ground and hence they are

proximate differences of representation”35

.

È opportuno focalizzare il secondo mark, poiché esso è immediato e gli altri sono mediati in

riferimento ad esso. L‟aspetto interessante sta nel fatto che questo mark immediato si trova

collocato al secondo posto della triade, se pur immediato. Ciò non è una svista o una

contraddizione, a mio avviso proprio qui nella fase di gestazione del ground, preoccupato

del fatto di non creare equivoci, Peirce vuol porre in evidenza che, sebbene il responsabile

della messa in atto del processo segnico è il ground, quest‟ultimo non si pone in modo

irrelato, ma si trova già da sempre inserito nella catena segnica, nell‟atto di costituzione di

essa stessa. Insomma ciò che si vuole dire è che non c‟è un momento in cui il ground operi

dall‟esterno per preparare la catena, quest‟ultima si dà nel momento stesso in cui il ground è

già coinvolto e le determinazioni sono state esplicate. Queste ultime una volta date,

riconducono al ground come loro atto di ricomprensione. Quindi quando Peirce parla di

mark immediato non vuole riferirsi al ground come ad un primum, ma come a ciò che si

costituisce come relazione originaria, e in quanto tale disponibile solo in modo mediato. I

passaggi successivi sono più espliciti riguardo al ruolo del ground svolto all‟interno della

triade segnica: in considerazione del fatto che le rappresentazioni fondamentali sono tre,

Peirce afferma che una rappresentazione, che si caratterizza per il fatto che l‟oggetto è

determinato dal suo soggetto si chiama segno (che corrisponderebbe all‟atto convenzionale

con cui due soggetti denotano alcune cose con determinati segni); “Representations whose

subject and object depend immediately upon the ground and not upon any character of

either”36

vengono chiamate copie. Il ground in qualsiasi caso deve essere un carattere della

rappresentazione che lo connette con il soggetto e l‟oggetto. Peirce, prosegue per chiarire

meglio la natura del ground e lo equipara ad una sensazione. “[….]A sensation agrees

immediately with the thing in affecting the sense and with the mind in being affected by the

thing. It is this sort of representation also which a picture is”37

. Infine vi sono le

rappresentazioni che si identificano con i concetti ovvero con le parole che sono divenute

segni e che vengono definite simboli. Più avanti Peirce dirà che il ground è pura relazione, è

accordo che può realizzarsi e nel soggetto e nell‟oggetto o nella loro connessione. Non è un

caso che Peirce identificherà il ground con la forma, l‟oggetto con la materia e il simbolo

con l‟entelechia. Quindi, in base ai passaggi analizzati si può confermare, a mio avviso, che

il ground rende possibile l‟esibizione e la connotazione dell‟oggetto, il prodotto del lavoro

del ground è quello che viene denominato copy. Qui il termine copy è sostanzialmente

coincidente con il termine image, likeness, resemblance, similarity, per quanto l‟uso di

ciascuno di volta in volta di questi termini svela angolature sempre diverse ma, al tempo

stesso, sempre cumulabili, esplicative e quindi funzionali a comprendere il movimento

35

W1:327-328. 36

Ibidem. 37

Ibidem.

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30

attivato dal ground, grazie al quale la relazione da esso espressa diventa disponibile e si

offra come un che di determinato. In particolare la scelta di usare il termine copy deriva dal

fatto che Peirce vuole sottolineare il fatto che essa prescinde dal soggetto e dall‟oggetto,

perché la copy è essa stessa relazione, ma oggettivata, posta: è nell‟accezione di esempio,

modello che il termine copy qui va inteso: esempio, nel senso che in esso vengono contratti

all‟interno di una determinatezza i due termini della relazione, in questo caso soggetto e

oggetto. Se da una parte, potremmo dire, il ground, qualificandosi come relazione, è come

se, assemblando tutte le possibili relazioni, fosse così in grado di mostrare quell‟apertura

originaria, grazie alla quale il reale può essere immesso nel processo di significazione,

dall‟altra è all‟interno della dimensione segnica, di cui il ground è elemento mediato e

immediato, fondamento e fondato, che è possibile approcciarsi all‟essere. Infatti non

dobbiamo intendere l‟essere come noumeno, perché di quest‟ultimo anche se in modo

parziale, è possibile catturare indefinitamente sempre volti inediti. E quindi, pur con tutte le

differenze, la lezione trascendentale mantiene il suo valore, poiché l‟oggetto non è mai

disponibile nella sua interezza, ma sempre a condizione che all‟interno di una relazione

originaria si diano insieme e in un vincolo imprescindibile essere e la sua qualità, poiché ciò

che è deve avere un ground. L‟essere è disponibile se è già immesso in una relazione

possibile. Se si concorda sul fatto che fenomeno e concetto non sono mai cosi divaricati

nella riflessione kantiana, e che la funzione del trascendentale è proprio quella che permette

la loro osmosi, la prospettiva di Peirce, a mio avviso, se pur sviluppa una impostazione di

tipo fenomenologico, già presente nei primi scritti, apparirà comunque legata a presupposti

riconoscibili come trascendentali. Il ground si fa sorgente del significato e dell‟oggettività

e, in quanto tale, della sua possibilità. È chiaro che non stiamo parlando dell‟interezza

dell‟oggetto, ma non perché permane la differenza tra fenomeno e noumeno, ma perché

dell‟oggetto possiamo scoprire in fieri sfaccettature sempre nuove, sebbene parziali. Questa

impossibilità di cogliere l‟oggetto nella sua interezza, che per Peirce si traduce in una

radicale inconcepibilità dell‟inconoscibile, conferma il veto kantiano relativamente alla

possibilità di cogliere il primum. E sgombri, già a partire da Kant, da qualsiasi realismo

ingenuo, in Peirce più che mai emerge la consapevolezza che oggetto e pensiero non

possono sussistere indipendentemente dalla relazione propria del ground, nella quale

prendono forma correlato e interpretante. Peirce, infatti, in diversi scritti tra il „65 e il „66, si

richiama a Kant per porre in evidenza come anche in Kant il fenomeno non si qualifica

come mero dato. In Logic Notebook (1866) Peirce afferma, rinviando ad un passo della

critica della Ragion pura, che nel fenomeno bisogna riconoscere una regola, ed essa deve

qualificarsi come necessaria e in Fraser‟s The Works of George Berkeley 1871 Peirce

commenta la rivoluzione copernicana operata da Kant come una filosofia essenzialmente

fondata sull‟idea che l‟oggetto viene pensato come determinato dalla mente e che

essenzialmente i concetti e le intuizioni devono sorreggere l‟esperienza, perché essa possa

configurarsi come unitaria. E tale riduzione all‟unità non è arbitraria, ma possiede validità

obiettiva. Kant nella Critica della ragion Pura afferma:

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31

“Le categorie, quanto alla loro origine, non si fondano sulla sensibilità – come avviene invece per le

forme dell‟intuizione, spazio e tempo – e sembrano quindi permettere un‟applicazione estesa al di là

di tutti gli oggetti dei sensi. Ma d‟altro lato esse non sono, per parte loro se non forme di pensiero,

che contengono semplicemente la facoltà logica di riunire a priori in una sola coscienza il dato

molteplice dell‟intuizione”(Le apparenze, in quanto sono pensate come oggetti in base all‟unità

delle categorie, si chiamano phenomena. p. 322 C.R.P.)38

.

Quindi già Kant ritiene indispensabile porre in evidenza che il fenomeno, sebbene non

costruibile all‟interno dei concetti, esso è riconoscibile come tale, a patto che venga

disciplinato dall‟azione del trascendentale, che s‟identifica con la facoltà di sintetizzare il

molteplice. Quindi se il fenomeno non è semplice datità, esso è codificabile, perché rivela

una relazione interna con il pensiero, è questa relazione, che permette di istituire

l‟oggettività in quanto tale. Tenendo presente i frequenti richiami a Kant, anche negli scritti

successivi ai testi qui analizzati, Peirce si esprime in questo modo:

“È vero che Kant considera lo spazio e il tempo come intuizioni, o piuttosto forme di intuizione,ma

non è essenziale per la sua teoria che l‟intuizione significhi qualcosa di più che “rappresentazione

individuale”. L‟apprensione dello spazio e del tempo, secondo lui, risulta da un processo mentale –

la “Synthesis der Apprehension in der Anschauung” (vedi Critik d. reinen Vernunft, Ed 178, pp. 98

et seq.). La mia teoria è un semplice resoconto di questa sintesi”39

.

A dare ragione a Peirce è lo stesso Kant, il quale nell‟Estetica trascendentale afferma che

nessun oggetto può essere conosciuto dalle sensazioni, e relativamente alla distinzione tra

fenomeno e noumeno Kant si esprime in questi termini:

“Le proposizioni fondamentali dell‟intelletto puro – siano poi esse costitutive a priori (come le

matematiche), oppure semplicemente regolative (come le dinamiche) - non contengono altro se non,

per cosi dire, lo schema puro dell‟esperienza possibile. In effetti, tale esperienza trae la sua unità

soltanto dall‟unità sintetica, la quale è conferita originariamente e spontaneamente dall‟intelletto

alla sintesi della capacità di immaginazione, in rapporto con l‟appercezione, e con la quale le

apparenze – come data di una conoscenza possibile – debbono già a priori stare in relazione e in

accordo”40

.

Il fenomeno è riconoscibile come tale nella misura in cui si fa espressione della regola della

sintesi, che è l‟autrice della sua identità, e allora il fenomeno lungi dal rappresentare la

riproduzione di qualcosa, esso è da intendere come Bild, come ciò che incarna la

dimensione del rinvio tra pensiero e oggetto. Il fenomeno, già in Kant, contrae all‟interno di

una determinatezza la relazione tra i due estremi della conoscenza, coscienza empirica e

coscienza trascendentale. Il fenomeno appare come un dato nella misura in cui diventa

38

I. Kant, Critica della Ragion pura, (trad. G. Colli), Adelphi, 2004, Milano, p 322. 39

Peirce, Questioni concernti certe pretese facoltà umane, cit., p.322. 40

I. Kant, op. cit. p.312.

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32

segno di ciò che lo ha reso come tale. In questo senso non è la semplice riproduzione di

qualcosa di già dato ma la relazione che tiene insieme molteplice e regola della sintesi del

molteplice41

. Quando a proposito della immaginazione Kant sostiene che l‟immaginazione

deve operare sul molteplice perché venga fuori un‟immagine, quest‟ultima si identifica con

il fenomeno. Quindi il fenomeno testimonia l‟idea che l‟immaginazione non provvede ad

unire due elementi ritenuti separatamente sussistenti, poiché è in virtù della sintesi

dell‟immaginazione trascendentale che si può dar conto della fisionomia dell‟oggetto, e

quindi della distinzione tra empirico e trascendentale. Il trascendentale sembra proprio

consistere nel rendere possibile l‟unità dell‟esperienza, indispensabile a che possa apparire il

molteplice, altrimenti impossibile da esperire. Esplicative le parole di Kant:

“L‟immaginazione è dunque anche una facoltà di sintesi a priori, per cui noi le diamo il nome di

immaginazione produttiva; e, in quanto essa, rispetto a ogni molteplice del fenomeno, non ha di

mira nient‟altro che l‟unità necessaria della sintesi di quello, questa può denominarsi la funzione

trascendentale della immaginazione. È quindi strano, in verità, ma dal fin qui detto nondimeno

lampante, che solo mediante questa funzione trascendentale dell‟immaginazione diviene possibile

anche l‟affinità dei fenomeni, e con essa l‟associazione, e per questa, infine la riproduzione secondo

leggi, e conseguentemente la stessa esperienza; poiché senza di essa nessun concetto di oggetti

potrebbe punto confluire in una esperienza”42

.

Se la dimensione del segno peirceano è collocabile comunque all‟interno di una prospettiva

trascendentale, sebbene evidentemente si tratti di un trascendentale rivisitato, forse diventa

più chiara la sfida a cui è chiamato il ground: da esso dipende la deduzione dell‟oggetto, e al

tempo stesso l‟istituzione del significato, che sarà veicolata sino al simbolo. Le

considerazioni precedenti ci aiutano a comprendere che la questione del ground, sebbene

originalissima e fondamentale nella prospettiva peirceiana, a mio avviso, affonda le sue

radici nella tradizione del pensiero kantiano. Soprattutto in questi scritti giovanili Peirce si

prefigge di raggiungere l‟obiettivo che, dalla sua prospettiva, Kant non ha realizzato e che

per altro Kant non poteva realizzare nella direzione che intraprenderà il filosofo americano.

Come è stato ricordato precedentemente, secondo Peirce il problema è quello di capire come

le categorie, che sono sintetiche, possono esserlo a partire dalla loro indeterminatezza,

generalità. Insomma è necessario comprendere come le categorie costruiscono il proprio

concetto, così come accade, secondo Kant, ai concetti geometrici. 41

Tale lettura risulta incoraggiata da una indicazione di C. La Rocca, il quale afferma: “i fenomeni non vengono

indagati in quanto sono oggetti (ossia sono in senso lato datità, anche datità psichiche o rappresentazioni), ma in quanto

designano ciò che in essi determina la loro leggibilità come oggetti, la struttura necessaria della loro apprensione: in

quanto sono espressione segnica sensibile, icona dell‟oggetto in generale come correlato delle categorie”. C. La Rocca,

Strutture Kantiane, Ets Editrice, p. 41. Tali considerazioni mi sembrano in linea con quanto afferma R. Fabbrichesi Leo

riguardo al metodo morfologico di Goethe: “la morfologia è lo studio delle forme in trasformazione, dunque non della

Gestalt ma della Bildung […] formazione per indicare sia ciò che è già prodotto, sia ciò che sta producendosi. Lo

schema è la singola conformazione di un fenomeno che troviamo ripetuta e modificata nelle sue trascrizioni; è una Bild

che si applica alla ricerca del simil (l‟analogon) non del corrispondente (tautòn) […]. Ogni immagine esempio è dunque

trascendentale in tutta la sua empiricità materiale”. R. Fabbrichesi F. Leoni Continuità e variazione, Mimesis, Milano,

2005, pp. 80, 95, 96, passim. 42

Kant, Critica della Ragion Pura, (trad. Lombardo radice), Laterza, Roma-Bari, 1979 p. 667.Cito dalla prima edizione.

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33

4) Il ground e le sue matrici trascendentali

Se dall‟essere si perviene alla rappresentazione e da essa al segno, seguendo le tracce di

questi passaggi nella ricerca delle occcorrenze del termine ground, condotta all‟interno dei

sei volumi dei Writings, si potrà constatare lo spessore logico e semiotico di questa nozione

di ground. Riprendiamo l‟iter argomentativo di Peirce: la lecture II ci permette di farci

cogliere come il ground diventi questo ampio spettro logico con cui si possono analizzare le

diverse forme di ragionamento, induzione, ipotesi e deduzione. Qui Peirce è come se

sviluppasse alcune posizioni che si apprezzeranno maggiormente nella maturità, poiché,

sebbene in Logic of the Sciences l‟autore abbia sostenuto che oggetti della logica siano i

simboli, in realtà qui facendo riferimento alle tre forme di ragionamento, sottolinea la

necessità di cercare i loro rispettivi grounds. In quanto principi logici questi non devono

riferirsi ai simboli e ai rapporti di questi ultimi con simboli equivalenti ma devono

soprattutto rivolgersi agli oggetti della simbolizzazione. Gli oggetti della simbolizzazione

sono: una cosa possibile, una forma possibile, e un simbolo possibile. Qui Peirce ricorda che

il simbolo ha un‟oggettiva relazione nella misura in cui si riferisce ad una possibile cosa, ed

è nel supportare tale cosa con una forma che crea la possibilità di una relazione soggettiva

che permette di trovare una relazione equivalente, cioè un altro simbolo. Ciò è provato dal

fatto che il simbolo è connotativo ma è anche denotativo. Cosa, forma e simbolo sono

strettamente intrecciati: “[…] The possible symbol and the possible form to which a

symbol is related each relate also to that thing which is its immediate object”43

. Quindi,

afferma Peirce, cosa, forma e simbolo sono gli elementi di ogni simbolizzazione. E allora se

il simbolo presenta una tale struttura ovvero la simbolizzazione si compone di tre oggetti, e

se la logica si occupa di simboli, diventa facile comprendere che i tre principi di inferenza

abbiano un nesso stretto con gli oggetti della simbolizzazione. Infatti il ragionamento

analitico può avere come oggetto qualcosa che si caratterizza per la sua definizione ed esso

coincide con il simbolo, poiché la definizione è resa tale dal carattere e soltanto il simbolo

concorre a fissare il carattere.

“[…] The principle of inference a posteriori must relate to symbols. The principle of inference a

posteriorimust be estabilisched a posteriori, that is by reasoning from determinate to determinant.

This is only applicable to that which is determined by what it determines; in other words, to that

which is only subject to the truth and falsehood which affects its determinant and which in itself is

mere zero. But this only true of pure forms”44

.

E allora il ragionamento a posteriori è riferibile alla pura forma. Il principio dell‟inferenza

induttiva s‟identifica con un ragionamento che dalla parte conduce all‟intero. L‟oggetto di

43

W:184. 44

Ibidem.

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34

questa inferenza è il molteplice, e quindi tale principio per antonomasia si riferisce alle cose.

Quindi i grounds della possibilità corrispondono ai tre principi di inferenza. Se

precedentemente il ground costituiva l‟anello dei diversi strati della rappresentazione,

adesso il ground costituisce il nesso delle diverse inferenze. Il ground diventa una sorta di

lente d‟ingrandimento attraverso la quale è possibile comprendere come in nuce si

dispiegano lungo un asse continuo categorie ontologiche, ragionamenti, segni,

apparentemente incommensurabili. Dai grounds di possibilità apprendiamo che la forma è

essenzialmente l‟elemento fondativo e nello stesso tempo dalla prospettiva inferenziale la

forma si qualifica come l‟oggetto del ragionamento a posteriori, e allora sembrerebbe venire

fuori un ossimoro: proprio in questo ossimoro risiede l‟originalità della prospettiva

peirceana. Sul piano della simbolizzazione sappiamo già che la forma rende possibile

l‟oggetto e il soggetto o meglio che qualcosa sotto un certo rispetto, sta per un oggetto in

rapporto ad un soggetto; ma questa stessa forma è l‟oggetto del ragionamento a posteriori.

Ciò rende disponibile una indicazione importante: che la forma non è qui intesa in

contrapposizione alla materia, ma come ciò senza cui non è possibile l‟essere. L‟essere è

sempre in qualche modo, quindi in questo senso il ground è costitutivo dell‟essere, ma il

ground non si qualifica come dimensione noumenica, rispetto al quale l‟oggetto formato è

fenomeno. Il ground è l‟orizzonte entro il quale le cose acquistano identità possibili, e infatti

una prova di questo è dato dal fatto che la forma di cui stiamo parlando è l‟oggetto del

ragionamento ipotetico. Tale ragionamento per scoprire qualcosa di nuovo necessità di

forme pure, di possibilità ovvero di caratteri da cui muovere per inferire ciò che li ha

determinati. Quindi la matrice della forma è ipotetica: è la possibilità pura da cui

sgorgheranno inedite verità. Il ground, in questi termini, sembra qualificarsi come quel

movimento, grazie al quale si capisce il passaggio dall‟oggetto al pensiero.

Insomma il ground è la condizione dei possibili predicati logici, e in questo conserva ma

supera al tempo stesso il trascendentale di Kant, nel senso che, se da una parte il ground è la

sintesi del molteplice empirico, dall‟altra rompe la staticità delle forme trascendentali

kantiane e queste ultime sicuramente non si qualificano più come prerogativa del soggetto.

Il ground è ipotetico, è pura possibilità, e proprio in quanto apertura originaria di significati,

può porre le condizioni del discontinuo, provvedendo a dare ad esso una forma, una

dimensione unitaria. In questo Peirce attesta il cambiamento dei tempi: le forme

trascendentali, diversamente da Kant, non sono legate alle forme fisse dello spazio e del

tempo su cui si fondava la scienza newtoniana, ma riflettono i profondi cambiamenti

avvenuti in campo scientifico. Sebbene permanga l‟idea di una conoscenza oggettiva, la

conoscenza scientifica in quanto ipotetica, secondo Peirce, è suscettibile di continui

cambiamenti, dovuti al confronto continuo con l‟esperienza. Quindi in questo senso il

ground è dinamico, perché si adopera continuamente a che l‟inesauribile miniera

dell‟esperienza a cui attinge possa essere plasmata, affinchè prenda una forma distinta: in

questo senso è il luogo dell‟unità e della differenza, esso fa sorgere la divisione entro ciò

che è unito. Il ground e l‟esperienza sono già da sempre uniti, nella misura in cui è sempre a

partire da qualcosa “sotto il rispetto di”, che possiamo accedere al reale, soltanto all‟interno

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di questa condizione è possibile l‟esperienza, direbbe, forse, Kant. “Il Ground è lo stesso

(self) astratto dalla concretezza che implica l‟altro”45

. In questa prospettiva la soggettività

non è la fonte del trascendentale, piuttosto il luogo in cui si manifesta il trascendentale,

poiché la soggettività è prodotta dal segno, nel senso che essa diventa distinguibile soltanto

all‟interno del segno. La soggettività è frutto di un processo inferenziale, è uno dei momenti

del segno, è in esso che assume consapevolezza. Il simbolo, il terzo livello del segno, è tale

nella misura in cui si riferisce ad un interpretante, cioè è una sorta di effetto, è una presa

d‟atto della relazione segnica, già avvenuta. E quindi la rappresentazione simbolica a cui

corrisponderebbe la soggettività risulta già compresa, costituisce il momento conclusivo,

eppure mai definitivo di un processo innescato essenzialmente dal ground. Questo

sicuramente divarica la prospettiva di Peirce da quella di Kant. Però a volte è lo stesso

Peirce a ridurre il divario, poiché in effetti il problema di Peirce è quello di evitare di cadere

nella trappola dello psicologismo, e quindi l‟obiettivo da perseguire è quello di affrancare

da forme soggettive di ragionamento. Infatti Peirce afferma che, se ha interpretato in modo

corretto il pensiero di Kant, l‟io penso non è da intendere come una percezione della propria

esistenza ma come una forma nella quale risultano identificabili gli oggetti, infatti

l‟interpretante risulta del tutto affrancato da qualsiasi carattere mentalistico, esso insorge a

partire dal movimento innescato dalla qualità e dal correlato. In diversi scritti Peirce

ribadisce che siamo noi nel pensiero e non viceversa, è all‟interno della dimensione segnica

che possiamo conoscere, e non per virtù del soggetto, semmai nella soggettività si

raccolgono i frutti dell‟operare del segno. Nella visione trascendentale di Peirce la

soggettività è sostituita da una semiosi illimitata, che contribuirà in un tempo indefinito a

delineare quel reale, che si configurerà come la sintesi dei pensieri – segni, nei quali si

riconosce una comunità. Qui, evidentemente non soltanto risulta mediata la soggettività

nella misura in cui proietta la sua azione nell‟ambito di un tempo futuro, ma si sostituisce la

rigidità delle forme del trascendentale, introducendo un carattere fallibile nella conoscenza,

poiché suscettibile di essere integrata, modificata dall‟esperienza e mediata dalla

intersoggettività. La visione trascendentale di Peirce d‟altra parte tende a concepire reale e

pensiero in continuità, ma se il trascendentale di tipo kantiano viene concepito come la

sintesi del molteplice, il divario non viene fuori cosi in modo marcato, nel senso che

l‟operazione del soggetto kantiano non ha nulla di psicologico, è assolutamente logica. Di

fatto la funzione svolta dal soggetto, affrancata da qualsiasi ipostatizzazione di tipo

psicologico o categoriale è riscontrabile all‟interno del sistema peirceano46

. Forse è ancora

45

Peirce, Un elenco di categorie (1867), cit. p. 22. 46

K.O. Apel afferma: “The answer is that Peirce‟s rejection of „Trascendentalism‟ does not refer to the idea of the

„highest point‟ of a „trascendental deduction‟but to those features of Kant‟s procedure which in Peirce‟s opinion are

psychologistic and circular [….] He by no means considers the formal logic of conceptual - or propositional –symbol as

a sufficient substitute for Kant‟s trascendental logic, but on the contrary he intiates for this purpose, with the help of

Kant‟s Copernican turn, his new „synthetic logic of inquiry‟; and he postulates in his quasi-transcendental semiotic,

besides conceptual symbols, two other types of signs which are thought to make the transit no possible from the

stimulation of sensation and the qualities of feeling to conceptions and judgements respectively. But the real basis of

this transformation of transcendental logic is provided by the fact that Peirce in 1867performed a „transcendental

deduction‟ of the three types of signs parallel with the three kinds of inferences as illustrations of the three universal

categories which are implied, as he shows, in the signs-relation (semiosis) as provisionally „the highest point‟ of his

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utile ricordare le parole di Kant per poter mettere in evidenza l‟intima connessione tra

elemento formale e materiale:

“ […] La congiunzione (conjunctio) di un molteplice in generale non può mai entrare in noi

attraverso i sensi, e quindi non può neppure essere contenuta già nella forma pura dell‟intuizione

sensibile. In effetti tale congiunzione è un atto della spontaneità della capacità di rappresentazione,

e poiché tale spontaneità, per distinguerla dalla sensibilità, occorre chiamarla intelletto, allora ogni

congiunzione [….] è un atto dell‟intelletto, che designeremo con la denominazione generale di

sintesi, per fare così osservare, in pari tempo, che non possiamo rappresentarci alcunché come

congiunto nell‟oggetto, senza averlo noi stessi congiunto in precedenza, e che la congiunzione, fra

tutte le rappresentazioni, è l‟unica che non può essere data da oggetti, ma può essere costituita

soltanto dal soggetto stesso, poiché essa è un atto della spontaneità”47

.

Un altro passo significativo che testimonia la sinergia tra sintesi trascendentale e

dimensione empirica, dal punto di vista kantiano è il seguente:

“Che l‟immaginazione sia un ingrediente necessario della stessa percezione, non ci aveva pensato

ancora bene nessun psicologo. Il che deriva da questo: che in parte si limitava questa facoltà solo

alle riproduzioni, in parte si credeva che i sensi non soltanto ci dessero le impressioni ma anche le

componessero insieme e producessero le immagini degli oggetti, per il che senza dubbio, oltre la

recettività delle impressioni si richiede qualcos‟altro, ossia una funzione della sintesi di essa ”48

.

„transcendental logic‟ (CF. Murphy,ch.III)”. K.O.Apel, From Kant a Peirce: The semiotical trasformation of

trascendental logic., in L.W. Beck (ed), Proceedings of the third International Kant Congress, Darrecht, Reidel, 1972,

pp. 96-97. Riguardo alla questione della soggettività e in generale ad una prospettiva che vede invece divaricate le

posizioni di Kant e Peirce in merito al trascendentale. cfr. K. DecKer, Ground, relation, representation: Kantianism and

The early Peirce, in T.C.P.S., Spring, 2001 e F. Stjernfelt, Diagrammatology, Springer, 2007. Il primo, oltre a vedere la

soggettività kantiana come un elemento di irriducibile di distanza tra i due autori, ritiene che le categorie Kantiane non

abbiano alcun rapporto con gli oggetti. K. Decker afferma: “For Kant, objective validity is imply does not apply in the

case of the categories, since the categories as the forms of concepts alone are indefinable,and lack the relation to objects

which Peirce‟s categories are dependent on. Unlike Peirce, I argued, Kant shows by the very a priori nature of the

categories that they do not admit of validity because of their lack of relation to a determinate object”. Decker, op.cit.

p.198. È possibile osservare che, sebbene le categorie kantiane non dispongano della possibilità di costruire il loro

oggetto, come i concetti della matematica, in realtà tutto lo sforzo della sintesi è quello di operare una connessione del

molteplice, altrimenti destinato ad essere inattingibile. Certo Kant non attribuisce un uso trascendentale ma riconosce un

uso empirico alle categorie. F. Stjernfelt divarica eccessivamente il formale dal materiale in Kant, poiché afferma che

l‟a priori kantiano è legato alla soggettività, e che è essenzialmente identificabile con l‟elemento formale. In una

prospettiva diversa si sviluppa l‟a priori di Husserl, nel quale, secondo Stjernfelt, si riconoscerebbe l‟impostazione

peirceana. F. Stjernfelt afferma: “[….] Kant identified the distinction between a priori and empirical with form and

matter, respectively, making form the a priori contribution of the subject. Here [nella impostazione husserliana]

matter concerns the „sachhaltige‟ concepts- while the formali s identified with the general concepts holdings for all

possible objects”. F. Stjernfelt, op. cit. p. 177. Ma, si potrebbe dire che, dalla prospettiva kantiana, l‟elemento materiale

è sempre supportato dall‟elemento formale, cosi come l‟elemento formale è rivolto a render possibile l‟esperienza.

Cassirer afferma infatti: “la sintesi costituisce un processo unitario, in sé indiviso, che tuttavia può essere determinato e

caratterizzato, ora secondo la sua origine, ora secondo il suo scopo. Essa sorge nell‟intelletto, ma tosto si rivolge

all‟intuizione pura, per conseguire attraverso di essa una realtà empirica”. Cassirer, Storia della filosofia moderna,

Einaudi, Torino, 1978, p. 756. 47

I. Kant, Critica della Ragion Pura, (trad. G. Colli), p. 152. 48

I. Kant, op. cit., p. 663.

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Questo passaggio risulta abbastanza significativo se si considera il ruolo fondativo attribuito

a termini quali copy, likeness, image in connessione con il ground, nel tentativo di mediare

tra oggetto e pensiero all‟interno dei livelli del segno.

Ora riprendendo il filo dell‟analisi di tipo logico del ground che si è delineato in questi

scritti, si comprende come i tre principi inferenziali non vivono isolati gli uni dagli altri. E

allora bisogna fare i conti con il presunto primato della deduzione e quindi è necessario

rivedere i fondamenti della logica. Ma la radicalità di questa assunzione sarà tradotta anche

all‟interno dell‟universo matematico, poiché se il movimento del pensiero obbedisce

essenzialmente a quello dell‟ipotesi, allora che ne è dell‟universo matematico

tradizionalmente inteso come il regno della necessità e dell‟oggettività, nel senso che esso

rifletterebbe l‟ordine reale? Anche questo universo viene assolutamente ripensato, nel senso

che la matematica non viene concepita come la grammatica del reale ma come il “luogo

naturale” del pensiero. L‟universo matematico diventa il regno del possibile, e il suo

impianto dimostrativo cambia, nel senso che non lo si intende più come un processo lineare,

volto essenzialmente ad esplicitare quanto è contenuto nelle premesse, ma come un percorso

che può cambiare direzione a seconda dell‟ipotesi elaborata, e che determinerà il tracciato

della deduzione, senza restituire alla conclusione i medesimi elementi contenuti nelle

premesse. Questi accenni al modo in cui Peirce incrina il primato della deduzione e alla

nuova ottica in base alla quale concepisce il campo matematico, qui richiamati per lasciare

già intravedere la profonda unitarietà del suo pensiero, si tradurranno in oggetto specifico di

riflessione della fase più avanzata di questo studio. A mio avviso l‟aspetto interessante è che

l‟oggetto, il soggetto, sul piano ontologico, e sul piano logico l‟inferenza deduttiva risultano

dedotti, prodotti da una relazione. L‟oggetto acquista consistenza in relazione ad un

carattere, d‟altra parte, afferma Peirce, se non ci fosse il “rispetto” non sarebbe praticabile

l‟idea dell‟Essere e il soggetto o interpretante emerge solo nella relazione alla forma

(ground) e all‟oggetto, pensabile in virtù della sua sussumibilità sotto qualche rispetto. Ora

la deduzione corrisponde al simbolo e ne condivide la sua interdipendenza: già attraverso il

simbolo è possibile comprendere che la deduzione non è indipendente dalle altre inferenze,

ma allo stesso modo del simbolo, essa attua una sorta di ratifica dello sforzo ipotetico che

abilita il ground, inteso a dare una forma possibile alle cose.

Ora in base alle due visioni del ground che sono emerse dall‟analisi di questi scritti, ora

come forma, in termini ontologici, ora come principio logico, è possibile iniziare a tracciare

la strada per scorgere nel segno, così come si configura nella prospettiva peirceana, il

rapporto tra due nozioni, ancora oggi cruciali: natura e convenzione. Per provare a fissare le

coordinate di questo rapporto, è importante porre in evidenza la necessità che caratterizza

l‟intera prospettiva peirceana quale esigenza di trovare una relazione, grazie alla quale sia

possibile mostrare qualcosa, al fine di scoprirne la vera identità. Si mette in forma qualcosa,

apparentemente all‟interno della convenzione, ma questa formalizzazione è funzionale a dar

conto di ciò che convenzionale non è. Qui mi pare che il senso della formalizzazione sia

radicale, nel senso che le cose che hanno forma hanno consistenza, ma se è cosi, la relazione

istituita per dare forma all‟oggetto, ha anche il peso del rendere disponibile la sua datità. E

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questa responsabilità, almeno nei termini in cui ne parla Peirce in questi scritti, sembra

proprio inerire al ground. In questo senso il ground innesca il processo della

formalizzazione, la quale culminerà nel simbolo, il segno che senza dubbio realizza in forma

compiuta la convenzione. E nello stesso tempo il ground sta, potremmo dire, a cavallo tra

l‟essere e la sua rappresentazione segnica o tra natura e convenzione, poiché è grazie ad

esso che si può parlare di carattere dell‟essere e quindi esso è ciò che fondamentalmente

articola un movimento segnico, grazie al quale si rende noto che c‟è qualcosa. In questo

senso è revocato il piano corrispondentistico in modo reciso, poiché la funzione del ground

non è quella di riflettere il reale come se fosse uno specchio del referente. Sesi tiene

presente l‟affermazione, secondo la quale “tutto ciò che è ha qualche carattere”, allora forse

è plausibile pensare al ground come ad una sorta di grande filtro, attraverso cui è possibile

significare il reale, come a quel grande foglio su cui s‟imprimono i significati e sul quale è

possibile rintracciare la fisionomia del reale. Il ground è pensabile come un punto di sutura

tra referente e segno, non nel senso che da una parte esiste il segno e dall‟altra il reale, ma

nel senso che il ground traduce la realtà e la predispone ad una sua possibile intelligibilità. Il

ground è quel movimento grazie al quale si capisce il passaggio dall‟oggetto al soggetto;

senza uscire da una prospettiva trascendentale, esso permette il transito dalla realtà ai suoi

possibili interpretanti. In questi termini la struttura del ground assimila la lezione kantiana e

quella dell‟idealismo di Fichte e di Schelling, poiché come Kant e Fichte si rimane

all‟interno di una prospettiva trascendentale e come Schelling, si pone una continuità tra

processi mentali e processi naurali. Nulla può apparire se non all‟interno di una catena di

rimandi, di tracce e realtà e mente si producono all‟interno di un‟ontologia invalicabilmente

relazionale. Cioè l‟ontologia rimane quella trascendentale,rimane questo l‟orizzonte

all‟interno del quale si può dar conto del passaggio dalla realtà alla mente. Ma il movimento

articolato dal ground si confronta con la possibilità e con il contingente, e quest‟ultimo non

viene visto come qualcosa da isolare rispetto al necessario; piuttosto la fatica irrisolta del

ground è quella di irreggimentare il contingente, il discontinuo. E allora in questo senso la

direzione non è predelineata, essa è polivalente. Il trascendentale è come se lo si rendesse

dinamico, esso non è più una struttura statica, è quel movimento, ovvero quella relazione,

che il ground è in grado di articolare e che determina e declina i diversi livelli del segno.

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5) Ground e likeness negli scritti „65 -„66

L‟analisi in particolare del segno come ragionamento a posteriori, ci permetterà di

guadagnare i passaggi necessari a dar conto della tesi su cui si fonda essenzialmente il

fulcro di questo lavoro: se la ricostruzione del concetto di ground, come interfaccia

ontologico e logico, condotta attraverso la ricerca lessicale nei Writings, nei Collected

Papers e nei Manoscritti è corretta, allora forse è possibile utilizzare i frutti di questa

analisi per dar conto di una visione unitaria del rapporto tra natura e convenzione, che, a

mio avviso, si mostra proprio all‟interno del ragionamento a posteriori, e in particolare del

rapporto tra ground-likeness. Con ground, infatti Peirce intende “[…]The pure form or

abstraction which is the original of the thing and of which the concrete thing is only the

incarnation. Reference to such a ground or respect of likeness is implied in every

attribution”49

. I ruoli svolti dal ground in ambito ontologico come capacità di mettere in

forma l‟Essere, nella dimensione semiotica, quale forma capace di relazionarsi ad un

oggetto e produrre una forma simbolica, e nella dimensione prettamente logica, in qualità di

oggetto del ragionamento ipotetico, oltre che rafforzare l‟idea della sua fondamentalità,

contribuiscono a proporre l‟idea di un segno come movimento, come ragionamento, grazie

al quale forse diventa possibile guadagnare lo spazio in cui si costituisce l‟oggetto, un

movimento in cui non si è ancora fatta differenza tra natura e convenzione: il ground è forse

proprio questo spazio, poiché dispone di significanti, ma questi significanti non sono vuoti,

poiché significano qualcosa, ma al tempo stesso significano qualcosa pur non denotando.

Esso traccia un possibile oggetto, soprattutto lasciando intravedere le sue relazioni interne e

quindi mette in gioco intanto la sua possibilità, ed è per questo che non può denotare. Ma

questo atto risulta fondativo per il processo conoscitivo, perché in virtù di questo

riconosciamo l‟oggetto e possiamo articolare la sua relazione con l‟esistenza. È tale struttura

che apre l‟oggetto alla sua conoscibilità. Quindi in questo senso il segno, soprattutto nel suo

primo livello, non è espressione di una opposizione tra natura e convenzione, poiché la

convenzione è necessaria per istituire l‟oggetto, ma essa non è convenzionale, perché recide

i suoi legami con il reale o perché riflette qualcosa di già dato, bensì perché crea una base

in cui si rende possibile l‟esperienza. Infatti Peirce ritiene che in nessun caso è possibile

attingere immediatamente al reale: la dimensione ipotetica del ground rappresenta la

mediazione per antonomasia. Tale tesi sembra possibile ricavarla dall‟analisi di Lecture IX e

da altri scritti che Peirce compose in questo periodo. Infatti ad apertura della Lecture IX

Peirce esordisce con la tesi che le prime impressioni se non sono mediate dalla mente

rimangono ignote50

. Se noi ascoltiamo una sonata di Beethoven e la esperiamo come bella,

in questo caso il predicato relativo alla bellezza è una singola rappresentazione che sta al

posto di un fenomeno complicato, nel senso che la bellezza non si riferisce alle singole

parti ma all‟insieme di ciò che è stato oggetto di esperienza. Da qui Peirce prosegue

49 W1:474. 50

Nel Ms. 357 Peirce ribadisce i medesimi concetti e ripropone gli stessi contenuti, oggetto di riflessione della Lecture

IX.

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affermando: “A sensation is a sort of mental name. To assign a name to a thing i sto make a

hypothesis”51

. I nomi, le sensazioni, le ipotesi sembrano assolvere alla stessa funzione, nel

senso che ci permettono di fare una sintesi, ma quest‟ultima non dice nulla in merito alla sua

effettiva verità. L‟atto del denominare cosi come il sentire e l‟ipotizzare si assomigliano,

perché esibiscono un significato possibile. La sensazione è come un nome, nel senso che,

lungi dall‟idea che essa possa riprodurre la cosa, come il nome mette in forma i significati

del reale. Come il nome all‟interno di un segno determinato la sensazione dà inizio alla

costruzione possibile dei significati, oggettivando così un‟ipotesi. Questa costruzione

rivelerà tutta la sua efficacia se proprio nel suo essere distante dalla cosa, riuscirà a divenire

costitutiva nei confronti del reale. La sensazione, in questi termini, non si qualifica come un

mero prodotto delle modificazioni provenienti dall‟esterno ma come il primo foglio su cui

si può scrivere dell‟oggetto, della sua fisionomia possibile.

Ciò che preme sottolineare è che il movimento proprio della conoscenza risulta

corrispondente a quello messo in atto dal segno: le relazioni messe all‟opera dalla

grammatica segnica irreggimentano i concetti ed è soltanto all‟interno di queste che essi

lasciano emergere il profilo del reale. Dando inizio al percorso che dovrebbe condurre la

sostanza all‟unità, la prima determinazione è data dalla qualità, poiché il soggetto è la

sostanza e il predicato esprime la prima determinazione connotativa, che è la qualità. Qui,

potremmo dire, siamo ai bordi del segno, oltre i quali non possiamo spingerci, ma non

perché non c‟è un altrove, ma perché c‟è l‟immediatamente presente, il quale, senza una

complessa mediazione, già di memoria hegeliana, risulta inesplicabile. Allora proseguendo

il tracciato peirceano vediamo come si struttura la triade fondamentale del segno. “The

reference to a ground is the possession of Quality”52

. Questo è lo spazio consentito a partire

dal quale è possibile attingere all‟immediato: la prima griglia che lo può rendere leggibile è

proprio il riferimento al ground, poiché esso è imprescindibile ogni qual volta predichiamo.

Ma, a sua volta, per capire l‟origine della qualità, dobbiamo mediarla. Cioé non traiamo la

qualità dall‟esterno, piuttosto viene fuori da un processo di generalizzazione, e ciò implica

un atto di comparazione. Il ground si pone come nesso originario, interrelazione, come un

piano in cui si lascia vedere come qualcosa potrebbe essere e quindi a che cosa potrebbe

assomigliare. È all‟interno di questo fascio di luce astrattivo che possiamo venire a sapere

della realtà, la quale è già da sempre catalagota all‟interno della classificazione segnica. Il

flusso astrattivo, indeterminato e potenziale del ground, se da un lato potrebbe apparire in

quanto tale irrelato, dall‟altro si pone come luogo originario delle possibili relazioni, delle

potenziali somiglianze, e in questo senso, all‟interno dell‟identico, istituisce le condizioni

della sua alterità. La natura specifica del ground sta nella riserva infinita di relazioni, il

movimento grazie al quale è possibile determinare un pezzo del tessuto relazionale del

ground produce la qualità. Ora la determinazione in sé si predispone alla comparazione: per

determinare è necessario astrarre, questo atto esibisce già le condizioni di possibilità del

confronto. Attribuire un predicato al soggetto significa determinare, e ciò rende possibile

51 W1:472.

52 W1:475.

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l‟introduzione di un nuovo concetto ovvero relazione o riferimento ad un correlato.

Insomma l‟atto del comprendere implica sempre un atto di attribuzione e quindi rende

possibile il concetto di relazione. Peirce afferma: “Double Reference to Correlate and

Ground is Relation”53

. Il movimento messo in atto dal ground e dal correlato a sua volta

implica un triplo riferimento ovvero la nozione di interpretante, poiché ciò che è stato

connotato è anche perciò stesso oggetto di correlazione, e allora e il riferimento ad un

ground e il riferimento al correlato producono un terzo riferimento ovvero il riferimento

all‟interpretante. Esso, potremmo dire, rappresenta la consapevolezza del movimento

creatosi nei primi due livelli. Infatti, afferma Peirce, “Triple reference to Interpretant,

Correlate, and Ground-is Representation54

”. In un passaggio precedente Peirce definisce

l‟interpretante così: “[,,,,] By an interpretant we mean a representation which represents

that something is a representation of something else of which its itself a representation”55

.

Ritornando al concetto di qualità, è possibile constatare come essa venga considerata come

la categoria più signicativa, più pregnante: essa, cosi come viene presentata, è tutt‟uno con

l‟essere, poiché non è soltanto una modalità, ma è l‟unica forma attraverso cui è pensabile

l‟Essere. O meglio la qualità in riferimento al ground ci permette di capire che essa esplica

il modo fondamentale secondo cui è pensabile l‟Essere. Essa sembra rivelarsi idonea a porsi

come mediazione tra l‟essere e la sostanza, perché essa stessa è oggettivazione di una

mediazione originaria tra l‟Identico e il Diverso, in cui consiste il ground. Ed è per questo

che dalla qualità è possibile pervenire alle altre due mediazioni: essa è già in sé correlativa

con la relazione, ma anche con la quantità. Proprio quest‟ultima correlazione sarà gravida di

conseguenze straordinarie per il pensiero di Peirce, poiché gli permetterà di riconoscere uno

statuto universale al ragionamento matematico e di porsi fuori da una visione tradizionale

dicotomica tra quantità e qualità.

Tenendo conto della rilevanza all‟interno del sistema di Peirce di un concetto come quello

di qualità, diventa utile, a mio avviso, procedere nell‟operazione di speleologia all‟interno

delle triadi, che progressivamente contribuiscono a stratificare le singole definizioni, ad

arricchire i vari livelli del segno, che sebbene sembrano di volta in volta spostare la nostra

attenzione verso sponde non facilmente riconducibili a quelle già individuate, di fatto ci

riavvicinano ad esse con più consapevolezza e profondità. La qualità, ponendosi come

discontinuità del ground, è il riferimento al rispetto in cui è possibile dar conto dell‟accordo

o della differenza tra le cose. Peirce prosegue nell‟analisi della struttura del segno,

specificandola in questi termini: la Qualità può qualificarsi come interna, esterna, e

imputata; la relazione può presentarsi equiparante o disquiparante e infine la

rappresentazione si modula in tre scansioni: Likeness, Indication, Symbolization. La qualità

può porsi come interna, se riesce ad identificare qualcosa nel rispetto in cui è considerato, è

definita esterna se esplica la sua valenza correlativa ovvero se assolve al compito di indicare

qualcosa, ponendola in relazione a, e quindi punta sul mettere in relazione qualcosa con

53

Ibidem. 54

Ibidem. 55

W1:474.

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42

qualcos‟altro, la qualità è definibile come imputata se si pone come un carattere attribuito.

Queste tre definizioni risultano essenziali, poiché la modulazione della qualità diventa

fondamentale per capire che le successive triadi scaturiscono proprio dalle diverse valenze

della qualità. La qualità, intesa ora come riferimento ad un rispetto, ora come riferimento ad

un correlato, ora come carattere imputato e il ground, in quanto continuum e riserva infinita

delle relazioni possibili costruiscono un percorso, al cui interno forse è possibile dar conto

del passaggio fra natura e convenzione. Non è un caso che il ground, in modo forse meno

esplicito, e i tre significati della qualità, in modo evidente sono declinati negli altri livelli del

segno. Infatti la relazione, distinta in equiparanza e disquiparanza, è comprensibile se

leggibile in termini di qualità interna ed esterna “Equiparance is agreement in a determinate

respect”56

. E quindi in questo senso esprime una qualità interna. La disquiparanza è un

disaccordo o accordo in un rispetto che non determina la qualità interna della cosa relata.

Infatti subito dopo Peirce afferma: “[,,,,] The ground of equiparante is an internal character

[…] The ground of disquiparance is an external or relative character”57

. Peirce argomenta

questa differenza dicendo che nell‟equiparanza il riferimento al ground è essenziale e non è

necessario il riferimento al correlato, al contrario nella disquiparanza il riferimento al

ground non è pensabile senza il riferimento al correlato. La tripartizione della qualità si

rivela altrettanto fondamentale per analizzare la triade interna alla rappresentazione. Una

rappresentazione si può configurare come likeness, indice, simbolo:

“ Scientifically speaking, a likeness is a representation gronde on an internal character-that

is whose reference to a ground is prescindible”58

. Se la likeness rappresenta un carattere

interno, tale da prescindere dal ground, nel senso che essa stessa è riferimento al ground

ovvero è oggettivazione del ground, forse è plausibile parlare di valenza fondativa da parte

della likeness, poiché la connotazione operata da essa nei confronti dell‟oggetto è

essenziale, dal momento che negli altri livelli del segno si provvederà proprio sulla base di

tale connotazione a indicare l‟oggetto possibile e quindi a reperire il suo indice, e a

legittimarlo con l‟istituzione del simbolo. Un indice rappresenta il suo oggetto mediante una

reale corrispondenza con esso.

Nel caso dell‟indice la qualità non è interna bensì relativa, poiché un indice non rappresenta

l‟oggetto in merito a ciò che lo connota, piuttosto si limita a indicare un oggetto, e quindi la

sua qualità non è prescindibile, ma è relativa, nel senso che non ha un valore in sé, poiché

non ci fornisce un‟idea dell‟oggetto, ma il suo valore sta nell‟indicare l‟esistenza di un

oggetto, e quindi in questo senso la sua qualità è relativa. (bandiera–vento). “A symbol is a

general representation like a word or conception”59

. Nel simbolo, afferma Peirce, e la

qualità e la relazione non sono separabili dal simbolo stesso, poiché la qualità è imputata e

la relazione è ideale.Già in Logic Chapter 1, scritto nella primavera del „66, Peirce chiariva

la differenza tra relazione reale e ideale, affermando che le relazioni reali s‟identificano con

56

W1:475. 57

Ibidem. 58

Ibidem. 59

Ibidem.

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43

quelle che possono prescindere dall‟interpretante, mentre quelle ideali sono possibili grazie

all‟intervento dell‟interpretante.A tal proposito Peirce fornisce degli esempi:

“Il correlato a cui si riferisce una qualità semplice è tale da rendere possibile una generalizzazione,

vale a dire, è il correlato di un accordo. Un riferimento ad un ground che implichi un riferimento ad

un correlato è del tipo esemplificato dai verbi “uccidere”, “accostare”, ecc. È perciò un ground di

differenza in actu. La differenza nei soli predicati, come nei termini più grande e simili, può essere

considerata unicamente come relazione ideale, perché i due termini non possono venire

rappresentati come aventi alcuna connessione se non rispetto ad un corrispondente (interpretante).

Essa si basa perciò su di una base diversa da quella che regge l‟accordo, che può essere prescisso

tramite posizione da ogni tipo di riferimento del genere, e rimanere tuttavia una relazione. Accordo

e differenza in actu sono dunque i due tipi di relazioni reali”60

.

Anche nel caso del simbolo il riferimento alla qualità diventa importante per farci

apprezzare la differenza interna alla triade segnica, ovvero il movimento che va dal ground

alla qualità interna, e da essa a quella esterna, e da quest‟ultima a quella imputata. Cioè a

partire dal rapporto ground/likeness è possibile constatare il passaggio dal continuum al

discontinuo, e come a sua volta la likeness riesca a conservare il continuum nel discontinuo,

esprimendo una qualità che non ha ancora trovato né l‟indice ovvero l‟esistente, né la legge,

il logos. La qualità, ora come una determinazione che risulta ancora non distinguibile

dall‟essere, ovvero come carattere interno, ora come qualità esterna, ora come qualità

imputata offre gli oggetti di una ontologia possibile, poiché possiamo leggere passaggi

come quelli che si attuano dall‟essere, all‟esistenza e alla legge, e dal nome, all‟oggetto, al

logos. Qui forse è possibile seguendo l‟iter della qualità cogliere la dinamicità e la

profondità del segno peirceano, poiché al suo interno, mi sembra si possa dire che si

snodano i movimenti che spiegano i rapporti tra mente e realtà, tra natura e convenzione, tra

segno e referente. Questi ultimi all‟interno della partitura segnica non si qualificano più

come realtà statiche e irriducibili ma assolutamente dinamiche e riducibili ai loro momenti

genetici. Ciò che emerge è che il terzo livello del segno, la dimensione simbolica sembra

qualificarsi come la legge operante su quell‟esistente, di cui la pura idea è stata fornita dal

fecondo rapporto intercorrente tra ground e likeness. La cosiddetta qualità interna, che

affonda le sue radici nella riserva mai inesauribile dell‟energia segnica del ground, che,

come viene affermato in Logica. Capitolo I (1866) , consiste nella possibilità originaria che

qualcosa sia in qualche modo, diventa qualità esterna, nella misura in cui indica l‟oggetto

possibile dell‟idea pura realizzata dalla likeness, di cui il ground è pura forma. La

rappresentazione consapevole di questo rapporto tra qualità interna ed esterna, a mio avviso,

produce il simbolo. Un modo per capire che il riferimento al ground è sempre presente

anche negli strati superiori interni al simbolo e che la triade qualità interna, esterna e

imputata si ripete in tutti i livelli del segno, potrebbe essere quello di analizzare le triadi

interne al simbolo, apparentemente le più lontane da quelle proprie della base del segno.

60

Peirce, Logica. Capitolo (1866), cit., p.10.

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Intanto proseguendo, Peirce afferma che una divisione importante dei simboli deve passare

attraverso l‟intenzione, che essi intendono esprimere: e cioè se la loro funzione consiste nel

riferimento al ground, nel riferimento all‟oggetto, nel riferimento all‟interpretante. Qui

risultano interessanti le specificazioni del termine simbolo, poiché Peirce sottolinea che per

quanto lo studio della logica è incentrato sullo studio dei simboli in riferimento ai loro

oggetti, un simbolo

“ […] is merely considered as expressing a thing or things in their internal characters –as standing

in place of a thing and as being,like that thing an incarnation of a certain ground ,though only by

imputation and not internally, If we write “white” – this word standing by itself, means nothing: it

stands there merely in place of a white thing so that we have by imputation put a white thing on

the board”61

.

Qui siamo di fronte ad un “termine” cioè ad un simbolo che è tale perché si riferisce ad un

ground e si pone come un Quale ovvero un segno che ha già istituito il significato e che non

ha però ancora inscritto quest‟ultimo in una dimensione di verità, poiché manca il

riferimento all‟oggetto e all‟interpretante. Ma questo strato del segno si configura come

quello più innovativo, poiché è qui che si istituiscono gli elementi connotativi, la fisionomia

dell‟oggetto, una sorta di identikit dell‟oggetto. Ora se si considera un secondo tipo di

simbolo, cioè quello avente la funzione di riferirsi ad un oggetto, si guadagnerà una

dimensione che mancava nel segno, ora analizzato, quella della verità. La “proposizione” è

il simbolo che ha la funzione essenzialmente di stabilire la verità di qualcosa. “But as

reference to a correlate cannot be intended or even supposed without reference to a ground,

as truth supposes meaning, to intend that a symbol should refer to a correlate is to intend

that it should refer to correlate and ground, that is be a relate, by imputation”62

.

Qui viene ribadita l‟imprescindibilità del riferimento al ground a conferma del carattere

costitutivo del rapporto tra ground e ciò che viene definito a seconda dei livelli del segno,

ora Quality ora Equiparanza ora Likeness. L‟aspetto interessante che preme sottolineare è

che per istituire la verità ed assestarla è necessario che si disponga di una terra franca in cui

i significati circolino liberamente e in cui li si possa vedere nella loro essenza. Questo luogo

è quello in cui segno e oggetto realizzano la maggiore vicinanza, poiché il segno ha valore

nella misura in cui incarna una qualità interna della cosa, e quindi è come se si trovasse

incastonato dentro l‟oggetto, come se fosse interamente contaminato dall‟oggetto,

mescolato a quest‟ultimo. Un simbolo, in qualità di “termine”, apparentemente lontano dai

gravami del reale, sembra quello più compromesso, poiché paradossalmente, pur essendo

neutro, veicola già da sempre l‟oggetto; quest‟ultimo lo possiamo trovare come riferimento

della proposizione, perché già reso possibile dal primo tipo di simbolo ovvero dal termine.

Peirce proseguendo si sofferma sul terzo tipo di simbolo, sull‟argomento, quello che si

riferisce all‟interpretante.

61

W1:477. 62

Ibidem.

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45

“For an is something which represents a representation to represent that which it does itself

represent”63. Più avanti Peirce afferma:

“Now that which, thus, appeal sto an interpretant-[….] is an argument, a syllogism minus the

conclusion, for the conclusion of a syllogism is no part of the argument but is the assent to it, the

interpretant [….] An argument, therefore, is a symbol intended to refer to an interpretent and I could

show very easily that this is the same as a symbol which from its form, represents a

representation”64

.

Un argomento, quindi, si pone come espressione consapevole degli elementi costitutivi del

segno. Tale è dunque la tripartizione del simbolo:

“Term intended to refer to a ground - whose object is formally a Quale. Proposition

intended to refer to a correlate – whose object is formally a Relate. Argument intended to

refer to an interpretant-whose object is formally a Representation”65

In base al suddetto schema il rapporto che un Quale intrattiene con il ground, che si

configura come l‟oggettivazione delle qualità custodite nella riserva del ground, pone le

condizioni della connotazione dell‟oggetto. Infatti afferma Peirce: “The indirect reference

which a term has to its object the qualities which its object universally has-that is, is its

connotation, the sum of the qualities reckoned by other terms being its

comprehension/content//”66

. Il rinvio del termine al suo oggetto equivale all‟atto del

denotare, e l‟oggetto costituendo l‟insieme degli oggetti denotati da altri termini esprime la

sua estensione. Infine il riferimento di un termine rispetto al suo interpretante costituisce la

sua implicazione o informazione. L‟informazione costituisce la misura e della denotazione e

della comprensione, che è la funzione propria dell‟interpretante. Ora Peirce costruisce le

altre triadi sempre sulla base della triade fondamentale: riferimento al ground, riferimento al

correlato e riferimento all‟interpretante. Se questa triade viene ulteriormente specificata, ne

segue che il riferimento al ground si può esprimere in Qualità interna, Qualità esterna e

Qualità imputata, e come è stato già detto la relazione in equiparanza e disquiparanza e

infine il riferimento all‟interpretante si può articolare in termini di Likeness, Indication, e

Symbolization. Il richiamo a queste triadi ha la funzione di constatare come il riferimento al

ground e alla sua realizzazione è presente in tutti gli strati delle tricotomie segniche: gli altri

livelli del segno si snodano proprio a partire dal ground, sono sue conseguenze. Infatti

Peirce quasi a conclusione del testo, qui preso in esame, tiene a sottolineare, come in altri

scritti di questo periodo, che il simbolo che si qualifica essenzialmente per la sua capacità di

rappresentare una rappresentazione, esso si divide in Likeness, Index, Symbol e che queste

tre modalità del simbolo sono corrispondenti a ipotesi, induzione e deduzione, l‟ultima

stratificazione interna al simbolo ovvero quella interna all‟argomento. Anche in questa è

riscontrabile il riferimento imprescindibile alla likeness e indirettamente al ground. Forse

63

W1:478. 64

Ibidem. 65

Ibidem. 66

W1:478-479

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proprio per il modo in cui è congegnata l‟architettonica peirceana,mi sembra possibile dire

che qui il ground è un modo dell‟essere, un modo di conoscere, un modo di ragionare. E la

likeness nel suo dislocarsi in modo circolare dalla base del segno al suo vertice disegna una

linea di continuità, congiunge gli estremi del segno, dispiegando un movimento continuo, a

mio avviso, che procede dal naturale al convenzionale. In questo senso il segno non dà

conto esclusivamente della genesi del significato, ma anche dei suoi possibili oggetti, della

fisionomia del reale. Se nella likeness l‟elemento naturale e quello convenzionale sembrano

indistinguibili, nell‟indice si ritrovano distinti, per ritrovarsi uniti sotto il segno della legge.

Nel simbolo si raccolgono i frutti, potremmo dire dell‟operato della coppia ground/likeness,

la quale già istituendo la connotazione, mostra un‟intenzionalità, traccia il percorso che

vedrà nell‟interpretante la sua espressione consapevole. Insomma l‟interpretante, potremmo

dire, è il luogo dell‟espressione consapevole dell‟intenzionalità messa in atto dal riferimento

al ground, ma non è ciò che conferisce senso. Da questo punto di vista Peirce assimila tanto

profondamente la lezione del trascendentale da applicarla anche alla soggettività. Questa

non deve essere presupposta, piuttosto la necessità diventa quella di trovare quel punto che

può consentire, giustificare il passaggio dall‟oggetto al soggetto. Oggetto e soggetto, natura

e convenzione si producono all‟interno di un‟ontologia che rimane trascendentale. Rimane

questo l‟orizzonte all‟interno del quale si può dar conto del passaggio dall‟oggetto al

soggetto. Questo passaggio non è giustificato da un primum, da una sostanza, ma da un

concetto assolutamente dinamico che, a mio avviso, consiste nel ground: esso,

qualificandosi come puro movimento, produttività, mostra già un‟intenzionalità originaria e,

in questi termini, attua un‟operazione di sintesi, tiene insieme i due poli della conoscenza.

L‟analisi delle diverse triadi segniche serve a far comprendere che il segno è una struttura

continua, e a porre le condizioni di possibilità del conoscere: ad esempio il modo in cui

funziona la sensazione corrisponde, secondo Peirce, ad uno dei livelli del segno, e in

particolare alla likeness e al suo rapporto con il ground. È la likeness e il ground che ci

permettono di capire che anche nel grado elementare della conoscenza non siamo mai di

fronte ad un oggetto, non ci troviamo mai in una situazione di tipo corrispondentistico, cioè

come se gli oggetti stessero di fronte a noi e noi fossimo capaci di coglierli nella loro

interezza. Al contrario, nella loro immediatezza le sensazioni ci rimangono ignote, si può

accedere ad esse attraverso un atto di predicazione ipotetico, ma l‟atto della predicazione è

frutto di un processo di generalizzazione, quindi realizziamo un atto determinato, poiché è

disponibile un attributo, come nell‟esempio sopra citato, ma al posto di quest‟attributo sta

un generale e non un particolare, un singolo. In questi termini avere sensazioni è come

denominare: qui i predicati e i nomi sono individuali e generali al tempo stesso. Avere

sensazioni significa fare delle ipotesi, ma il fare ipotesi significa porre un “predicato

semplice al posto di un predicato complesso”67

, come dirà Peirce in Some Consequences of

Four Incapacities del 68. E allora l‟atto ipotetico è un atto di attribuzione ed esperire

sensazioni equivale a dare nomi. Ma secondo questo tipo di struttura, assegnare nomi non

67

Cfr. Peirce, Some conseguences of four incapacities, cit.,p.96.

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diventa un atto esclusivamente convenzionale, poiché questo corrisponde all‟unico modo di

conoscere veramente le cose, di offrire un‟ontologia, l‟unica possibile. Poiché il nome è

quello spazio che consentirà al logos di dar conto dell‟universale, la likeness è ciò che

permetterà di arrivare al simbolo. Insomma predicare, come dare nomi significa determinare

mettere in forma, fare si che un semplice nome stia al posto di tanti elementi che

rimarrebbero separati, quindi significa unire. Ma unire, mettere in relazione, equivale a dare

una fisionomia possibile. Ma questo è un atto di costruzione, che prevede in quanto tale la

creazione di più piani in cui si disloca il reale. L‟atto della costruzione non si limita a

restituire il prodotto della costruzione , poiché costruendo si vedono altre cose che non sono

da imputare al responsabile della costruzione ma alla costruzione stessa. E qui i confini del

convenzionale sono sempre spostabili, nel senso che ciò che sembrava mero prodotto,

figurato, mostra qualcosa di inconfigurato. Il convenzionale è differibile verso il suo stesso

superamento.

A mio avviso questo è uno dei punti dell‟opera peirceana, in cui si avverte la profonda

assimilazione della prospettiva trascendentale kantiana e lo sforzo al tempo stesso di

affrontare in modo serio le difficoltà dell‟opera kantiana, al fine di inverarne il senso. Il

ground è come se portasse allo scoperto tutto il lavoro sofferto che Kant conduce all‟interno

della facoltà della immaginazione trascendentale, soprattutto in merito al passaggio da una

trattazione psicologica ad una prettamente logica. L‟insistenza da parte di Peirce

sull‟impossibilità di dar conto delle impressioni se non all‟interno della dimensione del

ground, a mio avviso, è in sintonia con il punto di vista Kantiano che assegna alle forme

dello spazio e del tempo, ma soprattutto all‟immaginazione trascendentale la riconoscibilità

dell‟esperienza come tale. Le forme dello spazio e del tempo ci forniscono il tipo di

organizzazione all‟interno della quale troviamo disposti i fenomeni, L‟immaginazione

trascendentale garantisce l‟unità, il sostrato in cui i fenomeni acquisiscono identità. Il modo

in cui Kant parla di materia, forma e a priori e il modo in cui Peirce commenta i passaggi

kantiani relativamente a questi concetti, lasciano intendere non soltanto una profonda

convergenza, ma soprattutto il modo in cui proprio a partire dalle premesse kantiane Peirce

è in grado di compiere un passo nuovo e trasgressivo rispetto all‟impostazione kantiana. Già

Peirce pone in evidenza come Kant nella prima edizione della Critica della Ragion Pura

avesse dato molta rilevanza alla facoltà dell‟immaginazione e come nella seconda avesse

ridimensionato il ruolo di questa facoltà per evitare fraintendimenti. Peirce intende

valorizzare l‟originarietà dell‟immaginazione e ai fini di questa operazione può essere utile

tenere presente come l‟autore parli dell‟a priori in Lecture on Kant (1865). Cosi Peirce

parafrasa Kant: “A cognition a priori is one which any experience contains reason for and

therefore which no experience determines but which contains elments such as the mind

introduces in working up the materials of sense”68

. L‟a priori non è una forma che si applica

alla materia, al dato già riconoscibile come tale: il riferimento al movimento puro della

temporalizzazione e della specializzazione, dovuto alla facoltà dell‟immaginazione, è di

68

W1:247

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fatto fondamentale per capire che i fenomeni sono riconoscibili come dati se immessi

all‟interno di un percorso, grazie al quale si conferisce loro unità. Il fenomeno è esperibile

se, grazie all‟immaginazione riuscirà a dare un‟organizzazione unitaria agli elementi che lo

costituiscono, in modo tale da permettere loro di assumere una fisionomia possibile. Ora se

in base a questa impostazione Kant determinerà le condizioni di possibilità dell‟oggetto in

generale, Peirce in virtù dell‟istituzione del segno intende fare un balzo in avanti

provvedendo alla determinazione di un possibile oggetto. Il modo per arrivare a

quest‟obiettivo sarà quello non soltanto di affrancare la facoltà dell‟immaginazione da ogni

riferimento di tipo psicologico, che essenzialmente contribuirebbe a risolverla in una facoltà

riproduttiva, ma anche quello di ridurre il pensiero ad ens imaginarium, cosi come

argomenterà negli scritti successivi e in modo più esplicito in On A New List of Categories

ovvero ipostatizzando le realtà ipotizzate dal pensiero. Se da una parte Peirce, tiene fede alla

impostazione kantiana, non pretendendo di accedere all‟oggetto nella sua interezza,

dall‟altra darà avvio alla costruzione non soltanto della possibilità generale dell‟oggetto, ma

anche a quella della determinazione del possibile oggetto. Questa costruzione risulterà più

evidente in base all‟impalcatura chiara e definita che Peirce presenterà in On a New List of

Categories. In essa emergono più chiaramente più chiaramente tanto le matrici kantiane

quanto gli elementi profondamente innovativi del suo disegno teorico.

6) Ground e likeness in On a New list of categories

Il lavoro peirceano volto a fondare la semiotica sembra trovare il suo compimento in On a

New List of Categories, scritto fondamentale e per l‟importanza attribuita dallo stesso Peirce

e dalle diverse generazioni di studiosi di Peirce, che a più riprese e, indipendentemente dai

vari punti di vista, trovano sempre nuove ragioni per partire proprio da questo testo. Per la

prospettiva, finora delineata, l‟esigenza di analizzare tale scritto nasce dalla constatazione

che qui Peirce sembra chiarire l‟impostazione di fondo che ha animato i testi precedenti. On

a New List of Categories raccoglie i frutti del lavoro già fatto, per esporre in modo più

compiuto i risultati conseguiti. Nella parte iniziale del testo l‟identificazione della funzione

dei concetti con quella di ridurre il molteplice, se da una parte rivela l‟indiscussa matrice

kantiana, dall‟altra condurrà ad una radicalizzazione degli assunti kantiani, che porteranno

Peirce a fissare su basi più definite, attraverso l‟istituzione del ground, un sistema

fortemente caratterizzato dall‟intreccio profondo tra piano categoriale, logico e semiotico.

Alla luce di questo nesso e soprattutto del ruolo svolto dal ground sarà possibile raccogliere

altri elementi per inquadrare il rapporto tra natura e convenzione. In questo testo è come se

si stringesse il cerchio, nel senso che i giri lunghi e talvolta apparentemente scollati dei

precedenti lavori è come se trovassero il loro baricentro. Le argomentazioni degli scritti

precedenti, volti ad evidenziare il vincolo stretto tra logica e riflessione ontologica vengono

sintetizzati in modo efficace da queste battute iniziali del saggio:

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“Il concetto universale più vicino alla sensazione è quello del presente in generale […] Tale

concetto di presente in generale, o Esso in generale, è reso in linguaggio filosofico dal termine

sostanza, in uno dei suoi molti significati. Prima che si possa compiere alcuna comparazione o

distinzione tra ciò che è presente, quest‟ultimo deve essere stato riconosciuto come tale, come esso;

successivamente, le parti metafisiche riconosciute tramite astrazione vengono attribuite a questo

esso, mentre l‟esso stesso non può esser reso predicato. Questo esso stesso non è perciò predicato né

di un soggetto, né in un soggetto, rivelandosi di conseguenza identico al concetto di sostanza”69

.

In queste affermazioni Peirce pone l‟attenzione sul fatto che perché sia possibile prendere

atto del presente in generale è necessario che quest‟ultimo venga riconosciuto come tale:

questa affermazione esprime l‟assimilazione profonda dell‟opera kantiana. E‟ormai

consolidata l‟idea che non si può pretendere un impatto diretto, immediato con l‟esso, e

proprio questo punto diventa un‟asse portante, poiché Peirce si adopera al fine di esibire la

base, in grado di dare forma al reale, ma questa base è di natura logica, poiché è quella

offerta dalla proposizione. Infatti Peirce prosegue dicendo che “l‟unità alla quale l‟intelletto

riduce le impressioni è l‟unità della proposizione. In tale unità è la copula che esprime

l‟accordo del soggetto con il predicato, “se diciamo la stufa è nera, la stufa è la sostanza da

cui la nerezza non è stata distinta, e l‟è, pur lasciando la sostanza esattamente quale è stata

vista, ne esplica l‟indistinzione applicandovi la nerezza come predicato70

”. Qui la copula e il

predicato permettono all‟Esso di muoversi, nel senso che da irrelato diviene relato, ma

questo movimento è possibile su un piano logico e quindi acquista un ruolo fondamentale il

predicato. Chiare le proposizioni di Peirce: “Infatti se si potesse conoscere la copula e il

predicato di una qualsiasi proposizione, come […] è un uomo con la coda ,si saprebbe che il

predicato è per lo meno applicabile a qualcosa di immaginabile.Di conseguenza, abbiamo

proposizioni i cui soggetti sono interamente indefiniti, come nella frase: vi è una bellissima

ellisse, dove il soggetto è qualcosa di meramente indeterminato, poiché sarebbe

assolutamente insensato dire: A ha i caratteri comuni di tutte le cose, dal momento che non

esistono caratteri comuni di questo genere”71

.

Dunque sostanza ed essere rappresentano i due poli di un movimento logico, indispensabile

a che si metta in moto il processo della conoscenza. Ma quali sono le operazioni che

effettivamente possono garantire alla sostanza il suo riconoscimento? Cos‟è che rende

possibile uscire fuori da una dimensione rigidamente frontale, in cui il reale da una parte e il

pensiero dall‟altra si fronteggerebbero, candidandosi ad un‟impotenza assoluta e alla

paralisi di ogni forma di conoscenza? A riguardo Peirce introduce il termine prescissione,

riponendo attenzione nel distinguerla dalla “discriminazione” e dalla “dissociazione”. La

prescissione avrebbe la funzione di focalizzare un aspetto, omettendo gli altri caratteri e

consisterebbe nella supposizione di una parte di un oggetto, senza supporre alcunché del

69

Peirce, Nuovo elenco di categorie, cit., p.16. 70

Ivi, p.17. 71

Ibidem.

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50

resto”72

. La discriminazione si rivolge ad identificare i singoli significati; la dissociazione ha

a che fare con il prendere atto di un fenomeno non considerando contemporaneamente il

darsi di altri fenomeni. Utili gli esempi riportati dallo stesso Peirce: “posso discriminare il

rosso dal blu […] ma non il rosso dal colore. Posso prescindere […] lo spazio dal colore

[…] ma non […] il colore dallo spazio Posso dissociare il rosso dal blu, ma non […] il rosso

dal colore”73

. Da quanto detto risulta che la prescissione che è l‟astrazione privilegiata da

Peirce, è un‟astrazione che non fa capo al criterio della reciprocità: la definizione della

prescissione e il suo carattere non reciproco costituiscono un passaggio importante per dar

conto del processo logico che intercorre tra la sostanza e la sua unità, tra i molti e l‟uno.

Infatti:

“Si dà frequentemente il caso per cui, mentre A non può essere prescisso da B, B può essere

prescisso da A. Questo fatto si spiega cosi: i concetti elementari sorgono unicamente in occasione

dell‟esperienza, essi vengono cioè prodotti per la prima volta a partire da una legge generale, la cui

condizione è l‟esistenza di determinate impressioni.Ora se un concetto non riduce ad unità le

impressioni da cui deriva, esso si rivelerà una mera aggiunta arbitraria a queste ultime, e i concetti

elementari non sorgono tanto arbitrariamente. Ma se le impressioni potessero essere comprese in

modo preciso senza il concetto, quest‟ultimo non le ridurrebbe ad unità. Perciò, le impressioni non

possono essere pensate o colte con precisione, senza tenere conto di un concetto elementare che le

riduca all‟unità. D‟altro canto, una volta stabilito un concetto del genere, non c‟è alcuna ragione, in

generale, per cui non si debbano lasciare da parte le premesse che l‟hanno occasionato; spesso,

perciò, il concetto esplicativo può essere prescisso da quelli più immediati o dalle impressioni

stesse”74

.

Intanto da questi passaggi emerge che per realizzare unità è necessario astrarre, in modo

specifico prescindere , cioè bisogna uscire dall‟ingenuità, secondo la quale sarebbe possibile

postulare un primum individuale, di cui il pensiero riprodurrebbe la sua copia. La

prescissione è metodo che si fa al tempo stesso verità, poichè per approssimarci al reale è

necessario astrarre, generalizzare. La prescissione, al di là della sua straordinaria importanza

per la filosofia di Peirce, nel senso che anticipa tutta la tematica che sarà analizzata nei saggi

del 68, risulterà funzionale alla comprensione dei passaggi successivi relativi al concetto di

ground. Già la prescissione supera ben presto i suoi limiti metodologici nell‟essere priva di

reciprocità, infatti se è impossibile prescindere le impressioni dai concetti, è possibile al

contrario prescindere i concetti dal molteplice. Questo è un punto fondamentale, perché qui

Peirce, dando prova di avere assimilato profondamente la lezione del trascendentale,

ribadisce che se da una parte i concetti attingono il loro contenuto al molteplice

dell‟esperienza, dall‟altra le impressioni non possono essere comprese se non attraverso la

riduzione all‟unità operata dal concetto. Sebbene venga riconosciuta l‟indipendenza delle

impressioni, esse comunque acquistano identità all‟interno del concetto. Già in Lecture on

72

Ibidem. 73

Ivi, p.18. 74

Ibidem.

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Kant del 1865 Peirce affermava che se la conoscenza trae i suoi contenuti dall‟esperienza,

non da essa deriva la loro determinazione. E quindi ritornando al testo del 67, Peirce pone in

evidenza che nel momento in cui il concetto insorge, esso dispone di una completa

autonomia, tanto da potere essere prescisso. Un altro punto da focalizzare importante sta nel

fatto che i concetti, dal momento che assolvono alla funzione di ridurre all‟unità le

impressioni , non nascono in modo arbitrario. D‟altra parte, osserva Peirce, se un concetto

non fosse in grado di produrre unità, esso si qualificherebbe come un inutile doppione del

molteplice sensibile ed esso allora nascerebbe in modo arbitrario. Invece i concetti nascono

in occasione dell‟esperienza e soprattutto si rivelano indispensabili alla determinazione delle

impressioni. Peirce non crede possibile che i concetti non siano legati alle istanze della

realtà: al contrario essi sembrano nascere in funzione della realtà. E allora la necessità della

prescissione, il suo carattere non reciproco, e la non arbitrarietà del concetto costituiscono, a

mio avviso, elementi importanti per comprendere la deduzione delle categorie, che

garantiranno il processo concettuale che intercorre tra il molteplice della sostanza e l‟unità

dell‟essere, e quindi il modo in cui bisogna intendere il ground. E allora, posto che secondo

Peirce non può essere assunto nulla dalla prospettiva della coscienza, poiché quest‟ultima

piuttosto che a fondamento della conoscenza, deve essere fondata essa stessa, deve scaturire

da condizioni oggettive, quale sarà il concetto base? O meglio da dove bisogna partire? Nei

passaggi precedenti Peirce ha precisato che l‟unità della proposizione si realizza nella

proposizione, e nella proposizione si congiunge un concetto mediato ad uno immediato. Se

questa condizione non venisse soddisfatta, tra i due concetti non ci sarebbe differenza e il

concetto non sarebbe riconoscibile come tale. Ma perché il concetto mediato possa inerire a

quello più immediato è necessario che venga prescisso, e ciò creerà una nuova condizione:

il concetto, in quanto astrazione, guadagnerà una distanza dalle impressioni, e allora il passo

successivo è che in modo ipotetico viene applicato al concetto immediato. È necessaria una

dimensione ipotetica: se già negli scritti giovanili risulta consolidata l‟acquisizione che non

è possibile accedere all‟oggetto se non all‟interno di una dimensione rappresentativa,

inferenziale, ora, forse, in modo più efficace, diventa chiaro che l‟unico modo per

rappresentare il molteplice irrelato, senza far ricorso ad un approccio di tipo intuitivo, è

quello logico e in particolare quello ipotetico. Cioè soltanto un predicato possibile, che nella

sua potenzialità logica esprime la possibilità della qualificazione, che apre il ventaglio delle

determinazioni possibili può rappresentare o meglio presentare il reale. Infatti Peirce

afferma: “Considerate ad esempio la proposizione” questa stufa è nera. “Qui il concetto

indicante questa stufa è il più immediato, quello di nera è il più mediato”75

. Quest‟ultimo

perché possa qualificarsi come predicato, ricorda Peirce, deve essere prescisso. Ma se si

tiene presente che non c‟è alcuna possibilità di cogliere in modo immediato il reale, non si

può pensare al presente in generale, come a qualcosa di già identificato, poiché questo

presupporrebbe un„unità già realizzata; al contrario l‟unità è in fieri e quindi è proprio

questa prescissione ad innescare il movimento verso l‟unità e a rendere possibile la

75

Ivi, p.19.

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riconoscibilità del presente in generale. E allora in questo senso l‟astrazione di cui parla

Peirce è assolutamente necessaria e non può essere considerata arbitraria, se essa addirittura

si pone come formativa del reale.Successivamente Peirce si esprime cosi: “Inoltre, la

nozione di una pura astrazione si rivela indispensabile , poiché non è possibile comprendere

l‟accordo tra due eventi, se non come accordo in un certo rispetto, e tale rispetto è una pura

astrazione simile alla nerezza. Una pura astrazione di questo genere, il riferimento alla quale

costituisce una qualità o attributo generale, può essere definita ground.”76

Queste

proposizioni introducono un altro aspetto del ground che si collegano al passo successivo:

“Il ground è lo stesso self astratto dalla concretezza che implica la possibilità di un altro”77

.

O meglio, a mio avviso, chiariscono meglio che cosa intende Peirce con il termine ground:

se da un lato il ground, come prescisso sembrerebbe mero predicato, quindi Peirce per darne

una formalizzazione possibile è quasi costretto a presentarlo come predicato, -ma in effetti è

la qualità a porsi come predicato-, dall‟altra per far capire il carattere fondativo del ground,

l‟autore mette in evidenza che il ground esprime un accordo, che in quanto tale implica

l‟altro da se: è l‟identità pura, che in se stessa condivide la diversità. Il ground diventa il

piano in cui si lascia vedere come qualcosa potrebbe essere. A mio avviso la gestazione del

ground non è arbitraria, perché la sua formalizzazione logica non è vuota, essa si qualifica

come possibilità originaria, da cui è possibile trarre fuori tutti i predicati possibili. Proprio

perché dal suo grembo stesso il ground lascia sprigionare identità e differenze, è possibile

pensarlo come possibile predicato. Insomma il ground esprimerebbe una relazione che dal

di dentro mette insieme essere e sostanza, nella misura in cui essi non si fronteggiano, ma si

costituiscono insieme. Insomma, se si parte dall‟idea che sostanza ed essere sono già

formati, e allora non si può trovare la loro relazione è inattingibile, poiché diventerebbe

soltanto esterna. La qualità, che costituisce il primo grado nel percorso che distanzia l‟essere

dalla sostanza, può essere predicata, a patto che si riferisca al ground, cioè a patto che venga

presupposta una relazione tra sostanza ed essere, che è proprio garantita dal ground.

Insomma la qualità è primo, ma è secondo rispetto al ground , ma d‟altra parte il ground,

può comparire soltanto come riferimento della qualità. Cioè, se il ground è pura relazione,

nella catena segnica esso non può rendersi disponibile come ground, ma come qualità, che

in qualche modo corrisponderebbe al ground mediato, posto. Il ground può dar vita ai gradi

intermedi che stanno tra sostanza ed essere, perché conviene con il reale, costituisce quel

foro da cui possono uscire relazioni possibili del reale, ma se questo è possibile è perché c‟è

un accordo, la realtà è come se se entrasse in questo foro. Ma quello che uscirà da questo

foro, inevitabilmente assumerà la forma del foro attraverso cui passa, ma non perché il foro

imporrà le sue forme, ma perché passare per quella strettoia e il modo che il reale ha di dare

notizie di sé, e il foro diventa così l‟equivalente del reale, perché ne può condividere la

forma. In questo senso non possiamo leggere il ground come sostanza nel senso di sostrato

passibile di predicazione, ma come possibilità relazionale originaria, esso è il foglio segnico

per antonomasia su cui la realtà si dispiega, su cui vengono portate ad espressione le sue

76

Ivi, p.20. 77

Ivi, p.22.

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relazioni, e ciò accade non perchè il ground ri-produca le relazioni del reale, ma perché la

potenzialità produttiva del ground è l‟unico modo in cui la realtà può dar conto di sè. Il

ground instaura una profonda relazione con la realtà, nel senso che le divisioni interne al

ground costituiranno traccia segnica della realtà, ed è in esse che la realtà si riconoscerà,

perché proprio esse le offriranno una possibile articolazione, quindi una possibile unità. Ma

di che natura sono queste divisioni? Esse sono prettamente logiche. Se è cosi il ground deve

da un lato fare sempre un passo in avanti in qualità di categoria prescissa, dall‟altro deve

fare un passo indietro per dar conto di se stesso come origine delle stesse prescissioni. Ma

se il ground è capace di tale operazione, esso avrà uno spessore anche ontologico e, forse, in

questo senso può risultare plausibile la traduzione dall‟inglese del termine ground con

interrelazione, nesso, ovvero apertura, possibilità. In On a New Listo of Categories, dopo

aver definito il ground, Peirce necessita del riferimento alla psicologia empirica, per essere

confortato sulle operazioni da effettuare nell‟impatto con il reale. Infatti, afferma Peirce:

“La psicologia empirica ha stabilito che si può conoscere una qualità solo tramite il suo contrasto o

la sua similarità con un “altra qualità. È grazie ad un contrasto o ad una concordanza che un evento

è riferito ad un correlato, intendendo questo termine in un senso più ampio del solito. L‟occasione

per l‟introduzione del concetto di riferimento al ground è data dal riferimento ad un correlato:

questo è dunque, nell‟ordine, il concetto che segue”78

.

L‟introduzione del concetto di correlato, non è disgiunta da un terzo grado intermedio, che

consiste nell‟interpretante. Infatti non soltanto è necessario comparare, poiché ad esempio

nella traduzione di un termine, di un nome che denota un oggetto o altro e che corrisponde

in un‟altra lingua alla medesima cosa, è necessario che questa corrispondenza venga

riconosciuta. “Una rappresentazione […] può essere definita interpretante, perché svolge la

funzione di un interprete il quale afferma che uno straniero dice le medesime cose che egli

stesso sta dicendo”79

. Ma anche il rinvio all‟interpretante non è arbitrario, poiché esso

scaturisce dalla necessità di dare unità al presente in generale, il quale, se non analizzato,

distinto nonché comparato, e infine riconosciuto come tale, non può essere ricondotto ad

unità. Si realizza così la deduzione delle categorie: I cinque concetti cosi ottenuti possono

essere definiti, infatti, “categorie”. Essi sono

“Essere

Qualità (riferimento ad un ground)

Relazione (riferimento ad un correlato)

Rappresentazione (riferimento ad un interpretante)

Sostanza80

Proseguendo, Peirce afferma, che in base al principio della prescissione, non è possibile

separare alcuna categoria da quelle di ordine superiore e che sia ipotizzabile che da queste

ultime scaturiscano tali prodotti:

“Ciò che è

78

Ibidem 79

Ivi, p. 21. 80

Ivi, p. 22

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Quale-ciò che si riferisce ad un ground,

Relato-ciò che si riferisce a ground e correlato,

Representamen-ciò che si riferisce a ground,correlato ed interpretante.

Esso”81

.

In base a questa classificazione, Peirce trae fuori dal concetto di Quale una differenza

importante, poiché distingue tra qualità interna e qualità relativa. La qualità interna è

caratterizzata da un riferimento al ground che risulta prescindibile. La qualità relativa non

risulta invece prescindibile dal ground. Cioé spiega Peirce: nel primo caso non c‟è

distinzione tra la qualità e la comparazione con altro da se, nel secondo caso sussiste

differenza tra la qualità e il confronto con la sua alterità. Quindi nel primo caso la relazione

è frutto esclusivo del loro accordo, di una relazione puramente interna, nel secondo caso la

relazione è puramente estrinseca ed essa è data da una “corrispondenza di fatto. “La qualità,

infine, se non è prescindibile dall‟interpretante, viene definita imputata.Ormai la riflessione

di Peirce è matura per dedurre la tripartizione delle rappresentazioni fondamentale per la sua

teoria del segno:

“Quelle la cui relazione ai propri oggetti è costituita da una mera comunanza in qualche qualità:

queste rappresentazioni si possono definire Somiglianze.

Quelle la cui relazione ai propri oggetti consiste in una corrispondenza di fatto: esse possono essere

definite Indici o Segni.

Quelle che hanno come ground della relazione ai propri oggetti un carattere imputato: esse sono

cioè identiche a dei segni generali e possono essere definite Simboli”82

.

Questa tripartizione, come Peirce procede negli altri saggi, sarà ulteriormente stratificata, a

livello del simbolo, in “termini”, “proposizioni” e “argomenti”. Una prima considerazione

importante sta nel particolare ruolo svolto dalle likenesses, poiché stabiliscono nei confronti

del ground, a mio avviso, il tipo di relazione che il ground instaura con il molteplice delle

impressioni. Cosi come la likeness è prescindibile dal ground, poiché è un concetto mediato,

allo stesso tempo può essere tale nella misura in cui stabilisce una relazione interna con il

ground, e quindi non è arbitraria, convenzionale .Ma cosi facendo stiamo parlando di una

qualità ipostatizzata, cioè che vale per se stessa e che incorpora, potremmo dire, il ground,

che quindi non è da intendere come prescissa da un presunto soggetto. Quindi ritornando ai

passaggi precedenti il ground è prescindibile, perché di fatto esprime una relazione interna

con il molteplice delle impressioni e dunque è diverso dal molteplice – esso infatti deve

garantirne l‟unità - e in quanto concetto mediato è prescindibile. Ma è prescindibile, perché

si trova in una relazione interna con il molteplice sensibile, insomma il ground può

prescindere, perché ha inglobato il molteplice, o meglio ha operato quella riduzione logica

che gli consente di dargli unità e di immetterlo nell‟universo proposizionale. Nell‟analisi del

processo concettuale, che separa essere e sostanza, il ground rivela uno spessore ontologico,

poiché può soddisfare la condizione di realizzare la connessione tra l‟essere e la sostanza.

Dopo questo lungo percorso diventa forse più chiaro, in che modo è possibile parlare di

81

Peirce, Categorie, cit., p. 23. 82

Ivi, p.23-24.

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valenza ontologica del ground: i concetti assolvono ad una funzione esclusivamente legata

alla comprensione della realtà, i concetti sorgono in occasione dell‟esperienza, e per

l‟esperienza, poiché è il concetto che permette di comprendere le impressioni. Ma è il

ground, che consente la riconoscibilità del Presente: il ground, in qualità di astrazione, può

costituire l‟unica base sulla quale conoscere il reale , perché è come se fosse la chiave che

dà alla realtà la possibilità di aprire le sue determinazioni, dispiengandosi e rivelandosi.

In base all‟analisi sinora svolta, attraverso la prescissione e l‟astrazione ipostatica, sebbene

ancora non ben distinta da quest‟ultima, così come è stato messo bene in luce S. Marietti83

, è

possibile apprezzare, come era stato accennato precedentemente, che l‟elaborazione del

ground conduce ad un costruttivismo diverso da quello kantiano. Il ground prescisso è

quella convenzione necessaria a che la realtà possa transitare dall‟inesplicabile

all‟esplicabile. E quindi contemporaneamente, in questo movimento di cui è capace il

ground si gioca la partita tra natura e convenzione, e si gioca anche la possibilità di

determinare non soltanto le condizioni di possibilità degli oggetti, ma i possibili oggetti. E

allora in questo senso l‟ontologia cui mette capo il ground è un‟ontologia trascendentale

perché media e non pretende di accedere immediatamente ad un primum, ma al tempo

stesso si spinge oltre le indicazioni kantiane, poiché tale ontologia si pone come un mondo

di possibili oggetti e non soltanto di condizioni di possibilità degli oggetti in generale. E

allora se l‟ontologia che viene fuori è di matrice trascendentale nei termini in cui è stato

detto, la circolarità o continuità tra natura e convenzione può considerarsi ben assestata

all‟interno di una costruzione che ha risolto la mediazione tra pensiero e oggetto, poiché nel

rapporto tra il ground e i diversi livelli del segno si attua la mediazione tra continuità e

discontinuità: i tratti segnici, pur nella loro diversità creano un piano apparentemente

soltanto convenzionale, poiché tale piano diventa il luogo al cui interno si lascia vedere ciò

che convenzionale non è, e che si lascia intravedere proprio in questi luoghi della

convenzione, poiché non ne può abitare altri. Denominare, avere sensazioni, ipotizzare si

equivalgono: è proprio qui che il ground svela la sua energia fondazionale, poiché rende

possibile l‟ipostatizzazione della sua infinita riserva inferenziale ipotetica, e proprio questo

consente l‟insediamento della convenzione, come ad esempio l‟atto del denominare. Ma al

tempo stesso è proprio questo che consente anche la possibilità di cogliere il reale, che non

sta in una sua presunta dimensione irrelata, ma vive soltanto all‟interno di questo piano

offerto dal convenzionale ovvero dalla dimensione segnica. Il ground, a mio avviso,

esprime il senso della creazione convenzionale del segno, il quale più che sostituire o

informare circa la realtà, la ospita al fine di garantirle un‟articolazione possibile, che

altrimenti le rimarrebbe preclusa.

83

S. Marietti, Icona e Diagramma, Milano, Led, 2001.

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7) La critica del nominalismo

Da una parte Peirce rimane kantiano, perché rimane fedele all‟idea che l‟oggetto non è

disponibile come cosa in sé e che assume identità solo all‟interno del segno, dall‟altra

orienterà il suo pensiero in una direzione assolutamente originale, nella misura in cui ritiene

che il segno, pur nella sua generalità, debba dedurre elementi discontinui, deve produrre

determinatezze, in grado di opporre resistenza ,creare distanza necessaria tra sè e il suo

oggetto, affinché si renda posssibile una conoscenza, che non ammetta, altro all‟infuori del

processo della semiosi. Il ground da una parte garantisce l‟unica mediazione in grado di

permettere l‟accesso alla realtà, nella misura in cui ne costituisce il codice, dall‟altra, in

quanto relazione interna con la realtà, è lo Stesso che si apre all‟alterità. Esso è in grado di

spiegarci la realtà, poiché essa stessa si lascia comprendere all‟interno della struttura del

segno84

. Nei testi che fanno da tramite al Peirce della maturità, grazie alle considerazioni sul

nominalismo e sul convenzionalismo, risulterà forse più chiaro questo impianto, perché

alcuni concetti assumeranno una veste più familiare, dialogando da vicino con punti di vista

radicati nella tradizione. Se i segni sono traducibili in inferenze, questa ultime per altro

riscontrabili anche all‟interno dei gradi elementari della conoscenza, - è utile ricordare a

questo proposito che la sensazione è equiparata all‟ipotesi - insomma, se il segno è una

forma di ragionamento, è sbarrata ogni via di fraintendimento in merito all‟idea che esso

possa assolvere al compito di riprodurre la cosa. Ciò implica però tanto il rifiuto di un

convenzionalismo unilaterale quanto quello del nominalismo. Il primo, sintetizzando l‟analisi

svolta precedentemente, risulta giustificato dall‟identificazione della realtà con la dimensione

segnica: la realtà trova nel segno la sua possibilità, poiché è nella dimensione segnica che

essa può dispiegarsi. Senza le forme segniche non è possibile approcciare la realtà; è in

questo senso che ai segni verrebbe affidata un‟istanza trascendentale, dove le forme segniche

non sono però soltanto modi della conoscenza ma anche della realtà. L‟idea originale di

Peirce è che la realtà si rende disponibile nella modalità del segno e che anche il pensiero, il

ragionamento rivela una trama segnica: in essa senso realtà e pensiero convengono, si

accordano. Se da un lato la dimensione segnica non è auto referenziale, poiché ha la pretesa

di dar conto delle relazioni proprie della realtà, dall‟altra non si qualifica come una relazione

di mera corrispondenza. Ciò non riduce la forza del segno, al contrario è nei segni che la

realtà si dispiega e quindi la grammatica segnica ha un valore oggettivo: ciò che si configura

nei segni, di fatto è anche ciò che si pone come reale. Ma tale accordo è spiegabile nella

misura in cui si tiene conto anche del secondo rifiuto ovvero quello del nominalismo.

Secondo Peirce i segni sono generali, ma come si struttura il generale segnico? I segni

risultano strutturati in maniera tale da esibire una materia, che si pone come la base per

84

Ora se si contestualizza il testo On A New List of Categories all‟interno dei saggi scritti tra la fine degli anni „60 e

quelli degli anni 70, viene fuori la compresenza di due tendenze fondamentali all‟interno del pensiero peirceano che lo

candidano ad integrarsi con la tradizione kantiana, senza contraddire il taglio fenomenologico, che sicuramente

caratterizza gli scritti della maturità. Si delineano due matrici portanti quali la prospettiva trascendentale e la visione

fenomenologica. In questa direzione sembra procedere l‟analisi di Ransdell. Cfr J.Ransdell, The Epistemic Function of

iconicity in perception, Peirce studies 1, 1979: 51-66.

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arrivare al concetto. Il segno dispone di una sua articolazione, necessita di una sua

processualità: da una materia formata perviene al simbolo. Insomma il segno è sede del

generale e dell‟individuale, esso è capace di dedurre il suo oggetto, in questo senso è come

se Peirce realizzasse, tenendo presente il registro kantiano, “un uso trascendentale del

segno”, oltreché empirico. Il segno di Peirce realizza pienamente la sintesi kantiana,

certamente trasformando la logica kantiana, poiché da astratta diventa capace di dedurre

contenuti: se questo, secondo Kant era consentito soltanto alla matematica, dalla prospettiva

peirceiana diventa anche prerogativa della logica. E quindi in questo senso potremmo

scorgere una dimensione sintetica del segno. Dopo On a New List of Categories, nei saggi

del „68, la demolizione del concetto di intuizione, sul piano strettamente gnoseologico apre

la strada, in modo più chiaro ed efficace all‟idea di una conoscenza esclusivamente di natura

inferenziale. L‟impossibilità di disporre di un criterio intuitivo, atto a distinguere le

conoscenze immediate da quelle determinate da altre conoscenze, e la constatazione che il

processo della conoscenza necessita di un dato esterno per attivarsi conducono Peirce a

concepire il pensiero come una struttura inferenziale. Il pensiero così inteso semantizza il

dato altrimenti inattingibile e incapace di giustificare la relazione tra oggetto e pensiero. E in

questi termini il pensiero pone la necessità del segno: “È chiaro che nessun altro pensiero

può essere evidenziato da fatti esterni. Ma abbiamo visto che il pensiero si può conoscere

solamente attraverso i fatti esterni. Dunque, il solo pensiero che è possibile conscere è, senza

eccezione, il pensiero in segni”85

. L‟iter inferenziale sembra rinviare ad una premessa

originaria, ma essa in quanto tale è preclusa alla conoscenza, infatti in Ground of Validity of

the law of logic Peirce in modo definitivo sradicherà l‟idea di postulare un primum

affermando: “predicare una cosa di un‟altra è asserire che la prima è un segno della

seconda”86

. In questo modo Peirce pone in evidenza anche l‟impossibilità di accedere alla

cosa in sé, poiché quest‟ultima verrebbe attraversata da modalità conoscitive che sono

proprie del soggetto e che ne manderebbero in la dimesione di assolutezza. La conoscenza è

possibile a patto che oggetto e pensiero condividano un comune orizzonte. Su questa base,

tutte le considerazioni degli scritti del „65 e del „66 risultano inverate e maggiormente chiare.

Perché Peirce insiste nel dire “Che tutto quel che è, è in qualche modo”? Perché soltanto cosi

l‟Essere risulta già inserito in una relazione, immesso nella rete del pensiero. La realtà non

risulta intelligibile, se scollata dal processo inferenziale, essa si identifica invece proprio con

i significati veicolati dalla dimensione segnica, la cui elaborazione non è da imputare al

singolo individuo, ma ad una comunità ideale, volta a produrre nuovi segni, capaci in modo

sempre inedito di scoprire nuovi volti della realtà. “Il reale, dunque, è ciò in cui, presto o

tardi, alla fine si risolveranno le informazioni e il ragionamento e che è quindi indipendente

dagli erramenti di ogni singolo individuo”87

. I saggi del „68 costituiscono una tappa

significativa, poiché sul piano semiotico ed epistemologico giustificano la necessità del

segno, lasciano emergere il modo in cui il segno è capace di tenere insieme l‟elemento

85

Peirce, Questioni concernenti certe pretese facoltà umane cit.,p. 329. 86

Peirce, I fondamenti di validità delle leggi della logica (1868), p. 574. 87

Peirce, Some Conseguences of four incapacities, cit., p.107

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naturale e il convenzionale. Il problema infatti non è quello di scegliere tra l‟uno e l‟altro, ma

di far comprendere come convivono all‟interno di una struttura circolare, è il segno che

consente il passaggio dal naturale al convenzionale, perché esso stesso incarna questo

scambio tra natura e convenzione. “Il segno è cosi e cosi; il segno è quella cosa”88

. A mio

avviso si tratta proprio di uno scambio, perché da una parte il reale non dispone di altro

luogo in cui può dar conto di sé, dall‟altra la struttura del segno, così come la propone Peirce

sembra giustificata, se assolve alla funzione di esplicare le relazioni del reale. Questi testi

costituiscono il laboratorio in cui Peirce sperimenterà le potenzialità ontologiche del segno e

in cui traccerà il percorso delle riflessioni mature signs. Se il segno è inferenza, è quel

continuum in cui staziona la realtà, e allora la prova che il segno sia fondativo sta proprio

nell‟uso che Peirce fa della logica. La logica peirceana rinnova se stessa, come viene

sostenuto da diversi studiosi, in nome della risoluzione di questioni di tipo ontologico, e

animata da un‟istanza pragmatica scaturisce dal bisogno di trovare un metodo corretto per

leggere la realtà. È utile fare abduzioni sempre nuove e sottoporle al filtro logico, perché così

può essere supportato, giustificato il piano categoriale, ma in questi termini la logica non si

qualificherà come mero metodo, poiché in itinere riorienterà il suo percorso integrando il

tracciato ontologico della metafisica classica. Se da una parte già negli scritti giovanili sono

evidenti le premesse del profilo del Peirce della maturità, dall‟altra un esempio del modo in

cui la logica accompagnerà l‟iter della metafisica peirceana può essere dato dal fatto che la

sua grammatica contemplerà la possibilità di inserire al proprio interno anche i primi livelli

del segno, cioè, stando alla classificazione contenuta negli scritti giovanili, le copies e i,

denominati nella logica matura “icone” e “indici”.

88

Ivi, p.106. Utile il suggerimento di Bonfantini: “evidentemente possiamo esplicitare le seguenti corrispondenzeattribuzione

assoluta- icona; attribuzione relativa–indice; attribuzione per imputazione convenzionale – simbolo”. Ibidem.

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SECONDA PARTE

SECONDO CAPITOLO

Natura e convenzione negli scritti degli anni ‘70

1) La rappresentazione tra natura e convenzione

La svolta degli scritti della maturità consistente nel considerare corpo integrante della logica

anche le icone e gli indici può essere gradualmente compresa e maggiormente approfondita

se, in base ad una ricerca lessicale sull‟occorrenza dei termini natura e convenzione, ci si

sofferma ancora sul concetto di rappresentazione.

Natura e convenzione sono due termini che pur non ricorrendo in modo “tecnico”

nell‟opera di Peirce, costituiscono a mio avviso, nel loro reciproco relazionarsi in modo

polare e non dicotomico, lo spazio stesso, il luogo „naturale‟, dell‟icona. Ciò consente alla

riflessione peirceana di sviluppare forme multiple di transizioni, di sovrapposizioni e

inclusioni rispetto alla tradizionale opposizione fra costituzione naturale e costituzione

simbolica del segno.

Prima di analizzare il modo in cui natura e convenzione si intrecciano e faranno luce sulla

destinazione dell‟icona, avverto l‟esigenza di riportare alla memoria un punto della celebre

discussione del Cratilo circa il carattere naturale o convenzionale dei nomi: il ruolo di

“mediazione” di Socrate che innesca dietro l‟apparente contrapposizione delle tesi di

Ermogene e di Cratilo un gioco sottile di reciproco rinvio, tale da metterle entrambe in

contraddizione nella loro unilateralità. Perché il nome possa dar conto della natura della

cosa, deve contenere gli elementi appropriati che lo possono rendere simile alla cosa. Ma

ciò non prescinde dall‟eventualità che esistano i nomi falsi. E Socrate insiste sulla necessità

che si istituisca la convenzione, pur tenendo presente che i nomi siano simili alle cose. Tale

apparente contraddizione può essere risolta chiarendo che denominare non si identifichi

con l‟imitare, d‟altra parte se i due termini, nome e cosa, si identificassero apparirebbero

delle semplici repliche prive di valore. In base a queste considerazioni il nome sembra

possedere le caratteristiche dell‟icona: così come l‟icona non è in connessione causale con

l‟oggetto, ma ripete l‟essenza, il nome, più che denotare, ripete ciò che sta nelle cose. Ma

proprio questa asimmetria tra nome e cosa, tra icona e referente rinvia non soltanto alla

prospettiva del Cratilo, ma anche alla domanda di Teeteto allo straniero nel Sofista: “Che

cosa, straniero, potremmo dire che sia l‟immagine, se non una cosa che, fatta a somiglianza

di una cosa vera, è distinta da questa e tale quale la vera”? [....] È realmente solo come

rappresentazione somigliante”89

. In questo senso e per l‟icona e per il nome i referenti

potrebbero anche non esistere, poiché il nome e l‟icona significano senza denotare.

Insomma è necessario che ci sia una dimensione che stia tra l‟essere e il nulla. Sembra

89

Platone, Sofista, trad.it., in Platone Opere complete, ( a cura di Lorenzo Minio Paluello), Laterza, 1984, Roma –Bari,

pp. 212-213.

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plausibile, come invitano a fare le stesse indicazioni provenienti dal Cratilo e dal Sofista,

pensare ad una dimensione che stia tra natura e convenzione, cioè ad una dimensione di

significanti che pur non denotando significhino qualcosa. Proprio in questa dimensione è

riconoscibile la struttura dell‟icona peirceana, quest‟ultima, infatti, è virtuale: nel

momento in cui si rende disponibile la dimensione indicale senza la quale l‟icona non può

darsi, la possibilità originaria dell‟icona scompare per lasciare il posto all‟indice e al

simbolo, dopo che ne ha reso possibile il loro l‟apparizione.

Ciò che dalla posizione di Socrate emerge è che la funzione svolta dal nome cioè quella di

dare identità alla cosa può realizzarsi se si pensa al denominare come ad un atto di

costruzione, tale da esibire tratti osservabili, che diventino a loro volta veicoli di

significazioni che eccedono gli accordi stipulati dai singoli soggetti. E quindi, da una parte,

la convenzione istituita sembrerebbe produrre suoni, apparentemente neutri, dall‟ altra la sua

stessa produzione diventa patrimonio comune perché osservabile, pronunciabile. In questi

stessi tratti sarà coglibile l‟esordio di un processo di significazione, l‟anticipazione del

logos. In questi termini il nome è l‟esito di una costruzione che darà vita alla fisionomia

della cosa e in tal modo il nome ripeterebbe il movimento dell‟ icona, che sostanzialmente

si pone come struttura anticipativa della genesi dell‟oggetto.

Ebbene, il dire non è anch‟ esso un‟ azione90

?

In questo interrogativo si può riscontrare la matrice di quel piano di intersezione tra

matematica, logica, semiotica, la cui esplorazione costituisce la via specifica del mio lavoro

di ricerca: il nome stesso non bisogna intenderlo come una struttura lineare, esso, invece, si

potrebbe qualificare come uno spazio matematico91

, ipotetico, con cui si misura il

legislatore, che sembra l‟unico atto a possedere l‟ arte di dare i nomi e ad esprimere

attraverso di essi la natura delle cose. Anche qui ciò di cui si tratta non è una riproduzione

della cosa bensì un modello nel quale la cosa può riconoscere la sua essenza. Ma se questo

obiettivo sarà raggiunto, la costruzione/convenzione stessa verrà trascesa per lasciare

spazio ad una verità stabile, oggettiva.

Leggiamo quanto afferma Socrate nel Cratilo: “Non bisogna dunque anche denominare

così, nel modo e col mezzo onde natura vuole che le cose si denominino e siano

denominate, e non già secondo l‟ arbitrio nostro [….] “92

?

Il processo di significazione sembra inscriversi all‟ interno di una costruzione,

apparentemente determinata e soltanto convenzionale, ma in realtà se sarà una

costruzione riuscita, quest‟ultima, all‟ interno delle determinatezze esibite, delle

trasformazioni, delle possibili articolazioni, delle differenze specifiche, sarà capace, nella

sua verità, di delineare qualcosa come una natura.

I nomi diventano plastici, relazioni spazializzabili, all‟ interno delle quali è possibile

intravedere la lenta gestazione del vero. Cosi come l‟ icona precede la cosa e il concetto,

allo stesso modo il nome precede il logos, orientandone la direzione93

.

90

Platone, Cratilo, cit., p.12. 91

Preziosa l‟indicazione di F. Lo Piparo: ”Se parole e numeri sono ramificazioni di un medesimo tronco cognitivo,

la riflessione filosofica su numeri e /o nomi non può non tenerne conto:la spiegazione del contare coinvolge

quella del parlare.È temerario pensare che un dialogo così impegnativo come il Cratilo non ne tenga conto”. Angolo

retto e nome ortogonale. I modelli matematici del Cratilo, in Semiotica: testi esemplari. Storia, teoria, pratica, proposte,

a cura di G.Manetti e P.Berretti, Testo & immagine,Torino, 2003, pp. 3-14. 92

Platone, op. cit., pp.12-13 93

Efficaci le parole di F. Vimercati: “Per il pragmatista la parola è la regola generale e universale, certamente non nei

termini di un processo di astrazione dall‟esistente che rappresenterebbe la negazione di un rapporto con il medesimo

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La trama del segno potrebbe essere vista come una riproposizione della “divisione per

generi”, dove l‟icona svolge la funzione di porre la condizione del procedimento diairetico,

nella misura in cui costituisce il luogo in cui stanno insieme identico e diverso. E in questo

senso l‟icona è il luogo dell‟ipotesi, perché deve individuare quali relazioni possibili

possono rivelarsi proficue, al fine di pervenire alla dimensione simbolica. Ma già nel

Sofista viene tematizzato il valore produttivo dell‟immagine, e potremmo dire che già

l‟icastica platonica concorre a delineare tre tratti fondamentali: la valenza formativa

dell‟immagine, il suo stare tra l‟essere e il nulla e quindi il suo carattere possibile,

ipotetico.

Identificato lo sguardo con cui ci si rivolge alla riflessione peirceana, sarà possibile

constatare che se da una parte la ricerca lessicale condotta su termini come, image, likeness,

resemblance ha già fornito garanzie abbastanza solide circa l'idea di un uso non mentalistico

del concetto di rappresentazione, che sostanzialmente coincide con lo stesso concetto di

segno, dall'altra la ricerca lessicale di nature and convention nei primi volumi dei Writings

contribuirà a irrobustire il corpo delle argomentazioni in merito al ruolo fondativo del

concetto di rappresentazione e ad estendere l‟orizzonte in cui viene esercitato tale ruolo,

sino ad arrivare alla elaborazione matura del concetto di icona.

All'interno dei Writings, in diversi scritti viene ribadito che “a simple idea is of intellectual

value to us not for what it is in itself but as standing for some object to which it relates”94

.

Cosi come si è avuto modo di constatare, il concetto di rappresentazione si pone come

speculare rispetto al concetto di segno, lasciando emergere una profonda affinità fra i due

concetti. È bene riprendere la stratificazione della rappresentazione per approfondire

l‟intreccio tra natura e convenzione, che a mio avviso si lascia leggere secondo un‟ottica sia

trascendentale sia fenomenologica, al fine di dispiegare la linea di fondo del presente lavoro

che si incentra sull‟idea che la ricchezza concettuale di concetti quali ground, copy, image,

resemblance, similarity, riveli la loro energia fondazionale.

Peirce afferma in On Representations del 1873 che la rappresentazione dispone di qualità

che sono prescindibili dal suo significato: “Thus, the word „man‟ as printed, has three

letters; these letters have certain shapes, and are black. I term such characters, the material

qualities of the representation”95

. Proseguendo Peirce indica le altre due proprietà, che

consistono nella connessione fisica che la rappresentazione instaura con uno stato di cose

effettivo (referente), e nella relazione che essa istituisce con il pensiero. Focalizzando

l‟attenzione sulla prima proprietà (la qualità materiale), mi sembra si possa dire che la

rappresentazione disponga di un oggetto, nel senso che appronta un oggetto. La

rappresentazione a questo livello fa sapere che ci potrebbe essere un oggetto, d‟altra parte il

valore della rappresentazione non sta in se stessa ma in ciò cui rinvia. Ma in cosa consiste

il contenuto del rinvio? In un oggetto? Non l‟oggetto, però, è disponibile la relazione. Ma

quest‟ultima cosa tiene insieme? L‟idea e l‟oggetto. Le qualità materiali della

rappresentazione, apparentemente neutre, assolutamente prive di significato, costituiscono

uno spazio in cui dimora la distanza tra oggetto e significato.

bensì secondo un processo di identificazione con i concepibili futuri. Solo così il significato di una parola può

costituire l‟essenza della realtà di ciò che essa significa. La parola intesa nella sua individualità, il nome proprio, non

può essere investito di una funzione significativa, ma unicamente di una capacità denotativa. Eliminando l‟elemento

sensibile, il pragmatista il nome proprio dall‟ambito della significazione razionale ed accoglie il simile, l‟elemento

comune, generale e non individuale”. C. S. Peirce, Che Cos‟è il Pragmatismo, a cura di F. Vimercati, Jaca Book,

2000, Milano, p.98 (nota). 94

W3:76. 95

W3:62.

Page 62: Introduzione - UniPa · 2019-11-12 · presente. In questo senso il rapporto istituito dal segno con il referente è un rapporto di implicazione e in questi termini il segno si pone

62

In questo spazio viene indicata una direzione, che crea le condizioni per innescare il

movimento grazie al quale si formerà il significato. Proprio di questo spazio è possibile dare

una lettura sia trascendentale sia fenomenologica, poiché da un lato la rappresentazione

assolve al compito di dar conto del reale sottomettendolo alla sua grammatica, infatti le

cognizioni ultime possono essere colte soltanto dentro la trama rappresentativa; dall‟altro la

rappresentazione espleta tale compito, sia configurandosi come condizione dell‟intelligibilità

del reale, sia provvedendo a costruire gli oggetti possibili del reale stesso. Infatti le altre due

proprietà della rappresentazione sviluppano questa valenza costruttivistica intrinseca all‟atto

rappresentativo. La seconda proprietà della rappresentazione, sebbene si adoperi ad indicare

l‟oggetto esistente, non è bastevole, perché è necessario che la rappresentazione dia conto della

rappresentazione dell‟oggetto indipendentemente dal fatto che esista, e nello stesso tempo la

rappresentazione deve disporre di un livello tale che consenta di rappresentare qualsiasi cosa

la stessa rappresentazione rappresenti.

I vari strati della rappresentazione contribuiscono a creare un percorso lungo il quale si attua

il processo di significazione. Infatti Peirce afferma: “For as „A is B‟ is a representation

which represents that whatever is represented by the representation A is represented by the

representation B, to say that „man is mortal‟ is to say that whatever thing or word „man‟

stands for the „mortal‟ also stands for”96

. Le frasi successive in modo più immediato sono

rivelative della processualità della rappresentazione, cioè del passaggio da una base

materiale ad una dimensione di tipo concettuale (convenzionale). “The logical term is

wanting not only in its reference to the interpreting representation but also in its explicit

reference to its object. It is as it were merely the representative embodiment of the imputed

quality”97

. E non è un caso che, secondo Peirce, le differenze tra i segni sono legate alle

relazioni intercorrenti tra le qualità materiali e le qualità imputate. Ad esempio ci sono

segni, in cui la relazione tra qualità materiale e qualità imputata è di somiglianza, come nel

caso di un quadro, in altri casi come nelle parole è convenzionale, e in altri ancora la

relazione è di tipo fisico. In quest'ultimo caso la relazione, per quanto non ascrivibile alla

somiglianza non è classificabile come puramente convenzionale.

Dunque la rappresentazione ha una base materiale: la qualità materiale, essendo

indipendente e dalla connessione con l‟oggetto e dalla rappresentazione indirizzata ad una

mente, anticipa l'oggetto, le altre due proprietà della rappresentazione lo rendono

intelligibile. La qualità materiale del segno da una parte è fenomenologica, poiché fornisce

una base materiale su cui costruire la rappresentazione o segno, dall'altra è trascendentale,

poiché è all‟interno di questa dimensione, di per sé invalicabile, che si apre il processo di

significazione. In questi termini la qualità materiale del segno è ascrivibile ad una logica di

tipo costruttivista, poiché pone la condizione per la costruzione di un possibile oggetto.

Alcuni passaggi del Chap. 6th del „73 rafforzano questa idea, poiché insistono sul fatto che i

segni non hanno la funzione di riprodurre la realtà bensì di costruirla. Proviamo a seguire i

passaggi per chiarire ulteriormente il rapporto tra segni, pensiero e realtà. “[...] What exists must itself be an object of thought. That is to say thought must be implied as a

part of the meaning of the word. We can have no conception of anything which is not an object of

thought; and a word to which no conception attaches, has no meaning at all. Consequently an

attempt to find a word which shall express a thing that exist without implying that that is a possible

object of thought, will result simply in a meaningless or contradictory expression”98

.

96

W3:64. 97

Ibidem. 98

W3:79-80.

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63

Insomma la parola non ha soltanto un potere denotativo, ma dispone di un corpo, di una

qualità materiale al cui interno è possibile dar conto potenzialmente della qualità imputabile.

Ciò è possibile non perchè a fondamento c‟è la materia, ma perché a fondamento c‟è la

relazione tra materia e concetto; d‟altra parte se non fosse cosi, verrebbe meno l‟assunto

secondo il quale è impossibile accostarsi immediatamente all‟oggetto.

Peirce insiste su tale necessità ineludibile: non può che essere appreso all‟interno della rete

del pensiero l‟oggetto, altrimenti destinato a rimanere inafferrabile, indicibile. Ma ciò non

vuol dire negare l‟indipendenza dell‟oggetto, poiché la prospettiva di Peirce rimane realista

nel senso che il segno riconosce indipendenza all‟oggetto, e proprio per questo si adopera ad

approntare un luogo in cui il reale possa presentarsi e possa esibire la sua identità.

E quindi proprio in questo senso il suo livello primario, in questo caso la sua qualità

materiale, si adopera a porre la condizione della deduzione dell‟oggetto, ma porre la

condizione dell‟oggetto significa dar conto anche dell‟oggetto, perché esso non si trova mai

scisso dalla sua condizione, non c‟è mai l‟oggetto da una parte e il pensiero dall‟altra.

Conviene ripetere, ancora, che se si desse una condizione di questo tipo non potrebbe avere

inizio il procedimento deduttivo del reale. Leggiamo Peirce: “Let us consider the casual connection between the object of cognition and the cognition and the

cognition itself. The reality has an effect on our thought and therefore exist before that thought. But

the object of the final opinion is contingent upon the future event. Thus the existence of some thing

in the present depends upon the future conditional occurrence of a certain event”99

.

Il reale, prima del pensiero, può costituire un input, ma è soltanto dopo, quando sarà

supportato dal pensiero-segno, che esso sarà riconoscibile come tale.

Sempre in riferimento alla fondamentalità della qualità materiale all‟interno del segno sono

pertinenti i passaggi argomentativi di Logic Notebook del „67 in cui Peirce, in modo chiaro,

afferma che la likeness si riferisce a qualsiasi cosa, i cui caratteri siano ascrivibili ad essa, in

questi termini essa non può essere suscettibile di verità o falsità: la likeness non può essere

falsa riguardo a qualcosa, semmai essa sembra proprio assolvere al difficile compito di

approntare un luogo in cui convivono il falso e il vero, infatti essa è come se proponesse i

caratteri possibili dell'oggetto, per quanto questi ultimi potranno essere comprovati e

legittimati solo quando saranno identificati l‟oggetto esistente e l‟interpretante.

2) Peirce e i Medievali

Perché si manifesti all‟interno del processo conoscitivo qualcosa di nuovo, perché in

definitiva si produca qualcosa di nuovo, è necessario partire da questa base, apparentemente

fragile in cui sembra consistere la likeness. Essa è soltanto apparentemente fragile, poiché

addirittura il concetto si realizza grazie ad essa. Infatti Peirce afferma: “When I conceive a

thing as say „three‟ or „necessary‟ I necessarily have some concrete object in my

imagination”100

. L‟atto del concepire è reso possibile dall‟atto dell‟immaginazione, e, come

è stato più volte ribadito, ciò non significa che quest‟ultimo si identifichi con un atto di

riproduzione, poiché il suo referente non è un individuale.

Nelle pagine precedenti è stata trattata proprio questa questione, qui è utile insistere su di

essa perché si intende chiamare in causa l'arcaica questione degli universali e il dialogo che

99

W3:80. 100

W2:10.

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64

Peirce instaura con gli studiosi medievali. Tale richiamo potrà fornire ulteriori elementi, che

si riveleranno idonei a potenziare la perspicuità del discorso peirceano. Per cogliere la

fondamentalità della qualità materiale del segno seguiamo le argomentazioni dell'autore,

incrociate all‟interno della ricerca lessicale dei termini nature, convention, ground,

reference, representation, sign, likeness, similarity. Per dare una risposta, con argomenti

nuovi, alla domanda relativa all‟idea che il referente dell‟immaginazione non sarebbe un

individuale è opportuno partire dalla nota questione: cos‟è la realtà? Esistono gli

individuali?

I significati quale garanzia hanno rispetto alla realtà? Insomma il mondo costruito dal segno

è in accordo con la realtà, o è un universo meramente convenzionale? In un certo senso il

mondo dei segni sembrerebbe esclusivamente scollato rispetto alla realtà, poiché il segno,

anche nel suo livello primario, non corrisponde ad un pezzo della realtà, anzi proprio in

questi termini non c‟è corrispondenza. E allora rimangono separate realtà e segno? I

passaggi argomentativi precedenti rispondono già a queste domande radicali, ma, come è

stato detto, provo a rispondere interpretando gli altri elementi che Peirce integra nel corso

della sua speculazione.

Partiamo dalla seguente definizione del concetto di verità: “Truth belong to signs,

particularly, and to thought as signs. Truth is the agreement of a meaning with a reality”101

.

Ma in che modo due dimensioni così eterogenee convengono? Peirce si affretta ad affermare

che la cosa reale coincide con ciò che viene considerata l‟opinione finale ovvero con quella

che, dopo avere tenuto conto dell‟esperienza, del confronto con altri punti di vista, perviene

a ciò che può essere riconosciuto come reale. I feelings diventano il piano su cui si vedono

gli oggetti, essi non servono soltanto per dar conto degli oggetti ma per esibire anche ciò

che hanno in comune gli oggetti. Un‟indicazione importante è infatti data dal fatto che

l‟oggetto cui si riferisce il segno è indeterminato. E ciò non è fonte di confusione, poiché

tale indeterminatezza è imprescindibile, poiché soltanto qualificandosi come indeterminato

il segno può dedurre un oggetto possibile. Questo è proprio un punto fondamentale che

conviene sempre ribadire, poiché è qui che Peirce espugna la fortezza dell‟ individuale, è la

nozione di segno che consente la demolizione dell‟idea dell‟esistenza di un primum

individuale. Non si dispone mai di due dimensioni assolutamente definite, di cui una è la

riproduzione dell‟altra: la dimensione segnica opera sulla realtà a patto che sia in grado di

costruire un percorso, un ragionamento, a conclusione del quale viene posto un possibile

oggetto.

Peirce in a New Class of Observations, suggested by the principles of Logic ribadisce che

nessuna cosa è individuale e che anche quella più concreta non risulta mai assolutamente

determinata, essa contiene sempre un tasso di indeterminazione. Dal momento che è

impossibile disporre di sensazioni o di oggetti determinati, è necessario prendere in esame le

relazioni tra le cose, piuttosto che le cose, secondo Peirce, e se le relazioni scelte non

risulteranno bastevoli per rendere intelligibili gli oggetti della conoscenza, allora si

provvederà a concepire altre relazioni, in un processo mai arrestabile, in cui

progressivamente potranno emergere sempre nuove relazioni, indispensabili al processo di

significazione.

In Description of a Notation For The Logic of relatives, resulting from an amplification of

The conceptions of Boole‟s calculus of logic Peirce fornisce anche una versione logica della

spiegazione relativa all'inesistenza degli individuali, che argomenta in questo modo:

101

W2:439.

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65

“The logical atom, or term not capable of logical division, must be one of which every predicate

may be universally affirmed or denied. Form, let A be such a term. Then, if it is neither true that all

A is X nor that no A is X, it must be true that some A is X and some A is not X; and therefore A

may be divided into A that is X and A that is not X, which is contrary to its nature as a logical atom.

Such a term can be realized neither in thought nor in sense. Not in sense, because our organs of

sense are special – the eye, for example, not immediately informing us of taste, so that an image on

the retina is indeterminate in respect to sweetness and non-sweetness. When I see a thing, I do not

see that it is not sweet, nor do I see that it is sweet: and therefore what I see is capable of logical

division into the sweet and the not sweet. It is customary to assume that visual images are

absolutely determinate in respect to color, but even this may be doubted. I know no facts which

prove that there is never the least vagueness in the immediate sensation. In thought, an absolutely

determinate term cannot be realized, because, not being given by sense, such a concept would have

to be formed by synthesis, and there would be no end to the synthesis because there is no limit to

the number of possible predicates. A logical atom, then, like a point in space, would involve for its

precise determination an endless process. We can only say, in general way, that a term, however

determinate, may be made more determinate still, but not that it can be made absolutely

determinate”102

.

E così il vero e il significato si costruiscono sulla base di queste relazioni, all'interno di un

processo indefinito di somiglianze e di differenze. La gestione di queste relazioni non può

realizzarsi in un'ottica in cui si tiene fede all'originarietà dell'individuale bensì in una

prospettiva in cui si assume il generale, come luogo possibile in cui maturare il vero.

Dalla prospettiva di Peirce risulta infondata l‟idea che ci possa essere una corrispondenza

speculare tra immagine e referente. Viene fuori piuttosto un'idea della realtà e del pensiero

assolutamente dinamica. Insomma ai segni della mente che sono essenzialmente generali,

corrispondono le cose, ma esse vanno intese non semplicemente come elementi individuali,

ma come realtà inviduali e generali, o meglio come individui aventi una valenza generale.

Non è un caso che, secondo Peirce, l'individuale possa essere suscettibile di essere

infinitamente determinato.

Ma cosi come il generale nel reale è riconoscibile soltanto in fieri, per quanto attingibile

dentro la catena degli individuali, e quindi all‟interno di una materia, di un individuale, di

un oggetto immediato, allo stesso tempo anche il segno necessita di una struttura analoga,

nel senso che il segno deve disporre di una materia per elaborare il generale, il significato, il

quale in quest‟ottica rivela una struttura assolutamente dinamica103

. Quindi una risposta alla

102

CP 3.93. Peirce specifica in nota: “The absolute individual can not only not be realized in sense or thought, but

cannot exist, properly speaking. For whatever lasts for any time , however short, is capable of logical division, because

in that time it will undergo some change in its relations. But what does not exist for any time, however short, does not

exist at all. All, therefore, that we perceive or think, or that exist, is general. So far there is truth in the doctrine of

scholastic realism. But all that exist is infinitely determinate, and the infinitely determinate is the absolutely individual.

This seems paradoxical, but the contradiction is easily resolved. That which exist is the object of a true conception. This

conception may be made more determinate than any assignable conception; and therefore it is never so determinate that

it is capable of no further determination”. Ibidem. A tal proposito in Notes on Symbolic logic, uno scritto del 1901,

Peirce ricorda che: “(As technical term of logic, individuum first appears in Boeth, in a translation from Victorinus, no

doubt of atomon, a word used by Plato(Sophistes,229D) for an indivisible species, and by Aristotle, often in the same

sense, but occasionally for an individual. Of course the physical and mathematical senses of the word were earlier.

Aristotle‟s usual term for individuals is tà kat‟ekasta, Latin singularia, English singulars) Used in logic in two closely

connected senses. According to the more formal of these an individual is an object (or term) not only actually

determinate in respect to having or wanting each general character and not both having or wanting any, but is

necessitated by its mode of being to be so determinate. See Particular (in logic)”. CP 3.611. 103

Interessanti le considerazioni di S. Petrilli e A.Ponzio in merito al rapporto tra Peirce e i Medievali. Essi, dopo aver

sottolineato la profonda conoscenza della filosofia medievale da parte di Peirce, propongono un parallelo tra il segno in

Peirce e Petrus Hispanu, articolando le seguenti corrispondenze: “vox significativa=representamen; significatio or

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66

domanda, relativa al motivo per cui all'immagine non corrisponde l'individuale, sta nella

consapevolezza che sia il pensiero–segno sia la realtà condividono la medesima struttura,

nella misura in cui contengono elementi individuali e generali, e quindi in questo senso non

è possibile concepire corrispondenze di tipo binario quali, ad esempio, immagine visiva e

cosa vista.

Ma proprio qui si avverte il peso della lezione dei Medievali, che vale la pena di sottolineare

esaminando lo scritto del „71 Fraser‟s The Works of George Berkeley. Peirce, dopo avere

messo a confronto il concetto di reale, quello da lui ritenuto più familiare, in cui si ritiene

che il pensiero sia assolutamente influenzato dalle cose esterne, passa ad esaminare un

concetto di reale meno familiare, che spiega in questi termini: sebbene sia imprenscindibile

l‟influenza esterna da parte delle cose e la cosa risulti indipendente dal singolo pensiero,

essa non è già bella e confezionata, pronta per essere spacchettata dal pensiero, ma è essa

stessa in cerca della propria identità, nel senso che si costituisce in itinere, e per realizzare

tale fine si appoggia al pensiero che gli offre la tela su cui incidere il suo profilo. In questo

modo diventa chiara l‟inadeguatezza del modello corrispondentistico, quest'ultimo non è

pertinente, perché non si tratta per il pensiero di trovare le sue riproduzioni nella realtà ma

di assecondare, o meglio di costruire il percorso lungo il quale dirigersi per dispiegare il

significato della realtà. Ma se così stanno le cose, il punto non è quello di trovare una

corrispondenza tra un singolo pezzo di realtà e un singolo pezzo di pensiero, quasi vi

fossero il pensiero e la realtà disponibili come due cose diverse. Infatti, afferma Peirce: “The realist [...] will not, therefore, sunder existence out of the mind and being in the mind as

wholly improportionable modes. When a thing is in such relation to the individual mind that that

mind cognizes it, it is in the mind; and its being so in the mind will not in the least diminish its

external existence. For he does not think of the mind as a receptacle, which if a thing is in, it ceases

to be out of. To make a distinction between the true conception of a thing and the thing itself is, he

will say, only to regard one and same thing from two different points of view; for the immediate

object of thought in a true judgment is the reality. The realist will, therefore, believe in the

objectivity of all necessary conceptions, space, time, relation, cause, and the like”104

.

Dopo avere riferito in merito ai due modi di concepire il reale, Peirce apre il dialogo

direttamente con due studiosi medievali, Scoto e Ockham, esponendo i tratti essenziali delle

loro rispettive teorie, e passando successivamente al modo in cui la tradizione moderna ha

rielaborato la spinossissima questione degli universali. La soluzione proposta da Scoto

risulta, secondo Peirce, apprezzabile, poiché essa mira a far convivere l'individuale e

l'universale. Peirce argomenta la posizione di Scoto, prendendo in considerazione le due

modalità attraverso le quali una cosa può essere nella mente:

representatio=interpret; acceptio pro=to stand for; aliquid (to which the operation of the acceptio is

referred)=dynamical object”. S Petrilli e A.Ponzio, Peirce and medieval semiotics in Peirce‟s Doctrine of signs, edited

by V. Colapietro,T.M.Olshewsky, Mouton de Gruyter Berlin – New York, p. 352. Sulla base di tali corrispondenze è

interessante quanto viene affermato in riferimento ai termini significatio e meaning: “The significatio is not res, as we

may be led to believe on using the term „meaning‟ in the place of „significatio‟, unlesswe intentionall wish meaning to

be understood as significatio, as proces, just as the Tractatus in terms used not only in Peirce‟s pragmatism, but alsoin

the theories of authors, such as Morris, Wittgenstein and Ryle, who criticized reifying and hypostatizing conceptions of

meaning: meanings are not things; to say that there are meanings is not the same as stating that there are trees and rocks;

meanings are inseparable from the signifying process (see Morris 1938 and Ryle 1957)”. Ivi, p.354.

104

W2:471. Peirce afferma in un passo precedente: “[…] General conceptions enter into all judgments, and therefore

into true opinions. Consequently a thing in the general is as real as in the concrete. It is perfectly true that all white

things have whiteness in them [...] that all white things are white; but since it is true that real things posses whiteness,

whiteness is real. It is a real which only exist by virtue of an act of thought knowing it, but that thought is not an

arbitrary or accidental […] but one which will hold in the final opinion”. W2:470.

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67

“A notion is in the mind actualiter when it is actually conceived; it is in the mind habitualiter when

it can directly produce a conception. It is by virtue of mental association (we moderns should say),

that things are in the mind habitualiter. In the Aristotelian philosophy, the intellect is regarded as

being to the soul what the eye is to the body. The mind perceives likenessand other relations in the

objects of sense, and thus just as sense affords sensible images of things, so the intellect affords

intelligible images of them. It is as such a species intelligibilis that Scotus supposes that a

conception exist which is in the mind habitualiter, not actualiter. This species in the mind, in the

sense of being the immediate object of knowledge, but its existence in the mind is independent of

consciousness. Now that the actual cognition of the universal is necessary to its existence, Scotus

denies. The subject of science is universal; and if the existence of universal were dependent upon

what we happened to be thinking, science would not relate to anything real. On the other hand, he

admits that the universal must be in the mind habitualiter, so that if a thing be considered as it is

independent of its being cognized, there is no universality in it. For there is in re extra no one

intelligible object attributed to different things. He holds, therefore, that such natures (i.e. sorts of

things) as man and a horse, which are real, and are not of themselves necessarily this man or this

horse, though they cannot exist in re without being some particular man or horse, are in the species

intelligiblis always represented positively indeterminate, it being the nature of the mind so to

represent things. Accordingly any such nature is to be regarded as something which is of itself

neither universal nor singular, but is universal in the mind, singular in things out of the mind”105

.

La soluzione di Scoto si presenta congeniale all'impostazione peirceana, per quanto non

sovrapponibile106

. Non c'è dubbio che in questa fase della produzione peirceana, il realismo

di tipo logico costituisce un punto di riferimento imprescindibile, e quindi la prospettiva di

Scoto non può che essere accettata pienamente, per quanto l'universale peirceano, avendo

pretese scientifiche, si identifica, più che con un'essenza, con una legge esplicativa del reale,

che serve a dare forma al reale. Anche qui si avverte l‟eco di Kant, poiché l'esistente,

l‟individuale, per quanto irriducibili al concetto, solo all'interno del generale acquistano

significato. Non è un caso che lo stesso Peirce consideri la filosofia kantiana, nel suddetto

testo, come un passaggio dal nominalismo al realismo107

. La prospettiva di Peirce,

105

W2:472-473 106

A. Fumagalli, riferendosi allo studio di Boler sull‟influsso della tradizione scotista nel pensiero peirceano, afferma:

“c‟è un sostanziale accordo fra Peirce e Scoto sul fatto che la natura o la legge devono essere un intelligibile che è reale

e obiettivo. Scoto aveva definito come formalità ciò che può essere correttamente concepito di un oggetto, ed è reale nei

confronti delle operazioni dell‟intelletto. La definizione di realtà di Peirce sembra una riformulazione pragmatica di

questa definizione scotista della realitas o formalitas: la realtà è ciò che è pensato nell‟opinione «ultima». La natura

comune in Scoto non è una res ma una realitas, qualcosa di essenzialmente concepibile, ma reale per le operazioni

dell‟intelletto. «Queste realtà» - o formalità, perché sono formalmente distinte le une dalle altre - non sono né oggetti

fisici né concetti: sono «reali» in quello che Scoto ha chiamato un «modo metafisico». Ci troviamo così con una

definizione di realtà che è ottenuta attraverso un rapporto costitutivo con un intelletto che conosce: l‟analogia con la

reality di Peirce ci sembra a abbastanza evidente”. A. Fumagalli, Il reale nel linguaggio, vita e pensiero, Milano, 1995,

p.221. 107

Quanto ai rapporti tra Peirce, la tradizione scotista e quella kantiana, preziosa la ricostruzione elaborata da

Fumagalli, poiché di ampio respiro e utilissima per un‟adeguata contestualizzazione della prospettiva peirceana

nell‟ambito della storia della metafisica, riguardo al modo di concepire la nozione di individuale. Fumagalli, basandosi

sullo studio di Gilson, ritiene che, a partire da una concordanza tra Scoto e Avicenna riguardo il primato dell‟essenza

sull‟essere, la metafisica avicenniana sia arrivata a Kant attraverso la mediazione di Wolff, che avrebbe condiviso la

posizione di Avicenna, identificando l‟esistenza con un complementum possibilitatis. Kant così si ritrova a fare i conti

con una tradizione di pensiero che ha privilegiato l‟essenza. Contro questa metafisica Kant insorge, rivendicando i

diritti dell‟ esistente, ma quest‟ultimo viene irreggimentato dall‟intelletto. Infatti, quanto alla comprensione del reale la

responsabilità è affidata all‟ intelletto e “il fatto dell‟esistenza ha quindi in Kant un carattere extraconcettuale, ma non

trascendente o extrasoggettivo: l‟esistenza rimane in un contesto logico-trascendentale [...] la funzione della effettività

(wirklichkeit), che corrisponde all‟existence in Peirce, è in Kant, come sarà in Peirce, ridotta a dare al pensiero un

necessario punto di riferimento empirico, nulla di più: non ci si deve aspettare nulla di determinante rispetto alla

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interamente rivolta a trattenere la materia nelle maglie del segno, non può che ritrovare

elementi preziosi nella controversia sugli universali.

Dopo avere esposto la tesi di Scoto, Peirce passa ad esaminare la posizione di Ockham,

della quale ciò che risulta particolarmente interessante per il presente discorso è l'obiezione

relativa alla tesi di Scoto e la negazione oggettiva dell'esistenza delle likeness. Ockham non

comprende, dal momento che le cose sono composte di materia e forma, in quale senso esse

potrebbero essere sganciate da qualsiasi atto mentale e quindi non affida alcuna autonomia

al reale, e quanto alla relazione, che si suppone esistente in sé e per sé, l'autore ribadisce che

non esiste nulla di diverso dalle cose che si trovano in relazione. E non solo ma “[…] this denial he expressly extends to relations of agreement and likeness as well as to those of

opposition. While, therefore, he admits the real existence of qualities, he denies that these real

qualities are respects in which things agree or differ; but things which agree or differ agree or differ

in themselves and in no respect extra animam”108

.

Prosegue affermando che le cose possono essere considerate simili, ma tale somiglianza è

frutto di astrazione nel senso che la mente astraendo, si avvale di segni per designare la

rassomiglianza tra le cose.

Dal dialogo con i medievali, a mio avviso, si comprende meglio come la likeness abbia un

peso importante all'interno della prospettiva peirceana, e come essa investa alcuni dei

passaggi fondamentali della storia della filosofia, poiché rinvia allo spinosissimo problema

del rapporto tra generale e individuale. Riguardo a questo tema capitale, la soluzione fornita

da Peirce, in riferimento agli scritti esaminati, per quanto riconducibile per certi versi alla

tradizione kantiana, annuncia già una direzione, come è stato già notato precedentemente,

che culminerà con l'elaborazione della Faneroscopia, oggetto specifico di riflessione degli

scritti della maturità, in cui il pensatore americano fonderà una visione ontologica della

qualità che contribuirà a inverare i contenuti della riflessione giovanile e si costituirà come

esito di un percorso, la cui evoluzione condurrà a collocare all‟interno di uno spazio logico-

matematico e semiotico sia il concetto di icona che la costruzione dei grafi esistenziali come

luoghi possibili di accesso alle relazioni derivabili dall‟orizzonte metafisico.

3) La likeness negli scritti della logica del ‘73

Prima di arrivare a questi esiti della produzione peirceana, indugio ancora sulle

argomentazioni degli scritti di questa fase. In Chapt.4(33) Peirce insiste sulla impossibilità

di conoscere immediatamente la realtà, posizione sulla quale si è già argomentato. Mi

intrattengo ancora su questo tema, per dar conto del fatto che l‟impossibilità di un approccio

immediato all'oggetto non conduce Peirce a elidere il problema della materia,

dell'individuale, e a privilegiare la valenza generale del pensiero segnico. Al contrario tutta

la fatica della speculazione peirceana sta nel tenere incessantemente in vista - in ogni punto

dell‟argomentazione - la materialità del segno stesso: comunque è da lì che bisogna partire

per avviare il processo di conoscenza. Ma la materialità, perché possa effettivamente

struttura concettuale della realtà […] il fatto dell‟ esistenza ha quindi in Kant un carattere extraconcettuale, ma non

trascendente o extrasoggettivo: l‟esistenza rimane in un contesto logico-trascendentale”. Ivi, p. 228-229. 108

W2:475.

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69

qualificarsi come portatrice di qualcosa di nuovo, deve essere mediata, sebbene ancora non

concettualmente.

In Chapt.4 Peirce propone un esempio: “[…] Supposing the chair to be looked at with one eye. It is clear that the most that can be

impressed upon the retina, is a flat picture of it. The vision of the chair in three dimension, is an

interpretation of this picture; but is not itself the picture. If it is looked at with both eyes, two

differing pictures are made on the two retinas; and the vision of it as one will result from a still

more complicated mental process. In point of fact, however, not even two dimension are given in a

immediate visual sensation; because the retina is not spread out like a sheet of paper; but consists of

innumerable needle- points, which is sensitive. No one of these, gives any sensation of extension,

but only a flash of light without any reference to extension; therefore, all of them together give no

sensation of extension, except so far as the mind is able to interpret the signs of extension which

they present […] But even if the image of the chair in its three dimensions were directly given, as it

is not; still it would not be given as external to the mind. In that sensation there would be contained

no decision, whether it were external or whether it were a dream”109

.

In questi termini, prosegue Peirce, la sensazione è ingannevole, poiché in essa non è

contenuto nessun giudizio di esternalità.

In Chap.4.Of Reality Peirce, approfondendo la natura della sensazione, pone in rilievo come

le nude osservazioni non permettono nessuna operazione di confronto, poiché, afferma

Peirce, l‟atto del comparare non è ricavabile dalle osservazioni, poiché due diverse

osservazioni non possono essere paragonate così come sono in se stesse, ma è possibile

riscontrare differenze e somiglianze con l'ausilio della memoria e di altri processi cognitivi

che producono pensieri a partire da pensieri già elaborati. E quindi le relazioni tra i dati non

sono oggetto di osservazione, ma d'altra parte, come è stato rilevato precedentemente,

nemmeno lo stesso oggetto di osservazione può fare a meno di un‟adeguata elaborazione

mentale. La prova che le osservazioni risultano mediate sta nel fatto che differenti

osservazioni conducono ad una verità comune, ma ciò è possibile grazie all'intervento di un

filtro, che è di natura inferenziale, in caso contrario non sarebbe possibile produrre comuni

riflessioni, poiché le osservazioni fra loro, come ha notato l‟autore, non sarebbero confrontabili,

e quindi risulterebbe impossibile qualsiasi assemblaggio. Sempre nell‟autunno del 1872 Peirce

argomentava affermando che “Mental affection, indeed, cannot in any case be said to produce like sensations independent of

inference, for likeness consists in the fact that a certain conception will result from a comparison,

and therefore supposes inference. But it is conceivable, perhaps, that no man could reach a certain

conclusion except through one determinate series of judgments”110

.

Se da un lato Peirce insiste sulla indubbia natura inferenziale del processo conoscitivo, dall'altra

tiene fede all'indipendenza del dato reale. L‟impostazione peirceana, profondamente legata

all'insegnamento kantiano, non smarrisce l‟impostazione trascendentale, difendendo sempre

l‟indipendenza del reale, infatti, in Chapter I V. Of Reality Peirce ritiene che sia possibile

conciliare due tesi che sembrano apparentemente in contrasto: se da una parte le

osservazioni e i ragionamenti del singolo individuo possono rivelarsi accidentali, dall‟altro

la realtà deve essere identificata con ciò che è pensato nell'opinione vera finale. Superare

l'apparente contrasto è possibile, se si suppone che ciò che viene pensato sia, per quanto non

immediatamente, in the long run coincidente con il reale.

L'argomentazione peirceana segue questo iter:

109

W3:33. 110

W3:48.

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70

“What we think when we have an opinion are thoughts. What is meant by the distinction between

thoughts which exist independent of all thoughts which do not so exist but only exist as thoughts?

This distinction, if it exist, lies in a region wholly out of thoughts nor those of any being whatever

can penetrate. It follows that there is no idea of any sort in our mind or in any possible mind

corresponding to this distinction; it is therefore a distinction in words without any distinction in

sense”111

.

D‟altra parte, prosegue Peirce, se poniamo la questione in questi termini e cioè che un

concetto viene definito vero se ad esso corrisponde una cosa, in base a quanto detto prima,

tale cosa non è possibile identificarla, poiché ad essa non è possibile attribuire alcuna

likeness. Quest‟ultima, infatti, è già essa stessa frutto di un'inferenza, dal momento che si

pone come una relazione. E allora se si afferma che un concetto è vero se corrisponde ad

una cosa effettivamente esistente indipendente da tutto il pensiero, anche in questo caso non

si esce dall'impasse, poiché, opportunamente rileva Peirce, si tratterebbe di una mera

sostituzione di relazioni, nel senso che anche la relazione tra il concetto e la cosa non può

prescindere dal pensiero, essa stessa è messa in atto dalla mente. E quindi può diventare

debole la argomentazione, in virtù della quale esiste una cosa indipendente dal pensiero cosi

come sarà configurata nell‟ “opinione finale”.

Seguendo il filo della ricerca lessicale di nature e convention nei Writings, di likeness,

image, resemblance in The Essential Peirce e in Collected Papers emerge un punto di

snodo importante, che ci permette di capire anche l‟ evoluzione del pensiero di Peirce.

Sono gli anni in cui Peirce matura la massima pragmatica e si adopera a che la filosofia si

appropri del metodo scientifico, ritenuto l'unico in grado di determinare un reale

avanzamento nella conoscenza. L‟adesione al pragmatismo112

contribuisce sicuramente a

consolidare lo statuto dell‟immagine. La straordinaria forza proveniente dalle scoperte

scientifiche, comunque, non sarebbe bastata, se Peirce non avesse avuto lo spessore

filosofico sufficiente di trasferire all'interno del suo sistema quanto fosse stato necessario

per fondare un'adeguata ontologia. Le riflessioni sull'immagine, sul rapporto tra

individuale e generale, si sprovincializzano, poiché l'interesse per la scienza, per la

fondazione corretta di ragionamenti, con tutte le valenze etiche che ne vengono fuori,

coinvolgerà più da vicino, o meglio creerà un piano di convergenza abbastanza solido in cui

si intersecheranno linee semiotiche, logiche, e matematiche. Non è un caso che sin dagli

esordi della riflessione del pensatore americano la semiotica di fatto non compaia slegata

dalle riflessioni logico-matematiche. Se è con il 1885, cosi come sostengono vari studiosi,

che si può parlare di una vera svolta in ambito logico e matematico, già a partire dagli anni

111

W3:56. 112

È utile tenere presente che negli scritti tra il 1903-1905 Peirce puntualizza il concetto di pragmatismo, per prendere

le distanze dalla filosofia pragmatica che intanto si divulgava e che dalla sua prospettiva creava non pochi equivoci. In

modo perspicuo Peirce chiarisce nella lettera a Calderoni i tratti specifici della sua concezione pragmatica rispetto al

credo pragmatico, ormai diffuso, e così afferma: “Nego che il pragmatismo come da me originariamente definito faccia

consistere il significato intellettuale dei simboli nella nostra condotta. Al contrario sono stato molto attento a dire che

consiste nel nostro concetto di ciò che la nostra condotta sarebbe in occasioni concepibili”. Peirce, AL signor Calderoni,

sul pragmatismo (1905), cit., p.1262. Essenzialmente Peirce intende mettere l‟accento sul fatto che secondo il suo

pragmatismo, ora denominato pragmaticismo, il significato è un generale e quindi la sua attenzione è rivolta non ad

un‟azione determinata che si qualificherebbe come un esistente e quindi come un individuale, ma ad un‟azione

concepibile. È proprio la concepibilità ovvero l‟azione ascritta alla Possibilità che costituisce il tratto distintivo della

filosofia pragmatica di Peirce. È in virtù di questa apertura al futuro e ai possibili modi di inferire che al pragmatismo è

consentito di tenere insieme le diverse dottrine del suo sistema, poiché il carattere possibile dell‟azione pragmatica

diventa il baricentro dell‟intelligibilità di termini quali icona, primità e abduzione che certamente sintetizzano in modo

originale la speculazione peirceana.

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„70 è riscontrabile un ampliamento significativo dei confini della riflessione del filosofo

americano.

Prima di legare il discorso sull' immagine e sul rapporto tra individuale e generale a nozioni

quali credenza (belief ), abito (habit), è opportuno ricordare che già in Some Consequences

of four incapacities Peirce pone in evidenza come lo statuto generale dell‟immagine sia

legato essenzialmente alla natura inferenziale della conoscenza. Se il rapporto tra la mente

conoscente e il reale non è mai immediato ma mediato, perché inferenziale, risulta chiaro

che non è possibile inferire immagini assolutamente singolari. Ma Peirce spiega che bisogna

tenere presente che se con il termine singolare si intende qualcosa di esistente in un

determinato spazio e in un determinato tempo, evidentemente questo è possibile supporlo.

Ma se con tale termine “si intende ciò che è assolutamente determinato in tutti i rispetti”

allora in questo caso non è disponibile alcuna via per accedervi. È importante ricordare che

non abbiamo alcun potere intuitivo per distinguere fra i vari modi soggettivi di cognizione;

e quindi spesso pensiamo che qualcosa ci si presenta come un'immagine immediata, mentre

in realtà è costruito dall'intelletto sulla base di esili dati. Questo è il caso dei sogni, come si

dimostra dalla frequente impossibilità di darne un racconto intelligibile senza aggiungere

qualcosa che avvertiamo non essere nel sogno stesso. Molti sogni, che la memoria, da

svegli, ha trasformato in storie elaborate e coerenti, probabilmente, di fatto, devono essere

stati meri miscugli di sentimenti ”113

.

È utile ribadire queste considerazioni, per porre in evidenza che la dimensione

dell'immagine acquista uno spessore teoretico, poichè è supportata da tesi fondamentali quali

la negazione dell‟intuizione, dell'assolutamente inconoscibile, e l‟impossibilità di disporre di un

pensiero senza segni.

L'immagine ha valenza fondativa, è uguale a se stessa, ma la sua stessa identità si sporge

verso altro, è come se fosse un solido con un doppio fondo. Se guardiamo bene dentro

scopriamo un'altra cosa dentro la prima. Insomma comprendere che le immagini non

possono essere copie delle sensazioni, è giustificato dal principio che anima tutta la

prospettiva peirceana che consiste essenzialmente nella natura inferenziale del pensiero:

tutti i vari plessi della struttura conoscitiva rispondono ad una esigenza di tipo inferenziale.

La prova della solidità della struttura dell'immagine potrebbe essere data dal modo in cui

essa si inserisce nell‟ambito della riflessione su nozioni quali credenza, abito, concetti dai

quali germoglierà il pragmatismo, un altro asse importante del pensiero peirceano. L'innesto

dell'immagine all'interno della prospettiva pragmatica ci permette non soltanto di cogliere

l'unità e la coerenza del pensiero peirceano, attestata dalla declinabilità della medesima

prospettiva nelle diverse filosofie dell‟autore, ma anche di apprezzare il modo in cui il

pragmatismo rafforzerà lo statuto dell‟immagine aprendola al dialogo con le questioni

centrali del pensiero filosofico. Infatti in questi scritti che preparano i testi degli anni „77-

„78, ci sono già le coordinate del nascente pragmaticismo e del rapporto che quest‟ultimo

intrattiene con le grandi questioni della tradizione.

Per dar conto di questi elementi procediamo a partire da Chap.5th del „73, in cui Peirce

definisce il termine credenza qualificandola come un abito che permette il transito da

un'idea ad un'altra. Qui l'autore precisa che la credenza non soltanto non è disponibile come

qualcosa di presente nell‟immediato, ma è anche indisponibile in un determinato periodo,

poiché essa non si offre come un dato presente alla mente ma come un‟ abituale

connessione tra le cose. Già la definizione di credenza (belief) ci permette di cogliere la

113

Peirce, Some consequences of four Incapacities, cit., p.103.

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necessità di pensare il „fra‟ le cose più che le cose. Infatti la credenza si adopera a che le

idee possano saldarsi insieme secondo regole generali, ed essa è sempre in atto, se cessa di

esserlo non è più definibile come credenza, ma ciò impedisce alla credenza di essere

oggettivata e quindi Peirce afferma: “A thought must therefore be a sign of a belief; but is

never the belief itself”114

.

Le medesime considerazioni valgono per il concetto di inferenza, e anche per una semplice

idea, infatti, aggiunge Peirce, il valore di un'idea risiede nel suo carattere di rinvio più che

nella sua inseità. Se lo statuto della credenza è tale, è evidente che saranno le relazioni tra le

idee attivate in un tempo indefinito a determinare il vero. Paiono cosi dominanti in questo

contesto il rinvio e la naturale sporgenza del pensiero verso il futuro, infatti la specificità

della credenza risiede nella capacità di un trasferimento (translatio) incessante di segno in

segno. La credenza, potremmo dire, unisce il passato al futuro, nel senso che se da una parte

volge lo sguardo indietro, poiché si appoggia ad un pensiero-segno, già compiuto, dall‟altra

proietta in avanti il suo raggio di azione, poiché il suo significato consiste negli effetti che

esso determina su altri pensieri. Il valore, infatti, di una cognizione sta nella capacità di dare

origine ad altri significati. Infatti Peirce afferma: “And the existence of a cognition is not

something actual, but consists in the fact that under certain circumstances some other

cognition will arise”115

.

La conoscenza parte sempre dal già noto per approssimarsi al non ancora noto: a parte le

ascendenze hegeliane di questa impostazione, e la coerenza con la quale viene ripresentata

negli scritti maturi degli anni „77-„78, è importante sottolineare come venga supportata e

sviluppata la tendenza a svelare dell‟immagine non già l‟aspetto informativo bensì quello

formativo.

L‟impalcatura pragmatica contribuisce a far riconoscere in quella che di fatto è la pratica del

metodo scientifico la natura profonda, se così possiamo dire, del livello base del segno, nel

senso che nei primi livelli del segno è in atto la capacità di presentare qualcosa: non già

quella statica di riproduzione di qualcosa di già dato, ma quella dinamica, che consiste nel

presentare qualcosa che è in fieri, che è pronto a trasferirsi verso altro, nella misura in cui la

sua energia non viene soppressa, al contrario continuamente erogata. E quindi in questo

senso l'immagine appare da una parte statica, poiché sembra riprodurre qualcosa, dall'altra si

protende verso altro. È la somma di questi due aspetti che fanno dell'immagine una struttura

fondativa.

Cosi come il pensiero non può contenere tutta la riserva di significato che si sprigiona dalla

credenza, cui esso mette capo, allo stesso modo l'immagine trascende la sua materialità,

poiché la sua natura è incessantemente differita, o meglio nel suo differire l‟mmagine trova

la sua natura.

Il binomio ragione-osservazione, già riscontrabile nell‟ambito dell‟analisi precedente,

diventa congeniale alla riflessione sul metodo scientifico e all‟elaborazione del metodo

pragmatico. Essenzialmente il carattere progettuale, aperto al futuro e il carattere

sperimentabile propri dell‟idea pragmatica di conoscenza – in seguito denominata

pragmatici sta - si riveleranno idonei a dar conto della struttura dell‟immagine, nella misura

in cui condivide con essa i medesimi caratteri.

In particolare gli scritti degli anni „77-„78 sul piano epistemologico avrebbero la funzione di

far capire che i tre modelli di ragionamento, deduzione, induzione, ipotesi, si rivelano

114

W3:76. 115

W3:77.

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egualmente indispensabili al metodo scientifico e che lo spazio dell‟inferenza e quello del

segno coincidono, dal momento che si ritrovano alla base di ogni processo conoscitivo. Così

anche sul piano epistemologico si proverebbe il connubio tra la dimensione razionale e

quella osservativo-immaginativa.

4) Il pragmatismo e le nozioni di likeness e hypothesis negli scritti ‘77-‘78

In base a queste considerazioni diventa necessario spostarsi temporalmente verso gli scritti

degli anni „77-„78, nei quali vengono arricchiti ed elaborati i concetti che contribuiranno a

formare la dottrina del pragmatismo, già essenzialmente anticipati tra il „72 e il „73, che

sono funzionali a dispiegare la tesi di fondo del presente lavoro116

.

I saggi pubblicati sul Popular Science Monthly tra il 1877 e il 1878, sebbene già anticipati sia

dai testi del „68 che dalla logica del „73, assolvono alla funzione di tradurre le tesi di fondo

esposte precedentemente all'interno di un contesto diverso, che è quello epistemologico. In tale

ambito la domanda è: come si passa dal già conosciuto al non ancora conosciuto? Cos‟è che

ci permette di compiere quel balzo in avanti tale che sia possibile guadagnare inediti

significati? Qual è il metodo idoneo a raggiungere tale obiettivo? Come sempre avviene nel

caso di un autore come Peirce, che certamente non può essere accusato di chiudere il

pensiero entro settori angusti, la risposta a queste domande arriva anche dalla cultura del

suo tempo, testimoniata dalle acquisizioni che intanto il filosofo accumula in diversi ambiti

disciplinari. L‟utilizzo originale dell'evoluzionismo, la valorizzazione del concetto di

continuità, le nuove acquisizioni della logica dei relativi, che avevano dato vita al testo

Description of a Notation for the Logic of Relatives, resulting from an Amplification of the

Conception of Boole‟s Calculus of Logic, il confronto con gli intellettuali del Metaphysical

Club, ambiente vivace e vario per le diverse prospettive culturali che in esso confluivano,

contribuiscono a fondare il metodo pragmatista, che non va confuso, come precisò lo stesso

Peirce, successivamente, con quello elaborato dai suoi contemporanei.

Peirce, ne Il fissarsi della credenza, un saggio interessato a demolire ogni forma di

dogmatismo, incentra la sua ricerca sulla individuazione di quei principi guida del

ragionamento che possano garantire un corretto procedimento per approssimarsi alla verità.

Per realizzare questo obiettivo è necessario effettuare una sorta di “speleologia” razionale al

fine di comprendere che ciò che viene presupposto come dato si riveli, dopo un'attenta

analisi, frutto di un processo inferenziale. Infatti anche il darsi della qualità, afferma Peirce,

non è frutto dell‟osservazione, bensì prodotto di un'operazione logica. Quindi, Peirce,

convinto del fatto che non bisogna presupporre alcunché nel ragionamento, poiché qualsiasi

contenuto mentale non si presenta mai in forma immediata bensì mediata, prosegue la sua

analisi descrivendo il percorso effettuato dal pensiero per raggiungere una credenza stabile,

capace di apportare qualcosa di nuovo alla conoscenza. Da uno stato di incertezza, di dubbio

si cerca di liberarsi per approdare ad una credenza, la quale potrà garantire uno stato di

quiete e orientamento per la condotta da intraprendere nelle diverse situazioni. Il

116

Sini, infatti, afferma: “Già nel 1872-1873 Peirce elaborerà […] la cosiddetta logica del „73, che è nient‟altro che un

abbozzo dei saggi del 1877-78, un abbozzo già completo nelle sue linee essenziali”. C.Sini, Il pragmatismo americano,

Bari, Laterza1972, p. 186.

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raggiungimento di una credenza stabile si pone come l'obiettivo autentico della ricerca e la

credenza si identifica con ciò che Peirce definisce come abito:

“Quello che ci determina a trarre, da premesse date, un'inferenza piuttosto che un'altra è un certo

abito mentale, o costituzionale o acquisito. L'abito è buono o non lo è, a seconda che produca o non

produca conclusioni vere da premesse vere; e un'inferenza è considerata valida o invalida, a

prescindere dalla verità o dalla falsità specifica delle sue conclusioni, a seconda che l'abito che la

determina sia tale da produrre o da non produrre, in generale, conclusioni vere. Il particolare abito

mentale che governa questa o quella inferenza può essere formulato in una proposizione la cui

verità dipende dalla validità delle inferenze che l'abito determina; e una tale formula è chiamata

principio–guida di inferenza”117

.

Ma qual è il metodo che consentirà di raggiungere un abito buono? Dopo un'analisi dei

metodi proposti dalla tradizione quali il metodo della tenacia, il metodo dell'autorità e quello

della ragione a priori, l'autore perviene alla conclusione che di fatto tali metodi si

equivalgono riguardo agli errori effettuati nel procedimento conoscitivo.

Essenzialmente, sebbene il metodo a priori possa risultare più raffinato, di fatto i metodi,

ora presi in considerazione, risultano assimilabili, poiché pretendono di innescare il

processo della conoscenza a partire da qualcosa di già stabilito sia essa la tenacia sia

l'autorità siano esse le forme a priori. È il metodo della ricerca scientifica che può

qualificarsi come il metodo privilegiato, perché è affrancato da qualsiasi dimensione

soggettivistica e costruisce i suoi concetti sulla base del confronto diretto con l'esperienza. Il

metodo scientifico diventa il metodo per eccellenza, poiché non è di parte. Esso non

pretende di avvalersi di un‟impalcatura già precostituita o di imporla con la forza o con

l‟autorità.

La garanzia del metodo scientifico sta nell'indipendenza della realtà, nella consapevolezza

che l'atto del conoscere deve condurre la ragione ad aprirsi agli input provenienti dal reale, e

proprio questa disponibilità darà alla ragione più forza, perché essa potrà trovare un

fondamento oggettivo e all'interno di questo piano oggettivo scoprire le profonde relazioni

che la legano al reale. Insomma il punto è che la ragione può sperare di capire la realtà non

certo respingendola e sostituendola con i propri principi, ma al contrario facendo lo sforzo

di andare incontro ad essa. Ma in questo incontro la ragione scoprirà la forte relazione che la

lega al reale, una relazione che le si rilveli in termini di somiglianza. Si scopre che c'è una

parte dura all‟interno della ragione, un fondo materiale, che è dovuto al piedistallo che la

ragione offre al reale per sorreggersi e presentarsi, e, al tempo stesso, il reale con la sua

indipendenza offre alla ragione una base oggettiva.

Infatti Peirce, come aveva già affermato nei saggi del „68, ribadisce la necessità della

presenza di elementi esterni perché il pensiero possa procedere con la conoscenza: “per

soddisfare i nostri dubbi, è necessario trovare un metodo in base al quale le nostre credenze

siano determinate da niente di umano, bensì da qualche permanenza esterna – da qualcosa

sopra cui il nostro pensiero non abbia nessun effetto […]. ci sono cose reali, le cui

caratteristiche sono interamente indipendenti dalle nostre opinioni; queste cose reali

agiscono sui nostri sensi secondo leggi regolari, e sebbene le nostre sensazioni siano

differenti quanto sono differenti i nostri rapporti con gli oggetti, tuttavia, giovandoci delle

leggi della percezione, possiamo accertare mediante il ragionamento come le cose realmente

e veramente sono; e ogni uomo, se avrà sufficiente esperienza e se ragionerà abbastanza

117

Peirce, Il fissarsi della credenza,(1877), cit., p. 359.

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sulla sua esperienza, sarà condotto all'unica vera conclusione. La concezione nuova qui

implicata è quella di realtà”118

.

Come rendere chiare le nostre idee sviluppa l'indicazione proveniente dal precedente

saggio, consistente essenzialmente nella necessità dell'adozione del metodo scientifico per

comprendere come esso sia utile nel passaggio da uno stato di disagio quale può essere

quello del dubbio, della incertezza ad uno stato di credenza.

E così, riecheggiando il Teeteto, il problema sembra ancora quello relativo alle modalità

secondo le quali è possibile distinguere una credenza vera da una credenza falsa.

Infatti Peirce ritiene che la credenza abbia la funzione di debellare il dubbio al fine di fissare

una regola per l‟azione, di creare un abito. Tutta la fatica del pensiero viene messa alla

prova nella capacità di uscire dal dubbio per raggiungere la credenza, e in questo

movimento viene espressa la sua creatività con l'elaborazione di ipotesi, che siano in grado

di reggere l'impatto con la realtà. La formulazione dell‟ipotesi, che si avvale a sua volta

della struttura dell'immagine, diventa il piano in cui ha luogo il movimento che dal dubbio

perviene alla credenza, la quale potrà esibire la sua verità soltanto in un tempo indefinito,

mantenendosi incessantemente aperta alla comunità interpretante. Peirce infatti afferma: “Comunque sorga, il dubbio stimola la mente a un'attività che può essere debole o energica, calma o

turbolenta. Le immagini passano rapidamente attraverso la coscienza, fondendosi incessantemente

l'una nell'altra, finché, quando tutto è finito – in una frazione di secondo, o in un‟ ora, o dopo lunghi

anni –, ci troviamo decisi su come dobbiamo agire in circostanze simili a quelle che hanno dato

origine alla nostra esitazione. In altre parole abbiamo conseguito la credenza”119

.

Le ipotesi elaborate potranno condurre così il pensiero ad una credenza stabile,

determinando una tregua tra la cessazione del dubbio precedente e quello che risorgerà

successivamente, a condizione che la credenza presa in considerazione determini una regola

inedita, significativa per l'azione. Quindi rispondendo alla domanda riguardo al criterio di

distinzione tra le varie credenze, Peirce afferma che le credenze si differenziano in base alle

diverse regole che esse stesse mettono in atto. La distinzione può essere identificata soltanto

su un piano pratico, di fatto la distinzione tra i significati si pone come una differenza

pratica. Diventa importante il concetto di significato che nelle pagine di questo testo viene

messo a punto, poiché con molta forza viene affermato che il significato di una cosa si

identifica con le operazioni, con gli abiti che la cosa stessa mette in atto. Infatti, afferma

Peirce: “la nostra idea di qualsivoglia cosa è l'idea che abbiamo dei suoi effetti sensibili […]

Consideriamo quali effetti che potrebbero concepibilmente avere conseguenze pratiche noi

concepiamo che gli oggetti della nostra concezione abbiano. Allora, la nostra concezione di

quegli effetti è la totalità della nostra concezione dell‟oggetto”120

.

Se la chiarezza delle credenze è raggiungibile su un piano pratico, da questo stesso

scaturiscono i concetti di realtà e di verità.

Il piano pratico diventa quello su cui non soltanto si apprezza la chiarezza delle idee, ma

anche l'elaborazione di un nuovo concetto di realtà e di verità. In che modo è concepibile la

realtà? Essa non si configura più come un presupposto. Si potrebbe dire che, dopo

l‟idealismo, la prospettiva peirceana costituisce per certi versi un modo nuovo, pur

attingendo alla tradizione, di negare il presupposto realistico. In che senso? La realtà perde

il suo carattere sostanziale, poiché si identifica con gli effetti che essa produce, con le

operazioni a cui essa conduce: non è più un punto di partenza, la sua identità si rende

118

Peirce, Una nuova lista di Categorie, cit., p. 68. 119

Peirce, Come rendere chiare le nostre idee (1878), cit., p.380-381. 120

Ivi, p. 384.

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disponibile a partire dalle sue produzioni, piuttosto che da una presunta essenza, già da

sempre costituitasi. Se operare secondo il metodo scientifico significa sottoporre al vaglio

dell'esperienza il carattere inedito delle ipotesi elaborate, senza presupporre alcunché né

dalla parte della mente né dalla parte della realtà, la verità sarà concepita come il risultato

di un percorso nel quale si potranno riconoscere tutte le menti coinvolte e quindi come

risultato condiviso, perché raggiunto con l'apporto di tutta la comunità seriamente

impegnata nella ricerca scientifica. La realtà cosi come il pensiero si ritrovano in cammino

verso la loro identità. In modo chiaro in proposito Peirce afferma: “L‟ opinione, nella quale,

fatalmente, tutti coloro che indagano si troveranno in definitiva d'accordo, è ciò che

intendiamo con verità, e l'oggetto rappresentato in questa opinione è il reale. In questo modo

io spiegherei la realtà”121

. Subito dopo, lo stesso Peirce risponde all'insorgenza di una

possibile obiezione riguardo alla contraddizione riscontrabile nell‟affermare la necessità

dell‟indipendenza della realtà dal pensiero e nello stesso tempo la sua dipendenza da

quest‟ultimo. Ma la risposta, secondo Peirce, sta nel fatto che la realtà è indipendente dai

singoli pensieri ma non dal pensiero in generale. Questa affermazione sembra rimettere le

cose a posto rispetto alla posizione assunta dall'autore nei confronti della ragione a priori,

poiché se da una parte non vengono risparmiate critiche all‟a priori, dall'altra viene fuori

una cooperazione tra reale e pensiero, che comunque sembra assimilabile ad una prospettiva

di tipo trascendentale. Sia il reale sia il pensiero, concepiti come dimensioni assolutamente

dinamiche, convengono e mediante questa convergenza producono conoscenza e si

autostrutturano reciprocamente122

.

Con i saggi successivi l'analisi travalica i confini del metodo scientifico ponendo in luce che

il vero obiettivo non è quello di assolutizzare il metodo scientifico, ma di dar conto della

forza esplicativa della massima pragmatica sottoponendo al suo vaglio la stessa grammatica

del metodo scientifico. Ma questo diventa possibile, poiché l'orizzonte dell'analisi si va

estendendo sino a coinvolgere, come si è avuto modo di constatare, i concetti stessi di realtà

e le diverse forme di ragionamento e quindi il metodo sperimentale diventa uno degli ambiti

a cui applicare il nuovo metodo pragmatico.

L'accento posto sulla specificità dell‟inferenza sintetica rispetto a quella deduttiva, in La

probabilità dell‟ induzione, a proposito della possibilità dei giudizi sintetici a priori ha lo

scopo di porre in evidenza come ciò che ci fa progredire nella conoscenza è la somiglianza

tra le relazioni, tra le operazioni mediante le quali attingiamo nuovi contenuti conoscitivi.

Leggiamo Peirce in merito alla differenza tra inferenza analitica e inferenza sintetica: “Quando traiamo una conclusione deduttiva o analitica, la nostra regola di inferenza è che fatti di un

certo carattere generale sono, sempre o in una certa proporzione di casi, accompagnati da fatti di un

altro carattere generale. Essendo allora la nostra premessa un fatto della prima classe, inferiamo,

con certezza o con l'appropriato grado di probabilità, l'esistenza di un fatto della seconda classe.

Ma la regola dell'inferenza sintetica è di un altro tipo. Quando campioniamo un sacco di fagioli noi

non assumiamo minimamente che il fatto che alcuni fagioli siano viola implichi la necessità, o

121

Ivi, p. 391. 122

A tal proposito condivisibile la tesi di Fumagalli in merito al forte legame tra Kant e Peirce, sottolineata anche in

riferimento all‟analisi di questi scritti. Riguardo invece la critica mossa nei confronti dell‟assolutizzazione del metodo

scientifico espressa da parte di Peirce in merito alla dottrina della transustanziazione, si potrebbe osservare che la

necessità di un elemento sensibile, secondo Peirce, non è soltanto necessario nel metodo sperimentale, ma è

imprescindibile anche in altre forme di conoscenza come quella matematica, logica,semiotica persino metafisica. La

necessità di un elemento materiale e al tempo stesso già mediato o meglio la necessità della mediazione immediata per

poi constatarne il suo dispiegamento pare essere il nucleo concettuale più inedito della speculazione peirceana. Forse il

metodo scientifico costituisce l‟evidenza maggiore di questo inedito.

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anche la probabilità, che altri fagioli lo siano. Il colore di un fagiolo è interamente indipendente da

quello di un altro. Ma l'inferenza sintetica si fonda su una classificazione dei fatti non secondo i loro

caratteri ma secondo la maniera di ottenerli. La sua regola è che un numero di fatti ottenuti in un

dato modo assomiglierà generalmente più o meno ad altri fatti ottenuti nello stesso modo; ovvero

esperienze le cui condizioni sono le stesse avranno gli stessi caratteri generali”123

.

Le insistenze argomentative sulla specificità dell'inferenza sintetica sono fondamentali,

poiché da parte di Peirce si intende mettere in evidenza che se in un argomento deduttivo le

premesse contengono i contenuti che essenzialmente si esplicheranno, nell‟inferenza

sintetica la conclusione probabilmente ci condurrà verso una conclusione inedita, nel senso

che conterrà elementi non presenti nelle premesse. Quindi, afferma Peirce, “nel caso dell‟inferenza analitica conosciamo la probabilità della nostra conclusione (se le premesse

sono vere), ma nel caso delle inferenze sintetiche conosciamo solo il grado di affidabilità del nostro

procedimento. Poiché tutta la conoscenza deriva dal ragionamento sintetico, dobbiamo inferire

ugualmente che tutta l'umana certezza consiste solamente nel fatto che sappiamo che i processi dai

quali è derivata la nostra conoscenza sono tali che devono aver generalmente portato a conclusioni

vere. Benché un'inferenza sintetica non possa in alcun modo essere ridotta a una deduzione, tuttavia

che la regola dell‟induzione sarà valida a lungo andare lo si può dedurre dal principio che la realtà è

solo l‟oggetto dell'opinione finale a cui un'investigazione condurrebbe. Che la credenza tenda

gradualmente a fissarsi sotto l'influenza dell'indagine è, invero, uno dei fatti con cui la logica ha

inizio”124

.

Peirce, oltre che in questo testo, già nel marzo del 1878 in La dottrina della probabilità e

nell'agosto dello stesso anno in Deduzione, induzione e ipotesi insiste sul carattere sintetico

della conoscenza, poiché essenzialmente è quello che ci può assicurare un reale incremento

conoscitivo. E proprio in vista di questo scopo, perché il procedimento conoscitivo risulti

autenticamente aperto al dialogo con l‟esperienza, è necessario obbedire a determinate

regole, perché lungo il corso della ricerca scientifica non venga assunta alcuna premessa

dogmaticamente e perché un‟ipotesi possa essere utilizzata in modo corretto, è necessario

elaborare un‟adeguata osservazione e procedere alla valutazione delle possibili conseguenze

dell‟ipotesi considerata, includendo anche le previsioni che potrebbero ostacolare le

assunzioni poste. D‟altra parte questo procedimento è necessario affinchè si afferma il

sapere vero, affrancato da ogni metodo di tipo autoritario o dogmatico. Ma se da un lato il

ragionamento deve mostrare la sua libertà da qualsiasi presupposizione, dall'altra non può

trovare conforto in qualche legge già bell'è pronta e disponibile nel reale, poiché anche

quest‟ultimo, sottoposto al metodo pragmatico, guadagnerà la sua fisionomia in fieri,

insieme al modo in cui si configurerà la ricerca scientifica. Pensare ad una struttura già

prestabilita all'interno del cosmo significa ricadere in un‟ impostazione di tipo dogmatico.

Il reale costruisce in itinere la sua identità cosi come il ragionamento procede verso la

verità: i due percorsi risultano inscindibili.

Ne L‟ordine della natura Peirce critica diffusamente il principio posto da John Stuart Mill,

secondo il quale la natura disporrebbe di un‟uniformità già prestabilita, poiché l‟assunzione

di un disegno nell'universo comporta l‟oggettivazione del cosmo nella sua interezza, ma

questa operazione trascende le possibilità della mente, e dal momento che ciò che non è

oggetto del pensiero non è reale, perciò stesso si qualifica come inconoscibile e, in quanto

tale, privo di significato. E così l‟autore, in linea con tutta la riflessione dispiegata nei saggi

123

Peirce, La probabilità dell‟induzione,(1878), cit., p. 1050. 124

Ibidem.

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del 68, conferma all‟ interno di un sistema di riferimenti più ampio la sua tesi di fondo,

riassumibile nella negazione recisa di qualsiasi atteggiamento postulatorio sia nella struttura

del reale sia in quella del pensiero.

Nell‟ economia del presente discorso questi rapidi cenni ai saggi del „78 hanno la funzione

di evidenziare il senso dell‟elaborazione del metodo pragmatico nell‟ ottica peirceana. La

forte polemica che si evince da alcune affermazioni dei testi, ora citate, non si esaurisce

nella solita critica acerrima da parte dell‟ autore nei confronti della prospettiva dogmatica.

In realtà questi toni appassionati per una ricerca scientifica, libera da impalcature concettuali

precostituite, ritenute trappole nelle quali inciampa il fecondo processo della conoscenza,

anticipano la creazione di un sistema adeguatamente fondato sul piano logico- matematico,

semiotico e categoriale. La distinzione tra il ragionamento analitico e quello sintetico,

presente nei saggi citati, e in modo sistematico tematizzata nell‟ultimo, in ordine

cronologico, dei saggi del „78, non è funzionale semplicemente a far cogliere lo spessore

creativo del sintetico rispetto all‟analitico ma soprattutto ad aprire la strada, sfruttando le

acquisizioni forti provenienti dalla logica dei relativi, dal principio di continuità, e anche

dalla stessa cultura evoluzionistica, verso un nuovo tipo di ragionamento idoneo a coniugare

sintesi e analisi.

Non si tratta certo di ricadere nell‟errore, da cui l‟autore prende le distanze in Deduzione,

induzione e ipotesi, di ridurre il sintetico all‟analitico, ma di concepire la deduzione come

uno sviluppo dell‟ipotesi, di pensare alla deduzione in modo completamente diverso rispetto

alla tradizione. Infatti Peirce pensa ad un ragionamento che valorizzando l‟autonomia delle

inferenze sintetiche sia in grado di includere il momento deduttivo, un ragionamento che,

partendo da un‟ipotesi, sia in grado di darne conto attraverso una dimostrazione, che avrà

una conclusione necessaria, ma della quale le premesse non possono anticipare i contenuti,

poiché, nel caso in cui si desse tale condizione, ricadremmo, secondo Peirce, nell‟errore di

ricondurre il sintetico all‟analitico. Vero è che il ragionamento deve concludere in modo

necessario, ma non secondo la struttura del ragionamento analitico, ma secondo

un‟impostazione che ancora il filosofo deve fondare. Ciò che già comincia a diventare un

perno del sistema di Peirce è l‟idea che deduzione e ipotesi non siano così separate. Per

realizzare l‟idea che la deduzione possa divenire sviluppo dell‟ipotesi e che quindi l‟analisi

e la sintesi possano configurarsi profondamente interrelate, mancano ancora tanti plessi, che

saranno costruiti negli scritti della maturità: l‟idea di una logica aperta alla dimensione

indicale e iconica,oltre che simbolica, la riflessione sul ragionamento matematico,

l‟identificazione della logica con la semiotica. La costruzione di questi pilastri essenziali

per “l‟architettonica” di Peirce riuscirà a fondare in modo completo e trasversale il connubio

ragione e immaginazione.

Sebbene Peirce non riesca ancora a rifondare su nuove basi il suo sistema logico, che

costituirà la chiave di accesso per la sua nuova ontologia, non mancano, in questi scritti,

come d'altra parte negli scritti che li precedono, le tracce per seguire l‟autore nella fatica di

assestare la base teoretica delle acquisizioni giovanili e nel mettere a frutto quelle della

maturità.

Intanto i riferimenti che fanno da sfondo all‟elaborazione di questi scritti del „78 ovvero le

acquisizioni della logica dei relativi, l‟adesione alla nascente idea di continuità, e della

cultura evoluzionista risultano adeguatamente utilizzati, e costituiscono indizi importanti per

seguire le tracce dell‟evoluzione del pensiero peirceano. Proprio l‟enunciazione della

massima pragmatica esemplifica gli esiti della logica dei relativi, conseguiti nello scritto del

„70', nel senso che il significato di una cosa coincide con le relazioni, con le operazioni che

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la cosa stessa determina. Sono i procedimenti, le operazioni, la costruzione che verrà messa

in atto che dispiegherà la cosa stessa. In un passaggio precedente si affermava che la qualità

non è immediata, ma è il frutto di un‟inferenza, in altri passaggi Peirce afferma il medesimo

punto di vista a proposito del concetto di spazio e del concetto di tempo. Il significato è un

risultato, e le relazioni sono fondative della cosa.

Se si tiene fede al principio kantiano, ribadito più volte da Peirce, secondo il quale i concetti

fondamentali della metafisica scaturiscono dalla logica, è utile soffermarsi su alcune nozioni

presenti in Descrizione di una notazione per la logica dei relativi che risulta da un

ampliamento dei concetti del calcolo logico di Boole per porre in evidenza come Peirce

applichi costantemente questo principio. La formalizzazione logica infatti costituisce una

ribalta necessaria per comprendere come stanno le cose nell‟architettonica peirceana, in

particolare la nozione di relativo e l‟adozione del segno di inclusione sicuramente

costituiscono i presupposti logici anche dell‟ottica pragmatica che viene fuori dai saggi del

„78.

Più che sul singolo individuo l‟attenzione si sposta sulle relazioni che esso è capace di

istituire. Facendo un rapido cenno alla classificazione dei relativi, Peirce, nel saggio sopra

citato, sulla base degli insegnamenti provenienti da On the Sillogism IV e On the Logic of

Relationis di De Morgan, -fondatore della logica dei relativi -, e cioè che il sillogismo adotta

una delle relazioni possibili, e in particolare il carattere convertibile o simmetrico della

relazione di identità, e in riferimento alla notazione dei relativi, arriverà a sostituire

l‟identità intesa come relazione logica primaria con quella di inclusione, relazione transitiva

ma non simmetrica. Sulla base di questo segno, secondo Peirce, sarà possibile superare la

divisione tra logica categoriale e logica ipotetica, poiché il segno di inclusione risulterebbe

funzionale a rappresentare sia il rapporto fra le classi sia il connettivo proposizionale se-

allora. In questi termini risulta superata l‟idea del concetto di classe come insieme di quegli

oggetti che condividono una relazione di similarità, e viene abbracciata l‟idea di sistema

come insieme di quegli oggetti che condividono relazioni di ogni genere. La ricerca di

Peirce rivela sempre la stessa matrice ovvero quella di scoprire livelli sempre più primari,

infatti “la inclusione in è un concetto più ampio di quello di eguaglianza e pertanto dal

punto di vista logico è più semplice. In base allo stesso principio la inclusione è anche più

semplice dell‟ essere minore di”125

.

L‟introduzione del segno di inclusione si pone come la notazione più significativa per

comprendere i relativi, i quali certo trovano la loro ragion d‟essere all‟interno di un sistema

in cui vengono contemplate relazioni di ogni tipo. I relativi, secondo Peirce, possono essere

assoluti, relativi semplici e coniugativi: termini assoluti si identificano con gli oggetti cosi

come sono in se stessi, “per esempio albero, cavallo, o uomo”, in questo caso la copula

esprime un legame possibile, infatti l‟uguaglianza da parte di un termine con se stesso si

configura come uno dei legami possibili. I termini relativi semplici “richiedono l‟aggiunta

di un altro termine per completare la denotazione...per esempio padre di, amante di, servo

di”126

. In questo caso la relazione è di tipo fattuale, il significato della copula equivale ad

esistenza. I termini coniugativi designano i termini “la cui forma logica implica il concetto

di porre cose in relazione a cui è necessario aggiungere più di un termine per completare la

denotazione [….] per esempio datore di -a-, compratore di -per –da”127

. In questo caso la

32

Peirce, Scritti di Logica, a cura di C. Hartshorne e P. Weiss, La Nuova Italia, Firenze, p37. 33

Ivi, p. 45. 34

Ivi, pp. 44-45

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relazione è di carattere imputato. Secondo Peirce, se la logica vuole comprendere la

dinamica della conoscenza della realtà, essa non può considerare soltanto come primaria la

relazione di identità, perché quest‟ ultima risulterebbe impermeabile alla ricchezza delle

altre relazioni che strutturano il reale. L‟ampiezza di relazioni cui rinvia la nascente logica

dei relativi conferma che ciò che si dovrebbe qualificare come individuale, come definito,

non lo è mai, poiché esso risulta infinitamente determinabile.

Tale impostazione trova corrispondenza nella cultura evoluzionistica, la quale nel detto

peirceano risulta fortemente radicalizzata, nel senso che lo stesso ragionamento scientifico è

concepito in termini evoluzionistici, poiché il significato è collettivo e sempre in cammino,

e non arresta mai il suo corso. La teoria darwiniana, secondo la quale la selezione naturale

costituirebbe una legge effettivamente operante trova un‟inedita traduzione nel pensiero

peirceano, e in particolare nell‟idea di un pensiero logico che nascerebbe dall‟ urto con il

reale.

Il pensiero logico si qualificherebbe come un„azione volta a stabilire un equilibrio con la

realtà, peraltro sempre rinnovabile, poiché sempre alle prese con una realtà in perenne

trasformazione. Anche qui, forse in modo più semplice, Peirce ci restituisce l‟idea che il

significato è frutto di una relazione, di un‟operazione su qualcosa o nei confronti di

qualcosa.

Il carattere relazionale, operativo proprio del conoscere trova rispondenza anche nel

principio di continuità, sebbene un‟adesione matura a quest‟ultimo avverrà più avanti. Cosi

per il momento Peirce lo tratteggia: “L‟idea di continuità è un potente ausilio nella

formazione di concetti veri e fertili. Per mezzo di esse le maggiori differenze sono

frantumate e risolte in differenze di grado; l‟incessante applicazione della continuità è del

massimo valore nell‟allargamento dei nostri concetti”128

.

Se si sporgono le conclusioni alle quali perviene Peirce in avanti, forse è possibile affermare

che esse trovano conferma all‟interno dello sviluppo del suo sistema, poiché la revisione

delle categorie, la scoperta del continuo in matematica, l‟accettazione della possibilità come

categoria ontologica, oltre che logica, l‟elaborazione della fenomenologia, la semiotica

matura, il rapporto tra Metafisica e scienze normative costituiscono fasi fondamentali,

perché sviluppano e in alcuni casi rigorizzano un tratto essenziale del pensiero peirceano:

l‟imprescindibilità del nesso individuale/generale. In tutte queste province del pensiero

peirceano si conferma la necessità di fruire di un„immediatezza della mediazione, incarnata

ora dall‟ immagine, ora dall‟ individuale, ora dall‟ icona, a seconda delle varie sezioni del

territorio peirceano.

Infatti si palesa la necessità di concepire non soltanto i significati mai conclusi in se stessi

ma le cose stesse: se l‟essenza delle cose sta in questa progressiva significazione, sempre

aperta al futuro, pronta ad accogliere nuove e più ricche formalizzazioni, anche le cose non

hanno confini determinati, esse palesano la disponibilità ad una progressiva determinazione.

Se sono le relazioni, le operazioni sempre inedite a normare le cose, a dare unità,

indispensabili a conferire loro identità, insomma se è la relazione a qualificarsi come

originaria, è palese come l‟analisi dei saggi del „78 con l‟elaborazione della massima

pragmatica contribuisca ad accelerare la necessità di elaborare nuclei concettuali che siano

in grado essenzialmente di dare unità alle due anime del pensiero peirceano: quella dello

128

Peirce, La dottrina della probabilità (1878) cit., p. 1024. Queste considerazioni anticipano l‟adesione matura al

principio di continuità, concretizzatasi grazie all‟opera di G. Cantor, che fu il primo matematico a definire il concetto di

continuo. Peirce apprese il pensiero del matematico ed ebbe modo con lui anche di avere una preziosa corrispondenza.

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scienziato e quella del filosofo, poiché il carattere fallibile della conoscenza scientifica

mette di fronte al problema di coniugare il vero con il necessario. Da una parte le relazioni

possibili sostituiscono la staticità dell‟ identità, cosi come ne parla Peirce nella logica dei

relativi, esse garantiscono il necessario cioè si muovono in un universo di discorso

prettamente logico, dall‟altro il carattere possibile, probabile si muove nell‟ambito di un

discorso volto a conseguire il vero. Insomma il possibile ora produce il necessario ora si

pone come risultato probabile nella scienza empirica, nella conoscenza dei fatti, la

speculazione dei saggi ora esaminati forse scopre con maggiore evidenza la necessità di fare

chiarezza, distinguendo i due piani, e al tempo stesso l‟esigenza di mediarli.

In effetti le tesi concettuali esposte dall‟ autore a partire dagli anni 80 sul piano

ontologico/metafisico, e sul piano matematico, logico/semiotico, pur in presenza di alcune

aporie o incongruenze, nonché differenze, assolveranno alla funzione di dispiegare questa

trama intricata tra possibile, necessario e vero. Sarà possibile constatare che questa analisi

rimetterà al centro il concetto di immagine, denominandola icona. Tutta la riflessione degli

anni „70, funzionale a mettere in chiaro che la struttura dell‟immagine si impone come tratto

continuo da cui si snodano individuale e generale, assume un peso straordinario riguardo

agli sviluppi futuri del pensiero peirceano, poiché nella struttura dell‟immagine si colgono

in nuce tutte le direttrici che configureranno le riflessioni più innovative e quelle che si

assumeranno la fatica di proporsi quali soluzioni rispetto ai problemi ancora aperti.

La sintesi della trama concettuale dei saggi „77-„78 sarà possibile contemplarla, a mio

avviso, nello spartito dell‟immagine.

Infatti in esso si scorge il carattere possibile della conoscenza e la graduale consapevolezza

che nella conoscenza e nella natura opera un principio di continuità, attestato in questa

prima fase dall‟idea di una forma di conoscenza assolutamente aperta al futuro, all‟

incremento di significati, elaborato in itinere dalla comunità dei ricercatori. Un‟altra idea,

altrettanto carica di conseguenze, soprattutto nella revisione delle categorie, sarà quella di

considerare la possibilità non soltanto sul piano logico ma anche su quello reale, cioè la

possibilità si qualificherà come una categoria ontologica. Un‟altra idea guida leggibile

dentro l‟immagine è quella di attribuire all‟azione la disposizione a produrre significati,

infatti le relazioni cui danno vita le cose, gli abiti che esse determinano costituiscono i loro

significati.

È importante, dopo avere tratteggiato le linee direttrici dell‟impalcatura pragmatica

elaborata negli anni „70, ritornare ad alcuni passaggi dei testi precedentemente accennati per

puntare l‟attenzione su alcune valenze dell‟immagine, cosi come vengono fuori dal contesto

pragmatico. Proviamo a seguire la dinamica dei rapporti tra immagine, credenza, abito, e

realtà. Pare fondamentale, secondo Peirce, che nel passaggio dallo stato di disagio procurato

dal dubbio allo stato di credenza l‟immagine abbia il compito di trasformare il carattere

possibile di tutti contenuti che si presentano alla mente in qualcosa di stabile.

Una volta conseguita la credenza, se essa è vera, afferma Peirce, produrrà una nuova regola

di azione. Quindi la credenza, frutto dell‟immagine, si pone come piano di intersezione tra

conoscenza e azione, nel senso che la credenza raggiunta sperimenta la sua chiarezza se

produce una nuova azione. E la ricerca di nuovi significati si identifica con la produzione di

azioni nuove. Ma è importante precisare che il luogo in cui si svolge tale movimento non si

attua all‟interno della credenza ma nell‟impatto con la realtà. Non possiamo prescindere

dall‟urto con il reale, perché la credenza si costituisce grazie al fatto che è capace di fornire

un piano agli effetti sensibili delle cose, perché sia apprezzabile così la loro proiezione.

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In modo forte Peirce sottolinea che è possibile avere idee, nella misura in cui esse si

riferiscono agli effetti sensibili, infatti” la nostra idea di qualsivoglia cosa è l‟idea che

abbiamo dei suoi effetti sensibili”129

. D‟altra parte se si ipotizzasse un modo diverso di

disporre delle idee, ciò finirebbe per contraddire la funzione del pensiero, la quale si

identifica con la capacità di consolidare quegli abiti di azione, occasionati dall‟incontro con

il reale. In questi passaggi contenuti in Come rendere chiare le nostre idee è come se

venissero globalizzate, portate all‟esterno, a contatto con il reale, le idee feconde maturate in

sede logica e in relazione alla cultura del tempo, sintetizzabili dal modo di concepire la

conoscenza come frutto di operazioni, azioni, le quali, creando sistemi di relazioni,

producono significati inediti. Infatti Peirce afferma: “La realtà, come ogni altra qualità,

consiste nei peculiari effetti sensibili che le cose che ne fanno parte producono. L‟unico

effetto che le cose reali hanno è di causare la credenza”130

.

Ma a quali condizioni il pensiero incontra il reale? Dai saggi del „68 abbiamo appreso la

lezione che è impossibile prospettare un impatto di tipo immediato tra le due dimensioni. E

allora cos‟è che si pone da interfaccia, cos‟è che può svolgere funzione mediatrice? La

risposta è già contenuta nelle pagine scritte nel „68: “Ogni qualvolta pensiamo, abbiamo

presente alla coscienza un sentimento, un‟immagine, un concetto, o un‟altra

rappresentazione, che serve da segno”131

.

Tale risposta rimane confermata dalla prospettiva pragmatica, poiché anche qui il pensiero

può produrre credenza, a patto che disponga di un piano intermedio tra se e la realtà, e

questo gli viene offerto dall‟ immagine. Qui possono stazionare pensiero e cosa , entrare in

relazione e scambiare le loro energie. Ma questo piano non è il frutto di un movimento

solipsistico del pensiero, perché è come se il pensiero lasciasse aperta una porta secondaria

dalla quale far passare il flusso di energia proveniente dall‟esterno e con il quale è

intenzionato a fare i conti. Infatti la posta in gioco è abbastanza impegnativa, si tratta di

sottoporre il metodo della ricerca scientifica alla prospettiva pragmatica.

Diversamente dalla tendenza della letteratura critica a valutare il concetto di reale, cosi

come viene tratteggiato da Peirce nelle pagine in cui nasce la massima pragmatica, troppo

legato al rappresentazionismo, forse è possibile dire che il confronto con il reale qui gode

della massima considerazione, o meglio qui è più evidente. Si raccolgono i frutti della

valenza segnica dell‟immagine, poiché l‟interesse prioritario dell‟immagine è quello del

referente ma non perché attraverso di essa sia possibile attestare la sua esistenza ma perché

annuncia la sua possibile presenza. Proprio perché non si può attingere direttamente al reale,

la funzione dell‟immagine è quella di rendere il dato empirico compatibile con il pensiero.

In questi termini l‟immagine riassume dei caratteri che la candideranno ad assumere una

centralità indiscutibile nella produzione matura, perché essenzialmente è da essa preparata.

L‟ immagine, proprio in virtù dell‟incontro con il reale, produce operazioni che danno vita a

relazioni e che diventano oggetto di osservazione, a tal proposito ricordiamo che, ad

esempio, la qualità di una cosa non è mai oggetto di osservazione, semmai lo sono i

passaggi graduali che conducono ad essa.

L‟immagine, perché possa guadagnare il vero, non deve affidarsi alle mutevoli

rappresentazioni dei singoli soggetti, piuttosto, in una dimensione temporale disponibile a

privilegiare la coordinata del futuro, deve esporsi ad un continuo lavoro intersoggettivo di

129

Peirce, Come rendere chiare le nostre idee, cit., p.384. 130

Ivi, p. 389. 131

Peirce, Alcune conseguenze delle quattro incapacità, cit., p. 92.

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revisione o di integrazione di nuovi significati. E cosi il carattere pratico, possibile e

continuo dell‟immagine aprirà il varco al sentiero che deve rendere disponibili le modalità

attraverso cui è possibile distinguere tra una credenza falsa e una credenza vera, e infatti il

testo in cui Peirce analizzerà le tre inferenze implicate nei procedimenti della conoscenza

restituirà il senso del percorso tracciato nei sei saggi pubblicati sul Popular Science Monthly

tra il 1877 e il 1878. L‟insistenza in Deduzione, Induzione, Ipotesi sulla irriducibilità del

sintetico all‟analitico intende mettere l‟accento sul fatto che il pensiero, grazie

all‟immagine, può stabilire un contatto con il reale, al fine di sfuggire ad una

autoreferenzialità conoscitiva e misurarsi con i fatti, giocando ancora una volta la partita tra

l‟analitico e il sintetico. Qui il pensiero, oltre ad esplicitare, i propri contenuti, deve

verificare la tenuta dei requisiti dell‟immagine confrontandoli con la realtà, perché

l‟obiettivo è quello di raggiungere la verità delle credenze, oltreché la chiarezza. Già

abbiamo visto che “l‟essenza di un abito dipende cioè dal quando e dal come ci farà

agire”132

, e infatti il pensiero attesta un movimento che è in se stesso pratico, non solo in

merito ai fini e ai contenuti, ma anche in merito al suo processo di costituzione. Il pensiero

non ammette alcun presupposto, non postula alcunché, non si avvale di forme fisse,

predeterminate, piuttosto compie azioni, produce relazioni grazie all‟energia che scambia

con il reale. Parlo di energia perché sia nel caso del pensiero sia nel caso del reale non si

dispone di forme già date ma di flussi di energie che producendo relazioni, proiezioni,

danno vita a configurazioni possibili. Nell‟incontro tra il pensiero e la realtà si compie

un‟azione che produce significati e che si pone come quell‟evento che, preparato dietro le

quinte dall‟immagine, viene messo in scena dagli abiti, una volta consolidatisi. Se sul piano

epistemologico si fa strada l‟idea che sono le azioni, le operazioni a fondare il significato

delle cose, Peirce parallelamente pone in evidenza come sul piano strettamente logico il

ragionamento riveli la sua dimensione costruttiva, mostrando la sua congenialità alla

struttura della massima pragmatica.

Per dar conto di questo partiamo dalla definizione di ipotesi contenuta in Deduzione,

Induzione e Ipotesi e vediamo in che senso quest‟ultima assumerebbe un certo rilievo in

riferimento al discorso sull‟immagine. In questo testo Peirce intende perseguire due

obiettivi: il primo consiste nell‟affermare che al processo della conoscenza contribuiscono

tre argomenti, ipotesi, deduzione e induzione; il secondo è sintetizzato dall‟idea che i

suddetti argomenti costituiscono un continuum argomentativo, a cui l‟ipotesi fornisce le

assunzioni, la deduzione la fase analitica e l‟induzione la verifica del suo procedimento. In

effetti, stando al testo, il primo obiettivo sarà esplicitato, il secondo sarà realizzato negli

scritti successivi, sebbene in qualche modo risulterà già ben predisposto.

Riguardo al primo obiettivo, ripresentando una analisi logica, già esposta in On Natural

Classification of Arguments, Peirce attua alcune inversioni del sillogismo deduttivo per

porre in evidenza il modo in cui le singole inferenze concorrono alla produzione della verità

e per sottolineare il carattere sintetico dell‟inferenza induttiva e di quella ipotetica, rispetto

al carattere esclusivamente analitico della deduzione. Ma perché Peirce ritorna

periodicamente sulla classificazione degli argomenti? Perché cerca di aprire un varco per

raggiungere una sponda, peraltro intravista sin dal lontano 1865, che è quella della auspicata

unità tra logica ipotetica e deduttiva. Questo è il secondo obiettivo di cui si parlava

precedentemente e che troverà una formalizzazione negli scritti della maturità. In questo

132

Peirce, Come rendere chiare le nostre idee, cit., p.383.

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testo, come si affermava in qualche passaggio precedente, l‟obiettivo sembra quello di far

comprendere l‟impossibilità di ridurre il sintetico all‟analitico, di evidenziare la valenza

creativa ed esplicativa dell‟ipotesi.

La deduzione essenzialmente descrive, nel senso che attribuisce ad un determinato caso

alcuni caratteri, poiché è sussumibile all‟interno di una classe, alla quale appartengono i

caratteri prima considerati. La deduzione ci permette di identificare un determinato caso

sulla base dell‟appartenenza ad una determinata classe, di cui condivide tutti i suoi caratteri.

L‟induzione produce una conoscenza sintetica, poiché estende ad un‟intera classe le

caratteristiche attribuite ad un determinato numero di casi.

L‟ipotesi realizza una conoscenza sintetica ma di natura diversa rispetto all‟induzione,

poiché più che estendere la conoscenza, scopre elementi assolutamente inediti, inferisce un

singolo caso, ipotizzando la classe a cui potrebbe essere ascritto, sulla base del fatto che il

caso stesso presenterebbe i caratteri identificanti la classe stessa. La classe ancora non

esiste, è sulla base del caso che si risale ad una possibile classe, la quale avrebbe il merito

cosi di spiegare il caso in questione.

In questi termini l‟ipotesi si mostra congeniale alla logica della massima pragmatica, perché

essa ci insegna che per conoscere è necessario partire dagli effetti, ma non nel senso che la

conoscenza scaturisce dall‟azione del reale sul pensiero e quindi quest‟ultimo ricadrebbe

sotto il dominio del reale, ma perché comunque è sotto l‟impulso del reale che il pensiero è

sollecitato a produrre credenza. Infatti l‟ipotesi nasce nel momento in cui non si trova la

spiegazione di qualcosa. L‟ipotesi, partendo da un fenomeno inatteso, da un conseguente,

ricerca il suo antecedente, che, se avallato dall‟esperienza, si rivelerà atto a spiegare il caso

in questione. Peirce, infatti, afferma: “Abbiamo un‟ipotesi quando troviamo qualche

circostanza curiosa, che sarebbe spiegata dalla supposizione che fosse la conseguenza di un

caso ascrivibile a una regola generale, e perciò adottiamo quella supposizione”133

. Qui viene

fuori, forse in modo più evidente, la valenza creativa dell‟ipotesi, essa, diversamente

dall‟induzione, non si limita ad estendere ciò che è vero di alcuni casi a ciò che è vero di

un‟intera classe. Con l‟ipotesi non si apprezza la dimensione della quantità, ma della qualità

e con essa della possibilità.

Il problema che viene affrontato dall‟ipotesi non è di ordine cumulativo ma esplicativo,

l‟ipotesi non è interessata a conoscere più cose ma a comprendere come le cose si

strutturano in un modo piuttosto che in un altro. E allora in questo senso le cose vengono

poste in una relazione di tipo causale, ma questa relazione inerisce alla possibilità, poiché

essa deve essere comprovata dall‟induzione. Ma cosa bisogna fare per cercare la regola che

si rivelerebbe esplicativa del caso verificatosi? O meglio quali sono i requisiti dell‟ipotesi

che le permettono di istituire rapporti di somiglianza tra le cose o connessioni di tipo

causale? Perché l‟ipotesi avrebbe il vantaggio rispetto alla deduzione e all‟induzione di far

compiere alla conoscenza un vero e proprio balzo in avanti? Perché l‟ipotesi ricerca i pezzi

mancanti dell‟esperienza, essa non intende soltanto classificarli bensì spiegarli. E nel

realizzare quest‟obiettivo non si appiattisce sui dati come l‟induzione, nel senso che si limita

ad una classificazione di questi ultimi, né rimane chiusa nella claustrofobia della

esplicitazione delle sue premesse, come nel caso della deduzione. Ma come ricerca i pezzi

che ci restituiscono la spiegazione dei dati? Essa sperimenta il modo in cui le cose si

potrebbero strutturare e allora se si scopre che ciò che assomiglia a x è in grado di spiegare

133

Peirce, Deduzione, Induzione, e Ipotesi (18789, cit., p. 465.

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y, e se questo è vero non soltanto per i dati osservati ma anche per quelli osservabili, -in

caso contrario le ipotesi formulate potrebbero rivelare un carattere soltanto strumentale-

l‟inferenza ipotetica si rivelerà corretta, perché possono variare i fenomeni ma non le

condizioni che hanno determinato quei determinati fenomeni. E allora se l‟ipotesi si trova

collocata in una dimensione strutturalmente aperta al futuro, perché pensa al modo in cui si

potrebbero configurare le cose, essa risulta caratterizzata dalla capacità di esplorare nel

mondo della possibilità le premesse idonee al ritrovamento dei pezzi dell‟esperienza, ma nel

realizzare tale ricerca si guadagna inevitabilmente un‟unità, in virtù della quale l‟ipotesi

potrà mostrare la totalità delle conseguenze possibili, se essa sarà massimamente corretta.

L‟ipotesi cosi si pone come quella inferenza che per antonomasia, giacendo nella possibilità,

è quella più adatta a capire che ciò che è posto implica un presupposto, e cioè che bisogna

retrodatare il dato per svelarne le ragioni e poter mettere in relazione il dato e la sua

condizione.

E allora il reale non può essere compreso senza la capacità da parte dell‟ipotesi di penetrarvi

e senza quella fede a cui allude Peirce nel credere da parte dell‟uomo alle ipotesi vere.

Il reale viene messo in forma dall‟ ipotesi, la quale provvede ad integrarlo con le premesse

mancanti e con le conseguenze che discendono in riferimento ad altri fatti non ancora

osservati. In questi termini diventa chiaro il motivo per cui, grazie all‟ipotesi,

l‟inconoscibile si trasforma in un ancora inosservato.

Ma allora in che senso l‟ipotesi istituisce un nesso con l‟immagine nell‟atto della

sperimentazione delle assunzioni per spiegare il reale?

Già in Lecture IX Peirce afferma: “Hypothesis bring up to the mind an image of the true

qualities of a thing – it therefore informs us as to comprehension but not as to Extension,

that is it represents a representation which has Comprehension without Extension; in other

words it represents a likeness”.134

Il modo in cui Peirce parla dell‟ipotesi in questo scritto, a

mio avviso, s‟integra con quello analizzato negli scritti del„78. L‟ipotesi, infatti, se è

corretta, scopre all‟interno di una determinatezza i caratteri dell‟universale, scopre la

relazione tra il dato e le sue condizioni. Cioé l‟ipotesi trova il pezzo mancante del dato e lo

integra, offrendo così un‟immagine, un‟unità.

Ma qui si rivela tutta la matrice pratica e poietica della conoscenza, nel senso che l‟ipotesi,

interrompendo il continuum della possibilità originaria, produce una relazione, che sarà

espressione della connessione causale tra i dati esperiti. Insomma, prima ci sarebbe il dato

nel quale in forma contratta trova posto il generale, successivamente l‟ipotesi dispiega la

relazione, prima contratta tra individuale e generale. Si assiste, si potrebbe dire, ad un

movimento in cui il reale e il pensiero convengono, nel senso che il reale produce degli

effetti sul pensiero, dall‟altra il pensiero produce delle operazioni, delle relazioni, come

quella tra antecedente e conseguente, con la quale provvede ad integrare il reale, a

significarlo.

La dimensione pratica dell‟ipotesi consisterebbe nell‟assoluta libertà con cui essa ricerca

l‟antecedente, tuttavia l‟ipotesi deve rimanere vincolata alla capacità di inferire tutte le

possibili conseguenze, poiché soltanto in questo modo la stessa può vantare tutto il suo

rigore: l‟ipotesi, infatti, deve sempre sottomettere le sue assunzioni ad un confronto

completo con le possibili conseguenze che ne derivano, senza alcuna omissione Qui

l‟aspetto pratico e quello poietico s‟intersecano, poiché queste stesse assunzioni, relazioni

134

W1:485.

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86

tra antecedenti e conseguenti, costituiranno le produzioni del pensiero entro cui assumerà

forma il reale, il quale, se ne fosse privato, sarebbe mero caos.

In questo senso l‟ipotesi spiega il reale, perché produce in senso pratico e poietico i pezzi

che possono conferire unità al reale, sebbene tale unità risulti dinamica e sempre in attesa di

una conferma da parte del procedimento induttivo.

Ma se le cose stanno così, se l‟ipotesi, quando è corretta, integra il reale, e se d‟altra parte il

reale senza questi generali prodotti dall‟ipotesi, ci apparirebbe mero caos, diventa plausibile

pensare ad un accordo tra reale e pensiero. Ma questo accordo non è predeterminato, esso,

infatti, secondo Peirce, non si configura né come lo pensa Stuart Mill, né come viene

pensato dalla tradizione metafisica, poiché i pezzi del reale si costruiscono in itinere, sia con

l‟aiuto delle occorrenze del reale sia con le assunzioni proprie delle ipotesi con le quali i

singoli dati risultano intelligibili.

Cioè le ipotesi costituiscono il piano formale in cui i cosiddetti pezzi mancanti del reale

fanno la loro comparsa, e allora il modo in cui Peirce analizza il metodo sperimentale

diventa un piano preziosissimo per dar conto del rapporto circolare, comunque strettissimo

tra natura e convenzione. La convenzione cos‟è, alla luce di questi nuovi dati dell‟analisi

peirceana? Forse prima di rispondere potrebbe essere utile riflettere sui diversi modi in cui

si propone l‟ipotesi: sia nel caso in cui l‟ipotesi si ponga come inferenza, sia nel caso in cui

si offra come sensazione, come predicato semplice posto in sostituzione di un predicato

complesso, come nel caso della sensazione di un colore o di un suono, sia nel caso in cui

essa si proponga come nome, o ancora come immagine, o in un altro modo ancora come

likeness viene fuori un aspetto comune che consiste nell‟esibizione di una dimensione

contratta della relazione tra universale e individuale e che risulta generata essenzialmente da

un movimento che è libero e creativo. I nomi, le sensazioni, gli antecedenti con i loro

conseguenti, le immagini, le rassomiglianze, sebbene di valore diverso e dislocati in plessi

diversi dell‟architettonica conoscitiva, si fanno espressione di un‟esigenza comune, quella di

dover costruire al fine di conoscere qualcosa, infatti essi stessi si pongono come atti di

costruzione e prodotti della costruzione stessa. La conoscenza si realizza, se viene compiuto

lo sforzo di esternare ciò che è in nuce, poiché così si rende possibile l‟articolazione che

darà vita ad un‟unità possibile, ad un modello possibile. E quindi quest‟ultimo non è un

immediato, poiché esso stesso è il frutto di un lavoro iniziato già da sempre. Questo sforzo

di uscire fuori dal continuum originario, questa rottura diventa necessaria per poter

determinare qualcosa. Ma questo movimento da dove trae origine? Questo movimento è

proprio del pensiero, la sua strutturazione è tale per cui sin dal suo grado elementare esso si

attiva per produrre relazioni, in grado di offrire determinazioni, con le quali si crea una base

d‟appoggio per far decollare il processo conoscitivo. Ma in ultima analisi il movimento che

accomuna i nomi, le sensazioni, la coppia antecedenti /conseguenti, le immagini, le

rassomiglianze, è l‟ipotesi, che nell'atto stesso dell‟assunzione istituisce il nesso tra

l‟universale e l‟individuale.

L‟ipotesi scopre connessioni causali, produce unità realizzate da immagini/rassomiglianze

nelle quali si mostrano le cose nella loro conformità al vero, o ancora crea nomi per

mostrare in essi le cose, per assicurare loro un luogo. In tutti questi casi è riconoscibile

l‟operato dell‟ipotesi e la valenza pragmatica del pensiero, riscontrabile già nel testo del „61

Treatise on Metaphysics e confermata dopo quaranta anni in What Pragmatism is?

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87

Nel primo testo le affermazioni dell‟autore suonano così: “It suffices to consider that in

each element of motion of the mind, a faculty is exerted in the only manner in which it is

constructed to act”.135

In un contesto diverso, ma, a mio avviso, in linea con quanto asserito precedentemente,

Peirce si esprime così: “I generali non solo possono essere reali, ma possono anche essere

fisicamente efficienti […] la generalità è davvero un ingrediente indispensabile della realtà;

perché la mera esistenza o attualità individuale, senza una regolarità quale che sia, è una

nullità-il caos è puro nulla.[…]”136

.

Tale radice pragmatica del pensiero può contribuire a comprendere la circolarità tra natura e

convenzione, poiché è come se la convenzione si identificasse con il movimento che il

pensiero per sua forza interna articola, quindi in questo senso, le convenzioni, sebbene

risultano frutto di una costruzione, sono già espressioni di ciò che è connaturato al pensiero

e al reale, infatti è dal movimento di questi ultimi che prende forma l‟ evento della

conoscenza. In questi termini il pensiero nella sua destinazione pratica e poietica sembra

proprio dar conto della circolarità del rapporto tra natura e convenzione. Poiché le

convenzioni si configurano come il risultato del movimento che il pensiero e il reale sono

in grado di attivare per dispiegare ciò che è contratto in essi stessi.

I nomi, le immagini, le somiglianze, le sensazioni sono frutto di un‟ipotesi, che

essenzialmente compie lo sforzo di rompere una continuità, che è la possibilità originaria

che presiede il pensiero e il reale.

Quando l‟ipotesi assume, compie l‟azione di determinare, rompe così l‟indeterminato e

delinea qualcosa che vale e per il pensiero e per la realtà. Fino a quel momento questi ultimi

rimangono inarticolati e privi di qualsiasi comunicazione; è il movimento dell‟ipotesi, sulla

base degli input provenienti dall‟esterno, ad offrire così la possibilità al reale di esprimersi,

di venire alla luce.

L‟ ipotesi diventa il primo piano possibile in cui rendere compatibili reale e pensiero, perché

essa crea il laboratorio in cui si sperimenta il passaggio dalla possibilità originaria ad un

elemento discontinuo. Insomma lo scambio tra natura e convenzione si consuma in questo

passaggio.

La convenzione è il discontinuo su cui ergere la costruzione, al fine di dispiegare il pensiero

e il reale stesso, perché ciò che importa, afferma Peirce, non è il pensiero dei singoli

soggetti, ma trovare un luogo, sebbene sempre aperto a nuove costruzioni, in cui osservare il

modo in cui il reale e il pensiero ritrovano le loro consonanze. Non è un caso che se il

discontinuo si fa espressione di un‟ ipotesi corretta, quest‟ ultima sarà codificata da una

legge che diventerà effettivamente operante nel reale. Il movimento dell‟ipotesi, la radice

pratica di quest‟ultima la porterà a creare discontinuità, indispensabile a rendere disponibile

un‟articolazione possibile, da cui scaturiranno immagini, tratti materiali, per potere vedere,

contemplare la configurazione possibile del reale.

Quindi l‟ ipotesi esprime una relazione e quest‟ultima costituisce un‟ immagine, nel senso

che dentro l‟ipotesi è già leggibile una dimensione segnica, poiché il dato, il conseguente sta

per il suo antecedente. Ma qual è il segno che qui entra in gioco? Naturalmente il segno che

si assume la responsabilità di presentare il modello di un oggetto possibile è proprio la

likeness. A sua volta la likeness è conseguente del suo antecedente originario che è il

ground.

135

W1:82. 136

Peirce, Che cos‟è il Pragmatismo, (1905), cit., p. 411.

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Ma un‟immagine sorretta da un‟ipotesi non può porsi come la riproduzione di qualcosa

bensì come la produzione di una relazione tra il dato e l‟universale. E in questi termini

l'immagine cui si sta facendo riferimento non può essere scambiata con una semplice

chimera, perché quando si ipotizza qualcosa bisogna fare lo sforzo di produrre le premesse

mancanti e tutte le conseguenze possibili. Se l'ipotesi è corretta allora bisogna trovare non

soltanto i rapporti tra i dati osservati e i loro antecedenti, ma anche le relazioni tra questi

ultimi e i loro conseguenti possibili ovvero quei dati ancora non disponibili.

Ma quando l‟ipotesi riesce a far questo, essa realizza un'unità e quindi una possibile

immagine, che assolve ad una funzione semplificatrice, nel senso che rende disponibile

all'interno di un solo plesso i nessi trovati. Essi, se produrranno la sussunzione di un caso

sotto una legge, saranno capaci di realizzare una conoscenza sintetica. Sebbene si tratti di

una conoscenza probabile, la conoscenza ipotetica si qualificherà feconda, perché

assolutamente nuova, perché istituirà somiglianze inedite. Nel caso dell'ipotesi le

somiglianze non sono semplicemente enumerate, indicate, estese bensì dedotte. Nell'ipotesi

la spiegazione delle cose si identifica con l'istituire relazioni di causalità o di somiglianza.

Ma in che senso causalità e somiglianza sono dimensioni affini? Nel senso che la

somiglianza, assunta nel suo carattere esplicativo, fondativo, rende possibile il salto

dall'indeterminato al determinato, perseguendo la ricerca di ciò che potrà restituire l'anello

mancante, l'antecedente ancora assente e mostrandoci così i nessi ancora insondati tra le

cose.

E allora termini come image, resemblance, similarity , likeness, tutti gravitanti intorno al

ground, lo evocano come luogo originario delle possibili relazioni e delle potenziali

somiglianze. Il ground rivelerebbe già una valenza pragmatica, anticipando quel movimento

proprio dell‟ipotesi, centro propulsore, motore della scienza sperimentale.

Non si sta parlando della somiglianza di tipo descrittivo, riproduttivo, da cui, anche in

questo testo, Peirce prende le distanze, ma si sta parlando della capacità di trovare i nessi fra

le cose, al fine di spiegarle. Quindi il flusso immaginativo servirebbe a tirare fuori tutte le

possibili relazioni tra un elemento e l‟altro, per capire come qualcosa potrebbe essere.

L'immagine diventa quel piano in cui si lascia vedere come potrebbero essere le cose. Il

piano che entra in gioco in questo universo di argomentazioni non è la quantità ma la

qualità e la somiglianza è proprio su questo piano che può dar conto della sua capacità di

trovare le ragioni delle cose. Non è un caso che Peirce a proposito dell‟ipotesi affermi

quanto segue: “con l‟ipotesi, concludiamo l‟esistenza di un fatto completamente differente da alcunché di osservato,

fatto ipotizzato da cui, in base a leggi note, qualche fatto osservato risulti necessariamente. L‟

induzione è il ragionamento che va dai particolari alla legge generale, l'ipotesi è il ragionamento che

va dall'effetto alla causa. La prima classifica, la seconda spiega”137

.

Natura e convenzione si pongono in una linea di continuità, ma questo è possibile capirlo se

si tiene presente la centralità dell‟ipotesi ed essenzialmente la sua oggettivazione in cui

consiste l‟immagine. Non è un caso che i luoghi in cui ricorrono natura e convenzione

riguardano, come abbiamo avuto modo di vedere, il modo di concepire l‟ universo e i suoi

rapporti con il pensiero. Ma il filo argomentativo su cui s'incentra tutta la riflessione

relativamente all'idea di un mondo retto dalla necessità o dal caso in sintesi diventa una

riflessione sull'ipotesi. Non è un caso che l'ultimo saggio verte proprio sulle inferenze del

ragionamento, ma in particolare sul carattere sintetico dell‟inferenza, poiché il rifiuto di un

137

Peirce, Deduzione, Induzione e Ipotesi,cit., p. 470-471.

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mondo aprioristicamente necessario o casuale si fonda sulla consapevolezza che non

abbiamo qualcosa di già dato cioè la verità non è già esistente da qualche parte, essa è frutto

di azioni, di costruzioni e il reale è il risultato di queste operazioni. I caratteri del mondo

non sono cumulativi, nel senso che si presuppone un mondo già strutturato e poi si

procederebbe ad una sorta di calcolo dei tratti maggiormente ricorrenti e per questo più

connotativi dell‟universo.

Ciò che è dato è soltanto il caos e perché quest‟ultimo si trasformi in ordine progressivo è

necessario intanto assumere, porre, ipotizzare, ma non certo per costruire un cumulo di

chimere, ma per pervenire al vero. E infatti le ipotesi, perché possano produrre conoscenza

scientifica, devono rispettare alcune regole. In questi termini si potrebbe dire che l'ipotesi

diventa il tratto di unione di nature e convention, poiché la convenzione diventa il piano di

estrinsecazione possibile della natura, pone le condizioni perché il reale possa mostrarsi. Ma

cosa viene mostrato del reale? Non certo una copia, ma la forma di una relazione possibile.

Ciò che importa per la comprensione del reale è la relazione che intercorre tra i vari dati,

infatti se esiste qualcosa, esso diventa significativo nella misura in cui lascia scoprire una

determinata struttura, le relazioni possibili istituite dall'ipotesi sono quelle che sono in grado

di svelare tale struttura.

Le ipotesi offrono unità, connessioni, somiglianze, immagini, scoprono i pezzi che si

incastrano tra loro nel reale e quindi costituiscono assi portanti della costruzione del reale,

perché forniscono al reale l‟impalcatura e al tempo stesso le operazioni da effettuare sulla

medesima.

Tale impalcatura, si potrebbe dire, è trascendentale e fenomenologica nel senso che la

struttura creata dalla convenzione non è arbitraria, poiché diventa l'unico piano in cui il

reale diventa giustificabile, e quindi si pone come la condizione del reale. Nello stesso

tempo tale condizione, tale struttura risulta dinamica, perché non è già data

aprioristicamente, ma viene costruita gradualmente sulla base dei mattoni che in itinere

vengono posti e successivamente rimossi al fine di individuare la strada giusta per arrivare

al vero. Dunque il convenzionale costruisce esibendo i passaggi attraverso i quali si arriverà

al vero, d‟altra parte la destinazione del convenzionale pare che sia proprio quella di

delineare il reale e di comunicarlo attraverso i passaggi che siano in grado di giustificarlo:

tali passaggi sono le connessioni, le somiglianze, le immagini che rendono fruibile il reale.

In questo senso il significato della verità della scienza diventa pubblica, ma non perché si

limita a descrivere la realtà con passaggi razionali, controllabili dalla comunità scientifica,

ma perché si assume la fatica di dar conto dei passaggi, delle regole, da tutti osservabili,

attraverso i quali si costruisce il reale. Ciò che la scienza intende condividere non è la

descrizione del vero o del reale bensì la costruzione di questi ultimi. Il reale non si

qualificherà come una mera proiezione del pensiero ma come espressione dell'accordo tra

mente e realtà, poiché la costruzione è continuamente aperta alla revisione, e al confronto

con il reale. Le ipotesi, infatti, devono rispettare le regole come Peirce afferma in

Deduzione, Induzione, Ipotesi: “Perché il processo di costituzione di un‟ipotesi conduca a un risultato probabile, si devono seguire

le regole seguenti: […] dobbiamo cioè cercare di vedere quali sarebbero i risultati delle previsioni,

conseguenze dell'assunzione dell‟ipotesi. E per osservare somiglianze e dissomiglianze dobbiamo

prendere le previsioni da sottoporre al banco di prova della verifica a caso, senza privilegiare il

genere di previsioni per cui l'ipotesi va notoriamente bene [...] Tutto il procedimento deve essere

leale e imparziale”138

.

138

Ibidem.

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L'ipotesi, potremmo dire, è trascendentale, poiché si assume il compito, almeno nel

procedimento della conoscenza scientifica di spiegare il reale, fenomenologica perché, come

dice Peirce già nel 1866, l'ipotesi propone un'immagine, una likeness.

L'analisi del nascente pragmaticismo stringe il rapporto tra ipotesi e immagine, se l'analisi

dell‟immagine ci conduce all'ipotesi, quella sull‟ipotesi ci riporta all‟immagine, alla

likeness. Sicuramente la likeness incarna uno dei significati del termine ipotesi, cioè quella

di sostituire un predicato semplice al posto di uno complesso e di offrire un‟ immagine. Ma

se la likeness la si concepisce in stretto rapporto con il ground, è come se completasse il

suo significato, nel senso che la likeness potrebbe porsi come il conseguente del suo

antecedente, in cui consiste il ground, la likeness in rapporto al ground si potrebbe

qualificare come un'ipotesi nel senso in cui ne parla Peirce in Deduzione, Induzione e

Ipotesi ovvero come connessione causale.

Il ground designa lo spazio in cui opera l'ipotesi e l'immagine: il ground è il luogo del

derivabile, del movimento originario, grazie al quale si potranno realizzare assunzioni,

determinazioni che permetteranno l'istituzione di un piano di esplicabilità del reale. La

likeness, potremmo dire, è quella produzione che il ground realizza nell'atto di immettere il

reale nella catena segnica, realizzandone così la sua deduzione. Ma proprio qui è

riscontrabile un movimento circolare tra ground e likeness, poiché è dalla likeness che

risaliamo al ground, cioè quando la catena segnica si è già innescata, ma a loro volta la

likeness è possibile, se considerata in riferimento al ground. All‟interno di questo rapporto

si concentrano tutti i frutti della lezione pragmatica: è necessario rendere disponibile

qualcosa di osservabile, prodotto di un‟azione, di un movimento del pensiero, e su questo

lavorare al fine di produrre altre determinazioni, altre relazioni. In questo impianto

pragmatico è ravvisabile la complementarità tra matrice trascendentale e costruzione

fenomenologica, poiché se da una parte il ground si pone come condizione della relazione

segnica, dall‟altra le sue produzioni costituiscono il piano fenomenologico al cui interno si

dispiega il reale. Il ground se da un lato può apparire come il passaggio necessario a che la

realtà venga messa in forma, dall‟altro esso stesso è la condizione che rende possibile la

costruzione del reale, poiché il ground si pone come base ontologica e logica al tempo

stesso.

In questo senso natura e convenzione convengono, ed è proprio il loro rinvio reciproco a

rendere possibile la conoscenza. I dati fenomenologici, le convenzioni rappresentano le

determinazioni del ground, il quale media tra essere e pensiero, poiché è quel “rispetto”

all‟interno del quale è possibile scorgere l'essere, e diviene così un modo d'essere e un modo

di ragionare. Insomma il ground si qualifica veramente come il nesso originario tra pensiero

e realtà, ma non nel senso che questi ultimi vengono presupposti e uniti successivamente

bensì nel senso che è il ground, come apertura originaria, a rendere disponibile l‟essere e

quindi la distinzione tra essere e pensiero139

.

139

Quanto argomentato risulta in linea con la visione del ground di F.Andacht e di altri studiosi da lui richiamati in

On the Relevance of the imagination in the semiotic of C.S. Peirce. In questo saggio, F. Andacht, in opposizione a Short

e a Savan che non attribuiscono una valenza teoretica al ground, ritenendolo un‟espressione dell‟immaturità degli scritti

giovanili di Peirce, e, invece, in accordo con Liszka, Corrington, Prower, Nesher, Neisser, pur con angolature e

sfumature diverse, sostiene intanto il peso teoretico del ground e l‟idea che esso si ponga come condizione della

relazione segnica, come chiave dell‟ intero processo segnico. “The theoretical suppression of a component so closely

associated to the immagination only empoverishes our understanding of how, in our daily, scientific or artistic

endeavours, we come to conceive reality in the very different ways in which we actually do. If it were not for the

semiotic ground, our world would be restricted only to what was and to what will or would be, but there would be no

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TERZO CAPITOLO

Natura e convenzione negli scritti della maturità

1) L’icona come spazio di intersezione tra gli universi semiotico, logico, matematico

Concentriamo, adesso, lo sguardo sull‟icona, oggetto specifico di riflessione del discorso

che sarà svolto in queste pagine, per capire come essa si dislochi da un piano prettamente

semiotico, ad uno di tipo logico-matematico, epistemologico-pragmatico nonché ontologico.

L‟icona, così come compare negli scritti della maturità, si potrebbe dire, ingloba la likeness

e il ground e posto che il ground si pone come il derivabile, l'icona diventa il luogo del

derivabile, dell‟osservabile, poiché l‟icona eredita il gesto fondativo e il metodo di

costruzione del ground, il quale innescando un rapporto circolare tra natura e convenzione,

mette capo, come abbiamo avuto modo di constatare, ad un'impalcatura al tempo stesso

trascendentale e fenomenologica.

Ma ciò equivale a dire che per far decollare il processo della conoscenza è necessario non

acciuffare un presunto pezzo di realtà, peraltro impossibile da cogliere nella sua

immediatezza, secondo gli stessi divieti peirceani validamente supportati da quelli della

tradizione, ma ragionare su ciò che potrebbe qualificarsi come un possibile pezzo di realtà.

È il ragionare e non la nuda presenza del reale, a consentire la possibilità di accedere a

quest‟ultimo. Ma in che senso per Peirce ragionare significa penetrare nel reale? Per

rispondere a questa domanda dobbiamo prima capire che cosa significa ragionare secondo la

prospettiva peirceana. Qui Peirce riprende tematiche consuete ma le ambienta all‟interno di

un contesto in cui proietta un nuovo sguardo. Come sempre accade nello stile di questo

pensatore, il ritorno su vecchi concetti non si configura come una mera iterazione, ma come

un inveramento che si integra, come un pezzo all‟interno di un mosaico, in un insieme

sempre più ampio e più solido, perché sostenuto dallo spessore e dalla profonda unità delle

progressive acquisizioni logico-semiotiche, matematiche e fenomenologiche.

Peirce in What is a sign? (MS. 404 1893) afferma che “ogni ragionamento è

un‟interpretazione segnica di qualche tipo”140

, una tale affermazione che attraversa tutto il

pensiero dell'autore sintetizza in modo efficace il senso della speculazione segnica

peirceana. Questa affermazione è in linea con alcune convinzioni di fondo del pensiero di

Peirce riguardo le proprietà della relazione segnica. Essa si presenta per sua natura mai

monovalente bensì trivalente, strutturalmente dialogica, poiché un segno si indirizza sempre

a qualcosa e ad un interpretante141

, inoltre la relazione segnica rivela un carattere potenziale,

(theoretical and real) room for what may or might be. I am talking about all that which, by a conjunction of chance and

the very structure of the process of signification itself, shapes and modifies our world from a diffuse but still real limit,

because the possible as a modality of being is as real, for Peirce (eg. CP 1.422), as the existent”. F. Andacht, On the

Relevance of the immagination in the semiotic of C.S. Peirce, «Versus-Quaderni di studi semiotici», 80 (2000), pp.214-

215.

140

Peirce, L‟arte del ragionamento, Che cos‟è un segno, (1893) in La logica degli eventi, trad.it. R.Fabbrichesi Leo,

Spirali, Milano,1989, p.53. È utile precisare che il termine icon è presente negli scritti peirceani a partire dagli anni 80,

a tal riguardo il saggio del 1885 Sull‟Algebra della Logica: Un contributo alla filosofia della notazione segna un

momento importante perché tematizza l‟introduzione delle icone all‟interno dell‟universo logico. 141

Si tenga presente che l‟interpretante non si identifica con l‟interprete. Come dice in modo nitido C. Sini:

“l‟interpretante nomina un insieme culturale di significati che sono l‟orizzonte dei possibili riconoscimenti di oggetti

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92

poiché, per quanto compiuta, non è mai conclusa in se stessa bensì aperta ad uno sviluppo

infinito di rinvii segnici, e, in vista di questo carattere indefinito, la sua vita, il suo iter non è

di tipo meccanicistico ma teleologico. La natura specifica del segno è tale per cui esso rende

disponibile: 1) qualcosa da osservare, che corrisponde a ciò che il segno è in se stesso o

come la chiama Peirce, negli scritti giovanili, qualità materiale, 2) qualcosa da mettere in

relazione con qualcos'altro, e infine 3) qualcosa che diverrà oggetto di sperimentazione, nel

senso che si indirizza ad un interpretante. Nell'osservazione del tratto materiale segnico si

potranno scoprire nuovi aspetti e in questo senso il processo di significazione diventa

esponenziale e dinamico, si arricchisce in itinere, poiché l‟interpretazione si pone come

segno di ciò che è stato precedentemente significato, dando vita così ad un rimando segnico

mai arrestabile. Le riflessioni su queste caratteristiche del segno ci permettono di capire che

esso offre al pensiero una struttura consentendogli di riconoscersi e di dispiegarsi.

La triadicità, la dinamicità e la tensione teleologica proprie dell‟essere segnico sembrano

svelarci la struttura del pensiero: il segno cresce nella misura in cui asseconda le relazioni

sempre inedite del pensiero attraverso le quali si evolve pervenendo ad unità sempre più

estese e compiute, se pur sempre in modo indefinito. Il segno rivela un‟infinità potenziale di

significato, che è quella propria del pensiero e l‟osservabilità, la sperimentabilità e la

conseguente dialogicità sono requisiti che lo accomunano al pensiero. Sperimentare cosa

significa? Già a partire da Galilei sperimentare significa interrogare le realtà osservabili e

quindi dialogare con esse, interpretare un segno significa riconoscerlo, metterlo in relazione,

codificarlo con altri segni, e proprio in questo pensiero e segno si corrispondono.

Nel manoscritto già citato Peirce afferma: “L‟arte del ragionamento è l‟arte di ordinare i

segni [...] e di scoprire la verità”142

. Il pensiero per decollare deve prendere le mosse da

ipotesi che possono tradursi in qualcosa di osservabile, perché lo si possa esporre

all'interpretazione intersoggettiva, dalla cui valutazione dipenderà la stabilità del significato,

frutto delle operazioni di esternazione, di osservabilità comune e di trasformabilità. Il

significato scaturisce in sintesi dalla capacità da parte di un pensiero-segno di trasformare il

mondo degli interpretanti, tale abilità determinerà il significato di un pensiero-segno: sono

le relazioni, gli effetti, le trasformazioni innescate dai pensieri-segni ad orientare il processo

di significazione e qui risuona l'eco degli studi sulla logica dei relativi e della profonda

lezione pragmatica.

Insomma il pensiero è strutturato in maniera tale da esibire lo spazio entro il quale esso

stesso si costruisce ma questo spazio è quello dell' elaborazione delle ipotesi, che, una volta

date, si espongono alla loro osservabilità e quindi ad una valutazione, che sarà decisiva per

la loro accettazione o confutazione, poiché in seguito a tale atto si istituirà l‟atto della

significazione. Il significato è rinviato al futuro ovvero alla capacità dei riconoscimenti

determinabili da parte dell‟interpretante. Spesso si distingue l'atto di formazione di un

pensiero dalla comunicazione di quest'ultimo, in realtà per Peirce il pensiero si può

costituire soltanto all‟interno di uno spazio condivisibile in cui è possibile osservare

qualcosa che darà vita a trasformazioni, ad azioni, costitutive per l‟esperienza profonda di

ciò che viene inteso come reale143

. Il segno forse è la struttura più idonea a comprendere il

definiti […] le nuvole stanno nell‟atmosfera, sono identificabili come tali soltanto nell‟atmosfera. Se non c‟è

l‟atmosfera, non ci sono nuvole, che sono sue formazioni. Così gli oggetti, per essere identificati come tali, esigono una

cultura definita […] entro la quale stare ed apparire. Se l‟interpretante è i Babilonesi, o i Pigmei non c‟è un oggetto

come il treno. Un simile oggetto non è identificabile né di fatto, né di diritto”. C. Sini, Semiotica e filosofia, il Mulino,

1978, p. 263. 142

Peirce, L‟arte del ragionamento – Che cos‟è un segno?, cit. p. 66. 143

Peirce, Deduzione, Induzione e Ipotesi, cit., p. 465.

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93

modo in cui il pensiero costruisce le sue forme, perché un segno è tale se viene riconosciuto.

Il segno è infatti segno di qualcosa per qualche interpretante. Il segno se non si sottopone

alla valutazione dell‟interpretante non si qualifica come tale, la relazione tra due cose

necessita di un terzo elemento che è ciò che ratifica la relazione stessa, riconoscendola.

Ricordiamo la nota definizione di segno risalente al 1897: “Un segno o representamen, è

qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto o capacità. Si rivolge a

qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un segno equivalente o forse un segno più

sviluppato. Questo segno che esso crea lo chiamo interpretante del primo segno”144

. O

ancora nel 1902: “Un segno è qualsiasi cosa riferita a una seconda cosa, il suo Oggetto,

rispetto a una Qualità, in modo tale da portare una Terza cosa, il suo Interpretante in

rapporto con lo stesso Oggetto, in modo da portarne una Quarta in rapporto con

quell'oggetto nella stessa forma, e così via ad infinitum”145

.

Queste definizioni risultano fondamentali poiché sintetizzano la struttura portante della

semiotica peirceana sotto due aspetti centrali: il rapporto tra segno e interpretante e il nesso

profondo tra segno e reale.

Per capire cosa intende dire Peirce, lo ripetiamo ancora, bisogna uscire da un‟ottica

corrispondentistica, il segno non risulta intelligibile se lo si rapporta in termini speculari

rispetto al referente, esso necessità di processualità perché possa stabilizzare il suo

significato, la sua regola e rendere le cose riconoscibili. Tale processualità, a partire da una

dimensione osservativa, sperimentale si espone al dialogo, all‟interpretazione dando vita ad

una storia nuova, una nuova vita interpretativa. Le scansioni di questa vita sono cruciali,

poiché dalla possibilità logica di un oggetto si passa attraverso la sua attualizzazione,

rintracciando la sua dimensione indicale sino ad arrivare alla sua codificazione.

Ma questo percorso è l'iter del pensiero e della realtà: il pensiero procede per congetture in

cammino verso le sue verifiche e la stabilità del suo significato, e lungo questo processo

parallelamente si costituirà il suo oggetto nel quale si riconoscerà il reale, poichè in ultima

analisi il reale si delineerà proprio attraverso le qualità catturate dal segno, nella misura in

cui l‟esigenza del segno non è quella di creare un sistema autoreferenziale, ma di esplicare

il reale. Ma se Peirce intende questo, il reale non se ne sta da parte a guardare l'opera del

segno, piuttosto lo orienta se è il caso, lo corregge smentendo la plausibilità delle sue

congetture: ciò è possibile, poiché lo stesso universo è considerato come un segno e quindi

come un processo, sempre in cammino in attesa di nuove e arricchenti interpretazioni.

In questi termini la semiotica si pone come sintesi di pensiero e realtà, i quali convengono

su un unico piano di esperibilità. In tal modo la semiotica si candida a qualificarsi come

riflessione fondativa valicando finalità meramente tecniche, anzi i suoi instancabili esercizi

classificatori all‟interno delle tricotomie semiotiche acquistano una nuova luce, poiché i vari

livelli attraverso i quali si esprime il segno hanno il fine di approssimare quanto più

possibile la varietà infinita delle possibili significazioni a quelle della realtà. Così il percorso

mai arrestabile attraverso il quale sul segno transita tutta la pregnanza del reale rende segno

e reale congruenti146

.

144

Peirce, voce Represent Dictionary of Philosophy and Psychology, cit., p.147. 145

Ibidem. 146

Efficaci le parole di N. Bosco riguardo il carattere fondazionale della semiotica peirceana: “La lezione della

semiotica non può dunque esaurirsi nei suoi tecnicismi: ben oltre questi essa è, o dovrebbe essere, un

esercizio,altamente filosofico, di autoconoscenza, e insieme un‟occasione preziosa di dare un‟occhiata all‟enigma

dell‟universo”. N. Bosco, Dalla scienza alla metafisica, Giappichelli, Torino 1977, p. 75.

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In realtà l'obiettivo fondamentale che caratterizza tutta l'opera peirceana risiede nella

comprensione della natura del ragionamento, nella convinzione peraltro molto salda,

costantemente presente nella riflessione peirceana, che le forme del ragionamento

convengono con le forme della natura. Insomma se capiamo che il ragionamento non è altro

che una modalità segnica, capiamo anche che il reale è segno. E infatti le modalità del

ragionamento possono essere declinate secondo le scansioni segniche, e queste ultime sono

traducibili in categorie ontologiche.

Peirce afferma: “esistono tre tipi di segni. Vi sono anzitutto le somiglianze, o icone, che servono per comunicare

idee delle cose che rappresentano tramite la loro semplice imitazione. Vi sono poi le indicazioni, o

indici, che hanno la funzione di mostrare qualcosa delle cose, in virtù del fatto di trovarsi

fisicamente connesse a esse. Tale è ad esempio, un indicatore stradale, che segnala la strada da

prendere o un pronome relativo che viene posto proprio dopo il nome della cosa che si vuole

significare [….]. Vi sono poi i simboli, o segni generali, che sono stati associati ai loro significati

attraverso l‟uso. Sono tali gran parte delle parole e le espressioni, i linguaggi, i libri, le

biblioteche”147

.

Tale tricotomia, ripete in modo più specifico, questa volta penetrando nel cuore della

semiotica quanto viene espresso in termini generali dalla triade segno, oggetto.

interpretante. La riflessione sull'icona ci permette di capire come il rapporto segno-oggetto-

interpretante sia intrinseco ad ogni livello del segno, sebbene in forma più o meno esplicita

o come nel caso dell'icona in forma anticipativa cioè in forma più radicale, poiché il livello

iconico del segno sembra qualificarsi come struttura anticipativa dell‟oggetto e

dell‟interpretante, e in questo senso l‟icona diventa il livello segnico maggiormente idoneo a

dar conto della dimensione originaria del segno, dal momento che per sua virtù l‟icona

rappresenterebbe il nesso, l‟interrelazione tra pensiero e referente.

Infatti un tratto essenziale dell'icona, senza il quale non si può cogliere la specificità di tale

concetto è soprattutto il suo carattere fondativo che consiste nella consapevolezza che essa,

pur evocando l‟oggetto, pur comprendendone le relazioni intrinseche, non dispone di alcuna

connessione di carattere esistenziale con il referente.

Che cosa significa pensare alla possibilità logica dell'oggetto, e vedere l‟icona non come una

riproduzione dell'oggetto? Posto che l'icona non rassicura affatto riguardo alla esistenza

dell'oggetto, essa non può qualificarsi come una mera riproduzione di esso bensì come una

congettura su di esso, così come è stato detto nelle argomentazioni precedenti. Ma

affermando questo si transita già in sede logica, perché così si rinvia all‟ipotesi che mette a

frutto tutta la capacità creativa del pensiero per scoprire nuove teorie in grado di spiegare il

reale. Ma se da una parte il segno è esplicabile in termini logici, dall‟altra il ragionamento

guadagna una maggiore intelligibilità se lo si analizza attraverso le scansioni del segno.

E allora se il ragionamento si comporta come un segno, esso non può prescindere dal suo

livello iconico, il quale apre la strada ad una possibile unione di pensiero e reale.

Ma se il ragionamento accoglie anche il livello iconico, si proverà il radicato realismo che

anima tutta la prospettiva peirceana: il tratto iconico diventa lo spazio visibile in cui si

sperimenta la possibilità dell‟oggetto e lo spessore creativo del pensiero.

Il modo in cui Peirce definisce il ragionamento sancisce il connubio, peraltro preparato

dagli scritti giovanili, tra semiotica e logica, che risulta indispensabile a chiarire in che

147

Peirce, L‟arte del ragionamento – Che cos‟è un segno, cit., pp. 55-56.

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senso è possibile pensare l‟icona “come spazio di intersezione”. Le coordinate, infatti, che

costituiscono la dimensione iconica sono ascritte ad un ordine semiotico, logico-grafico e

matematico. Sicuramente in questo intreccio semiotico-logico-matematico, in cui sembra

consistere l‟icona, è ravvisabile, a mio avviso, il baricentro del progetto peirceano ed è

possibile apprezzare lo spessore ontologico della semiotica peirceana, poiché essa non può

prescindere da questi ambiti: questi ultimi la costituiscono perché le restituiscono la

vocazione fondativa e il senso. Ciò sembra confermato dalla ricerca lessicale dei termini

likeness, icon, dalla quale si evince che tali occorrenze sono presenti in contesti ora

semiotici ora logico-matematici, ora grafici.

Il concetto di icona rivendica un ruolo centrale, nella misura in cui diventa piano di

intersezione di diverse prospettive e si pone come luogo in cui si articolerebbe un rapporto

circolare tra natura e convenzione, dispiegando così la tesi di fondo del lavoro, già portata

avanti, nell‟ambito dell‟analisi dei concetti di ground e likeness.

Sicuramente Sull‟Algebra della Logica: Un contributo alla Filosofia della Notazione è il

testo che pone un elemento di discontinuità all‟interno della riflessione peirceana, poiché

decreta come legittima l‟assunzione delle icone all‟interno delle relazioni logiche, per

quanto siano presenti le tracce di questo straordinario cambiamento negli scritti precedenti,

poiché se l‟articolazione del discorso svolto precedentemente è valso a comprendere che già

Peirce aveva preparato le condizioni perché vi fosse una corrispondenza tra likeness, image,

hypothesis, dovrebbe risultare conseguenziale l‟introduzione delle icone all'interno del

registro logico, poiché comunque l'icona è una relazione di ragione, cosi come la

dimensione indicale, la quale designa gli oggetti della relazione di ragione espressa

dall'icona, è connessa strutturalmente al problema del vero e del falso. E se si considera che

già a partire dagli scritti giovanili, secondo Peirce, il pensiero partecipa della natura del

segno - prova ne è la lunga trattazione sinottica della rappresentazione e del segno - risulta

chiaro come il ragionamento logico che rappresenta l‟unica forma atta a conseguire la

verità, debba avvalersi di tutte le risorse dei segni e in particolare dei livelli che

garantiscono una maggiore creatività per potere accedere ad una conoscenza veramente

attiva, capace di decifrare il reale.

Se la conoscenza è un processo dinamico nel senso che non si pretende di partire da

premesse incontrovertibili per esplicitarne ciò che è contenuto in esse, se l'essenza

dell'avvertenza peirceana è quella di tenere a mente il carattere osservativo della conoscenza

per accedere alla verità attraverso una costruzione mai definita ma sempre disponibile

all'apporto di nuove significazioni e allora è chiaro che i risultati ai quali approda Peirce nel

1885 sono in realtà preparati dal lavoro degli scritti precedenti. Infatti Peirce in questo

saggio in cui condensa i frutti più fecondi della logica matematica del XIX secolo ritiene

che il ragionamento deduttivo necessita non soltanto dei simboli e degli indici, che

certamente assicurano la generalità e i soggetti, ma anche della relazione iconica nella quale

tale generalità viene anticipata. Peirce infatti afferma: “Con questi due soli tipi di segni (simboli e indici) può essere espressa qualunque proposizione; non

si può tuttavia farla oggetto di ragionamento, in quanto il ragionamento consiste nella osservazione

del fatto che, laddove sussistano certe relazioni, se ne trovano certe altre, e richiede per

conseguenza che le relazioni su cui si opera si mostrino in forma di icona”148

.

Più avanti dirà: “In un sistema perfetto di notazione logica devono venire impiegati i segni

di tutti e tre tipi suddetti”149

.

148

Peirce, Sull‟Algebra della Logica: Un Contributo alla Filosofia della Notazione (1885), cit., p. 886. 149

Ibidem

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96

In questi termini si comprende chiaramente come le ragioni dell‟icona siano profondamente

logiche, nel senso che i requisiti specifici dell‟icona, la sua osservabilità, il suo carattere

innovativo, e il suo rappresentare un‟ipotetica condizione corrispondono alle esigenze di un

ragionamento che concepisce la deduzione come un processo che scaturisce dall‟osservazione

delle relazioni e dalla scoperta di altre sulla base di quelle già osservate. In questo senso

l‟icona è lungimirante perché esibisce degli elementi che potranno essere oggetto del

necessario.

L‟introduzione dell‟icona all‟interno del ragionamento logico fornisce una ribalta in cui il

ragionamento può vedere le sue congetture, dedurne le conseguenze e verificarne i risultati.

La capacità immaginativa dell‟icona permette la formalizzazione di un problema, di uno

stato di cose che sarà fondamentale per arrivare alla scoperta di soluzioni o di altre verità

prima assolutamente impensabili.

Non è un caso che in vari scritti Peirce sia nel ragionamento teorico che in quello pratico

sottolinei la necessità del momento osservativo-congetturale, estendendo così la radicalità

della struttura dell‟icona, perché essa mette a disposizione elementi che risultano

indispensabili a tutti i tipi di ragionamenti, siano essi prettamente teorici come quelli della

matematica siano essi pratici come quelli delle scienze esatte. Proprio questa riconosciuta

necessità del ragionamento apre la semiotica al rapporto con le altre discipline, ma non nel

senso che è possibile genericamente intravedere dei rapporti tra loro ma nel senso che i

ragionamenti per creare nuove conoscenze intrinsecamente necessitano della struttura del

segno e in particolare del segno iconico. Sin dal 1867 in On the Natural classification of

Arguments e successivamente in Of Reasoning general del 1893 Peirce sottolinea lo stretto

rapporto tra segno e inferenza, affermando che sia il pensiero che il segno sono volti a

raggiungere la verità, e la legislazione osservata dal segno è proprio quella dell‟inferenza.

Infatti ad esempio l‟icona in quanto tale evoca qualcos‟altro, rinvia a qualche altra cosa, ora

questi due elementi si ritrovano ad essere pensati come insieme: proprio questo nesso

diventa significativo, poiché può essere inteso come un rapporto di implicazione e quindi

logico, e quindi questo movimento intrinseco all‟icona corrisponde a quello proprio

dell‟inferenza, la quale si caratterizza, già nel testo citato del 1867, come espressione di un

nesso che si stabilisce se si istituisce un‟implicazione vera tra le premesse e la conclusione.

In questi termini il rapporto di implicazione si pone come una relazione proto semiotica,

infatti afferma Peirce: “Yet it is just in bringing the premisses together that all the

difficulty lies! This preliminary uniting of the premisses is called copulation, or

colligation”150

.

La profonda relazione tra inferenza e icona è possibile grazie al fatto che ragionamento

logico e segno condividono lo stesso spazio, a tal proposito può risultare utile l‟esordio del

testo sulla classificazione degli argomenti: “[...] The term “argument” will denote a body of premisses considered as such. The term “premiss”

will refer exclusively to something laid down (whether in any enduring and communicable form of

expression, or only in some imagined sign), and not to anything only virtually contained in what is

said or thought, and also exclusively to that part of what is laid down which is (or is supposed to be)

relevant conclusion”151

.

Il segno iconico offre un grande vantaggio all'incremento delle inferenze, poiché non

soltanto le premesse suggeriscono la conclusione, mettendo a frutto l'atto primario che

150

CP 2.4 51. 151

CP 2.4 61.

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consente l'unità tra due idee, due elementi e altro, ma anche perché la contemplazione

sull‟unità raggiunta suggerisce nuove inferenze.

A riguardo esplicative risultano tali affermazioni: “The next step of inference to be

considered consists in the contemplation of that complex icon, the fixation of the attention

upon a certain feature of it, so as to produce a new icon”152

. In questi termini il segno

iconico non offre soltanto un piano osservabile ma anche una base operativa, che costituirà

principio di altre conoscenze. Qui sembra proprio utile il richiamo alla lezione pragmatica,

che insegna che il processo di significazione deve essere oggetto di verifica perché possa

risultare adeguatamente fondato.

E infatti proprio in questo testo Peirce richiama l‟attenzione sul metodo della conoscenza

scientifica sia essa di tipo dimostrativo sia di tipo sperimentale per porre in evidenza che la

sperimentazione sulle congetture prodotte permette un metodo più sicuro perché può

correggere gli eventuali errori e, sulla base delle indicazioni ricevute, realizzare un

progressivo adeguamento alla verità. La modalità iconica del ragionamento, per quanto

debole, perché ancora non suffragata dalla verifica deduttiva o induttiva, costituisce la

bussola sostanziale della conoscenza, poiché essa stessa pone le premesse per

l‟identificazione degli indici, e quand‟anche gli indici si rivelassero errati, tale affermazione

deve essere fondata sulle icone. Peirce infatti ritiene che “We may, therefore, say that

excepting the colligation of different beliefs the whole of inference consists in observation,

namely in the observation of icons” 153

.

Ma perché è così importante questo carattere osservativo del ragionamento? Perché non

soltanto esso permette un‟autocorrezione del ragionamento lungo il suo percorso ma anche

perché garantisce l‟oggettività della conoscenza; infatti ciò che non si scorge a primo

acchito ma si scopre dopo una lunga contemplazione, è frutto non del nostro singolo

pensiero ma prodotto dal pensiero-segno al quale appartiene il nostro singolo pensiero.

Proprio in questo risiede il vantaggio da parte del ragionamento dell‟uso delle icone, cioè

quello di utilizzare segni che lo candidano a qualificarsi scienza non soltanto del necessario

ma anche del vero. Tale svolta obbliga il discorso logico a non porsi come mero calcolo ma

ad avere come finalità la comprensione dell‟universo, così come viene ritagliato dalle icone.

Come Peirce afferma in Consciousness and Reasoning: “The observation of the icon may be

ordinary direct observation, or it may be scientific observation, or it may be scientific

observation aided by the apparatus of logical algebra and other technical means”154

. L‟icona

è alla base dei processi della conoscenza, ed è indispensabile al ragionamento logico, perché

essa permette la visualizzazione delle relazioni che essa mette in atto, tali relazioni sono

spendibili sul piano logico, e necessari allo sviluppo della deduzione. Quest‟ultima infatti

assolve la funzione di legittimare la congettura, se è attendibile. L‟icona corrisponde al

momento ipotetico del processo conoscitivo, a quella che Peirce definirà abduzione155

e,

come quest‟ultima, l‟icona esplica il suo ruolo in tutti i processi cognitivi. In questi termini

le relazioni espresse dall‟icona sono assimilabili alla implicazione, come dicevamo

precedentemente, più che alla somiglianza tradizionalmente intesa, ed è questo che permette

152

CP 2.4 43. 153

CP 7.557. 154

CP 7.556. 155

Il termine abduzione viene utilizzato per la prima volta nel 1867 in Specimen of Dictionary of the Terms of logic and

allied Science. In quest‟ultimo abduzione figura come traduzione di apagoghé ed è classificata come un sillogismo.

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all‟icona di porsi come momento genetico attraverso cui si costituisce il processo deduttivo.

Secondo Peirce è l‟ipotesi o abduzione la forma inferenziale che può tradurre sul piano

logico l‟icona, poiché l'abduzione procede secondo i termini per cui si suppone un principio

generale in grado di inferire un caso. L‟icona corrisponde a questo tipo di ragionamento, nel

senso che immaginando quale potrebbe essere la struttura interna dell‟oggetto lo produce,

offrendo alla mente così un tratto materiale di esso, senza, perciò stesso, avere la pretesa di

denotarlo. Nel 1901 Peirce affermava che nell‟abduzione i fatti suggeriscono l‟ipotesi, e che

si stabilisce una somiglianza tra i fatti e le conseguenze dell'ipotesi proprio in virtù della

rassomiglianza. Nel 1902 sempre a proposito dell'abduzione Peirce proponeva “l'abduzione come un argomento che presenta nella sua premessa fatti i quali presentano una

similarità con il fatto asserito nella conclusione, ma che potrebbero benissimo essere veri senza che

la conclusione sia vera, anzi senza che essa sia neppure riconosciuta; cosicché non siamo condotti

ad affermare con sicurezza la conclusione, ma siamo soltanto disposti ad ammetterla come

rappresentante un fatto di cui i fatti della premessa costituiscono un‟icona156

”.

2) La struttura abduttiva

Come dice Hintikka, capire lo statuto logico dell'abduzione è sicuramente il problema

dell‟epistemologia contemporanea, poiché, essa, considerata come l‟inferenza per

antonomasia produttrice di nuove conoscenze, è anche quella che si presenta in modo più

problematico. Il ruolo dell'abduzione all'interno del sistema peirceano insieme a quello

dell‟icona è cruciale e le apparenti incoerenze riscontrabili tra le varie definizioni di

abduzione sono spesso dovute ad una lettura settoriale di tale concetto. In realtà essa va

letta, a mio avviso, tenendo presenti le articolazioni del complesso architettonico del

pensatore americano e compresa, nonostante la sua irriducibilità, in relazione alle altre

inferenze. D‟altra parte questo è abbastanza importante perchè l‟interdipendenza tra

abduzione e induzione e deduzione ci potrà far capire meglio il rapporto tra icona e

abduzione e in generale l‟idea che l‟icona essenzialmente sia uno spazio di intersezione.

I tratti fondamentali cui rinvia l‟abduzione potremmo riassumerli in questo modo:

1) l‟abduzione è un processo, e proprio per questo è necessario concepirla interdipendente

con le altre inferenze, 2) l‟abduzione costituisce il tratto sperimentale del percorso della

conoscenza, 3) l‟abduzione ha un fine pragmatico, quello di orientare l‟azione al fine di

raggiungere in the long run la verità.

L‟analisi di questi tratti dovrebbe condurre a fare chiarezza sull‟abduzione e approfondire il

suo rapporto con l‟icona.

Se l‟abduzione sicuramente costituisce la riflessione caratterizzante il pensiero peirceano

non è da sottovalutare l‟innovazione profonda apportata ai rapporti tra le singole inferenze.

Sin dagli scritti del ‟67, come in quelli del ‟78, sebbene ancora in forma implicita, Peirce

coglie la specificità dell'inferenza ipotetica e contesta certa tradizione che ha assegnato il

primato allo spazio dell‟apodissi. Secondo Peirce la deduzione non può essere concepita

come un procedimento esclusivamente analitico, il ragionamento, al fine di produrre nuove

conoscenze, sulla base dei dati dell‟esperienza o dei dati interni prodotti dall‟immaginazione,

deve produrre quelle ragioni che possano consentire la spiegazione del reale. Ragionare

156

Peirce, Minute Logic, cit., p.126.

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significa esporsi responsabilmente ai percorsi intraprendibili dalla ragione, senza pensare di

ridurne i rischi, omologando il procedimento razionale ad un processo meccanico, rigido,

obbligato.

Nei primi scritti Peirce tiene a sottolineare l‟autonomia delle singole inferenze per incrinare

la posizione di privilegio dell'inferenza deduttiva, negli scritti dopo il 1891 l‟autore marca

l‟interdipendenza tra le tre inferenze, pur attribuendo forme logiche e funzioni distinte.

Laddove commetterà qualche confusione tra induzione e abduzione, Peirce sarà pronto a

rimediare ristabilendo i confini tra l‟una e l‟altra.

Se già a partire dagli scritti giovanili è ravvisabile la tendenza a concepire il procedimento

inferenziale in termini unitari, la riflessione sul ragionamento matematico, realizzatasi negli

anni Novanta, in cui da un‟ipotesi scaturirebbe l‟iter dimostrativo, contribuisce a rafforzare

l‟idea che le inferenze non sono impermeabili le une alle altre, ma interagiscono

imprescindibilmente. In questi anni il ragionamento matematico diventa un modello di

riferimento, che permetterà a Peirce di cogliere la radicalità del gesto matematico, e i suoi

riflessi in campo logico e ontologico, permeando così tutte le diramazioni del suo pensiero.

Leggiamo questa bella e chiara definizione dei tre tipi di ragionamento, così come vengono

individuati da Peirce: “These three kinds of reasonings are Abduction, Induction, and Deduction. Deduction is the only

necessary reasoning of mathematics. It starts from a hypothesis, the truth or falsity of which has

nothing to do with the reasoning; and of course its conclusions are equally ideal. The ordinary use

of the doctrine of chances is necessary reasoning concerning probabilities. Induction is the

experimental testing of a theory. The justification of it is that, although the conclusions at any stage

of the investigation my be more or less erroneous, yet the further application of the same method

must correct the error. The only thing that induction accomplishes is to determine the value of

quantity. It sets out with a theory and it measures the degree of concordance of that theory with fact.

It never can originate any idea whatever. No more can deduction. All the ideas of science come to it

the way of Abduction. Abduction consists in studying facts and devising a theory to explain

them”157

.

Risulta evidente in queste affermazioni il carattere creativo dell‟abduzione, poiché soltanto

ad essa, in particolare, bisogna rivolgersi per attingere nuove idee. Proprio a partire dal

momento in cui Peirce vede le tre inferenze interdipendenti l‟abduzione guadagna la

massima identità, nel senso che essa realizza tutta la sua potenzialità creativa, pur all‟interno

della sua forma logica. L‟abduzione pur rivestendo una forma logica può qualificarsi come

il primo tratto, quello più geniale, della ricerca scientifica. Questa doppiezza dell‟abduzione

non è la sua debolezza ma al contrario la sua forza, poiché se è vero che la pura

immaginazione, sollecitata o non dai fatti, produce abduzioni, e se è vero che per Peirce il

ragionamento, anche quello matematico, per antonomasia luogo ideale per l‟esplicazione

dell‟inferenza deduttiva, necessita delle abduzioni per scoprire nuove conoscenze, è chiaro

che l‟abduzione può esprimere il suo insight attraverso una forma inferenziale, peraltro se

questo non accadesse, questo invaliderebbe uno dei veti più marcati della sua impalcatura,

che è dato proprio dal rifiuto dell‟intuizionismo.

157

CP 5.145 Altrettanto chiara si presenta tale definizione: “Abduction is the process of forming an explanatory

hypothesis. It is the only logical operation which introduces any new idea; for induction does nothing but determine a

value, and deduction merely evolves the necessary consequences of a pure Hypothesis.

Deduction proves that something must be; Induction shows that something actually is operative; Abduction merely

suggests that something may be”. CP 5.171.

Its only justification is that from its suggestion deduction can draw a prediction which can be tested by induction, and

that, if we are ever to learn anything or to understand phenomena at all, it must be by abduction that this is to be brought

about”. CP 5.171.

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Sentiamo il bisogno di fare abduzioni quando ci manca qualcosa, quando vogliamo scoprire

come

sono andate le cose, in questo senso il pensiero è sempre preceduto dalla realtà, e quindi si

trova sempre nella condizione di dover andare a ritroso per cercare il pezzo che gli serve per

comporre un‟unità. Il pensiero non parte da zero e non può pretendere con un atto intuitivo

di travasare i pezzi di realtà che gli servono per capire, ma al contrario parte sempre da

qualcosa che conosce e arriverà a conoscere qualcos‟altro proprio a partire dal pezzo già

conosciuto. In questi termini l‟insight si realizza nella comprensione del nesso tra i pezzi

mancanti, ma a sua volta la forma con cui l‟atto abduttivo mostra l‟evento dell‟insight è

proprio quella dell‟inferenza logica.

Proprio in questo punto Peirce si mostra assolutamente fedele alle sue premesse teoriche,

consistenti essenzialmente nell‟idea che ogni conoscenza del reale scaturisce dalle ipotesi

sulla nostra conoscenza dei fatti esterni e che ogni cognizione è connessa logicamente a

quelle che la precedono: così come il pensiero e la realtà sono compatibili perché di fatto

condividono una medesima natura ovvero la dimensione segnica, allo stesso modo gli atti e

i contenuti del pensiero si corrispondono, nel senso che l‟insight si attua nella comprensione

di una relazione e il suo contenuto assumerà la forma logica dell'inferenza e in particolare

quella dell‟abduzione. Insomma conosciamo soltanto ciò che si presenta simile alle nostre

modalità di conoscere.

L‟abduzione, come prodotto dell‟immaginazione, crea nuove idee ma allo stesso tempo

queste idee saranno ritenute ipotesi e non libere associazioni se sono in grado di rispondere

a qualche problema, sebbene ancora in forma congetturale, dal momento che esse dovranno

essere verificate successivamente dall‟induzione. L‟abduzione scientifica è vincolata ai fatti,

come nel caso delle scienze sperimentali o come nella ricerca matematica alle idee prodotte

dalla pura immaginazione, agli entia rationis. E infatti l‟abduzione non può essere

equiparata ad un‟intuizione perché è fallibile: i fatti, gli errori umani possono smentirla.

D‟altra parte la valenza creativa dell‟abduzione non deve essere intesa né come un atto

intuitivo, né come un atto esclusivamente istintivo, poiché come dice Anderson: “The

abductive relates instinct relates to abduction as man‟s vocal ability relates to spoken

language; it is necessary but not a sufficient condition for the latter‟s occurrence. Certainly,

our vocal ability is not sufficient for spoken language and particularly not for excellence in

speaking. Thus, the instinct of insight is not a mechanism which determines our specific

guesses, but it is an ability allows us to guess at the truth”.158

Se concentriamo l‟attenzione sul fatto che l‟immaginazione è la facoltà che permette la

produzione del congetturare e se si valuta che l‟immaginazione non si qualifica come una

capacità solamente psicologica, ma anche logica, possiamo forse capire meglio in che senso

Peirce coniuga nell‟abduzione insight e forma logica. Se l‟immaginazione di cui stiamo

parlando è quella facoltà che ci permette di operare una sintesi trascendentale perché il dato

possa trovare la sua unità, che ci consente di cogliere le relazioni all‟interno dei singoli dati

perché questi ultimi possano essere esperibili, l‟abduzione, figlia di questa condizione

indispensabile alla conoscenza, sia nel caso in cui scopre una nuova legge, sia nel caso in

cui comprende “un peculiare stato dei fatti” ovvero che alcuni fenomeni sono sussumibili

sotto una legge già conosciuta, ci offre anticipatamente un gesto compositivo, facendoci

intravedere quell‟unità che in modo compiuto sarà legittimata al momento della sua verifica.

In questi termini l‟abduzione a pieno titolo si qualifica come il primo passo inferenziale nel

158

D. Anderson, Creativity and the Philosophy of C.S. Peirce , Martinus Nijhoff, Dordrecht, 1987, p.36.

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procedimento della conoscenza o in quella sperimentale. Infatti Peirce dichiara di avere già

da diverso tempo concepito l‟abduzione come un‟inferenza, secondo la seguente forma:

“The surprising fact C is observed; But if A were true, C would be a matter of course,

Hence, there is reason to suspect that A is true”159

.

E in questo senso Peirce già denominava l‟abduzione Retroduzione, poiché essa dalla

contemplazione dei fatti perviene all‟elaborazione di una teoria. Non è un caso che

l‟abduzione in Method for Attaining Truth viene definita una ricerca sperimentale, ma il suo

essere sperimentale è diverso da quello dell‟induzione, poiché nel caso di quest‟ultima si

tratta di effettuare un‟osservazione esterna degli oggetti, nel caso della prima invece

l‟esperienza consiste nel prendere atto di un che di inesplicabile nel fenomeno contemplato,

e l‟oggetto di contemplazione è un ens rationis, in esso si fa esperienza del fatto che al

pensiero si impone insistentemente un‟idea che necessita di venir fuori, che si mostra,

afferma Peirce, irresistibile, imperativa160

.

Certamente l‟abduzione costituisce il bordo del ragionamento logico, oltre il quale non si

può andare, sicuramente è l‟inferenza che si trova al confine con ciò che vi è di naturale, di

istintivo, tant'è che non sappiamo il motivo per cui scegliamo un‟abduzione piuttosto che

un‟altra. Peirce ritiene che la mente dell‟uomo segna lo sviluppo della natura, e che quindi

nell‟uomo risiede la tendenza a congetturare bene. Certo questa è a sua volta un‟ipotesi che

ci sia adeguazione tra il pensiero e la realtà, ma in ogni caso riguardo la spendibilità logica

della singola abduzione, capire l‟origine delle nostre abduzioni non costituisce un problema

insormontabile. È chiaro che la ricerca scientifica deve partire da assunzioni per far

procedere il ragionamento, la questione relativa all‟origine delle congetture riguarda le

condizioni della scienza, ma non la validità delle singole inferenze abduttive, le quali,

secondo Peirce, scaturiscono da un problema che può riguardare l‟accordo tra un concetto e

un possibile fenomeno, o la mancanza di una teoria in assenza della quale alcuni fenomeni

risulterebbero inspiegati. Se le abduzioni non disattenderanno tali aspettative,

indipendemente dalla loro origine più o meno giustificata, esse si

qualificheranno,comunque, come buone abduzioni. Infatti Peirce afferma: “L‟unico modo di scoprire i principi in base a cui si debba costruire una cosa è considerare che se

ne debba fare dopo che sia stata costruita. Quello che si deve fare con l‟ipotesi è trarne le

conseguenze per deduzione, confrontarle con i risultati degli esperimenti per induzione, e scartare

l‟ipotesi e provarne un‟altra non appena la prima, come è presumibile, verrà rifiutata. Non possiamo

sapere quanto ci vorrà prima che ci imbattiamo nell‟ipotesi che resisterà a tutte le prove, ma

speriamo che alla fine succeda [….]. In primo luogo l‟ipotesi deve essere passibile di verifica

sperimentale. In secondo luogo l‟ipotesi deve essere tale da spiegare i fatti sorprendenti che

abbiamo di fronte, la razionalizzazione dei quali è lo scopo della nostra ricerca”161

.

In questi termini nel testo del 1903 Pragmatism and Abduction Peirce identifica la questione

del pragmatismo con la questione dell‟abduzione poiché la massima pragmatica concede

spazio all‟immaginazione, purché essa abbia degli effetti pratici, purchè sia in grado di porsi

come esplicativa in riferimento ai fatti contemplati. In questo senso anche idee che

inizialmente potrebbero sembrare strane, successivamente sottoposte alla massima

pragmatica si potranno rivelare congeniali alla spiegazione di alcuni fatti, altrimenti

inesplicabili. Questo è il senso della massima pragmatica, afferma Peirce, se non la si

interpreta come una proposizione psicologica.

159

CP 5.189. 160

Peirce prosegue affermando: “The hypothesis, as the Frenchman says, c‟est plus fort que moi”. CP 5.581. 161

Peirce, On the Logic of Driwing History from Ancient Documents Especially from Tesimonies (1901), cit., p. 519.

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Se l‟ipotesi è effettivamente creativa perché scopre nuove leggi che possono spiegare fatti,

se il suo significato originario sta nel suo potere inventivo, essa, per quanto interdipendente

con l‟induzione, va distinta in modo netto.

Essa non si arrende ai fatti, piuttosto va dai fatti alla teoria e se la teoria si rivelerà giusta, i

fatti risulteranno spiegati. In questo senso lo statuto dell‟ipotesi non è quello dell‟accordo,

non è quello della credenza, e non è neanche quello della probabilità, al contrario esso è il

frutto di una connessione logica, di un‟implicazione assolutamente logica, poiché i nessi

istituiti dall‟ipotesi, se veri, sono incontrovertibili e predittivi. Come Peirce afferma: “[…] There is now reason to believe in the theory, for belief is the willingness to risk a great deal

upon a proposition. But this belief is no concern of science, which has nothing at stake on any

temporal venture but is in pursuit of eternal verities (not semblances to truth) and looks upon this

pursuit, not as the work of one man‟s life, but as that of generation after generation, indefinitely.

Thus those retroductive inferences which at length acquire such high degrees of certainty, so far as

they are so probable, are not pure retroductions and do not belong to science, as such; while, so far

as they are scientific and are pure retroductions, have no true probability and are not matters for

belief”162

.

L‟abduzione parte dunque dall‟interpretazione del dato che viene concepito ipoteticamente

come conseguenza di un principio generale, la creatività sta nella scelta della premessa,

nell‟accostamento che non è dato tra antecedente e conseguente. L‟abduzione ascrive

l‟individuale al generale, coglie il rapporto tra un‟occorrenza e il principio che la può

giustificare, essa riesce ad integrare un elemento all‟interno di un sistema, ed è questa

operazione a qualificarsi prettamente logica e non empirica come potrebbe essere la mera

enumerazione delle occorrenze, o il loro calcolo statistico, e a garantire alla scienza una

conoscenza vera, se sarà confortata dai fatti.

A parte i casi in cui Peirce sembra assottigliare i confini tra ipotesi e induzione, il

riconoscimento della specificità e autonomia dell‟inferenza abduttiva è già presente negli

scritti giovanili. A Peirce è chiaro che l‟abduzione si costituisce inferenzialmente con

principi non riducibili a quelli della deduzione, ritenuta dalla tradizionale sillogistica

l‟inferenza madre. La forma logica che viene attribuita all‟abduzione non sarà smentita

successivamente, semmai quest‟ultima sarà potenziata, senza perdere mai la sua identità, dal

rapporto con le altre due inferenze, le quali non sono viste più come procedimenti separati

ma come momenti di un processo unitario. Per quanto già nella produzione giovanile sono

già riscontrabili passi significativi che aprono la strada a tali esiti della maturità, di cui mi

curerò di mostrare più avanti, sicuramente dopo gli anni „80 la deduzione viene vista come

lo sviluppo delle conseguenze di un‟ipotesi, e questo aspetto creativo dell‟ipotesi diventa

anche più evidente e più adeguatamente speso. I frutti dell‟ipotesi vengono sviluppati,

rigorizzati dalla deduzione, e verificati dall‟induzione, e quindi l‟elemento innovativo viene

messo a frutto e al tempo stesso trasformato in legge scientifica e proprio a seguito di questo

modo di vedere il rapporto tra le tre inferenze non è ravvisabile alcuna frizione tra l‟aspetto

creativo e la sua forma inferenziale, poiché, se la deduzione è in grado di sviluppare il

contenuto dell‟abduzione, ciò può farlo nella misura in cui esso si rende disponibile in una

forma inferenziale,e l‟abduzione stessa può effettuare il suo gesto creativo, a patto che esso

si dispieghi all‟interno di un processo inferenziale, condizione intrascendibile per il

pensiero, secondo la prospettiva peirceana. Un‟abduzione scientifica non sorge ex abrupto

162

CP 5.589. Questi aspetti dell‟abduzione vengono ripresi e valorizzati da D. Anderson a sostegno della specificità

dell‟abduzione rispetto al carattere probabile dell‟induzione, in Creativity and the Philosophy of C.S. Peirce, op.cit., p.

42.

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ma è il risultato di una contemplazione all‟interno di un contesto, che è fatto di relazioni, di

sponde che si rinviano l‟un l‟altra, e in questo fra nasce l‟abduzione. L‟abduzione risulta

complessa perché è come se fosse strutturale e indispensabile il suo bifrontismo, poiché

tiene insieme il derivabile e l‟asseribile, nel senso che l‟asseribile, una volta realizzato, dà

conto del derivabile ovvero della miniera inesauribile dell‟immaginazione che sta al fondo

di ogni assunzione. L‟abduzione si sporge verso quegli elementi ancora non conosciuti e,

appena avrà capito il nesso tra ciò che conosce già e il non ancora conosciuto, disporrà di

tale nesso nella forma inferenziale. Ma l‟atto di immaginazione sembra non disgiunto da

quello inferenziale, nel senso che l‟abduzione potrà disporre del suo prodotto soltanto in

forma inferenziale, poiché non è un‟ intuizione, non è immediata, a ritroso cerca di seguire

le orme, le tracce delle relazioni, che si configurano indipendentemente dai singoli pensieri,

e di cui le abduzioni buone costituiscono le loro trascrizioni logiche.

Nell‟abduzione lo sforzo è quello di coniugare ragione e immaginazione, il motivo per cui

l‟abduzione si mostra problematica sta nel fatto che essa si configura proprio nel momento

in cui si congiungono immaginazione e inferenzialità. L‟immaginazione scientifica, non è il

cilindro dal quale escono le chimere, semmai è quella condizione originaria, con la quale si

costruiscono le relazioni perché possano assumere una configurazione possibile, ma la

stessa immaginazione può spiccare il volo a patto che si lasci guidare dalle stesse tracce

fornite dall‟esperienza; in questo senso la produzione dell‟immaginazione è limitata e

controllata razionalmente, essa non vaga in modo più o meno libero, ma cerca di costruire il

suo percorso di conoscenza mediante il parallelo iter che il reale va suggerendo.

Essa provvede a costruire una forma razionale, che garantisca una possibile intelligibilità,

ma questa forma razionale nella quale si dispiegano i possibili rapporti è proprio quella

dell‟abduzione, la quale, diversamente dall‟induzione, non ha il problema di verificare nei

fatti ciò che già è stato assodato nella teoria, al contrario è in cerca di una connessione, e

quindi da una parte deve compiere lo sforzo di immaginarsi il modo in cui sono andate le

cose, deve ricorrere all‟immaginazione perché essa si sostituisca ai fatti, ma allo stesso

tempo questa diventa utile non perché fornisce le repliche della realtà ma perché nel

sostituirsi ai fatti procura una possibile connesione dei fatti, poiché altrimenti questi ultimi

rimarranno inesplicati. Proprio quando è all‟opera l‟immaginazione vediamo nascere

contemporaneamente i fatti e le loro connessioni, in caso contrario afferma Peirce: [A man]

He can stare stupidly at phenomena; but in the absence of imagination they will not connect

themselves together in any rational way”163

. Ma la connessione utile sul piano scientifico,

cioè la connessione che permette di fare il salto dall‟ordine dei fatti a quello della teoria è

proprio il tipo di inferenza abduttiva, perché spiega il darsi di quel determinato fenomeno,

scoprendo il suo antecedente, cioè mettendolo in connessione con qualcos‟altro. E allora

l‟immaginazione non è libera di fantasticare, non va confusa con la facoltà psicologica, con

la facoltà meramente riproduttiva, come direbbe Kant, ma va identificata con un‟attività

assolutamente spontanea, in virtù della quale si realizza un riconoscimento dei dati, poiché

la loro unità rende possibile la comprensione, prima che questa diventi comprensione logica.

E allora ciò che nell‟abduzione è ancora non inferenziale, è il tratto che l‟avvicina

all‟immaginazione, poiché è sulla base delle figure offerte dall‟attività dell‟immaginazione

che l‟abduzione può esplicare le sue inferenze sintetiche le quali, pur essendo le più deboli

perché le più rischiose, sono quelle che otterranno, se vere, il massimo vantaggio, il nesso

tra fatti e teoria, e quindi il frutto prezioso della spiegazione.

163

CP 1.46.

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104

I suggerimenti, le tracce, le allusioni sembrano proprio i sostegni di cui si avvale lo sforzo

immaginativo, i quali, per quanto deboli, costituiscono gli unici appigli con cui lo streben

dell‟immaginazione opera e su cui al tempo stesso la forma inferenziale esplica il suo

esercizio per realizzare l‟atto abduttivo quale esito di un processo, giammai di un presunto

atto intuitivo. In questo senso, a mio avviso, si riconosce l‟uso kantiano dell‟immaginazione,

cosi come viene intesa nella seconda edizione della Critica della ragion Pura, in cui si

attribuisce una funzione trascendentale alla immaginazione, poiché ad essa si riconosce il

merito di fornire al molteplice un‟unità, che costituisce la base possibile per ogni opera di

concettualizzazione. Tale unità non è ancora realizzata dallo spazio e dal tempo in sede di

Estetica trascendentale, poiché lì si rendono disponibili i dati, ma la loro strutturazione

indispensabile perché diventi oggetto di connessione logica è frutto dell‟opera

dell‟immaginazione. L‟immaginazione è la tela su cui si delineano i dati e le loro

imprescindibili relazioni. Senza questo strato non si potrebbe operare la mediazione tra i

dati della sensibilità e quelli dell‟intelletto. L‟immaginazione, è chiaro, non designa una

determinata conoscenza al contrario anticipa ogni conoscenza determinata. Proprio

nell‟esibire uno stato ideale di cose l‟abduzione è strettamente imparentata con

l‟immaginazione poiché essenzialmente condivide con essa la dimensione della possibilità,

infatti l‟immaginazione struttura il fenomeno, il dato perché possa divenire oggetto di

comprensione. Ma questa possibile strutturazione del fenomeno non è disgiunta dall‟atto in

cui si realizza l‟abduzione, poiché quest‟ultima proprio in quella figura realizzata

dall‟immaginazione riconoscerà il conseguente di un possibile antecedente, cioè in quella

immagine vedrà sintetizzati dei possibili caratteri, che potrebbero risultare giustificati

qualora si presupponesse una determinata classe o principio, che fungendo da antecedente,

fosse in grado di spiegarli. Cioé l‟abduzione non opera a prescindere dai frutti

dell‟immaginazione, essa piuttosto sembra qualificarsi come la testimonianza più feconda di

un intreccio inestricabile tra ragione e immaginazione, perché l‟abduzione si realizzi, è

necessario disporre di figure, perché è nella figura che può cogliere un‟unità che si esprime

nel mettere in relazione il conseguente con un possibile antecedente. Il lavoro

dell‟immaginazione viene potenziato, perché l‟unità realizzata dall‟immaginazione che

opera ad un livello più originario, viene ottimizzata dall‟abduzione, la quale opera

all‟interno di una dimensione possibile, grazie alla scoperta del nesso conseguente–

antecedente. L‟implicazione espressa dall‟abduzione è un‟unità superiore, perché se vera,

diverrà scientifica, ma rimane debitrice nei confronti dell‟operazione attuata

dall‟immaginazione, che rimane primaria.

La doppiezza dell‟abduzione ovvero il carattere figurativo e il carattere inferenziale

diventano espressione della relazione profonda tra ragione e immaginazione, poiché le

inferenze necessitano di figure, e, più di ogni altra, l‟abduzione, poiché essa non ha nulla

alle sue spalle, diversamente dalla deduzione e dall‟induzione che rispettivamente

costituiscono il suo sviluppo e la sua verifica. In questo senso segno e ragionamento si

corrispondono, poiché entrambi necessitano dell‟opera dell‟immaginazione, entrambi

devono partire da una “materia figurata” per decifrarne la sua relazione intrinseca: sul piano

logico tale relazione può ascriversi all‟abduttivo, al deduttivo e all‟induttivo. Segno e

ragionamento si costituiscono a partire da un processo, in virtù del quale si assiste

all‟insediamento della ragione in uno spazio già occupato dai frutti dell‟immaginazione.

L‟immagine è segno di una relazione inferenziale e quindi in questo senso non può avere

una base intuizionistica, perché il suo valore non sta in ciò che essa è in se stessa, ma nelle

relazioni che essa lascia intravedere, per le relazioni che anticipa e a cui allude, che in

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questo caso costituiranno la base d‟appoggio per l‟abduzione, la quale su quella relazione,

già offerta dall‟immagine, costruisce l‟implicazione inferenziale, che è a sua volta un rinvio

alle relazioni cui rimanda il prodotto dell‟immaginazione. Cosi come l‟immaginazione non

lavora su dati ultimi ma sempre su relazioni, allo stesso modo la ragione provvede a

formalizzare relazioni sempre più rigorose, sulla base di relazioni primarie. Ma qual è la

relazione primaria espressa dall‟immaginazione? Quella che per antonomasia gioca

d‟azzardo, assumendosi tutti i rischi, nel momento in cui esprime l‟equivalenza di qualcosa

rispetto a qualcos‟altro è la relazione espressa dall‟icona.

Ma se in Kant nella conoscenza filosofica il lavoro dell‟immaginazione rimane separato da

quello logico, ad eccezione di quello matematico, in Peirce l‟operato dell‟immaginazione e

quello della ragione s‟intrecciano, diventano complementari, perché da una parte

l‟abduzione sembra dover osservare qualcosa per trovare il possibile antecedente del

conseguente osservato, ma dall‟altra l‟unità fornita dall‟icona risulta intelligibile in termini

abduttivi. L‟icona infatti, se non deve essere intesa come una riproduzione di qualcosa, è

spiegabile se la si intende come la rappresentazione ipotetica di uno stato di cose. Se non

fosse così, l‟icona perderebbe la sua forza esplicativa e fondativa nei confronti del reale.

Se l‟analisi fin qui condotta è corretta, la doppiezza dell‟abduzione è strutturale, non è

affatto espressione di una debolezza del pensiero peirceano, al contrario l‟abduzione diventa

espressione degli aspetti originali del pensiero peirceano, poiché l‟abduzione condensa

l‟intima unione di semiotica e logica, mostrando come il fondo dell‟abduzione sia iconico, e

come d‟altra parte l‟intelligibilità dell‟icona sia di natura abduttiva.

E allora indipendentemente dalle oscillazioni dell‟autore in merito all‟identificazione

dell‟abduzione, sicuramente, così come affermano diversi studiosi, il rapporto tra abduzione

e icona non è mai stato smentito. E proprio su questo rapporto sarà opportuno ritornare per

porre in evidenza che la natura dell‟abduzione è comprensibile se si tengono presenti i suoi

rapporti con l‟inteleiatura dell‟intero sistema peirceano.

3) L’icona nel ragionamento matematico

La corrispondenza tra segno e ragionamento non vale soltanto per il piano strettamente

logico ma anche per il ragionamento matematico, quest‟ultimo, infatti, concepito come il

regno della possibilità, si avvale delle icone, perché esse proiettano fasci di luce sulle cose

rivelandone aspetti inediti.

Peirce insiste sulla necessità di valutare lo spazio matematico come quello privilegiato,

poiché la struttura delle cose si lascia scoprire proprio all‟interno della forma matematica.

La forma matematica riesce a dar conto soltanto della somiglianza o diversità che sono

intrinseche alla cosa stessa, senza riferimento alcuno all‟esistenza effettiva della cosa stessa.

La specifica capacità da parte della matematica di formalizzare le somiglianze e le diversità

delle cose, che si traducono in equivalenze, analogie, relazioni in generale, è interamente

dovuta all‟uso di ipotesi che sono il frutto prezioso dell‟immaginazione, le quali proprio per

questo sono libere da qualsiasi vincolo imposto dal dato empirico. L‟icona è quel tratto

materiale in cui consiste l‟oggettivazione dell‟ipotesi e in questi termini nello spazio

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matematico puramente possibile l‟icona può usufruire della massima libertà per

sperimentare i possibili oggetti164

.

Nel pensiero peirceano la convinzione che nel discorso matematico sia riscontrabile la

presenza di icone è attestabile da passaggi chiari come questi: “anche il ragionamento matematico si fonda principalmente sull‟uso di somiglianze, che sono i veri

e propri cardini su cui ruotano i cancelli di tale scienza. L‟utilità delle somiglianze per i matematici

consiste nel suggerire in modo molto preciso nuovi aspetti di supposti stati di cose. Supponiamo a

esempio di avere una linea curva molto tortuosa, con continui punti dove la curvatura muta

direzione, andando da un senso orario a uno antiorario e viceversa, come nella fig.1.

Supponiamo poi che questa curva sia continua, tanto da attraversare se stessa in ogni punto dove la

curvatura cambia direzione in un altro punto simile. Il risultato appare nella fig. 2.

Può essere descritto come un certo numero di ovali che tendono a appiattirsi, come se fossero sotto

pressione. Senza le figure non si potrebbe avere la sensazione che la prima e la seconda descrizione

sono equivalenti”165

.

A conclusione del testo Peirce in modo nitido afferma la radicalità della pratica iconica: “Chi ragiona costruisce una sorta di diagramma mentale dal quale vede che, se la premessa è quella,

la sua conclusione alternativa deve essere vera; il diagramma è perciò un‟icona o una somiglianza.

Il resto sono simboli e la complessità del ragionamento può essere considerata come un simbolo

mitigato: non è una cosa morta, ma conduce il pensiero da un punto all‟altro”166

.

Se in questi passaggi è apprezzabile la semplicità con cui Peirce mostra l‟impianto del suo

sistema, che assesta la sua base sull‟idea centrale che l‟icona sia necessaria per potere

ragionare, in altri passaggi è possibile comprendere il modo in cui e in che senso la

matematica può qualificarsi una scienza osservativa in cui sia possibile contemplare

qualcosa, come potrebbe essere la costruzione visiva di qualcosa.

Queste proposizioni, apparentemente semplici, circa la natura iconica del ragionamento

matematico chiamano in causa sequenze epocali della storia della filosofia che

164

A proposito del valore creativo dell‟ipotesi nel ragionamento matematico utile l‟analisi dell‟ipotesi in matematica di

Daniels Campos. Cfr. Peirce on the Role of Poietic Creation in Mathematical Reasoning «T.C.P.S.»Vol.43, no.3 2007,

pp.470-489. 165

Peirce, L‟arte del ragionamento – Che cos‟è un segno, cit., pp. 57-58. 166

Ivi, p. 66.

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inevitabilmente si intrecciano con la storia dei diversi modi di concepire il ragionamento

matematico.

Senza volere entrare nei meandri di un discorso che valicherebbe gli interessi specifici del

presente discorso, è opportuno richiamare le idee fondamentali della filosofia matematica

che Peirce matura proprio negli anni novanta e mette a frutto in modo organico e coerente

con tutta l‟impalcatura del suo pensiero. Infatti il ruolo della facoltà dell‟immaginazione

all‟interno del ragionamento matematico potrà fare luce in modo più diretto sull‟idea che

l‟icona possa intendersi come spazio di intersezione tra gli universi semiotico, logico e

matematico.

Peirce nel Ms. 431 (1902) esordisce con l‟intenzione di tematizzare l‟essenza della

matematica e così partendo dalla definizione che già era stata fornita dal padre, secondo il

quale la matematica era una scienza che trae deduzioni necessarie, argomenta al fine di

demolire l‟idea che la matematica sia la scienza della quantità167

. Secondo l‟autore, già a

partire da Euclide, la matematica non è intesa come la scienza della misura e sia Aristotele

che Platone sviluppano l‟idea che la matematica sia fondata sul continuo e sull‟astrazione.

Infatti la convinzione, già consolidatasi, a partire da Platone, che la matematica non si

riferisce ad uno stato reale di cose ma ad uno stadio ideale di cose costituisce il punto

fondamentale della questione, poiché, argomenta Peirce, nonostante possa apparire

paradossale, è proprio il carattere ipotetico della conoscenza matematica a garantire la

necessità delle deduzioni del suo ragionamento. E infatti la fatica di Peirce è quella di

comprendere come questa apparente contraddizione trovi un‟organica e coerente risoluzione

ed esprima l‟essenza della matematica. Infatti Peirce afferma: “[….] to assert that any

source of information that is restricted to actual facts could affar us a necessary knowledge,

that is, knowledge relating to a whole general range of possibility, would be a flat

contradiction in terms”168

. Sebbene questo tipo di argomentazione conduca Peirce a

prendere le distanze da Kant, riguardo all‟idea che la conoscenza matematica possa

garantire una conoscenza vera, oltre che necessaria, è da tenere presente che l‟affermazione

peirceana mostra l‟assimilazione della lezione kantiana, poichè è proprio Kant a sostenere

che l‟esperienza non ci garantisce la conoscenza necessaria. Ciò sottolinea il fatto che la

concezione della matematica peirceana non implica un rigetto dell‟impostazione del

pensiero kantiano, semmai Peirce proprio sulle orme di Kant va oltre Kant e scopre un

nuovo modo di concepire il ragionamento matematico

Al contrario proprio la capacità da parte della matematica di immaginare, di produrre

ipotesi, crea le condizioni per l‟astrazione e la generalizzazione, che sono gli ingredienti

necessari del ragionamento apodittico e soprattutto le condizioni per produrre contenuti

inediti, sintetici. Bisogna immaginare schemi definiti, diagrammi conformi alle tesi poste

nel teorema. Ma che significa immaginare nel ragionamento matematico? Significa

167

Nei manoscritti 16 e 17 del 1896, Peirce già si sofferma sulle definizioni di matematica , che si sono avvicendate da

Aristotele sino a Benjamin Peirce. Peirce, infatti, rinvia alla definizione fornita da Aristotele, limitandosi a sostenere

che quest‟ultima coincide essenzialmente con la sua prospettiva. Passa ad esaminare la seconda definizione che

attribuisce alle scuole romane, secondo le quali si concepisce la matematica come scienza dei quanta, prosegue con la

terza definizione, che viene identificata con quella relativa al periodo rinascimentale, e che vede la matematica come

studio dell‟applicazione delle quantità. Infine analizza la quarta, sostenuta da De Morgan, Rowan Hamilton, che

individua nello spazio e nel tempo gli oggetti della matematica e la quinta definizione, quella fornita dal padre, che

identifica la matematica con la scienza che trae conclusioni necessarie. Nei riguardi di quest‟ultima definizione Peirce

esprime la sua piena condivisione, e allo stesso tempo pone in evidenza il suo punto di vista, che consiste

essenzialmente nella valorizzazione delle ipotesi all‟interno dell‟iter dimostrativo matematico. Cfr. Peirce,

Pragmatismo e Grafi esistenziali, a cura di S.Marietti, Milano, Jaca Book, 2003. 168

Ms. 431, p. 7.

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oggettivare un‟ipotesi, ma in matematica il valore dei ragionamenti è misurato dal loro

carattere di necessità, dal rigore dimostrativo con cui si perviene alla conclusione. Peirce

afferma che qualora ci limitassimo a prendere le mosse da una proposizione necessaria l‟iter

che ne scaturirebbe sarebbe esclusivamente analitico, e quindi non innovativo. Il problema

nasce dal fatto che la matematica, pur partendo da ipotesi, produce conoscenze necessarie,

che sebbene non vere, perché la matematica non denota il reale ma lo immagina per capire

le sue possibilità logiche, si qualificano come espressioni del ragionamento matematico per

eccellenza.

Insomma per Peirce proprio l‟assunzione delle ipotesi garantisce la compresenza di due

elementi fondamentali per il ragionamento: la necessità e la novità. Infatti quando si assume

un‟ipotesi e la si oggettiva il compito non si conclude qui, se si concludesse o perlomeno ci

si limitasse a svolgere analiticamente l‟ipotesi assunta, ci si ritroverebbe in una situazione

analoga a quella del procedimento analitico, nel senso che quest‟ultimo costringerebbe ad

una traiettoria obbligata che non aggiunge nulla di nuovo poiché si limiterebbe ad

esplicitare ciò che è già presente nelle premesse. Al contrario la scientificità dell‟ipotesi è

garantita dal fatto che, dopo averla assunta, è necessario osservare e sperimentare su di essa.

Diventa fondamentale intraprendere alcune direzioni, scegliere tra alcune possibilità per

sviluppare le conseguenze dell‟ipotesi assunta: ma queste possibilità che si prospettano non

sono predeterminate dalla tesi, come potrebbe avvenire in un ragionamento di tipo analitico,

ma allo stesso tempo non sono frutto di una scelta arbitraria, nel senso che queste possibilità

vengono intraviste soltanto dopo avere costruito il diagramma, prima non vi è traccia di

esse, poiché esse appaiano quando impariamo ad osservare e a sperimentare sul diagramma

realizzato.

In questo procedimento tipico del ragionamento matematico, cogliamo una riserva

dell‟energia razionale che è dovuta alla ricchezza dell‟immaginazione, la quale non si

esaurisce nelle sue oggettivazioni, al contrario le trascende sempre proprio a partire da esse.

Sebbene il percorso non sia predeterminato, quando si intraprende una delle possibilità, lo

sviluppo di queste coinciderà con la fase deduttiva del ragionamento. È qui in questo punto

che la necessità sembra scaturire dalla possibilità ed è qui che si radicano le condizioni della

scoperta. Ma proprio in questo punto la necessità e la scoperta diventano fruibili, trasparenti,

perché osservabili e sperimentabili, cioè la necessità non è contratta all‟interno di una tesi in

attesa di essere dispiegata, e la novità non è frutto di un atto intuitivo piuttosto è frutto di

una costruzione, in cui i possibili percorsi si delineano all‟interno della costruzione e non al

di fuori di essa.

Per comprendere il carattere radicale della costruzione delle immagini e della loro valenza

autotrasformativa è opportuno dare uno sguardo a ciò che Peirce afferma in alcuni scritti

non appartenenti alla riflessione matematica: “The of the poet or novelist is not so utterly different from that of the scientific man. The artist

introduces a fiction; but it is not an arbitrary one; it exhibits affinities to which the mind accords a

certain approval in pronouncing them beautifull, which if is not exactly the same as saying that the

synthesis is true, is somethings of the same general kind. The geometer draws diagram, which if not

exactly a fiction, is at least a creation, and by means of observation of that diagram he is able to

synthetize and show relations between elements which before seemed to have no necessary

connection. The realist compel us to put some things into very close relation and others less so, in a

highly complicated, and to the sense itself unintelligible, manner; but it is the genius of the mind,

that takes up all these hints of sens, adds immensely to them, makes them precise, and shows them

in intelligible form in the intuitions of space and time. Intuition is the regarding of the abstract in a

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concrete form, by the realistic hypostatization of relations; that is the one sole method of valuable

thought”169

.

Qui tra l‟arte e la matematica sembra che veramente ci sia profonda assonanza, poiché,

libere dalle relazioni del mondo esistente, l‟obiettivo non è quello di sovrapporre

convenzionalmente la propria idea a quella del mondo esistente o trovare quella

corrispondente, ma è quello di cercare la verità.

Come dice in modo efficace V. Colapietro: “Uno dei ruoli dei processi di costruzione dell‟immagine e delle pratiche di immaginazione è di

sconvolgere le frontiere dell‟effettivo, anche per interrogare la tirannia spesso non riconosciuta di

ideali apparentemente ammirevoli. In particolare, l‟ideale di essere padroni dei nostri significati ha

bisogno di essere interrogato in riferimento al significato della nostra insistenza su una tale

padronanza” 170

.

Riguardo al ruolo dell‟immaginazione scientifica operante all‟interno del sapere

matematico, Peirce scrive: “Thinking in general times is over enough. It is necessary that

something should be done .In geometry subsidiary lines are drawn. In algebra permissible

transformations are made.Thereupon faculty of observation is called into play. Some

relation between the parts of the schema is remarked. But would this relation subsist in

every possible case”171

.

Peirce risponde dicendo che sicuramente il ragionamento corollariale ovvero il

ragionamento analitico possiede percorsi obbligati, mentre il ragionamento teorematico è un

ragionamento, il cui rigore è frutto della sperimentazione sugli schemi costruiti, in cui i

percorsi si scelgono ma non in forza dell‟arbitrio del matematico ma in virtù di ciò che

risulta leggibile nel testo rappresentato dalla costruzione geometrica o algebrica.

Si interroga il testo diagrammatico perché esso possa liberare le sue possibili connessioni,

affinché possa lasciare emergere la sua intensità e la sua capacità di far intravedere verità,

principi universali: tale è lo stadio in cui le verità si contemplano. E proprio in questa

contemplazione si rivela una profonda corrispondenza tra icona e ragionamento matematico,

già sintetizzata in modo efficace in On the Algebra of Logic: A Contribution to the

Philosophy of Notation: “Chiamo un segno, che sta per un oggetto semplicemente in virtù della sua somiglianza con esso,

icona. Le icone pertanto si sostituiscono completamente ai loro oggetti ed è perciò difficile

distinguerle da essi. Di questo tipo sono i diagrammi della geometria. Un diagramma, in effetti,

nella misura in cui ha un significato generale, non è una pura icona; nel corso di un ragionamento

però noi assai spesso non ci atteniamo a quel livello di astrattezza, e il diagramma diventa per noi la

cosa reale. Così nel contemplare un dipinto vi è un momento in cui noi perdiamo la coscienza del

fatto che esso non è la cosa che rappresenta; la distinzione tra l‟originale e la copia allora scompare;

169

W6:187. Riguardo al confronto tra l‟immaginazione scientifica e quella artistica, Anderson, pur sottolineando le

affinità tra le due attività, pone in evidenza come l‟arte assolutizza il potere creativo dell‟immaginazione: “A work of

art creates its own referent […] Scientific hypotheses can be original but their corresponding reality is not new;

gravitational force, as we suggested earlier, did not begin with Newton according to Peirce. In art, however, not only is

the idea original for us,but it is novel for the world of existence as well. The only place a work of art could not be

original is in the Platonic world of pure firsts [...] An artist does not look truth as correspondence but for truth as self-

adequacy Peirce follows Kant on this point: „Truth is conformity of a representation to its object‟(1.578). Since a work

of art has only its own created referent as an object, it can only be true to itself”. D. Anderson, op, cit, pp. 76-79. 170

V. Colapietro, Processi di costruzione dell‟immagine e di immaginazione:verso una chiarificazione pragmatica

dell‟immagine, in working papers presented at the conference “Peirce and image”, Urbino,C.I.S.EL.,17-18-19 July,

2006. p. 36. 171

Peirce, Ms. 431., p. 11.

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in quel momento ci troviamo in uno stato di puro sogno –non abbiamo di fronte alcuna esistenza

particolare-e però nemmeno una generale, in quel momento stiamo contemplando una icona”172

.

Qui il punto chiave è che Peirce ci sollecita a compiere un‟operazione di speleologia

all‟interno dell‟immagine, poiché è come se essa avesse tanti strati ancora da scoprire, da

svelare, e quindi l‟atto di contemplazione, di interrogazione che da esso ne deriva serve a

tirare fuori tale riserva. Non è possibile capire il carattere fondamentale dell‟icona in ogni

processo conoscitivo, se non ci affranchiamo dall‟idea che l‟immagine costituisca una

dimensione statica.

Tornano efficaci le parole di V. Colapietro, il quale, sulla scorta di Esposito, afferma:

“un‟ontologia di forme pre-fissate deve essere soppiantata da un‟ontologia di forme

storicamente evolute e in evoluzione”173

. E sulla base di questo principio pur, con inevitabili

differenze, l‟artista e il matematico testimoniano questa libertà e fecondità dell‟immagine:

l‟immagine è, infatti, libera dal confronto con l‟esistente e al tempo stesso feconda perché

sarà capace di generare qualcosa, indipendentemente dal costruttore, sia nel caso del

matematico sia nel caso dell‟artista. Infatti ancora Colapietro, sulla base del lavoro

dell‟artista e teorica Barbara Bolt, spende parole in favore della centralità dell‟immagine

all‟interno dell‟epistemologia peirceana: “L‟arte esegue il suo compito esplorando in modi inevitabilmente non convenzionali, possibilità di

costruzione dell‟immagine, essendo questa esplorazione un‟interrogazione inesausta delle

possibilità inerenti la materialità, le tradizioni, e i gesti, i movimenti e le immaginazioni degli artisti

[...] L‟opera d‟arte è, in altre parole, una congerie di funzioni, nella quale il coinvolgimento

dinamico e materiale dell‟artista, mezzo e oggetto, è preso in carico e portato avanti in processi

unicamente configurati in qualità sensoriali, anch‟esse unicamente istanziate in un presente

obsistente, dinamicamente intelligibile nei modelli del rispondere, dell‟interpretazione e

dell‟ispirazione che sono inerenti alla sua bruta materialità”174

.

L‟immaginazione anche nel ragionamento matematico diventa fondamentale, essa produce

le ipotesi e la prova del suo carattere primario sta nel fatto che all‟interno delle ipotesi date è

possibile scoprire nuove connessioni, talora imprevedibili, infatti l‟oggettivazione delle

ipotesi non esaurisce la potenzialità di significare dell‟immaginazione. Ma la riserva

dell‟immaginazione è fruibile soltanto all‟interno dell‟oggettivazione dell‟ipotesi. Cosa vuol

dire questo? Intanto si deve produrre l‟ipotesi in forza dell‟immaginazione, una volta

prodotta quest‟ultima non soltanto diventa più comprensibile, ma ciò che è più importante

diventa il foro attraverso cui si può guardare oltre, nel senso che essa si sporge verso altro.

Questa sporgenza costituisce la valenza iconica dell‟ipotesi e conferisce al ragionamento

matematico totale indipendenza, dal momento che esso stesso diventa facitore di realtà. Il

sapere matematico assume una posizione privilegiata all‟interno dell‟opera peirceana

proprio perché in ambito strettamente scientifico sfrutta pienamente la capacità creativa

dell‟immaginazione.

Dunque per far procedere l‟iter deduttivo è necessario immaginare e ipotizzare, e infatti il

ragionamento teorematico costituisce un luogo rappresentativo del modo in cui la deduzione

si costituisce a partire dall‟immaginazione e dalle sue produzioni ipotetiche. Nell‟ambito di

alcuni manoscritti, contenuti ne The New Elements of Mathematics by Charles S.Peirce si

rintracciano alcuni passaggi fondamentali per seguire i momenti del procedimento

172

Peirce, Sull‟Algebra della Logica: Un Contributo alla Filosofia della Notazione, cit., p. 887. 173

V. Colapietro, op. cit, p. 29. 174

Ivi., p. 35.

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matematico. A conclusione del manoscritto 616, così come viene riportato ne The New

Elements of Mathematics by Charles S.Peirce, Peirce sostiene la necessità di trasformare in

linguaggio diagrammatico la tesi da dimostrare, precisando che il diagramma viene inteso

come un elemento concreto e dinamico, poiché costituisce il testo di sperimentazione del

matematico e proprio perché concreto esso non esaurisce la ricchezza dell‟immaginazione,

la quale rimane l‟atto fondamentale. Ora tale ricchezza si spende all‟interno del

procedimento matematico con la manipolazione dei diagrammi e l‟integrazione di questi

ultimi con i concetti generati a partire dalla tesi. Il diagramma è concreto, ma grazie alla

fecondità dell‟immaginazione sarà trasformato a che il modello costruito possa veicolare

l‟iter dimostrativo. Così come lo scienziato per integrare il singolo caso con la teoria, deve

sperimentare sul singolo fenomeno, per comprendere se in esso è leggibile una sintesi dei

principi dei quali esso è una manifestazione, allo stesso modo il matematico deve rendere

progressivamente compatibile il singolo diagramma con il carattere generale delle

proposizioni che intende dimostrare. E quindi le trasformazioni saranno continue e nuove,

finché si riuscirà a colmare il vuoto tra le premesse e la conclusione, apportando degli

elementi supplementari, estranei alla tesi, ma indispensabili, affinché possano nascere quelle

nuove relazioni, in grado di portare avanti il procedimento dimostrativo. Infatti Peirce

afferma: “[…] the mathematician proceeded to experiment upon his diagram, especially by making additions

to it, in a way not unlike the way in which a chemist might experiment upon a specimen of ore that

might be brought to him for examination, especially by adding this or that reagent to it”175

.

È proprio nelle modifiche apportate al diagramma che il possibile diventa necessario, nel

senso che le vie intraprese per costruire il diagramma sono infinite, ma una volta fatta la

scelta di intraprendere un percorso piuttosto che un altro -scelta operata dal matematico non

in base ad un puro arbitrio ma in virtù delle stesse emergenze del testo diagrammatico -le

connessioni che verranno fuori si configureranno come necessarie, poiché queste ultime non

derivano dal mondo empirico ma da un mondo immaginario, in cui, precisa Peirce, se non

sono stati effettuati errori, le connessioni scoperte rimarranno immutate. “The mathematics begins when the equations or other purely ideal conditions are given. „Applied

Mathematics‟ is simply the study of an idea which has been constructed so as to be more or less like

nature. Geometry is an example of such applied mathematics; altrough the mathematician often

makes use of space imagination to form icons of relations which have no particular connection with

space”176

.

La matematica, comunque, ritrae un mondo ideale e non bisogna confondere, avverte

Peirce, la base materiale della dimostrazione matematica con l‟idea che la matematica

descriva le relazioni del reale, ad esempio, afferma Peirce: “all a mathematician‟s diagrams are visually imagined, and involve space. But spaces is a matter of

real experience; and when it is said that a straight line is the shortest distance between two points,

this cannot be resolved into e merely formal phrase, like 2 and 3 are 5. A straight line is a line that

viewed endwise appears as a point, while length involves the sense of mascular action. Thus the

connection of two experience is asserted in the proposition that the straight line is the shortest. But 2

and 3 are 5 is true of an idea only, and of real things so far as that idea is applicable to them. It is

nothing but a form, and asserts no relation between outward experience” 177

.

La base materiale della matematica non ha nulla a che fare con lo spazio, poiché ciò che

costituisce la base di appoggio su cui il matematico opera sono le astrazioni, infatti ad

175

Nem 4, p. 221. 176

Ivi, p. xv. 177

Ibidem.

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112

esempio una particella, mediante astrazione viene concepita come qualcosa che occupa un

punto, a sua volta il movimento della particella viene sostanzializzato mediante astrazione e

concepito come linea, quest‟ultima viene rappresentata come una realtà in movimento e

capace di formare una superficie, e ciò costituirà una nuova astrazione, che innescherà

nuove astrazioni178

.

Tale procedimento astrattivo di cui si avvale il ragionamento matematico diventa

fondamentale per capire che risulta dinamico il rapporto tra necessità e possibilità nel senso

che così come l‟ontologia cui mette capo la matematica è senza sostrato, cioè non riflette le

strutture della realtà, allo stesso modo le ipotesi che il matematico elabora su questa

ontologia sono le uniche che, sebbene assolutamente libere e fragili, sono in grado di

istituire quel sostrato che la deduzione svilupperà per arrivare alla conclusione, e quindi alla

dimostrazione della tesi.

Ritornando alla distinzione tra ragionamento teorematico e corollariale, Peirce pone in

evidenza come questi due ragionamenti in realtà siano distinti, e come allo stesso tempo, ad

un certo stadio dell‟iter dimostrativo, il primo possa assumere la forma del secondo: dopo

avere costruito il diagramma e apportato, mediante ipotesi, modifiche alla costruzione

originaria, e dedotto determinate conclusioni, è possibile, sulla costruzione realizzata,

sperimentare successivamente per dedurre ulteriori conclusioni e così, diversamente dalla

logica ordinaria, è possibile, a partire dalle stesse premesse, dedurre ulteriori conclusioni, e

ripetere manipolazioni diverse al fine di trarre tutte le possibili deduzioni. Quando si

perviene alla fase in cui il ragionamento teorematico è stato pienamente sviluppato e non è

possibile trarre altre inferenze significative si arresta la potenzialità del processo

dimostrativo, le conseguenze di quest‟ultimo diventano definitive, e allora la natura del

ragionamento teorematico diventa assimilabile a quella del ragionamento corollariale.

Questo è un punto molto importante perché si coglie una profonda osmosi tra possibilità e

necessità: la scelta tra le ipotesi e le loro oggettivazioni mediante la costruzione di linee

ausiliarie, come accade all‟interno di un diagramma geometrico, dà inizio al procedimento

deduttivo, consentendo l‟insediamento della necessità, ma a sua volta questa è suscettibile di

nuove sperimentazioni, di nuove possibilità e allora in questi termini, afferma Peirce, “it

thus seemed as if there could be but one real set of circumstances from which the necessity

of any theorem flows; and that there ought to be a direct corollarial manner of deducing it

from those circumstances”179

.

Nel ragionamento teorematico è necessario introdurre ipotesi nuove e diagrammatizzarle per

comprendere le eventuali relazioni che da esse scaturiscono. Nel caso di una dimostrazione

di un teorema geometrico il ragionamento matematico mostra che le premesse sono

assolutamente dinamiche, nel senso che la loro definitività è frutto di un processo e che le

loro conseguenze sono estrapolabili o incrementabili, a seconda del metodo corollariale o

teorematico. Sia nel caso del percorso dimostrativo del ragionamento corollariale che in

quello teorematico si realizza un‟esposizione diagrammatica, la differenza sta nel fatto che

nel ragionamento corollariale l‟esposizione mira a rendere più evidenti tutte le relazioni che

possono venir fuori dalle premesse della tesi che si intende dimostrare. E l‟esposizione sarà

tanto più ricca quanto più sarà adeguato l‟uso degli strumenti della logica dei relativi. Infatti

la logica dei relativi rende disponibili una gamma più ampia di relazioni rispetto alla logica

178

Cfr., Ivi, p. 11. 179

Ivi, p.8. Cfr. CP 3.641; 5.517; 5.162; 5.575; 5.567; 6.471; 6.472; 6.473; 2.267.

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ordinaria, poiché mentre in quest‟ultima è possibile trarre soltanto una conclusione da una

premessa, nella logica dei relativi è possibile trarre tante conclusioni dalla stessa premessa.

Ora se già nel ragionamento corollariale le parecchie relazioni deducibili dalle premesse

possono provare il fatto che il ragionamento necessario non è così rigido o così meccanico,

come certa tradizione lo etichetta, in ogni caso sono le premesse a guidare il percorso

dimostrativo, nel senso che le conseguenze tratte sono tutte deducibili dalle premesse, nel

caso del ragionamento teorematico è necessario introdurre nuove idee, bisogna realizzare

costruzioni ausiliarie che provvedano ad integrare le premesse iniziali e a realizzare i

passaggi necessari, affinché sia possibile, a partire dalla tesi, raggiungere la conclusione. Le

costruzioni ausiliarie scompariranno dalla dimostrazione ma la loro traccia rimane nelle

nuove premesse da cui scaturirà il resto della dimostrazione. In questo senso l‟atto

prettamente creativo si realizza nel ragionamento teorematico, perché soltanto le premesse

della tesi non sono sufficienti a realizzare il percorso dimostrativo, è necessario escogitare

qualcosa di nuovo, elaborare un‟idea completamente inedita rispetto al corpo delle

premesse, o reperire nessi inediti con altre premesse appartenenti ad altri teoremi, come

accade nel caso della geometria euclidea.

Ora il ragionamento corollariale risulta distinto dal ragionamento teorematico, poiché

nell‟uno risulta centrale l‟osservazione del diagramma, nell‟altro la sua manipolazione. Nel

ragionamento corollariale l‟osservazione del diagramma è bastevole per estrapolare tutte le

relazioni possibili, che non sarebbero chiare contemplando soltanto le premesse. Infatti

anche nel ragionamento corollariale è necessario esternare il pensiero, osservare il pensiero

esternato, per scoprire tutte le sue diramazioni e comprendere in esse i passaggi che ci

conducono alle conclusioni. Infatti afferma Peirce: “A Corollarial Deduction is one which

represent the conditions of the conclusions in a diagram and finds from the observation of

this diagram, as it is, the truth of the conclusion”180

.

Invece nella struttura del ragionamento teorematico è necessario costruire impalcature

ipotetico- iconiche non soltanto per osservare, ma per introdurre idee nuove indispensabili

al raggiungimento della conclusione, e che quindi non sono reperibili all‟interno delle

premesse. E allora la pratica, il calcolo, le prove sulle quali lavora il matematico e attraverso

le quali costruisce gli “schemi dell‟immaginazione” non sono semplicemente euristici ma in

realtà essi diventano parte integrante del processo dimostrativo, poiché, senza queste prove

l‟iter deduttivo non potrebbe conquistare la conclusione. Infatti, come dice Hookway: “[…]

all a priori reasoning, all of the thinking that we do on paper or in our heads, counts as part

of mathematics” 181

.

Al di là della distinzione tra i due tipi di ragionamento, più che mai, secondo Peirce il

ragionamento matematico svela la vera natura del ragionamento, in quanto sia nelle sue

espressioni puramente corollarie che teorematiche è imprescindibile un atto di costruzione,

in cui occorrono l‟entità immaginata, figurata e l‟inferenza elaborata dal pensiero. Nel

ragionamento matematico forse risulta anche più evidente l‟imprescindibilità dell‟immagine,

poiché se il segno matematico, anche nella sua versione corollariale, si limitasse a copiare

l‟inferenza, perderebbe il suo significato.

Il bisogno della costruzione scaturisce dalla stessa ragione, è per questo che la costruzione

assume valore scientifico: l‟atto costruttivo mostra alla ragione quelle relazioni, soprattutto

quando sono molte complesse, come è proprio delle dimostrazioni matematiche, che essa

180

CP 2.267. 181

C. Hookway, Peirce, London, Routledge & Kegan Paul, 1985, p.182.

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stessa stenterebbe a riconoscere se non le si mostrassero. In questi termini l‟osservabilità

del diagramma diventa necessaria, il diagramma non è un mero promemoria della ragione,

esso rivendica alla conoscenza un peso ben più importante, perché contribuisce a rendere

più evidenti le relazioni che in esso sono contenute e anche nel caso del ragionamento

corollariale il generale deve individualizzarsi perché possa emergere tutta la ricchezza delle

sue implicazioni.

Peirce rileva la necessità di realizzare scansioni, costruendo figure e diagrammi al cui

interno si possono leggere le occorrenze del generale. Insomma per cogliere il generale è

necessario oggettivarlo, individualizzarlo, la segmentazione del generale non è neutra, non è

indifferente ai fini della sua intelligibilità: così come il simbolo è il risultato di un processo

che affonda le sue radici nel tratto iconico, allo stesso modo nel ragionamento corollariale si

instaura una vera e propria continuità tra immagine e pensiero. Così anche il reale è

continuo, la sua pregnanza non si apprezza nel particolare isolato bensì nell‟evoluzione, mai

arrestabile, dei suoi significati.

Ma se si tengono presenti queste leve di comando del pensiero peirceano, la distinzione tra

ragionamento analitico e sintetico, come già è stato accennato, non risulta così rigida,

poiché vengono a cadere due „superstizioni‟ che consistono essenzialmente nell‟idea che nel

giudizio analitico il predicato si limiti ad esplicare quanto è contenuto nel soggetto e che a

regolare il principio del giudizio analitico sia soltanto il principio di contraddizione. Sia la

prima che la seconda sono messe in discussione dal formidabile strumento della logica dei

relativi e rafforzate dalla tematizzazione del ragionamento matematico, poiché se è vero che

il generale deve individualizzarsi per autocomprendersi, il momento costruttivo diventa

anche importante nel ragionamento corollariale, tanto più se si considera che per

comprendere le relazioni complesse di cui è capace la logica dei relativi non è bastevole la

relazione soggetto-predicato, governata dal principio di contraddizione, poiché l‟unità di

riferimento della logica dei relativi non è la classe bensì la nozione di sistema in cui le

relazioni non sono univoche, unidirezionali ma reciproche e pluridizionali.

La differenza tra conoscenza analitica e sintetica nella prospettiva di Peirce non è legata alla

presenza o meno della fase costruttiva, semmai al modo in cui viene realizzata la

costruzione. In ogni caso sia nella prima che nella seconda l‟atto conoscitivo è riconducibile

a relazioni di similarità, di equivalenza, il discrimine sta nel fatto che nella conoscenza

analitica la figura è costruita facendo uso delle implicazioni, di cui si dispone già a partire

dalle premesse, nella conoscenza sintetica la costruzione è realizzata con l‟introduzione di

nuove idee. Ma questa stessa differenza si relativizza, poiché in effetti ciò che conta è la

capacità di trovare similarità, equivalenze e queste risultano più o meno limitate, a seconda

che ci si riferisca al giudizio analitico o sintetico. Ciò che veramente risulta importante è che

la matematica non sia una scienza di oggetti esistenti bensì di oggetti generali. Questo è il

punto fondamentale perché, se come sostiene Peirce, il generale si rende disponibile sempre

in una dimensione continua sia essa predicativa o percettiva, e la nostra capacità conoscitiva

si esercita nella decisione di significare, creando elementi di discontinuità ovvero decidendo

l‟appartenenza di un elemento ad una classe di concetti o predicati, diventa chiaro che tale

pratica si può realizzare su oggetti generali e non sull‟esistente. E proprio nella Matematica

il continuum si realizza assolutamente perché l‟oggetto matematico non è vincolato al

mondo dei fenomeni, il suo referente è uno „stato ideale di cose‟. Ora sia la conoscenza

analitica che quella sintetica in questo possibile „porto franco‟ possono realizzare atti di

autentica conoscenza, sperimentando sugli oggetti generali e scoprendo relazioni di identità,

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115

similarità, equivalenza182

. Quindi sia la conoscenza analitica che quella sintetica

condividono lo stesso oggetto, ciò che li differenzia è l‟assoluta libertà di sperimentazione

che si realizza nel sintetico, poiché nel corso dell‟iter dimostrativo del ragionamento

teorematico si introducono oggetti ideali non contemplati nelle premesse della

dimostrazione183

.

In A Guess At the Riddle Peirce afferma: “the highest kind synthesis is what the mind is compelled to make neither by the invar attractions of

the feelings or representention themselves, nor by a transcendental force of necessity, but in the

interest of intelligibility that is, in the interest of the synthesizing „I think‟ itself; and this it does by

introducing an idea not contained in the data, which gives connections which they would not

otherwise have had”184

.

In questi termini il ragionamento teorematico realizza in modo assoluto il rapporto tra

ragione e pratica immaginativo-osservativa, proprio perché il fine della matematica non è

quello di sottoporre ad esame le connessioni che regolano l‟esistente, ma quello di

comprendere come possono essere regolati taluni mondi possibili, nella misura in cui il

ragionamento matematico avvalendosi di oggetti ideali può mettere a frutto il principio di

continuità.

È utile tenere presente che la riflessione matematica si lega alla scoperta del continuo che

nell‟economia del pensiero peirceano riannoda tanti fili, apparentemente slegati: ad esempio

la problematica dell‟individuale, come abbiamo visto centrale negli scritti degli anni „70,

riceve alla luce di questo principio una base più chiara e solida e al tempo stesso anche la

riflessione sulle categorie compie un salto profondamente innovativo, poiché le categorie

vengono concepite come strutture formali-matematiche, valicando così i confini della

proposizione.

Il principio di continuità è lo strumento per eccellenza del ragionamento matematico, poiché

si configura come lo statuto degli oggetti matematici, esso esprime l‟inesauribile riserva di

ipotesi possibili all‟interno dell‟ontologia matematica e dispone di infinite potenzialità che

equivarranno ad un numero sempre superiore alla somma complessiva di una totalità di

possibilità attualizzate. Tale principio evidentemente si applica agli oggetti generali e non

tollera partizioni troppo rigide: in una prospettiva di continuità, anche la separazione tra

conoscenze analitiche e sintetiche non appare più così marcata, piuttosto esse potrebbero

essere lette come metodologie diverse di un processo sostanzialmente unitario.

Il principio di continuità costituisce il filo di Arianna del pensiero peirceano, infatti nella

Lettera al signor Calderoni (1905) si comprende con chiarezza, ancora una volta, come le

scoperte concettuali di Peirce non sono mai settoriali, nel senso che, pur nascendo

all‟interno di pratiche concettuali raffinatissime sul piano tecnico, trascendono tali confini

per gettare uno sguardo sull‟architettonica del sistema. E infatti riprendendo il percorso

principale della speculazione peirceana viene ribadita, su basi più solide, la convinzione

182

Peirce ribadisce: “positive observation is called for in all inference, even the simplest thug in deduction it is only

observation of an object of imagination”. CP 6.595. 183

L‟idea che la Matematica debba avere a che fare con ipotesi più che con assiomi e che le sue siano teorie

intenzionali, volte ad oggetti immaginari piuttosto che ad oggetti esistenti, aprono la concezione matematica del filosofo

americano ad un dialogo fecondo con la tendenza, espressa da alcuni studiosi contemporanei, a vedere nella

matematica l‟esercizio di un ragionamento assolutamente dinamico e aperto alla produzione di feconde ipotesi che

attestano la mirabile plasticità del gesto matematico. 184

CP 1.383.

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116

che le cose come singole individualità non sono comprensibili e che l‟unica forma di

conoscenza è propria del generale. Leggiamo questo passo tratto dal testo suddetto: “Un concetto determinato in tutti i suoi rispetti è altrettanto fittizio quanto un concetto definito in

tutti i suoi rispetti: io non penso che si possa avere mai il diritto logico di inferire, anche quale mera

probabilità, l‟esistenza di qualcosa interamente contrario nella sua natura a tutto ciò che si può

sperimentare o immaginare. Ma questo è proprio ciò che un nominalista è costretto a fare, poiché

deve dire che gli eventi futuri sono la somma di tutto ciò che accadrà, che perciò il futuro non è

infinito e che quindi vi sarà un evento non seguito da un altro evento. Ciò potrebbe anche essere,

per quanto inconcepibile sia, ma il nominalista deve dire che sicuramente così sarà. Altrimenti egli

dovrebbe considerare il futuro come qualcosa d‟infinito, cioè qualcosa avente quel modo d‟essere

che consiste nella verità di una legge generale: ogni evento futuro dovrà infatti avere fine, mentre il

futuro infinito non avrà mai fine. L‟argomento può essere svolto in molti altri modi, ma la sua

conclusione sarà sempre questa: si può comprendere solo ciò che è generale. Ciò che viene invece

designato unicamente indicando verso di esso con un dito, o in un‟altra maniera, va inteso come

singolarità: ma in quanto può essere compreso, si scoprirà che singolare non è. L‟universo reale può

solo essere indicato: se ci viene chiesto di descriverlo, possiamo unicamente dire che esso include

tutto ciò che può esserci di realmente esistente. E questo è un universale, non una singolarità”185

Appare evidente come queste considerazioni rilancino la valenza filosofica della

tematizzazione del continuo matematico e lascino intendere che gli interessi matematici non

siano mai slegati dal fulcro del pensiero filosofico, anzi nel ragionamento matematico, nella

sua assoluta purezza è possibile realizzare ciò che nella filosofia è possibile compiere in

modo soltanto approssimativo ovvero la capacità di realizzare conoscenze assolutamente

necessarie pur all‟interno di una base osservativa e sperimentale. Qui il rapporto tra la

conocenza osservativo-sperimentale e quella necessaria è pienamente realizzato, poiché

anche alla luce del concetto di continuo si comprende anche meglio come l‟aspetto

sperimentale della conoscenza matematica non chiami in causa l‟esistente ma sempre il

generale, il punto di partenza è sempre un‟ipotesi, la quale, come afferma già il giovane

Peirce, viene considerata come la sostituzione di un singolo concetto ad un complicato

insieme di predicati, e proprio per questo essa assume un‟unità che è apprezzabile nel suo

tratto segnico-iconico. Ora nel ragionamento matematico questa creazione di ipotesi, che si

traducono in segni iconici, costituisce parte integrante del processo deduttivo e produce

conoscenze assolutamente nuove e necessarie. In questi termini viene fuori con maggiore

evidenza il nesso tra immagine e inferenza ipotetica e se ne può apprezzare la sua fecondità,

dal momento che proprio nel punto in cui immagine e ipotesi in modo inedito si

congiungono si istituisce il carattere sintetico della conoscenza.

Già a partire dalla likeness, nell‟analisi precedente veniva fuori questo intreccio tra

immagine e ipotesi, ponendo in evidenza come l‟opera dell‟immaginazione fosse

essenzialmente logica, poiché produce ipotesi, e come le ipotesi per la loro capacità di

sintetizzare, come precedentemente si ricordava, di sostituire predicati semplici al posto di

predicati complessi, contraessero all‟interno di una compagine immaginativa un universale.

In questo senso l‟immagine si configura come produzione e prodotto, perché da una parte

rinvia al lavoro assolutamente creativo della produzione delle ipotesi, dall‟altra è prodotto

perché si pone come contrazione, all‟interno di un tratto segnico-iconico, delle relazioni

scoperte dall‟ipotesi.

185

Peirce, Lettera al Signor Calderoni, cit., pp.119-120.

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Il matematico, secondo Peirce, non essendo preoccupato di stabilire i confini tra ciò che è

vero e ciò che è falso si adopera al fine di immaginare uno stato ideale di cose per conferire

ordine e unità a ciò che si presenta non ancora delineato e all‟interno di questo stato ideale

ipotizza relazioni analoghe a quelle date nelle premesse che costituiscono la tesi e proprio

da queste ipotesi verrà fuori la scoperta di relazioni inedite. Infatti il matematico produce

diagrammi sulla base delle sue ipotesi e ne fa oggetto di osservazione per dedurne

conseguenze necessarie. Quindi e le ipotesi e la sperimentazione effettuata sui diagrammi

diventano indispensabili alla deduzione e nonostante qualche affermazione peirceana

sembrerebbe definire come non scientifico il lavoro delle ipotesi, in effetti, come rileva

Campos, quando Peirce si esprime in questi termini si riferisce al fatto che il lavoro delle

ipotesi non prescrive nulla quanto al vero o al falso. Infatti il ragionamento matematico

produce un vero possibile e proprio per questa vocazione del ragionamento matematico, a

cui Peirce rimane fedele, e, per le considerazioni svolte precedentemente, risulta plausibile

considerare fondamentale il ruolo delle ipotesi186

. Certamente, precisa Peirce, questo non

significa che tutte le ipotesi si equivalgono, nel senso che il matematico è interessato

soltanto a quelle ipotesi che possono dar conto di ciò che è vero di un mondo ipotetico, (CP

4.238) e infatti cosi Peirce argomenta: “it cannot be said that all framing of hypotheses is mathematics. For that would not distinguish

between the mathematician and the poet. But the mathematician is only interested in hypotheses for

the forms of inference from them. As for the poet, although much of the interest of a romance lies in

tracing out consequences, yet these consequences themselves are more interesting in point of view

of the resulting situations than in the way in which they are deducible. Thus, the poetical interest of

a mental creation is in the creation itself, although as a part of this a mathematical interest may enter

to a slight extent. Detective stories and the like have an unmistakable mathematical element. But a

hypothesis in so far as it is mathematical, is mere matter for deductive reasoning. Mathematics is,

therefore, the study of substance of hypotheses, or mental creations, with a view to the drawing of

necessary conclusions”187

.

Se il lavoro assolutamente innovativo delle ipotesi caratterizza il mondo matematico, viene

fuori più chiaramente il rapporto stretto tra immagine e ipotesi e la matematica si

caratterizza a pieno titolo scienza osservativo-sperimentale, e in questo senso non può

essere considerata soltanto come scienza delle deduzioni necessarie, piuttosto la matematica

lascia emergere il suo ground iconico –inferenziale e l‟azione di quest‟ultimo in un contesto

assolutamente puro e non dipendente dalle assunzioni logiche. A proposito del carattere

creativo delle ipotesi matematiche Peirce afferma con molta decisione nel Ms.15 del 1895,

preannunciando già l‟identificazione della logica con la semiotica, che la logica è la scienza

dei segni ed è interessata a identificare le loro condizioni di verità e si occupa di dar conto

186

D. Campos sottolinea il grande valore della creazione delle ipotesi per il ragionamento matematico. Per suffragare la

sua tesi lo studioso riprende le posizioni di C. Eisele ,di B. Kent,di D. Anderson e quella di Hookway, il quale, se da un

lato sembra propendere per un‟esclusione delle ipotesi dal lavoro scientifico, dall‟altro spiega l‟esclusione del lavoro

poietico dal ragionamento prettamente matematico, perché quest‟ultimo nella classificazione delle scienze è primario e

quindi non potrebbe accettare di condividere metodi appartenenti ad altre scienze che gerarchicamente dipendono da

esso. D. Campos, invece, si esprime in questi termini: “In my estimation, then, it would be incongruous of Peirce to

define mathematics as the study of hypothetical states of things and yet to exclude the poietic creation of these

hypothesis from mathematical activity, even for systemic reasons [...] Peirce‟s position is rather that the creation of

mathematical hypotheses is poietic, but it is not merely poietic, and accordingly, that hypothesis-framing is part of

mathematical reasoning that involves an element of poiesis but is not merely poietic either. Scientific considerations

also inhere in the process of hypothesis-making”. D.Campos, Peirce on the Role of Poietic Creation in Mathematical

Reasoning, «T.C.P.S» Vol.43, no.3, 2007, p. 482. 187

NEM 4, p. 268.

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delle leggi di sviluppo del pensiero. E se nella Metafisica la dipendenza è netta nei confronti

della logica, dal momento che qualsiasi ragionamento deve essere supportato dai principi

della logica, il ragionamento matematico invece non deve confrontarsi con i fatti per

suffragare il rigore delle sue assunzioni e quindi non ha niente a che fare con le condizioni a

cui deve sottostare il ragionamento logico. L‟universo matematico, libero dal riferimento

all‟esistente e caratterizzato non soltanto dall‟atto creativo in se stesso, come accade

nell‟opera dell‟immaginazione artistica, ma anche dalla deduzione delle sue conseguenze

necessarie, diventa il luogo privilegiato per apprezzare nella conoscenza il modo in cui si

risolvono in una mirabile continuità la dimensione pragmatica e quella teoretica.

La necessità da parte del matematico di elaborare ipotesi, costruire figure, osservare e

sperimentare su di esse per contemplare i risultati della sperimentazione e pervenire

all‟elaborazione di deduzioni necessarie diventa fondamentale perché permette di

comprendere la centralità del momento iconico. Nell‟universo matematico è necessario

osservare, agire e dialogare con il testo diagrammatico, poiché la costruzione esibirà

un‟immagine che in se stessa altro non è che un‟inferenza compressa, ma proprio questa

contrazione in cui l‟inferenza si mostra diventa fondamentale per dispiegarla come

inferenza.

L‟impianto matematico in modo assolutamente puro permette di rivelare, a mio avviso, un

nesso profondo tra valenze teoretiche, poietiche, e pragmatiche. Sul piano teoretico si mette

a punto un ragionamento deduttivo inedito, poiché esso si configura come lo sviluppo delle

ipotesi precedentemente elaborate, e presenta una componente figurativa dell‟ipotesi che

non si lascia ridurre soltanto ad una dimensione inferenziale. E quindi in questo senso viene

implicato un momento di creazione vera e propria. Così si ritrovano unite ipotesi e

deduzione necessaria; ipotesi, come inferenza e come immagine. A queste dimensioni,

apparentemente incommensurabili si aggiunge il momento sperimentale che rinvia alla

radice pragmatica del pensiero. Ora proprio nel ragionamento matematico, sia pure in un

mondo di pure forme, ritroviamo applicati i concetti più fecondi dell‟impalcatura

pragmatica: la massima pragmatica, il concetto di reale e il concetto di possibilità. È come

se questi concetti trovassero un‟esemplificazione, una traduzione più evidente e più

efficacemente interrelata, e inverassero il ruolo che la Matematica si ritrova ad avere

all‟interno della classificazione delle scienze, ovvero quello di tradurre in modelli più

semplici i concetti delle altre scienze.

La massima pragmatica esprime un principio che giustifica il metodo sperimentale,

essenzialmente ci insegna una regola che consiste nel concepire le conseguenze necessarie

che possono scaturire dall‟assunzione di determinati concetti.

Ora nel ragionamento matematico sperimentare significa costruire un diagramma,

manipolarlo e osservare visivamente le conseguenze della sperimentazione effettuata.

Queste operazioni producono un realismo dinamico, poiché è nella processualità della

sperimentazione che il possibile è concepibile come reale, ma questo si esplica all‟interno di

un singolo contesto, e quindi ritornando alle questioni trattate nella prima parte di questo

lavoro, è il caso di ribadire che non si deducono le condizioni di possibilità dell‟esperienza

in generale, ma le condizioni generali di un oggetto possibile. Il generale si rende

disponibile in una dimensione percettiva, poiché il matematico osserva, sperimenta

fisicamente, modificando visivamente il diagramma su cui lavora. E nonostante

l‟arbitrarietà delle convenzioni e delle ipotesi il matematico accederà ad un reale che non è

relativo ma assolutamente necessario e quindi assolutamente obiettivo, indipendente dalla

scelta delle convenzioni utilizzate per la costruzione. Ma allo stesso tempo le ipotesi

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utilizzate costituiscono anche l‟a priori del gesto matematico, poiché le risorse a cui è

possibile attingere per rappresentare qualcosa possono essere concepite come frutto di abiti,

che hanno consolidato determinate modalità di significare. In questi termini il ragionamento

matematico costituisce un esempio felice del modo in cui determinati dualismi possono

trovare una loro risoluzione: l‟ipotetico e il necessario, il convenzionale e il “reale

Possibile,” il carattere necessario e la novità. Come è stato detto, l‟oggetto in gioco non è

l‟esistente nel ragionamento matematico, bensì un possibile mondo in cui determinate

connessioni ipotizzate e sperimentate possano essere vere, e quindi in questo senso

l‟oggetto chiamato in causa è un possibile oggetto. Si potrebbe parlare di un processo

circolare tra ipotesi e conclusioni necessarie, nel senso che nel momento in cui le ipotesi

producono conoscenze necessarie, queste ultime potranno costituire a loro volta il derivabile

a cui si potrà attingere per la costruzione di una nuova rappresentazione diagrammatica.

Ora ciò che ci preme sottolineare è che il convenzionale e l‟ipotetico, producono

conoscenze nuove e necessarie: in modo specifico il ragionamento matematico e in generale

il ragionamento diagrammatico realizzano questo connubio, mostrano come questo è

raggiungibile all‟interno di un‟osmosi tra prassi e teoria, infatti è nella sperimentazione e nei

risultati di quest‟ultima che è possibile apprezzare il darsi di connessioni significative. E

sarà proprio l‟esplicazione di queste relazioni a restituirci una conoscenza nuova e

necessaria.

Evidentemente le conclusioni necessarie a cui si perviene non sono predeterminate da un

percorso obbligato, nel senso che le strade che si possono intraprendere nell‟ambito della

sperimentazione sono infinite e quindi se mutano le premesse e le ipotesi che intervengono

nella manipolazione del diagramma, evidentemente le conclusioni possono cambiare. A tal

proposito Hoffmann rileva come la stessa prova sperimentale di un teorema, ad esempio,

potrebbe essere considerata come un mezzo per traghettare verso altri sistemi

rappresentativi e riprende l‟esempio di Peirce relativo al teorema che afferma che la

somma degli angoli di un triangolo è uguale a 180°. Tale teorema risulta valido se si prende

in considerazione il sistema rappresentativo della geometria euclidea, ma se si prende in

esame il sistema di riferimento delle geometrie non euclidee la verità del teorema diventa

relativo. Quindi già all‟interno della stessa sperimentazione, quando scegliamo una delle

possibilità che si prospettano per esplicare le connessioni che condurranno alla

dimostrazione, compaiono le condizioni per sviluppare nuove rappresentazioni

diagrammatiche che consentiranno l‟accesso a nuove verità. Se scegliamo di manipolare in

modo diverso il diagramma, è possibile intraprendere nuove strade, che se, corrette su un

piano formale, condurranno a nuove e arricchenti verità188

.

In questi termini il diagramma matematico è per antonomasia pragmatico, non solo perché

è nella sperimentazione che si può accedere alle possibilità reali ma anche perché pone le

condizioni per il suo stesso superamento, è in continua tensione verso il nuovo non soltanto

perché crea verità nuove rispetto a quelle già determinate, ma anche perché pone le

condizioni per la sua trasformazione. Il ragionamento matematico diventa un modello per la

conoscenza nel senso che permette di comprendere i momenti attraverso i quali essa stessa

188

Riguardo all‟idea di una base pragmatica del ragionamento diagrammatico, Hoffmann afferma: “The decisive point,

rather, is the fact that, for Peirce, the possibility of grasping “the real” in the long run of scientific “maturation” depends

from the beginning on assuming the reality of law, of generals, and of possibilities”. M. Hoffmann, How to get it

Diagrammatic Reasoning as a tool of Knowledge development and its pragmatic dimension, «Foundation of Science »

9 (2004), p. 296.

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si costituisce, e il tipo di costruzione che viene fuori nel ragionamento matematico conforta

la tesi che abduzione e immagine si situano in una linea di continuità, perché la

sperimentabilità dell‟abduzione è connessa alla possibilità di comprendere sia le sue

potenzialità come inferenza e sia le conseguenze necessarie che se ne possono trarre.

Ora se l‟analisi del ragionamento diagrammatico svela le sue radici pragmatiche, queste

ultime ci riportano a quelle semiotiche: nella costruzione matematica si riconosce, infatti, la

basilarità del progetto semiotico, poiché il carattere fortemente costruttivo della conoscenza

matematica rivela la centralità dell‟icona, proprio per la scoperta cui conduce il

ragionamento matematico. Sono riscontrabili, inoltre, una dimensione indicale, poiché il

ragionamento matematico si riferisce ad un oggetto, per quanto esso sia un oggetto

possibile, e una dimensione simbolica identificabile con le deduzioni necessarie cui

perviene il procedimento dimostrativo. Potremmo dire che nel ragionamento matematico la

semiotica trova la sua giustificazione sul piano strettamente formale, è come se trovasse il

suo modello ideale. Ma se da una parte la matematica diventa un piano formidabile per

confermare le intuizioni che Peirce ha già elaborato in merito all‟impianto della semiotica,

dall‟altra, come sottolinea Hookway, la Matematica non dispone della secondità, cioè non si

riferisce all‟esistente e questo pone un grosso problema poiché le conclusioni del

ragionamento matematico pervengono al necessario ma non al vero, il metodo scientifico

conduce al vero ma non al necessario, poiché la conoscenza scientifica è sempre probabile.

Quindi la necessità forte che si impone in questa fase al pensiero peirceano è quella di

comprendere l‟eventuale statuto ontologico della Possibilità, perno fondamentale del

ragionamento logico-matematico. Tale compito sarà affidato alla formazione delle categorie

fenomenologiche e così la semiotica, supportata dallo spartito fenomenologico, a sua volta

legittimato da quello matematico, si potrà configurare come sintesi della grammatica del

reale e del pensiero, giustificando le sue pretese ontologiche.

4) La Faneroscopia

L‟elaborazione della fenomenologia contribuisce a realizzare un‟adeguata organicità

all‟interno del sistema peirceano, poiché dispone di alcuni requisiti che corrispondono a

quelli propri del processo di conoscenza ovvero l‟osservabilità, e il vincolo stretto tra

possibilità e necessità. La fenomenologia, infatti, si configura come scienza osservativa,

essa si prefigge di descrivere ciò che appare, il termine ricorre per la prima volta nel 1902 in

Minute Logic e proprio qui Peirce chiarisce che la sua fenomenologia è di tipo descrittivo e

non assertorio. Diversamente dalla fenomenologia hegeliana Peirce intende riferirsi alla

fenomenologia in termini diversi, poiché l‟obiettivo è quello di descrivere l‟esperienza.

Insieme al tratto dell‟osservabilità, l‟universo è concepito da Peirce come possibile e

necessario, esso è un universo dinamico che evolve ed assume progressivamente abiti,

regole, leggi. L‟uniformità alla legge è un terreno sempre da conquistare da parte

dell‟universo, e possibilità e necessità convivono.

Dopo avere trattato la fenomenologia nel 1902 in Minute logic, poi nelle Harvard Lectures

sul pragmatismo (1903), e infine nel 1904 Peirce per caratterizzare in modo specifico il suo

approccio fenomenologico sostituisce il termine fenomenologia con il termine faneroscopia.

Per il momento è importante accennare alla teoria delle categorie per comprendere come si

realizzi una vera convergenza tra realtà e conoscenza e dare particolare rilievo alla prima

categoria, poiché, ai fini del discorso che si sta svolgendo, il rapporto imprenscindibile tra

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piano ontologico, logico, matematico e semiotico contribuirà a fornire un‟immagine unitaria

dell‟architettonica peirceana, e soprattutto a rafforzare l‟idea che l‟icona gioca un ruolo

fondativo.

L‟incursione nell‟ambito della teoria delle categorie servirà a comprendere il modo in cui

pensiero–segno e reale convengono: in entrambe le dimensioni è necessario immaginare,

osservare, sperimentare per potere inferire: anche nel reale la dimensione percettiva si trova

sempre insieme a quella inferenziale. È come se ci fosse un motore, di cui si avvalgono il

pensiero e il reale, atto a trasformare l‟immagine in inferenza, la possibilità in necessità.

Sia il pensiero che il reale si ritrovano in perenne dinamismo in cui le leggi sgorgano dalla

miniera inesauribile delle figure prodotte dal reale, e nel quale le asserzioni necessarie

scaturiscono dalle immagini e dalle possibilità concepite dal pensiero.

Per dar conto delle categorie è necessario partire dall‟esame del concetto di phaneron

perché è in esso che sono reperibili le tre categorie che vengono denominate Primità,

Secondità, e Terzità

Che cosa intende Peirce con il termine phaneron? Con tale termine si intende ogni cosa che

appare alla mente. Espresso in questo modo sarebbe facile identificare il phaneron con ciò

che la coscienza esperisce, ma in realtà il phaneron si situa ad un livello in cui la coscienza

non è ancora presente e quindi non è ancora disponibile la differenza tra soggetto e oggetto:

il phaneron è quel flusso di esperienza nel quale siamo immersi da sempre, e in questi

termini non bisogna identificare il phaneron con l‟esperienza privata della sensazione di una

singola mente. Il phaneron è ciò che si rende evidente e attingibile, è quell‟intero che si

presenta alla mente. Il carattere totalizzante cui conduce il phaneron suggerisce l‟idea di un

piano immediato e mediato, infatti la totalità evocata dal phaneron, perché venga compresa,

è necessario che venga dispiegata, sostanzialmente compresa nella sua struttura generale. E

allora bisogna porsi in una prospettiva che cerchi di coniugare la ricchezza

dell‟immediatezza e la perspicuità della mediazione e in questo senso deve operare la

fenomenologia, la quale tra immediatezza e mediazione deve tentare di comprendere ciò

che si manifesta. È necessario porre tra parentesi qualsiasi credenza per osservare totalmente

e in modo attento ciò che appare, per far si che la struttura, già evidente nel phaneron, risulti

intelligibile189

.

Al fine di chiarire la natura del phaneron Peirce fornisce alcuni esempi, identificandolo ora

con il fischio di un treno ora con un odore ora con un colore: questi esempi in realtà possono

fuorviare il significato autentico del phaneron, infatti Peirce, subito dopo aver fatto questi

esempi, afferma che non intende riferirsi alla sensazione che si attua nell‟incontro tra il

soggetto e i dati del mondo fenomenico, e precisa che se si dovesse fare questo errore, ciò

implicherebbe un‟incomprensione della natura del phaneron. Per evitare questo errore è

fondamentale, come ci invita a fare lo stesso Peirce, tenere presente che la Faneroscopia, in

considerazione del carattere totalizzante del phaneron non è interessata soltanto al regno

dell‟attuale ma anche al regno del possibile: essa non è limitata soltanto a ciò che è da

osservare ma anche a ciò che può essere osservabile. Il phaneron è identificabile con la

totalità di ciò che è presente, e quindi non può essere declinato come qualità di un dato, ciò

presupporrebbe il dualismo soggetto-oggetto. Né d‟altra parte può essere inteso come un

primum immediato assertorio e necessario, ciò implicherebbe una contraddizione con la

stessa definizione di Faneroscopia, che da Peirce viene concepita come scienza osservativa,

189

Cfr. La logica vista come Semiotica (Ms. 336), 1904, in Esperienza e Percezione. Percorsi nella Fenomenologia,

trad. it. a cura di M. Luisi, Ets, Pisa 2008.

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che si limita a descrivere e non a prescrivere regole o leggi. Il phaneron ha a che fare con la

qualità, ma non intesa come proprietà di un dato, ma con la qualità pura dell‟Esperienza.

Insomma la fatica di Peirce è quella di non legare immediatamente la qualità ad una

produzione soggettiva, di azzerare lo spazio della coscienza per lasciare padrone della scena

esclusivamente il phaneron nella sua interezza, per far si che esso manifesti tutta la sua

potenzialità. Peirce così si esprime: Mi riferisco [...] alle qualità stesse, che in se stesse sono semplici poter-essere [may-be], non

necessariamente realizzate. [...] Una semplice qualità o suchness non rappresenta di per sé

un‟occorrenza, come accade invece quando si vede un oggetto rosso; è un puro poter-essere. Il suo

essere consiste solo nel fatto che in un phaneron potrebbe esserci una simile qualità [suchness] e

positiva. Questo è il genere di phaneron tipico del pensiero metafisico, che non è implicato nella

sensazione stessa e quindi non è implicato nella qualità di feeling che è totalmente contenuta o

sostituita nella sensazione attuale”190

.

Proprio qui si sancisce e si giustifica da una prospettiva inequivocabilmente realista, ancora

più radicale rispetto a quella espressa da Peirce negli scritti giovanili del „68, la centralità

del carattere possibile sia del pensiero che del reale. Originaria non è l‟esistenza ma la

Possibilità e proprio qui il generale appare, ma esso rimane vincolato ad un‟immediatezza a

cui non si riesce ad accedere se non attraverso una mediazione che vede come fondamentali

altri due protagonisti del reale, il fatto e la legge.

E infatti Peirce si affretta a precisare subito la differenza tra il generale contenuto nella

Possibilità e il generale proprio della legge: “Io posso immaginare una coscienza la cui intera vita consista solamente in un colore viola […] È

solo un problema di cosa sono in grado di immaginare e non di cosa sia permesso dalle leggi della

psicologia. Il fatto che io possa immaginare una cosa simile mostra che questo feeling non è

generale nel senso in cui lo è la legge di gravitazione. Infatti nessuno potrebbe immaginare che

questa legge possieda un qualunque tipo di essere, se non potessero esistere due masse di materia o

se non esistesse nulla di simile al moto. Ciò che è veramente [generale] non può avere alcun essere,

se non la prospettiva che prima o poi si incarni in un fatto che di per sé non è una legge e non

assomiglia a una legge. Al contrario, si può immaginare che una qualità di feeling non abbia alcuna

occorrenza. Il suo puro poter-essere riesce a sussistere senza alcuna attualizzazione”191

.

In questa definizione emerge già come nel Phaneron sia presente la triade che scandirà il

reale: Possibilità, Attualità e Necessità che sono le categorie che Peirce si prefigge di

descrivere e che denominerà Primità, Secondità e Terzità.

La Primità viene identificata con il carattere immediato dell‟esperienza in cui non esistono

ancora confronti, comparazioni, e che, come veniva affermato precedentemente, può essere

equiparata al profumo di un‟essenza o all‟ascolto di un fischio, cioè a qualsiasi qualità di

sensazione assolutamente pura, non ancora analizzata. In questo senso la Primità si

configurerebbe come una qualità possibile.

La Secondità viene identificata con l‟elemento della Lotta e sta ad esprimere l‟elemento di

alterità con cui il reale stesso dà conto del suo farsi, del suo dinamismo interno, essa perché

possa svolgersi deve porsi come vera e propria alterità, è qui che nasce la differenza tra

oggetto e soggetto. La Secondità è la sorpresa, è la testimonianza dell‟esistenza di qualcosa

che non può essere predeterminato.

La Terzità è la mediazione, è la categoria che consente di rendere trasparente la reale

continuità presente nell‟Esperienza, la sua opera consiste nel conferire unità e regolarità al

190

Ivi, p. 101 passim. 191

Ibidem.

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mondo dei fenomeni e nel porre in chiaro come tali leggi non siano interne al reale, perché

già da sempre lo costituiscono, ma perché esse stesse sono il frutto del loro stesso farsi, del

loro divenire. Ed è per questo motivo che esse possono dirsi operanti nel reale, inverando

quel realismo di cui Peirce si pone convinto sostenitore, già a partire dalla sua produzione

giovanile.

Se queste sono le caratteristiche fondamentali delle categorie, il metodo presentato da Peirce

per comprenderle necessita della capacità di osservare, discriminare, e generalizzare.

L‟insistenza sulla centralità dell‟osservazione per rintracciare le relazioni universali che

informano il reale implica un rinvio alla fondamentalità del ragionamento matematico.

Lungi dall‟idea che ci si possa porre dalla prospettiva della tabula rasa, poiché già Peirce ha

predisposto sin dagli scrittti giovanili e consolidato grazie ai contributi di tutte le dottrine

che compongono il suo complesso sistema l‟idea che non si possa in alcun modo apprendere

immediatamente il reale, è necessario presupporre il ragionamento matematico come quello

che in modo paradigmatico ci insegna ad osservare le cose non per capire come sono

realmente ma per scoprire come potrebbero essere in un universo possibile.

Per quanto i fini della Matematica e della fenomenologia siano diversi nel senso che la

Matematica non ha di mira il reale ma il possibile, tant‟è che essa non è interessata a

sottoporre al vaglio dell‟esistenza la fecondità delle sue ipotesi, ciò nondimeno la sua

lezione rimane fondamentale per la fenomenologia, perché le fornisce un modello di

osservazione puro in cui si mostra in modo evidente e rigoroso l‟unione di possibilità e

necessità. Anche il tratto ipotetico della Matematica, comunque, si trova in linea proprio con

l‟anima pragmatica del discorso peirceano, poiché è bene ricordare che la massima

pragmatica identifica il significato di un concetto non soltanto con gli effetti che

determinerebbero i nostri comportamenti ma anche con gli aspetti concepibilmente pratici,

cioè il significato di un concetto risiede anche nelle conseguenze che si configurerebbero

qualora fossero concepite determinate circostanze. E allora si potrebbe dire che nella base

pragmatica della fenomenologia si raccolgono i frutti della riflessione matematica.

Non è un caso che nella Classificazione delle scienze la Matematica assume un valore

particolare, essa si trova al primo posto perché essenzialmente dispone di due tratti che sono

riscontrabili in tutte le discipline: essi consistono nella costruzione di ipotesi e nella

deduzione delle loro conseguenze, nonché nell‟osservazione e nella sperimentazione per

realizzare conoscenze.

Peirce, oltre che nella classificazione delle scienze, nell‟ambito della trattazione delle

categorie, mette a punto le differenze tra le caratteristiche proprie della Matematica, della

Filosofia, delle Scienze positive e accenna ai rapporti tra la Fenomenologia, scienze

normative e metafisica. La Matematica sta in cima per le sue caratteristiche comuni a tutte

le discipline e soprattutto perché garantisce l‟osservazione pura di enti ideali, segue la

Filosofia o Cenoscopia192

che deve prefiggersi il compito di osservare ciò che è comune, ciò

che è reale e non soltanto ciò che è possibile. Le scienze positive o idioscopiche riflettono

su singole porzioni del reale.

Ora la Filosofia, in qualche modo, media tra matematica e scienze positive, nel senso che la

dimensione pura possibile della Matematica trova la sua verifica, tramite la Filosofia, nel

reale, dove è riscontrabile una struttura analoga a quella configurabile all‟interno

dell‟universo matematico. Il peso effettivo di questa operazione si riflette nella ricerca

empirica. Infatti, Peirce afferma che la filosofia fornisce il quadro di riferimento universale

192

Cenoscopia e Idioscopia sono termini ripresi da Bentham

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alle scienze particolari, poiché essa è volta a realizzare una sintesi di elementi possibili,

attuali e necessari. Per compiere tale sintesi la filosofia necessita della fenomenologia, delle

scienze normative, comprendenti la logica, l‟etica, l‟estetica, e la metafisica. Infatti la

fenomenologia è il grande dipartimento iniziale della Filosofia, essa istruisce lo sguardo

filosofico a che esso possa osservare il mondo fenomenico affrancandosi da interpretazioni

che finirebbero per oscurare alcuni aspetti dell‟osservabile. Tale esercizio che, secondo

Peirce richiede una particolare attitudine, non può essere disgiunto dall‟imprescindibile

apporto delle scienze normative. Infatti la Metafisica, che secondo Peirce, già a partire dagli

scritti giovanili, deve fondarsi sulla logica, può realizzare la profonda unione di possibilità,

attualità e necessità se si avvale del modo tipico della scienza normativa che consiste

essenzialmente, sintetizza Peirce, “nella distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male nel

campo della conoscenza, dell‟azione, della sensazione”193

.

Tale puntualizzazione sui rapporti tra le scienze ci permette di comprendere, sia pure per

accenni, che nell‟elaborazione della teoria delle categorie il problema che Peirce cerca di

approfondire e risolvere è sempre quello di legittimare, questa volta anche sul piano reale,

l‟unità di generale e individuale che è possibile soltanto all‟ interno di una struttura triadica,

che vede in un continuum lo svolgimento di possibilità, attualità e necessità. Qui nella

riflessione sulle categorie la novità sta nell‟affermare che il reale si identifica con il

possibile, con l‟individuale e con il generale. Diventa, quindi, necessario comprendere il

modo in cui si configurano questi modi del reale, e, in particolare, rispetto all‟interesse

specifico del discorso che si sta svolgendo, la natura della Primità.

Efficaci a tal proposito le parole di C. Dougherty: “A certain ideal triadic structure is revealed to be omnipresent in the real, as wellas the ideal […]

Peirce is justified in analyzing the sign as it relates to its objects triadically. By nonreciprocal

precision and hypostasization he is able to examine in diagram the icon and its relationships […]

Every possible experience therefore must conform to the relationships among icons as represented

in the diagram […] The centrality of phenomenology here is evident. It has shown the applicability

of the ideal triad to the real world. Deduction estabilishes certain necessary relationships about

other ideal entities, the meanings icons. These then are known to be applicable to the real world;

they are part of it as a first is to the whole triad. They are the firstness aspects of all experiences”194

.

Dal modo in cui Peirce presenta le categorie sembra emergere uno scopo che nella sostanza

ripropone quello già dichiarato negli scritti del „67195

, che consiste nel reperire regolarità,

leggi all‟interno del reale.

Si profilano due problemi: il primo riguarda la virtualità della Primità, nel senso che la

Primità lascerebbe vedere qualcosa che non si configura come oggetto di mediazione, ciò

lascerebbe inspiegato il modo in cui essa possa coesistere con le altre categorie, poiché in tal

modo si configurerebbe un‟operazione di mediazione.

193

Peirce, Conferenze sul Pragmatismo (1903), cit., p. 87. 194

C. Dougherty, Peirce‟s Phenomenological defense of Deduction, «An International Quarterly Journal of general

Philosophical Inquiry», (1980), 63, p.372, passim. 103

Se da un lato la classificazione delle scienze mette ordine tra le categorie, dall‟altro, a mio avviso, tale

classificazione ribadisce il nesso stretto tra logica e metafisica. La fenomenologia dà conto dell‟unità tra logica e

metafisica, o meglio lascia vedere l‟unione. La logica e la metafisica provvedono a fornire i loro apparati per realizzare

tale unione. Quest‟ultima si realizzerà nella logica grafica, poiché lì la sfida è quella di costruire il reale, al fine di

rivelarlo. Nel sistema grafico infatti si realizza lo sguardo fenomenologico, perché con la costruzione del grafo si trova

il modo di rappresentare ciò che lo sguardo fenomenologico permette di vedere. Nel sistema dei grafi io vedo e allo

stesso tempo giustifico ciò che vedo perché lo inferisco. E nello stesso tempo diversamente dall‟universo matematico si

realizza non soltanto il necessario ma anche il vero e quindi la logica grafica realizza in modo più adeguato l‟unione di

generale e individuale.

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Il secondo problema riguarda la Secondità, poiché se quest‟ultima si configura come

l‟elemento per antonomasia indipendente dal pensiero, rimane aporetico il modo in cui essa

si piegherebbe alle leggi, alle regolarità espresse dalla Terzità.

Quindi la Primità risulta assolutamente libera da qualsiasi comparazione e nello stesso

tempo di essa è possibile disporre a patto che si lasci in qualche modo mediare; la Secondità

rappresenta l‟esperienza, l‟elemento di resistenza contro qualsiasi processo di mediazione,

ma al tempo stesso essa condivide con la Terzità il reale. In che senso ?

Leggiamo Peirce: “Cosa è la realtà? […] essa non è che una retroduzione, un‟ipotesi operativa che noi mettiamo alla

prova, la nostra sola speranza, disperata e miseranda, di conoscere alcunché. O ancora, potrebbe

essere- e sembrerebbe poco prudente sperare qualcosa di più- che l‟ipotesi concernente la realtà, pur

fornendo risposte piuttosto efficaci, non corrisponda perfettamente a ciò che esiste. Ma se una

qualche realtà esiste, allora, in quanto esiste, essa consiste in ciò: che nell‟essere delle cose vi è

qualcosa che corrisponde al processo del ragionare, che il mondo vive, si muove e ha il proprio

essere, in una logica degli eventi. Tutti pensiamo che la natura operi sillogismi. Io voglio far notare

invece come l‟evoluzione, ovunque abbia luogo, non sia che un‟ampia successione di

generalizzazione attraverso le quali la materia diviene soggetta a leggi sempre più comprensive: mi

riferisco perciò all‟infinità varietà della natura come testimonianza della sua Originalità, o facoltà

Retroduttiva”196

.

In base alle parole di Peirce quindi il reale si ritroverebbe in forme diverse nell‟ambito del

processo della triade categoriale, ovvero risiederebbe in quel continuum che si svolge dalla

Primità sino alla Terzità.

Ora sebbene, per ragioni di economia tematica, non sarà possibile trattare in modo completo

la complessa teoria delle categorie, sarà importante sottolineare che negli scritti del 1905-

1908 Peirce perviene ad alcune considerazioni che si rivelano in linea con l‟orizzonte di

senso del discorso fin qui svolto e che forniscono una risposta ai problemi ora delineati.

In linea con la radice pragmatica del suo pensiero, Peirce ne La base del pragmaticismo

nella faneroscopia invita a ricordare il concetto di pragmaticismo, poiché esso costituisce la

guida metodologica che può fornirci la chiave di lettura per comprendere la struttura del

phaneron. In termini pragmatici per comprendere un oggetto è necessario immaginare i

significati che esso determinerebbe in determinati contesti, infatti, secondo Peirce, “nella

determinazione di una condotta condizionale” s‟identifica il concetto. Tale prospettiva era

già presente al Peirce degli anni „70, allora impegnato nell‟elaborazione della massima

pragmatica, ma adesso la sfida consiste nell‟attribuire statuto ontologico alle potenzialità di

significato intrinseche al reale. Nel reale si trovano possibili idee, possibili significati che

possono tradursi in una dimensione attuale e necessaria. In tal modo la conoscenza

pragmatica pone l‟accento sulla natura relazionale del reale, nel senso che essa rinnova

sempre il reale, manifestandone i suoi effetti concepibili, e ponendo così sotto una

prospettiva inedita il nesso ineliminabile tra pensiero e reale.

La conoscenza non finisce nell‟oggetto, potremmo dire semmai che essa inizia con l‟oggetto

una storia di estrapolazione di significati che non presuppongono un oggetto già dato, al

contrario questa stessa storia costituirà la natura dell‟oggetto, ma non perché le viene

imposta dall‟esterno, dal pensiero, piuttosto perché l‟oggetto stesso si svolge, si sviluppa,

196

Peirce, Alcune Riflessioni in ordine sparso sulla disputa tra Nominalisti e Realisti (Ms 439) 1898, cit., pp. 68-69,

passim.

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cresce, e il pensiero asseconda, e sperimenta sempre nuove vie per non perdere d‟occhio il

percorso che si va delineando. La lezione pragmatica è feconda in questo senso, perché ci fa

comprendere che nella dimensione temporale l‟oggetto estrinseca le sue possibilità, le rende

attuali e le norma.

Questa acquisizione è importante perché l‟oggetto non è soltanto elemento di resistenza che

confligge con il pensiero, esso non è da intendersi soltanto come dato bruto, assolutamente

cieco, semmai la resistenza del dato costituisce una figura del reale ma non l‟unica, o

comunque un passaggio obbligato perché l‟oggetto si ponga come alterità. Ma tale alterità a

sua volta troverà il suo compimento nel momento in cui verrà riconosciuta e questo avverrà

quando essa si sarà trasformata in legge, in regolarità, cioè quando dopo essersi resa

disponibile su un piano percettivo, sarà ricompresa secondo la modalità della necessità.

E allora per mettere a frutto la lezione pragmatica è necessario, secondo i tre passaggi

fondamentali del metodo pragmatico ovvero osservare, discriminare e generalizzare,

guardare dentro il phaneron per scorgere le sue “forme possibili”. Ma questa operazione

sembra già contraddittoria perché finirebbe per introdurre elementi di analisi che una

dimensione come quella del phaneron non sarebbe in grado di tollerare. Per quanto

apparentemente invasiva può apparire la metodologia pragmatica, è proprio essa che ci

restituirà la possibilità di capire dal di dentro la trama del reale. È ancora una volta con

l‟osservazione e con la sperimentazione che potremo penetrare nell‟imprendibile realtà del

phaneron. Ma osservare non è un‟operazione neutra, essa presuppone una preparazione, è

necessario esplicitare che cosa dobbiamo osservare, in questo caso, afferma Peirce, ciò che è

osservabile consiste nelle forme degli elementi indivisibili riscontrabili all‟interno del reale.

In generale si pensa che le distinzioni riguardino la materia, in effetti le distinzioni

fondamentali riguardano la forma. Infatti in chimica, prosegue Peirce, si credeva che gli

atomi fossero indivisibili e omogenei e invece si è scoperto che essi sono distinguibili per la

forma esterna piuttosto che per quella interna.

In virtù dell‟accordo tra le leggi naturali e le leggi del pensiero è plausibile istituire

un‟analogia tra gli elementi indecomponibili del Phaneron e quelli degli atomi chimici.

L‟analogia acquista nel passo successivo uno spessore teoretico, poiché Peirce argomenta

che è inevitabile trovare degli elementi che siano combinati tra loro, infatti se nel Phaneron

non fossero reperibili elementi combinati fra loro, non sarebbe praticabile alcuna idea di

Phaneron dal momento che l‟idea di Phaneron diventa tale se si configura come una

struttura in cui tutti gli elementi si combinano fra loro.

Importante risulta questa idea di combinazione perché grazie ad essa è possibile scoprire la

natura composita del reale, il quale altrimenti sarebbe inaccessibile. Ma in che modo è

definibile questa idea della combinazione?

Peirce afferma: “l‟idea generale di una combinazione deve essere un‟idea indecomponibile; in caso contrario,

infatti, sarebbe composta e l‟idea della combinazione dovrebbe rientrare in essa come sua parte

analitica. Tuttavia, è assurdo pensare che un‟idea sia solo una parte di se stessa e non il suo intero.

Quindi, se c‟è un Phaneron, l‟idea della combinazione deve essere un suo elemento

indecomponibile. Questa idea è una triade, poiché implica l‟idea di un intero e di due parti […]. Ne

segue che nel Phaneron deve esserci necessariamente una triade. Se dunque i metafisici hanno

ragione quando sostengono […] che solo un‟idea è assolutamente necessaria, ed è quella del Dio

trino e uno, in qualche modo quest‟idea di Dio deve essere identica alla semplice idea di

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combinazione. Solo utilizzando le triadi è possibile costruire tutte le altre forme esteriori: medadi,

monadi, diadi, triadi, tetradi, pentadi, exadi, e tutte le altre”197

.

Se tali affermazioni integrano le riflessioni sul Phaneron all‟interno della fondamentale

struttura triadica che secondo Peirce informa qualsiasi dimensione, nella misura in cui tutto

è riconducibile ad una struttura essenzialmente segnica, sia che si tratti di una dimensione

logico- matematica, nonché teologica, epistemologica o metafisica, lo strumento che viene

offerto nel Pap, Ms 293 (1906) per comprendere il Phaneron conferma la vocazione

fondazionale della metodologia pragmatica. Infatti l‟analogia tra il Phaneron e la struttura

di un composto chimico viene supportata dal suggerimento di osservare il Phaneron come

se fosse un diagramma. È all‟interno di una struttura diagrammatica che il Phaneron può

trovare una adeguata formalizzazione, sebbene il Phaneron originario è immediato, la sua

intelligibilità è possibile all‟interno di una struttura diagrammatica, nel senso che in questa

possiamo osservare le sue forme. D‟altra parte è possibile comprendere qualcosa se lo

traduciamo in una forma, poiché ciò che rimane vincolato alla materia e ad uno stadio di

immediatezza è destinato a rimanere inesplicabile. In questo caso il diagramma, che grosso

modo ricalcherebbe quella del composto chimico, avrebbe la funzione di rendere evidenti le

forme possibili del Phaneron e giustificare le sue occorrenze. Sfruttando il concetto di

valenza Peirce ritiene di potere ottenere una rappresentazione scientifica del Phaneron

poiché gli elementi del Phaneron avrebbero alla stessa stregua degli atomi delle valenze

diverse in base al numero di legami cui possono dar vita con altri elementi. Da questi legami

scaturirebbero dei composti analoghi alle molecole, espressione dell‟unione tra gli elementi

possibili, attuali, necessari ovvero gli elementi indecomponibili del Phaneron.

Questa analogia tra composto chimico e Phaneron chiarisce l‟intenzione di tematizzare tale

struttura in modo scientifico e infatti presuppone il concetto matematico di continuità che a

più riprese Peirce tratterà e che si amplierà sino a diventare prospettiva cosmologico-

metafisica prendendo il nome di sinechismo. Per il momento è utile il modo in cui lo

l‟accenna Peirce nel testo La base pragmatica nella Faneroscopia: qui Peirce, dopo avere

tratteggiato la Primità, insistendo sulla sua natura assolutamente immediata e ribadendo che

essa non ha parti e che sarebbe priva della possibilità di somigliare a qualsiasi qualità,

poiché la condizione della somiglianza consisterebbe nel confronto fra due elementi, si

chiede: “che spazio c‟è allora, per secondi e terzi”198

?

Risponde alla domanda Peirce affermando che il “Phaneron è composto interamente da qualità di feeling proprio come lo spazio è composto da

punti. Eppure è certo che nessun insieme di punti-uso il termine insieme per indicare semplicemente

un plurale, senza riferirmi all‟idea degli oggetti che vengono uniti-nessun insieme di punti, per

quanto la sua cardinalità [multitude] possa essere innumerabile, può costituire in se stesso lo spazio.

Lo spazio […] è tutto un unico pezzo […] non sono i punti, ma le relazioni tra i diversi punti che

producono l‟immensità dello spazio”199

.

Tale accenno in realtà è frutto di un lavoro lungo e costellato di ripensamenti, qui è utile

richiamare gli esiti di questa complessa riflessione sul continuo per tentare di dipanare il

groviglio che coinvolge soprattutto la Primità e la Secondità.

Riprendiamo la questione: la Primità è indivisibile, priva di parti e allora in che modo le è

possibile convivere con le altre categorie; la Secondità in che modo può trasformare la sua

197

Peirce, La base del pragmaticismo nella faneroscopia (Ms 908) 1905, cit. p. 171. Cfr. CP 1.364. 198

Ivi, p. 178. 199

Ivi, p. 179. In modo forse più esplicito, Peirce si esprime così : “Su una linea continua non ci sono punti (là dove la

linea è continua), c‟è solo spazio per i punti, possibilità di punti”. Pap, in Pragmatismo e grafi esistenziali, Jaca Book,

Milano 2003, p.192.

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solidità nello stato fluido della generalità. Insomma come si passa dalla Possibilità

all‟Attualità e da quest‟ultima alla Necessità?

Il tema della continuità e un nuovo concetto di Esperienza, così come si delineerà negli

scritti tra il 1905-08, contribuiranno a sciogliere, se pur in presenza di aspetti problematici,

il garbuglio che sembra avviluppare il Phaneron.

La Logica della continuità, un testo scritto in occasione delle lezioni tenute da Peirce a

Cambridge, Massachusetts, nel 1898 si rivela particolarmente pregevole per la chiarezza e

per la veduta ampia che offre sull‟intero impianto del pensiero peirceano, in cui riflessioni

prettamente matematiche s‟intrecciano con quelle fenomenologiche, nonché cosmologiche,

e rivelano implicazioni anche di ordine semiotico.

Infatti una riflessione assolutamente tecnica quale può essere quella sugli insiemi

abnumerali o transfiniti in realtà valicherà i confini propri alla topica geometrica, per

supportare la teoria delle categorie e in particolare giustificare la Primità e fornire elementi

più evidenti riguardo al rapporto tra quest‟ultima e le altre categorie.

Peirce qui si impegna nel far comprendere che le grandezze abnumerali che si distinguono

da quelle relative ai numeri finiti, perché comprendenti parti infinitamente divisibili, non

contengono parti discrete. Gli insiemi abnumerabili si possono considerare aggregati

potenziali in cui gli elementi discreti lasciano il posto ad elementi continui nel senso che

essi acquistano un‟individualità in virtù dell‟istituzione di relazioni. In questi termini tali

aggregati potenziali sono maggiori di qualsiasi insieme contenente elementi discreti, ma dal

momento che sono potenziali non contengono individui, essi semmai dispongono delle

condizioni della determinazione di possibili individui. Infatti Peirce chiarisce il significato

del termine potenziale dicendo che esso sta “per indeterminato ma capace di determinazione

in qualsiasi caso speciale” 200

.

Peirce prosegue fornendo un esempio relativo ai numeri interi e lo spiega così: se

consideriamo un numero intero come insieme esso può essere contato, tale operazione non è

assolutamente ostacolata dall‟eventuale aggiunta di un altro numero intero. Ma qualora

volessimo considerare l‟insieme di tutti i numeri interi, esso non sarebbe enumerabile,

poiché evidentemente l‟insieme dovrebbe contenere l‟ultimo numero della serie dei numeri

interi, e, posto che la serie dei numeri interi è infinita, l‟insieme di tutti i numeri interi non

può essere contato. Ma tale condizione non preclude la possibilità di immaginare

l‟aggregato di tutti i numeri interi, a patto che ne riconosciamo la sua potenzialità.

Quindi Peirce ritiene che così come non è possibile contare la collezione di tutti i numeri

interi, allo stesso modo l‟aggregato di grandezze abnumerabili non contiene elementi

individuali. Peirce infatti afferma: “Non vi può essere una qualità distintiva per ogni individuo, perché queste qualità formerebbero

una collezione troppo molteplice per restare distinte. Deve essere perciò per mezzo di relazioni che

gli individui sono distinguibili l‟uno dall‟altro, […] Nessun continuum perfetto può essere definito

da una relazione diadica [asimmetrica] [poiché l‟origine e il termine sarebbero punti di

discontinuità]. Ma se invece prendiamo una relazione triadica, e diciamo che A è r a B per C,

diciamo, per fissare le idee, che procedendo da A in un certo modo, per esempio verso destra, si

raggiunge B prima di C, è assolutamente evidente che risulterà un continuum simile a una linea che

ritorna su se stessa senza nessuna discontinuità di alcun tipo […]”201

.

Tale riflessione costituisce un modello ideale per comprendere, afferma Peirce, che la

conoscenza umana, così come l‟universo evolvono sempre disegnando un movimento che

200

Peirce, La Logica della Continuità (1898), cit., p.1174. 201

Ibidem.

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procede sempre dall‟indifferenziato al differenziato, da un continuum potenziale ad un

continuum di livello superiore, e che si arricchisce progressivamente attualizzandosi e

definendosi. Infatti la continuità non si realizza cumulando i punti che la compongono, al

contrario essa sta all‟origine e successivamente si va dispiegando. Nel continuum potenziale

sia esso afferente alla dimensione faneroscopica sia esso relativo a quella cosmologica le

forme sono infinite e quindi non distinguibili, così come Peirce poneva in evidenza riguardo

all‟aggregato potenziale abnumerale. E allora in che modo diventa intelligibile il passaggio

dall‟indifferenziato al differenziato? È necessario ipotizzare una sorta di contrazione della

potenzialità originaria per potere comprendere il passaggio dall‟omogeneo all‟eterogeneo.

Efficaci al riguardo le parole di Peirce: “Possiamo soltanto supporre che quelle qualità sensibili che ora esperiamo, colori, odori, suoni,

sentimenti di qualsiasi descrizione, amori, sofferenze, sorprese, siano solo i resti di un antico

continuum di qualità in rovina, simili a qualche colonna rimasta in piedi qua e là, a testimonianza

che un antico foro con la sua basilica e i suoi templi aveva formato una volta un magnifico

complesso. E come quel foro, prima che fosse effettivamente costruito, aveva una vaga sub-

esistenza nella mente di colui che ne progettava l‟edificazione, così il cosmo delle qualità sensibili,

che vorrei supponeste che in qualche stadio iniziale fosse reale come la vostra vita personale in

questo momento, aveva in uno stadio antecedente di sviluppo un essere più vago, prima che le

relazioni delle sue dimensioni diventassero definite e contratte”202

.

Più avanti Peirce articola maggiormente cosa intende con l‟idea che la potenzialità si

contragga: pensare l‟universo in evoluzione impone la fatica di estendere il carattere

evolutivo anche, a quello che Peirce chiama “mondo platonico” e per comprendere tale

evoluzione è necessario pensare sostanzialmente a due elementi, il primo è la Libertà, il

caso, la Spontaneità, il secondo consiste in quello che Peirce chiama reazione.

Così come è originaria la Libertà in virtù della quale si configurano infinite qualità, allo

stesso modo è connaturata all‟universo la possibilità che si attuino reazioni tra le qualità,

insomma la potenzialità originaria contiene le qualità, che, proprio in quanto possibilità,

sono portatrici del loro stesso limite, che si evidenzierà nella reazione con le altre qualità.

Qui, avverte Peirce, le qualità non sorgono isolate le une dalle altre e successivamente

entrano in relazione, al contrario esse sono tutte già intrinseche alla potenzialità originaria,

ma quest‟ultima, perché possa dare vita alla storia dell‟universo cioè dare espressione alle

sue infinite qualità, deve differenziarsi, deve rendersi eterogenea, in questo senso la reazione

tra le qualità è un vero e proprio evento, è l‟evento dell‟origine.

L‟origine, infatti, può attuarsi se si rende discontinua, essa è rintracciabile non nelle qualità

così come esse si danno nell‟indifferenziato, ma nel modo in cui esse si estrinsecano nel

differenziato: questa operazione diventa possibile, secondo Peirce, che ha assimilato la

profonda lezione dell‟idealismo, se si presuppone che il discontinuo, grazie al quale si

potranno creare reazioni tra le qualità, costituisca parte integrante dell‟universo, o con le

parole di Peirce, sia un “fattore dell‟universo”.

E allora questo accenno alla visione cosmologica ci aiuta a comprendere che la Primità, se

pur non esaurisce la sua infinita ricchezza, è all‟interno di un tratto discontinuo che realizza

la sua espressione. È nella dialettica continuo-discontinuo che si realizza il passaggio dalla

Primità alla Terzità, ma tale opposizione non si attua soltanto nel passaggio dalla prima

categoria alla terza, ma anche all‟interno di ciascuna categoria.

202

Ivi, p. 1175.

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Come sempre la Matematica ci viene in aiuto per dare ulteriore consistenza a quanto Peirce

intende dire, infatti l‟esempio geometrico che viene fornito nel testo, qui preso in esame, ne

dà prova.

Leggiamo Peirce: “Poniamo che la lavagna pulita sia una specie di diagramma della vaga originale potenzialità … non

vi sono punti su questa lavagna. Traccio una linea di gesso sulla lavagna. Questa discontinuità è uno

di quegli atti bruti attraverso i quali solamente la vaghezza originale potrebbe aver fatto un passo

verso la definitezza. Vi è un certo elemento di continuità in questa linea. Da dove è venuta questa

continuità? Non è altro che la continuità originale della lavagna che rende continua ogni cosa sopra

di essa. Ciò che ho realmente tracciato è una linea ovale. Infatti questo segno di gesso bianco non è

una linea, è una figura piana nel senso di Euclide- una superficie, e l‟unica linea su di essa è la linea

che forma il limite fra la superficie bianca e la superficie nera. Così la discontinuità può essere

prodotta su questa lavagna solo dalla reazione tra due superfici continue in cui è separata la

superficie bianca e la superficie nera. La bianchezza è una Primità- il sorgere di qualcosa di nuovo.

Ma il confine tra il nero e il bianco non è né nero né bianco, non è nessuno dei due e non è tutti e

due. È l‟accostamento dei due. Per il bianco è la Secondità attiva del nero; per il nero la Secondità

attiva del bianco”203

.

L‟esempio è prezioso perché ci permette di comprendere che la Primità deve rendersi

discontinua per potersi esprimere, perché è la sua traccia ad evocare la continuità, nella

misura in cui ne ritaglia un simile. Le tracce di cui può dar conto la Primità sono

indispensabili al fine di dare avvio ad una catena in cui la traccia della qualità possibile si

riconosca in un esistente e si consolidi attraverso la generalizzazione normativa di un abito.

In modo chiaro Peirce afferma a proposito della Primità:

“la bianchezza o la nerezza, la Primità è essenzialmente indifferente alla continuità. Si presta

prontamente alla generalizzazione ma non è essa stessa generale. Il limite fra la bianchezza e la

nerezza è essenzialmente discontinuo, o antigenerale. È insistentemente questo qui. La potenzialità

originale è essenzialmente continua o generale”204

.

La primità segmentandosi, offre un pezzo di sé, una traccia di quel continuum, da cui essa

stessa proviene, la Primità contrassegna la continuità, cioè l‟unico modo per esprimere la

continuità. La discontinuità, infatti, di cui è capace la Primità è quel tratto materiale al cui

interno è possibile rivelare la potenzialità originaria. La primità non traccia un pezzo della

continuità ma un possibile modo della continuità. la differenziazione della continuità è

sempre nell‟ordine del possibile, nel senso che la differenziazione della potenzialità

originaria non tocca la dimensione dell‟esistenza, cioè la potenzialità originaria tradotta

nella Primità non ha elaborato ancora una differenziazione da cui scaturirà l‟esistente,

quando questo accadrà si è già passati nella Secondità, e si sono create le condizioni perché

esso possa trasformarsi, attraverso la tendenza generalizzante dell‟abito, in norma. La

Possibilità originaria diviene legge.

Ritorniamo all‟esempio, riportato precedentemente, per potere osservare su un piano

diagrammatico i passaggi ora analizzati: “Una volta che la linea sussista per un po‟ dopo che è tracciata, vicino a essa può essere disegnata

un‟altra linea. Molto presto i nostri occhi ci persuadono che c‟è una nuova linea, l‟involucro delle

altre. Questo illustra abbastanza bene il processo logico che possiamo supporre abbia luogo nelle

cose, in cui la tendenza generalizzante costruisce nuovi abiti da occorrenze casuali. La nuova curva,

benché sia nuova nel suo carattere distintivo, deriva tuttavia la sua continuità dalla continuità della

203

Ivi, pp. 1177-78. 204

Ibidem

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131

lavagna stessa. La potenzialità originaria è la materia aristotelica o indeterminazione dalla quale è

formato l‟universo. A mano a mano che si moltiplicano, sotto l‟abito di essere tangenti

all‟involucro, le linee rette tendono gradualmente a perdere la loro individualità. Vengono in una

certa misura sempre più obliterate e decadono a semplici aggiunte al nuovo cosmo di cui sono

individui” 205

.

In questo testo dalla prospettiva della continuità è già possibile raccogliere qualche

elemento per comprendere che, pur nella sua immediatezza, il Phaneron implica

costitutivamente la sua mediazione, poiché la continuità è strutturata in maniera tale da

avere in sé il principio della sua differenziazione inerente all‟ordine del possibile e

dell‟esistente, e la ricomprensione di questi ultimi all‟interno di una indefinita legalità.

E se è così, il passaggio dalla Possibilità alla Necessità si lascia comprendere all‟interno di

una ripetizione dell‟origine, che si rende possibile solo se, con un gesto accidentale,

s‟imprime una traccia in virtù della quale si innescherà un processo di differenziazione e di

codificazione mai arrestabile e mai definitivo. Sebbene la riflessione matematica sul

concetto di continuità fornisca un modello significativo, si evince dall‟architettonica del

testo un ampliamento progressivo tale da rendere la continuità il perno di un progetto più

vasto che vedrà in stretta relazione dimensione semiotica, cosmologico-faneroscopia e

metafisica. I problemi che vengono fuori dal versante fenomenologico sono significativi,

poiché stanno a testimoniare il bisogno di una fondazione metafisica. Se le riflessioni di

ordine matematico-logico forniscono i risultati, vedremo più avanti che gli scritti dell‟ultimo

Peirce si impegnano ad offrire sul piano metafisico le loro premesse.

Il nesso tra possibilità, attualità e necessità, ritrova una maggiore esplicitazione

nell‟elaborazione di questo nuovo concetto di Esperienza, così come viene tematizzato in La

Faneroscopia: ovvero la storia naturale dei concetti (1905-1906) e ne La Logica (1908).

L‟esperienza viene concepita come risultato di un‟azione che proviene sia da parte del

soggetto che dell‟oggetto, poiché non è possibile disporre delle due dimensioni

indipendentemente dalla loro relazione: il primo testo di quelli precedentemente menzionati

insiste sull‟azione esercitata da parte del soggetto, il secondo s‟incentra sull‟attività

esplicata dall‟oggetto.

Nel primo testo, scritto tra il 1905 e il 1906, Peirce definisce l‟esperienza in questi termini: “L‟ esperienza è quello stato della cognizione che il corso della vita in qualche sua parte ha imposto

al riconoscimento dell‟esperiente, cioè di colui che è sottoposto all‟esperienza, e generalmente le

condizioni di questa imposizione sono dovute almeno in parte all‟azione del soggetto stesso che

esperisce” 206

.

Nel secondo testo, scritto nel 1908 Peirce argomenta in questi termini :

205

Ivi p. 1179. 206

Phaneroscopy, in Ms 299, trad. it. La Faneroscopia: ovvero, la storia naturale dei concetti (1905-1906), a cura di

M. Luisi in Esperienza e Percezione, Edizioni ETS, Pisa 2008, p. 186.

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132

“un Oggetto che sia capace di essere sentito [capable of being Felt] ma che sia in condizioni tali da

essere privato del Feeling, esercita una tendenza attiva e reale, uno sforzo che rasenta il Desiderio

per riguadagnare il suo Feeling naturale […] la Tendenza a essere sentito fa parte dell‟essere stesso

di ogni Oggetto capace di Feeling […] Ciò che è potenziale tende sempre a divenire Attuale e forse

ciò che è immediatamente ed essenzialemente Potenziale, quando è reale, tende sempre Realmente

e attivamente all‟Attualizzazione”207

.

Questi due passaggi esprimono, a mio avviso, una direzione, che si rivela costante nel

pensatore americano ovvero credere che la processualità e l‟azione non siano unilaterali.

Esse, infatti, non stanno dalla parte del soggetto o dalla parte dell‟oggetto bensì riguardano

entrambe: così come il pensiero deve evolversi per comprendere, allo stesso modo l‟oggetto

non può rendere disponibile la sua ricchezza ontologica nell‟immediato, quest‟ultima si

lascia scoprire all‟interno di un processo inarrestabile, il pensiero si svolge grazie

all‟oggetto e viceversa.

La riflessione sul concetto di esperienza si rivelerà particolarmente feconda, poiché fornirà

un piano in cui generale e individuale si risolvono in modo unitario senza sacrificare la loro

distinguibilità, e risultano così fondati ontologicamente. Il concetto di esperienza diventa

espressione delle modalità dell‟operare pragmatico e delle modalità secondo le quali è

strutturato il reale, in questo senso il concetto di esperienza assume una particolare rilevanza

in quanto realizza un‟adeguata comunione tra soggetto e oggetto. Qui il concetto di

esperienza non è più coincidente con la seconda categoria, ma risulta intrinseca ad ogni

singola categoria, ora se da una parte questo rappresenta una novità rispetto all‟analisi

categoriale svolta precedentemente, in realtà, a mio avviso, è un‟esplicitazione

dell‟impostazione precedente, nel senso che già in base alle riflessioni di ordine matematico

sul continuo, si è compreso, pur con tutte le aporie, che non sono separabili continuità e

discontinuità, pur essendo distinguibili. E quindi in tutte le tre categorie sono compresenti

generale e individuale, semmai è la crescita della loro relazione a fare la differenza.

La novità, comunque, sta nel fatto che attraverso questo concetto di esperienza si chiarisce

meglio come la tessitura pragmatica che connota la riflessione sin dagli anni „70 riceva

conferma sul piano ontologico, e finisca per trascendere se stessa, poiché confluisce in un

progetto che matura esiti di tipo metafisico.

In ogni stato dell‟esperienza è presente lo scambio, l‟aiuto reciproco tra soggetto e oggetto,

infatti non è pensabile ad un soggetto che tenti di scavare dentro la natura per scoprire

eventuali leggi, regolarità. Ciò che è possibile scoprire è frutto di un‟attivazione di processi

da parte del soggetto che prevedono un‟azione. Chi osserva la realtà per conoscerla non si

trova in uno stato di passività, deve al contrario elaborare ipotesi perché possa

adeguatamente osservare il reale. L‟esempio, riportato in questo testo, pone in evidenza i

lunghi tempi di preparazione di cui necessita lo scienziato per osservare un fenomeno

complesso, come, ad esempio, l‟eclissi solare. Tale osmosi tra pensiero e reale che si

realizza nell‟Esperienza necessita di una fase in cui l‟oggetto sembra opporre resistenza nei

confronti del soggetto. È proprio dinanzi a tale alterità che il soggetto è sollecitato ad

innovare abiti irrigiditi dalla coazione a ripeterli in assenza di novità provenienti

dall‟incontro-scontro con l‟oggetto. Infatti se l‟oggetto inaspettatamente darà vita a

fenomeni nuovi ciò metterà in discussione le regolarità, le leggi acquisite e solleciterà nuove

risposte, nuove idee per interpretare le nuove modalità assunte dall‟oggetto. In questi

termini l‟oggetto si pone come evento: qui Peirce più che insistere sull‟elemento di

207

Logic in Ms 609 (1908), trad. it. Logica, Ivi, pp.209-210.

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resistenza rappresentato dall‟oggetto, pone l‟accento sul carattere innovativo di cui

l‟esperienza è capace nell‟incontro con l‟oggetto. Infatti Peirce afferma: “Noi percepiamo

gli oggetti che vengono portati di fronte a noi, ma di cui specialmente facciamo esperienza –

quel genere di cose a cui si deve applicare in modo particolare il termine esperienza- è un

evento”208

.

L‟evento e la preparazione del soggetto introducono elementi dinamici nella conoscenza,

nel senso che se da una parte l‟oggetto si presenta all‟interno di una progressiva ricchezza,

indefinita nel tempo, dall‟altra il soggetto non vede l‟oggetto nella sua staticità, poiché lo

comprende veramente nel momento in cui lo coglie, più che come un elemento discreto,

come una modalità del continuum nel quale potenzialmente si trova già da sempre

predisposta.

Così come il soggetto non vede l‟oggetto soltanto come elemento statico, bruta materia, ma

è come se l‟oltrepassasse con la sua capacità di ipotizzare, allo stesso modo l‟oggetto mette

in discussione gli abiti del pensiero e li sollecita a reinventarsi sotto la spinta innovativa

degli scenari che gli sottopone.

Nella sostanza l‟oggetto non è mai una realtà individuale, è un reale di ordine generale. E di

questo dà prova la Terzità che contribuisce a realizzare l‟unità tra oggetto e soggetto sotto il

segno della legge, poiché in questo stadio l‟evento viene integrato e ricompreso all‟interno

di un continuità regolatrice.

Ciò che si pone come esplicativo di questa unione tra generale e individuale è la visione di

un tempo continuo, in questa prospettiva può risultare più chiara questa idea di Esperienza,

poiché Peirce intende avvertirci del fatto che l‟oggetto si dispiega nel tempo. Se il carattere

evolutivo pertiene al pensiero come al reale, e allora le conseguenze di questa visione

propongono un‟idea di oggetto assolutamente dinamica, aperta, mai conclusa in se stessa.

Ciò che si diceva a proposito dello spazio, riguardo il rapporto tra la linea e i punti, è

possibile estenderlo riguardo gli istanti che costituiscono una sequenza temporale: gli

istanti non sono elementi discreti ma possibilità all‟interno di una linea temporale.

L‟oggetto non si definisce totalmente ma è sempre suscettibile di infinita determinazione. E

qui riecheggia il Peirce degli anni „70, che, impegnato nella controversia tra nominalismo e

realismo, ribadiva che non esistono elementi assolutamente determinati ma elementi

infinitamente determinabili. Ma proprio questa infinita determinabilità diventa espressione

del rapporto imprescindibile tra il continuo e il discontinuo, poiché l‟oggetto nella sua

interezza non è mai immediatamente presente, esso è il continuum che si lascia conoscere

sempre in modo differito, perché è nelle sue discontinuità che possiamo riconoscerne la

fisionomia.

Indipendentemente dalla specificità del modo in cui viene tematizzato il concetto di

esperienza in questi scritti, è possibile ritrovare, pur nelle differenze, una profonda affinità

tra l‟analisi delle categorie condotta nel testo On a New List of Categories e quella

realizzata nei testi della maturità, poiché il fine delle categorie è sempre rivolto alla

comprensione di una possibile integrazione tra unità e molteplicità, generale e individuale.

Ciò che è cambiato sostanzialmente sta nel fatto che le categorie presentano diversi livelli

ontologici, esse infatti non sono più espressione soltanto di un livello formale logico, ma

esse diventano elementi dell‟Esperienza. Ma per capire di quale ontologia stiamo parlando

è bene tenere presente che in seguito alle riflessioni sulla matematica e alla definizione dei

rapporti tra le scienze, il piano ontologico è un piano essenzialmente supportato dal mondo

208

Phaneroscopy, in Ms 299, trad. it. La Faneroscopia, Ivi, p.198.

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ideale creato dalla matematica, a sua volta spazio genetico di declinazioni logico-

semiotiche209

.

Le categorie sono strutture logico-matematiche riscontrabili nel pensiero e nella natura. La

Matematica precede la logica nel senso che è il luogo per antonomasia dell‟intreccio tra

individuale e generale, immagine e inferenza. Anche nella logica è possibile disporre

dell‟intreccio tra immagine e inferenza, ma è anche vero che nella Matematica questo

intreccio è assoluto, poiché, essa non dovendo fare i conti con il contingente, ipostatizza le

relazioni pensate dal suo ragionamento ipotetico creando così una ontologia e offrendo di

essa una dimensione percettiva, che diventa oggetto di uno sguardo possibile, pur non

essendo contingente. E quindi una ragion pura come quella matematica fornisce un modello

del modo in cui si coniugano le due dimensioni: quella inferenziale e quella percettiva.

Se da una parte si sviluppano parallelamente diversi filoni del pensiero peirceano: la

semiotica, la matematica, la fondazione fenomenologica delle categorie, dall‟altra questi

diversi filoni si intrecciano, ma questo non è casuale, poiché il collante, soprattutto in questa

fase matura del pensiero peirceano, è proprio la matematica, che paradossalmente non si

limita a qualificarsi come scienza puramente formale, o meglio, pur esibendo la sua purezza

diventa modello esplicativo per la formazione delle categorie fenomenologiche. E allora il

quadro di riferimento diventa più chiaro e al tempo stesso più ardito, poiché la posta in

gioco da parte delle categorie non è più soltanto la comprensione sul piano strettamente

formale del modo in cui si concilia il generale e l‟individuale, ma quello di darne conto sul

piano dell‟Esperienza, intesa in termini fenomenologici.

E allora intanto si assiste ad uno spostamento di piani, le categorie diventano ontologiche, e

in questo nuovo contesto i concetti di ground, likeness quale configurazione assumono?

Constatare che la likeness ricompare insieme al termine icon in sede faneroscopica e

laddove i riferimenti alla matematica sono sempre più presenti, ci induce a pensare che tali

termini appaiono agli inizi della riflessione giovanile così controversi, perché ancora al

giovane Peirce non sono chiari i rapporti tra le varie discipline e perché non è stata elaborata

una fondazione fenomenologica delle categorie, sulla base del modello matematico. Questi

termini ora vengono collocati su di un piano molto più vasto, in cui si risolvono in modo più

chiaro i rapporti tra ground e likeness e tutta la controversia riguardante l‟eventuale

referente dell‟immagine, che vedeva opporre i nominalisti ai realisti. I termini della

questione su questi concetti sono cambiati, non si tratta più di capire se un‟immagine può

essere intuita o inferita, se un‟immagine è singolare e individuale o se essa è accessibile in

modo immediato, o ancora se l‟associazione di immagini è frutto comunque di un processo

inferenziale.

Per quanto Peirce riprenderà questi temi in fasi diverse dello sviluppo del suo pensiero, già

nel 1868 e, come abbiamo visto negli anni „70, egli aveva fissato dei punti di non ritorno in

merito soprattutto alla vana pretesa di attingere in modo intuitivo alle immagini e di pensare

ad esse come assolutamente individuali. Ancora una volta nel 1896 Peirce ricorda che lo

statuto della qualità non può risiedere nell‟individualità, perché di essa è l‟esistenza e non

la qualità a porsi come la sua ratio essendi210

.

209

A tal riguardo C. R. Hausman sottolinea che è plausibile pensare che l‟orizzonte della fenomenologia sia quello dei

mondi possibili tracciati dalla matematica, dal momento che quest‟ultima è per antonomasia il regno delle ipotesi e

della libertà assoluta da qualsiasi riferimento all‟esistente. Cfr. Charles S. Peirce‟s Evolutionary Philosophy,

Cambridge University Press, 1993, p.115. 210

Cfr. CP 1.458.

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135

Perché il ground da una parte si poneva come condizione del processo segnico e al tempo

stesso si ritrovava incarnato dalla likeness? In che senso la likeness è accordo interno?

Perché Peirce insiste tanto sul fatto che bisogna demolire la visione corrispondentistica

dell‟immagine? Insomma perché la qualità si mostra una e molteplice? Provo a rispondere

dicendo che forse già allora Peirce aveva capito che la categoria della qualità non la si può

comprendere se la si lega ad una dimensione soggettiva o oggettiva, nel senso che essa,

come giustamente rileva Proni, prescinde dalla questione se si pone come conoscenza

oggettiva o soggettiva, poiché la qualità s‟identifica con la Primità, e quindi con la

Possibilità originaria. E in questo senso la Primità esprime una modalità del reale. Ma essa

non esprime qualità che corrispondono necessariamente alle cose, la questione del vero –

falso non è ancora messa in gioco. La Primità spiega il rapporto circolare tra ground e

likeness, poiché essa pone discontinuità, ma tale discontinuità ripone il suo fine nel

tracciare, segnare il continuum nel quale essa stessa consiste. La Firstness è l‟elemento

originario dell‟Esperienza ma allo stesso tempo è anche qualità astratta e analizzabile, in

questo senso precede qualsiasi dualismo, perché essa stessa compone unità e differenza,

infatti in One, Two, Three (1886) Peirce, riferendosi ai filosofi che posero il problema

dell‟arché, afferma con decisione che per spiegare l‟eterogeneità è necessario ipotizzare

“un‟omogeneità indeterminata”dotata di vita e libera.

Già Anassimene, afferma Peirce, pur non disponendo delle conoscenze scientifiche, come

ad esempio il principio della conservazione dell‟energia, aveva imboccato una direzione

giusta nel comprendere che nessuna spiegazione di tipo meccanicistico avrebbe potuto

giustificare il passaggio dall‟indeterminato al determinato211

.

Dunque concentriamo l‟attenzione sulla Firstness, intesa ora come unità ora come infinita

molteplicità, per comprendere in che modo essa può essere esplicativa del rapporto circolare

tra ground e likeness. La Firstness è spontaneità, infinita libera potenzialità e al tempo

stesso è sorgente di infinite determinazioni, e in questi termini il significato di feeling risulta

esplicativo di questa doppiezza che connota tale categoria. Infatti Peirce afferma :

“The quality of feeling is the true psichica representative of the first category of the immediate as it

is in its immediacy, of the present in its direct positive presentness. Qualities of feeling show

myriad-fold variety […] This variety however is in them only insofar as they are compared and

gathered into collections. But as they are in their presentness, each is sole and unique”212

.

Il feeling è un buon esempio della Firstness perché ci permette di avere un‟idea della

compresenza delle due dimensioni di questa criptica categoria: essa, allo stato puro si

caratterizza per il suo carattere indeterminato, per superare la sua virtualità deve marcare

l‟indifferenziato nel quale essa consiste, per mostrarlo deve sintetizzarlo, deve contrarlo

all‟interno di infinite possibilità, cioè deve fornire le sue espressione possibili. Ma la

secondità della Primità s‟inscrive sempre all‟interno della Possibilità, le sue esternazioni

non cambiano statuto. E quindi la difficoltà di capire la Primità sta nel fatto che la sua

molteplicità rimane sempre ascrivibile all‟ordine della possibilità: qui sta il nodo più

intricato, perché è necessario distinguere la varietà multiforme della Primità dalle qualità

analizzabili e determinabili, dal momento che esse sono astratte da un dato e reperibili

211

Cfr. W5:295-296. 212

CP 5.44. Riguardo al termine feeling, utile la definizione fornita dal Webster: “a state of consciousness, or

consciousness in general considered in itself and apart from any reference to an object of perception or of thought [...]

state or quality of that which causes or expresses feeling conceived as embodying this feeling; objectified feeling ”.

Webster‟s, New International Dictionary of the English, by G. & C. Merriam Co., London, 1909, p. 801.

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nell‟esistenza. Più volte, infatti, Peirce ribadisce che la qualità non va identificata con una

mera occorrenza, al contrario “We are to consider the total as a unit. We may term this

aspect of a phenomenon the monadic aspect of it. The quality is what presents itself in the

monadic aspect”213

.

In considerazione di tale analisi dovrebbe risultare più chiaro che il difficile rapporto tra

ground e likeness esprime sostanzialmente il movimento interno alla Primità: potremmo

dire che il ground corrisponderebbe alla potenzialità originaria, alla pura inferenzialità, che

per esprimersi deve produrre le sue forme possibili, che sono le likeness, che non sono pezzi

di ground ma le infinite forme del ground. Le likeness sono monadi del ground, e allora in

questo senso la likeness è innanzitutto relazione interna ed essa è caratterizzata dal fatto che

la relazione che esprime “è mero concorso (concurrence) dei relati in un unico carattere”.

Sebbene soltanto sul piano strettamente logico, è chiaro a Peirce, già nel 1867, che nella

sua dimensione originaria la qualità è possibilità, è ipotesi, e non è la proprietà di

un‟individualità. La likeness è espressione dell‟infinita relazionalità del ground e in questo

senso il suo referente non è il singolo dato, il suo referente è interno, nel senso che il suo

compito è quello di esibire non un simile dell‟oggetto, ma un simile di quella potenzialità

originaria nel quale l‟esistente potrà riconoscersi. Insomma la likeness segna una possibile

relazione di quella infinità di relazioni costitutiva del ground, in cui è possibile pensare

caratteri attribuibili a possibili oggetti. Ma tutto questo avviene ancora nell‟ambito di

giudizi esistenziali, in cui non è in gioco ciò che esiste effettivamente nella realtà, ma ciò

che potrebbe essere e quindi in questo senso è riscontrabile una fortissima coerenza tra il

giovane Peirce e quello della maturità, perché sia in On a New list of Categories che in sede

di elaborazione fenomenologica delle categorie il rapporto qualità e dato esistente è

assolutamente fuori contesto. Sin dal 1867 Peirce ha compreso che la qualità non è

intelligibile se la si pone dalla parte del pensiero o dalla parte dell‟oggetto, essa piuttosto ha

a che fare con l‟enigma dell‟origine, cioè con la possibile comprensione dell‟unità nella

molteplicità e della molteplicità nell‟unità. Ma questa comprensione ancora non può

esplicarsi adeguatamente perché convive ancora con l‟impianto kantiano, in cui certamente

non si può parlare di statuto ontologico della possibilità, e quindi per quanto, come abbiamo

analizzato, Peirce si sia già adoperato per demolire il pregiudizio corrispondentistico, egli

non ha ancora maturato il grande salto coraggioso, consistente nel conferire valenza

ontologica alla Possibilità.

Ora se gli scritti in cui si elaborano le categorie fenomenologiche risultano esplicativi del

modo in cui Peirce già ai suoi esordi parlava di qualità, poiché le frequenti occorrenze dei

termini image, likeness sono più chiaramente lette in chiave ontologica, in questi stessi

scritti si condensa l‟assimilazione di tutta la forza speculativa della concezione matematica,

che costituisce la miniera ricchissima a cui attinge la fenomenologia di Peirce. Non è un

caso che in alcuni scritti di matematica si ritrovino riflessioni che hanno a che fare con ogni

campo dello scibile umano a testimonianza della capacità da parte del ragionamento

matematico di spendersi come modello possibile per ogni forma del sapere, e in particolare

i termini, ora citati, che in diverso modo esprimono la somiglianza come modalità di

conoscenza, ricorrono, come abbiamo avuto modo di constatare, frequentemente e svolgono

un ruolo fondamentale nel ragionamento matematico con la produzione di idee nuove e

l‟esibizione di percorsi assolutamente inediti. Qui ciò che interessa sottolineare è che

termini come likeness e image, che trovano una loro sintesi adeguata nel concetto di icona,

213

CP 1.424.

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non risultano comprensibili se li si analizzano indipendentemente dalle feconde intersezioni

tra logica, matematica, faneroscopia e semiotica.

In diversi passaggi dei suoi testi fondamentali di logica matematica o di logica grafica tra la

fine degli anni novanta e gli inizi del novecento Peirce ribadisce la centralità del momento

iconico all‟interno del ragionamento e soprattutto la sua equivalenza con i diagrammi di tipo

logico-matematico, ponendo in evidenza l‟intenzione mai abbandonata di trovare un nesso

profondo tra le varie forme del sapere, e soprattutto l‟idea che il pensiero, affinché diventi

creativo, deve compiere un atto sintetico che consiste nella introduzione di un‟idea non

contenuta negli elementi disponibili, grazie alla quale scoprirà relazioni inedite.

L‟icona rivendica una trasversalità che permette la confluenza di tutti i vari plessi

dell‟architettonica peirceana, nel mostrarsi congeniale alla produzione di un atto sintetico,

che per Peirce consiste nel supportare il processo conoscitivo con immagini, che siano

rivelative di nessi altrimenti inaccessibili e senza i quali sarebbe impossibile comprendere il

reale. In questo modo l‟icona rivela anche la sua forza veritativa perché l‟immagine

introdotta pretende di valere per il reale, e non si pone come un semplice arbitrio214

.

A partire dai rapporti tra icona, abduzione, diagramma matematico, e Firstness si è cercato

di mostrare l‟icona come spazio di intersezione tra i percorsi fondamentali del pensiero

peirceano, e come piano in cui le idee nuove fanno la loro comparsa per giocare la sfida più

difficile, quella di esibire le figure del reale. L‟icona, indipendentemente dalla forma di

sapere in cui opera, sperimenta mondi possibili che possono diventare le tracce attraverso le

quali accedere al reale.

5) L’icona e il progetto semiotico

La semiotica degli scritti della maturità risulta così ben assestata su basi pragmatiche e

fenomenologiche. Se il pragmatismo essenzialmente si pone come logica dell‟abduzione,

grazie alla quale è possibile pervenire alla deduzione di leggi in grado di spiegare la natura,

è provato sul piano induttivo, come dice Peirce nella lettera a Calderoni, che anche la natura

abbia una sua dinamica evolutiva, in cui convenendo con il pensiero esplica possibilità, le

quali, incarnandosi in occorrenze e in leggi effettivamente operanti, delineano un cosmo in

fieri, caratterizzato da un continuum autotrasformantesi.

In questi termini la ricerca fenomenologica ancora la possibilità al reale: il phaneron

esprime l‟idea che il punto di partenza non è il dato da esperire ma l‟esperibile, il possibile.

La datità dell‟esperienza può essere compresa se pensiero e reale condividendo il possibile

si incontrano e si aprono alle sorprese dell‟esperienza che non possono essere integrate e nel

pensiero e nella natura, se non grazie a questa apertura originaria della Possibilità che

accomuna pensiero e realtà. È necessario non arrivare a cose fatte cioè bisogna decostruire

la coscienza ed evitare di presupporre bell‟è pronto il dato per dar conto del nesso tra le due

dimensioni, per comprendere come esse scaturiscano da un unico ceppo. La fenomenologia

ci insegna che bisogna mettersi dalla parte della Possibilità originaria che è puro

movimento, produttività continua.

Ora la struttura del segno è proprio la declinazione degli elementi riscontrabili nel phaneron

ovvero le tre categorie di Primità, Secondità e Terzità.

214

Evidentemente l‟icona perché possa accertare la veridicità della sua idea deve essere mediata dall‟indice e dal

simbolo. Cfr. CP. 3.419; 4.479.

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I segni in se stessi, i segni considerati in connessione con i loro oggetti, e i segni in relazione

ai loro interpretanti esprimono rispettivamente i loro rapporti con le categorie. I segni,

infatti, hanno lo scopo di far comprendere come nel mondo, non ideale proprio della

matematica o quello propriamente scientifico delle scienze idioscopiche, ma quello reale,

quotidiano sia possibile rintracciare leggi, unità, a partire non già dai dati ma da quello che

può configurarsi come possibile in modo tale da giustificare, da asserire le pure possibilità

che si incarnano nelle occorrenze del mondo esperibile, quotidiano, condiviso da tutti. E

allora i segni considerati in se stessi come le icone, proprio per la loro capacità di concepire

i possibili oggetti in virtù di qualità intrinseche ad esse, esprimono una potenzialità che è

quella che caratterizza la Primità (possibilità). L‟indice è assimilabile alla Secondità

(esistenza), poiché qualificandosi come segno per la connessione fisica che istituisce con

l‟oggetto esprime un esistente. Il simbolo come espressione di una regola declina la terzità

che rappresenta la legge (necessità).

Tale impianto fenomenologico della semiotica è in linea con l‟architettonica di Peirce che

colloca la semiotica all‟interno della classificazione delle scienze come scienza normativa,

che come l‟etica e l‟estetica, è fondata dalla fenomenologia. E in virtù di questa fondazione

si giustifica il nesso profondo tra la semiotica e il pragmatismo, e l‟affinità con il metodo

astrattivo della matematica in cui l‟osservazione, l‟ipostatizzazione e la deduzione di leggi

sembrano trovare il loro luogo ideale. E inoltre tale base fenomenologica spiega anche

meglio l‟identificazione della logica con la semiotica, poiché la logica nella struttura

fenomenologica ritrova i propri fini e nella semiotica, avvalendosi di icone e indici, può

esercitare la sua pratica in un mondo, non più confinato a quello della logica formale,

dominato dall‟egemonia dei simboli, ma coincidente con quello dell‟esperienza reale.

La definizione di semiotica offerta da Peirce infatti si rivela chiarificatrice: “Logica, nel suo senso generale, è come credo di aver dimostrato, solo un altro nome per semiotica:

la quasi necessaria, o formale, dottrina dei segni. Descrivendo la dottrina come quasi –necessaria, o

formale, intendo che osserviamo i caratteri di tali segni quali li conosciamo, e da tale osservazione,

attraverso un processo che non esito a chiamare Astrazione, siamo portati a giudicare

eminentemente fallibili, e quindi in un certo senso niente affatto necessari, su quelli che devono

essere i caratteri di tutti i segni usati da una intelligenza scientifica, cioè da una intelligenza capace

di apprendere attraverso l‟esperienza. Quanto a quel processo di astrazione, è esso stesso una specie

di osservazione [...] Costruisce nella sua immaginazione un diagramma, o schema sommario

rappresentativo, di se stesso; considera quali modificazioni lo stato ipotetico delle cose

richiederebbe che venissero fatte in questo quadro, e poi lo esamina […] Attraverso tale processo di

astrazione, che è in fondo assai simile al ragionamento matematico, possiamo raggiungere

conclusioni su cosa sarebbe vero dei segni in tutti i casi, nella misura in cui l‟intelligenza che li usa

fosse scientifica“215

.

Ora sebbene la semiotica non disponga di un mondo puramente ideale in cui elaborare

deduzioni assolutamente necessarie, perché il suo mondo è reale, la sua grammatica segnica

darà vita, insieme all‟impianto fenomenologico, all‟ambizioso progetto di scrittura iconica,

che unendo sapientemente l‟inesauribile originalità dell‟ipotesi e il rigore proprio della

deduzione, abilita i diagrammi a qualificarsi come fondativi e non semplicemente come

specchio rigido della realtà, e pone le condizioni perché il suo gesto grafico possa far valere

le sue risorse abduttive e la sua potenziale plasticità. La teoria dei grafi esistenziali sarà

oggetto di riflessione nel discorso che si svilupperà più avanti, intanto è importante

sottolineare come il progetto semiotico, con la sua impalcatura fenomenologica, e con un

215

Peirce, Opere, cit., p.147.

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metodo che sostanzialmente richiama quello matematico, estende progressivamente i suoi

confini, rivelando a pieno titolo valenze ontologiche.

La semiotica di Peirce sicuramente rimane il tratto più appariscente della speculazione

peirceana, nel senso che è come se concentrasse all‟interno del corpo e dell‟anima del segno

il frutto più fecondo della riflessione fenomenologica, matematica, logica, pragmatica, che

consiste nel ritenere imprescindibile l‟introduzione di un‟idea per conoscere qualcosa di

nuovo, sia esso relativo ad un mondo ideale, sia in riferimento al mondo dell‟esperienza. E

tale idea, se si rivelerà efficace, non sarà soltanto valida ma anche vera per il reale. “Il segno deve agire sulla mente dell‟interprete in modo tale che quest‟ultimo sia colpito

sostanzialmente come se fosse colpito dall‟oggetto stesso (infatti, se un segno è ingannatore non è

segno del suo oggetto (infatti, se un segno è ingannatore non è segno del suo oggetto), benché

l‟interprete percepisca che è il segno e non l‟oggetto stesso che lo colpisce in modo diretto”216

.

Il segno, infatti non è una realtà statica, è quel corpo in cui possiamo leggere lo

svolgimento del pensiero e al tempo stesso del reale, poiché esso serve ad introdurre nuove

idee da cui emergeranno sempre nuove forme del reale. In questi termini il segno è pieno,

potremmo dire, perché il suo compito non è quello di rispecchiare la realtà bensì quello di

far transitare su di esso il reale per conferirgli una forma possibile. Insomma Peirce è come

se volesse dire che il segno non arriva dopo che il reale si è conquistato la sua forma, il

segno al contrario è già da sempre presente insieme al reale, nel senso che è partecipe

intrinsecamente al suo processo di identificazione: senza segno non è possibile dar conto

dell‟evoluzione del pensiero, così come pure senza segno il reale rimane muto.

Alla luce della tematizzazione della primità, può risultare utile ritornare alla nozione di

representamen per mettere in evidenza che il punto nevralgico della questione segnica sta

proprio nel primo livello segnico, perché esso, privo di indicalità e simbolicità prende su di

se il carico di dar vita al processo di significazione, ha il difficile compito di aprire il campo

semantico non soltanto per dedurre le condizioni di possibilità degli oggetti, ma anche per

dedurre i possibili oggetti. In questo senso non si presuppone l‟oggetto nell‟illusione di

riprodurlo, al contrario lo si immagina per potere istituire un rapporto con esso sia pure

ancora all‟interno di una dimensione possibile.

Non è un caso che proprio riguardo il concetto di representamen Peirce si esprima così: “Precisamente mentre nessun Representamen opera effettivamente come tale finché non determina

effettivamente un Interpretante, tuttavia un Representamen è reso tale dal pieno possesso della

capacità di determinarlo. Quindi la sua Qualità Rappresentativa non dipende necessariamente dal

fatto che esso determini ogni volta effettivamente un interpretante, e neppure dal fatto che esso

abbia effettivamente un oggetto”217

.

Il segno anticipa e la dimensione dell‟interpretante e la dimensione dell‟oggetto nello stadio

in cui esprime la qualità: tale struttura è la medesima nelle tre tricotomie delineate negli

scritti della semiotica matura. Nel caso della prima tricotomia, il segno è considerato in base

al suo carattere ovvero come Qualisegno, Sinsegno, Legisegno, sicuramente il segno si attua

nel secondo e nel terzo livello, perché nel secondo livello, ad esempio, una sillaba, afferma

Peirce, può essere intesa come una cosa esistente, e nel legisegno viene riconosciuta come

l‟occorrenza, la replica di un tipo generale, di un segno convenzionale. Ma sebbene il segno

si realizzi nel secondo e nel terzo stadio, l‟occorrenza e la convenzionalità del terzo stadio

implicano le qualità del segno, poiché esse costituiscono la ratio essendi del segno. Sono le

qualità intrinseche del segno a rendere possibile la relazione semiotica. Se il segno riesce a

216

Peirce, Saggi sul Significato (1909), a cura di Giovanni Maddalena, Utet, Torino, 2005, p.672. 217

Peirce, Syllabus (1902), cit., p. 164.

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mediare tra oggetto e interpretante, ciò è possibile perché sintetizza, offrendo un‟idea di

unità dell‟oggetto cui rinvia, e così facendo determina un interpretante. Così come nella

Primità si presenta un‟unita non ancora esplicata, inanalizzata, una potenzialità originaria,

che è possibile comprendere soltanto nella Terzità, allo stesso modo nel qualisegno si

anticipa la dimensione dell‟esistente e dell‟interpretante mostrando una possibile qualità. Il

qualisegno, infatti, secondo Peirce, partecipa della natura di un‟apparenza e non ha

un„identità, ed è per questo motivo che diventa impossibile fornire esempi di qualisegno,

perché esso non ha i vincoli dell‟esistente e nemmeno quelli della legge, che, pur non

essendo un individuale dispone di una “identità definita”.

Nella seconda tricotomia, icona, indice e simbolo, quella ritenuta dallo stesso Peirce “la più

fondamentale suddivisione dei segni”, in cui il segno viene considerato in rapporto

all‟oggetto, emerge in modo più evidente l‟operato dell‟icona.

Qui si sottolinea l‟assoluta indipendenza dell‟icona rispetto alla dimensione esistente del

referente, dal momento che l‟icona si rapporta all‟ oggetto in virtù della sua intrinsecità.

Vero è che sarà necessario un indice e un simbolo rispettivamente per mostrare l‟icona, però

quello su cui insiste Peirce è che la qualità espressa dall‟icona risulta assolutamente

indipendente e dall‟oggetto esistente e dall‟interpretante, e così ritorniamo alle

considerazioni svolte precedentemente, quelle in cui si metteva in evidenza che la questione

dell‟icona assume caratteri radicali perché, la qualità non sta né dalla parte

dell‟interpretante, né dalla parte dell‟oggetto, perché esprime il gesto originario del segno,

che consiste nell‟introdurre un‟idea grazie alla quale si può immaginare un possibile

oggetto. L‟icona si fa mediatrice di un‟idea, nella misura in cui quest‟ultima si identifica

con una possibilità o Primità. Chiaramente non è disponibile l‟icona intesa come primità,

bensì riscontrabili nell‟esperienza sono le ipoicone che Peirce distingue in immagini,

diagrammi e metafore: un dipinto o un‟espressione algebrica possono essere considerati

esempi di ipoicone. Ma le ipoicone non devono essere assolutizzate nel senso che esse non

sono da intendersi in modo statico ovvero come mere riproduzioni di enti altrettanto stabili,

esse certamente costituiscono l‟unico modo per poter disporre dell‟icona, e allora dobbiamo

valutare queste ipoicone come aperture originarie di significato, infatti, secondo Peirce,

sebbene un‟espressione algebrica possa essere considerata un segno convenzionale, in

realtà non è valutabile in questi termini, perché lo specifico dell‟icona sta nella sua

intrinseca dinamicità, nel senso che la sua stessa oggettivazione diventa la base per la

scoperta di verità assolutamente inedite rispetto a quelle di cui si disponeva al momento in

cui è stata realizzata. Per capire l‟icona bisogna affrancarsi dal cosiddetto iconismo ingenuo,

un esempio può essere quello a cui ricorre lo stesso Peirce: “Le fotografie, specialmente le istantanee, sono molto istruttive, perché sappiamo che esse sono per

certi aspetti esattamente uguali agli oggetti che esse rappresentano. Ma questa rassomiglianza è

dovuta al fatto che le fotografie sono state prodotte in condizioni tali che esse erano fisicamente

costrette a corrispondere punto per punto all‟oggetto in natura. Sotto questo aspetto, dunque, esse

appartengono alla seconda classe dei segni: quelli per connessione fisica”218

.

La connessione fisica con l‟oggetto è propria dell‟indice, in cui non è possibile prendere atto

della presenza di un referente, il cui significato lo possiamo reperire se si attiva l‟icona, la

quale precede l‟oggetto nel senso che prepara le condizioni per il suo riconoscimento. Ma

questo che è il carattere fondamentalmente semiotico, come si è argomentato

precedentemente, è anche quello che ci viene offerto dal ragionamento matematico, il quale

218

Peirce, That Categorical and Hypothetical Propositions (1895), cit., p. 166.

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per arrivare alle sue deduzioni prende le mosse sempre da uno stato ideale, possibile di cose.

E quindi in questo senso ritorna sempre l‟equivalenza con la ragione matematica, la quale,

come si è mostrato precedentemente, fornisce un terreno assolutamente evidente

dell‟impossibilità di trattare l‟icona in relazione di corrispondenza con l‟oggetto, e

soprattutto della necessità dell‟uso delle icone per potere accedere alla scoperta di leggi, di

principi universali.

Ma questa equivalenza con la ragione matematica si esprime in modo altrettanto forte con la

ragione logica, la quale ci permette di capire come su questo stesso fronte verrà confermata

la fondamentalità dell‟icona.

Infatti in base alla terza tricotomia - rema, dicisegno (proposizione), argomento- che

considera il segno in riferimento al suo interpretante, si pone anche qui in evidenza il

carattere radicale dell‟icona nella sua versione rematica. Peirce afferma che l‟icona intesa

come possibilità logica non può che essere equiparata ad un segno di essenza ovvero un

rema, infatti Peirce definisce il rema come un segno che esprime i caratteri dell‟oggetto, il

dicisegno come un segno che si rapporta all‟oggetto quanto alla sua esistenza effettiva e

infine il simbolo come un segno che spiega, giustifica, asserisce quanto è stato assunto in

merito all‟oggetto. Peirce afferma che sia icone che indici non hanno la facoltà di asserire,

semmai un‟icona può essere equiparata ad un enunciato ipotetico, ad un‟assunzione,

giammai ad un‟asserzione. Ma il punto importante è che l‟asserzione diventa, secondo

l‟andamento triadico che caratterizza l‟impianto peirceano, uno sviluppo a partire

dall‟assunzione, e quindi anche sul piano strettamente logico si prova la radicalità del segno

iconico-rematico. Infatti nella proposizione il predicato assume una funzione centrale,

poiché l‟icona esprime una relazione che si dà nella forma del predicato, e il soggetto

servirà a determinare il verbo219

, nella misura in cui si identificherà con l‟indice, che come

sappiamo mette in connessione il segno con l‟oggetto, e il simbolo servirà ad asserire la

relazione tra soggetto e predicato, istituendo un codice. Allo stesso modo nella triade interna

all‟argomento- abduzione, deduzione e induzione- il momento iconico-abduttivo si rivelerà

imprescindibile, poiché è dalle assunzioni elaborate in questo stadio che la deduzione

giungerà alla dimostrazione della sua tesi. Infatti in un passo riguardante l‟analisi della

tricotomia dell‟argomento Peirce afferma: “Una deduzione Teorematica, dopo aver

rappresentato le condizioni della conclusione in uno schema o diagramma, compie un

operazione ingegnosa su di esso, e dall‟osservazione del diagramma così modificato accerta

la verità della conclusione”220

.

219

Utile anche questa definizione di rema ai fini della trattazione dei grafi esistenziali: “Supponiamo che alcune parti di

una proposizione vengano cancellate in modo da lasciare spazi vuoti al loro posto, e che questi spazi vuoti siano di tale

natura che se ciascuno di essi viene colmato con un nome proprio il risultato sarà una proposizione; allora la forma

vuota di proposizione che prima era stata prodotta dalle cancellature è detta rema”. Peirce, Nomenclature and Divisions

of Triadic Relations (1903), cit., p. 163. 220

Ivi, p. 161. Qui si avverte l‟assimilazione della lezione logico-matematica all‟interno dei plessi che formano

l‟edificio semiotico. La deduzione perde il suo carattere convenzionale perché già in ambito logico- matematico si

configura come sviluppo consequenziale di un‟assunzione, e quindi essa nella nomenclatura semiotica corrisponderà al

momento indicale, e non più al simbolo, al quale corrisponderà l‟induzione, che diventa verifica sperimentale delle

conclusioni elaborate dalla deduzione. Ciò implicherà un processo di generalizzazione che non sarà disciplinato dalla

necessità, ma in un certo senso sarà condizionato da un certo tasso di arbitrarietà e quindi di convenzionalità. In questo

senso l‟induzione è associata al simbolo. Questa corrispondenza induzione –simbolo, la si comprende nel momento in

cui l‟induzione si è realizzata, ma se si coglie l‟induzione nel suo farsi, essa non risulterà convenzionale, poiché in quel

momento l‟ induzione è alla ricerca dei fatti, in virtù dei quali potrà operare quel processo di generalizzazione,

funzionale all‟istituzione della regola. Da ciò si evince come i plessi dell‟impianto semiotico non sono statici ma

assecondano la plasticità del segno e assimilano gli esiti originali che la riflessione del pensatore americano via via

integra lungo il suo tormentato e soltanto apparentemente cammino dispersivo.

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Ancora una volta il primato iconico, anche in questa triade viene confermato, poiché è la

costruzione dell‟icona che consentirà di introdurre nuove idee e di istituire nuove

connessioni in base alla contemplazione della sua stessa costruzione.

Alla luce dell‟analisi effettuata dalle tre tricotomie, si comprende meglio il passo ( 2.275) in

cui Peirce pone in evidenza il ruolo svolto dalla qualità rappresentativa e la sua

indipendenza rispetto all‟oggetto e all‟interpretante. E si comprende forse anche meglio

perché Peirce torni a parlare di ground: “Un segno, o representamen, è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto o

capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un segno equivalente, o

forse un segno più sviluppato. Questo segno che esso crea lo chiamo interpretante del primo segno.

Il segno sta per qualcosa: il suo oggetto. Sta per quell‟oggetto non sotto tutti i rispetti, ma in

riferimento ad una sorta di idea che io ho talvolta chiamato la base (ground) del representamen”221

.

Il ground è ciò che tiene insieme i due lembi, quello del pensiero-segno e quello del reale.

Se provo a pensare il ground lo trovo già vincolato al segno, se penso al modo in cui nasce

il segno, il ground è l‟unica condizione possibile.

Forse la collocazione del ground all‟interno della semiotica matura può risultare più chiara

se si tiene presente l‟impalcatura fenomenologia, e in particolare, la Primità. Essa, in quanto

potenzialità originaria, è indipendente da qualsiasi cosa, essa precede qualsiasi forma di

dualismo, in questo senso essa supporta il ground perché garantisce la base ontologica del

generale come possibilità. Il ground è condizione del processo segnico, poiché assolve alla

funzione di offrire i possibili significati che saranno veicolati dalla catena segnica, e questi

ultimi si potranno esplicare in un tempo indefinito, esso, qualificandosi come un rispetto, è

un generale ed è come se volesse garantire il realismo, al quale Peirce sembra approdato in

modo sicuro. Il ground, posto come condizione del processo segnico, intende dar prova

della profondità della lezione pragmatica, poiché se è vero che i generali sono operanti nella

realtà, ed è tramite la loro azione che il processo segnico cresce ed evolve sempre in

direzione di nuovi abiti, di nuove regole che incanaleranno il flusso del reale, il ground è un

generale originario, poiché la sua effettualità si esplica nell‟innesco della catena segnica. Il

ground, oltre a costituire la riserva inesauribile a cui attinge la relazione segnica, e a

mostrare così l‟intima dinamicità del representamen, che non si configura come una realtà

statica, poiché il suo corpo iconico serve da base per estrinsecare i significati in esso

contenuto, esso rappresenterebbe ogni garanzia contro riduzioni solipsistiche dell‟ordinamento

segnico, poiché starebbe ad attestare che il segno nel suo sviluppo ha il compito di tirar

fuori tutta la potenzialità originaria per approssimarsi all‟oggetto totale, che esiste

indipendentemente dal rappresentazionismo segnico.

L‟indipendenza del reale non soltanto evita di far cadere il segno nel relativismo ma

giustifica la radice non meramente convenzionale del segno.

Il segno diventa un corpo fenomenologico e attraverso la sua crescita si delinea una

fisionomia che affonda le sue radici nel mondo della potenzialità originaria del ground. In

questo senso l‟idea nuova introdotta che accomuna il procedimento di conoscenza dello

scienziato e dell‟artista non è arbitraria perché deriva la sua legittimità, per quanto ancora in

attesa di verifica, da una dimensione di alterità rispetto alla grammatica segnica. E quindi

obbedendo ai criteri metodologici del pragmatismo la catena segnica prenderebbe il suo

avvio in virtù di un‟azione, che sebbene indiretta, viene esercitata dal ground. In questi

termini il ground attesterebbe l‟idea che tutta la costruzione segnica mette capo di fatto a

221

Peirce, Opere, cit., pp. 147-148.

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qualcosa che è indipendente da essa. Ma questo non inficia la forza della catena segnica,

anzi la consolida, poiché, ad eccezione del simbolo, agli altri livelli dei segni non viene

affidato il compito di significare in modo convenzionale la realtà, al contrario ai segni viene

chiesto, avvalendosi della loro impalcatura, di far emergere quelle determinazioni

dell‟oggetto totale, che altrimenti non sarebbero intelligibili. E quindi, come si è

argomentato nelle pagine precedenti, il ground si qualificherebbe come la condizione

trascendentale della struttura fenomenologica del segno. Essa sta a significare il movimento

originario a cui attinge l‟incessante processo segnico, il ground è pura relazione e allude

all‟oggetto totale, che vive comunque delle relazioni esplicate dal segno, sebbene

quest‟ultimo le rinnova, le arricchisce sempre, con il fine di far convenire pensiero e reale.

Già negli scritti sulla massima pragmatica Peirce in qualche modo anticipa ciò che dirà

relativamente all‟oggetto totale o dinamico, come lo definisce Peirce negli scritti della

semiotica matura, poiché afferma con decisione la permanenza della realtà esterna,

sostenendo che, al di là delle diverse apprensioni soggettive, esistono cose reali indipendenti

dalle condizioni umane. E se la ricerca sulle cose reali sarà approfondita, a lungo termine il

pensiero convergerà con la nozione di realtà. Infatti se nel saggio Il Fissarsi della credenza

si ribadisce l‟indipendenza della realtà, nel saggio Come rendere chiare le nostre idee

Peirce enuncerà la celeberrima formulazione della verità come opinione finale nella quale si

riconoscerà la comunità scientifica, in virtù della quale pensiero e reale troveranno il loro

accordo.

L‟elaborazione in sede fenomenologica contribuisce a rinsaldare l‟idea di una permanenza

esterna della realtà, così come è stato argomentato precedentemente, ma al tempo stesso

permette di comprendere l‟interrelazione tra le categorie. Nella conoscenza del reale questo

si verifica quando l‟esperienza ci sorprende e mette in discussione tutte le nostre aspettative,

poiché qualche fenomeno non si conforma agli abiti precostituiti. E allora tramite la

secondità il pensiero è indotto a congetturare per integrare i nuovi dati fenomenici in insiemi

coerenti e fallibili. Ora ciò che è importante sottolineare è che la realtà esterna “si dice in

molti modi”, in che senso? Se Peirce si limitasse a sostenere che il reale è esterno a noi, non

si coglierebbe l‟intrinseca dinamicità e soprattutto l‟incessante trasformazione della realtà

esterna. Essa non esiste come dato statico, e allora non possiamo pensarla slegata dalle altre

due categorie, le quali, rappresentando rispettivamente i reali possibili e i reali generali,

concorrono a potenziare tutte le modalità dl reale, sebbene non possano esercitare alcuna

effettualità diretta sul pensiero –segno, così come può fare la secondità vera e propria.

Infatti nella relazione segnica si attua un‟effettualità non efficiente ma di tipo finale che è

determinata dall‟oggetto dinamico. Lungi dal considerare l‟oggetto dinamico come una

realtà noumenica, che finirebbe da un lato per ipostatizzare l‟idea di un primum coglibile

immediatamente dal pensiero, dall‟altro per mettere in discussione i tasselli con i quali

Peirce edifica il suo impianto gnoseologico- la demolizione del concetto di intuizione,

l‟impossibilità di pensare senza segni e l‟inconcepibilità dell‟inconoscibile- è da identificare

l‟oggetto dinamico con il referente del segno, ma di cui è possibile dar conto soltanto

quando già la relazione segnica è stata innescata.

Alcune definizioni dell‟oggetto dinamico, a mio avviso, lasciano intendere come la

questione del referente sia essenziale per capire lo spessore fondazionale della semiotica

peirceana, a patto che il referente lo si intenda non come l‟oggetto che si dovrebbe svelare

oltre la catena segnica, ma come quell‟oggetto esplicabile, se pur in modo indefinito,

attraverso la catena segnica. Infatti la distinzione posta tra oggetto immediato e oggetto

dinamico potrebbe essere letta come espressione di una interdipendenza tra segno e oggetto

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e dei limiti delle rispettive aree: se da una parte il segno non può pretendere di trasferire

completamente l‟oggetto in sé nella sua dimensione, dall‟altra l‟oggetto dinamico deve

accettare la dipendenza dal segno, perché ne vale della possibilità della sua conoscibilità.

Quando si interroga nella lettera a Lady Welby in merito all‟oggetto del segno, Peirce pone

una differenza tra oggetto immediato e dinamico: “As to the Object, that may mean the Object as cognized in the Sign and therefore an Idea, or it may

be the Object as it is regardless of any particolar aspect of it, the Object in such relations as

unlimited and final study would show it to be. The former I call the Immediate Object, the Latter the

Dynamical Object”222

.

L‟oggetto dinamico infatti, secondo Peirce, coincide con l‟oggetto di ricerca della scienza, è

l‟oggetto che infinitamente necessita di essere indagato per svelare di esso tutte le infinite

implicazioni.

Quindi l‟oggetto dinamico è una realtà che si svolge in the long run e il suo dispiegamento

è imprescindibile sia per conoscere la sua inesauribile ricchezza sia per garantire basi solide

alla prospettiva realistica del pensatore americano. La sua esplicazione non può che attuarsi

attraverso determinazioni individuali, veicolate dai segni. E allora in questi termini

diventano fondamentali le seguenti definizioni: “But it is necessary to distinguish the

Immediate Object, or the Object as the Sign represent it, from the Dynamical Object, or

really efficient but not immediately present Object”223

. E ancora: “Namely, we have to distinguish the Immediate Object, which is the Object as the sign itself

represent it, and whose Being is thus dependent upon the Representation of it in the Sign, from the

Dynamical Object, which is the Reality which by some means contrives to determine the Sign to its

Representation”224

.

Queste due definizioni tratte da testi scritti rispettivamente nel 1904 e nel 1906 non saranno

smentite dai testi successivi, e, collocate l‟una in ambito strettamente semiotico e l‟altra in

sede logico-grafica, ci confermano l‟estensione del progetto semiotico. Esso con le sue

radici fenomenologiche si rende logico-grafico e metafisico, poiché l‟idea di un progetto

totale, il cui dispiegamento coincide, se pur in un processo indefinito con il pensiero segno,

si connota come metafisico. Qui metafisico non significa andare oltre le cose, ma rimanere

all‟interno di esse per cogliere quella relazione profonda fra loro che restituirà in fieri

l‟oggetto totale o, come lo denomina Peirce, l‟oggetto dinamico. Queste due definizioni, se

pur brevi hanno il pregio di sintetizzare le leve di comando principali dell‟ingranaggio

semiotico ovvero la processualità del segno e l‟eliminazione di ogni visione

corrispondentistica. Il segno non è determinato dall‟oggetto dinamico, nel senso che ad esso

deve corrispondere, il loro rapporto non è caratterizzato da uno schema di causalità

efficiente, il segno raccoglie le sollecitazioni da parte dell‟oggetto dinamico per ideare

significati, che lungo il processo cresceranno, al fine di delineare il reale, altrimenti

destinato a rimanere contratto e inesplicabile. L‟oggetto dinamico non dispone di causalità

efficiente, poiché non è un‟ occorrenza, non è un esistente, semmai determina il segno in

termini di causalità finale: orienta il segno a che sia in grado di dar vita a quelle relazioni in

esso implicate. Il segno prende le mosse dall‟oggetto dinamico, nel senso che è affidato al

segno il compito del suo svolgimento, e sebbene questa esplicazione non potrà realizzarsi in

modo compiuto, il segno rincorrerà sempre nuovi significati per dispiegare ulteriormente le

complesse relazioni disegnate dall‟orizzonte dell‟oggetto dinamico.

222

CP 8.183. 223

CP 8.343. 224

CP 4.536.

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E in questo senso concordo con C. R. Hausman, il quale conclude la sua acuta analisi

sull‟oggetto dinamico, affermando che postulare l‟oggetto dinamico si rivela, oltre che

un‟assunzione congeniale al senso comune e alla scienza, un‟ipotesi preziosa per

comprendere che “The occurrence of metaphors as instruments of language growth […]

they are not nonsense utterances that happen to succed in persuading language users to

change their ways. They are contributors – the sources of which are a dynamic

(hypothetical) extralinguistic world”225

.

In questa prospettiva la semiotica di Peirce non può essere considerata un sistema

autoreferenziale e convenzionale, non è un caso che Peirce in sede di riflessione

cosmologica e metafisica ribadisca che la natura conviene con il pensiero, poiché l‟universo

è pensato come un representamen.

In diversi scritti Peirce afferma ripetutamente che così come crescono i segni, cresce la

natura, poiché essa stessa è segno, è processo e rivela la tendenza ad assumere sempre nuovi

abiti. L‟esperienza, anche nella sua apparente staticità, quando essa si presenta come dato,

profondamente crea un‟occasione perché quel dato possa essere riorganizzato,

reinterpretato. Ma ciò non vale soltanto per il pensiero, poiché i generali elaborati dal

pensiero-segno incidono e diventano operanti anche all‟interno della natura, nel senso che

“[...] ideas are not all mere creations of this or that mind, but on the contrary have a power

of finding or creating their vehicles, and having found them, of conferring upon them the

ability to transform the face of the earth”226

.

Le idee non appartengono alle menti, semmai al pensiero che evolve e che crea le

condizioni perché i limiti delle definizioni vengono spostati, innovati, rivisti.

Ma se le definizioni e quindi i limiti fissati da esse possono essere innovati e con essi i

membri contenuti all‟interno di quelle classi, e allora in questo modo si coglie l‟intima

relazione tra gli enti esistenti e le possibilità incarnate in abiti consolidati dal rigore delle

leggi scoperte. In sostanza se cambiano le definizioni anche i loro membri vengono

riorganizzati, subiscono un profondo mutamento. E questo accade, secondo Peirce, nelle

scienze così come in ogni forma di sapere.

In The Seven Systems of Metaphsics Peirce insiste sul nesso tra dimensione segnica e natura

affermando che: “[...] the idea of a general involves the idea of possible variations which no

multitude of existent things could exhaust but would leave between any two not merely

many possibilities, but possibilities absolutely beyond all multitude”227

.

Evidentemente i principi generali sono realmente operanti in natura nella misura in cui si

prende in considerazione l‟esperienza così come si configurerà in futuro. Infatti il segno

nella sua piena realizzazione ovvero nel suo stadio simbolico sarà in grado di predire che

qualcosa sarà sicuramente esperito se si realizzeranno determinate condizioni. E in questi

termini i segni influenzeranno e diventeranno operanti nella natura e quest‟ultima, a sua

volta, asseconderà lo sviluppo delle leggi del pensiero-segno, assumendo essa stessa quelle

forme che progressivamente le vengono offerte dal pensiero. Le forme rese disponibili dal

segno diventano gli spazi nei quali il reale può esprimere la sua unità al di là delle sue

infinite variazioni, espresse dalla secondità.

Quindi se l‟accordo mente e realtà è da intendere come un‟evoluzione in cui esse non

sacrificano le loro rispettive identità, termini come natura e convenzione possono risolversi

in una dimensione unitaria, in cui il loro procedere sembra descrivere un movimento

225

C.R. Hausman, Charles S. Peirce‟s Evolutionary Philosophy, Cambridge University Press, 1993, p.225. 226

EP2:123. 227

EP 2:183.

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circolare. Tale circolarità ad esempio è riscontrabile nel simbolo, infatti quest‟ultimo nel suo

stadio definitivo, cioè quando si è consolidato come regola, si propone sicuramente come

dimensione convenzionale, ma se lo si considera nel suo processo di formazione, cioè

quando il simbolo, investito dalle sorprese continue dell‟esperienza, ricerca la strada per

elaborare nuove generalizzazioni, nuove spiegazioni, e provvede ad integrare i dati nuovi in

un nuovo insieme coerente, perde il suo carattere convenzionale per assumere quella

circolarità che è presente in generale nel segno e in modo particolare nel primo livello del

segno, che è quello a cui è rivolta l‟attenzione di questo lavoro.

Ritornando a concetti quali ground e icona, potremmo dire che il ground dalla prospettiva

del segno rappresenta quella condizione fondamentale in virtù della quale al segno è

consentito di scegliere le forme possibili, che imbrigliate nella relazione segnica potranno

crescere insieme al reale. Il ground, potremmo dire, è quel ricettacolo, chòra, da cui

possiamo trarre infinite forme, senza esaurirlo. Come dicono alcuni studiosi il ground è bor-

der-line, ma questa sua collocazione non è ambigua, piuttosto, è rappresentativa della

situazione del segno, nel senso che se esso si assume la responsabilità di dar notizia del

reale, il ground è il nesso tra ciò che chiede di essere annunciato e chi effettuerà l‟annuncio.

Quindi se da un lato l‟oggetto dinamico rappresenterebbe l‟invito a ricercare sempre nuove

e più appropriate relazioni per approssimarsi ad un oggetto totale, qualora si disponesse

della serie infinita di significati, dall‟altro il ground è il “ricettacolo” da cui si traggono le

possibilità con cui costituire la catena segnica. “La madre è il ricettacolo di ciò che si genera ed è visibile e interamente sensibile, non diciamolo né

terra né acqua né fuoco né aria, né altre delle cose che nascono da queste o dalle quali queste

nascono. Ma dicendole una specie invisibile e amorfa, capace di accogliere tutto, e che partecipa in

un modo assai complesso dell‟intelligibile e che è difficile da concepirsi, non ci inganneremo. E per

quanto, stando a ciò che si è detto, risulti possibile raggiungere la sua natura, nel modo più corretto

si potrebbe dire così: ogni volta par fuoco la parte infuocata di essa, acqua la parte liquida, e così

terra ed aria nella misura in cui riceve chora, analizzata nel Timeo imitazioni di queste cose”228

.

A tal proposito la nozione di di Platone ci fornisce la possibilità di cogliere un nesso

profondo tra questo mondo di forme possibili e l‟universo ipotetico della matematica, così

come viene concepito da Peirce. Infatti Platone parla dell‟uso da parte del demiurgo di

forme geometriche per generare dalla chora in cui si mescolano confusamente gli elementi,

il mondo dei corpi. “Ma quando Dio intraprese a ordinare l‟universo, il fuoco in primo luogo e la terra e l‟aria e

l‟acqua, avevano bensì qualche traccia di sé, ma si trovavano in quella condizione in cui è naturale

si trovi ogni cosa, quando il Dio è assente Queste cose, dunque, che allora si trovavano in questo

stato Egli in primo luogo le modellò con forme e con numeri. In primo luogo, che fuoco, terra,

acqua e aria siano corpi, è noto indubbiamente a chiunque. Ma ogni genere di corpo ha anche

profondità. E la profondità, poi, è necessario che comprenda la natura della superficie. Ma la

superficie piana e retta è costituita di triangoli. E tutti i triangoli derivano da due triangoli, aventi

ciascuno un angolo retto e due acuti. Di questi triangoli, poi, alcuni hanno da ciascuna parte una

parte uguale di angolo retto delimitata da lati uguali; altri, invece, hanno parti disuguali divise da

lati disuguali”229

.

Le parole di Platone ci aiutano a comprendere in che senso può costituire la Matematica un

universo possibile attraverso il quale è attingibile il reale.

L‟icona è il livello primario del segno, perché, ripiegata sul suo grembo nel quale custodisce

la riserva relazionale del ground, con un atto di immaginazione ipotizza il possibile oggetto.

228

Platone, Timeo, a cura di G.Reale, Bompiani, 2003, Milano, pp.147-149. 229

Ivi, p.155.

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Ma questa ipotesi è tratta dalla chòra dalla quale provengono le forme segniche che hanno il

compito di delineare il reale.

I segni traggono la loro forza non dalla convenzione, ma dalla natura stessa, la convenzione

è un modo per darle forma.

Leggiamo Peirce: “se il segno è un „icona, uno scolastico potrebbe dire che le “species”

dell‟oggetto che sono state emanate da esso trovano la propria materia nell‟icona”230

.

In questi termini non si può applicare l‟iconismo ingenuo secondo il quale un ritratto di un

uomo sarebbe simile alla sua figura reale.

Qui l‟impostazione è rovesciata poiché non esiste un referente a cui l‟ icona dovrebbe

assomigliare, al contrario l‟ icona costituisce quello spazio in cui si sperimenta un possibile

oggetto, essa infatti non trasmette informazioni sul referente, poiché esso non è ancora, esso

si realizzerà nella dimensione indicale, è lì che acquisterà la sua effettività. L‟ icona rende

soltanto possibile l‟ oggetto, in questo senso diverrebbe fondativa del reale ed esprimerebbe

un rapporto circolare tra natura e convenzione.

L‟icona costituisce quello spazio sperimentale in cui vengono immaginate, ipotizzate alcune

modalità dell‟ oggetto, già da sempre semiotizzato, e una volta rese osservabili, queste

ultime possono costituire la base per ricercare nuovi aspetti, ancora inediti. L‟icona, non

ancora indicalità, come Possibilità originaria, si propone non come tratto definito, ma come

tratto infinitamente determinabile. L‟icona mette in atto una costruzione che permetterà di

scoprire relazioni inedite, poiché, dopo avere esibito tratti osservabili, su questi ultimi è

possibile ragionare, ipotizzare e apportare un significativo incremento conoscitivo. È qui

che si consuma lo scambio tra natura e convenzione: da un lato la costruzione assolve alla

funzione di offrire tratti di riconoscibilità al reale e in questo senso ne rappresenta la base

formale, dall‟ altro la costruzione stessa renderà possibile la scoperta di nuovi aspetti che

esprimeranno ciò che è proprio del reale, la sua propria natura. La costruzione è come se

diventasse il luogo in cui la realtà riesce a manifestare se stessa. In questo senso l‟ icona,

grazie alla sua osservabilità e sperimentabilità, costituirebbe l‟incontro di natura e

convenzione, poiché la costruzione stessa rivela che la sua base è naturale, la quale sarebbe

rimasta inattingibile, senza il movimento dell‟ icona e sull‟ icona. L‟icona così costituisce

l‟oggetto, a cui non sembra riservato altro luogo in cui rendere possibile la sua identità. Tale

operazione non si consuma su un piano meramente convenzionale, poiché elementi non

elaborati al momento della costruzione, vengono fuori dopo. Pertanto la costruzione non è

interamente controllata dalla convenzione, poiché l‟icona una volta divenuta osservabile

produrrà altre conoscenze. L‟icona contribuisce a gettare un ponte sull‟oggetto, perché

quest‟ ultimo possa essere delineato, integrandolo all‟interno della grammatica segnica. In

questo atto l‟icona è sintetica e produce elementi nuovi di conoscenza.

230

Peirce, Saggi sul Significato, a cura di G. Maddalena, in Scritti scelti, UTET, Torino, 2008, p. 671.

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QUARTO CAPITOLO

I grafi esistenziali tra natura e convenzione

1) La scrittura grafica

La logica grafica così come si configura nei Prolegomena to an Apology for Pragmaticism

(1906), il testo in cui viene illustrato il sistema grafico nella sua versione definitiva,

costituisce un compendio straordinario della riflessione del pensatore americano, poiché

l‟impostazione teorica e il funzionamento dei grafi lasciano emergere non soltanto una profonda

assimilazione delle diverse competenze del filosofo ma anche la sua capacità di utilizzarle

sinotticamente. In realtà gli intrecci tra logica, semiotica, pragmatismo, faneroscopia,

matematica attraversano e connotano in modo specifico tutta la speculazione peirceana. E

infatti la tesi di questo lavoro che vede l‟icona come uno spazio di intersezione tra i diversi

universi del pensiero peirceano e come una dimensione con spiccate valenze ontologiche, a

mio avviso, viene irrobustita dal modo in cui si strutturano i grafi. Essi costituiscono un

consolidamento di tutti i perni fondamentali dell‟ „architettonica‟ peirceana, che finiranno per

inverare i tasselli più originali della riflessione peirceana e per legarla al dibattito

attualissimo tra logica e metafisica, rispetto al quale essa costituisce una risorsa non ancora

adeguatamente valorizzata.

Sicuramente le prime considerazioni, volte a chiarire l‟obiettivo dei Prolegomena to an

Apology for Pragmaticsm introducono una delle acquisizioni basilari del lungo lavoro di

riflessione del filosofo americano ovvero la diagrammatizzazione del ragionamento, senza la

quale non si può correttamente inquadrare il discorso sui grafi.

Nel testo, ora preso in esame, Peirce si prefigge l‟ obiettivo di iconizzare il pensiero, in modo

tale da esibire tutti i passaggi inferenziali effettuati, realizzando un‟eventuale ricostruzione e,

al tempo stesso, una semplificazione dei nessi argomentativi eccessivamente complicati.

Nell‟analisi svolta nelle pagine precedenti si è posto l‟accento sul modo in cui viene inteso il

ragionamento deduttivo, e soprattutto sulla necessità di avvalersi di un diagramma, di un

corpo visivo su cui osservare le relazioni, indispensabili alla dimostrazione delle tesi assunte.

Per iniziare a ragionare è necessario disporre di qualcosa da osservare, è stato detto più volte,

poiché è dall‟osservazione e dalla sperimentazione che si deducono le conseguenze del nostro

ragionamento. Tale modo di concepire la deduzione accentua il momento della scelta nel

procedimento razionale, poiché se la deduzione non è più concepibile soltanto come un iter

analitico cioè come un‟ esplicitazione delle premesse poste all‟inizio del percorso

argomentativo, ma come una sperimentazione su un diagramma, è chiaro che la dimostrazione

perde il suo carattere meramente meccanico per acquisire una feconda flessibilità che gli

permetterà di assumere una funzione attiva, volta a scoprire inedite possibilità, integrando così

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la funzione analitica del ragionamento ovvero quella di fotografare il pensiero nei suoi

passaggi inferenziali con quella più propriamente creativa.

Infatti Peirce ad apertura del saggio afferma: “Costruiamo un diagramma: voglio dire un

sistema di diagrammatizzazione mediante il quale si possa rappresentare con esattezza qualsiasi

svolgimento del pensiero. Ma perché costruire un tale diagramma, dato che abbiamo presente

direttamente il pensiero stesso”231

? Peirce risponde così: “I diagrammi servono da schema per

esperimenti mentali precisi: le variazioni in un singolo punto del diagramma determinano

mutamenti complessi nel sistema delle relazioni reciproche delle differenti parti significanti del

diagramma; questi mutamenti sono a priori sconosciuti e non perfettamente prevedibili, e vanno

dunque attentamente studiati”232

.

Il ragionamento deduttivo è un processo dinamico, poiché esso si realizza in una dimensione

costruttiva, infatti si perviene al necessario attraverso l‟assunzione di determinate premesse e

una fase di sperimentazione che si rivela particolarmente importante per scoprire relazioni

assolutamente sconosciute al momento della costruzione del diagramma.

Tale modo di ragionare, secondo Peirce, come è stato precedentemente analizzato, è praticato

per antonomasia dal ragionamento teorematico, ma è anche adottato dalle scienze empiriche.

Peirce specifica che si potrebbe obiettare che gli oggetti di indagine della matematica e delle

scienze sono diversi da quelli delle altre discipline, poiché il chimico o il fisico quando effettua

le sue ricerche e seleziona una serie di dati, questi ultimi sono effettivamente esistenti, mentre i

diagrammi sembrano assolutamente scollati rispetto alle cose concrete. In realtà ad un attento

esame tale obiezione si rivela poco pertinente, poiché, secondo Peirce, l‟oggetto in questione

non è mai il dato nella sua mera concretezza, e non solo perché secondo le premesse della teoria

del pensatore americano non si realizza in nessun caso un impatto diretto con le cose del reale,

ma anche perché sarebbe privo di interesse; infatti lo scienziato utilizza il campione per trarre

conferma o smentita delle sue assunzioni, ma non è interessato a quel particolare dato

esaminato. Il vero oggetto indagato sia nel caso del diagramma su cui riflette il matematico, sia

nel caso del campione scelto dallo scienziato è „la forma di una relazione‟, è la struttura

interna alle cose. Infatti, afferma Peirce, il chimico non è interessato al singolo campione ma

alla sua struttura molecolare.

Peirce così chiarisce l‟oggetto in questione: “Ora, questa forma di relazione è esattamente la

forma della relazione che sussiste fra le due parti corrispondenti del diagramma. Per esempio,

siano f1 e f2 le distanze dei due fuochi di una lente dalla lente stessa. Allora

0

1

2

1

1

1

fff

questa equazione è un diagramma della forma della relazione tra le due distanze focali e la

distanza focale principale. Le convenzioni dell‟algebra (e tutti i diagrammi, anzi tutti i disegni,

dipendono da convenzioni) congiuntamente con la scrittura dell‟equazione stabiliscono una

relazione fra le sole lettere f1+f2+fo prescindendo dalla loro virtù di significare. Ma la forma di

231

Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, “The Monist”, XVI (1906), 492-546, cit., p. 211. 232

Ivi, p212.

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questa relazione si identifica con la forma della relazione che sussiste fra le tre distanze focali

che queste lettere denotano [….] Così, questo Diagramma algebrico presenta alla nostra

osservazione lo stesso identico oggetto della ricerca matematica: cioè la forma della media

armonica che l‟equazione aiuta a studiare”233

.

La centralità del diagramma all‟interno del procedimento deduttivo evidentemente conferisce

alla deduzione un carattere decisamente iconico, poiché se si osserva il diagramma dal punto

di vista semiotico, il segno iconico è quello che si mostra idoneo ad oggettivare la forma del

ragionamento deduttivo. Come è stato detto precedentemente, il segno capace di mostrare

forme possibili assolutamente inedite, in grado di produrre o scoprire conoscenze nuove è

l‟icona. I simboli, afferma Peirce, non sono in grado di realizzare conoscenze nuove, poiché

essi sono il frutto di abiti che si sono formati gradualmente e che hanno creato delle strutture

attraverso le quali si codifica il reale. D‟altra parte, chiarisce Peirce, proprio perché i simboli

legittimano l‟esito di un processo, essi non sono osservabili e non possono essere oggetto di

sperimentazione, e proprio questo non li rende idonei a produrre nuove conoscenze, semmai

possono costituire il presupposto di un nuovo processo conoscitivo. Anche gli indici non sono

capaci di realizzare nuovi apprendimenti, poiché si limitano a garantire l‟esistenza dei loro

referenti senza apportare nulla riguardo alla loro intelligibilità.

Al contrario l‟icona, come è stato detto più volte, non ha la funzione di denotare ma quella di

prospettare ciò che può essere logicamente possibile, e in questo senso soltanto ad essa è

affidata la possibilità di realizzare incrementi conoscitivi, infatti Peirce spiega: “[…] Il

ragionamento deve rendere manifesta la conclusione. Perciò deve soprattutto occuparsi di

forme, che sono i principali oggetti della penetrazione razionale. Di conseguenza le Icone sono

particolarmente adatte al ragionamento. Un Diagramma è eminentemente un‟icona, e un‟icona

di relazioni intelligibili. È pacifico che la verità non si può apprendere per semplice ispezione

di alcunché. Ma quando diciamo che il ragionamento deduttivo è necessario, non intendiamo,

naturalmente, che esso è infallibile, bensì precisamente che la conclusione consegue dalla

forma delle relazioni proposte nella premessa. Ora, un diagramma, sebbene possieda di solito

Elementi che si avvicinano alla natura dei simboli, insieme a elementi che si avvicinano alla

natura degli indici, è tuttavia principalmente una icona delle forme delle relazioni costitutive

del suo Oggetto; perciò si vede facilmente quanto un diagramma sia adatto alla

rappresentazione di inferenze necessarie”234

.

Queste considerazioni ci permettono di capire che i grafi235

, più che una funzione descrittiva

dei processi inferenziali, hanno un elevato potenziale creativo, poichè contribuiscono a far

scoprire ciò che altrimenti rimarrebbe precluso alla conoscenza. E quindi l‟obiettivo del

sistema grafico non è quello esclusivo di semplificare il pensiero, ma quello di orientarlo

verso percorsi inesplorati.

233

Ibidem. 234

Ivi, p. 214. 235

Peirce così definisce un grafo: “per grafo intenderò in generale un diagramma composto principalmente di punti e

linee che compongono alcuni di questi punti”. Ivi.,p.218.

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Il carattere iconico dei grafi, necessario a che sia possibile sperimentare sul diagramma, rinvia

immediatamente ad alcuni passaggi fondamentali del pensiero peirceano come il concetto di

astrazione ipostatica, la lezione pragmatica, e la dimensione semiotico- fenomenologica.

Per sottolineare il carattere iconico del procedimento deduttivo Peirce radicalizza

un‟operazione che denomina astrazione ipostatica: essa consente di trasformare le idee

espresse dalle relazioni predicative in elementi concreti, in forme sostantivate che prendono

il nome di entia rationis. Infatti se, come scrive Peirce, la proposizione “il miele è dolce”

diventa “il miele possiede dolcezza”, si ottiene l‟ipostatizzazione di una relazione, e ciò può

risultare molto importante per potere maneggiare le idee del pensiero. Infatti se tali idee

vengono considerate come cose, sarà più facile scoprire le relazioni che si istituiscono fra loro,

“ Instead of saying that some human beings are males all the rest females, it was found

convenient to say that mankind consists of the male part and the female part”236

. In questi

termini diventa possibile, una volta ipostatizzate le idee, contemplare le loro relazioni e

accedere a nuove relazioni di ordine analogico237

. Ora questo tipo di astrazione, ora descritto,

che coincide con l‟astrazione ipostatica si distingue dalla prescissione, poiché quest‟ultima

è una forma di astrazione, che si realizza quando prescinde dai tratti specifici del dato

esperito e si sofferma sui suoi aspetti fondamentali, tali che questi ultimi siano

riconoscibili in altri dati, già osservati o osservabili, e così mentre essa formalizza predicati,

l‟astrazione ipostatica estrapola soggetti da predicati. Quest‟ultimo tipo di astrazione realizza

una mediazione tra generale e individuale che si rivela proficua in tutti i piani della costruzione

peirceana, da quello matematico, logico, sintattico e semantico, a quello specificamente

semiotico, nonché epistemologico. Peirce scopre che le possibili formalizzazioni non devono

essere necessariamente di ordine simbolico ovvero inerenti ad un‟astrazione di tipo prescittivo,

ma possono essere anche di tipo ipostatico. Ma perché è così importante ricorrere all‟astrazione

ipostatica? Perché è proprio essa che ci può garantire la scoperta di nuovi elementi e di nuove

relazioni: nel caso della prescissione ci si limita a fare un‟operazione di selezione tra gli

elementi più importanti, ma è assente la produzione di un „intero individuale‟. Invece con

l‟astrazione ipostatica si media generale e individuale, e in questa mediazione l‟elemento

caratterizzante diventa l‟individuale, al cui interno viene contratto il generale. La straordinaria

potenzialità di tale operazione sta nel costruire tale insieme di generale e individuale: esso

infatti non è già dato, come accade nella prescissione dove ci si limita a rappresentare

l‟individuale attraverso il generale; nell‟astrazione ipostatica si intende rappresentare il generale

attraverso l‟individuale, ma tale individuale, come accade ad esempio nel ragionamento

matematico, viene immaginato, non è già disponibile.

Sicuramente la potenzialità creativa dell‟astrazione ipostatica si palesa in modo evidente nel

ragionamento matematico, infatti Peirce per metterci nelle condizioni di capire l‟importanza di

questa operazione invita a ricordare che una collezione è un‟astrazione ipostatica:

236 Cfr.CP 4.235.

237

Cfr.CP 3.642.

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“We may say that a whole is an ens rationis was being consists in the copulate being of certain other

things, either [….] so that a whole is analogous to a collection, which is, in fact, a special kind of whole.

There can be doubt that the word whole always brings before the mind the image of a collection, and

that we interpret the word whole by analogy with collection. [….] A collection [….] is an ens rationis,

or fictitious subject [….] which is individual, and by means of which we are enabled to transform

universal propositions in to singular proposition, thus the proposition “all man are mortal”, appears as “

the collection of man is a collection of mortals”; [….] and by means of other abstraction, we tranform

the same proposition into “The character of mortality is possessed by every man”238

.

Nei Prolegomena to an Apology for Pragmaticism Peirce si impegna in una dimostrazione

matematica attraverso la quale dimostra che la collezione è un ens rationis nella misura in cui

include elementi e relazioni di gran lunga superiori a quelli dei singoli membri individuali che

la costituiscono. Peirce precisamente enuncia la tesi così: “I singoli membri individuali di una

qualsiasi collezione o insieme sono sempre in numero inferiore rispetto alla totalità delle classi

che l‟insieme in questione comprende”239

. Un modo per comprendere in modo semplice la

tesi enunciata e apprezzare la potenzialità conoscitiva di un‟operazione come quella

dell‟astrazione ipostatica e come essa operi all‟interno di concetti come quelli di insieme o di

collezione potrebbe essere il classico esempio tratto dai giochi che descrive il caso di sedici

quadrati disposti in modo da formare un solo quadrato. Se ci interroghiamo sulla quantità dei

quadrati che si formano, si scopre che i quadrati non sono sedici bensì molto di più, giacché ai

sedici quadrati iniziali bisogna associare quello formato dai sedici messi insieme e tutti quelli

che opportunamente associati formano dei quadrati. Infatti se osserviamo la prima figura

potremo constatare facilmente che insieme ai sedici quadratini, si aggiunge il quadrato formato

dai quadratini(6,7,10,11); e così se consideriamo la seconda figura, il quadrato non sarà

composto soltanto da sedici quadratini, poiché si dovrà considerare anche il quadrato formato

dai quadratini(1,2,5,6); e infine si potrà dire della terza figura che il quadrato risulterà

formato, oltreché dai sedici quadratini, dal quadrato costituito dai quadratini

(1,2,3,5,6,7,9,10,11,).

1fig. 2 fig. 3fig.

238

CP 6.382. 239

Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p. 215.

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Evidentemente si tratta di un esempio efficace, a mio avviso, che evidenzia come un insieme

formato da un certo numero di elementi genera una moltitudine di insiemi di gran lunga più

numerosa.

La formalizzazione matematica della tesi precedentemente enunciata si esprime in questi

termini: qualsiasi insieme A è meno numeroso dell‟insieme delle sue parti ( P (A) ),

denominato partizione di A, cioè dell‟insieme i cui elementi siano tutti i sottoinsiemi di A, ivi

compresi l‟insieme vuoto Ø e lo stesso insieme.

Ad esempio si abbia l‟insieme A (1,2,3,4,5,) , risulterà che la partizione di A sarà uguale a:

P(A) = Ø

(1); (2); (3); (4); (5);

(1,2); (1,3); (1,4); (1,5); (2,3); (2,4); (2,5);

(3,4); (3,5); (4,5);

(3,4,5,); (2,4,5,); (2,3,5); (2,3,4,) (1,4,5,); (1,3,5,);

(1,3,4); (1,2,5,);(1,2,4,);(1,2,3);

(2,3,4,5,); (1,3,4,5,); (1,2,4,5,);(1,2,3,5);(1,2,3,4);

A(1,2,3,4,5,).

Risulta evidente che A è incluso nella partizione di A e che la numerosità di A è inferiore alla

numerosità di P(A). Tra i sottoinsiemi di A due acquistano una denominazione particolare:

l‟insieme vuoto e lo stesso insieme di A. Essi prendono il nome di classi implicite, infatti

l‟insieme vuoto è contenuto in tutti gli elementi di P(A), mentre A contiene qualsiasi elemento

di P(A).

In questo modo l‟astrazione ipostatica produce progressivamente una serie di entità, che

costituiranno l‟ontologia possibile su cui si potrà effettuare quella sperimentazione necessaria

affinché la ragione disveli orizzonti ancora ignoti.

Peirce, dopo avere dato prova della fecondità di questo metodo astrattivo in sede matematica,

nel testo preso in esame ne ribadisce la sua capacità creativa: “Quella meravigliosa operazione

di astrazione ipostatica, con la quale sembriamo creare entia rationis che sono tuttavia talvolta

reali, ci dà il modo di trasformare i predicati da segni che pensiamo o attraverso cui pensiamo in

oggetti di pensiero. Così possiamo pensare sullo stesso pensiero-segno facendone l‟oggetto di

un altro pensiero-segno”240

.

Il modo in cui Peirce parla dell‟astrazione ipostatica in matematica e in logica contribuisce a

spiegare la fondamentalità della modalità rappresentativa dell‟icona: così come i singoli

240

Ivi, p.232. Una definizione logica dell‟astrazione ipostatica viene fornita da Peirce nel testo scritto intorno al 1903, On

Existential Graphs Euler‟s Diagrams and logical Algebra: “L‟astrazione, nel senso in cui sarà usata qui, è un‟inferenza

necessaria la cui conclusione si riferisce a un soggetto al quale non si riferiscono le premesse […] Ma come può essere che

una conclusione possa seguire necessariamente da una premessa che non asserisce l‟esistenza di ciò che la cui esistenza è

affermata dalla conclusione stessa? La risposta deve essere che il nuovo individuo del quale si parla è un ens rationis; cioè il

suo essere consiste in qualche altro fatto. Se un ens rationis possa o non possa esistere o essere reale, è una questione alla

quale non si può rispondere finché l‟esistenza e la realtà non siano state definite molto distintamente. Ma si può notare

subito che negare ogni modo di essere a qualsiasi cosa il cui essere consiste in qualche altro fatto, sarebbe negare ogni modo

di essere a tavole e sedie, poiché l‟essere di una tavola dipende dall‟essere degli atomi di cui è composta, e non viceversa”.

Peirce, On Existential Graph, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra, cit., p 634.

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membri individuali di una qualsiasi collezione o insieme sono sempre in numero inferiore

rispetto alla totalità delle classi che l‟insieme in questione comprende, allo stesso modo l‟icona

pura è sempre più ricca di tutte le sue diagrammatizzazioni, nel senso che lascia scoprire in

esse sempre nuove e più arricchenti conoscenze. In questi termini l‟astrazione ipostatica si

declina nell‟universo matematico, logico, semiotico ponendo in evidenza come sia possibile che

si renda disponibile un individuale che sia in grado di rinviare ad un generale. L‟alternativa

profondamente significativa dell‟astrazione ipostatica sta nel maneggiare un‟idea come se essa

fosse una cosa, e nello scoprire di essa aspetti che non si rivelerebbero qualora essa venisse

rappresentata da un‟astrazione come quella prescittiva. Tale idea entificata diventa un segno, e

se è un segno, esso produce un effetto esterno, e sebbene il segno in questione può non

corrispondere ad un ente esistente, ciò significa, secondo Peirce, che il mondo esterno non è

costituito soltanto da oggetti esistenti; “But on the contrary, its most important reals have the mode

of being of what the nominalist calls “mere” words, that is, general types and would-bes. The

nominalist is right in saying that they are substantially of the nature of words; but his “mere” reveals a

complete misunderstanding of what our every day world consist of”241

.

Sull‟ontologia creata dall‟astrazione ipostatica, si effettua la sperimentazione del diagramma,

che consiste nell‟introdurre nuove ipotesi e nel contemplare le nuove relazioni che ne possono

derivare, al fine di far procedere l‟iter dimostrativo sino alla conclusione della tesi assunta. In

tale procedimento è riconoscibile l‟opera del ragionamento teorematico, che, come è stato

analizzato nelle pagine precedenti, connota il ragionamento matematico, coniugando

dimensione osservativa e deduttiva, e facendo di esso un ragionamento a pieno titolo sintetico,

sebbene di una specie diversa rispetto a quello kantiano.

Il ragionamento teorematico diventa paradigmatico e nella logica grafica Peirce pone in

evidenza come diventi imprescindibile approntare un piano sensibile alla forma logica, nel

quale essa stessa possa esternare e sperimentare le sue implicazioni. Infatti è su questa base

d‟appoggio che si apprezzerà il valore delle assunzioni elaborate e, in base alla sperimentazione,

il loro imprevisto sviluppo. Le occorrenze grafiche mostreranno come si costruisca all‟interno

di esse il vero, senza che questo implichi l‟identificazione di quest‟ultimo con il contingente,

con l‟individuale, al contrario esse, attraverso la loro materialità, conferiranno consistenza a

ciò che potrebbe divenire reale.

241

CP 8.191. Già in Some Consequences of Four Incapacities Peirce si esprimeva così: “Realista è semplicemente

chi non conosce una realtà più recondita di quella che è rappresentata in un avera rappresentazione. Dal momento che

la parola uomo è vera di qualcosa, ciò che uomo significa è reale. Il nominalista deve ammettere che uomo è

applicabile con verità a qualcosa; ma crede che vi sia sotto a questo una cosa in sé, una realtà inconoscibile. Sua è la

finzione metafisica [….] Il grande argomento del nominalismo è che non esiste l‟uomo al di fuori del singolo uomo

particolare. Il che, tuttavia, non lede il realismo di Scoto; poiché, sebbene non vi sia alcun uomo del quale possa

essere negata ogni ulteriore determinazione, pure vi è un uomo, astrazion fatta da ogni ulteriore determinazione.

Vi è una differenza reale fra l‟uomo inteso senza prendere in considerazione quelle che possono essere le altre

determinazioni, e l‟uomo con questa o quella serie particolare di determinazioni, sebbene senza dubbio questa

differenza sia soltanto relativa alla mente e non in re. Tale è la posizione di Scoto. La grande obiezione di Occam è

che non vi può essere alcuna distinzione reale che non sia in re, nella cosa –in se-stessa, ma questa in realtà è una

petizione di principio, poiché si basa unicamente sulla nozione che la realtà è qualcosa di indipendente dalla

relazione rappresentativa”. Ivi, p.107-108. Tali considerazioni sono importanti, poiché

sottolineano il modo in cui la questione dell‟astrazione ipostatica sia legata, oltre che ai diversi piani della

costruzione peirceana, al tema del reale e del vero e della loro connessione.

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Il diagramma incarna in modo efficace l‟insegnamento pragmatico, poiché di fatto le relazioni

significative che esplicherà sono il risultato delle operazioni effettuate su di esso. Il significato

condizionale espresso dalla massima pragmatica intende mettere l‟accento sul fatto che un

pensiero non ha come referente una cosa, ma una relazione, nel senso che, a seconda delle

ipotesi, che si traducono in azioni, che selezionano, scelgono, verranno prodotte determinate

conseguenze. E quindi il significato è condizionale, nel senso che una determinata cosa sarà

identificabile come x, se quest‟ultima esplicherà determinate relazioni sotto certe condizioni. I

grafi esistenziali sono conformi all‟insegnamento pragmatico, poiché la loro scrittura grafica

mostra come i significati si sviluppino all‟interno di un processo dinamico, i cui esiti daranno

vita alla formazione di abiti, che a loro volta costituiranno le condizioni di possibilità di una

inedita costruzione grafica. I grafi sembrano concretamente verificare l‟efficacia della massima

pragmatica, poiché sottolineano l‟imprescindibile necessità dell‟esternazione, della materialità,

affinchè il pensiero possa dar conto delle sue produzioni. È in questo atto di proiezione che il

pensiero, secondo Peirce, si evolve, si espande e trova la traccia da seguire. Quest‟ultima è

visibile soltanto all‟interno della sperimentazione grafica, infatti è nell‟osservazione, e

soprattutto nella sperimentazione e dialogicità strutturale propria di ogni atto di pensiero che è

possibile esplicare inedite strade per il ragionamento.

Ma se il pensiero può esprimersi e così anche espandere la sua potenzialità inferenziale

soltanto all‟interno di una rete di segmenti materiali, che non sono statici ma dinamici,

flessibili, perché interagenti fra loro, in quanto espressione di azioni, di operazioni, che una

volta effettuate, pongono nuove basi da cui partire per porre in relazione altre entità, è anche

evidente che il sistema dei grafi evidenzia una trama semiotica. Il grafo è un segno e per il

momento, al di là di stabilire la classe di segni ai quali il grafo appartiene, è importante

sottolineare che la costruzione grafica non può che avere radici semiotiche.

La grammatica segnica, sin dalle pagine del giovane Peirce, ribadisce che il pensiero si

costituisce attraverso pensieri-segni, i quali, a loro volta si costruiscono mediando oggetto e

interpretante. Il segno nella mente di Peirce non è mai pensato come una realtà statica che

convenzionalmente designa il rapporto tra significato e significante ma è inteso sempre come

uno svolgimento. Il segno è una dimensione stratificabile, nel senso che ha un suo volume

esplorabile, appunto sperimentabile e infinitamente conoscibile, perché infinitamente

determinabile.

Il grafo si rivela particolarmente idoneo a dar conto delle varie tricotomie segniche, nella misura

in cui ne è forse l‟espressione più pregnante e più originale, poiché esso sintetizza le

caratteristiche più forti della semiotica peirceana, che sicuramente, come afferma Jorgen Dines

Johansen, si pone come la più „inclusiva‟. Il grafo riporta in superficie tutti i tratti del segno

che lo abilitano alla sua declinazione matematica, logica, fenomenologica, pragmatica. La

trama del grafo è semiotica a patto che si tenga presente, in base a tutti i discorsi svolti

precedentemente, che la grammatica segnica sia leggibile in termini matematici, logici,

fenomenologici e pragmatici. La triadicità, il dinamismo, la contestualità e la generalità, come

afferma Dines Johansen, sintetizzano le caratteristiche del segno peirceano, sono queste che

ci permettono di capire in che modo il grafo è gestibile in termini semiotici, e soprattutto in che

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senso il sistema dei grafi costituisce una delle conseguenze più sorprendenti della semiotica

cognitiva del nostro pensatore americano, a conferma dell‟ampiezza e della profondità del gesto

segnico.

Infatti il sistema dei grafi non può essere considerato come un mero calcolo formale per

facilitare il ragionamento, perché intanto nella mente di Peirce quando si parla di inferenza si

parla di segno, poiché il pensiero si esprime attraverso segni. Ma il segno non è mai una realtà

a sé stante, infatti se teniamo presente l‟impianto tricotomico, sia che il segno si riferisca a se

stesso, sia in relazione all‟oggetto, sia in riferimento all‟interpretante, il segno si dispiega, si

delinea sempre attraverso tre momenti quali segno, oggetto, interpretante. Tale relazione non è

statica ma assolutamente dinamica, poiché il segno non presuppone l‟oggetto e l‟interpretante,

piuttosto è nel segno che questi ultimi si ritrovano ed è all‟interno di esso che li si riconosce. Il

segno è un laboratorio, in cui si sperimentano possibili oggetti e interpretanti, e quindi è anche il

luogo naturale della referenzialità, nel senso che il segno si riferisce sempre ad un universo di

discorso che deve esporsi alla condivisione. La ribalta del segno è pubblica nella misura in cui

la vita del segno è legata all‟esperienza, e quindi in questo senso la natura del segno è

propriamente dialogica. La referenzialità del segno e la sua dimensione interpretativa

costituiscono il segno stesso, altrimenti destinato ad identificarsi con una mera chimera. Ma se

il segno viene riconosciuto come tale, esso non sarà riconosciuto nella sua mera individualità

ma come la replica di un generale.

I segni, dunque, sono dinamici, crescono, trasmettono significato, a condizione che ci sia un

piano, dove sperimentare i possibili significati veicolabili da referenti e da interpretanti. Chiare

e preziose queste affermazioni di Peirce: “Il pensiero non è necessariamente connesso con un

cervello. Appare nelle opere delle api, dei cristalli, e in tutto il mondo puramente fisico. Non si

può negare che il pensiero vi sia realmente presente proprio come non si può negare che vi

siano realmente presenti i colori, le forme, ecc. degli oggetti […] Il pensiero, oltre a essere

presente nel mondo organico, vi si sviluppa. Ma come non ci può essere un Generale senza

occorrenze che lo traducono in atto, così non ci può essere pensiero senza segni [...] Non ci può

essere nessun segno isolato. Anzi, i segni esigono almeno due quasi-menti: un Quasi-

emittente e un Quasi- interprete. [...] Nel segno le due Quasi-menti sono, per così dire, saldate.

Di conseguenza, non è un mero fatto della Psicologia umana ma è una necessità della Logica

che ogni evoluzione logica del pensiero sia dialogica”242

.

Ora ritornando al grafo, potremmo dire che il movimento messo in atto da quest‟ultimo è

proprio quello del segno, anzi potremmo dire che il grafo in un contesto assertorio lascia

emergere in modo più netto le tricotomie fondamentali del segno. Il grafo è un type, poiché

esso incorpora regole, convenzioni che sono poi di fatto esemplificate nella sua replica,

denominata token. Infatti un determinato token può essere letto in modo diverso a seconda del

type cui si riferisce. Una linea, ad esempio, potrebbe essere letta come il nesso tra due punti o

come il trasferimento di qualche oggetto tra due luoghi. Ma il grafo, partecipando della natura

del segno, avrà un interpretante e un oggetto, in particolare il grafo collocandosi

242

Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.233.

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essenzialmente in un contesto assertorio ed esprimendo soprattutto un processo inferenziale, è

codificabile, secondo la terza tricotomia dell‟interpretante, rema- segno-dicente-argomento,

come un Fema, che corrisponde al segno dicente. Peirce definisce il termine Fema: “[…] Un

segno equivalente a un enunciato grammaticale, sia esso Interrogativo, Imperativo, o Assertorio

[….] Un grafo è un fema e, almeno nell‟uso che ho sinora osservato, una proposizione. Un

argomento è rappresentato da una serie di grafi”243

.

Ma come tutti i segni il grafo si riferisce ad un referente, e sicuramente la tricotomia che ci

permette di farci cogliere il senso dell‟azione grafica e il modo in cui si colloca all‟interno della

speculazione peirceana è quello che si riferisce al rapporto segno-oggetto ovvero alla triade

icona, indice, simbolo. Abbiamo già detto che il grafo è innanzitutto iconico, poiché è il

carattere iconico che abilita il grafo ad elaborare nuovi significati.

Ma il grafo ha anche una valenza simbolica. Infatti se con il carattere iconico il grafo deduce

possibilità, con quello simbolico esprime regole, leggi, codici. Perché il diagramma possa

essere considerato un type, deve presupporre un simbolo. Nel senso che il type è segno di un

simbolo. Tale differenza è importante perché l‟oggetto a cui si riferisce il simbolo è un generale,

il type è generale nella misura in cui è segno del simbolo244

. Sottolineare tale distinzione è

fondamentale perché il grafo conferma una necessità che sta alla base dell‟intero impianto

peirceano: il vincolo ineludibile tra dimensione percettiva, figurativa e dimensione inferenziale.

Il grafo per la sua costruzione necessita di un simbolo ovvero di un‟idea, ma il simbolo in che

modo veicola tale idea? Attraverso una dimensione figurativa e indicale. Peirce afferma: “Un

simbolo è un segno naturalmente atto ad esprimere quanto segue: l‟insieme di oggetti denotato

da qualsiasi serie di indici, in certi modi connesso al simbolo, è rappresentato da un‟icona

associata a esso”245

. In questo modo il simbolo oggettiva all‟interno del grafo la sua idea per

mezzo di un‟icona e di un indice, e in questo modo, osservando, può elaborare nuovi generali e

formare così nuovi simboli e nuove icone. Ma in questi termini il simbolo non è da intendersi

come una semplice convenzione, semmai così può essere inteso al termine del processo che

esso stesso ha innescato, ma non durante la sua formazione: il simbolo opera sempre a partire

da un‟icona e quindi, il grafo, sebbene possa formalizzare un‟entità inesistente, sicuramente

esprimerà un‟entità possibile246

.

In contrasto alla tradizione del pensiero logico rappresentata da Frege, Russell, il giovane

Carnap, il pensiero logico di Peirce si presenta decisamente nuovo perché essenzialmente

243

Ivi.,pp..221-222. 244

Utile la distinzione di F. Stjernfelt: “The symbol in question refers to a general object while the diagram in question

being an iconic legisign, a type, - is in itself one”. F. Stjernfelt, Diagrammatology, An Investigation on the Bordelines

of Phenomenology, Ontology, and Semiotics, Springer, Copenahagen, 2007, p.97. 245

Peirce, Of Reasoning (1893), cit., p.173. 246

Fortemente consonanti con la linea interpretativa del discorso svolto le considerazioni di Stjernfelt: “The symbol

„unicorn‟ is no less a symbol because its object does not exist. It is perfectly possible to let a diagram make explicit the

content of a symbol whose referent is fictitious merely. On the other hand, it is an important diagram property that is

beyond the rich of any diagrammatization to picture inconsistent symbols this constitutes the very strength of

diagrammatic formalization: every [….] Diagram correspons to a possibility [….] Brefly, being an icon, the diagram

cannot be inconsistent. It may display non – existent entities, but not logically inconsistent entities. [….] This

constitutes a motivation for diagrammatic reasoning: it can make explicit (part of) the signification of a symbol a

pragmatically weed out symbol inconsistences”. F.Stjernfelt, op. cit., pp.98-99.

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pone in posizione centrale il momento iconico e la costruzione del diagramma. La vera

genialità di Peirce sta nel fatto, come dice Hintikka, nell‟avere esteso la distinzione riscontrata

in geometria tra ragionamento corollario e ragionamento teorematico al ragionamento

deduttivo. Infatti secondo Hintikka la vera scoperta di Peirce sta nel particolare uso del

diagramma in logica: quest‟ultimo, proprio perché trasformabile, non si limita a rappresentare

uno stato di cose ma anche possibili stati di cose. È proprio l‟introduzione dei mondi possibili a

fare della logica di Peirce una logica più in linea con quella appartenente alla tradizione di

Boole, di Schroder, Hilbert, Godel e il maturo Carnap. La logica di Peirce, come dice Stjernfelt,

sulla scia della valorizzazione di Hintikka, è una logica che si pone al di fuori dei problemi in

cui incorre la logica tradizionale. In che senso? Secondo il quadro d‟insieme che Hintikka

offre in The Place of C. S. Peirce in the History of Logical Theory si delineano due tendenze

tra i logici rispetto al modo in cui viene concepito il linguaggio: la prima ritiene che la logica

deve essere intesa come una formalizzazione del linguaggio, e quest‟ultimo viene considerato

universale, perché, secondo questa prospettiva, è impossibile riferirsi al mondo con un mezzo

diverso dal linguaggio; la seconda tendenza, invece, pensa al linguaggio come ad un modello

possibile. La prima posizione determina alcune conseguenze che diventano nodi

problematici, in quanto la logica pone come suo referente il mondo esistente e quindi la sua

formalizzazione non prevede spazi per i counterfactual, non rende possibile una semantica,

poiché non dispone di un linguaggio diverso per formalizzare i suoi contenuti ovvero si ritrova

ad usare il linguaggio che è oggetto specifico della sua riflessione, e così la sintassi formale

diventa l‟ unico oggetto della logica. Ciò crea dei problemi non indifferenti, poiché non è

suscettibile di correzione la veste che il linguaggio conferisce alla cose, e quindi non è

possibile disporre di definizioni di verità.

Al contrario secondo la tradizione nella quale Peirce si riconosce, intanto esistono diverse

logiche, tant‟è che questo modo di concepire la logica ha posto le basi alla logica modale, alla

logica epistemica e alla teoria dei modelli: proprio questa prospettiva, apparentemente

antirealista, approda a posizioni realiste, infatti il nesso con il mondo è possibile proprio

attraverso la rappresentazione iconica, ed è rinnovabile dalla trasformabilità propria delle icone

che assecondano i pragma espressi da nuovi possibili mondi. Insomma la logica che si delinea

è flessibile e proprio per questo è maggiormente idonea a rappresentare le infinite relazioni che

in futuro possono delinearsi all‟interno del mondo reale.

Qui la plasticità della logica proviene proprio dalle icone, poiché esse non si riferiscono ad un

ente esistente, bensì ad un ente possibile e quindi richiedono di essere interpretate e possono

essere utilizzate in modo assolutamente inedito.

Ora se è vero che è centrale il momento iconico, e se è vero che l‟icona significa, predica una

forma, una qualità dell‟oggetto e non si riferisce ad un oggetto esistente, è anche vero che

essa predispone lo spazio per un possibile oggetto che potrà essere incarnato da un indice. In

questi termini la prospettiva logica dei grafi è realista: se il grafo dà conto del processo

inferenziale attraverso il quale è possibile dedurre dei modelli, tali modelli sono resi intelligibili

da funzioni predicative e da funzioni nominative. Ma cosa è diventata la funzione nominativa?

Essa deve completare la struttura relazionale in cui consiste il predicato, essa deve riempire gli

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spazi vuoti lasciati dal predicato. Questo compito ovvero quello della nominazione sembra

proprio quello dell‟indice, ma l‟indice provvede ad indicare l‟oggetto denotato dal soggetto

della proposizione. Ma la nominazione non è del tutto sganciata dalla forma, perché ad

esempio una determinata cosa, perché possa essere identificata non necessita soltanto della

funzione indicale ma anche di quella categoriale. Ora se il soggetto ha lo scopo di riempire la

forma espressa dal predicato e se verità in questo contesto significa conformità della forma

espressa dal predicato alla forma propria dell‟oggetto denotato, in questi termini i grafi, oltre

che avere un carattere analitico e iconico, posseggono un marcato carattere realistico. La

logica grafica così intende fornire dei modelli con i quali decodificare la realtà.

Infatti nella struttura dei grafi ritroviamo declinati i tre piani fenomenologici ampiamente

elaborati in sede di revisione categoriale. Il movimento dei grafi sembra riecheggiare quello

che dalla Firstness procede in direzione della Thirdness. Proprio nel Ms. 439 del 1898 Peirce

rinvia al nesso profondo tra categorie e grafi: “In realtà, sono state le considerazioni intorno alle

categorie ad insegnarmi come costruire il sistema dei grafi”247

.

Le categorie faneroscopiche si rivelano particolarmente idonee alla logica grafica, poiché ciò

che li accomuna essenzialmente è l‟adozione del principio di continuità e l‟idea che la

possibilità sia un‟entità reale. Già abbiamo visto come queste due dimensioni siano

fondamentali per capire lo spartito categoriale, allo stesso modo esse stesse, possibilità e

continuità, sono esplicative della logica dei relativi e della sua traduzione grafica. In che

senso? Se c‟è una differenza macroscopica, afferma Peirce, tra la logica ordinaria e la logica

dei relativi, essa è relativa al fatto che la prima prende in considerazion le classi, intese come

insiemi di oggetti individuali, la seconda intende le classi come insiemi non di enti individuali

ma di possibilità.

Infatti, come sappiamo dalle analisi precedenti, sono primarie le possibili qualità, non certo

intese come proprietà di un individuo, ma come quelle relazioni possibili, dalle quali scaturisce

un ente possibile.

In logica il predicato diventa la sede dell‟espressione delle possibili forme, a partire dalle quali

possono derivare i possibili indici. Infatti in Prolegomena to an Apology for Pragmaticism

Peirce definisce il predicato come quel termine la cui estensione viene definita dai soggetti, i

quali, quanto alla loro profondità, vengono definiti dal predicato.

Il predicato predispone gli spazi per i possibili soggetti, e allora se intendiamo il predicato in

questo senso, la classe, come abbiamo detto precedentemente, è il frutto di un‟ipostatizzazione

di funzioni predicative, e quindi non dispone di oggetti reali ma di possibilità.

Come rappresenta Peirce graficamente queste acquisizioni? In modo chiaro il pensatore

americano afferma nel Ms. 439: “Nel sistema dei grafi si possono osservare tre tipi di segni di

natura molto diversa. Anzitutto vi sono i verbi, di varietà infinita. Tra di essi troviamo la linea

che denota identità. Ma, in secondo luogo, le estremità della linea d‟ identità (e ogni verbo

dovrebbe venire concepito con queste estremità libere) sono segni di genere totalmente diverso:

sono pronomi dimostrativi che indicano oggetti esistenti; non necessariamente cose materiali –

247

Peirce, Alcune riflessioni in ordine sparso sulla disputa tra Nominalisti e Realisti, cit., p.63.

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dato che possono essere eventi o anche qualità – ma comunque degli oggetti, designati

semplicemente come questo o quello. In ultimo, costituisce un terzo genere di segni, del tutto

differente, lo scrivere i verbi uno accanto all‟altro o le linee ovali che racchiudono i grafi, intese

non come qualcosa di asserito, ma come soggetti dell‟asserzione - operazione che viene

continuamente utilizzata in matematica e che costituisce una delle grandi difficoltà di questa

scienza. I segni del primo tipo rappresentano gli oggetti nella loro primità e offrono il

significato dei termini. I segni del secondo tipo rappresentano gli oggetti in quanto esistenti,

cioè reagenti, e dunque anche nelle loro reazioni. I segni del terzo tipo rappresentano gli

oggetti nel loro carattere rappresentativo, vale a dire nella loro terzità, e intorno ad essi ruotano

tutti i processi inferenziali”248

.

Ora sebbene il lavoro sui grafi scorra indipendentemente da quello sulle categorie, di fatto

queste ultime costituiscono la loro base, poiché essenzialmente il diagramma ripropone il

movimento del pensiero che corrisponde a quello del reale che, procedendo da possibilità reali,

provvede alla loro codificazione attraverso la scoperta di leggi effettivamente operanti

nell‟universo. Il diagramma diventa lo spartito su cui la realtà può leggere i suoi stessi

movimenti, e vedere le sue possibilità trasformarsi in necessità.

2) La costruzione grafica

Esaminato il modo in cui si colloca la scrittura grafica all‟interno dell‟impianto peirceano,

è opportuno concentrare l‟attenzione sulle regole che governano la costruzione grafica per

comprenderne la dinamica interna.

Appena si dà avvio al lavoro di decodifica dei grafi ci si rende subito conto del fatto che,

diversamente dalla sillogistica tradizionale che si presenta lineare e descrittiva, la logica dei

grafi non si limita a descrivere i passi inferenziali del pensiero ma si prefigge degli scopi,

poiché scopre nuove relazioni, assolutamente ignote al momento della costruzione. E tale

scoperta si realizza grazie alla collaborazione di due diversi agenti che contribuiscono a far si

che il grafo, date alcune assunzioni, pervenga alla formalizzazione di alcune conclusioni

necessarie. È presente una dimensione intersoggettiva nel grafo che è costitutiva del processo

dimostrativo in virtù del quale si accederà a nuovi orizzonti, preziosi e indispensabili alla

comprensione del reale.

Dunque il grafo esprime un pensiero diretto ad uno scopo, e conformemente a quest‟ultimo è

necessario applicare determinate regole come le convenzioni, le autorizzazioni che hanno la

funzione di vincolare le premesse. La scelta della applicazione delle regole è libera, e in virtù di

essa è possibile apporre nuovi elementi che daranno vita ad un atto sintetico e quindi in questo

senso il grafo non dispone soltanto di funzioni analitiche.

Il piano su cui si tracciano i grafi è la Facciata Femica, tale foglio sarà condiviso dal grafista e

dall‟ interprete, che esercitando ruoli diversi si contenderanno i significati che via via saranno

248

Ivi, p. 63

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prodotti dall‟ azione grafica. Recto e Verso, la prima liscia e la seconda ruvida sono le due

superfici della Facciata Femica, la prima è gestita dal grafista, la seconda dall‟interprete: il

grafista pone sul recto, l‟interprete legge le informazioni che gli passa il grafista dal lato

opposto del foglio ovvero dalla prospettiva del verso. Il grafista e l‟interprete comunicano

attraverso i femi e sono tacitamente d‟accordo sul fatto che il fema abbia un significato.

Il grafista traccia i grafi sul recto, l‟ interprete può effettuare alcune operazioni, come quelle

di cancellatura e di inserzione, sul recto. Il punto di partenza è il recto, in esso figurano le

proposizioni poste dal grafista, queste ultime perché possano essere ritenute vere non devono

essere cancellate dall‟interprete.

Oltre agli operatori che intervengono sul grafo, è importante precisare che l‟universo di discorso

a cui intende riferirsi Peirce si pone come possibile, attuale o necessario. La logica

peirceana è una logica che intende dare espressione all‟universo delle qualità, le quali,

secondo l‟impostazione peirceana, non possono essere intese come enti individuali bensì

come possibilità logiche.

Le possibilità logiche sono generali e in quanto tali, afferma Peirce, non possono essere incluse

in nessuna moltitudine. E allora per rappresentare sul piano logico-grafico le qualità, è

necessario da una parte effettuare una forzatura cioè equiparare le qualità ad enti individuali,

dall‟altra tenere presente che essi costituiscono un universo diverso da quello attuale249

, infatti,

prendendo spunto dall‟araldica, il pensatore americano differenzierà la rappresentazione grafica

dei diversi universi, denominando l‟universo della possibilità con le tinture di Colore,

l‟universo della necessità o dell‟Intenzione, come qui precisamente viene denominato, con le

tinture di Pelliccia, e infine l‟universo dell‟attualità con le tinture di Metallo.

Con le prime due convenzioni formalizzate all‟inizio di questa parte tecnica del saggio, in cui

viene spiegato il funzionamento dei grafi, Peirce intende rappresentare le funzioni del grafista e

dell‟interprete, i modi di essere degli universi rappresentabili, nonché le modalità interpretative

del grafo cioè la possibilità di comprendere quest‟ultimo come Interrogativo, Imperativo, o

Indicativo. Con le altre convenzioni il filosofo analizza il modo in cui il grafista assume. E

proprio l‟atto dell‟assunzione del grafista e le mosse conseguenziali dell‟interprete

costituiscono la dinamica fondamentale in virtù della quale si realizza l‟intelligibilità della

costruzione del grafo e una comprensione più profonda dei perni che sorreggono

l‟architettonica peirceana.

E allora diventa necessario interrogarsi sul modo in cui il grafista elabora le sue assunzioni e

le pone sul recto.

La superficie della Facciata femica rappresenta il continuum, l‟asseribile. Sul foglio è asserito

tutto, ma se si vuole asserire qualcosa di determinato all‟interno della totalità asseribile, e

renderla visibile bisogna compiere un‟azione. È come se ci si trovasse di fronte ad una

totalità bianca e così luminosa tanto da abbagliare, e allora per vedere qualcosa è necessario

annerire, tagliare. Afferma lo stesso Peirce: “You may regards the ordinary blank sheet of

assertion as a film upon which there is, as it were, an undeveloped photograph of the fact in the

249

Cfr.CP 4.514.

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162

universe”250

. Evidentemente, prosegue Peirce, non bisogna prendere l‟esempio alla lettera,

poiché il foglio di asserzione dobbiamo intenderlo come un continuum pluridimensionale e

plastico, in modo tale da poterlo modificare in tutti i modi senza rotture, senza discontinuità251

.

I diversi fogli di questo continuum costituiscono i diversi universi discorsivi con cui le

proposizioni hanno a che fare quali l‟universo possibile, quello attuale, e quello necessario.

Ora ritorniamo alla domanda: in che modo il grafista pone sulla facciata femica? Il grafista

per porre, deve determinare. Che significa determinare? Qui determinare significa negare una

parte: il foglio è l‟asseribile e allora per assumere qualcosa è necessario tagliare una parte. Se

è corretta l‟interpretazione di ciò che Peirce intende con la nozione di taglio, l‟atto del

determinare diventa frutto della negazione.

A tal proposito Peirce sottolinea in un testo precedente, che “A cut is not a graph; but an

enclosure is a graph”252

. Qui nel testo preso in esame Peirce afferma: “Un taglio non è né un

grafo né un‟ Occorrenza di grafo”253

.

Tale precisazione è importante, perché è bene tenere presente che la costruzione grafica non è

una descrizione statica bensì assolutamente dinamica, è proprio il taglio, insieme ad altre

operazioni di cui si parlerà successivamente, a dar conto della genesi e trasformabilità dei grafi.

Il taglio renderà possibile l‟assunzione di un‟ipotesi a partire dalla quale prenderà avvio il

processo dimostrativo.

Ma in che modo viene rappresentato il taglio? Il grafista taglia l‟occorrenza di grafo e rovescia

il pezzo omesso in modo da esibire la parte ruvida, che diventa segno dell‟occorrenza di grafo

negata e così sul recto compare il ruvido, che, in alternanza alle parti lisce, crea discontinuità.

Nella terza, quarta e quinta convenzione Peirce insieme alla nozione di taglio, fornisce altre

nozioni come luogo del taglio, linea d‟identità, selettivi, e si sofferma sulle possibili connessioni

tra le diverse occorrenze di grafo254

. A tal proposito Peirce rileva che ciò che ancora non è

stato formalizzato è presente all‟interno dell‟universo asseribile, ma non è ancora gestibile, non

è ancora utilizzabile sul piano formale.

Riprendiamo le sequenze argomentative del testo e soffermiamoci sulla quinta convenzione,

la quale, secondo Peirce, ricomprende essenzialmente le convenzioni precedenti e soprattutto le

spiega.

Infatti il taglio del grafista, e la comunicazione con l‟interprete, che condizionano il

configurarsi delle occorrenze di grafo, come linee d‟identità, selettivi, servono a comporre

proposizioni che stabiliranno un rapporto di implicazione, in modo tale da pervenire ad una

conclusione vera. Infatti Peirce ritiene che “le convenzioni sopraesposte […] non sono altro

che lo sviluppo e l‟inevitabile risultato che scaturisce dall‟unica convenzione seguente: “Se un

qualsiasi Grafo A asserisce che uno stato di cose è reale, e se un altro grafo B asserisce lo

250

CP 4.512. 251

Cfr.Ibidem. 252

CP 4.399. 253

Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.236. 254

I significati designati da tali termini sono reperibili nelle tavole che seguono la conclusione del capitolo, in cui

sono stati raggruppati le principali definizioni, convenzioni, autorizzazioni, contenuti all‟interno dei Prolegomena to

an Apology for Pragmaticism e di On Existential Graph, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra.

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stesso di un altro stato di cose, allora AB, risultante dal tracciato sia di A sia di B sulla facciata,

asserirà che entrambi gli stati di cose sono reali”255

. La doppia voluta chiusa è il referente

grafico del rapporto di implicazione: nel recinto esterno viene posto l‟antecedente, nel recinto

interno viene inserito il conseguente, il limite esterno viene denominato muro e il limite interno

steccato.

La proposizione rappresentata graficamente con la doppia voluta è una condizionale regolata

da un rapporto di implicazione materiale. In generale quando si è in presenza di una

implicazione materiale bisogna tenere presente che non vi è alcuna connessione reale tra

l‟antecedente e il conseguente ed essa è sempre vera, tranne nel caso in cui l‟antecedente è

vero e il conseguente è falso. L‟implicazione è sempre vera quando abbiamo un antecedente

falso e un conseguente vero: ciò significa che qualunque sia la premessa inconsistente

l‟argomento risulterà valido. Per comprendere il tipo di inconsistenza di cui parliamo, dobbiamo

tenere presente che le premesse inconsistenti non sono prive di significato, esse al contrario

contengono un elevato tasso di significazione, cioè esse implicano ogni cosa. Ma se è così, tali

premesse implicheranno anche il falso e quindi la loro negazione. Infatti secondo i paradossi

dell‟ implicazione materiale, se una proposizione è falsa, allora implica qualsiasi proposizione, e

se una proposizione è vera, allora quest‟ultima è implicata da qualsiasi proposizione: il vero

segue da ogni cosa, perché se q è vero di per se stesso segue a qualsiasi p, non importa se vero

o falso. In realtà l‟implicazione materiale astrae completamente da ogni connessione causale o

contestuale tra l‟antecedente e il conseguente e costituisce la condizione minima sufficiente per

la validità di tutte le implicazioni.

Insomma il condizionale per essere vero non deve essere supportato da altre premesse, per

avere un condizionale sempre vero bisogna avere un antecedente falso, poiché, come è stato

detto, dal falso segue ogni cosa. E quindi potremmo dire: “Poichè è falso che la luna è fatta di

formaggio verde ne segue che la luna è fatta di formaggio verde implica che la terra è

rotonda”256

.

Ora prima di passare all‟analisi dei grafi qui presentati nel testo, teniamo presente la prima

autorizzazione, che qui viene accennata e poi ripresa subito dopo nell‟ambito della

trattazione delle altre autorizzazioni. Essa consiste nel ritenere che la struttura dimostrativa

di un argomento non varia, se vengono effettuate aggiunte alle premesse o omissioni alle sue

conclusioni.

255

Ivi, p. 240. 256

I. M. Copi, Introduzione alla logica, by Società editrice il Mulino, Bologna, 1969, p.310.

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Se osserviamo la fig. 4

vedremo che essa esprime un condizionale materiale ovvero asserisce che se A è vera, allora

C e D sono entrambe vere. Se ad essa accostiamo la fig.5

possiamo dire che essa, in base all‟autorizzazione in virtù della quale è possibile qualsiasi

aggiunta nel recinto esterno e qualsiasi omissione dal recinto interno, risulta spiegata, poiché

asserisce che se A e B sono entrambe vere, allora C e D sono ugualmente vere,

indipendentemente da quanto asserito da B.

Ora se ciò che è vero di per se stesso segue a qualsiasi premessa, è possibile comprendere la

fig.6.

Peirce afferma riguardo alla figura suddetta: “questa doppia voluta chiusa con il recinto esterno

vuoto giustifica l‟asserzione che se, non importa che cosa sia altrimenti vero, C è in ogni caso

vero; cosicché i due muri crollano, spariscono insieme, e lasciano che i contenuti del recinto

interno se ne stiano da soli asseriti in campo aperto”257

. Tale spazio sia che si presenti vuoto

sia che venga riempito non inficia l‟assunzione. E quindi in questo senso, precisa Peirce, la

257

Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p. 241.

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facciata femica è l‟asseribile, in essa viene asserito tutto, in questi termini essa equivale al

vuoto. E allora per porre è necessario determinare, ma questo è possibile a patto che si neghi

l‟antecedente: se devo giustificare il conseguente, allora è necessario negare l‟antecedente.

Evidentemente in una prospettiva filosofica in cui non si parte da assiomi bensì da assunzioni,

un‟implicazione come quella materiale risulta assolutamente feconda, poiché secondo Peirce

non si ha nulla alle spalle e quindi, come è stato detto, è necessario negare al fine di giustificare

ciò che si assume. In questo contesto negare significa negare una possibilità per potere inferire

un giudizio esistenziale e infatti, in linea con l‟impostazione peirceana non si parte mai da un

principio ma da una ipotesi. E allora dato che un condizionale de inesse, a differenza di altri

condizionali, asserisce soltanto che o l‟antecedente è falso o il conseguente è vero, ne consegue

soltanto che se sopprimiamo il conseguente e lasciamo sussistere solo l‟antecedente, che può

essere qualsiasi proposizione racchiusa in un ovale, allora quest‟antecedente si trova ad essere

con ciò negato. Quindi per affermare è necessario negare, infatti ogni determinazione deriva da

una negazione: il grafista pone sul recto cioè taglia e lo spazio che usa all‟interno del recto è

uno spazio delimitato che deriva da una negazione: il grafista pone perché ha negato tutte le

premesse, pone un conseguente perché ha negato tutte le premesse258

. Leggiamo questa chiara

definizione di taglio: “Per taglio si intende una linea self-returning [….] che divide tutto ciò che

è recintato dal foglio di asserzione su cui esso stesso si trova [….] Un taglio non è un grafo, ma

un recinto è un grafo”259

. È importante distinguere il taglio dal grafo, poiché il taglio è

un‟operazione, è un‟azione, il cui frutto sarà quello di guadagnare una determinazione. È la

negazione che diventa traccia di quel derivabile da cui è venuta fuori la possibilità di porre

un‟assunzione: se non si realizza l‟operazione del taglio non è possibile aver notizia della

totalità nella quale sta comunque quel taglio. In questi termini diventa fondamentale la nozione

di taglio, perché esprime la negazione dell‟antecedente, ma essa diventa centrale anche perché

costituisce l‟elemento dinamico e fecondo dell‟azione grafica, poiché l‟antecedente negato

espresso graficamente attraverso un ovale, così come sarà mostrato nei grafi che verranno

analizzati successivamente, aprirà una dialettica grafista-interprete, a conclusione della quale

si potrà ottenere il suo conseguente.

Infatti già ne Il Rinnovamento della logica (1896) La Logica dei Relativi (1897), e nella

Speculative Grammar Peirce aveva chiarito che l‟assunzione di ogni proposizione

presuppone un dialogo tra parlante e ascoltatore, poiché la proposizione asserita da un parlante

si riferisce ad uno stato di cose, sia nel caso in cui vi siano indici definiti, come potrebbero

essere i nomi dimostrativi e i nomi propri, che designano il dominio ovvero la serie degli oggetti

258

In On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra Peirce così esprime la rappresentazione grafica

del condizionale de inesse: “Disegniamo una linea chiusa che possiamo chiamare siepe [….], che escluderà ciò che

contiene il foglio di asserzione. Stabiliamo che questa siepe, assieme a tutto ciò che è al suo interno, considerato come

un tutto, sia chiamato comprensorio; questo recinto, essendo scritto sul foglio di asserzione, asserirà il condizionale de

inesse; ma ciò che racchiude, considerato separatamente dalla siepe, non sarà considerato come se fosse sul foglio di

asserzione. Allora, naturalmente, l‟antecedente e il conseguente devono essere in compartimenti separati del recinto.

Allo scopo di rendere iconica la rappresentazione della relazione tra essi, dobbiamo chiederci quale relazione spaziale è

analoga alla loro relazione. Ora se è vero che “Se a è vero, b è vero” e Se b è vero, c è vero, allora è vero che “Se a è

vero, c è vero”. Questo è analogo alla relazione geometrica di inclusione. L‟analogia è così naturalmente stringente da

essere ( io credo) usata in tutti i linguaggi per esprimere la relazione logica”. Ivi, p.616.

259

CP 4.399.

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che condividono una relazione espressa dal predicato della proposizione, sia nel caso in cui vi

siano indici che corrispondono ai quantificatori. Nel caso in cui l‟asserzione sia espressa da

quantificatori, questi ultimi non sono già dati come nel primo caso, e quindi a fortiori

richiedono all‟interprete della proposizione un ruolo attivo, affinchè quest‟ultimo sottoponga

a verifica i possibili oggetti denotati dagli indici della proposizione assunta. Essenzialmente,

secondo Peirce, vi sono due modalità con le quali si possono costruire modelli al cui interno

indicare oggetti, o selezionando un qualsiasi individuo all‟interno di un dominio, e questo è il

caso rappresentato dal quantificatore universale, o restringendo il campo entro il quale reperire i

possibili oggetti, che corrisponde alla condizione del quantificatore esistenziale. Peirce, infatti,

afferma: “In every assertion we may distinguish a speaker and a listener. [….] Every subject, when it is

directly indicated, as humanity an mortality are, is singular. Otherwise, a precept, which may be called

its quantifier, prescribes how it is to be chosen out of a collection, called its universe. [….] But in

necessary logic [….] To quantifiers are required; the universal quantifier which allows any object, no

matter what, to be chosen the universe, and the particolar quantifier, which prescribes that a suitable

object must be chosen”260

.

In questi termini i ruoli del parlante e dell‟ascoltatore sono regolati rispettivamente dal

quantificatore esistenziale e da quello universale. In che senso? Peirce più avanti spiega che se

in una proposizione il soggetto non è un nome proprio e non risulta designato dall‟esperienza

cui appartengono parlante e ascoltatore, e allora tale designazione viene realizzata o mediante

un precetto in virtù del quale viene riservata all‟interprete la possibilità di scegliere qualsiasi

oggetto, o mediante una scelta che deve essere effettuata dal parlante che, diversamente

dall‟ascoltatore, ritaglia l‟oggetto che gli risulta più conveniente: il primo caso sarà espresso

dal quantificatore universale, il secondo caso da un quantificatore esistenziale261

.

Dunque per comprendere la dinamica del grafo è necessario tenere presente i ruoli diversi del

grafista e dell‟interprete: il grafista rappresenta il verificatore262

, cioè colui che legittima la

proposizione assunta, se riesce a trovare degli elementi che la verificano contro un possibile

attacco dell‟universale che è il falsificatore della proposizione, in cui consiste il ruolo svolto

dall‟interprete. È importante sottolineare che in questa dialettica tra grafista e interprete

intervengono due negazioni: la negazione „duale‟ e la negazione contraddittoria. Nel caso

della negazione duale si verifica un cambiamento di ruolo, che viene esercitato ora dal

grafista ora dall‟interprete, infatti se viene negato il quantificatore esistenziale la scelta passa

al grafista, se viene negato il quantificatore universale la scelta sarà affidata all‟interprete. La

negazione contraddittoria, invece, coincide con la negazione delle proposizioni ora assunte dal

grafista ora confutate dall‟interprete. Quindi è importante nella dialettica grafista-interprete

distinguere i ruoli dalle mosse effettuate da questi ultimi. Lungo il percorso dimostrativo si

verificheranno momenti in cui il grafista e l‟interprete eserciteranno rispettivamente i ruoli di

260

CP 2.334;2.339 passim. 261

Cfr. CP 2.357. 262

I termini quali verificatore, falsificatore, negazione duale, negazione contraddittoria sono termini adottati da

Hintikka, ma sembra possibile utilizzarli per la decodifica della dinamica dei grafi esistenziali di Peirce. Per una

perspicua analisi della logica di Hintikka cfr. M. Panzarella, Logica dei quantificatori dipendenti e indipendenti, Franco

Angeli, Milano, 2009.

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verificatore e di falsificatore, formalizzando così la negazione „duale‟, e azioni vere e proprie,

compiute ora dal grafista ora dall‟interprete che troveranno espressione nella negazione

contraddittoria.

Ma Peirce da dove tira fuori questa idea della cosiddetta negazione „duale‟? Essa scaturisce

proprio dalla valenza pragmatica del segno, infatti è opportuno tenere presente che una

proposizione è un segno e quest‟ultimo diventa un segno in atto nel momento in cui esso sta

per un interpretante, e infatti in Truth, Peirce così argomenta:

“To say that a proposition is true is to say that every interpretation of it is true. Two propositions are

equivalent when either might have been an interpretant of the other. This equivalence, like other, is by

an act of abstraction (in the sense in which forming an abstract noun is abstraction) conceived as

identity. And we speak of believing in a proposition, having in mind an entire collection of equivalent

proposition with their partial interpretants [….] The interpretant of a proposition itself a proposition.

Any necessary inference from a proposition is an interpretant of it”263

. In questi termini è evidente

che anche i passaggi apparentemente più tecnici della logica grafica

sono profondamente legati all‟impianto semiotico-pragmatico: è inevitabile tenere presente

sempre il nesso profondo tra logica e semiotica per cogliere i tratti originali della logica grafica,

e, non solo, ma anche per capire, come è stato già detto, che il fine della logica è quello di

comprendere il reale, attingibile solo attraverso la grammatica segnico-logica.

Ritornando ai ruoli del grafista e dell‟interprete, già nella Logica dei relativi del 1897 Peirce

attribuisce loro non soltanto il ruolo di esprimere la qualità delle proposizioni ma anche la

quantità. Infatti Peirce si esprime in questi termini: “[….] Ciò che dovrebbe significare ai fini della

sillogistica è il fatto che, invece di lasciare la scelta del caso particolare - come avviene quando

diciamo, qualunque uomo non è buono”, - al negatore della proposizione, quando diciamo

“qualche uomo non è buono”, questa scelta è trasferita al negatore del negatore, vale a dire al sostenitore

della proposizione [….]”264

.

Ora se è chiaro che la qualità e la quantità delle proposizioni vengono espresse dal grafista e

dall‟interprete, sul piano strettamente grafico in che modo comprendiamo di essere in presenza

di una proposizione universale o affermativa particolare e di trovarci di fronte alle eventuali

mosse dell‟interprete o del grafista?

Nello scritto On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra del 1903 Peirce

all‟interno di un corollario riassume le espressioni grafiche della qualità, della quantità, nonché

dei connettivi sia disgiuntivi che congiuntivi delle proposizioni, realizzando una versione

sistematica delle acquisizioni alle quali era già pervenuto nel 1897: “Un grafo può essere

interpretato per mezzo di congiunzioni e disgiunzioni. Vale a dire, se un grafo all‟interno di un

numero dispari-incluso, e un grafo all‟interno di nessuna siepe265

o di un numero pari di siepi è

detto essere pari-incluso, allora schemi nello stesso compartimento sono uniti quando sono

pari-inclusi e combinati disgiuntivamente quando sono dispari-inclusi; e qualsiasi linea di

identità la cui parte più esterna è pari-inclusa, si riferisce a „qualcosa‟, e qualsiasi linea

263

CP 5.569. 264

Peirce, La Logica dei Relativi (1897) cit., p. 938. 265

Con il termine siepe si intende una curva chiusa che avvolge un grafo, ed essa rappresenta il segno di negazione

del contenuto del grafo.

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d‟identità la cui parte più esterna è dispari-inclusa, si riferisce a qualsiasi cosa ci possa essere.

E l‟interpretazione deve iniziare fuori da tutte le siepi e procedere verso l‟interno. E gli schemi

pari-inclusi devono essere presi come affermazioni; quelli dispari-inclusi come negazioni”266

.

Da ciò si evince che gli schemi pari-inclusi rappresenteranno particolari affermativi e quelli

dispari-inclusi proposizioni universali o implicazioni esistenziali. Se il grafista intende

esprimere un giudizio esistenziale, come ad esempio qualche uomo è calvo, ricorre alla linea

d‟identità pari-inclusa e non ha la necessità di effettuare tagli e di istituire la dialettica con

l‟interprete, mettendo in atto la negazione duale, come invece è essenziale nel caso della

giustificazione di un giudizio universale.

Tale corollario è presupposto nei Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, ma esso è

assai importante, perché per leggere i grafi di Peirce è necessario inforcare gli occhiali della

dialogicità, poiché le asserzioni sono essenzialmente segni e, conformemente alla grammatica

segnica, devono esporsi ad un confronto, ad un‟azione, ad una scelta, infatti il grafista più che

descrivere qualcosa, lancia una sfida relativamente a ciò che può essere assunto; l‟interprete

raccoglie la sfida e così si snodano i passaggi di un percorso al cui termine si sarà guadagnata la

conclusione, la quale è attingibile soltanto dopo che la dialettica tra grafista e interprete si sia

dispiegata.

Ora sulla base delle convenzioni esplicitate dal testo preso in esame e di quelle presupposte,

perché affermate nei testi precedenti, sebbene alcune di esse siano intanto mutate, perché

sottoposte ad un lavoro continuo di autocorrezione e reinterpretazione, è possibile procedere

alla lettura e alla comprensione dei grafi che verranno ora esaminati.

Analizziamo il grafo espresso dalla fig.7:

La prima mossa effettuata dal grafista è quella di tagliare. Tagliare significa negare, come

abbiamo già detto. Ma qui nel contesto grafico negare non significa soltanto negare una

proposizione universale negativa ma aprire anche un dialogo con l‟interprete, nel senso che il

grafista taglia per comunicare all‟interprete le sue assunzioni, il quale avrà la funzione di

confutare la proposizione proposta dal grafista. E allora in questo caso il grafista comunica la

negazione dell‟esistenza di uomo e l‟appartenenza del predicato al soggetto cioè „nessun uomo

è non mortale‟. Tenendo presente la convenzione sulla distinzione tra la linea d‟identità dispari-

inclusa e la linea pari-inclusa, osserviamo che in questo grafo la linea d‟identità è dispari-

inclusa e quindi questa notazione grafica ci avverte del fatto che il grafista intende giustificare

266

On Existential Graph, Euler‟s diagrams and Logical Algebra, cit.,p. 630.

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una proposizione universale e che è necessario passare il ruolo all‟interprete, perché apra il

processo dialettico, che permetterà di guadagnare la giustificazione della proposizione assunta.

Infatti viene messa in atto la negazione duale, che, come è stato detto, consiste in un

passaggio di ruolo e nel caso in cui il grafo esprime una linea d‟identità dispari-inclusa, come

quello espresso dalla fig.7, il grafista deve tagliare, ovvero incidere l‟occorrenza di grafo da

negare e ribaltare il pezzo reciso, in modo tale che l‟interprete, che si trova sul verso della

facciata femica, possa leggere sul recto. Intanto il grafista effettua la negazione duale,

demandando all‟interprete la prima mossa, poiché ad esso è affidato il ruolo di rappresentare il

quantificatore universale, e quindi all‟interprete viene lasciata la possibilità di determinare sia

la qualità sia la quantità della proposizione comunicata. E allora nel momento in cui il grafista

taglia, nega il quantificatore universale, e questo atto, lo ripetiamo ancora, coincide con la

negazione duale, perché l‟atto di negare il quantificatore universale, espresso graficamente

con una linea d‟identità dispari-inclusa, s‟identifica con il passare il ruolo di falsificatore

all‟interprete, il quale tenterà di confutare l‟assunzione del grafista effettuando la negazione

contraddittoria ovvero la negazione della proposizione. Infatti nel grafo espresso dalla fig.7,

che cosa leggerà l‟interprete?267

L‟interprete leggerà sul recto „nessun uomo è mortale‟, poiché

viene letto l‟effetto della negazione e quindi non viene letto „non possibilmente (tutti gli

uomini sono non mortali)‟ ma soltanto „tutti gli uomini sono non mortali‟ ovvero „nessun uomo

è mortale‟. L‟interprete rimarrà schiacciato dalle assunzioni del grafista, perché nel momento in

cui legge „nessun uomo è mortale‟ non dispone di altre possibilità per contrastare il grafista,

perché non può reperire nel suo universo un uomo che non è mortale da inserire sul recto e

allora cancella e contraddice la negazione della proposizione universale negativa, il cui risultato

asserirà un‟implicazione esistenziale: „se alcunché è un uomo, allora è mortale‟. In questi

termini l‟interprete, contraddicendo le assunzioni del grafista, le confermerà facendole valere

come vere.

E infatti il grafista guadagnerà la giustificazione della sua asserzione, la quale, dopo essere

stata espressa in forma negativa ed esposta alla dialettica con l‟interprete, assume

un‟espressione esistenziale confermando così il ruolo attribuito al grafista, che è quello di

rappresentare il quantificatore esistenziale. Queste condizioni sono necessarie, poiché per

esprimere giudizi di esistenza è necessario negare, l‟esistenza è frutto di negazione, tutti i grafi

si configurano come esistenziali perché sono negazione di proposizioni universali negative. Si

parte da una possibilità e si arriva ad una necessità logica.

Come è stato detto sulla facciata femica si pone attraverso la negazione dell‟antecedente e

questa viene realizzata graficamente con il taglio ovvero incidendo il perimetro dell‟occorrenza

di grafo da negare. Ma la negazione non è soltanto necessaria per porre ma anche per

comunicare la verità posta, infatti questa condizione iniziale si ripete nella costruzione stessa del

grafo.

267

A tal proposito è importante precisare che se si osserva il grafo espresso dalla fig.7 il taglio tratteggiato non indica la

negazione ma la possibilità della negazione. Infatti ad esempio, scrive Peirce, se inseriamo all‟interno di un taglio

tratteggiato la proposizione „piove‟ essa verrà letta nel seguente modo: “It is possible that it does not rain”. CP 4.515.

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Se il grafista pone sempre a partire dalla negazione, e allora sul recto compaiono parti ruvide,

poiche è utile tenere presente che quando il grafista taglia, incide intorno all‟ occorrenza di

grafo e ribalta il pezzo reciso in modo da esibire la parte ruvida, che diventa segno

dell‟occorrenza negata. E allora sul recto compare il ruvido, che, in alternanza alle parti lisce,

crea discontinuità.

Il recto è l‟universo asseribile, ma non leggibile. È nella comunicazione che si crea il

significato, la negazione non apre soltanto la verità all‟asseribilità ma anche alla dialogicità268

.

E la negazione con le sue espressioni grafiche, il taglio, il ruvido, traccia il discontinuo,

ponendosi come l‟unica condizione che rende possibile la comunicazione del continuo, del

vero. Infatti, abbiamo avuto modo di constatare che il taglio del grafista e la contraddizione

dell‟ interprete diventano i passaporti della verità. Per arrivare al vero dobbiamo mettere in

comune qualcosa, e poi procedere ad osservarlo, contraddirlo e leggerlo. È soltanto dopo

questo percorso che è possibile giustificare le occorrenze presenti nella facciata femica: per

capire i dati, ci insegna Peirce, bisogna inserirli all‟interno di giudizi, ma a loro volta i giudizi

sono reperibili se troviamo i loro conseguenti e antecedenti. Così come nella realtà il pensiero

è sollecitato a fare le sue abduzioni sulla base dei dati, allo stesso modo il grafista parte dalle

occorrenze di grafo per giustificarle all‟interno di giudizi esistenziali, e infatti la fig. 8 significa

„qualcosa è un uomo‟ ed essa risulta giustificata a partire dal giudizio esistenziale espresso dalla

fig. 7 „se alcunché è un uomo, allora è mortale‟. E così è possibile connettere dati isolati,

occorrenze, cioè è possibile provvedere alla loro integrazione, inserendoli all‟interno di giudizi,

conferendo loro una ratio.

Sulla pura possibilità dello spazio femico il grafista attraverso il taglio assume e comunica

all‟interprete al fine di vedere confermata o smentita la propria assunzione, ma, insieme

all‟operazione del taglio, comunica e sviluppa le sue asserzioni attraverso una vera e propria

sperimentazione del grafo, che si estrinseca attraverso operazioni quali inserzione,

cancellazione, iterazione e deiterazione, che, sulla base delle premesse assunte, producono

conclusioni, consentendo il passaggio dalla Possibilità alla Necessità.

Il grafista è un costruttore, traccia occorrenze per connetterle e allora è tenuto ad iterare i grafi

che via via costruisce per mantenere la traccia, per mantenere il continuum, per consentire la

possibilità di tenere presenti tutti i passaggi ai fini di una corretta sequenzialità dell‟ iter

dimostrativo. Procedendo nel testo Peirce enuncia la seconda autorizzazione: “Iterare un

grafo significa tracciarlo di nuovo, congiungendo con legami ogni capo della nuova occorrenza

al corrispondente capo della occorrenza originaria. Deiterare un grafo significa cancellare una

sua seconda occorrenza, ciascun capo della quale è congiunto da un legame a una prima

occorrenza”269

. In base a queste regole di trasformazione i grafi

rappresentati sono comprensibili, infatti se ci chiediamo cosa significhi il grafo espresso

268

È utile tenere presente che logici come Hintikka e Ketner hanno valorizzato e sviluppato l‟idea peirceana di

ragionamento diagrammatico; in particolare Hintikka riconosce Peirce come precursore della semantica della teoria dei

giochi. Altri studiosi stranieri come Sun Joo Shin, F. Zalamea vedono nel sistema dei grafi una valenza decisamente

teoretica. 269

Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.242.

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dalla fig. 9, possiamo dire che esso è il risultato di un‟iterazione e di una deiterazione. Infatti il

grafo della fig.9 viene iterato per congiungerlo ad una nuova occorrenza, denominata donna,

successivamente viene deiterato per lasciare unicamente l‟occorrenza donna. E allora come

leggiamo questo grafo? Tenendo presente che ogni determinazione è una negazione e quindi

frutto di un taglio, leggiamo la negazione della seguente proposizione:„non (tutti i non cattolici

implicano la possibilità di non adorare una donna)‟. Ora il grafista perché possa affermare e

comunicare la sua asserzione itera il termine donna all‟interno dell‟occorrenza di grafo, dando

così luogo al grafo espresso dalla fig.10. Nello scambio della comunicazione tra il grafista e

l‟interprete, quest‟ultimo legge: „tutti i non cattolici implicano la possibilità di non adorare una

donna‟ ovvero „nessun cattolico implica la possibilità di adorare una donna‟, poiché, come è

stato già detto, legge l‟effetto della negazione. Ricordiamo che il grafista traccia e ribalta,

quindi l‟interprete legge ciò che è tracciato sul pezzo ribaltato.

Ora come potrebbe il grafista contraddire? Dovrebbe trovare un cattolico che adora una

donna, ma non lo trova, e allora rimane bloccato e, in virtù della regola di cancellazione,

elimina sul recto donna e passa la parola al grafista. Il grafista leggerà sul verso „non (tutti i non

cattolici adorano una donna)‟ che è l‟equivalente della seguente implicazione esistenziale: „se

alcunché è un cattolico, allora adora una donna‟.

Qui abbiamo avuto modo di constatare che con le regole di trasformazione e la dialettica tra

interprete e grafista si perviene ad una conclusione necessaria, infatti è necessario che qualsiasi

segno venga esposto all‟interpretazione e che qualsiasi assunzione si sottoponga ad una vera e

propria sperimentazione per approdare a conclusioni necessarie.

Oltre che iterare, deiterare, inserire, cancellare, il grafista inserisce sulla Facciata femica

elementi che apparentemente possono rivelarsi assurdi e paradossali, e che in seguito potranno

rivelarsi fruttuosi. Ciò consente di elevare il tasso di sperimentabilità del grafo per potere

escogitare inediti rapporti, che si potranno rivelare preziosi ai fini della dimostrazione.

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Se la prima e la seconda autorizzazione contengono le operazioni fondamentali per

sperimentare sui grafi, non sono da trascurare i due principi che sono enunciati

successivamente, i quali ci permettono di cogliere la riserva, la potenzialità del grafo e la sua

interna dinamicità. Infatti proprio perché il grafo è trasformabile, è necessario non dimenticare,

secondo il primo principio, che non è possibile cancellare lo spazio vuoto tra i grafi, perché è

possibile supporre che il grafista possa tracciare premesse non ancora poste, a meno che non

siano tracciati grafi con occorrenze che coprano l‟intero spazio vuoto, d‟altra parte la facciata

femica è l‟universo asseribile, e in quanto tale suscettibile sempre di nuove possibili asserzioni.

A tal proposito Peirce afferma: “[….] If the sheet be blank, this blank whose existence consists

in the absence of any scribed graph, is itself a graph”270

.

L‟altro principio consiste nel ritenere che un punto, essendo un‟implicazione dello spazio vuoto,

può essere inserito in qualunque area: un continuum di punti contigui che possono denotare un

singolo individuo, che coincide con quella che viene denominata linea di identità, nel momento

in cui viene posto, nega quel grafo in cui consiste lo spazio vuoto e che è denominato grafo

assurdo, il cui significato equivale alla seguente proposizione: “Qualunque cosa tu voglia

assumere è vera”271

.

La terza autorizzazione enuncia la regola del doppio taglio che scaturisce dai due principi ora

menzionati: “Due tagli l‟uno dentro l‟altro, con niente fra loro, a meno che ci siano legami che

trapassino da fuori del Taglio esterno sin dentro al Taglio interno, possono essere introdotti o

aboliti su qualsiasi Area”272

. Cosa significa questa regola? Il grafista quando taglia, ribalta la

parte della facciata femica negata, e in questo modo farà comparire sul verso una parte liscia

e sul recto una parte ruvida; qualora il grafista dovesse effettuare un‟altra negazione,

ribalterà la medesima parte ruvida e così sul recto ricomparirà la parte liscia, in questi termini

il grafista non comunica nulla con il doppio taglio, ma non cancella lo spazio vuoto. La regola

del doppio taglio è particolarmente significativa, poiché da un lato ci permette di comprendere

che è possibile introdurre o eliminare la doppia negazione, perché essa non esprime nulla

rispetto a ciò che è dato, ma dall‟altro ci permette di comprendere che lo spazio vuoto non è

eliminabile. Infatti Peirce precisa che “il Grafo assurdo può anche prendere la forma di un

Comprensorio con l‟Area interamente Vuota o che comprende soltanto qualche Occorrenza di

un Grafo implicato nello Spazio Vuoto”273

.

Introdotte queste autorizzazioni, teniamo presente che il fine è quello di comprendere che il

ragionamento ha bisogno di figure visive e concrete per elaborare conclusioni necessarie, per

realizzare tale scopo è necessario inserire dati e giustificarli ovvero porre tagli, legami o linee

d‟identità, selettivi, i quali rispettivamente esprimono l‟assunzione di proposizioni, di

predicati, di connessioni tra predicato e soggetto, e costanti individuali.

La linea di identità si rivela particolarmente preziosa poiché permette l‟inserimento di una

replica all‟interno di un campo assertivo, consentendole di acquisire significato. Il rema svolge

270

CP 4.397. 271

Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.243. 272

Ivi,p.244. 273

Ibidem.

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la funzione di assumere un‟idea, esso è un‟assunzione ed è necessario che venga connesso a

delle linee di identità per affermare un‟asserzione. Esso mostra degli spazi vuoti e riconosce le

sue possibili valenze, ovvero i suoi possibili soggetti. Le estremità della linea di identità

diagrammatizzano il soggetto logico, in particolare Peirce specifica che ogni verbo dovrebbe

essere immaginato come una linea con estremità libere. La struttura della proposizione risulta

completamente modificata, poiché essa non dispone di entità statiche, piuttosto sono le relazioni

esplicate dal rema e incarnate dai soggetti, a loro volta indicati dalle estremità libere della linea

di identità, a costituirla. È intrinseca alla struttura della proposizione una processualità, una

costruzione che permette di rendere assolutamente complementare il rapporto tra soggetto e

predicato. Se da una parte i soggetti indicati dalle estremità libere della linea di identità

sembrano riferirsi direttamente all‟esistente, dall‟altra il soggetto ha perso la sua centralità, dal

momento che la sua funzione consiste nel colmare uno spazio predisposto dal predicato stesso.

E quindi gli indici non sono impermeabili alla dimensione concettuale del predicato, poiché lo

spazio vuoto che sarà colmato dall‟indice, è uno spazio intriso di predicazione.

Hookway nell‟ambito della riflessione sul modo in cui Peirce concepisce il rapporto tra

predicati e indici esprime in modo efficace questa relazione affermando “[….] names or inces

are already incorporated in the classification of predicates according to valency”274

.

Precedentemente a proposito del rapporto tra predicati e categorie fenomenologiche Hookway

argomenta in questo modo: “L‟analisi del suo (di Peirce) sistematico linguaggio analitico in cui

tutto il ragionamento potrebbe essere espresso produce due importanti scoperte. Primo, un tale

linguaggio conterrebbe predicati monadici, diadici, triadici, espressioni incomplete di una

valenza, due, tre. Secondo, non conterrebbe qualsiasi espressione di valenza maggiore di tre.

Ci sono tre fondamentali tipi di espressioni predicative: Peirce denomina rispettivamente i

concetti espressi […] con Firstness, Secondness, Thirdness. Queste sono le sue tre categorie

universali”275

.

Riguardo la corrispondenza tra la dimensione indicale e la Secondità si potrebbe dire che così

come la Secondità non è da intendersi come forza bruta, ma come la capacità da parte

dell‟oggetto di rivelarsi, anche l‟indice non è mero dato, ma si pone come elemento idoneo a

contenere la significazione del predicato, qualificandosi come parte del predicato. Se si tiene

presente questo profondo rapporto tra rema e soggetto, si può rendere maggiormente

intelligibile il motivo per cui Peirce preferirà sostituire la linea d‟identità ai selettivi e utilizzare

sul piano grafico le diverse connessioni tra la linea di identità e il taglio. A tal proposito è

opportuno soffermarsi sul modo in cui viene tematizzata la linea di identità nel Pap. In questo

scritto Peirce prende le mosse dal concetto di continuo, sostenendo che se le estremità libere di

una linea di identità vengono intese come definite, ciò contraddice lo stesso concetto di

continuo. Peirce chiarisce che i punti di una linea continua non possono essere considerati

come elementi distinti, attuali, e infatti richiamandosi al concetto di continuo kantiano, il

filosofo prosegue affermando che le parti sono omogenee con il tutto e queste parti omogenee

sono indeterminate in quanto non hanno inizio o fine definiti. Ciò che si può attualizzare

274

C. Hookway, Peirce, Routledge e Kegan, London 1985, p. 88. 275

Ivi, p. 87.

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174

all‟interno di una linea continua è la relazione intercorrente fra punti, poiché per definire la

relazione di un punto su una linea con un altro punto è necessario prendere in considerazione un

terzo punto e così via.

Inoltre per mettere in evidenza il carattere continuo della linea, Peirce ricorda che la linea di

identità non è tracciata soltanto sulle aree Metalliche ma è anche tracciata sul Colore, che

rappresenta la Possibilità. In questo senso, come scrive Ferriani: “due punti collocati

all‟estremità di una linea d‟identità costituiscono un indice (allo stato puro) del medesimo

individuo, svolgendo la funzione di «diagramma» del soggetto logico di una proposizione

meglio dei selettivi, cioè di una serie di occorrenze discrete di variabili individuali”276

.

Se accettiamo profondamente il significato di continuo lineare, non possiamo pensare che le

estremità libere rinviino a soggetti assolutamente determinati. Nell‟ottica pragmatica, così come

dice Apel, la relazione al futuro è costitutiva per il significato277

. Infatti secondo Peirce un

individuo non è mai assolutamente determinato, ma infinitamente determinabile, perché la sua

essenza consisterà in tutte le sue determinazioni che si esplicheranno in una dimensione futura.

E la linea d‟identità è come se sintetizzasse le infinite possibili determinazioni. In questi termini

la linea di identità, in qualità di continuo è veramente abilitata ad esprimere la connessione tra

predicato e soggetto: le estremità libere della linea d‟identità veicolano il magma della

significazione dal quale predicato e soggetto provengono, inverando una relazione che già è

disponibile in ambito semiotico278

. Infatti la linea di identità è simbolica, indicale e iconica. La

linea di identità qualificandosi come segno convenzionale è un simbolo, denotando una

relazione che può riferirsi ad un individuo o altro esprime la sua valenza indicale, nonché come

continuum di punti è “ottimamente l‟icona della continuità nell‟osservazione attenta di un

oggetto individuale”279

. O come dice nello scritto del 1903:

“la linea di identità appare come nient‟altro che un continuum di punti, e il fatto dell‟identità di

una cosa, vista sotto due aspetti, consiste solamente nella continuità dell‟essere nel passare da

un‟apparizione ad un‟altra”280

.

Insieme a queste considerazioni utili per comprendere e sottolineare, come dice lo stesso Peirce,

il valore straordinario di un segno, come la linea di identità, la cui natura simbolica e iconica la

rende plastica e adeguata ad una rappresentazione grafica, in cui assume particolare

significatività l‟operazione del taglio, è importante concepire la linea di identità come un ens

rationis. Essa infatti, come abbiamo detto più che identificare un singolo individuo esprime la

relazione che intercorre tra diversi predicati attribuibili ad un singolo individuo oppure denota

la non-identità, che esprime attraverso la denotazione di due individui diversi. Essa può porsi

276

M. Ferriani, I grafi esistenziali peirceani: genesi e motivi di una notazione, «Lingua e stile» 25 (1990), n.3 p. 401. 277

Cfr. Apel Karl Otto, Charles S. Peirce: From pragmatism to pragmaticism, Ambert, University of Massachussets

Press, 1981, p.109. 278

A tal proposito Sun Joo Shin afferma: “For visual clarity Peirce adopts a line (which is a graphical object) instead of

a variable (which is a symbolic object) to represent numerical identity among individuals. The connection of the

endpoints by one line visually represents the identify of the individuals denoted by those endpoints. Also, one line with

branches is more visually perspicuous than several tokens of one type of variable”. Sun Joo Shin, The Iconic Logic of

Peirce‟s Graphs, The Mit Press, Cambridge 2002 p.106. 279

Peirce, Il fondamento del Pragmaticismo,in Pragmatismo e grafi esistenziali, a cura di S. Marietti, Jaca Book,

Milano 2003 p.203. 280

Peirce, On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra, cit., p.625.

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come espressione di diverse relazioni e può essere rappresentata in diversi modi, e proprio

questa sua plasticità crea le condizioni per una maggiore trasformabilità del grafo.

Così come il concetto matematico di collezione è un ens rationis, allo stesso modo la linea di

identità è un continuum che si svolge tra il predicato e il nome cioè essa produce nuove forme

di individualizzazioni che troveranno concretezza nei selettivi. Nel sistema dei grafi la linea

d‟identità, come rileva Peirce, è al „massimo grado iconica‟ poiché permette di scoprire nuove

relazioni e di identificare tali relazioni con la dimensione del nome, realizzando così un

simbolo. In questo senso nel nome si sedimenta, si accumula tutta la continuità di cui è gravida

la linea d‟identità.

Riprendendo l‟iter espositivo dei Prolegomena to an Apology for pragmaticism, si potrà

constatatare nei grafi espressi dalla figura 12 e 13 la forza della linea di identità

indipendentemente dalle contromosse dell‟interprete e soprattutto si potrà riscontrare il fatto

che, se pur si elimina una parte esterna della linea d‟identità, di essa comunque rimarrà sul

taglio un punto assolutamente giustificato: essa, come vedremo, resisterà alle mosse effettuate

dall‟interprete. Già nel 1903 in On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and logical Algebra

Peirce affermava: “Se una linea dentro la siepe è prolungata fino alla siepe, all‟istante in cui

arriva alla siepe la sua estremità viene improvvisamente identificata come dato di fatto, ed è

significativo - con un punto esterno alla siepe; e così il prolungamento assume improvvisamente

un carattere interamente differente da un prolungamento ordinario e non significativo. Questo ci

dà il seguente Principio condizionale N.4: solo le connessioni o la continuità delle linee

d‟identità sono significative, non la loro forma o dimensione [….] la giunzione o disgiunzione

di una linea d‟identità dentro la siepe con un punto sopra la siepe segue sempre le stesse regole

della sua connessione o sconnessione con un punto marcato dentro la siepe”281

.

Procediamo ad analizzare il grafo espresso dalla fig.12, qui il grafista assume la seguente

proposizione: „esiste un milionario che non è sfortunato‟ e procede a giustificarla. Analizziamo

in che modo il grafista potrà affrontare le mosse e l‟eventuale contraddizione dell‟interprete, al

fine di trasformare tale proposizione in un giudizio esistenziale.

Come è stato detto, perché il grafista possa affermare qualsiasi proposizione deve effettuare un

taglio sulla Facciata femica, cioè deve negare una proposizione universale negativa, e allora il

grafista taglia e ribalta la parte della Facciata femica negata. L‟interprete leggerà „Nessuno C è

sfortunato‟. È bene ricordare che l‟interprete trovandosi dalla parte del verso non vede

l‟operazione del taglio ma l‟esito del taglio e quindi non leggerà „non (Tutti i C sono non

sfortunati)‟ bensì „Nessun C è sfortunato‟.

In che modo l‟interprete può contraddire? Quest‟ultimo dispone di due possibilità: o nega il

soggetto o il predicato. Leggiamo il grafo parziale sul luogo del taglio espresso dalla figura 12:

281

Ivi, p. 651.

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“Il grafo parziale sul luogo del taglio afferma che esiste un individuo, denotato dall‟estremità

esterna al Taglio della linea d‟identità, il quale è un milionario. Chiamiamo quest‟individuo C.

Allora, dato che punti contigui denotano i medesimi oggetti individuali, l‟estremità della linea

d‟identità nell‟Area del Taglio è anch‟essa C, e il Grafo Parziale su quest‟Area afferma che,

qualunque sia l‟individuo scelto dall‟Interprete a piacere, quell‟individuo o non è C oppure

non è sfortunato”282

.

E allora, considerando le due opzioni, ora espresse, possiamo dire che la prima non è

praticabile, poiché in considerazione del fatto che la linea d‟identità è un continuum, C rimane

dentro il taglio, d‟altra parte il punto non è isolabile all‟interno della linea, come è stato detto

precedentemente la linea d‟identità è una relazione tra proprietà, e in questo senso non è una

somma di elementi discreti, la linea d‟identità è come un filo che tiene insieme sia il recto che il

verso, infatti se la linea d‟identità venisse tagliata, è come se venisse cancellato il predicato,

ma l‟interprete ha la funzione soltanto di contraddire e non di eliminare. Quindi se l‟interprete

dovesse scegliere non C e dovesse affermare che non esiste un milionario non sfortunato,

cadrebbe in contraddizione, poiché C rimane dentro il taglio e quindi ciò che non riesce a fare

l‟interprete è quello di trovare un elemento alternativo a C, e quindi viene legittimata la

proposizione assunta dal grafista, perché il predicato non sfortunato è predicato di C e non di un

altro individuo.

Ora nel momento in cui l‟interprete scegliesse l‟altra opzione ovvero non sfortunato, dal

momento che C rimane dentro il taglio, allora il predicato „non sfortunato‟ sarebbe attribuito a

C, ma ciò confermerebbe la proposizione posta dal grafista, perché se l‟interprete sceglie non

sfortunato, l‟interprete afferma che C non è sfortunato, giustificando così la proposizione che

gli era stata comunicata dal grafista.

Tale grafo in modo immediato esprime la demolizione della struttura tradizionale della

proposizione, nel senso che la proposizione viene posta soltanto in relazione al contraddittorio,

infatti la proposizione sarà giustificata soltanto all‟interno del taglio, poiché è il taglio che apre

la comunicazione con l‟interprete e pone le condizioni perché la proposizione possa divenire

giudizio esistenziale, nel momento in cui si espone all‟eventuale contraddizione dell‟interprete.

Ora la proposizione viene posta in relazione all‟interprete per essere giustificata, ma la sua

stessa costituzione è frutto di un‟operazione, poiché è all‟interno del taglio che i suoi elementi

costitutivi, il soggetto e il predicato, si rendono disponibili. È il taglio che restituisce identità al

nome ed è il medesimo che trasforma la proposizione in giudizio esistenziale, quindi in questo

282

Ivi, pp.244-245.

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senso la proposizione si costituisce in itinere, attraverso le operazioni del grafista e le azioni

dell‟interprete.

Già nel 1903 in On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and logical Algebra Peirce

affermava: “Se una linea dentro la siepe è prolungata fino alla siepe, all‟istante in cui arriva alla

siepe la sua estremità viene improvvisamente identificata come dato di fatto, ed è significativo-

con un punto esterno alla siepe; e così il prolungamento assume improvvisamente un carattere

interamente differente da un prolungamento ordinario e non significativo. Questo ci dà il

seguente Principio condizionale N.4: solo le connessioni o la continuità delle linee d‟identità

sono significative, non la loro forma o dimensione [….] la giunzione o disgiunzione di una

linea d‟identità dentro la siepe con un punto sopra la siepe segue sempre le stesse regole della

sua connessione o sconnessione con un punto marcato dentro la siepe”283

.

Procediamo con l‟analisi dei grafi espressi dalle figure successive in modo tale da comprendere

che i diversi livelli del ragionamento e per struttura e per complessità sono frutto di operazioni e

di costruzioni assolutamente indispensabili alla realizzazione del percorso dimostrativo.

Analizziamo la figura 13:

essa afferma che esiste un Turco che è sia il marito di un individuo denotato da un punto esterno

al Taglio, individuo che possiamo chiamare U, sia il marito di un Individuo denotato da un

punto esterno al Taglio, individuo che possiamo chiamare V. Ora vediamo in che modo il

grafista procede nel giustificare tale proposizione: il grafista afferma quattro predicazioni e cioè

che sia nella dimensione dell‟attualità che in quella della possibilità Turco è marito di U e

Turco è marito di V, e comunica all‟interprete che nessun U possibilmente è moglie di … e che

nessun V possibilmente è moglie di … Teniamo presente due elementi importanti: il primo

consiste nel fatto che il grafista per affermare deve negare una proposizione universale

negativa, e l‟interprete si trova dalla parte opposta e quindi non leggerà „Non (Nessun U

possibilmente è moglie di …)‟, „Non (Nessun V possibilmente è moglie di …)‟, poiché gli sarà

presentato soltanto il pezzo della Facciata femica tagliato e ribaltato, e quindi leggerà

„Nessun U possibilmente è moglie di‟… e „Nessun V possibilmente è moglie di‟ …;il secondo

è dato dal fatto che l‟area del taglio è tinteggiata in Colore e quindi le proposizioni ineriscono

alla dimensione della possibilità.

283

Pierce, On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra, cit., p. 651.

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L‟interprete in che modo può dimostrare che non sono vere queste predicazioni? Se l‟interprete

contraddice le proposizioni che legge, rimarrà sconfitto e non potrà inviare alcuna

comunicazione alternativa a quella comunicata dal grafista. E il grafista leggerà sul verso la sua

proposizione confermata ovvero „Non (Nessun U possibilmente è moglie di….)‟, „Non (Nessun

V possibilmente è moglie di ….)‟. L‟interprete per averla vinta sul grafista dovrebbe trovare

una U o una V che siano possibilmente mogli di, ma il grafista ha comunicato che U e V non

sono mogli di, quindi gli individui scelti dall' interprete dovranno essere non U e non V, perché

gli si possa attribuire il predicato di essere mogli di. Ma U e V rimangono dentro il taglio,

poiché sono punti di una linea d‟identità che attraversa il taglio e quindi non sono eliminabili,

ma se U e V rimangono dentro il taglio, l‟interprete si ritrova ad attribuire la proprietà di essere

moglie di … proprio ai medesimi U e V considerati dal grafista, e allora l‟interprete rimarrà

comunque bloccato e saranno confermate le quattro predicazioni del grafista.

Analizziamo adesso la fig.14:

Il grafo esprime che c‟è una donna sposata il cui marito non fallirà o altrimenti ella commetterà

suicidio. In che modo il grafista potrà dimostrare tale asserzione? Il grafista potrà giustificare la

propria asserzione tagliando ed effettuando così una negazione, infatti afferma una proposizione

condizionale attraverso una disgiunzione che è la negazione dell‟antecedente o l‟affermazione

del conseguente. Il grafista taglia e nega in questo modo: „Non (tutti gli uomini sposati

falliscono mentre nessuna donna sposata commetterà suicidio)‟, l‟interprete, come noi

sappiamo, si trova dalla parte del verso e quindi sul pezzo reciso e ribaltato dal grafista ovvero

sul recto leggerà „tutti gli uomini sposati falliscono mentre nessuna donna sposata commetterà

suicidio e contraddirà‟, ma tale operazione avrà solo l‟effetto di legittimare l‟asserzione del

grafista.

Analizzati i diversi legami che possono caratterizzare i tagli effettuati dal grafista, viene

enunciata la quarta autorizzazione in cui si pone in chiaro che qualsiasi legame può essere

mantenuto o interrotto a piacere.

Dopo avere esposto le autorizzazioni è opportuno soffermarsi sul rapporto tra la linea d‟identità

e il taglio: la linea di identità all‟interno del taglio entra a far parte del campo assertivo e

contribuisce a definire il predicato, ma in un modo che appare di gran lunga superiore al modo

in cui può farlo un semplice selettivo. Infatti per le considerazioni già fatte le estremità di una

linea di identità non sono coincidenti con il significato espresso dai selettivi, poiché questi

ultimi rinvierebbero a individui determinati, reperibili nel mondo dell‟esistente, mentre le

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estremità libere di una linea continua esprimono alcune condizioni sotto le quali è

identificabile un possibile individuo, ma proprio in questo senso la linea d‟identità sembrerebbe

inverare il profondo significato del quantificatore esistenziale, poiché, secondo Hintikka, “What

makes a second-order predicate an existential quantifier is not its extension in the actual world,

but the way this extension is determined in any old (or new) world.”284

. In Peirce secondo

Hintikka questa idea del quantificatore ritrova le sue radici nell‟impianto semiotico, dove

secondo Hintikka è riscontrabile “l‟idea di quantificatore come ciò che asserisce la possibilità

di scelta, di specificazione di un certo tipo”285

. In effetti queste considerazioni portano alla

ribalta la radice semiotica del significato del quantificatore esistenziale e con essa tutta

l‟impalcatura gnoseologica peirceana. Infatti c‟è da chiedersi, in considerazione della

costruzione peirceana, se è possibile pensare ad un selettivo, come ad un nome che sia in grado

di incontrare l‟oggetto nella sua assoluta staticità in un punto ben determinato. Un oggetto del

genere, come sappiamo, non si incontra mai nella prospettiva peirceana, esso è piuttosto

frutto di un processo interpretativo, che contribuisce a costruirlo, e quindi il segno non è

accidentale o assolutamente ininfluente rispetto al modo in cui si costituisce l‟oggetto. Ora

proprio la natura del segno ci restituisce l‟idea di continuità, che connota tutti i luoghi in cui si

esercita il ragionamento e si produce conoscenza, e pone l‟accento sulla dimensione

pragmatica del significato. Infatti come abbiamo constatato nella costruzione dei grafi, il ruolo

dell‟interprete, la dialettica tra interprete e grafista entrano a far parte della costituzione dei

significati, e questa dinamica è fondamentale poiché le assunzioni del grafista, resistendo alle

reazioni dell‟interprete, una volta rese inconfutabili, trasformano le assunzioni in conclusioni

necessarie e in qualche modo, la linea di identità all‟interno del taglio esprime proprio

graficamente il percorso che dalla predicazione perviene alla funzione nominativa, e in tale

percorso si mostra il continuum che dal predicato perviene al nome. Più che una gerarchia tra

nome e predicato sembra esserci un flusso continuo, in cui non è più possibile pensare al

nome, come ad un elemento soltanto denotativo, che, in quanto tale, presuppone una realtà già

data. Se da un lato le considerazioni fatte ci permettono di comprendere il motivo per cui la

linea di identità mostra una ricchezza espressiva superiore ai selettivi, dall‟altro ci consentono di

comprendere meglio il rapporto stretto intercorrente tra la linea di identità e il taglio. È

all‟interno del taglio che è possibile asserire ed è quindi in questo ambito assertivo che la linea

d‟identità è in grado di far valere, potremmo dire, la sua ricchezza predicativa e nominativa, è la

linea d‟identità in quanto connessione tra predicato e soggetto a restituirci la contaminazione

imprescindibile tra funzione predicativa e nominativa. La linea d‟identità, meglio di qualsiasi

selettivo, permette di comprendere che i nomi non sono privi di significazione, peraltro essa si

fa espressione grafica di ragioni logiche e semiotiche, nel senso che sia sul piano assertivo della

proposizione sia su quello della rappresentazione segnica non è possibile pensare ad un

rapporto duale tra oggetto da un lato e denotazione e senso dall‟altro come direbbe Frege,

poiché il processo di significazione, sia esso prettamente logico, sia di matrice segnica, rende

284

Hintikka, The place of C.S.Peirce in the History of Logical Theory, in J. Brunning – P. Forster (eds) The Rule of

reason the philosophy of C.S. Peirce, Toronto –Buffalo- London, University of Toronto Press, 1977, p.19. 285

Ivi, p. 20.

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necessario il momento costruttivo e interpretativo. Tale momento necessita dell‟azione del

grafista, il quale attraverso il taglio provvede a predisporre il piano assertivo. Ma come si rende

disponibile tale piano assertivo? Come bisogna operare per affermare sulla facciata femica?

Leggiamo Peirce: “Ogni simbolo è un ens rationis, perché consiste in un abito, in una

regolarità; ora, ogni regolarità consiste nell‟occorrenza condizionale futura di fatti che non sono

essi stessi quella regolarità. Molte importanti verità sono espresse da proposizioni che si

riferiscono direttamente a simboli o a oggetti ideali di simboli, non a realtà. Se diciamo che due

palle entrano in collisione, esprimiamo una relazione reale tra loro, intendendo per relazione

reale una relazione che implichi l‟esistenza dei suoi correlati. Se diciamo che una palla è rossa,

esprimiamo una qualità del sentire positiva realmente connessa con la palla. Ma se diciamo

che la palla non è blu, esprimiamo semplicemente- per quanto concerne l‟espressione diretta-

una relazione di inapplicabilità tra il predicato blu e la palla o segno di essa. Così è con ogni

negazione. Ora si è già mostrato che ogni proposizione universale implica una negazione,

almeno quando è espressa come grafo esistenziale. D‟altra parte, quasi ogni grafo esprimente

una proposizione non universale ha una linea d‟identità. Ma l‟identità, benché espressa dalla

linea come una relazione diadica, non è una relazione tra due cose, ma tra due representamen

della stessa cosa”286

. Il taglio, insomma, è l‟operazione al cui interno si restituiscono le ragioni

del nome e perciò stesso lo si giustifica.

Riprendendo l‟analisi della costruzione grafica, Peirce applica il sistema dei grafi al

procedimento sillogistico, ponendo in evidenza come anche in questo caso il momento

costruttivo svolge un importante ruolo, nel senso che il ragionamento sillogistico non mette

capo soltanto ad un iter analitico, nel sillogismo non ci si limita ad esplicitare quanto è

contenuto nelle premesse, bensì con l‟intervento di vere e proprie operazioni compiute dal

grafista e dall‟interprete si perviene dalle premesse assunte alle conclusioni. Infatti Peirce

afferma: “In ogni caso, quando un Argomento è portato dinanzi a noi, ci viene fatto notare un

processo (cosa che appare così chiaramente nelle Trasformazioni Illative dei Grafi) attraverso il

quale le Premesse dànno la Conclusione, non informando l‟Interprete della sua Verità, ma

rivolgendosi a lui perché dia il suo assenso a ciò”287

.

E allora procediamo con l‟analisi del seguente argomento sillogistico posto dal grafista: „Ogni

uomo è un animale, e ogni animale è mortale; perciò ogni uomo è mortale‟. Come può il

grafista dimostrare tale argomento sillogistico? Intanto vengono tracciate le premesse, come

nella fig.15, tenendo presente che sono espresse sul grafo con il taglio cioè con la negazione

di proposizioni negative universali ovvero „Non (tutti gli uomini sono non animali) e „non

(tutti gli animali sono non mortali)‟. In virtù della seconda autorizzazione, in particolare

dell‟iterazione, il grafista inserisce la seconda premessa nella prima, e, per non perdere la

traccia di ciò che ha modificato, itera la seconda premessa accanto al grafo nuovo che contiene

le due premesse, e così ottiene la fig. 16.

286

Peirce, On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra, cit., pp. 634-635. 287

Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p. 249.

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L‟interprete come risponde leggendo la comunicazione inviata dal grafista? L‟interprete

appellandosi alla prima autorizzazione cancella sul recto l‟iterazione effettuata dal grafista

dando luogo alla fig.17. Successivamente applicando la regola di deformazione l‟interprete

costruisce il grafo espresso dalla fig.18.

Il grafista, grazie alla regola di inserzione, prolunga l‟estremità della linea d‟identità deformata

all‟interno del taglio contenente la seconda premessa, e così determina la fig.19. Il grafista,

successivamente, per la regola di deiterazione toglie animale sul verso e così esprime la fig.20.

In considerazione della terza autorizzazione che prescrive che due tagli l‟uno dentro l‟altro,

che non condividono niente fra loro, possono essere aboliti o introdotti su qualsiasi area, il

grafista abolisce i due tagli perché fra loro non c‟è niente e tale azione produce il grafo

espresso dalla fig.21. L‟ultimo passaggio è dato dall‟interprete, il quale cancella sul recto

„animale‟ e contraddice la proposizione „ nessun uomo è mortale‟ e rimanda al grafista.

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Qui è bene mettere in evidenza che il grafo della fig.22 è uguale a quello della fig. 7, perché,

come si diceva a proposito di quest‟ultima, quando il grafista deve esprimere un giudizio

universale, sia esso un‟implicazione esistenziale sia esso una universale affermativa, deve fare

ricorso al taglio e allora deve esprimere graficamente una linea d‟identità dispari-inclusa e dare

così avvio alla dialettica grafista –interprete. E allora la conclusione del grafo della fig.22 „se

alcunché è un uomo, allora è mortale‟ equivale alla universale affermativa che conclude il

sillogismo posto dal grafista, ovvero ogni uomo è mortale.

Il grafista preferisce esprimere in modo esistenziale l‟universale affermativa per evitare che il

ruolo venga affidato sempre all‟interprete, perché, come è stato detto precedentemente, i

giudizi universali si esprimono sempre con l‟assunzione di proposizioni universali negative e

quindi con la dialettica interprete-grafista, in cui è l‟interprete a fare la prima mossa.

Ora queste convenzioni che regolano la struttura grafica sono profondamente legate

all‟impianto logico- semiotico e metafisico del sistema peirceano.

Sul piano strettamente logico è fondamentale l‟idea che l‟espressione dei soggetti di una

proposizione sia assolutamente variabile, perché frutto di una scelta che si decide nella

relazione tra grafista e interprete. Come è stato già detto, l‟alternativa vero-falso e i soggetti di

un‟asserzione sono frutto di una dialettica tra grafista e interprete, e quindi la forma, con la

quale vengono espressi i soggetti di un‟asserzione, può variare a seconda di ciò che si intende

comunicare. Infatti Peirce sostiene: “un‟asserzione di necessità logica è semplicemente

un‟asserzione i cui soggetti sono oggetti di una collezione qualunque, non importa quale. La

conseguenza è che l‟icona, che può essere evocata quando si vuole, ha solo bisogno di essere

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evocata, e chi la riceve ha bisogno solamente di accertare se può distribuire qualunque insieme

di indici nel modo previsto in maniera da rendere l‟asserzione falsa, al fine di sottoporre a

prova la verità dell‟asserzione”288

.

Subito dopo Peirce aggiunge che “il predicato di una proposizione, essendo essenzialmente di

natura ideale, può essere chiamato al solo tipo di esistenza di cui è suscettibile liberamente”289

.

In Peirce questa trasformabilità dei soggetti di un‟asserzione peraltro si lega al lungo percorso

che Peirce ha effettuato sin dagli scritti giovanili per approdare alla risoluzione delle

proposizioni categoriche in proposizioni ipotetiche. Peirce ribadisce che non vi è alcuna

differenza tra le proposizioni categoriche e le proposizioni ipotetiche, poichè la forma di

relazione è la stessa, come si può evincere da questo passo: “Esprimiamo ora la proposizione

categorica “Ogni uomo è saggio”. Qui assumiamo ui a significare che l‟oggetto individuale i è

un uomo e si che l‟oggetto individuale i è saggio. Asseriamo allora che “prendendo un

qualunque individuo dell‟universo i, non importa quale; o l‟individuo i non è un uomo o tale

individuo i è saggio”. Vale a dire chiunque sia un uomo è saggio. Vale a dire qualunque cosa i

possa indicare, o ui non è vero o si è vero. Le proposizioni condizionali e categoriche vengono

espresse precisamente nella stessa forma; e secondo me non vi è alcuna differenza fra esse. La

forma di relazione è la stessa”290

.

Da queste parole traiamo elementi per capire come il soggetto di un‟asserzione sia il frutto di

una possibile relazione veicolata dall‟icona, che perciò stesso si espone ad una possibile verifica

da parte di chi riceverà l‟asserzione, poiché dovrà scegliere, non importa quale collezione, un

insieme di elementi che siano in grado di soddisfare le condizioni di verità della proposizione

comunicata. Una prospettiva di questo tipo è legittimata dal ragionamento matematico che,

come dice Peirce, ci insegna a considerare le idee come entità, nella misura in cui, una volta

individuata una relazione, gli elementi che condividono quella relazione costituiranno un

insieme. In questi termini l‟astrazione ipostatica, strumento formidabile con il quale nel

ragionamento matematico le relazioni espresse da predicati diventano oggetti di pensiero, ci

permette di comprendere meglio in che senso Peirce ritenga inessenziale la quantificazione del

predicato. Dalla lettura dei grafi si evince come l‟espressione della proposizione dipenda

dalla dialettica grafista-interprete, nel senso che il grafo non descrive, semmai pone

un‟assunzione, affinchè attraverso opportune operazioni che scaturiscono dalla comunicazione

tra il grafista e l‟interprete, risulti giustificata l‟assunzione posta. E allora sulla base grafica, così

come il grafista sperimenterà la collezione di individui da selezionare per comunicare

l‟assunzione posta, allo stesso modo, l‟interprete sulla base dell‟assunzione comunicata potrà

scegliere di selezionare l‟insieme di indici che potrà verificarla. Infatti Peirce afferma:

“Tornando ai soggetti, si deve osservare che l‟asserzione può contenere la proposta o la richiesta

che colui che riceve il messaggio faccia qualcosa con essi [….] Supponiamo per esempio che

l‟asserzione sia „Una certa donna è adorata da tutti i cattolici‟. Le icone che la costituiscono

sono, in quello che è il probabile modo di intendere l‟asserzione, tre: quella di una donna, quella

288

Peirce, The Regenerated Logic, (1896), cit., p. 724. 289

Ibidem. 290

Ivi, p.726.

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di una persona A che ne adora un‟altra B e quella di un non-cattolico. Combiniamo le ultime

due disgiuntivamente identificando il non-cattolico con A, inoltre combiniamo con

giuntivamente questo composto con la prima icona identificando la donna con B. Ne risulta

un‟icona nel modo seguente: B è una donna, e inoltre, o A adora B, o A non è cattolico”. Per

soggetti si intendono tutti gli enti appartenenti nel presente o nel passato al mondo reale. Fra

questi colui che riceve il messaggio può agevolmente sceglierne uno da mettere al posto di B e

non importa allora quale sceglie per mettere al posto di A [….] Tutto ciò si impone a chi

trasmette il messaggio in forza dell‟esperienza; e non in forza di qualche sua particolare

caratteristica mentale; e pertanto si imporrà egualmente a chi riceve il messaggi”291

. Tali

affermazioni in modo evidente mostrano come i soggetti di un‟asserzione non siano dati una

volta per tutte, bensì sono frutto di un‟operazione, di una sperimentazione sulla proposizione

espressa dal grafo. In tal modo i segni iconico-grafici sono assolutamente fecondi così come nel

nostro caso la linea d‟identità, che è quel filo che ci permette di agganciare gli indici che sono

indispensabili alla verifica degli argomenti comunicati. Insomma il problema è quello di

trovare un insieme di elementi che sia in grado di mettere alla prova le relazioni espresse dal

predicato della proposizione comunicata. E allora in questo senso Peirce si oppone alla

dottrina della quantificazione, poiché la relazione espressa dall‟implicazione esistenziale

orienterà il gioco dialettico tra grafista e interprete nella scelta dei soggetti delle asserzioni.

Allo stesso modo il matematico, in considerazione delle relazioni assunte, selezionerà un

universo possibile di elementi compatibili con le relazioni poste.

Tale prospettiva trova conferma nell‟impianto metafisico, poiché sulla base delle nuove

acquisizioni logiche, la Metafisica sarà autorevolmente abilitata a tematizzare il rapporto tra la

dimensione delle idee e quella degli individui. Leggiamo Peirce: “L‟intera scienza matematica

è una scienza di ipotesi. La filosofia non è altrettanto astratta. Infatti essa non compie

osservazioni speciali, come fa ogni altra scienza positiva, e pur tuttavia tratta in effetti della

realtà. Si limita però ai fenomeni universali dell‟esperienza [ …] La logica [….] comincia a

essere una scienza positiva, infatti vi sono alcuni oggetti rispetto ai quali il logico non è libero

di supporre che esistano o non esistano […] Allora la logica esatta sarà la dottrina delle

condizioni della fondazione di credenze stabili che si appoggiano su osservazioni certe e sulla

matematica, vale a dire, sul pensiero diagrammatico o iconico”292

.

Rivolgendo uno sguardo d‟insieme alla costruzione grafica è possibile affermare che il processo

di significazione è distribuito fra tutti i livelli del ragionamento e infatti Peirce, nella parte

conclusiva dei Prolegomena to an Apology for Pragmaticism afferma: “La differenza tra

Termine, Proposizione e Argomento non è in nessun modo una differenza di complessità e non

consiste tanto nella struttura, quanto nelle funzioni che essi distintamente sono destinati a

compiere”293

. Il termine seleziona l‟oggetto, senza pretendere di costituirlo in modo definitivo,

apre il processo della referenzialità, la proposizione contribuisce a giustificare alcune relazioni

291

Ivi, p.723. 292

Ivi,p. 719. 293

Pierce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.249.

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che consentono di identificare un possibile oggetto e infine l‟argomento codifica e regolamenta

i contenuti delle proposizioni.

Dall‟analisi dei singoli grafi e del rapporto tra il rema e la linea di identità, emerge come

la costruzione ausiliaria che si attui in itinere, getti un ponte, grazie al quale è possibile arrivare

alle conclusioni, e quindi realizzare il percorso dimostrativo. E questo è valido sia all‟interno

della struttura assertiva quale può essere quello della proposizione, sia quella relativa

all‟Argomento. E ciò rafforza l‟idea che le costruzioni non sono euristiche, bensì parte

integrante del percorso dimostrativo. Non è un caso che da questa pratica della costruzione dei

grafi venga qualcosa che non ha a che fare con la singola dimostrazione, ma si costituisce una

metodologia che guida il ragionamento verso la conquista della verità. Infatti questa

metodologia coincide con la necessità di diagrammatizzare il ragionamento, e tale necessità va

oltre la dimensione analitica, che consisterebbe nel verificare la correttezza di un procedimento

deduttivo, poiché essa contribuisce a produrre nuove conoscenze e a costituire una solida base

alla Metafisica. Ma tale obiettivo è raggiunto nella misura in cui viene trasformato il modo di

concepire la proposizione e l‟argomento. Sia nel primo caso che nel secondo è presente un

processo, così come afferma Peirce nel caso dell‟argomento: “le premesse danno la

conclusione, non informando l‟Interprete della sua verità, ma rivolgendosi a lui perché dia il suo

assenso a ciò”294

.

La processualità caratterizzante i due luoghi fondamentali del ragionamento, la proposizione e

l‟argomento, pongono in luce l‟ampio respiro del progetto del sistema dei grafi esistenzaili, che

lungi dal qualificarsi un semplice calcolo, rivoluziona le fondamenta, l‟ossatura del

ragionamento logico, rendendola flessibile, costruttiva, dinamica, e offrendo un esempio di

osmosi tra i vari plessi dell‟impianto. Infatti la flessibilità, la necessità di costruire, di

diagrammatizzare lascia emergere le sue implicazioni semiotiche, matematiche, pragmatiche e

metafisiche. L‟apparato grafico e le regole di trasformazione dei grafi abilitano il sistema

costruito da Peirce, più che semplicemente a facilitare il ragionamento, a produrre conoscenze

nuove, in modo tale da garantire solide fondamenta al processo della conoscenza. La vocazione

più profonda del Peirce scienziato si manifesta nella costruzione dei grafi in tutta la sua

genialità mostrando come anche il ragionamento più astratto può essere osservato e addirittura

divenire oggetto di sperimentazione. Ma questa impresa è gestibile soltanto all‟interno della

costruzione grafica che “Sostituisce ai simboli […] figure visive concrete di cui dobbiamo

constatare se ammettono o no certi rapporti descrivibili fra le loro parti”.

L‟imprescindibilità del tratto materiale, della sua trasformazione e della sua condivisione con

una dimensione interpretante, propri della costruzione grafica, costituiscono i tratti più

innovativi della prospettiva peirceana. Il procedimento argomentativo non è lineare piuttosto si

presenta plastico, visivo, concreto, materiale, e quindi in questo senso si ritiene particolarmente

fondamentale il tratto iconico, poiché pur essendo il contraddittorio, per certi versi, della pura

astrazione, è ciò che di fatto avvia il procedimento argomentativo al fine di svolgere il

percorso della dimostrazione. Diversamente da Frege che non concepisce la logica con una

294

Ivi p. 249.

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base concreta, intuitiva bensì assolutamente astratta, - tant‟è che sono assenti nelle sue prove

dimostrative elementi concreti, visivi, grafici-, Peirce ritiene che la logica, perché non risulti

scollata da ogni riferimento al linguaggio naturale, magma nel quale è immerso il pensiero, non

deve essere pensata astrattamente e distillata da ogni riferimento alla viva dinamica del pensiero

segno. E come sostiene Hintikka, Peirce forse non avrebbe creato il suo sistema grafico, se

avesse condiviso alcune delle posizioni sostenute dai logici, volte a supportare l‟universalità

del linguaggio. Infatti Hintikka in The Place of C. S. Peirce in the History of Logical Theory

pone l‟accento sul fatto che gli universalisti ritengono che il linguaggio sia un medium

universale dal quale è impossibile prendere distanza senza cadere nelle trappole del non senso

o delle tautologie. Al contrario per coloro che vedono il linguaggio come calcolo è possibile

riflettere sulla semantica di un linguaggio all‟interno di quel linguaggio stesso ed inoltre è

possibile concepire diversi modelli per interpretare gli asserti proposizionali diversi da quelli

inerenti al mondo attuale. In questi termini il linguaggio è reinterpetabile e quindi espone

continuamente i significati elaborati ad un test di verifica, che essenzialmente è rappresentato

dalla figura dell‟interprete.

La concezione logica di Peirce è aperta ad un linguaggio reinterpretabile, ad una visione dei

mondi possibili e quindi è chiaro che questa flessibilità crea le condizioni perché Peirce possa

assumere una posizione più duttile rispetto all‟assolutizzazione di un solo linguaggio, di un solo

sistema logico, non è un caso che dalla facciata femica venga fuori una visione della realtà

declinata nei tre universi della Possibilità, dell‟Esistenza e della Necessità. Ma queste ragioni,

come afferma Sun Joo Shin, non sono bastevoli per stabilire effettivamente quali furono le

condizioni necessarie e sufficienti per la costruzione di un sistema grafico. Infatti se la

condizione necessaria è data dalla distinzione tra formalizzazione e simbolizzazione, quella

sufficiente, come afferma Sun Joo Shin, è intrinseca al modo di concepire il diagramma e al suo

rapporto con la teoria dei segni. Infatti, secondo Peirce, l‟icona gioca un ruolo fecondo nella

rappresentazione delle relazioni, fornisce un‟ evidenza che non è assolutamente riscontrabile

nella dimensione simbolica. Infatti come accade nelle dimostrazioni della geometria euclidea, e

così come è stato ampiamente trattato nelle pagine precedenti, la figura tracciata dal

matematico assume una straordinaria importanza. Opportunamente Sun Joo Shin ritiene che la

figura costruita diventa segno della figura generale e in particolare afferma:

“If we assume that an icon represents only a particular things, we can never cross the bridge from the

properties that we find in the particular triangle to the properties of a triangle in general that we are

interested in knowing”295

. Evidentemente è possibile cadere in errore se in un percorso

dimostrativo vengono assolutizzate alcune proprietà della figura, ma a questo proposito Sun

Joo Shin propone una distinzione all‟interno della figura tracciata: proprietà che

rappresentano fatti e proprietà che non li rappresentano. Le proprietà che non rappresentano

fatti sono quelle accidentali che un‟icona possiede, ma queste non sono attribuibili al suo

possibile referente. Infatti l‟icona permette di visualizzare relazioni di carattere generale, ma al

tempo stesso consente con opportune manipolazioni di arrivare ad ulteriori informazioni e

295

Sun Joo Shin, op.cit., p.28.

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questo costituisce il notevole vantaggio rispetto ad una formalizzazione soltanto simbolica. In

questi termini Peirce ritiene che una formalizzazione, in grado di intrecciare vari tipi di segni,

è nelle condizioni di diagrammatizzare qualsiasi pensiero. In quest‟ottica se la logica non risulta

sganciata dalla realtà e se è in grado di utilizzare la fondamentale triade segnica, icona, indice

e simbolo, per Peirce essa diventa l‟unico bagaglio di concetti validi a cui deve attingere ogni

disciplina296

. E anche la Metafisica, perché possa costituire il suo edificio su solide basi deve

prendere in prestito i concetti dalla logica.

3) Natura e convenzione

La consapevolezza di una forte compenetrazione tra logica e metafisica è già ribadita ne Il

rinnovamento della logica in cui Peirce precisa che la logica ha la funzione di rendere esatta la

metafisica e di renderla maggiormente compatibile con la scienza. Così precisamente Peirce

afferma: “Quale ci si aspetta che sia l‟utilità della nuova dottrina logica? Il primo vantaggio che

ci si può attendere è che essa serva a correggere un gran numero di affermazioni affrettate sulla

logica, che sono riuscite a influire sulla filosofia. Inoltre se Kant ha mostrato che le concezioni

metafisiche nascono dalla logica, questa grande generalizzazione della logica può condurre a

una nuova visione dei concetti metafisici che li renderanno più adeguati alle necessità della

scienza”297

.

A conclusione dell‟analisi dei Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, infatti le

domande che ci poniamo sono le seguenti: la costruzione logica serve a fornire una

comprensione globale del reale? La dinamica costruttiva che Peirce ha esibito nel sistema

grafico getta luce su domande del tipo: che cos‟è la verità, che cos‟è il reale, in che modo si

accordano? In effetti dopo i Prolegomena to an Apology for Pragmaticism forse è possibile

disporre di una traccia logica per arrivare all‟Esperienza, per comprenderla nella sua

profondità.

Adesso è il caso di fare un‟incursione negli scritti in cui viene elaborata la visione

sinechistica, per tornare successivamente al senso della scrittura grafica.

Già tra il 1896 e il 1898 Peirce predispone in modo significativo lo spazio essenzialmente

teoretico per rispondere a queste domande, e se ci limitiamo ad analizzare questo arco di tempo

che va dagli anni 90 al 1908, forse è possibile individuare un filo che tiene sempre insieme

logica e metafisica, e non solo, forse questo filo è così robusto da tenere insieme A New List of

Categories e gli scritti del Peirce maturo. Come dice Maddalena, Sostanza ed Essere

ricompaiono, ma in che modo? Tutta la fatica di Peirce forse è stata quella di costruire la

credibilità logica di queste dimensioni radicali. Se avesse voluto spazzarle via, non avrebbe

avuto bisogno di costruire una logica grafica, quest‟ultima diventa essenziale, perché è

296

Peirce già nel 1885 affermava che, oltre all‟indice e al simbolo, è necessaria l‟icona , poiché un ragionamento si

fonda sull‟osservazione di determinate relazioni e sulla possibilità di trovarne altre proprio a partire da una base

osservativa. Cfr. Peirce, Sull‟algebra della Logica: Un contributo alla filosofia della notazione, cit., p.886. 297

Peirce, Il rinnovamento della Logica, cit., p. 730.

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all‟interno di essa che può arrivare notizia della profondità del reale. Insomma così come la

Matematica, pur non legata al mondo attuale, apre nuovi orizzonti per comprendere il reale,

allo stesso modo la logica divenendo grafica si configura come un mirabile „cannocchiale‟ al

cui interno è possibile guardare dentro il reale e apprezzarne la sua profondità. Il pensiero e il

reale sono due dimensioni congruenti, s‟incastrano bene se il tessuto logico è in grado di

integrare gli eventi del reale, ma integrare non significa sottomettere il reale alle ferree ragioni

della logica necessaria, ma assecondare il reale conferendole la veste che le è più congeniale

per farlo venire alla luce e così identificarlo. Infatti Peirce afferma: “È vero che l‟intero

universo, e ogni suo aspetto, va considerato razionale, cioè causato dalla logica degli eventi, ma

da ciò non segue che esso sia determinato a essere ciò che è dalla logica degli eventi, dato che

la logica che presiede all‟evoluzione e alla vita non deve essere pensata così rigida da obbligare

in modo assoluto a una data conclusione. Tale logica può essere quella dell‟inferenza induttiva

o ipotetica298

”.

Una logica di questo tipo è una logica che si apre alla materialità, all‟Esperienza, in modo

tale da rendersi congeniale alla natura del reale. Che cosa significa questo? Se il pensiero e il

reale non condividessero alcunché non potrebbero comunicare o meglio rimarrebbe uno iato

fra loro. Ma se è ammissibile un terreno condivisibile tra realtà e pensiero, ciò è possibile

grazie al fatto che la realtà non è soltanto materia bruta, è anche energia che si trasforma, che

evolve. E allora la scommessa è quella di trovare una grammatica che esprima questo possibile

accordo, ma quest‟ultimo non è dato in modo definitivo, esso è sottoposto ad un continuo

esame, confronto, ed è proprio il costante riferimento da parte del pensiero al reale a garantire

l‟aggiustamento progressivo e ad evitare che il pensiero cristallizzi simbolizzazioni

assolutamente scollate rispetto al reale.

In che modo reale e pensiero si mettono insieme? Nell‟ottica peirceana il nesso tra reale e

pensiero non è risolto a vantaggio del pensiero o della realtà, la grande fatica di Peirce è

proprio quella di trovare un adeguato equilibrio tra realtà e pensiero. E infatti l‟elaborazione

fenomenologica delle categorie già provvede a fornire un‟idea del modo in cui il reale è

assolutamente congeniale al pensiero, poiché se il pensiero può predisporre lo spazio entro cui

ospitare il reale, ciò è possibile perché la realtà è stratificata e il pensiero è la tela che permette

di far trasparire le modalità del reale. Abbiamo già detto che la realtà si declina secondo la

possibilità, l‟esistenza e la necessità. Il punto fondamentale è proprio questo: l‟avere scoperto

che il reale non dispone soltanto dell‟esistenza rende possibile al pensiero la sua leggibilità,

senza negargli l‟indipendenza. Infatti la grande svolta fenomenologica sta nell‟indicare il

metodo con cui gestire il reale e comprenderlo: non capiamo il reale se lo intendiamo soltanto

come qualcosa contro cui il pensiero urta, poiché la consistenza del reale va molto oltre. D‟altra

parte se il reale disponesse di un solo strato, quello dell‟attualità, ritornerebbero i consueti

problemi della tradizione: come è possibile che qualcosa di completamente estraneo al pensiero

possa penetrare in esso? Forse soltanto un atto intuitivo potrebbe colmare il vuoto, lo iato tra

reale e pensiero. Ma sappiamo che già il giovane Peirce nega la possibilità di accedere per via

298

Peirce, La logica degli eventi, cit., p. 69.

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intuitiva al reale, l‟originalità di Peirce sta nel vedere il reale non come un muro contro cui si

urta, poiché questo si configurerebbe come una „superstizione naturalistica‟, ma come una

dimensione stratificata, nella quale è possibile penetrare non in modo diretto, ma attraverso il

pensiero, il quale con le sue modalità possibili, attuali e necessarie, riesce, se pur in modo

mediato, a comunicare il reale. Il problema di Peirce, come dice P. Manganaro, non è quello

di definirsi realista o idealista ma quello di sconfiggere totalmente ogni residuo nominalistico al

fine di approdare ad un realismo che non disdegni i frutti prodigiosi della lezione idealistica,

conferendo a questi ultimi una veste inedita e integrandoli con i plessi più originali del suo

pensiero. L‟obiettivo di Peirce è quello di mostrare come il reale possa essere concepito come

un generale e mai come un individuale, e nello stesso tempo come esso sia da considerarsi

indipendente rispetto al pensiero, e come proprio questa indipendenza garantisca un sapere

mai dogmatico, ma sempre ipotetico, e disponibile ad accogliere nuove assunzioni.

A tal proposito è importante indugiare sul concetto di esternalità per comprendere che ciò che

sembrerebbe apparire come l‟aspetto più impermeabile al pensiero, di fatto è già per sua

struttura interna compatibile con il pensiero. Infatti esso racchiude un intreccio tra azione,

tensione al futuro, tendenza alla realizzazione di propositi, che è proprio del reale e che allo

stesso tempo è congeniale alla struttura del pensiero.

Intanto nello scritto Belief and Judgment del 1902 Peirce chiarisce in modo netto che esperire

il mondo esterno equivale all‟atto di esperire la dualità, poiché il senso di sforzo da un lato e il

senso di resistenza dall‟altro caratterizzano l‟impatto con l‟esistenza. E sebbene la dualità

necessiti della riflessione, come afferma Peirce, quest‟ultima scaturisce da uno scontro del tutto

inaspettato con l‟esperienza. Infatti Peirce mette in evidenza che, sebbene il reale non si risolva

esclusivamente nell‟esistenza, l‟elemento percettivo nella sua datità diventa imprescindibile

nella misura in cui assolve alla funzione di disattendere le aspettative del soggetto conoscente

creando così un effetto di sorpresa, che è proprio la caratteristica della percezione299

.

Ma perché il reale venga compreso non è sufficiente la sorpresa che scaturisce dall‟impatto tra

oggetto e soggetto, e infatti in Issues of Pragmaticism Peirce lega il termine di esternalità ad

altri termini, come conation300

. Negli scritti tra il 1905 e il 1908, come è stato analizzato in

occasione della trattazione della Faneroscopia, emerge non soltanto un carattere di resistenza

nel reale, ma anche un elemento volizionale. L‟oggetto è come se opponesse resistenza nella

misura in cui intende manifestarsi, creare sorpresa e così coinvolgere il soggetto nella sua rete.

Qual è il senso di questa resistenza? Il senso, a mio avviso, non è soltanto quello di attestare

l‟indipendenza della realtà, poiché una volta preso atto di tale alterità, è necessario integrarla e

comprenderla all‟interno di uno sviluppo che si può dispiegare nell‟ambito di un tempo futuro

a cui appartiene anche il pensiero. Se la realtà si declina anche secondo la possibilità, oltre che

299

Viene ribadita l‟indipendenza del mondo esistente anche in CP 5.525. Può essere utile ricordare che il Webster del

termine external fornisce la seguente definizione: “Having extens apart from sensation or perception; existing

independent of processes of experience; belonging to the external”.Webster‟s New International Dictionary of the

English Language, Springfield, Mass.,U.S.A. published by G & C. Merriam Company, 1913. 300

Nel dizionario, sopracitato, il termine conation viene designato come l‟atto che implica uno sforzo o muscolare o

pschico e viene precisato che tale termine fu usato da Hamilton per indicare una delle tre grandi partizioni della

mente che esprime desiderio e volontà, oltre a quelle rappresentate dal feeling e dalla cognition.

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secondo l‟esistenza e la necessità, non è possibile assolutizzare il dato esistente, ma non perché

il reale verrebbe ricompreso all‟interno del pensiero, ma perché la dimensione dell‟esistenza è

una delle forme possibili. Infatti Peirce afferma: “Supporremo naturalmente, è ovvio, che

l‟esistenza sia uno stadio dell‟evoluzione. Questa esistenza è presumibilmente solo un‟esistenza

speciale. Non abbiamo bisogno di supporre che ogni forma abbia bisogno per la sua

evoluzione di emergere in questo mondo, ma solo che ha bisogno di entrare in un qualche teatro

di reazioni, uno dei quali è questo”301

.

Ora sebbene l‟esistente sia una delle forme nelle quali il reale si propone, esso è comunque

fondamentale, perché è attraverso di esso che si rendano disponibili la possibilità e la

necessità. L‟esternalità così come viene proposta da Peirce in Belief and Judgment,

Faneroscopia e la storia naturale dei concetti, la logica, e in Issues of Pragmaticism si pone

come volizione, nel senso che l‟oggetto oppone resistenza e si propone come un ostacolo contro

cui entra in collisione il soggetto conoscente, poiché vuole essere esperito.

Il dato esistente avvia un possibile contatto con il pensiero, per iniziare un processo di

conoscenza, al cui interno esso può lasciare intravedere i suoi infiniti strati. Il dato esistente non

cela una realtà noumenica, ma permette la disponibilità di un piano in cui intravedere le infinite

possibilità del reale, che evidentemente si potranno esplicare soltanto in fieri.

Se ritorniamo ai testi cui si è fatto cenno precedentemente, in particolare La Faneroscopia:

ovvero, la storia naturale dei concetti e La Logica Peirce pone in evidenza come la percezione

del dato esterno sia legata ad un elemento volitivo che coinvolge soggetto e oggetto, infatti così

si esprime: “Il feeling è una qualità ma, finchè c‟è un puro feeling, la qualità non può essere

limitata a nessun soggetto definito […] il feeling, in quanto tale, non è analizzabile. La

Volizione è completamente duale […] Troviamo in essa la dualità di agente e paziente, di

sforzo e resistenza […] Il punto importante è che il senso dell‟esteriorità nella percezione

consiste in un senso d‟impotenza di fronte alla forza schiacciante della percezione. Ora l‟unico

modo in cui possiamo conoscere una forza è grazie alla presenza di qualcosa che cerca di

opporsi a essa. L‟urto che riceviamo da ogni esperienza inaspettata ci mostra che anche in noi

c‟è un‟azione di questo tipo”302

. Ne La Logica Peirce privilegia l‟attenzione nei confronti

dell‟oggetto evidenziando il modo in cui l‟elemento volitivo sia anche proprio dell‟oggetto.

Così come è stato detto in merito all‟analisi fenomenologica, Peirce afferma che “la tendenza a

essere sentito fa parte dell‟essere stesso di ogni oggetto capace di Feeling [….] Ciò che è

potenziale tende sempre a divenire Attuale e forse ciò che è immediatamente ed essenzialmente

Potenziale, quando è Reale, tende sempre Realmente e attivamente all‟Attualizzazione”303

.

Tali passaggi ci permettono di capire, in modo meno usuale, che soggetto e oggetto necessitano

di una dimensione plastica e dinamica perché possano rivelarsi e conoscersi.

Queste considerazioni sono in consonanza con i contenuti espressi in Questioni di

pragmaticismo qui vengono fornite le giustificazioni logico-pragmatiche dell‟idea che la

301

Peirce, La logica della Continuità, cit., p.1175. 302

Phaneroscopy, in MS 299, trad.i t. La faneroscopia: ovvero, la storia naturale dei concetti, a cura di M. Luisi in

Esperienza e Percezione, Edizioni ETS, Pisa 2008, p.191. 303

Logic in MS 609, trad. it. La Logica, cit., p.210.

Riguardo l‟elemento volitivo dell‟esistente cfr. CP 5.439 ; CP 5.462.

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modalità della realtà non coincide soltanto con l‟esistenza, Peirce, infatti, si impegna a

mostrare come non soltanto sono reali i generali ma anche le possibilità, poiché ritiene che se

è ormai assodato che i generali sono reali e operanti, allora diventa fondamentale comprendere

che la Possibilità è reale. Peirce qui riprende la questione legata al noto esempio del diamante,

già affrontata in Come rendere chiare le nostre idee, approfondendo il tema e apportando una

fondamentale correzione, frutto dell‟evoluzione del suo pensiero. La questione legata al

diamante suona in questi termini: qualora un diamante non venisse mai toccato, dello stesso si

potrebbe affermare o negare la qualità della durezza? Nel saggio del „78, Come rendere chiare

le nostre idee, Peirce aveva risolto la questione affermando che essa si legava ad un problema di

nomenclatura, ma in Questioni di pragmaticismo Peirce riesaminando la stessa domanda

ritiene che la risposta è insufficiente perché comunque le questioni di nomenclatura si legano

sempre a questioni di classificazione, le prime stanno in un rapporto di implicazione con le

seconde. E la classificazione discrimina il vero dal falso perché si fonda sui generali, i quali

sono veri se effettivamente operano nella realtà, falsi se invece appartengono al mondo della

finzione304

. La soluzione al problema, secondo Peirce, non può provenire che dalla massima

pragmatica, la quale non è mai rivolta al dato esistente e infatti afferma Peirce: “Il

pragmaticismo fa consistere il significato intellettuale ultimo di tutto quello che volete nel

concetto delle risoluzioni condizionali, o nella loro sostanza. E quindi, dato che queste

risoluzioni condizionali sono costituite da proposizioni condizionali con l‟antecedente ipotetico,

tali proposizioni, attenendo alla natura ultima del significato, devono essere suscettibili di essere

vere: cioè di esprimere qualsiasi cosa vi sia che sia tale e quale la proposizione l‟esprime,

indipendentemente dall‟essere pensata tale in un giudizio effettivamente occorrente, o

dall‟essere effettivamente rappresentata in un qualche altro simbolo umano. Ma questo

equivale a dire che la possibilità ha qualche volta la natura di realtà”305

.

Qui Peirce ribadisce con forza che la comprensione profonda del reale non ha come oggetto

soltanto l‟esistente, poiché se è stato accertato che il reale è generale, esso non può coincidere

con l‟esistente, ma se il generale è veramente operante nel reale, cioè se la legge effettivamente

regola il reale, allora, come dice lo stesso Peirce „i simboli non sono irreali‟. La legislazione

del simbolo non è frutto di convenzione, essa conviene con il reale, ma con quale tipo di

reale? Non certo con il reale come dato esistente, ma con uno stato di cose che si trova nel

modo della Possibilità. Il simbolo nel suo punto di arrivo è convenzionale, come è stato detto,

poiché realizza un codice, ma il suo processo di costituzione non è convenzionale, perché si

limita a codificare il rapporto tra il possibile e l‟esistente, cioè permette al possibile di

riconoscersi o nell‟esistente o nella necessità che il futuro realizzerà.

La questione del diamante non si può risolvere facendo ricorso a soluzioni di tipo

convenzionale, come erroneamente alludeva lo stesso Peirce nel saggio del 78, poiché una

tale soluzione finirebbe per mettere in discussione l‟indipendenza del reale, infatti Peirce

ribadisce che “il reale è ciò che è tale e quale è, indipendentemente da come, in qualsiasi

304

Cfr. Questioni di pragmaticismo, cit., p.428. 305

Ivi, pp.428-29.

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momento, si pensi che sia”306

. Evidentemente il nucleo concettuale della massima pragmatica

sintetizza le leve di comando del sistema del filosofo americano, in particolare l‟idea di

continuità tra pensiero e realtà e l‟inconcepibilità dell‟inconoscibile. Se il rifiuto di considerare i

simboli come irreali lascia intendere la profonda consonanza tra il mentale e il reale, l‟idea

che qualcosa di ignoto, come il caso della durezza del diamante, sia equivalente ad una

proposizione condizionale vera radicalizza le argomentazioni che Peirce già esponeva in Some

Consequences of Four Incapacities, in merito all‟impossibilità di pensare l‟inconoscibile.

Secondo Peirce l‟inconcepibilità dell‟inconoscibile è giustificata sia dalla prospettiva

strettamente filosofica, sia da quella delle scienze empiriche, infatti Peirce così argomenta: “A

che cosa d‟altro si riferisce tutto l‟insegnamento della chimica, se non al “comportamento” dei

differenti generi possibili di sostanza materiale? E in che cosa consiste questo comportamento,

se non in ciò: che, se una sostanza di un certo genere venisse esposta a un agente di un certo

genere, allora, in base alle nostre esperienze sin qui occorse, ne seguirebbe un certo genere di

risultato sensibile? Quanto al pragmaticista la sua posizione è proprio questa: col dire che un

oggetto possiede un dato carattere, non si può significare altro. Il pragmaticista si trova perciò

costretto a sottoscrivere la dottrina di una Modalità reale, che includa la Necessità reale e La

Possibilità”307

.

In questi termini il concetto di tempo diventa fondamentale per capire, come dice lo stesso

Peirce, la natura del pragmaticismo, infatti il tempo è da concepire come una modalità del

reale, in particolare il futuro si pone come la dimensione temporale più congeniale alla

comprensione dello svolgimento stesso del reale. Il futuro è ciò che ci consentirà di valorizzare

e trasformare la creatività intrinseca alla Possibilità, aprendola alla verità e volgendola in

norma. È proprio il futuro ad esprimere il senso della massima pragmatica, poiché quando si

traggono le conclusioni in merito ad un possibile stato di cose, inevitabilmente, afferma Peirce,

si utilizza il futuro o il condizionale: il tempo entra nella costituzione dei significati, del reale,

nonché dei meccanismi della percezione.

È nel tempo che si produce la verità, ma questa è una condizione che vale anche per il reale,

non è un caso che negli scritti in cui viene tematizzato il concetto di sinechismo che

sicuramente costituisce l‟asse portante della visione metafisica peirceana, si evidenzi la

necessità di leggere il reale in una dimensione evolutiva. Infatti se ci riferiamo all‟ambito

prettamente metafisico, sia pure per accenni, è possibile comprendere come in esso attraverso il

concetto di sinechismo sia possibile cogliere una certa processualità del reale, e come in questo

concetto confluiscano tutti gli assi portanti del sistema peirceano308

. Proprio questa

convergenza, a mio avviso, costituisce una base per fornire possibili risposte alle domande

che vengono fuori dall‟analisi dei Prolegomena to an Apology for pragmaticism.

Negli scritti tra il1891 e il 1893, in cui Peirce espone il suo progetto cosmologico, l‟universo

viene concepito in termini dinamici, poiché quest‟ultimo dal caos, dalla spontaneità procede

306

Ivi, p.431. 307

Ibidem. 308

Per una visione di ampio respiro del sinechismo fondamentale la lettura del MS 948, per la definizione del termine

sinechismo cfr. MS 946; e per i rapporti tra mente e reale cfr. 950; interessanti i Ms 936 e 928 rispettivamente per il

richiamo a Leibniz a proposito del rapporto tra reale e pensiero e per il rapporto tra assiomi matematici e metafisici.

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verso l‟ordine, la regolarità. La materia non è mai dato inerte, essa è semmai qualcosa di

contratto che deve ancora sciogliersi, e infatti il reale si sostanzia di relazioni e non certo di

forme rigide e definitive: tale idea del reale è giustificata all‟interno della cosmologia

peirceana dalla presenza del caso, infatti in un‟ottica antitetica rispetto al meccanicismo il

caso si pone come principio dinamico operante all‟interno dell‟universo.

È la filosofia del tichismo a tematizzare il caso come elemento strutturale della materia, e

infatti così Peirce argomenta: “[….] Il tichismo deve dare vita a una cosmologia evolutiva, nella

quale tutte le regolarità della natura e della mente sono considerate come prodotti dello

sviluppo”309

, infatti già aveva precisato ne La Dottrina della necessità sotto esame: “Io faccio

uso del caso principalmente per fare spazio a un principio di generalizzazione, o tendenza a

formare abiti, che ritengo abbia proceduto tutte le regolarità. Il filosofo meccanicista lascia del

tutto inspiegabile l‟intera specificazione del mondo, il che è quasi tanto male quanto attribuirla

semplicemente al caso. Io l‟attribuisco completamente al caso, è vero, ma al caso in forma di

una spontaneità che è in qualche misura regolare”310

.

In modo efficace Peirce in Architecture of Theories, in una versione iniziale, contenuta

nell‟ottavo volume dei Writings, recentemente pubblicato, pone in evidenza come nella

dimensione logica e nella legislazione che norma l‟universo non sia possibile prendere le

mosse da una legge già data, poiché tale approccio equivarrebbe a non fornire alcuna

spiegazione. Al contrario la sorpresa, il caso, la spontaneità riscontrabili nell‟universo

sollecitano ipotesi, congetture che, se valide, saranno le uniche a fornire possibili spiegazioni.

Infatti Peirce afferma che ad alcuni fatti non è possibile richiedere spiegazione riguardo

all‟occorrenza di cose simili fra loro o di cose differenti, poiché è l‟ipotesi che è in grado di

spiegare “likenesses or definite relations of unlikenesses”311

.

In questo passo, dopo avere messo in evidenza la valenza ipotetica della cosmologia evolutiva,

Peirce rinvia alla matematica; essa è chiamata in causa perché ritenuta la forma di sapere,

che può costituire un modello per la metafisica. La matematica mostra alla metafisica il modo

in cui è possibile conoscere senza partire da assiomi, e così la metafisica deve sperimentare le

possibilità intrinseche all‟universo, nella misura in cui quest‟ultimo non è strutturato da leggi

fisse e meccaniche, ma esibisce le sue possibilità, affinchè si istituiscano relazioni, che possano

realizzare un ordine possibile, plasmando, modellando l‟infinita ricchezza di spontaneità, di

casualità per trasformarle in abiti.

Il sinechismo sul piano metafisico corrisponde al concetto logico-matematico di continuità, in

generale la metafisica, come dice Peirce, assimila i principi logici non soltanto sul piano

della validità ma soprattutto sul piano della verità, cioè le verità logiche per la metafisica

diventano verità che appartengono al reale a pieno titolo, perché permettono di capire che nel

reale c‟è una riserva di verità che il pensiero coglie di volta in volta. Un passaggio significativo

in merito al modo in cui Peirce intreccia i vari piani della sua costruzione filosofica, è quello ad

esempio che chiude l‟Architettura delle Teorie in cui viene ricordato che “tra i tanti principi di

309

Peirce, La legge della mente, cit., p.1102. 310

Peirce, La dottrina della necessità sotto esame (1892), p.1088. 311

W8: 87.

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Logica che trovano applicazione in Filosofia, […] ci sono tre concetti, che saltano fuori

dappertutto in ogni teoria della logica, e che nei sistemi più rifiniti si presentano in connessione

fra loro. Io li chiamo i concetti di Primo, Secondo, Terzo. Primo è il concetto di essere o di

esistere indipendentemente da alcunché d‟altro. Secondo è il concetto di essere relativo a, il

concetto di reazione con, qualcosa d‟altro. Terzo è il concetto della mediazione, per mezzo

della quale un primo e un secondo sono posti in relazione […] L‟origine delle cose, considerata

non in quanto conduca ad alcunché, ma in se stessa, contiene l‟idea di Primo; il compimento

delle cose l‟idea di Secondo; il processo di mediazione fra di esse l‟idea di Terzo”312

.

Se da una parte tutto ciò che è conoscibile è coglibile all‟interno delle espressioni proposizionali

di cui è capace la dimensione rappresentativa del pensiero, dall‟altra questa stessa dimensione

proposizionale lascia intravedere una realtà più ampia. Proprio questa realtà più ampia è quella

che viene conosciuta dalla metafisica.

Ma quale realtà viene rivelata? Una realtà che incarna il nucleo tematico più rappresentativo

della prospettiva peirceana e cioè l‟idea che la conoscenza procede per ipotesi e che queste

ultime, dopo essere state sottoposte al vaglio del vero-falso, potranno approdare alla legge.

Così come nel pensiero la legge non sta all‟inizio ma è frutto di uno svolgimento interpretativo,

allo stesso modo l‟universo si presenta come un groviglio di possibilità che il pensiero, con le

sue inferenze, trasforma in relazioni vere.

Quindi l‟interdipendenza tra logica e metafisica sta nel fatto che la logica abduttiva esplicando

nel futuro le possibilità della realtà, lascia intravedere un reale che non è regolato da una

legislazione di tipo meccanico. La metafisica spende le formalizzazioni ottenute attraverso la

logica per scoprire nuovi strati del reale, per compiere nel reale un‟integrazione adeguata di

individuale e generale.

Qui la convergenza tra logica e metafisica emerge chiaramente e non solo ma anche la loro

struttura circolare, poiché vero è che la logica attinge alla metafisica nel senso che le sue

assunzioni affondano le loro radici nel reale, ma al tempo stesso la metafisica necessita della

logica, poiché senza la mediazione proposizionale non può procedere, infatti per quanto il suo

ambito sia più vasto, la metafisica senza le mediazioni logiche non potrebbe attingere

all‟oggetto. È proprio questa necessità a fare della metafisica di Peirce una metafisica

pragmatica, quest‟ultima diventa una metafisica del possibile, nel senso che l‟oggetto della

conoscenza non è dato, esso è mediato dalla complessa dimensione segnica e conformemente

alla massima pragmatica è inesauribile, poiché reale è ciò che urta, che sorprende il nostro

pensiero e ci costringe ad integrarlo nell‟ambito della nostra esperienza presente o futura:

l‟oggetto della Metafisica è irriducibile al pensiero, nella misura in cui è gravido di potenzialità

che si esprimeranno nella prassi dell‟esperibile. E allora se è chiaro il vincolo stretto tra

metafisica e pragmaticismo, la metafisica si presenta congeniale alla costruzione grafica che

diventa il luogo logico- fenomenologico in cui è possibile scoprire i diversi strati del reale

e rivelarne la loro inedita profondità.

312

Peirce, L‟architettura delle teorie (1891), cit., p.348.

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La formalizzazione logica, in particolare quella grafica, diventa fondamentale perché luogo di

incontro tra l‟essere e i suoi nomi, il segno grafico si pone come il luogo in cui si rende

possibile l‟identificazione del nesso tra individuale e universale, che evidentemente non si

stabilisce in modo definitivo all‟interno della scrittura grafica, al contrario riceve da

quest‟ultima attraverso le sue scelte, le sue manipolazioni, la sua plasticità e i suoi hermeneiai

pragmatici, una fisionomia possibile.

Infatti la logica di Peirce è una logica che trasforma, ma essa è in grado di trasformare,

poiché i segni nei quali vengono espresse le asserzioni sono dinamici, aperti all‟inferenzialità

ipotetica e diretti a destinatari potenziali che si impegnino a verificarne la veridicità.

Proprio qui risiede tutta la densità della „sintassi grafica‟, poiché il movimento proposizionale

cui dà vita non rispecchia una presunta realtà già data bensì è autotrasformantesi, poiché

sperimenta effettuando operazioni al fine di conoscere le necessità che saranno esplicate dalle

proposizioni assunte.

Cos‟è che nella logica grafica permette di scoprire l‟inedito? È il taglio a qualificarsi come

atto sintetico, esso è lo squarcio compiuto dal grafista sulla facciata femica che equivale alla

totalità del reale che il soggetto incontra nell‟esperienza. Nell‟incontro con la realtà il soggetto

non è soltanto investito, ma attiva le sue inferenze abduttive al fine di realizzare la

comprensione di quel pezzo di realtà, che apparentemente si mostra come quel muro contro cui

il soggetto urta, poiché in realtà esso è un muro mobile, plastico, poiché esso permetterà una

penetrazione più profonda del reale, che si realizzerà integrando all‟interno di una regola ciò

che apparentemente si presentava come l‟inatteso, ciò che non era compatibile con le vecchie

regole. E così allo stesso modo il grafista nell‟impatto con la facciata femica, ovvero con

l‟asseribile, con l‟intero, attiva un ragionamento, che non può che essere ipotetico, poiché

necessariamente proiettato verso il futuro: il vero non gli si palesa innanzi nell‟immediato, e

allora, così come fa lo scienziato, deve sperimentare per realizzare un obiettivo ovvero per

giustificare quanto assunto. Se quest‟ultimo risulterà giustificato il vero che ne conseguirà sarà

parziale ma conforme al reale, dal momento che il reale stesso necessita della veste logica in

virtù della quale viene compreso.

Attraverso il taglio scopriamo mondi nuovi, poiché la negazione di una possibilità esprimerà

non soltanto la negazione ma anche la possibilità di una realtà alternativa, ancora da giustificare

ma già assumibile. Così Peirce spiega nei Prolegomena to an Apology for pragmaticism: “[…]

Se diciamo di un uomo che non è innocente, noi rappresentiamo l‟innocente come collocato

soltanto in un universo ideale, il quale universo (o una parte del quale contenente l‟immaginato

essere innocente) noi allora separiamo positivamente dall‟identità dell‟uomo in questione”313

.

In questi termini, oltreché il significato strettamente logico, viene fuori la valenza ontologica

del taglio, il quale, rendendo discontinuo il continuum della facciata femica, lascia vedere le

potenzialità del reale, e pone le condizioni perché queste ultime si trasformino in necessità, ma

tali necessità non esauriscono l‟infinita possibilità del reale, quest‟ultima esibirà nuove

necessità che costituiranno, se pur transitori, nuovi e sorprendenti approdi. Ma in che modo le

313

Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.234 (nota).

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possibilità condizionali potranno giustificare i loro contenuti? Come si è avuto modo di

constatare dall‟analisi dei grafi contenuti nei Prolegomena to an Apology for pragmaticism

un punto fondamentale, che emerge e che si pone in assoluta coerenza con la massima

pragmatica, consiste nel ritenere il vero come ciò che deve essere sottoposto alla confutazione, e

quindi successivamente condiviso, approvato. La verità deve prima esporsi alla possibile

confutazione perché venga legittimata. Qualsiasi proposizione è un invito a realizzare un

proposito e si rivolge ad un interprete. Proprio questa esigenza del vero coniuga in modo chiaro

l‟asse semiotico-logico e quello pragmatico. Il vero necessita di un movimento logico che si

spende all‟interno di un contesto comune, in cui si procede gradualmente, poiché si

costituisce nella dimensione del segno, che per sua natura è orientato sempre verso un

destinatario, e così si rende tratto osservabile e manipolabile314

.

Le diverse operazioni che la scrittura grafica effettua come le inserzioni, le reiterazioni le

cancellazioni svolgono il vero nel senso che costituiranno il tramite attraverso il quale dai

contenuti condizionali si perverrà ad una conclusione necessaria. In tale tragitto accade il

passaggio dalla possibilità alla necessità, ma l‟esito importante non è soltanto quello legato

alla conclusione dell‟iter logico, poiché l‟effetto pragmatico non si esaurisce qui: sarà il futuro a

marcare la significatività delle conclusioni raggiunte dalla prassi grafica. Se un concetto si

dispiega nei suoi „concepibili‟ effetti pratici, l‟esito pregnante si coglie nella continuità di

questi effetti, nella formazione di abiti in grado di testimoniare il continuum logico espresso

dalla costruzione grafica.

Potremmo dire che la scrittura grafica è profondamente rivoluzionaria perché la sua efficacia, la

sua verità risiede nella capacità di trasformare, di creare nuovi abiti, in questo senso la scrittura

grafica guarda al futuro, riponendo il suo fine nell‟evoluzione degli abiti, affidando il senso

della verità dei suoi asserti alla dimensione del futuro, in cui le condizionalità troveranno

ospitalità presso l‟esistente. Ma questa fiducia nel futuro è supportata, come abbiamo

analizzato precedentemente, essenzialmente dalla visione sinechistica, è il reale che ci

supporta in questo processo che muovendo dalle potenzialità perviene alla legalità, ai principi.

Il continuum reale, che si esplica nel passaggio dal caso alla legge, trova la sua

rappresentazione logica proprio in quella dimensione dialettica in cui grafista e interprete con

le loro operazioni, tagli, inserzioni ed eliminazioni, iterazioni, deiterazioni, e cancellazioni,

creano discontinuità nel continuum, segnando il passaggio dalla possibilità alla necessità. E

così gli artefici dell‟operare grafico mettono in atto i frutti della lezione pragmatica e

consegnano al futuro il senso del loro lavoro. Così si esprime Peirce in On Existential Graphs,

Euler‟s Diagrams and Logical Algebra: “La verità stessa delle cose deve in qualche misura

essere rappresentativa. Se ammettiamo che le proposizioni esprimono davvero la realtà, non è

314

Come afferma F. Zalamea: “[….] The pragmaticist maxim shows that knowledge seen as a logic-semiotic process,

is preeminently contextual (as opposed to absolute) relational (as opposed to substantial), modal (as opposed to

determinate), and synthetic (as opposed to analytic)”. F. Zalamea, A Category – Theoretic Readings of Peirce‟s

System, in New Essay on Peirce‟s Mathematical Philosophy, by Matthew E. Moore, Open Court, Chicago and La

Salle, 2010, p. 205.

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sorprendente che lo studio della natura delle proposizioni ci possa consentire di passare dalla

conoscenza di un fatto alla conoscenza di un altro”315

.

La costruzione grafica serve a scoprire il vero, poiché le convenzioni, le autorizzazioni ci

permettono di penetrare in ciò che vi è di stabile, di oggettivo. La conoscenza è azione, il

significato è relazione e se da una parte la logica grafica con le sue varie operazioni permette

di iconizzare i principi logici del pensiero, dall‟altra questi ultimi intendono valere come verità

del reale. Insomma lo spazio logico si pone come spazio fenomenologico, poiché i grafi

avrebbero la funzione di elaborare un modello all‟interno del quale apparirebbero gli

universali. In questi termini i grafi assolvono il compito di coniugare metafisica e logica, la

metafisica può sopravvivere a patto che accetti di verificare le sue inferenze in uno spazio

logico. La logica presta al metafisico il luogo in cui dispiegare le sue inferenze, ed è in questo

luogo che sarà possibile apprezzare la valenza ontologica delle connessioni scoperte, perché

ogni ragionamento contempla un atto di costruzione e il pensiero in forma diagrammatica è l‟

unico che consente di seguire lo sviluppo dei vari passaggi inferenziali e l‟attuarsi delle

trasformazioni che in itinere si effettuano. La costruzione dei grafi assume così una veste

fenomenologica e trascendentale: fenomenologica poiché attraverso figure visibili e concrete

dispiega il logos, trascendentale perché nell‟esplicare le connessioni logiche svela quelle del

reale.

La dinamica del grafo, a mio avviso, consolida la relazione triadica del segno, amplificandone il

dominio. Se negli scritti giovanili l‟invalicabilità dell‟orizzonte segnico conduceva Peirce ad

affermare che conoscibile ed essere si identificavano, anche dopo, negli scritti della maturità,

la prospettiva trascendentale, secondo me, non viene meno, poiché il rapporto tra

fenomenologia e semiotica ci permette di comprendere che se il pensiero può rappresentare il

reale ciò è legittimato dall‟assunzione che pensiero e reale presentino una struttura affine. Il

reale non si risolve nel pensiero, ma è configurabile, assume fisionomia in esso. Come

abbiamo avuto modo di constatare nelle pagine precedenti, se da un lato la faneroscopia

indaga sul reale e giustifica l‟impianto semiotico, quest‟ultimo rende articolabile, presentabile

il reale stesso. Secondo Peirce il reale e il pensiero convengono perché presentano strutture

analoghe, infatti la radice semiotica presente nella diagrammatizzazione dei grafi esistenziali

conviene con un‟intrinseca dinamicità del reale che, così come abbiamo analizzato in sede

faneroscopica e negli scritti metafisici, si propone come passaggio dalla spontaneità alla legge.

La proiezione verso il futuro, propria della relazione segnica è assolutamente congeniale al

reale, poiché come è stato detto più volte, la totalità del reale si svelerà soltanto

progressivamente. E di questa crescita è possibile dar conto soltanto all‟interno di un pensiero

formalizzato semioticamente e di una logica diagrammatica. In questo senso la prospettiva di

Peirce, a mio avviso, rimane trascendentale, poiché comunque sarà la dimensione logico-

semiotica ad articolare il reale, cioè ad offrirgli espressione. Qui viene inverato e dilatato il

trascendentale di Kant, poiché se quello kantiano si riferiva alle condizioni di possibilità della

315

Peirce, On Existential Grapfs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra, cit., p.641.

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dimensione attuale del reale, quello peirceano, soprattutto negli scritti del Peirce maturo, si

pone come condizione della dimensione possibile del reale.

Il movimento innanzitutto abduttivo e l‟intrinseca dialogicità della logica grafica pongono le

condizioni perché in essa si possa esplicare il reale.316

Demolita la pretesa di partire da un

primum immediato, il reale e il pensiero condividono una forma che è quella ipotetica, nel

senso che la Firstness o la spontaneità sono isomorfiche rispetto al potere abduttivo della logica

grafica, la quale procede per assunzioni, e in forma dialogica, poiché le assunzioni soltanto

dopo essere state esposte alla dialettica interprete-grafista potranno dedurre le Possibilità

reali.

In base a queste considerazioni non è possibile pensare alla logica grafica come ad una

sintassi, al contrario, per usare una metafora, questa logica è come se fosse forata, nel senso

che deve disporre di un filtro in virtù del quale comunicare con il reale, cioè deve avvalersi

di segni diversi e quindi non solo di quelli simbolici, che sono generalì, astratti, e non idonei a

rappresentare tutte le modalità del reale, ma deve disporre di segni, che per loro natura si

mostrino plastici, e compatibili con gli input provenienti dal „magma esterno‟.

Cioè la logica deve disporre di segni capaci di agganciare il reale e ritornando alla metafora,

deve avere dei fori, capaci di ospitare le emergenze provenienti dall‟ oggetto dinamico. Lo

sforzo di Peirce è proprio quello di costruire una logica che sia in grado di integrare la

dimensione sintattica e semantico-pragmatica, evitando così di cadere nel logicismo.

Per evitare di cadere nelle aporie del formalismo logico, è necessario far transitare nella

grammatica logica il linguaggio naturale, e tutta la profondità della massima pragmatica.

Perché la logica non perda il rapporto con la realtà deve assolutamente fare i conti con il

316

Utile il saggio di J.Abrams perchè pone in evidenza come Peirce non abbandoni il progetto trascendentale, e

come quest‟ultimo s‟integri anche con i profondi cambiamenti apportati in ambito logico dal pensatore americano.

In un passaggio della sua riflessione lo studioso rinvia proprio ad un punto cruciale dei Prolegomena to an Apology for

Pragmaticism (CP 4.551) in cui si sottolinea l‟imprescindibilità della dimensione dialogica per l‟evoluzione stessa

della logica. Proprio questo punto è alla base della presupposizione trascendentale del discorso che ha prodotto linee

critiche come quella di Apel e di Habermas. J Abrams conclude la sua riflessione affermando: “ Apperception is

then (as Peirce originally argued) the “unity of semiotic consistency”, and is trascendentally directly into the future […]

Meaning entails a triadic movement of the sign-object- interpretant relation, each part of wich is a first, a second, or

third. And, finally, the defense of the categories and apperception takes the form of a transcendental performative

contradction, derived from apel, in the immediate sign. ”. Abrams Jerrold, Peirce, Kant and Apel on Transcendental

Semiotics: The Unity of Appercetion and Deduction of Categories of Signs, <<T.C.P.S.>> 40 (2004) n.4 pp.627-677.

In opposizione all‟idea che nel pensiero di Peirce sia presente un progetto trascendentale T. Midtgarden ritiene che

“[….] The trascendental-empirical and the a priori-a posteriori dichotomies are not assumed for this epistemological

project. Rather, these dichotomies are replaced by an invitation of empirical research-linguistics in particular-to

consider the hypothesis that associated with the indexcality and iconicity of language are certain cognitive functions

connecting and motivating linguistic structure across natural languages”. Midtgarden Torjus, Peirce‟s Epistemology

and its Kantian Legacy: Exegetic and Systematic considerations, <<Journal of the History of Philosophy >> 45 (2007),

n.4, p. 598.T. Midtgarden, sebbene escluda la valenza trascendentale dalla prospettiva peirceana, pone in evidenza che

l‟iconicità della struttura sintattica non è autonoma rispetto alla dimensione del significato e a tal proposito richiama

il passo dei Prolegomena to an Apology for pragmaticism in cui Peirce chiarisce che, affinché un enunciato risulti

comprensibile, è importante che l‟organizzazione delle parole si strutturi iconicamente, poiché le icone servono

soprattutto a mostrare le forme della sintesi degli elementi del pensiero.(4.544). Ivi,p.594. Tale puntualizzazione è in

linea con la prospettiva di questo lavoro, secondo il quale l‟icona è la dimensione in cui si intrecciano il naturale e il

convenzionale. Ora l‟idea che non si possa pensare senza segni rimane un punto fermo nell‟impianto peirceano, esso

infatti si consolida con il sinechismo, che legittima la congruenza tra reale e pensiero. Ogni cosa che è assume una

veste segnica, e in questo senso la prospettiva peirceana, a mio avviso, rimane ancorata ad un punto di vista

trascendentale.

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linguaggio naturale. D‟altra parte ciò è in linea con il sinechismo di Peirce, in virtù del quale

si intende far valere l‟idea che esiste perfetta consonanza tra le leggi logiche e quelle naturali;

non è un caso che Peirce ribadisca che ogni spiegazione scientifica è un‟ipotesi che c‟è

qualcosa in natura a cui la ragione umana è analoga e che non è ipotizzabile da parte della

scienza qualche fatto fuori dal corso della natura317

. E allora se il segno è l‟unica rete con la

quale il reale è catturabile, così come il linguaggio cerca il contatto con il mondo attraverso

vari tipi di segni, ipostatizzando le immagini, le idee e creando così vere e proprie entità sulle

quali riflettere ed estrapolare significati, insomma così come il linguaggio crea la sua materialità

per risolverla in concetti, che pragmaticamente accresceranno indefinitamente il loro tasso di

significazione, allo stesso modo, la logica, se non vuole essere una logica meramente astratta,

deve accogliere diversi tipi di segni, come le icone e gli indici attraverso i quali vengono

introdotte le emergenze provenienti dal mondo esterno. In questo passaggio dal naturale al

logico si apprezza tutta la profondità della massima pragmatica, poiché come dice Apel: “[….]

La massima pragmatica fornisce una guidalinea normativa per gli esperimenti del pensiero

secondo cui se [….], allora [.…] le connessioni tra possibili azioni o operazioni e possibili

esperienze possono essere scoperte. Così persino l‟inconscio “sfondo” del nostro ordinario uso

di segni (“sfondo” nel senso del testo di Searle sull‟Intenzionalità) può essere progressivamente

portato alla luce, e una più profonda comprensione del significato dei termini e un loro nuovo

uso dei giochi del linguaggio della scienza e della filosofia può essere determinato”318

.

Insomma nella prospettiva peirceana si comprende come le ragioni di una possibile sintesi tra

semantica e sintassi stia nella radice segnica. È il modo in cui è costituito il segno a fornire le

basi per la costruzione di una logica che sia insieme sintattica e semantica. In questa struttura di

pensiero la scrittura grafica diventa il luogo fenomenologico da cui scaturirà una possibile

semantica, nel senso che i segni grafici sono veicoli del significato e non segni neutri. Se i segni

non fossero plastici ma semplicemente lineari, ancora una volta Peirce avrebbe fatto

coincidere la formalizzazione con la simbolizzazione.

317

Cfr. CP 1.316; 1.90. 318

Karl-Otto-Apel, Transcendental semiotic and truth: the relevance of a peircean consensus –Theory of Truth in the

present debate about truty-theories, in Atti del convegno Internazionale „Peirce in Italia‟, a cura di M. Bonfantini e

A. Martone, Liguori Editore, Marzo, 1993, p.204.

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Dall‟analisi svolta si può dire che, l‟impalcatura peirceana si fa espressione di una struttura

che non vede natura e convenzione come dimensioni che si escludono reciprocamente, poiché

al contrario realizza forme di transizioni e di inclusioni rispetto alla tradizionale

opposizione tra costituzione naturale e costituzione simbolica del segno.

E proprio in questa prospettiva, a mio avviso, si coglie l‟unità all‟interno dell‟opera peirceana,

poiché si ritrova all‟opera il ground, come matrice della dimensione diagrammatica. Il ground

se è condizione del segno, è anche la condizione delle sue esperienze grafiche. Il segno non è

per antonomasia l‟esternazione del pensiero? La diagrammatizzazione costituisce la sua

materialità: pensiero e reale se si costruiscono insieme devono avere un luogo. Il diagramma è

il luogo in cui reale e pensiero si incontrano, reale e pensiero non preesistono al diagramma,

essi di fatto si rivelano all‟interno del diagramma. In questi termini natura e convenzione si

ritrovano insieme e non sono separabili e il loro nesso è proprio il ground. La metafisica,

perché sia possibile, deve diagrammatizzarsi e riconoscersi nella grammatica logico-semiotica,

al fine di ridare senso in modo originale, ma al tempo stesso classico, alla parola verità.

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Glossario

Diagramma. “Un diagramma è un representamen che è in modo predominante un‟ icona di

relazioni ed è aiutato a esserlo da convenzioni. Anche gli indici vengono più o meno usati.

Dovrebbe essere eseguito sulla base di un sistema di rappresentazione perfettamente

coerente, fondato su un‟idea di base semplice e facilmente intelligibile”. CP 4.418

Grafo.“Un grafo è un diagramma piano composto del foglio sul quale è scritto o disegnato,

di schemi o loro equivalenti, di linee di connessione e (se c‟è bisogno) di comprensorii. Il

genere al quale si suppone che più o meno rassomigli è la formula strutturale del chimico“.

CP 4.419

Grafo logico. “Un grafo logico è un grafo che rappresenta iconicamente relazioni logiche,

cosi da essere un ausilio per l‟analisi logica”. CP 4.420

Grafo esistenziale. “È un grafo logico retto da un sistema di rappresentazione che si basa

sull‟idea che il foglio sul quale è scritto, così come ogni porzione di quel foglio,

rappresenta un universo riconosciuto, reale o fittizio, e che ogni grafo disegnato su quel

foglio e non separato dal corpo principale di esso da un comprensorio, rappresenta qualche

fatto esistente in quell‟ universo, e lo rappresenta indipendentemente dalla rappresentazione

di un altro fatto simile per mezzo di qualsiasi altro grafo scritto su un‟altra parte del foglio,

formando questi grafi, comunque, un grafo composito”. CP 4.421

Sema. “Qualsiasi entità che serva per un qualsiasi scopo da sostituto di un oggetto di cui

sia, in qualche senso, una rappresentazione o un segno. Il termine della logica, che è un

nome classe,è un sema”. CP 4.538.

Fema. Esso è “Un segno equivalente a un enunciato grammaticale, sia esso interrogativo,

imperativo, o assertorio [….] Un tale segno è inteso avere qualche sorta di effetto costrittivo

sul suo Interprete”. CP 4.538. Il fema è una proposizione .

Deloma. Esso è “Un segno che ha la forma di tendere ad agire sull‟ interprete attraverso il

suo proprio autocontrollo,rappresentando un processo di trasformazione che avviene nei

pensieri o nei segni in modo da indurre questa trasformazione nell‟ Interprete”. 4.538. Un

Deloma è un argomento

Foglio di asserzione. È il foglio su cui vengono tracciati i grafi esistenziali.

Recto. È la superficie del foglio di asserzione, su cui vengono poste affermativamente le

occorrenze di grafo.

Verso. È il retro del foglio di asserzione su cui vengono tracciati i grafi negati.

Tinture “Ciascuna parte della superficie (della Facciata Femica) esposta sarà tinteggiata in

una determinata tintura fra le dodici a disposizione. Queste dodici tinture si dividono in tre

classi composte ognuna di quattro tinture. I caratteri - classe sono chiamati Modi di tintura,

ovvero, individualmente, adottando la terminologia araldica, Colore, Pelliccia, e Metallo. Le

tinture di colore sono Azzurro, Rosso, Verde, e Porpora. Le Tinture di Pelliccia sono Nero,

Ermellino ,Vaio, e Potente. Le tinture di Metallo sono Argento, Oro, Ferro e Piombo [……]

Il modo di tintura della provincia […..] mostra se la modalità di essere affermativamente o

negativamente attribuita allo stato di cose descritto è quella della Possibilità, o quella dell‟

Intenzione, o quella dell‟ Attualità. Le tinture di Colore saranno usate per indicare

Possibilità, le tinture di Pelliccia per indicare Intenzione, le tinture di Metallo per indicare

Attualità”. CP 4.553 - 4.554.

Provincia. ”La totalità di una qualsiasi parte continua della superficie esposta coperta da una

tintura sarà detta una provincia”. CP 4.553.

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Marca. “Il margine della facciata sarà coperto tutt‟ intorno da una tintura, scelta fra le dodici

a disposizione concordemente dal grafista e dall‟ interprete al principio della ricerca. La

provincia di questo margine o confine si può chiamare la Marca. Il modo di tintura della

Marca stabilirà se il grafo totale deve essere inteso come interrogativo, imperativo, o

indicativo“. CP 4.553.

Taglio. “Se il grafista desidera negare un grafo, deve tracciarlo sul verso, e allora, prima di

passarlo all‟interprete, deve fare un‟incisione, chiamata taglio, tutt‟intorno all‟Occorrenza

di grafo da negare, e ribaltare il pezzo reciso in modo da esporre la sua superficie più ruvida

recante l‟occorrenza di grafo negata. Questo ribaltamento del pezzo reciso deve essere

concepito come una parte inseparabile dell‟operazione di fare un Taglio […..] Un taglio

non è né un grafo né un‟occorrenza di grafo”. CP 4.556.

Doppio Taglio. ”Se il grafo che deve essere negato include un taglio, il grafo compreso

entro questo taglio, che viene cosi a essere negato due volte, deve perciò essere tracciato sul

recto”. CP 4.556.

Luogo del taglio: ”La parte della superficie esposta che è continua con la parte

immediatamente esterna al Taglio si chiama luogo del Taglio”. CP 4.556.

Area del taglio. “La superficie entro il taglio viene detta Area del taglio”. CP 4.556.

Grafo totale – grafo parziale. “La congiunzione di tutto quanto è tracciato su un‟ area

qualsiasi, compresi i grafi di cui sono occorrenze i comprensori,si chiama Grafo totale di

quell‟ area; e una qualsiasi parte del grafo Totale, sia graficamente connessa con, o sia

sconnessa da, le altre parti,purché sia il grafo totale della Facciata Femica, è detto Grafo

parziale dell‟ area”. CP 4.556 .

Le convenzioni dei grafi esistenziali

1)Prima convenzione: dell‟azione della traccia

“Bisogna immaginare che due persone, due atteggiamenti o stati mentali collaborino nel

comporre un Fema e nell‟operare su di esso in modo da sviluppare un Deloma. Le due parti

impegnate sono dette Grafista e Interprete. Il grafista traccerà responsabilmente ciascun

Grafo originario e ciascuna successiva aggiunta. L‟interprete dovrà compiere sul Grafo le

operazioni di cancellatura e di inserzione assegnategli dal grafista concordemente alle

Autorizzazioni generali deducibili dalle convenzioni e concordemente ai suoi propri scopi”.

CP 4.552.

2) Seconda convenzione: Oggetto della traccia e modalità dei Femi espressi.

“L‟ oggetto che le occorrenze di grafo devono determinare, e che perciò diventa la Quasi –

mente in cui si identificano il grafista e l‟ interprete […..] è detta Facciata Femica sulla

quale si possono tracciare segni e dalla quale si può cancellare qualsiasi segno sia già stato

tracciato in qualsiasi maniera [….] Ciascuna parte della superficie esposta sarà tinteggiata in

una determinata tintura fra le dodici a disposizione. I modi di tintura delle province e il

modo di tintura della Marca stabiliranno rispettivamente la modalità di essere

affermativamente o negativamente attribuita allo stato di cose descritto (Possibilità,

Intenzione, Attualità), e la modalità del Grafo Totale (Interrogativo, Indicativo)”.

CP 4.553-4.554

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3) Terza convenzione: Aree incluse nella Facciata Femica, ma da esse separate.

“Si deve pensare che la facciata Femica sia situata sulla più liscia delle due superficie di un

Foglio, parte chiamata recto [..….]. Ogni occorrenza di Grafo sul recto è posta

affermativamente e indefinitamente [….] Se il grafista desidera negare un grafo, deve

tracciare sul verso, e allora, prima di passarlo all‟ interprete, deve fare un‟ incisione

,chiamata Taglio,tutt‟intorno all‟ Occorrenza di Grafo da negare,e ribaltare il pezzo reciso in

modo da esporre la sua superficie più ruvida recante l‟Occorrenza di Grafo negata.Ma se il

grafo che deve essere negato include un Taglio, il grafo compreso entro questo taglio,che

viene cosi‟a essere negato due volte, deve perciò essere tracciato sul recto”. CP 4.555-4.556.

La terza convenzione si riferisce principalmente all‟operazione fondamentale del taglio, alla

nozione di luogo del taglio, all‟Area del taglio, al doppio taglio, al grafo totale e al grafo

parziale.

4) Quarta convenzione: “Segni di individui e di identità Individuale”. CP 4.559.

Rema o predicato. Si intende “Una forma vuota di proposizione quale risulterebbe

cancellando via certe parti da una proposizione e lasciando uno spazio vuoto al posto di

ciascuna parte cancellata. Un predicato ordinario di cui non si intenda rappresentare alcuna

analisi sarà scritto di solito in forma abbreviata, ma con un punto particolare alla periferia

della forma scritta assegnato a ciascuno degli spazi vuoti che potrebbero essere riempiti da

un nome proprio”. CP 4.560.

Schema. “Lo schema graficamente è rappresentato da un predicato e da un trattino ben

marcato che è stato cancellato da una proposizione. Lo schema diventerà un grafo che

esprime una proposizione in cui ogni spazio vuoto è riempito da una parola denotante un

oggetto individuale indefinito, qualcosa. Tale forma scritta con i suoi punti sarà detta

Schema, e ciascun punto collocato alla sua periferia sarà chiamato Capo dello Schema. Lo

schema diventa un grafo che esprime una proposizione in cui ogni spazio vuoto è riempito

da una parola denotante un oggetto individuale indefinito, qualcosa”. CP 4.438-4.560.

Linea d‟identità. “Una linea spessa sarà considerata come un continuum di punti contigui. E

dato che punti contigui denotano un singolo individuo, una linea del genere senza nessun

punto di ramificazione significherà l‟identità degli individui denotati dalle estremità, e il

tipo di tale linea non ramificata sarà il Grafo dell‟identità, ogni occorrenza del quale sarà

chiamata Linea di Identità”. CP 4.561.

Estremità libera. “Una estremità di una linea di Identità che non si congiunga a un‟altra

Linea del genere in un‟altra area sarà chiamata una Estremità Libera”. CP 4.561.

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Legame. “Una linea spessa, che può essere racchiusa in una medesima area oppure no,le cui

due estremità si congiungono a capi di schemi sarà chiamata Legame. Due linee non

possono congiungersi al medesimo capo, a meno che questo sia un punto di teridentità. Lo

scopo di questa regola è di forzare al riconoscimento della verità logica dimostrabile che il

concetto di Teridentità non è l‟identità semplice: è identità e identità, ma questa “e” è un

concetto distinto, e precisamente quello di teridentità”. CP 4.561.

Selettivo. “Un legame che attraversi un taglio va interpretato come immutato nel

significato cancellando la parte che attraversa il Taglio e attaccando alle due estremità libere

cosi prodotte due occorrenze di un Nome proprio mai usato altrove; tale nome Proprio sarà

detto un Selettivo. Per evitare l‟intersezione di Linee di Identità si può ricorrere a un

Selettivo oppure a un Ponte,che va immaginato come un nastrino di carta”. CP 4.561

Quinta convenzione: Connessioni delle occorrenze di Grafo

“Due occorrenze di grafo parziali si dicono individualmente e direttamente connesse se,

e solo se, nel grafo totale un unico individuo è reso soggetto di entrambi –

incondizionatamente o sotto qualche condizione, affermativamente o negativamente.

[….] Due occorrenze di Grafo situate nella medesima Provincia sono perciò esplicitamente,

benché indefinitamente, individualmente e direttamente connesse, dato che entrambe, o una

e la negazione dell‟altra, o la negazione di entrambe, sono asserite essere vere o false

solidalmente, cioè nelle medesime circostanze, ancorché queste circostanze non siano

formalmente definite ma lasciate all‟ interpretazione del caso. Due occorrenze di grafo non

già nelle medesime provincia,ma solo nel medesimo Modo di Tintura, sono connesse nel

mero senso di appartenere al medesimo Universo. Due occorenze di Grafo in differenti

Modi di Tintura sono connesse solamente nel senso che entrambe,o una e la negazione

dell‟altra, o la negazione di entrambe, sono poste come appartenenti alla Verità. Non si può

dire che esse abbiano una connessione individuale e diretta. Due occorrenze di Grafo che

non sono individualmente direttamente connesse entro il taglio più interno che le contiene

entrambe non sono connesse affatto; e ogni legame che le congiunga è senza senso e può

essere fatto o disfatto”. CP 4.562

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Le autorizzazioni

Prima autorizzazione. Essa viene “Chiamata regola di Cancellazione e Inserzione. Qualsiasi

Occorrenza di grafo può essere cancellata da qualsiasi Area situata sul recto

(comprendendo la disgiuntura di qualsiasi linea d‟identità), e qualsiasi Occorrenza di grafo

può essere inserita in qualsiasi Area situata sul verso (comprendendo fra le occorrenze di

grafo la giuntura di due qualsiasi Linee d‟identità o Punti di Teridentità”) CP 4.565.

Seconda autorizzazione. Essa viene definita “Regola di Iterazione e Deiterazione.

Qualsiasi Grafo tracciato su qualsiasi Area può essere Iterato, oppure (se già iterato) può

essere Deiterato da, l‟Area in questione o qualsiasi altra Area compresa entro l‟Area in

questione. Ciò implica la Autorizzazione di distorcere una linea di Identità, a piacere. Iterare

un grafo significa tracciarlo di nuovo, congiungendo con Legami ogni Capo della nuova

Occorrenza al corrispondente Capo della Occorrenza Originaria. Deiterare un grafo

significa cancellare una sua seconda occorrenza, ciascun capo della quale è congiunto da un

legame a una prima occorrenza”. 4.566.

Terza autorizzazione. “Essa viene denominata regola del Taglio Doppio. Due Tagli l‟uno

dentro l‟altro, con niente fra loro, a meno che ci siano Legami che trapassino da fuori del

Taglio esterno sin dentro al Taglio interno possono essere introdotti o aboliti su qualsiasi

area”. 4.567.

4.569 Quarta autorizzazione. “Se il più piccolo Taglio che contiene completamente un

Legame che connette due grafi situati in Province differenti ha la sua area sulla superficie

del Foglio opposta a quella dell‟area del più piccolo Taglio che contiene questi due Grafi,

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allora quel legame può essere mantenuto o interrotto a piacere, almeno per ciò che concerne

questi due grafi”. CP 4.469.

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TERZA PARTE

QUINTO CAPITOLO

L’Icona come notazione dell’ analogia

1) Ipotesi, likeness e analogia negli scritti giovanili di Peice

L‟idea che termini quali icona e analogia possano incontrarsi in un universo di discorso

comune e dischiudere nuovi orizzonti, all‟interno dei quali ridefinire, ricomprendere e

connettere nuclei concettuali intesi troppo eterogenei, è in qualche modo incoraggiata dal

modo proprio di operare dei ragionamenti peirceani. Il procedere del pensiero peirceano a

mio avviso si caratterizza proprio per la capacità di gettare ponti, tra strade ritenute

tradizionalmente destinate a rimanere inesorabilmente separate. D‟altra parte all‟inizio di

questo lavoro, è stato già chiarito che l‟interesse rivolto all‟icona, uno dei concetti più

rappresentativi della semiotica peirceana, scaturisce dalla convinzione, peraltro sostenuta da

autorevoli studiosi, che la semiotica peirceana si qualifica come una prospettiva di pensiero

capace di abbracciare e di fondare in modo assolutamente originale questioni radicali, come

quelle analizzate in precedenza, riguardanti il rapporto tra natura e convenzione, il rapporto

tra pensiero e realtà, tra referente e modi del segno.

E allora l‟idea che un termine come quello di analogia, strettamente imparentato con la

tradizione logico-metafisica, possa dialogare con uno dei termini più tecnici della semiotica

peirceana quale il concetto di icona, a mio avviso, è confortata dal modo in cui Peirce

intreccia i rapporti tra logica e semiotica. Per comprendere il modo in cui si annodano i fili

tra questi due ambiti è inevitabile ritornare allo scritto del „67, A New list of Categories, e

agli scritti On the Natural Classification of arguments, Upon Logical Comprehension and

Extension, Some Consequences of Four Incapacities. Le conclusioni alle quali pervengono

gli scritti suddetti evidenziano un nesso profondo tra logica e semiotica e anticipano alcune

delle acquisizioni della logica matura, dando prova di coerenza e sistematicità tra le opere

del giovane Peirce e il Peirce della maturità, nonché invitando a procedere nella direzione

che il presente discorso intende intraprendere.

Prima di addentrarmi nell‟analisi specifica di alcune argomentazioni peirceane è forse utile

già mettere in luce che dall‟analisi di questi scritti emerge una riduzione delle inferenze

logiche a ciò che Peirce denomina relazione segnica. Se effettivamente tale riduzione risulta

giustificabile, allora forse è possibile affermare che l‟inferenza analogica, per antonomasia

inferenza che si caratterizza per le relazioni che è in grado di istituire - poiché è la relazione

a qualificarsi come connotativa -, si pone come esplicativa della struttura dell‟icona, la

quale, parte vitale della relazione segnica, apparirà come essa stessa analogica. E allora se

già all‟interno del discorso peirceano è possibile dar conto di una matrice comune per i

concetti di icona e analogia, forse successivamente accostare l‟icona al modo in cui Kant ha

inteso l‟analogia potrà apparire, a mio avviso, confermare il ruolo che l‟analogia svolge

all‟interno dell‟universo peirceano. Se la riduzione dell‟inferenza logica a ciò che viene

chiamato relazione segnica stabilisce sin dall‟inizio uno stretto rapporto tra logica e

semiotica, e se è chiaro che il concetto di logica a cui Peirce si riferisce non s‟identifica con

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un mero calcolo formale, ma ha a che fare con un progetto di fondazione, l‟analogia e

l‟icona forse possono in questa prospettiva condividere un terreno comune.

L‟indicazione fornita dal ground, che proviene da un mondo che è quello categoriale del

„67, riconosce pretesa fondativa all‟ipotesi. Tale suggerimento, a mio avviso, viene

supportato da On the Natural Classification of Arguments, in modo specifico nel rapporto

tra le diverse figure del sillogismo categorico. Da tale analisi e dal riferimento

all‟argomento per analogia sarà possibile comprendere, a mio avviso, come l‟analogia, già

sin da questo scritto, si può porre come orizzonte di senso e dell‟ipotesi e della sua

traduzione semiotica, che essenzialmente consiste in quello che Peirce, negli scritti

giovanili, denomina likeness319

.

La riflessione logica di Peirce è segnata dalla prospettiva categoriale, le pretese metafisiche

rimbalzano continuamente dalla logica peirceana. Non è un caso che, come già hanno

affermato diversi studiosi, il pensiero logico peirceano si prefigge lo scopo di dare

espressione rigorosa ai contenuti categoriali, e una volta realizzato lo scopo, Peirce procede

a riorganizzare lo spartito ontologico e ad orientare la ricerca logica in vista di nuove

notazioni del quadro metafisico configuratosi. Questa permeabilità tra mondo logico e

mondo categoriale, d‟altra parte segna la distanza tra la logica peirceana e le altre logiche

che hanno caratterizzato il novecento.

In On the Natural Classification of Arguments, come in altri testi, scritti nel medesimo

periodo, Peirce, prendendo le distanze da ogni orientamento di tipo logicista, trattiene

sempre la dimensione semantica e l‟esigenza di scoprire nel ragionamento necessario

contenuti sintetici, poiché la visione logica, oltrechè dalla ricerca categoriale, è sempre

supportata da una impostazione pragmatica, secondo la quale è necessario utilizzare quelle

forme logiche che possono far slittare il pensiero in avanti, consentendogli di accedere a

inedità verità: i contenuti logici devono avere essenzialmente un uso pragmatico. Peirce

ribadirà questa posizione frequentemente nell‟ambito della sua intera produzione: “Una

delle lezioni che la logica deve insegnarci è dunque come compiere astrazioni utili e come

limitarle a quelle applicazioni in cui possono rivelarsi vantaggiose”320

.

La fedeltà a queste considerazioni diventa, a mio avviso, importante, perché può dar conto

delle finalità che in modo più o meno consapevolmente orientano le strategie argomentative

utilizzate all‟interno del testo suddetto, anticipatrici della riflessione logica più matura. Vero

è che in questa fase il pensiero logico peirceano sembra ancorato alla sillogistica

tradizionale, ma sostanzialmente il testo già pone delle premesse significative per

comprendere le fasi successive della sua speculazione logica.

Ciò che non si può trascurare è che nell‟analisi delle regole inferenziali, come avviene nel

testo On the Natural Classification of Arguments, il punto di vista è quello di un logico che

intende scoprire il modo in cui il ragionamento, non solo quello deduttivo sia in grado di

avvalersi di una forma logica rigorosa, e al tempo stesso, di rendere disponibili contenuti

sintetici, e, in modo specifico, come nel processo di derivazione e di riduzione di un

sillogismo in Barbara alla seconda figura e terza figura sia possibile che si diano sia

passaggi analitici sia passaggi sintetici.

319

In On A New list of Categories la somiglianza viene definita come likeness, il termine sarà sostituito dal termine

icona. 320

Peirce, Le Categorie (Ms. 403) 1893, cit., p.46. A tal proposito efficaci suonano le affermazioni di F. Vimercati:

“Peirce non cade nell‟errore in cui incorre buona parte dei logici della scuola algebrica, che omettono di valorizzare il

rapporto tra mondo logico e mondo linguistico entro cui si inscrive la radice più profonda del processo di

simbolizzazione”. F. Vimercati, La scrittura del pensiero, Edizioni Albo Versorio, Milano, 2005, p. 91.

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Seguendo l‟analisi condotta in On the Natural Classification of Arguments, in modo

specifico, il la derivazione effettuata dalla prima figura del sillogismo categorico alle figure

indirette, e tenendo presente la terminologia adottata da Peirce, e cioè che la premessa

maggiore, premessa minore e conclusione corrispondono rispettivamente alla regola, al caso

e al risultato, è possibile constatare che, mediante il procedimento della contrapposizione,

viene attuata la derivazione della seconda e della terza figura: “If C is true when P is, then P

is false when C is”. Hence it is always possible to substitute for any premise the denial of

the conclusion, provide the denial of that premise be at the same time substituted for the

conclusion”321

. E quindi più avanti dirà: “ The second figure, from the assertion of the rule

and the denial of the result, infers the denial of the case; the third figure, from the denial of

the result and assertion of the case, infers the denial of the rule”322

. Quindi Peirce formalizza

le tre figure del sillogismo secondo tale schema:323

321

W 2:27. 322

W 2:30. 323

Ibidem

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210

Peirce, inoltre, secondo la seguente schematizzazione, deduce i singoli modi della seconda e

della terza figura, a partire dalla prima figura, mediante il metodo della contrapposizione. Si

fornisce qui qualche esempio: se consideriamo la seconda figura, e vogliamo dedurre i suoi

modi,partiamo dall‟asserzione della regola della prima figura in barbara A A A, e se nego il

risultato della prima figura e lo pongo come premessa minore della seconda figura, e nego il

caso della prima figura e lo pongo come conclusione della seconda figura, avremo derivato

la seconda figura, e il suo modo, che sarà A O O (Baroco). Se considero Ferio, quale sarà il

modo della seconda figura corrispondente? Partiamo dall‟asserzione della regola E,

neghiamo l‟asserzione del risultato, e il caso, e avremo dedotto un altro modo della seconda

figura ovvero EA E (Cesare). Se partiamo da celarent, in particolare poniamo l‟asserzione

della regola e poi seguendo sempre il metodo della contrapposizione, neghiamo il risultato e

il caso, cambiandone l‟ordine, otteniamo E I O (Festino). Infine se si considera Darii,

sempre in ordine al metodo finora impiegato, si otterrà AEE (Camestres).

Dalla derivazione, come già rileva il Ferriani, si evince che nella seconda figura si attua

l‟inferenza di un caso, se pur nella forma della negazione, da una regola e dalla negazione

del risultato.

Questo tipo di derivazione pone in evidenza che già nell‟ambito di questo procedimento è

possibile apprezzare non soltanto la dimensione analitica ma anche quella sintetica. Si

realizza già un incremento conoscitivo pur nell‟ambito di un procedimento, che peraltro si

dovrebbe limitare e dar conto della correttezza formale del sillogismo su un piano

strettamente sintattico.

Tali considerazioni possono essere sviluppate in modo specifico nell‟ambito della riduzione

delle figure imperfette alle figure perfette, infatti nell‟ambito del procedimento di riduzione,

se si attua una dimostrazione delle regole di inferenza immediate, come le regole di

conversione, contrapposizione, obversione, esse assumono la forma logica di quelle figure

che devono essere ridotte alla prima figura.

Ad esempio se si vuol dimostrare la regola d‟inferenza della conversione in riferimento ad

una proposizione di tipo E, Nessun M è N, in virtù del principio d‟identità si avrà: qualsiasi

N è N, e la conclusione sarà nessun N è M324

. La conclusione sarà quindi una conversa della

premessa maggiore e l‟inferenza data si ritroverà ad avere la forma logica della seconda

figura.

E così allo stesso modo Peirce opera nel caso della dimostrazione dell‟obversione e della

contrapposizione:

324

Cfr., W 2:31.

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211

All M is N Some N is some- N

No not- N is N All N is M

.‟. No not-N is M .‟. Some M is some- N

(obversione) (contrapposizione)325

In base a questi passaggi ci si pone un interrogativo, a mio avviso, legittimo che può

assumere la forma del paradosso: negli esempi che lo stesso Peirce fornisce, le regole

d‟inferenza, mediante le quali si dovrebbero ridurre la seconda figura o la terza figura,

risultano frutto di una mediazione sillogistica che assume, come si è avuto modo di

constatare, ora la forma logica della seconda figura o della terza figura. Nel caso della

conversione la mediazione sillogistica di seconda figura e terza figura diventa principio di

spiegazione o luogo in cui la conversione si esplica e ciò è sorprendente, poiché Peirce

scopre che le regole di inferenza risultano dimostrate all‟interno della seconda figura e terza

figura, che da esse dovrebbero essere governate in funzione della riduzione di queste ultime

alla figura perfetta. In tal modo le regole d‟inferenza immediate, che secondo la sillogistica

tradizionale derivano da una sola premessa, risultano esplicate proprio da quelle forme

logiche che esse stesse pretenderebbero di ricondurre alla forma logica perfetta ovvero alla

prima figura. La dimostrazione delle regole d‟inferenza diventa significativa, poiché in tal

modo le figure indirette, più che come forme logiche in posizione subordinata al sillogismo

in Barbara si rivelano abilitate a dimostrare proprio quelle regole di inferenza dalle quali

dovrebbero essere regolate. Peraltro è da notare che è nella seconda e nella terza figura che è

possibile attuare la derivazione della conversione, la medesima operazione non sarebbe

possibile all‟interno di Barbara, dal momento che le due premesse e la conclusione sono

tutte universali affermative326

.

Peirce infatti, fornendo la dimostrazione della conversione e nella seconda figura e nella

terza figura afferma:

Fig. 2 Fig.3

No M is N Any N is N

Any N is N Some N is M

.‟. No N is M .‟. Some M is N

325

W 2:31-32. Riguardo l‟analisi del testo On The Natural Classification of Arguments, utile la linea interpretativa

proposta da M. Ferriani nel saggio Peirce e la logica deduttiva: gli anni giovanili, in Logica e Filosofia della logica,

Bologna, CUEB, 1999. 326

“La conversione è valida nel caso delle proposizioni E e I. È chiaro che la proposizione Nessun uomo è un angelo è

un‟asserzione esattamente equivalente a nessun angelo è un uomo, e ognuna di queste proposizioni può essere

validamente inferita dall‟altra mediante un‟inferenza chiamata conversione. Poiché è chiaro che le proposizioni alcuni

scrittori sono donne e alcune donne sono scrittori sono logicamente equivalenti, ognuna di esse può essere validamente

inferita dall‟altra per conversione. Ma la conversa di una proposizione A non consegue validamente da quella

proposizione A. Per es. se la nostra proposizione originale è “tutti i cani sono animali”, la sua conversa “tutti gli animali

sono cani” non consegue affatto dalla proposizione originaria, poiché quella è vera, mentre la sua conversa è falsa. Ciò

naturalmente è stato riconosciuto anche dalla logica tradizionale, la quale però riconosceva valido qualcosa di molto

simile alla conversione per le proposizioni. Questa inferenza è chiamata conversione per limitazione (o conversio per

accidens). Si può ottenere scambiando le posizioni rispettive dei termini del soggetto e del predicato e insieme

cambiando la quantità della proposizione da universale a particolare. Così, secondo la logica tradizionale dalla premessa

“tutti i cani sono animali” si poteva validamente inferire la conclusione alcuni animali sono cani, e questa inferenza era

una conversione per limitazione. Cfr. Irving M. Copi, Introduzione alla logica, Società editrice il Mulino, Bologna, p.

173.

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212

“These are the formulae of the two simple conversion. Neither can be expressed

syllogistically except in the figures in which they are here put (or in what is called the fourth

figure, which we shall consider hereafter)”327

.

Tali affermazioni incoraggiano a prendere atto del fatto che nell‟ambito del procedimento di

riduzione, si ottiene un incremento conoscitivo che non sarebbe pensabile all‟interno di un

procedimento esclusivamente deduttivo. Lungo il percorso dei due procedimenti si

guadagna qualcosa, che non sarebbe pensabile secondo una prospettiva che assegna alla

deduzione esclusivamente l‟analisi. Peirce riconosce la differenza tra inferenze immediate e

inferenze mediate, nel senso che le operazioni attuate dalla conversione e dalla

contrapposizione sono formali, poiché non attingono alcun contenuto empirico. Ciò

nondimeno Peirce afferma che la conversione e la contrapposizione non si differenziano,

quanto alla struttura logica, dagli altri argomenti logici tant‟è che Peirce afferma: “This

distinction may be expressed by saying that they are not inferences, but substitutions

having the form of inferences”328

.

Ciò che qui interessa è che essenzialmente Peirce intende svincolare la seconda e la terza

figura dalla prima figura per mostrare che il ragionamento deduttivo, proprio nella pretesa di

inglobare altre figure al suo interno, lascia scoprire contenuti, se pur solamente formali, non

riconducibili ad una dimensione esclusivamente analitica.

In questo testo, dopo aver analizzato i procedimenti di derivazione e riduzione dalle figure

indirette a quelle dirette, Peirce si interroga sulla giustificazione delle premesse del

sillogismo categorico e procede considerando due argomenti quali una induzione perfetta e

una ipotesi formale, da cui deduce le proposizioni di tipo A- E e le proposizioni di tipo O-I.

Induzione perfetta

Any M is P;

∑' S' is M;

.‟. ∑' S' is P.329

Qui ∑' S'è considerato la somma di tutte le classi che sottostanno ad M. E. Peirce procede

nella dimostrazione in tal modo: se la seconda premessa e la conclusione sono vere, perché

induttivamente risultano vere, allora è possibile ricavare la prima premessa:

∑' S' is P

∑' S' is M

.‟. M is P. 330

In tal modo vengono dedotte le proposizioni di tipo A-E.

Ipotesi formale

Any M is п' P'

Any S is M

Any S is п' P'331

327

W 2-31. 328

W 2:36. 329

W 2:43 330

Ibidem 331

Ibidem

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213

Peirce indica con п' P' la congiunzione di tutti i caratteri di M. La congiunzione dei predicati

qui viene utilizzata per determinare M in modo più specifico. La dimostrazione del suddetto

sillogismo, secondo Peirce, è la seguente: se la conclusione e la prima premessa sono vere,

la seconda sarà vera per definizione, e infatti si avrà:

Any M is п' P'

Any S is п' P'

Any S is M.332

Dopo aver effettuato questi passaggi, con l‟assunzione di un numero finito se pur esteso di

soggetti e predicati, non più comprendente tutti i soggetti possibili e predicati possibili,

Peirce deriva la formulazione delle inferenze probabili:

Induzione Ipotesi

S', S'', S''', &cc. are taken at random as M‟s. Any M is, for instance, P', P'', P''',&cc.,

S', S'', S''', &cc. are P; S is P', P'', P''', &cc.,

Any M is probably P. S is probably M.333

Le suddette inferenze probabili presentano una forma logica che è quella rispettivamente

della seconda figura e terza figura, e tale considerazione che Peirce elabora a conclusione

del testo risulta abbastanza feconda, poiché se già nei passaggi precedenti, la seconda e terza

figura si erano rivelate autonome, incrinando il primato del sillogismo in Barbara, alla luce

delle ultime argomentazioni il sillogismo categorico scopre non in se stesso, ma in

argomenti ipotetici e induttivi la sua fondazione.

In virtù del percorso prima delineato, in particolare con la formulazione delle inferenze

probabili Peirce ricava l‟argomento per analogia, come argomento doppio, in quanto

compendio dei caratteri dell‟induzione e della deduzione. Ma come si combinano induzione

e ipotesi per formulare l‟analogia? In base alla formula dell‟induzione se si prendono in

considerazione i seguenti soggetti S', S'', S''', aventi i predicati e se gli stessi soggetti aventi

predicati P', P'', P'''sono predicabili del carattere Q. Per induzione tutti P', P'', P''' quelli che

hanno i predicati P', P'', P'''posseggono anche il carattere Q. (cioè tutti quelli che hanno due

occhi,ecc. hanno anche due piedi). Cioé P', P'', P'''è Q. Ora se io considero un soggetto

determinato T che ha i caratteri P', P'', P'''per deduzione T è Q, perché entrambi condividono

il termine medio che è P', P'', P'''. Allora avremo la seguente formalizzazione:

S', S'', S'''are taken as being P', P'', P'''

S', S'', S'''are q,

(by induction ) P', P'', P'''is q,

t is P', P'', P'''

(Deductively) t is q.

332

W 2:44 333

W 2:46

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214

Ciò che ci permette di passare dall‟induzione alla deduzione, indispensabile alla costruzione

della prima parte della formula dell‟analogia, diventa la premessa maggiore dell‟argomento

per analogia ovvero t è S', S'', S'''

Ora prendiamo in considerazione la formula dell‟ipotesi:

i soggetti hanno i predicati P', P'', P''' se prendo un soggetto determinato t che è predicabile

di P', P'', P''' per ipotesi t avrà i medesimi caratteri dei soggetti S', S'', S'''. Se questi ultimi

hanno anche il predicato q, per deduzione t è q perché il termine medio è S', S'', S'''. Cioé se

per ipotesi t condivide gli stessi caratteri dei soggetti S', S'', S'''e se questi ultimi sono

predicabili anche di q, anche t sarà predicabile di q.

E allora avremo la seguente formalizzazione:

S', S'', S''', are, for instance P', P'', P'''

t is P,

(By hypothesis ) t has the common character of S', S'', S'''

S', S'', S''' are Q;

(deductively t è q.

Il passaggio che consente di transitare dall‟ipotesi alla deduzione, necessaria alla

costituzione della seconda parte dell‟argomento per analogia, diventa la premessa minore

dell‟argomento analogico ovvero S', S'', S'''sono Q.

Da questo iter si ricava la seguente formulazione dell‟argomento per analogia:

S, S, and S are taken at random from such a class that their characters at random are such as

presi a caso da una classe tale che i suoi caratteri, pure presi a caso, sono P', P'', P'''

T is P', P'', and P'''

S', S'' and S''' are q;

T is q 334

.

Potremmo dire, in base alle suddette argomentazioni che nell‟analogia figurano le tre

inferenze: ipotetica, induttiva, deduttiva, rispettivamente corrispondenti alla seconda figura,

alla terza figura e alla prima figura, e che l‟argomento analogico è uno schema deduttivo

derivato da induzione e ipotesi. L‟argomento per analogia si pone particolarmente

significativo, poiché si qualifica come un continuum in cui è possibile far transitare

inferenze ipotetiche, induttive e deduttive. L‟analogia contiene e l‟ipotesi e l‟induzione, che

si combinano mediante la deduzione, infatti il passaggio fondamentale che fa da medio tra

l‟induzione e l‟ipotesi nell‟analogia è la deduzione. L‟analogia permette di capire come la

deduzione non sia separata dalle altre inferenze, essa è in grado di trattenerle insieme e al

tempo stesso di dispiegarle. L‟analogia formalizza l‟universale, a partire dall‟esame di casi

o dalla supposizione di casi, deduce l‟universale, o meglio deduce una regola, ma questa

non vive disgiunta dal caso, è all‟interno di esso che si snodano i passaggi per arrivare alla

regola. Insomma i casi tenuti insieme dall‟analogia esibiscono una necessità, infatti

l‟analogia è una deduzione, ma essa non è prodotto analitico, bensì sintetico, poiché media

universale e individuale, l‟universale non è concepibile se non all‟interno dei casi

individuali, essi sono il luogo in cui si realizza la deduzione. Tale tematizzazione della

analogia, a mio avviso, è di straordinaria importanza, poiché sul piano strettamente

matematico anticipa la struttura del ragionamento teorematico, su un piano generale,

guardando nel complesso alla centralità dell‟icona nella filosofia peirceana, si potrebbe dire

334

W 2:47

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215

che l‟icona si configura come notazione della analogia, essa è un‟ipotesi, suggerisce i

soggetti possibili ed esibisce una necessità, che è quella espressa dal simbolo. Ma il simbolo

esprime la consapevolezza di quanto è reso possibile in modo originario dall‟icona. Pertanto

l‟icona, potremmo dire, permette di vedere ciò che è stato formalizzato dall‟analogia.

Sul varco aperto da Boole, che aveva seguito le orme della tradizione medievale, piuttosto

che quella kantiana, gradualmente prendeva consapevolezza nel pensiero di Peirce

l‟inadeguatezza del sillogismo classico nel momento in cui veniva paragonato al

ragionamento algebrico e matematico. In On the Natural Classification of Arguments tale

consapevolezza era emersa, poichè il metodo utilizzato finora per categorizzare gli

argomenti veniva fondato essenzialmente sui concetti di estensione e intensione logica. Già

Peirce negli scritti del „65 aveva manifestato le lacune di questa impostazione, e dando

prova ancora una volta di una preziosa permeabilità tra gli esiti semiotici e logici della sua

ricerca, aveva considerato insieme agli aspetti intensionali ed estensionali del significato di

un termine, un terzo elemento, quello dell‟informazione. Sul piano semiotico Peirce aveva

già approfondito le funzioni e del soggetto e del predicato, attribuendo al primo la funzione

denotativa, al secondo quella connotativa. Infatti Peirce afferma: “there cannot be a judgment whose subject is an object of connotation and whose predicate is an

object of denotation. For a symbol denotes by virtue of connoting and not vice versa, hence the

object of connotation determines the object of denotation and not vice versa, in the sense in which

the subject of a proposition is the term determined and the predicate is the determining term335

.

Nello scritto Comprensione ed estensione336

Peirce introducendo l‟informazione, inserisce

un elemento dinamico che permette di estendere l‟orizzonte reso disponibile dalla

denotazione e dalla connotazione, poiché mettendo in relazione le due dimensioni con la

tripartizione semiotica: qualità, relazione e rappresentazione, nonché le tre forme

inferenziali, è possibile osservare che se comprensione ed estensione forse possono essere

bastevoli laddove non c‟è aumento di informazione, come ad esempio nella deduzione, non

possono essere sufficienti in una dimensione logica in cui il tasso di informazione è in

corrispondenza della forma inferenziale.

335

W 1:273. 336

Già in Comprensione ed estensione, alla luce di questo nuovo rapporto denotazione, connotazione e informazione,

Peirce compie passi importanti in direzione di una radicale innovazione della logica tradizionale, soffermandosi sul

concetto di copula. La copula non può identificarsi con il segno di uguaglianza, poiché se si intende che “l‟estensione di

uomo è uguale ad una parte o alla totalità della estensione di animale” ciò significa sostanzializzare l‟identità, piuttosto

che concepirla come relazione, poiché dire che qualcosa è uguale ad un‟altra significa presupporre due realtà distinte, e

verificare se esse combacino (come nel caso della sostanza individuale); e se l‟uno è più grande dell‟altra (come nel

caso dell‟Universale). Peirce, Comprensione ed Estensione, cit., pp. 676–677. “Così qualche S è M significa: se S‟, S‟‟

e S‟‟‟ sono gli S singolari, o S‟ o S‟‟ o S‟‟‟ ha tutti gli attributi appartenenti a M. Un termine particolare, allora ha una

profondità sostanziale in quanto può avere un predicato che è assolutamente concreto, come nella proposizione

“qualche individuo è Napoleone”. Se però poniamo il particolare nel predicato allora abbiamo una proposizione come la

seguente “M ha tutti gli attributi appartenenti a S‟oppure tutti quelli appartenenti a S‟‟ oppure quelli appartenenti a S‟‟‟.

E ciò non può essere vero a meno che M non sia un singolo individuo. Ora una sostanza individuale singola è non un

atomo, ma la più piccola particella di un atomo e cioè niente del tutto. Cosicché un particolare non può avere ampiezza

sostanziale. Consideriamo ora il termine universale S. Noi possiamo dire “ogni S è M, se M però non è una concreta

qualità reale. Per esempio, non possiamo dire “Qualunque uomo è Napoleone”. Possiamo invece dire “Ogni M è S,

anche se M è una sostanza reale o un aggregato di sostanze. Un termine universale quindi non ha profondità sostanziale

ma ha ampiezza sostanziale.” Ibidem. Ma tale sostanzializzazione è vana, poiché nell‟individuale, non potremmo

parlare di due sostanze, ma dell‟unica che intendiamo determinare; nel caso dell‟altra, l‟universale, non la possiamo

concepire come la somma di tante cose che peraltro sarebbero contenute da una realtà concreta, individuale. Pertanto

intendere la copula come segno di attribuzione permette di valorizzare la relazione, ovvero l‟idea che identificare

essenzialmente, potremmo dire, equivale a mettere in relazione, e allora la copula va intesa come un movimento capace

di dar conto di queste sporgenze, grazie alle quali le realtà si connettono, finendo per valorizzare le loro relazioni,

piuttosto che le loro statiche irriducibilità.

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216

Insomma, se già nella trasformazione delle figure indirette in figure dirette si producono

nuove forme inferenziali che fanno variare il tipo di informazione, rinnovando se è il caso il

rapporto tra denotazione e connotazione, ciò dà la misura del fatto che estensione e

comprensione costituiscono una parte delle relazioni possibili, perché queste possono essere

ricomprese all‟interno di relazioni più ampie, come quelle in the long run che innesca il

processo semiosico, dal momento che quest‟ultimo è chiamato in causa dal di dentro delle

due aree della denotazione e della connotazione “È ovvio infatti che l‟ampiezza e la

profondità di un simbolo, nella misura in cui non sono essenziali, misurano l‟informazione

che lo concerne vale a dire le proposizioni sintetiche di cui è soggetto o predicato”337

.

Voglio dire insomma che l‟informazione che si riferisce al suo interpretante attraverso il suo

oggetto o tutti i fatti conosciuti attorno al suo oggetto rompe la staticità del rapporto

connotazione e denotazione e introduce un elemento dinamico che permetterà l‟istituzione

di nuove relazioni segniche che contribuiranno da una parte a rideterminare denotazione e

connotazione e dall‟altra ad inserire questi rapporti all‟interno di altri rapporti.

E allora in questo senso comincia a diventare centrale l‟aumento d‟informazione, che ad

esempio si attua nell‟ipotesi. E quest‟ultima, vedremo più avanti, diventerà crocevia di

infinite e inedite relazioni che finiranno, come si diceva prima, per includere comprensione

ed estensione, ma soprattutto anche per superarle e ideare così nuove forme di relazioni.

Questo saggio, se pur vincolato ancora alla logica tradizionale, dal di dentro sta scavando

per gettare le fondamenta ad una logica più ampia, atta ad abbracciare il fluire delle possibili

relazioni. Se il saggio Comprensione e estensione ci permette di cogliere come sia già

emersa la consapevolezza quanto meno di rivedere la sillogistica tradizionale, al fine di

mettere in forma argomenti capaci di dar conto di sillogismi che, operano in modo diverso

rispetto a quelli della logica tradizionale, il saggio Some Consequences of four Incapacities

su un altro fronte, quello semiotico, ci fornisce due indicazioni in merito al concetto di

ipotesi e di analogia. Infatti Peirce si difende dall‟accusa rivoltagli da parte di alcuni

studiosi, i quali sostengono che egli abbia confuso l‟argomento per analogia con l‟ipotesi, e

ribatte dicendo che egli ha inteso parlare proprio di ipotesi, infatti precisa che dalla sua

prospettiva l‟uso fatto del termine ipotesi è condiviso ampiamente dalla tradizione

filosofica, come ad esempio nel caso di Kant. Infatti Peirce definisce “il termine ipotesi in

luogo di conclusione di un argomento dal conseguente all‟antecedente”, e riferisce che Kant

nella Logica già affermava: “Se tutti i conseguenti di un concetto sono veri, anche il concetto stesso è vero. Quindi è lecito

concludere da un conseguente una ragione che tuttavia resta indeterminata, mentre soltanto dal

complesso di tutti i conseguenti possiamo concludere la verità di una ragione determinata. La

difficoltà di questo modo di inferenza positivo e diretto (modus ponens) è che la totalità dei

conseguenti non può essere riconosciuta apoditticamente, e che quindi questo modo d‟inferenza ci

porta soltanto ad una conoscenza probabile e ipoteticamente vera”. (Logik, a cura di Jäsche)338

.

Per quanto riguarda il concetto di analogia Peirce così afferma: “L‟argomento per analogia, che un celebre scrittore di logica (J. S. Mill, logic, libro II, Cap. III.)

chiama ragionamento da particolari a particolari, deriva la sua validità dal combinare i caratteri

dell‟induzione e quelli dell‟ipotesi, essendo analizzabile sia in un argomento composto da una

deduzione e da un‟induzione sia in un argomento composto da una deduzione e da un‟ipotesi”339

.

337

Ibidem. 338

Peirce, Some consequences of four Incapacities, (nota 1), cit., pp.86-87. 339

Cfr. Ibidem.

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217

Il nesso tra analogia e ipotesi è già da Peirce sostenuto, come si è analizzato

precedentemente, in On The Natural Classification of Arguments, nel momento in cui parla

dell‟argomento per analogia, come di un ragionamento che combina i caratteri

dell‟induzione e dell‟ipotesi. Cioè in Peirce è chiaro, sin da allora la consapevolezza che

l‟analogia, piuttosto che introdurre un principio nuovo si ritrova ad avere caratteri comuni

agli altri generi d‟inferenza. Questo modo di approcciarsi all‟analogia che costituisce solo il

primo passo, a mio avviso, di una serie progressiva di avvicinamenti tra analogia e ipotesi,

più tardi apparirà più chiaro in seguito ai cambiamenti profondi che avverranno in ambito

logico, e quindi categoriale, già, in qualche modo predisposti dai saggi del giovane Peirce.

Già in On The Natural Classification of Arguments era emersa l‟insoddisfazione nei

confronti del sillogismo categorico, poiché incapace di giustificare alcuni sillogismi

matematici, fondati su principi di analogia. E se da un lato le nuove acquisizioni in sede

logica e gli scritti del 77/78 in ambito epistemologico potranno chiarire sempre più i punti di

contatto tra l‟analogia e l‟abduzione, nel versante semiotico, considerata la corrispondenza

già chiarita in On a New list of Categories e nei primi saggi del ‟68 tra i modi del segno e le

tre specie d‟inferenza deduzione, induzione e ipotesi, sarà possibile già constatare una

corrispondenza tra likeness e ipotesi, che successivamente, con gli apporti maturi della

semiotica, si potrà estendere anche al termine analogia. Cioè l‟analogia potrà qualificarsi

come una struttura capace di esibire caratteri fecondi, tale da mostrarsi affine e all‟icona e al

ragionamento logico che valorizza l‟iter che a partire dal conseguente intende risalire

all‟antecedente; e alla versione gnoseologica dell‟abduzione.

Insomma se nella prima fase emergeranno con maggiore chiarezza come peraltro si sono

analizzati i rapporti tra likeness e ipotesi da un lato e tra analogia e ipotesi dall‟altro, in una

seconda fase con i contributi maturi determinati dai nuovi sviluppi in sede logico-

matematica e semiotica, sarà possibile constatare un rapporto diretto tra icona e analogia e

abduzione. I rapporti tra likeness e ipotesi come dicevo prima, sono già annunciati in On a

New a list of Categories: qui, dopo avere dedotto la tripartizione, somiglianza, indice,

simbolo, dalle categorie utilizzate per operare il passaggio dall‟Essere alla Sostanza, Peirce

distingue i simboli, in termini, proposizioni e argomenti, e questi ultimi, come è stato già

analizzato precedentemente, risultano suddivisi in Argomento deduttivo, induttivo e

ipotetico. Peirce prosegue e specifica:

“le premesse possano fornire una somiglianza, un indice o un simbolo. Nell‟argomento ipotetico

viene provato qualcosa di simile alla conclusione, cioè le premesse formano una somiglianza della

conclusione. Si prende l‟argomento seguente: M è, ad esempio, P', P'', P''', e P''''; S è P', P'', P''', e

P'''' .‟. S è M. Qui la prima premessa si riduce a questo, che P', P'', P'''e P'''' è una somiglianza di

M, e perciò le premesse sono o rappresentano una somiglianza della conclusione”340

.

In considerazione degli sviluppi successivi del pensiero di Peirce, l‟ipotesi si avvicinerà

sempre più all‟analogia e l‟analogia all‟icona. Poiché come si ricorderà, già in On the

Natural Classification of Arguments Peirce ricercava un modello argomentativo in grado di

esplicare i sillogismi matematici, e successivamente, in base all‟approfondimento del

concetto di relazione, come afferma R. Fabbrichesi: “La logica procederà per analogie

puramente matematico-operazionali, trovando in esse oltre che il rigore necessario delle

proprie dimostrazioni, la ragione esplicativa di molti basilari schemi concettuali, quali ad

esempio quelli indicanti il passaggio dai molti all‟Uno”341

.E allora quel posto poco evidente,

340

Peirce, On A New list of Categories, cit., p. 26. 341

Rossella Fabbrichesi Leo, Il concetto di relazione, Jaca Book, 1992, p. 58.

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assegnato all‟analogia in On the Natural Classification of Arguments, lo ritroviamo

sorprendentemente esteso e soprattutto trasformato per ciò che concerne la sua collocazione,

che non possiamo più qualificare come cumulativa bensì fondativa, ovvero l‟analogia più

che cumulare procedimenti già noti e non produrre alcun incremento di informazione,

istituisce piuttosto per sua virtù nuove relazioni capaci di esplicare feconde conoscenze.

A testimonianza della coerenza e sistematicità del pensiero di Peirce, già comunque in

Description of a Notation for the logic of Relatives del „70 si annunciano alcuni capisaldi

della prospettiva matura del filosofo americano, ovvero è già possibile raccogliere degli

elementi per poter rintracciare quel filo che dovrebbe permettere di vedere strettamente

imparentate analogia, ipotesi e icona. Tale nesso, forse, è possibile constatarlo se si pongono

in evidenza, già a partire da questo saggio, i rapporti tra logica e matematica.

Già in Description of a Notation for the logic of Relatives emergono alcuni insegnamenti

importanti provenienti dall‟impostazione dei ragionamenti matematici, che Peirce dilaterà e,

al tempo stesso, radicalizzerà dando di essi una veste del tutto originale nella elaborazione

del suo sistema grafico. Infatti Peirce ritiene che guardare ai ragionamenti della matematica

è utile, poiché essi risultano universali, proprio perché vengono elaborati nel regno del

possibile, dell‟ipotesi, e, nello stesso tempo, ancorandosi ad individualità esibiscono una

dimensione osservativa ed operativa, poiché è previsto che il matematico manipoli gli

schemi, i diagrammi elaborati per far procedere il pensiero ed indurlo a scoprire le

dimostrazioni necessarie e universali, le uniche abilitate a scoprire qualcosa di nuovo.

Sicuramente questi principi tratti dai ragionamenti matematici si riveleranno costitutivi ed

esplicativi all‟interno del progetto peirceano. Ma ciò non ha nulla a che vedere con

l‟assunzione di presunte posizioni logiciste, peraltro ne La critica degli argomenti Peirce

matura un distacco dal metodo algebrico, poiché ritenuto dalla sua prospettiva, meno

efficace rispetto alle notazioni utilizzate dalla chimica per rappresentare la costituzione delle

sostanze composte. Il testo Qualcosa, Altro, Terzo: una derivazione grafica, scritto nel

1892342

manifesterà questa nuova tendenza.

2) Ground e analogia

In Harvard lecture II (1865) Peirce, a conferma dell‟intreccio fitto tra piano logico e piano

semiotico pone in rapporto le tre forme di inferenza, di cui ha discusso precedentemente e

cioè ipotesi, induzione e deduzione, con il processo di simbolizzazione degli oggetti. Qui

viene precisato che ogni inferenza debba avere il proprio ground logico, e così come

risultano distinti tre tipi di ragionamento, allo stesso modo è possibile parlare di tre oggetti

della simbolizzazione ovvero una cosa possibile, una forma possibile, un simbolo

possibile343

. E in considerazione del fatto che un simbolo, soltanto se riferito ad una

342

È opportuno precisare che il titolo del manoscritto è stato elaborato da S. Marietti. Peirce, Pragmatismo e Grafi

esistenziali, (a cura di S. Marietti) Milano, Jaka Book 2003. 343

A tal proposito potrebbe essere utile ricordare le insistenze su questo rapporto stretto tra processo inferenziale e

processo di simbolizzazione: “Quando Peirce parla del rapporto tra estensione e intensione nei tre tipi di inferenza sta

parlando del modo tramite cui noi possiamo sostituire un simbolo con un altro simbolo […] un esempio di processo

conoscitivo può essere quello il cui risultato sia un giudizio che affermi che un concetto è simile ad un altro

concetto…così nei nostri ragionamenti non facciamo altro che introdurre termini equivalenti, i quali ci consentono di

sostituire un simbolo con un altro avente più informazione, sostituzione che ci permette di avviare il processo

inferenziale. Cfr. G. Di Marco, La radice logica dell‟antintuizionismo in Peirce, in Quaderni di Acme Semiotica ed

Ermeneutica, a cura di C. Sini, Cisalpino, 2003, Milano, p. 83-85

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possibile cosa istituisce una relazione oggettiva, l‟attenzione sarà rivolta in modo particolare

al ground, inteso come cosa possibile e alla sua inferenza corrispondente ovvero a quella

ipotetica, poiché quel filo che s‟intende seguire tra ground/icona, ipotesi e analogia, forse

potrà rafforzarsi in virtù del continuo rinvio tra i due versanti semiotico e logico

caratterizzante le densissime pagine delle Harvard Lecture.

Poiché si affermi qualcosa da cui trarre quegli incrementi conoscitivi che ci permetteranno

di inferire conclusioni possibili, è necessario porre l‟Essere, così come espone Peirce in

Logica – Capitolo I (1866), da cui, come pure forma, è possibile spostarsi verso un possibile

contenuto: “Il possesso di un carattere, è perciò il primo concetto dotato di contenuto. Il carattere è il ground

dell‟essere; tutto quello che è, è in qualche modo […] è così che dobbiamo intendere la materia. Il

carattere è allora sempre un ground, e in quanto ground è anche sempre un carattere: i due termini

sono coestesi. Il riferimento ad un ground, cioè il possesso di un carattere, non è un concetto dato

nelle impressioni sensibili, ma è il risultato di una generalizzazione”344

.

E così da qui prende avvio quel processo di sostituzione o inferenziale, a seconda della

prospettiva logica, o semiotica, che rende possibile la formazione di un giudizio, perché da

una parte il ground determina, dall‟altra il carattere non provenendo dalle impressioni, in

quel caso si limiterebbe ad essere un‟inesplicabile replica del referente, ma qualificandosi

come frutto di un processo di generalizzazione, esibisce già per sua virtù gli elementi di

base e per la simbolizzazione e per l‟inferenzialità.

Infatti, prosegue Peirce, dall‟istituzione del carattere scaturisce la necessità della

correlazione e infatti proprio in questo passaggio si fa luce sulla giustificazione

dell‟introduzione del ground, poiché grazie a quest‟ultimo risulta spiegato il riferimento ad

un correlato. Ma il correlato a sua volta implica una rappresentazione: comprendere che la

determinazione di qualcosa, per ciò stesso rinvia ad altro, significa fare appello appunto ad

una rappresentazione capace di mediare fra la determinazione di qualcosa e il suo stesso

rimando ad altro. Nella rappresentazione si raccoglie quella consapevolezza in virtù della

quale è possibile comprendere che ciò che è stato generalizzato ha sostituito i suoi elementi

individuali. Già questa operazione di fatto è scattata nel momento in cui al posto dell‟essere

si è nominato il suo ground, ma la consapevolezza di tale atto vive nella dimensione

rappresentativa. Il ground è già sede di dimensioni eterogenee, come l‟individuale e il

generale, ma per capire il tipo di movimento che si attua all‟interno dei tre livelli della

simbolizzazione, è necessario procedere dal ground al suo interpretante e da quest‟ultimo a

ritroso.

Istituiti questi 3 livelli: ground, correlato a rappresentazione, Peirce precisa che mediante

l‟astrazione “per posizione” è possibile isolare il ground dal correlato, così come

quest‟ultimo dalla rappresentazione. Ma la rappresentazione non può essere separata dal

riferimento ad un correlato e ad un ground. È possibile disporre in riferimento al ground di

“qualità semplici”, di relazioni reali, nel caso in cui il riferimento comprende il ground e il

correlato, e di rappresentazioni ove il rinvio è relativo al ground, al correlato e al

“corrispondente”. Penetrando ancora nei passaggi successivi di questo densissimo testo,

Peirce distingue le relazioni in relazioni reali e relazioni ideali e a tal proposito fornisce

degli esempi assai chiari345

: “Il correlato a cui si riferisce una qualità semplice è tale da

rendere possibile una generalizzazione; vale a dire, è il correlato di un accordo”. Peirce

afferma più avanti: “un riferimento ad un ground che implichi un riferimento ad un correlato

344

Peirce, Logica. Capitolo. cit., p. 8. 345

Ivi, p.10.

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220

è del tipo esemplificato da verbi uccidere/accostare. È perciò un ground di differenza in

actu. La sola differenza nei soli predicati, come nei termini più grande e simili, può essere

considerata unicamente come una relazione ideale, perché i due termini non possono venire

rappresentati come aventi alcuna connessione se non rispetto ad un corrispondente”346

.

L‟utilità di tenere presenti questi passaggi, è dovuta al fatto che, quando si parla di ground,

bisogna, a mio avviso, pensare essenzialmente a qualcosa che da una parte assume una

determinazione ed, in quanto tale, entra a far parte della catena segnica diventando un anello

tra gli altri della semiosi, dall‟altra si propone come condizione intranscendibile dello stesso

processo semiosico, cioè, per dirla in altre parole, costituisce quell‟unico spazio possibile,

però ancora non accessibile alla dimensione solida della rappresentazione o propriamente

detta simbolica, in cui l‟unità e la differenza cominciano a distinguersi, pur rimanendo

ancora inesorabilmente unite. Insomma le vicende del ground all‟interno dell‟intricatissimo

universo peirceano, a mio avviso, sembrano assimilabili a quelle vissute dall‟analogia. Così

come il ground compare nei primi volumi dei Collected Papers e dei Writings e poi

apparentemente sembra scomparire, ma in realtà finirà per costituire uno degli assi portanti

della semiotica peirceana, allo stesso modo l‟analogia, apparentemente presente soltanto

all‟inizio nella produzione del filosofo americano e peraltro in modo periferico, uscirà fuori

dai confini impostele, qualificandosi, non soltanto come un argomento logico, ma come uno

dei tasselli più significativi della questione gnoseologica, riaprendo così vecchie questioni e

principalmente il dialogo con Kant e con quanti hanno letto l‟analogia kantiana, come nel

caso di certe linee critiche, che in Melchiorre e in Sini vedono i loro autorevoli

rappresentanti.

Utilizzando le distinzioni già fatte, a proposito delle relazioni in reali e ideali, Peirce

stratifica la rappresentazione attraverso i noti termini di somiglianza, indice e segno

generale, quest‟ultimo denominato in altri testi simbolo.

In particolare Peirce specifica che le rappresentazioni possono strutturarsi secondo queste

modalità: il representamen, oggetto della rappresentazione, può instaurare con il proprio

oggetto referente una relazione reale in termini di accordo o differenza, o una relazione

ideale. Nel caso della relazione reale secondo accordo con il proprio referente, la

rappresentazione si identifica con una somiglianza ovvero si dà conto del referente riguardo

ad un suo carattere fondante, ma non si dà alcuna notizia circa la sua esistenza; nel secondo

caso, cioè della relazione che si attua tramite differenza, la sua specificità consisterà nel

riconoscere il representamen come un‟indicazione dell‟esistenza del suo oggetto. In questi

termini la rappresentazione si qualificherà come indice. Quando la relazione è ideale ciò

vuol dire che la connessione tra representamen e oggetto è data in virtù di una qualità che

viene attribuita dall‟interpretante, tale atto produce un segno generale, una parola o un

concetto.

Alcuni passaggi tratti dalla IX Lowell Lecture possono rivelarsi significativi, poiché danno

conto di alcuni concetti che possono corroborare la convinzione che il ground si ponga

come una chiave di volta fondamentale, non soltanto per capire gli sviluppi in sede

semiotica in merito al concetto di icona, ma anche per valutare la sua stessa profonda

potenzialità ontologica. Infatti in queste pagine Peirce argomenta, dopo aver ben costruito

un concetto, in maniera tale da mostrare specularmente come quest‟ultimo si presta ad

essere inserito in un sistema semiotico, peraltro ancora in formazione o in un sistema logico.

Seguire qui passo dopo passo tale fase di gestazione, diventa utile, poiché da un singolo

346

Ibidem.

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221

concetto vengono tratte le sue declinazioni logiche o semiotiche e anche matematiche. E

senza pretendere di penetrare nei meandri di questi tre universi, s‟intende cogliere la

polivalenza del concetto di ground, al fine di trarre alcuni nessi con l‟analogia, concetto

tipico della tradizione metafisica.

Dopo aver dedotto questi gradi intermedi tra l‟Essere e la sostanza: ground, correlato e

interpretante, Peirce ritorna sulla distinzione tra relazione reale e ideale, denominando la

prima Equiparanza e la seconda Disquiparanza: la prima ha un „carattere interno‟ e non

rinvia ad un correlato, la seconda, invece, ha un carattere esterno e rinvia al correlato

Per una maggiore perspicuità dei passaggi peirceani può risultare utile il seguente schema: “Qualità interna (Qualità in senso proprio)

la qualità di un equiparante e di una somiglianza (Likeness)

Qualità esterna

la qualità di un disquiparante e di un indice

Qualità imputata

la qualità di un simbolo”347

.

La nozione di equiparanza, a mio avviso, approfondisce la natura fratta del concetto di

ground, poiché permette di comprendere come tratto specifico del ground sia la sua capacità

di tenere insieme identità e differenza. Il ground è come se esibisse uno spazio all‟interno

del quale, è sempre possibile ospitare l‟altro. Cioè come quando “ad esempio metto A in

relazione a B, quando nel contemplare A vedo per così dire B attraverso di esso”348

. È

questa la condizione intrascendibile posta dal ground grazie alla quale è possibile istituire

inediti caratteri, nuove qualità. L‟equiparanza essenzialmente è “un accordo in un

determinato rispetto”, è quel fra che al tempo stesso ci consegna un‟identità. È proprio su

questo che si appunterà l‟attenzione, poiché nei passaggi successivi sarà possibile constatare

come questo concetto di equiparanza si arricchirà di implicazioni semiotiche e logiche, in

virtù delle quali sarà possibile allargare gli orizzonti di questo rapporto tra identità e

diversità, e al tempo stesso si aggiungeranno elementi importanti per tentare di dimostrare

che nel ground riecheggia tutta la forza di un concetto altrettanto capace di contenere la

distanza tra identità e differenza, ovvero il concetto di analogia, da sempre custodito dalla

tradizione metafisica. Qui l‟intento è quello di riconoscere in alcune coordinate ritenute

esclusivamente di pertinenza semiotica logica o matematica all‟interno del pensiero

peirceano, una struttura, che per la sua natura specifica e per il ruolo assunto può

identificarsi con una dimensione di tipo analogico. Per dare fisionomia a questa affinità tra

ground e analogia riprendiamo i passaggi contenuti nella IX Lowell Lecture: le suddivisioni

triadiche finora elaborate possono produrne altre: il simbolo risulta essere suddiviso in

Termine, Proposizione e Argomento. “So if we write “Aristotle” this means nothing except so far as it embodies certain characters of

mind, of nationality, and of position in space and time, which belonged internally and not by

imputation to the real Aristotle. Thus a term is a symbol which is intended only to refer to a ground

or what is the same thing, to stand instead of a Quale or what is again the same, to have meaning

without truth”349

.

Ciò che si riferisce direttamente al suo oggetto affermando e indicandone l‟esistenza e

quindi esprimendone l‟essere vero o falso è una proposizione. Ma in questi termini il

riferimento ad un oggetto, significa nominare un correlato, il quale non può prescindere dal

347

Ibidem. 31

Ivi, p. 8. 349

WI: 477.

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222

rinvio al ground e dunque l‟oggetto della proposizione è un relato. Un argomento si riferisce

al suo interpretante, esprime la rappresentazione, già veicolata dall‟interpretante.

L‟Argomento pertanto rappresenta quanto ha realizzato l‟interpretante, e quindi il rinvio a

quest‟ultimo è assolutamente necessario. L‟argomento risulta distinto, sempre in riferimento

alla suddivisione fondamentale icona/indice/simbolo, in ipotesi, induzione e deduzione.

L‟ipotesi sollecita la mente ad immaginare come veri alcuni caratteri di qualche ente;

l‟induzione esibisce informazioni relativamente ai caratteri comuni presenti in un insieme di

enti: “ Induction informs us of the whole extent of those things which have

Certain - characters-for example, it infers that all cloven-hoofed animals are herbivora,- it

therefore informs us as to extension but not as to comprehension, that is it represents a

representation which has extension without comprehension, which is an index”350

. La

deduzione esplica quanto è contenuto in entrambe le premesse.

Esplicate le triadi fondamentali, ritornando alla divisione interna al simbolo, è bene tenere

presente che Peirce introduce tre elementi importati, di cui parlerà in modo sistematico nel

testo del „67 Upon logical Comprehension ad Extension (13 novembre 1867):

connotazione/denotazione o informazione/implicazione. Il Termine rinviando al ground

connota ma al tempo stesso proprio perché rinvia al ground, pone per ciò stesso il correlato

e quindi denota, ma la consapevolezza che il rapporto tra connotazione e denotazione ha

prodotto un aumento conoscitivo è dovuto ad un interpretante che temporaneamente chiude

la triade, con la produzione di un‟informazione.

L‟applicazione di questi tre concetti alla divisione interna dell‟Argomento si configura in

questi termini: l‟ipotesi ha la funzione di spiegare, come dirà estesamente nei testi

successivi, e quindi la sua funzione specifica è quella di comprendere, di connotare.

“Hypothesis brings up to the mind an image of the true qualities of a thing – it therefore

informs us as to comprehension but not as to extension, that is it represents a

representation which has comprehension without extension; in other words it represents a

likeness”351

. All‟induzione si attribuisce il compito di denotare, piuttosto alla deduzione di

esplicare ciò che è contenuto in entrambe le premesse.

L‟analisi fin qui condotta lascia emergere chiaramente la sua specularità, poiché ora le

divisioni semiotiche, ora quelle logiche contribuiscono all‟elaborazione di un quadro ricco

di corrispondenze che, a mio avviso, alla luce delle nozioni di equiparanza e disquiparanza

arricchisce il suo orizzonte di senso e snoda al suo interno molti di quei concetti che

diventeranno sapere acquisito, consolidato nel Peirce della maturità.

Se analizziamo l‟equiparanza in riferimento a ciò che viene qualificato come termine è

possibile supporre che qualcosa si accordi con il bianco in riferimento alla bianchezza.

Questo è un esempio di equiparanza, così come Peirce lo riporta nel suddetto testo. Ora se

immaginiamo un ground di disquiparanza sorge la questione in merito al fatto che la

bianchezza pur essendo un carattere interno dovrebbe esibire una relazione di disquiparanza.

In realtà questo può accadere perché se si considera la qualità come relativa il correlato di

bianco diventa qualcosa non-bianco. Se riferiamo l‟equiparanza alle proposizioni, dobbiamo

tenere presente che esse sono composte da due elementi: il soggetto e il predicato. Il

soggetto esprime il relato e il correlato, il predicato il ground della relazione e qui Peirce

specifica che se la proposizione è negativa, tale carattere lo si intende intrinseco al

predicato: “Thus No elephants are red-means elephants agree in being not red”352

.

350

WI: 485. 351

WI: 485. 352

WI: 481.

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Il predicato che esprime il ground della relazione o equiparanza è ciò che permette

l‟identificazione di un termine, ma ciò è possibile grazie ad un accordo in un determinato

rispetto, insomma è una classe e il predicato che contiene la relazione, non fa altro che,

rispetto ad un determinato carattere, connotare un termine. Viene fuori un‟indicazione già

preziosissima per il Peirce della maturità, secondo cui la copula non è un tramite mediante il

quale si congiungono due realtà peraltro presunte eguali, piuttosto un operazione di

attribuzione.

In On a Method of Searching for the Categories 1866 (Ms 133) viene ribadito che

l‟equiparanza è in effetti la costituzione di una classe e il correlato di equiparanza non è

altro che un altro membro della stessa classe. Ma con classe s‟intende un insieme di cose

che si accordano. Queste considerazioni insistono nel marcare la potenza originaria di

categorizzare intrinseca al ground: il ground è sempre un predicato mai un soggetto e quindi

essenzialmente è una classe. Ma se è una classe, è un generale, ovvero relazione, quella

relazione mediante la quale è possibile riferire ad una classe un qualcosa. E quindi il ground

si presenta sempre come quella forza connotativa imprescindibile che lo abilita a porsi come

centro da cui dipartono le specifiche categorizzazioni ora logiche, ora semiotiche, e

soprattutto si presenta come caratterizzato non solo dalla possibilità di connotare, poiché il

ground essenzialmente non decide unicamente della connotazione, poiché da quest‟ultima

dipende la denotazione. Ma ciò non avviene perché il ground rende possibile l‟oggetto della

denotazione, il quale esiste indipendentemente da esso, ma perché la significazione

dell‟oggetto intanto dipende dal modo in cui è agganciato dal ground, il quale proprio

perché crea questa condizione pone quello spazio possibile che può essere riempito da quei

soggetti che si presentano idonei ad occupare quel vuoto appositamente predisposto dal

ground. Quindi in questo senso il ground è quello spazio in cui virtualmente coabitano

generale e individuale, identità e differenza. Ed è proprio a partire da questo che potremmo

intendere il ground come espressione di quella tensione tra generale e individuale che

ritroviamo nella forma logica dell‟analogia.

L‟esempio che Peirce qui fornisce, dicendo che l‟elefante è forte come l‟ippopotamo, pone

l‟attenzione sul fatto che mediante un accordo, in questo caso rappresentato dalla forza

dell‟ippopotamo, è possibile connotare il primo termine, quindi il ground di equiparanza

coincide con la forza dell‟ippopotamo. Proseguendo, Peirce precisa che la disquiparanza

implica che, oltre ciò in cui si accordano l‟elefante e l‟ippopotamo, ci siano altre

determinazioni in cui si differenziano. E quindi questo movimento di equiparanza e

disquiparanza, traccia, delimita, delineando identità e anche differenze e sembra custodire

un serbatoio infinito di relazioni e di significati, ci facendoci comprendere come la

differenza e l‟accordo sono propri della dimensione segnica, e in particolare del ground,

nella misura in cui il ground è già una relazione interna. Il ground, come assunzione di

relazioni, istituisce da sempre una tensione tra ignoto e noto, nel senso che, grazie al suo

modo di agganciare l‟oggetto, quest‟ultimo acquista significato. E quindi probabilmente è

un elemento assolutamente esterno all‟oggetto dinamico, che è responsabile dell‟attivazione

del processo conoscitivo.

Insomma vero è che il piano sul quale vive il ground è segnico, ma è anche vero che

soltanto a partire da esso il reale acquista intelligibilità.

Proseguendo nella lettura del testo On a Method of Searching for the Categories 1866 (Ms

133) Peirce si sofferma sui diversi tipi di grounds traendo delle conseguenze che

contribuiscono ad allargare l‟orizzonte dell‟equiparanza – disquiparanza fino ad includere

non soltanto il piano logico-semiotico, ma anche quello matematico.

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“A disquiparance upon its own ground is called active; a disquiparance upon the inverse

ground is called passive. Thus “A is greater than B” is an active disquiparance; A” is

something than which B is less”, is a passive disquiparance”353

.

Tale passaggio è utile perché lo stesso Peirce pone in evidenza che esso permette l‟ingresso

di un nuovo concetto quale la misura, tant‟è che subito dopo viene affermato che la scienza

dei rinvii dei disquiparanti ai loro grounds è la matematica, lo studio delle inversioni delle

disquiparanze è oggetto specifico dell‟algebra, nonché le differenze tra i tipi di grounds

costituisce il campo della geometria.

A conclusione del testo, facendo riferimento ai concetti di intensione ed estensione, Peirce

evidentemente attribuisce l‟intensione alla legge di equiparanza e l‟estensione alla

disquiparanza: è chiaro che la relazione interna espressa dalla equiparanza è atta a

connotare, piuttosto la disquiparanza, implicando immediatamente il riferimento al

correlato, denota e indica essenzialmente il terreno su cui si consuma la differenza: la

quantità degli elementi disquiparanti, esibiti su quel terreno o “rispetto” costituisce

l‟estensione della disquiparanza. L‟assolutizzazione di queste equivalenze ovvero

equiparanza/intensione, disquiparanza/estensione producono i due principi basilari della

logica: il principio di identità e il principio di non-contraddizione.

“[…] Equiparance of one total intension is a relation, that of identiy; whereas disquiparance

of entirely undetermined intension is a most important relation, that of contradiction as

between man and non-man; and disquiparance in the whole intension is impossible”354

.

E in Upon Logical comprehension and Extension Peirce aggiunge che la copula deve

essere considerata come un segno di attribuzione piuttosto che come un segno di

eguaglianza. La conclusione del testo esaminato e questi passaggi ora richiamati ci

permettono di comprendere come la traduzione di alcuni principi - concetti logici in nozioni

semiotiche, come nel caso del principio d‟identità e di non contraddizione concepiti come

relazioni di equiparanza e disquiparanza - siano funzionali alla scoperta di un movimento, di

rimando, che non appartiene né alla logica, né alla semiotica, né alla matematica, poichè

esso costituisce quell‟unico fronte intranscendibile all‟interno del quale è possibile

articolare relazioni, ora di tipo logico, semiotico o matematico. In particolare alcune

divisioni, insuperabili come nel caso del principio d‟identità e di non contraddizione,

possono essere colmate alla luce di queste complesse relazioni di equiparanza e

disquiparanza all‟interno delle quali si snodano da un‟unica fonte concetti apparentemente

eterogenei. Insomma è come se alcuni principi diventassero permeabili e le apparenti

divisioni si qualificassero come equivalenze. E principi assolutamente divisi come il

principio d‟identità e di non contraddizione diventano espressioni della transitività, che pare

sia la proprietà specifica della copula e più originaria dei principi suddetti, così come

affermerà Peirce in La Critica degli argomenti e in altri scritti. Quindi è come se questo

movimento prodotto dalle relazioni di equiparanza e disquiparanza esprimesse tutta quella

fluidità dei concetti, per dirla con Hegel, prima che essi vengono cristallizzati e solidificati.

Tale fluidità è da leggere in termini di infinita possibilità e quindi di spazio ipotetico.

Non è un caso che queste riflessioni in ambito logico/semiotico porteranno, come si è

analizzato precedentemente ad una revisione categoriale: Peirce parlerà infatti in termini di

Primità e non più di Essere.

353

W I: 527. 354

WI: 528.

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225

Le relazioni di equiparanza e disquiparanza si qualificano come dimensione originaria, esse

non possono più rientrare all‟interno di una tradizionale partizione di sostanza ed essere e

Peirce infatti parlerà di Primità, Secondità e Terzità. Ma proprio perché le riflessioni logico-

semiotiche conducono ad una rifondazione categoriale, forse anche da questo si può essere

confortati nel dire che la fluidità logica delle relazioni possibili la si può riconoscere in una

dimensione continuamente evocata che è quella data dal movimento analogico. A tal

proposito può essere utile tenere presente che Ferriani nel suo densissimo saggio Peirce e la

logica deduttiva, ricorda che sulla base dei testi di logica medievale come Pietro Ispano e

Ockham, Peirce ricava la differenza tra termini equiparanti e disquiparanti che

“corrispondono nel lessico odierno a predicati monadici, ad esempio (bianco), i disquiparanti agli

altri, specie a quelli diadici (ad esempio padre di). Quindi una relazione equiparante connette gli

oggetti che condividono una proprietà o si accordano sotto un determinato rispetto: il predicato

contenuto in una proposizione che la esprime designa perciò un carattere interno o assoluto,

condiviso dagli oggetti cui il soggetto si riferisce, mentre una proposizione che esprime una

relazione disquiparante richiede, oltre al soggetto che indica il relato, e al predicato, che designa il

ground un terzo termine per indicare il correlato B”355

.

Ferriani, proseguendo, si interroga sulla ricaduta di tale suddivisione nell‟ambito della

classificazione degli argomenti, e riferendosi ad un brano della Lecture II afferma: “occorre adottare uno speciale principio d‟inferenza, in base al quale l‟intera determinazione della

relazione presentata nel caso – cioè il riferimento al suo specifico correlato – va applicata a tutte le

componenti – ossia al soggetto e al predicato – della regola.Un principio del genere viene utilmente

impiegato nelle dimostrazioni matematiche, ove si presentano frequentemente casi di sussunzioni

multiple. Un esempio molto semplice è dato dall‟inferenza di 3 x 4 = 12 da 4 x 3 = 12, che assume

la seguente struttura sillogistica. La regola qui è: qualsiasi numero che risulta dalla moltiplicazione

di un numero per un altro risulta anche dalla moltiplicazione del secondo per il primo. Il caso è: 12

è un numero che risulta dalla moltiplicazione di 3 x 4”356

.

Tali riferimenti focalizzati dal Ferriani mi paiono assai importanti poiché pongono in

evidenza come l‟uso dei termini equiparanti e disquiparanti obblighi a ricercare un quadro

di relazioni più ampio rispetto a quelle contemplate dalla sillogistica tradizionale, ma questa

consapevolezza non è utile soltanto per marcare i presunti limiti di una certa lettura della

logica tradizionale ma soprattutto per comprendere che un modello come quello analogico

forse può rilevarsi funzionale ad una esplicazione delle relazioni espresse dalla equiparanza

e dalla disquiparanza. Ricordiamo a tal proposito le parole di Peirce, contenute nel testo

Description of a Notation for the logic of Relatives, dalle quali si evince lo scopo di fornire

una notazione simbolica per i relativi: “Nell‟estendere l‟uso dei vecchi simboli dobbiamo

attenerci a certi principi di analogia che, una volta formulati diventano definizioni nuove e

più ampie dei simboli di partenza”357

.

Sempre in riferimento agli scritti del giovane Peirce, Some Consequences of four incapacities

costituisce un saggio fondamentale, poiché si pongono premesse in virtù delle quali il processo

semiotico risulta ampiamente giustificato dal versante gnoseologico/epistemologico. E inoltre

alcune argomentazioni, sulla base della assimilazione di alcuni concetti base già trattati tra il

65 e il 67, qualificano Some Consequences of four incapacities come un testo fondamentale

per comprendere come il quadro di riferimento, finora caratterizzato dall‟intreccio dei due

piani, quello logico e quello semiotico si allarghi guadagnando chiarezza e includendo il

355

Ferriani, Peirce e la logica deduttiva: gli anni giovanili, Bologna, CUEB, 1999, p. 50. 356

Ivi, p. 51. 357

Peirce, Descrizione di una Notazione per la Logica dei relativi che risulta da un ampiamento dei Concetti del calcolo

logico di Boole, In scritti di Logica, trad. it. A. Monti, La Nuova Italia, Firenze, 1981, p. 36

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versante epistemologico. Traducendo su un piano strettamente gnoseologico le acquisizioni

finora discusse, Peirce insiste sull‟identificazione dell‟azione mentale con il processo

inferenziale: “Non possiamo ammettere alcuna asserzione in ciò che accade dentro di noi,

tranne che come una ipotesi necessaria a spiegare ciò che ha luogo in quello che chiamiamo

di solito il mondo esterno [….] Non vi è nessuna conoscenza assolutamente prima di nessun

oggetto, ma la cognizione sorge sempre da un processo continuo”358

.

Queste affermazioni traducono sul piano epistemologico quanto è stato già affermato negli

scritti precedenti, poiché da un‟altra prospettiva si insiste sul fatto che bisogna partire da

uno spazio, cioè è come se per pensare e poi conoscere fosse necessario fare spazio, ma

questo spazio non è altro che un “fra” che si pone tra un pensiero ed un altro. E questo è già

quel processo continuo indispensabile alla conoscenza. Questo spazio è quello già creato dal

ground la cui introduzione si giustifica a partire dalla necessità di istituire quel “fra” o la

relazione con l‟altro, di equiparanza, che risulta fondamentale nella costituzione del

processo segnico, e che essenzialmente secondo Peirce corrisponde all‟unico modo

disponibile per avere un‟idea della possibile costituzione del referente. Lo spazio, il “fra” è

creato dalla valenza ipotetica del ground, è in questo spazio che l‟accordo in un determinato

rispetto delinea la fisionomia del possibile referente e ciò ci permette di dire che all‟interno

di questo rispetto, ciò che è stato selezionato segnicamente è in qualche modo simile al suo

eventuale referente. A tal proposito può essere utile ricordare che l‟ipotesi, di cui parla

Peirce è condivisa dalla tradizione, come ad esempio nel caso di Kant, già ricordato

precedentemente. Se essenzialmente il processo conoscitivo consiste in questo gioco di

sostituzioni, nel senso che la conoscenza si costruisce sulla base di pensieri che

sostituiscono i pensieri precedenti o meglio di pensieri che sono segni di quelli che lo

precedono, ciò che risulta importante, perché capace di produrre conoscenze nuove, è che si

metta in connessione qualcosa con qualcos‟altro. Dieci anni più tardi Peirce dirà: “abbiamo un‟ipotesi quando troviamo qualche circostanza curiosa che sarebbe spiegata dalla

supposizione che fosse la conseguenza di un caso ascrivibile ad una regola generale, e perciò

adottiamo quella supposizione. Oppure quando troviamo che due oggetti presentano una forte

somiglianza sotto certi rispetti e inferiamo che si devono somigliare fra loro fortemente anche sotto

altri rispetti”359

.

In questi termini vedremo che l‟ipotesi sarà legata sempre più all‟attività del congetturale, in

tale operazione si risolverà più avanti il termine abduzione. Ma se le cose stanno così, al di

là della parentela, a mio avviso, evidente tra ground e ipotesi, comincia a diventare forse più

chiara un‟affinità profonda tra ipotesi, ground e analogia. Ora per quanto Peirce, come è

stato già detto precedentemente, precisi la distinzione tra ipotesi e analogia, in

considerazione del fatto che alcuni studiosi gli rimproverano di avere confuso i due termini,

in effetti, a mio avviso, già dall‟inizio della sua produzione, le due dimensioni appaiono

affini. Se certamente l‟analogia non pretende di risalire ad una legge generale, come invece

avviene nel caso dell‟ipotesi, nel senso che l‟ipotesi, se supportata dall‟induzione e dalla

deduzione aspira all‟universale, lo stesso non si potrà dire dell‟analogia, ma non perché

l‟analogia non contenga l‟universale, ma perché quest‟ultimo è connaturato ad essa.

Potremmo dire che l‟analogia mostra l‟universale; l‟ipotesi lo esibisce attraverso un

processo di mediazione in cui sarà legittimata dall‟induzione e dalla deduzione. Quanto alla

capacità di istituire connessioni per produrre unità, indispensabile alla comprensione

dell‟ancora ignoto, quanto perciò al processo in virtù del quale è possibile sostituire l‟unità

358

Peirce, Some Consequencens of Four Incapacities, cit., p. 83. 359

Peirce, Deduzione, Induzione e Ipotesi, cit., p. 465.

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alla molteplicità sia l‟ipotesi che l‟analogia si ritrovano a mio avviso unite. È nell‟uso delle

due dimensioni che, almeno in questa fase dell‟opera di Peirce, è avvertibile una differenza,

poiché se l‟ipotesi è destinata, se è valida, ad essere inverata dall‟induzione e dalla

deduzione, l‟analogia vede compiuta la sua funzione nell‟avere prodotto conoscenza

mediante similarità. In questo momento della produzione di Peirce, l‟analogia

essenzialmente ancora si identifica con l‟argomento per analogia. E quindi l‟analogia si

potrebbe dire produce la somiglianza non dispone di altro spazio che quello del luogo in cui

risiede il particolare; nel caso dell‟ipotesi, la sua facoltà di istituire relazioni con l‟apporto

dell‟induzione e della deduzione consente di affrancarsi dall‟individuale e accedere soltanto

all‟universale. A mio avviso questa differenza avvertibile in questa prima fase della

produzione peirceana, che sembra mettere in risalto la superiorità teoretica dell‟ipotesi

rispetto all‟analogia, forse viene meno nel Peirce maturo, poichè l‟analogia entrerà a far

parte, a mio avviso, dell‟intero processo deduttivo, se si considerano la prospettiva

prettamente logica, e le tricotomie semiotiche, e, in particolare, si qualificherà come

principio esplicativo del livello iconico della grammatica segnica.

Prima di dar conto di questi esiti attraverso l‟analisi dei testi del Peirce maturo, è opportuno

ritornare al saggio del 68 per soffermarci sulla profonda convinzione peirceana, secondo la

quale “ogni qualvolta pensiamo, abbiamo presente alla coscienza un sentimento, un‟immagine, un

concetto o un‟altra rappresentazione, che serve da segno […]. Ogni pensiero precedente suggerisce

qualcosa al pensiero seguente, ovvero è il segno di qualche cosa per quest‟ultimo […]. Dal fatto che

sopravvenga come dominante un nuovo costituente di pensiero non consegue dunque che il filo di

pensiero che il nuovo pensiero ha rimosso si rompa del tutto. Al contrario in base al nostro secondo

principio, cioè che non vi è intuizione o cognizione che non sia determinata da cognizioni

precedenti, segue che l‟irruzione di una nuova esperienza non è mai un fatto istantaneo, ma è un

evento che occupa del tempo e che passa attraverso un processo continuo. Perciò il suo emergere

sulla coscienza deve probabilmente essere il coronamento di un processo di crescita; e se è così non

vi è un motivo sufficiente perché il pensiero che appena prima era stato quello dominante cessi

istantaneamente ed ex abrupto. Ma se un filo di pensiero si spegne gradualmente […], non vi è

nessun momento in cui a un pensiero appartenente a questo filo, non succeda un pensiero che lo

interpreti e lo ripeta”360

.

Questi passaggi svelano a mio avviso ciò che più risulta fondamentale per il meccanismo

conoscitivo: essenzialmente la connessione tra un pensiero e un altro, frutto della

demolizione definitiva dell‟ingenuità di una comprensione intuitiva di un presunto oggetto

assoluto e nello stesso tempo la consapevolezza che tale connessione è legittimata dal fatto

che si ritiene possibile che un pensiero rappresenti il precedente e questo a sua volta

costituisca quindi segno per un pensiero segno successivo. Ma ciò significa per dirla con il

registro dell‟esordiente semiotica di Peirce, che la conoscenza procede solo attraverso

“grounds di equiparanza”. Ma queste stesse in virtù del movimento di cui sono capaci, o

meglio in virtù del modo in cui permettono lo stagliarsi di fisionomie, profili sembrano

dischiudere un orizzonte comune e all‟ipotesi e all‟analogia.

Già Sini fornisce indicazioni preziose in questa direzione, poiché quando parla dell‟analogia

come ripetizione, sembra proprio che in questa accezione si posso riscontrare il tema

dell‟analogia nelle affermazioni precedentemente citate. L‟analogia si pone come evento,

afferma Sini, nella misura in cui è capace, contraendo tutta l‟esperienza dei passaggi

precedenti, e quindi permettendo loro di ripetersi, di conferire identità, se pur sempre

360

Peirce, Some Consequences of Four Incapacities, cit. pp. 92-93.

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228

infinitamente differita, a ciò che finora non era riuscito ad emergere con chiarezza. Ma ciò è

possibile in virtù di una similarità tra i vari pensieri o segni che si succedono. L‟analogia

lascia emergere una somiglianza, potremmo dire significativa, perché capace di sintetizzare

all‟interno di un solo tratto segnico, che diventa per ciò stesso discontinuo, tutte le piccole

somiglianze che apparivano forse meno evidenti, ma importanti, poiché ad esse è affidata la

responsabilità di non perdere quel filo che verrà successivamente tenuto con maggiore forza

e sicurezza, quando saranno portate alla luce i nessi prima ignoti, e ora messi a fuoco.

Ora il gesto analogico non è affatto un atto improvviso, dovuto ad un atto intuitivo bensì è

l‟oggettivazione, come acutamente osserva Sini, di una pratica che è già da sempre in atto.

Ciò, se risulta plausibile, mi pare che sia in consonanza con lo spirito e con i veti

fondamentali che la prospettiva peirceana pone all‟attività del conoscere, nel senso che essa

stessa confermerebbe il meccanismo di funzionamento della conoscenza, e cioè che non è

possibile apprendere intuitivamente e che invece mediante ragionamento ipotetico è

possibile significare il reale. Infatti il ragionamento ipotetico, per antonomasia procede con

azzardo perché intende unire due elementi, che a primo acchito, sembrano assolutamente

estranei, e quindi in qualche modo tenta, congettura ma, allo stesso tempo, questo obiettivo

non lo persegue con la convinzione di dover cogliere immediatamente la cosa o il rapporto

tra gli elementi. Pertanto se un pensiero è simile ad un altro ciò è da imputare ad un atto

inferenziale, poiché non è possibile confrontare un pensiero ad un altro, poiché frattanto uno

dei due è già passato. E allora solo il “fra” i due pensieri, afferrato per ipotesi non per atto

intuitivo, può presumere di capire il vincolo dell‟ipotesi con ciò che ancora passa sotto il

nome di ground. Ma d‟altra parte la comprensione di questo “fra” è il risultato della capacità

di riconoscere una comunanza pur nella diversità, quindi un‟unità. Ma infatti “funzione di

un‟ipotesi è di sostituire ad un‟ampia serie di predicati che non formano alcuna unità un

singolo predicato […] perciò anche l‟ipotesi è una riduzione della molteplicità a unità”361

.

Dopo avere affermato che la conoscenza è comunque un processo inferenziale, mediato che

non può prescindere dai segni, sicuramente un luogo in cui l‟applicazione di questo modo di

concepire la conoscenza sorprende, forse più di altri, è quello della sensazione. Quest‟ultima

spesso ritenuta come la forma speculare del dato esperito, secondo Peirce è da assimilare ad

un processo inferenziale, e in modo specifico è da ricondurre alla forma dell‟ipotesi: “Una

sensazione è un predicato semplice preso in luogo di un predicato complesso; in altre parole

svolge la funzione di un‟ipotesi”362

. Qui però va precisato che i nessi inferenziali di tipo

ipotetico non sono istituiti in virtù di un procedimento razionale, piuttosto in base ad una

forza naturale, capace, comunque, di istituire connessioni di tipo inferenziale. Quindi se da

un lato la sensazione è determinata dall‟impatto tra il molteplice sensibile e l‟apparato

sensoriale, così come è strutturato naturalmente, dall‟altro essa stessa può darsi a patto che

si realizzi un‟indicazione delle impressioni secondo un‟ipotesi. Ma ciò non avviene in virtù

di un principio razionale, bensì in forza di un potere inesplicabile, occulto. La classe delle

inferenze ipotetiche a cui assomiglia il sorgere di una sensazione è quella del ragionamento

che va dalla definizione al definitum, in cui la premessa maggiore è di natura arbitraria: solo

che in questa modalità di ragionamento, questa premessa è determinata dalle convenzioni

del linguaggio, ed esprime l‟occasione in cui una parola deve essere usata, mentre nella

formazione di una sensazione, tale premessa è determinata da come è costituita, ed esprime

l‟occasione in cui sorge la sensazione, o segno mentale naturale. E allora in questo senso

361

Ivi, cit. p. 87. 362

Ivi, p. 96.

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229

Peirce afferma: “La sensazione non è una rappresentazione ma soltanto la qualità materiale

di una rappresentazione”363

.

Per quanto non sia possibile valicare la qualità materiale della rappresentazione, poiché essa

sarebbe determinata da una forza fisiologica che agisce dietro la coscienza, secondo Peirce

questa è la conferma del fatto che quando cominciamo a pensare, già la catena segnica è

stata avviata e prima che noi ne siamo consapevoli, le connessioni in qualche modo, sono

state istituite, e allora ecco che la prima premessa è già bella e pronta, poiché “tale premessa

è determinata da come è costituita la nostra natura, ed esprime l‟occasione in cui sorge la

sensazione, o segno mentale naturale”364

. Ma questa capacità di porre in relazione è facoltà

specifica di quella originaria energia segnica che è propria del ground, che troviamo

all‟opera, prima che intervenga la coscienza o l‟interpretante, e si qualifica come quel fronte

intrascendibile a partire dal quale soltanto dopo l‟interpretante potrà realizzare in modo

cosciente il progetto di significazione del reale, perché questa volta caratterizzato da un

procedimento razionale. Quindi l‟analisi della sensazione ci offre una ribalta particolarmente

interessante, poiché ci permette di capire come già la sensazione sia frutto di un giudizio, le

cui origini non sono da imputare per intero alla facoltà razionale, ma al segno naturale.

Insomma è come se già a livello inconscio l‟energia infinita inferenziale del ground avesse

già operato tanto da confezionarci bell‟è pronta quella premessa da cui si svilupperà l‟iter

della semiosi: tale premessa costituirà un segno per nuove connessioni. Quindi è già saltato

l‟impianto dualistico in base al quale la forza rappresentativa opererebbe su un molteplice

sensibile completamente separato da quest‟ultima. Il molteplice sensibile è già stato a sua

volta selezionato, unificato. Quindi l‟interpretante si ritrova a continuare un‟opera già

iniziata. E allora in questo senso da un lato il ground non è a mio avviso da legare

all‟interpretante, e dall‟altro rivelerebbe una natura ontologica, poiché è come se disponesse

il reale affinchè possa essere reso intelligibile dall‟atto semiosico cosciente. Il ground si

mostra apparentemente neutro, perché ad esempio nella sensazione, si presenta sotto le vesti

della costituzione della natura, o come qualità materiale della rappresentazione, il cui

aspetto in effetti risulta inessenziale, infatti “esattamente come nel ragionamento dalla

definizione al definitum, per il logico è indifferente come suonerà la parola definita, o

quante lettere conterrà, così nel caso di questa sorta di parola determinata dalla costituzione

della nostra natura, non è stabilito da una legge interiore come la sensazione apparirà in

sè”365

, il ground esibisce già una connessione possibile che rappresenta una discontinuità-

evento grazie al quale si effettua una ripetizione di qualcosa che altrimenti rimarrebbe

inattingibile al processo conoscitivo. Tutto ciò è coerente con l‟impostazione generale del

pensiero di Peirce, secondo il quale non è possibile immaginare un punto in cui si apprende

immediatamente l‟oggetto, quest‟ultimo è disponibile perché è stato messo già in forma, ma

questa operazione, prima che essa venga resa intelligibile dall‟interpretante potremmo dire è

rozza e a volte insignificante. Ma proprio questa apparente rozzezza e indifferenza

riusciranno a veicolare quanto si rivelerà significativo ai fini di un‟apprensione regolata da

un principio razionale. Cioè all‟interno di ciò che veniva chiamato qualità materiale si lascia

intravedere come in un tutto indifferenziato materia/forma, particolare universale. Sarà

opera dell‟interpretante quella di dipanare il groviglio consegnato dal gesto trascendentale

del ground per identificare quel generale che consentirà di istituire future relazioni segniche.

363

Ibidem. 364

Ibidem. 365

Ivi, p.97.

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230

Nel prosieguo delle sue argomentazioni Peirce si impegna nell‟affrontare le possibili

obiezioni che possono provenire in conseguenza di questa sua impostazione: l‟immagine

può essere inferita?

Nell‟ambito della critica alla teoria associazionistica, Peirce precisa che non è possibile

avere immagini immediate e compiute. Ma se ciò è plausibile, non è pensabile secondo un

criterio di tipo associazionistico, perché quest‟ultimo prevederebbe un confronto tra

immagini immediate e assolutamente determinate, come se queste fossero contemporaneamente

presenti, ma ciò è impossibile, poiché ogni pensiero nasce sulla base di pensieri segni

precedenti, e allora la situazione ora prospettata è assolutamente impossibile. Che un

pensiero sia simile ad un altro è frutto di una ipotesi: “l‟associazione delle idee consiste in

questo: un giudizio occasiona un altro giudizio di cui è il segno. Ora questo non è niente di

più o di meno che inferenza”366

.

Se ogni grado della conoscenza è frutto di un atto inferenziale, il concetto di inferenza si

ritrova esteso e in grado di anticipare una prospettiva che si rivelerà assolutamente fruttuosa

per lo sviluppo del pensiero peirceano.

Già nel testo On a New list of Categories e negli scritti analizzati precedentemente è

apparso chiaramente che il ground è il piano in cui si dispongono le relazioni tra un

elemento ed un altro, rivelando il loro potenziale di similarità. Se è già acquisito che non vi

è alcuna possibilità di toccare l‟oggetto nella sua interezza, è chiaro che non possiamo uscire

dal filtro segnico, attraverso il quale traspaiono le relazioni, le somiglianze. Il ground

sostanzialmente coincide con questo sostrato di discriminazione e di qualificazione in virtù

del quale si ritrovano insieme identità e alterità. L‟atto mediante il quale si oggettiva si

stacca dall‟indifferenziato qualcosa perché possa apparire come una forma compiuta,

produce la qualità propriamente detta. Ma già la qualità scaturisce da un rapporto, essa è

possibile in riferimento al ground, e allora così come abbiamo visto che la sensazione è

sempre frutto di una connessione, sebbene non razionale, comunque inferenziale, in

generale le forme di conoscenza, siano esse valutate da un punto di vista gnoseologico, o

squisitamente semiotico risultano essenzialmente mediate, ipotetiche. Si tenga presente,

come è stato analizzato, che la sensazione funziona come l‟ipotesi, nel senso che il dato

proveniente dall‟esterno non viene appreso direttamente ma per sostituzione ovvero la

sensazione si avvale dell‟uso di un predicato semplice al posto di un predicato complesso.

Come è stato precisato tale operazione non è effettuata da un principio razionale bensì da un

potere inesplicabile occulto, e in quanto tale non è una rappresentazione ma soltanto la

qualità materiale di una rappresentazione. Quindi di fatto e qui risulta evidente un punto di

commistione tra naturale e razionale. È come se il piano razionale avesse un doppio fondo,

il cui volume è occupato dal magma del molteplice sensibile, che comunque accede al piano

razionale, già selezionato, filtrato, messo in forma segnica. Il ground istituendo somiglianze,

introduce un elemento nuovo, mettendo in discussione il modo di pensare della logica

tradizionale, secondo cui nella conclusione non può essere introdotto un termine che non

compare nelle premesse. Nello stesso tempo questa introduzione è giustificata su un piano

strettamente semiotico, poiché l‟introduzione di un elemento nuovo non è frutto di un atto

intuitivo, bensì di un processo continuo. E quindi i pensieri precedenti sono seguiti dai

pensieri che li reinterpretano e li ripetono. Da qui il passo in direzione dell‟analogia è breve.

Qui potremmo dire che Peirce non confonde i termini di analogia e ipotesi. Semmai Peirce

è capace di coglierne la profonda sintonia.

366

Ivi, p. 105.

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231

Ma ciò che tipo di ricaduta può avere sul piano strettamente logico? Si potrebbe pensare che

proprio qui il piano razionale puramente deduttivo, in genere ritenuto del tutto scollato da

ciò che avviene al di là del proprio luogo razionale, diventi permeabile tanto da consentire

l‟accesso a ciò che può provenire dall‟esterno. Ma in questo caso ciò che più importa è che

ciò che entra non è necessariamente diverso dal piano deduttivo, perché è esterno, ma

perché è essenzialmente ipotetico. D‟altra parte nel pensiero umano non entra mai il dato

bruto ma la sua traduzione segnica, stando ai veti peirceani. L‟ipotesi, mediante la sua

capacità originaria di capire la connessione tra le cose, permette che il prodotto da essa

stessa partorito sebbene non certo, o addirittura, come nel caso, della sensazione, segnata da

una forza che opera dietro la coscienza, entri comunque nel processo deduttivo, sebbene si

presenti apparentemente come elemento distraente, deviante, insignificante. Successivamente

questo stesso da semplice qualità materiale o da elementare sensazione si tramuta in

simbolo o in giudizio solido, perché irreggimentato dalla deduzione razionale. A questo

proposito Peirce ci viene in aiuto con queste considerazioni: “Quando una cosa che assomiglia a questa prima ci si presenta, sorge un‟emozione simile: di qui

inferiamo immediatamente che la seconda cosa è simile alla prima. Un logico formale della vecchia

scuola direbbe che in logica nessun termine che non sia contenuto nelle premesse può entrare nella

conclusione, e che quindi la proposta di qualcosa di nuovo deve essere essenzialmente diversa

dall‟inferenza. Ma io oppongo che questa regola logica si applica solo a quegli argomenti che sono

chiamati in senso tecnico completi [...] ciò che qui si è detto dell‟associazione per somiglianza è

vero per ogni tipo di associazione. Ogni associazione avviene mediante segni. Ogni cosa ha le sue

qualità soggettive, ossia emozionali che vengono attribuite, e assolutamente o relativamente o per

imputazione convenzionale, a qualsiasi cosa che sia un segno di essa. E così procede il

ragionamento: il segno è così e così; quindi il segno è quella cosa. Questa conclusione riceve,

tuttavia una modificazione dovuta ad altre considerazioni, e così diventa il segno è quasi (è

rappresentativo di) quella cosa” 367

.

Tali considerazioni riecheggiano l‟insoddisfazione che già Peirce aveva manifestato in

merito alla sillogistica tradizionale, poiché il sillogismo deduttivo non sarebbe capace di dar

conto dei ragionamenti matematici fondati su principi di analogia. Qui, a mio avviso,

diventa ancora più forte la convinzione che il nesso tra ipotesi e analogia possa guadagnare

una maggiore plausibilità, poiché se da una parte l‟analogia ancora in questa prima fase

della produzione viene concepita come un argomento capace di combinare i caratteri

dell‟induzione, della deduzione, e dell‟ipotesi, dall‟altra, a quanto afferma Peirce, il livello

base della semiosi e del processo conoscitivo, in senso stretto, è dovuto all‟energia

inferenziale di tipo ipotetico del ground. Si potrebbe dire che la pretesa da parte dell‟ipotesi

di entrare a far parte del processo deduttivo, risulterebbe già giustificato sul piano

analogico. Il punto è che questa pretesa dell‟ipotesi mira in alto poiché vuole a pieno titolo

entrare a far parte del processo deduttivo, non vuole rimanerne estranea. Ora lungo l‟arco

dello sviluppo del pensiero di Peirce si assisterà ad una graduale centralità dell‟ipotesi, sino

a costringere l‟autore a rivedere il ragionamento deduttivo e, sulla base di modelli già

collaudati dalla matematica, dal metodo scientifico, a concepire il ragionamento deduttivo,

come un momento del procedimento razionale, e non come quello più elevato. Allo stesso

modo, a mio avviso, il concetto di analogia, prima sfruttato soltanto come orizzonte a cui

guardare, in direzione di una comprensione più ampia e soprattutto inedita del rapporto tra

367

Ivi, p. 105–106.

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l‟inferenza ipotetica e quella deduttiva, diventa negli scritti più maturi metodo e verità,

principio e mezzo del procedimento razionale, per altro confermando l‟identità della sua

natura specifica, caratterizzata dalla costituzione nello stesso spazio dell‟individuale e

dell‟universale. Insomma la struttura analogica come l‟ipotesi, penetra,a mio avviso, nel

ragionamento deduttivo caratterizzandolo e addirittura con l‟aiuto delle sue notazioni a

renderlo maggiormente intelligibile, consentendone una perspicua diagrammatizzazione,

operazione essenziale per una comprensione profonda e compiuta. Ma di ciò sarà possibile

fornire elementi più solidi nel Peirce della maturità, perché la tematizzazione di alcuni

concetti, come ad esempio l‟astrazione ipostatica, il ragionamento teorematico, le nuove

acquisizioni in sede logica, potranno forse dimostrare con maggiore evidenza il filo

esistente tra ground ipotesi e analogia ovvero - tenendo presente gli sviluppi della semiotica

e la sua revisione terminologica - tra icona, ipotesi e analogia.

3) La valenza analogica dell’icona

In A New List of Categories Peirce, ancora condizionato dall‟impostazione kantiana, si

prefigge lo scopo di dar conto delle condizioni che rendono possibile l‟unificazione del

molteplice sensibile, ovvero del passaggio dall‟essere alla sostanza. E al fine di operare una

deduzione delle categorie che possono consentire tale passaggio, l‟autore di On A NewList

of Categories elabora un‟attenta analisi dei procedimenti astrattivi che siano idonei all‟effettuazione

di questo arduo compito. A partire da una distinzione netta tra dissociazione e discriminazione,

viene privilegiata l‟astrazione prescittiva, ma quest‟ultima, si rivelerà insufficiente rispetto al

compito affidatole, e sarà necessario supporre l‟introduzione di un‟astrazione di natura

diversa, che nel corso dell‟analisi si identificherà con quel tipo di astrazione, che più tardi

Peirce denominerà astrazione ipostatica, distinguendola nettamente da quella prescittiva.

Quest‟ultima in On A New List of Categories viene definita come quell‟atto in virtù del

quale è possibile operare una separazione tra i diversi attributi di un soggetto concentrando

l‟attenzione soltanto su un elemento e trascurando gli altri.

Ma questa stessa definizione potremmo dire, implica un‟ulteriore procedimento astrattivo

più radicale, che consiste nella facoltà di sostanzializzare gli attributi: ovvero tenere separato un

attributo, una qualità, già a partire da Platone significa essenzialmente concepirla come un

oggetto distinto.

È possibile astrarre da qualcosa, se il qualcosa intanto è stato già posto. Lo spirito, il senso

dell‟astrazione prescittiva è quello di generalizzare, quindi si prescinde da, invece il senso

dell‟astrazione ipostatica è quello di esplicitare il generale per determinarlo e quindi di

pensare il generale secondo determinate coordinate, il senso dell‟astrazione ipostatica è

quello di collocare il generale, di dargli un nome, quindi entrambe pensano il generale, ma

in modo diverso, poiché l‟una parte dall‟insieme delle determinazioni per arrivare alla

comprensione della loro sintesi all‟interno del soggetto, l‟altra parte dal generale per

arrivare attraverso una progressiva determinazione ad un generale individualizzato, ovvero

ad un generale ipostatizzato, e per ciò stesso distinto.

Sebbene questa differenza tra astrazione prescittiva e astrazione ipostatica ancora qui non

emerge chiaramente come negli scritti più maturi, in realtà, come afferma S. Marietti l‟uso

della prescissione nell‟ambito del passaggio dall‟essere alla sostanza in On A New List of

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233

Categories trascende le sue reali capacità, e quindi è plausibile pensare che intervenga già

l‟astrazione ipostatica. Infatti Peirce già afferma in Logica Capitolo I:

“Se perciò iniziamo con la nozione di essere e chiediamo cosa esso unisca a ciò che è presente,

otterremo il primo concetto sottostante. Se poi chiediamo cosa questa nozione unisca a ciò che è

presente, avremo il secondo concetto. Possiamo così continuare in questo modo finché alla fine

approderemo al concetto che congiunge direttamente insieme l‟immediatamente presente, in

generale”368

.

In modo abbastanza efficace Peirce fornisce un esempio affermando: “combinare la

molteplicità dell‟immediatamente presente, in generale, richiede l‟introduzione di un

concetto non dato esattamente come la molteplicità dei fenomeni ottici può essere ridotta

all‟armonia solo dal concetto estraneo di etere luminoso”369

.

In On A New List of Categories con un‟impostazione, come sopra veniva affermato,

essenzialmente kantiana, viene ribadito “che gli elementi che vengono unificati non possono

essere supposti senza il concetto, mentre il concetto può generalmente essere pensato senza

tali elementi”370

.

Ora nell‟applicazione di tale principio metodologico al passaggio dall‟essere alla sostanza si

comprende chiaramente come sia necessario istituire un continuo alternarsi di

considerazione del concetto ora in modo mediato, ora in modo immediato per arrivare ad

unificare il molteplice sensibile. Se all‟inizio viene posto l‟essere evidentemente, secondo

Peirce, non è possibile disporre di alcun contenuto, poiché esso indica la pura possibilità e il

suo compito specifico è quello di operare una connessione tra predicato e soggetto e

pertanto diventa essenziale il darsi di un predicato, il quale garantisce la produzione di un

contenuto, coincidendo con il possesso di un carattere ovvero con il ground.

In tal modo viene dedotta la prima categoria intermedia tra l‟essere e la sostanza. Come è

stato già detto, il ground ponendosi come stato relazionale rende possibile la comparazione

e la rappresentazione.

Il darsi di questi gradi intermedi è possibile, perché il ground non è un dato contenuto nelle

impressioni sensibili ma il prodotto di una generalizzazione, ma a sua volta quest‟ultima è

tale perché è un‟astrazione e in virtù di questo il ground si pone come la prima indicazione

originaria dalla quale scaturisce la qualità, oggettivazione del sostrato di discriminazione, di

qualificazione in cui consiste essenzialmente la natura del ground.

Tale oggettivazione diventa a sua volta un concetto immediato se confrontato con un altro

dato, il quale si porrà come la sua traduzione mediata. Quest‟ultima “presa immediatamente”

diventerà mediata attraverso la mediazione rappresentativa che costituirebbe il terzo anello di

questa catena che sta tra l‟essere e la sostanza. Ora questo tipo di deduzione che porterà

successivamente alla produzione delle tricotomie semiotiche più significative lascia

emergere un impianto regolato non soltanto dall‟astrazione prescittiva, ma soprattutto

dall‟astrazione ipostatica371

.

È quest‟ultima che crea il piano su cui poggiano le realtà prodotte dal suo operare, sulla

base delle quali può successivamente agire l‟astrazione prescittiva.

368

Peirce, Logica. Capitolo 1, cit., p. 7. 369

Ibidem. 370

Ivi, p. 18. 371

Qui viene sfruttato un suggerimento fornito dalla convincente e, a mio avviso, fondata analisi di Susanna Marietti del

concetto di astrazione ipostatica. Cfr. S. Marietti, Icona e diagramma, Milano, Led, 2001.

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234

Proseguendo nella lettura del testo del 67, come è stato già analizzato precedentemente,

Peirce decreta la nascita della semiotica, poiché le categorie dedotte contengono già una

connotazione segnica, tant‟è che Peirce immediatamente trova abbastanza agevole la loro

traduzione all‟interno di un registro semiotico. Infatti già la qualità in sè sembra custodire

due realtà segniche: quella iconica e quella indicale.

Le relazioni, come sappiamo, risultano caratterizzate dalla somiglianza, dalla indicalità e

dalla simbolicità, poiché la relazione interna è essenzialmente esplicata da una somiglianza

iconica, è l‟essere simile a qualcos‟altro a qualificarsi come elemento caratterizzante della

relazione, nel secondo caso la relazione si consuma su un piano esterno, la connessione tra

relato e correlato è effettiva, è data.

Nel terzo caso la relazione rinvia necessariamente ad una dimensione interpretativa, poiché

essa è resa possibile da un carattere imputato372

.

Da questa tricotomia traspare già un‟altra triade che, sul piano categoriale, conferma il

valore ontologico di questa prospettiva semiotica, così configuratasi all‟interno del testo del

„67, poiché in seguito ai cambiamenti maturati in sede logica, le categorie si affrancano da

ogni ancoraggio ad una visione di tipo corrispondentistico, che vedrebbe ancora come

separati sostanza ed essere, soggetto e predicato, proponendosi come Primità, Secondità e

Terzità.

La Firstness invera il carattere fondativo del ground, poiché come si diceva prima, libera da

qualsiasi visione dualistica che vedrebbe il molteplice e il concetto fronteggiarsi, esprime la

possibilità originaria, già propria del ground, che a sua volta necessita della Secondità

perché venga determinata e diventi oggetto di conoscenza compiuta mediata dalla Terzità.

Quindi anche sul versante categoriale il ground conferma la sua facoltà originaria di costruire

un luogo al generale, nella misura in cui quest‟ultimo viene ipostatizzato, abilitandolo così ad

una conoscenza mediata, indispensabile a che il “generale individualizzato” possa essere

legittimato dalla Terzità.

Rispetto, pura possibilità logica non sono ancora la terzità, piuttosto rappresentano i luoghi

possibili in cui, secondo un rapporto di circolarità, si istituiscono possibili relazioni, che per

essere riconosciute come tali, devono essere mediate dalla Terzità.

In On A New List of Categories l‟uso dell‟astrazione ipostatica, sebbene ancora confuso con

quello dell‟astrazione prescittiva, in ambito categoriale e semiotico e il riferimento alla

matematica come luogo proprio di questa operazione astraente, saranno non soltanto

confermati dal Peirce della maturità ma sviluppati in modo straordinario. Tant‟è che sarà

possibile, nonostante il numero sterminato delle carte peirceane, apparentemente disorganiche,

se pur non di rado criptiche, mantenere un rapporto stretto, costante, nonché progressivamente

arricchentesi, perché profondamente permeabili, tra gli universi semiotico, logico e matematico.

372

Dalla tripartizione semiotica Peirce deduce la classificazione degli argomenti logici: “Mostrerò ora in che modo i tre

concetti di riferimento ad un ground, ad un oggetto e ad un‟interpretante rappresentino gli elementi fondamentali di

almeno una scienza universale, quella logica. Si dice che la logica si occupi delle seconde intenzioni in quanto applicata

alle prime […]. Ora, le seconde intenzioni sono gli oggetti dell‟intelletto considerati come rappresentazioni, mentre le

prime intenzioni, alle quali esse si applicano, sono gli oggetti di queste rappresentazioni stesse [...]. Ma le regole della

logica valgono per ogni simbolo [...]. Esse non hanno alcuna applicazione immediata alle somiglianze o agli indici -

perché nessun argomento può essere costruito con questi segni soltanto – ma si applicano invece a tutti i simboli […].

Si può però tracciare una distinzione tra concetti che si ritiene non abbiano alcuna esistenza se non in quanto

attualmente presenti all‟intelletto e simboli esterni che mantengono comunque il loro carattere simbolico, purché siano

anche solo suscettibili di essere compresi. E dato che le regole della logica si applicano sia a questi ultimi che ai primi

(anche se solo attraverso i primi, e tuttavia questo carattere, appartenendo ad ogni evento, non si presenta come un

limite) ne deriva che la logica ha come oggetto specifico d‟indagine tutti i simboli e non solo i concetti”.

Peirce, Un nuovo elenco di categorie, cit. pag. 24.

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235

Lo scritto Le categorie (Ms 403) si rivela uno scritto, a mio avviso, assai significativo, poiché

qui Peirce ritornerà a parlare di astrazione, dopo la svolta operata in ambito logico e

categoriale e quindi attesta una continuità tra la produzione giovanile e poi quella matura,

fornendo uno sguardo di insieme a quello che essenzialmente si impone come la direzione

fondamentale del pensiero peirceano. Riproponendo la stessa impostazione373

di On A New

List of Categories, Peirce, dopo aver valutato i vari tipi di astrazione al fine di dare

soluzione al problema medesimo con cui si apriva il testo On A New List of Categories

ovvero l‟unificazione del molteplice attraverso il passaggio dall‟essere alla sostanza, si

sofferma sul concetto di qualità, ribadendo che essa non è data, bensì, quasi parafrasando

Platone374

, afferma: “questo concetto […] è considerato avere una sorta di essere ideale

indipendente dal proprio essere realizzato in quella cosa particolare”375

.

Una condizione imprescindibile per far filtrare dalla realtà la sua struttura relazionale, è

quella secondo Peirce, di sostanzializzare le idee, in questo caso, la qualità,poiché si pone

un “oggetto distinto” e così si rende discreto quel continuum tra pensiero e realtà, che

altrimenti rimarrebbe inattingibile. Conferire realtà alle idee significa poter pensare in modo

compiuto, poiché si procede attraverso elementi discreti, che si rivelano atti o veicolate le

determinatezze di quell‟universale che non può risultare cosi mai separato da queste

ultime.Valorizzare le astrazioni significa supporre che l‟unico modo in cui è possibile

conoscere le cose è quello di pensarle, in caso contrario, afferma Peirce:

“i pensieri possono essere simili alle cose. Ma i pensieri non possono assomigliare a cose non

pensate: un vero pensiero è un pensiero che risponde all‟evento naturale e che conduce a risultati

del tutto in armonia con la natura. Nella perfetta convenienza dell‟espressione sta tutta la verità

concepibile. Non potete pensare che un pensiero sia simile a qualcosa di non pensato. La

somiglianza è pensiero”376

.

In queste parole vengono condensate, a conferma della possibilità di rintracciare sempre un

sentiero guida, pur negli infiniti meandri, in cui non di rado, sembra disperdersi il detto

peirceano, i nuclei concettuali fondamentali della impalcatura peirceana: la negazione di una

visione dualistica che destinerebbe l‟oggetto e il pensiero ad una perenne divaricazione,

l‟idea di un pensiero possibile soltanto attraverso un processo non intuitivo ma inferenziale,

nonché l‟inconcepibilità dell‟inconoscibile. Quindi la riflessione sull‟astrazione ipostatica

risulta da una parte adeguatamente innestata su quel terreno fertile, già predisposto a partire

da On A New List of Categories e dai saggi del 68, e dall‟altra pronta per effettuare quel

balzo in avanti che tutta la riflessione peirceana ha già iniziato a fare.

Peirce non soltanto, qui forse in modo più efficace, sottolinea la necessità di oggettivare le

idee ma, immediatamente prima di esprimere queste considerazioni, avverte l‟esigenza di

distinguere la prescissione da questa facoltà con la quale è possibile ipostatizzare i

contenuti, siano essi categoriali semiotici, nonché logici. “Quando una qualità è considerata

come un oggetto distinto, si dice che viene considerata astrattamente: è definita infatti

astrazione e i nomi formati da aggettivi, espressioni di tali astrazioni, sono chiamati nomi

373

Nel testo l‟uso dei termini essere e sostanza, sebbene potrebbe far pensare ad un‟assenza di novità in merito al piano

categoriale, in realtà convive già con i concetti più fecondi del Peirce della maturità come la polivalenza dell‟astrazione

ipostatica e il carattere teoretico del pensiero diagrammatico. 374

Qui Peirce sembra evocare alcune insistenze argomentative platoniche a proposito della necessità di tenere separata

l‟idea al fine di porla come principio di interpretazione della realtà. Già da Platone è considerata un‟esigenza più che

legittima, concepire l‟idea come “un oggetto distinto”, poichè l‟idea oggettivata diventa l‟unico spartito in cui è

possibile leggere le relazioni intrinseche alla realtà.

60 Peirce, Le Categorie, cit., p. 44-45. 61

Ivi, p. 43.

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astratti. È un errore grossolano confondere in logica l‟astrazione intesa in questo senso con

l‟operazione di prescissione o separazione sul piano della supposizione377

.

Il riconoscimento di un‟astrazione diversa da quella prescittiva consente a Peirce, come era

già accaduto in On A New List of Categories, di ribadire anche in questo testo che

l‟esercizio di quest‟astrazione è pienamente realizzato nell‟universo matematico.

È qui che è possibile, seconda la filosofia matematica di Peirce, ipostatizzare universali,

poiché l‟universo matematico, svincolato dai gravami del referente, dell‟oggetto dinamico,

può conferire realtà ad ipotesi, quindi relazioni che, se fruttuosamente elaborate,

consentono, attraverso un procedimento deduttivo di conquistare conclusioni non soltanto

analitiche, ma soprattutto sintetiche378

.

L‟innesto dell‟osservazione ipostatica sul piano matematico permette di arrivare alla

tematizzazione del ragionamento teorematico, indispensabile alla comprensione del valore

teoretico del pensiero diagrammatico, prospettiva centrale negli scritti della maturità.

Nell‟universo della matematica, pensato da Peirce come uno spazio assolutamente puro,

l‟astrazione ipostatica può creare una realtà oggettiva, assolutamente irrelata, poiché ciò che

caratterizza per antonomasia il piano matematico è quello di ricercare, esplorare le infinite

possibilità che possono essere oggetto di pensiero, e il mondo reale è uno tra le svariate

prospettive pensabili. Asserita l‟assoluta purezza del mondo matematico si potrebbe pensare

che le conoscenze prodotte siano essenzialmente di natura analitica, ma è noto,secondo la

prospettiva peirceana, che i ragionamenti matematici producono anche contenuti sintetici.

Ciò che può dar conto di questa formidabile doppia valenza del pensiero matematico, è

secondo Peirce, il concetto di teorematicità: quest‟ultimo, sebbene trovi sicuramente la sua

piena realizzazione nell‟universo matematico, rivela la sua fecondità e la sua paradigmaticità,

poiché esplicativo della realizzazione di incrementi conoscitivi in ogni forma di sapere

disciplinare. Demolendo un‟idea legittimata da una tradizione millenaria Peirce afferma che

la deduzione non deve essere considerata quasi come un procedimento meccanico, poiché

non è affatto vero che si tratta soltanto di esplicitare quanto è contenuto nelle premesse di un

argomento deduttivo, poiché la conclusione dispone di contenuti nuovi rispetto a quelli

presenti nelle premesse. Ed evidentemente in base a queste affermazioni Peirce sostiene che

quindi la famosa distinzione tra giudizi analitici e sintetici non trova la sua ragion d‟essere,

così come pure l‟idea kantiana, “[…]All reasoning is reasoning in Barbara, that that

inference itself is discovered by the microscope of relatives to be resolvable into more than

half a dozen distinct steps”379

.

Ma cos‟è ciò che permette di transitare dalle premesse alla conclusione producendo,

scoprendo relazioni inedite? È l‟inserimento di un elemento estraneo, è la costruzione di

qualcosa che si aggiunge rispetto alle premesse che consente di far procedere il

ragionamento sino alla conclusione: esso coinciderebbe con quelle ipotesi che il geometra

inserisce tra le premesse, la tesi della dimostrazione e la conclusione. Le ipotesi devono

trasformarsi attraverso vere e proprie operazioni, come quelle effettuate da un geometra nel

momento in cui modifica una figura geometrica, prolungandone i lati o altro che conduca

effettivamente ad una vera e propria manipolazione.

377

Ibidem. 378

Per un‟approfondita analisi della filosofia matematica di Peirce cfr., Marietti, Icona e Diagramma LED, Milano,

2001. 379

CP 3.641.

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Ora sono queste operazioni che insieme alla tesi costituiscono il corpo centrale della

dimostrazione. È opportuno precisare che questa idea estranea, una volta realizzato il

compito di dare vita ad una struttura argomentativa tra la tesi e la conclusione, scompare. “How it can be that, although the reasoning is based upon the study of an individual schema, it is

nevertheless necessary, that is, applicable, to all possible cases, is one of the questions we shall have

to consider [….] Thinking in general terms is not enough . It is necessary that something should be

done. In geometry, subsidiary lines are drawn. In algebra permissibile transformations are made.

Theuropon, the faculty of observation is called into play. Some relation between the parts of the

schema is remarked [….] May be necessary to draw distinct schemata to represent alternative

possibilities. Theorematic reasoning invariably depends upon experimentation with individual

schemata”380

.

Contrariamente al ragionamento corollariale, come è stato altrove, in cui il procedimento è

caratterizzato soltanto da un metodo analitico, poiché è vincolato ad esprimere quanto è

contenuto nelle premesse, il ragionamento teorematico prevede dei passaggi argomentativi

che non sono assolutamente ricavabili dalle premesse, ciò significa che la deduzione di fatto

per svilupparsi necessita della creazione di idee assolutamente nuove, che aiutino a far

procedere la catena deduttiva al fine di arrivare alla conclusione, ma queste idee sono

prodotto di un‟inferenza di tipo abduttivo.

E qui potremmo dire che, il risultato a cui perviene Peirce in On the Natural Classification

of Arguments, in cui, come si è avuto modo di constatare, viene posta la correlazione tra

l‟ipotesi, l‟induzione e le figure indirette del sillogismo, viene inverato e straordinariamente

sviluppato, poiché il concetto di teorematicità riassume tutte le indicazioni provenienti dagli

scritti giovanili e le giustifica all‟interno di un ragionamento, che sancisce la contaminazione di

contenuti analitici e sintetici. Qui in modo chiaro inferenze deduttive e abduttive intrecciano

le loro catene argomentative, ponendo in evidenza il fatto che addirittura sono

complementari e non pensabili separatamente. È come se si assistesse lungo il corso della

produzione peirceana ad un progressivo spostamento in direzione di un‟idea che intende

concepire il ragionamento come una struttura stratificata, al cui interno comunque gli strati

si sovrappongono l‟un l‟altro configurando un continuum, ovvero una struttura unitaria.

Insomma nel pensiero peirceano le partizioni tradizionali tra deduzione e ipotesi si risolvono

in una dimensione unitaria, d‟altra parte, secondo la prospettiva peirceana conoscere

significa cercare uno spazio, una discontinuità per sperimentare il tipo di fisionomia assunta

dall‟idea sostanzializzata; qui è evidente la forza straordinaria di esplicazione dell‟astrazione

ipostatica. Sono necessari tratti determinati, costruzioni ausiliarie perché sia possibile capire

la struttura dell‟universale, che si raggiungerà nella conclusione di ogni percorso

dimostrativo. Non è possibile dar conto di questo tipo di operazione se non per virtù di

un‟inferenza ipotetica che procede dal conseguente verso l‟antecedente; se da una parte

dalla tesi si procede verso la conclusione, dall‟altra si compie il percorso inverso, i contenuti

presenti nella tesi possono essere considerati i conseguenti di possibili antecedenti. E quindi

in questo senso dalla tesi, dal conseguente è necessario spostarsi per reperire con un atto

assolutamente creativo il suo possibile antecedente, reiterando queste operazioni si ritorna

con attrezzi nuovi per gestire e condurre la catena deduttiva sino alla sua conclusione.

D‟altra parte è l‟ipotesi che ha la facoltà di spiegare – proprio in questi termini si esprimerà

Peirce nel testo del „78 Deduzione, Induzione, Ipotesi – ma l‟esercizio di questa facoltà è

reso possibile da un tratto materiale, capace di visualizzare le possibili connessioni

immaginate.

380

CP 4.233.

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L‟ipotesi deve fornire il piedistallo su cui poggiare qualcosa, che proprio in virtù di questo

sarà dotato di una vita propria e ciò le consentirà di dispiegarsi, al fine di consegnare nuove

strategie, indispensabili affinchè il percorso deduttivo compia il suo viaggio sino alla meta,

impossibile da raggiungere con l‟unico bagaglio offerto dalla tesi.

L‟analisi del ragionamento teorematico segna in modo deciso il ruolo fondamentale assolto

dalla costruzione individuale e dalla manipolazione che è necessario esercitare su di essa.

Queste due necessità esibite dal ragionamento teorematico sono quelle che permettono di

arrivare all‟acquisizione di una prospettiva di pensiero che caratterizza sicuramente in modo

specifico la produzione matura del Peirce, sebbene come si è cercato di evidenziare, sia già

preannunciata negli scritti giovanili. Tale prospettiva, essenzialmente rappresentata dal

pensiero diagrammatico, è il frutto consapevole, potremmo dire, della necessità di

stratificare il pensiero al fine di comprendere quelle relazioni che strutturano il reale. Posto

che già da sempre il reale sta dentro la catena del pensiero, quest‟ultimo per comprendere le

ragioni del reale deve creare distanze, livelli, strati tra i quali riconoscere relazioni. Ma

quest‟operazione è spesso complicata dalle quantità degli strati e allora se non si

costruiscono dei tratti materiali al cui interno possono risultare sostanzializzate le relazioni

scoperte, il pensiero stesso implode. Esso al contrario può dispiegarsi se gerarchizza le

diverse operazioni di sostanzializzazione. Ma questa operazione non è analitica bensì

sintetica, poiché non è un‟operazione di “sussunzione”, bensì di “costruzione”.

Infatti Peirce affermava: “L‟intero processo di sviluppo nella comunità degli studiosi di quelle formulazioni di verità,

ottenute attraverso l‟osservazione astrattiva e il ragionamento, che devono essere valide per tutti i

segni usati da una intelligenza scientifica, è una scienza basata sull‟osservazione.

Come tale essa è simile a ogni altra scienza positiva, nonostante il forte contrasto con tutte le

scienze specifiche, che sorge dalla sua aspirazione a scoprire che cosa dev‟essere e non meramente

che cosa è nel mondo effettivo”381

.

Il pensiero diagrammatico permette più chiaramente di osservare i diversi piani in cui si

disloca il pensiero peirceano. Esso diventa, potremmo dire, una nuova rappresentazione del

pensiero dell‟autore, poiché in esso è come se si potessero abbracciare con un solo sguardo

le diverse declinazioni della riflessione peirceana, ora categoriale, logico/matematico,

nonché semiotico.

Ma essenzialmente ciò che balza in modo evidente è che il concetto dentro il quale si

condensano tutti gli esiti profondamente innovativi è proprio il concetto di icona. Essa

attraversa tutte le fruttuose produzioni peirceane, realizzando anche nei confronti del

pensiero prodotto dall‟autore, un‟operazione di ipostatizzazione, costituendo quasi una

cornice al cui interno vengono contratti tutti i momenti significativi della riflessione

peirceana.

Gli scritti a cui si farà riferimento successivamente sono la testimonianza della profonda

connessione tra mondo logico e mondo semiotico, poiché in modo sincronico i due ambiti si

scambiano risultati mostrando la loro equivalenza. Tale insistenza sulla loro intercambiabilità

incoraggia l‟idea che esiste un nesso profondo tra ipotesi (più tardi denominata

abduzione/retroduzione) icona e analogia.

La critica degli argomenti è un testo in cui la riflessione prettamente logica e quella sul

pensiero diagrammatico lasciano emergere un rapporto molto stretto, poiché qui si ritrovano

uniti gli esiti di due riflessioni che compendiano il Peirce della maturità: Peirce nel

381

Peirce, Opere, cit. p.147.

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riesaminare i principi della logica tradizionale arriverà alla conclusione che non il principio

di identità, il principio di non – contraddizione, il principio del 3 escluso sono originari,

bensì la relazione transitiva. “Non esiste che un modo del sillogismo universale affermativo. Esso è detto Barbara e si svolge nel

modo seguente:

Ogni M è P

Ogni S è M

Ogni S è P

Il problema è ora quello di determinare qual è tra le proprietà della relazione tra soggetto e

predicato la sola che, se eliminata, comporta invariabilmente l‟impossibilità, per la precedente

forma di inferenza, di trarre una conclusione vera da premesse vere. Per scoprirla, il modo naturale

consiste nel distruggere tutte le proprietà della relazione in questione, in modo da trasformarla in

una relazione del tutto differente e di osservare a questo punto qual è la condizione che tale

relazione deve soddisfare al fine di rendere valida l‟inferenza. Ponendo AMA al posto di è,

abbiamo:

M ama P

S ama M

S ama P

Affinché quanto sopra sia universalmente vero, è necessario che ogni amante ami tutto ciò che il

suo amato ama. Una relazione per la quale ciò è vero è detta una relazione transitiva.

Per conseguenza le condizioni della validità di Barbara è che la relazione espressa dalla copula sia

una relazione transitiva. Tale affermazione è sostanzialmente in accordo con la dottrina di

Aristotele.

L‟analogo del principio d‟identità quando la copula della proposizione è ama è il fatto che ognuno

ami se stesso. Ciò ovviamente non basta di per sé a rendere valida la forma inferenziale; né la sua

falsità potrebbe impedire a quella forma di essere valida; purché amare sia un verbo transitivo. Così

mediante un limitato impiego di pensiero esatto, il principio d‟identità si è rivelato chiaramente

come non necessario nè sufficiente per la verità di Barbara”382

.

Peirce ritiene che cosi come il principio d‟identità non è il principio esplicativo dei

sillogismi affermativi, allo stesso modo il principio di non contraddizione e del terzo escluso

non lo sono per i sillogismi negativi.

Infatti se si prende in considerazione un sillogismo universale negativo, CESARE, Peirce

mostra come di fatto anche in questo caso a qualificarsi come originaria è la relazione

transitiva e non il principio di non contraddizione.

E infatti, afferma Peirce, se nel seguente sillogismo

ogni M è non P

ogni S è P

ogni S è non M

si introduce un contenuto nuovo, inserendo al posto della copula il verbo combattere, il

sillogismo si presenterà nella seguente forma:

382

Peirce, La critica degli argomenti, cit. p. 690.

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Ogni M combatte ogni P

Ogni S è P

.‟. Ogni S combatte ogni M

Se osserviamo adeguatamente la nuova formulazione del sillogismo possiamo inferire che la

proposizione ogni M combatte ogni P equivale alla sua conversa e cioè ognuno combatte

chiunque lo combatte, ma quest‟ultima a sua volta equivale al principio di contraddizione e

cioè è impossibile che ognuno combatte chiunque non lo combatte.

Quindi non risulta originario il principio di non contraddizione, piuttosto la condizione che

rende valido il sillogismo è che “la relazione espressa da combattere possa essere il proprio

converso”383

, cioè la relazione transitiva, che è la relazione originaria, e che può essere

espressa all‟interno di una conversa.

A questo punto può essere utile ricordare che la regola d‟inferenza della conversione, come

è stato già mostrato in On the Natural Classification of arguments, è dimostrabile all‟interno

della seconda figura e che quest‟ultima è assimilabile all‟inferenza ipotetica.

Ciò significa che in linea con gli scritti giovanili viene ribadito che sia nel caso dei

procedimenti di trasformazione, ovvero casi in cui si ricorre mediante operazioni formali,

come conversione e contrapposizione alla riduzione delle figure indirette, sia nel caso in cui

si introducono contenuti nuovi, come ora si è constatato, si producono passaggi sintetici. E

ciò forse ci aiuta a comprendere come lo spazio della deduzione non sia interamente

occupato da essa, piuttosto in essa potremmo dire troviamo anche altre inferenze, come

quella ipotetica e induttiva.

A tal proposito può essere importante ricordare che Peirce in On the Natural Classification

of arguments sottolineava che le regole d‟inferenza cosìddette immediate come la

conversione potevano essere dedotte all‟interno della seconda e terza figura, nonché della

quarta figura, rappresentata dall‟analogia.

E allora ciò che si vuole dire, in base alle argomentazioni precedenti, è che l‟ipotesi e

l‟analogia si ritrovano fortemente accomunate dalla capacità di divenire luoghi in cui trova

espressione la relazione transitiva, unica relazione riconosciuta da Peirce come realmente

fondativa. Ma l‟ipotesi e l‟analogia esibiscono il loro volto, sono più facilmente

rintracciabili e identificabili nella discontinuità del tratto iconico, ovvero nella loro

traduzione diagrammatica. Insomma sotto angolazioni diverse ipotesi, analogia e icona

esprimono quella che in ambito strettamente logico Peirce denomina relazione transitiva, e

quest‟ultima sul piano logico, traduce il punto di vista base della prospettiva semiotica

peirceana, che essenzialmente si riassume nell‟idea che, lungi da una visione

corrispondentistica della realtà, il problema di significare il reale non sta nel cercare di

rispecchiare qualcosa, semmai, in considerazione del continuum che struttura il pensiero e il

reale, nella possibilità di transitare dall‟uno all‟altro.

E così come il pensiero sembra sempre altro rispetto a ciò che è contenuto all‟interno di un

tratto segnico, allo stesso modo la realtà rappresentata sembra rinviare ad altro, a quell‟Uno,

peraltro “inconcepibile” e quindi impossibile da catturare dentro la rete della

rappresentazione.

La condizione, piuttosto, in virtù della quale la realtà somiglia al pensiero e il pensiero alla

cosa, il piano in cui si può impiantare la conoscenza consiste in questa trama fitta di rapporti

tra analogie e ipotesi, nonché della loro espressione iconica.

383

Ivi, p.692

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In base ai passaggi logici effettuati nel testo preso in esame, dunque la copula piuttosto che

sussumere deve far transitare, ovvero deve rendere possibili relazioni di vario genere, non

più vincolate a relazioni di similarità. Il punto di riferimento diventa la relazione che non

nomina più la classe bensì un sistema in cui in virtù dell‟assolutizzazione della transitività, è

possibile connettere gli oggetti in diverso modo. Ma tali considerazioni sono assolutamente

in linea con quella facoltà straordinaria, rappresentata dall‟astrazione ipostatica che

provvede a creare ens rationis, perché sia possibile la deduzione delle categorie, la struttura

segnica fondamentale nella sua scansione iconica, indicale, simbolica, nonché il concetto di

teorematicità che, svincolato dal contesto matematico esplica la sua efficacia metodica

anche nell‟ambito delle scienze empiriche. E proprio in virtù di questa universalità

attribuibile al ragionamento teorematico è possibile, forse, trarre fuori da esso due elementi

caratterizzanti: la necessità di introdurre un‟idea estranea nel ragionamento deduttivo e la

necessità di offrire uno spazio determinato, ovvero un tratto iconico, passibile di

osservazione e manipolazione. Espugnata la resistenza opposta dai principi della logica

tradizionale, intesi secondo una certa lettura, principi originari, sono necessarie nuove

architetture concettuali per decodificare le possibili emergenze relazionali. Il lavoro di

„speleologia‟ condotto all‟interno della logica classica e i risultati ai quali approda

obbligano il filosofo americano a sviluppare e scoprire nuove leve di comando all‟interno

del ragionamento, così come nel caso del ragionamento teorematico, e a scoprire nuove

notazioni.

Insomma risulta chiara la necessità del pensiero diagrammatico proprio in considerazione

degli esiti raggiunti in sede logica e in quella matematica, soprattutto comunque emerge il

valore fondativo del pensiero diagrammatico, poiché, esso indipendentemente dagli

involucri disciplinari, siano essi logici, matematici, semiotici o quelli propri delle scienze

empiriche, diventa un passaggio obbligato per potere esplicare il reale. Le parole di Peirce

incoraggiano a dirigerci in questa direzione, poiché sottolineano la radicalità dell‟azione

diagrammatica: “Consideriamo un qualunque argomento sulla cui validità un individuo possa legittimamente avere

un temporaneo dubbio. Per esempio, prendiamo la premessa che dice che da una e dall‟altra di due

province di un certo regno è possibile raggiungere qualsiasi provincia navigando lungo il corso

dell‟unico fiume del regno che attraversa tutto il regno e compiendo un viaggio entro i confini di

una provincia; e la conclusione sia che il fiume, dopo aver toccato tutte le provincie del regno, deve

toccare ancora la prima per cui è passato. Ora, al fine di mostrare che tale inferenza è (o non è)

assolutamente necessaria, si chiede di fare qualcosa di simile ad un diagramma con differenti serie

di parti, dove le parti di ciascuna serie siano palesemente in relazione come lo sono le province,

mentre nelle differenti serie qualcosa che corrisponde al corso del fiume presenta tutte le possibili

variazioni essenziali; tale diagramma deve essere congegnato in modo tale che si possa

agevolmente esaminarlo e che sia facile scoprire se il corso del fiume in verità sia in ogni caso

quello che deve venire qui inferito. Tale diagramma può essere destinato alla vista o all‟udito; in un

caso le parti si presentano nel tempo, nell‟altro caso nello spazio. Al fine di potere riprodurre

completamente le condizioni dell‟argomento in esame, sarà necessario servirsi di segni o simboli

ripetuti in diversi punti e in diverse combinazioni; inoltre questi segni devono essere soggetti a certe

regole, vale a dire a certe relazioni generali cui la mente li associa. Tale metodo di formazione di un

diagramma è detto algebra. Ogni discorso non è che un‟algebra, dove i segni ripetuti sono le parole,

che hanno delle relazioni in virtù di significati associati ad esse”384

.

384

Ivi, p. 695.

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Proprio in questo punto in cui in modo netto la riflessione peirceana sbocca nell‟oceano

della semiosi, ormai pienamente fondata dal piano matematico/logico, è possibile con un

solo sguardo abbracciare la valenza triadica del concetto di icona: la sua dimensione

ipotetica, la sua versione grafica e la sua possibile traduzione analogica.

Negli scritti On the Algebra of logic: A contribution to the Philosophy of Notation 1885,

One, Two, Three 1886, Uno, Due, Tre categorie fondamentali del pensiero e della natura

1885 e in altri scritti relativi allo stesso periodo troviamo un nuovo assetto categoriale, oltre

che le nuove acquisizioni maturate in sede logica, delle quali La Critica degli argomenti

1892 fornisce un efficace esemplificazione.

Proprio in questo innesto tra versante logico, semiotico e categoriale diventa a mio avviso

evidente il rapporto tra icona e analogia, nella misura in cui, per il modo in cui ne parla

Peirce, l‟icona sembra riprodurre nel suo microcosmo l‟articolazione propria della seconda.

Intanto è utile partire dal modo in cui viene presentato il concetto di icona e la sua funzione

nell‟ambito del processo di apprendimento. “ No quality or character of any kind can be conveyed or made known except by means of an icon

[….] If a person did not know what it was for two objects to be connected together, how could it

possibly be explained to him, except by an example? The analysis of a complex character may be

represented by means of tokens, but how the elements will appear when they are put together,

only an icon can show”385

.

In tal modo la consapevolezza dell‟imprenscindibilità del carattere iconico verrà ribadita in

uno dei passaggi più noti della concezione semiotica peirceana: “l‟unico modo di comunicare direttamente un‟idea è per mezzo di un‟icona; e ogni metodo indiretto

di comunicare un‟idea deve dipendere per la sua istituzione dall‟uso di un‟icona. Quindi ogni

asserzione deve contenere un‟icona o un insieme di icone o altrimenti deve contenere segni il cui

significato è spiegabile per mezzo di icone. L‟idea significata dall‟insieme di icone (o

dall‟equivalente di un insieme di icone) contenute in un‟asserzione può essere detta il predicato

dell‟asserzione”386

.

La sequenza di queste affermazioni, rafforza la convinzione, se pur intervallata da un

decennio - ma forse proprio in questo caso la distanza temporale diventa significativa - che

la riflessione sul concetto di teorematicità acquista uno statuto universale. L‟idea che

bisogna mettere in forma iconica qualcosa perché quest‟ultima possa essere successivamente

asserita, oltre ad acquistare evidenza nell‟ambito della riflessione matematica di Peirce,

assume connotazioni ora logiche, ora semiotiche.

Subito dopo così Peirce si esprime in merito alla nozione di digramma: “Ogni dipinto (per quanto il suo metodo possa essere convenzionale) è essenzialmente una

rappresentazione di questo tipo. E tali sono anche tutti i diagrammi, anche se fra diagramma e

oggetto non vi sia nessuna rassomiglianza sensoriale, ma solo un‟analogia fra le relazioni delle loro

parti. Così una formula algebrica è un‟icona. Chiamare un‟espressione algebrica icona può

sembrare a prima vista una classificazione arbitraria; perché potrebbe altrettanto bene o ancora

385

W5:380. A questo proposito è utile tenere presente la seguente definizione di icona: “Un‟icona è un segno che si

riferisce all‟oggetto che essa denota semplicemente in virtù dei caratteri suoi propri, e che essa possiede nello stesso

identico modo sia che un tale oggetto esista effettivamente, sia che non esista. È vero che, a meno che sia realmente un

oggetto, l‟icona non agisce come segno; ma questo non ha nulla a che fare con il suo carattere di segno. Una cosa

qualsiasi, sia essa qualità o individuo esistente o legge è un‟icona di qualcosa, nella misura in cui è simile a quella cosa

ed è usata come segno di essa”. Peirce, Nomenclature and Division,cit. p. 153. 386

Peirce, That Categorial and Hypotetical Propositions, cit. pag 165. A tal proposito può essere utile riportare un

esempio proposto da M. Bonfantini: “Si pensi ad esempio, di dovere spiegare che cos‟è un aeroplano a un indigeno

delle foreste brasiliane che non ne abbia mai avuto esperienza: gli si dovrà dire che l‟aeroplano è (come) un uccello

metallico. Facendo appello a elementi iconico–percettivi.

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meglio essere considerata come un segno convenzionale composto. Ma non è così: perché una

proprietà altamente distintiva dell‟icona è che attraverso osservazione diretta di essa si possono

scoprire riguardo al suo oggetto verità nuove oltre a quelle che sono sufficienti a determinare la

costruzione dell‟icona stessa. Dato un segno convenzionale o comunque generale di un oggetto, per

dedurre qualsiasi nuova verità oltre a quanto esso significa esplicitamente, è necessario, in tutti i

casi, sostituire a questo segno un‟icona. Questa capacità di rivelare verità inaspettate è proprio

quella in cui consiste l‟utilità delle formule algebriche, cosicché in esse il carattere iconico è quello

prevalente”387

.

In questa che è ormai l‟espressione matura della semiotica peirceana si avverte la profonda

rilevanza del concetto di icona e soprattutto il suo carattere ontologico che, a mio avviso,

l‟abilita a dar conto essenzialmente di una dimensione ipotetica e a divenire espressione

dell‟analogia.

L‟icona così configurata mette in mostra l‟ipotesi in essa contenuta rivelandone la trama,

che è essenzialmente una tessitura di rapporti analoghi: l‟icona essenzialmente mette in

forma una possibilità, essenzialmente quindi un‟ipotesi.

Ma l‟ipotesi esprime la necessità di una connessione tra un conseguente e un‟antecedente

che ancora non esiste, che non è stato dedotta.

E allora prima di raggiungere l‟antecedente, che permetterà all‟ipotesi di verificare la

correttezza del suo contenuto, lungo il tragitto di ricerca dell‟ipotesi si esplicano rapporti,

connessioni, che essenzialmente risultano di matrice analogica.

Ad esempio, afferma Peirce, “quando in algebra scriviamo equazioni l‟una sotto l‟altra in colonna, soprattutto quando poniamo

l‟una sotto l‟altra lettere somiglianti per coefficienti corrispondenti, la colonna formata è un‟icona.

Ecco un esempio:

a1 x + b1y y=n1

a2 x + b2y y=n2

Questa è un‟icona, in quanto fa apparire simili delle quantità, che sono in rapporti analoghi con il

problema”388

.

Dunque la relazione transitiva, come esito di una certa lettura della sillogistica tradizionale,

sembra trovare corrispondenza nella concezione di un‟icona, che è tale perché consente

all‟universale di assumere una possibile determinazione costringendolo a lasciarsi

contemplare all‟interno di un tratto segnico, determinato, concreto. E proprio all‟interno di

queste pareti create dall‟icona è possibile dar conto di rapporti ascrivibili ad una dimensione

di tipo analogico.

A mio avviso può essere significativo che in On the Algebra of logic, un testo di logica

matematica che apparve nel 1885 in “The America Journal of mathematics”, incentrato

sull‟elaborazione di un sistema di notazione algebrico, in grado di esplicare il ragionamento

deduttivo, Peirce affermi con decisione che, oltre ai simboli e agli indici che servono

rispettivamente per identificare i caratteri generali degli enunciati e i soggetti delle singole

proposizioni, diventano fondamentali le forme iconiche, poiché soltanto esse sono in grado

di mostrare le relazioni intrinseche alla struttura deduttiva.

La parte iniziale di questo saggio in modo chiaro riunisce riflessioni semiotiche, e logico-

matematiche e, al tempo stesso, forse autorizza, in considerazione della prospettiva logica

387

Ivi, p.166. 388

Peirce, Of Reasoning, cit., p.167.

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244

peirceana - una prospettiva fortemente ancorata ad esigenze di tipo fondazionale – a vedere

nell‟icona, la concretizzazione di un rapporto analogico. A tal riguardo chiare, a mio avviso,

si presentano le affermazioni peirceane.

“Per lungo tempo è stato considerato enigmatico il fatto che, la matematica da un lato sia di

natura prevalentemente deduttiva e tragga le sue conclusioni in modo apodittico e, dall‟altro

lato presenti una serie assai ricca e apparentemente senza fine di scoperte sorprendenti come

ogni scienza di osservazione. Molteplici tentativi sono stati compiuti per sciogliere il

paradosso facendo cadere ora l‟una ora l‟altra delle precedenti affermazioni, e però senza

alcun successo. La verità, tuttavia, sembra essere questa: “tutto il ragionamento deduttivo, anche il semplice sillogismo, comporta un elemento osservazionale,

vale a dire la deduzione consiste appunto nel costruire una icona o diagramma le cui parti presentano

relazioni aventi una totale analogia con quelle delle parti dell‟oggetto del ragionamento, nello

sperimentare sopra questa rappresentazione nella immaginazione e nell‟osservare il risultato in modo da

scoprire relazioni occulte e non avvertite tra le parti. Prendiamo ad esempio la formula sillogistica:

tutti gli M sono P

S è M

S è P

Esso è effettivamente un diagramma della relazione di S, M e P.

Il fatto che il termine medio occorra nelle due premesse viene effettivamente mostrato, e ciò va

fatto altrimenti la notazione risulta priva di alcun valore.

Quanto all‟algebra, l‟essenza di tale tecnica consiste nel fatto che essa presenta formule che

possono venire manipolate e che, osservando gli effetti di tale manipolazione, troviamo delle

proprietà che non potrebbero essere altrimenti individuate. In tali manipolazioni siamo guidati da

precedenti scoperte che sono incorporate nelle formule generali.

Queste sono altrettanti modelli che siamo autorizzati ad immettere nella nostra procedura, e

costituiscono le icone per eccellenza”389

.

Conclude Peirce il passo dicendo che di fatto le formule algebriche potrebbero essere

sostituite da regole astratte, ma queste ultime se non vengono tradotte in un “immagine

sensibile” non è possibile far alcun uso di esse ovvero non è possibile sperimentare quelle

ipotesi, che invece, immediatamente tradotte in tratti segnici, possono dar conto non

soltanto della sequenza deduttiva dei ragionamenti, e quindi del loro valore analitico, ma

anche e soprattutto del loro valore sintetico.

Qui emerge in modo forte la compenetrazione tra dimensione astratta e operazionale che

non è codificabile secondo un rapporto gerarchico, nel senso che l‟una viene sussunta sotto

l‟altra, poiché la forma iconica, si pone come quel tratto discontinuo, luogo unico in cui è

possibile ambientare l‟universale. In questi termini esso assume una fisionomia che è

possibile usare: usare qui significa rendere plastico l‟universale al fine di assecondare le

pieghe delle sue possibili esplicazioni.

In questa necessità della trascrizione prevalentemente iconica dell‟universale si può leggere

la realizzazione di un modello che è di natura analogica, che da sempre si sforza, all‟interno

di un tratto paradigmatico, di “descrivere l‟universale”. La forma iconica in questa sorta di

stratigrafia dell‟Universale lascia emergere i suoi rapporti analoghi a quelli che

effettivamente possono in the long run decodificare il reale.

389

Peirce, Sull‟algebra della Logica: Un Contributo alla Filosofia della Notazione, cit., pp. 170-172.

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245

In questo senso la scrittura iconica, lungi dall‟essere paragonabile alla scrittura alfabetica,

assolutamente astratta e convenzionale, compie lo sforzo in virtù della sua inesauribile

energia ipotetica, di porsi come filtro segnico per eccellenza, da cui s‟intravedono quelle

possibili connessioni, che sembrano qualificarsi come la traduzione di relazioni

essenzialmente analoghe. E in questo senso la forma iconica, dal momento che sembra

assolvere al difficile compito di seguire di volta in volta inediti contenuti e di esibirli, perché

possano essere rigorizzati dalla deduzione, non è vuota: essa non rispecchia la realtà,

piuttosto le crea un ambiente in cui essa possa sopravvivere, in cui essa possa essere

fruibile, ma non in modo statico, bensì dinamico.

In questo ambiente pensiero e realtà provano a conoscersi, a scambiarsi le loro energie, nel

senso che il tratto iconico rendendo visibile l‟universale, suggerisce nuove ipotesi, che a

loro volta ritorneranno sul medesimo tratto per rimodellarlo, ed intraprendere nuovi

percorsi, aprire nuovi varchi.

È chiaro che queste considerazioni tendono a vedere anche in quei passaggi più tecnici di

logico-matematica un modello di pensiero che elabora un sistema di riferimento che ha

pretesa fondativa, e quindi valevole per tutte le espressioni del pensiero peirceano: in tale

sistema si attua un innesto fecondo tra coordinate logico-matematiche e semiotico-

metafisiche. L‟icona, anzi potremmo dire è universale, perché si fa espressione di

quell‟unico modo di dar conto dell‟universale che è proprio dell‟analogia.

In the Regenerated Logic pubblicato in the Monist nel 1896 Peirce ribadisce questo nesso

profondo tra logica, matematica e metafisica e soprattutto la necessità di guardare al piano

matematico, come a quello più fecondo anche per la metafisica, nella misura in cui esso è il

regno del possibile, e come è stato già detto, si sofferma sul rapporto tra logica e metafisica,

ponendo in evidenza come la logica di fatto copra anche lo spazio della metafisica, poiché

essa “non si occupa di alcun fatto non compreso nell‟ipotesi di un‟applicabilità illimitata del

linguaggio390

.

Più avanti Peirce precisa: “la logica può venire definita come la scienza delle leggi che

fondano le credenze in modo stabile. Allora la logica esatta sarà la dottrina delle condizioni

della fondazione di credenze stabili che si appoggiano su osservazioni assolutamente certe e

sulla matematica, vale a dire, sul pensiero diagrammatico o iconico”391

.

Queste parole marcono in testi come quello sopramenzionato, il cui interesse sembrerebbe

rivolto soltanto ad un ambito tecnico, che l‟impostazione di Peirce è sistematica e sembra

non smarrire mai il filo di una filosofia che essenzialmente insegue un‟ideale pragmatico di

verità, che sia pure con modalità diverse influenza tutti gli universi filosofici della sua

speculazione.

In questo testo, come in altri, è presente il carattere sistematico delle considerazioni

peirceane e anche quando come in questo testo Peirce afferma la superiorità della logica

rispetto alla filosofia, tale posizione non ha connotazioni logistiche, poiché il fine della

riflessione logica non è l‟esemplificazione del ragionamento deduttivo piuttosto la

comprensione sempre più profonda delle regole che governano i procedimenti deduttivi.

Insomma se la matematica vantando la massima libertà pone gli oggetti possibili per dar

conto dei suoi procedimenti dimostrativi, la logica traduce il modello matematico

essenzialmente all‟interno di una ratio interna al linguaggio.

390

Peirce, Il Rinnovamento della Logica, cit., p. 719. 391

Ibidem.

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246

La filosofia e, ancor più, le scienze empiriche, rispetto alla logica, per quanto la logica

peirceana, non sia una logica che prescinde dai contenuti, toccano concretamente la datità

per integrare il pensiero radicale dei diagrammi con la dimensione induttiva del processo

conoscitivo.

La fecondità e il carattere radicale del pensiero diagrammatico e cioè soprattutto la necessità

di introdurre sempre nuove abduzioni per svolgere il procedimento deduttivo non serve

soltanto per sgranarlo e vederne i suoi elementi costitutivi, ma soprattutto per capire,

introducendo un‟idea assolutamente nuova, quale tipo di percorso possa intraprendere e

scoprire qualcosa di interamente nuovo, di cui non c‟è traccia nelle premesse del percorso

dimostrativo. Tale impostazione ci dà la misura della stratificazione inferenziale, a volte

molto complessa, che si snoda all‟interno di un procedimento deduttivo. Infatti, in Sulla

logica della quantità, Peirce afferma: “La concezione tradizionale del sillogismo […] è senza dubbio che il ragionamento deduttivo viene

compiuto simbolicamente, come afferma Leibniz, senza alcuno aiuto da parte dell‟intuizione, vale a

dire da parte delle icone. Ma la verità è che in tale ragionamento l‟icona è l‟elemento essenziale.

Questo ragionamento, infatti, consiste sempre nell‟enunciare una relazione complessa e

nell‟osservare poi che quella relazione ne implica un‟altra, la quale è detta essere inferita, conclusa

o dedotta […] il ragionamento deduttivo consiste nel comporre relazioni; e la relazione composta

che ne risulta deve essere espressa in un termine che non era contenuto in alcuna delle due

premesse. Il sillogismo dunque, come è comunemente inteso, senza alcun termine nella conclusione

che non sia già nelle premesse è inadeguato alla rappresentazione di tale ragionamento. Anche i casi

più semplici sono nella sostanza di questo tipo. La conclusione asserisce cioè una relazione non

asserita in alcune delle due premesse.

Il comune sillogismo è lungi dal costituire un esempio della più semplice delle deduzioni. Poiché,

sebbene la sillogistica tradizionale non riesca a discernere in esso che un solo passo inferenziale, in

realtà ce ne sono dieci”392

.

Già in On The Algebra of Logic del 1884, Peirce affermava: “Any system of notation which

is to represent propositions must then have these three elements, the denotative, and the

analogical, and the conventional”393

.

Nel ragionamento teorematico l‟ipotesi e la sua traduzione iconica, espressione a sua volta

di rapporti analogici, certo si frappone tra le premesse e la conclusione, ciò vuol dire che

essa, sebbene introduca un‟idea estranea, questa idea è maturata all‟interno di un orizzonte

di regole precedentemente dimostrate, quindi è chiaro che i simboli creano un mondo

peraltro legittimato dalla deduzione, che a sua volta stimola nuovi percorsi. Ma una volta

intrapresi questi percorsi, essi sono inediti, assolutamente di natura sintetica e sono da

distinguere dal momento interpretativo, simbolico, deduttivo. E non solo, è grazie a queste

nuove congetture che si può arrivare alla fase in cui queste scoperte possano essere

legalizzate. Ora perché emerga con chiarezza la trama delle relazioni che conducono alla

deduzione, non solo è necessaria una rappresentazione iconica, perché spesso come si

diceva precedentemente i contenuti ipostatizzati sono parecchi ed è allora preferibile

rappresentarli, ma è anche necessario realizzare una rappresentazione, cosicchè

progressivamente si può seguire il modo in cui dalla forma iconica, essenzialmente ipotetica

– analogica si possa arrivare alla deduzione e apporre il sigillo simbolico.

Insomma i simboli, a loro volta, pongono le premesse per nuove icone che esibiranno

infinite necessità e che successivamente saranno codificate dai simboli.

392

Peirce, Sulla Logica della Quantità, cit., p. 103. 393

W 5: 111.

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247

Il nuovo ordine categoriale rappresentato dalla Primità, Secondità e Terzità, fonderà la

nuova logica proposizionale in cui nella proposizione sulla base di relazioni triadiche,

risulterà centrale il predicato. Quest‟ultimo vero fulcro della struttura argomentativa farà del

soggetto un mero indice.Tale impostazione ci permette di capire come la necessità di una

rappresentazione grafico–iconica è già inscritta nel fondo categoriale, poiché in ultima

analisi quest‟ultimo è diventato puro spazio segnico. Se dal lato categoriale “la Primità è

[…] il modo in cui una qualsiasi cosa sarebbe per se stessa, senza riferimento a nessun‟altra

cosa, cosìcché non farebbe alcuna differenza se null‟altra esistesse, o fosse mai esistito, o

potesse esistere”394

; dal lato semiotico la Primità corrisponde all‟icona, che è “un representamen che svolge la propria funzione in virtù di un carattere che esso possiede in sé, e

che possiederebbe ugualmente anche se il suo oggetto non esistesse. Così la statua di un centauro

non è, è vero, un representamen se non esiste niente che assomigli ad un centauro; tuttavia, se

rappresenta un centauro ciò accade in virtù della sua forma: e questa è una cosa che essa possiede,

sia che esistano centauri, sia che non esistano”395

.

Se si tiene un punto fermo presente in tutta la riflessione peirceana ovvero l‟identificazione

di logica e semiotica, si comprende il motivo per cui nella logica proposizionale diventa

centrale il predicato, che già a partire da A New List of categories, consiste nella

sostanzializzazione di una qualità.

Adesso nella produzione matura il predicato si pone come luogo della primità, che a sua

volta qualificandosi come pura struttura formale invera la natura del ground, comparso

all‟inizio della produzione peirceana.

Insomma il predicato diventa decisivo, poiché è al suo interno che è possibile esplicare

relazioni fondative, che, a loro volta, sempre sulla base di un principio triadico esibiscono

ora relazioni monadiche, diadiche, triadiche.

In virtù di questa triplice valenza del predicato, il soggetto, non sarà più una struttura a sé

stante, bensì quell‟indice che si mostra compatibile con le valenze del predicato.

I soggetti graviteranno dentro il predicato, in virtù della forza d‟attrazione che esso esercita

su di essi. Qui il predicato si pone come centro di gravità, e al tempo stesso, come centro da

cui dipartono le differenze, le diverse espressioni segniche.

Ma questo tipo di impianto diventa la ratio essendi della sua traduzione grafico-iconica e

non solo, a mio avviso, diventa il piano su cui è possibile apprezzare la versione iconica di

un modello che essenzialmente risulta analogico.

Il predicato inteso come forma iconica esprime relazioni analoghe a quelle presenti nel reale. È

utile ricordare che la logica/semiotica di Peirce è una logica che intende scoprire il sistema di

funzionamento del ragionamento per decodificare il reale. Peirce, confidando in una sostanziale

unità tra pensiero e reale, fonde le diverse espressioni della sua riflessione

categoriale/logico/semiotica in nome di un ideale, se pur mai raggiungibile in modo definito, di

verità.

Cosi Peirce afferma: “una proposizione è un simbolo … ha una parte speciale per rappresentare il representamen, mentre

l‟intero o un‟altra parte speciale rappresenta l‟oggetto. La parte che rappresenta il representamen, e

che eccita un‟icona nell‟immaginazione è il predicato. La parte che indica l‟oggetto o l‟insieme di

oggetti del representamen è chiamata soggetto o soggetti – in grammatica soggetto nominativo e

oggetti, ognuno dei quali può essere rimpiazzato da un nome proprio o da un altro Indice

monstrativo senza che la proposizione cessi in questo modo di essere tale.

394

Peirce, Alcune riflessioni in ordine sparso sulla disputa tra Nominalisti e Realisti, cit. p. 53. 395

Peirce, Conferenze sul pragmatismo (Ms 308), cit., p. 103.

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Se da una preposizione cancelliamo una parte e lasciamo il suo spazio vuoto, essendo questa parte

tale da potere inserire al suo posto un indice monstrativo, il simbolo diverrà nuovamente una

proposizione e la parte che rimane dopo questa cancellatura sarà un predicato di quel genere che io

chiamo monade.

Ecco alcuni esempi:

… dà B a C

A dà … a C

A dà B a ...

Se sono due i posti a rimanere vuoti, definisco il predicato diade”396

.

Dunque dentro il predicato precipita tutto, esso si presenta prospettico, riassume tutti i

fondamenti più originali della prospettiva di pensiero peirceano, e soprattutto riguardo

all‟interesse principale del presente lavoro diventa chiaro come il predicato essenzialmente

di natura iconica, apra lo sguardo in direzione dei significati della realtà, sotto il rispetto di

qualcosa, sia essa una qualità o altro che connoti la realtà.

In virtù di questa impostazione, più avanti Peirce afferma: Dire ad esempio che “tutti gli

uomini” è il soggetto della proposizione “tutti gli uomini sono mortali” non è corretto.

L‟analisi appropriata è che “Qualsiasi cosa” sia il soggetto “è mortale oppure non uomo sia

il predicato. Così, in “qualche gatto ha gli occhi azzurri” il soggetto non è “Qualche gatto”,

ma “qualche cosa”, essendo “è un gatto dagli occhi azzurri” il predicato. “Qualche cosa

significa che una conoscenza adeguata ci renderebbe in grado di rimpiazzare il qualcosa con

un indice mostrativo, mantenendo tuttavia la verità della proposizione”.397

Qui su un piano strettamente logico, ma, al tempo stesso valorizzando tutto il corredo

semiotico delle significazioni e implicazioni della nozione di icona e inverando tutti i frutti

della demolizione dei fondamenti di ogni concezione che voglia qualificarsi di tipo

corrispondentistico, Peirce ribadisce la fondamentalità della base iconica della conoscenza,

poiché in essa è possibile vedere quelle relazioni, come possibili, quanto alle loro facoltà di

intelligibilità del reale, quindi come analoghe. La base iconica della conoscenza rivela tutta

la sua efficacia, poiché, nonostante non possa garantire alcuna sicurezza riguardo l‟esistenza

effettiva di qualcosa, ci lascia intendere che qualcosa potrebbe, configurarsi in un certo

modo, esibisce relazioni significative, le uniche che possano effettivamente gettare luce su

ciò che potrebbe essere “analogo” alla realtà, allo stesso modo in cui la matematica così

come la concepisce Peirce, ci insegna ad esercitarsi su come è possibile scoprire relazioni

che potrebbero essere analoghe a quelle della realtà. “I matematici si limitano in pratica allo

studio delle relazioni tra insiemi di singolarità ipotetiche”398

.

Sebbene non compaia in questo testo un esplicito riferimento alla struttura dell‟analogia,

ritengo che in considerazione di quanto detto, sia possibile anche qui sostenere la valenza

analogica dell‟icona e constatare come l‟icona, in quanto espressione dell‟analogia, sia

inevitabilmente vincolata alla dimensione dell‟ipotesi.

396

Ivi, p.118. 397

Ibidem 398

Ivi, p.119.

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4) Analogia come inferenza

Come è emerso già in On Natural Classification of Arguments il termine analogia si lega a

termini come ragionamento, inferenza, nonché ipotesi. E infatti in Theory of Probable

Inference del 1883 viene presentata la formula dell‟inferenza come un argomento che

contiene sia l‟inferenza ipotetica sia l‟inferenza induttiva con una conclusione deduttiva. E

successivamente Peirce precisa che la correttezza del ragionamento analogico può essere

provata dalla teoria delle probabilità. Ciò conferma la critica rivolta a J. S. Mill, contenuta

in Some Consequences of Four Incapacities a proposito dell‟identificazione dell‟analogia

con un ragionamento che procede da particolari a particolari. Infatti a questo tipo di

concezione dell‟analogia, Peirce oppone l‟argomento per analogia come un ragionamento

che combina i caratteri dell‟induzione e dell‟ipotesi.

In questo tipo di analisi in cui confluiscono tesi logiche ed epistemologiche, a conferma

dell‟impossibilità in Peirce di porre steccati tra le varie espressioni del suo pensiero, è

possibile apprezzare maggiormente il peso di questa identificazione dell‟analogia con un

ragionamento che riunisce insieme induzione e ipotesi, poiché per il tipo di evoluzione che

si è configurato nel pensiero di Peirce, sostenere che l‟analogia si lega all‟induzione e

all‟ipotesi significa assegnarle un posto centrale e soprattutto un ruolo esplicativo del nucleo

teorico più saldo della prospettiva di Peirce, rappresentato essenzialmente dal carattere

ipotetico della conoscenza. Prima nel „67, poi nel „68 e successivamente alla luce della

massima pragmatica, La dottrina delle probabilità 1878, la Probabilità dell‟induzione,

L‟ordine della natura, Deduzione, induzione e ipotesi pongono in luce una elaborazione da

parte di Peirce dell‟induzione e della probabilità in netto contrasto con la logica empiristica

di John Stuart Mill. La probabilità esprime quantitativamente la possibilità delle ipotesi, che

essenzialmente possono essere vere o false o qualificarsi come intermedie tra i suddetti

estremi. Sperimentare la veridicità delle nostre ipotesi significa presupporre un mondo al

quale bisogna adeguarle. Ma non c‟è un mondo già sedimentato di cui bisogna scoprire la sua

regolarità o irregolarità. Così come Peirce spiega399

risulta contraddittorio ogni schema

classificatorio che intenda l‟idea di mondo sotto il principio dell‟uniformità o dell‟imprevedibilità,

poiché il mondo è anch‟esso dinamico e assume fisionomie possibili come frutto del suo

convenire con il pensiero.

Non è un caso che anche l‟induzione, secondo Peirce, in opposizione alla prospettiva di J. S.

Mill riveli la sua efficacia, ai fini della ricerca, soltanto, se sceglie le proprietà, i caratteri

prima di esaminare il campione400

, poiché le uniformità, le regolarità sono frutto della

ricerca e non il loro presupposto come pensava J. S. Mill. D‟altra parte la scelta di designare

alcuni caratteri piuttosto che altri e osservarli nell‟ambito di alcuni fenomeni è frutto di un

movimento ipotetico, poiché è sempre coinvolto il problema della rilevanza dei fenomeni da

osservare. Ma la rilevanza non è data a posteriori bensì è prodotta dalla facoltà di

immaginare, di creare: essa non può essere il risultato di un procedimento meccanico.

Secondo tutta l‟impostazione peirceana l‟atto della rilevanza è dovuta alla facoltà

399

Una critica più recente, all‟impostazione metodologica di J. S. Mill, proviene da Copi: I metodi di Mill si possono

usare soltanto ammettendo le ipotesi che le circostanze menzionate siano le sole circostanze rilevanti. Ciò equivale ad

affermare che le sole cause possibili sono le circostanze elencate […] in ogni caso i metodi di Mill non si possono usare

senza ammettere qualche ipotesi sulle possibili cause. Introduzione alla logica, S. ed. il Mulino, Bologna, 1969, p. 452-

453. 400

Cfr. CP 6. 409.

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250

dell‟immaginazione che, nel suo esercizio segnico nonché logico-epistemologico, assicura

l‟approssimarsi al vero.

Insomma Peirce così pone in evidenza il carattere dogmatico dell‟impostazione di J. S. Mill,

poiché essenzialmente non è la classificazione dei fatti secondo alcuni caratteri che ci

permette di arrivare a delle conclusioni assertorie. La dimensione empirica, secondo il ben

noto insegnamento kantiano, pone il dato ma non prescrive nulla in merito a quest‟ultimo.

Non è dalla proprietà di un fenomeno dato che è possibile ricavare delle conclusioni di tipo

analitico, poiché “l‟inferenza sintetica è basata su una classificazione di fatti, non secondo i

loro caratteri, ma secondo la maniera di ottenerli”401

. La classificazione dei fatti è già frutto

di un‟ipotesi, poiché si classifica sulla base dell‟ipotesi402

che alcuni caratteri siano

importanti ai fini della ricerca e tale classificazione è suscettibile di continui cambiamenti a

seconda delle ipotesi che via via vengono elaborate anche sulla base degli stimoli della

esperienza, che conducono ad una progressiva selezione dei caratteri significativi, di quelli

che effettivamente si riveleranno discriminanti, essenziali per tracciare il sentiero della via

verso il vero. Tale tragitto risulta sintetizzato in modo abbastanza efficace dal Peirce della

massima pragmatica: “la realtà è solamente l‟oggetto dell‟opinione finale alla quale

un‟investigazione sufficiente condurrebbe”403

.

Quindi non è il carattere del fenomeno e garantire la scientificità della conoscenza, poiché a

decidere della rilevanza del carattere del fenomeno è proprio l‟ipotesi. È il carattere

ipotetico della conoscenza che in the long run lascerà emergere e per il pensiero e per la

realtà la configurazione di unità, di uniformità possibili: in questo senso non si parte da

un‟idea di mondo già prestabilita e non si pretende di scoprire le regolarità dell‟universo a

partire dalla mera enumerazione dei caratteri dei fenomeni.

Il riferimento alla teoria dell‟induzione in connessione alla teoria della probabilità, nonché

la critica all‟idea di uniformità della natura costituiscono il quadro di riferimento entro cui, a

mio avviso, collocare il rapporto tra analogia e calcolo delle probabilità per valutare sia il

peso di un tema come quello dell‟analogia nell‟economia del pensiero di Peirce, sia

soprattutto il nesso profondo tra le problematiche insorte all‟interno della teoria delle

probabilità e quella della analogia, in maniera tale da porre in evidenza quali affinità

emergono sia nella struttura dell‟analogia sia nelle inferenze che costituiscono il metodo

scientifico.

Il problema della rilevanza a proposito della facoltà classificatoria all‟interno della teoria

della probabilità è comune a quello dell‟analogia. La facoltà analogica è legata alla

possibilità di istituire relazioni, che a loro volta risultano rilevanti se le somiglianze istituite,

debitrici di un atto ipotetico, sono significative. L‟input sia alle ipotesi sia agli argomenti

401

Cfr. CP 2. 692. 402

I metodi di Mill non scoprono mai leggi causali o proposizioni generali, né le stabiliscono dimostrativamente. Questi

metodi rappresentano, tuttavia, i modelli fondamentali cui deve conformarsi chiunque voglia cercare di confermare o

confutare in base all‟osservazione e all‟esperimento, ipotesi asserenti una connessione causale. Le ricerche sperimentali

non possono procedere senza delle ipotesi; è quindi evidente che esse svolgono una parte della massima importanza

nella logica induttiva. Tanto importante è la funzione dell‟ipotesi nella ricerca empirica sistematica che la formulazione

e la riprova della validità delle ipotesi si può considerare come il metodo della scienza. Cfr. I. Copi, Introduzione alla

logica, S. ed. il Mulino, Bologna, 1969, pag. 458.

Anche U. Eco, impegnato nel chiedersi se Kant avrebbe saputo classificare l‟Ornitorinco, si esprime con queste parole:

“Di fronte alla infinita segmentabilità del continum sia gli schemi percettivi che le stesse proposizioni circa le leggi di

natura come sia un rinoceronte, se il delfino sia un pesce, se sia possibile pensare l‟etere cosmico, ritagliano entità o

rapporti che sia pure con diversità di grado permangono sempre ipotetici e sottomessi alla possibilità del fallibilismo.

Eco, Kant e l‟ornitorinco, Bompiani, Milano, 1997, pag. 79. 403

Cfr. CP 2.693.

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analogici proviene dall‟esperienza ed è nell‟esperienza che, secondo un processo

inarrestabile, si può verificare la loro rilevanza. Infatti Peirce afferma: “For induction,

hypothesis, and analogy, as far as their ampliative character goes, that is, so far as they

conclude something not implied in the premisses, depend upon one principle and involve

the same procedure. All are essentially inferences from sampling404

. Se da una parte emerge

il ruolo dell‟esperienza, dall‟altra non è possibile affidarsi esclusivamente alla dimensione

empirica, poiché, come è emerso nel caso dell‟induzione, non è rilevante l‟enumerazione dei

caratteri di un dato, bensì l‟ipotesi che quei caratteri possano risultare significativi per la

ricerca del vero. In questi termini l‟istituzione di somiglianze proprie dell‟analogia, la

generalizzazione cui conduce l‟induzione, e il movimento proprio dell‟ipotesi che si

prefigge di apportare un contributo esplicativo alla conoscenza, o supponendo che

l‟irregolarità riscontrata o l‟insorgenza di un problema sia risolvibile, ponendolo come il

caso di una regola generale, o riscontrando che una somiglianza tra due oggetti, riguardo ad

alcuni caratteri sia estensibile ad una somiglianza che ne coinvolge altri, si ritrovano

insieme nel sostenere con i loro apporti sintetici il processo della conoscenza verso una

conclusione deduttiva. E quindi equiparare l‟analogia alla teoria delle probabilità, risulta

abbastanza plausibile, poiché se da una parte l‟analogia è in grado di abbracciare e

l‟induzione e l‟ipotesi, perché sostanzialmente ne condivide la struttura: dall‟altra la

probabilità così come è intesa da Peirce è supportata da una ratio induttiva ma

fondamentalmente da un atto ipotetico, così come è stato argomentato precedentemente. E

allora l‟idea che l‟analogia non sia da considerare un argomento che procede dal particolare

al particolare risulta supportata anche dalla teoria della probabilità, così come viene

elaborata da Peirce, poiché essa si propone di dare espressione quantitativa, alla dimensione

ipotetica, che di fatto accompagna sempre qualsiasi tipo di osservazione ed è essa che

sostanzialmente decide del grado di probabilità di un evento. Il modo in cui Peirce intende il

concetto di induzione e la probabilità costituisce un punto di vista interessante, poiché è

possibile comprendere come il filosofo americano si approccia alla dimensione empirica o

del particolare: sia nel caso dell‟osservazione di un fenomeno per comprendere con quale

grado di probabilità esso si presenta sia nel caso del particolare proposto dall‟argomento

analogico, si è in presenza di un‟ipotesi che decide nel primo caso della rilevanza delle

caratteristiche del fenomeno da osservare, nel secondo della somiglianza da istituire tra

elementi o eventi405

.

Gli scritti del „78 sono funzionali a chiarirci le idee sul modo in cui Peirce elabora la teoria

dell‟induzione e delle probabilità e come risulti centrale l‟ipotesi nonché a contestualizzare

il tema dell‟analogia, poiché la critica di Peirce ad un‟analogia che procede dal particolare al

particolare è legata alla critica più ampia ai metodi di J. S. Mill.

La presenza del particolare all‟interno della conoscenza analogica non deve essere

assolutizzata ma vista in funzione dell‟esibizione del generale. Si è constatato come l‟idea di

induzione e di probabilità non si affidino al dato o ad un‟impostazione dogmatica e devono,

secondo Peirce al contrario costruire il generale, a partire da un dato, peraltro filtrato

dall‟ipotesi, e soltanto successivamente accedono al generale. Se invece si parte da principi,

dal predeterminato, l‟analogia appare particolare e la sua valenza fondativa rimane oscurata

404

Cfr. CP 6.40. 405

Nel saggio del 1901 Peirce afferma: “La deduzione si riferisce esclusivamente ad uno stato di cose ideale. Un‟ipotesi

presenta tale stato di cose ideale, e asserisce che è l‟icona, analogo di un‟esperienza. Peirce, On the Lo

gic of Drawing History from Ancient Documents Especially from Testimonies, cit., p.509.

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e sfuggirà il significato essenziale dell‟analogia che assolve al compito di costituire un

ponte tra il compreso e ciò che non è stato ancora compreso.

Theory of Probable Inference raccoglie i frutti della speculazione precedente e dà conto

della convergenza stretta tra l‟argomento per analogia e la teoria della probabilità, ponendo

in evidenza la fecondità di un argomento come quello analogico che costituisce linfa vitale

per il metodo scientifico, nella misura in cui contribuisce a quel processo assolutamente

creativo della scienza, che nel suo esercizio esplicativo, oltrechè sperimentare, immagina e

crea analogie, ipotesi, al fine di realizzare eventi, che proprio per la loro discontinuità

significativa realizzano il fine proprio del sapere. E inoltre Peirce pone in modo chiaro il

movimento innescato dall‟analogia, anche nella sua forma inferenziale, che procede

dall‟individuale al generale, ed esplicita come questo movimento è proprio anche

dell‟induzione, dell‟ipotesi, nonché della teoria della probabilità.

5) Il movimento della pratica analogica, iconica e abduttiva.

Dall‟iter fin qui svolto come si è avuto modo di constatare icona, analogia e ipotesi vivono

all‟interno di uno stretto rapporto nella riflessione logico matematica, nella grammatica

segnica, nonché in ambito strettamente logico in ordine alla classificazione degli argomenti,

e, oltre che rivelare un continuo rinvio tra loro, esse permettono di osservare, si potrebbe

dire, una occorrenza che si identifica con il delinearsi di una struttura bidimensionale che

sembra caratterizzare lo statuto analogico, iconico e abduttivo.

Analogia, icona e abduzione sembrano articolare un movimento che a mio avviso, risulta

sostanzialmente simile. Esse condividono la necessità, sia pure con modalità diverse, di un

rapporto fondamentale che è quello che transita dall‟individuale all‟universale. Ma questo

transito non si realizza con un atto di sussunzione, bensì, come è possibile cogliere

nell‟ambito del pensiero diagrammatico, ponendo relazioni e soprattutto mostrandole

all‟interno di uno spazio diagrammatico. E in questo spazio si esibiscono rapporti

significativi che non valgono soltanto all‟interno di questa determinatezza, piuttosto essi

saranno fondamentali per definire un insieme di cui essi fanno parte e che nello stesso

tempo fondano, esibendo quella necessità che sarà poi legittimata dal simbolo o dal

procedimento deduttivo. E in questo icona e analogia sono strettamente complementari, o

meglio l‟icona si fa espressione dell‟analogia, poiché quest‟ultima da sempre esprime

somiglianza tra rapporti, somiglianza tra la “singolarità…e la sua… intelligibilità”406

;

l‟icona opera allo stesso modo e nello stesso tempo fornisce un piano su cui poggiare questo

rapporto tra le singole determinatezze e la loro esplicazione. L‟analogia e l‟icona assolvono

al compito di mostrare le relazioni che saranno decisive per arrivare alla scoperta di un

principio universale. In questa operazione le suddette dimensioni sono sorrette dall‟ipotesi il

cui movimento è affine a quello dell‟icona e dell‟analogia, poiché l‟ipotesi nell‟atto di

risalire dal conseguente al suo antecedente, necessita, come avviene nel ragionamento

teorematico o nelle scienze empiriche, di una determinatezza, sia essa ipostatizzata sia essa

fornita dal dato empirico, in cui sperimentare percorsi possibili, introducendo ed eliminando

assunzioni al fine di ritrovare la regola sotto cui sussumere il caso considerato. E anche qui

dal laboratorio del “Guessing” scaturirà la legge, il simbolo nonché la conclusione deduttiva

406

G. Agamben, Signatura Rerum, Bollati Boringheri, prima edizione, Marzo, 2008, p. 25.

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nel caso di un procedimento dimostrativo o di un argomento logico. L‟analogico, l‟iconico e

l‟ipotetico si rivelano al tempo stesso generali e singolari, ciò che mostrano è frutto del loro

atto fondativo e quindi diventano modello e strumento. L‟icona, pur nella sua singolarità,

mostra una relazione che cogliamo come significativa perché non coincide con la peculiarità

del dato: essa da strumento si fa modello che sarà pienamente consolidato, quando essa

espliciterà il suo indice e la sua legge. Quindi le determinatezze poste dall‟analogia sono

esempio di un insieme, come Peirce mostra in Theory of Probable inference, a proposito di

analogie riscontrabili in merito ad alcune caratteristiche tra i pianeti dell‟universo, ma

l‟esempio stesso mostra la ratio dell‟intero di cui fa parte e che, al tempo stesso, fonda.

L‟ipotesi opera su i singoli casi per arrivare alla legge che li governa, ma sono le riflessioni

all‟interno di questi singoli casi che condurranno alla scoperta della legge.

Ma questa duplice fisionomia della dimensione iconica, analogica ed ipotetica lascia

emergere la necessità di introdurre un elemento di apparente estraneità, diversione,

deviazione: esse compiono un atto essenzialmente creativo per poter esibire ciò che si potrà

configurare come principio esplicativo del reale, cioè introducono una idea apparentemente

estranea, che di fatto costituirà la via di accesso alla scoperta dell‟universale, perché

essenzialmente creerà una mediazione tra gli elementi noti e quelli ancora ignoti, realizzerà

un atto di sostituzione, ma quest‟ultimo non è da intendersi come ciò che sta al posto di

qualcos‟altro, ma come ciò che prende il posto di ciò che non è stato ancora compreso. E

allora in questi termini diventa chiara la necessità dell‟introduzione di un elemento estraneo.

Esso media tra il conosciuto e il non ancora conosciuto e in questo rileva tutta la sua

radicalità.

Le due linee di ricerca sul tema dell‟analogia, l‟una volta a concepire l‟analogia come

inferenza, l‟altra a considerare l‟analogia come modello dell‟icona, in realtà si riannodano.

Infatti, se si considera che l‟analogia si configura come sintesi delle due inferenze probabili

e queste a loro volta, in base al percorso delineato, giustificano il sillogismo categorico, e se

in base alla valenza analogica dell‟icona si prende atto del fatto che per antonomasia il

momento creativo nel processo conoscitivo si attua sempre all‟interno di uno spazio

diagrammatico in cui convergono ipotesi, rapporti analogici contemplabili all‟interno di

forme iconiche, si può comprendere che i due percorsi risultano corrispondenti e

contribuiscono a mio avviso, ad affermare lo statuto ontologico della dimensione analogico-

iconica e il carattere radicale della loro bidimensionalità.

6) Icona e analogia kantiana

In considerazione della valenza analogica dell‟icona e del modo in cui l‟analogia viene

concepita come inferenza si è indotti a porre un possibile confronto tra il modo in cui si

esercita l‟analogia all‟interno dello spazio iconico e il modo in cui si esplica la pratica

dell‟analogia all‟interno del sistema kantiano407

. Sicuramente il luogo kantiano che più

immediatamente rinvia alla struttura iconico-analogica è la nozione di schema. Il

407

Il richiamo al tema kantiano dell‟analogia sfrutta qui un suggerimento proveniente dall‟interpretazione che di questo

tema ha offerto V. Melchiorre (cfr. Analogia e analisi trascendentale, Mursia, Milano, 1991, La Via analogica, Vita e

pensiero, Milano, 1996, La differenza e l‟origine: alle sorgenti dell‟analogia in Figure del sapere, Vita e pensiero,

Milano, 1994) e C. Sini (cfr. Metafisica-Analogia e scrittura della verità, CUEM, Milano, 1996-1997; Analogia della

parola, Jaka Book, 2004).

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diagramma di matrice iconica in Peirce e lo schema kantiano sembrano condividere una

natura simile, poiché all‟interno di qualcosa che si qualifica come determinato si intende

esibire la regola dell‟universale; quindi entrambi si mostrano come individuali e generali al

tempo stesso. Il continuum a cui appartiene l‟icona, e che nello stesso tempo segna con la

sua facoltà di porsi un tratto discontinuo, isolando una relazione e mettendola in mostra,

corrisponde a quella omogeneità che Kant nello schematismo presuppone per dar conto

dell‟eterogeneità tra ordine logico ed esperienziale. Lo schema deve condividere la qualità

del concetto e, al tempo stesso, deve appartenere all‟ordine del sensibile, ma non

all‟empirico. Lo schema è un prodotto dell‟immaginazione pura, a priori e non coincide con

l‟immagine, esso rende possibili le immagini, ed è un metodo di rappresentazione. Lo

schema nella misura in cui condivide il generale e il sensibile è in sé analogico, poiché

riunisce mondi assolutamente eterogenei e, lungi dal coincidere con l‟immagine mentale,

rende possibile per analogia l‟unità dei fenomeni con l‟universalità propria dei concetti. Già

Kant aveva messo in chiaro che per comprendere la natura dello schema è necessario

affrancarsi dalla nozione di immagine mentale, poiché lo schema si qualifica come regola

per costruire qualcosa che abbia comunque dei caratteri generali, i quali possono assumere

fisionomia all‟interno di una costruzione determinata che coincide con l‟opera proprio dello

schema.

Quanto Kant afferma: “Ora io chiamo schema di un concetto la rappresentazione di un

procedimento generale onde l‟immaginazione porge a esso concetto la sua immagine”408

,

pare delineare un movimento che, in qualche modo, sembra esprimere proprio quello

interno all‟icona. L‟icona in quanto pura possibilità è abilitata ad istituire le condizioni della

somiglianza e suggerisce così la fisionomia di un oggetto possibile. L‟icona ponendosi

come la condizione intranscendibile dello stesso rinvio tra segno e oggetto, ovvero

istituendo il rinvio in quanto tale, media, costruisce il rapporto tra l‟oggetto dinamico,

altrimenti destinato a rimanere inattingibile, e la sua identità segnica, rivela la sua doppiezza

e anche la sua problematicità. Poiché così come il concetto non esaurisce la sua energia

speculativa nel suo uso empirico, quando si flette verso il fenomeno, allo stesso modo

l‟icona non esaurisce le sue infinite possibilità connotative, nel momento in cui rende

discontinua la sua possibilità originaria. “Lo schema... di un concetto puro intellettuale è qualche cosa che non si può ridurre a immagine,

ma non è se non la sintesi pura, conforme a una regola dell‟unità (secondo concetti in generale), la

quale esprime la categoria, ed è un prodotto trascendentale dell‟immaginazione”409

.

E quindi l‟energia speculativa dello schema non può essere ridotta a quella dell‟immagine

empirica, poiché quest‟ultima riproduce, la funzione dello schema, invece, è quella di

produrre unità. Ma qui delineare unità significa trovare la regola. Ma quest‟ultima a cosa

serve? A determinare qualcosa. Ma qui il punto è che se si trova la regola, essa partecipa e

del concetto e del fenomeno. Quindi la funzione dello schema è assolutamente attiva, poiché

come frutto dell‟immaginazione riesce con un atto assolutamente creativo ad istituire uno

spazio in cui dare fisionomia sia all‟individuale sia al generale410

. Così come lo schema non

408

I. Kant, Critica della ragion pura. Trad. it. G. Gentile e G. Lombardo Radice, 1979, Laterza, p. 165. 409

I. Kant, op.cit. p. 166. 410

Preziose a tal riguardo le parole di C. La Rocca: “Invece di un‟esibizione empirica che riproduce o presenta

l‟immagine dell‟oggetto l‟immaginazione trascendentale compie una esibizione originaria dell‟oggetto che precede

l‟esperienza e conferisce originariamente al fenomeno il suo carattere iconico, il suo significato sensibile. Prima che il

fenomeno venga ricompreso in una classe e assunto in un enunciato, diventando in senso stretto oggetto di una

conoscenza, esso si presenta come complesso segnico potenzialmente sussumibile sotto concetti, ciò grazie ad una

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può identificarsi con l‟immagine empirica, poiché il suo compito non è quello di

rispecchiare qualcosa, bensì di trovare in esso la regola che lo costituisce; allo stesso modo

l‟icona dà conto di una struttura circolare, nel senso che se l‟icona non si rende disponibile

all‟interno di un tratto segnico non può costituire l‟oggetto, ma d‟altra parte se l‟icona la si

intendesse come immagine mentale, non sarebbe idonea a comprendere l‟oggetto nel suo

costituirsi. Insomma la costituzione dell‟oggetto è possibile grazie alla segmentazione del

continuum proprio dell‟icona, ma d‟altra parte questa discontinuità è resa possibile dalla

dimensione ontologica dell‟icona, nella misura in cui essa si qualifica come Intero411

.

Si potrebbe dire, forse, che l‟articolazione dell‟icona in Peirce restituisce in qualche modo,

assolutamente originale il movimento proprio degli schemi in Kant: “Dunque gli schemi dei concetti puri dell‟intelletto sono le sole vere condizioni, che danno ad essi

una relazione con oggetti e quindi un significato; e le categorie non hanno infine altro uso che

quello possibile empirico, servendo soltanto a sottomettere […] i fenomeni a regole generali della

sintesi a priori, a disporli così alla connessione completa in una esperienza”412

.

In questo passaggio mi pare si possa cogliere una forte complementarità tra schema e

oggetto, simile a quella che si instaura tra icona e referente. Rispetto alla relazione con

l‟oggetto dinamico Peirce definisce l‟icona come “ A sign which is determined by its

dynamic object by virtue of its own internal nature”413

, e, al tempo stesso, afferma che “una proprietà altamente distintiva dell‟icona è che attraverso osservazione diretta di essa si

possono scoprire riguardo al suo oggetto verità nuove oltre a quelle che sono sufficienti a

determinare la costruzione dell‟icona stessa. Dato un segno convenzionale o comunque generale di

un oggetto, per dedurre qualsiasi nuova verità oltre a quanto esso significa esplicitamente, è

necessario in tutti i casi sostituire a questo segno un‟icona”414

.

Da queste affermazioni risulta forse plausibile affermare un‟interdipendenza tra icona e

referente, da intendere in questi termini: se da una parte l‟icona, lungi dal pretendere di

riprodurre l‟oggetto, lascia intatta l‟indipendenza dell‟oggetto dinamico, dall‟altra l‟oggetto

dinamico deve accettare la dipendenza dal segno, perché ne vale della possibilità della sua

costituzione. E così come l‟icona non è riducibile all‟immagine empirica, “lo schema per

contro, di un concetto puro intellettuale è qualche cosa che non si può punto ridurre ad

immagine […] ed è un prodotto trascendentale dell‟immaginazione […]”415

. E l‟icona è lo

schema pur non avendo che un uso empirico, suscettibile di essere distinto solo nell‟intero

dell‟atto conoscitivo di cui sono parte, svolgono apriori la loro funzione: la prima

qualificandosi come livello presemiosico e semiosico al tempo stesso, imprigiona l‟oggetto

e libera la sua energia, dandogli quella voce che, senza la rete nel segno rimarrebbe

inascoltata. Lo schema risulta inverato se seleziona soltanto ciò che “è necessario all‟unità

sintetica della esperienza in generale”416

.

pertinentizzazione che gli conferisce tratti riconoscibili; i quali rendono possibile un processo di riflessione e la

formazione di concetti generali. Cfr. C. La Rocca, Strutture kantiane, Ets Editrice, p. 40. 411

Interessanti a tal proposito le metafore utilizzate da U. Eco relativamente al concetto di icona: “Parrebbe che questa

icona primaria sia qualcosa come un buco, un‟entità […] Eppure è proprio da quel non-essere che si può inferire il

formato del tappo che potrebbe occluderlo […] In termini di dialettica tra presenza e assenza può essere definita la

possibilità di ogni fenomeno sterico, compresa la mirabile adeguazione tra un buco e il suo tappo. Ritrovando, nel

definire la meno strutturata tra le esperienze, la primità iconica, il principio strutturale per cui ogni elemento vale in

quanto non è l‟altro, che evocando, esclude. Cfr. U. Eco, Kant e l‟Ornitorinco, Bompiani, Milano, 1997, p. 91. 412

I. Kant, op. cit., p. 169. 413

CP 8.335. 414

Peirce, That categories and Hipotetical Propositions, cit., p. 166. 415

I. Kant, op. cit., p. 166. 416

I. Kant, op. cit., p. 176.

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E l‟icona e lo schema non presuppongono una costituzione indipendente dei due versanti

della conoscenza: quello iconico e quello referenziale da una parte, e quello puro, a priori

dell‟immaginazione trascendentale e del fenomeno dall‟altra, al contrario è nel loro

convenire che entrambi i lati della conoscenza sembrano acquistare fisionomia.

In questi termini, anche le kantiane “analogie dell‟esperienza” potrebbero qualificarsi come

un terreno solido in cui riscontrare il movimento della pratica iconica. Le analogie

dell‟esperienza fondate essenzialmente sulla relazione, rivelano affinità tali da renderle

confrontabili con la valenza analogica dell‟icona.

Nella prima analogia relativa al principio della permanenza della sostanza Kant ci permette

di comprendere che il mutevole può essere compreso nel permanente, ma nello stesso tempo

questa comprensione può realizzarsi se il permanete si determina, infatti “questo

permanente rende possibile la rappresentazione del passaggio da uno stato all‟altro, e dal

non essere all‟essere, che dunque possono essere conosciuti empiricamente soltanto come

determinazioni alterne di ciò che permane417

. Il permanente e il mutevole si costituiscono

insieme e sembra proprio il loro rinvio a rendere possibile la loro costituzione ovvero nel

senso che possiamo comprendere il mutevole se non a partire dal permanente, ma d‟altra

parte quest‟ultimo può rendersi disponibile come determinazione di ciò che muta. E quindi

in questo senso “possiamo dire con espressione di apparenza paradossale: solo il permanete

(la sostanza) subisce mutamento, il mutevole non subisce nessun mutamento, ma una

vicenda, poiché certe determinazioni cessano ed altre ne sorgono”418

. Sembra giustificata

l‟idea che sia il permanente sia il mutevole si costituiscono attraverso il loro rinvio anche

dal seguente passo: “questa categoria (quella della permanenza) sta sotto il titolo della

relazione, più come sua condizione che come contenente essa stessa una relazione”419

. Da

qui scaturisce la necessità dello schema che incarna il rinvio ed esplica la relazione, di cui è

condizione il principio della permanenza: cioè perché i fenomeni e le categorie possano

riconoscere le loro identità, è necessario che ci sia uno spazio al cui interno scoprire la loro

differenza e la loro unità. Ma questa necessità lascia scoprire un movimento che è quello

proprio dell‟analogia, la quale nell‟istituire rapporti e determinatezze pone la condizione

dell‟unità. Diversamente dalle analogie costitutive, proprie dell‟universo matematico, in cui

dati i due rapporti, di cui sono noti tre elementi, è possibile dedurre il quarto termine, nelle

analogie qualitative proprie dell‟universo filosofico “dati tre membri può essere conosciuto

e dato a priori solo il rapporto a un quarto, ma non questo quarto membro stesso; posseggo

bensì una regola per cercarlo nell‟esperienza, e un segno per scoprirvelo”420

.

L‟analogia ci insegna che la conoscenza del rapporto tra due elementi può fornire una regola

per il rapporto che dobbiamo intendere tra l‟elemento noto e quello ancora incompreso:

all‟interno di un movimento che chiama in causa differenze, rapporti, determinatezze è

possibile istituire una relazione con l‟unità, con quel termine, che sebbene non possa essere

colto immediatamente, si dispiegherà gradualmente nelle relazioni tra il compreso e il non

ancora compreso. Ma se la fecondità dell‟analogia risiede nella valorizzazione dei rapporti

che essa è in grado di istituire, poiché costituiscono quella ribalta in cui è possibile scoprire

la regola per agganciare la relazione con ciò che non è stato ancora compreso, è proprio in

questa operazione effettuata dall‟analogia che si pongono le condizioni di un possibile

confronto con l‟icona. Poiché e l‟analogia e l‟icona ci permettono di comprendere che

417

I. Kant, op. cit., p. 200. 418

Ibidem. 419

I. Kant, op. ci.t, p. 199. 420

I. Kant, op. cit., p. 194.

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cominciare a conoscere significa gettare ponti con ciò che ancora non abbiamo compreso:

l‟analogia e l‟icona costituiscono proprio quel ponte su cui è necessario indugiare per capire

come potrebbe configurarsi il vero. In questo indugio sarà possibile scoprire nuove relazioni

che ci avvicineranno al vero. Ma il vero qui non sta al posto di un presunto primum da

cogliere una volta per tutte, bensì nelle relazioni che l‟analogia e l‟icona sono in grado di

volta in volta di escogitare, di mostrare per far transitare il vero421

. L‟icona potremmo dire

svolge una funzione retroattiva sul modello analogico kantiano, poiché invera il gesto

analogico conferendogli espressione. L‟icona così come è tratteggiata da Peirce non solo ha

assimilato la lezione della pratica analogica, ma nella sua diagrammatizzazione le fornisce

un‟espressione. Non solo il vero si dà attraverso indefinite relazioni di identità e differenze,

ma l‟icona le rende fruibili ponendole all‟interno di una dimensione sensibile.

Ma questa esigenza è già nota a Kant: “La matematica adempie questa esigenza con la costruzione della figura, la quale è un fenomeno

presente ai sensi (sebbene prodotta a priori). Il concetto della quantità cerca, nella stessa scienza, il

suo punto d‟appoggio e il suo significato nel numero,e questo, alla sua volta, nelle dita,nei coralli

del pallottoliere, o nei trattolini e punti che vengon messi dinanzi agli occhi [...] se viene tolta

questa condizione,cade ogni significato, cioè ogni rapporto all‟oggetto, e non possiamo più

comprendere con nessun esempio, qual genere di cosa si intenda propriamente con siffatti

concetti”422

.

Un altro luogo kantiano confrontabile con la struttura iconico-analogica è la nozione di

limite. In esso è possibile riconoscere la bidimensionalità dell‟icona: se essa da un lato,

assimilabile alla Firstness, è determinabile come may-be (potrebbe essere) e come tale

rimane virtuale, nella misura in cui si diagrammatizza, non solo si rende disponibile, ma

invera la sua destinazione ontologica, in quanto il suo modo di darsi radicalizza la nozione

di limite. Ma se con limite intendiamo uno spartiacque tra le determinatezze e l‟Intero, per

Peirce cosa significa porre questo discrimine? Significa tenere presente non l‟esistenza di un

Primum, mai per intero attingibile, sebbene in se dato da sempre, come si diceva

precedentemente, che confliggerebbe con uno dei veti posti dal filosofo americano (circa

l‟inconcepibile dell‟inconoscibile), bensì le infinite possibilità che diventano segmentabili

soltanto all‟interno di uno spazio diagrammatico. E così come il diagramma lascia emergere

le sue mediazioni analogiche, al fine di sperimentare infiniti percorsi possibili, che a loro

volta in un movimento di divergenze e convergenze delineano differenze e unità possibili,

421

Rispetto a questo discorso preziose risultano le affermazioni di Sini: “il fatto, che l‟identità (l‟origine, il fondamento,

il differire) non sia determinabile in sé, che essa sia da pensarsi al tempo stesso “al di là” delle differenze e identica alle

differenze, perché mai dovrebbe indurci a ritenerla nondimeno qualcosa”? E perché poi qualcosa di inafferrabile, di

innominabile, di impronunciabile? […] Non si potrebbe osservare, più semplicemente, che identità e differenza sono

processi e non cose, pratiche di identificazione e di differenziazione, esattamente come Kant pensa l‟immaginazione

trascendentale (procedimento, monogramma, sintesi conforme a una regola) […]. L‟identità metafisica si manifesta a

partire dall‟evento del suo esercizio, il quale, come ogni esercizio, non ha di trascendentale che la sua apertura (il suo

evento, appunto) essendo per il resto un fatto ontico, o empirico che dir si voglia). Quest‟apertura non è di per sé

qualcosa di irraggiungibile che sempre sfugge o si cela al di là nella sua ineffabile trascendenza (questo è solo un modo

di pensarla entro una pratica definita dalle sue modalità empiriche o storiche che dir si voglia); piuttosto è quell‟evento

che sempre di nuovo viene detto e ripetuto nella variazione analogica di una pratica, qualcosa che appunto “è” nella

ripetizione, esattamente come è, e che ogni volta si sposta nelle sue figure empiriche”. V. Melchiorre, Dialettica del

senso, Vita e Pensiero, Milano, p. 289. 422

Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, cit p. 246. Le medesime considerazioni vengono affermate nei Prolegomeni: “i

concetti puri dell‟intelletto non hanno affatto significato, quando si voglia staccarli dagli oggetti dell‟esperienza e

riferirli a cose in sé (noumena). Essi servono soltanto, per cosi dire, a compitare i fenomeni per poterli leggere come

esperienza; i principi che nascono dal loro rifermento al mondo sensibile, servono soltanto al nostro intelletto per l‟uso

dell‟esperienza.”. Cfr. I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica, Laterza, 2006, p. 137.

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allo stesso modo, si potrebbe dire che il limite tra mondo sensibile e mondo intelligibile, pur

nel conservare differenze produce unità.

Kant, dopo aver distinto il limite (Grenze) dal confine (Schranke), poiché il primo

costituisce uno spartiacque tra il determinabile e l‟indeterminabile, il secondo, invece, ha

come oggetto il determinabile, perviene al concetto di incondizionato, esemplificato nel

concetto di essere supremo.

E infatti Kant afferma: “Noi siamo costretti a guardare il mondo come se fosse l‟opera di un supremo intelletto e volere, in

realtà non dico niente più che questo: come un orologio, una nave, un reggimento sta

all‟orologiaio,al nocchiero,al colonnello, cosi il mondo sensibile […] sta allo Sconosciuto, che

dunque cosi io certo non conosco in ciò che esso è in sé, ma pur conosco in ciò che esso è per me,

cioè riguardo al mondo di cui io son parte. Una tale conoscenza è la conoscenza per analogia:che

non significa […] una imperfetta somiglianza di due cose, ma una somiglianza perfetta di due

rapporti tra cose del tutto dissimili”423

.

Ma le cose come vengono concepite dalla prospettiva di Peirce? Esse non sono enti bensì

relazioni, e allora ciò che conta, non è la somiglianza tra le cose, bensì la somiglianza tra le

relazioni. È nel transito da una relazione ad un‟altra che possiamo delineare fisionomie e

verità. Nella riflessione peirceana le cose non si autodefiniscono: è necessario, grazie alla

lezione del ragionamento teorematico e in termini più generali del ragionamento

diagrammatico, l‟intervento di un elemento estraneo, o meta dimensione per poterle

definire.

L‟icona mostra una relazione possibile, e ponendola, lascia intravedere altre relazioni

funzionali a rintracciare unità sempre più arricchenti, e sperimenta il significato all‟interno

delle relazioni poste.

Ma nel porre, l‟icona non pretende di definire il significato, bensì di esibirlo, perché possa

essere formalizzato dal simbolo. Insomma l‟icona ha la capacità, di sporgersi dalla sua Pura

Possibilità, che è virtuale, per assumere una fisionomia e determinare il determinabile.

L‟icona in quanto pura possibilità è quindi assenza ma, a queste condizioni può farsi

presenza e assumere un valore positivo, oltreché negativo.

Se è leggibile una valenza fondativa nell‟icona, forse questo è già rintracciabile nelle pagine

kantiane incentrate sulla nozione di limite: “L‟esperienza, che contiene tutto ciò che appartiene al mondo sensibile, non si limita da se stessa:

essa da un condizionato arriva sempre ad un altro condizionato. Ciò che ha il compito di

limitarla,deve essere del tutto fuori di essa, e questo è il campo dei puri intellettivi […]. Ma tuttavia,

siccome un limite è anch‟esso qualcosa di positivo che appartiene cosi a ciò che sta dentro di esso,

come allo spazio che sta fuori di un dato insieme, si ha una reale conoscenza positiva […]. Ma la

limitazione del campo dell‟esperienza con qualcosa che d‟altronde le è sconosciuto, è pur una

conoscenza che ancora rimane alla ragione in questo punto,nel quale essa, non chiusa entro il

mondo sensibile, ma neppure vagante fuori di esso, si limita,come conviene ad una conoscenza del

limite, soltanto al rapporto di ciò che sta fuori di esso con ciò che vi è contenuto”424

.

Il giudizio teleologico costituisce un‟altra ribalta interessante in cui, forse la prospettiva

kantiana e quella peirceana possono continuare a dialogare scambiandosi reciprocamente

indicazioni e soluzioni. L‟insistenza sul fatto che il giudizio teleologico non può qualificarsi

come determinante, poiché è un giudizio soggettivo, di fatto, anche se in modo

problematico, viene superata dalla necessità di questo tipo di giudizio per attuare una

423

I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica op. cit. p. 239. 424

I. Kant, op. cit. 245-247.

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comprensione unitaria della natura. L‟insoddisfazione nei confronti della spiegazione

semplicemente meccanica della natura lascia spazio alla tematizzazione di un giudizio che,

pur qualificandosi come soggettivo, viene ritenuto necessario.

Infatti, anche se non si ritiene possibile, secondo Kant, attribuire alla natura un operare

secondo finalità, cionondimeno quest‟ultimo risulta fondamentale per collocare in un‟unità

sistematica i fenomeni già determinati dalle leggi meccaniche.

In questi termini il giudizio teleologico risulta analogico, poichè, piuttosto che pretendere di

sussumere i fenomeni, peraltro già determinati dalle categorie dell‟intelletto, riflette sugli

stessi per porli in rapporto ad una finalità che, in quanto tale, possa garantire loro una solida

connessione. Infatti Kant così si esprime: “ai prodotti della natura non si può attribuire

qualcosa come un rapporto della natura a scopi,ma si può soltanto adoperare quel concetto

per riflettere su di essa in vista del legame dei fenomeni, che è dato da leggi empiriche.

Questo concetto è anche del tutto diverso dalla finalità pratica (dell’arte umana o anche

della morale), sebbene sia pensato secondo un‟analogia con questa finalità”425

.

Ora l‟introduzione di una prospettiva finalistica con valenza analogica diventa, secondo la

stessa impostazione kantiana, imprescindibile, poiché non soltanto pone in rapporto i

fenomeni con l‟universale, ma questa stessa diventa condizione per comprendere, quindi per

determinare, contro gli stessi veti kantiani,alcuni fenomeni naturali come quelli degli

organismi viventi. “Non v‟è nessuna ragione umana […], che possa sperare di comprendere

semplicemente secondo cause meccaniche la produzione sia pure di un filetto d‟erba”426

.

Anche qui l‟analogia svolge un ruolo fondativo, poiché non si limita ad esprimere soltanto

una tendenza umana a cogliere gli enti e la loro conformità a scopi, ma risulta esplicativa

riguardo ad alcuni fenomeni. La spiegazione di tipo meccanicistico risulta insoddisfacente e

necessita di un approccio che implichi uno sguardo più complesso sulle cose e che tenga

conto di unità più ampie.

L‟insoddisfazione kantiana nei confronti della prospettiva meccanicistica si pone già in

linea con le insistenze argomentative peirceane in merito al ragionamento diagrammatico, in

cui i tratti iconici e i rapporti analogici cui essi danno vita si prefiggono di esplicare unità

sempre più complesse, in accordo con la natura. È utile ricordare, ciò che è stato già detto

precedentemente, che il pensiero procede secondo uniformità possibili e in queste la realtà si

riconosce. Coerentemente con l‟impostazione già elaborata negli scritti giovanili, Peirce non

riesce a vedere la dimensione del reale e del pensiero scissi, ma sempre in una relazione di

circolarità, in cui il loro scambio si rivela sempre inedito e arricchente. E sebbene Kant

intenda limitare il giudizio teleologico all‟espressione di un bisogno, ad una tendenza, di

fatto quest‟ultimo sembra trascendere i limiti impostigli, per assumere un rilievo di tipo

ontologico. Anche il movimento attivato dal giudizio teleologico sembra affine a quello

innescato dalla pratica iconico-analogica, poiché se da una parte il giudizio teleologico

prescinde dall‟esperienza, perché piuttosto deve riflettere su di essa per elaborare un‟unità

superiore, dall‟altra deve misurarsi con il dato dell‟esperienza. E quindi la definizione di

giudizio riflettente, di cui il giudizio teleologico è espressione, sembra effettivamente

possedere una struttura simile a quella riscontrabile nella struttura iconico-analogica. “Il giudizio in genere è la facoltà di pensare il particolare come contenuto nell‟universale. Se è dato

l‟universale (la regola, il principio, la legge), il Giudizio che opera la sussunzione del particolare

425

I. Kant, Critica del giudizio, trad. it. A. Gargiulo, Laterza, Roma – Bari, 2008, p. 31. 426

I. Kant, op. cit., p. 503.

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[…], è determinante. Se è dato invece soltanto il particolare, e il Giudizio deve trovare l‟universale,

esso è semplicemente riflettente”427

.

Le mediazioni analogiche che si distribuiscono nei vari piani dell‟edificio kantiano possono

essere ricondotte ad un comune denominatore e cioè ad “un rapporto di relativa identità e

relativa differenza”428

.

L‟analogia così si pone come dimensione fondativa, il punto centrale diventa quello di

trovare all‟interno di una differenza la relazione all‟unità. Ma questo movimento continuo di

unità e differenze è l‟unico disponibile per accedere, se pur in modo indefinito, alla

possibilità di decodificare il reale.

Il percorso che ho cercato di delineare in queste pagine trova qui un suo possibile punto di

approdo. La comprensione di una valenza analogica dell‟icona, grazie alla lezione

dell‟astrazione ipostatica e del pensiero teorematico ovvero l‟idea che dobbiamo disporre

per capire le cose di una dimensione contingente e dell‟introduzione di un elemento

estraneo alla natura della cosa, contribuisce, spero, a chiarire intanto che l‟icona si pone

come notazione dell‟analogia e proprio questo getta luce sul rapporto tra natura e

convenzione. Il movimento dell‟icona, dell‟analogia e dell‟ipotesi ci permette di capire che

la doppiezza che le costituisce caratterizza il rapporto tra natura e convenzione, nella misura

in cui la convenzione si qualificherebbe come quel passaggio contingente obbligato per dar

conto del modo in cui stanno le cose dentro una dimensione naturale.

La convenzione diventa quel segmento in cui si mette in forma il naturale, la dimensione

contingente ed estranea che permette di guardare dentro l‟oggetto, come una sorta di

stratigrafia o come una sorta di cannocchiale.

In questa prospettiva la dimensione analogica finisce per investire tutte le questioni

classicheinerenti al piano del linguaggio, poiché quest‟ultimo per antonomasia costituisce la

dimora che ospita differenze e identità, e in questo senso pratica l‟analogia da sempre,

poiché il nome, pur disponendo, di un tratto materiale, evoca l‟universale, così come accade

riguardo al modo in cui si configura il pensiero diagrammatico. Anche nel caso del nome è

necessario affrancarsi da ogni modello di tipo corrispondentistico,poichè il nome no

produce la cosa: il nome si pone come un segmento in cui compare l‟identità della cosa. In

questi termini l‟azione diagrammatica può trovare le sue lontane premesse nella posizione di

Socrate che, trovandosi a dirimere la controversia tra la posizione naturalistica di Cratilo e

la posizione convenzionalista di Ermogene, in modo più avvertito pone prospettiva in cui

nome ecosa convengono.

Nel gesto del grafgista si potrebbe riscontrare l‟archetipo del senso dell‟azione

diagrammatica, poiché il diagramma implica una costruzione, e prima ancora, una

determinazione che, a sua volta implica una scelta che potrebbe in qualche modo assimilarsi

alla dimensione della convenzione. Ma d‟altra parte la convenzione sarà efficace sul piano

del nome, se introducendo un elemento, un nome porrà le premesse per avviare il processo

di significazione. E proprio nel suo essere distante dalla cosa, la parola potrà divenire

costitutiva nei confronti del reale, poiché se la convenzione istituita sarà ben articolata, essa

esprimerà una verità stabile, indipendente dai soggetti che stipulano la convenzione.

Queste considerazioni, a mio avviso, inverano lo stretto rapporto tra logica e metafisica,

caratterizzante il pensiero peirceano.

427

I. Kant, op. cit., pp. 28-29. 428

V. Melchiorre, La Differenza e L‟origine: alle Sorgenti dell‟analogia in Figure del Sapere, Vita e Pensiero, Milano,

1994, p. 79.

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La dimensione logica diventerebbe quel segmento formale, ma al tempo stesso plastico,

sempre rimodellatesi, finalizzato non a rispecchiare la realtà, che rimane inattingibile, senza

operazioni di formalizzazione, ma a mostrare le possibili connessioni del reale, che non

hanno altro luogo in cui apparire se non proprio all‟interno del linguaggio formalizzato. Ma

se così stanno le cose il linguaggio della logica deve proporsi aperto a tracciare e a

trascrivere gli infiniti percorsi possibili attraverso i quali è possibile rintracciare la

fisionomia del reale. Certamente essa è frutto di una costruzione, ma non è imputabile

all‟opera del singolo pensiero, ma alle indicazioni che provengono dallo stesso fondo

categoriale che può utilizzare la sua energia ontologica soltanto all‟interno di possibili

trascrizioni formali.

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INDICE

PRIMA PARTE

Introduzione pag 1

Primo capitolo Natura e convenzione negli scritti giovanili di Peirce

Le radici metafisiche del progetto semiotico pag. 14

Dall‟essere al segno: metafisica e logica pag. 22

La nozione di rappresentazione e la triade segnica pag. 27

Il ground e le sue matrici trascendentali pag. 33

Ground e likeness negli scritti „65-„66 pag. 39

Ground e likeness in On a New List of Category pag. 48

Critica del nominalismo pag. 56

SECONDA PARTE

Secondo capitolo Natura e convenzione negli scritti degli anni ‘70

La rappresentazione tra natura e convenzione pag. 59

Peirce e i Medievali pag. 63

La likeness negli scritti della logica del „73 pag. 68

Il pragmatismo e le nozioni di likeness e hypothesis

negli scritti 77-78 pag. 73

Terzo capitolo Natura e convenzione negli scritti della maturità

L‟icona come spazio di intersezione tra gli universi

semiotico, logico, matematico pag. 91

La struttura abduttiva pag. 98

L‟icona nel ragionamento matematico pag. 105

La Faneroscopia pag. 120

L‟icona e il progetto semiotico pag. 137

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Quarto capitolo I grafi esistenziali tra natura e convenzione

La scrittura grafica pag. 148

La costruzione grafica pag. 160

Natura e convenzione pag. 187

Glossario pag. 201

TERZA PARTE

Quinto capitolo L’icona come notazione dell’analogia

Ipotesi likeness e analogia negli scritti giovanili di Peirce pag. 207

Ground e analogia pag. 218

La valenza analogica dell‟icona pag. 232

Analogia come inferenza pag. 249

Il movimento della pratica analogica, iconica e abduttiva pag. 252

Icona e analogia kantiana pag. 253

Riferimenti Bibliografici pag. 262