introduzione - unipa · 2019-11-12 · presente. in questo senso il rapporto istituito dal segno...
TRANSCRIPT
1
Introduzione
Questo lavoro rivolge la propria attenzione ad un aspetto specifico della semiotica di Peirce;
si interroga infatti sul ruolo della componente iconica all‟interno della teoria generale del
segno, articolata come è noto attorno alla tripartizione fondamentale icona/indice/simbolo.
Tuttavia l‟obiettivo dell‟indagine è più ampio: l‟ipotesi che la sorregge – e della quale,
ovviamente, si cercherà di dare ragione- è che approfondire questo aspetto “interno” alla
semiotica possa essere un modo di portare in chiaro tutta la portata e l‟interesse speculativi
dell‟intera prospettiva teorica di Peirce. Per dar conto di questa tesi, si sono analizzati i
concetti di ground e icona, a partire dagli scritti giovanili sino alle opere della maturità, e la
metodologia utilizzata per sviluppare il lavoro è stata quella di esplorare, attraverso
opportune ricerche lessicali condotte sui Collected Papers e sui Writings) l‟ occorrenza di
termini quali icon, ground, nature, convention e analogy.
In realtà l‟analisi che Peirce offre della struttura e del percorso di formazione del segno
investe a pieno titolo, dandole spesso nuova forma unitaria, l‟intera materia delle discipline
filosofiche tradizionali dall‟ontologia, alla logica, all‟epistemologia, all‟estetica,
all‟antropologia. Sta in questa sua peculiarità a mio avviso la fonte dell‟interesse ma anche
della difficoltà di una lettura approfondita della sua proposta teorica. Non accade lo stesso
in altri autori la cui proposta non è, per questo, meno carica di implicazioni filosofiche di
vasto respiro. Basta pensare per esempio alla semiotica saussuriana per tanti versi rivale e
complementare. L‟orizzonte in cui si muove l‟analisi saussuriana del segno è in qualche
modo dall‟origine quella del segno linguistico. Il tema di fondo è il linguaggio e la via
intrapresa dall‟ indagine ha l‟effetto di situare la linguistica stessa all‟interno del campo
dell‟antropologia, della psicologia, delle scienze sociali, Nell‟analisi di Peirce l‟orizzonte
linguistico del segno appare piuttosto guadagnato attraverso un percorso, incessantemente
rimesso in gioco e riattraversato, che, portando alla luce il carattere “segnico”, se così
vogliamo dire, di ogni tratto del reale, tende a riformulare e a riorganizzare questi campi
disciplinari.
Peirce non assolutizza il ruolo delle lingue, non subordina la semiotica alla riflessione sui
segni linguistici. È proprio la struttura ternaria del modello di segno elaborato dalla
semiotica peirceana a rendere quest‟ultima una forma di sapere filosofico e logico-
matematico. Con semiosi Peirce intende sempre un‟azione che si svolge tra tre dimensioni:
segno, oggetto e intepretante, e tale triade non è mai risolvibile in una relazione di tipo
binario. Nell‟azione tra segno, oggetto, e interpretante il percorso parte dall‟oggetto,
perviene, attraverso il segno, all‟interpretante. Ma in questo percorso accade qualcosa di
nuovo: ciò che il segno esprime acquisterà consapevolezza mediante l‟interpretante. Per
Peirce il segno è una relazione triadica in cui “Un segno o Representamen è un Primo che
sta in una tale relazione triadica genuina con un Secondo, chiamato il suo Oggetto, da
essere capace di determinare un Terzo, chiamato il suo Interpretante […] La relazione
2
triadica è genuina in quanto collega insieme i suoi tre membri in un modo che non consiste
in alcun complesso di relazioni diadiche”1. È questa struttura che ci consente di
comprendere che non siamo di fronte ad un modello di segno statico; al contrario il segno di
Peirce è una dimensione dinamica, esso non stabilisce una corrispondenza, una correlazione
statica con il suo referente. Se la questione del segno in Peirce acquista dall‟inizio alla fine
una portata filosofica “radicale”, ciò è da imputare al fatto che il segno stesso viene pensato
come un processo e indagato nell‟atto stesso in cui nasce. La fatica di Peirce è quella di
pensare l‟atto stesso di costituzione del segno poiché è in questo atto che il referente si
rivela. È nella relazione triadica, nel rinvio del segno che il referente acquista identità. E in
questi termini la relazione tra segno e referente non può essere fondata sulla
corrispondenza, perché questa relazione presupporrebbe due dimensioni già realizzate, già
compiute.
La questione del segno si configura allora in tal modo che parlare dell‟ origine del segno
significa parlare dell‟origine del reale; non già nel senso che il reale viene interamente
risolto nel segno, ma nel senso che il segno ne diventa l‟unica manifestazione possibile. E
allora il rapporto di uguaglianza viene sostituito da un rapporto di implicazione, poiché in
virtù delle „qualità‟ del segno, si può accedere al reale; ovvero, dati alcuni „rispetti‟
espressi dal segno, si può inferire che il referente possa avere le medesime qualità. Dunque
il segno non è una copia della cosa, ma nemmeno si identifica con la cosa; piuttosto, sulla
base della sua declinazione fondamentale, iconica,indicale e simbolica, ci permette di
rendere conoscibile il modo di manifestarsi della cosa, l‟”aspetto” sotto il quale si fa
presente. In questo senso il rapporto istituito dal segno con il referente è un rapporto di
implicazione e in questi termini il segno si pone come un‟inferenza.
L‟analisi del segno abbraccia tutti i livelli del pensiero e della realtà, essa tocca tutti i livelli
e tutte le componenti dell‟essere e in tal modo si fa carico di un compito di sintesi
altrettanto vasto, che chiama distintamente in gioco tanto una logica quanto una ontologia e
al tempo stesso esige di esplorare l‟interna connessione delle due discipline. Qualificherei
allora questo compito come metafisico, se è vero che la metafisica si è sempre caratterizzata
per l‟attitudine a legare insieme queste due direzioni di ricerca in vista dell‟interrogazione
sulla natura ultima della verità e della realtà. La riserva di significati che sta dentro la realtà
è disponibile grazie alla istituzione della catena segnica; pur costituendo un limite
invalicabile e imprescindibile per mettere in moto il processo della semiosi, il reale non si
dà mai come un che di “immediato”, poiché può dar conto di sé soltanto in una dimensione
mediata-segnica. A mio avviso non è possibile comprendere la struttura del segno in Peirce
se non cogliamo tutta la portata gnoseologica del tentativo di destituire di senso l‟idea stesa
di una “intuizione immediata” come base, e punto di avvio del conoscere. Il processo della
semiosi, così come Peirce lo configura, suppone questo gesto ampio di messa in questione
di uno dei capisaldi più illustri della riflessione filosofica antica e moderna. La demolizione
dell‟intuizione, enunciata da Peirce in Questions concernig certain Faculties claimed for
1 Peirce, Voce Represent del Dictionary of pholosophy and Psychology ( a cura di James Mark Baldwin 1902), trad.it.,
M. Bonfantini, Bompiani, Milano, 2003, p.163
3
Man conduce il pensatore americano a ritenere che il pensiero può realizzarsi soltanto
all‟interno di un processo inferenziale. Proprio questo, proprio il fatto che a nessun pensiero
è consentito di realizzarsi nell‟immediato, decreta l‟atto di nascita del segno: “Dunque, dire
che un pensiero non può accadere in un istante, ma richiede certo tempo, non è che un altro
modo di dire che ogni pensiero deve essere interpretato in un altro, o che ogni pensiero è nei
segni”2. ( “To say, therefore, that thought cannot happen in an instant, but requires a time,
is but another way of saying that every thought must be interpreted in another, or that all
thought is in signs”.). Nemmeno, allora, ha senso ipostatizzare un primum convenzionale
immediato, ritenendo che la catena delle inferenze dei segni debba comunque a sua volta
rinviare all‟inizio della sequela di inferenze-segni. Poiché le facoltà cognitive sono
strutturate in un modo per cui possono realizzare conoscenze, a patto che istituiscano
relazioni, queste ultime non sono da riguardare come contenitori che possano riempirsi dei
dati presenti nel mondo attuale. Ma se bisogna liberarsi dall‟idea di un primum intuitivo del
conoscere, allo stesso modo risulta errata l‟idea di concepire una realtà inconoscibile, poiché
in entrambi i casi si andrebbe incontro ad un contraddizione che consisterebbe
nell‟immaginare che il pensiero incontri un oggetto assoluto e in quanto tale irrelato. Se
pensare significa, secondo Peirce,essenzialmente porre relazioni, l‟idea di uno inconoscibile
in sé risulta contraddittoria. I quattro veti enunciati da Peirce in Some Consequences of
Four Incapacities, volti a negare qualsiasi potere di introspezione, e di intuizione, nonché a
rifiutare l‟idea di un pensiero senza segni e la stessa concepibilità dell‟inconoscibile”, ci
permettono di capire da una parte l‟equivalenza tra pensiero e segno, dall‟altra la
necessità che il segno si faccia mediatore tra pensiero e realtà. Tenere presente che la
semiotica nasce dalle rovine dell‟impalcatura cartesiana è essenziale per comprendere che in
questa prospettiva non c‟è spazio per un concezione corrispondentistica, speculare tra
pensiero e oggetto. Il segno deve in qualche modo costituire il nesso tra i due versanti, il
pensiero e il reale, poiché entrambi non sono se non là dove transitano l‟‟uno nell‟altro e ciò
non accade se non nella mediazione del segno; in assenza della mediazione del segno,
dunque, essi non risultano disponibili. Ragionare significa essenzialmente istituire nessi tra
segni per scoprire la verità. Per innescare il processo della conoscenza, il pensiero deve
compiere operazioni idonee a trarre inferenze, e tali operazioni devono diventare
osservabili perché possano offrirsi alla dimensione interpretativa. È necessario esternare le
operazioni, perché queste ultime possano essere oggetto di ulteriori trasformazioni e, se
valutate positivamente, possano essere codificate e diventare abiti mentali. Qui già viene
anticipato, nel rinvio alle operazioni, il principio stesso del pragmatismo, che ufficialmente
sarà elaborato soltanto qualche anno dopo i saggi del „68. Al di là delle varie dottrine che
confluiscono già in questa fase del pensiero peirceano il punto fondamentale sta nel fatto
che se si presuppone dapprima il reale da una parte e il pensiero dall‟altra, queste due
dimensioni rimangono destinate a non incontrarsi. E allora comprendere che il pensiero,
secondo Peirce, si rende disponibile in uno spazio ipotetico, che perciò stesso diventa
2 CP 5.253.
4
comunicabile e interpretabile, significa al tempo stesso prendere atto del fatto che il segno
si pone come la dimensione più congeniale al pensiero. Il segno offre al pensiero una tela
su cui riconoscere il percorso di formazione dei suoi diversi stadi, e così accade per il reale,
il quale non è una dimensione già compiuta in se stessa bensì un processo, che da una parte
orienta il segno, poiché produce degli effetti, dall‟altra solo nel segno rivela la sua identità.
Insomma, il compito arduo di Peirce è quello di mostrare che è nel segno che pensiero e
reale nascono e rivelano la loro relazione interna. In questi termini il problema della
“semiotica” non è soltanto quello di avvicinarsi allo studio del segno in modo sistematico,
costruendo intricate tricotomie segniche, ma quello di porre domande del tipo: che cosa
significa pensare? che cosa significa realtà? Semmai le tassonomie, sorrette da queste
domande, assolveranno al compito di rendere più solida la relazione interna tra pensiero e
reale. Il punto è che in Peirce la semiotica si misura con l‟impresa di raggiungere e di
colpire, sia pure per riportarla al linguaggio, una certa componente extralinguistica del
segno. Questa componente è per molti versi da ravvisare nell‟icona, che per Peirce è la base
e la condizione di possibilità del segno, ma al tempo stesso è un suo tratto costitutivo, che
non potremmo dunque distinguere e analizzare senza riferimento alla forma dell‟intero di
cui è parte In questo senso tutta la costruzione teorica di Peirce sembra muoversi in circolo e
ciò indubbiamente costituisce una sfida per il lettore che voglia cogliere ed esporne la
logica interna. L‟ambizione del mio lavoro è, in qualche modo, reggere questa sfida; una
sfida non ignota tuttavia alla tradizione speculativa della filosofia.
Come non evocare il nome di Hegel? L‟impostazione peirceana proprio riguardo questo
punto rivela le sue matrici hegeliane, poichè e il pragmatismo e l‟idealismo ritengono
impossibile l‟idea che la conoscenza possa partire da un primum immediato che sia in grado
di innescare il processo conoscitivo, poiché tale assiomatizzazione finirebbe per divaricare
in modo irreversibile il reale dal pensiero. Per Peirce, il reale rimane per un verso
indipendente rispetto al segno, ma per altro verso non si mostra che negli effetti che esercita
sul segno: il problema sta nel fatto che, secondo Peirce, non si attua mai un impatto
diretto tra il segno e la cosa che ne è oggetto, il segno non incontra mai l‟oggetto, se non
all‟interno di riflessi, di tracce che riorganizza all‟interno della sua struttura, perché possano
essere sottoposti a verifica, esponendoli alla dimensione dell‟interpretante. La possibilità di
attingere alla cosa, una volta demolita l‟illusione di poterla trasferire nel pensiero in modo
immediato e di poter disporre della sua totalità, è quella di appropriarsene in modo
parziale, in modo differito, irrompendo nella sua interezza, introducendo un elemento di
discontinuità. L‟irruzione non deve essere effettuata allo scopo di trafugare la totalità
dell‟oggetto per catturarla all‟interno del pensiero, quasi fosse una cosa da trasportare; al
contrario, essa deve servire allo scopo di istituire una relazione con l‟oggetto. E‟ solo in
questo modo, sempre mediato e differito, che possiamo attingere alla cosa. La relazione si
istituisce ipostatizzando alcuni degli infiniti aspetti dell‟oggetto. In questo senso il segno
prende su di sé la responsabilità di tradurre l‟oggetto, ma non si identifica con esso, il segno
ha una sua processualità, possiede dei livelli interni che gli danno l‟opportunità di esibire la
sua distanza dalla cosa che ne è oggetto, ma è proprio questa stessa distanza a garantire la
5
possibilità di rompere la continuità del reale, per immetterlo in un flusso di relazioni,
impossibili da realizzare se il segno avesse la pretesa di diventare la copia della cosa. E
allora la difficoltà di Peirce è quella di immaginare qualcosa che stia dentro e fuori nel
segno, nel senso che il segno deve formalizzare quella eco del reale, che altrimenti
rimarrebbe inesprimibile. Ma in che modo questi riflessi si traducono nel segno e soprattutto
in quella che costituisce la sua base?
La “base” del segno, negli scritti giovanili di Peirce, in cui sostanzialmente dovrebbe
risuonare l‟eco del reale e in cui quest‟ultimo dovrebbe trovare la sua trascrizione formale, è
il round: nozione per tanti versi criptica che, pure, è espressione della specificità del gesto
segnico quale è colta dal pensatore americano. Il ground è l‟infinita riserva relazionale in
virtù della quale si potrà equiparare un aspetto del reale ad una relazione possibile. Ma
tale operazione, effettuata dal ground, rivela la condizione originaria attraverso la quale si
comprende come qualcosa si potrebbe configurare e a che cosa potrebbe assomigliare. Il
ground in questo senso è condizione del segno, poiché è il nesso tra il reale e il segno, ma
non nel senso che essi, già compiuti in sé, vengono successivamente posti in relazione, ma
nel senso che il ground ipostatizzando una relazione aggancia il reale alla catena segnica,
ponendola come veicolo di quest‟ultimo. E tale gesto diventa comprensibile soltanto nel
momento in cui la dinamica del segno è stata già avviata. Il ground , infatti, produce un
elemento di discontinuità, che negli scritti giovanili viene chiamata likeness, (qualità di
essere simile –somiglianza), poiché incarna una delle possibili relazioni, costituendo il
rinvio al „rispetto‟, termine chiave per leggere l‟accordo o la differenza tra le cose.
Insomma il ground è quell‟astrazione che assume come condizione per la conoscenza la
somiglianza, che non si istituisce tra cose ma tra relazioni: se scopro relazioni simili scopro
mediatamente la fisionomia delle cose. È la relazione che restituisce la cosa e non
viceversa. Nella versione matura della triade segnica, l‟icona appare incarnare il rapporto
tra ground e likeness e, in effetti, le definizioni che incontriamo nella semiotica matura,
ribadiscono la valenza fondativa del segno, nel senso che è a questo livello che viene
lanciata un‟ipotesi sull‟oggetto e mediata attraverso gli altri livelli del segno. Infatti
un‟icona è un segno, il cui potere rappresentativo dipende dalle qualità che essa stessa
possiede, indipendentemente dall‟eventuale esistenza di un referente che presenti i
medesimi caratteri.
Non è l‟esistenza dell‟oggetto la ratio essendi dell‟icona, bensì la capacità di offrire una
connessione, conferendo a quest‟ultima un‟immagine: in questo senso la figura di un
triangolo è un‟icona, poiché in se stessa dispone di un‟autonomia, poiché la sua forza
significativa non dipende dal suo possibile referente o dall‟interpretante. Il potere dell‟icona
consiste nel fatto che, ponendosi come oggetto osservabile sensibilmente, diventa punto di
partenza per scoprire ipotesi nuove, relazioni inedite, che si aggiungono a quelle che sono
state utilizzate al momento della costruzione della medesima icona. La capacità da parte
dell‟icona di significare pur non denotando la rende corrispondente alla likeness, quella,
invece, di qualificarsi come ponte per la scoperta di nuove verità, a mio avviso, l‟abilita ad
inglobare tutta la fecondità relazionale del ground. In questo modo l‟icona eredita la
6
miniera di relazioni del ground, che le permette di anticipare gli esiti che si otterranno nel
momento indicale e simbolico. L‟icona evoca l‟oggetto senza dargli nomi o luoghi, questi
ultimi saranno denotati dall‟indice, la cui specificità è legata al fatto di essere fattualmente
connesso con il referente. Ma perché questo legame venga in luce ( e il processo segnico,
senza pretesa di conclusività, possa compiersi), esso necessita del momento simbolico, il
quale trasformerà in un abito o regola la relazione proposta dall‟icona.
In questi termini la dimensione del simbolo che corrisponde alla nozione di interpretante è
l‟atto che consente di riconoscere, e così codificare la connessione inedita cui ha dato vita
l‟icona. Quindi la connessione strutturale tra icona e indice non si lascia riconoscere a
partire dall‟icona ma solo in un terzo- il simbolo; quindi solo a partire dalla struttura del
segno, già operante, già in atto. E ciò ha una importanza teorica decisiva: la componete
dell‟interpretazione, e con essa la dimensione ermeneutica del pensiero, così cara alla
riflessione filosofica del Novecento, che ha fatto dell‟interpretazione un tratto costitutivo
della verità stessa, viene portata nella struttura stessa del segno. Se da una parte la
risoluzione della questione dell‟essere in un processo interpretativo pone le condizioni per
un dialogo tra la semiotica peirceana, il prospettivismo nietzscheano e l‟ermeneutica
heideggeriana, dall‟altra la potenzialità espressiva dell‟icona che eccede incessantemente il
simbolo che di volta in volta in base ad essa prende forma, fa dell‟icona un segno
trasversale che può essere ritrovato, oltreché sul piano semiotico, all‟interno del
ragionamento logico, matematico, e riconosciuto nelle sue matrici fenomenologiche.
L‟idea dell‟icona come spazio di intersezione tra questi diversi universi- che costituisce il
fulcro della tesi sviluppata in questo lavoro- inserisce la prospettiva peirceana nel dibattito
contemporaneo tra logica e metafisica, che vede logici e matematici, alle prese con le
diverse formalizzazioni logiche e interessati a valorizzare e a capire le ragioni di Peirce
riguardo alla necessità di dare un adeguato rilievo a quella che egli chiama “formalizzazione
iconica”.
Per comprendere la centralità dell‟icona nell‟ambito delle questioni sollevate dai logici e
dai matematici, dobbiamo evidenziare il nesso, istituito da Peirce, tra icona e ragionamento
logico, e tra icona e ragionamento matematico. Sull‟Algebra della Logica: Un contributo
alla Filosofia della Notazione è il testo in cui Peirce dichiara la necessità di introdurre le
icone all‟interno delle relazioni logiche, poiché in questo saggio in cui si sintetizzano le
indicazioni più feconde della logica matematica del X1X secolo, viene messo in chiaro dal
filosofo americano che l‟argomento deduttivo non necessita soltanto di indici e simboli,
che garantiscono la fruizione di nomi e di “generali”, ma anche del tratto iconico, la cui
specificità è quella di anticipare il “generale”. Infatti Peirce insiste sul fatto che se qualsiasi
proposizione può essere espressa con i simboli e gli indici, essa, comunque, non può
divenire oggetto di ulteriori ragionamenti. Ragionare significa osservare e, individuate
alcune relazioni significative, scoprirne altre; ma questa operazione , come abbiamo
constatato, è la caratteristica dell‟icona, quindi è necessario, secondo Peirce, che una
notazione logica adeguata prenda in considerazione, oltre che gli indici e i simboli, anche le
icone. L‟icona è tale proprio perché evoca qualcos‟altro, essa si fa espressione di un nesso,
7
che può essere concepito come un rapporto di implicazione, e quindi essenzialmente l‟icona
è leggibile come un‟inferenza. In particolare è l‟inferenza abduttiva ad avere una natura
iconica, poiché l‟abduzione si qualifica come un argomento che stabilisce una similarità
tra i fatti contenuti nella premessa da cui muoviamo e i fatti asseriti nella conclusione; ma
i fatti presentati nella premessa potrebbero essere veri, indipendentemente dalla verità della
conclusione; in questi termini, afferma Peirce, non si può essere certi della conclusione, ma
la si può assumere come spiegazione possibile di un fatto, rispetto a cui i fatti della
premessa costituiscono un‟icona‟3. In particolare Peirce formalizza l‟abduzione in questo
modo: “Viene osservato il sorprendente fatto C; ma se A fosse vero, C sarebbe un
conseguenza logica. Quindi c‟è ragione di sospettare che A sia vero”4. (“The surprising fact,
C is observed; But if A were true, C would be a matter of course, Hence, there is reason to
suspect that A is true”).
In questi termini l‟abduzione è una retroduzione, poiché dalla contemplazione di un fatto
perviene ad una teoria; in realtà l‟oggetto di contemplazione è un ens rationis, poiché la sua
spiegazione risiede in altro. L‟abduzione nei fatti contenuti nelle premesse riconoscerà il
conseguente di un possibile antecedente, ovvero in quei fatti che essenzialmente si
presentano come un‟icona riconosce dei possibili caratteri che potrebbero essere spiegati,
qualora si scoprisse un principio in grado di qualificarsi come il loro antecedente. In questi
termini si coglie la profonda collaborazione tra immaginazione e ragione. L‟abduzione
necessita di figure, perché in esse si coglie quella sintesi, che permetterà di scoprire il nesso
tra il conseguente, già disponibile, e il suo possibile antecedente. In questi termini l‟icona è
segno di una relazione inferenziale che costituisce il punto di partenza dell‟abduzione.
La centralità dell‟icona all‟interno del ragionamento logico è però per Peirce frutto di una
generalizzazione del modo di procedere del ragionamento matematico. Infatti nel saggio
del 1885, già citato, la matematica non viene concepita soltanto come un sapere analitico ma
come una scienza osservativa e la logica si apre all‟inesauribilità della riserva relazionale
delle icone, qualificandosi così non mero calcolo formale, ma come una forma di sapere che
affonda le sue radici nello spartito segnico. Nel ragionamento matematico che Peirce
definisce “teorematico”, diversamente dal ragionamento “corollariale”, che coincide con il
ragionamento strettamente analitico, è possibile procedere dalla tesi verso la dimostrazione
sperimentando sugli schemi costruiti, in geometria. Ad esempio, si tracciano linee ausiliarie,
il matematico deve tradurre in linguaggio diagrammatico la tesi da dimostrare e il
diagramma diventa l‟elemento concreto e dinamico, il testo di sperimentazione. In questo
tipo di sperimentazione, Peirce ritiene che ci sia un‟analogia con il procedere del chimico,
il quale sperimenta su un campione, ad esempio di metallo, e ad esso aggiunge questo o
quel reagente per verificare cosa accade e se viene fuori qualcosa di nuovo, di significativo.
Nella struttura del ragionamento teorematico è necessario realizzare costruzioni ausiliarie,
affinché si possa procedere verso la dimostrazione. È necessario che tutte le premesse
vengano esplicitate, e questo metodo ci potrà guidare nell‟individuazione delle premesse
3 Peirce, Minute logic (1902), cit., p. 126.
4 CP 5.189.
8
mancanti. E allora in questo senso diventa indispensabile l‟introduzione di icone che
sostanzialmente incarnano le abduzioni dalle quali il matematico prende le mosse, in modo
tale che queste diventino osservabili e modificabili, consentendo così al matematico di
guadagnare il percorso necessario per raggiungere la conclusione. Nell‟universo
matematico, così come viene concepito da Peirce, non vi è alcun vincolo con l‟esistente, e
quindi l‟atto creativo incide in modo determinante, poiché la matematica si configura come
il regno del possibile e quindi qualsiasi catena di pensieri che proceda secondo il
ragionamento necessario, sul piano matematico risulta giustificata. In questo senso il
ragionamento matematico rivela lo stretto rapporto tra icona e abduzione, poiché la
manipolazione del diagramma, grazie all‟abduzione, darà luogo a figure, che diventeranno
segni di altre inferenze, e così via.
Alla luce del rapporto tra il segno iconico e il ragionamento logico-matematico, la logica e
la matematica di Peirce oggi suscitano particolare interesse, soprattutto in riferimento alla
„formalizzazione iconica‟, che, non esclude la „formalizzazione simbolica‟, ma contiene
qualcosa in più, qualcosa come una potenzialità, una riserva infinita di significazione, che
resta sempre fissata alla base di ogni „formalizzazione simbolica‟. La formalizzazione
iconica introduce nella logica un riferimento che sta fuori dalla logica e in questo senso ne
istanzia, se così possiamo dire, la vocazione al reale, ne mette in gioco la potenziale
apertura ontologica. La logica per Peirce è infatti una scienza positiva, essa fa i conti con il
reale, essa deve fondare conoscenze nuove e stabili, e ciò è realizzabile con il supporto
ineliminabile del pensiero diagrammatico-iconico.
La grande innovazione della logica di Peirce, come afferma Hintikka, è quella di avere
compreso che anche in logica si procede così come nel ragionamento teorematico mediante
costruzioni ausiliarie, diagrammi, che sono manipolabili e quindi in grado di rappresentare
non soltanto l‟esistente ma anche il possibile. La centralità del diagramma iconico è
essenziale, poiché se i simboli sono essenzialmente abiti e idonei a legittimare i frutti di un
processo, non sono sperimentabili e proprio per questo non sono capaci di produrre nuove
conoscenze; al contrario le icone non hanno una funzione denotativa bensì quella di
immaginare ciò che può essere logicamente possibile e quindi sono quelle che possono
contribuire a produrre nuove conoscenze.
In questo senso la logica di Peirce, proprio perché ritiene imprescindibile la costruzione del
diagramma, che è fondamentalmente iconico, si colloca in una tradizione lontana da
quella di Frege e Russell, in cui risulta assente l‟idea di fornire alla logica una base
sensibile. Logici come Hintikka, Sun Joo Shin ed altri proprio in questi anni hanno
sottolineato il grande valore attribuito da Peirce all‟inserimento delle icone nella
grammatica logica, perché l‟icona fornisce un‟immmediatezza visiva che non è propria della
formalizzazione simbolica e ciò che è più importante, diversamente dalla formalizzazione
simbolica, essa non chiude il processo conoscitivo, ma lo apre, perché, una delle sue
funzioni fondamentali è che, attraverso la sua stessa osservazione, si possono scoprire
nuovi campi iconici di livello più complesso, che consentiranno inediti incrementi
conoscitivi. Insomma così come nel ragionamento matematico è necessario manipolare il
9
diagramma per scoprire relazioni, equivalenze e analogie che possono assumere la funzione
di tramite tra la tesi e la dimostrazione, allo stesso modo, i nomi, le proposizioni, gli
argomenti, perché possano essere giustificati, devono esporsi ad una diagrammatizzazione,
e ad una dimensione interpretativa dialogica che, obbedendo a certe regole, potranno
apportare delle modifiche e pervenire alla dimostrazione degli assunti enunciati. Ma ciò
che ancora deve essere messo in evidenza, per quanto già intrinseco alla specificità della
formalizzazione iconica, sta nel fatto che le modifiche apportate al diagramma, per quanto
scelte dal matematico o dal logico, sembrano scaturire da ciò che il testo diagrammatico
lascia per sé intravedere. Infatti operata la scelta, il matematico arriverà effettivamente alla
dimostrazione e il logico alla giustificazione delle sue assunzioni. La costruzione iconica da
una parte esibisce tratti osservabili, e in questo senso lascerebbe emergere la sua base
formale, dall‟altra l‟icona, proprio perché sperimentabile, rivelerà una relazione, una forma
logicamente possibile che non era stata scoperta al momento della sua costruzione. Ciò che
si vuole dire è che la costruzione non è interamente dovuta all‟esercizio di convenzioni,
poiché l‟icona nel momento in cui diventa oggetto di sperimentazione sarà in grado di
rivelare nuove conoscenze.
In questo atto l‟icona manifesta la sua ricchezza che è, al tempo stesso, convenzionale e
naturale. Essa trascende la costruzione stessa, nel senso che getta un ponte con il reale, ma
non nel senso che crea una corrispondenza con l‟esistente, perché in quel caso saremmo di
fronte ad un elemento indicale, ma perché traccia un‟analogia tra la forma diagrammatica e
una forma di relazione nella quale può riconoscersi il reale, come accade quando uno
scienziato scopre una determinata relazione che diventa capace di spiegare un fenomeno del
reale. Il referente del diagramma iconico non è una cosa, bensì una relazione che sia
analoga alla struttura della cosa stessa. La matrice semiotica dell‟icona viene inverata dalla
centralità che essa assume nel ragionamento logico-matematico. Alla luce degli investimenti
conoscitivi che è possibile effettuare sull‟icona, non è più possibile pensare all‟iconismo
ingenuo secondo il quale un ritratto di un uomo sarebbe simile alla sua figura reale: il
referente dell‟icona non è una datità bensì una relazione. Così la figura costruita dal
matematico acquista valenza iconica non perché essa si riferisce, ad esempio, ad un
triangolo in particolare, ma perché mostra relazioni nelle quali può riconoscersi qualsiasi
triangolo.
La specificità dell‟icona sta nel fatto che pur all‟interno di un tratto materiale determinato,
esibisce una forma universale. Risulta chiaro il motivo per cui la formalizzazione iconica
presenta dei vantaggi rispetto a quella simbolica ed emerge che l‟icona stessa consuma lo
scambio tra natura convenzione, nella misura in cui non si lascia scoprire per intero in virtù
delle convenzioni messe in atto al momento della sua costruzione, ma rivela in seguito la
sua riserva infinita di significazione attraverso le modifiche apportate alla rappresentazione
diagrammatiche. Altrettanto chiaro potrà risultare allora che la logica - intrecciandosi con
la semiotica, poiché utilizzerà segni diversi e specificamente quei segni fondamentali di cui
si avvale la semiotica- estenderà i confini del suo universo includendo anche il modo reale
al quale si riferisce la semiotica in senso stretto. La logica a pieno titolo si qualifica scienza
10
positiva nella stessa misura in cui è non solo plausibile ma strettamente consequenziale
fruire al suo interno delle risorse del linguaggio naturale, proprio perché il ragionamento
più astratto necessita di segmenti osservabili, a partire dai quali sia possibile scoprire e
produrre altre conoscenze. Allo stesso modo, non c‟è uno iato tra il mondo precategoriale e
quello categoriale, infatti attingere al mondo è operazione possibile sempre e soltanto
attraverso una certa formalizzazione segnica. In questo senso, il segno è un filtro attraverso
il quale si articolano sia le inferenze logico-matematiche sia quelle relative alla conoscenza
del mondo reale. In questi termini, il linguaggio naturale costituisce quel fondo dal quale è
possibile estrapolare infinite interpretazioni e con il quale si può garantire l‟elaborazione di
una semantica che non affranca mai il linguaggio dal riferimento mondo esterno, senza
per questo cadere nella trappola del corrispondentismo.. Una logica del genere è
concepibile perché se essa da una parte non è affrancata dal reale ed accoglie segni che le
permettono di assorbire i rinvii al reale, come accade nel caso dei segni iconici, e
nell‟accogliere il linguaggio naturale, dall‟altra la visione sinechistica provvede a fornire
una prospettiva unitaria nella misura in cui mostra che le leggi del pensiero convengono
con quelle del reale.
Già a partire dal Il Rinnovamento della logica, Peirce afferma che la logica deve fornire le
sue formalizzazioni alla Metafisica perché essa possa assestarsi su basi solide. E questo è
possibile a sua volta perché il pensiero e il reale convengono. Se da una parte la logica
peirceana è una logica che si rende disponibile ad accogliere l‟esperienza, la realtà si mostra
compatibile con la logica, perché si declina secondo diverse modalità. Essa non ospita
soltanto la modalità dell‟esistenza, ma anche quelle della possibilità e della necessità.
Queste ultime non sono soltanto categorie logico-matematiche, ma hanno anche uno statuto
ontologico, in virtù dell‟elaborazione del sinechismo e della fenomenologia. La realtà non è
statica, bensì dinamica, poiché essa evolve dalle possibilità, che via via estrinseca, verso
la legalità , la regolarità.
Questi accenni al sinechismo ci confermano che da una parte la forma del pensiero è
analoga a quella della realtà, e quindi ci confortano riguardo all‟idea che il pensiero-segno si
mostra idoneo a formalizzare il reale, dall‟altra questa stessa adeguatezza può essere
appresa dalla struttura logico-segnica, che come sappiamo è l‟unico tramite di conoscenza:
in questo senso constatare o focalizzare l‟attenzione sull‟intreccio segnico-logico diventa
fondamentale, a mio avviso, perchè non ne va soltanto del pensiero ma anche del reale.
Ma ancora una volta: cos‟è che permette alla logica di non rimanere scollata rispetto al
reale? È il momento iconico che non vive se non all‟interno del simbolo e tuttavia, come
dicevo, lo eccede, in forza della natura peculiare dell‟icona: del suo potere di significare
senza giungere ancora a denotare, di ospitare nella propria forma una infinita proliferazione
di forme possibili, di lasciar vedere senza giungere ancora a indicare. Il simbolo si avvale di
questa eccedenza, pur prendendone le distanze, allo stesso modo in cui il linguaggio della
logica si avvale necessariamente dell‟apporto del linguaggio naturale con tutta la sua
carica di polisemicità e di indeterminatezza. Questa eccedenza introduce dunque una
tensione feconda e irrisolta all‟interno del segno, una tensione che insisterei a chiamare
11
ancora una volta meta-fisica nella misura in cui mette in giuoco un piano di trascendenza,
un movimento di rinvio a un oltre che non cade tuttavia oltre il segno, ma si trattiene per
intero al suo interno mostrandone la natura più intima: non si tratta, in altri termini della
trascendenza del reale rispetto al segno ( o a ciò che ne è segno) – una simile divaricazione
non ha posto e avrebbe bene poco senso dentro la propettiva di Peirce -- bensì della
trascendenza stessa del segno.
Questo tipo di tensione chiama, a mio avviso, in causa un tema classico della filosofia,
cruciale fin dai tempi di Platone; un tema che pur polarizzandosi, condensandosi, nello
spazio della teoria del segno, viene da lontano: dal campo dell‟ etica e della politca ma
anche della logica e della teoria della verità: quello del rapporto fra natura e convenzione,
fra ciò che ci precede, che è già da sempre nell‟ordine del reale e ciò che si deve
all‟originalità, alla libertà, dell‟inventiva umana. Natura e convenzione sono termini che non
ricorrono in modo specifico o, se vogliamo, “tecnico“ all‟interno dell‟analisi peirceana.
Seguire però il filo dell‟analisi in base a questo registro è a mio avviso importante. Credo
che la teoria peirceana del segno si collochi per molti aspetti in continuità con un
messaggio che forse era già nel Cratilo e che tuttavia per suo tramite ci è restituito in piena
luce: l‟opposizione fra natura e convenzione non può essere presa come una dicotomia ma
come una polarità, dove ciascuno dei termini antagonisti si definisce solo dentro un gioco di
rinvio reciproco e dove la differenza crea una paradossale continuità.
L‟ idea che conoscere necessiti di osservazione, di costruzione, di azioni, di manipolazioni,
che i ragionamenti abbiano una base iconica e che bisogna uscire da un‟ ottica di tipo
corrispondentistico sono esiti che lasciano trasparire la loro matrice greca. In tale
direzione il Cratilo sembra spingerci, poiché anche nel caso del nome è necessario
abbandonare ogni visione di tipo corrispondentistico, poiché la parola, alla stessa stregua
di un‟ immagine mentale, non è mera riproduzione della cosa: al contrario il nome
all‟interno di un segno determinato mette in forma i significati del reale. Così come si è
detto del rapporto tra icona e reale, non si deve pensare ad una sovrapponibilità tra nome e
cosa ma ad una loro cooriginarietà, nel senso che è la loro imprenscindibile relazione ad
innescare il processo di significazione. Nella strutturazione del nome la cosa sembra
riconoscersi: il nome diventa modello della cosa, nel senso che esibisce i tratti salienti della
cosa,ma il suo essere modello non è conforme ad una metodologia analitica, nel senso che la
sua finalità non è quella di descrivere la cosa come se essa fosse già compiuta in se stessa,
ma quella di scoprire, lasciare emergere la cosa. In questi termini il nome si pone come
modello dinamico e sintetico e può dar conto, nel rapporto con la cosa, di una circolarità tra
natura e convenzione, che supererebbe l‟ unilateralità delle posizioni di Ermogene e Cratilo,
perché entrambe responsabili di un‟assolutizzazione, se pur opposta, che non giova a
comprendere adeguatamente il rapporto tra segno e oggetto. La posizione di Socrate,
piuttosto, sembrerebbe quella più avvertita, poiché si mostra già consapevole della
continuità sussistente tra nome e cosa, nel senso che non è pensabile un modello in cui la
parola è riproduzione della cosa o viceversa; lo è, piuttosto, un modello in cui è il
“convenire” di entrambe a rendere possibile la loro costituzione. Così un suono
12
assolutamente privo di significato, costituisce uno spazio in cui dimora la distanza tra
pensiero, significato e oggetto, indicando comunque una direzione, che se pur definitiva,
crea le condizioni per innescare il movimento grazie al quale si darà il significato. E allo
stesso modo l‟icona costituisce quel discreto che si crea nell‟ambito del flusso continuo che
costituisce l‟energia segnica del ground, istituendo una discontinuità e fornendo così un
„occasione di estremo valore, poiché lascia intendere il modo in cui si configurerebbe un
oggetto, nel caso in cui esistesse. Torna incisivo il gesto del ground, che all‟interno della
totalità delle possibilità, operando alla stessa stregua di un paio di forbici, ritaglia una parte
di esso, mostrando un foro e permettondoci così di accedere al reale, altrimenti
impenetrabile. All‟interno di questo spazio sarà possibile articolare il movimento della
conoscenza, perché si è data la possibilità di determinare e infatti, in rapporto a questa
cesura, si pone un primo, un secondo e la relazione fra loro.
Il pensiero diagrammatico, proprio in virtù delle sue “convenzioni”, lascia emergere principi
stabili e oggettivi, e in questo modo esso coniuga logica e metafisica: quello iconico è
l‟unico spazio in cui la metafisica può scoprire il valore ontologico delle inferenze logiche,
perché l‟osservazione delle continue sperimentazioni sul diagramma lascia scoprire
orizzonti assolutamente inediti che trascendono l‟atto costruttivo in sé. In questa prospettiva
tale costruzione può essere concepita come fenomenologica e trascendentale: essa è
fenomenologica, poiché dispone di tratti visivi, e materiali; essa può ritenersi anche
trascendentale, poiché le inferenze logiche espresse manifestano una tensione ontologica.
Come affermano alcuni studiosi, il legame tra Peirce e gli insegnamenti kantiani rimane
profondo: così come Kant ci insegna che le cose che conosciamo devono essere omogenee
al pensiero, allo stesso modo reale e pensiero in Peirce possono incontrarsi e comprendersi,
a patto che condividano un terreno comune che è quello offerto dal segno, che lascia
intendere il modo in cui si configurerebbe un oggetto, nel caso in cui esistesse.
Se il reale si può comprendere quando si dispiega nel segno, per antonomasia il segno è
l‟analogo del reale e la sua idoneità a comprendere il reale si estrinseca attraverso forme
che si riassumono nell‟analogia di cui l‟icona è la forma espressiva5. Così come il reale è
continuo e si esplica crescendo ed esibendo sempre nuove sfaccettature, allo stesso modo il
pensiero approda a una verità che non ci si offre che in un passaggio, in un transito,
manifestandosi sempre e soltanto all‟interno di nuove analogie.
E‟ questo, in estrema sintesi, il percorso che le pagine seguenti cercheranno di illustrare in
modo più analitico e per molti versi “interno” al linguaggio e alla problematica “semiotica”
di Peirce, adottando il criterio di seguire passo dopo passo l‟evoluzione del pensiero
dell‟autore dagli scritti giovanili alla maturità.
Il tentativo di questo lavoro potrà dirsi riuscito se verrà bene in chiaro che, concependo
l‟icona come uno spazio di intersezione tra i vari universi semiotico-logico-matematico-
fenomenologico, Peirce coglie un profondo rapporto tra sapere scientico e filosofico, e così
la sua prospettiva teorica torna più che mai, oggi, degna di rilievo per la sua originalità e al
5Cfr.CP 1.316; CP 1.90; CP 1.140.
13
tempo stesso per la sua classicità: essa è originale per le strutture trasversali, se così
possiamo dire, del “sistema”, e classica, perché capace di solcare il tracciato della
tradizione, ridestando le sue domande e impegnandosi nel fornire possibili risposte in grado
di illuminare più in profondità il senso stesso dell‟interrogazione che sta alla base. Non è
forse questo da sempre il lavoro proprio della filosofia? In breve, esplorando la dimensione
iconica, non si tratta solo di mettere in luce i presupposti e le implicazioni filosofiche della
semiotica peirceana- operazione che indubbiamente andrà fatta- ma di mostrare che
quest‟ultima è già in se stessa una filosofia e come tale va compresa e studiata, e
considerata una risorsa del novecento, forse, ancora non adeguatamente valorizzata.
14
PRIMA PARTE
PRIMO CAPITOLO
Ground e likeness negli scritti giovanili di Peirce
1) Le radici metafisiche del progetto semiotico
Con la semiotica di Peirce più che uscire dalla metafisica si ritorna ad essa con attrezzi
nuovi per gestirla con tutte le risorse della modernità. A mio avviso il modo in cui nasce la
semiotica peirceana nelle pagine delle Harvard Lectures of 1865 e nelle Lowell Lectures of
1866 è tale per cui sembra plausibile pensare che non la si possa leggere senza far
riferimento a coordinate metafisiche, oltre che logico-matematiche. Si potrebbe dire che la
Semiotica di Peirce compie il tentativo di far comprendere che la metafisica “si dice in molti
modi”, che è plastica e che si rimodella, a condizione che venga accettato il suo dettato
fondazionale. Per quanto la natura della ricerca metafisica che le è sottesa, appaia più
congeniale alla modernità e più scaltrita rispetto alle pretese della metafisica classicamente
intesa, la teoria del segno di Peirce lascia emergere l‟ineludibilità e in certo senso
l‟intrascendibilità delle questioni connesse a una tale pretesa. L‟apparentamento del ground
con nozioni quali „essenza‟, „predicato‟, „misura‟ e in qualche caso anche 'Trinità‟, di
„metafisica‟ con „metafora‟ e di „uomo‟ con „simbolo‟ ci danno forse le coordinate per
immetterci in un contesto in cui termini tecnici quali ground, sign, reference,
representation, likeness image resemblance copy superano già dall‟inizio i confini di una
dimensione prettamente semiotica. L‟impressione immediata è che nell‟opera peirceana si
delineino tante dimensioni congruenti o equivalenti che, in qualche modo, si corrispondono
e che contribuiscono a conferire maggiore intelligibilità e globalità a termini come realtà,
conoscenza e pensiero. Infatti la semiotica di Peirce, più che edificarsi all‟interno di uno
spazio ben delimitato, si ritrova declinata in tante forme, o meglio in queste varie forme
ritrova il suo senso.
Per dar conto di questo e per inquadrare correttamente le coordinate al cui interno s‟inscrive
la semiotica di Peirce, è opportuno analizzare gli scritti giovanili, nei quali si configurano
diversi profili che danno vita ad un‟intersezione filosofica sicuramente inedita. Occorre
seguire passo dopo passo le argomentazioni svolte in questi scritti, dove l‟autore,
15
muovendosi tra tradizione e innovazione, getta le fondamenta di un “sistema” di pensiero
che, sebbene destinato a delinearsi con chiarezza in seguito, grazie anche a profondi
cambiamenti che interverranno lungo il tragitto speculativo del filosofo americano,
sostanzialmente, a mio avviso, si manterrà coerente con le premesse già ben stabilite sin
dagli esordi, a partire dal 1861. Negli anni immediatamente precedenti, tra il 1855-1859,
Peirce si era misurato con le opere più importanti di Kant, di Hume, con gli scritti di logica
e metafisica di William Hamilton e con alcuni dei lavori di Aristotele, Locke, Whewell,
Whately e altri. In A Treatise on Metaphisics, nell‟ambito della riflessione sulla
defnizione di metafisica, egli prenderà le distanze e allo stesso tempo prenderà spunto da
alcuni di questi autori e argomenterà in favore dell‟idea di un piano di intersezione tra
metafisica e logica.
Influenzato dalla lettura kantiana, Peirce partendo dalla distinzione tra conoscenze che
vengono acquisite dai dati e conoscenze che provengono dai principi, pone in evidenza che
la metafisica non dispone mai di una base osservativa ma soltanto di concetti. Riguardo ai
concetti bisogna però distinguere due tipi di approcci: quello psicologico da quello
strettamente logico; il primo estrae i concetti dal sistema della psicologia e riflette sui loro
significati; l‟altro è volto ad esaminare le formalizzazioni logiche dei concetti.
Quest‟ultimo, secondo Peirce, è il metodo corretto di cui deve avvalersi la metafisica:
essa deve occuparsi dei concetti così come essi si presentano ovvero in una forma
fenomeno-logica, poiché il metodo logico è indirizzato essenzialmente ad identificare le
relazioni logiche intriseche ai concetti; in questo senso è necessario penetrare dentro le
definizioni, per comprendere le relazioni che le costituiscono, infatti la definizione,
secondo Peirce, è in se stessa una relazione, cioè è frutto di una relazione. Così afferma:
“The logical method will consist only in a study of the logical relations of conceptions since
definition is itself a statement of relation”6. E dal momento che la metafisica analizza le
relazioni logiche dei concetti, non si affida all‟osservazione, e non produce proposizioni
sintetiche, infatti Peirce perviene alla seguente definizione: “Metaphysics is the analysis of
conceptions. Hence its conclusions have no synthetical content”7. In questi termini la
metafisica diventa, potremmo dire, quella sezione della logica che analizza i concetti. E
così come metafisica e logica si ritrovano strettamente correlate, allo stesso modo
metafisica e matematica sono accomunate dal fatto di disporre esclusivamente di
proposizioni analitiche. Infatti sul piano aritmetico un‟operazione come, ad esempio,
un‟addizione, secondo Peirce, asserisce una relazione e in quanto tale è una definizione.
Se le affermazioni precedenti sono volte essenzialmente a far cogliere in modo immediato
il rapporto tra metafisica, logica e matematica, le considerazioni successive decretano l‟atto
di nascita della semiotica. Essa infatti viene definita in Teleological Logic (Harvard lecture
of 1865) “The science of representations”8. Questo passaggio viene ripreso mesi dopo, nei
confronti del concetto di intuizione, anticipando così uno dei temi dei saggi del 68, in cui
6 W1: 63. Le medesime espressioni vengono riportate nel MS 920, p.14.
7 Ms 920, p. 23.
8 W1:303.
16
viene demolita l‟idea di un sapere di tipo immediato. Peirce infatti, dice che la logica si
occupa del pensiero che rappresenta l‟intuizione. La logica perciò privilegia la valenza
rappresentativa del pensiero, e in questo senso precisa affermando che “So that it is more
correct to say that logic is the science of the forms of representation than that the science of
the forms of thought”9. Già in Teleological Logic Peirce distingue le rappresentazioni in
signs, symbols, e copies e precisamente le definisce nel seguente modo: “Signs.
Representations by virtue of a convention. Symbols. Representations by virtue of original
or acquired nature. Copies. Representations by virtue of a samness of predicates”10
. Le
condizioni alle quali devono sottostare i diversi tipi di segni sono rispettivamente la
grammatica speculativa, la retorica, la logica. Queste tre scienze sono interrelate e
manterranno questo nesso anche negli scritti della maturità11
. Se nei passaggi precedenti si è
constatato come la dimensione metafisica prenda corpo sul piano logico, allo stesso modo
nella Lecture XI (Lowell Lectures of 1866) si pone in evidenza come il segno estenda i
propri confini toccando le sponde della morale, della estetica e addirittura della teologia.
Questo testo, se pur concentrato sulla definizione di uomo, risulta assai utile per
comprendere come il pensiero peirceano sia sempre polivalente, poichè capace di spostare
l‟oggetto specifico di riflessione da un ambito ad un altro restituendo così il senso delle cose
di cui parla. Procediamo, seguendo le argomentazioni peirceane: essenzialmente le
riflessioni della tradizione si raccolgono intorno a due modi di concepire l‟uomo ora come
anima ora come corpo, ora secondo una spiegazione di tipo induttivo ora di tipo ipotetico,
ora secondo necessità, ora secondo libertà. Un modo forse per ridare unità e togliere le
inevitabili contraddizioni al modo di concepire l‟uomo è quello di concentrare l‟attenzione
sul fatto che essenzialmente ogni suo pensiero è un‟inferenza e che la sua vita consiste in
una catena inferenziale. Ma se si considera che l‟uomo è essenzialmente pensiero, prosegue
Peirce, è possibile concludere che l‟uomo è equiparabile ad un simbolo. Infatti uomo e
parola presentano tante affinità, poiché a parte la macrodifferenza riguardante la presenza di
un corpo nel caso dell‟uomo, uomo e parola si ritrovano a condividere tante funzioni, ad
esempio la coscienza serve per indicare l‟atto pensante, cioè per garantire unità al pensiero.
Ma questa è proprio la funzione della parola che si esplica nell‟unità della simbolizzazione.
Così come l‟uomo può acquisire percezioni dal mondo esterno, anche le parole possono
ricevere nuove informazioni. In che senso? L‟uomo modella i pensieri e li rende plastici,
traendo fuori significati inediti, e così produce nuove parole; ma dal momento che l‟uomo
può elaborare i pensieri soltanto per mezzo di parole, queste ultime hanno un ruolo attivo
9 W1:322.
10 W1:304.
11 In A New list of Categories e più tardi, nel 1902, Peirce riproporrà in Partial Synopsis of a Proposed Work in Logic
il medesimo spartito: “la logica originaria, o grammatica speculativa, è la dottrina delle condizioni generali dei simboli
e degli altri segni che hanno un carattere significante, la logica in senso stretto è la teoria delle condizioni generali del
riferimento dei simboli e degli altri segni agli oggetti che essi professano di denotare, cioè è la teoria delle condizioni di
verità. La logica transuasionale, che io chiamo retorica speculativa, è sostanzialmente ciò che va sotto il nome di
metodologia o, meglio, di metodeutica. È la dottrina delle condizioni generali del riferimento dei simboli e degli altri
segni agli interpretanti che essi hanno lo scopo di determinare”. Peirce, Opere (a cura di M. Bonfantini), Bompiani,
Milano, 2003, pp. 124-125.
17
nel processo di significazione, e allora in questo senso le parole danno nuove informazioni
all‟uomo, insomma l‟uomo diventa l‟interpretante degli insegnamenti provenienti dalle
parole stesse. In questi termini Peirce può concludere che si instaura un‟osmosi tra uomo e
parola: i nuovi significati cui dà vita l‟uomo fanno crescere le parole e queste ultime a loro
volta diventano una risorsa formativa per l‟uomo. Ma queste corrispondenze vengono
spinte oltre, poiché addirittura la moralità verrà attribuita non soltanto all‟uomo ma anche
alla parola. Infatti, se per moralità viene inteso ciò che è conforme ad una “legge di idoneità
delle cose”, è possibile trovare un corrispettivo nella parola, la quale rivela la sua forza non
soltanto in riferimento alla capacità di denotare uno stato di cose, ma soprattutto in relazione
alla sua capacità di significare. “Così si esprime Peirce: “Beauty and truth belong to the
mind and word alike. The third excellence is morality on the one hand, Grammar on the
other”12
.
Tali considerazioni ci permettono di collocare in un ampio contesto la riflessione sui segni e
di radicalizzarne il senso. Le argomentazioni che seguono ci incoraggiano a procedere in
questa direzione, infatti il confronto tra la funzione procreativa dell‟uomo e quella della
parola permette alla metafora e alla metafisica di riconoscersi e ritrovare la loro profonda
unità. La parola per sua natura ha la facoltà di creare, di istituire nuovi simboli ma non per
rivestire pensieri già dati ma per rendere disponibili gli spazi semantici entro cui alloggiare i
pensieri nascenti, e allora quando, ad esempio, un autore si riferisce ai suoi scritti come alle
sue creature, in realtà questa non è un‟espressione da considerare metaforica, cioè nel senso
che esprimerebbe una similitudine, così come quando, aggiunge Peirce, il segno di
predicazione è impiegato al posto del segno di somiglianza, - “As when we say this man is a
fox instead of this man is like a fox-13
. L‟analogia tra la parola e l‟uomo è molto più
profonda e radicale, nel senso che entrambi partecipano di un gesto che è essenzialmente
puro e creativo. Se la metafora è da intendersi come una radicale comparazione realizzata in
forza della capacità pura di pensare la condizione della somiglianza, allora e la parola e la
sua valenza metaforica acquistano carattere fondativo, e in questi termini metafisica è un
altro termine che sta al posto di metafora, cioè la metafora viene riconosciuta nella sua
essenza, nel suo compito di mostrare una forma, prima ancora che questa venga sanzionata
o resa intelligibile. La parola si assumerebbe l‟onere di fornire un luogo all‟innominabile,
direbbe Sini9; le analogie successive tra la parola e l‟uomo confermano lo statuto universale
della riflessione sui segni, poiché dalla riflessione sulla parola vengono fuori modalità di
essere che sembrano apparentemente diverse da quelle proprie dell‟uomo e che in realtà
anche da quest‟ultimo sono possedute. La parola, afferma Peirce, può ritrovarsi in tanti
luoghi, poiché la sua essenza è spirituale. Nei passaggi precedenti già Peirce diceva che la
differenza tra l‟uomo e la parola risiedeva nel fatto che l‟uomo fosse dotato di corpo, ma in
effetti l‟uomo riguardo a questo aspetto non è in una condizione di subalternità, poiché
l‟uomo si realizza ed esprime la sua identità nel dare significato alla realtà, escogitando
12
W1:496. 13
Ivi, 497. 9 Cfr. Sini, Metafisica (Analogia e scrittura della verità), Cuem, Milano, 1996-1997, pp.17
18
sempre nuove denotazioni e connotazioni, delle quali egli stesso diventa la custodia, la
memoria, producendo così la dimensione dell‟interpretante, che consiste nella “futura
memoria” delle cognizioni via via elaborate. In questi termini l‟uomo finisce per valicare la
sua natura corporea mostrando la sua analogia con la parola. Il carattere puramente formale
del simbolo risulta fondamentale per comprendere in che termini si può parlare di
immortalità e di quello che Peirce chiama cognizione delle cose in generale. Il significato
della parola sei, indipendentemente dall‟esistenza nell‟universo di sei cose, rimane
necessariamente vero.
“Truth, it is said, is never without a witness; and, indeed, the fact itself-the state of things-is a
symbol the general through the principles of induction; so that the true symbol has an interpretant so
long as it is true. And as it is identical with its interpretant, it always exists”14
.
Allo stesso modo la permanenza delle opinioni, dei pensieri, garantisce l‟immortalità
all‟uomo, ed essa non è un‟esistenza impersonale, afferma Peirce, poiché la personalità
risiede nell‟unità del pensiero, che è essenzialmente l‟unità della simbolizzazione. Quindi è
la natura del simbolo che spiega il senso dell‟immortalità, così come la peculiarità
dell‟uomo, che consiste essenzialmente nella cognizione delle cose in generale, è
riconducibile essenzialmente alla dimensione simbolica. Sin da bambino l‟uomo cerca di
orientarsi nella realtà prendendo in considerazione tre coordinate: nome, storia e materia.
Qui però nota Peirce, queste domande devono essere precedute da un‟altra più originaria,
che si riferisce alla focalizzazione dell‟attenzione sull‟oggetto, al modo in cui la mente si
orienta verso qualcosa. La mente così orientata produrrà una determinazione, che
corrisponde ad una domanda: qual è il suo nome? Denominare implica non soltanto un mero
atto denotativo, ma soprattutto un riferimento alla possibilità infinita di istituire relazioni, al
fine di mettere in rete la realtà. “Bur that symbol whose information is all-embracing; which
significs every fact about everything, not contingently but necessarily. As every soul of
man is a relative philosophy so this symbol is the absolute unattainable philosophy. This is
the Creator of the World since all is necessary conformed thereto”15
. Evidentemente qui
Peirce si riferisce al creatore come espressione di un simbolo infinito, e il simbolo inteso in
questo senso non denota il contingente ma la legge e l‟unità che regola l‟universo. Ma la
legge, afferma Peirce, coincide con il simbolo, poiché esso come ogni cosa o fatto,
potremmo dire, è auto-simbolizzante. L‟ interpretante, a sua volta, s‟identifica con il
simbolo, poiché, come è stato ricordato nei passaggi precedenti, l‟interpretante costituisce la
futura memoria delle cognizioni, ma le cognizioni non sono mai intuizioni bensì
rappresentazioni. Ma se l‟oggetto e l‟interpretante coincidono con il simbolo, anche cio che
costituisce l‟essenza del simbolo, il ground, s‟identifica con esso16
. Il ground, nella triade
14
W1: 500. 15
W1: 502. 16
Il termine ground nella lingua inglese designa molti significati: fondamento, punto di vista, ma anche nesso,
interrelazione. Questi ultimi, a mio avviso, risultano particolarmente efficaci, soprattutto perché pongono in evidenza il
19
segnica, quando è considerato in se stesso, è la forma, l‟idea in virtù della quale una cosa
viene colta in riferimento ad un certo carattere. Esso costituisce la condizione in base alla
quale si può attingere alla cosa, poiché conferendole un carattere, la si pone in relazione con
qualcos‟altro. Nel caso della Trinità, il ground s‟identifica con il referente e l‟interpretante,
perché il ground determina il simbolo in modo assoluto.
“ This trinity agrees with the Christian trinity [….] The interpretanti is evidently the Divine Logos
or word; and if our former guess that a Reference to an interpretant is Paternity be right, this would
be also the Son of god. The ground, being that partaking of which is requisite to any comunication
with the Symbol, corresponds in its functions to the Holy Spirit”17
.
Tale passo, in cui Peirce rende simile la triade oggetto - ground- interpretante alla Trinità,
non costituisce soltanto una metafora, poiché troverà ampio sviluppo nell‟ambito della
riflessione teologica che egli elaborerà negli scritti della maturità. Inoltre questo
accostamento tra triade segnica e Trinità mette in chiaro che la metafisica e la teologia
rimangono a pieno titolo universi spendibili anche per la conoscenza, purché si avvalgano
delle formalizzazioni della logica, le quali non hanno un uso esclusivamente metodologico,
ma anche contenutistico. Il bagaglio logico è finalizzato a riflettere anche su questioni
metafisiche o religiose La permeabilità tra l‟ambito logico e quello metafisico appare tanto
più feconda quanto più ci si avvede che quest‟idea attraversa tutto il pensiero peirceano.
Così come da un lato la logica non esaurisce il suo fine nelle formalizzazioni, allo stesso
modo la metafisica e la religione devono mostrare la capacità di ospitare la veste logica per
dare maggiore solidità ai loro argomenti18
. Qui Peirce ci fornisce un esempio efficace di
questa osmosi tra logica e religione, poiché pone un confronto tra la triade, potremmo dire,
di carattere logico- semiotico e la Trinità. Tale corrispondenza tra la triade segnica e la
Trinità ci permette di capire anche l‟analogia tra l‟uomo e la parola, infatti afferma Peirce,
così come il valore delle parole è eterno, allo stesso modo l‟immortalità dell‟uomo è data
dalla permanenza dei suoi pensieri, ed è proprio questo che garantisce all‟uomo immortalità
e personalità, poiché di fatto sono la coerenza e l‟organizzazione dei contenuti di pensiero
che connotano l‟uomo. Ma tale unità che assicura la trascendenza dell‟uomo rispetto alla
sua esistenza animale coincide essenzialmente con l‟unità della simbolizzazione. Infatti,
significato di apertura, di possibilità che ineriscono in modo essenziale al concetto di ground, che costituirà l‟oggetto
specifico di riflessione delle pagine successive. 17
W1: 503. Lo stesso tema viene ripreso dal Ms 359. 18
In questa direzione N. Bosco, nell‟ambito della riflessione sulla proposta teologica di Peirce, argomenta: “La realtà
non è mai il dato, ma il termine di riferimento finale della conoscenza, il correlato di quell‟ideale, che è perfino la più
modesta delle verità. Perciò gli è lecito affermare che la conoscenza, sia essa scientifica o meta scientifica, ha sempre
un oggetto trascendente, per l‟appunto il reale, al quale indefinitamente si approssima, come una serie continua di
grandezze finite si approssima al limite dell‟infinito. Perciò rispetto alla conoscenza scientifica, la metafisica non
costituisce un‟alternativa, ma semplicemente una più forte approssimazione al limite. Questo non può toglierle,
ovviamente, dignità teoretica; in un certo senso, anzi glie l‟accresce; ma le impone una sobrietà ancora maggiore di
quella richiesta alla scienza. Proprio perché è in certo senso più scienza della stessa scienza, in quanto osa una maggiore
approssimazione alla verità ultima e totale cui anche la scienza guarda di lontano, la meta-scienza dev‟essere più
autocritica della scienza stessa: più consapevole della qualità supremamente ipotetica e simbolica dei propri enunciati
(ogni conoscenza, anche la più sperimentale, essendo in qualche grado simbolica e ipotetica); perciò orientata piuttosto
ad interpretare il senso ultimo dell‟esperienza che non a descrivere presunte forme necessarie dell‟essere e/o del
pensiero. Questo vale, in scala crescente, della cosmologia, della metafisica, della teologia razionale. N. Bosco Dalla
scienza alla Metafisica, Giappichelli –Editore-Torino, p. 173.
20
procede Peirce, il simbolo non ha il carattere dell‟esistenza, anzi al contrario costituisce una
sospensione, una vera e propria separazione dal mondo esterno. Queste ultime
considerazioni ci permettono di capire che la dimensione formale e del simbolo e
dell‟uomo, dal momento che essenzialmente per Peirce l‟essere immortale dell‟uomo
discende dal fatto che l‟essere dell‟uomo coincide con la natura del simbolo, conviene con il
carattere personale ma non con il carattere dell‟esistenza. In tal modo s‟instaura
un‟analogia tra uomo e Dio, poiché Dio e l‟uomo costituiscono le espressioni fondamentali
del simbolo, se pur di grado diverso. Tale analogia pone una somiglianza assolutamente
interessante tra i principi strutturali dell‟Assoluto e quelli dell‟uomo, nella misura in cui
entrambi condividono quelli della simbolizzazione.
Ma quali sono i meccanismi della simbolizzazione? Essi sono espressi proprio dalla triade
ground, oggetto, interpretante. Il ground si fa espressione della condizione di possibilità
dell‟oggetto, poiché esso stesso è relazione e costituisce il luogo in cui in trasparenza si può
cogliere la fisionomia dell‟oggetto. Il ground fornisce la modalità fondamentale secondo cui
si struttura l‟oggetto e quindi crea lo spazio in cui si confrontano individuale e universale,
poiché esibisce la fisionomia dell‟oggetto lasciando intravedere la sua determinazione e il
suo carattere universale, dal momento che esso essenzialmente coincide con il suo principio
strutturante. Il meccanismo di funzionamento della Trinità, sembra rispecchiare proprio la
struttura della simbolizzazione: la Trinità per esplicarsi deve essere intesa come movimento,
come ciò che istituisce la relazione, ma istituire relazione significa determinare e allora
anche qui è necessario passare da una possibilità originaria alla determinazione di
quest‟ultima. E quindi in questo senso il ground corrisponderebbe allo Spirito, poiché è il
movimento che consente di tenere insieme condizione di possibilità della determinazione e
determinazione. È Dio d‟altra parte che è capace di tenere insieme la differenza in modo
assoluto, ed è proprio questo ossimoro che forse può tornare utile per esprimere una
categoria che di fatto coincide con una leva di comando dell‟intera filosofia peircena ovvero
la Somiglianza. Essa è messa in atto dal movimento mediante il quale l‟identità si
costituisce attraverso la possibilità di assimilare qualcosa ad un carattere; in questo atto si
ascrive una pura possibilità ad una qualità. Potrebbe essere utile ricordare che nello stesso
anno Peirce affermava che “Tutto quello che è, è in qualche modo”19
. Insomma dal
momento che è la somiglianza che istituisce il significato, allo stesso modo per leggere Dio
dobbiamo utilizzare la struttura della simbolizzazione. E questo sembra confermare intanto
che la Metafisica e la teologia sono compatibili con i principi logico-semiotici che stanno
alla base dell‟impianto peirceano. Cioè per leggere Dio possiamo usare la struttura della
simbolizzazione poichè l‟Ente supremo si qualifica come somiglianza originaria20
. A mio
19
Peirce, Categorie, (a cura di R. Fabbrichesi Leo), Laterza, Roma-Bari 1992, p. 8. 20
Le riflessioni di Peirce, a mio avviso, forse con qualche forzatura, si rivelano assai significative anche tenendo conto
di certi esiti della teologia contemporanea. Infatti Peirce sembra anticipare alcune tendenze della riflessione teologica,
come ad esempio quella di Eberhard Jungel, il quale sviluppando le premesse di Barth ritiene che pensare Dio oltre la
necessità, significa pensarlo come Possibilità. E in questo senso Dio è inteso come evento, poiché Dio può incontrare
l‟uomo nella misura in cui si fa parola ed è nel suo essere luogo di differenza di universalità e contingenza ovvero nel
suo essere ossimoro che si lascia incontrare dall‟uomo. Ma ancora una volta il piano della parola istituisce un piano di
convergenza che invera l‟idea di concepire Dio come somiglianza. Dio si svela all‟uomo mostrando che esso stesso è
21
avviso la riflessione contenuta nella Lecture XI condensa i motivi fondamentali della
teologia peirceana e anticipa l‟impostazione degli scritti della maturità. Che Dio sia forma, e
che in quanto tale realizzi l‟essenza del simbolo, rivelando la medesima struttura del
simbolo sintetizza alcuni dei concetti fondamentali, che si rivelano utili per capire alcuni
assi portanti del sistema dell‟autore. Intanto l‟equivalenza tra simbolo e Dio potrebbe
qualificarsi come un‟introduzione all‟idea che l‟Intero si strutturi secondo le modalità del
segno, che sicuramente, costituisce una delle costanti più significative del sistema
peirceano. Infatti il simbolo, come risultato di un movimento che grazie al ground riconosce
il dato reale come tale, provvede a irreggimentare l‟esistente e costituisce il frutto prezioso
di un altro concetto assolutamente fondamentale che consiste nella valenza ipotetica del
ground. Infatti il ground, come luogo originario delle possibili relazioni è essenzialmente
luogo delle ipotesi: ciò avrà una conseguenza importante, poiché anche a Dio non ci si può
approcciare postulandolo e quindi pensandolo come un primum. Se Dio è la realizzazione
più elevata del simbolo ed è chiaro il modo in cui il simbolo si costituisce, Dio non può
essere considerato una realtà già data, piuttosto Dio dispiega nella sua assolutezza un
movimento che ha il compito di dar vita a nuove possibilità, per le quali bisogna trovare
sempre nuove forme21
. Insomma Dio è da intendersi come quel movimento in virtù del
somiglianza e lo mostra rendendo quest‟ultima operante nel suo grado più elevato. Cioè Dio può irrompere nella vita
dell‟uomo trasformandola e affrancandola dal mondo in vista di una speranza ultramondana proprio nel rivelare il suo
ossimoro. Questo farsi contingenza da parte di Dio corrisponde a quella stessa necessità del ground di creare
dicontinuità determinando uno dei tratti di quel continuum relazionale in cui consiste esso stesso. E si potrebbe osare
forse una corrispondenza più ardita tra Jungel e Peirce, poiché il primo sostiene che Dio è più originario del principio di
contraddizione, dal momento che bisogna pensarlo oltre la necessità. In Peirce si potrebbe dire che Dio costituisce la
versione teologica della messa in discussione della originarietà del principio di contraddizione, cioè pensare la
razionalità come possibilità. A parte il fatto che entrambi lascerebbero emergere la possibilità di coniugare teologia
razionale e teologia della rivelazione, ciò che più interessa per il presente discorso è che si potrebbe riscontrare una
valenza metafisica e addirittura teologica di alcuni concetti apparentementi legati ad un ambito esclusivamente logico-
semiotico. Oltre la linea critica Barth–Jungel, le medesime insistenze argomentative si riconoscono nella riflessione
teologica di alcuni studiosi italiani come V. Melchiorre, G. Bonaccorso, R. La Delfa, i quali valorizzano la dimensione
della persona e il corpo come luogo di svelamento; il corpo del Cristo risorto costituisce un luogo di mediazione tra
infinito e finito: l‟uso dell‟immagine, in questa prospettiva, è espressione di mediazione. Tali considerazioni, come ha
rilevato Bonaccorso, in occasione del recente Convegno di Ecclesiologia “Il compiersi del corpo ecclesiale”
troverebbero delle corrispondenze assolutamente straordinarie, ai fini di una riflessione sull‟Intero, in alcuni esiti della
ricerca delle scienze esatte, legati essenzialmente alla teoria della complessità. In tale prospettiva di pensiero ad
esempio nello studio della coscienza non viene adottata un‟ottica riduzionistica, poiché si ritiene indispensabile studiare
non soltanto il cervello ma soprattutto il corpo nelle sue dinamiche. La complessità stessa è l‟origine della coscienza: il
modello di riferimento più idoneo sembra essere quello reticolare, il formarsi della coscienza inizia con la dimensione
del preconscio. L‟idea è sempre quella di essere già da sempre anticipati e l‟oggetto non è mai dato ma diventa
un‟ipotesi d‟azione. In quest‟ottica scienza e religione sembrano ritrovare consonanze assai significative. In questi
termini ridiventa centrale la ritualità che finirebbe per qualificarsi come realtà interattiva a diversi livelli. Questi pochi
accenni alle tendenze della teologia contemporanea con i loro risvolti scientifici non hanno la pretesa di tematizzare il
rapporto tra la teologia di Peirce e quella contemporanea, che certamente esula dal presente studio, piuttosto l‟esigenza
è quella di comprendere che il pensiero del filosofo americano si declina in tante forme: le diverse anime dello
scienziato, del teologo, del logico, del semiologo nonché del metafisico incredibilmente convengono, si armonizzano,
e, non solo, si implicano reciprocamente, per cui non è possibile considerare l‟una senza l‟altra, esse nel loro insieme
restituiscono un‟immagine unitaria dell‟autore. 21
Qui Peirce s‟inserisce nella tradizione, in particolare sul solco hegeliano, poiché sembra mutuare la nota critica
hegeliana ai postulati kantiani. Nelle pagine sulla moralità, contenute nella Fenomenologia, Hegel critica l‟attività del
postulare, poiché è da essa che scaturiscono gravi contraddizioni che non permettono di conciliare reale e ideale.
Sebbene certamente i contesti siano diversi, mi sembra che sostanzialmente qui le tesi dei due autori possono trovare
delle consonanze.
22
quale l‟origine riscrive sempre se stessa. Dio apparirebbe come quel foglio originario su cui
è possibile scrivere il processo che dà alla luce i significati. In questa prospettiva Dio si
qualificherebbe come dimensione segnica costitutiva. Ma se queste considerazioni possono
essere sintetizzate da queste due parole chiave: simbolo e ipotesi, la terza parola da
aggiungere potrebbe essere quella di somiglianza. Infatti lo Spirito corrisponderebbe al
ground, nella misura in cui articola quel movimento imprescindibile, in virtù del quale si
rende possibile il discontinuo nel fondo del continuo, il determinato nel cuore
dell‟indeterminato, l‟a priori nel contingente, rivelando cosi la sua destinazione assoluta
come struttura (analogica), all‟interno della quale si legge il rapporto tra identità e
differenza, ovvero il gesto dell‟origine, di cui il gesto simbolico si fa ripetizione. Dio
assemblea tutte le relazioni possibili, ma per dar conto di questo deve renderle contingenti.
Ma questo movimento coincide con il movimento proprio della somiglianza, perché
determinare significa rendere simile qualcosa a qualcos‟altro. Ecco che qui sembra
anticipata la linea argomentativa adottata nella riflessione teologica della maturità ma anche
le coordinate dell‟intero sistema peirceano, a conferma della sua coerenza e continuità22
.
Questa analisi che potrebbe sembrare una lunga digressione, rispetto all‟argomento del
presente lavoro, in realtà costituisce, a mio avviso, un primo esempio del modo in cui sono
profondamente radicati i nessi tra le varie riflessioni dell‟autore.
2) Dall’essere al segno: metafisica e logica
Dopo l‟analisi volta ad accennare i possibili nessi all‟interno del sistema peirceano tra
l‟esordiente semiotica e gli altri universi filosofici dell‟autore, riprendiamo l‟analisi di A
Treatise on Metaphisics del 61, per comprendere la posizione di Peirce in merito alla
tradizione, in particolare alla filosofia trascendentale, e al rapporto tra la riflessione sul
segno e le singole scansioni, attraverso le quali si rintracciano i passaggi fondamentali dalla
possibilità all‟essere, dalla verosimiglianza alla verità, cosi come si configurano nel testo
suddetto. Gli esiti di questa analisi dovrebbero mostrare come il progetto semiotico
22
Sicuramente la ricostruzione elaborata da N. Bosco della riflessione religiosa di Peirce offre un esempio del modo in
cui quest‟ultima s‟integri organicamente con le diverse dottrine del filosofo. Infatti l‟autrice afferma: “Quanto
all‟esercizio che Peirce fa della filosofia della religione e della teologia razionale, la loro integrazione colla logica, la
metafisica, la faneroscopia, la cosmologia,la psicologia, l‟etica, l‟estetica è fin troppo scoperta […]. Quanto alla loro
incoerenza pragmatica, essa può essere presunta solo da chi intenda il pragmatismo o come un banale prassismo, o
come un empirismo radicale di tipo jamesiano o neopositivista; ma svanisce, appena si tengono presenti le
caratteristiche del pragmaticismo di Peirce. Questo è infatti in primo luogo il tentativo, nell‟insieme considerevolmente
riuscito, di conciliare le ragioni dell‟empirismo e del prassismo con quelle importanti dell‟idealismo. Si potrebbe
riassumerlo nell‟affermazione che non si vive per l‟azione, anche se l‟azione è necessaria, ma per l‟evoluzione organica
del significato razionale nella realtà e nell‟intelligenza […]. La filosofia della religione “resiste al confronto delle
successive, più raffinate formulazioni, che presentano la regola (pragmatica) come un criterio per la definizione degli
accessi operativi al significato dei concetti, o per l‟adozione delle ipotesi e la pratica dell‟inferenza, o per la
chiarificazione della metafisica. Peirce indica infatti quali sono gli atteggiamenti e i comportamenti teorici e pratici che
permettono di fare, o rifare, o riconoscere un‟autentica esperienza religiosa e una corretta riflessione teologica”. N.
Bosco, op. Cit, pp.190-191-192, passim.
23
scaturisce da una riflessione di tipo metafisico. Conformemente a questo scopo significative
risultano le argomentazioni che Peirce conduce in riferimento alle diverse forme di
trascendentalismo in A Treatise on Metaphysics: Peirce considera tre forme di
trascendentalismo, che denomina trascendentalismo psicologico, trascendentalismo
dogmatico e trascendentalismo logico, attribuendo il primo a Kant, il secondo a Hume, e il
terzo ad Hamilton. La prima forma di trascendentalismo ovvero quella kantiana viene
identificata con quella forma di conoscenza che si fonda sull‟Io penso; la seconda, che
corrisponde alla prospettiva di Hume, viene concepita com quella conoscenza che deve
fare i conti con le premesse ultime, poiché ogni conoscenza è una sequela di sillogismi, e
quindi l‟obiettivo deve essere quello di pervenire alle premesse maggiori; la terza, quella
identificata con la posizione di Hamilton, viene considerata come quella conoscenza che
deve sottoporre a verifica le astrazioni per comprendere la loro tenuta logica ovvero la
loro eventuale contraddittorietà.
Delineate queste tre forme di trascendentalismo, Peirce critica il loro modo di approcciarsi
alla metafisica. Il trascendentalismo psicologico ritiene che la metafisica potrebbe
approdare ad esiti certi, qualora trovasse un principio capace di fondare „l‟autorità della
coscienza‟. Peirce ribatte dicendo che quest‟ultima è da ritrovare all‟interno della
coscienza, e d‟altra parte se ciò non accadesse, si dissolverebbe la validità delle scienze e
dello stesso psicologismo trascendentale. II trascendentalismo dogmatico asserisce che la
metafisica non può assumere premesse senza giustificarle, ma Peirce ribatte dicendo che la
metafisica non si avvale di premesse, sue proprie, piuttosto essa deve qualificarsi come
pura analisi dei concetti. Infine il trascendentalismo logico ritiene che la metafisica risulta
infondata, tranne che riesca a verificare la non contraddittorietà dei suoi concetti. Ma anche
questa argomentazione, secondo Peirce, non è legittima, poiché l‟autocontraddittorietà è
propria dei giudizi; i concetti, prosegue Peirce, non possono essere contraddittori, “in the
right use of reason, for No A is not-A”23
.
Poste in evidenza queste critiche, Peirce ritiene che la metafisica in Kant approderà ad una
prospettiva di tipo fideistico, tant‟è che le idee della ragione, sebbene non dimostrate, sono
credute da Kant. Riguardo a questa dimensione della fede Peirce ritiene che, diversamente
da Kant e da altri che hanno distinto fede da conoscenza, laddove c‟è fede c‟è conoscenza.
La fede dal pensatore americano viene concepita come una possibile metodologia per
arrivare alla verità, comincia a farsi strada l‟idea che la fede non è così separata dalla
conoscenza, poiché qui con la parola fede Peirce allude a quell‟istinto a congetturare, ad
ipotizzare, che costituirà un tema centrale degli scritti più maturi. Comunque Peirce, dopo
avere sottolineato gli errori del dogmatismo e del trascendentalismo, ritiene che proprio alla
luce della funzione della fede sul piano metafisico, il trascendentalismo viene valorizzato.
Infatti così si esprime: “Transcendentalism as a study of the out-reaching of the human
mind retain its full value”24
.
23
W1:74. 24
W1:79.
24
Ora se accettiamo di concepire la metafisica come analisi dei concetti, e allora, afferma
Peirce, non possiamo prescindere dalla questione circa il modo in cui si configura l‟accordo
tra i nostri concetti e il mondo esterno. Per rispondere a questa problematica il pensatore
americano ritiene che la stessa metafisica ci fornisce tre principi guida che s‟identificano
con i concetti di Truth, Innateness, Externality. Ci soffermeremo su questi concetti, per far
comprendere come dall‟analisi di questi ultimi scaturisce la triade segnica. È come se il
segno con i suoi strati venisse fuori proprio dallo spartito metafisico, come se ritagliando
questi concetti venisse fuori una struttura, che è quella nella quale si riconosce il segno
stesso. E allora prendiamo in considerazione il primo concetto, la verità. In essa è possibile
riscontrare tre livelli che progressivamente si approssimeranno alla verità e cioè
verisimilitude, veracity e verity. Che cosa intende Peirce con verosimiglianza? Essa viene
identificata con l‟accordo che si stabilsce in virtù di una rassomiglianza tra una
rappresentazione e il suo oggetto. Peirce afferma: “I call this [la rassomiglianza]
verisimilitude, and representation a copy”25
. Qui quando parla di rappresentazione Peirce,
per quanto ancora la sua riflessione sia ancora in nuce, non è difficile riconoscere ciò che
affermerà dopo con maggiore chiarezza nei saggi successivi, e cioè che la rappresentazione
non si identifica con un„immagine mentale, poiché non stabilisce un rapporto di
corrispondenza con l‟oggetto, essa esprime la rappresentabilità dell‟oggetto, e in questo
senso, essa presenta un oggetto possibile. Infatti, afferma Peirce, se la rassomiglianza viene
assolutizzata, essa stessa si rinchiude in se stessa, implode, diventando identità. Quindi la
rassomiglianza deve essere in se stessa relativa, deve avere un limite, ma questo limite non
la riduce, ma al contrario rende possibile la sua capacità esplicativa. Lo statuto della
verosimiglianza è infatti quello di qualificarsi verità parziale. D‟altra parte, afferma Peirce,
“Truth has no absolute antithesis”26
. Questa è un‟affermazione molto significativa, poiché
permette di capire che lo spazio di occorrenza della verità non è interamente occupato dalla
verità, nel senso che la verità risulta essere un processo, di cui l‟inizio è caratterizzato da
una commistione di vero/falso. La falsità non costituisce allora un‟antitesi assoluta alla
verità. Ma anche il falso è una rappresentazione, essa è una copia imperfetta della verità,
quindi la verosimiglianza è falsità: nella verosimiglianza convivono il vero e il falso. Qui è
come se Peirce immaginasse l‟Essere dotato di stratificazioni interne, una sorta di rispetti,
come se contemplasse al suo interno la presenza di negazioni.
La veracità consiste in una connessione che si instaura tra la rappresentazione e il suo
referente. La rappresentazione viene denominata segno: è utile precisare che il segno non
ha un significato generico, poiché corrisponde esattamente a quello che nelle tricotomie
della semiotica matura, viene denominato indice ovvero quella rappresentazione che non ha
alcuna rassomiglianza con il referente, poiché ha la funzione piuttosto di indicarlo, come
può accadere nel caso di un segnale stradale, il quale si caratterizza per il fatto che denota
qualcosa. Anche qui siamo di fronte ad una dimensione che non può possedere interamente
verità, poiché essa è destinata al contingente, infatti, se l‟identità del segno, in questo caso,
25
W1:Ibidem. 26
W1:Ibidem.
25
risiede nella connessione con l‟oggetto, il segno non è da sempre segno ma diventa segno.
E quindi anche in questo caso la veracità non può identificarsi con la verità.
Ma, secondo Peirce, se si assolutezza il concetto di veracità, essa si identifica con la natura
delle cose. “The nature of a thing is that which it derives from its origin. Derivation not in
time is the relation of accident to substance. Hence, an invariabile connection in the nature
of things is unity of substance. The qualities of things are founded in the nature of things;
hence, unity of substance implies perfect correspondence of qualities”27
. Da qui si perviene
al concetto di verity, infatti, afferma Peirce, “Since conceptions perfectly correspond with
qualities and since they have a connection therewith in the nature of things, they are types of
things”28
. In questo caso il rapporto tra cose e segni è ascrivibile alla verità. Questo
passaggio è espressione del modo in cui Peirce vede nel segno un vero e proprio
movimento, grazie al quale la dimensione convenzionale del segno sembra assestarsi
proprio sulla natura delle cose, d‟altra parte la stessa natura delle cose risulta garantita
proprio da quest‟ultima. Il convenzionale si qualifica come l‟unica ribalta possibile per il
reale. La verità è nei concetti, ma la misura della verità è custodita dalla natura delle cose.
Le considerazioni che seguono nel testo di Peirce sulla nozione di Innateness e di
Externality, a mio avviso, confermano e l‟intenzione di collocare sempre all‟interno di un
universo “metafisico” la riflessione sul segno e di porre in una linea di continuità materia e
mente, possibilità ed essere, natura e convenzione. Infatti il prosieguo dell‟analisi della
mente attraverso la nozione di Innateness contribuisce a chiarire il tipo di rapporto tra questi
dualismi. Prima di entrare nel merito della spiegazione di questo concetto denominato da
Peirce Innateness è opportuno tenere presente che per Peirce tale nozione non
corrisponde a quello che intende la tradizione del pensiero filosofico ovvero le idee innate,
le verità eterne. Peirce riferendosi a questo termine intende ciò che è in nuce nel pensiero,
ciò che è ancora non articolato. Per avere un‟idea di quello che intende dire qui Peirce con
tale termine, potremmo richiamare il termine ingenuo, con il quale si intende ciò che è
connaturato e in quanto tale è ripiegato in se stesso. Infatti per Peirce l‟innateness non ha
riferimento all‟esterno, e in questo senso non è né vero, né falso, è ciò che ancora si
mantiene dentro, contratto all‟interno della mente. In questi termini, secondo Peirce anche il
pensiero, quando ancora non si è dispiegato, si trova in una condizione equivalente a quella
della sensazione, la quale si configura come qualcosa di connaturato, nel senso che il
vedere, il sentire, non sono azioni che si apprendono dall‟esterno, nessuno insegna a vedere
o a sentire, esse si danno così come sono connaturate all‟uomo, e in questo senso le
sensazioni non sono né vere né false. Sembra qui che Peirce voglia attribuire alla
dimensione innata un carattere di riserva, da cui emergerà qualcosa che potrà estrinsecarsi
con il concetto. Ciò che si pone in evidenza è che qui innato non significa un concetto vero,
incontrovertibile, ma una sorta di dimensione che i concetti in una condizione di latenza
abitano senza essersi accordati con il principio di non contraddizione. Infatti Peirce
afferma: “Each element of thought is a motion of the mind. In each element of thought it is
27
W1: 80. 28
W1:Ibidem.
26
innate. It is innate in its possibility. It is true in its actuality”29
. Peirce vuole porre l‟accento
sul fatto che ogni pensiero implica movimento, le facoltà del pensiero dalle più elementari
alle più complesse realizzano se stesse nell‟azione. Il senso del movimento del pensiero sta
nell‟esplicare, nell‟articolare la possibilità in attualità, attribuendo caratteri all‟essere: questo
è un atto di costruzione, la cui legittimità, comunque sta nella natura della mente e nella sua
omologa, la realtà. Nelle proposizioni precedentemente citate si dà conto di quel
movimento proprio del segno, grazie al quale, si istituiscono significati, che rendono
appunto attuali le cose, perché è in essi che si riconoscono le cose, e soprattutto nella loro
stratificazione. Il significato compiuto o simbolo inizia la sua storia a partire dalla base del
segno, è li che appare, negli altri gradi del segno si consolida.
Infine la nozione di externality fornisce un‟altra coordinata importante per assestare
all‟interno di un quadro di riferimento metafisico la dimensione del segno. Con tale termine,
che già veniva usato da Hamilton e da Reid, Peirce intende ciò che si può qualificare come
esteriore o rispetto ai processi mentali o all‟interno del pensiero, nella misura in cui ciò che
è esteriore diventa l‟oggetto della riflessione del pensiero stesso. L‟esteriorità pone le
condizioni dell‟esperienza della dualità, la quale si può realizzare o all‟interno del pensiero
o nell‟impatto con il mondo esterno che esiste indipendentemente dalla dimensione mentale.
Peirce in merito all‟externality afferma che “All unthought is thought-of”30
, infatti il
soggetto si ritrova ad avere il concetto di infinito, nonostante non sia conoscibile.
Proseguendo la riflessione Peirce afferma che: Se si pensa il carattere di una cosa ovvero il
suo essere, quest‟ultimo è pensato in una relazione di differenza con il carattere di un‟altra
cosa. E così argomenta “To think of a think in such a way that our conception has a relation
to that thing. When we think of a thing‟s being blue, we think of blue things, in general.
When we think of a thing‟s being long, we have a reference to those that are short. In the
same way, any unthought which is not thought of as thought, is by the relation of complete
negation, negatively thought of as unthought”31
. Quindi anche l‟impensato ottiene
cittadinanza nel pensiero, d‟altra parte già la tradizione idealistica e quella materialistica
giustificano tale impostazione: dall‟idealismo, afferma Peirce, scaturisce il principio
secondo il quale nulla esiste che non sia pensabile come pensato e dal materialismo che il
non pensato non esiste affatto e che quest‟ultimo può essere pensato come viene pensata la
perfezione ovvero Dio. Quindi, conclude Peirce, esistono tre mondi: materia, mente, Dio.
Tali universi sono distinti ma identici nella sostanza, ed è per questa ragione che ciò che
viene partorito dalla mente, e quindi anche i suoi elementi innati sono in accordo con
l‟esteriorità. Tale accordo risulta governato da una vera e propria armonia e in questo modo
il filosofo risponde alla questione che si era posto relativamente al modo in cui i concetti
potevano qualificarsi come veri rispetto al mondo esterno.
Il modo in cui Peirce argomenta sembra veramente animato dall‟idea di ripensare la realtà a
partire dal segno, ma trasferendo in esso tutti gli insegnamenti della tradizione metafisica
29
W1: 82. 30
Ibidem 31
Ibidem.
27
che, declinata nella forma segnica, finisce per assumere una veste del tutto inedita,
proponendo soluzioni nuove a questioni classiche.
E se da un lato il segno sembra stagliarsi sullo sfondo delle coordinate del pensiero
metafisico, dall‟altro, in altri scritti, successivi di pochi anni al saggio del 61, si pone in
evidenza la prospettiva prettamente logica da cui Peirce intende partire per edificare la
struttura segnica.
3) La nozione di rappresentazione e la triade segnica
Forse prima di On a New List of Categories, è opportuno seguire l‟analisi del concetto di
rappresentazione, così come si configura in Logic of the Science (1865) per dar conto
delle coordinate del concetto di ground. Ad apertura di questo testo Peirce indugia sul concetto
di rappresentazione, sottolineando che la logica si occupa delle diverse forme assunte dalla
rappresentazione. Il modo in cui Peirce tratteggia tali forme sembra caratterizzato dalla
ripresa di alcuni concetti base della tradizione, che nell‟impianto peirceano risuonano in
modo nuovo, manifestando nuove angolazioni ed inedite prospettive. Una rappresentazione
non deve essere considerata un„immagine mentale e Peirce avverte che il suo intento è
quello di considerare le rappresentazioni nella loro totalità cioè anche quelle che non sono
relative alla mente. Insomma qui Peirce intende già fornire un concetto di rappresentazione
che non coincide affatto con il modo soggettivo umano di approcciarsi alla realtà ma, al
contrario sta cercando di guadagnare i passaggi per provare l‟intrascendibilità della
dimensione rappresentativa. Per quanto un concettualista, afferma Peirce, potrebbe pensare
che i concetti di fatto dispiegano l‟astrazione, denotata dalla parola, ma non ciò che
appartiene intrinsecamente alla cosa, in effetti la mente stessa è stata organizzata secondo un
modello che è quello della rappresentazione naturale. Insomma, secondo Peirce, sarebbe
falso pensare che l‟uomo potenzi l‟uso delle parole rispetto a qualsiasi parola che impiega,
poiché in tal caso le parole diventerebbero mezzi delle astrazioni e queste ultime veicolate
dalle parole non potrebbero certo pretendere di rappresentare la cosa cosi come è in se
stessa. Tale impostazione è completamente rifiutata, poiché questo creerebbe un diaframma
tra la rappresentazione e la realtà. Se ci fossero le cose da una parte e le rappresentazioni
dall‟altra, ciò significherebbe postulare l‟idea di qualcosa non suscettibile di
rappresentazione, ma, prosegue Peirce, se si ipotizzasse l‟idea di qualcosa non ascrivibile
alla dimensione rappresentativa, essa non potrebbe essere rappresentata, poiché “[.…] An
object represented is a representation of the same object in itself. But the supposition of
anything unrepresented, is self-contradictory since that which is supposed is thereby
represented. Hence all is representative”32
. Ma se stanno così le cose, sarebbe tutto un
indifferenziato, nel senso che non avremmo alcuna grammatica per distinguere le
articolazioni del rappresentativo, essenzialmente per capire “i suoi nomi, la sua materia, la
sua storia”. Ora l‟unica grammatica per capire le distinzioni fondamentali all‟interno della
32
W1:324.
28
dimensione rappresentativa è proprio quella segnica, la quale sembra proprio assolvere al
compito non soltanto di stratificare la rappresentazione ma di renderla possibile,
dispiengandone i movimenti. E quindi sin dal suo esordio la teoria del segno nasce e per
portare alla luce i diversi strati che si sedimentano nella dimensione rappresentativa, per
trasformare in energia ciò che sembrerebbe non ulteriormente riducibile e nello stesso
tempo per fornire un vero e proprio piano su cui rendere possibile la sua articolazione.
La capacità rappresentativa non ha a che fare con la facoltà di riprodurre le cose, e da qui
scaturisce l‟idea che la rappresentazione con tutte le sue scansioni segniche può adoperarsi
al fine di approntare un‟ontologia da spendere in modo trasversale, perché indispensabile e
al piano semiotico, logico, epistemologico, nonché a quello matematico. Qui a mio avviso,
si traccia già la strada maestra del pensiero peirceano, poichè si coagulano intorno alla
parola rappresentazione tanti concetti basilari che saranno propri dei saggi del „68 e della
filosofia matura di Peirce: l‟idea di una continuità tra mente e realtà, la negazione di una
conoscenza immediata dell‟essere, se non declinato nelle forme della rappresentazione, e la
valorizzazione di una dimensione dell‟immagine che si rivelerà fruttuosissima nella semiotica
matura.
E allora è necessario esercitare una sorta di speleologia dentro la rappresentazione per
scoprirne i suoi strati: la rappresentazione è costituita da un oggetto, da una mente e da un
ground. La rappresentazione implica sempre un oggetto di riferimento, una mente, che non
coincide con gli elementi soggettivi della mente umana, poiché essa non ha un‟accezione di
tipo psicologico, e un ground33
ovvero, afferma Peirce, “Or reason which determines it to
represent that object to that subject”34
.
A partire già da questa classificazione emerge dalle stesse parole di Peirce il carattere
costitutivo del ground, poiché Peirce immediatamente dopo aggiungerà che se cerchiamo un
discrimine tra le varie rappresentazioni, questo è da ravvisare nelle differenze tra i diversi
tipi di marks. Le differenze delle rappresentazioni sono apprezzabili in termini di marks (le
diverse tracce del segno). Ma seguendo i passaggi del filosofo americano, i marks sono dati
dal rinvio ora al soggetto ora all‟oggetto ora al ground, quindi le differenze tra i marks
diventano tali rispetto a ciò a cui rinviano. Ma ciò che permette di assemblare i diversi tipi
di rinvii è il ground (l‟interrelazione) della rappresentazione, e allora una differenza in
quest‟ultima si riflette in tutti gli altri “marks”.
“ Now the ground of a representation has three marks:1st) It determines representation to refer to a
certain Object; 2st) It determines that representation to refer to it; 3rd; It determines that
representation to refer to a certain subject. These marks of determination. Now a determination is
in reference to another determination either mediate or immediate; that is, it either result from the
33
Il termine ground compare per la prima volta in Logic of the Sciences e in Lecture II, scritti durante l‟inverno del
1865, secondo la ricostruzione dei manoscritti contenuta nei Writings. Nel primo viene fornita la seguente definizione:
“[…] Whatever is must have a ground for being; that is, it must have qualities or marks and it is on ly in virtue of them
that it is” W1:332. Nel secondo scritto Peirce afferma: “What we seek i san explicit statement of the logical ground of
the logical ground of these different kinds of inference”. W1:183. 34
W1:327.
29
latter or not. The second of the above determinations is absolutely immediate and the others are
mediate in reference to it. Hence they are proximate differences of the ground and hence they are
proximate differences of representation”35
.
È opportuno focalizzare il secondo mark, poiché esso è immediato e gli altri sono mediati in
riferimento ad esso. L‟aspetto interessante sta nel fatto che questo mark immediato si trova
collocato al secondo posto della triade, se pur immediato. Ciò non è una svista o una
contraddizione, a mio avviso proprio qui nella fase di gestazione del ground, preoccupato
del fatto di non creare equivoci, Peirce vuol porre in evidenza che, sebbene il responsabile
della messa in atto del processo segnico è il ground, quest‟ultimo non si pone in modo
irrelato, ma si trova già da sempre inserito nella catena segnica, nell‟atto di costituzione di
essa stessa. Insomma ciò che si vuole dire è che non c‟è un momento in cui il ground operi
dall‟esterno per preparare la catena, quest‟ultima si dà nel momento stesso in cui il ground è
già coinvolto e le determinazioni sono state esplicate. Queste ultime una volta date,
riconducono al ground come loro atto di ricomprensione. Quindi quando Peirce parla di
mark immediato non vuole riferirsi al ground come ad un primum, ma come a ciò che si
costituisce come relazione originaria, e in quanto tale disponibile solo in modo mediato. I
passaggi successivi sono più espliciti riguardo al ruolo del ground svolto all‟interno della
triade segnica: in considerazione del fatto che le rappresentazioni fondamentali sono tre,
Peirce afferma che una rappresentazione, che si caratterizza per il fatto che l‟oggetto è
determinato dal suo soggetto si chiama segno (che corrisponderebbe all‟atto convenzionale
con cui due soggetti denotano alcune cose con determinati segni); “Representations whose
subject and object depend immediately upon the ground and not upon any character of
either”36
vengono chiamate copie. Il ground in qualsiasi caso deve essere un carattere della
rappresentazione che lo connette con il soggetto e l‟oggetto. Peirce, prosegue per chiarire
meglio la natura del ground e lo equipara ad una sensazione. “[….]A sensation agrees
immediately with the thing in affecting the sense and with the mind in being affected by the
thing. It is this sort of representation also which a picture is”37
. Infine vi sono le
rappresentazioni che si identificano con i concetti ovvero con le parole che sono divenute
segni e che vengono definite simboli. Più avanti Peirce dirà che il ground è pura relazione, è
accordo che può realizzarsi e nel soggetto e nell‟oggetto o nella loro connessione. Non è un
caso che Peirce identificherà il ground con la forma, l‟oggetto con la materia e il simbolo
con l‟entelechia. Quindi, in base ai passaggi analizzati si può confermare, a mio avviso, che
il ground rende possibile l‟esibizione e la connotazione dell‟oggetto, il prodotto del lavoro
del ground è quello che viene denominato copy. Qui il termine copy è sostanzialmente
coincidente con il termine image, likeness, resemblance, similarity, per quanto l‟uso di
ciascuno di volta in volta di questi termini svela angolature sempre diverse ma, al tempo
stesso, sempre cumulabili, esplicative e quindi funzionali a comprendere il movimento
35
W1:327-328. 36
Ibidem. 37
Ibidem.
30
attivato dal ground, grazie al quale la relazione da esso espressa diventa disponibile e si
offra come un che di determinato. In particolare la scelta di usare il termine copy deriva dal
fatto che Peirce vuole sottolineare il fatto che essa prescinde dal soggetto e dall‟oggetto,
perché la copy è essa stessa relazione, ma oggettivata, posta: è nell‟accezione di esempio,
modello che il termine copy qui va inteso: esempio, nel senso che in esso vengono contratti
all‟interno di una determinatezza i due termini della relazione, in questo caso soggetto e
oggetto. Se da una parte, potremmo dire, il ground, qualificandosi come relazione, è come
se, assemblando tutte le possibili relazioni, fosse così in grado di mostrare quell‟apertura
originaria, grazie alla quale il reale può essere immesso nel processo di significazione,
dall‟altra è all‟interno della dimensione segnica, di cui il ground è elemento mediato e
immediato, fondamento e fondato, che è possibile approcciarsi all‟essere. Infatti non
dobbiamo intendere l‟essere come noumeno, perché di quest‟ultimo anche se in modo
parziale, è possibile catturare indefinitamente sempre volti inediti. E quindi, pur con tutte le
differenze, la lezione trascendentale mantiene il suo valore, poiché l‟oggetto non è mai
disponibile nella sua interezza, ma sempre a condizione che all‟interno di una relazione
originaria si diano insieme e in un vincolo imprescindibile essere e la sua qualità, poiché ciò
che è deve avere un ground. L‟essere è disponibile se è già immesso in una relazione
possibile. Se si concorda sul fatto che fenomeno e concetto non sono mai cosi divaricati
nella riflessione kantiana, e che la funzione del trascendentale è proprio quella che permette
la loro osmosi, la prospettiva di Peirce, a mio avviso, se pur sviluppa una impostazione di
tipo fenomenologico, già presente nei primi scritti, apparirà comunque legata a presupposti
riconoscibili come trascendentali. Il ground si fa sorgente del significato e dell‟oggettività
e, in quanto tale, della sua possibilità. È chiaro che non stiamo parlando dell‟interezza
dell‟oggetto, ma non perché permane la differenza tra fenomeno e noumeno, ma perché
dell‟oggetto possiamo scoprire in fieri sfaccettature sempre nuove, sebbene parziali. Questa
impossibilità di cogliere l‟oggetto nella sua interezza, che per Peirce si traduce in una
radicale inconcepibilità dell‟inconoscibile, conferma il veto kantiano relativamente alla
possibilità di cogliere il primum. E sgombri, già a partire da Kant, da qualsiasi realismo
ingenuo, in Peirce più che mai emerge la consapevolezza che oggetto e pensiero non
possono sussistere indipendentemente dalla relazione propria del ground, nella quale
prendono forma correlato e interpretante. Peirce, infatti, in diversi scritti tra il „65 e il „66, si
richiama a Kant per porre in evidenza come anche in Kant il fenomeno non si qualifica
come mero dato. In Logic Notebook (1866) Peirce afferma, rinviando ad un passo della
critica della Ragion pura, che nel fenomeno bisogna riconoscere una regola, ed essa deve
qualificarsi come necessaria e in Fraser‟s The Works of George Berkeley 1871 Peirce
commenta la rivoluzione copernicana operata da Kant come una filosofia essenzialmente
fondata sull‟idea che l‟oggetto viene pensato come determinato dalla mente e che
essenzialmente i concetti e le intuizioni devono sorreggere l‟esperienza, perché essa possa
configurarsi come unitaria. E tale riduzione all‟unità non è arbitraria, ma possiede validità
obiettiva. Kant nella Critica della ragion Pura afferma:
31
“Le categorie, quanto alla loro origine, non si fondano sulla sensibilità – come avviene invece per le
forme dell‟intuizione, spazio e tempo – e sembrano quindi permettere un‟applicazione estesa al di là
di tutti gli oggetti dei sensi. Ma d‟altro lato esse non sono, per parte loro se non forme di pensiero,
che contengono semplicemente la facoltà logica di riunire a priori in una sola coscienza il dato
molteplice dell‟intuizione”(Le apparenze, in quanto sono pensate come oggetti in base all‟unità
delle categorie, si chiamano phenomena. p. 322 C.R.P.)38
.
Quindi già Kant ritiene indispensabile porre in evidenza che il fenomeno, sebbene non
costruibile all‟interno dei concetti, esso è riconoscibile come tale, a patto che venga
disciplinato dall‟azione del trascendentale, che s‟identifica con la facoltà di sintetizzare il
molteplice. Quindi se il fenomeno non è semplice datità, esso è codificabile, perché rivela
una relazione interna con il pensiero, è questa relazione, che permette di istituire
l‟oggettività in quanto tale. Tenendo presente i frequenti richiami a Kant, anche negli scritti
successivi ai testi qui analizzati, Peirce si esprime in questo modo:
“È vero che Kant considera lo spazio e il tempo come intuizioni, o piuttosto forme di intuizione,ma
non è essenziale per la sua teoria che l‟intuizione significhi qualcosa di più che “rappresentazione
individuale”. L‟apprensione dello spazio e del tempo, secondo lui, risulta da un processo mentale –
la “Synthesis der Apprehension in der Anschauung” (vedi Critik d. reinen Vernunft, Ed 178, pp. 98
et seq.). La mia teoria è un semplice resoconto di questa sintesi”39
.
A dare ragione a Peirce è lo stesso Kant, il quale nell‟Estetica trascendentale afferma che
nessun oggetto può essere conosciuto dalle sensazioni, e relativamente alla distinzione tra
fenomeno e noumeno Kant si esprime in questi termini:
“Le proposizioni fondamentali dell‟intelletto puro – siano poi esse costitutive a priori (come le
matematiche), oppure semplicemente regolative (come le dinamiche) - non contengono altro se non,
per cosi dire, lo schema puro dell‟esperienza possibile. In effetti, tale esperienza trae la sua unità
soltanto dall‟unità sintetica, la quale è conferita originariamente e spontaneamente dall‟intelletto
alla sintesi della capacità di immaginazione, in rapporto con l‟appercezione, e con la quale le
apparenze – come data di una conoscenza possibile – debbono già a priori stare in relazione e in
accordo”40
.
Il fenomeno è riconoscibile come tale nella misura in cui si fa espressione della regola della
sintesi, che è l‟autrice della sua identità, e allora il fenomeno lungi dal rappresentare la
riproduzione di qualcosa, esso è da intendere come Bild, come ciò che incarna la
dimensione del rinvio tra pensiero e oggetto. Il fenomeno, già in Kant, contrae all‟interno di
una determinatezza la relazione tra i due estremi della conoscenza, coscienza empirica e
coscienza trascendentale. Il fenomeno appare come un dato nella misura in cui diventa
38
I. Kant, Critica della Ragion pura, (trad. G. Colli), Adelphi, 2004, Milano, p 322. 39
Peirce, Questioni concernti certe pretese facoltà umane, cit., p.322. 40
I. Kant, op. cit. p.312.
32
segno di ciò che lo ha reso come tale. In questo senso non è la semplice riproduzione di
qualcosa di già dato ma la relazione che tiene insieme molteplice e regola della sintesi del
molteplice41
. Quando a proposito della immaginazione Kant sostiene che l‟immaginazione
deve operare sul molteplice perché venga fuori un‟immagine, quest‟ultima si identifica con
il fenomeno. Quindi il fenomeno testimonia l‟idea che l‟immaginazione non provvede ad
unire due elementi ritenuti separatamente sussistenti, poiché è in virtù della sintesi
dell‟immaginazione trascendentale che si può dar conto della fisionomia dell‟oggetto, e
quindi della distinzione tra empirico e trascendentale. Il trascendentale sembra proprio
consistere nel rendere possibile l‟unità dell‟esperienza, indispensabile a che possa apparire il
molteplice, altrimenti impossibile da esperire. Esplicative le parole di Kant:
“L‟immaginazione è dunque anche una facoltà di sintesi a priori, per cui noi le diamo il nome di
immaginazione produttiva; e, in quanto essa, rispetto a ogni molteplice del fenomeno, non ha di
mira nient‟altro che l‟unità necessaria della sintesi di quello, questa può denominarsi la funzione
trascendentale della immaginazione. È quindi strano, in verità, ma dal fin qui detto nondimeno
lampante, che solo mediante questa funzione trascendentale dell‟immaginazione diviene possibile
anche l‟affinità dei fenomeni, e con essa l‟associazione, e per questa, infine la riproduzione secondo
leggi, e conseguentemente la stessa esperienza; poiché senza di essa nessun concetto di oggetti
potrebbe punto confluire in una esperienza”42
.
Se la dimensione del segno peirceano è collocabile comunque all‟interno di una prospettiva
trascendentale, sebbene evidentemente si tratti di un trascendentale rivisitato, forse diventa
più chiara la sfida a cui è chiamato il ground: da esso dipende la deduzione dell‟oggetto, e al
tempo stesso l‟istituzione del significato, che sarà veicolata sino al simbolo. Le
considerazioni precedenti ci aiutano a comprendere che la questione del ground, sebbene
originalissima e fondamentale nella prospettiva peirceiana, a mio avviso, affonda le sue
radici nella tradizione del pensiero kantiano. Soprattutto in questi scritti giovanili Peirce si
prefigge di raggiungere l‟obiettivo che, dalla sua prospettiva, Kant non ha realizzato e che
per altro Kant non poteva realizzare nella direzione che intraprenderà il filosofo americano.
Come è stato ricordato precedentemente, secondo Peirce il problema è quello di capire come
le categorie, che sono sintetiche, possono esserlo a partire dalla loro indeterminatezza,
generalità. Insomma è necessario comprendere come le categorie costruiscono il proprio
concetto, così come accade, secondo Kant, ai concetti geometrici. 41
Tale lettura risulta incoraggiata da una indicazione di C. La Rocca, il quale afferma: “i fenomeni non vengono
indagati in quanto sono oggetti (ossia sono in senso lato datità, anche datità psichiche o rappresentazioni), ma in quanto
designano ciò che in essi determina la loro leggibilità come oggetti, la struttura necessaria della loro apprensione: in
quanto sono espressione segnica sensibile, icona dell‟oggetto in generale come correlato delle categorie”. C. La Rocca,
Strutture Kantiane, Ets Editrice, p. 41. Tali considerazioni mi sembrano in linea con quanto afferma R. Fabbrichesi Leo
riguardo al metodo morfologico di Goethe: “la morfologia è lo studio delle forme in trasformazione, dunque non della
Gestalt ma della Bildung […] formazione per indicare sia ciò che è già prodotto, sia ciò che sta producendosi. Lo
schema è la singola conformazione di un fenomeno che troviamo ripetuta e modificata nelle sue trascrizioni; è una Bild
che si applica alla ricerca del simil (l‟analogon) non del corrispondente (tautòn) […]. Ogni immagine esempio è dunque
trascendentale in tutta la sua empiricità materiale”. R. Fabbrichesi F. Leoni Continuità e variazione, Mimesis, Milano,
2005, pp. 80, 95, 96, passim. 42
Kant, Critica della Ragion Pura, (trad. Lombardo radice), Laterza, Roma-Bari, 1979 p. 667.Cito dalla prima edizione.
33
4) Il ground e le sue matrici trascendentali
Se dall‟essere si perviene alla rappresentazione e da essa al segno, seguendo le tracce di
questi passaggi nella ricerca delle occcorrenze del termine ground, condotta all‟interno dei
sei volumi dei Writings, si potrà constatare lo spessore logico e semiotico di questa nozione
di ground. Riprendiamo l‟iter argomentativo di Peirce: la lecture II ci permette di farci
cogliere come il ground diventi questo ampio spettro logico con cui si possono analizzare le
diverse forme di ragionamento, induzione, ipotesi e deduzione. Qui Peirce è come se
sviluppasse alcune posizioni che si apprezzeranno maggiormente nella maturità, poiché,
sebbene in Logic of the Sciences l‟autore abbia sostenuto che oggetti della logica siano i
simboli, in realtà qui facendo riferimento alle tre forme di ragionamento, sottolinea la
necessità di cercare i loro rispettivi grounds. In quanto principi logici questi non devono
riferirsi ai simboli e ai rapporti di questi ultimi con simboli equivalenti ma devono
soprattutto rivolgersi agli oggetti della simbolizzazione. Gli oggetti della simbolizzazione
sono: una cosa possibile, una forma possibile, e un simbolo possibile. Qui Peirce ricorda che
il simbolo ha un‟oggettiva relazione nella misura in cui si riferisce ad una possibile cosa, ed
è nel supportare tale cosa con una forma che crea la possibilità di una relazione soggettiva
che permette di trovare una relazione equivalente, cioè un altro simbolo. Ciò è provato dal
fatto che il simbolo è connotativo ma è anche denotativo. Cosa, forma e simbolo sono
strettamente intrecciati: “[…] The possible symbol and the possible form to which a
symbol is related each relate also to that thing which is its immediate object”43
. Quindi,
afferma Peirce, cosa, forma e simbolo sono gli elementi di ogni simbolizzazione. E allora se
il simbolo presenta una tale struttura ovvero la simbolizzazione si compone di tre oggetti, e
se la logica si occupa di simboli, diventa facile comprendere che i tre principi di inferenza
abbiano un nesso stretto con gli oggetti della simbolizzazione. Infatti il ragionamento
analitico può avere come oggetto qualcosa che si caratterizza per la sua definizione ed esso
coincide con il simbolo, poiché la definizione è resa tale dal carattere e soltanto il simbolo
concorre a fissare il carattere.
“[…] The principle of inference a posteriori must relate to symbols. The principle of inference a
posteriorimust be estabilisched a posteriori, that is by reasoning from determinate to determinant.
This is only applicable to that which is determined by what it determines; in other words, to that
which is only subject to the truth and falsehood which affects its determinant and which in itself is
mere zero. But this only true of pure forms”44
.
E allora il ragionamento a posteriori è riferibile alla pura forma. Il principio dell‟inferenza
induttiva s‟identifica con un ragionamento che dalla parte conduce all‟intero. L‟oggetto di
43
W:184. 44
Ibidem.
34
questa inferenza è il molteplice, e quindi tale principio per antonomasia si riferisce alle cose.
Quindi i grounds della possibilità corrispondono ai tre principi di inferenza. Se
precedentemente il ground costituiva l‟anello dei diversi strati della rappresentazione,
adesso il ground costituisce il nesso delle diverse inferenze. Il ground diventa una sorta di
lente d‟ingrandimento attraverso la quale è possibile comprendere come in nuce si
dispiegano lungo un asse continuo categorie ontologiche, ragionamenti, segni,
apparentemente incommensurabili. Dai grounds di possibilità apprendiamo che la forma è
essenzialmente l‟elemento fondativo e nello stesso tempo dalla prospettiva inferenziale la
forma si qualifica come l‟oggetto del ragionamento a posteriori, e allora sembrerebbe venire
fuori un ossimoro: proprio in questo ossimoro risiede l‟originalità della prospettiva
peirceana. Sul piano della simbolizzazione sappiamo già che la forma rende possibile
l‟oggetto e il soggetto o meglio che qualcosa sotto un certo rispetto, sta per un oggetto in
rapporto ad un soggetto; ma questa stessa forma è l‟oggetto del ragionamento a posteriori.
Ciò rende disponibile una indicazione importante: che la forma non è qui intesa in
contrapposizione alla materia, ma come ciò senza cui non è possibile l‟essere. L‟essere è
sempre in qualche modo, quindi in questo senso il ground è costitutivo dell‟essere, ma il
ground non si qualifica come dimensione noumenica, rispetto al quale l‟oggetto formato è
fenomeno. Il ground è l‟orizzonte entro il quale le cose acquistano identità possibili, e infatti
una prova di questo è dato dal fatto che la forma di cui stiamo parlando è l‟oggetto del
ragionamento ipotetico. Tale ragionamento per scoprire qualcosa di nuovo necessità di
forme pure, di possibilità ovvero di caratteri da cui muovere per inferire ciò che li ha
determinati. Quindi la matrice della forma è ipotetica: è la possibilità pura da cui
sgorgheranno inedite verità. Il ground, in questi termini, sembra qualificarsi come quel
movimento, grazie al quale si capisce il passaggio dall‟oggetto al pensiero.
Insomma il ground è la condizione dei possibili predicati logici, e in questo conserva ma
supera al tempo stesso il trascendentale di Kant, nel senso che, se da una parte il ground è la
sintesi del molteplice empirico, dall‟altra rompe la staticità delle forme trascendentali
kantiane e queste ultime sicuramente non si qualificano più come prerogativa del soggetto.
Il ground è ipotetico, è pura possibilità, e proprio in quanto apertura originaria di significati,
può porre le condizioni del discontinuo, provvedendo a dare ad esso una forma, una
dimensione unitaria. In questo Peirce attesta il cambiamento dei tempi: le forme
trascendentali, diversamente da Kant, non sono legate alle forme fisse dello spazio e del
tempo su cui si fondava la scienza newtoniana, ma riflettono i profondi cambiamenti
avvenuti in campo scientifico. Sebbene permanga l‟idea di una conoscenza oggettiva, la
conoscenza scientifica in quanto ipotetica, secondo Peirce, è suscettibile di continui
cambiamenti, dovuti al confronto continuo con l‟esperienza. Quindi in questo senso il
ground è dinamico, perché si adopera continuamente a che l‟inesauribile miniera
dell‟esperienza a cui attinge possa essere plasmata, affinchè prenda una forma distinta: in
questo senso è il luogo dell‟unità e della differenza, esso fa sorgere la divisione entro ciò
che è unito. Il ground e l‟esperienza sono già da sempre uniti, nella misura in cui è sempre a
partire da qualcosa “sotto il rispetto di”, che possiamo accedere al reale, soltanto all‟interno
35
di questa condizione è possibile l‟esperienza, direbbe, forse, Kant. “Il Ground è lo stesso
(self) astratto dalla concretezza che implica l‟altro”45
. In questa prospettiva la soggettività
non è la fonte del trascendentale, piuttosto il luogo in cui si manifesta il trascendentale,
poiché la soggettività è prodotta dal segno, nel senso che essa diventa distinguibile soltanto
all‟interno del segno. La soggettività è frutto di un processo inferenziale, è uno dei momenti
del segno, è in esso che assume consapevolezza. Il simbolo, il terzo livello del segno, è tale
nella misura in cui si riferisce ad un interpretante, cioè è una sorta di effetto, è una presa
d‟atto della relazione segnica, già avvenuta. E quindi la rappresentazione simbolica a cui
corrisponderebbe la soggettività risulta già compresa, costituisce il momento conclusivo,
eppure mai definitivo di un processo innescato essenzialmente dal ground. Questo
sicuramente divarica la prospettiva di Peirce da quella di Kant. Però a volte è lo stesso
Peirce a ridurre il divario, poiché in effetti il problema di Peirce è quello di evitare di cadere
nella trappola dello psicologismo, e quindi l‟obiettivo da perseguire è quello di affrancare
da forme soggettive di ragionamento. Infatti Peirce afferma che, se ha interpretato in modo
corretto il pensiero di Kant, l‟io penso non è da intendere come una percezione della propria
esistenza ma come una forma nella quale risultano identificabili gli oggetti, infatti
l‟interpretante risulta del tutto affrancato da qualsiasi carattere mentalistico, esso insorge a
partire dal movimento innescato dalla qualità e dal correlato. In diversi scritti Peirce
ribadisce che siamo noi nel pensiero e non viceversa, è all‟interno della dimensione segnica
che possiamo conoscere, e non per virtù del soggetto, semmai nella soggettività si
raccolgono i frutti dell‟operare del segno. Nella visione trascendentale di Peirce la
soggettività è sostituita da una semiosi illimitata, che contribuirà in un tempo indefinito a
delineare quel reale, che si configurerà come la sintesi dei pensieri – segni, nei quali si
riconosce una comunità. Qui, evidentemente non soltanto risulta mediata la soggettività
nella misura in cui proietta la sua azione nell‟ambito di un tempo futuro, ma si sostituisce la
rigidità delle forme del trascendentale, introducendo un carattere fallibile nella conoscenza,
poiché suscettibile di essere integrata, modificata dall‟esperienza e mediata dalla
intersoggettività. La visione trascendentale di Peirce d‟altra parte tende a concepire reale e
pensiero in continuità, ma se il trascendentale di tipo kantiano viene concepito come la
sintesi del molteplice, il divario non viene fuori cosi in modo marcato, nel senso che
l‟operazione del soggetto kantiano non ha nulla di psicologico, è assolutamente logica. Di
fatto la funzione svolta dal soggetto, affrancata da qualsiasi ipostatizzazione di tipo
psicologico o categoriale è riscontrabile all‟interno del sistema peirceano46
. Forse è ancora
45
Peirce, Un elenco di categorie (1867), cit. p. 22. 46
K.O. Apel afferma: “The answer is that Peirce‟s rejection of „Trascendentalism‟ does not refer to the idea of the
„highest point‟ of a „trascendental deduction‟but to those features of Kant‟s procedure which in Peirce‟s opinion are
psychologistic and circular [….] He by no means considers the formal logic of conceptual - or propositional –symbol as
a sufficient substitute for Kant‟s trascendental logic, but on the contrary he intiates for this purpose, with the help of
Kant‟s Copernican turn, his new „synthetic logic of inquiry‟; and he postulates in his quasi-transcendental semiotic,
besides conceptual symbols, two other types of signs which are thought to make the transit no possible from the
stimulation of sensation and the qualities of feeling to conceptions and judgements respectively. But the real basis of
this transformation of transcendental logic is provided by the fact that Peirce in 1867performed a „transcendental
deduction‟ of the three types of signs parallel with the three kinds of inferences as illustrations of the three universal
categories which are implied, as he shows, in the signs-relation (semiosis) as provisionally „the highest point‟ of his
36
utile ricordare le parole di Kant per poter mettere in evidenza l‟intima connessione tra
elemento formale e materiale:
“ […] La congiunzione (conjunctio) di un molteplice in generale non può mai entrare in noi
attraverso i sensi, e quindi non può neppure essere contenuta già nella forma pura dell‟intuizione
sensibile. In effetti tale congiunzione è un atto della spontaneità della capacità di rappresentazione,
e poiché tale spontaneità, per distinguerla dalla sensibilità, occorre chiamarla intelletto, allora ogni
congiunzione [….] è un atto dell‟intelletto, che designeremo con la denominazione generale di
sintesi, per fare così osservare, in pari tempo, che non possiamo rappresentarci alcunché come
congiunto nell‟oggetto, senza averlo noi stessi congiunto in precedenza, e che la congiunzione, fra
tutte le rappresentazioni, è l‟unica che non può essere data da oggetti, ma può essere costituita
soltanto dal soggetto stesso, poiché essa è un atto della spontaneità”47
.
Un altro passo significativo che testimonia la sinergia tra sintesi trascendentale e
dimensione empirica, dal punto di vista kantiano è il seguente:
“Che l‟immaginazione sia un ingrediente necessario della stessa percezione, non ci aveva pensato
ancora bene nessun psicologo. Il che deriva da questo: che in parte si limitava questa facoltà solo
alle riproduzioni, in parte si credeva che i sensi non soltanto ci dessero le impressioni ma anche le
componessero insieme e producessero le immagini degli oggetti, per il che senza dubbio, oltre la
recettività delle impressioni si richiede qualcos‟altro, ossia una funzione della sintesi di essa ”48
.
„transcendental logic‟ (CF. Murphy,ch.III)”. K.O.Apel, From Kant a Peirce: The semiotical trasformation of
trascendental logic., in L.W. Beck (ed), Proceedings of the third International Kant Congress, Darrecht, Reidel, 1972,
pp. 96-97. Riguardo alla questione della soggettività e in generale ad una prospettiva che vede invece divaricate le
posizioni di Kant e Peirce in merito al trascendentale. cfr. K. DecKer, Ground, relation, representation: Kantianism and
The early Peirce, in T.C.P.S., Spring, 2001 e F. Stjernfelt, Diagrammatology, Springer, 2007. Il primo, oltre a vedere la
soggettività kantiana come un elemento di irriducibile di distanza tra i due autori, ritiene che le categorie Kantiane non
abbiano alcun rapporto con gli oggetti. K. Decker afferma: “For Kant, objective validity is imply does not apply in the
case of the categories, since the categories as the forms of concepts alone are indefinable,and lack the relation to objects
which Peirce‟s categories are dependent on. Unlike Peirce, I argued, Kant shows by the very a priori nature of the
categories that they do not admit of validity because of their lack of relation to a determinate object”. Decker, op.cit.
p.198. È possibile osservare che, sebbene le categorie kantiane non dispongano della possibilità di costruire il loro
oggetto, come i concetti della matematica, in realtà tutto lo sforzo della sintesi è quello di operare una connessione del
molteplice, altrimenti destinato ad essere inattingibile. Certo Kant non attribuisce un uso trascendentale ma riconosce un
uso empirico alle categorie. F. Stjernfelt divarica eccessivamente il formale dal materiale in Kant, poiché afferma che
l‟a priori kantiano è legato alla soggettività, e che è essenzialmente identificabile con l‟elemento formale. In una
prospettiva diversa si sviluppa l‟a priori di Husserl, nel quale, secondo Stjernfelt, si riconoscerebbe l‟impostazione
peirceana. F. Stjernfelt afferma: “[….] Kant identified the distinction between a priori and empirical with form and
matter, respectively, making form the a priori contribution of the subject. Here [nella impostazione husserliana]
matter concerns the „sachhaltige‟ concepts- while the formali s identified with the general concepts holdings for all
possible objects”. F. Stjernfelt, op. cit. p. 177. Ma, si potrebbe dire che, dalla prospettiva kantiana, l‟elemento materiale
è sempre supportato dall‟elemento formale, cosi come l‟elemento formale è rivolto a render possibile l‟esperienza.
Cassirer afferma infatti: “la sintesi costituisce un processo unitario, in sé indiviso, che tuttavia può essere determinato e
caratterizzato, ora secondo la sua origine, ora secondo il suo scopo. Essa sorge nell‟intelletto, ma tosto si rivolge
all‟intuizione pura, per conseguire attraverso di essa una realtà empirica”. Cassirer, Storia della filosofia moderna,
Einaudi, Torino, 1978, p. 756. 47
I. Kant, Critica della Ragion Pura, (trad. G. Colli), p. 152. 48
I. Kant, op. cit., p. 663.
37
Questo passaggio risulta abbastanza significativo se si considera il ruolo fondativo attribuito
a termini quali copy, likeness, image in connessione con il ground, nel tentativo di mediare
tra oggetto e pensiero all‟interno dei livelli del segno.
Ora riprendendo il filo dell‟analisi di tipo logico del ground che si è delineato in questi
scritti, si comprende come i tre principi inferenziali non vivono isolati gli uni dagli altri. E
allora bisogna fare i conti con il presunto primato della deduzione e quindi è necessario
rivedere i fondamenti della logica. Ma la radicalità di questa assunzione sarà tradotta anche
all‟interno dell‟universo matematico, poiché se il movimento del pensiero obbedisce
essenzialmente a quello dell‟ipotesi, allora che ne è dell‟universo matematico
tradizionalmente inteso come il regno della necessità e dell‟oggettività, nel senso che esso
rifletterebbe l‟ordine reale? Anche questo universo viene assolutamente ripensato, nel senso
che la matematica non viene concepita come la grammatica del reale ma come il “luogo
naturale” del pensiero. L‟universo matematico diventa il regno del possibile, e il suo
impianto dimostrativo cambia, nel senso che non lo si intende più come un processo lineare,
volto essenzialmente ad esplicitare quanto è contenuto nelle premesse, ma come un percorso
che può cambiare direzione a seconda dell‟ipotesi elaborata, e che determinerà il tracciato
della deduzione, senza restituire alla conclusione i medesimi elementi contenuti nelle
premesse. Questi accenni al modo in cui Peirce incrina il primato della deduzione e alla
nuova ottica in base alla quale concepisce il campo matematico, qui richiamati per lasciare
già intravedere la profonda unitarietà del suo pensiero, si tradurranno in oggetto specifico di
riflessione della fase più avanzata di questo studio. A mio avviso l‟aspetto interessante è che
l‟oggetto, il soggetto, sul piano ontologico, e sul piano logico l‟inferenza deduttiva risultano
dedotti, prodotti da una relazione. L‟oggetto acquista consistenza in relazione ad un
carattere, d‟altra parte, afferma Peirce, se non ci fosse il “rispetto” non sarebbe praticabile
l‟idea dell‟Essere e il soggetto o interpretante emerge solo nella relazione alla forma
(ground) e all‟oggetto, pensabile in virtù della sua sussumibilità sotto qualche rispetto. Ora
la deduzione corrisponde al simbolo e ne condivide la sua interdipendenza: già attraverso il
simbolo è possibile comprendere che la deduzione non è indipendente dalle altre inferenze,
ma allo stesso modo del simbolo, essa attua una sorta di ratifica dello sforzo ipotetico che
abilita il ground, inteso a dare una forma possibile alle cose.
Ora in base alle due visioni del ground che sono emerse dall‟analisi di questi scritti, ora
come forma, in termini ontologici, ora come principio logico, è possibile iniziare a tracciare
la strada per scorgere nel segno, così come si configura nella prospettiva peirceana, il
rapporto tra due nozioni, ancora oggi cruciali: natura e convenzione. Per provare a fissare le
coordinate di questo rapporto, è importante porre in evidenza la necessità che caratterizza
l‟intera prospettiva peirceana quale esigenza di trovare una relazione, grazie alla quale sia
possibile mostrare qualcosa, al fine di scoprirne la vera identità. Si mette in forma qualcosa,
apparentemente all‟interno della convenzione, ma questa formalizzazione è funzionale a dar
conto di ciò che convenzionale non è. Qui mi pare che il senso della formalizzazione sia
radicale, nel senso che le cose che hanno forma hanno consistenza, ma se è cosi, la relazione
istituita per dare forma all‟oggetto, ha anche il peso del rendere disponibile la sua datità. E
38
questa responsabilità, almeno nei termini in cui ne parla Peirce in questi scritti, sembra
proprio inerire al ground. In questo senso il ground innesca il processo della
formalizzazione, la quale culminerà nel simbolo, il segno che senza dubbio realizza in forma
compiuta la convenzione. E nello stesso tempo il ground sta, potremmo dire, a cavallo tra
l‟essere e la sua rappresentazione segnica o tra natura e convenzione, poiché è grazie ad
esso che si può parlare di carattere dell‟essere e quindi esso è ciò che fondamentalmente
articola un movimento segnico, grazie al quale si rende noto che c‟è qualcosa. In questo
senso è revocato il piano corrispondentistico in modo reciso, poiché la funzione del ground
non è quella di riflettere il reale come se fosse uno specchio del referente. Sesi tiene
presente l‟affermazione, secondo la quale “tutto ciò che è ha qualche carattere”, allora forse
è plausibile pensare al ground come ad una sorta di grande filtro, attraverso cui è possibile
significare il reale, come a quel grande foglio su cui s‟imprimono i significati e sul quale è
possibile rintracciare la fisionomia del reale. Il ground è pensabile come un punto di sutura
tra referente e segno, non nel senso che da una parte esiste il segno e dall‟altra il reale, ma
nel senso che il ground traduce la realtà e la predispone ad una sua possibile intelligibilità. Il
ground è quel movimento grazie al quale si capisce il passaggio dall‟oggetto al soggetto;
senza uscire da una prospettiva trascendentale, esso permette il transito dalla realtà ai suoi
possibili interpretanti. In questi termini la struttura del ground assimila la lezione kantiana e
quella dell‟idealismo di Fichte e di Schelling, poiché come Kant e Fichte si rimane
all‟interno di una prospettiva trascendentale e come Schelling, si pone una continuità tra
processi mentali e processi naurali. Nulla può apparire se non all‟interno di una catena di
rimandi, di tracce e realtà e mente si producono all‟interno di un‟ontologia invalicabilmente
relazionale. Cioè l‟ontologia rimane quella trascendentale,rimane questo l‟orizzonte
all‟interno del quale si può dar conto del passaggio dalla realtà alla mente. Ma il movimento
articolato dal ground si confronta con la possibilità e con il contingente, e quest‟ultimo non
viene visto come qualcosa da isolare rispetto al necessario; piuttosto la fatica irrisolta del
ground è quella di irreggimentare il contingente, il discontinuo. E allora in questo senso la
direzione non è predelineata, essa è polivalente. Il trascendentale è come se lo si rendesse
dinamico, esso non è più una struttura statica, è quel movimento, ovvero quella relazione,
che il ground è in grado di articolare e che determina e declina i diversi livelli del segno.
39
5) Ground e likeness negli scritti „65 -„66
L‟analisi in particolare del segno come ragionamento a posteriori, ci permetterà di
guadagnare i passaggi necessari a dar conto della tesi su cui si fonda essenzialmente il
fulcro di questo lavoro: se la ricostruzione del concetto di ground, come interfaccia
ontologico e logico, condotta attraverso la ricerca lessicale nei Writings, nei Collected
Papers e nei Manoscritti è corretta, allora forse è possibile utilizzare i frutti di questa
analisi per dar conto di una visione unitaria del rapporto tra natura e convenzione, che, a
mio avviso, si mostra proprio all‟interno del ragionamento a posteriori, e in particolare del
rapporto tra ground-likeness. Con ground, infatti Peirce intende “[…]The pure form or
abstraction which is the original of the thing and of which the concrete thing is only the
incarnation. Reference to such a ground or respect of likeness is implied in every
attribution”49
. I ruoli svolti dal ground in ambito ontologico come capacità di mettere in
forma l‟Essere, nella dimensione semiotica, quale forma capace di relazionarsi ad un
oggetto e produrre una forma simbolica, e nella dimensione prettamente logica, in qualità di
oggetto del ragionamento ipotetico, oltre che rafforzare l‟idea della sua fondamentalità,
contribuiscono a proporre l‟idea di un segno come movimento, come ragionamento, grazie
al quale forse diventa possibile guadagnare lo spazio in cui si costituisce l‟oggetto, un
movimento in cui non si è ancora fatta differenza tra natura e convenzione: il ground è forse
proprio questo spazio, poiché dispone di significanti, ma questi significanti non sono vuoti,
poiché significano qualcosa, ma al tempo stesso significano qualcosa pur non denotando.
Esso traccia un possibile oggetto, soprattutto lasciando intravedere le sue relazioni interne e
quindi mette in gioco intanto la sua possibilità, ed è per questo che non può denotare. Ma
questo atto risulta fondativo per il processo conoscitivo, perché in virtù di questo
riconosciamo l‟oggetto e possiamo articolare la sua relazione con l‟esistenza. È tale struttura
che apre l‟oggetto alla sua conoscibilità. Quindi in questo senso il segno, soprattutto nel suo
primo livello, non è espressione di una opposizione tra natura e convenzione, poiché la
convenzione è necessaria per istituire l‟oggetto, ma essa non è convenzionale, perché recide
i suoi legami con il reale o perché riflette qualcosa di già dato, bensì perché crea una base
in cui si rende possibile l‟esperienza. Infatti Peirce ritiene che in nessun caso è possibile
attingere immediatamente al reale: la dimensione ipotetica del ground rappresenta la
mediazione per antonomasia. Tale tesi sembra possibile ricavarla dall‟analisi di Lecture IX e
da altri scritti che Peirce compose in questo periodo. Infatti ad apertura della Lecture IX
Peirce esordisce con la tesi che le prime impressioni se non sono mediate dalla mente
rimangono ignote50
. Se noi ascoltiamo una sonata di Beethoven e la esperiamo come bella,
in questo caso il predicato relativo alla bellezza è una singola rappresentazione che sta al
posto di un fenomeno complicato, nel senso che la bellezza non si riferisce alle singole
parti ma all‟insieme di ciò che è stato oggetto di esperienza. Da qui Peirce prosegue
49 W1:474. 50
Nel Ms. 357 Peirce ribadisce i medesimi concetti e ripropone gli stessi contenuti, oggetto di riflessione della Lecture
IX.
40
affermando: “A sensation is a sort of mental name. To assign a name to a thing i sto make a
hypothesis”51
. I nomi, le sensazioni, le ipotesi sembrano assolvere alla stessa funzione, nel
senso che ci permettono di fare una sintesi, ma quest‟ultima non dice nulla in merito alla sua
effettiva verità. L‟atto del denominare cosi come il sentire e l‟ipotizzare si assomigliano,
perché esibiscono un significato possibile. La sensazione è come un nome, nel senso che,
lungi dall‟idea che essa possa riprodurre la cosa, come il nome mette in forma i significati
del reale. Come il nome all‟interno di un segno determinato la sensazione dà inizio alla
costruzione possibile dei significati, oggettivando così un‟ipotesi. Questa costruzione
rivelerà tutta la sua efficacia se proprio nel suo essere distante dalla cosa, riuscirà a divenire
costitutiva nei confronti del reale. La sensazione, in questi termini, non si qualifica come un
mero prodotto delle modificazioni provenienti dall‟esterno ma come il primo foglio su cui
si può scrivere dell‟oggetto, della sua fisionomia possibile.
Ciò che preme sottolineare è che il movimento proprio della conoscenza risulta
corrispondente a quello messo in atto dal segno: le relazioni messe all‟opera dalla
grammatica segnica irreggimentano i concetti ed è soltanto all‟interno di queste che essi
lasciano emergere il profilo del reale. Dando inizio al percorso che dovrebbe condurre la
sostanza all‟unità, la prima determinazione è data dalla qualità, poiché il soggetto è la
sostanza e il predicato esprime la prima determinazione connotativa, che è la qualità. Qui,
potremmo dire, siamo ai bordi del segno, oltre i quali non possiamo spingerci, ma non
perché non c‟è un altrove, ma perché c‟è l‟immediatamente presente, il quale, senza una
complessa mediazione, già di memoria hegeliana, risulta inesplicabile. Allora proseguendo
il tracciato peirceano vediamo come si struttura la triade fondamentale del segno. “The
reference to a ground is the possession of Quality”52
. Questo è lo spazio consentito a partire
dal quale è possibile attingere all‟immediato: la prima griglia che lo può rendere leggibile è
proprio il riferimento al ground, poiché esso è imprescindibile ogni qual volta predichiamo.
Ma, a sua volta, per capire l‟origine della qualità, dobbiamo mediarla. Cioé non traiamo la
qualità dall‟esterno, piuttosto viene fuori da un processo di generalizzazione, e ciò implica
un atto di comparazione. Il ground si pone come nesso originario, interrelazione, come un
piano in cui si lascia vedere come qualcosa potrebbe essere e quindi a che cosa potrebbe
assomigliare. È all‟interno di questo fascio di luce astrattivo che possiamo venire a sapere
della realtà, la quale è già da sempre catalagota all‟interno della classificazione segnica. Il
flusso astrattivo, indeterminato e potenziale del ground, se da un lato potrebbe apparire in
quanto tale irrelato, dall‟altro si pone come luogo originario delle possibili relazioni, delle
potenziali somiglianze, e in questo senso, all‟interno dell‟identico, istituisce le condizioni
della sua alterità. La natura specifica del ground sta nella riserva infinita di relazioni, il
movimento grazie al quale è possibile determinare un pezzo del tessuto relazionale del
ground produce la qualità. Ora la determinazione in sé si predispone alla comparazione: per
determinare è necessario astrarre, questo atto esibisce già le condizioni di possibilità del
confronto. Attribuire un predicato al soggetto significa determinare, e ciò rende possibile
51 W1:472.
52 W1:475.
41
l‟introduzione di un nuovo concetto ovvero relazione o riferimento ad un correlato.
Insomma l‟atto del comprendere implica sempre un atto di attribuzione e quindi rende
possibile il concetto di relazione. Peirce afferma: “Double Reference to Correlate and
Ground is Relation”53
. Il movimento messo in atto dal ground e dal correlato a sua volta
implica un triplo riferimento ovvero la nozione di interpretante, poiché ciò che è stato
connotato è anche perciò stesso oggetto di correlazione, e allora e il riferimento ad un
ground e il riferimento al correlato producono un terzo riferimento ovvero il riferimento
all‟interpretante. Esso, potremmo dire, rappresenta la consapevolezza del movimento
creatosi nei primi due livelli. Infatti, afferma Peirce, “Triple reference to Interpretant,
Correlate, and Ground-is Representation54
”. In un passaggio precedente Peirce definisce
l‟interpretante così: “[,,,,] By an interpretant we mean a representation which represents
that something is a representation of something else of which its itself a representation”55
.
Ritornando al concetto di qualità, è possibile constatare come essa venga considerata come
la categoria più signicativa, più pregnante: essa, cosi come viene presentata, è tutt‟uno con
l‟essere, poiché non è soltanto una modalità, ma è l‟unica forma attraverso cui è pensabile
l‟Essere. O meglio la qualità in riferimento al ground ci permette di capire che essa esplica
il modo fondamentale secondo cui è pensabile l‟Essere. Essa sembra rivelarsi idonea a porsi
come mediazione tra l‟essere e la sostanza, perché essa stessa è oggettivazione di una
mediazione originaria tra l‟Identico e il Diverso, in cui consiste il ground. Ed è per questo
che dalla qualità è possibile pervenire alle altre due mediazioni: essa è già in sé correlativa
con la relazione, ma anche con la quantità. Proprio quest‟ultima correlazione sarà gravida di
conseguenze straordinarie per il pensiero di Peirce, poiché gli permetterà di riconoscere uno
statuto universale al ragionamento matematico e di porsi fuori da una visione tradizionale
dicotomica tra quantità e qualità.
Tenendo conto della rilevanza all‟interno del sistema di Peirce di un concetto come quello
di qualità, diventa utile, a mio avviso, procedere nell‟operazione di speleologia all‟interno
delle triadi, che progressivamente contribuiscono a stratificare le singole definizioni, ad
arricchire i vari livelli del segno, che sebbene sembrano di volta in volta spostare la nostra
attenzione verso sponde non facilmente riconducibili a quelle già individuate, di fatto ci
riavvicinano ad esse con più consapevolezza e profondità. La qualità, ponendosi come
discontinuità del ground, è il riferimento al rispetto in cui è possibile dar conto dell‟accordo
o della differenza tra le cose. Peirce prosegue nell‟analisi della struttura del segno,
specificandola in questi termini: la Qualità può qualificarsi come interna, esterna, e
imputata; la relazione può presentarsi equiparante o disquiparante e infine la
rappresentazione si modula in tre scansioni: Likeness, Indication, Symbolization. La qualità
può porsi come interna, se riesce ad identificare qualcosa nel rispetto in cui è considerato, è
definita esterna se esplica la sua valenza correlativa ovvero se assolve al compito di indicare
qualcosa, ponendola in relazione a, e quindi punta sul mettere in relazione qualcosa con
53
Ibidem. 54
Ibidem. 55
W1:474.
42
qualcos‟altro, la qualità è definibile come imputata se si pone come un carattere attribuito.
Queste tre definizioni risultano essenziali, poiché la modulazione della qualità diventa
fondamentale per capire che le successive triadi scaturiscono proprio dalle diverse valenze
della qualità. La qualità, intesa ora come riferimento ad un rispetto, ora come riferimento ad
un correlato, ora come carattere imputato e il ground, in quanto continuum e riserva infinita
delle relazioni possibili costruiscono un percorso, al cui interno forse è possibile dar conto
del passaggio fra natura e convenzione. Non è un caso che il ground, in modo forse meno
esplicito, e i tre significati della qualità, in modo evidente sono declinati negli altri livelli del
segno. Infatti la relazione, distinta in equiparanza e disquiparanza, è comprensibile se
leggibile in termini di qualità interna ed esterna “Equiparance is agreement in a determinate
respect”56
. E quindi in questo senso esprime una qualità interna. La disquiparanza è un
disaccordo o accordo in un rispetto che non determina la qualità interna della cosa relata.
Infatti subito dopo Peirce afferma: “[,,,,] The ground of equiparante is an internal character
[…] The ground of disquiparance is an external or relative character”57
. Peirce argomenta
questa differenza dicendo che nell‟equiparanza il riferimento al ground è essenziale e non è
necessario il riferimento al correlato, al contrario nella disquiparanza il riferimento al
ground non è pensabile senza il riferimento al correlato. La tripartizione della qualità si
rivela altrettanto fondamentale per analizzare la triade interna alla rappresentazione. Una
rappresentazione si può configurare come likeness, indice, simbolo:
“ Scientifically speaking, a likeness is a representation gronde on an internal character-that
is whose reference to a ground is prescindible”58
. Se la likeness rappresenta un carattere
interno, tale da prescindere dal ground, nel senso che essa stessa è riferimento al ground
ovvero è oggettivazione del ground, forse è plausibile parlare di valenza fondativa da parte
della likeness, poiché la connotazione operata da essa nei confronti dell‟oggetto è
essenziale, dal momento che negli altri livelli del segno si provvederà proprio sulla base di
tale connotazione a indicare l‟oggetto possibile e quindi a reperire il suo indice, e a
legittimarlo con l‟istituzione del simbolo. Un indice rappresenta il suo oggetto mediante una
reale corrispondenza con esso.
Nel caso dell‟indice la qualità non è interna bensì relativa, poiché un indice non rappresenta
l‟oggetto in merito a ciò che lo connota, piuttosto si limita a indicare un oggetto, e quindi la
sua qualità non è prescindibile, ma è relativa, nel senso che non ha un valore in sé, poiché
non ci fornisce un‟idea dell‟oggetto, ma il suo valore sta nell‟indicare l‟esistenza di un
oggetto, e quindi in questo senso la sua qualità è relativa. (bandiera–vento). “A symbol is a
general representation like a word or conception”59
. Nel simbolo, afferma Peirce, e la
qualità e la relazione non sono separabili dal simbolo stesso, poiché la qualità è imputata e
la relazione è ideale.Già in Logic Chapter 1, scritto nella primavera del „66, Peirce chiariva
la differenza tra relazione reale e ideale, affermando che le relazioni reali s‟identificano con
56
W1:475. 57
Ibidem. 58
Ibidem. 59
Ibidem.
43
quelle che possono prescindere dall‟interpretante, mentre quelle ideali sono possibili grazie
all‟intervento dell‟interpretante.A tal proposito Peirce fornisce degli esempi:
“Il correlato a cui si riferisce una qualità semplice è tale da rendere possibile una generalizzazione,
vale a dire, è il correlato di un accordo. Un riferimento ad un ground che implichi un riferimento ad
un correlato è del tipo esemplificato dai verbi “uccidere”, “accostare”, ecc. È perciò un ground di
differenza in actu. La differenza nei soli predicati, come nei termini più grande e simili, può essere
considerata unicamente come relazione ideale, perché i due termini non possono venire
rappresentati come aventi alcuna connessione se non rispetto ad un corrispondente (interpretante).
Essa si basa perciò su di una base diversa da quella che regge l‟accordo, che può essere prescisso
tramite posizione da ogni tipo di riferimento del genere, e rimanere tuttavia una relazione. Accordo
e differenza in actu sono dunque i due tipi di relazioni reali”60
.
Anche nel caso del simbolo il riferimento alla qualità diventa importante per farci
apprezzare la differenza interna alla triade segnica, ovvero il movimento che va dal ground
alla qualità interna, e da essa a quella esterna, e da quest‟ultima a quella imputata. Cioè a
partire dal rapporto ground/likeness è possibile constatare il passaggio dal continuum al
discontinuo, e come a sua volta la likeness riesca a conservare il continuum nel discontinuo,
esprimendo una qualità che non ha ancora trovato né l‟indice ovvero l‟esistente, né la legge,
il logos. La qualità, ora come una determinazione che risulta ancora non distinguibile
dall‟essere, ovvero come carattere interno, ora come qualità esterna, ora come qualità
imputata offre gli oggetti di una ontologia possibile, poiché possiamo leggere passaggi
come quelli che si attuano dall‟essere, all‟esistenza e alla legge, e dal nome, all‟oggetto, al
logos. Qui forse è possibile seguendo l‟iter della qualità cogliere la dinamicità e la
profondità del segno peirceano, poiché al suo interno, mi sembra si possa dire che si
snodano i movimenti che spiegano i rapporti tra mente e realtà, tra natura e convenzione, tra
segno e referente. Questi ultimi all‟interno della partitura segnica non si qualificano più
come realtà statiche e irriducibili ma assolutamente dinamiche e riducibili ai loro momenti
genetici. Ciò che emerge è che il terzo livello del segno, la dimensione simbolica sembra
qualificarsi come la legge operante su quell‟esistente, di cui la pura idea è stata fornita dal
fecondo rapporto intercorrente tra ground e likeness. La cosiddetta qualità interna, che
affonda le sue radici nella riserva mai inesauribile dell‟energia segnica del ground, che,
come viene affermato in Logica. Capitolo I (1866) , consiste nella possibilità originaria che
qualcosa sia in qualche modo, diventa qualità esterna, nella misura in cui indica l‟oggetto
possibile dell‟idea pura realizzata dalla likeness, di cui il ground è pura forma. La
rappresentazione consapevole di questo rapporto tra qualità interna ed esterna, a mio avviso,
produce il simbolo. Un modo per capire che il riferimento al ground è sempre presente
anche negli strati superiori interni al simbolo e che la triade qualità interna, esterna e
imputata si ripete in tutti i livelli del segno, potrebbe essere quello di analizzare le triadi
interne al simbolo, apparentemente le più lontane da quelle proprie della base del segno.
60
Peirce, Logica. Capitolo (1866), cit., p.10.
44
Intanto proseguendo, Peirce afferma che una divisione importante dei simboli deve passare
attraverso l‟intenzione, che essi intendono esprimere: e cioè se la loro funzione consiste nel
riferimento al ground, nel riferimento all‟oggetto, nel riferimento all‟interpretante. Qui
risultano interessanti le specificazioni del termine simbolo, poiché Peirce sottolinea che per
quanto lo studio della logica è incentrato sullo studio dei simboli in riferimento ai loro
oggetti, un simbolo
“ […] is merely considered as expressing a thing or things in their internal characters –as standing
in place of a thing and as being,like that thing an incarnation of a certain ground ,though only by
imputation and not internally, If we write “white” – this word standing by itself, means nothing: it
stands there merely in place of a white thing so that we have by imputation put a white thing on
the board”61
.
Qui siamo di fronte ad un “termine” cioè ad un simbolo che è tale perché si riferisce ad un
ground e si pone come un Quale ovvero un segno che ha già istituito il significato e che non
ha però ancora inscritto quest‟ultimo in una dimensione di verità, poiché manca il
riferimento all‟oggetto e all‟interpretante. Ma questo strato del segno si configura come
quello più innovativo, poiché è qui che si istituiscono gli elementi connotativi, la fisionomia
dell‟oggetto, una sorta di identikit dell‟oggetto. Ora se si considera un secondo tipo di
simbolo, cioè quello avente la funzione di riferirsi ad un oggetto, si guadagnerà una
dimensione che mancava nel segno, ora analizzato, quella della verità. La “proposizione” è
il simbolo che ha la funzione essenzialmente di stabilire la verità di qualcosa. “But as
reference to a correlate cannot be intended or even supposed without reference to a ground,
as truth supposes meaning, to intend that a symbol should refer to a correlate is to intend
that it should refer to correlate and ground, that is be a relate, by imputation”62
.
Qui viene ribadita l‟imprescindibilità del riferimento al ground a conferma del carattere
costitutivo del rapporto tra ground e ciò che viene definito a seconda dei livelli del segno,
ora Quality ora Equiparanza ora Likeness. L‟aspetto interessante che preme sottolineare è
che per istituire la verità ed assestarla è necessario che si disponga di una terra franca in cui
i significati circolino liberamente e in cui li si possa vedere nella loro essenza. Questo luogo
è quello in cui segno e oggetto realizzano la maggiore vicinanza, poiché il segno ha valore
nella misura in cui incarna una qualità interna della cosa, e quindi è come se si trovasse
incastonato dentro l‟oggetto, come se fosse interamente contaminato dall‟oggetto,
mescolato a quest‟ultimo. Un simbolo, in qualità di “termine”, apparentemente lontano dai
gravami del reale, sembra quello più compromesso, poiché paradossalmente, pur essendo
neutro, veicola già da sempre l‟oggetto; quest‟ultimo lo possiamo trovare come riferimento
della proposizione, perché già reso possibile dal primo tipo di simbolo ovvero dal termine.
Peirce proseguendo si sofferma sul terzo tipo di simbolo, sull‟argomento, quello che si
riferisce all‟interpretante.
61
W1:477. 62
Ibidem.
45
“For an is something which represents a representation to represent that which it does itself
represent”63. Più avanti Peirce afferma:
“Now that which, thus, appeal sto an interpretant-[….] is an argument, a syllogism minus the
conclusion, for the conclusion of a syllogism is no part of the argument but is the assent to it, the
interpretant [….] An argument, therefore, is a symbol intended to refer to an interpretent and I could
show very easily that this is the same as a symbol which from its form, represents a
representation”64
.
Un argomento, quindi, si pone come espressione consapevole degli elementi costitutivi del
segno. Tale è dunque la tripartizione del simbolo:
“Term intended to refer to a ground - whose object is formally a Quale. Proposition
intended to refer to a correlate – whose object is formally a Relate. Argument intended to
refer to an interpretant-whose object is formally a Representation”65
In base al suddetto schema il rapporto che un Quale intrattiene con il ground, che si
configura come l‟oggettivazione delle qualità custodite nella riserva del ground, pone le
condizioni della connotazione dell‟oggetto. Infatti afferma Peirce: “The indirect reference
which a term has to its object the qualities which its object universally has-that is, is its
connotation, the sum of the qualities reckoned by other terms being its
comprehension/content//”66
. Il rinvio del termine al suo oggetto equivale all‟atto del
denotare, e l‟oggetto costituendo l‟insieme degli oggetti denotati da altri termini esprime la
sua estensione. Infine il riferimento di un termine rispetto al suo interpretante costituisce la
sua implicazione o informazione. L‟informazione costituisce la misura e della denotazione e
della comprensione, che è la funzione propria dell‟interpretante. Ora Peirce costruisce le
altre triadi sempre sulla base della triade fondamentale: riferimento al ground, riferimento al
correlato e riferimento all‟interpretante. Se questa triade viene ulteriormente specificata, ne
segue che il riferimento al ground si può esprimere in Qualità interna, Qualità esterna e
Qualità imputata, e come è stato già detto la relazione in equiparanza e disquiparanza e
infine il riferimento all‟interpretante si può articolare in termini di Likeness, Indication, e
Symbolization. Il richiamo a queste triadi ha la funzione di constatare come il riferimento al
ground e alla sua realizzazione è presente in tutti gli strati delle tricotomie segniche: gli altri
livelli del segno si snodano proprio a partire dal ground, sono sue conseguenze. Infatti
Peirce quasi a conclusione del testo, qui preso in esame, tiene a sottolineare, come in altri
scritti di questo periodo, che il simbolo che si qualifica essenzialmente per la sua capacità di
rappresentare una rappresentazione, esso si divide in Likeness, Index, Symbol e che queste
tre modalità del simbolo sono corrispondenti a ipotesi, induzione e deduzione, l‟ultima
stratificazione interna al simbolo ovvero quella interna all‟argomento. Anche in questa è
riscontrabile il riferimento imprescindibile alla likeness e indirettamente al ground. Forse
63
W1:478. 64
Ibidem. 65
Ibidem. 66
W1:478-479
46
proprio per il modo in cui è congegnata l‟architettonica peirceana,mi sembra possibile dire
che qui il ground è un modo dell‟essere, un modo di conoscere, un modo di ragionare. E la
likeness nel suo dislocarsi in modo circolare dalla base del segno al suo vertice disegna una
linea di continuità, congiunge gli estremi del segno, dispiegando un movimento continuo, a
mio avviso, che procede dal naturale al convenzionale. In questo senso il segno non dà
conto esclusivamente della genesi del significato, ma anche dei suoi possibili oggetti, della
fisionomia del reale. Se nella likeness l‟elemento naturale e quello convenzionale sembrano
indistinguibili, nell‟indice si ritrovano distinti, per ritrovarsi uniti sotto il segno della legge.
Nel simbolo si raccolgono i frutti, potremmo dire dell‟operato della coppia ground/likeness,
la quale già istituendo la connotazione, mostra un‟intenzionalità, traccia il percorso che
vedrà nell‟interpretante la sua espressione consapevole. Insomma l‟interpretante, potremmo
dire, è il luogo dell‟espressione consapevole dell‟intenzionalità messa in atto dal riferimento
al ground, ma non è ciò che conferisce senso. Da questo punto di vista Peirce assimila tanto
profondamente la lezione del trascendentale da applicarla anche alla soggettività. Questa
non deve essere presupposta, piuttosto la necessità diventa quella di trovare quel punto che
può consentire, giustificare il passaggio dall‟oggetto al soggetto. Oggetto e soggetto, natura
e convenzione si producono all‟interno di un‟ontologia che rimane trascendentale. Rimane
questo l‟orizzonte all‟interno del quale si può dar conto del passaggio dall‟oggetto al
soggetto. Questo passaggio non è giustificato da un primum, da una sostanza, ma da un
concetto assolutamente dinamico che, a mio avviso, consiste nel ground: esso,
qualificandosi come puro movimento, produttività, mostra già un‟intenzionalità originaria e,
in questi termini, attua un‟operazione di sintesi, tiene insieme i due poli della conoscenza.
L‟analisi delle diverse triadi segniche serve a far comprendere che il segno è una struttura
continua, e a porre le condizioni di possibilità del conoscere: ad esempio il modo in cui
funziona la sensazione corrisponde, secondo Peirce, ad uno dei livelli del segno, e in
particolare alla likeness e al suo rapporto con il ground. È la likeness e il ground che ci
permettono di capire che anche nel grado elementare della conoscenza non siamo mai di
fronte ad un oggetto, non ci troviamo mai in una situazione di tipo corrispondentistico, cioè
come se gli oggetti stessero di fronte a noi e noi fossimo capaci di coglierli nella loro
interezza. Al contrario, nella loro immediatezza le sensazioni ci rimangono ignote, si può
accedere ad esse attraverso un atto di predicazione ipotetico, ma l‟atto della predicazione è
frutto di un processo di generalizzazione, quindi realizziamo un atto determinato, poiché è
disponibile un attributo, come nell‟esempio sopra citato, ma al posto di quest‟attributo sta
un generale e non un particolare, un singolo. In questi termini avere sensazioni è come
denominare: qui i predicati e i nomi sono individuali e generali al tempo stesso. Avere
sensazioni significa fare delle ipotesi, ma il fare ipotesi significa porre un “predicato
semplice al posto di un predicato complesso”67
, come dirà Peirce in Some Consequences of
Four Incapacities del 68. E allora l‟atto ipotetico è un atto di attribuzione ed esperire
sensazioni equivale a dare nomi. Ma secondo questo tipo di struttura, assegnare nomi non
67
Cfr. Peirce, Some conseguences of four incapacities, cit.,p.96.
47
diventa un atto esclusivamente convenzionale, poiché questo corrisponde all‟unico modo di
conoscere veramente le cose, di offrire un‟ontologia, l‟unica possibile. Poiché il nome è
quello spazio che consentirà al logos di dar conto dell‟universale, la likeness è ciò che
permetterà di arrivare al simbolo. Insomma predicare, come dare nomi significa determinare
mettere in forma, fare si che un semplice nome stia al posto di tanti elementi che
rimarrebbero separati, quindi significa unire. Ma unire, mettere in relazione, equivale a dare
una fisionomia possibile. Ma questo è un atto di costruzione, che prevede in quanto tale la
creazione di più piani in cui si disloca il reale. L‟atto della costruzione non si limita a
restituire il prodotto della costruzione , poiché costruendo si vedono altre cose che non sono
da imputare al responsabile della costruzione ma alla costruzione stessa. E qui i confini del
convenzionale sono sempre spostabili, nel senso che ciò che sembrava mero prodotto,
figurato, mostra qualcosa di inconfigurato. Il convenzionale è differibile verso il suo stesso
superamento.
A mio avviso questo è uno dei punti dell‟opera peirceana, in cui si avverte la profonda
assimilazione della prospettiva trascendentale kantiana e lo sforzo al tempo stesso di
affrontare in modo serio le difficoltà dell‟opera kantiana, al fine di inverarne il senso. Il
ground è come se portasse allo scoperto tutto il lavoro sofferto che Kant conduce all‟interno
della facoltà della immaginazione trascendentale, soprattutto in merito al passaggio da una
trattazione psicologica ad una prettamente logica. L‟insistenza da parte di Peirce
sull‟impossibilità di dar conto delle impressioni se non all‟interno della dimensione del
ground, a mio avviso, è in sintonia con il punto di vista Kantiano che assegna alle forme
dello spazio e del tempo, ma soprattutto all‟immaginazione trascendentale la riconoscibilità
dell‟esperienza come tale. Le forme dello spazio e del tempo ci forniscono il tipo di
organizzazione all‟interno della quale troviamo disposti i fenomeni, L‟immaginazione
trascendentale garantisce l‟unità, il sostrato in cui i fenomeni acquisiscono identità. Il modo
in cui Kant parla di materia, forma e a priori e il modo in cui Peirce commenta i passaggi
kantiani relativamente a questi concetti, lasciano intendere non soltanto una profonda
convergenza, ma soprattutto il modo in cui proprio a partire dalle premesse kantiane Peirce
è in grado di compiere un passo nuovo e trasgressivo rispetto all‟impostazione kantiana. Già
Peirce pone in evidenza come Kant nella prima edizione della Critica della Ragion Pura
avesse dato molta rilevanza alla facoltà dell‟immaginazione e come nella seconda avesse
ridimensionato il ruolo di questa facoltà per evitare fraintendimenti. Peirce intende
valorizzare l‟originarietà dell‟immaginazione e ai fini di questa operazione può essere utile
tenere presente come l‟autore parli dell‟a priori in Lecture on Kant (1865). Cosi Peirce
parafrasa Kant: “A cognition a priori is one which any experience contains reason for and
therefore which no experience determines but which contains elments such as the mind
introduces in working up the materials of sense”68
. L‟a priori non è una forma che si applica
alla materia, al dato già riconoscibile come tale: il riferimento al movimento puro della
temporalizzazione e della specializzazione, dovuto alla facoltà dell‟immaginazione, è di
68
W1:247
48
fatto fondamentale per capire che i fenomeni sono riconoscibili come dati se immessi
all‟interno di un percorso, grazie al quale si conferisce loro unità. Il fenomeno è esperibile
se, grazie all‟immaginazione riuscirà a dare un‟organizzazione unitaria agli elementi che lo
costituiscono, in modo tale da permettere loro di assumere una fisionomia possibile. Ora se
in base a questa impostazione Kant determinerà le condizioni di possibilità dell‟oggetto in
generale, Peirce in virtù dell‟istituzione del segno intende fare un balzo in avanti
provvedendo alla determinazione di un possibile oggetto. Il modo per arrivare a
quest‟obiettivo sarà quello non soltanto di affrancare la facoltà dell‟immaginazione da ogni
riferimento di tipo psicologico, che essenzialmente contribuirebbe a risolverla in una facoltà
riproduttiva, ma anche quello di ridurre il pensiero ad ens imaginarium, cosi come
argomenterà negli scritti successivi e in modo più esplicito in On A New List of Categories
ovvero ipostatizzando le realtà ipotizzate dal pensiero. Se da una parte Peirce, tiene fede alla
impostazione kantiana, non pretendendo di accedere all‟oggetto nella sua interezza,
dall‟altra darà avvio alla costruzione non soltanto della possibilità generale dell‟oggetto, ma
anche a quella della determinazione del possibile oggetto. Questa costruzione risulterà più
evidente in base all‟impalcatura chiara e definita che Peirce presenterà in On a New List of
Categories. In essa emergono più chiaramente più chiaramente tanto le matrici kantiane
quanto gli elementi profondamente innovativi del suo disegno teorico.
6) Ground e likeness in On a New list of categories
Il lavoro peirceano volto a fondare la semiotica sembra trovare il suo compimento in On a
New List of Categories, scritto fondamentale e per l‟importanza attribuita dallo stesso Peirce
e dalle diverse generazioni di studiosi di Peirce, che a più riprese e, indipendentemente dai
vari punti di vista, trovano sempre nuove ragioni per partire proprio da questo testo. Per la
prospettiva, finora delineata, l‟esigenza di analizzare tale scritto nasce dalla constatazione
che qui Peirce sembra chiarire l‟impostazione di fondo che ha animato i testi precedenti. On
a New List of Categories raccoglie i frutti del lavoro già fatto, per esporre in modo più
compiuto i risultati conseguiti. Nella parte iniziale del testo l‟identificazione della funzione
dei concetti con quella di ridurre il molteplice, se da una parte rivela l‟indiscussa matrice
kantiana, dall‟altra condurrà ad una radicalizzazione degli assunti kantiani, che porteranno
Peirce a fissare su basi più definite, attraverso l‟istituzione del ground, un sistema
fortemente caratterizzato dall‟intreccio profondo tra piano categoriale, logico e semiotico.
Alla luce di questo nesso e soprattutto del ruolo svolto dal ground sarà possibile raccogliere
altri elementi per inquadrare il rapporto tra natura e convenzione. In questo testo è come se
si stringesse il cerchio, nel senso che i giri lunghi e talvolta apparentemente scollati dei
precedenti lavori è come se trovassero il loro baricentro. Le argomentazioni degli scritti
precedenti, volti ad evidenziare il vincolo stretto tra logica e riflessione ontologica vengono
sintetizzati in modo efficace da queste battute iniziali del saggio:
49
“Il concetto universale più vicino alla sensazione è quello del presente in generale […] Tale
concetto di presente in generale, o Esso in generale, è reso in linguaggio filosofico dal termine
sostanza, in uno dei suoi molti significati. Prima che si possa compiere alcuna comparazione o
distinzione tra ciò che è presente, quest‟ultimo deve essere stato riconosciuto come tale, come esso;
successivamente, le parti metafisiche riconosciute tramite astrazione vengono attribuite a questo
esso, mentre l‟esso stesso non può esser reso predicato. Questo esso stesso non è perciò predicato né
di un soggetto, né in un soggetto, rivelandosi di conseguenza identico al concetto di sostanza”69
.
In queste affermazioni Peirce pone l‟attenzione sul fatto che perché sia possibile prendere
atto del presente in generale è necessario che quest‟ultimo venga riconosciuto come tale:
questa affermazione esprime l‟assimilazione profonda dell‟opera kantiana. E‟ormai
consolidata l‟idea che non si può pretendere un impatto diretto, immediato con l‟esso, e
proprio questo punto diventa un‟asse portante, poiché Peirce si adopera al fine di esibire la
base, in grado di dare forma al reale, ma questa base è di natura logica, poiché è quella
offerta dalla proposizione. Infatti Peirce prosegue dicendo che “l‟unità alla quale l‟intelletto
riduce le impressioni è l‟unità della proposizione. In tale unità è la copula che esprime
l‟accordo del soggetto con il predicato, “se diciamo la stufa è nera, la stufa è la sostanza da
cui la nerezza non è stata distinta, e l‟è, pur lasciando la sostanza esattamente quale è stata
vista, ne esplica l‟indistinzione applicandovi la nerezza come predicato70
”. Qui la copula e il
predicato permettono all‟Esso di muoversi, nel senso che da irrelato diviene relato, ma
questo movimento è possibile su un piano logico e quindi acquista un ruolo fondamentale il
predicato. Chiare le proposizioni di Peirce: “Infatti se si potesse conoscere la copula e il
predicato di una qualsiasi proposizione, come […] è un uomo con la coda ,si saprebbe che il
predicato è per lo meno applicabile a qualcosa di immaginabile.Di conseguenza, abbiamo
proposizioni i cui soggetti sono interamente indefiniti, come nella frase: vi è una bellissima
ellisse, dove il soggetto è qualcosa di meramente indeterminato, poiché sarebbe
assolutamente insensato dire: A ha i caratteri comuni di tutte le cose, dal momento che non
esistono caratteri comuni di questo genere”71
.
Dunque sostanza ed essere rappresentano i due poli di un movimento logico, indispensabile
a che si metta in moto il processo della conoscenza. Ma quali sono le operazioni che
effettivamente possono garantire alla sostanza il suo riconoscimento? Cos‟è che rende
possibile uscire fuori da una dimensione rigidamente frontale, in cui il reale da una parte e il
pensiero dall‟altra si fronteggerebbero, candidandosi ad un‟impotenza assoluta e alla
paralisi di ogni forma di conoscenza? A riguardo Peirce introduce il termine prescissione,
riponendo attenzione nel distinguerla dalla “discriminazione” e dalla “dissociazione”. La
prescissione avrebbe la funzione di focalizzare un aspetto, omettendo gli altri caratteri e
consisterebbe nella supposizione di una parte di un oggetto, senza supporre alcunché del
69
Peirce, Nuovo elenco di categorie, cit., p.16. 70
Ivi, p.17. 71
Ibidem.
50
resto”72
. La discriminazione si rivolge ad identificare i singoli significati; la dissociazione ha
a che fare con il prendere atto di un fenomeno non considerando contemporaneamente il
darsi di altri fenomeni. Utili gli esempi riportati dallo stesso Peirce: “posso discriminare il
rosso dal blu […] ma non il rosso dal colore. Posso prescindere […] lo spazio dal colore
[…] ma non […] il colore dallo spazio Posso dissociare il rosso dal blu, ma non […] il rosso
dal colore”73
. Da quanto detto risulta che la prescissione che è l‟astrazione privilegiata da
Peirce, è un‟astrazione che non fa capo al criterio della reciprocità: la definizione della
prescissione e il suo carattere non reciproco costituiscono un passaggio importante per dar
conto del processo logico che intercorre tra la sostanza e la sua unità, tra i molti e l‟uno.
Infatti:
“Si dà frequentemente il caso per cui, mentre A non può essere prescisso da B, B può essere
prescisso da A. Questo fatto si spiega cosi: i concetti elementari sorgono unicamente in occasione
dell‟esperienza, essi vengono cioè prodotti per la prima volta a partire da una legge generale, la cui
condizione è l‟esistenza di determinate impressioni.Ora se un concetto non riduce ad unità le
impressioni da cui deriva, esso si rivelerà una mera aggiunta arbitraria a queste ultime, e i concetti
elementari non sorgono tanto arbitrariamente. Ma se le impressioni potessero essere comprese in
modo preciso senza il concetto, quest‟ultimo non le ridurrebbe ad unità. Perciò, le impressioni non
possono essere pensate o colte con precisione, senza tenere conto di un concetto elementare che le
riduca all‟unità. D‟altro canto, una volta stabilito un concetto del genere, non c‟è alcuna ragione, in
generale, per cui non si debbano lasciare da parte le premesse che l‟hanno occasionato; spesso,
perciò, il concetto esplicativo può essere prescisso da quelli più immediati o dalle impressioni
stesse”74
.
Intanto da questi passaggi emerge che per realizzare unità è necessario astrarre, in modo
specifico prescindere , cioè bisogna uscire dall‟ingenuità, secondo la quale sarebbe possibile
postulare un primum individuale, di cui il pensiero riprodurrebbe la sua copia. La
prescissione è metodo che si fa al tempo stesso verità, poichè per approssimarci al reale è
necessario astrarre, generalizzare. La prescissione, al di là della sua straordinaria importanza
per la filosofia di Peirce, nel senso che anticipa tutta la tematica che sarà analizzata nei saggi
del 68, risulterà funzionale alla comprensione dei passaggi successivi relativi al concetto di
ground. Già la prescissione supera ben presto i suoi limiti metodologici nell‟essere priva di
reciprocità, infatti se è impossibile prescindere le impressioni dai concetti, è possibile al
contrario prescindere i concetti dal molteplice. Questo è un punto fondamentale, perché qui
Peirce, dando prova di avere assimilato profondamente la lezione del trascendentale,
ribadisce che se da una parte i concetti attingono il loro contenuto al molteplice
dell‟esperienza, dall‟altra le impressioni non possono essere comprese se non attraverso la
riduzione all‟unità operata dal concetto. Sebbene venga riconosciuta l‟indipendenza delle
impressioni, esse comunque acquistano identità all‟interno del concetto. Già in Lecture on
72
Ibidem. 73
Ivi, p.18. 74
Ibidem.
51
Kant del 1865 Peirce affermava che se la conoscenza trae i suoi contenuti dall‟esperienza,
non da essa deriva la loro determinazione. E quindi ritornando al testo del 67, Peirce pone in
evidenza che nel momento in cui il concetto insorge, esso dispone di una completa
autonomia, tanto da potere essere prescisso. Un altro punto da focalizzare importante sta nel
fatto che i concetti, dal momento che assolvono alla funzione di ridurre all‟unità le
impressioni , non nascono in modo arbitrario. D‟altra parte, osserva Peirce, se un concetto
non fosse in grado di produrre unità, esso si qualificherebbe come un inutile doppione del
molteplice sensibile ed esso allora nascerebbe in modo arbitrario. Invece i concetti nascono
in occasione dell‟esperienza e soprattutto si rivelano indispensabili alla determinazione delle
impressioni. Peirce non crede possibile che i concetti non siano legati alle istanze della
realtà: al contrario essi sembrano nascere in funzione della realtà. E allora la necessità della
prescissione, il suo carattere non reciproco, e la non arbitrarietà del concetto costituiscono, a
mio avviso, elementi importanti per comprendere la deduzione delle categorie, che
garantiranno il processo concettuale che intercorre tra il molteplice della sostanza e l‟unità
dell‟essere, e quindi il modo in cui bisogna intendere il ground. E allora, posto che secondo
Peirce non può essere assunto nulla dalla prospettiva della coscienza, poiché quest‟ultima
piuttosto che a fondamento della conoscenza, deve essere fondata essa stessa, deve scaturire
da condizioni oggettive, quale sarà il concetto base? O meglio da dove bisogna partire? Nei
passaggi precedenti Peirce ha precisato che l‟unità della proposizione si realizza nella
proposizione, e nella proposizione si congiunge un concetto mediato ad uno immediato. Se
questa condizione non venisse soddisfatta, tra i due concetti non ci sarebbe differenza e il
concetto non sarebbe riconoscibile come tale. Ma perché il concetto mediato possa inerire a
quello più immediato è necessario che venga prescisso, e ciò creerà una nuova condizione:
il concetto, in quanto astrazione, guadagnerà una distanza dalle impressioni, e allora il passo
successivo è che in modo ipotetico viene applicato al concetto immediato. È necessaria una
dimensione ipotetica: se già negli scritti giovanili risulta consolidata l‟acquisizione che non
è possibile accedere all‟oggetto se non all‟interno di una dimensione rappresentativa,
inferenziale, ora, forse, in modo più efficace, diventa chiaro che l‟unico modo per
rappresentare il molteplice irrelato, senza far ricorso ad un approccio di tipo intuitivo, è
quello logico e in particolare quello ipotetico. Cioè soltanto un predicato possibile, che nella
sua potenzialità logica esprime la possibilità della qualificazione, che apre il ventaglio delle
determinazioni possibili può rappresentare o meglio presentare il reale. Infatti Peirce
afferma: “Considerate ad esempio la proposizione” questa stufa è nera. “Qui il concetto
indicante questa stufa è il più immediato, quello di nera è il più mediato”75
. Quest‟ultimo
perché possa qualificarsi come predicato, ricorda Peirce, deve essere prescisso. Ma se si
tiene presente che non c‟è alcuna possibilità di cogliere in modo immediato il reale, non si
può pensare al presente in generale, come a qualcosa di già identificato, poiché questo
presupporrebbe un„unità già realizzata; al contrario l‟unità è in fieri e quindi è proprio
questa prescissione ad innescare il movimento verso l‟unità e a rendere possibile la
75
Ivi, p.19.
52
riconoscibilità del presente in generale. E allora in questo senso l‟astrazione di cui parla
Peirce è assolutamente necessaria e non può essere considerata arbitraria, se essa addirittura
si pone come formativa del reale.Successivamente Peirce si esprime cosi: “Inoltre, la
nozione di una pura astrazione si rivela indispensabile , poiché non è possibile comprendere
l‟accordo tra due eventi, se non come accordo in un certo rispetto, e tale rispetto è una pura
astrazione simile alla nerezza. Una pura astrazione di questo genere, il riferimento alla quale
costituisce una qualità o attributo generale, può essere definita ground.”76
Queste
proposizioni introducono un altro aspetto del ground che si collegano al passo successivo:
“Il ground è lo stesso self astratto dalla concretezza che implica la possibilità di un altro”77
.
O meglio, a mio avviso, chiariscono meglio che cosa intende Peirce con il termine ground:
se da un lato il ground, come prescisso sembrerebbe mero predicato, quindi Peirce per darne
una formalizzazione possibile è quasi costretto a presentarlo come predicato, -ma in effetti è
la qualità a porsi come predicato-, dall‟altra per far capire il carattere fondativo del ground,
l‟autore mette in evidenza che il ground esprime un accordo, che in quanto tale implica
l‟altro da se: è l‟identità pura, che in se stessa condivide la diversità. Il ground diventa il
piano in cui si lascia vedere come qualcosa potrebbe essere. A mio avviso la gestazione del
ground non è arbitraria, perché la sua formalizzazione logica non è vuota, essa si qualifica
come possibilità originaria, da cui è possibile trarre fuori tutti i predicati possibili. Proprio
perché dal suo grembo stesso il ground lascia sprigionare identità e differenze, è possibile
pensarlo come possibile predicato. Insomma il ground esprimerebbe una relazione che dal
di dentro mette insieme essere e sostanza, nella misura in cui essi non si fronteggiano, ma si
costituiscono insieme. Insomma, se si parte dall‟idea che sostanza ed essere sono già
formati, e allora non si può trovare la loro relazione è inattingibile, poiché diventerebbe
soltanto esterna. La qualità, che costituisce il primo grado nel percorso che distanzia l‟essere
dalla sostanza, può essere predicata, a patto che si riferisca al ground, cioè a patto che venga
presupposta una relazione tra sostanza ed essere, che è proprio garantita dal ground.
Insomma la qualità è primo, ma è secondo rispetto al ground , ma d‟altra parte il ground,
può comparire soltanto come riferimento della qualità. Cioè, se il ground è pura relazione,
nella catena segnica esso non può rendersi disponibile come ground, ma come qualità, che
in qualche modo corrisponderebbe al ground mediato, posto. Il ground può dar vita ai gradi
intermedi che stanno tra sostanza ed essere, perché conviene con il reale, costituisce quel
foro da cui possono uscire relazioni possibili del reale, ma se questo è possibile è perché c‟è
un accordo, la realtà è come se se entrasse in questo foro. Ma quello che uscirà da questo
foro, inevitabilmente assumerà la forma del foro attraverso cui passa, ma non perché il foro
imporrà le sue forme, ma perché passare per quella strettoia e il modo che il reale ha di dare
notizie di sé, e il foro diventa così l‟equivalente del reale, perché ne può condividere la
forma. In questo senso non possiamo leggere il ground come sostanza nel senso di sostrato
passibile di predicazione, ma come possibilità relazionale originaria, esso è il foglio segnico
per antonomasia su cui la realtà si dispiega, su cui vengono portate ad espressione le sue
76
Ivi, p.20. 77
Ivi, p.22.
53
relazioni, e ciò accade non perchè il ground ri-produca le relazioni del reale, ma perché la
potenzialità produttiva del ground è l‟unico modo in cui la realtà può dar conto di sè. Il
ground instaura una profonda relazione con la realtà, nel senso che le divisioni interne al
ground costituiranno traccia segnica della realtà, ed è in esse che la realtà si riconoscerà,
perché proprio esse le offriranno una possibile articolazione, quindi una possibile unità. Ma
di che natura sono queste divisioni? Esse sono prettamente logiche. Se è cosi il ground deve
da un lato fare sempre un passo in avanti in qualità di categoria prescissa, dall‟altro deve
fare un passo indietro per dar conto di se stesso come origine delle stesse prescissioni. Ma
se il ground è capace di tale operazione, esso avrà uno spessore anche ontologico e, forse, in
questo senso può risultare plausibile la traduzione dall‟inglese del termine ground con
interrelazione, nesso, ovvero apertura, possibilità. In On a New Listo of Categories, dopo
aver definito il ground, Peirce necessita del riferimento alla psicologia empirica, per essere
confortato sulle operazioni da effettuare nell‟impatto con il reale. Infatti, afferma Peirce:
“La psicologia empirica ha stabilito che si può conoscere una qualità solo tramite il suo contrasto o
la sua similarità con un “altra qualità. È grazie ad un contrasto o ad una concordanza che un evento
è riferito ad un correlato, intendendo questo termine in un senso più ampio del solito. L‟occasione
per l‟introduzione del concetto di riferimento al ground è data dal riferimento ad un correlato:
questo è dunque, nell‟ordine, il concetto che segue”78
.
L‟introduzione del concetto di correlato, non è disgiunta da un terzo grado intermedio, che
consiste nell‟interpretante. Infatti non soltanto è necessario comparare, poiché ad esempio
nella traduzione di un termine, di un nome che denota un oggetto o altro e che corrisponde
in un‟altra lingua alla medesima cosa, è necessario che questa corrispondenza venga
riconosciuta. “Una rappresentazione […] può essere definita interpretante, perché svolge la
funzione di un interprete il quale afferma che uno straniero dice le medesime cose che egli
stesso sta dicendo”79
. Ma anche il rinvio all‟interpretante non è arbitrario, poiché esso
scaturisce dalla necessità di dare unità al presente in generale, il quale, se non analizzato,
distinto nonché comparato, e infine riconosciuto come tale, non può essere ricondotto ad
unità. Si realizza così la deduzione delle categorie: I cinque concetti cosi ottenuti possono
essere definiti, infatti, “categorie”. Essi sono
“Essere
Qualità (riferimento ad un ground)
Relazione (riferimento ad un correlato)
Rappresentazione (riferimento ad un interpretante)
Sostanza80
Proseguendo, Peirce afferma, che in base al principio della prescissione, non è possibile
separare alcuna categoria da quelle di ordine superiore e che sia ipotizzabile che da queste
ultime scaturiscano tali prodotti:
“Ciò che è
78
Ibidem 79
Ivi, p. 21. 80
Ivi, p. 22
54
Quale-ciò che si riferisce ad un ground,
Relato-ciò che si riferisce a ground e correlato,
Representamen-ciò che si riferisce a ground,correlato ed interpretante.
Esso”81
.
In base a questa classificazione, Peirce trae fuori dal concetto di Quale una differenza
importante, poiché distingue tra qualità interna e qualità relativa. La qualità interna è
caratterizzata da un riferimento al ground che risulta prescindibile. La qualità relativa non
risulta invece prescindibile dal ground. Cioé spiega Peirce: nel primo caso non c‟è
distinzione tra la qualità e la comparazione con altro da se, nel secondo caso sussiste
differenza tra la qualità e il confronto con la sua alterità. Quindi nel primo caso la relazione
è frutto esclusivo del loro accordo, di una relazione puramente interna, nel secondo caso la
relazione è puramente estrinseca ed essa è data da una “corrispondenza di fatto. “La qualità,
infine, se non è prescindibile dall‟interpretante, viene definita imputata.Ormai la riflessione
di Peirce è matura per dedurre la tripartizione delle rappresentazioni fondamentale per la sua
teoria del segno:
“Quelle la cui relazione ai propri oggetti è costituita da una mera comunanza in qualche qualità:
queste rappresentazioni si possono definire Somiglianze.
Quelle la cui relazione ai propri oggetti consiste in una corrispondenza di fatto: esse possono essere
definite Indici o Segni.
Quelle che hanno come ground della relazione ai propri oggetti un carattere imputato: esse sono
cioè identiche a dei segni generali e possono essere definite Simboli”82
.
Questa tripartizione, come Peirce procede negli altri saggi, sarà ulteriormente stratificata, a
livello del simbolo, in “termini”, “proposizioni” e “argomenti”. Una prima considerazione
importante sta nel particolare ruolo svolto dalle likenesses, poiché stabiliscono nei confronti
del ground, a mio avviso, il tipo di relazione che il ground instaura con il molteplice delle
impressioni. Cosi come la likeness è prescindibile dal ground, poiché è un concetto mediato,
allo stesso tempo può essere tale nella misura in cui stabilisce una relazione interna con il
ground, e quindi non è arbitraria, convenzionale .Ma cosi facendo stiamo parlando di una
qualità ipostatizzata, cioè che vale per se stessa e che incorpora, potremmo dire, il ground,
che quindi non è da intendere come prescissa da un presunto soggetto. Quindi ritornando ai
passaggi precedenti il ground è prescindibile, perché di fatto esprime una relazione interna
con il molteplice delle impressioni e dunque è diverso dal molteplice – esso infatti deve
garantirne l‟unità - e in quanto concetto mediato è prescindibile. Ma è prescindibile, perché
si trova in una relazione interna con il molteplice sensibile, insomma il ground può
prescindere, perché ha inglobato il molteplice, o meglio ha operato quella riduzione logica
che gli consente di dargli unità e di immetterlo nell‟universo proposizionale. Nell‟analisi del
processo concettuale, che separa essere e sostanza, il ground rivela uno spessore ontologico,
poiché può soddisfare la condizione di realizzare la connessione tra l‟essere e la sostanza.
Dopo questo lungo percorso diventa forse più chiaro, in che modo è possibile parlare di
81
Peirce, Categorie, cit., p. 23. 82
Ivi, p.23-24.
55
valenza ontologica del ground: i concetti assolvono ad una funzione esclusivamente legata
alla comprensione della realtà, i concetti sorgono in occasione dell‟esperienza, e per
l‟esperienza, poiché è il concetto che permette di comprendere le impressioni. Ma è il
ground, che consente la riconoscibilità del Presente: il ground, in qualità di astrazione, può
costituire l‟unica base sulla quale conoscere il reale , perché è come se fosse la chiave che
dà alla realtà la possibilità di aprire le sue determinazioni, dispiengandosi e rivelandosi.
In base all‟analisi sinora svolta, attraverso la prescissione e l‟astrazione ipostatica, sebbene
ancora non ben distinta da quest‟ultima, così come è stato messo bene in luce S. Marietti83
, è
possibile apprezzare, come era stato accennato precedentemente, che l‟elaborazione del
ground conduce ad un costruttivismo diverso da quello kantiano. Il ground prescisso è
quella convenzione necessaria a che la realtà possa transitare dall‟inesplicabile
all‟esplicabile. E quindi contemporaneamente, in questo movimento di cui è capace il
ground si gioca la partita tra natura e convenzione, e si gioca anche la possibilità di
determinare non soltanto le condizioni di possibilità degli oggetti, ma i possibili oggetti. E
allora in questo senso l‟ontologia cui mette capo il ground è un‟ontologia trascendentale
perché media e non pretende di accedere immediatamente ad un primum, ma al tempo
stesso si spinge oltre le indicazioni kantiane, poiché tale ontologia si pone come un mondo
di possibili oggetti e non soltanto di condizioni di possibilità degli oggetti in generale. E
allora se l‟ontologia che viene fuori è di matrice trascendentale nei termini in cui è stato
detto, la circolarità o continuità tra natura e convenzione può considerarsi ben assestata
all‟interno di una costruzione che ha risolto la mediazione tra pensiero e oggetto, poiché nel
rapporto tra il ground e i diversi livelli del segno si attua la mediazione tra continuità e
discontinuità: i tratti segnici, pur nella loro diversità creano un piano apparentemente
soltanto convenzionale, poiché tale piano diventa il luogo al cui interno si lascia vedere ciò
che convenzionale non è, e che si lascia intravedere proprio in questi luoghi della
convenzione, poiché non ne può abitare altri. Denominare, avere sensazioni, ipotizzare si
equivalgono: è proprio qui che il ground svela la sua energia fondazionale, poiché rende
possibile l‟ipostatizzazione della sua infinita riserva inferenziale ipotetica, e proprio questo
consente l‟insediamento della convenzione, come ad esempio l‟atto del denominare. Ma al
tempo stesso è proprio questo che consente anche la possibilità di cogliere il reale, che non
sta in una sua presunta dimensione irrelata, ma vive soltanto all‟interno di questo piano
offerto dal convenzionale ovvero dalla dimensione segnica. Il ground, a mio avviso,
esprime il senso della creazione convenzionale del segno, il quale più che sostituire o
informare circa la realtà, la ospita al fine di garantirle un‟articolazione possibile, che
altrimenti le rimarrebbe preclusa.
83
S. Marietti, Icona e Diagramma, Milano, Led, 2001.
56
7) La critica del nominalismo
Da una parte Peirce rimane kantiano, perché rimane fedele all‟idea che l‟oggetto non è
disponibile come cosa in sé e che assume identità solo all‟interno del segno, dall‟altra
orienterà il suo pensiero in una direzione assolutamente originale, nella misura in cui ritiene
che il segno, pur nella sua generalità, debba dedurre elementi discontinui, deve produrre
determinatezze, in grado di opporre resistenza ,creare distanza necessaria tra sè e il suo
oggetto, affinché si renda posssibile una conoscenza, che non ammetta, altro all‟infuori del
processo della semiosi. Il ground da una parte garantisce l‟unica mediazione in grado di
permettere l‟accesso alla realtà, nella misura in cui ne costituisce il codice, dall‟altra, in
quanto relazione interna con la realtà, è lo Stesso che si apre all‟alterità. Esso è in grado di
spiegarci la realtà, poiché essa stessa si lascia comprendere all‟interno della struttura del
segno84
. Nei testi che fanno da tramite al Peirce della maturità, grazie alle considerazioni sul
nominalismo e sul convenzionalismo, risulterà forse più chiaro questo impianto, perché
alcuni concetti assumeranno una veste più familiare, dialogando da vicino con punti di vista
radicati nella tradizione. Se i segni sono traducibili in inferenze, questa ultime per altro
riscontrabili anche all‟interno dei gradi elementari della conoscenza, - è utile ricordare a
questo proposito che la sensazione è equiparata all‟ipotesi - insomma, se il segno è una
forma di ragionamento, è sbarrata ogni via di fraintendimento in merito all‟idea che esso
possa assolvere al compito di riprodurre la cosa. Ciò implica però tanto il rifiuto di un
convenzionalismo unilaterale quanto quello del nominalismo. Il primo, sintetizzando l‟analisi
svolta precedentemente, risulta giustificato dall‟identificazione della realtà con la dimensione
segnica: la realtà trova nel segno la sua possibilità, poiché è nella dimensione segnica che
essa può dispiegarsi. Senza le forme segniche non è possibile approcciare la realtà; è in
questo senso che ai segni verrebbe affidata un‟istanza trascendentale, dove le forme segniche
non sono però soltanto modi della conoscenza ma anche della realtà. L‟idea originale di
Peirce è che la realtà si rende disponibile nella modalità del segno e che anche il pensiero, il
ragionamento rivela una trama segnica: in essa senso realtà e pensiero convengono, si
accordano. Se da un lato la dimensione segnica non è auto referenziale, poiché ha la pretesa
di dar conto delle relazioni proprie della realtà, dall‟altra non si qualifica come una relazione
di mera corrispondenza. Ciò non riduce la forza del segno, al contrario è nei segni che la
realtà si dispiega e quindi la grammatica segnica ha un valore oggettivo: ciò che si configura
nei segni, di fatto è anche ciò che si pone come reale. Ma tale accordo è spiegabile nella
misura in cui si tiene conto anche del secondo rifiuto ovvero quello del nominalismo.
Secondo Peirce i segni sono generali, ma come si struttura il generale segnico? I segni
risultano strutturati in maniera tale da esibire una materia, che si pone come la base per
84
Ora se si contestualizza il testo On A New List of Categories all‟interno dei saggi scritti tra la fine degli anni „60 e
quelli degli anni 70, viene fuori la compresenza di due tendenze fondamentali all‟interno del pensiero peirceano che lo
candidano ad integrarsi con la tradizione kantiana, senza contraddire il taglio fenomenologico, che sicuramente
caratterizza gli scritti della maturità. Si delineano due matrici portanti quali la prospettiva trascendentale e la visione
fenomenologica. In questa direzione sembra procedere l‟analisi di Ransdell. Cfr J.Ransdell, The Epistemic Function of
iconicity in perception, Peirce studies 1, 1979: 51-66.
57
arrivare al concetto. Il segno dispone di una sua articolazione, necessita di una sua
processualità: da una materia formata perviene al simbolo. Insomma il segno è sede del
generale e dell‟individuale, esso è capace di dedurre il suo oggetto, in questo senso è come
se Peirce realizzasse, tenendo presente il registro kantiano, “un uso trascendentale del
segno”, oltreché empirico. Il segno di Peirce realizza pienamente la sintesi kantiana,
certamente trasformando la logica kantiana, poiché da astratta diventa capace di dedurre
contenuti: se questo, secondo Kant era consentito soltanto alla matematica, dalla prospettiva
peirceiana diventa anche prerogativa della logica. E quindi in questo senso potremmo
scorgere una dimensione sintetica del segno. Dopo On a New List of Categories, nei saggi
del „68, la demolizione del concetto di intuizione, sul piano strettamente gnoseologico apre
la strada, in modo più chiaro ed efficace all‟idea di una conoscenza esclusivamente di natura
inferenziale. L‟impossibilità di disporre di un criterio intuitivo, atto a distinguere le
conoscenze immediate da quelle determinate da altre conoscenze, e la constatazione che il
processo della conoscenza necessita di un dato esterno per attivarsi conducono Peirce a
concepire il pensiero come una struttura inferenziale. Il pensiero così inteso semantizza il
dato altrimenti inattingibile e incapace di giustificare la relazione tra oggetto e pensiero. E in
questi termini il pensiero pone la necessità del segno: “È chiaro che nessun altro pensiero
può essere evidenziato da fatti esterni. Ma abbiamo visto che il pensiero si può conoscere
solamente attraverso i fatti esterni. Dunque, il solo pensiero che è possibile conscere è, senza
eccezione, il pensiero in segni”85
. L‟iter inferenziale sembra rinviare ad una premessa
originaria, ma essa in quanto tale è preclusa alla conoscenza, infatti in Ground of Validity of
the law of logic Peirce in modo definitivo sradicherà l‟idea di postulare un primum
affermando: “predicare una cosa di un‟altra è asserire che la prima è un segno della
seconda”86
. In questo modo Peirce pone in evidenza anche l‟impossibilità di accedere alla
cosa in sé, poiché quest‟ultima verrebbe attraversata da modalità conoscitive che sono
proprie del soggetto e che ne manderebbero in la dimesione di assolutezza. La conoscenza è
possibile a patto che oggetto e pensiero condividano un comune orizzonte. Su questa base,
tutte le considerazioni degli scritti del „65 e del „66 risultano inverate e maggiormente chiare.
Perché Peirce insiste nel dire “Che tutto quel che è, è in qualche modo”? Perché soltanto cosi
l‟Essere risulta già inserito in una relazione, immesso nella rete del pensiero. La realtà non
risulta intelligibile, se scollata dal processo inferenziale, essa si identifica invece proprio con
i significati veicolati dalla dimensione segnica, la cui elaborazione non è da imputare al
singolo individuo, ma ad una comunità ideale, volta a produrre nuovi segni, capaci in modo
sempre inedito di scoprire nuovi volti della realtà. “Il reale, dunque, è ciò in cui, presto o
tardi, alla fine si risolveranno le informazioni e il ragionamento e che è quindi indipendente
dagli erramenti di ogni singolo individuo”87
. I saggi del „68 costituiscono una tappa
significativa, poiché sul piano semiotico ed epistemologico giustificano la necessità del
segno, lasciano emergere il modo in cui il segno è capace di tenere insieme l‟elemento
85
Peirce, Questioni concernenti certe pretese facoltà umane cit.,p. 329. 86
Peirce, I fondamenti di validità delle leggi della logica (1868), p. 574. 87
Peirce, Some Conseguences of four incapacities, cit., p.107
58
naturale e il convenzionale. Il problema infatti non è quello di scegliere tra l‟uno e l‟altro, ma
di far comprendere come convivono all‟interno di una struttura circolare, è il segno che
consente il passaggio dal naturale al convenzionale, perché esso stesso incarna questo
scambio tra natura e convenzione. “Il segno è cosi e cosi; il segno è quella cosa”88
. A mio
avviso si tratta proprio di uno scambio, perché da una parte il reale non dispone di altro
luogo in cui può dar conto di sé, dall‟altra la struttura del segno, così come la propone Peirce
sembra giustificata, se assolve alla funzione di esplicare le relazioni del reale. Questi testi
costituiscono il laboratorio in cui Peirce sperimenterà le potenzialità ontologiche del segno e
in cui traccerà il percorso delle riflessioni mature signs. Se il segno è inferenza, è quel
continuum in cui staziona la realtà, e allora la prova che il segno sia fondativo sta proprio
nell‟uso che Peirce fa della logica. La logica peirceana rinnova se stessa, come viene
sostenuto da diversi studiosi, in nome della risoluzione di questioni di tipo ontologico, e
animata da un‟istanza pragmatica scaturisce dal bisogno di trovare un metodo corretto per
leggere la realtà. È utile fare abduzioni sempre nuove e sottoporle al filtro logico, perché così
può essere supportato, giustificato il piano categoriale, ma in questi termini la logica non si
qualificherà come mero metodo, poiché in itinere riorienterà il suo percorso integrando il
tracciato ontologico della metafisica classica. Se da una parte già negli scritti giovanili sono
evidenti le premesse del profilo del Peirce della maturità, dall‟altra un esempio del modo in
cui la logica accompagnerà l‟iter della metafisica peirceana può essere dato dal fatto che la
sua grammatica contemplerà la possibilità di inserire al proprio interno anche i primi livelli
del segno, cioè, stando alla classificazione contenuta negli scritti giovanili, le copies e i,
denominati nella logica matura “icone” e “indici”.
88
Ivi, p.106. Utile il suggerimento di Bonfantini: “evidentemente possiamo esplicitare le seguenti corrispondenzeattribuzione
assoluta- icona; attribuzione relativa–indice; attribuzione per imputazione convenzionale – simbolo”. Ibidem.
59
SECONDA PARTE
SECONDO CAPITOLO
Natura e convenzione negli scritti degli anni ‘70
1) La rappresentazione tra natura e convenzione
La svolta degli scritti della maturità consistente nel considerare corpo integrante della logica
anche le icone e gli indici può essere gradualmente compresa e maggiormente approfondita
se, in base ad una ricerca lessicale sull‟occorrenza dei termini natura e convenzione, ci si
sofferma ancora sul concetto di rappresentazione.
Natura e convenzione sono due termini che pur non ricorrendo in modo “tecnico”
nell‟opera di Peirce, costituiscono a mio avviso, nel loro reciproco relazionarsi in modo
polare e non dicotomico, lo spazio stesso, il luogo „naturale‟, dell‟icona. Ciò consente alla
riflessione peirceana di sviluppare forme multiple di transizioni, di sovrapposizioni e
inclusioni rispetto alla tradizionale opposizione fra costituzione naturale e costituzione
simbolica del segno.
Prima di analizzare il modo in cui natura e convenzione si intrecciano e faranno luce sulla
destinazione dell‟icona, avverto l‟esigenza di riportare alla memoria un punto della celebre
discussione del Cratilo circa il carattere naturale o convenzionale dei nomi: il ruolo di
“mediazione” di Socrate che innesca dietro l‟apparente contrapposizione delle tesi di
Ermogene e di Cratilo un gioco sottile di reciproco rinvio, tale da metterle entrambe in
contraddizione nella loro unilateralità. Perché il nome possa dar conto della natura della
cosa, deve contenere gli elementi appropriati che lo possono rendere simile alla cosa. Ma
ciò non prescinde dall‟eventualità che esistano i nomi falsi. E Socrate insiste sulla necessità
che si istituisca la convenzione, pur tenendo presente che i nomi siano simili alle cose. Tale
apparente contraddizione può essere risolta chiarendo che denominare non si identifichi
con l‟imitare, d‟altra parte se i due termini, nome e cosa, si identificassero apparirebbero
delle semplici repliche prive di valore. In base a queste considerazioni il nome sembra
possedere le caratteristiche dell‟icona: così come l‟icona non è in connessione causale con
l‟oggetto, ma ripete l‟essenza, il nome, più che denotare, ripete ciò che sta nelle cose. Ma
proprio questa asimmetria tra nome e cosa, tra icona e referente rinvia non soltanto alla
prospettiva del Cratilo, ma anche alla domanda di Teeteto allo straniero nel Sofista: “Che
cosa, straniero, potremmo dire che sia l‟immagine, se non una cosa che, fatta a somiglianza
di una cosa vera, è distinta da questa e tale quale la vera”? [....] È realmente solo come
rappresentazione somigliante”89
. In questo senso e per l‟icona e per il nome i referenti
potrebbero anche non esistere, poiché il nome e l‟icona significano senza denotare.
Insomma è necessario che ci sia una dimensione che stia tra l‟essere e il nulla. Sembra
89
Platone, Sofista, trad.it., in Platone Opere complete, ( a cura di Lorenzo Minio Paluello), Laterza, 1984, Roma –Bari,
pp. 212-213.
60
plausibile, come invitano a fare le stesse indicazioni provenienti dal Cratilo e dal Sofista,
pensare ad una dimensione che stia tra natura e convenzione, cioè ad una dimensione di
significanti che pur non denotando significhino qualcosa. Proprio in questa dimensione è
riconoscibile la struttura dell‟icona peirceana, quest‟ultima, infatti, è virtuale: nel
momento in cui si rende disponibile la dimensione indicale senza la quale l‟icona non può
darsi, la possibilità originaria dell‟icona scompare per lasciare il posto all‟indice e al
simbolo, dopo che ne ha reso possibile il loro l‟apparizione.
Ciò che dalla posizione di Socrate emerge è che la funzione svolta dal nome cioè quella di
dare identità alla cosa può realizzarsi se si pensa al denominare come ad un atto di
costruzione, tale da esibire tratti osservabili, che diventino a loro volta veicoli di
significazioni che eccedono gli accordi stipulati dai singoli soggetti. E quindi, da una parte,
la convenzione istituita sembrerebbe produrre suoni, apparentemente neutri, dall‟ altra la sua
stessa produzione diventa patrimonio comune perché osservabile, pronunciabile. In questi
stessi tratti sarà coglibile l‟esordio di un processo di significazione, l‟anticipazione del
logos. In questi termini il nome è l‟esito di una costruzione che darà vita alla fisionomia
della cosa e in tal modo il nome ripeterebbe il movimento dell‟ icona, che sostanzialmente
si pone come struttura anticipativa della genesi dell‟oggetto.
Ebbene, il dire non è anch‟ esso un‟ azione90
?
In questo interrogativo si può riscontrare la matrice di quel piano di intersezione tra
matematica, logica, semiotica, la cui esplorazione costituisce la via specifica del mio lavoro
di ricerca: il nome stesso non bisogna intenderlo come una struttura lineare, esso, invece, si
potrebbe qualificare come uno spazio matematico91
, ipotetico, con cui si misura il
legislatore, che sembra l‟unico atto a possedere l‟ arte di dare i nomi e ad esprimere
attraverso di essi la natura delle cose. Anche qui ciò di cui si tratta non è una riproduzione
della cosa bensì un modello nel quale la cosa può riconoscere la sua essenza. Ma se questo
obiettivo sarà raggiunto, la costruzione/convenzione stessa verrà trascesa per lasciare
spazio ad una verità stabile, oggettiva.
Leggiamo quanto afferma Socrate nel Cratilo: “Non bisogna dunque anche denominare
così, nel modo e col mezzo onde natura vuole che le cose si denominino e siano
denominate, e non già secondo l‟ arbitrio nostro [….] “92
?
Il processo di significazione sembra inscriversi all‟ interno di una costruzione,
apparentemente determinata e soltanto convenzionale, ma in realtà se sarà una
costruzione riuscita, quest‟ultima, all‟ interno delle determinatezze esibite, delle
trasformazioni, delle possibili articolazioni, delle differenze specifiche, sarà capace, nella
sua verità, di delineare qualcosa come una natura.
I nomi diventano plastici, relazioni spazializzabili, all‟ interno delle quali è possibile
intravedere la lenta gestazione del vero. Cosi come l‟ icona precede la cosa e il concetto,
allo stesso modo il nome precede il logos, orientandone la direzione93
.
90
Platone, Cratilo, cit., p.12. 91
Preziosa l‟indicazione di F. Lo Piparo: ”Se parole e numeri sono ramificazioni di un medesimo tronco cognitivo,
la riflessione filosofica su numeri e /o nomi non può non tenerne conto:la spiegazione del contare coinvolge
quella del parlare.È temerario pensare che un dialogo così impegnativo come il Cratilo non ne tenga conto”. Angolo
retto e nome ortogonale. I modelli matematici del Cratilo, in Semiotica: testi esemplari. Storia, teoria, pratica, proposte,
a cura di G.Manetti e P.Berretti, Testo & immagine,Torino, 2003, pp. 3-14. 92
Platone, op. cit., pp.12-13 93
Efficaci le parole di F. Vimercati: “Per il pragmatista la parola è la regola generale e universale, certamente non nei
termini di un processo di astrazione dall‟esistente che rappresenterebbe la negazione di un rapporto con il medesimo
61
La trama del segno potrebbe essere vista come una riproposizione della “divisione per
generi”, dove l‟icona svolge la funzione di porre la condizione del procedimento diairetico,
nella misura in cui costituisce il luogo in cui stanno insieme identico e diverso. E in questo
senso l‟icona è il luogo dell‟ipotesi, perché deve individuare quali relazioni possibili
possono rivelarsi proficue, al fine di pervenire alla dimensione simbolica. Ma già nel
Sofista viene tematizzato il valore produttivo dell‟immagine, e potremmo dire che già
l‟icastica platonica concorre a delineare tre tratti fondamentali: la valenza formativa
dell‟immagine, il suo stare tra l‟essere e il nulla e quindi il suo carattere possibile,
ipotetico.
Identificato lo sguardo con cui ci si rivolge alla riflessione peirceana, sarà possibile
constatare che se da una parte la ricerca lessicale condotta su termini come, image, likeness,
resemblance ha già fornito garanzie abbastanza solide circa l'idea di un uso non mentalistico
del concetto di rappresentazione, che sostanzialmente coincide con lo stesso concetto di
segno, dall'altra la ricerca lessicale di nature and convention nei primi volumi dei Writings
contribuirà a irrobustire il corpo delle argomentazioni in merito al ruolo fondativo del
concetto di rappresentazione e ad estendere l‟orizzonte in cui viene esercitato tale ruolo,
sino ad arrivare alla elaborazione matura del concetto di icona.
All'interno dei Writings, in diversi scritti viene ribadito che “a simple idea is of intellectual
value to us not for what it is in itself but as standing for some object to which it relates”94
.
Cosi come si è avuto modo di constatare, il concetto di rappresentazione si pone come
speculare rispetto al concetto di segno, lasciando emergere una profonda affinità fra i due
concetti. È bene riprendere la stratificazione della rappresentazione per approfondire
l‟intreccio tra natura e convenzione, che a mio avviso si lascia leggere secondo un‟ottica sia
trascendentale sia fenomenologica, al fine di dispiegare la linea di fondo del presente lavoro
che si incentra sull‟idea che la ricchezza concettuale di concetti quali ground, copy, image,
resemblance, similarity, riveli la loro energia fondazionale.
Peirce afferma in On Representations del 1873 che la rappresentazione dispone di qualità
che sono prescindibili dal suo significato: “Thus, the word „man‟ as printed, has three
letters; these letters have certain shapes, and are black. I term such characters, the material
qualities of the representation”95
. Proseguendo Peirce indica le altre due proprietà, che
consistono nella connessione fisica che la rappresentazione instaura con uno stato di cose
effettivo (referente), e nella relazione che essa istituisce con il pensiero. Focalizzando
l‟attenzione sulla prima proprietà (la qualità materiale), mi sembra si possa dire che la
rappresentazione disponga di un oggetto, nel senso che appronta un oggetto. La
rappresentazione a questo livello fa sapere che ci potrebbe essere un oggetto, d‟altra parte il
valore della rappresentazione non sta in se stessa ma in ciò cui rinvia. Ma in cosa consiste
il contenuto del rinvio? In un oggetto? Non l‟oggetto, però, è disponibile la relazione. Ma
quest‟ultima cosa tiene insieme? L‟idea e l‟oggetto. Le qualità materiali della
rappresentazione, apparentemente neutre, assolutamente prive di significato, costituiscono
uno spazio in cui dimora la distanza tra oggetto e significato.
bensì secondo un processo di identificazione con i concepibili futuri. Solo così il significato di una parola può
costituire l‟essenza della realtà di ciò che essa significa. La parola intesa nella sua individualità, il nome proprio, non
può essere investito di una funzione significativa, ma unicamente di una capacità denotativa. Eliminando l‟elemento
sensibile, il pragmatista il nome proprio dall‟ambito della significazione razionale ed accoglie il simile, l‟elemento
comune, generale e non individuale”. C. S. Peirce, Che Cos‟è il Pragmatismo, a cura di F. Vimercati, Jaca Book,
2000, Milano, p.98 (nota). 94
W3:76. 95
W3:62.
62
In questo spazio viene indicata una direzione, che crea le condizioni per innescare il
movimento grazie al quale si formerà il significato. Proprio di questo spazio è possibile dare
una lettura sia trascendentale sia fenomenologica, poiché da un lato la rappresentazione
assolve al compito di dar conto del reale sottomettendolo alla sua grammatica, infatti le
cognizioni ultime possono essere colte soltanto dentro la trama rappresentativa; dall‟altro la
rappresentazione espleta tale compito, sia configurandosi come condizione dell‟intelligibilità
del reale, sia provvedendo a costruire gli oggetti possibili del reale stesso. Infatti le altre due
proprietà della rappresentazione sviluppano questa valenza costruttivistica intrinseca all‟atto
rappresentativo. La seconda proprietà della rappresentazione, sebbene si adoperi ad indicare
l‟oggetto esistente, non è bastevole, perché è necessario che la rappresentazione dia conto della
rappresentazione dell‟oggetto indipendentemente dal fatto che esista, e nello stesso tempo la
rappresentazione deve disporre di un livello tale che consenta di rappresentare qualsiasi cosa
la stessa rappresentazione rappresenti.
I vari strati della rappresentazione contribuiscono a creare un percorso lungo il quale si attua
il processo di significazione. Infatti Peirce afferma: “For as „A is B‟ is a representation
which represents that whatever is represented by the representation A is represented by the
representation B, to say that „man is mortal‟ is to say that whatever thing or word „man‟
stands for the „mortal‟ also stands for”96
. Le frasi successive in modo più immediato sono
rivelative della processualità della rappresentazione, cioè del passaggio da una base
materiale ad una dimensione di tipo concettuale (convenzionale). “The logical term is
wanting not only in its reference to the interpreting representation but also in its explicit
reference to its object. It is as it were merely the representative embodiment of the imputed
quality”97
. E non è un caso che, secondo Peirce, le differenze tra i segni sono legate alle
relazioni intercorrenti tra le qualità materiali e le qualità imputate. Ad esempio ci sono
segni, in cui la relazione tra qualità materiale e qualità imputata è di somiglianza, come nel
caso di un quadro, in altri casi come nelle parole è convenzionale, e in altri ancora la
relazione è di tipo fisico. In quest'ultimo caso la relazione, per quanto non ascrivibile alla
somiglianza non è classificabile come puramente convenzionale.
Dunque la rappresentazione ha una base materiale: la qualità materiale, essendo
indipendente e dalla connessione con l‟oggetto e dalla rappresentazione indirizzata ad una
mente, anticipa l'oggetto, le altre due proprietà della rappresentazione lo rendono
intelligibile. La qualità materiale del segno da una parte è fenomenologica, poiché fornisce
una base materiale su cui costruire la rappresentazione o segno, dall'altra è trascendentale,
poiché è all‟interno di questa dimensione, di per sé invalicabile, che si apre il processo di
significazione. In questi termini la qualità materiale del segno è ascrivibile ad una logica di
tipo costruttivista, poiché pone la condizione per la costruzione di un possibile oggetto.
Alcuni passaggi del Chap. 6th del „73 rafforzano questa idea, poiché insistono sul fatto che i
segni non hanno la funzione di riprodurre la realtà bensì di costruirla. Proviamo a seguire i
passaggi per chiarire ulteriormente il rapporto tra segni, pensiero e realtà. “[...] What exists must itself be an object of thought. That is to say thought must be implied as a
part of the meaning of the word. We can have no conception of anything which is not an object of
thought; and a word to which no conception attaches, has no meaning at all. Consequently an
attempt to find a word which shall express a thing that exist without implying that that is a possible
object of thought, will result simply in a meaningless or contradictory expression”98
.
96
W3:64. 97
Ibidem. 98
W3:79-80.
63
Insomma la parola non ha soltanto un potere denotativo, ma dispone di un corpo, di una
qualità materiale al cui interno è possibile dar conto potenzialmente della qualità imputabile.
Ciò è possibile non perchè a fondamento c‟è la materia, ma perché a fondamento c‟è la
relazione tra materia e concetto; d‟altra parte se non fosse cosi, verrebbe meno l‟assunto
secondo il quale è impossibile accostarsi immediatamente all‟oggetto.
Peirce insiste su tale necessità ineludibile: non può che essere appreso all‟interno della rete
del pensiero l‟oggetto, altrimenti destinato a rimanere inafferrabile, indicibile. Ma ciò non
vuol dire negare l‟indipendenza dell‟oggetto, poiché la prospettiva di Peirce rimane realista
nel senso che il segno riconosce indipendenza all‟oggetto, e proprio per questo si adopera ad
approntare un luogo in cui il reale possa presentarsi e possa esibire la sua identità.
E quindi proprio in questo senso il suo livello primario, in questo caso la sua qualità
materiale, si adopera a porre la condizione della deduzione dell‟oggetto, ma porre la
condizione dell‟oggetto significa dar conto anche dell‟oggetto, perché esso non si trova mai
scisso dalla sua condizione, non c‟è mai l‟oggetto da una parte e il pensiero dall‟altra.
Conviene ripetere, ancora, che se si desse una condizione di questo tipo non potrebbe avere
inizio il procedimento deduttivo del reale. Leggiamo Peirce: “Let us consider the casual connection between the object of cognition and the cognition and the
cognition itself. The reality has an effect on our thought and therefore exist before that thought. But
the object of the final opinion is contingent upon the future event. Thus the existence of some thing
in the present depends upon the future conditional occurrence of a certain event”99
.
Il reale, prima del pensiero, può costituire un input, ma è soltanto dopo, quando sarà
supportato dal pensiero-segno, che esso sarà riconoscibile come tale.
Sempre in riferimento alla fondamentalità della qualità materiale all‟interno del segno sono
pertinenti i passaggi argomentativi di Logic Notebook del „67 in cui Peirce, in modo chiaro,
afferma che la likeness si riferisce a qualsiasi cosa, i cui caratteri siano ascrivibili ad essa, in
questi termini essa non può essere suscettibile di verità o falsità: la likeness non può essere
falsa riguardo a qualcosa, semmai essa sembra proprio assolvere al difficile compito di
approntare un luogo in cui convivono il falso e il vero, infatti essa è come se proponesse i
caratteri possibili dell'oggetto, per quanto questi ultimi potranno essere comprovati e
legittimati solo quando saranno identificati l‟oggetto esistente e l‟interpretante.
2) Peirce e i Medievali
Perché si manifesti all‟interno del processo conoscitivo qualcosa di nuovo, perché in
definitiva si produca qualcosa di nuovo, è necessario partire da questa base, apparentemente
fragile in cui sembra consistere la likeness. Essa è soltanto apparentemente fragile, poiché
addirittura il concetto si realizza grazie ad essa. Infatti Peirce afferma: “When I conceive a
thing as say „three‟ or „necessary‟ I necessarily have some concrete object in my
imagination”100
. L‟atto del concepire è reso possibile dall‟atto dell‟immaginazione, e, come
è stato più volte ribadito, ciò non significa che quest‟ultimo si identifichi con un atto di
riproduzione, poiché il suo referente non è un individuale.
Nelle pagine precedenti è stata trattata proprio questa questione, qui è utile insistere su di
essa perché si intende chiamare in causa l'arcaica questione degli universali e il dialogo che
99
W3:80. 100
W2:10.
64
Peirce instaura con gli studiosi medievali. Tale richiamo potrà fornire ulteriori elementi, che
si riveleranno idonei a potenziare la perspicuità del discorso peirceano. Per cogliere la
fondamentalità della qualità materiale del segno seguiamo le argomentazioni dell'autore,
incrociate all‟interno della ricerca lessicale dei termini nature, convention, ground,
reference, representation, sign, likeness, similarity. Per dare una risposta, con argomenti
nuovi, alla domanda relativa all‟idea che il referente dell‟immaginazione non sarebbe un
individuale è opportuno partire dalla nota questione: cos‟è la realtà? Esistono gli
individuali?
I significati quale garanzia hanno rispetto alla realtà? Insomma il mondo costruito dal segno
è in accordo con la realtà, o è un universo meramente convenzionale? In un certo senso il
mondo dei segni sembrerebbe esclusivamente scollato rispetto alla realtà, poiché il segno,
anche nel suo livello primario, non corrisponde ad un pezzo della realtà, anzi proprio in
questi termini non c‟è corrispondenza. E allora rimangono separate realtà e segno? I
passaggi argomentativi precedenti rispondono già a queste domande radicali, ma, come è
stato detto, provo a rispondere interpretando gli altri elementi che Peirce integra nel corso
della sua speculazione.
Partiamo dalla seguente definizione del concetto di verità: “Truth belong to signs,
particularly, and to thought as signs. Truth is the agreement of a meaning with a reality”101
.
Ma in che modo due dimensioni così eterogenee convengono? Peirce si affretta ad affermare
che la cosa reale coincide con ciò che viene considerata l‟opinione finale ovvero con quella
che, dopo avere tenuto conto dell‟esperienza, del confronto con altri punti di vista, perviene
a ciò che può essere riconosciuto come reale. I feelings diventano il piano su cui si vedono
gli oggetti, essi non servono soltanto per dar conto degli oggetti ma per esibire anche ciò
che hanno in comune gli oggetti. Un‟indicazione importante è infatti data dal fatto che
l‟oggetto cui si riferisce il segno è indeterminato. E ciò non è fonte di confusione, poiché
tale indeterminatezza è imprescindibile, poiché soltanto qualificandosi come indeterminato
il segno può dedurre un oggetto possibile. Questo è proprio un punto fondamentale che
conviene sempre ribadire, poiché è qui che Peirce espugna la fortezza dell‟ individuale, è la
nozione di segno che consente la demolizione dell‟idea dell‟esistenza di un primum
individuale. Non si dispone mai di due dimensioni assolutamente definite, di cui una è la
riproduzione dell‟altra: la dimensione segnica opera sulla realtà a patto che sia in grado di
costruire un percorso, un ragionamento, a conclusione del quale viene posto un possibile
oggetto.
Peirce in a New Class of Observations, suggested by the principles of Logic ribadisce che
nessuna cosa è individuale e che anche quella più concreta non risulta mai assolutamente
determinata, essa contiene sempre un tasso di indeterminazione. Dal momento che è
impossibile disporre di sensazioni o di oggetti determinati, è necessario prendere in esame le
relazioni tra le cose, piuttosto che le cose, secondo Peirce, e se le relazioni scelte non
risulteranno bastevoli per rendere intelligibili gli oggetti della conoscenza, allora si
provvederà a concepire altre relazioni, in un processo mai arrestabile, in cui
progressivamente potranno emergere sempre nuove relazioni, indispensabili al processo di
significazione.
In Description of a Notation For The Logic of relatives, resulting from an amplification of
The conceptions of Boole‟s calculus of logic Peirce fornisce anche una versione logica della
spiegazione relativa all'inesistenza degli individuali, che argomenta in questo modo:
101
W2:439.
65
“The logical atom, or term not capable of logical division, must be one of which every predicate
may be universally affirmed or denied. Form, let A be such a term. Then, if it is neither true that all
A is X nor that no A is X, it must be true that some A is X and some A is not X; and therefore A
may be divided into A that is X and A that is not X, which is contrary to its nature as a logical atom.
Such a term can be realized neither in thought nor in sense. Not in sense, because our organs of
sense are special – the eye, for example, not immediately informing us of taste, so that an image on
the retina is indeterminate in respect to sweetness and non-sweetness. When I see a thing, I do not
see that it is not sweet, nor do I see that it is sweet: and therefore what I see is capable of logical
division into the sweet and the not sweet. It is customary to assume that visual images are
absolutely determinate in respect to color, but even this may be doubted. I know no facts which
prove that there is never the least vagueness in the immediate sensation. In thought, an absolutely
determinate term cannot be realized, because, not being given by sense, such a concept would have
to be formed by synthesis, and there would be no end to the synthesis because there is no limit to
the number of possible predicates. A logical atom, then, like a point in space, would involve for its
precise determination an endless process. We can only say, in general way, that a term, however
determinate, may be made more determinate still, but not that it can be made absolutely
determinate”102
.
E così il vero e il significato si costruiscono sulla base di queste relazioni, all'interno di un
processo indefinito di somiglianze e di differenze. La gestione di queste relazioni non può
realizzarsi in un'ottica in cui si tiene fede all'originarietà dell'individuale bensì in una
prospettiva in cui si assume il generale, come luogo possibile in cui maturare il vero.
Dalla prospettiva di Peirce risulta infondata l‟idea che ci possa essere una corrispondenza
speculare tra immagine e referente. Viene fuori piuttosto un'idea della realtà e del pensiero
assolutamente dinamica. Insomma ai segni della mente che sono essenzialmente generali,
corrispondono le cose, ma esse vanno intese non semplicemente come elementi individuali,
ma come realtà inviduali e generali, o meglio come individui aventi una valenza generale.
Non è un caso che, secondo Peirce, l'individuale possa essere suscettibile di essere
infinitamente determinato.
Ma cosi come il generale nel reale è riconoscibile soltanto in fieri, per quanto attingibile
dentro la catena degli individuali, e quindi all‟interno di una materia, di un individuale, di
un oggetto immediato, allo stesso tempo anche il segno necessita di una struttura analoga,
nel senso che il segno deve disporre di una materia per elaborare il generale, il significato, il
quale in quest‟ottica rivela una struttura assolutamente dinamica103
. Quindi una risposta alla
102
CP 3.93. Peirce specifica in nota: “The absolute individual can not only not be realized in sense or thought, but
cannot exist, properly speaking. For whatever lasts for any time , however short, is capable of logical division, because
in that time it will undergo some change in its relations. But what does not exist for any time, however short, does not
exist at all. All, therefore, that we perceive or think, or that exist, is general. So far there is truth in the doctrine of
scholastic realism. But all that exist is infinitely determinate, and the infinitely determinate is the absolutely individual.
This seems paradoxical, but the contradiction is easily resolved. That which exist is the object of a true conception. This
conception may be made more determinate than any assignable conception; and therefore it is never so determinate that
it is capable of no further determination”. Ibidem. A tal proposito in Notes on Symbolic logic, uno scritto del 1901,
Peirce ricorda che: “(As technical term of logic, individuum first appears in Boeth, in a translation from Victorinus, no
doubt of atomon, a word used by Plato(Sophistes,229D) for an indivisible species, and by Aristotle, often in the same
sense, but occasionally for an individual. Of course the physical and mathematical senses of the word were earlier.
Aristotle‟s usual term for individuals is tà kat‟ekasta, Latin singularia, English singulars) Used in logic in two closely
connected senses. According to the more formal of these an individual is an object (or term) not only actually
determinate in respect to having or wanting each general character and not both having or wanting any, but is
necessitated by its mode of being to be so determinate. See Particular (in logic)”. CP 3.611. 103
Interessanti le considerazioni di S. Petrilli e A.Ponzio in merito al rapporto tra Peirce e i Medievali. Essi, dopo aver
sottolineato la profonda conoscenza della filosofia medievale da parte di Peirce, propongono un parallelo tra il segno in
Peirce e Petrus Hispanu, articolando le seguenti corrispondenze: “vox significativa=representamen; significatio or
66
domanda, relativa al motivo per cui all'immagine non corrisponde l'individuale, sta nella
consapevolezza che sia il pensiero–segno sia la realtà condividono la medesima struttura,
nella misura in cui contengono elementi individuali e generali, e quindi in questo senso non
è possibile concepire corrispondenze di tipo binario quali, ad esempio, immagine visiva e
cosa vista.
Ma proprio qui si avverte il peso della lezione dei Medievali, che vale la pena di sottolineare
esaminando lo scritto del „71 Fraser‟s The Works of George Berkeley. Peirce, dopo avere
messo a confronto il concetto di reale, quello da lui ritenuto più familiare, in cui si ritiene
che il pensiero sia assolutamente influenzato dalle cose esterne, passa ad esaminare un
concetto di reale meno familiare, che spiega in questi termini: sebbene sia imprenscindibile
l‟influenza esterna da parte delle cose e la cosa risulti indipendente dal singolo pensiero,
essa non è già bella e confezionata, pronta per essere spacchettata dal pensiero, ma è essa
stessa in cerca della propria identità, nel senso che si costituisce in itinere, e per realizzare
tale fine si appoggia al pensiero che gli offre la tela su cui incidere il suo profilo. In questo
modo diventa chiara l‟inadeguatezza del modello corrispondentistico, quest'ultimo non è
pertinente, perché non si tratta per il pensiero di trovare le sue riproduzioni nella realtà ma
di assecondare, o meglio di costruire il percorso lungo il quale dirigersi per dispiegare il
significato della realtà. Ma se così stanno le cose, il punto non è quello di trovare una
corrispondenza tra un singolo pezzo di realtà e un singolo pezzo di pensiero, quasi vi
fossero il pensiero e la realtà disponibili come due cose diverse. Infatti, afferma Peirce: “The realist [...] will not, therefore, sunder existence out of the mind and being in the mind as
wholly improportionable modes. When a thing is in such relation to the individual mind that that
mind cognizes it, it is in the mind; and its being so in the mind will not in the least diminish its
external existence. For he does not think of the mind as a receptacle, which if a thing is in, it ceases
to be out of. To make a distinction between the true conception of a thing and the thing itself is, he
will say, only to regard one and same thing from two different points of view; for the immediate
object of thought in a true judgment is the reality. The realist will, therefore, believe in the
objectivity of all necessary conceptions, space, time, relation, cause, and the like”104
.
Dopo avere riferito in merito ai due modi di concepire il reale, Peirce apre il dialogo
direttamente con due studiosi medievali, Scoto e Ockham, esponendo i tratti essenziali delle
loro rispettive teorie, e passando successivamente al modo in cui la tradizione moderna ha
rielaborato la spinossissima questione degli universali. La soluzione proposta da Scoto
risulta, secondo Peirce, apprezzabile, poiché essa mira a far convivere l'individuale e
l'universale. Peirce argomenta la posizione di Scoto, prendendo in considerazione le due
modalità attraverso le quali una cosa può essere nella mente:
representatio=interpret; acceptio pro=to stand for; aliquid (to which the operation of the acceptio is
referred)=dynamical object”. S Petrilli e A.Ponzio, Peirce and medieval semiotics in Peirce‟s Doctrine of signs, edited
by V. Colapietro,T.M.Olshewsky, Mouton de Gruyter Berlin – New York, p. 352. Sulla base di tali corrispondenze è
interessante quanto viene affermato in riferimento ai termini significatio e meaning: “The significatio is not res, as we
may be led to believe on using the term „meaning‟ in the place of „significatio‟, unlesswe intentionall wish meaning to
be understood as significatio, as proces, just as the Tractatus in terms used not only in Peirce‟s pragmatism, but alsoin
the theories of authors, such as Morris, Wittgenstein and Ryle, who criticized reifying and hypostatizing conceptions of
meaning: meanings are not things; to say that there are meanings is not the same as stating that there are trees and rocks;
meanings are inseparable from the signifying process (see Morris 1938 and Ryle 1957)”. Ivi, p.354.
104
W2:471. Peirce afferma in un passo precedente: “[…] General conceptions enter into all judgments, and therefore
into true opinions. Consequently a thing in the general is as real as in the concrete. It is perfectly true that all white
things have whiteness in them [...] that all white things are white; but since it is true that real things posses whiteness,
whiteness is real. It is a real which only exist by virtue of an act of thought knowing it, but that thought is not an
arbitrary or accidental […] but one which will hold in the final opinion”. W2:470.
67
“A notion is in the mind actualiter when it is actually conceived; it is in the mind habitualiter when
it can directly produce a conception. It is by virtue of mental association (we moderns should say),
that things are in the mind habitualiter. In the Aristotelian philosophy, the intellect is regarded as
being to the soul what the eye is to the body. The mind perceives likenessand other relations in the
objects of sense, and thus just as sense affords sensible images of things, so the intellect affords
intelligible images of them. It is as such a species intelligibilis that Scotus supposes that a
conception exist which is in the mind habitualiter, not actualiter. This species in the mind, in the
sense of being the immediate object of knowledge, but its existence in the mind is independent of
consciousness. Now that the actual cognition of the universal is necessary to its existence, Scotus
denies. The subject of science is universal; and if the existence of universal were dependent upon
what we happened to be thinking, science would not relate to anything real. On the other hand, he
admits that the universal must be in the mind habitualiter, so that if a thing be considered as it is
independent of its being cognized, there is no universality in it. For there is in re extra no one
intelligible object attributed to different things. He holds, therefore, that such natures (i.e. sorts of
things) as man and a horse, which are real, and are not of themselves necessarily this man or this
horse, though they cannot exist in re without being some particular man or horse, are in the species
intelligiblis always represented positively indeterminate, it being the nature of the mind so to
represent things. Accordingly any such nature is to be regarded as something which is of itself
neither universal nor singular, but is universal in the mind, singular in things out of the mind”105
.
La soluzione di Scoto si presenta congeniale all'impostazione peirceana, per quanto non
sovrapponibile106
. Non c'è dubbio che in questa fase della produzione peirceana, il realismo
di tipo logico costituisce un punto di riferimento imprescindibile, e quindi la prospettiva di
Scoto non può che essere accettata pienamente, per quanto l'universale peirceano, avendo
pretese scientifiche, si identifica, più che con un'essenza, con una legge esplicativa del reale,
che serve a dare forma al reale. Anche qui si avverte l‟eco di Kant, poiché l'esistente,
l‟individuale, per quanto irriducibili al concetto, solo all'interno del generale acquistano
significato. Non è un caso che lo stesso Peirce consideri la filosofia kantiana, nel suddetto
testo, come un passaggio dal nominalismo al realismo107
. La prospettiva di Peirce,
105
W2:472-473 106
A. Fumagalli, riferendosi allo studio di Boler sull‟influsso della tradizione scotista nel pensiero peirceano, afferma:
“c‟è un sostanziale accordo fra Peirce e Scoto sul fatto che la natura o la legge devono essere un intelligibile che è reale
e obiettivo. Scoto aveva definito come formalità ciò che può essere correttamente concepito di un oggetto, ed è reale nei
confronti delle operazioni dell‟intelletto. La definizione di realtà di Peirce sembra una riformulazione pragmatica di
questa definizione scotista della realitas o formalitas: la realtà è ciò che è pensato nell‟opinione «ultima». La natura
comune in Scoto non è una res ma una realitas, qualcosa di essenzialmente concepibile, ma reale per le operazioni
dell‟intelletto. «Queste realtà» - o formalità, perché sono formalmente distinte le une dalle altre - non sono né oggetti
fisici né concetti: sono «reali» in quello che Scoto ha chiamato un «modo metafisico». Ci troviamo così con una
definizione di realtà che è ottenuta attraverso un rapporto costitutivo con un intelletto che conosce: l‟analogia con la
reality di Peirce ci sembra a abbastanza evidente”. A. Fumagalli, Il reale nel linguaggio, vita e pensiero, Milano, 1995,
p.221. 107
Quanto ai rapporti tra Peirce, la tradizione scotista e quella kantiana, preziosa la ricostruzione elaborata da
Fumagalli, poiché di ampio respiro e utilissima per un‟adeguata contestualizzazione della prospettiva peirceana
nell‟ambito della storia della metafisica, riguardo al modo di concepire la nozione di individuale. Fumagalli, basandosi
sullo studio di Gilson, ritiene che, a partire da una concordanza tra Scoto e Avicenna riguardo il primato dell‟essenza
sull‟essere, la metafisica avicenniana sia arrivata a Kant attraverso la mediazione di Wolff, che avrebbe condiviso la
posizione di Avicenna, identificando l‟esistenza con un complementum possibilitatis. Kant così si ritrova a fare i conti
con una tradizione di pensiero che ha privilegiato l‟essenza. Contro questa metafisica Kant insorge, rivendicando i
diritti dell‟ esistente, ma quest‟ultimo viene irreggimentato dall‟intelletto. Infatti, quanto alla comprensione del reale la
responsabilità è affidata all‟ intelletto e “il fatto dell‟esistenza ha quindi in Kant un carattere extraconcettuale, ma non
trascendente o extrasoggettivo: l‟esistenza rimane in un contesto logico-trascendentale [...] la funzione della effettività
(wirklichkeit), che corrisponde all‟existence in Peirce, è in Kant, come sarà in Peirce, ridotta a dare al pensiero un
necessario punto di riferimento empirico, nulla di più: non ci si deve aspettare nulla di determinante rispetto alla
68
interamente rivolta a trattenere la materia nelle maglie del segno, non può che ritrovare
elementi preziosi nella controversia sugli universali.
Dopo avere esposto la tesi di Scoto, Peirce passa ad esaminare la posizione di Ockham,
della quale ciò che risulta particolarmente interessante per il presente discorso è l'obiezione
relativa alla tesi di Scoto e la negazione oggettiva dell'esistenza delle likeness. Ockham non
comprende, dal momento che le cose sono composte di materia e forma, in quale senso esse
potrebbero essere sganciate da qualsiasi atto mentale e quindi non affida alcuna autonomia
al reale, e quanto alla relazione, che si suppone esistente in sé e per sé, l'autore ribadisce che
non esiste nulla di diverso dalle cose che si trovano in relazione. E non solo ma “[…] this denial he expressly extends to relations of agreement and likeness as well as to those of
opposition. While, therefore, he admits the real existence of qualities, he denies that these real
qualities are respects in which things agree or differ; but things which agree or differ agree or differ
in themselves and in no respect extra animam”108
.
Prosegue affermando che le cose possono essere considerate simili, ma tale somiglianza è
frutto di astrazione nel senso che la mente astraendo, si avvale di segni per designare la
rassomiglianza tra le cose.
Dal dialogo con i medievali, a mio avviso, si comprende meglio come la likeness abbia un
peso importante all'interno della prospettiva peirceana, e come essa investa alcuni dei
passaggi fondamentali della storia della filosofia, poiché rinvia allo spinosissimo problema
del rapporto tra generale e individuale. Riguardo a questo tema capitale, la soluzione fornita
da Peirce, in riferimento agli scritti esaminati, per quanto riconducibile per certi versi alla
tradizione kantiana, annuncia già una direzione, come è stato già notato precedentemente,
che culminerà con l'elaborazione della Faneroscopia, oggetto specifico di riflessione degli
scritti della maturità, in cui il pensatore americano fonderà una visione ontologica della
qualità che contribuirà a inverare i contenuti della riflessione giovanile e si costituirà come
esito di un percorso, la cui evoluzione condurrà a collocare all‟interno di uno spazio logico-
matematico e semiotico sia il concetto di icona che la costruzione dei grafi esistenziali come
luoghi possibili di accesso alle relazioni derivabili dall‟orizzonte metafisico.
3) La likeness negli scritti della logica del ‘73
Prima di arrivare a questi esiti della produzione peirceana, indugio ancora sulle
argomentazioni degli scritti di questa fase. In Chapt.4(33) Peirce insiste sulla impossibilità
di conoscere immediatamente la realtà, posizione sulla quale si è già argomentato. Mi
intrattengo ancora su questo tema, per dar conto del fatto che l‟impossibilità di un approccio
immediato all'oggetto non conduce Peirce a elidere il problema della materia,
dell'individuale, e a privilegiare la valenza generale del pensiero segnico. Al contrario tutta
la fatica della speculazione peirceana sta nel tenere incessantemente in vista - in ogni punto
dell‟argomentazione - la materialità del segno stesso: comunque è da lì che bisogna partire
per avviare il processo di conoscenza. Ma la materialità, perché possa effettivamente
struttura concettuale della realtà […] il fatto dell‟ esistenza ha quindi in Kant un carattere extraconcettuale, ma non
trascendente o extrasoggettivo: l‟esistenza rimane in un contesto logico-trascendentale”. Ivi, p. 228-229. 108
W2:475.
69
qualificarsi come portatrice di qualcosa di nuovo, deve essere mediata, sebbene ancora non
concettualmente.
In Chapt.4 Peirce propone un esempio: “[…] Supposing the chair to be looked at with one eye. It is clear that the most that can be
impressed upon the retina, is a flat picture of it. The vision of the chair in three dimension, is an
interpretation of this picture; but is not itself the picture. If it is looked at with both eyes, two
differing pictures are made on the two retinas; and the vision of it as one will result from a still
more complicated mental process. In point of fact, however, not even two dimension are given in a
immediate visual sensation; because the retina is not spread out like a sheet of paper; but consists of
innumerable needle- points, which is sensitive. No one of these, gives any sensation of extension,
but only a flash of light without any reference to extension; therefore, all of them together give no
sensation of extension, except so far as the mind is able to interpret the signs of extension which
they present […] But even if the image of the chair in its three dimensions were directly given, as it
is not; still it would not be given as external to the mind. In that sensation there would be contained
no decision, whether it were external or whether it were a dream”109
.
In questi termini, prosegue Peirce, la sensazione è ingannevole, poiché in essa non è
contenuto nessun giudizio di esternalità.
In Chap.4.Of Reality Peirce, approfondendo la natura della sensazione, pone in rilievo come
le nude osservazioni non permettono nessuna operazione di confronto, poiché, afferma
Peirce, l‟atto del comparare non è ricavabile dalle osservazioni, poiché due diverse
osservazioni non possono essere paragonate così come sono in se stesse, ma è possibile
riscontrare differenze e somiglianze con l'ausilio della memoria e di altri processi cognitivi
che producono pensieri a partire da pensieri già elaborati. E quindi le relazioni tra i dati non
sono oggetto di osservazione, ma d'altra parte, come è stato rilevato precedentemente,
nemmeno lo stesso oggetto di osservazione può fare a meno di un‟adeguata elaborazione
mentale. La prova che le osservazioni risultano mediate sta nel fatto che differenti
osservazioni conducono ad una verità comune, ma ciò è possibile grazie all'intervento di un
filtro, che è di natura inferenziale, in caso contrario non sarebbe possibile produrre comuni
riflessioni, poiché le osservazioni fra loro, come ha notato l‟autore, non sarebbero confrontabili,
e quindi risulterebbe impossibile qualsiasi assemblaggio. Sempre nell‟autunno del 1872 Peirce
argomentava affermando che “Mental affection, indeed, cannot in any case be said to produce like sensations independent of
inference, for likeness consists in the fact that a certain conception will result from a comparison,
and therefore supposes inference. But it is conceivable, perhaps, that no man could reach a certain
conclusion except through one determinate series of judgments”110
.
Se da un lato Peirce insiste sulla indubbia natura inferenziale del processo conoscitivo, dall'altra
tiene fede all'indipendenza del dato reale. L‟impostazione peirceana, profondamente legata
all'insegnamento kantiano, non smarrisce l‟impostazione trascendentale, difendendo sempre
l‟indipendenza del reale, infatti, in Chapter I V. Of Reality Peirce ritiene che sia possibile
conciliare due tesi che sembrano apparentemente in contrasto: se da una parte le
osservazioni e i ragionamenti del singolo individuo possono rivelarsi accidentali, dall‟altro
la realtà deve essere identificata con ciò che è pensato nell'opinione vera finale. Superare
l'apparente contrasto è possibile, se si suppone che ciò che viene pensato sia, per quanto non
immediatamente, in the long run coincidente con il reale.
L'argomentazione peirceana segue questo iter:
109
W3:33. 110
W3:48.
70
“What we think when we have an opinion are thoughts. What is meant by the distinction between
thoughts which exist independent of all thoughts which do not so exist but only exist as thoughts?
This distinction, if it exist, lies in a region wholly out of thoughts nor those of any being whatever
can penetrate. It follows that there is no idea of any sort in our mind or in any possible mind
corresponding to this distinction; it is therefore a distinction in words without any distinction in
sense”111
.
D‟altra parte, prosegue Peirce, se poniamo la questione in questi termini e cioè che un
concetto viene definito vero se ad esso corrisponde una cosa, in base a quanto detto prima,
tale cosa non è possibile identificarla, poiché ad essa non è possibile attribuire alcuna
likeness. Quest‟ultima, infatti, è già essa stessa frutto di un'inferenza, dal momento che si
pone come una relazione. E allora se si afferma che un concetto è vero se corrisponde ad
una cosa effettivamente esistente indipendente da tutto il pensiero, anche in questo caso non
si esce dall'impasse, poiché, opportunamente rileva Peirce, si tratterebbe di una mera
sostituzione di relazioni, nel senso che anche la relazione tra il concetto e la cosa non può
prescindere dal pensiero, essa stessa è messa in atto dalla mente. E quindi può diventare
debole la argomentazione, in virtù della quale esiste una cosa indipendente dal pensiero cosi
come sarà configurata nell‟ “opinione finale”.
Seguendo il filo della ricerca lessicale di nature e convention nei Writings, di likeness,
image, resemblance in The Essential Peirce e in Collected Papers emerge un punto di
snodo importante, che ci permette di capire anche l‟ evoluzione del pensiero di Peirce.
Sono gli anni in cui Peirce matura la massima pragmatica e si adopera a che la filosofia si
appropri del metodo scientifico, ritenuto l'unico in grado di determinare un reale
avanzamento nella conoscenza. L‟adesione al pragmatismo112
contribuisce sicuramente a
consolidare lo statuto dell‟immagine. La straordinaria forza proveniente dalle scoperte
scientifiche, comunque, non sarebbe bastata, se Peirce non avesse avuto lo spessore
filosofico sufficiente di trasferire all'interno del suo sistema quanto fosse stato necessario
per fondare un'adeguata ontologia. Le riflessioni sull'immagine, sul rapporto tra
individuale e generale, si sprovincializzano, poiché l'interesse per la scienza, per la
fondazione corretta di ragionamenti, con tutte le valenze etiche che ne vengono fuori,
coinvolgerà più da vicino, o meglio creerà un piano di convergenza abbastanza solido in cui
si intersecheranno linee semiotiche, logiche, e matematiche. Non è un caso che sin dagli
esordi della riflessione del pensatore americano la semiotica di fatto non compaia slegata
dalle riflessioni logico-matematiche. Se è con il 1885, cosi come sostengono vari studiosi,
che si può parlare di una vera svolta in ambito logico e matematico, già a partire dagli anni
111
W3:56. 112
È utile tenere presente che negli scritti tra il 1903-1905 Peirce puntualizza il concetto di pragmatismo, per prendere
le distanze dalla filosofia pragmatica che intanto si divulgava e che dalla sua prospettiva creava non pochi equivoci. In
modo perspicuo Peirce chiarisce nella lettera a Calderoni i tratti specifici della sua concezione pragmatica rispetto al
credo pragmatico, ormai diffuso, e così afferma: “Nego che il pragmatismo come da me originariamente definito faccia
consistere il significato intellettuale dei simboli nella nostra condotta. Al contrario sono stato molto attento a dire che
consiste nel nostro concetto di ciò che la nostra condotta sarebbe in occasioni concepibili”. Peirce, AL signor Calderoni,
sul pragmatismo (1905), cit., p.1262. Essenzialmente Peirce intende mettere l‟accento sul fatto che secondo il suo
pragmatismo, ora denominato pragmaticismo, il significato è un generale e quindi la sua attenzione è rivolta non ad
un‟azione determinata che si qualificherebbe come un esistente e quindi come un individuale, ma ad un‟azione
concepibile. È proprio la concepibilità ovvero l‟azione ascritta alla Possibilità che costituisce il tratto distintivo della
filosofia pragmatica di Peirce. È in virtù di questa apertura al futuro e ai possibili modi di inferire che al pragmatismo è
consentito di tenere insieme le diverse dottrine del suo sistema, poiché il carattere possibile dell‟azione pragmatica
diventa il baricentro dell‟intelligibilità di termini quali icona, primità e abduzione che certamente sintetizzano in modo
originale la speculazione peirceana.
71
„70 è riscontrabile un ampliamento significativo dei confini della riflessione del filosofo
americano.
Prima di legare il discorso sull' immagine e sul rapporto tra individuale e generale a nozioni
quali credenza (belief ), abito (habit), è opportuno ricordare che già in Some Consequences
of four incapacities Peirce pone in evidenza come lo statuto generale dell‟immagine sia
legato essenzialmente alla natura inferenziale della conoscenza. Se il rapporto tra la mente
conoscente e il reale non è mai immediato ma mediato, perché inferenziale, risulta chiaro
che non è possibile inferire immagini assolutamente singolari. Ma Peirce spiega che bisogna
tenere presente che se con il termine singolare si intende qualcosa di esistente in un
determinato spazio e in un determinato tempo, evidentemente questo è possibile supporlo.
Ma se con tale termine “si intende ciò che è assolutamente determinato in tutti i rispetti”
allora in questo caso non è disponibile alcuna via per accedervi. È importante ricordare che
non abbiamo alcun potere intuitivo per distinguere fra i vari modi soggettivi di cognizione;
e quindi spesso pensiamo che qualcosa ci si presenta come un'immagine immediata, mentre
in realtà è costruito dall'intelletto sulla base di esili dati. Questo è il caso dei sogni, come si
dimostra dalla frequente impossibilità di darne un racconto intelligibile senza aggiungere
qualcosa che avvertiamo non essere nel sogno stesso. Molti sogni, che la memoria, da
svegli, ha trasformato in storie elaborate e coerenti, probabilmente, di fatto, devono essere
stati meri miscugli di sentimenti ”113
.
È utile ribadire queste considerazioni, per porre in evidenza che la dimensione
dell'immagine acquista uno spessore teoretico, poichè è supportata da tesi fondamentali quali
la negazione dell‟intuizione, dell'assolutamente inconoscibile, e l‟impossibilità di disporre di un
pensiero senza segni.
L'immagine ha valenza fondativa, è uguale a se stessa, ma la sua stessa identità si sporge
verso altro, è come se fosse un solido con un doppio fondo. Se guardiamo bene dentro
scopriamo un'altra cosa dentro la prima. Insomma comprendere che le immagini non
possono essere copie delle sensazioni, è giustificato dal principio che anima tutta la
prospettiva peirceana che consiste essenzialmente nella natura inferenziale del pensiero:
tutti i vari plessi della struttura conoscitiva rispondono ad una esigenza di tipo inferenziale.
La prova della solidità della struttura dell'immagine potrebbe essere data dal modo in cui
essa si inserisce nell‟ambito della riflessione su nozioni quali credenza, abito, concetti dai
quali germoglierà il pragmatismo, un altro asse importante del pensiero peirceano. L'innesto
dell'immagine all'interno della prospettiva pragmatica ci permette non soltanto di cogliere
l'unità e la coerenza del pensiero peirceano, attestata dalla declinabilità della medesima
prospettiva nelle diverse filosofie dell‟autore, ma anche di apprezzare il modo in cui il
pragmatismo rafforzerà lo statuto dell‟immagine aprendola al dialogo con le questioni
centrali del pensiero filosofico. Infatti in questi scritti che preparano i testi degli anni „77-
„78, ci sono già le coordinate del nascente pragmaticismo e del rapporto che quest‟ultimo
intrattiene con le grandi questioni della tradizione.
Per dar conto di questi elementi procediamo a partire da Chap.5th del „73, in cui Peirce
definisce il termine credenza qualificandola come un abito che permette il transito da
un'idea ad un'altra. Qui l'autore precisa che la credenza non soltanto non è disponibile come
qualcosa di presente nell‟immediato, ma è anche indisponibile in un determinato periodo,
poiché essa non si offre come un dato presente alla mente ma come un‟ abituale
connessione tra le cose. Già la definizione di credenza (belief) ci permette di cogliere la
113
Peirce, Some consequences of four Incapacities, cit., p.103.
72
necessità di pensare il „fra‟ le cose più che le cose. Infatti la credenza si adopera a che le
idee possano saldarsi insieme secondo regole generali, ed essa è sempre in atto, se cessa di
esserlo non è più definibile come credenza, ma ciò impedisce alla credenza di essere
oggettivata e quindi Peirce afferma: “A thought must therefore be a sign of a belief; but is
never the belief itself”114
.
Le medesime considerazioni valgono per il concetto di inferenza, e anche per una semplice
idea, infatti, aggiunge Peirce, il valore di un'idea risiede nel suo carattere di rinvio più che
nella sua inseità. Se lo statuto della credenza è tale, è evidente che saranno le relazioni tra le
idee attivate in un tempo indefinito a determinare il vero. Paiono cosi dominanti in questo
contesto il rinvio e la naturale sporgenza del pensiero verso il futuro, infatti la specificità
della credenza risiede nella capacità di un trasferimento (translatio) incessante di segno in
segno. La credenza, potremmo dire, unisce il passato al futuro, nel senso che se da una parte
volge lo sguardo indietro, poiché si appoggia ad un pensiero-segno, già compiuto, dall‟altra
proietta in avanti il suo raggio di azione, poiché il suo significato consiste negli effetti che
esso determina su altri pensieri. Il valore, infatti, di una cognizione sta nella capacità di dare
origine ad altri significati. Infatti Peirce afferma: “And the existence of a cognition is not
something actual, but consists in the fact that under certain circumstances some other
cognition will arise”115
.
La conoscenza parte sempre dal già noto per approssimarsi al non ancora noto: a parte le
ascendenze hegeliane di questa impostazione, e la coerenza con la quale viene ripresentata
negli scritti maturi degli anni „77-„78, è importante sottolineare come venga supportata e
sviluppata la tendenza a svelare dell‟immagine non già l‟aspetto informativo bensì quello
formativo.
L‟impalcatura pragmatica contribuisce a far riconoscere in quella che di fatto è la pratica del
metodo scientifico la natura profonda, se così possiamo dire, del livello base del segno, nel
senso che nei primi livelli del segno è in atto la capacità di presentare qualcosa: non già
quella statica di riproduzione di qualcosa di già dato, ma quella dinamica, che consiste nel
presentare qualcosa che è in fieri, che è pronto a trasferirsi verso altro, nella misura in cui la
sua energia non viene soppressa, al contrario continuamente erogata. E quindi in questo
senso l'immagine appare da una parte statica, poiché sembra riprodurre qualcosa, dall'altra si
protende verso altro. È la somma di questi due aspetti che fanno dell'immagine una struttura
fondativa.
Cosi come il pensiero non può contenere tutta la riserva di significato che si sprigiona dalla
credenza, cui esso mette capo, allo stesso modo l'immagine trascende la sua materialità,
poiché la sua natura è incessantemente differita, o meglio nel suo differire l‟mmagine trova
la sua natura.
Il binomio ragione-osservazione, già riscontrabile nell‟ambito dell‟analisi precedente,
diventa congeniale alla riflessione sul metodo scientifico e all‟elaborazione del metodo
pragmatico. Essenzialmente il carattere progettuale, aperto al futuro e il carattere
sperimentabile propri dell‟idea pragmatica di conoscenza – in seguito denominata
pragmatici sta - si riveleranno idonei a dar conto della struttura dell‟immagine, nella misura
in cui condivide con essa i medesimi caratteri.
In particolare gli scritti degli anni „77-„78 sul piano epistemologico avrebbero la funzione di
far capire che i tre modelli di ragionamento, deduzione, induzione, ipotesi, si rivelano
114
W3:76. 115
W3:77.
73
egualmente indispensabili al metodo scientifico e che lo spazio dell‟inferenza e quello del
segno coincidono, dal momento che si ritrovano alla base di ogni processo conoscitivo. Così
anche sul piano epistemologico si proverebbe il connubio tra la dimensione razionale e
quella osservativo-immaginativa.
4) Il pragmatismo e le nozioni di likeness e hypothesis negli scritti ‘77-‘78
In base a queste considerazioni diventa necessario spostarsi temporalmente verso gli scritti
degli anni „77-„78, nei quali vengono arricchiti ed elaborati i concetti che contribuiranno a
formare la dottrina del pragmatismo, già essenzialmente anticipati tra il „72 e il „73, che
sono funzionali a dispiegare la tesi di fondo del presente lavoro116
.
I saggi pubblicati sul Popular Science Monthly tra il 1877 e il 1878, sebbene già anticipati sia
dai testi del „68 che dalla logica del „73, assolvono alla funzione di tradurre le tesi di fondo
esposte precedentemente all'interno di un contesto diverso, che è quello epistemologico. In tale
ambito la domanda è: come si passa dal già conosciuto al non ancora conosciuto? Cos‟è che
ci permette di compiere quel balzo in avanti tale che sia possibile guadagnare inediti
significati? Qual è il metodo idoneo a raggiungere tale obiettivo? Come sempre avviene nel
caso di un autore come Peirce, che certamente non può essere accusato di chiudere il
pensiero entro settori angusti, la risposta a queste domande arriva anche dalla cultura del
suo tempo, testimoniata dalle acquisizioni che intanto il filosofo accumula in diversi ambiti
disciplinari. L‟utilizzo originale dell'evoluzionismo, la valorizzazione del concetto di
continuità, le nuove acquisizioni della logica dei relativi, che avevano dato vita al testo
Description of a Notation for the Logic of Relatives, resulting from an Amplification of the
Conception of Boole‟s Calculus of Logic, il confronto con gli intellettuali del Metaphysical
Club, ambiente vivace e vario per le diverse prospettive culturali che in esso confluivano,
contribuiscono a fondare il metodo pragmatista, che non va confuso, come precisò lo stesso
Peirce, successivamente, con quello elaborato dai suoi contemporanei.
Peirce, ne Il fissarsi della credenza, un saggio interessato a demolire ogni forma di
dogmatismo, incentra la sua ricerca sulla individuazione di quei principi guida del
ragionamento che possano garantire un corretto procedimento per approssimarsi alla verità.
Per realizzare questo obiettivo è necessario effettuare una sorta di “speleologia” razionale al
fine di comprendere che ciò che viene presupposto come dato si riveli, dopo un'attenta
analisi, frutto di un processo inferenziale. Infatti anche il darsi della qualità, afferma Peirce,
non è frutto dell‟osservazione, bensì prodotto di un'operazione logica. Quindi, Peirce,
convinto del fatto che non bisogna presupporre alcunché nel ragionamento, poiché qualsiasi
contenuto mentale non si presenta mai in forma immediata bensì mediata, prosegue la sua
analisi descrivendo il percorso effettuato dal pensiero per raggiungere una credenza stabile,
capace di apportare qualcosa di nuovo alla conoscenza. Da uno stato di incertezza, di dubbio
si cerca di liberarsi per approdare ad una credenza, la quale potrà garantire uno stato di
quiete e orientamento per la condotta da intraprendere nelle diverse situazioni. Il
116
Sini, infatti, afferma: “Già nel 1872-1873 Peirce elaborerà […] la cosiddetta logica del „73, che è nient‟altro che un
abbozzo dei saggi del 1877-78, un abbozzo già completo nelle sue linee essenziali”. C.Sini, Il pragmatismo americano,
Bari, Laterza1972, p. 186.
74
raggiungimento di una credenza stabile si pone come l'obiettivo autentico della ricerca e la
credenza si identifica con ciò che Peirce definisce come abito:
“Quello che ci determina a trarre, da premesse date, un'inferenza piuttosto che un'altra è un certo
abito mentale, o costituzionale o acquisito. L'abito è buono o non lo è, a seconda che produca o non
produca conclusioni vere da premesse vere; e un'inferenza è considerata valida o invalida, a
prescindere dalla verità o dalla falsità specifica delle sue conclusioni, a seconda che l'abito che la
determina sia tale da produrre o da non produrre, in generale, conclusioni vere. Il particolare abito
mentale che governa questa o quella inferenza può essere formulato in una proposizione la cui
verità dipende dalla validità delle inferenze che l'abito determina; e una tale formula è chiamata
principio–guida di inferenza”117
.
Ma qual è il metodo che consentirà di raggiungere un abito buono? Dopo un'analisi dei
metodi proposti dalla tradizione quali il metodo della tenacia, il metodo dell'autorità e quello
della ragione a priori, l'autore perviene alla conclusione che di fatto tali metodi si
equivalgono riguardo agli errori effettuati nel procedimento conoscitivo.
Essenzialmente, sebbene il metodo a priori possa risultare più raffinato, di fatto i metodi,
ora presi in considerazione, risultano assimilabili, poiché pretendono di innescare il
processo della conoscenza a partire da qualcosa di già stabilito sia essa la tenacia sia
l'autorità siano esse le forme a priori. È il metodo della ricerca scientifica che può
qualificarsi come il metodo privilegiato, perché è affrancato da qualsiasi dimensione
soggettivistica e costruisce i suoi concetti sulla base del confronto diretto con l'esperienza. Il
metodo scientifico diventa il metodo per eccellenza, poiché non è di parte. Esso non
pretende di avvalersi di un‟impalcatura già precostituita o di imporla con la forza o con
l‟autorità.
La garanzia del metodo scientifico sta nell'indipendenza della realtà, nella consapevolezza
che l'atto del conoscere deve condurre la ragione ad aprirsi agli input provenienti dal reale, e
proprio questa disponibilità darà alla ragione più forza, perché essa potrà trovare un
fondamento oggettivo e all'interno di questo piano oggettivo scoprire le profonde relazioni
che la legano al reale. Insomma il punto è che la ragione può sperare di capire la realtà non
certo respingendola e sostituendola con i propri principi, ma al contrario facendo lo sforzo
di andare incontro ad essa. Ma in questo incontro la ragione scoprirà la forte relazione che la
lega al reale, una relazione che le si rilveli in termini di somiglianza. Si scopre che c'è una
parte dura all‟interno della ragione, un fondo materiale, che è dovuto al piedistallo che la
ragione offre al reale per sorreggersi e presentarsi, e, al tempo stesso, il reale con la sua
indipendenza offre alla ragione una base oggettiva.
Infatti Peirce, come aveva già affermato nei saggi del „68, ribadisce la necessità della
presenza di elementi esterni perché il pensiero possa procedere con la conoscenza: “per
soddisfare i nostri dubbi, è necessario trovare un metodo in base al quale le nostre credenze
siano determinate da niente di umano, bensì da qualche permanenza esterna – da qualcosa
sopra cui il nostro pensiero non abbia nessun effetto […]. ci sono cose reali, le cui
caratteristiche sono interamente indipendenti dalle nostre opinioni; queste cose reali
agiscono sui nostri sensi secondo leggi regolari, e sebbene le nostre sensazioni siano
differenti quanto sono differenti i nostri rapporti con gli oggetti, tuttavia, giovandoci delle
leggi della percezione, possiamo accertare mediante il ragionamento come le cose realmente
e veramente sono; e ogni uomo, se avrà sufficiente esperienza e se ragionerà abbastanza
117
Peirce, Il fissarsi della credenza,(1877), cit., p. 359.
75
sulla sua esperienza, sarà condotto all'unica vera conclusione. La concezione nuova qui
implicata è quella di realtà”118
.
Come rendere chiare le nostre idee sviluppa l'indicazione proveniente dal precedente
saggio, consistente essenzialmente nella necessità dell'adozione del metodo scientifico per
comprendere come esso sia utile nel passaggio da uno stato di disagio quale può essere
quello del dubbio, della incertezza ad uno stato di credenza.
E così, riecheggiando il Teeteto, il problema sembra ancora quello relativo alle modalità
secondo le quali è possibile distinguere una credenza vera da una credenza falsa.
Infatti Peirce ritiene che la credenza abbia la funzione di debellare il dubbio al fine di fissare
una regola per l‟azione, di creare un abito. Tutta la fatica del pensiero viene messa alla
prova nella capacità di uscire dal dubbio per raggiungere la credenza, e in questo
movimento viene espressa la sua creatività con l'elaborazione di ipotesi, che siano in grado
di reggere l'impatto con la realtà. La formulazione dell‟ipotesi, che si avvale a sua volta
della struttura dell'immagine, diventa il piano in cui ha luogo il movimento che dal dubbio
perviene alla credenza, la quale potrà esibire la sua verità soltanto in un tempo indefinito,
mantenendosi incessantemente aperta alla comunità interpretante. Peirce infatti afferma: “Comunque sorga, il dubbio stimola la mente a un'attività che può essere debole o energica, calma o
turbolenta. Le immagini passano rapidamente attraverso la coscienza, fondendosi incessantemente
l'una nell'altra, finché, quando tutto è finito – in una frazione di secondo, o in un‟ ora, o dopo lunghi
anni –, ci troviamo decisi su come dobbiamo agire in circostanze simili a quelle che hanno dato
origine alla nostra esitazione. In altre parole abbiamo conseguito la credenza”119
.
Le ipotesi elaborate potranno condurre così il pensiero ad una credenza stabile,
determinando una tregua tra la cessazione del dubbio precedente e quello che risorgerà
successivamente, a condizione che la credenza presa in considerazione determini una regola
inedita, significativa per l'azione. Quindi rispondendo alla domanda riguardo al criterio di
distinzione tra le varie credenze, Peirce afferma che le credenze si differenziano in base alle
diverse regole che esse stesse mettono in atto. La distinzione può essere identificata soltanto
su un piano pratico, di fatto la distinzione tra i significati si pone come una differenza
pratica. Diventa importante il concetto di significato che nelle pagine di questo testo viene
messo a punto, poiché con molta forza viene affermato che il significato di una cosa si
identifica con le operazioni, con gli abiti che la cosa stessa mette in atto. Infatti, afferma
Peirce: “la nostra idea di qualsivoglia cosa è l'idea che abbiamo dei suoi effetti sensibili […]
Consideriamo quali effetti che potrebbero concepibilmente avere conseguenze pratiche noi
concepiamo che gli oggetti della nostra concezione abbiano. Allora, la nostra concezione di
quegli effetti è la totalità della nostra concezione dell‟oggetto”120
.
Se la chiarezza delle credenze è raggiungibile su un piano pratico, da questo stesso
scaturiscono i concetti di realtà e di verità.
Il piano pratico diventa quello su cui non soltanto si apprezza la chiarezza delle idee, ma
anche l'elaborazione di un nuovo concetto di realtà e di verità. In che modo è concepibile la
realtà? Essa non si configura più come un presupposto. Si potrebbe dire che, dopo
l‟idealismo, la prospettiva peirceana costituisce per certi versi un modo nuovo, pur
attingendo alla tradizione, di negare il presupposto realistico. In che senso? La realtà perde
il suo carattere sostanziale, poiché si identifica con gli effetti che essa produce, con le
operazioni a cui essa conduce: non è più un punto di partenza, la sua identità si rende
118
Peirce, Una nuova lista di Categorie, cit., p. 68. 119
Peirce, Come rendere chiare le nostre idee (1878), cit., p.380-381. 120
Ivi, p. 384.
76
disponibile a partire dalle sue produzioni, piuttosto che da una presunta essenza, già da
sempre costituitasi. Se operare secondo il metodo scientifico significa sottoporre al vaglio
dell'esperienza il carattere inedito delle ipotesi elaborate, senza presupporre alcunché né
dalla parte della mente né dalla parte della realtà, la verità sarà concepita come il risultato
di un percorso nel quale si potranno riconoscere tutte le menti coinvolte e quindi come
risultato condiviso, perché raggiunto con l'apporto di tutta la comunità seriamente
impegnata nella ricerca scientifica. La realtà cosi come il pensiero si ritrovano in cammino
verso la loro identità. In modo chiaro in proposito Peirce afferma: “L‟ opinione, nella quale,
fatalmente, tutti coloro che indagano si troveranno in definitiva d'accordo, è ciò che
intendiamo con verità, e l'oggetto rappresentato in questa opinione è il reale. In questo modo
io spiegherei la realtà”121
. Subito dopo, lo stesso Peirce risponde all'insorgenza di una
possibile obiezione riguardo alla contraddizione riscontrabile nell‟affermare la necessità
dell‟indipendenza della realtà dal pensiero e nello stesso tempo la sua dipendenza da
quest‟ultimo. Ma la risposta, secondo Peirce, sta nel fatto che la realtà è indipendente dai
singoli pensieri ma non dal pensiero in generale. Questa affermazione sembra rimettere le
cose a posto rispetto alla posizione assunta dall'autore nei confronti della ragione a priori,
poiché se da una parte non vengono risparmiate critiche all‟a priori, dall'altra viene fuori
una cooperazione tra reale e pensiero, che comunque sembra assimilabile ad una prospettiva
di tipo trascendentale. Sia il reale sia il pensiero, concepiti come dimensioni assolutamente
dinamiche, convengono e mediante questa convergenza producono conoscenza e si
autostrutturano reciprocamente122
.
Con i saggi successivi l'analisi travalica i confini del metodo scientifico ponendo in luce che
il vero obiettivo non è quello di assolutizzare il metodo scientifico, ma di dar conto della
forza esplicativa della massima pragmatica sottoponendo al suo vaglio la stessa grammatica
del metodo scientifico. Ma questo diventa possibile, poiché l'orizzonte dell'analisi si va
estendendo sino a coinvolgere, come si è avuto modo di constatare, i concetti stessi di realtà
e le diverse forme di ragionamento e quindi il metodo sperimentale diventa uno degli ambiti
a cui applicare il nuovo metodo pragmatico.
L'accento posto sulla specificità dell‟inferenza sintetica rispetto a quella deduttiva, in La
probabilità dell‟ induzione, a proposito della possibilità dei giudizi sintetici a priori ha lo
scopo di porre in evidenza come ciò che ci fa progredire nella conoscenza è la somiglianza
tra le relazioni, tra le operazioni mediante le quali attingiamo nuovi contenuti conoscitivi.
Leggiamo Peirce in merito alla differenza tra inferenza analitica e inferenza sintetica: “Quando traiamo una conclusione deduttiva o analitica, la nostra regola di inferenza è che fatti di un
certo carattere generale sono, sempre o in una certa proporzione di casi, accompagnati da fatti di un
altro carattere generale. Essendo allora la nostra premessa un fatto della prima classe, inferiamo,
con certezza o con l'appropriato grado di probabilità, l'esistenza di un fatto della seconda classe.
Ma la regola dell'inferenza sintetica è di un altro tipo. Quando campioniamo un sacco di fagioli noi
non assumiamo minimamente che il fatto che alcuni fagioli siano viola implichi la necessità, o
121
Ivi, p. 391. 122
A tal proposito condivisibile la tesi di Fumagalli in merito al forte legame tra Kant e Peirce, sottolineata anche in
riferimento all‟analisi di questi scritti. Riguardo invece la critica mossa nei confronti dell‟assolutizzazione del metodo
scientifico espressa da parte di Peirce in merito alla dottrina della transustanziazione, si potrebbe osservare che la
necessità di un elemento sensibile, secondo Peirce, non è soltanto necessario nel metodo sperimentale, ma è
imprescindibile anche in altre forme di conoscenza come quella matematica, logica,semiotica persino metafisica. La
necessità di un elemento materiale e al tempo stesso già mediato o meglio la necessità della mediazione immediata per
poi constatarne il suo dispiegamento pare essere il nucleo concettuale più inedito della speculazione peirceana. Forse il
metodo scientifico costituisce l‟evidenza maggiore di questo inedito.
77
anche la probabilità, che altri fagioli lo siano. Il colore di un fagiolo è interamente indipendente da
quello di un altro. Ma l'inferenza sintetica si fonda su una classificazione dei fatti non secondo i loro
caratteri ma secondo la maniera di ottenerli. La sua regola è che un numero di fatti ottenuti in un
dato modo assomiglierà generalmente più o meno ad altri fatti ottenuti nello stesso modo; ovvero
esperienze le cui condizioni sono le stesse avranno gli stessi caratteri generali”123
.
Le insistenze argomentative sulla specificità dell'inferenza sintetica sono fondamentali,
poiché da parte di Peirce si intende mettere in evidenza che se in un argomento deduttivo le
premesse contengono i contenuti che essenzialmente si esplicheranno, nell‟inferenza
sintetica la conclusione probabilmente ci condurrà verso una conclusione inedita, nel senso
che conterrà elementi non presenti nelle premesse. Quindi, afferma Peirce, “nel caso dell‟inferenza analitica conosciamo la probabilità della nostra conclusione (se le premesse
sono vere), ma nel caso delle inferenze sintetiche conosciamo solo il grado di affidabilità del nostro
procedimento. Poiché tutta la conoscenza deriva dal ragionamento sintetico, dobbiamo inferire
ugualmente che tutta l'umana certezza consiste solamente nel fatto che sappiamo che i processi dai
quali è derivata la nostra conoscenza sono tali che devono aver generalmente portato a conclusioni
vere. Benché un'inferenza sintetica non possa in alcun modo essere ridotta a una deduzione, tuttavia
che la regola dell‟induzione sarà valida a lungo andare lo si può dedurre dal principio che la realtà è
solo l‟oggetto dell'opinione finale a cui un'investigazione condurrebbe. Che la credenza tenda
gradualmente a fissarsi sotto l'influenza dell'indagine è, invero, uno dei fatti con cui la logica ha
inizio”124
.
Peirce, oltre che in questo testo, già nel marzo del 1878 in La dottrina della probabilità e
nell'agosto dello stesso anno in Deduzione, induzione e ipotesi insiste sul carattere sintetico
della conoscenza, poiché essenzialmente è quello che ci può assicurare un reale incremento
conoscitivo. E proprio in vista di questo scopo, perché il procedimento conoscitivo risulti
autenticamente aperto al dialogo con l‟esperienza, è necessario obbedire a determinate
regole, perché lungo il corso della ricerca scientifica non venga assunta alcuna premessa
dogmaticamente e perché un‟ipotesi possa essere utilizzata in modo corretto, è necessario
elaborare un‟adeguata osservazione e procedere alla valutazione delle possibili conseguenze
dell‟ipotesi considerata, includendo anche le previsioni che potrebbero ostacolare le
assunzioni poste. D‟altra parte questo procedimento è necessario affinchè si afferma il
sapere vero, affrancato da ogni metodo di tipo autoritario o dogmatico. Ma se da un lato il
ragionamento deve mostrare la sua libertà da qualsiasi presupposizione, dall'altra non può
trovare conforto in qualche legge già bell'è pronta e disponibile nel reale, poiché anche
quest‟ultimo, sottoposto al metodo pragmatico, guadagnerà la sua fisionomia in fieri,
insieme al modo in cui si configurerà la ricerca scientifica. Pensare ad una struttura già
prestabilita all'interno del cosmo significa ricadere in un‟ impostazione di tipo dogmatico.
Il reale costruisce in itinere la sua identità cosi come il ragionamento procede verso la
verità: i due percorsi risultano inscindibili.
Ne L‟ordine della natura Peirce critica diffusamente il principio posto da John Stuart Mill,
secondo il quale la natura disporrebbe di un‟uniformità già prestabilita, poiché l‟assunzione
di un disegno nell'universo comporta l‟oggettivazione del cosmo nella sua interezza, ma
questa operazione trascende le possibilità della mente, e dal momento che ciò che non è
oggetto del pensiero non è reale, perciò stesso si qualifica come inconoscibile e, in quanto
tale, privo di significato. E così l‟autore, in linea con tutta la riflessione dispiegata nei saggi
123
Peirce, La probabilità dell‟induzione,(1878), cit., p. 1050. 124
Ibidem.
78
del 68, conferma all‟ interno di un sistema di riferimenti più ampio la sua tesi di fondo,
riassumibile nella negazione recisa di qualsiasi atteggiamento postulatorio sia nella struttura
del reale sia in quella del pensiero.
Nell‟ economia del presente discorso questi rapidi cenni ai saggi del „78 hanno la funzione
di evidenziare il senso dell‟elaborazione del metodo pragmatico nell‟ ottica peirceana. La
forte polemica che si evince da alcune affermazioni dei testi, ora citate, non si esaurisce
nella solita critica acerrima da parte dell‟ autore nei confronti della prospettiva dogmatica.
In realtà questi toni appassionati per una ricerca scientifica, libera da impalcature concettuali
precostituite, ritenute trappole nelle quali inciampa il fecondo processo della conoscenza,
anticipano la creazione di un sistema adeguatamente fondato sul piano logico- matematico,
semiotico e categoriale. La distinzione tra il ragionamento analitico e quello sintetico,
presente nei saggi citati, e in modo sistematico tematizzata nell‟ultimo, in ordine
cronologico, dei saggi del „78, non è funzionale semplicemente a far cogliere lo spessore
creativo del sintetico rispetto all‟analitico ma soprattutto ad aprire la strada, sfruttando le
acquisizioni forti provenienti dalla logica dei relativi, dal principio di continuità, e anche
dalla stessa cultura evoluzionistica, verso un nuovo tipo di ragionamento idoneo a coniugare
sintesi e analisi.
Non si tratta certo di ricadere nell‟errore, da cui l‟autore prende le distanze in Deduzione,
induzione e ipotesi, di ridurre il sintetico all‟analitico, ma di concepire la deduzione come
uno sviluppo dell‟ipotesi, di pensare alla deduzione in modo completamente diverso rispetto
alla tradizione. Infatti Peirce pensa ad un ragionamento che valorizzando l‟autonomia delle
inferenze sintetiche sia in grado di includere il momento deduttivo, un ragionamento che,
partendo da un‟ipotesi, sia in grado di darne conto attraverso una dimostrazione, che avrà
una conclusione necessaria, ma della quale le premesse non possono anticipare i contenuti,
poiché, nel caso in cui si desse tale condizione, ricadremmo, secondo Peirce, nell‟errore di
ricondurre il sintetico all‟analitico. Vero è che il ragionamento deve concludere in modo
necessario, ma non secondo la struttura del ragionamento analitico, ma secondo
un‟impostazione che ancora il filosofo deve fondare. Ciò che già comincia a diventare un
perno del sistema di Peirce è l‟idea che deduzione e ipotesi non siano così separate. Per
realizzare l‟idea che la deduzione possa divenire sviluppo dell‟ipotesi e che quindi l‟analisi
e la sintesi possano configurarsi profondamente interrelate, mancano ancora tanti plessi, che
saranno costruiti negli scritti della maturità: l‟idea di una logica aperta alla dimensione
indicale e iconica,oltre che simbolica, la riflessione sul ragionamento matematico,
l‟identificazione della logica con la semiotica. La costruzione di questi pilastri essenziali
per “l‟architettonica” di Peirce riuscirà a fondare in modo completo e trasversale il connubio
ragione e immaginazione.
Sebbene Peirce non riesca ancora a rifondare su nuove basi il suo sistema logico, che
costituirà la chiave di accesso per la sua nuova ontologia, non mancano, in questi scritti,
come d'altra parte negli scritti che li precedono, le tracce per seguire l‟autore nella fatica di
assestare la base teoretica delle acquisizioni giovanili e nel mettere a frutto quelle della
maturità.
Intanto i riferimenti che fanno da sfondo all‟elaborazione di questi scritti del „78 ovvero le
acquisizioni della logica dei relativi, l‟adesione alla nascente idea di continuità, e della
cultura evoluzionista risultano adeguatamente utilizzati, e costituiscono indizi importanti per
seguire le tracce dell‟evoluzione del pensiero peirceano. Proprio l‟enunciazione della
massima pragmatica esemplifica gli esiti della logica dei relativi, conseguiti nello scritto del
„70', nel senso che il significato di una cosa coincide con le relazioni, con le operazioni che
79
la cosa stessa determina. Sono i procedimenti, le operazioni, la costruzione che verrà messa
in atto che dispiegherà la cosa stessa. In un passaggio precedente si affermava che la qualità
non è immediata, ma è il frutto di un‟inferenza, in altri passaggi Peirce afferma il medesimo
punto di vista a proposito del concetto di spazio e del concetto di tempo. Il significato è un
risultato, e le relazioni sono fondative della cosa.
Se si tiene fede al principio kantiano, ribadito più volte da Peirce, secondo il quale i concetti
fondamentali della metafisica scaturiscono dalla logica, è utile soffermarsi su alcune nozioni
presenti in Descrizione di una notazione per la logica dei relativi che risulta da un
ampliamento dei concetti del calcolo logico di Boole per porre in evidenza come Peirce
applichi costantemente questo principio. La formalizzazione logica infatti costituisce una
ribalta necessaria per comprendere come stanno le cose nell‟architettonica peirceana, in
particolare la nozione di relativo e l‟adozione del segno di inclusione sicuramente
costituiscono i presupposti logici anche dell‟ottica pragmatica che viene fuori dai saggi del
„78.
Più che sul singolo individuo l‟attenzione si sposta sulle relazioni che esso è capace di
istituire. Facendo un rapido cenno alla classificazione dei relativi, Peirce, nel saggio sopra
citato, sulla base degli insegnamenti provenienti da On the Sillogism IV e On the Logic of
Relationis di De Morgan, -fondatore della logica dei relativi -, e cioè che il sillogismo adotta
una delle relazioni possibili, e in particolare il carattere convertibile o simmetrico della
relazione di identità, e in riferimento alla notazione dei relativi, arriverà a sostituire
l‟identità intesa come relazione logica primaria con quella di inclusione, relazione transitiva
ma non simmetrica. Sulla base di questo segno, secondo Peirce, sarà possibile superare la
divisione tra logica categoriale e logica ipotetica, poiché il segno di inclusione risulterebbe
funzionale a rappresentare sia il rapporto fra le classi sia il connettivo proposizionale se-
allora. In questi termini risulta superata l‟idea del concetto di classe come insieme di quegli
oggetti che condividono una relazione di similarità, e viene abbracciata l‟idea di sistema
come insieme di quegli oggetti che condividono relazioni di ogni genere. La ricerca di
Peirce rivela sempre la stessa matrice ovvero quella di scoprire livelli sempre più primari,
infatti “la inclusione in è un concetto più ampio di quello di eguaglianza e pertanto dal
punto di vista logico è più semplice. In base allo stesso principio la inclusione è anche più
semplice dell‟ essere minore di”125
.
L‟introduzione del segno di inclusione si pone come la notazione più significativa per
comprendere i relativi, i quali certo trovano la loro ragion d‟essere all‟interno di un sistema
in cui vengono contemplate relazioni di ogni tipo. I relativi, secondo Peirce, possono essere
assoluti, relativi semplici e coniugativi: termini assoluti si identificano con gli oggetti cosi
come sono in se stessi, “per esempio albero, cavallo, o uomo”, in questo caso la copula
esprime un legame possibile, infatti l‟uguaglianza da parte di un termine con se stesso si
configura come uno dei legami possibili. I termini relativi semplici “richiedono l‟aggiunta
di un altro termine per completare la denotazione...per esempio padre di, amante di, servo
di”126
. In questo caso la relazione è di tipo fattuale, il significato della copula equivale ad
esistenza. I termini coniugativi designano i termini “la cui forma logica implica il concetto
di porre cose in relazione a cui è necessario aggiungere più di un termine per completare la
denotazione [….] per esempio datore di -a-, compratore di -per –da”127
. In questo caso la
32
Peirce, Scritti di Logica, a cura di C. Hartshorne e P. Weiss, La Nuova Italia, Firenze, p37. 33
Ivi, p. 45. 34
Ivi, pp. 44-45
80
relazione è di carattere imputato. Secondo Peirce, se la logica vuole comprendere la
dinamica della conoscenza della realtà, essa non può considerare soltanto come primaria la
relazione di identità, perché quest‟ ultima risulterebbe impermeabile alla ricchezza delle
altre relazioni che strutturano il reale. L‟ampiezza di relazioni cui rinvia la nascente logica
dei relativi conferma che ciò che si dovrebbe qualificare come individuale, come definito,
non lo è mai, poiché esso risulta infinitamente determinabile.
Tale impostazione trova corrispondenza nella cultura evoluzionistica, la quale nel detto
peirceano risulta fortemente radicalizzata, nel senso che lo stesso ragionamento scientifico è
concepito in termini evoluzionistici, poiché il significato è collettivo e sempre in cammino,
e non arresta mai il suo corso. La teoria darwiniana, secondo la quale la selezione naturale
costituirebbe una legge effettivamente operante trova un‟inedita traduzione nel pensiero
peirceano, e in particolare nell‟idea di un pensiero logico che nascerebbe dall‟ urto con il
reale.
Il pensiero logico si qualificherebbe come un„azione volta a stabilire un equilibrio con la
realtà, peraltro sempre rinnovabile, poiché sempre alle prese con una realtà in perenne
trasformazione. Anche qui, forse in modo più semplice, Peirce ci restituisce l‟idea che il
significato è frutto di una relazione, di un‟operazione su qualcosa o nei confronti di
qualcosa.
Il carattere relazionale, operativo proprio del conoscere trova rispondenza anche nel
principio di continuità, sebbene un‟adesione matura a quest‟ultimo avverrà più avanti. Cosi
per il momento Peirce lo tratteggia: “L‟idea di continuità è un potente ausilio nella
formazione di concetti veri e fertili. Per mezzo di esse le maggiori differenze sono
frantumate e risolte in differenze di grado; l‟incessante applicazione della continuità è del
massimo valore nell‟allargamento dei nostri concetti”128
.
Se si sporgono le conclusioni alle quali perviene Peirce in avanti, forse è possibile affermare
che esse trovano conferma all‟interno dello sviluppo del suo sistema, poiché la revisione
delle categorie, la scoperta del continuo in matematica, l‟accettazione della possibilità come
categoria ontologica, oltre che logica, l‟elaborazione della fenomenologia, la semiotica
matura, il rapporto tra Metafisica e scienze normative costituiscono fasi fondamentali,
perché sviluppano e in alcuni casi rigorizzano un tratto essenziale del pensiero peirceano:
l‟imprescindibilità del nesso individuale/generale. In tutte queste province del pensiero
peirceano si conferma la necessità di fruire di un„immediatezza della mediazione, incarnata
ora dall‟ immagine, ora dall‟ individuale, ora dall‟ icona, a seconda delle varie sezioni del
territorio peirceano.
Infatti si palesa la necessità di concepire non soltanto i significati mai conclusi in se stessi
ma le cose stesse: se l‟essenza delle cose sta in questa progressiva significazione, sempre
aperta al futuro, pronta ad accogliere nuove e più ricche formalizzazioni, anche le cose non
hanno confini determinati, esse palesano la disponibilità ad una progressiva determinazione.
Se sono le relazioni, le operazioni sempre inedite a normare le cose, a dare unità,
indispensabili a conferire loro identità, insomma se è la relazione a qualificarsi come
originaria, è palese come l‟analisi dei saggi del „78 con l‟elaborazione della massima
pragmatica contribuisca ad accelerare la necessità di elaborare nuclei concettuali che siano
in grado essenzialmente di dare unità alle due anime del pensiero peirceano: quella dello
128
Peirce, La dottrina della probabilità (1878) cit., p. 1024. Queste considerazioni anticipano l‟adesione matura al
principio di continuità, concretizzatasi grazie all‟opera di G. Cantor, che fu il primo matematico a definire il concetto di
continuo. Peirce apprese il pensiero del matematico ed ebbe modo con lui anche di avere una preziosa corrispondenza.
81
scienziato e quella del filosofo, poiché il carattere fallibile della conoscenza scientifica
mette di fronte al problema di coniugare il vero con il necessario. Da una parte le relazioni
possibili sostituiscono la staticità dell‟ identità, cosi come ne parla Peirce nella logica dei
relativi, esse garantiscono il necessario cioè si muovono in un universo di discorso
prettamente logico, dall‟altro il carattere possibile, probabile si muove nell‟ambito di un
discorso volto a conseguire il vero. Insomma il possibile ora produce il necessario ora si
pone come risultato probabile nella scienza empirica, nella conoscenza dei fatti, la
speculazione dei saggi ora esaminati forse scopre con maggiore evidenza la necessità di fare
chiarezza, distinguendo i due piani, e al tempo stesso l‟esigenza di mediarli.
In effetti le tesi concettuali esposte dall‟ autore a partire dagli anni 80 sul piano
ontologico/metafisico, e sul piano matematico, logico/semiotico, pur in presenza di alcune
aporie o incongruenze, nonché differenze, assolveranno alla funzione di dispiegare questa
trama intricata tra possibile, necessario e vero. Sarà possibile constatare che questa analisi
rimetterà al centro il concetto di immagine, denominandola icona. Tutta la riflessione degli
anni „70, funzionale a mettere in chiaro che la struttura dell‟immagine si impone come tratto
continuo da cui si snodano individuale e generale, assume un peso straordinario riguardo
agli sviluppi futuri del pensiero peirceano, poiché nella struttura dell‟immagine si colgono
in nuce tutte le direttrici che configureranno le riflessioni più innovative e quelle che si
assumeranno la fatica di proporsi quali soluzioni rispetto ai problemi ancora aperti.
La sintesi della trama concettuale dei saggi „77-„78 sarà possibile contemplarla, a mio
avviso, nello spartito dell‟immagine.
Infatti in esso si scorge il carattere possibile della conoscenza e la graduale consapevolezza
che nella conoscenza e nella natura opera un principio di continuità, attestato in questa
prima fase dall‟idea di una forma di conoscenza assolutamente aperta al futuro, all‟
incremento di significati, elaborato in itinere dalla comunità dei ricercatori. Un‟altra idea,
altrettanto carica di conseguenze, soprattutto nella revisione delle categorie, sarà quella di
considerare la possibilità non soltanto sul piano logico ma anche su quello reale, cioè la
possibilità si qualificherà come una categoria ontologica. Un‟altra idea guida leggibile
dentro l‟immagine è quella di attribuire all‟azione la disposizione a produrre significati,
infatti le relazioni cui danno vita le cose, gli abiti che esse determinano costituiscono i loro
significati.
È importante, dopo avere tratteggiato le linee direttrici dell‟impalcatura pragmatica
elaborata negli anni „70, ritornare ad alcuni passaggi dei testi precedentemente accennati per
puntare l‟attenzione su alcune valenze dell‟immagine, cosi come vengono fuori dal contesto
pragmatico. Proviamo a seguire la dinamica dei rapporti tra immagine, credenza, abito, e
realtà. Pare fondamentale, secondo Peirce, che nel passaggio dallo stato di disagio procurato
dal dubbio allo stato di credenza l‟immagine abbia il compito di trasformare il carattere
possibile di tutti contenuti che si presentano alla mente in qualcosa di stabile.
Una volta conseguita la credenza, se essa è vera, afferma Peirce, produrrà una nuova regola
di azione. Quindi la credenza, frutto dell‟immagine, si pone come piano di intersezione tra
conoscenza e azione, nel senso che la credenza raggiunta sperimenta la sua chiarezza se
produce una nuova azione. E la ricerca di nuovi significati si identifica con la produzione di
azioni nuove. Ma è importante precisare che il luogo in cui si svolge tale movimento non si
attua all‟interno della credenza ma nell‟impatto con la realtà. Non possiamo prescindere
dall‟urto con il reale, perché la credenza si costituisce grazie al fatto che è capace di fornire
un piano agli effetti sensibili delle cose, perché sia apprezzabile così la loro proiezione.
82
In modo forte Peirce sottolinea che è possibile avere idee, nella misura in cui esse si
riferiscono agli effetti sensibili, infatti” la nostra idea di qualsivoglia cosa è l‟idea che
abbiamo dei suoi effetti sensibili”129
. D‟altra parte se si ipotizzasse un modo diverso di
disporre delle idee, ciò finirebbe per contraddire la funzione del pensiero, la quale si
identifica con la capacità di consolidare quegli abiti di azione, occasionati dall‟incontro con
il reale. In questi passaggi contenuti in Come rendere chiare le nostre idee è come se
venissero globalizzate, portate all‟esterno, a contatto con il reale, le idee feconde maturate in
sede logica e in relazione alla cultura del tempo, sintetizzabili dal modo di concepire la
conoscenza come frutto di operazioni, azioni, le quali, creando sistemi di relazioni,
producono significati inediti. Infatti Peirce afferma: “La realtà, come ogni altra qualità,
consiste nei peculiari effetti sensibili che le cose che ne fanno parte producono. L‟unico
effetto che le cose reali hanno è di causare la credenza”130
.
Ma a quali condizioni il pensiero incontra il reale? Dai saggi del „68 abbiamo appreso la
lezione che è impossibile prospettare un impatto di tipo immediato tra le due dimensioni. E
allora cos‟è che si pone da interfaccia, cos‟è che può svolgere funzione mediatrice? La
risposta è già contenuta nelle pagine scritte nel „68: “Ogni qualvolta pensiamo, abbiamo
presente alla coscienza un sentimento, un‟immagine, un concetto, o un‟altra
rappresentazione, che serve da segno”131
.
Tale risposta rimane confermata dalla prospettiva pragmatica, poiché anche qui il pensiero
può produrre credenza, a patto che disponga di un piano intermedio tra se e la realtà, e
questo gli viene offerto dall‟ immagine. Qui possono stazionare pensiero e cosa , entrare in
relazione e scambiare le loro energie. Ma questo piano non è il frutto di un movimento
solipsistico del pensiero, perché è come se il pensiero lasciasse aperta una porta secondaria
dalla quale far passare il flusso di energia proveniente dall‟esterno e con il quale è
intenzionato a fare i conti. Infatti la posta in gioco è abbastanza impegnativa, si tratta di
sottoporre il metodo della ricerca scientifica alla prospettiva pragmatica.
Diversamente dalla tendenza della letteratura critica a valutare il concetto di reale, cosi
come viene tratteggiato da Peirce nelle pagine in cui nasce la massima pragmatica, troppo
legato al rappresentazionismo, forse è possibile dire che il confronto con il reale qui gode
della massima considerazione, o meglio qui è più evidente. Si raccolgono i frutti della
valenza segnica dell‟immagine, poiché l‟interesse prioritario dell‟immagine è quello del
referente ma non perché attraverso di essa sia possibile attestare la sua esistenza ma perché
annuncia la sua possibile presenza. Proprio perché non si può attingere direttamente al reale,
la funzione dell‟immagine è quella di rendere il dato empirico compatibile con il pensiero.
In questi termini l‟immagine riassume dei caratteri che la candideranno ad assumere una
centralità indiscutibile nella produzione matura, perché essenzialmente è da essa preparata.
L‟ immagine, proprio in virtù dell‟incontro con il reale, produce operazioni che danno vita a
relazioni e che diventano oggetto di osservazione, a tal proposito ricordiamo che, ad
esempio, la qualità di una cosa non è mai oggetto di osservazione, semmai lo sono i
passaggi graduali che conducono ad essa.
L‟immagine, perché possa guadagnare il vero, non deve affidarsi alle mutevoli
rappresentazioni dei singoli soggetti, piuttosto, in una dimensione temporale disponibile a
privilegiare la coordinata del futuro, deve esporsi ad un continuo lavoro intersoggettivo di
129
Peirce, Come rendere chiare le nostre idee, cit., p.384. 130
Ivi, p. 389. 131
Peirce, Alcune conseguenze delle quattro incapacità, cit., p. 92.
83
revisione o di integrazione di nuovi significati. E cosi il carattere pratico, possibile e
continuo dell‟immagine aprirà il varco al sentiero che deve rendere disponibili le modalità
attraverso cui è possibile distinguere tra una credenza falsa e una credenza vera, e infatti il
testo in cui Peirce analizzerà le tre inferenze implicate nei procedimenti della conoscenza
restituirà il senso del percorso tracciato nei sei saggi pubblicati sul Popular Science Monthly
tra il 1877 e il 1878. L‟insistenza in Deduzione, Induzione, Ipotesi sulla irriducibilità del
sintetico all‟analitico intende mettere l‟accento sul fatto che il pensiero, grazie
all‟immagine, può stabilire un contatto con il reale, al fine di sfuggire ad una
autoreferenzialità conoscitiva e misurarsi con i fatti, giocando ancora una volta la partita tra
l‟analitico e il sintetico. Qui il pensiero, oltre ad esplicitare, i propri contenuti, deve
verificare la tenuta dei requisiti dell‟immagine confrontandoli con la realtà, perché
l‟obiettivo è quello di raggiungere la verità delle credenze, oltreché la chiarezza. Già
abbiamo visto che “l‟essenza di un abito dipende cioè dal quando e dal come ci farà
agire”132
, e infatti il pensiero attesta un movimento che è in se stesso pratico, non solo in
merito ai fini e ai contenuti, ma anche in merito al suo processo di costituzione. Il pensiero
non ammette alcun presupposto, non postula alcunché, non si avvale di forme fisse,
predeterminate, piuttosto compie azioni, produce relazioni grazie all‟energia che scambia
con il reale. Parlo di energia perché sia nel caso del pensiero sia nel caso del reale non si
dispone di forme già date ma di flussi di energie che producendo relazioni, proiezioni,
danno vita a configurazioni possibili. Nell‟incontro tra il pensiero e la realtà si compie
un‟azione che produce significati e che si pone come quell‟evento che, preparato dietro le
quinte dall‟immagine, viene messo in scena dagli abiti, una volta consolidatisi. Se sul piano
epistemologico si fa strada l‟idea che sono le azioni, le operazioni a fondare il significato
delle cose, Peirce parallelamente pone in evidenza come sul piano strettamente logico il
ragionamento riveli la sua dimensione costruttiva, mostrando la sua congenialità alla
struttura della massima pragmatica.
Per dar conto di questo partiamo dalla definizione di ipotesi contenuta in Deduzione,
Induzione e Ipotesi e vediamo in che senso quest‟ultima assumerebbe un certo rilievo in
riferimento al discorso sull‟immagine. In questo testo Peirce intende perseguire due
obiettivi: il primo consiste nell‟affermare che al processo della conoscenza contribuiscono
tre argomenti, ipotesi, deduzione e induzione; il secondo è sintetizzato dall‟idea che i
suddetti argomenti costituiscono un continuum argomentativo, a cui l‟ipotesi fornisce le
assunzioni, la deduzione la fase analitica e l‟induzione la verifica del suo procedimento. In
effetti, stando al testo, il primo obiettivo sarà esplicitato, il secondo sarà realizzato negli
scritti successivi, sebbene in qualche modo risulterà già ben predisposto.
Riguardo al primo obiettivo, ripresentando una analisi logica, già esposta in On Natural
Classification of Arguments, Peirce attua alcune inversioni del sillogismo deduttivo per
porre in evidenza il modo in cui le singole inferenze concorrono alla produzione della verità
e per sottolineare il carattere sintetico dell‟inferenza induttiva e di quella ipotetica, rispetto
al carattere esclusivamente analitico della deduzione. Ma perché Peirce ritorna
periodicamente sulla classificazione degli argomenti? Perché cerca di aprire un varco per
raggiungere una sponda, peraltro intravista sin dal lontano 1865, che è quella della auspicata
unità tra logica ipotetica e deduttiva. Questo è il secondo obiettivo di cui si parlava
precedentemente e che troverà una formalizzazione negli scritti della maturità. In questo
132
Peirce, Come rendere chiare le nostre idee, cit., p.383.
84
testo, come si affermava in qualche passaggio precedente, l‟obiettivo sembra quello di far
comprendere l‟impossibilità di ridurre il sintetico all‟analitico, di evidenziare la valenza
creativa ed esplicativa dell‟ipotesi.
La deduzione essenzialmente descrive, nel senso che attribuisce ad un determinato caso
alcuni caratteri, poiché è sussumibile all‟interno di una classe, alla quale appartengono i
caratteri prima considerati. La deduzione ci permette di identificare un determinato caso
sulla base dell‟appartenenza ad una determinata classe, di cui condivide tutti i suoi caratteri.
L‟induzione produce una conoscenza sintetica, poiché estende ad un‟intera classe le
caratteristiche attribuite ad un determinato numero di casi.
L‟ipotesi realizza una conoscenza sintetica ma di natura diversa rispetto all‟induzione,
poiché più che estendere la conoscenza, scopre elementi assolutamente inediti, inferisce un
singolo caso, ipotizzando la classe a cui potrebbe essere ascritto, sulla base del fatto che il
caso stesso presenterebbe i caratteri identificanti la classe stessa. La classe ancora non
esiste, è sulla base del caso che si risale ad una possibile classe, la quale avrebbe il merito
cosi di spiegare il caso in questione.
In questi termini l‟ipotesi si mostra congeniale alla logica della massima pragmatica, perché
essa ci insegna che per conoscere è necessario partire dagli effetti, ma non nel senso che la
conoscenza scaturisce dall‟azione del reale sul pensiero e quindi quest‟ultimo ricadrebbe
sotto il dominio del reale, ma perché comunque è sotto l‟impulso del reale che il pensiero è
sollecitato a produrre credenza. Infatti l‟ipotesi nasce nel momento in cui non si trova la
spiegazione di qualcosa. L‟ipotesi, partendo da un fenomeno inatteso, da un conseguente,
ricerca il suo antecedente, che, se avallato dall‟esperienza, si rivelerà atto a spiegare il caso
in questione. Peirce, infatti, afferma: “Abbiamo un‟ipotesi quando troviamo qualche
circostanza curiosa, che sarebbe spiegata dalla supposizione che fosse la conseguenza di un
caso ascrivibile a una regola generale, e perciò adottiamo quella supposizione”133
. Qui viene
fuori, forse in modo più evidente, la valenza creativa dell‟ipotesi, essa, diversamente
dall‟induzione, non si limita ad estendere ciò che è vero di alcuni casi a ciò che è vero di
un‟intera classe. Con l‟ipotesi non si apprezza la dimensione della quantità, ma della qualità
e con essa della possibilità.
Il problema che viene affrontato dall‟ipotesi non è di ordine cumulativo ma esplicativo,
l‟ipotesi non è interessata a conoscere più cose ma a comprendere come le cose si
strutturano in un modo piuttosto che in un altro. E allora in questo senso le cose vengono
poste in una relazione di tipo causale, ma questa relazione inerisce alla possibilità, poiché
essa deve essere comprovata dall‟induzione. Ma cosa bisogna fare per cercare la regola che
si rivelerebbe esplicativa del caso verificatosi? O meglio quali sono i requisiti dell‟ipotesi
che le permettono di istituire rapporti di somiglianza tra le cose o connessioni di tipo
causale? Perché l‟ipotesi avrebbe il vantaggio rispetto alla deduzione e all‟induzione di far
compiere alla conoscenza un vero e proprio balzo in avanti? Perché l‟ipotesi ricerca i pezzi
mancanti dell‟esperienza, essa non intende soltanto classificarli bensì spiegarli. E nel
realizzare quest‟obiettivo non si appiattisce sui dati come l‟induzione, nel senso che si limita
ad una classificazione di questi ultimi, né rimane chiusa nella claustrofobia della
esplicitazione delle sue premesse, come nel caso della deduzione. Ma come ricerca i pezzi
che ci restituiscono la spiegazione dei dati? Essa sperimenta il modo in cui le cose si
potrebbero strutturare e allora se si scopre che ciò che assomiglia a x è in grado di spiegare
133
Peirce, Deduzione, Induzione, e Ipotesi (18789, cit., p. 465.
85
y, e se questo è vero non soltanto per i dati osservati ma anche per quelli osservabili, -in
caso contrario le ipotesi formulate potrebbero rivelare un carattere soltanto strumentale-
l‟inferenza ipotetica si rivelerà corretta, perché possono variare i fenomeni ma non le
condizioni che hanno determinato quei determinati fenomeni. E allora se l‟ipotesi si trova
collocata in una dimensione strutturalmente aperta al futuro, perché pensa al modo in cui si
potrebbero configurare le cose, essa risulta caratterizzata dalla capacità di esplorare nel
mondo della possibilità le premesse idonee al ritrovamento dei pezzi dell‟esperienza, ma nel
realizzare tale ricerca si guadagna inevitabilmente un‟unità, in virtù della quale l‟ipotesi
potrà mostrare la totalità delle conseguenze possibili, se essa sarà massimamente corretta.
L‟ipotesi cosi si pone come quella inferenza che per antonomasia, giacendo nella possibilità,
è quella più adatta a capire che ciò che è posto implica un presupposto, e cioè che bisogna
retrodatare il dato per svelarne le ragioni e poter mettere in relazione il dato e la sua
condizione.
E allora il reale non può essere compreso senza la capacità da parte dell‟ipotesi di penetrarvi
e senza quella fede a cui allude Peirce nel credere da parte dell‟uomo alle ipotesi vere.
Il reale viene messo in forma dall‟ ipotesi, la quale provvede ad integrarlo con le premesse
mancanti e con le conseguenze che discendono in riferimento ad altri fatti non ancora
osservati. In questi termini diventa chiaro il motivo per cui, grazie all‟ipotesi,
l‟inconoscibile si trasforma in un ancora inosservato.
Ma allora in che senso l‟ipotesi istituisce un nesso con l‟immagine nell‟atto della
sperimentazione delle assunzioni per spiegare il reale?
Già in Lecture IX Peirce afferma: “Hypothesis bring up to the mind an image of the true
qualities of a thing – it therefore informs us as to comprehension but not as to Extension,
that is it represents a representation which has Comprehension without Extension; in other
words it represents a likeness”.134
Il modo in cui Peirce parla dell‟ipotesi in questo scritto, a
mio avviso, s‟integra con quello analizzato negli scritti del„78. L‟ipotesi, infatti, se è
corretta, scopre all‟interno di una determinatezza i caratteri dell‟universale, scopre la
relazione tra il dato e le sue condizioni. Cioé l‟ipotesi trova il pezzo mancante del dato e lo
integra, offrendo così un‟immagine, un‟unità.
Ma qui si rivela tutta la matrice pratica e poietica della conoscenza, nel senso che l‟ipotesi,
interrompendo il continuum della possibilità originaria, produce una relazione, che sarà
espressione della connessione causale tra i dati esperiti. Insomma, prima ci sarebbe il dato
nel quale in forma contratta trova posto il generale, successivamente l‟ipotesi dispiega la
relazione, prima contratta tra individuale e generale. Si assiste, si potrebbe dire, ad un
movimento in cui il reale e il pensiero convengono, nel senso che il reale produce degli
effetti sul pensiero, dall‟altra il pensiero produce delle operazioni, delle relazioni, come
quella tra antecedente e conseguente, con la quale provvede ad integrare il reale, a
significarlo.
La dimensione pratica dell‟ipotesi consisterebbe nell‟assoluta libertà con cui essa ricerca
l‟antecedente, tuttavia l‟ipotesi deve rimanere vincolata alla capacità di inferire tutte le
possibili conseguenze, poiché soltanto in questo modo la stessa può vantare tutto il suo
rigore: l‟ipotesi, infatti, deve sempre sottomettere le sue assunzioni ad un confronto
completo con le possibili conseguenze che ne derivano, senza alcuna omissione Qui
l‟aspetto pratico e quello poietico s‟intersecano, poiché queste stesse assunzioni, relazioni
134
W1:485.
86
tra antecedenti e conseguenti, costituiranno le produzioni del pensiero entro cui assumerà
forma il reale, il quale, se ne fosse privato, sarebbe mero caos.
In questo senso l‟ipotesi spiega il reale, perché produce in senso pratico e poietico i pezzi
che possono conferire unità al reale, sebbene tale unità risulti dinamica e sempre in attesa di
una conferma da parte del procedimento induttivo.
Ma se le cose stanno così, se l‟ipotesi, quando è corretta, integra il reale, e se d‟altra parte il
reale senza questi generali prodotti dall‟ipotesi, ci apparirebbe mero caos, diventa plausibile
pensare ad un accordo tra reale e pensiero. Ma questo accordo non è predeterminato, esso,
infatti, secondo Peirce, non si configura né come lo pensa Stuart Mill, né come viene
pensato dalla tradizione metafisica, poiché i pezzi del reale si costruiscono in itinere, sia con
l‟aiuto delle occorrenze del reale sia con le assunzioni proprie delle ipotesi con le quali i
singoli dati risultano intelligibili.
Cioè le ipotesi costituiscono il piano formale in cui i cosiddetti pezzi mancanti del reale
fanno la loro comparsa, e allora il modo in cui Peirce analizza il metodo sperimentale
diventa un piano preziosissimo per dar conto del rapporto circolare, comunque strettissimo
tra natura e convenzione. La convenzione cos‟è, alla luce di questi nuovi dati dell‟analisi
peirceana? Forse prima di rispondere potrebbe essere utile riflettere sui diversi modi in cui
si propone l‟ipotesi: sia nel caso in cui l‟ipotesi si ponga come inferenza, sia nel caso in cui
si offra come sensazione, come predicato semplice posto in sostituzione di un predicato
complesso, come nel caso della sensazione di un colore o di un suono, sia nel caso in cui
essa si proponga come nome, o ancora come immagine, o in un altro modo ancora come
likeness viene fuori un aspetto comune che consiste nell‟esibizione di una dimensione
contratta della relazione tra universale e individuale e che risulta generata essenzialmente da
un movimento che è libero e creativo. I nomi, le sensazioni, gli antecedenti con i loro
conseguenti, le immagini, le rassomiglianze, sebbene di valore diverso e dislocati in plessi
diversi dell‟architettonica conoscitiva, si fanno espressione di un‟esigenza comune, quella di
dover costruire al fine di conoscere qualcosa, infatti essi stessi si pongono come atti di
costruzione e prodotti della costruzione stessa. La conoscenza si realizza, se viene compiuto
lo sforzo di esternare ciò che è in nuce, poiché così si rende possibile l‟articolazione che
darà vita ad un‟unità possibile, ad un modello possibile. E quindi quest‟ultimo non è un
immediato, poiché esso stesso è il frutto di un lavoro iniziato già da sempre. Questo sforzo
di uscire fuori dal continuum originario, questa rottura diventa necessaria per poter
determinare qualcosa. Ma questo movimento da dove trae origine? Questo movimento è
proprio del pensiero, la sua strutturazione è tale per cui sin dal suo grado elementare esso si
attiva per produrre relazioni, in grado di offrire determinazioni, con le quali si crea una base
d‟appoggio per far decollare il processo conoscitivo. Ma in ultima analisi il movimento che
accomuna i nomi, le sensazioni, la coppia antecedenti /conseguenti, le immagini, le
rassomiglianze, è l‟ipotesi, che nell'atto stesso dell‟assunzione istituisce il nesso tra
l‟universale e l‟individuale.
L‟ipotesi scopre connessioni causali, produce unità realizzate da immagini/rassomiglianze
nelle quali si mostrano le cose nella loro conformità al vero, o ancora crea nomi per
mostrare in essi le cose, per assicurare loro un luogo. In tutti questi casi è riconoscibile
l‟operato dell‟ipotesi e la valenza pragmatica del pensiero, riscontrabile già nel testo del „61
Treatise on Metaphysics e confermata dopo quaranta anni in What Pragmatism is?
87
Nel primo testo le affermazioni dell‟autore suonano così: “It suffices to consider that in
each element of motion of the mind, a faculty is exerted in the only manner in which it is
constructed to act”.135
In un contesto diverso, ma, a mio avviso, in linea con quanto asserito precedentemente,
Peirce si esprime così: “I generali non solo possono essere reali, ma possono anche essere
fisicamente efficienti […] la generalità è davvero un ingrediente indispensabile della realtà;
perché la mera esistenza o attualità individuale, senza una regolarità quale che sia, è una
nullità-il caos è puro nulla.[…]”136
.
Tale radice pragmatica del pensiero può contribuire a comprendere la circolarità tra natura e
convenzione, poiché è come se la convenzione si identificasse con il movimento che il
pensiero per sua forza interna articola, quindi in questo senso, le convenzioni, sebbene
risultano frutto di una costruzione, sono già espressioni di ciò che è connaturato al pensiero
e al reale, infatti è dal movimento di questi ultimi che prende forma l‟ evento della
conoscenza. In questi termini il pensiero nella sua destinazione pratica e poietica sembra
proprio dar conto della circolarità del rapporto tra natura e convenzione. Poiché le
convenzioni si configurano come il risultato del movimento che il pensiero e il reale sono
in grado di attivare per dispiegare ciò che è contratto in essi stessi.
I nomi, le immagini, le somiglianze, le sensazioni sono frutto di un‟ipotesi, che
essenzialmente compie lo sforzo di rompere una continuità, che è la possibilità originaria
che presiede il pensiero e il reale.
Quando l‟ipotesi assume, compie l‟azione di determinare, rompe così l‟indeterminato e
delinea qualcosa che vale e per il pensiero e per la realtà. Fino a quel momento questi ultimi
rimangono inarticolati e privi di qualsiasi comunicazione; è il movimento dell‟ipotesi, sulla
base degli input provenienti dall‟esterno, ad offrire così la possibilità al reale di esprimersi,
di venire alla luce.
L‟ ipotesi diventa il primo piano possibile in cui rendere compatibili reale e pensiero, perché
essa crea il laboratorio in cui si sperimenta il passaggio dalla possibilità originaria ad un
elemento discontinuo. Insomma lo scambio tra natura e convenzione si consuma in questo
passaggio.
La convenzione è il discontinuo su cui ergere la costruzione, al fine di dispiegare il pensiero
e il reale stesso, perché ciò che importa, afferma Peirce, non è il pensiero dei singoli
soggetti, ma trovare un luogo, sebbene sempre aperto a nuove costruzioni, in cui osservare il
modo in cui il reale e il pensiero ritrovano le loro consonanze. Non è un caso che se il
discontinuo si fa espressione di un‟ ipotesi corretta, quest‟ ultima sarà codificata da una
legge che diventerà effettivamente operante nel reale. Il movimento dell‟ipotesi, la radice
pratica di quest‟ultima la porterà a creare discontinuità, indispensabile a rendere disponibile
un‟articolazione possibile, da cui scaturiranno immagini, tratti materiali, per potere vedere,
contemplare la configurazione possibile del reale.
Quindi l‟ ipotesi esprime una relazione e quest‟ultima costituisce un‟ immagine, nel senso
che dentro l‟ipotesi è già leggibile una dimensione segnica, poiché il dato, il conseguente sta
per il suo antecedente. Ma qual è il segno che qui entra in gioco? Naturalmente il segno che
si assume la responsabilità di presentare il modello di un oggetto possibile è proprio la
likeness. A sua volta la likeness è conseguente del suo antecedente originario che è il
ground.
135
W1:82. 136
Peirce, Che cos‟è il Pragmatismo, (1905), cit., p. 411.
88
Ma un‟immagine sorretta da un‟ipotesi non può porsi come la riproduzione di qualcosa
bensì come la produzione di una relazione tra il dato e l‟universale. E in questi termini
l'immagine cui si sta facendo riferimento non può essere scambiata con una semplice
chimera, perché quando si ipotizza qualcosa bisogna fare lo sforzo di produrre le premesse
mancanti e tutte le conseguenze possibili. Se l'ipotesi è corretta allora bisogna trovare non
soltanto i rapporti tra i dati osservati e i loro antecedenti, ma anche le relazioni tra questi
ultimi e i loro conseguenti possibili ovvero quei dati ancora non disponibili.
Ma quando l‟ipotesi riesce a far questo, essa realizza un'unità e quindi una possibile
immagine, che assolve ad una funzione semplificatrice, nel senso che rende disponibile
all'interno di un solo plesso i nessi trovati. Essi, se produrranno la sussunzione di un caso
sotto una legge, saranno capaci di realizzare una conoscenza sintetica. Sebbene si tratti di
una conoscenza probabile, la conoscenza ipotetica si qualificherà feconda, perché
assolutamente nuova, perché istituirà somiglianze inedite. Nel caso dell'ipotesi le
somiglianze non sono semplicemente enumerate, indicate, estese bensì dedotte. Nell'ipotesi
la spiegazione delle cose si identifica con l'istituire relazioni di causalità o di somiglianza.
Ma in che senso causalità e somiglianza sono dimensioni affini? Nel senso che la
somiglianza, assunta nel suo carattere esplicativo, fondativo, rende possibile il salto
dall'indeterminato al determinato, perseguendo la ricerca di ciò che potrà restituire l'anello
mancante, l'antecedente ancora assente e mostrandoci così i nessi ancora insondati tra le
cose.
E allora termini come image, resemblance, similarity , likeness, tutti gravitanti intorno al
ground, lo evocano come luogo originario delle possibili relazioni e delle potenziali
somiglianze. Il ground rivelerebbe già una valenza pragmatica, anticipando quel movimento
proprio dell‟ipotesi, centro propulsore, motore della scienza sperimentale.
Non si sta parlando della somiglianza di tipo descrittivo, riproduttivo, da cui, anche in
questo testo, Peirce prende le distanze, ma si sta parlando della capacità di trovare i nessi fra
le cose, al fine di spiegarle. Quindi il flusso immaginativo servirebbe a tirare fuori tutte le
possibili relazioni tra un elemento e l‟altro, per capire come qualcosa potrebbe essere.
L'immagine diventa quel piano in cui si lascia vedere come potrebbero essere le cose. Il
piano che entra in gioco in questo universo di argomentazioni non è la quantità ma la
qualità e la somiglianza è proprio su questo piano che può dar conto della sua capacità di
trovare le ragioni delle cose. Non è un caso che Peirce a proposito dell‟ipotesi affermi
quanto segue: “con l‟ipotesi, concludiamo l‟esistenza di un fatto completamente differente da alcunché di osservato,
fatto ipotizzato da cui, in base a leggi note, qualche fatto osservato risulti necessariamente. L‟
induzione è il ragionamento che va dai particolari alla legge generale, l'ipotesi è il ragionamento che
va dall'effetto alla causa. La prima classifica, la seconda spiega”137
.
Natura e convenzione si pongono in una linea di continuità, ma questo è possibile capirlo se
si tiene presente la centralità dell‟ipotesi ed essenzialmente la sua oggettivazione in cui
consiste l‟immagine. Non è un caso che i luoghi in cui ricorrono natura e convenzione
riguardano, come abbiamo avuto modo di vedere, il modo di concepire l‟ universo e i suoi
rapporti con il pensiero. Ma il filo argomentativo su cui s'incentra tutta la riflessione
relativamente all'idea di un mondo retto dalla necessità o dal caso in sintesi diventa una
riflessione sull'ipotesi. Non è un caso che l'ultimo saggio verte proprio sulle inferenze del
ragionamento, ma in particolare sul carattere sintetico dell‟inferenza, poiché il rifiuto di un
137
Peirce, Deduzione, Induzione e Ipotesi,cit., p. 470-471.
89
mondo aprioristicamente necessario o casuale si fonda sulla consapevolezza che non
abbiamo qualcosa di già dato cioè la verità non è già esistente da qualche parte, essa è frutto
di azioni, di costruzioni e il reale è il risultato di queste operazioni. I caratteri del mondo
non sono cumulativi, nel senso che si presuppone un mondo già strutturato e poi si
procederebbe ad una sorta di calcolo dei tratti maggiormente ricorrenti e per questo più
connotativi dell‟universo.
Ciò che è dato è soltanto il caos e perché quest‟ultimo si trasformi in ordine progressivo è
necessario intanto assumere, porre, ipotizzare, ma non certo per costruire un cumulo di
chimere, ma per pervenire al vero. E infatti le ipotesi, perché possano produrre conoscenza
scientifica, devono rispettare alcune regole. In questi termini si potrebbe dire che l'ipotesi
diventa il tratto di unione di nature e convention, poiché la convenzione diventa il piano di
estrinsecazione possibile della natura, pone le condizioni perché il reale possa mostrarsi. Ma
cosa viene mostrato del reale? Non certo una copia, ma la forma di una relazione possibile.
Ciò che importa per la comprensione del reale è la relazione che intercorre tra i vari dati,
infatti se esiste qualcosa, esso diventa significativo nella misura in cui lascia scoprire una
determinata struttura, le relazioni possibili istituite dall'ipotesi sono quelle che sono in grado
di svelare tale struttura.
Le ipotesi offrono unità, connessioni, somiglianze, immagini, scoprono i pezzi che si
incastrano tra loro nel reale e quindi costituiscono assi portanti della costruzione del reale,
perché forniscono al reale l‟impalcatura e al tempo stesso le operazioni da effettuare sulla
medesima.
Tale impalcatura, si potrebbe dire, è trascendentale e fenomenologica nel senso che la
struttura creata dalla convenzione non è arbitraria, poiché diventa l'unico piano in cui il
reale diventa giustificabile, e quindi si pone come la condizione del reale. Nello stesso
tempo tale condizione, tale struttura risulta dinamica, perché non è già data
aprioristicamente, ma viene costruita gradualmente sulla base dei mattoni che in itinere
vengono posti e successivamente rimossi al fine di individuare la strada giusta per arrivare
al vero. Dunque il convenzionale costruisce esibendo i passaggi attraverso i quali si arriverà
al vero, d‟altra parte la destinazione del convenzionale pare che sia proprio quella di
delineare il reale e di comunicarlo attraverso i passaggi che siano in grado di giustificarlo:
tali passaggi sono le connessioni, le somiglianze, le immagini che rendono fruibile il reale.
In questo senso il significato della verità della scienza diventa pubblica, ma non perché si
limita a descrivere la realtà con passaggi razionali, controllabili dalla comunità scientifica,
ma perché si assume la fatica di dar conto dei passaggi, delle regole, da tutti osservabili,
attraverso i quali si costruisce il reale. Ciò che la scienza intende condividere non è la
descrizione del vero o del reale bensì la costruzione di questi ultimi. Il reale non si
qualificherà come una mera proiezione del pensiero ma come espressione dell'accordo tra
mente e realtà, poiché la costruzione è continuamente aperta alla revisione, e al confronto
con il reale. Le ipotesi, infatti, devono rispettare le regole come Peirce afferma in
Deduzione, Induzione, Ipotesi: “Perché il processo di costituzione di un‟ipotesi conduca a un risultato probabile, si devono seguire
le regole seguenti: […] dobbiamo cioè cercare di vedere quali sarebbero i risultati delle previsioni,
conseguenze dell'assunzione dell‟ipotesi. E per osservare somiglianze e dissomiglianze dobbiamo
prendere le previsioni da sottoporre al banco di prova della verifica a caso, senza privilegiare il
genere di previsioni per cui l'ipotesi va notoriamente bene [...] Tutto il procedimento deve essere
leale e imparziale”138
.
138
Ibidem.
90
L'ipotesi, potremmo dire, è trascendentale, poiché si assume il compito, almeno nel
procedimento della conoscenza scientifica di spiegare il reale, fenomenologica perché, come
dice Peirce già nel 1866, l'ipotesi propone un'immagine, una likeness.
L'analisi del nascente pragmaticismo stringe il rapporto tra ipotesi e immagine, se l'analisi
dell‟immagine ci conduce all'ipotesi, quella sull‟ipotesi ci riporta all‟immagine, alla
likeness. Sicuramente la likeness incarna uno dei significati del termine ipotesi, cioè quella
di sostituire un predicato semplice al posto di uno complesso e di offrire un‟ immagine. Ma
se la likeness la si concepisce in stretto rapporto con il ground, è come se completasse il
suo significato, nel senso che la likeness potrebbe porsi come il conseguente del suo
antecedente, in cui consiste il ground, la likeness in rapporto al ground si potrebbe
qualificare come un'ipotesi nel senso in cui ne parla Peirce in Deduzione, Induzione e
Ipotesi ovvero come connessione causale.
Il ground designa lo spazio in cui opera l'ipotesi e l'immagine: il ground è il luogo del
derivabile, del movimento originario, grazie al quale si potranno realizzare assunzioni,
determinazioni che permetteranno l'istituzione di un piano di esplicabilità del reale. La
likeness, potremmo dire, è quella produzione che il ground realizza nell'atto di immettere il
reale nella catena segnica, realizzandone così la sua deduzione. Ma proprio qui è
riscontrabile un movimento circolare tra ground e likeness, poiché è dalla likeness che
risaliamo al ground, cioè quando la catena segnica si è già innescata, ma a loro volta la
likeness è possibile, se considerata in riferimento al ground. All‟interno di questo rapporto
si concentrano tutti i frutti della lezione pragmatica: è necessario rendere disponibile
qualcosa di osservabile, prodotto di un‟azione, di un movimento del pensiero, e su questo
lavorare al fine di produrre altre determinazioni, altre relazioni. In questo impianto
pragmatico è ravvisabile la complementarità tra matrice trascendentale e costruzione
fenomenologica, poiché se da una parte il ground si pone come condizione della relazione
segnica, dall‟altra le sue produzioni costituiscono il piano fenomenologico al cui interno si
dispiega il reale. Il ground se da un lato può apparire come il passaggio necessario a che la
realtà venga messa in forma, dall‟altro esso stesso è la condizione che rende possibile la
costruzione del reale, poiché il ground si pone come base ontologica e logica al tempo
stesso.
In questo senso natura e convenzione convengono, ed è proprio il loro rinvio reciproco a
rendere possibile la conoscenza. I dati fenomenologici, le convenzioni rappresentano le
determinazioni del ground, il quale media tra essere e pensiero, poiché è quel “rispetto”
all‟interno del quale è possibile scorgere l'essere, e diviene così un modo d'essere e un modo
di ragionare. Insomma il ground si qualifica veramente come il nesso originario tra pensiero
e realtà, ma non nel senso che questi ultimi vengono presupposti e uniti successivamente
bensì nel senso che è il ground, come apertura originaria, a rendere disponibile l‟essere e
quindi la distinzione tra essere e pensiero139
.
139
Quanto argomentato risulta in linea con la visione del ground di F.Andacht e di altri studiosi da lui richiamati in
On the Relevance of the imagination in the semiotic of C.S. Peirce. In questo saggio, F. Andacht, in opposizione a Short
e a Savan che non attribuiscono una valenza teoretica al ground, ritenendolo un‟espressione dell‟immaturità degli scritti
giovanili di Peirce, e, invece, in accordo con Liszka, Corrington, Prower, Nesher, Neisser, pur con angolature e
sfumature diverse, sostiene intanto il peso teoretico del ground e l‟idea che esso si ponga come condizione della
relazione segnica, come chiave dell‟ intero processo segnico. “The theoretical suppression of a component so closely
associated to the immagination only empoverishes our understanding of how, in our daily, scientific or artistic
endeavours, we come to conceive reality in the very different ways in which we actually do. If it were not for the
semiotic ground, our world would be restricted only to what was and to what will or would be, but there would be no
91
TERZO CAPITOLO
Natura e convenzione negli scritti della maturità
1) L’icona come spazio di intersezione tra gli universi semiotico, logico, matematico
Concentriamo, adesso, lo sguardo sull‟icona, oggetto specifico di riflessione del discorso
che sarà svolto in queste pagine, per capire come essa si dislochi da un piano prettamente
semiotico, ad uno di tipo logico-matematico, epistemologico-pragmatico nonché ontologico.
L‟icona, così come compare negli scritti della maturità, si potrebbe dire, ingloba la likeness
e il ground e posto che il ground si pone come il derivabile, l'icona diventa il luogo del
derivabile, dell‟osservabile, poiché l‟icona eredita il gesto fondativo e il metodo di
costruzione del ground, il quale innescando un rapporto circolare tra natura e convenzione,
mette capo, come abbiamo avuto modo di constatare, ad un'impalcatura al tempo stesso
trascendentale e fenomenologica.
Ma ciò equivale a dire che per far decollare il processo della conoscenza è necessario non
acciuffare un presunto pezzo di realtà, peraltro impossibile da cogliere nella sua
immediatezza, secondo gli stessi divieti peirceani validamente supportati da quelli della
tradizione, ma ragionare su ciò che potrebbe qualificarsi come un possibile pezzo di realtà.
È il ragionare e non la nuda presenza del reale, a consentire la possibilità di accedere a
quest‟ultimo. Ma in che senso per Peirce ragionare significa penetrare nel reale? Per
rispondere a questa domanda dobbiamo prima capire che cosa significa ragionare secondo la
prospettiva peirceana. Qui Peirce riprende tematiche consuete ma le ambienta all‟interno di
un contesto in cui proietta un nuovo sguardo. Come sempre accade nello stile di questo
pensatore, il ritorno su vecchi concetti non si configura come una mera iterazione, ma come
un inveramento che si integra, come un pezzo all‟interno di un mosaico, in un insieme
sempre più ampio e più solido, perché sostenuto dallo spessore e dalla profonda unità delle
progressive acquisizioni logico-semiotiche, matematiche e fenomenologiche.
Peirce in What is a sign? (MS. 404 1893) afferma che “ogni ragionamento è
un‟interpretazione segnica di qualche tipo”140
, una tale affermazione che attraversa tutto il
pensiero dell'autore sintetizza in modo efficace il senso della speculazione segnica
peirceana. Questa affermazione è in linea con alcune convinzioni di fondo del pensiero di
Peirce riguardo le proprietà della relazione segnica. Essa si presenta per sua natura mai
monovalente bensì trivalente, strutturalmente dialogica, poiché un segno si indirizza sempre
a qualcosa e ad un interpretante141
, inoltre la relazione segnica rivela un carattere potenziale,
(theoretical and real) room for what may or might be. I am talking about all that which, by a conjunction of chance and
the very structure of the process of signification itself, shapes and modifies our world from a diffuse but still real limit,
because the possible as a modality of being is as real, for Peirce (eg. CP 1.422), as the existent”. F. Andacht, On the
Relevance of the immagination in the semiotic of C.S. Peirce, «Versus-Quaderni di studi semiotici», 80 (2000), pp.214-
215.
140
Peirce, L‟arte del ragionamento, Che cos‟è un segno, (1893) in La logica degli eventi, trad.it. R.Fabbrichesi Leo,
Spirali, Milano,1989, p.53. È utile precisare che il termine icon è presente negli scritti peirceani a partire dagli anni 80,
a tal riguardo il saggio del 1885 Sull‟Algebra della Logica: Un contributo alla filosofia della notazione segna un
momento importante perché tematizza l‟introduzione delle icone all‟interno dell‟universo logico. 141
Si tenga presente che l‟interpretante non si identifica con l‟interprete. Come dice in modo nitido C. Sini:
“l‟interpretante nomina un insieme culturale di significati che sono l‟orizzonte dei possibili riconoscimenti di oggetti
92
poiché, per quanto compiuta, non è mai conclusa in se stessa bensì aperta ad uno sviluppo
infinito di rinvii segnici, e, in vista di questo carattere indefinito, la sua vita, il suo iter non è
di tipo meccanicistico ma teleologico. La natura specifica del segno è tale per cui esso rende
disponibile: 1) qualcosa da osservare, che corrisponde a ciò che il segno è in se stesso o
come la chiama Peirce, negli scritti giovanili, qualità materiale, 2) qualcosa da mettere in
relazione con qualcos'altro, e infine 3) qualcosa che diverrà oggetto di sperimentazione, nel
senso che si indirizza ad un interpretante. Nell'osservazione del tratto materiale segnico si
potranno scoprire nuovi aspetti e in questo senso il processo di significazione diventa
esponenziale e dinamico, si arricchisce in itinere, poiché l‟interpretazione si pone come
segno di ciò che è stato precedentemente significato, dando vita così ad un rimando segnico
mai arrestabile. Le riflessioni su queste caratteristiche del segno ci permettono di capire che
esso offre al pensiero una struttura consentendogli di riconoscersi e di dispiegarsi.
La triadicità, la dinamicità e la tensione teleologica proprie dell‟essere segnico sembrano
svelarci la struttura del pensiero: il segno cresce nella misura in cui asseconda le relazioni
sempre inedite del pensiero attraverso le quali si evolve pervenendo ad unità sempre più
estese e compiute, se pur sempre in modo indefinito. Il segno rivela un‟infinità potenziale di
significato, che è quella propria del pensiero e l‟osservabilità, la sperimentabilità e la
conseguente dialogicità sono requisiti che lo accomunano al pensiero. Sperimentare cosa
significa? Già a partire da Galilei sperimentare significa interrogare le realtà osservabili e
quindi dialogare con esse, interpretare un segno significa riconoscerlo, metterlo in relazione,
codificarlo con altri segni, e proprio in questo pensiero e segno si corrispondono.
Nel manoscritto già citato Peirce afferma: “L‟arte del ragionamento è l‟arte di ordinare i
segni [...] e di scoprire la verità”142
. Il pensiero per decollare deve prendere le mosse da
ipotesi che possono tradursi in qualcosa di osservabile, perché lo si possa esporre
all'interpretazione intersoggettiva, dalla cui valutazione dipenderà la stabilità del significato,
frutto delle operazioni di esternazione, di osservabilità comune e di trasformabilità. Il
significato scaturisce in sintesi dalla capacità da parte di un pensiero-segno di trasformare il
mondo degli interpretanti, tale abilità determinerà il significato di un pensiero-segno: sono
le relazioni, gli effetti, le trasformazioni innescate dai pensieri-segni ad orientare il processo
di significazione e qui risuona l'eco degli studi sulla logica dei relativi e della profonda
lezione pragmatica.
Insomma il pensiero è strutturato in maniera tale da esibire lo spazio entro il quale esso
stesso si costruisce ma questo spazio è quello dell' elaborazione delle ipotesi, che, una volta
date, si espongono alla loro osservabilità e quindi ad una valutazione, che sarà decisiva per
la loro accettazione o confutazione, poiché in seguito a tale atto si istituirà l‟atto della
significazione. Il significato è rinviato al futuro ovvero alla capacità dei riconoscimenti
determinabili da parte dell‟interpretante. Spesso si distingue l'atto di formazione di un
pensiero dalla comunicazione di quest'ultimo, in realtà per Peirce il pensiero si può
costituire soltanto all‟interno di uno spazio condivisibile in cui è possibile osservare
qualcosa che darà vita a trasformazioni, ad azioni, costitutive per l‟esperienza profonda di
ciò che viene inteso come reale143
. Il segno forse è la struttura più idonea a comprendere il
definiti […] le nuvole stanno nell‟atmosfera, sono identificabili come tali soltanto nell‟atmosfera. Se non c‟è
l‟atmosfera, non ci sono nuvole, che sono sue formazioni. Così gli oggetti, per essere identificati come tali, esigono una
cultura definita […] entro la quale stare ed apparire. Se l‟interpretante è i Babilonesi, o i Pigmei non c‟è un oggetto
come il treno. Un simile oggetto non è identificabile né di fatto, né di diritto”. C. Sini, Semiotica e filosofia, il Mulino,
1978, p. 263. 142
Peirce, L‟arte del ragionamento – Che cos‟è un segno?, cit. p. 66. 143
Peirce, Deduzione, Induzione e Ipotesi, cit., p. 465.
93
modo in cui il pensiero costruisce le sue forme, perché un segno è tale se viene riconosciuto.
Il segno è infatti segno di qualcosa per qualche interpretante. Il segno se non si sottopone
alla valutazione dell‟interpretante non si qualifica come tale, la relazione tra due cose
necessita di un terzo elemento che è ciò che ratifica la relazione stessa, riconoscendola.
Ricordiamo la nota definizione di segno risalente al 1897: “Un segno o representamen, è
qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto o capacità. Si rivolge a
qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un segno equivalente o forse un segno più
sviluppato. Questo segno che esso crea lo chiamo interpretante del primo segno”144
. O
ancora nel 1902: “Un segno è qualsiasi cosa riferita a una seconda cosa, il suo Oggetto,
rispetto a una Qualità, in modo tale da portare una Terza cosa, il suo Interpretante in
rapporto con lo stesso Oggetto, in modo da portarne una Quarta in rapporto con
quell'oggetto nella stessa forma, e così via ad infinitum”145
.
Queste definizioni risultano fondamentali poiché sintetizzano la struttura portante della
semiotica peirceana sotto due aspetti centrali: il rapporto tra segno e interpretante e il nesso
profondo tra segno e reale.
Per capire cosa intende dire Peirce, lo ripetiamo ancora, bisogna uscire da un‟ottica
corrispondentistica, il segno non risulta intelligibile se lo si rapporta in termini speculari
rispetto al referente, esso necessità di processualità perché possa stabilizzare il suo
significato, la sua regola e rendere le cose riconoscibili. Tale processualità, a partire da una
dimensione osservativa, sperimentale si espone al dialogo, all‟interpretazione dando vita ad
una storia nuova, una nuova vita interpretativa. Le scansioni di questa vita sono cruciali,
poiché dalla possibilità logica di un oggetto si passa attraverso la sua attualizzazione,
rintracciando la sua dimensione indicale sino ad arrivare alla sua codificazione.
Ma questo percorso è l'iter del pensiero e della realtà: il pensiero procede per congetture in
cammino verso le sue verifiche e la stabilità del suo significato, e lungo questo processo
parallelamente si costituirà il suo oggetto nel quale si riconoscerà il reale, poichè in ultima
analisi il reale si delineerà proprio attraverso le qualità catturate dal segno, nella misura in
cui l‟esigenza del segno non è quella di creare un sistema autoreferenziale, ma di esplicare
il reale. Ma se Peirce intende questo, il reale non se ne sta da parte a guardare l'opera del
segno, piuttosto lo orienta se è il caso, lo corregge smentendo la plausibilità delle sue
congetture: ciò è possibile, poiché lo stesso universo è considerato come un segno e quindi
come un processo, sempre in cammino in attesa di nuove e arricchenti interpretazioni.
In questi termini la semiotica si pone come sintesi di pensiero e realtà, i quali convengono
su un unico piano di esperibilità. In tal modo la semiotica si candida a qualificarsi come
riflessione fondativa valicando finalità meramente tecniche, anzi i suoi instancabili esercizi
classificatori all‟interno delle tricotomie semiotiche acquistano una nuova luce, poiché i vari
livelli attraverso i quali si esprime il segno hanno il fine di approssimare quanto più
possibile la varietà infinita delle possibili significazioni a quelle della realtà. Così il percorso
mai arrestabile attraverso il quale sul segno transita tutta la pregnanza del reale rende segno
e reale congruenti146
.
144
Peirce, voce Represent Dictionary of Philosophy and Psychology, cit., p.147. 145
Ibidem. 146
Efficaci le parole di N. Bosco riguardo il carattere fondazionale della semiotica peirceana: “La lezione della
semiotica non può dunque esaurirsi nei suoi tecnicismi: ben oltre questi essa è, o dovrebbe essere, un
esercizio,altamente filosofico, di autoconoscenza, e insieme un‟occasione preziosa di dare un‟occhiata all‟enigma
dell‟universo”. N. Bosco, Dalla scienza alla metafisica, Giappichelli, Torino 1977, p. 75.
94
In realtà l'obiettivo fondamentale che caratterizza tutta l'opera peirceana risiede nella
comprensione della natura del ragionamento, nella convinzione peraltro molto salda,
costantemente presente nella riflessione peirceana, che le forme del ragionamento
convengono con le forme della natura. Insomma se capiamo che il ragionamento non è altro
che una modalità segnica, capiamo anche che il reale è segno. E infatti le modalità del
ragionamento possono essere declinate secondo le scansioni segniche, e queste ultime sono
traducibili in categorie ontologiche.
Peirce afferma: “esistono tre tipi di segni. Vi sono anzitutto le somiglianze, o icone, che servono per comunicare
idee delle cose che rappresentano tramite la loro semplice imitazione. Vi sono poi le indicazioni, o
indici, che hanno la funzione di mostrare qualcosa delle cose, in virtù del fatto di trovarsi
fisicamente connesse a esse. Tale è ad esempio, un indicatore stradale, che segnala la strada da
prendere o un pronome relativo che viene posto proprio dopo il nome della cosa che si vuole
significare [….]. Vi sono poi i simboli, o segni generali, che sono stati associati ai loro significati
attraverso l‟uso. Sono tali gran parte delle parole e le espressioni, i linguaggi, i libri, le
biblioteche”147
.
Tale tricotomia, ripete in modo più specifico, questa volta penetrando nel cuore della
semiotica quanto viene espresso in termini generali dalla triade segno, oggetto.
interpretante. La riflessione sull'icona ci permette di capire come il rapporto segno-oggetto-
interpretante sia intrinseco ad ogni livello del segno, sebbene in forma più o meno esplicita
o come nel caso dell'icona in forma anticipativa cioè in forma più radicale, poiché il livello
iconico del segno sembra qualificarsi come struttura anticipativa dell‟oggetto e
dell‟interpretante, e in questo senso l‟icona diventa il livello segnico maggiormente idoneo a
dar conto della dimensione originaria del segno, dal momento che per sua virtù l‟icona
rappresenterebbe il nesso, l‟interrelazione tra pensiero e referente.
Infatti un tratto essenziale dell'icona, senza il quale non si può cogliere la specificità di tale
concetto è soprattutto il suo carattere fondativo che consiste nella consapevolezza che essa,
pur evocando l‟oggetto, pur comprendendone le relazioni intrinseche, non dispone di alcuna
connessione di carattere esistenziale con il referente.
Che cosa significa pensare alla possibilità logica dell'oggetto, e vedere l‟icona non come una
riproduzione dell'oggetto? Posto che l'icona non rassicura affatto riguardo alla esistenza
dell'oggetto, essa non può qualificarsi come una mera riproduzione di esso bensì come una
congettura su di esso, così come è stato detto nelle argomentazioni precedenti. Ma
affermando questo si transita già in sede logica, perché così si rinvia all‟ipotesi che mette a
frutto tutta la capacità creativa del pensiero per scoprire nuove teorie in grado di spiegare il
reale. Ma se da una parte il segno è esplicabile in termini logici, dall‟altra il ragionamento
guadagna una maggiore intelligibilità se lo si analizza attraverso le scansioni del segno.
E allora se il ragionamento si comporta come un segno, esso non può prescindere dal suo
livello iconico, il quale apre la strada ad una possibile unione di pensiero e reale.
Ma se il ragionamento accoglie anche il livello iconico, si proverà il radicato realismo che
anima tutta la prospettiva peirceana: il tratto iconico diventa lo spazio visibile in cui si
sperimenta la possibilità dell‟oggetto e lo spessore creativo del pensiero.
Il modo in cui Peirce definisce il ragionamento sancisce il connubio, peraltro preparato
dagli scritti giovanili, tra semiotica e logica, che risulta indispensabile a chiarire in che
147
Peirce, L‟arte del ragionamento – Che cos‟è un segno, cit., pp. 55-56.
95
senso è possibile pensare l‟icona “come spazio di intersezione”. Le coordinate, infatti, che
costituiscono la dimensione iconica sono ascritte ad un ordine semiotico, logico-grafico e
matematico. Sicuramente in questo intreccio semiotico-logico-matematico, in cui sembra
consistere l‟icona, è ravvisabile, a mio avviso, il baricentro del progetto peirceano ed è
possibile apprezzare lo spessore ontologico della semiotica peirceana, poiché essa non può
prescindere da questi ambiti: questi ultimi la costituiscono perché le restituiscono la
vocazione fondativa e il senso. Ciò sembra confermato dalla ricerca lessicale dei termini
likeness, icon, dalla quale si evince che tali occorrenze sono presenti in contesti ora
semiotici ora logico-matematici, ora grafici.
Il concetto di icona rivendica un ruolo centrale, nella misura in cui diventa piano di
intersezione di diverse prospettive e si pone come luogo in cui si articolerebbe un rapporto
circolare tra natura e convenzione, dispiegando così la tesi di fondo del lavoro, già portata
avanti, nell‟ambito dell‟analisi dei concetti di ground e likeness.
Sicuramente Sull‟Algebra della Logica: Un contributo alla Filosofia della Notazione è il
testo che pone un elemento di discontinuità all‟interno della riflessione peirceana, poiché
decreta come legittima l‟assunzione delle icone all‟interno delle relazioni logiche, per
quanto siano presenti le tracce di questo straordinario cambiamento negli scritti precedenti,
poiché se l‟articolazione del discorso svolto precedentemente è valso a comprendere che già
Peirce aveva preparato le condizioni perché vi fosse una corrispondenza tra likeness, image,
hypothesis, dovrebbe risultare conseguenziale l‟introduzione delle icone all'interno del
registro logico, poiché comunque l'icona è una relazione di ragione, cosi come la
dimensione indicale, la quale designa gli oggetti della relazione di ragione espressa
dall'icona, è connessa strutturalmente al problema del vero e del falso. E se si considera che
già a partire dagli scritti giovanili, secondo Peirce, il pensiero partecipa della natura del
segno - prova ne è la lunga trattazione sinottica della rappresentazione e del segno - risulta
chiaro come il ragionamento logico che rappresenta l‟unica forma atta a conseguire la
verità, debba avvalersi di tutte le risorse dei segni e in particolare dei livelli che
garantiscono una maggiore creatività per potere accedere ad una conoscenza veramente
attiva, capace di decifrare il reale.
Se la conoscenza è un processo dinamico nel senso che non si pretende di partire da
premesse incontrovertibili per esplicitarne ciò che è contenuto in esse, se l'essenza
dell'avvertenza peirceana è quella di tenere a mente il carattere osservativo della conoscenza
per accedere alla verità attraverso una costruzione mai definita ma sempre disponibile
all'apporto di nuove significazioni e allora è chiaro che i risultati ai quali approda Peirce nel
1885 sono in realtà preparati dal lavoro degli scritti precedenti. Infatti Peirce in questo
saggio in cui condensa i frutti più fecondi della logica matematica del XIX secolo ritiene
che il ragionamento deduttivo necessita non soltanto dei simboli e degli indici, che
certamente assicurano la generalità e i soggetti, ma anche della relazione iconica nella quale
tale generalità viene anticipata. Peirce infatti afferma: “Con questi due soli tipi di segni (simboli e indici) può essere espressa qualunque proposizione; non
si può tuttavia farla oggetto di ragionamento, in quanto il ragionamento consiste nella osservazione
del fatto che, laddove sussistano certe relazioni, se ne trovano certe altre, e richiede per
conseguenza che le relazioni su cui si opera si mostrino in forma di icona”148
.
Più avanti dirà: “In un sistema perfetto di notazione logica devono venire impiegati i segni
di tutti e tre tipi suddetti”149
.
148
Peirce, Sull‟Algebra della Logica: Un Contributo alla Filosofia della Notazione (1885), cit., p. 886. 149
Ibidem
96
In questi termini si comprende chiaramente come le ragioni dell‟icona siano profondamente
logiche, nel senso che i requisiti specifici dell‟icona, la sua osservabilità, il suo carattere
innovativo, e il suo rappresentare un‟ipotetica condizione corrispondono alle esigenze di un
ragionamento che concepisce la deduzione come un processo che scaturisce dall‟osservazione
delle relazioni e dalla scoperta di altre sulla base di quelle già osservate. In questo senso
l‟icona è lungimirante perché esibisce degli elementi che potranno essere oggetto del
necessario.
L‟introduzione dell‟icona all‟interno del ragionamento logico fornisce una ribalta in cui il
ragionamento può vedere le sue congetture, dedurne le conseguenze e verificarne i risultati.
La capacità immaginativa dell‟icona permette la formalizzazione di un problema, di uno
stato di cose che sarà fondamentale per arrivare alla scoperta di soluzioni o di altre verità
prima assolutamente impensabili.
Non è un caso che in vari scritti Peirce sia nel ragionamento teorico che in quello pratico
sottolinei la necessità del momento osservativo-congetturale, estendendo così la radicalità
della struttura dell‟icona, perché essa mette a disposizione elementi che risultano
indispensabili a tutti i tipi di ragionamenti, siano essi prettamente teorici come quelli della
matematica siano essi pratici come quelli delle scienze esatte. Proprio questa riconosciuta
necessità del ragionamento apre la semiotica al rapporto con le altre discipline, ma non nel
senso che è possibile genericamente intravedere dei rapporti tra loro ma nel senso che i
ragionamenti per creare nuove conoscenze intrinsecamente necessitano della struttura del
segno e in particolare del segno iconico. Sin dal 1867 in On the Natural classification of
Arguments e successivamente in Of Reasoning general del 1893 Peirce sottolinea lo stretto
rapporto tra segno e inferenza, affermando che sia il pensiero che il segno sono volti a
raggiungere la verità, e la legislazione osservata dal segno è proprio quella dell‟inferenza.
Infatti ad esempio l‟icona in quanto tale evoca qualcos‟altro, rinvia a qualche altra cosa, ora
questi due elementi si ritrovano ad essere pensati come insieme: proprio questo nesso
diventa significativo, poiché può essere inteso come un rapporto di implicazione e quindi
logico, e quindi questo movimento intrinseco all‟icona corrisponde a quello proprio
dell‟inferenza, la quale si caratterizza, già nel testo citato del 1867, come espressione di un
nesso che si stabilisce se si istituisce un‟implicazione vera tra le premesse e la conclusione.
In questi termini il rapporto di implicazione si pone come una relazione proto semiotica,
infatti afferma Peirce: “Yet it is just in bringing the premisses together that all the
difficulty lies! This preliminary uniting of the premisses is called copulation, or
colligation”150
.
La profonda relazione tra inferenza e icona è possibile grazie al fatto che ragionamento
logico e segno condividono lo stesso spazio, a tal proposito può risultare utile l‟esordio del
testo sulla classificazione degli argomenti: “[...] The term “argument” will denote a body of premisses considered as such. The term “premiss”
will refer exclusively to something laid down (whether in any enduring and communicable form of
expression, or only in some imagined sign), and not to anything only virtually contained in what is
said or thought, and also exclusively to that part of what is laid down which is (or is supposed to be)
relevant conclusion”151
.
Il segno iconico offre un grande vantaggio all'incremento delle inferenze, poiché non
soltanto le premesse suggeriscono la conclusione, mettendo a frutto l'atto primario che
150
CP 2.4 51. 151
CP 2.4 61.
97
consente l'unità tra due idee, due elementi e altro, ma anche perché la contemplazione
sull‟unità raggiunta suggerisce nuove inferenze.
A riguardo esplicative risultano tali affermazioni: “The next step of inference to be
considered consists in the contemplation of that complex icon, the fixation of the attention
upon a certain feature of it, so as to produce a new icon”152
. In questi termini il segno
iconico non offre soltanto un piano osservabile ma anche una base operativa, che costituirà
principio di altre conoscenze. Qui sembra proprio utile il richiamo alla lezione pragmatica,
che insegna che il processo di significazione deve essere oggetto di verifica perché possa
risultare adeguatamente fondato.
E infatti proprio in questo testo Peirce richiama l‟attenzione sul metodo della conoscenza
scientifica sia essa di tipo dimostrativo sia di tipo sperimentale per porre in evidenza che la
sperimentazione sulle congetture prodotte permette un metodo più sicuro perché può
correggere gli eventuali errori e, sulla base delle indicazioni ricevute, realizzare un
progressivo adeguamento alla verità. La modalità iconica del ragionamento, per quanto
debole, perché ancora non suffragata dalla verifica deduttiva o induttiva, costituisce la
bussola sostanziale della conoscenza, poiché essa stessa pone le premesse per
l‟identificazione degli indici, e quand‟anche gli indici si rivelassero errati, tale affermazione
deve essere fondata sulle icone. Peirce infatti ritiene che “We may, therefore, say that
excepting the colligation of different beliefs the whole of inference consists in observation,
namely in the observation of icons” 153
.
Ma perché è così importante questo carattere osservativo del ragionamento? Perché non
soltanto esso permette un‟autocorrezione del ragionamento lungo il suo percorso ma anche
perché garantisce l‟oggettività della conoscenza; infatti ciò che non si scorge a primo
acchito ma si scopre dopo una lunga contemplazione, è frutto non del nostro singolo
pensiero ma prodotto dal pensiero-segno al quale appartiene il nostro singolo pensiero.
Proprio in questo risiede il vantaggio da parte del ragionamento dell‟uso delle icone, cioè
quello di utilizzare segni che lo candidano a qualificarsi scienza non soltanto del necessario
ma anche del vero. Tale svolta obbliga il discorso logico a non porsi come mero calcolo ma
ad avere come finalità la comprensione dell‟universo, così come viene ritagliato dalle icone.
Come Peirce afferma in Consciousness and Reasoning: “The observation of the icon may be
ordinary direct observation, or it may be scientific observation, or it may be scientific
observation aided by the apparatus of logical algebra and other technical means”154
. L‟icona
è alla base dei processi della conoscenza, ed è indispensabile al ragionamento logico, perché
essa permette la visualizzazione delle relazioni che essa mette in atto, tali relazioni sono
spendibili sul piano logico, e necessari allo sviluppo della deduzione. Quest‟ultima infatti
assolve la funzione di legittimare la congettura, se è attendibile. L‟icona corrisponde al
momento ipotetico del processo conoscitivo, a quella che Peirce definirà abduzione155
e,
come quest‟ultima, l‟icona esplica il suo ruolo in tutti i processi cognitivi. In questi termini
le relazioni espresse dall‟icona sono assimilabili alla implicazione, come dicevamo
precedentemente, più che alla somiglianza tradizionalmente intesa, ed è questo che permette
152
CP 2.4 43. 153
CP 7.557. 154
CP 7.556. 155
Il termine abduzione viene utilizzato per la prima volta nel 1867 in Specimen of Dictionary of the Terms of logic and
allied Science. In quest‟ultimo abduzione figura come traduzione di apagoghé ed è classificata come un sillogismo.
98
all‟icona di porsi come momento genetico attraverso cui si costituisce il processo deduttivo.
Secondo Peirce è l‟ipotesi o abduzione la forma inferenziale che può tradurre sul piano
logico l‟icona, poiché l'abduzione procede secondo i termini per cui si suppone un principio
generale in grado di inferire un caso. L‟icona corrisponde a questo tipo di ragionamento, nel
senso che immaginando quale potrebbe essere la struttura interna dell‟oggetto lo produce,
offrendo alla mente così un tratto materiale di esso, senza, perciò stesso, avere la pretesa di
denotarlo. Nel 1901 Peirce affermava che nell‟abduzione i fatti suggeriscono l‟ipotesi, e che
si stabilisce una somiglianza tra i fatti e le conseguenze dell'ipotesi proprio in virtù della
rassomiglianza. Nel 1902 sempre a proposito dell'abduzione Peirce proponeva “l'abduzione come un argomento che presenta nella sua premessa fatti i quali presentano una
similarità con il fatto asserito nella conclusione, ma che potrebbero benissimo essere veri senza che
la conclusione sia vera, anzi senza che essa sia neppure riconosciuta; cosicché non siamo condotti
ad affermare con sicurezza la conclusione, ma siamo soltanto disposti ad ammetterla come
rappresentante un fatto di cui i fatti della premessa costituiscono un‟icona156
”.
2) La struttura abduttiva
Come dice Hintikka, capire lo statuto logico dell'abduzione è sicuramente il problema
dell‟epistemologia contemporanea, poiché, essa, considerata come l‟inferenza per
antonomasia produttrice di nuove conoscenze, è anche quella che si presenta in modo più
problematico. Il ruolo dell'abduzione all'interno del sistema peirceano insieme a quello
dell‟icona è cruciale e le apparenti incoerenze riscontrabili tra le varie definizioni di
abduzione sono spesso dovute ad una lettura settoriale di tale concetto. In realtà essa va
letta, a mio avviso, tenendo presenti le articolazioni del complesso architettonico del
pensatore americano e compresa, nonostante la sua irriducibilità, in relazione alle altre
inferenze. D‟altra parte questo è abbastanza importante perchè l‟interdipendenza tra
abduzione e induzione e deduzione ci potrà far capire meglio il rapporto tra icona e
abduzione e in generale l‟idea che l‟icona essenzialmente sia uno spazio di intersezione.
I tratti fondamentali cui rinvia l‟abduzione potremmo riassumerli in questo modo:
1) l‟abduzione è un processo, e proprio per questo è necessario concepirla interdipendente
con le altre inferenze, 2) l‟abduzione costituisce il tratto sperimentale del percorso della
conoscenza, 3) l‟abduzione ha un fine pragmatico, quello di orientare l‟azione al fine di
raggiungere in the long run la verità.
L‟analisi di questi tratti dovrebbe condurre a fare chiarezza sull‟abduzione e approfondire il
suo rapporto con l‟icona.
Se l‟abduzione sicuramente costituisce la riflessione caratterizzante il pensiero peirceano
non è da sottovalutare l‟innovazione profonda apportata ai rapporti tra le singole inferenze.
Sin dagli scritti del ‟67, come in quelli del ‟78, sebbene ancora in forma implicita, Peirce
coglie la specificità dell'inferenza ipotetica e contesta certa tradizione che ha assegnato il
primato allo spazio dell‟apodissi. Secondo Peirce la deduzione non può essere concepita
come un procedimento esclusivamente analitico, il ragionamento, al fine di produrre nuove
conoscenze, sulla base dei dati dell‟esperienza o dei dati interni prodotti dall‟immaginazione,
deve produrre quelle ragioni che possano consentire la spiegazione del reale. Ragionare
156
Peirce, Minute Logic, cit., p.126.
99
significa esporsi responsabilmente ai percorsi intraprendibili dalla ragione, senza pensare di
ridurne i rischi, omologando il procedimento razionale ad un processo meccanico, rigido,
obbligato.
Nei primi scritti Peirce tiene a sottolineare l‟autonomia delle singole inferenze per incrinare
la posizione di privilegio dell'inferenza deduttiva, negli scritti dopo il 1891 l‟autore marca
l‟interdipendenza tra le tre inferenze, pur attribuendo forme logiche e funzioni distinte.
Laddove commetterà qualche confusione tra induzione e abduzione, Peirce sarà pronto a
rimediare ristabilendo i confini tra l‟una e l‟altra.
Se già a partire dagli scritti giovanili è ravvisabile la tendenza a concepire il procedimento
inferenziale in termini unitari, la riflessione sul ragionamento matematico, realizzatasi negli
anni Novanta, in cui da un‟ipotesi scaturirebbe l‟iter dimostrativo, contribuisce a rafforzare
l‟idea che le inferenze non sono impermeabili le une alle altre, ma interagiscono
imprescindibilmente. In questi anni il ragionamento matematico diventa un modello di
riferimento, che permetterà a Peirce di cogliere la radicalità del gesto matematico, e i suoi
riflessi in campo logico e ontologico, permeando così tutte le diramazioni del suo pensiero.
Leggiamo questa bella e chiara definizione dei tre tipi di ragionamento, così come vengono
individuati da Peirce: “These three kinds of reasonings are Abduction, Induction, and Deduction. Deduction is the only
necessary reasoning of mathematics. It starts from a hypothesis, the truth or falsity of which has
nothing to do with the reasoning; and of course its conclusions are equally ideal. The ordinary use
of the doctrine of chances is necessary reasoning concerning probabilities. Induction is the
experimental testing of a theory. The justification of it is that, although the conclusions at any stage
of the investigation my be more or less erroneous, yet the further application of the same method
must correct the error. The only thing that induction accomplishes is to determine the value of
quantity. It sets out with a theory and it measures the degree of concordance of that theory with fact.
It never can originate any idea whatever. No more can deduction. All the ideas of science come to it
the way of Abduction. Abduction consists in studying facts and devising a theory to explain
them”157
.
Risulta evidente in queste affermazioni il carattere creativo dell‟abduzione, poiché soltanto
ad essa, in particolare, bisogna rivolgersi per attingere nuove idee. Proprio a partire dal
momento in cui Peirce vede le tre inferenze interdipendenti l‟abduzione guadagna la
massima identità, nel senso che essa realizza tutta la sua potenzialità creativa, pur all‟interno
della sua forma logica. L‟abduzione pur rivestendo una forma logica può qualificarsi come
il primo tratto, quello più geniale, della ricerca scientifica. Questa doppiezza dell‟abduzione
non è la sua debolezza ma al contrario la sua forza, poiché se è vero che la pura
immaginazione, sollecitata o non dai fatti, produce abduzioni, e se è vero che per Peirce il
ragionamento, anche quello matematico, per antonomasia luogo ideale per l‟esplicazione
dell‟inferenza deduttiva, necessita delle abduzioni per scoprire nuove conoscenze, è chiaro
che l‟abduzione può esprimere il suo insight attraverso una forma inferenziale, peraltro se
questo non accadesse, questo invaliderebbe uno dei veti più marcati della sua impalcatura,
che è dato proprio dal rifiuto dell‟intuizionismo.
157
CP 5.145 Altrettanto chiara si presenta tale definizione: “Abduction is the process of forming an explanatory
hypothesis. It is the only logical operation which introduces any new idea; for induction does nothing but determine a
value, and deduction merely evolves the necessary consequences of a pure Hypothesis.
Deduction proves that something must be; Induction shows that something actually is operative; Abduction merely
suggests that something may be”. CP 5.171.
Its only justification is that from its suggestion deduction can draw a prediction which can be tested by induction, and
that, if we are ever to learn anything or to understand phenomena at all, it must be by abduction that this is to be brought
about”. CP 5.171.
100
Sentiamo il bisogno di fare abduzioni quando ci manca qualcosa, quando vogliamo scoprire
come
sono andate le cose, in questo senso il pensiero è sempre preceduto dalla realtà, e quindi si
trova sempre nella condizione di dover andare a ritroso per cercare il pezzo che gli serve per
comporre un‟unità. Il pensiero non parte da zero e non può pretendere con un atto intuitivo
di travasare i pezzi di realtà che gli servono per capire, ma al contrario parte sempre da
qualcosa che conosce e arriverà a conoscere qualcos‟altro proprio a partire dal pezzo già
conosciuto. In questi termini l‟insight si realizza nella comprensione del nesso tra i pezzi
mancanti, ma a sua volta la forma con cui l‟atto abduttivo mostra l‟evento dell‟insight è
proprio quella dell‟inferenza logica.
Proprio in questo punto Peirce si mostra assolutamente fedele alle sue premesse teoriche,
consistenti essenzialmente nell‟idea che ogni conoscenza del reale scaturisce dalle ipotesi
sulla nostra conoscenza dei fatti esterni e che ogni cognizione è connessa logicamente a
quelle che la precedono: così come il pensiero e la realtà sono compatibili perché di fatto
condividono una medesima natura ovvero la dimensione segnica, allo stesso modo gli atti e
i contenuti del pensiero si corrispondono, nel senso che l‟insight si attua nella comprensione
di una relazione e il suo contenuto assumerà la forma logica dell'inferenza e in particolare
quella dell‟abduzione. Insomma conosciamo soltanto ciò che si presenta simile alle nostre
modalità di conoscere.
L‟abduzione, come prodotto dell‟immaginazione, crea nuove idee ma allo stesso tempo
queste idee saranno ritenute ipotesi e non libere associazioni se sono in grado di rispondere
a qualche problema, sebbene ancora in forma congetturale, dal momento che esse dovranno
essere verificate successivamente dall‟induzione. L‟abduzione scientifica è vincolata ai fatti,
come nel caso delle scienze sperimentali o come nella ricerca matematica alle idee prodotte
dalla pura immaginazione, agli entia rationis. E infatti l‟abduzione non può essere
equiparata ad un‟intuizione perché è fallibile: i fatti, gli errori umani possono smentirla.
D‟altra parte la valenza creativa dell‟abduzione non deve essere intesa né come un atto
intuitivo, né come un atto esclusivamente istintivo, poiché come dice Anderson: “The
abductive relates instinct relates to abduction as man‟s vocal ability relates to spoken
language; it is necessary but not a sufficient condition for the latter‟s occurrence. Certainly,
our vocal ability is not sufficient for spoken language and particularly not for excellence in
speaking. Thus, the instinct of insight is not a mechanism which determines our specific
guesses, but it is an ability allows us to guess at the truth”.158
Se concentriamo l‟attenzione sul fatto che l‟immaginazione è la facoltà che permette la
produzione del congetturare e se si valuta che l‟immaginazione non si qualifica come una
capacità solamente psicologica, ma anche logica, possiamo forse capire meglio in che senso
Peirce coniuga nell‟abduzione insight e forma logica. Se l‟immaginazione di cui stiamo
parlando è quella facoltà che ci permette di operare una sintesi trascendentale perché il dato
possa trovare la sua unità, che ci consente di cogliere le relazioni all‟interno dei singoli dati
perché questi ultimi possano essere esperibili, l‟abduzione, figlia di questa condizione
indispensabile alla conoscenza, sia nel caso in cui scopre una nuova legge, sia nel caso in
cui comprende “un peculiare stato dei fatti” ovvero che alcuni fenomeni sono sussumibili
sotto una legge già conosciuta, ci offre anticipatamente un gesto compositivo, facendoci
intravedere quell‟unità che in modo compiuto sarà legittimata al momento della sua verifica.
In questi termini l‟abduzione a pieno titolo si qualifica come il primo passo inferenziale nel
158
D. Anderson, Creativity and the Philosophy of C.S. Peirce , Martinus Nijhoff, Dordrecht, 1987, p.36.
101
procedimento della conoscenza o in quella sperimentale. Infatti Peirce dichiara di avere già
da diverso tempo concepito l‟abduzione come un‟inferenza, secondo la seguente forma:
“The surprising fact C is observed; But if A were true, C would be a matter of course,
Hence, there is reason to suspect that A is true”159
.
E in questo senso Peirce già denominava l‟abduzione Retroduzione, poiché essa dalla
contemplazione dei fatti perviene all‟elaborazione di una teoria. Non è un caso che
l‟abduzione in Method for Attaining Truth viene definita una ricerca sperimentale, ma il suo
essere sperimentale è diverso da quello dell‟induzione, poiché nel caso di quest‟ultima si
tratta di effettuare un‟osservazione esterna degli oggetti, nel caso della prima invece
l‟esperienza consiste nel prendere atto di un che di inesplicabile nel fenomeno contemplato,
e l‟oggetto di contemplazione è un ens rationis, in esso si fa esperienza del fatto che al
pensiero si impone insistentemente un‟idea che necessita di venir fuori, che si mostra,
afferma Peirce, irresistibile, imperativa160
.
Certamente l‟abduzione costituisce il bordo del ragionamento logico, oltre il quale non si
può andare, sicuramente è l‟inferenza che si trova al confine con ciò che vi è di naturale, di
istintivo, tant'è che non sappiamo il motivo per cui scegliamo un‟abduzione piuttosto che
un‟altra. Peirce ritiene che la mente dell‟uomo segna lo sviluppo della natura, e che quindi
nell‟uomo risiede la tendenza a congetturare bene. Certo questa è a sua volta un‟ipotesi che
ci sia adeguazione tra il pensiero e la realtà, ma in ogni caso riguardo la spendibilità logica
della singola abduzione, capire l‟origine delle nostre abduzioni non costituisce un problema
insormontabile. È chiaro che la ricerca scientifica deve partire da assunzioni per far
procedere il ragionamento, la questione relativa all‟origine delle congetture riguarda le
condizioni della scienza, ma non la validità delle singole inferenze abduttive, le quali,
secondo Peirce, scaturiscono da un problema che può riguardare l‟accordo tra un concetto e
un possibile fenomeno, o la mancanza di una teoria in assenza della quale alcuni fenomeni
risulterebbero inspiegati. Se le abduzioni non disattenderanno tali aspettative,
indipendemente dalla loro origine più o meno giustificata, esse si
qualificheranno,comunque, come buone abduzioni. Infatti Peirce afferma: “L‟unico modo di scoprire i principi in base a cui si debba costruire una cosa è considerare che se
ne debba fare dopo che sia stata costruita. Quello che si deve fare con l‟ipotesi è trarne le
conseguenze per deduzione, confrontarle con i risultati degli esperimenti per induzione, e scartare
l‟ipotesi e provarne un‟altra non appena la prima, come è presumibile, verrà rifiutata. Non possiamo
sapere quanto ci vorrà prima che ci imbattiamo nell‟ipotesi che resisterà a tutte le prove, ma
speriamo che alla fine succeda [….]. In primo luogo l‟ipotesi deve essere passibile di verifica
sperimentale. In secondo luogo l‟ipotesi deve essere tale da spiegare i fatti sorprendenti che
abbiamo di fronte, la razionalizzazione dei quali è lo scopo della nostra ricerca”161
.
In questi termini nel testo del 1903 Pragmatism and Abduction Peirce identifica la questione
del pragmatismo con la questione dell‟abduzione poiché la massima pragmatica concede
spazio all‟immaginazione, purché essa abbia degli effetti pratici, purchè sia in grado di porsi
come esplicativa in riferimento ai fatti contemplati. In questo senso anche idee che
inizialmente potrebbero sembrare strane, successivamente sottoposte alla massima
pragmatica si potranno rivelare congeniali alla spiegazione di alcuni fatti, altrimenti
inesplicabili. Questo è il senso della massima pragmatica, afferma Peirce, se non la si
interpreta come una proposizione psicologica.
159
CP 5.189. 160
Peirce prosegue affermando: “The hypothesis, as the Frenchman says, c‟est plus fort que moi”. CP 5.581. 161
Peirce, On the Logic of Driwing History from Ancient Documents Especially from Tesimonies (1901), cit., p. 519.
102
Se l‟ipotesi è effettivamente creativa perché scopre nuove leggi che possono spiegare fatti,
se il suo significato originario sta nel suo potere inventivo, essa, per quanto interdipendente
con l‟induzione, va distinta in modo netto.
Essa non si arrende ai fatti, piuttosto va dai fatti alla teoria e se la teoria si rivelerà giusta, i
fatti risulteranno spiegati. In questo senso lo statuto dell‟ipotesi non è quello dell‟accordo,
non è quello della credenza, e non è neanche quello della probabilità, al contrario esso è il
frutto di una connessione logica, di un‟implicazione assolutamente logica, poiché i nessi
istituiti dall‟ipotesi, se veri, sono incontrovertibili e predittivi. Come Peirce afferma: “[…] There is now reason to believe in the theory, for belief is the willingness to risk a great deal
upon a proposition. But this belief is no concern of science, which has nothing at stake on any
temporal venture but is in pursuit of eternal verities (not semblances to truth) and looks upon this
pursuit, not as the work of one man‟s life, but as that of generation after generation, indefinitely.
Thus those retroductive inferences which at length acquire such high degrees of certainty, so far as
they are so probable, are not pure retroductions and do not belong to science, as such; while, so far
as they are scientific and are pure retroductions, have no true probability and are not matters for
belief”162
.
L‟abduzione parte dunque dall‟interpretazione del dato che viene concepito ipoteticamente
come conseguenza di un principio generale, la creatività sta nella scelta della premessa,
nell‟accostamento che non è dato tra antecedente e conseguente. L‟abduzione ascrive
l‟individuale al generale, coglie il rapporto tra un‟occorrenza e il principio che la può
giustificare, essa riesce ad integrare un elemento all‟interno di un sistema, ed è questa
operazione a qualificarsi prettamente logica e non empirica come potrebbe essere la mera
enumerazione delle occorrenze, o il loro calcolo statistico, e a garantire alla scienza una
conoscenza vera, se sarà confortata dai fatti.
A parte i casi in cui Peirce sembra assottigliare i confini tra ipotesi e induzione, il
riconoscimento della specificità e autonomia dell‟inferenza abduttiva è già presente negli
scritti giovanili. A Peirce è chiaro che l‟abduzione si costituisce inferenzialmente con
principi non riducibili a quelli della deduzione, ritenuta dalla tradizionale sillogistica
l‟inferenza madre. La forma logica che viene attribuita all‟abduzione non sarà smentita
successivamente, semmai quest‟ultima sarà potenziata, senza perdere mai la sua identità, dal
rapporto con le altre due inferenze, le quali non sono viste più come procedimenti separati
ma come momenti di un processo unitario. Per quanto già nella produzione giovanile sono
già riscontrabili passi significativi che aprono la strada a tali esiti della maturità, di cui mi
curerò di mostrare più avanti, sicuramente dopo gli anni „80 la deduzione viene vista come
lo sviluppo delle conseguenze di un‟ipotesi, e questo aspetto creativo dell‟ipotesi diventa
anche più evidente e più adeguatamente speso. I frutti dell‟ipotesi vengono sviluppati,
rigorizzati dalla deduzione, e verificati dall‟induzione, e quindi l‟elemento innovativo viene
messo a frutto e al tempo stesso trasformato in legge scientifica e proprio a seguito di questo
modo di vedere il rapporto tra le tre inferenze non è ravvisabile alcuna frizione tra l‟aspetto
creativo e la sua forma inferenziale, poiché, se la deduzione è in grado di sviluppare il
contenuto dell‟abduzione, ciò può farlo nella misura in cui esso si rende disponibile in una
forma inferenziale,e l‟abduzione stessa può effettuare il suo gesto creativo, a patto che esso
si dispieghi all‟interno di un processo inferenziale, condizione intrascendibile per il
pensiero, secondo la prospettiva peirceana. Un‟abduzione scientifica non sorge ex abrupto
162
CP 5.589. Questi aspetti dell‟abduzione vengono ripresi e valorizzati da D. Anderson a sostegno della specificità
dell‟abduzione rispetto al carattere probabile dell‟induzione, in Creativity and the Philosophy of C.S. Peirce, op.cit., p.
42.
103
ma è il risultato di una contemplazione all‟interno di un contesto, che è fatto di relazioni, di
sponde che si rinviano l‟un l‟altra, e in questo fra nasce l‟abduzione. L‟abduzione risulta
complessa perché è come se fosse strutturale e indispensabile il suo bifrontismo, poiché
tiene insieme il derivabile e l‟asseribile, nel senso che l‟asseribile, una volta realizzato, dà
conto del derivabile ovvero della miniera inesauribile dell‟immaginazione che sta al fondo
di ogni assunzione. L‟abduzione si sporge verso quegli elementi ancora non conosciuti e,
appena avrà capito il nesso tra ciò che conosce già e il non ancora conosciuto, disporrà di
tale nesso nella forma inferenziale. Ma l‟atto di immaginazione sembra non disgiunto da
quello inferenziale, nel senso che l‟abduzione potrà disporre del suo prodotto soltanto in
forma inferenziale, poiché non è un‟ intuizione, non è immediata, a ritroso cerca di seguire
le orme, le tracce delle relazioni, che si configurano indipendentemente dai singoli pensieri,
e di cui le abduzioni buone costituiscono le loro trascrizioni logiche.
Nell‟abduzione lo sforzo è quello di coniugare ragione e immaginazione, il motivo per cui
l‟abduzione si mostra problematica sta nel fatto che essa si configura proprio nel momento
in cui si congiungono immaginazione e inferenzialità. L‟immaginazione scientifica, non è il
cilindro dal quale escono le chimere, semmai è quella condizione originaria, con la quale si
costruiscono le relazioni perché possano assumere una configurazione possibile, ma la
stessa immaginazione può spiccare il volo a patto che si lasci guidare dalle stesse tracce
fornite dall‟esperienza; in questo senso la produzione dell‟immaginazione è limitata e
controllata razionalmente, essa non vaga in modo più o meno libero, ma cerca di costruire il
suo percorso di conoscenza mediante il parallelo iter che il reale va suggerendo.
Essa provvede a costruire una forma razionale, che garantisca una possibile intelligibilità,
ma questa forma razionale nella quale si dispiegano i possibili rapporti è proprio quella
dell‟abduzione, la quale, diversamente dall‟induzione, non ha il problema di verificare nei
fatti ciò che già è stato assodato nella teoria, al contrario è in cerca di una connessione, e
quindi da una parte deve compiere lo sforzo di immaginarsi il modo in cui sono andate le
cose, deve ricorrere all‟immaginazione perché essa si sostituisca ai fatti, ma allo stesso
tempo questa diventa utile non perché fornisce le repliche della realtà ma perché nel
sostituirsi ai fatti procura una possibile connesione dei fatti, poiché altrimenti questi ultimi
rimarranno inesplicati. Proprio quando è all‟opera l‟immaginazione vediamo nascere
contemporaneamente i fatti e le loro connessioni, in caso contrario afferma Peirce: [A man]
He can stare stupidly at phenomena; but in the absence of imagination they will not connect
themselves together in any rational way”163
. Ma la connessione utile sul piano scientifico,
cioè la connessione che permette di fare il salto dall‟ordine dei fatti a quello della teoria è
proprio il tipo di inferenza abduttiva, perché spiega il darsi di quel determinato fenomeno,
scoprendo il suo antecedente, cioè mettendolo in connessione con qualcos‟altro. E allora
l‟immaginazione non è libera di fantasticare, non va confusa con la facoltà psicologica, con
la facoltà meramente riproduttiva, come direbbe Kant, ma va identificata con un‟attività
assolutamente spontanea, in virtù della quale si realizza un riconoscimento dei dati, poiché
la loro unità rende possibile la comprensione, prima che questa diventi comprensione logica.
E allora ciò che nell‟abduzione è ancora non inferenziale, è il tratto che l‟avvicina
all‟immaginazione, poiché è sulla base delle figure offerte dall‟attività dell‟immaginazione
che l‟abduzione può esplicare le sue inferenze sintetiche le quali, pur essendo le più deboli
perché le più rischiose, sono quelle che otterranno, se vere, il massimo vantaggio, il nesso
tra fatti e teoria, e quindi il frutto prezioso della spiegazione.
163
CP 1.46.
104
I suggerimenti, le tracce, le allusioni sembrano proprio i sostegni di cui si avvale lo sforzo
immaginativo, i quali, per quanto deboli, costituiscono gli unici appigli con cui lo streben
dell‟immaginazione opera e su cui al tempo stesso la forma inferenziale esplica il suo
esercizio per realizzare l‟atto abduttivo quale esito di un processo, giammai di un presunto
atto intuitivo. In questo senso, a mio avviso, si riconosce l‟uso kantiano dell‟immaginazione,
cosi come viene intesa nella seconda edizione della Critica della ragion Pura, in cui si
attribuisce una funzione trascendentale alla immaginazione, poiché ad essa si riconosce il
merito di fornire al molteplice un‟unità, che costituisce la base possibile per ogni opera di
concettualizzazione. Tale unità non è ancora realizzata dallo spazio e dal tempo in sede di
Estetica trascendentale, poiché lì si rendono disponibili i dati, ma la loro strutturazione
indispensabile perché diventi oggetto di connessione logica è frutto dell‟opera
dell‟immaginazione. L‟immaginazione è la tela su cui si delineano i dati e le loro
imprescindibili relazioni. Senza questo strato non si potrebbe operare la mediazione tra i
dati della sensibilità e quelli dell‟intelletto. L‟immaginazione, è chiaro, non designa una
determinata conoscenza al contrario anticipa ogni conoscenza determinata. Proprio
nell‟esibire uno stato ideale di cose l‟abduzione è strettamente imparentata con
l‟immaginazione poiché essenzialmente condivide con essa la dimensione della possibilità,
infatti l‟immaginazione struttura il fenomeno, il dato perché possa divenire oggetto di
comprensione. Ma questa possibile strutturazione del fenomeno non è disgiunta dall‟atto in
cui si realizza l‟abduzione, poiché quest‟ultima proprio in quella figura realizzata
dall‟immaginazione riconoscerà il conseguente di un possibile antecedente, cioè in quella
immagine vedrà sintetizzati dei possibili caratteri, che potrebbero risultare giustificati
qualora si presupponesse una determinata classe o principio, che fungendo da antecedente,
fosse in grado di spiegarli. Cioé l‟abduzione non opera a prescindere dai frutti
dell‟immaginazione, essa piuttosto sembra qualificarsi come la testimonianza più feconda di
un intreccio inestricabile tra ragione e immaginazione, perché l‟abduzione si realizzi, è
necessario disporre di figure, perché è nella figura che può cogliere un‟unità che si esprime
nel mettere in relazione il conseguente con un possibile antecedente. Il lavoro
dell‟immaginazione viene potenziato, perché l‟unità realizzata dall‟immaginazione che
opera ad un livello più originario, viene ottimizzata dall‟abduzione, la quale opera
all‟interno di una dimensione possibile, grazie alla scoperta del nesso conseguente–
antecedente. L‟implicazione espressa dall‟abduzione è un‟unità superiore, perché se vera,
diverrà scientifica, ma rimane debitrice nei confronti dell‟operazione attuata
dall‟immaginazione, che rimane primaria.
La doppiezza dell‟abduzione ovvero il carattere figurativo e il carattere inferenziale
diventano espressione della relazione profonda tra ragione e immaginazione, poiché le
inferenze necessitano di figure, e, più di ogni altra, l‟abduzione, poiché essa non ha nulla
alle sue spalle, diversamente dalla deduzione e dall‟induzione che rispettivamente
costituiscono il suo sviluppo e la sua verifica. In questo senso segno e ragionamento si
corrispondono, poiché entrambi necessitano dell‟opera dell‟immaginazione, entrambi
devono partire da una “materia figurata” per decifrarne la sua relazione intrinseca: sul piano
logico tale relazione può ascriversi all‟abduttivo, al deduttivo e all‟induttivo. Segno e
ragionamento si costituiscono a partire da un processo, in virtù del quale si assiste
all‟insediamento della ragione in uno spazio già occupato dai frutti dell‟immaginazione.
L‟immagine è segno di una relazione inferenziale e quindi in questo senso non può avere
una base intuizionistica, perché il suo valore non sta in ciò che essa è in se stessa, ma nelle
relazioni che essa lascia intravedere, per le relazioni che anticipa e a cui allude, che in
105
questo caso costituiranno la base d‟appoggio per l‟abduzione, la quale su quella relazione,
già offerta dall‟immagine, costruisce l‟implicazione inferenziale, che è a sua volta un rinvio
alle relazioni cui rimanda il prodotto dell‟immaginazione. Cosi come l‟immaginazione non
lavora su dati ultimi ma sempre su relazioni, allo stesso modo la ragione provvede a
formalizzare relazioni sempre più rigorose, sulla base di relazioni primarie. Ma qual è la
relazione primaria espressa dall‟immaginazione? Quella che per antonomasia gioca
d‟azzardo, assumendosi tutti i rischi, nel momento in cui esprime l‟equivalenza di qualcosa
rispetto a qualcos‟altro è la relazione espressa dall‟icona.
Ma se in Kant nella conoscenza filosofica il lavoro dell‟immaginazione rimane separato da
quello logico, ad eccezione di quello matematico, in Peirce l‟operato dell‟immaginazione e
quello della ragione s‟intrecciano, diventano complementari, perché da una parte
l‟abduzione sembra dover osservare qualcosa per trovare il possibile antecedente del
conseguente osservato, ma dall‟altra l‟unità fornita dall‟icona risulta intelligibile in termini
abduttivi. L‟icona infatti, se non deve essere intesa come una riproduzione di qualcosa, è
spiegabile se la si intende come la rappresentazione ipotetica di uno stato di cose. Se non
fosse così, l‟icona perderebbe la sua forza esplicativa e fondativa nei confronti del reale.
Se l‟analisi fin qui condotta è corretta, la doppiezza dell‟abduzione è strutturale, non è
affatto espressione di una debolezza del pensiero peirceano, al contrario l‟abduzione diventa
espressione degli aspetti originali del pensiero peirceano, poiché l‟abduzione condensa
l‟intima unione di semiotica e logica, mostrando come il fondo dell‟abduzione sia iconico, e
come d‟altra parte l‟intelligibilità dell‟icona sia di natura abduttiva.
E allora indipendentemente dalle oscillazioni dell‟autore in merito all‟identificazione
dell‟abduzione, sicuramente, così come affermano diversi studiosi, il rapporto tra abduzione
e icona non è mai stato smentito. E proprio su questo rapporto sarà opportuno ritornare per
porre in evidenza che la natura dell‟abduzione è comprensibile se si tengono presenti i suoi
rapporti con l‟inteleiatura dell‟intero sistema peirceano.
3) L’icona nel ragionamento matematico
La corrispondenza tra segno e ragionamento non vale soltanto per il piano strettamente
logico ma anche per il ragionamento matematico, quest‟ultimo, infatti, concepito come il
regno della possibilità, si avvale delle icone, perché esse proiettano fasci di luce sulle cose
rivelandone aspetti inediti.
Peirce insiste sulla necessità di valutare lo spazio matematico come quello privilegiato,
poiché la struttura delle cose si lascia scoprire proprio all‟interno della forma matematica.
La forma matematica riesce a dar conto soltanto della somiglianza o diversità che sono
intrinseche alla cosa stessa, senza riferimento alcuno all‟esistenza effettiva della cosa stessa.
La specifica capacità da parte della matematica di formalizzare le somiglianze e le diversità
delle cose, che si traducono in equivalenze, analogie, relazioni in generale, è interamente
dovuta all‟uso di ipotesi che sono il frutto prezioso dell‟immaginazione, le quali proprio per
questo sono libere da qualsiasi vincolo imposto dal dato empirico. L‟icona è quel tratto
materiale in cui consiste l‟oggettivazione dell‟ipotesi e in questi termini nello spazio
106
matematico puramente possibile l‟icona può usufruire della massima libertà per
sperimentare i possibili oggetti164
.
Nel pensiero peirceano la convinzione che nel discorso matematico sia riscontrabile la
presenza di icone è attestabile da passaggi chiari come questi: “anche il ragionamento matematico si fonda principalmente sull‟uso di somiglianze, che sono i veri
e propri cardini su cui ruotano i cancelli di tale scienza. L‟utilità delle somiglianze per i matematici
consiste nel suggerire in modo molto preciso nuovi aspetti di supposti stati di cose. Supponiamo a
esempio di avere una linea curva molto tortuosa, con continui punti dove la curvatura muta
direzione, andando da un senso orario a uno antiorario e viceversa, come nella fig.1.
Supponiamo poi che questa curva sia continua, tanto da attraversare se stessa in ogni punto dove la
curvatura cambia direzione in un altro punto simile. Il risultato appare nella fig. 2.
Può essere descritto come un certo numero di ovali che tendono a appiattirsi, come se fossero sotto
pressione. Senza le figure non si potrebbe avere la sensazione che la prima e la seconda descrizione
sono equivalenti”165
.
A conclusione del testo Peirce in modo nitido afferma la radicalità della pratica iconica: “Chi ragiona costruisce una sorta di diagramma mentale dal quale vede che, se la premessa è quella,
la sua conclusione alternativa deve essere vera; il diagramma è perciò un‟icona o una somiglianza.
Il resto sono simboli e la complessità del ragionamento può essere considerata come un simbolo
mitigato: non è una cosa morta, ma conduce il pensiero da un punto all‟altro”166
.
Se in questi passaggi è apprezzabile la semplicità con cui Peirce mostra l‟impianto del suo
sistema, che assesta la sua base sull‟idea centrale che l‟icona sia necessaria per potere
ragionare, in altri passaggi è possibile comprendere il modo in cui e in che senso la
matematica può qualificarsi una scienza osservativa in cui sia possibile contemplare
qualcosa, come potrebbe essere la costruzione visiva di qualcosa.
Queste proposizioni, apparentemente semplici, circa la natura iconica del ragionamento
matematico chiamano in causa sequenze epocali della storia della filosofia che
164
A proposito del valore creativo dell‟ipotesi nel ragionamento matematico utile l‟analisi dell‟ipotesi in matematica di
Daniels Campos. Cfr. Peirce on the Role of Poietic Creation in Mathematical Reasoning «T.C.P.S.»Vol.43, no.3 2007,
pp.470-489. 165
Peirce, L‟arte del ragionamento – Che cos‟è un segno, cit., pp. 57-58. 166
Ivi, p. 66.
107
inevitabilmente si intrecciano con la storia dei diversi modi di concepire il ragionamento
matematico.
Senza volere entrare nei meandri di un discorso che valicherebbe gli interessi specifici del
presente discorso, è opportuno richiamare le idee fondamentali della filosofia matematica
che Peirce matura proprio negli anni novanta e mette a frutto in modo organico e coerente
con tutta l‟impalcatura del suo pensiero. Infatti il ruolo della facoltà dell‟immaginazione
all‟interno del ragionamento matematico potrà fare luce in modo più diretto sull‟idea che
l‟icona possa intendersi come spazio di intersezione tra gli universi semiotico, logico e
matematico.
Peirce nel Ms. 431 (1902) esordisce con l‟intenzione di tematizzare l‟essenza della
matematica e così partendo dalla definizione che già era stata fornita dal padre, secondo il
quale la matematica era una scienza che trae deduzioni necessarie, argomenta al fine di
demolire l‟idea che la matematica sia la scienza della quantità167
. Secondo l‟autore, già a
partire da Euclide, la matematica non è intesa come la scienza della misura e sia Aristotele
che Platone sviluppano l‟idea che la matematica sia fondata sul continuo e sull‟astrazione.
Infatti la convinzione, già consolidatasi, a partire da Platone, che la matematica non si
riferisce ad uno stato reale di cose ma ad uno stadio ideale di cose costituisce il punto
fondamentale della questione, poiché, argomenta Peirce, nonostante possa apparire
paradossale, è proprio il carattere ipotetico della conoscenza matematica a garantire la
necessità delle deduzioni del suo ragionamento. E infatti la fatica di Peirce è quella di
comprendere come questa apparente contraddizione trovi un‟organica e coerente risoluzione
ed esprima l‟essenza della matematica. Infatti Peirce afferma: “[….] to assert that any
source of information that is restricted to actual facts could affar us a necessary knowledge,
that is, knowledge relating to a whole general range of possibility, would be a flat
contradiction in terms”168
. Sebbene questo tipo di argomentazione conduca Peirce a
prendere le distanze da Kant, riguardo all‟idea che la conoscenza matematica possa
garantire una conoscenza vera, oltre che necessaria, è da tenere presente che l‟affermazione
peirceana mostra l‟assimilazione della lezione kantiana, poichè è proprio Kant a sostenere
che l‟esperienza non ci garantisce la conoscenza necessaria. Ciò sottolinea il fatto che la
concezione della matematica peirceana non implica un rigetto dell‟impostazione del
pensiero kantiano, semmai Peirce proprio sulle orme di Kant va oltre Kant e scopre un
nuovo modo di concepire il ragionamento matematico
Al contrario proprio la capacità da parte della matematica di immaginare, di produrre
ipotesi, crea le condizioni per l‟astrazione e la generalizzazione, che sono gli ingredienti
necessari del ragionamento apodittico e soprattutto le condizioni per produrre contenuti
inediti, sintetici. Bisogna immaginare schemi definiti, diagrammi conformi alle tesi poste
nel teorema. Ma che significa immaginare nel ragionamento matematico? Significa
167
Nei manoscritti 16 e 17 del 1896, Peirce già si sofferma sulle definizioni di matematica , che si sono avvicendate da
Aristotele sino a Benjamin Peirce. Peirce, infatti, rinvia alla definizione fornita da Aristotele, limitandosi a sostenere
che quest‟ultima coincide essenzialmente con la sua prospettiva. Passa ad esaminare la seconda definizione che
attribuisce alle scuole romane, secondo le quali si concepisce la matematica come scienza dei quanta, prosegue con la
terza definizione, che viene identificata con quella relativa al periodo rinascimentale, e che vede la matematica come
studio dell‟applicazione delle quantità. Infine analizza la quarta, sostenuta da De Morgan, Rowan Hamilton, che
individua nello spazio e nel tempo gli oggetti della matematica e la quinta definizione, quella fornita dal padre, che
identifica la matematica con la scienza che trae conclusioni necessarie. Nei riguardi di quest‟ultima definizione Peirce
esprime la sua piena condivisione, e allo stesso tempo pone in evidenza il suo punto di vista, che consiste
essenzialmente nella valorizzazione delle ipotesi all‟interno dell‟iter dimostrativo matematico. Cfr. Peirce,
Pragmatismo e Grafi esistenziali, a cura di S.Marietti, Milano, Jaca Book, 2003. 168
Ms. 431, p. 7.
108
oggettivare un‟ipotesi, ma in matematica il valore dei ragionamenti è misurato dal loro
carattere di necessità, dal rigore dimostrativo con cui si perviene alla conclusione. Peirce
afferma che qualora ci limitassimo a prendere le mosse da una proposizione necessaria l‟iter
che ne scaturirebbe sarebbe esclusivamente analitico, e quindi non innovativo. Il problema
nasce dal fatto che la matematica, pur partendo da ipotesi, produce conoscenze necessarie,
che sebbene non vere, perché la matematica non denota il reale ma lo immagina per capire
le sue possibilità logiche, si qualificano come espressioni del ragionamento matematico per
eccellenza.
Insomma per Peirce proprio l‟assunzione delle ipotesi garantisce la compresenza di due
elementi fondamentali per il ragionamento: la necessità e la novità. Infatti quando si assume
un‟ipotesi e la si oggettiva il compito non si conclude qui, se si concludesse o perlomeno ci
si limitasse a svolgere analiticamente l‟ipotesi assunta, ci si ritroverebbe in una situazione
analoga a quella del procedimento analitico, nel senso che quest‟ultimo costringerebbe ad
una traiettoria obbligata che non aggiunge nulla di nuovo poiché si limiterebbe ad
esplicitare ciò che è già presente nelle premesse. Al contrario la scientificità dell‟ipotesi è
garantita dal fatto che, dopo averla assunta, è necessario osservare e sperimentare su di essa.
Diventa fondamentale intraprendere alcune direzioni, scegliere tra alcune possibilità per
sviluppare le conseguenze dell‟ipotesi assunta: ma queste possibilità che si prospettano non
sono predeterminate dalla tesi, come potrebbe avvenire in un ragionamento di tipo analitico,
ma allo stesso tempo non sono frutto di una scelta arbitraria, nel senso che queste possibilità
vengono intraviste soltanto dopo avere costruito il diagramma, prima non vi è traccia di
esse, poiché esse appaiano quando impariamo ad osservare e a sperimentare sul diagramma
realizzato.
In questo procedimento tipico del ragionamento matematico, cogliamo una riserva
dell‟energia razionale che è dovuta alla ricchezza dell‟immaginazione, la quale non si
esaurisce nelle sue oggettivazioni, al contrario le trascende sempre proprio a partire da esse.
Sebbene il percorso non sia predeterminato, quando si intraprende una delle possibilità, lo
sviluppo di queste coinciderà con la fase deduttiva del ragionamento. È qui in questo punto
che la necessità sembra scaturire dalla possibilità ed è qui che si radicano le condizioni della
scoperta. Ma proprio in questo punto la necessità e la scoperta diventano fruibili, trasparenti,
perché osservabili e sperimentabili, cioè la necessità non è contratta all‟interno di una tesi in
attesa di essere dispiegata, e la novità non è frutto di un atto intuitivo piuttosto è frutto di
una costruzione, in cui i possibili percorsi si delineano all‟interno della costruzione e non al
di fuori di essa.
Per comprendere il carattere radicale della costruzione delle immagini e della loro valenza
autotrasformativa è opportuno dare uno sguardo a ciò che Peirce afferma in alcuni scritti
non appartenenti alla riflessione matematica: “The of the poet or novelist is not so utterly different from that of the scientific man. The artist
introduces a fiction; but it is not an arbitrary one; it exhibits affinities to which the mind accords a
certain approval in pronouncing them beautifull, which if is not exactly the same as saying that the
synthesis is true, is somethings of the same general kind. The geometer draws diagram, which if not
exactly a fiction, is at least a creation, and by means of observation of that diagram he is able to
synthetize and show relations between elements which before seemed to have no necessary
connection. The realist compel us to put some things into very close relation and others less so, in a
highly complicated, and to the sense itself unintelligible, manner; but it is the genius of the mind,
that takes up all these hints of sens, adds immensely to them, makes them precise, and shows them
in intelligible form in the intuitions of space and time. Intuition is the regarding of the abstract in a
109
concrete form, by the realistic hypostatization of relations; that is the one sole method of valuable
thought”169
.
Qui tra l‟arte e la matematica sembra che veramente ci sia profonda assonanza, poiché,
libere dalle relazioni del mondo esistente, l‟obiettivo non è quello di sovrapporre
convenzionalmente la propria idea a quella del mondo esistente o trovare quella
corrispondente, ma è quello di cercare la verità.
Come dice in modo efficace V. Colapietro: “Uno dei ruoli dei processi di costruzione dell‟immagine e delle pratiche di immaginazione è di
sconvolgere le frontiere dell‟effettivo, anche per interrogare la tirannia spesso non riconosciuta di
ideali apparentemente ammirevoli. In particolare, l‟ideale di essere padroni dei nostri significati ha
bisogno di essere interrogato in riferimento al significato della nostra insistenza su una tale
padronanza” 170
.
Riguardo al ruolo dell‟immaginazione scientifica operante all‟interno del sapere
matematico, Peirce scrive: “Thinking in general times is over enough. It is necessary that
something should be done .In geometry subsidiary lines are drawn. In algebra permissible
transformations are made.Thereupon faculty of observation is called into play. Some
relation between the parts of the schema is remarked. But would this relation subsist in
every possible case”171
.
Peirce risponde dicendo che sicuramente il ragionamento corollariale ovvero il
ragionamento analitico possiede percorsi obbligati, mentre il ragionamento teorematico è un
ragionamento, il cui rigore è frutto della sperimentazione sugli schemi costruiti, in cui i
percorsi si scelgono ma non in forza dell‟arbitrio del matematico ma in virtù di ciò che
risulta leggibile nel testo rappresentato dalla costruzione geometrica o algebrica.
Si interroga il testo diagrammatico perché esso possa liberare le sue possibili connessioni,
affinché possa lasciare emergere la sua intensità e la sua capacità di far intravedere verità,
principi universali: tale è lo stadio in cui le verità si contemplano. E proprio in questa
contemplazione si rivela una profonda corrispondenza tra icona e ragionamento matematico,
già sintetizzata in modo efficace in On the Algebra of Logic: A Contribution to the
Philosophy of Notation: “Chiamo un segno, che sta per un oggetto semplicemente in virtù della sua somiglianza con esso,
icona. Le icone pertanto si sostituiscono completamente ai loro oggetti ed è perciò difficile
distinguerle da essi. Di questo tipo sono i diagrammi della geometria. Un diagramma, in effetti,
nella misura in cui ha un significato generale, non è una pura icona; nel corso di un ragionamento
però noi assai spesso non ci atteniamo a quel livello di astrattezza, e il diagramma diventa per noi la
cosa reale. Così nel contemplare un dipinto vi è un momento in cui noi perdiamo la coscienza del
fatto che esso non è la cosa che rappresenta; la distinzione tra l‟originale e la copia allora scompare;
169
W6:187. Riguardo al confronto tra l‟immaginazione scientifica e quella artistica, Anderson, pur sottolineando le
affinità tra le due attività, pone in evidenza come l‟arte assolutizza il potere creativo dell‟immaginazione: “A work of
art creates its own referent […] Scientific hypotheses can be original but their corresponding reality is not new;
gravitational force, as we suggested earlier, did not begin with Newton according to Peirce. In art, however, not only is
the idea original for us,but it is novel for the world of existence as well. The only place a work of art could not be
original is in the Platonic world of pure firsts [...] An artist does not look truth as correspondence but for truth as self-
adequacy Peirce follows Kant on this point: „Truth is conformity of a representation to its object‟(1.578). Since a work
of art has only its own created referent as an object, it can only be true to itself”. D. Anderson, op, cit, pp. 76-79. 170
V. Colapietro, Processi di costruzione dell‟immagine e di immaginazione:verso una chiarificazione pragmatica
dell‟immagine, in working papers presented at the conference “Peirce and image”, Urbino,C.I.S.EL.,17-18-19 July,
2006. p. 36. 171
Peirce, Ms. 431., p. 11.
110
in quel momento ci troviamo in uno stato di puro sogno –non abbiamo di fronte alcuna esistenza
particolare-e però nemmeno una generale, in quel momento stiamo contemplando una icona”172
.
Qui il punto chiave è che Peirce ci sollecita a compiere un‟operazione di speleologia
all‟interno dell‟immagine, poiché è come se essa avesse tanti strati ancora da scoprire, da
svelare, e quindi l‟atto di contemplazione, di interrogazione che da esso ne deriva serve a
tirare fuori tale riserva. Non è possibile capire il carattere fondamentale dell‟icona in ogni
processo conoscitivo, se non ci affranchiamo dall‟idea che l‟immagine costituisca una
dimensione statica.
Tornano efficaci le parole di V. Colapietro, il quale, sulla scorta di Esposito, afferma:
“un‟ontologia di forme pre-fissate deve essere soppiantata da un‟ontologia di forme
storicamente evolute e in evoluzione”173
. E sulla base di questo principio pur, con inevitabili
differenze, l‟artista e il matematico testimoniano questa libertà e fecondità dell‟immagine:
l‟immagine è, infatti, libera dal confronto con l‟esistente e al tempo stesso feconda perché
sarà capace di generare qualcosa, indipendentemente dal costruttore, sia nel caso del
matematico sia nel caso dell‟artista. Infatti ancora Colapietro, sulla base del lavoro
dell‟artista e teorica Barbara Bolt, spende parole in favore della centralità dell‟immagine
all‟interno dell‟epistemologia peirceana: “L‟arte esegue il suo compito esplorando in modi inevitabilmente non convenzionali, possibilità di
costruzione dell‟immagine, essendo questa esplorazione un‟interrogazione inesausta delle
possibilità inerenti la materialità, le tradizioni, e i gesti, i movimenti e le immaginazioni degli artisti
[...] L‟opera d‟arte è, in altre parole, una congerie di funzioni, nella quale il coinvolgimento
dinamico e materiale dell‟artista, mezzo e oggetto, è preso in carico e portato avanti in processi
unicamente configurati in qualità sensoriali, anch‟esse unicamente istanziate in un presente
obsistente, dinamicamente intelligibile nei modelli del rispondere, dell‟interpretazione e
dell‟ispirazione che sono inerenti alla sua bruta materialità”174
.
L‟immaginazione anche nel ragionamento matematico diventa fondamentale, essa produce
le ipotesi e la prova del suo carattere primario sta nel fatto che all‟interno delle ipotesi date è
possibile scoprire nuove connessioni, talora imprevedibili, infatti l‟oggettivazione delle
ipotesi non esaurisce la potenzialità di significare dell‟immaginazione. Ma la riserva
dell‟immaginazione è fruibile soltanto all‟interno dell‟oggettivazione dell‟ipotesi. Cosa vuol
dire questo? Intanto si deve produrre l‟ipotesi in forza dell‟immaginazione, una volta
prodotta quest‟ultima non soltanto diventa più comprensibile, ma ciò che è più importante
diventa il foro attraverso cui si può guardare oltre, nel senso che essa si sporge verso altro.
Questa sporgenza costituisce la valenza iconica dell‟ipotesi e conferisce al ragionamento
matematico totale indipendenza, dal momento che esso stesso diventa facitore di realtà. Il
sapere matematico assume una posizione privilegiata all‟interno dell‟opera peirceana
proprio perché in ambito strettamente scientifico sfrutta pienamente la capacità creativa
dell‟immaginazione.
Dunque per far procedere l‟iter deduttivo è necessario immaginare e ipotizzare, e infatti il
ragionamento teorematico costituisce un luogo rappresentativo del modo in cui la deduzione
si costituisce a partire dall‟immaginazione e dalle sue produzioni ipotetiche. Nell‟ambito di
alcuni manoscritti, contenuti ne The New Elements of Mathematics by Charles S.Peirce si
rintracciano alcuni passaggi fondamentali per seguire i momenti del procedimento
172
Peirce, Sull‟Algebra della Logica: Un Contributo alla Filosofia della Notazione, cit., p. 887. 173
V. Colapietro, op. cit, p. 29. 174
Ivi., p. 35.
111
matematico. A conclusione del manoscritto 616, così come viene riportato ne The New
Elements of Mathematics by Charles S.Peirce, Peirce sostiene la necessità di trasformare in
linguaggio diagrammatico la tesi da dimostrare, precisando che il diagramma viene inteso
come un elemento concreto e dinamico, poiché costituisce il testo di sperimentazione del
matematico e proprio perché concreto esso non esaurisce la ricchezza dell‟immaginazione,
la quale rimane l‟atto fondamentale. Ora tale ricchezza si spende all‟interno del
procedimento matematico con la manipolazione dei diagrammi e l‟integrazione di questi
ultimi con i concetti generati a partire dalla tesi. Il diagramma è concreto, ma grazie alla
fecondità dell‟immaginazione sarà trasformato a che il modello costruito possa veicolare
l‟iter dimostrativo. Così come lo scienziato per integrare il singolo caso con la teoria, deve
sperimentare sul singolo fenomeno, per comprendere se in esso è leggibile una sintesi dei
principi dei quali esso è una manifestazione, allo stesso modo il matematico deve rendere
progressivamente compatibile il singolo diagramma con il carattere generale delle
proposizioni che intende dimostrare. E quindi le trasformazioni saranno continue e nuove,
finché si riuscirà a colmare il vuoto tra le premesse e la conclusione, apportando degli
elementi supplementari, estranei alla tesi, ma indispensabili, affinché possano nascere quelle
nuove relazioni, in grado di portare avanti il procedimento dimostrativo. Infatti Peirce
afferma: “[…] the mathematician proceeded to experiment upon his diagram, especially by making additions
to it, in a way not unlike the way in which a chemist might experiment upon a specimen of ore that
might be brought to him for examination, especially by adding this or that reagent to it”175
.
È proprio nelle modifiche apportate al diagramma che il possibile diventa necessario, nel
senso che le vie intraprese per costruire il diagramma sono infinite, ma una volta fatta la
scelta di intraprendere un percorso piuttosto che un altro -scelta operata dal matematico non
in base ad un puro arbitrio ma in virtù delle stesse emergenze del testo diagrammatico -le
connessioni che verranno fuori si configureranno come necessarie, poiché queste ultime non
derivano dal mondo empirico ma da un mondo immaginario, in cui, precisa Peirce, se non
sono stati effettuati errori, le connessioni scoperte rimarranno immutate. “The mathematics begins when the equations or other purely ideal conditions are given. „Applied
Mathematics‟ is simply the study of an idea which has been constructed so as to be more or less like
nature. Geometry is an example of such applied mathematics; altrough the mathematician often
makes use of space imagination to form icons of relations which have no particular connection with
space”176
.
La matematica, comunque, ritrae un mondo ideale e non bisogna confondere, avverte
Peirce, la base materiale della dimostrazione matematica con l‟idea che la matematica
descriva le relazioni del reale, ad esempio, afferma Peirce: “all a mathematician‟s diagrams are visually imagined, and involve space. But spaces is a matter of
real experience; and when it is said that a straight line is the shortest distance between two points,
this cannot be resolved into e merely formal phrase, like 2 and 3 are 5. A straight line is a line that
viewed endwise appears as a point, while length involves the sense of mascular action. Thus the
connection of two experience is asserted in the proposition that the straight line is the shortest. But 2
and 3 are 5 is true of an idea only, and of real things so far as that idea is applicable to them. It is
nothing but a form, and asserts no relation between outward experience” 177
.
La base materiale della matematica non ha nulla a che fare con lo spazio, poiché ciò che
costituisce la base di appoggio su cui il matematico opera sono le astrazioni, infatti ad
175
Nem 4, p. 221. 176
Ivi, p. xv. 177
Ibidem.
112
esempio una particella, mediante astrazione viene concepita come qualcosa che occupa un
punto, a sua volta il movimento della particella viene sostanzializzato mediante astrazione e
concepito come linea, quest‟ultima viene rappresentata come una realtà in movimento e
capace di formare una superficie, e ciò costituirà una nuova astrazione, che innescherà
nuove astrazioni178
.
Tale procedimento astrattivo di cui si avvale il ragionamento matematico diventa
fondamentale per capire che risulta dinamico il rapporto tra necessità e possibilità nel senso
che così come l‟ontologia cui mette capo la matematica è senza sostrato, cioè non riflette le
strutture della realtà, allo stesso modo le ipotesi che il matematico elabora su questa
ontologia sono le uniche che, sebbene assolutamente libere e fragili, sono in grado di
istituire quel sostrato che la deduzione svilupperà per arrivare alla conclusione, e quindi alla
dimostrazione della tesi.
Ritornando alla distinzione tra ragionamento teorematico e corollariale, Peirce pone in
evidenza come questi due ragionamenti in realtà siano distinti, e come allo stesso tempo, ad
un certo stadio dell‟iter dimostrativo, il primo possa assumere la forma del secondo: dopo
avere costruito il diagramma e apportato, mediante ipotesi, modifiche alla costruzione
originaria, e dedotto determinate conclusioni, è possibile, sulla costruzione realizzata,
sperimentare successivamente per dedurre ulteriori conclusioni e così, diversamente dalla
logica ordinaria, è possibile, a partire dalle stesse premesse, dedurre ulteriori conclusioni, e
ripetere manipolazioni diverse al fine di trarre tutte le possibili deduzioni. Quando si
perviene alla fase in cui il ragionamento teorematico è stato pienamente sviluppato e non è
possibile trarre altre inferenze significative si arresta la potenzialità del processo
dimostrativo, le conseguenze di quest‟ultimo diventano definitive, e allora la natura del
ragionamento teorematico diventa assimilabile a quella del ragionamento corollariale.
Questo è un punto molto importante perché si coglie una profonda osmosi tra possibilità e
necessità: la scelta tra le ipotesi e le loro oggettivazioni mediante la costruzione di linee
ausiliarie, come accade all‟interno di un diagramma geometrico, dà inizio al procedimento
deduttivo, consentendo l‟insediamento della necessità, ma a sua volta questa è suscettibile di
nuove sperimentazioni, di nuove possibilità e allora in questi termini, afferma Peirce, “it
thus seemed as if there could be but one real set of circumstances from which the necessity
of any theorem flows; and that there ought to be a direct corollarial manner of deducing it
from those circumstances”179
.
Nel ragionamento teorematico è necessario introdurre ipotesi nuove e diagrammatizzarle per
comprendere le eventuali relazioni che da esse scaturiscono. Nel caso di una dimostrazione
di un teorema geometrico il ragionamento matematico mostra che le premesse sono
assolutamente dinamiche, nel senso che la loro definitività è frutto di un processo e che le
loro conseguenze sono estrapolabili o incrementabili, a seconda del metodo corollariale o
teorematico. Sia nel caso del percorso dimostrativo del ragionamento corollariale che in
quello teorematico si realizza un‟esposizione diagrammatica, la differenza sta nel fatto che
nel ragionamento corollariale l‟esposizione mira a rendere più evidenti tutte le relazioni che
possono venir fuori dalle premesse della tesi che si intende dimostrare. E l‟esposizione sarà
tanto più ricca quanto più sarà adeguato l‟uso degli strumenti della logica dei relativi. Infatti
la logica dei relativi rende disponibili una gamma più ampia di relazioni rispetto alla logica
178
Cfr., Ivi, p. 11. 179
Ivi, p.8. Cfr. CP 3.641; 5.517; 5.162; 5.575; 5.567; 6.471; 6.472; 6.473; 2.267.
113
ordinaria, poiché mentre in quest‟ultima è possibile trarre soltanto una conclusione da una
premessa, nella logica dei relativi è possibile trarre tante conclusioni dalla stessa premessa.
Ora se già nel ragionamento corollariale le parecchie relazioni deducibili dalle premesse
possono provare il fatto che il ragionamento necessario non è così rigido o così meccanico,
come certa tradizione lo etichetta, in ogni caso sono le premesse a guidare il percorso
dimostrativo, nel senso che le conseguenze tratte sono tutte deducibili dalle premesse, nel
caso del ragionamento teorematico è necessario introdurre nuove idee, bisogna realizzare
costruzioni ausiliarie che provvedano ad integrare le premesse iniziali e a realizzare i
passaggi necessari, affinché sia possibile, a partire dalla tesi, raggiungere la conclusione. Le
costruzioni ausiliarie scompariranno dalla dimostrazione ma la loro traccia rimane nelle
nuove premesse da cui scaturirà il resto della dimostrazione. In questo senso l‟atto
prettamente creativo si realizza nel ragionamento teorematico, perché soltanto le premesse
della tesi non sono sufficienti a realizzare il percorso dimostrativo, è necessario escogitare
qualcosa di nuovo, elaborare un‟idea completamente inedita rispetto al corpo delle
premesse, o reperire nessi inediti con altre premesse appartenenti ad altri teoremi, come
accade nel caso della geometria euclidea.
Ora il ragionamento corollariale risulta distinto dal ragionamento teorematico, poiché
nell‟uno risulta centrale l‟osservazione del diagramma, nell‟altro la sua manipolazione. Nel
ragionamento corollariale l‟osservazione del diagramma è bastevole per estrapolare tutte le
relazioni possibili, che non sarebbero chiare contemplando soltanto le premesse. Infatti
anche nel ragionamento corollariale è necessario esternare il pensiero, osservare il pensiero
esternato, per scoprire tutte le sue diramazioni e comprendere in esse i passaggi che ci
conducono alle conclusioni. Infatti afferma Peirce: “A Corollarial Deduction is one which
represent the conditions of the conclusions in a diagram and finds from the observation of
this diagram, as it is, the truth of the conclusion”180
.
Invece nella struttura del ragionamento teorematico è necessario costruire impalcature
ipotetico- iconiche non soltanto per osservare, ma per introdurre idee nuove indispensabili
al raggiungimento della conclusione, e che quindi non sono reperibili all‟interno delle
premesse. E allora la pratica, il calcolo, le prove sulle quali lavora il matematico e attraverso
le quali costruisce gli “schemi dell‟immaginazione” non sono semplicemente euristici ma in
realtà essi diventano parte integrante del processo dimostrativo, poiché, senza queste prove
l‟iter deduttivo non potrebbe conquistare la conclusione. Infatti, come dice Hookway: “[…]
all a priori reasoning, all of the thinking that we do on paper or in our heads, counts as part
of mathematics” 181
.
Al di là della distinzione tra i due tipi di ragionamento, più che mai, secondo Peirce il
ragionamento matematico svela la vera natura del ragionamento, in quanto sia nelle sue
espressioni puramente corollarie che teorematiche è imprescindibile un atto di costruzione,
in cui occorrono l‟entità immaginata, figurata e l‟inferenza elaborata dal pensiero. Nel
ragionamento matematico forse risulta anche più evidente l‟imprescindibilità dell‟immagine,
poiché se il segno matematico, anche nella sua versione corollariale, si limitasse a copiare
l‟inferenza, perderebbe il suo significato.
Il bisogno della costruzione scaturisce dalla stessa ragione, è per questo che la costruzione
assume valore scientifico: l‟atto costruttivo mostra alla ragione quelle relazioni, soprattutto
quando sono molte complesse, come è proprio delle dimostrazioni matematiche, che essa
180
CP 2.267. 181
C. Hookway, Peirce, London, Routledge & Kegan Paul, 1985, p.182.
114
stessa stenterebbe a riconoscere se non le si mostrassero. In questi termini l‟osservabilità
del diagramma diventa necessaria, il diagramma non è un mero promemoria della ragione,
esso rivendica alla conoscenza un peso ben più importante, perché contribuisce a rendere
più evidenti le relazioni che in esso sono contenute e anche nel caso del ragionamento
corollariale il generale deve individualizzarsi perché possa emergere tutta la ricchezza delle
sue implicazioni.
Peirce rileva la necessità di realizzare scansioni, costruendo figure e diagrammi al cui
interno si possono leggere le occorrenze del generale. Insomma per cogliere il generale è
necessario oggettivarlo, individualizzarlo, la segmentazione del generale non è neutra, non è
indifferente ai fini della sua intelligibilità: così come il simbolo è il risultato di un processo
che affonda le sue radici nel tratto iconico, allo stesso modo nel ragionamento corollariale si
instaura una vera e propria continuità tra immagine e pensiero. Così anche il reale è
continuo, la sua pregnanza non si apprezza nel particolare isolato bensì nell‟evoluzione, mai
arrestabile, dei suoi significati.
Ma se si tengono presenti queste leve di comando del pensiero peirceano, la distinzione tra
ragionamento analitico e sintetico, come già è stato accennato, non risulta così rigida,
poiché vengono a cadere due „superstizioni‟ che consistono essenzialmente nell‟idea che nel
giudizio analitico il predicato si limiti ad esplicare quanto è contenuto nel soggetto e che a
regolare il principio del giudizio analitico sia soltanto il principio di contraddizione. Sia la
prima che la seconda sono messe in discussione dal formidabile strumento della logica dei
relativi e rafforzate dalla tematizzazione del ragionamento matematico, poiché se è vero che
il generale deve individualizzarsi per autocomprendersi, il momento costruttivo diventa
anche importante nel ragionamento corollariale, tanto più se si considera che per
comprendere le relazioni complesse di cui è capace la logica dei relativi non è bastevole la
relazione soggetto-predicato, governata dal principio di contraddizione, poiché l‟unità di
riferimento della logica dei relativi non è la classe bensì la nozione di sistema in cui le
relazioni non sono univoche, unidirezionali ma reciproche e pluridizionali.
La differenza tra conoscenza analitica e sintetica nella prospettiva di Peirce non è legata alla
presenza o meno della fase costruttiva, semmai al modo in cui viene realizzata la
costruzione. In ogni caso sia nella prima che nella seconda l‟atto conoscitivo è riconducibile
a relazioni di similarità, di equivalenza, il discrimine sta nel fatto che nella conoscenza
analitica la figura è costruita facendo uso delle implicazioni, di cui si dispone già a partire
dalle premesse, nella conoscenza sintetica la costruzione è realizzata con l‟introduzione di
nuove idee. Ma questa stessa differenza si relativizza, poiché in effetti ciò che conta è la
capacità di trovare similarità, equivalenze e queste risultano più o meno limitate, a seconda
che ci si riferisca al giudizio analitico o sintetico. Ciò che veramente risulta importante è che
la matematica non sia una scienza di oggetti esistenti bensì di oggetti generali. Questo è il
punto fondamentale perché, se come sostiene Peirce, il generale si rende disponibile sempre
in una dimensione continua sia essa predicativa o percettiva, e la nostra capacità conoscitiva
si esercita nella decisione di significare, creando elementi di discontinuità ovvero decidendo
l‟appartenenza di un elemento ad una classe di concetti o predicati, diventa chiaro che tale
pratica si può realizzare su oggetti generali e non sull‟esistente. E proprio nella Matematica
il continuum si realizza assolutamente perché l‟oggetto matematico non è vincolato al
mondo dei fenomeni, il suo referente è uno „stato ideale di cose‟. Ora sia la conoscenza
analitica che quella sintetica in questo possibile „porto franco‟ possono realizzare atti di
autentica conoscenza, sperimentando sugli oggetti generali e scoprendo relazioni di identità,
115
similarità, equivalenza182
. Quindi sia la conoscenza analitica che quella sintetica
condividono lo stesso oggetto, ciò che li differenzia è l‟assoluta libertà di sperimentazione
che si realizza nel sintetico, poiché nel corso dell‟iter dimostrativo del ragionamento
teorematico si introducono oggetti ideali non contemplati nelle premesse della
dimostrazione183
.
In A Guess At the Riddle Peirce afferma: “the highest kind synthesis is what the mind is compelled to make neither by the invar attractions of
the feelings or representention themselves, nor by a transcendental force of necessity, but in the
interest of intelligibility that is, in the interest of the synthesizing „I think‟ itself; and this it does by
introducing an idea not contained in the data, which gives connections which they would not
otherwise have had”184
.
In questi termini il ragionamento teorematico realizza in modo assoluto il rapporto tra
ragione e pratica immaginativo-osservativa, proprio perché il fine della matematica non è
quello di sottoporre ad esame le connessioni che regolano l‟esistente, ma quello di
comprendere come possono essere regolati taluni mondi possibili, nella misura in cui il
ragionamento matematico avvalendosi di oggetti ideali può mettere a frutto il principio di
continuità.
È utile tenere presente che la riflessione matematica si lega alla scoperta del continuo che
nell‟economia del pensiero peirceano riannoda tanti fili, apparentemente slegati: ad esempio
la problematica dell‟individuale, come abbiamo visto centrale negli scritti degli anni „70,
riceve alla luce di questo principio una base più chiara e solida e al tempo stesso anche la
riflessione sulle categorie compie un salto profondamente innovativo, poiché le categorie
vengono concepite come strutture formali-matematiche, valicando così i confini della
proposizione.
Il principio di continuità è lo strumento per eccellenza del ragionamento matematico, poiché
si configura come lo statuto degli oggetti matematici, esso esprime l‟inesauribile riserva di
ipotesi possibili all‟interno dell‟ontologia matematica e dispone di infinite potenzialità che
equivarranno ad un numero sempre superiore alla somma complessiva di una totalità di
possibilità attualizzate. Tale principio evidentemente si applica agli oggetti generali e non
tollera partizioni troppo rigide: in una prospettiva di continuità, anche la separazione tra
conoscenze analitiche e sintetiche non appare più così marcata, piuttosto esse potrebbero
essere lette come metodologie diverse di un processo sostanzialmente unitario.
Il principio di continuità costituisce il filo di Arianna del pensiero peirceano, infatti nella
Lettera al signor Calderoni (1905) si comprende con chiarezza, ancora una volta, come le
scoperte concettuali di Peirce non sono mai settoriali, nel senso che, pur nascendo
all‟interno di pratiche concettuali raffinatissime sul piano tecnico, trascendono tali confini
per gettare uno sguardo sull‟architettonica del sistema. E infatti riprendendo il percorso
principale della speculazione peirceana viene ribadita, su basi più solide, la convinzione
182
Peirce ribadisce: “positive observation is called for in all inference, even the simplest thug in deduction it is only
observation of an object of imagination”. CP 6.595. 183
L‟idea che la Matematica debba avere a che fare con ipotesi più che con assiomi e che le sue siano teorie
intenzionali, volte ad oggetti immaginari piuttosto che ad oggetti esistenti, aprono la concezione matematica del filosofo
americano ad un dialogo fecondo con la tendenza, espressa da alcuni studiosi contemporanei, a vedere nella
matematica l‟esercizio di un ragionamento assolutamente dinamico e aperto alla produzione di feconde ipotesi che
attestano la mirabile plasticità del gesto matematico. 184
CP 1.383.
116
che le cose come singole individualità non sono comprensibili e che l‟unica forma di
conoscenza è propria del generale. Leggiamo questo passo tratto dal testo suddetto: “Un concetto determinato in tutti i suoi rispetti è altrettanto fittizio quanto un concetto definito in
tutti i suoi rispetti: io non penso che si possa avere mai il diritto logico di inferire, anche quale mera
probabilità, l‟esistenza di qualcosa interamente contrario nella sua natura a tutto ciò che si può
sperimentare o immaginare. Ma questo è proprio ciò che un nominalista è costretto a fare, poiché
deve dire che gli eventi futuri sono la somma di tutto ciò che accadrà, che perciò il futuro non è
infinito e che quindi vi sarà un evento non seguito da un altro evento. Ciò potrebbe anche essere,
per quanto inconcepibile sia, ma il nominalista deve dire che sicuramente così sarà. Altrimenti egli
dovrebbe considerare il futuro come qualcosa d‟infinito, cioè qualcosa avente quel modo d‟essere
che consiste nella verità di una legge generale: ogni evento futuro dovrà infatti avere fine, mentre il
futuro infinito non avrà mai fine. L‟argomento può essere svolto in molti altri modi, ma la sua
conclusione sarà sempre questa: si può comprendere solo ciò che è generale. Ciò che viene invece
designato unicamente indicando verso di esso con un dito, o in un‟altra maniera, va inteso come
singolarità: ma in quanto può essere compreso, si scoprirà che singolare non è. L‟universo reale può
solo essere indicato: se ci viene chiesto di descriverlo, possiamo unicamente dire che esso include
tutto ciò che può esserci di realmente esistente. E questo è un universale, non una singolarità”185
Appare evidente come queste considerazioni rilancino la valenza filosofica della
tematizzazione del continuo matematico e lascino intendere che gli interessi matematici non
siano mai slegati dal fulcro del pensiero filosofico, anzi nel ragionamento matematico, nella
sua assoluta purezza è possibile realizzare ciò che nella filosofia è possibile compiere in
modo soltanto approssimativo ovvero la capacità di realizzare conoscenze assolutamente
necessarie pur all‟interno di una base osservativa e sperimentale. Qui il rapporto tra la
conocenza osservativo-sperimentale e quella necessaria è pienamente realizzato, poiché
anche alla luce del concetto di continuo si comprende anche meglio come l‟aspetto
sperimentale della conoscenza matematica non chiami in causa l‟esistente ma sempre il
generale, il punto di partenza è sempre un‟ipotesi, la quale, come afferma già il giovane
Peirce, viene considerata come la sostituzione di un singolo concetto ad un complicato
insieme di predicati, e proprio per questo essa assume un‟unità che è apprezzabile nel suo
tratto segnico-iconico. Ora nel ragionamento matematico questa creazione di ipotesi, che si
traducono in segni iconici, costituisce parte integrante del processo deduttivo e produce
conoscenze assolutamente nuove e necessarie. In questi termini viene fuori con maggiore
evidenza il nesso tra immagine e inferenza ipotetica e se ne può apprezzare la sua fecondità,
dal momento che proprio nel punto in cui immagine e ipotesi in modo inedito si
congiungono si istituisce il carattere sintetico della conoscenza.
Già a partire dalla likeness, nell‟analisi precedente veniva fuori questo intreccio tra
immagine e ipotesi, ponendo in evidenza come l‟opera dell‟immaginazione fosse
essenzialmente logica, poiché produce ipotesi, e come le ipotesi per la loro capacità di
sintetizzare, come precedentemente si ricordava, di sostituire predicati semplici al posto di
predicati complessi, contraessero all‟interno di una compagine immaginativa un universale.
In questo senso l‟immagine si configura come produzione e prodotto, perché da una parte
rinvia al lavoro assolutamente creativo della produzione delle ipotesi, dall‟altra è prodotto
perché si pone come contrazione, all‟interno di un tratto segnico-iconico, delle relazioni
scoperte dall‟ipotesi.
185
Peirce, Lettera al Signor Calderoni, cit., pp.119-120.
117
Il matematico, secondo Peirce, non essendo preoccupato di stabilire i confini tra ciò che è
vero e ciò che è falso si adopera al fine di immaginare uno stato ideale di cose per conferire
ordine e unità a ciò che si presenta non ancora delineato e all‟interno di questo stato ideale
ipotizza relazioni analoghe a quelle date nelle premesse che costituiscono la tesi e proprio
da queste ipotesi verrà fuori la scoperta di relazioni inedite. Infatti il matematico produce
diagrammi sulla base delle sue ipotesi e ne fa oggetto di osservazione per dedurne
conseguenze necessarie. Quindi e le ipotesi e la sperimentazione effettuata sui diagrammi
diventano indispensabili alla deduzione e nonostante qualche affermazione peirceana
sembrerebbe definire come non scientifico il lavoro delle ipotesi, in effetti, come rileva
Campos, quando Peirce si esprime in questi termini si riferisce al fatto che il lavoro delle
ipotesi non prescrive nulla quanto al vero o al falso. Infatti il ragionamento matematico
produce un vero possibile e proprio per questa vocazione del ragionamento matematico, a
cui Peirce rimane fedele, e, per le considerazioni svolte precedentemente, risulta plausibile
considerare fondamentale il ruolo delle ipotesi186
. Certamente, precisa Peirce, questo non
significa che tutte le ipotesi si equivalgono, nel senso che il matematico è interessato
soltanto a quelle ipotesi che possono dar conto di ciò che è vero di un mondo ipotetico, (CP
4.238) e infatti cosi Peirce argomenta: “it cannot be said that all framing of hypotheses is mathematics. For that would not distinguish
between the mathematician and the poet. But the mathematician is only interested in hypotheses for
the forms of inference from them. As for the poet, although much of the interest of a romance lies in
tracing out consequences, yet these consequences themselves are more interesting in point of view
of the resulting situations than in the way in which they are deducible. Thus, the poetical interest of
a mental creation is in the creation itself, although as a part of this a mathematical interest may enter
to a slight extent. Detective stories and the like have an unmistakable mathematical element. But a
hypothesis in so far as it is mathematical, is mere matter for deductive reasoning. Mathematics is,
therefore, the study of substance of hypotheses, or mental creations, with a view to the drawing of
necessary conclusions”187
.
Se il lavoro assolutamente innovativo delle ipotesi caratterizza il mondo matematico, viene
fuori più chiaramente il rapporto stretto tra immagine e ipotesi e la matematica si
caratterizza a pieno titolo scienza osservativo-sperimentale, e in questo senso non può
essere considerata soltanto come scienza delle deduzioni necessarie, piuttosto la matematica
lascia emergere il suo ground iconico –inferenziale e l‟azione di quest‟ultimo in un contesto
assolutamente puro e non dipendente dalle assunzioni logiche. A proposito del carattere
creativo delle ipotesi matematiche Peirce afferma con molta decisione nel Ms.15 del 1895,
preannunciando già l‟identificazione della logica con la semiotica, che la logica è la scienza
dei segni ed è interessata a identificare le loro condizioni di verità e si occupa di dar conto
186
D. Campos sottolinea il grande valore della creazione delle ipotesi per il ragionamento matematico. Per suffragare la
sua tesi lo studioso riprende le posizioni di C. Eisele ,di B. Kent,di D. Anderson e quella di Hookway, il quale, se da un
lato sembra propendere per un‟esclusione delle ipotesi dal lavoro scientifico, dall‟altro spiega l‟esclusione del lavoro
poietico dal ragionamento prettamente matematico, perché quest‟ultimo nella classificazione delle scienze è primario e
quindi non potrebbe accettare di condividere metodi appartenenti ad altre scienze che gerarchicamente dipendono da
esso. D. Campos, invece, si esprime in questi termini: “In my estimation, then, it would be incongruous of Peirce to
define mathematics as the study of hypothetical states of things and yet to exclude the poietic creation of these
hypothesis from mathematical activity, even for systemic reasons [...] Peirce‟s position is rather that the creation of
mathematical hypotheses is poietic, but it is not merely poietic, and accordingly, that hypothesis-framing is part of
mathematical reasoning that involves an element of poiesis but is not merely poietic either. Scientific considerations
also inhere in the process of hypothesis-making”. D.Campos, Peirce on the Role of Poietic Creation in Mathematical
Reasoning, «T.C.P.S» Vol.43, no.3, 2007, p. 482. 187
NEM 4, p. 268.
118
delle leggi di sviluppo del pensiero. E se nella Metafisica la dipendenza è netta nei confronti
della logica, dal momento che qualsiasi ragionamento deve essere supportato dai principi
della logica, il ragionamento matematico invece non deve confrontarsi con i fatti per
suffragare il rigore delle sue assunzioni e quindi non ha niente a che fare con le condizioni a
cui deve sottostare il ragionamento logico. L‟universo matematico, libero dal riferimento
all‟esistente e caratterizzato non soltanto dall‟atto creativo in se stesso, come accade
nell‟opera dell‟immaginazione artistica, ma anche dalla deduzione delle sue conseguenze
necessarie, diventa il luogo privilegiato per apprezzare nella conoscenza il modo in cui si
risolvono in una mirabile continuità la dimensione pragmatica e quella teoretica.
La necessità da parte del matematico di elaborare ipotesi, costruire figure, osservare e
sperimentare su di esse per contemplare i risultati della sperimentazione e pervenire
all‟elaborazione di deduzioni necessarie diventa fondamentale perché permette di
comprendere la centralità del momento iconico. Nell‟universo matematico è necessario
osservare, agire e dialogare con il testo diagrammatico, poiché la costruzione esibirà
un‟immagine che in se stessa altro non è che un‟inferenza compressa, ma proprio questa
contrazione in cui l‟inferenza si mostra diventa fondamentale per dispiegarla come
inferenza.
L‟impianto matematico in modo assolutamente puro permette di rivelare, a mio avviso, un
nesso profondo tra valenze teoretiche, poietiche, e pragmatiche. Sul piano teoretico si mette
a punto un ragionamento deduttivo inedito, poiché esso si configura come lo sviluppo delle
ipotesi precedentemente elaborate, e presenta una componente figurativa dell‟ipotesi che
non si lascia ridurre soltanto ad una dimensione inferenziale. E quindi in questo senso viene
implicato un momento di creazione vera e propria. Così si ritrovano unite ipotesi e
deduzione necessaria; ipotesi, come inferenza e come immagine. A queste dimensioni,
apparentemente incommensurabili si aggiunge il momento sperimentale che rinvia alla
radice pragmatica del pensiero. Ora proprio nel ragionamento matematico, sia pure in un
mondo di pure forme, ritroviamo applicati i concetti più fecondi dell‟impalcatura
pragmatica: la massima pragmatica, il concetto di reale e il concetto di possibilità. È come
se questi concetti trovassero un‟esemplificazione, una traduzione più evidente e più
efficacemente interrelata, e inverassero il ruolo che la Matematica si ritrova ad avere
all‟interno della classificazione delle scienze, ovvero quello di tradurre in modelli più
semplici i concetti delle altre scienze.
La massima pragmatica esprime un principio che giustifica il metodo sperimentale,
essenzialmente ci insegna una regola che consiste nel concepire le conseguenze necessarie
che possono scaturire dall‟assunzione di determinati concetti.
Ora nel ragionamento matematico sperimentare significa costruire un diagramma,
manipolarlo e osservare visivamente le conseguenze della sperimentazione effettuata.
Queste operazioni producono un realismo dinamico, poiché è nella processualità della
sperimentazione che il possibile è concepibile come reale, ma questo si esplica all‟interno di
un singolo contesto, e quindi ritornando alle questioni trattate nella prima parte di questo
lavoro, è il caso di ribadire che non si deducono le condizioni di possibilità dell‟esperienza
in generale, ma le condizioni generali di un oggetto possibile. Il generale si rende
disponibile in una dimensione percettiva, poiché il matematico osserva, sperimenta
fisicamente, modificando visivamente il diagramma su cui lavora. E nonostante
l‟arbitrarietà delle convenzioni e delle ipotesi il matematico accederà ad un reale che non è
relativo ma assolutamente necessario e quindi assolutamente obiettivo, indipendente dalla
scelta delle convenzioni utilizzate per la costruzione. Ma allo stesso tempo le ipotesi
119
utilizzate costituiscono anche l‟a priori del gesto matematico, poiché le risorse a cui è
possibile attingere per rappresentare qualcosa possono essere concepite come frutto di abiti,
che hanno consolidato determinate modalità di significare. In questi termini il ragionamento
matematico costituisce un esempio felice del modo in cui determinati dualismi possono
trovare una loro risoluzione: l‟ipotetico e il necessario, il convenzionale e il “reale
Possibile,” il carattere necessario e la novità. Come è stato detto, l‟oggetto in gioco non è
l‟esistente nel ragionamento matematico, bensì un possibile mondo in cui determinate
connessioni ipotizzate e sperimentate possano essere vere, e quindi in questo senso
l‟oggetto chiamato in causa è un possibile oggetto. Si potrebbe parlare di un processo
circolare tra ipotesi e conclusioni necessarie, nel senso che nel momento in cui le ipotesi
producono conoscenze necessarie, queste ultime potranno costituire a loro volta il derivabile
a cui si potrà attingere per la costruzione di una nuova rappresentazione diagrammatica.
Ora ciò che ci preme sottolineare è che il convenzionale e l‟ipotetico, producono
conoscenze nuove e necessarie: in modo specifico il ragionamento matematico e in generale
il ragionamento diagrammatico realizzano questo connubio, mostrano come questo è
raggiungibile all‟interno di un‟osmosi tra prassi e teoria, infatti è nella sperimentazione e nei
risultati di quest‟ultima che è possibile apprezzare il darsi di connessioni significative. E
sarà proprio l‟esplicazione di queste relazioni a restituirci una conoscenza nuova e
necessaria.
Evidentemente le conclusioni necessarie a cui si perviene non sono predeterminate da un
percorso obbligato, nel senso che le strade che si possono intraprendere nell‟ambito della
sperimentazione sono infinite e quindi se mutano le premesse e le ipotesi che intervengono
nella manipolazione del diagramma, evidentemente le conclusioni possono cambiare. A tal
proposito Hoffmann rileva come la stessa prova sperimentale di un teorema, ad esempio,
potrebbe essere considerata come un mezzo per traghettare verso altri sistemi
rappresentativi e riprende l‟esempio di Peirce relativo al teorema che afferma che la
somma degli angoli di un triangolo è uguale a 180°. Tale teorema risulta valido se si prende
in considerazione il sistema rappresentativo della geometria euclidea, ma se si prende in
esame il sistema di riferimento delle geometrie non euclidee la verità del teorema diventa
relativo. Quindi già all‟interno della stessa sperimentazione, quando scegliamo una delle
possibilità che si prospettano per esplicare le connessioni che condurranno alla
dimostrazione, compaiono le condizioni per sviluppare nuove rappresentazioni
diagrammatiche che consentiranno l‟accesso a nuove verità. Se scegliamo di manipolare in
modo diverso il diagramma, è possibile intraprendere nuove strade, che se, corrette su un
piano formale, condurranno a nuove e arricchenti verità188
.
In questi termini il diagramma matematico è per antonomasia pragmatico, non solo perché
è nella sperimentazione che si può accedere alle possibilità reali ma anche perché pone le
condizioni per il suo stesso superamento, è in continua tensione verso il nuovo non soltanto
perché crea verità nuove rispetto a quelle già determinate, ma anche perché pone le
condizioni per la sua trasformazione. Il ragionamento matematico diventa un modello per la
conoscenza nel senso che permette di comprendere i momenti attraverso i quali essa stessa
188
Riguardo all‟idea di una base pragmatica del ragionamento diagrammatico, Hoffmann afferma: “The decisive point,
rather, is the fact that, for Peirce, the possibility of grasping “the real” in the long run of scientific “maturation” depends
from the beginning on assuming the reality of law, of generals, and of possibilities”. M. Hoffmann, How to get it
Diagrammatic Reasoning as a tool of Knowledge development and its pragmatic dimension, «Foundation of Science »
9 (2004), p. 296.
120
si costituisce, e il tipo di costruzione che viene fuori nel ragionamento matematico conforta
la tesi che abduzione e immagine si situano in una linea di continuità, perché la
sperimentabilità dell‟abduzione è connessa alla possibilità di comprendere sia le sue
potenzialità come inferenza e sia le conseguenze necessarie che se ne possono trarre.
Ora se l‟analisi del ragionamento diagrammatico svela le sue radici pragmatiche, queste
ultime ci riportano a quelle semiotiche: nella costruzione matematica si riconosce, infatti, la
basilarità del progetto semiotico, poiché il carattere fortemente costruttivo della conoscenza
matematica rivela la centralità dell‟icona, proprio per la scoperta cui conduce il
ragionamento matematico. Sono riscontrabili, inoltre, una dimensione indicale, poiché il
ragionamento matematico si riferisce ad un oggetto, per quanto esso sia un oggetto
possibile, e una dimensione simbolica identificabile con le deduzioni necessarie cui
perviene il procedimento dimostrativo. Potremmo dire che nel ragionamento matematico la
semiotica trova la sua giustificazione sul piano strettamente formale, è come se trovasse il
suo modello ideale. Ma se da una parte la matematica diventa un piano formidabile per
confermare le intuizioni che Peirce ha già elaborato in merito all‟impianto della semiotica,
dall‟altra, come sottolinea Hookway, la Matematica non dispone della secondità, cioè non si
riferisce all‟esistente e questo pone un grosso problema poiché le conclusioni del
ragionamento matematico pervengono al necessario ma non al vero, il metodo scientifico
conduce al vero ma non al necessario, poiché la conoscenza scientifica è sempre probabile.
Quindi la necessità forte che si impone in questa fase al pensiero peirceano è quella di
comprendere l‟eventuale statuto ontologico della Possibilità, perno fondamentale del
ragionamento logico-matematico. Tale compito sarà affidato alla formazione delle categorie
fenomenologiche e così la semiotica, supportata dallo spartito fenomenologico, a sua volta
legittimato da quello matematico, si potrà configurare come sintesi della grammatica del
reale e del pensiero, giustificando le sue pretese ontologiche.
4) La Faneroscopia
L‟elaborazione della fenomenologia contribuisce a realizzare un‟adeguata organicità
all‟interno del sistema peirceano, poiché dispone di alcuni requisiti che corrispondono a
quelli propri del processo di conoscenza ovvero l‟osservabilità, e il vincolo stretto tra
possibilità e necessità. La fenomenologia, infatti, si configura come scienza osservativa,
essa si prefigge di descrivere ciò che appare, il termine ricorre per la prima volta nel 1902 in
Minute Logic e proprio qui Peirce chiarisce che la sua fenomenologia è di tipo descrittivo e
non assertorio. Diversamente dalla fenomenologia hegeliana Peirce intende riferirsi alla
fenomenologia in termini diversi, poiché l‟obiettivo è quello di descrivere l‟esperienza.
Insieme al tratto dell‟osservabilità, l‟universo è concepito da Peirce come possibile e
necessario, esso è un universo dinamico che evolve ed assume progressivamente abiti,
regole, leggi. L‟uniformità alla legge è un terreno sempre da conquistare da parte
dell‟universo, e possibilità e necessità convivono.
Dopo avere trattato la fenomenologia nel 1902 in Minute logic, poi nelle Harvard Lectures
sul pragmatismo (1903), e infine nel 1904 Peirce per caratterizzare in modo specifico il suo
approccio fenomenologico sostituisce il termine fenomenologia con il termine faneroscopia.
Per il momento è importante accennare alla teoria delle categorie per comprendere come si
realizzi una vera convergenza tra realtà e conoscenza e dare particolare rilievo alla prima
categoria, poiché, ai fini del discorso che si sta svolgendo, il rapporto imprenscindibile tra
121
piano ontologico, logico, matematico e semiotico contribuirà a fornire un‟immagine unitaria
dell‟architettonica peirceana, e soprattutto a rafforzare l‟idea che l‟icona gioca un ruolo
fondativo.
L‟incursione nell‟ambito della teoria delle categorie servirà a comprendere il modo in cui
pensiero–segno e reale convengono: in entrambe le dimensioni è necessario immaginare,
osservare, sperimentare per potere inferire: anche nel reale la dimensione percettiva si trova
sempre insieme a quella inferenziale. È come se ci fosse un motore, di cui si avvalgono il
pensiero e il reale, atto a trasformare l‟immagine in inferenza, la possibilità in necessità.
Sia il pensiero che il reale si ritrovano in perenne dinamismo in cui le leggi sgorgano dalla
miniera inesauribile delle figure prodotte dal reale, e nel quale le asserzioni necessarie
scaturiscono dalle immagini e dalle possibilità concepite dal pensiero.
Per dar conto delle categorie è necessario partire dall‟esame del concetto di phaneron
perché è in esso che sono reperibili le tre categorie che vengono denominate Primità,
Secondità, e Terzità
Che cosa intende Peirce con il termine phaneron? Con tale termine si intende ogni cosa che
appare alla mente. Espresso in questo modo sarebbe facile identificare il phaneron con ciò
che la coscienza esperisce, ma in realtà il phaneron si situa ad un livello in cui la coscienza
non è ancora presente e quindi non è ancora disponibile la differenza tra soggetto e oggetto:
il phaneron è quel flusso di esperienza nel quale siamo immersi da sempre, e in questi
termini non bisogna identificare il phaneron con l‟esperienza privata della sensazione di una
singola mente. Il phaneron è ciò che si rende evidente e attingibile, è quell‟intero che si
presenta alla mente. Il carattere totalizzante cui conduce il phaneron suggerisce l‟idea di un
piano immediato e mediato, infatti la totalità evocata dal phaneron, perché venga compresa,
è necessario che venga dispiegata, sostanzialmente compresa nella sua struttura generale. E
allora bisogna porsi in una prospettiva che cerchi di coniugare la ricchezza
dell‟immediatezza e la perspicuità della mediazione e in questo senso deve operare la
fenomenologia, la quale tra immediatezza e mediazione deve tentare di comprendere ciò
che si manifesta. È necessario porre tra parentesi qualsiasi credenza per osservare totalmente
e in modo attento ciò che appare, per far si che la struttura, già evidente nel phaneron, risulti
intelligibile189
.
Al fine di chiarire la natura del phaneron Peirce fornisce alcuni esempi, identificandolo ora
con il fischio di un treno ora con un odore ora con un colore: questi esempi in realtà possono
fuorviare il significato autentico del phaneron, infatti Peirce, subito dopo aver fatto questi
esempi, afferma che non intende riferirsi alla sensazione che si attua nell‟incontro tra il
soggetto e i dati del mondo fenomenico, e precisa che se si dovesse fare questo errore, ciò
implicherebbe un‟incomprensione della natura del phaneron. Per evitare questo errore è
fondamentale, come ci invita a fare lo stesso Peirce, tenere presente che la Faneroscopia, in
considerazione del carattere totalizzante del phaneron non è interessata soltanto al regno
dell‟attuale ma anche al regno del possibile: essa non è limitata soltanto a ciò che è da
osservare ma anche a ciò che può essere osservabile. Il phaneron è identificabile con la
totalità di ciò che è presente, e quindi non può essere declinato come qualità di un dato, ciò
presupporrebbe il dualismo soggetto-oggetto. Né d‟altra parte può essere inteso come un
primum immediato assertorio e necessario, ciò implicherebbe una contraddizione con la
stessa definizione di Faneroscopia, che da Peirce viene concepita come scienza osservativa,
189
Cfr. La logica vista come Semiotica (Ms. 336), 1904, in Esperienza e Percezione. Percorsi nella Fenomenologia,
trad. it. a cura di M. Luisi, Ets, Pisa 2008.
122
che si limita a descrivere e non a prescrivere regole o leggi. Il phaneron ha a che fare con la
qualità, ma non intesa come proprietà di un dato, ma con la qualità pura dell‟Esperienza.
Insomma la fatica di Peirce è quella di non legare immediatamente la qualità ad una
produzione soggettiva, di azzerare lo spazio della coscienza per lasciare padrone della scena
esclusivamente il phaneron nella sua interezza, per far si che esso manifesti tutta la sua
potenzialità. Peirce così si esprime: Mi riferisco [...] alle qualità stesse, che in se stesse sono semplici poter-essere [may-be], non
necessariamente realizzate. [...] Una semplice qualità o suchness non rappresenta di per sé
un‟occorrenza, come accade invece quando si vede un oggetto rosso; è un puro poter-essere. Il suo
essere consiste solo nel fatto che in un phaneron potrebbe esserci una simile qualità [suchness] e
positiva. Questo è il genere di phaneron tipico del pensiero metafisico, che non è implicato nella
sensazione stessa e quindi non è implicato nella qualità di feeling che è totalmente contenuta o
sostituita nella sensazione attuale”190
.
Proprio qui si sancisce e si giustifica da una prospettiva inequivocabilmente realista, ancora
più radicale rispetto a quella espressa da Peirce negli scritti giovanili del „68, la centralità
del carattere possibile sia del pensiero che del reale. Originaria non è l‟esistenza ma la
Possibilità e proprio qui il generale appare, ma esso rimane vincolato ad un‟immediatezza a
cui non si riesce ad accedere se non attraverso una mediazione che vede come fondamentali
altri due protagonisti del reale, il fatto e la legge.
E infatti Peirce si affretta a precisare subito la differenza tra il generale contenuto nella
Possibilità e il generale proprio della legge: “Io posso immaginare una coscienza la cui intera vita consista solamente in un colore viola […] È
solo un problema di cosa sono in grado di immaginare e non di cosa sia permesso dalle leggi della
psicologia. Il fatto che io possa immaginare una cosa simile mostra che questo feeling non è
generale nel senso in cui lo è la legge di gravitazione. Infatti nessuno potrebbe immaginare che
questa legge possieda un qualunque tipo di essere, se non potessero esistere due masse di materia o
se non esistesse nulla di simile al moto. Ciò che è veramente [generale] non può avere alcun essere,
se non la prospettiva che prima o poi si incarni in un fatto che di per sé non è una legge e non
assomiglia a una legge. Al contrario, si può immaginare che una qualità di feeling non abbia alcuna
occorrenza. Il suo puro poter-essere riesce a sussistere senza alcuna attualizzazione”191
.
In questa definizione emerge già come nel Phaneron sia presente la triade che scandirà il
reale: Possibilità, Attualità e Necessità che sono le categorie che Peirce si prefigge di
descrivere e che denominerà Primità, Secondità e Terzità.
La Primità viene identificata con il carattere immediato dell‟esperienza in cui non esistono
ancora confronti, comparazioni, e che, come veniva affermato precedentemente, può essere
equiparata al profumo di un‟essenza o all‟ascolto di un fischio, cioè a qualsiasi qualità di
sensazione assolutamente pura, non ancora analizzata. In questo senso la Primità si
configurerebbe come una qualità possibile.
La Secondità viene identificata con l‟elemento della Lotta e sta ad esprimere l‟elemento di
alterità con cui il reale stesso dà conto del suo farsi, del suo dinamismo interno, essa perché
possa svolgersi deve porsi come vera e propria alterità, è qui che nasce la differenza tra
oggetto e soggetto. La Secondità è la sorpresa, è la testimonianza dell‟esistenza di qualcosa
che non può essere predeterminato.
La Terzità è la mediazione, è la categoria che consente di rendere trasparente la reale
continuità presente nell‟Esperienza, la sua opera consiste nel conferire unità e regolarità al
190
Ivi, p. 101 passim. 191
Ibidem.
123
mondo dei fenomeni e nel porre in chiaro come tali leggi non siano interne al reale, perché
già da sempre lo costituiscono, ma perché esse stesse sono il frutto del loro stesso farsi, del
loro divenire. Ed è per questo motivo che esse possono dirsi operanti nel reale, inverando
quel realismo di cui Peirce si pone convinto sostenitore, già a partire dalla sua produzione
giovanile.
Se queste sono le caratteristiche fondamentali delle categorie, il metodo presentato da Peirce
per comprenderle necessita della capacità di osservare, discriminare, e generalizzare.
L‟insistenza sulla centralità dell‟osservazione per rintracciare le relazioni universali che
informano il reale implica un rinvio alla fondamentalità del ragionamento matematico.
Lungi dall‟idea che ci si possa porre dalla prospettiva della tabula rasa, poiché già Peirce ha
predisposto sin dagli scrittti giovanili e consolidato grazie ai contributi di tutte le dottrine
che compongono il suo complesso sistema l‟idea che non si possa in alcun modo apprendere
immediatamente il reale, è necessario presupporre il ragionamento matematico come quello
che in modo paradigmatico ci insegna ad osservare le cose non per capire come sono
realmente ma per scoprire come potrebbero essere in un universo possibile.
Per quanto i fini della Matematica e della fenomenologia siano diversi nel senso che la
Matematica non ha di mira il reale ma il possibile, tant‟è che essa non è interessata a
sottoporre al vaglio dell‟esistenza la fecondità delle sue ipotesi, ciò nondimeno la sua
lezione rimane fondamentale per la fenomenologia, perché le fornisce un modello di
osservazione puro in cui si mostra in modo evidente e rigoroso l‟unione di possibilità e
necessità. Anche il tratto ipotetico della Matematica, comunque, si trova in linea proprio con
l‟anima pragmatica del discorso peirceano, poiché è bene ricordare che la massima
pragmatica identifica il significato di un concetto non soltanto con gli effetti che
determinerebbero i nostri comportamenti ma anche con gli aspetti concepibilmente pratici,
cioè il significato di un concetto risiede anche nelle conseguenze che si configurerebbero
qualora fossero concepite determinate circostanze. E allora si potrebbe dire che nella base
pragmatica della fenomenologia si raccolgono i frutti della riflessione matematica.
Non è un caso che nella Classificazione delle scienze la Matematica assume un valore
particolare, essa si trova al primo posto perché essenzialmente dispone di due tratti che sono
riscontrabili in tutte le discipline: essi consistono nella costruzione di ipotesi e nella
deduzione delle loro conseguenze, nonché nell‟osservazione e nella sperimentazione per
realizzare conoscenze.
Peirce, oltre che nella classificazione delle scienze, nell‟ambito della trattazione delle
categorie, mette a punto le differenze tra le caratteristiche proprie della Matematica, della
Filosofia, delle Scienze positive e accenna ai rapporti tra la Fenomenologia, scienze
normative e metafisica. La Matematica sta in cima per le sue caratteristiche comuni a tutte
le discipline e soprattutto perché garantisce l‟osservazione pura di enti ideali, segue la
Filosofia o Cenoscopia192
che deve prefiggersi il compito di osservare ciò che è comune, ciò
che è reale e non soltanto ciò che è possibile. Le scienze positive o idioscopiche riflettono
su singole porzioni del reale.
Ora la Filosofia, in qualche modo, media tra matematica e scienze positive, nel senso che la
dimensione pura possibile della Matematica trova la sua verifica, tramite la Filosofia, nel
reale, dove è riscontrabile una struttura analoga a quella configurabile all‟interno
dell‟universo matematico. Il peso effettivo di questa operazione si riflette nella ricerca
empirica. Infatti, Peirce afferma che la filosofia fornisce il quadro di riferimento universale
192
Cenoscopia e Idioscopia sono termini ripresi da Bentham
124
alle scienze particolari, poiché essa è volta a realizzare una sintesi di elementi possibili,
attuali e necessari. Per compiere tale sintesi la filosofia necessita della fenomenologia, delle
scienze normative, comprendenti la logica, l‟etica, l‟estetica, e la metafisica. Infatti la
fenomenologia è il grande dipartimento iniziale della Filosofia, essa istruisce lo sguardo
filosofico a che esso possa osservare il mondo fenomenico affrancandosi da interpretazioni
che finirebbero per oscurare alcuni aspetti dell‟osservabile. Tale esercizio che, secondo
Peirce richiede una particolare attitudine, non può essere disgiunto dall‟imprescindibile
apporto delle scienze normative. Infatti la Metafisica, che secondo Peirce, già a partire dagli
scritti giovanili, deve fondarsi sulla logica, può realizzare la profonda unione di possibilità,
attualità e necessità se si avvale del modo tipico della scienza normativa che consiste
essenzialmente, sintetizza Peirce, “nella distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male nel
campo della conoscenza, dell‟azione, della sensazione”193
.
Tale puntualizzazione sui rapporti tra le scienze ci permette di comprendere, sia pure per
accenni, che nell‟elaborazione della teoria delle categorie il problema che Peirce cerca di
approfondire e risolvere è sempre quello di legittimare, questa volta anche sul piano reale,
l‟unità di generale e individuale che è possibile soltanto all‟ interno di una struttura triadica,
che vede in un continuum lo svolgimento di possibilità, attualità e necessità. Qui nella
riflessione sulle categorie la novità sta nell‟affermare che il reale si identifica con il
possibile, con l‟individuale e con il generale. Diventa, quindi, necessario comprendere il
modo in cui si configurano questi modi del reale, e, in particolare, rispetto all‟interesse
specifico del discorso che si sta svolgendo, la natura della Primità.
Efficaci a tal proposito le parole di C. Dougherty: “A certain ideal triadic structure is revealed to be omnipresent in the real, as wellas the ideal […]
Peirce is justified in analyzing the sign as it relates to its objects triadically. By nonreciprocal
precision and hypostasization he is able to examine in diagram the icon and its relationships […]
Every possible experience therefore must conform to the relationships among icons as represented
in the diagram […] The centrality of phenomenology here is evident. It has shown the applicability
of the ideal triad to the real world. Deduction estabilishes certain necessary relationships about
other ideal entities, the meanings icons. These then are known to be applicable to the real world;
they are part of it as a first is to the whole triad. They are the firstness aspects of all experiences”194
.
Dal modo in cui Peirce presenta le categorie sembra emergere uno scopo che nella sostanza
ripropone quello già dichiarato negli scritti del „67195
, che consiste nel reperire regolarità,
leggi all‟interno del reale.
Si profilano due problemi: il primo riguarda la virtualità della Primità, nel senso che la
Primità lascerebbe vedere qualcosa che non si configura come oggetto di mediazione, ciò
lascerebbe inspiegato il modo in cui essa possa coesistere con le altre categorie, poiché in tal
modo si configurerebbe un‟operazione di mediazione.
193
Peirce, Conferenze sul Pragmatismo (1903), cit., p. 87. 194
C. Dougherty, Peirce‟s Phenomenological defense of Deduction, «An International Quarterly Journal of general
Philosophical Inquiry», (1980), 63, p.372, passim. 103
Se da un lato la classificazione delle scienze mette ordine tra le categorie, dall‟altro, a mio avviso, tale
classificazione ribadisce il nesso stretto tra logica e metafisica. La fenomenologia dà conto dell‟unità tra logica e
metafisica, o meglio lascia vedere l‟unione. La logica e la metafisica provvedono a fornire i loro apparati per realizzare
tale unione. Quest‟ultima si realizzerà nella logica grafica, poiché lì la sfida è quella di costruire il reale, al fine di
rivelarlo. Nel sistema grafico infatti si realizza lo sguardo fenomenologico, perché con la costruzione del grafo si trova
il modo di rappresentare ciò che lo sguardo fenomenologico permette di vedere. Nel sistema dei grafi io vedo e allo
stesso tempo giustifico ciò che vedo perché lo inferisco. E nello stesso tempo diversamente dall‟universo matematico si
realizza non soltanto il necessario ma anche il vero e quindi la logica grafica realizza in modo più adeguato l‟unione di
generale e individuale.
125
Il secondo problema riguarda la Secondità, poiché se quest‟ultima si configura come
l‟elemento per antonomasia indipendente dal pensiero, rimane aporetico il modo in cui essa
si piegherebbe alle leggi, alle regolarità espresse dalla Terzità.
Quindi la Primità risulta assolutamente libera da qualsiasi comparazione e nello stesso
tempo di essa è possibile disporre a patto che si lasci in qualche modo mediare; la Secondità
rappresenta l‟esperienza, l‟elemento di resistenza contro qualsiasi processo di mediazione,
ma al tempo stesso essa condivide con la Terzità il reale. In che senso ?
Leggiamo Peirce: “Cosa è la realtà? […] essa non è che una retroduzione, un‟ipotesi operativa che noi mettiamo alla
prova, la nostra sola speranza, disperata e miseranda, di conoscere alcunché. O ancora, potrebbe
essere- e sembrerebbe poco prudente sperare qualcosa di più- che l‟ipotesi concernente la realtà, pur
fornendo risposte piuttosto efficaci, non corrisponda perfettamente a ciò che esiste. Ma se una
qualche realtà esiste, allora, in quanto esiste, essa consiste in ciò: che nell‟essere delle cose vi è
qualcosa che corrisponde al processo del ragionare, che il mondo vive, si muove e ha il proprio
essere, in una logica degli eventi. Tutti pensiamo che la natura operi sillogismi. Io voglio far notare
invece come l‟evoluzione, ovunque abbia luogo, non sia che un‟ampia successione di
generalizzazione attraverso le quali la materia diviene soggetta a leggi sempre più comprensive: mi
riferisco perciò all‟infinità varietà della natura come testimonianza della sua Originalità, o facoltà
Retroduttiva”196
.
In base alle parole di Peirce quindi il reale si ritroverebbe in forme diverse nell‟ambito del
processo della triade categoriale, ovvero risiederebbe in quel continuum che si svolge dalla
Primità sino alla Terzità.
Ora sebbene, per ragioni di economia tematica, non sarà possibile trattare in modo completo
la complessa teoria delle categorie, sarà importante sottolineare che negli scritti del 1905-
1908 Peirce perviene ad alcune considerazioni che si rivelano in linea con l‟orizzonte di
senso del discorso fin qui svolto e che forniscono una risposta ai problemi ora delineati.
In linea con la radice pragmatica del suo pensiero, Peirce ne La base del pragmaticismo
nella faneroscopia invita a ricordare il concetto di pragmaticismo, poiché esso costituisce la
guida metodologica che può fornirci la chiave di lettura per comprendere la struttura del
phaneron. In termini pragmatici per comprendere un oggetto è necessario immaginare i
significati che esso determinerebbe in determinati contesti, infatti, secondo Peirce, “nella
determinazione di una condotta condizionale” s‟identifica il concetto. Tale prospettiva era
già presente al Peirce degli anni „70, allora impegnato nell‟elaborazione della massima
pragmatica, ma adesso la sfida consiste nell‟attribuire statuto ontologico alle potenzialità di
significato intrinseche al reale. Nel reale si trovano possibili idee, possibili significati che
possono tradursi in una dimensione attuale e necessaria. In tal modo la conoscenza
pragmatica pone l‟accento sulla natura relazionale del reale, nel senso che essa rinnova
sempre il reale, manifestandone i suoi effetti concepibili, e ponendo così sotto una
prospettiva inedita il nesso ineliminabile tra pensiero e reale.
La conoscenza non finisce nell‟oggetto, potremmo dire semmai che essa inizia con l‟oggetto
una storia di estrapolazione di significati che non presuppongono un oggetto già dato, al
contrario questa stessa storia costituirà la natura dell‟oggetto, ma non perché le viene
imposta dall‟esterno, dal pensiero, piuttosto perché l‟oggetto stesso si svolge, si sviluppa,
196
Peirce, Alcune Riflessioni in ordine sparso sulla disputa tra Nominalisti e Realisti (Ms 439) 1898, cit., pp. 68-69,
passim.
126
cresce, e il pensiero asseconda, e sperimenta sempre nuove vie per non perdere d‟occhio il
percorso che si va delineando. La lezione pragmatica è feconda in questo senso, perché ci fa
comprendere che nella dimensione temporale l‟oggetto estrinseca le sue possibilità, le rende
attuali e le norma.
Questa acquisizione è importante perché l‟oggetto non è soltanto elemento di resistenza che
confligge con il pensiero, esso non è da intendersi soltanto come dato bruto, assolutamente
cieco, semmai la resistenza del dato costituisce una figura del reale ma non l‟unica, o
comunque un passaggio obbligato perché l‟oggetto si ponga come alterità. Ma tale alterità a
sua volta troverà il suo compimento nel momento in cui verrà riconosciuta e questo avverrà
quando essa si sarà trasformata in legge, in regolarità, cioè quando dopo essersi resa
disponibile su un piano percettivo, sarà ricompresa secondo la modalità della necessità.
E allora per mettere a frutto la lezione pragmatica è necessario, secondo i tre passaggi
fondamentali del metodo pragmatico ovvero osservare, discriminare e generalizzare,
guardare dentro il phaneron per scorgere le sue “forme possibili”. Ma questa operazione
sembra già contraddittoria perché finirebbe per introdurre elementi di analisi che una
dimensione come quella del phaneron non sarebbe in grado di tollerare. Per quanto
apparentemente invasiva può apparire la metodologia pragmatica, è proprio essa che ci
restituirà la possibilità di capire dal di dentro la trama del reale. È ancora una volta con
l‟osservazione e con la sperimentazione che potremo penetrare nell‟imprendibile realtà del
phaneron. Ma osservare non è un‟operazione neutra, essa presuppone una preparazione, è
necessario esplicitare che cosa dobbiamo osservare, in questo caso, afferma Peirce, ciò che è
osservabile consiste nelle forme degli elementi indivisibili riscontrabili all‟interno del reale.
In generale si pensa che le distinzioni riguardino la materia, in effetti le distinzioni
fondamentali riguardano la forma. Infatti in chimica, prosegue Peirce, si credeva che gli
atomi fossero indivisibili e omogenei e invece si è scoperto che essi sono distinguibili per la
forma esterna piuttosto che per quella interna.
In virtù dell‟accordo tra le leggi naturali e le leggi del pensiero è plausibile istituire
un‟analogia tra gli elementi indecomponibili del Phaneron e quelli degli atomi chimici.
L‟analogia acquista nel passo successivo uno spessore teoretico, poiché Peirce argomenta
che è inevitabile trovare degli elementi che siano combinati tra loro, infatti se nel Phaneron
non fossero reperibili elementi combinati fra loro, non sarebbe praticabile alcuna idea di
Phaneron dal momento che l‟idea di Phaneron diventa tale se si configura come una
struttura in cui tutti gli elementi si combinano fra loro.
Importante risulta questa idea di combinazione perché grazie ad essa è possibile scoprire la
natura composita del reale, il quale altrimenti sarebbe inaccessibile. Ma in che modo è
definibile questa idea della combinazione?
Peirce afferma: “l‟idea generale di una combinazione deve essere un‟idea indecomponibile; in caso contrario,
infatti, sarebbe composta e l‟idea della combinazione dovrebbe rientrare in essa come sua parte
analitica. Tuttavia, è assurdo pensare che un‟idea sia solo una parte di se stessa e non il suo intero.
Quindi, se c‟è un Phaneron, l‟idea della combinazione deve essere un suo elemento
indecomponibile. Questa idea è una triade, poiché implica l‟idea di un intero e di due parti […]. Ne
segue che nel Phaneron deve esserci necessariamente una triade. Se dunque i metafisici hanno
ragione quando sostengono […] che solo un‟idea è assolutamente necessaria, ed è quella del Dio
trino e uno, in qualche modo quest‟idea di Dio deve essere identica alla semplice idea di
127
combinazione. Solo utilizzando le triadi è possibile costruire tutte le altre forme esteriori: medadi,
monadi, diadi, triadi, tetradi, pentadi, exadi, e tutte le altre”197
.
Se tali affermazioni integrano le riflessioni sul Phaneron all‟interno della fondamentale
struttura triadica che secondo Peirce informa qualsiasi dimensione, nella misura in cui tutto
è riconducibile ad una struttura essenzialmente segnica, sia che si tratti di una dimensione
logico- matematica, nonché teologica, epistemologica o metafisica, lo strumento che viene
offerto nel Pap, Ms 293 (1906) per comprendere il Phaneron conferma la vocazione
fondazionale della metodologia pragmatica. Infatti l‟analogia tra il Phaneron e la struttura
di un composto chimico viene supportata dal suggerimento di osservare il Phaneron come
se fosse un diagramma. È all‟interno di una struttura diagrammatica che il Phaneron può
trovare una adeguata formalizzazione, sebbene il Phaneron originario è immediato, la sua
intelligibilità è possibile all‟interno di una struttura diagrammatica, nel senso che in questa
possiamo osservare le sue forme. D‟altra parte è possibile comprendere qualcosa se lo
traduciamo in una forma, poiché ciò che rimane vincolato alla materia e ad uno stadio di
immediatezza è destinato a rimanere inesplicabile. In questo caso il diagramma, che grosso
modo ricalcherebbe quella del composto chimico, avrebbe la funzione di rendere evidenti le
forme possibili del Phaneron e giustificare le sue occorrenze. Sfruttando il concetto di
valenza Peirce ritiene di potere ottenere una rappresentazione scientifica del Phaneron
poiché gli elementi del Phaneron avrebbero alla stessa stregua degli atomi delle valenze
diverse in base al numero di legami cui possono dar vita con altri elementi. Da questi legami
scaturirebbero dei composti analoghi alle molecole, espressione dell‟unione tra gli elementi
possibili, attuali, necessari ovvero gli elementi indecomponibili del Phaneron.
Questa analogia tra composto chimico e Phaneron chiarisce l‟intenzione di tematizzare tale
struttura in modo scientifico e infatti presuppone il concetto matematico di continuità che a
più riprese Peirce tratterà e che si amplierà sino a diventare prospettiva cosmologico-
metafisica prendendo il nome di sinechismo. Per il momento è utile il modo in cui lo
l‟accenna Peirce nel testo La base pragmatica nella Faneroscopia: qui Peirce, dopo avere
tratteggiato la Primità, insistendo sulla sua natura assolutamente immediata e ribadendo che
essa non ha parti e che sarebbe priva della possibilità di somigliare a qualsiasi qualità,
poiché la condizione della somiglianza consisterebbe nel confronto fra due elementi, si
chiede: “che spazio c‟è allora, per secondi e terzi”198
?
Risponde alla domanda Peirce affermando che il “Phaneron è composto interamente da qualità di feeling proprio come lo spazio è composto da
punti. Eppure è certo che nessun insieme di punti-uso il termine insieme per indicare semplicemente
un plurale, senza riferirmi all‟idea degli oggetti che vengono uniti-nessun insieme di punti, per
quanto la sua cardinalità [multitude] possa essere innumerabile, può costituire in se stesso lo spazio.
Lo spazio […] è tutto un unico pezzo […] non sono i punti, ma le relazioni tra i diversi punti che
producono l‟immensità dello spazio”199
.
Tale accenno in realtà è frutto di un lavoro lungo e costellato di ripensamenti, qui è utile
richiamare gli esiti di questa complessa riflessione sul continuo per tentare di dipanare il
groviglio che coinvolge soprattutto la Primità e la Secondità.
Riprendiamo la questione: la Primità è indivisibile, priva di parti e allora in che modo le è
possibile convivere con le altre categorie; la Secondità in che modo può trasformare la sua
197
Peirce, La base del pragmaticismo nella faneroscopia (Ms 908) 1905, cit. p. 171. Cfr. CP 1.364. 198
Ivi, p. 178. 199
Ivi, p. 179. In modo forse più esplicito, Peirce si esprime così : “Su una linea continua non ci sono punti (là dove la
linea è continua), c‟è solo spazio per i punti, possibilità di punti”. Pap, in Pragmatismo e grafi esistenziali, Jaca Book,
Milano 2003, p.192.
128
solidità nello stato fluido della generalità. Insomma come si passa dalla Possibilità
all‟Attualità e da quest‟ultima alla Necessità?
Il tema della continuità e un nuovo concetto di Esperienza, così come si delineerà negli
scritti tra il 1905-08, contribuiranno a sciogliere, se pur in presenza di aspetti problematici,
il garbuglio che sembra avviluppare il Phaneron.
La Logica della continuità, un testo scritto in occasione delle lezioni tenute da Peirce a
Cambridge, Massachusetts, nel 1898 si rivela particolarmente pregevole per la chiarezza e
per la veduta ampia che offre sull‟intero impianto del pensiero peirceano, in cui riflessioni
prettamente matematiche s‟intrecciano con quelle fenomenologiche, nonché cosmologiche,
e rivelano implicazioni anche di ordine semiotico.
Infatti una riflessione assolutamente tecnica quale può essere quella sugli insiemi
abnumerali o transfiniti in realtà valicherà i confini propri alla topica geometrica, per
supportare la teoria delle categorie e in particolare giustificare la Primità e fornire elementi
più evidenti riguardo al rapporto tra quest‟ultima e le altre categorie.
Peirce qui si impegna nel far comprendere che le grandezze abnumerali che si distinguono
da quelle relative ai numeri finiti, perché comprendenti parti infinitamente divisibili, non
contengono parti discrete. Gli insiemi abnumerabili si possono considerare aggregati
potenziali in cui gli elementi discreti lasciano il posto ad elementi continui nel senso che
essi acquistano un‟individualità in virtù dell‟istituzione di relazioni. In questi termini tali
aggregati potenziali sono maggiori di qualsiasi insieme contenente elementi discreti, ma dal
momento che sono potenziali non contengono individui, essi semmai dispongono delle
condizioni della determinazione di possibili individui. Infatti Peirce chiarisce il significato
del termine potenziale dicendo che esso sta “per indeterminato ma capace di determinazione
in qualsiasi caso speciale” 200
.
Peirce prosegue fornendo un esempio relativo ai numeri interi e lo spiega così: se
consideriamo un numero intero come insieme esso può essere contato, tale operazione non è
assolutamente ostacolata dall‟eventuale aggiunta di un altro numero intero. Ma qualora
volessimo considerare l‟insieme di tutti i numeri interi, esso non sarebbe enumerabile,
poiché evidentemente l‟insieme dovrebbe contenere l‟ultimo numero della serie dei numeri
interi, e, posto che la serie dei numeri interi è infinita, l‟insieme di tutti i numeri interi non
può essere contato. Ma tale condizione non preclude la possibilità di immaginare
l‟aggregato di tutti i numeri interi, a patto che ne riconosciamo la sua potenzialità.
Quindi Peirce ritiene che così come non è possibile contare la collezione di tutti i numeri
interi, allo stesso modo l‟aggregato di grandezze abnumerabili non contiene elementi
individuali. Peirce infatti afferma: “Non vi può essere una qualità distintiva per ogni individuo, perché queste qualità formerebbero
una collezione troppo molteplice per restare distinte. Deve essere perciò per mezzo di relazioni che
gli individui sono distinguibili l‟uno dall‟altro, […] Nessun continuum perfetto può essere definito
da una relazione diadica [asimmetrica] [poiché l‟origine e il termine sarebbero punti di
discontinuità]. Ma se invece prendiamo una relazione triadica, e diciamo che A è r a B per C,
diciamo, per fissare le idee, che procedendo da A in un certo modo, per esempio verso destra, si
raggiunge B prima di C, è assolutamente evidente che risulterà un continuum simile a una linea che
ritorna su se stessa senza nessuna discontinuità di alcun tipo […]”201
.
Tale riflessione costituisce un modello ideale per comprendere, afferma Peirce, che la
conoscenza umana, così come l‟universo evolvono sempre disegnando un movimento che
200
Peirce, La Logica della Continuità (1898), cit., p.1174. 201
Ibidem.
129
procede sempre dall‟indifferenziato al differenziato, da un continuum potenziale ad un
continuum di livello superiore, e che si arricchisce progressivamente attualizzandosi e
definendosi. Infatti la continuità non si realizza cumulando i punti che la compongono, al
contrario essa sta all‟origine e successivamente si va dispiegando. Nel continuum potenziale
sia esso afferente alla dimensione faneroscopica sia esso relativo a quella cosmologica le
forme sono infinite e quindi non distinguibili, così come Peirce poneva in evidenza riguardo
all‟aggregato potenziale abnumerale. E allora in che modo diventa intelligibile il passaggio
dall‟indifferenziato al differenziato? È necessario ipotizzare una sorta di contrazione della
potenzialità originaria per potere comprendere il passaggio dall‟omogeneo all‟eterogeneo.
Efficaci al riguardo le parole di Peirce: “Possiamo soltanto supporre che quelle qualità sensibili che ora esperiamo, colori, odori, suoni,
sentimenti di qualsiasi descrizione, amori, sofferenze, sorprese, siano solo i resti di un antico
continuum di qualità in rovina, simili a qualche colonna rimasta in piedi qua e là, a testimonianza
che un antico foro con la sua basilica e i suoi templi aveva formato una volta un magnifico
complesso. E come quel foro, prima che fosse effettivamente costruito, aveva una vaga sub-
esistenza nella mente di colui che ne progettava l‟edificazione, così il cosmo delle qualità sensibili,
che vorrei supponeste che in qualche stadio iniziale fosse reale come la vostra vita personale in
questo momento, aveva in uno stadio antecedente di sviluppo un essere più vago, prima che le
relazioni delle sue dimensioni diventassero definite e contratte”202
.
Più avanti Peirce articola maggiormente cosa intende con l‟idea che la potenzialità si
contragga: pensare l‟universo in evoluzione impone la fatica di estendere il carattere
evolutivo anche, a quello che Peirce chiama “mondo platonico” e per comprendere tale
evoluzione è necessario pensare sostanzialmente a due elementi, il primo è la Libertà, il
caso, la Spontaneità, il secondo consiste in quello che Peirce chiama reazione.
Così come è originaria la Libertà in virtù della quale si configurano infinite qualità, allo
stesso modo è connaturata all‟universo la possibilità che si attuino reazioni tra le qualità,
insomma la potenzialità originaria contiene le qualità, che, proprio in quanto possibilità,
sono portatrici del loro stesso limite, che si evidenzierà nella reazione con le altre qualità.
Qui, avverte Peirce, le qualità non sorgono isolate le une dalle altre e successivamente
entrano in relazione, al contrario esse sono tutte già intrinseche alla potenzialità originaria,
ma quest‟ultima, perché possa dare vita alla storia dell‟universo cioè dare espressione alle
sue infinite qualità, deve differenziarsi, deve rendersi eterogenea, in questo senso la reazione
tra le qualità è un vero e proprio evento, è l‟evento dell‟origine.
L‟origine, infatti, può attuarsi se si rende discontinua, essa è rintracciabile non nelle qualità
così come esse si danno nell‟indifferenziato, ma nel modo in cui esse si estrinsecano nel
differenziato: questa operazione diventa possibile, secondo Peirce, che ha assimilato la
profonda lezione dell‟idealismo, se si presuppone che il discontinuo, grazie al quale si
potranno creare reazioni tra le qualità, costituisca parte integrante dell‟universo, o con le
parole di Peirce, sia un “fattore dell‟universo”.
E allora questo accenno alla visione cosmologica ci aiuta a comprendere che la Primità, se
pur non esaurisce la sua infinita ricchezza, è all‟interno di un tratto discontinuo che realizza
la sua espressione. È nella dialettica continuo-discontinuo che si realizza il passaggio dalla
Primità alla Terzità, ma tale opposizione non si attua soltanto nel passaggio dalla prima
categoria alla terza, ma anche all‟interno di ciascuna categoria.
202
Ivi, p. 1175.
130
Come sempre la Matematica ci viene in aiuto per dare ulteriore consistenza a quanto Peirce
intende dire, infatti l‟esempio geometrico che viene fornito nel testo, qui preso in esame, ne
dà prova.
Leggiamo Peirce: “Poniamo che la lavagna pulita sia una specie di diagramma della vaga originale potenzialità … non
vi sono punti su questa lavagna. Traccio una linea di gesso sulla lavagna. Questa discontinuità è uno
di quegli atti bruti attraverso i quali solamente la vaghezza originale potrebbe aver fatto un passo
verso la definitezza. Vi è un certo elemento di continuità in questa linea. Da dove è venuta questa
continuità? Non è altro che la continuità originale della lavagna che rende continua ogni cosa sopra
di essa. Ciò che ho realmente tracciato è una linea ovale. Infatti questo segno di gesso bianco non è
una linea, è una figura piana nel senso di Euclide- una superficie, e l‟unica linea su di essa è la linea
che forma il limite fra la superficie bianca e la superficie nera. Così la discontinuità può essere
prodotta su questa lavagna solo dalla reazione tra due superfici continue in cui è separata la
superficie bianca e la superficie nera. La bianchezza è una Primità- il sorgere di qualcosa di nuovo.
Ma il confine tra il nero e il bianco non è né nero né bianco, non è nessuno dei due e non è tutti e
due. È l‟accostamento dei due. Per il bianco è la Secondità attiva del nero; per il nero la Secondità
attiva del bianco”203
.
L‟esempio è prezioso perché ci permette di comprendere che la Primità deve rendersi
discontinua per potersi esprimere, perché è la sua traccia ad evocare la continuità, nella
misura in cui ne ritaglia un simile. Le tracce di cui può dar conto la Primità sono
indispensabili al fine di dare avvio ad una catena in cui la traccia della qualità possibile si
riconosca in un esistente e si consolidi attraverso la generalizzazione normativa di un abito.
In modo chiaro Peirce afferma a proposito della Primità:
“la bianchezza o la nerezza, la Primità è essenzialmente indifferente alla continuità. Si presta
prontamente alla generalizzazione ma non è essa stessa generale. Il limite fra la bianchezza e la
nerezza è essenzialmente discontinuo, o antigenerale. È insistentemente questo qui. La potenzialità
originale è essenzialmente continua o generale”204
.
La primità segmentandosi, offre un pezzo di sé, una traccia di quel continuum, da cui essa
stessa proviene, la Primità contrassegna la continuità, cioè l‟unico modo per esprimere la
continuità. La discontinuità, infatti, di cui è capace la Primità è quel tratto materiale al cui
interno è possibile rivelare la potenzialità originaria. La primità non traccia un pezzo della
continuità ma un possibile modo della continuità. la differenziazione della continuità è
sempre nell‟ordine del possibile, nel senso che la differenziazione della potenzialità
originaria non tocca la dimensione dell‟esistenza, cioè la potenzialità originaria tradotta
nella Primità non ha elaborato ancora una differenziazione da cui scaturirà l‟esistente,
quando questo accadrà si è già passati nella Secondità, e si sono create le condizioni perché
esso possa trasformarsi, attraverso la tendenza generalizzante dell‟abito, in norma. La
Possibilità originaria diviene legge.
Ritorniamo all‟esempio, riportato precedentemente, per potere osservare su un piano
diagrammatico i passaggi ora analizzati: “Una volta che la linea sussista per un po‟ dopo che è tracciata, vicino a essa può essere disegnata
un‟altra linea. Molto presto i nostri occhi ci persuadono che c‟è una nuova linea, l‟involucro delle
altre. Questo illustra abbastanza bene il processo logico che possiamo supporre abbia luogo nelle
cose, in cui la tendenza generalizzante costruisce nuovi abiti da occorrenze casuali. La nuova curva,
benché sia nuova nel suo carattere distintivo, deriva tuttavia la sua continuità dalla continuità della
203
Ivi, pp. 1177-78. 204
Ibidem
131
lavagna stessa. La potenzialità originaria è la materia aristotelica o indeterminazione dalla quale è
formato l‟universo. A mano a mano che si moltiplicano, sotto l‟abito di essere tangenti
all‟involucro, le linee rette tendono gradualmente a perdere la loro individualità. Vengono in una
certa misura sempre più obliterate e decadono a semplici aggiunte al nuovo cosmo di cui sono
individui” 205
.
In questo testo dalla prospettiva della continuità è già possibile raccogliere qualche
elemento per comprendere che, pur nella sua immediatezza, il Phaneron implica
costitutivamente la sua mediazione, poiché la continuità è strutturata in maniera tale da
avere in sé il principio della sua differenziazione inerente all‟ordine del possibile e
dell‟esistente, e la ricomprensione di questi ultimi all‟interno di una indefinita legalità.
E se è così, il passaggio dalla Possibilità alla Necessità si lascia comprendere all‟interno di
una ripetizione dell‟origine, che si rende possibile solo se, con un gesto accidentale,
s‟imprime una traccia in virtù della quale si innescherà un processo di differenziazione e di
codificazione mai arrestabile e mai definitivo. Sebbene la riflessione matematica sul
concetto di continuità fornisca un modello significativo, si evince dall‟architettonica del
testo un ampliamento progressivo tale da rendere la continuità il perno di un progetto più
vasto che vedrà in stretta relazione dimensione semiotica, cosmologico-faneroscopia e
metafisica. I problemi che vengono fuori dal versante fenomenologico sono significativi,
poiché stanno a testimoniare il bisogno di una fondazione metafisica. Se le riflessioni di
ordine matematico-logico forniscono i risultati, vedremo più avanti che gli scritti dell‟ultimo
Peirce si impegnano ad offrire sul piano metafisico le loro premesse.
Il nesso tra possibilità, attualità e necessità, ritrova una maggiore esplicitazione
nell‟elaborazione di questo nuovo concetto di Esperienza, così come viene tematizzato in La
Faneroscopia: ovvero la storia naturale dei concetti (1905-1906) e ne La Logica (1908).
L‟esperienza viene concepita come risultato di un‟azione che proviene sia da parte del
soggetto che dell‟oggetto, poiché non è possibile disporre delle due dimensioni
indipendentemente dalla loro relazione: il primo testo di quelli precedentemente menzionati
insiste sull‟azione esercitata da parte del soggetto, il secondo s‟incentra sull‟attività
esplicata dall‟oggetto.
Nel primo testo, scritto tra il 1905 e il 1906, Peirce definisce l‟esperienza in questi termini: “L‟ esperienza è quello stato della cognizione che il corso della vita in qualche sua parte ha imposto
al riconoscimento dell‟esperiente, cioè di colui che è sottoposto all‟esperienza, e generalmente le
condizioni di questa imposizione sono dovute almeno in parte all‟azione del soggetto stesso che
esperisce” 206
.
Nel secondo testo, scritto nel 1908 Peirce argomenta in questi termini :
205
Ivi p. 1179. 206
Phaneroscopy, in Ms 299, trad. it. La Faneroscopia: ovvero, la storia naturale dei concetti (1905-1906), a cura di
M. Luisi in Esperienza e Percezione, Edizioni ETS, Pisa 2008, p. 186.
132
“un Oggetto che sia capace di essere sentito [capable of being Felt] ma che sia in condizioni tali da
essere privato del Feeling, esercita una tendenza attiva e reale, uno sforzo che rasenta il Desiderio
per riguadagnare il suo Feeling naturale […] la Tendenza a essere sentito fa parte dell‟essere stesso
di ogni Oggetto capace di Feeling […] Ciò che è potenziale tende sempre a divenire Attuale e forse
ciò che è immediatamente ed essenzialemente Potenziale, quando è reale, tende sempre Realmente
e attivamente all‟Attualizzazione”207
.
Questi due passaggi esprimono, a mio avviso, una direzione, che si rivela costante nel
pensatore americano ovvero credere che la processualità e l‟azione non siano unilaterali.
Esse, infatti, non stanno dalla parte del soggetto o dalla parte dell‟oggetto bensì riguardano
entrambe: così come il pensiero deve evolversi per comprendere, allo stesso modo l‟oggetto
non può rendere disponibile la sua ricchezza ontologica nell‟immediato, quest‟ultima si
lascia scoprire all‟interno di un processo inarrestabile, il pensiero si svolge grazie
all‟oggetto e viceversa.
La riflessione sul concetto di esperienza si rivelerà particolarmente feconda, poiché fornirà
un piano in cui generale e individuale si risolvono in modo unitario senza sacrificare la loro
distinguibilità, e risultano così fondati ontologicamente. Il concetto di esperienza diventa
espressione delle modalità dell‟operare pragmatico e delle modalità secondo le quali è
strutturato il reale, in questo senso il concetto di esperienza assume una particolare rilevanza
in quanto realizza un‟adeguata comunione tra soggetto e oggetto. Qui il concetto di
esperienza non è più coincidente con la seconda categoria, ma risulta intrinseca ad ogni
singola categoria, ora se da una parte questo rappresenta una novità rispetto all‟analisi
categoriale svolta precedentemente, in realtà, a mio avviso, è un‟esplicitazione
dell‟impostazione precedente, nel senso che già in base alle riflessioni di ordine matematico
sul continuo, si è compreso, pur con tutte le aporie, che non sono separabili continuità e
discontinuità, pur essendo distinguibili. E quindi in tutte le tre categorie sono compresenti
generale e individuale, semmai è la crescita della loro relazione a fare la differenza.
La novità, comunque, sta nel fatto che attraverso questo concetto di esperienza si chiarisce
meglio come la tessitura pragmatica che connota la riflessione sin dagli anni „70 riceva
conferma sul piano ontologico, e finisca per trascendere se stessa, poiché confluisce in un
progetto che matura esiti di tipo metafisico.
In ogni stato dell‟esperienza è presente lo scambio, l‟aiuto reciproco tra soggetto e oggetto,
infatti non è pensabile ad un soggetto che tenti di scavare dentro la natura per scoprire
eventuali leggi, regolarità. Ciò che è possibile scoprire è frutto di un‟attivazione di processi
da parte del soggetto che prevedono un‟azione. Chi osserva la realtà per conoscerla non si
trova in uno stato di passività, deve al contrario elaborare ipotesi perché possa
adeguatamente osservare il reale. L‟esempio, riportato in questo testo, pone in evidenza i
lunghi tempi di preparazione di cui necessita lo scienziato per osservare un fenomeno
complesso, come, ad esempio, l‟eclissi solare. Tale osmosi tra pensiero e reale che si
realizza nell‟Esperienza necessita di una fase in cui l‟oggetto sembra opporre resistenza nei
confronti del soggetto. È proprio dinanzi a tale alterità che il soggetto è sollecitato ad
innovare abiti irrigiditi dalla coazione a ripeterli in assenza di novità provenienti
dall‟incontro-scontro con l‟oggetto. Infatti se l‟oggetto inaspettatamente darà vita a
fenomeni nuovi ciò metterà in discussione le regolarità, le leggi acquisite e solleciterà nuove
risposte, nuove idee per interpretare le nuove modalità assunte dall‟oggetto. In questi
termini l‟oggetto si pone come evento: qui Peirce più che insistere sull‟elemento di
207
Logic in Ms 609 (1908), trad. it. Logica, Ivi, pp.209-210.
133
resistenza rappresentato dall‟oggetto, pone l‟accento sul carattere innovativo di cui
l‟esperienza è capace nell‟incontro con l‟oggetto. Infatti Peirce afferma: “Noi percepiamo
gli oggetti che vengono portati di fronte a noi, ma di cui specialmente facciamo esperienza –
quel genere di cose a cui si deve applicare in modo particolare il termine esperienza- è un
evento”208
.
L‟evento e la preparazione del soggetto introducono elementi dinamici nella conoscenza,
nel senso che se da una parte l‟oggetto si presenta all‟interno di una progressiva ricchezza,
indefinita nel tempo, dall‟altra il soggetto non vede l‟oggetto nella sua staticità, poiché lo
comprende veramente nel momento in cui lo coglie, più che come un elemento discreto,
come una modalità del continuum nel quale potenzialmente si trova già da sempre
predisposta.
Così come il soggetto non vede l‟oggetto soltanto come elemento statico, bruta materia, ma
è come se l‟oltrepassasse con la sua capacità di ipotizzare, allo stesso modo l‟oggetto mette
in discussione gli abiti del pensiero e li sollecita a reinventarsi sotto la spinta innovativa
degli scenari che gli sottopone.
Nella sostanza l‟oggetto non è mai una realtà individuale, è un reale di ordine generale. E di
questo dà prova la Terzità che contribuisce a realizzare l‟unità tra oggetto e soggetto sotto il
segno della legge, poiché in questo stadio l‟evento viene integrato e ricompreso all‟interno
di un continuità regolatrice.
Ciò che si pone come esplicativo di questa unione tra generale e individuale è la visione di
un tempo continuo, in questa prospettiva può risultare più chiara questa idea di Esperienza,
poiché Peirce intende avvertirci del fatto che l‟oggetto si dispiega nel tempo. Se il carattere
evolutivo pertiene al pensiero come al reale, e allora le conseguenze di questa visione
propongono un‟idea di oggetto assolutamente dinamica, aperta, mai conclusa in se stessa.
Ciò che si diceva a proposito dello spazio, riguardo il rapporto tra la linea e i punti, è
possibile estenderlo riguardo gli istanti che costituiscono una sequenza temporale: gli
istanti non sono elementi discreti ma possibilità all‟interno di una linea temporale.
L‟oggetto non si definisce totalmente ma è sempre suscettibile di infinita determinazione. E
qui riecheggia il Peirce degli anni „70, che, impegnato nella controversia tra nominalismo e
realismo, ribadiva che non esistono elementi assolutamente determinati ma elementi
infinitamente determinabili. Ma proprio questa infinita determinabilità diventa espressione
del rapporto imprescindibile tra il continuo e il discontinuo, poiché l‟oggetto nella sua
interezza non è mai immediatamente presente, esso è il continuum che si lascia conoscere
sempre in modo differito, perché è nelle sue discontinuità che possiamo riconoscerne la
fisionomia.
Indipendentemente dalla specificità del modo in cui viene tematizzato il concetto di
esperienza in questi scritti, è possibile ritrovare, pur nelle differenze, una profonda affinità
tra l‟analisi delle categorie condotta nel testo On a New List of Categories e quella
realizzata nei testi della maturità, poiché il fine delle categorie è sempre rivolto alla
comprensione di una possibile integrazione tra unità e molteplicità, generale e individuale.
Ciò che è cambiato sostanzialmente sta nel fatto che le categorie presentano diversi livelli
ontologici, esse infatti non sono più espressione soltanto di un livello formale logico, ma
esse diventano elementi dell‟Esperienza. Ma per capire di quale ontologia stiamo parlando
è bene tenere presente che in seguito alle riflessioni sulla matematica e alla definizione dei
rapporti tra le scienze, il piano ontologico è un piano essenzialmente supportato dal mondo
208
Phaneroscopy, in Ms 299, trad. it. La Faneroscopia, Ivi, p.198.
134
ideale creato dalla matematica, a sua volta spazio genetico di declinazioni logico-
semiotiche209
.
Le categorie sono strutture logico-matematiche riscontrabili nel pensiero e nella natura. La
Matematica precede la logica nel senso che è il luogo per antonomasia dell‟intreccio tra
individuale e generale, immagine e inferenza. Anche nella logica è possibile disporre
dell‟intreccio tra immagine e inferenza, ma è anche vero che nella Matematica questo
intreccio è assoluto, poiché, essa non dovendo fare i conti con il contingente, ipostatizza le
relazioni pensate dal suo ragionamento ipotetico creando così una ontologia e offrendo di
essa una dimensione percettiva, che diventa oggetto di uno sguardo possibile, pur non
essendo contingente. E quindi una ragion pura come quella matematica fornisce un modello
del modo in cui si coniugano le due dimensioni: quella inferenziale e quella percettiva.
Se da una parte si sviluppano parallelamente diversi filoni del pensiero peirceano: la
semiotica, la matematica, la fondazione fenomenologica delle categorie, dall‟altra questi
diversi filoni si intrecciano, ma questo non è casuale, poiché il collante, soprattutto in questa
fase matura del pensiero peirceano, è proprio la matematica, che paradossalmente non si
limita a qualificarsi come scienza puramente formale, o meglio, pur esibendo la sua purezza
diventa modello esplicativo per la formazione delle categorie fenomenologiche. E allora il
quadro di riferimento diventa più chiaro e al tempo stesso più ardito, poiché la posta in
gioco da parte delle categorie non è più soltanto la comprensione sul piano strettamente
formale del modo in cui si concilia il generale e l‟individuale, ma quello di darne conto sul
piano dell‟Esperienza, intesa in termini fenomenologici.
E allora intanto si assiste ad uno spostamento di piani, le categorie diventano ontologiche, e
in questo nuovo contesto i concetti di ground, likeness quale configurazione assumono?
Constatare che la likeness ricompare insieme al termine icon in sede faneroscopica e
laddove i riferimenti alla matematica sono sempre più presenti, ci induce a pensare che tali
termini appaiono agli inizi della riflessione giovanile così controversi, perché ancora al
giovane Peirce non sono chiari i rapporti tra le varie discipline e perché non è stata elaborata
una fondazione fenomenologica delle categorie, sulla base del modello matematico. Questi
termini ora vengono collocati su di un piano molto più vasto, in cui si risolvono in modo più
chiaro i rapporti tra ground e likeness e tutta la controversia riguardante l‟eventuale
referente dell‟immagine, che vedeva opporre i nominalisti ai realisti. I termini della
questione su questi concetti sono cambiati, non si tratta più di capire se un‟immagine può
essere intuita o inferita, se un‟immagine è singolare e individuale o se essa è accessibile in
modo immediato, o ancora se l‟associazione di immagini è frutto comunque di un processo
inferenziale.
Per quanto Peirce riprenderà questi temi in fasi diverse dello sviluppo del suo pensiero, già
nel 1868 e, come abbiamo visto negli anni „70, egli aveva fissato dei punti di non ritorno in
merito soprattutto alla vana pretesa di attingere in modo intuitivo alle immagini e di pensare
ad esse come assolutamente individuali. Ancora una volta nel 1896 Peirce ricorda che lo
statuto della qualità non può risiedere nell‟individualità, perché di essa è l‟esistenza e non
la qualità a porsi come la sua ratio essendi210
.
209
A tal riguardo C. R. Hausman sottolinea che è plausibile pensare che l‟orizzonte della fenomenologia sia quello dei
mondi possibili tracciati dalla matematica, dal momento che quest‟ultima è per antonomasia il regno delle ipotesi e
della libertà assoluta da qualsiasi riferimento all‟esistente. Cfr. Charles S. Peirce‟s Evolutionary Philosophy,
Cambridge University Press, 1993, p.115. 210
Cfr. CP 1.458.
135
Perché il ground da una parte si poneva come condizione del processo segnico e al tempo
stesso si ritrovava incarnato dalla likeness? In che senso la likeness è accordo interno?
Perché Peirce insiste tanto sul fatto che bisogna demolire la visione corrispondentistica
dell‟immagine? Insomma perché la qualità si mostra una e molteplice? Provo a rispondere
dicendo che forse già allora Peirce aveva capito che la categoria della qualità non la si può
comprendere se la si lega ad una dimensione soggettiva o oggettiva, nel senso che essa,
come giustamente rileva Proni, prescinde dalla questione se si pone come conoscenza
oggettiva o soggettiva, poiché la qualità s‟identifica con la Primità, e quindi con la
Possibilità originaria. E in questo senso la Primità esprime una modalità del reale. Ma essa
non esprime qualità che corrispondono necessariamente alle cose, la questione del vero –
falso non è ancora messa in gioco. La Primità spiega il rapporto circolare tra ground e
likeness, poiché essa pone discontinuità, ma tale discontinuità ripone il suo fine nel
tracciare, segnare il continuum nel quale essa stessa consiste. La Firstness è l‟elemento
originario dell‟Esperienza ma allo stesso tempo è anche qualità astratta e analizzabile, in
questo senso precede qualsiasi dualismo, perché essa stessa compone unità e differenza,
infatti in One, Two, Three (1886) Peirce, riferendosi ai filosofi che posero il problema
dell‟arché, afferma con decisione che per spiegare l‟eterogeneità è necessario ipotizzare
“un‟omogeneità indeterminata”dotata di vita e libera.
Già Anassimene, afferma Peirce, pur non disponendo delle conoscenze scientifiche, come
ad esempio il principio della conservazione dell‟energia, aveva imboccato una direzione
giusta nel comprendere che nessuna spiegazione di tipo meccanicistico avrebbe potuto
giustificare il passaggio dall‟indeterminato al determinato211
.
Dunque concentriamo l‟attenzione sulla Firstness, intesa ora come unità ora come infinita
molteplicità, per comprendere in che modo essa può essere esplicativa del rapporto circolare
tra ground e likeness. La Firstness è spontaneità, infinita libera potenzialità e al tempo
stesso è sorgente di infinite determinazioni, e in questi termini il significato di feeling risulta
esplicativo di questa doppiezza che connota tale categoria. Infatti Peirce afferma :
“The quality of feeling is the true psichica representative of the first category of the immediate as it
is in its immediacy, of the present in its direct positive presentness. Qualities of feeling show
myriad-fold variety […] This variety however is in them only insofar as they are compared and
gathered into collections. But as they are in their presentness, each is sole and unique”212
.
Il feeling è un buon esempio della Firstness perché ci permette di avere un‟idea della
compresenza delle due dimensioni di questa criptica categoria: essa, allo stato puro si
caratterizza per il suo carattere indeterminato, per superare la sua virtualità deve marcare
l‟indifferenziato nel quale essa consiste, per mostrarlo deve sintetizzarlo, deve contrarlo
all‟interno di infinite possibilità, cioè deve fornire le sue espressione possibili. Ma la
secondità della Primità s‟inscrive sempre all‟interno della Possibilità, le sue esternazioni
non cambiano statuto. E quindi la difficoltà di capire la Primità sta nel fatto che la sua
molteplicità rimane sempre ascrivibile all‟ordine della possibilità: qui sta il nodo più
intricato, perché è necessario distinguere la varietà multiforme della Primità dalle qualità
analizzabili e determinabili, dal momento che esse sono astratte da un dato e reperibili
211
Cfr. W5:295-296. 212
CP 5.44. Riguardo al termine feeling, utile la definizione fornita dal Webster: “a state of consciousness, or
consciousness in general considered in itself and apart from any reference to an object of perception or of thought [...]
state or quality of that which causes or expresses feeling conceived as embodying this feeling; objectified feeling ”.
Webster‟s, New International Dictionary of the English, by G. & C. Merriam Co., London, 1909, p. 801.
136
nell‟esistenza. Più volte, infatti, Peirce ribadisce che la qualità non va identificata con una
mera occorrenza, al contrario “We are to consider the total as a unit. We may term this
aspect of a phenomenon the monadic aspect of it. The quality is what presents itself in the
monadic aspect”213
.
In considerazione di tale analisi dovrebbe risultare più chiaro che il difficile rapporto tra
ground e likeness esprime sostanzialmente il movimento interno alla Primità: potremmo
dire che il ground corrisponderebbe alla potenzialità originaria, alla pura inferenzialità, che
per esprimersi deve produrre le sue forme possibili, che sono le likeness, che non sono pezzi
di ground ma le infinite forme del ground. Le likeness sono monadi del ground, e allora in
questo senso la likeness è innanzitutto relazione interna ed essa è caratterizzata dal fatto che
la relazione che esprime “è mero concorso (concurrence) dei relati in un unico carattere”.
Sebbene soltanto sul piano strettamente logico, è chiaro a Peirce, già nel 1867, che nella
sua dimensione originaria la qualità è possibilità, è ipotesi, e non è la proprietà di
un‟individualità. La likeness è espressione dell‟infinita relazionalità del ground e in questo
senso il suo referente non è il singolo dato, il suo referente è interno, nel senso che il suo
compito è quello di esibire non un simile dell‟oggetto, ma un simile di quella potenzialità
originaria nel quale l‟esistente potrà riconoscersi. Insomma la likeness segna una possibile
relazione di quella infinità di relazioni costitutiva del ground, in cui è possibile pensare
caratteri attribuibili a possibili oggetti. Ma tutto questo avviene ancora nell‟ambito di
giudizi esistenziali, in cui non è in gioco ciò che esiste effettivamente nella realtà, ma ciò
che potrebbe essere e quindi in questo senso è riscontrabile una fortissima coerenza tra il
giovane Peirce e quello della maturità, perché sia in On a New list of Categories che in sede
di elaborazione fenomenologica delle categorie il rapporto qualità e dato esistente è
assolutamente fuori contesto. Sin dal 1867 Peirce ha compreso che la qualità non è
intelligibile se la si pone dalla parte del pensiero o dalla parte dell‟oggetto, essa piuttosto ha
a che fare con l‟enigma dell‟origine, cioè con la possibile comprensione dell‟unità nella
molteplicità e della molteplicità nell‟unità. Ma questa comprensione ancora non può
esplicarsi adeguatamente perché convive ancora con l‟impianto kantiano, in cui certamente
non si può parlare di statuto ontologico della possibilità, e quindi per quanto, come abbiamo
analizzato, Peirce si sia già adoperato per demolire il pregiudizio corrispondentistico, egli
non ha ancora maturato il grande salto coraggioso, consistente nel conferire valenza
ontologica alla Possibilità.
Ora se gli scritti in cui si elaborano le categorie fenomenologiche risultano esplicativi del
modo in cui Peirce già ai suoi esordi parlava di qualità, poiché le frequenti occorrenze dei
termini image, likeness sono più chiaramente lette in chiave ontologica, in questi stessi
scritti si condensa l‟assimilazione di tutta la forza speculativa della concezione matematica,
che costituisce la miniera ricchissima a cui attinge la fenomenologia di Peirce. Non è un
caso che in alcuni scritti di matematica si ritrovino riflessioni che hanno a che fare con ogni
campo dello scibile umano a testimonianza della capacità da parte del ragionamento
matematico di spendersi come modello possibile per ogni forma del sapere, e in particolare
i termini, ora citati, che in diverso modo esprimono la somiglianza come modalità di
conoscenza, ricorrono, come abbiamo avuto modo di constatare, frequentemente e svolgono
un ruolo fondamentale nel ragionamento matematico con la produzione di idee nuove e
l‟esibizione di percorsi assolutamente inediti. Qui ciò che interessa sottolineare è che
termini come likeness e image, che trovano una loro sintesi adeguata nel concetto di icona,
213
CP 1.424.
137
non risultano comprensibili se li si analizzano indipendentemente dalle feconde intersezioni
tra logica, matematica, faneroscopia e semiotica.
In diversi passaggi dei suoi testi fondamentali di logica matematica o di logica grafica tra la
fine degli anni novanta e gli inizi del novecento Peirce ribadisce la centralità del momento
iconico all‟interno del ragionamento e soprattutto la sua equivalenza con i diagrammi di tipo
logico-matematico, ponendo in evidenza l‟intenzione mai abbandonata di trovare un nesso
profondo tra le varie forme del sapere, e soprattutto l‟idea che il pensiero, affinché diventi
creativo, deve compiere un atto sintetico che consiste nella introduzione di un‟idea non
contenuta negli elementi disponibili, grazie alla quale scoprirà relazioni inedite.
L‟icona rivendica una trasversalità che permette la confluenza di tutti i vari plessi
dell‟architettonica peirceana, nel mostrarsi congeniale alla produzione di un atto sintetico,
che per Peirce consiste nel supportare il processo conoscitivo con immagini, che siano
rivelative di nessi altrimenti inaccessibili e senza i quali sarebbe impossibile comprendere il
reale. In questo modo l‟icona rivela anche la sua forza veritativa perché l‟immagine
introdotta pretende di valere per il reale, e non si pone come un semplice arbitrio214
.
A partire dai rapporti tra icona, abduzione, diagramma matematico, e Firstness si è cercato
di mostrare l‟icona come spazio di intersezione tra i percorsi fondamentali del pensiero
peirceano, e come piano in cui le idee nuove fanno la loro comparsa per giocare la sfida più
difficile, quella di esibire le figure del reale. L‟icona, indipendentemente dalla forma di
sapere in cui opera, sperimenta mondi possibili che possono diventare le tracce attraverso le
quali accedere al reale.
5) L’icona e il progetto semiotico
La semiotica degli scritti della maturità risulta così ben assestata su basi pragmatiche e
fenomenologiche. Se il pragmatismo essenzialmente si pone come logica dell‟abduzione,
grazie alla quale è possibile pervenire alla deduzione di leggi in grado di spiegare la natura,
è provato sul piano induttivo, come dice Peirce nella lettera a Calderoni, che anche la natura
abbia una sua dinamica evolutiva, in cui convenendo con il pensiero esplica possibilità, le
quali, incarnandosi in occorrenze e in leggi effettivamente operanti, delineano un cosmo in
fieri, caratterizzato da un continuum autotrasformantesi.
In questi termini la ricerca fenomenologica ancora la possibilità al reale: il phaneron
esprime l‟idea che il punto di partenza non è il dato da esperire ma l‟esperibile, il possibile.
La datità dell‟esperienza può essere compresa se pensiero e reale condividendo il possibile
si incontrano e si aprono alle sorprese dell‟esperienza che non possono essere integrate e nel
pensiero e nella natura, se non grazie a questa apertura originaria della Possibilità che
accomuna pensiero e realtà. È necessario non arrivare a cose fatte cioè bisogna decostruire
la coscienza ed evitare di presupporre bell‟è pronto il dato per dar conto del nesso tra le due
dimensioni, per comprendere come esse scaturiscano da un unico ceppo. La fenomenologia
ci insegna che bisogna mettersi dalla parte della Possibilità originaria che è puro
movimento, produttività continua.
Ora la struttura del segno è proprio la declinazione degli elementi riscontrabili nel phaneron
ovvero le tre categorie di Primità, Secondità e Terzità.
214
Evidentemente l‟icona perché possa accertare la veridicità della sua idea deve essere mediata dall‟indice e dal
simbolo. Cfr. CP. 3.419; 4.479.
138
I segni in se stessi, i segni considerati in connessione con i loro oggetti, e i segni in relazione
ai loro interpretanti esprimono rispettivamente i loro rapporti con le categorie. I segni,
infatti, hanno lo scopo di far comprendere come nel mondo, non ideale proprio della
matematica o quello propriamente scientifico delle scienze idioscopiche, ma quello reale,
quotidiano sia possibile rintracciare leggi, unità, a partire non già dai dati ma da quello che
può configurarsi come possibile in modo tale da giustificare, da asserire le pure possibilità
che si incarnano nelle occorrenze del mondo esperibile, quotidiano, condiviso da tutti. E
allora i segni considerati in se stessi come le icone, proprio per la loro capacità di concepire
i possibili oggetti in virtù di qualità intrinseche ad esse, esprimono una potenzialità che è
quella che caratterizza la Primità (possibilità). L‟indice è assimilabile alla Secondità
(esistenza), poiché qualificandosi come segno per la connessione fisica che istituisce con
l‟oggetto esprime un esistente. Il simbolo come espressione di una regola declina la terzità
che rappresenta la legge (necessità).
Tale impianto fenomenologico della semiotica è in linea con l‟architettonica di Peirce che
colloca la semiotica all‟interno della classificazione delle scienze come scienza normativa,
che come l‟etica e l‟estetica, è fondata dalla fenomenologia. E in virtù di questa fondazione
si giustifica il nesso profondo tra la semiotica e il pragmatismo, e l‟affinità con il metodo
astrattivo della matematica in cui l‟osservazione, l‟ipostatizzazione e la deduzione di leggi
sembrano trovare il loro luogo ideale. E inoltre tale base fenomenologica spiega anche
meglio l‟identificazione della logica con la semiotica, poiché la logica nella struttura
fenomenologica ritrova i propri fini e nella semiotica, avvalendosi di icone e indici, può
esercitare la sua pratica in un mondo, non più confinato a quello della logica formale,
dominato dall‟egemonia dei simboli, ma coincidente con quello dell‟esperienza reale.
La definizione di semiotica offerta da Peirce infatti si rivela chiarificatrice: “Logica, nel suo senso generale, è come credo di aver dimostrato, solo un altro nome per semiotica:
la quasi necessaria, o formale, dottrina dei segni. Descrivendo la dottrina come quasi –necessaria, o
formale, intendo che osserviamo i caratteri di tali segni quali li conosciamo, e da tale osservazione,
attraverso un processo che non esito a chiamare Astrazione, siamo portati a giudicare
eminentemente fallibili, e quindi in un certo senso niente affatto necessari, su quelli che devono
essere i caratteri di tutti i segni usati da una intelligenza scientifica, cioè da una intelligenza capace
di apprendere attraverso l‟esperienza. Quanto a quel processo di astrazione, è esso stesso una specie
di osservazione [...] Costruisce nella sua immaginazione un diagramma, o schema sommario
rappresentativo, di se stesso; considera quali modificazioni lo stato ipotetico delle cose
richiederebbe che venissero fatte in questo quadro, e poi lo esamina […] Attraverso tale processo di
astrazione, che è in fondo assai simile al ragionamento matematico, possiamo raggiungere
conclusioni su cosa sarebbe vero dei segni in tutti i casi, nella misura in cui l‟intelligenza che li usa
fosse scientifica“215
.
Ora sebbene la semiotica non disponga di un mondo puramente ideale in cui elaborare
deduzioni assolutamente necessarie, perché il suo mondo è reale, la sua grammatica segnica
darà vita, insieme all‟impianto fenomenologico, all‟ambizioso progetto di scrittura iconica,
che unendo sapientemente l‟inesauribile originalità dell‟ipotesi e il rigore proprio della
deduzione, abilita i diagrammi a qualificarsi come fondativi e non semplicemente come
specchio rigido della realtà, e pone le condizioni perché il suo gesto grafico possa far valere
le sue risorse abduttive e la sua potenziale plasticità. La teoria dei grafi esistenziali sarà
oggetto di riflessione nel discorso che si svilupperà più avanti, intanto è importante
sottolineare come il progetto semiotico, con la sua impalcatura fenomenologica, e con un
215
Peirce, Opere, cit., p.147.
139
metodo che sostanzialmente richiama quello matematico, estende progressivamente i suoi
confini, rivelando a pieno titolo valenze ontologiche.
La semiotica di Peirce sicuramente rimane il tratto più appariscente della speculazione
peirceana, nel senso che è come se concentrasse all‟interno del corpo e dell‟anima del segno
il frutto più fecondo della riflessione fenomenologica, matematica, logica, pragmatica, che
consiste nel ritenere imprescindibile l‟introduzione di un‟idea per conoscere qualcosa di
nuovo, sia esso relativo ad un mondo ideale, sia in riferimento al mondo dell‟esperienza. E
tale idea, se si rivelerà efficace, non sarà soltanto valida ma anche vera per il reale. “Il segno deve agire sulla mente dell‟interprete in modo tale che quest‟ultimo sia colpito
sostanzialmente come se fosse colpito dall‟oggetto stesso (infatti, se un segno è ingannatore non è
segno del suo oggetto (infatti, se un segno è ingannatore non è segno del suo oggetto), benché
l‟interprete percepisca che è il segno e non l‟oggetto stesso che lo colpisce in modo diretto”216
.
Il segno, infatti non è una realtà statica, è quel corpo in cui possiamo leggere lo
svolgimento del pensiero e al tempo stesso del reale, poiché esso serve ad introdurre nuove
idee da cui emergeranno sempre nuove forme del reale. In questi termini il segno è pieno,
potremmo dire, perché il suo compito non è quello di rispecchiare la realtà bensì quello di
far transitare su di esso il reale per conferirgli una forma possibile. Insomma Peirce è come
se volesse dire che il segno non arriva dopo che il reale si è conquistato la sua forma, il
segno al contrario è già da sempre presente insieme al reale, nel senso che è partecipe
intrinsecamente al suo processo di identificazione: senza segno non è possibile dar conto
dell‟evoluzione del pensiero, così come pure senza segno il reale rimane muto.
Alla luce della tematizzazione della primità, può risultare utile ritornare alla nozione di
representamen per mettere in evidenza che il punto nevralgico della questione segnica sta
proprio nel primo livello segnico, perché esso, privo di indicalità e simbolicità prende su di
se il carico di dar vita al processo di significazione, ha il difficile compito di aprire il campo
semantico non soltanto per dedurre le condizioni di possibilità degli oggetti, ma anche per
dedurre i possibili oggetti. In questo senso non si presuppone l‟oggetto nell‟illusione di
riprodurlo, al contrario lo si immagina per potere istituire un rapporto con esso sia pure
ancora all‟interno di una dimensione possibile.
Non è un caso che proprio riguardo il concetto di representamen Peirce si esprima così: “Precisamente mentre nessun Representamen opera effettivamente come tale finché non determina
effettivamente un Interpretante, tuttavia un Representamen è reso tale dal pieno possesso della
capacità di determinarlo. Quindi la sua Qualità Rappresentativa non dipende necessariamente dal
fatto che esso determini ogni volta effettivamente un interpretante, e neppure dal fatto che esso
abbia effettivamente un oggetto”217
.
Il segno anticipa e la dimensione dell‟interpretante e la dimensione dell‟oggetto nello stadio
in cui esprime la qualità: tale struttura è la medesima nelle tre tricotomie delineate negli
scritti della semiotica matura. Nel caso della prima tricotomia, il segno è considerato in base
al suo carattere ovvero come Qualisegno, Sinsegno, Legisegno, sicuramente il segno si attua
nel secondo e nel terzo livello, perché nel secondo livello, ad esempio, una sillaba, afferma
Peirce, può essere intesa come una cosa esistente, e nel legisegno viene riconosciuta come
l‟occorrenza, la replica di un tipo generale, di un segno convenzionale. Ma sebbene il segno
si realizzi nel secondo e nel terzo stadio, l‟occorrenza e la convenzionalità del terzo stadio
implicano le qualità del segno, poiché esse costituiscono la ratio essendi del segno. Sono le
qualità intrinseche del segno a rendere possibile la relazione semiotica. Se il segno riesce a
216
Peirce, Saggi sul Significato (1909), a cura di Giovanni Maddalena, Utet, Torino, 2005, p.672. 217
Peirce, Syllabus (1902), cit., p. 164.
140
mediare tra oggetto e interpretante, ciò è possibile perché sintetizza, offrendo un‟idea di
unità dell‟oggetto cui rinvia, e così facendo determina un interpretante. Così come nella
Primità si presenta un‟unita non ancora esplicata, inanalizzata, una potenzialità originaria,
che è possibile comprendere soltanto nella Terzità, allo stesso modo nel qualisegno si
anticipa la dimensione dell‟esistente e dell‟interpretante mostrando una possibile qualità. Il
qualisegno, infatti, secondo Peirce, partecipa della natura di un‟apparenza e non ha
un„identità, ed è per questo motivo che diventa impossibile fornire esempi di qualisegno,
perché esso non ha i vincoli dell‟esistente e nemmeno quelli della legge, che, pur non
essendo un individuale dispone di una “identità definita”.
Nella seconda tricotomia, icona, indice e simbolo, quella ritenuta dallo stesso Peirce “la più
fondamentale suddivisione dei segni”, in cui il segno viene considerato in rapporto
all‟oggetto, emerge in modo più evidente l‟operato dell‟icona.
Qui si sottolinea l‟assoluta indipendenza dell‟icona rispetto alla dimensione esistente del
referente, dal momento che l‟icona si rapporta all‟ oggetto in virtù della sua intrinsecità.
Vero è che sarà necessario un indice e un simbolo rispettivamente per mostrare l‟icona, però
quello su cui insiste Peirce è che la qualità espressa dall‟icona risulta assolutamente
indipendente e dall‟oggetto esistente e dall‟interpretante, e così ritorniamo alle
considerazioni svolte precedentemente, quelle in cui si metteva in evidenza che la questione
dell‟icona assume caratteri radicali perché, la qualità non sta né dalla parte
dell‟interpretante, né dalla parte dell‟oggetto, perché esprime il gesto originario del segno,
che consiste nell‟introdurre un‟idea grazie alla quale si può immaginare un possibile
oggetto. L‟icona si fa mediatrice di un‟idea, nella misura in cui quest‟ultima si identifica
con una possibilità o Primità. Chiaramente non è disponibile l‟icona intesa come primità,
bensì riscontrabili nell‟esperienza sono le ipoicone che Peirce distingue in immagini,
diagrammi e metafore: un dipinto o un‟espressione algebrica possono essere considerati
esempi di ipoicone. Ma le ipoicone non devono essere assolutizzate nel senso che esse non
sono da intendersi in modo statico ovvero come mere riproduzioni di enti altrettanto stabili,
esse certamente costituiscono l‟unico modo per poter disporre dell‟icona, e allora dobbiamo
valutare queste ipoicone come aperture originarie di significato, infatti, secondo Peirce,
sebbene un‟espressione algebrica possa essere considerata un segno convenzionale, in
realtà non è valutabile in questi termini, perché lo specifico dell‟icona sta nella sua
intrinseca dinamicità, nel senso che la sua stessa oggettivazione diventa la base per la
scoperta di verità assolutamente inedite rispetto a quelle di cui si disponeva al momento in
cui è stata realizzata. Per capire l‟icona bisogna affrancarsi dal cosiddetto iconismo ingenuo,
un esempio può essere quello a cui ricorre lo stesso Peirce: “Le fotografie, specialmente le istantanee, sono molto istruttive, perché sappiamo che esse sono per
certi aspetti esattamente uguali agli oggetti che esse rappresentano. Ma questa rassomiglianza è
dovuta al fatto che le fotografie sono state prodotte in condizioni tali che esse erano fisicamente
costrette a corrispondere punto per punto all‟oggetto in natura. Sotto questo aspetto, dunque, esse
appartengono alla seconda classe dei segni: quelli per connessione fisica”218
.
La connessione fisica con l‟oggetto è propria dell‟indice, in cui non è possibile prendere atto
della presenza di un referente, il cui significato lo possiamo reperire se si attiva l‟icona, la
quale precede l‟oggetto nel senso che prepara le condizioni per il suo riconoscimento. Ma
questo che è il carattere fondamentalmente semiotico, come si è argomentato
precedentemente, è anche quello che ci viene offerto dal ragionamento matematico, il quale
218
Peirce, That Categorical and Hypothetical Propositions (1895), cit., p. 166.
141
per arrivare alle sue deduzioni prende le mosse sempre da uno stato ideale, possibile di cose.
E quindi in questo senso ritorna sempre l‟equivalenza con la ragione matematica, la quale,
come si è mostrato precedentemente, fornisce un terreno assolutamente evidente
dell‟impossibilità di trattare l‟icona in relazione di corrispondenza con l‟oggetto, e
soprattutto della necessità dell‟uso delle icone per potere accedere alla scoperta di leggi, di
principi universali.
Ma questa equivalenza con la ragione matematica si esprime in modo altrettanto forte con la
ragione logica, la quale ci permette di capire come su questo stesso fronte verrà confermata
la fondamentalità dell‟icona.
Infatti in base alla terza tricotomia - rema, dicisegno (proposizione), argomento- che
considera il segno in riferimento al suo interpretante, si pone anche qui in evidenza il
carattere radicale dell‟icona nella sua versione rematica. Peirce afferma che l‟icona intesa
come possibilità logica non può che essere equiparata ad un segno di essenza ovvero un
rema, infatti Peirce definisce il rema come un segno che esprime i caratteri dell‟oggetto, il
dicisegno come un segno che si rapporta all‟oggetto quanto alla sua esistenza effettiva e
infine il simbolo come un segno che spiega, giustifica, asserisce quanto è stato assunto in
merito all‟oggetto. Peirce afferma che sia icone che indici non hanno la facoltà di asserire,
semmai un‟icona può essere equiparata ad un enunciato ipotetico, ad un‟assunzione,
giammai ad un‟asserzione. Ma il punto importante è che l‟asserzione diventa, secondo
l‟andamento triadico che caratterizza l‟impianto peirceano, uno sviluppo a partire
dall‟assunzione, e quindi anche sul piano strettamente logico si prova la radicalità del segno
iconico-rematico. Infatti nella proposizione il predicato assume una funzione centrale,
poiché l‟icona esprime una relazione che si dà nella forma del predicato, e il soggetto
servirà a determinare il verbo219
, nella misura in cui si identificherà con l‟indice, che come
sappiamo mette in connessione il segno con l‟oggetto, e il simbolo servirà ad asserire la
relazione tra soggetto e predicato, istituendo un codice. Allo stesso modo nella triade interna
all‟argomento- abduzione, deduzione e induzione- il momento iconico-abduttivo si rivelerà
imprescindibile, poiché è dalle assunzioni elaborate in questo stadio che la deduzione
giungerà alla dimostrazione della sua tesi. Infatti in un passo riguardante l‟analisi della
tricotomia dell‟argomento Peirce afferma: “Una deduzione Teorematica, dopo aver
rappresentato le condizioni della conclusione in uno schema o diagramma, compie un
operazione ingegnosa su di esso, e dall‟osservazione del diagramma così modificato accerta
la verità della conclusione”220
.
219
Utile anche questa definizione di rema ai fini della trattazione dei grafi esistenziali: “Supponiamo che alcune parti di
una proposizione vengano cancellate in modo da lasciare spazi vuoti al loro posto, e che questi spazi vuoti siano di tale
natura che se ciascuno di essi viene colmato con un nome proprio il risultato sarà una proposizione; allora la forma
vuota di proposizione che prima era stata prodotta dalle cancellature è detta rema”. Peirce, Nomenclature and Divisions
of Triadic Relations (1903), cit., p. 163. 220
Ivi, p. 161. Qui si avverte l‟assimilazione della lezione logico-matematica all‟interno dei plessi che formano
l‟edificio semiotico. La deduzione perde il suo carattere convenzionale perché già in ambito logico- matematico si
configura come sviluppo consequenziale di un‟assunzione, e quindi essa nella nomenclatura semiotica corrisponderà al
momento indicale, e non più al simbolo, al quale corrisponderà l‟induzione, che diventa verifica sperimentale delle
conclusioni elaborate dalla deduzione. Ciò implicherà un processo di generalizzazione che non sarà disciplinato dalla
necessità, ma in un certo senso sarà condizionato da un certo tasso di arbitrarietà e quindi di convenzionalità. In questo
senso l‟induzione è associata al simbolo. Questa corrispondenza induzione –simbolo, la si comprende nel momento in
cui l‟induzione si è realizzata, ma se si coglie l‟induzione nel suo farsi, essa non risulterà convenzionale, poiché in quel
momento l‟ induzione è alla ricerca dei fatti, in virtù dei quali potrà operare quel processo di generalizzazione,
funzionale all‟istituzione della regola. Da ciò si evince come i plessi dell‟impianto semiotico non sono statici ma
assecondano la plasticità del segno e assimilano gli esiti originali che la riflessione del pensatore americano via via
integra lungo il suo tormentato e soltanto apparentemente cammino dispersivo.
142
Ancora una volta il primato iconico, anche in questa triade viene confermato, poiché è la
costruzione dell‟icona che consentirà di introdurre nuove idee e di istituire nuove
connessioni in base alla contemplazione della sua stessa costruzione.
Alla luce dell‟analisi effettuata dalle tre tricotomie, si comprende meglio il passo ( 2.275) in
cui Peirce pone in evidenza il ruolo svolto dalla qualità rappresentativa e la sua
indipendenza rispetto all‟oggetto e all‟interpretante. E si comprende forse anche meglio
perché Peirce torni a parlare di ground: “Un segno, o representamen, è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto o
capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un segno equivalente, o
forse un segno più sviluppato. Questo segno che esso crea lo chiamo interpretante del primo segno.
Il segno sta per qualcosa: il suo oggetto. Sta per quell‟oggetto non sotto tutti i rispetti, ma in
riferimento ad una sorta di idea che io ho talvolta chiamato la base (ground) del representamen”221
.
Il ground è ciò che tiene insieme i due lembi, quello del pensiero-segno e quello del reale.
Se provo a pensare il ground lo trovo già vincolato al segno, se penso al modo in cui nasce
il segno, il ground è l‟unica condizione possibile.
Forse la collocazione del ground all‟interno della semiotica matura può risultare più chiara
se si tiene presente l‟impalcatura fenomenologia, e in particolare, la Primità. Essa, in quanto
potenzialità originaria, è indipendente da qualsiasi cosa, essa precede qualsiasi forma di
dualismo, in questo senso essa supporta il ground perché garantisce la base ontologica del
generale come possibilità. Il ground è condizione del processo segnico, poiché assolve alla
funzione di offrire i possibili significati che saranno veicolati dalla catena segnica, e questi
ultimi si potranno esplicare in un tempo indefinito, esso, qualificandosi come un rispetto, è
un generale ed è come se volesse garantire il realismo, al quale Peirce sembra approdato in
modo sicuro. Il ground, posto come condizione del processo segnico, intende dar prova
della profondità della lezione pragmatica, poiché se è vero che i generali sono operanti nella
realtà, ed è tramite la loro azione che il processo segnico cresce ed evolve sempre in
direzione di nuovi abiti, di nuove regole che incanaleranno il flusso del reale, il ground è un
generale originario, poiché la sua effettualità si esplica nell‟innesco della catena segnica. Il
ground, oltre a costituire la riserva inesauribile a cui attinge la relazione segnica, e a
mostrare così l‟intima dinamicità del representamen, che non si configura come una realtà
statica, poiché il suo corpo iconico serve da base per estrinsecare i significati in esso
contenuto, esso rappresenterebbe ogni garanzia contro riduzioni solipsistiche dell‟ordinamento
segnico, poiché starebbe ad attestare che il segno nel suo sviluppo ha il compito di tirar
fuori tutta la potenzialità originaria per approssimarsi all‟oggetto totale, che esiste
indipendentemente dal rappresentazionismo segnico.
L‟indipendenza del reale non soltanto evita di far cadere il segno nel relativismo ma
giustifica la radice non meramente convenzionale del segno.
Il segno diventa un corpo fenomenologico e attraverso la sua crescita si delinea una
fisionomia che affonda le sue radici nel mondo della potenzialità originaria del ground. In
questo senso l‟idea nuova introdotta che accomuna il procedimento di conoscenza dello
scienziato e dell‟artista non è arbitraria perché deriva la sua legittimità, per quanto ancora in
attesa di verifica, da una dimensione di alterità rispetto alla grammatica segnica. E quindi
obbedendo ai criteri metodologici del pragmatismo la catena segnica prenderebbe il suo
avvio in virtù di un‟azione, che sebbene indiretta, viene esercitata dal ground. In questi
termini il ground attesterebbe l‟idea che tutta la costruzione segnica mette capo di fatto a
221
Peirce, Opere, cit., pp. 147-148.
143
qualcosa che è indipendente da essa. Ma questo non inficia la forza della catena segnica,
anzi la consolida, poiché, ad eccezione del simbolo, agli altri livelli dei segni non viene
affidato il compito di significare in modo convenzionale la realtà, al contrario ai segni viene
chiesto, avvalendosi della loro impalcatura, di far emergere quelle determinazioni
dell‟oggetto totale, che altrimenti non sarebbero intelligibili. E quindi, come si è
argomentato nelle pagine precedenti, il ground si qualificherebbe come la condizione
trascendentale della struttura fenomenologica del segno. Essa sta a significare il movimento
originario a cui attinge l‟incessante processo segnico, il ground è pura relazione e allude
all‟oggetto totale, che vive comunque delle relazioni esplicate dal segno, sebbene
quest‟ultimo le rinnova, le arricchisce sempre, con il fine di far convenire pensiero e reale.
Già negli scritti sulla massima pragmatica Peirce in qualche modo anticipa ciò che dirà
relativamente all‟oggetto totale o dinamico, come lo definisce Peirce negli scritti della
semiotica matura, poiché afferma con decisione la permanenza della realtà esterna,
sostenendo che, al di là delle diverse apprensioni soggettive, esistono cose reali indipendenti
dalle condizioni umane. E se la ricerca sulle cose reali sarà approfondita, a lungo termine il
pensiero convergerà con la nozione di realtà. Infatti se nel saggio Il Fissarsi della credenza
si ribadisce l‟indipendenza della realtà, nel saggio Come rendere chiare le nostre idee
Peirce enuncerà la celeberrima formulazione della verità come opinione finale nella quale si
riconoscerà la comunità scientifica, in virtù della quale pensiero e reale troveranno il loro
accordo.
L‟elaborazione in sede fenomenologica contribuisce a rinsaldare l‟idea di una permanenza
esterna della realtà, così come è stato argomentato precedentemente, ma al tempo stesso
permette di comprendere l‟interrelazione tra le categorie. Nella conoscenza del reale questo
si verifica quando l‟esperienza ci sorprende e mette in discussione tutte le nostre aspettative,
poiché qualche fenomeno non si conforma agli abiti precostituiti. E allora tramite la
secondità il pensiero è indotto a congetturare per integrare i nuovi dati fenomenici in insiemi
coerenti e fallibili. Ora ciò che è importante sottolineare è che la realtà esterna “si dice in
molti modi”, in che senso? Se Peirce si limitasse a sostenere che il reale è esterno a noi, non
si coglierebbe l‟intrinseca dinamicità e soprattutto l‟incessante trasformazione della realtà
esterna. Essa non esiste come dato statico, e allora non possiamo pensarla slegata dalle altre
due categorie, le quali, rappresentando rispettivamente i reali possibili e i reali generali,
concorrono a potenziare tutte le modalità dl reale, sebbene non possano esercitare alcuna
effettualità diretta sul pensiero –segno, così come può fare la secondità vera e propria.
Infatti nella relazione segnica si attua un‟effettualità non efficiente ma di tipo finale che è
determinata dall‟oggetto dinamico. Lungi dal considerare l‟oggetto dinamico come una
realtà noumenica, che finirebbe da un lato per ipostatizzare l‟idea di un primum coglibile
immediatamente dal pensiero, dall‟altro per mettere in discussione i tasselli con i quali
Peirce edifica il suo impianto gnoseologico- la demolizione del concetto di intuizione,
l‟impossibilità di pensare senza segni e l‟inconcepibilità dell‟inconoscibile- è da identificare
l‟oggetto dinamico con il referente del segno, ma di cui è possibile dar conto soltanto
quando già la relazione segnica è stata innescata.
Alcune definizioni dell‟oggetto dinamico, a mio avviso, lasciano intendere come la
questione del referente sia essenziale per capire lo spessore fondazionale della semiotica
peirceana, a patto che il referente lo si intenda non come l‟oggetto che si dovrebbe svelare
oltre la catena segnica, ma come quell‟oggetto esplicabile, se pur in modo indefinito,
attraverso la catena segnica. Infatti la distinzione posta tra oggetto immediato e oggetto
dinamico potrebbe essere letta come espressione di una interdipendenza tra segno e oggetto
144
e dei limiti delle rispettive aree: se da una parte il segno non può pretendere di trasferire
completamente l‟oggetto in sé nella sua dimensione, dall‟altra l‟oggetto dinamico deve
accettare la dipendenza dal segno, perché ne vale della possibilità della sua conoscibilità.
Quando si interroga nella lettera a Lady Welby in merito all‟oggetto del segno, Peirce pone
una differenza tra oggetto immediato e dinamico: “As to the Object, that may mean the Object as cognized in the Sign and therefore an Idea, or it may
be the Object as it is regardless of any particolar aspect of it, the Object in such relations as
unlimited and final study would show it to be. The former I call the Immediate Object, the Latter the
Dynamical Object”222
.
L‟oggetto dinamico infatti, secondo Peirce, coincide con l‟oggetto di ricerca della scienza, è
l‟oggetto che infinitamente necessita di essere indagato per svelare di esso tutte le infinite
implicazioni.
Quindi l‟oggetto dinamico è una realtà che si svolge in the long run e il suo dispiegamento
è imprescindibile sia per conoscere la sua inesauribile ricchezza sia per garantire basi solide
alla prospettiva realistica del pensatore americano. La sua esplicazione non può che attuarsi
attraverso determinazioni individuali, veicolate dai segni. E allora in questi termini
diventano fondamentali le seguenti definizioni: “But it is necessary to distinguish the
Immediate Object, or the Object as the Sign represent it, from the Dynamical Object, or
really efficient but not immediately present Object”223
. E ancora: “Namely, we have to distinguish the Immediate Object, which is the Object as the sign itself
represent it, and whose Being is thus dependent upon the Representation of it in the Sign, from the
Dynamical Object, which is the Reality which by some means contrives to determine the Sign to its
Representation”224
.
Queste due definizioni tratte da testi scritti rispettivamente nel 1904 e nel 1906 non saranno
smentite dai testi successivi, e, collocate l‟una in ambito strettamente semiotico e l‟altra in
sede logico-grafica, ci confermano l‟estensione del progetto semiotico. Esso con le sue
radici fenomenologiche si rende logico-grafico e metafisico, poiché l‟idea di un progetto
totale, il cui dispiegamento coincide, se pur in un processo indefinito con il pensiero segno,
si connota come metafisico. Qui metafisico non significa andare oltre le cose, ma rimanere
all‟interno di esse per cogliere quella relazione profonda fra loro che restituirà in fieri
l‟oggetto totale o, come lo denomina Peirce, l‟oggetto dinamico. Queste due definizioni, se
pur brevi hanno il pregio di sintetizzare le leve di comando principali dell‟ingranaggio
semiotico ovvero la processualità del segno e l‟eliminazione di ogni visione
corrispondentistica. Il segno non è determinato dall‟oggetto dinamico, nel senso che ad esso
deve corrispondere, il loro rapporto non è caratterizzato da uno schema di causalità
efficiente, il segno raccoglie le sollecitazioni da parte dell‟oggetto dinamico per ideare
significati, che lungo il processo cresceranno, al fine di delineare il reale, altrimenti
destinato a rimanere contratto e inesplicabile. L‟oggetto dinamico non dispone di causalità
efficiente, poiché non è un‟ occorrenza, non è un esistente, semmai determina il segno in
termini di causalità finale: orienta il segno a che sia in grado di dar vita a quelle relazioni in
esso implicate. Il segno prende le mosse dall‟oggetto dinamico, nel senso che è affidato al
segno il compito del suo svolgimento, e sebbene questa esplicazione non potrà realizzarsi in
modo compiuto, il segno rincorrerà sempre nuovi significati per dispiegare ulteriormente le
complesse relazioni disegnate dall‟orizzonte dell‟oggetto dinamico.
222
CP 8.183. 223
CP 8.343. 224
CP 4.536.
145
E in questo senso concordo con C. R. Hausman, il quale conclude la sua acuta analisi
sull‟oggetto dinamico, affermando che postulare l‟oggetto dinamico si rivela, oltre che
un‟assunzione congeniale al senso comune e alla scienza, un‟ipotesi preziosa per
comprendere che “The occurrence of metaphors as instruments of language growth […]
they are not nonsense utterances that happen to succed in persuading language users to
change their ways. They are contributors – the sources of which are a dynamic
(hypothetical) extralinguistic world”225
.
In questa prospettiva la semiotica di Peirce non può essere considerata un sistema
autoreferenziale e convenzionale, non è un caso che Peirce in sede di riflessione
cosmologica e metafisica ribadisca che la natura conviene con il pensiero, poiché l‟universo
è pensato come un representamen.
In diversi scritti Peirce afferma ripetutamente che così come crescono i segni, cresce la
natura, poiché essa stessa è segno, è processo e rivela la tendenza ad assumere sempre nuovi
abiti. L‟esperienza, anche nella sua apparente staticità, quando essa si presenta come dato,
profondamente crea un‟occasione perché quel dato possa essere riorganizzato,
reinterpretato. Ma ciò non vale soltanto per il pensiero, poiché i generali elaborati dal
pensiero-segno incidono e diventano operanti anche all‟interno della natura, nel senso che
“[...] ideas are not all mere creations of this or that mind, but on the contrary have a power
of finding or creating their vehicles, and having found them, of conferring upon them the
ability to transform the face of the earth”226
.
Le idee non appartengono alle menti, semmai al pensiero che evolve e che crea le
condizioni perché i limiti delle definizioni vengono spostati, innovati, rivisti.
Ma se le definizioni e quindi i limiti fissati da esse possono essere innovati e con essi i
membri contenuti all‟interno di quelle classi, e allora in questo modo si coglie l‟intima
relazione tra gli enti esistenti e le possibilità incarnate in abiti consolidati dal rigore delle
leggi scoperte. In sostanza se cambiano le definizioni anche i loro membri vengono
riorganizzati, subiscono un profondo mutamento. E questo accade, secondo Peirce, nelle
scienze così come in ogni forma di sapere.
In The Seven Systems of Metaphsics Peirce insiste sul nesso tra dimensione segnica e natura
affermando che: “[...] the idea of a general involves the idea of possible variations which no
multitude of existent things could exhaust but would leave between any two not merely
many possibilities, but possibilities absolutely beyond all multitude”227
.
Evidentemente i principi generali sono realmente operanti in natura nella misura in cui si
prende in considerazione l‟esperienza così come si configurerà in futuro. Infatti il segno
nella sua piena realizzazione ovvero nel suo stadio simbolico sarà in grado di predire che
qualcosa sarà sicuramente esperito se si realizzeranno determinate condizioni. E in questi
termini i segni influenzeranno e diventeranno operanti nella natura e quest‟ultima, a sua
volta, asseconderà lo sviluppo delle leggi del pensiero-segno, assumendo essa stessa quelle
forme che progressivamente le vengono offerte dal pensiero. Le forme rese disponibili dal
segno diventano gli spazi nei quali il reale può esprimere la sua unità al di là delle sue
infinite variazioni, espresse dalla secondità.
Quindi se l‟accordo mente e realtà è da intendere come un‟evoluzione in cui esse non
sacrificano le loro rispettive identità, termini come natura e convenzione possono risolversi
in una dimensione unitaria, in cui il loro procedere sembra descrivere un movimento
225
C.R. Hausman, Charles S. Peirce‟s Evolutionary Philosophy, Cambridge University Press, 1993, p.225. 226
EP2:123. 227
EP 2:183.
146
circolare. Tale circolarità ad esempio è riscontrabile nel simbolo, infatti quest‟ultimo nel suo
stadio definitivo, cioè quando si è consolidato come regola, si propone sicuramente come
dimensione convenzionale, ma se lo si considera nel suo processo di formazione, cioè
quando il simbolo, investito dalle sorprese continue dell‟esperienza, ricerca la strada per
elaborare nuove generalizzazioni, nuove spiegazioni, e provvede ad integrare i dati nuovi in
un nuovo insieme coerente, perde il suo carattere convenzionale per assumere quella
circolarità che è presente in generale nel segno e in modo particolare nel primo livello del
segno, che è quello a cui è rivolta l‟attenzione di questo lavoro.
Ritornando a concetti quali ground e icona, potremmo dire che il ground dalla prospettiva
del segno rappresenta quella condizione fondamentale in virtù della quale al segno è
consentito di scegliere le forme possibili, che imbrigliate nella relazione segnica potranno
crescere insieme al reale. Il ground, potremmo dire, è quel ricettacolo, chòra, da cui
possiamo trarre infinite forme, senza esaurirlo. Come dicono alcuni studiosi il ground è bor-
der-line, ma questa sua collocazione non è ambigua, piuttosto, è rappresentativa della
situazione del segno, nel senso che se esso si assume la responsabilità di dar notizia del
reale, il ground è il nesso tra ciò che chiede di essere annunciato e chi effettuerà l‟annuncio.
Quindi se da un lato l‟oggetto dinamico rappresenterebbe l‟invito a ricercare sempre nuove
e più appropriate relazioni per approssimarsi ad un oggetto totale, qualora si disponesse
della serie infinita di significati, dall‟altro il ground è il “ricettacolo” da cui si traggono le
possibilità con cui costituire la catena segnica. “La madre è il ricettacolo di ciò che si genera ed è visibile e interamente sensibile, non diciamolo né
terra né acqua né fuoco né aria, né altre delle cose che nascono da queste o dalle quali queste
nascono. Ma dicendole una specie invisibile e amorfa, capace di accogliere tutto, e che partecipa in
un modo assai complesso dell‟intelligibile e che è difficile da concepirsi, non ci inganneremo. E per
quanto, stando a ciò che si è detto, risulti possibile raggiungere la sua natura, nel modo più corretto
si potrebbe dire così: ogni volta par fuoco la parte infuocata di essa, acqua la parte liquida, e così
terra ed aria nella misura in cui riceve chora, analizzata nel Timeo imitazioni di queste cose”228
.
A tal proposito la nozione di di Platone ci fornisce la possibilità di cogliere un nesso
profondo tra questo mondo di forme possibili e l‟universo ipotetico della matematica, così
come viene concepito da Peirce. Infatti Platone parla dell‟uso da parte del demiurgo di
forme geometriche per generare dalla chora in cui si mescolano confusamente gli elementi,
il mondo dei corpi. “Ma quando Dio intraprese a ordinare l‟universo, il fuoco in primo luogo e la terra e l‟aria e
l‟acqua, avevano bensì qualche traccia di sé, ma si trovavano in quella condizione in cui è naturale
si trovi ogni cosa, quando il Dio è assente Queste cose, dunque, che allora si trovavano in questo
stato Egli in primo luogo le modellò con forme e con numeri. In primo luogo, che fuoco, terra,
acqua e aria siano corpi, è noto indubbiamente a chiunque. Ma ogni genere di corpo ha anche
profondità. E la profondità, poi, è necessario che comprenda la natura della superficie. Ma la
superficie piana e retta è costituita di triangoli. E tutti i triangoli derivano da due triangoli, aventi
ciascuno un angolo retto e due acuti. Di questi triangoli, poi, alcuni hanno da ciascuna parte una
parte uguale di angolo retto delimitata da lati uguali; altri, invece, hanno parti disuguali divise da
lati disuguali”229
.
Le parole di Platone ci aiutano a comprendere in che senso può costituire la Matematica un
universo possibile attraverso il quale è attingibile il reale.
L‟icona è il livello primario del segno, perché, ripiegata sul suo grembo nel quale custodisce
la riserva relazionale del ground, con un atto di immaginazione ipotizza il possibile oggetto.
228
Platone, Timeo, a cura di G.Reale, Bompiani, 2003, Milano, pp.147-149. 229
Ivi, p.155.
147
Ma questa ipotesi è tratta dalla chòra dalla quale provengono le forme segniche che hanno il
compito di delineare il reale.
I segni traggono la loro forza non dalla convenzione, ma dalla natura stessa, la convenzione
è un modo per darle forma.
Leggiamo Peirce: “se il segno è un „icona, uno scolastico potrebbe dire che le “species”
dell‟oggetto che sono state emanate da esso trovano la propria materia nell‟icona”230
.
In questi termini non si può applicare l‟iconismo ingenuo secondo il quale un ritratto di un
uomo sarebbe simile alla sua figura reale.
Qui l‟impostazione è rovesciata poiché non esiste un referente a cui l‟ icona dovrebbe
assomigliare, al contrario l‟ icona costituisce quello spazio in cui si sperimenta un possibile
oggetto, essa infatti non trasmette informazioni sul referente, poiché esso non è ancora, esso
si realizzerà nella dimensione indicale, è lì che acquisterà la sua effettività. L‟ icona rende
soltanto possibile l‟ oggetto, in questo senso diverrebbe fondativa del reale ed esprimerebbe
un rapporto circolare tra natura e convenzione.
L‟icona costituisce quello spazio sperimentale in cui vengono immaginate, ipotizzate alcune
modalità dell‟ oggetto, già da sempre semiotizzato, e una volta rese osservabili, queste
ultime possono costituire la base per ricercare nuovi aspetti, ancora inediti. L‟icona, non
ancora indicalità, come Possibilità originaria, si propone non come tratto definito, ma come
tratto infinitamente determinabile. L‟icona mette in atto una costruzione che permetterà di
scoprire relazioni inedite, poiché, dopo avere esibito tratti osservabili, su questi ultimi è
possibile ragionare, ipotizzare e apportare un significativo incremento conoscitivo. È qui
che si consuma lo scambio tra natura e convenzione: da un lato la costruzione assolve alla
funzione di offrire tratti di riconoscibilità al reale e in questo senso ne rappresenta la base
formale, dall‟ altro la costruzione stessa renderà possibile la scoperta di nuovi aspetti che
esprimeranno ciò che è proprio del reale, la sua propria natura. La costruzione è come se
diventasse il luogo in cui la realtà riesce a manifestare se stessa. In questo senso l‟ icona,
grazie alla sua osservabilità e sperimentabilità, costituirebbe l‟incontro di natura e
convenzione, poiché la costruzione stessa rivela che la sua base è naturale, la quale sarebbe
rimasta inattingibile, senza il movimento dell‟ icona e sull‟ icona. L‟icona così costituisce
l‟oggetto, a cui non sembra riservato altro luogo in cui rendere possibile la sua identità. Tale
operazione non si consuma su un piano meramente convenzionale, poiché elementi non
elaborati al momento della costruzione, vengono fuori dopo. Pertanto la costruzione non è
interamente controllata dalla convenzione, poiché l‟icona una volta divenuta osservabile
produrrà altre conoscenze. L‟icona contribuisce a gettare un ponte sull‟oggetto, perché
quest‟ ultimo possa essere delineato, integrandolo all‟interno della grammatica segnica. In
questo atto l‟icona è sintetica e produce elementi nuovi di conoscenza.
230
Peirce, Saggi sul Significato, a cura di G. Maddalena, in Scritti scelti, UTET, Torino, 2008, p. 671.
148
QUARTO CAPITOLO
I grafi esistenziali tra natura e convenzione
1) La scrittura grafica
La logica grafica così come si configura nei Prolegomena to an Apology for Pragmaticism
(1906), il testo in cui viene illustrato il sistema grafico nella sua versione definitiva,
costituisce un compendio straordinario della riflessione del pensatore americano, poiché
l‟impostazione teorica e il funzionamento dei grafi lasciano emergere non soltanto una profonda
assimilazione delle diverse competenze del filosofo ma anche la sua capacità di utilizzarle
sinotticamente. In realtà gli intrecci tra logica, semiotica, pragmatismo, faneroscopia,
matematica attraversano e connotano in modo specifico tutta la speculazione peirceana. E
infatti la tesi di questo lavoro che vede l‟icona come uno spazio di intersezione tra i diversi
universi del pensiero peirceano e come una dimensione con spiccate valenze ontologiche, a
mio avviso, viene irrobustita dal modo in cui si strutturano i grafi. Essi costituiscono un
consolidamento di tutti i perni fondamentali dell‟ „architettonica‟ peirceana, che finiranno per
inverare i tasselli più originali della riflessione peirceana e per legarla al dibattito
attualissimo tra logica e metafisica, rispetto al quale essa costituisce una risorsa non ancora
adeguatamente valorizzata.
Sicuramente le prime considerazioni, volte a chiarire l‟obiettivo dei Prolegomena to an
Apology for Pragmaticsm introducono una delle acquisizioni basilari del lungo lavoro di
riflessione del filosofo americano ovvero la diagrammatizzazione del ragionamento, senza la
quale non si può correttamente inquadrare il discorso sui grafi.
Nel testo, ora preso in esame, Peirce si prefigge l‟ obiettivo di iconizzare il pensiero, in modo
tale da esibire tutti i passaggi inferenziali effettuati, realizzando un‟eventuale ricostruzione e,
al tempo stesso, una semplificazione dei nessi argomentativi eccessivamente complicati.
Nell‟analisi svolta nelle pagine precedenti si è posto l‟accento sul modo in cui viene inteso il
ragionamento deduttivo, e soprattutto sulla necessità di avvalersi di un diagramma, di un
corpo visivo su cui osservare le relazioni, indispensabili alla dimostrazione delle tesi assunte.
Per iniziare a ragionare è necessario disporre di qualcosa da osservare, è stato detto più volte,
poiché è dall‟osservazione e dalla sperimentazione che si deducono le conseguenze del nostro
ragionamento. Tale modo di concepire la deduzione accentua il momento della scelta nel
procedimento razionale, poiché se la deduzione non è più concepibile soltanto come un iter
analitico cioè come un‟ esplicitazione delle premesse poste all‟inizio del percorso
argomentativo, ma come una sperimentazione su un diagramma, è chiaro che la dimostrazione
perde il suo carattere meramente meccanico per acquisire una feconda flessibilità che gli
permetterà di assumere una funzione attiva, volta a scoprire inedite possibilità, integrando così
149
la funzione analitica del ragionamento ovvero quella di fotografare il pensiero nei suoi
passaggi inferenziali con quella più propriamente creativa.
Infatti Peirce ad apertura del saggio afferma: “Costruiamo un diagramma: voglio dire un
sistema di diagrammatizzazione mediante il quale si possa rappresentare con esattezza qualsiasi
svolgimento del pensiero. Ma perché costruire un tale diagramma, dato che abbiamo presente
direttamente il pensiero stesso”231
? Peirce risponde così: “I diagrammi servono da schema per
esperimenti mentali precisi: le variazioni in un singolo punto del diagramma determinano
mutamenti complessi nel sistema delle relazioni reciproche delle differenti parti significanti del
diagramma; questi mutamenti sono a priori sconosciuti e non perfettamente prevedibili, e vanno
dunque attentamente studiati”232
.
Il ragionamento deduttivo è un processo dinamico, poiché esso si realizza in una dimensione
costruttiva, infatti si perviene al necessario attraverso l‟assunzione di determinate premesse e
una fase di sperimentazione che si rivela particolarmente importante per scoprire relazioni
assolutamente sconosciute al momento della costruzione del diagramma.
Tale modo di ragionare, secondo Peirce, come è stato precedentemente analizzato, è praticato
per antonomasia dal ragionamento teorematico, ma è anche adottato dalle scienze empiriche.
Peirce specifica che si potrebbe obiettare che gli oggetti di indagine della matematica e delle
scienze sono diversi da quelli delle altre discipline, poiché il chimico o il fisico quando effettua
le sue ricerche e seleziona una serie di dati, questi ultimi sono effettivamente esistenti, mentre i
diagrammi sembrano assolutamente scollati rispetto alle cose concrete. In realtà ad un attento
esame tale obiezione si rivela poco pertinente, poiché, secondo Peirce, l‟oggetto in questione
non è mai il dato nella sua mera concretezza, e non solo perché secondo le premesse della teoria
del pensatore americano non si realizza in nessun caso un impatto diretto con le cose del reale,
ma anche perché sarebbe privo di interesse; infatti lo scienziato utilizza il campione per trarre
conferma o smentita delle sue assunzioni, ma non è interessato a quel particolare dato
esaminato. Il vero oggetto indagato sia nel caso del diagramma su cui riflette il matematico, sia
nel caso del campione scelto dallo scienziato è „la forma di una relazione‟, è la struttura
interna alle cose. Infatti, afferma Peirce, il chimico non è interessato al singolo campione ma
alla sua struttura molecolare.
Peirce così chiarisce l‟oggetto in questione: “Ora, questa forma di relazione è esattamente la
forma della relazione che sussiste fra le due parti corrispondenti del diagramma. Per esempio,
siano f1 e f2 le distanze dei due fuochi di una lente dalla lente stessa. Allora
0
1
2
1
1
1
fff
questa equazione è un diagramma della forma della relazione tra le due distanze focali e la
distanza focale principale. Le convenzioni dell‟algebra (e tutti i diagrammi, anzi tutti i disegni,
dipendono da convenzioni) congiuntamente con la scrittura dell‟equazione stabiliscono una
relazione fra le sole lettere f1+f2+fo prescindendo dalla loro virtù di significare. Ma la forma di
231
Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, “The Monist”, XVI (1906), 492-546, cit., p. 211. 232
Ivi, p212.
150
questa relazione si identifica con la forma della relazione che sussiste fra le tre distanze focali
che queste lettere denotano [….] Così, questo Diagramma algebrico presenta alla nostra
osservazione lo stesso identico oggetto della ricerca matematica: cioè la forma della media
armonica che l‟equazione aiuta a studiare”233
.
La centralità del diagramma all‟interno del procedimento deduttivo evidentemente conferisce
alla deduzione un carattere decisamente iconico, poiché se si osserva il diagramma dal punto
di vista semiotico, il segno iconico è quello che si mostra idoneo ad oggettivare la forma del
ragionamento deduttivo. Come è stato detto precedentemente, il segno capace di mostrare
forme possibili assolutamente inedite, in grado di produrre o scoprire conoscenze nuove è
l‟icona. I simboli, afferma Peirce, non sono in grado di realizzare conoscenze nuove, poiché
essi sono il frutto di abiti che si sono formati gradualmente e che hanno creato delle strutture
attraverso le quali si codifica il reale. D‟altra parte, chiarisce Peirce, proprio perché i simboli
legittimano l‟esito di un processo, essi non sono osservabili e non possono essere oggetto di
sperimentazione, e proprio questo non li rende idonei a produrre nuove conoscenze, semmai
possono costituire il presupposto di un nuovo processo conoscitivo. Anche gli indici non sono
capaci di realizzare nuovi apprendimenti, poiché si limitano a garantire l‟esistenza dei loro
referenti senza apportare nulla riguardo alla loro intelligibilità.
Al contrario l‟icona, come è stato detto più volte, non ha la funzione di denotare ma quella di
prospettare ciò che può essere logicamente possibile, e in questo senso soltanto ad essa è
affidata la possibilità di realizzare incrementi conoscitivi, infatti Peirce spiega: “[…] Il
ragionamento deve rendere manifesta la conclusione. Perciò deve soprattutto occuparsi di
forme, che sono i principali oggetti della penetrazione razionale. Di conseguenza le Icone sono
particolarmente adatte al ragionamento. Un Diagramma è eminentemente un‟icona, e un‟icona
di relazioni intelligibili. È pacifico che la verità non si può apprendere per semplice ispezione
di alcunché. Ma quando diciamo che il ragionamento deduttivo è necessario, non intendiamo,
naturalmente, che esso è infallibile, bensì precisamente che la conclusione consegue dalla
forma delle relazioni proposte nella premessa. Ora, un diagramma, sebbene possieda di solito
Elementi che si avvicinano alla natura dei simboli, insieme a elementi che si avvicinano alla
natura degli indici, è tuttavia principalmente una icona delle forme delle relazioni costitutive
del suo Oggetto; perciò si vede facilmente quanto un diagramma sia adatto alla
rappresentazione di inferenze necessarie”234
.
Queste considerazioni ci permettono di capire che i grafi235
, più che una funzione descrittiva
dei processi inferenziali, hanno un elevato potenziale creativo, poichè contribuiscono a far
scoprire ciò che altrimenti rimarrebbe precluso alla conoscenza. E quindi l‟obiettivo del
sistema grafico non è quello esclusivo di semplificare il pensiero, ma quello di orientarlo
verso percorsi inesplorati.
233
Ibidem. 234
Ivi, p. 214. 235
Peirce così definisce un grafo: “per grafo intenderò in generale un diagramma composto principalmente di punti e
linee che compongono alcuni di questi punti”. Ivi.,p.218.
151
Il carattere iconico dei grafi, necessario a che sia possibile sperimentare sul diagramma, rinvia
immediatamente ad alcuni passaggi fondamentali del pensiero peirceano come il concetto di
astrazione ipostatica, la lezione pragmatica, e la dimensione semiotico- fenomenologica.
Per sottolineare il carattere iconico del procedimento deduttivo Peirce radicalizza
un‟operazione che denomina astrazione ipostatica: essa consente di trasformare le idee
espresse dalle relazioni predicative in elementi concreti, in forme sostantivate che prendono
il nome di entia rationis. Infatti se, come scrive Peirce, la proposizione “il miele è dolce”
diventa “il miele possiede dolcezza”, si ottiene l‟ipostatizzazione di una relazione, e ciò può
risultare molto importante per potere maneggiare le idee del pensiero. Infatti se tali idee
vengono considerate come cose, sarà più facile scoprire le relazioni che si istituiscono fra loro,
“ Instead of saying that some human beings are males all the rest females, it was found
convenient to say that mankind consists of the male part and the female part”236
. In questi
termini diventa possibile, una volta ipostatizzate le idee, contemplare le loro relazioni e
accedere a nuove relazioni di ordine analogico237
. Ora questo tipo di astrazione, ora descritto,
che coincide con l‟astrazione ipostatica si distingue dalla prescissione, poiché quest‟ultima
è una forma di astrazione, che si realizza quando prescinde dai tratti specifici del dato
esperito e si sofferma sui suoi aspetti fondamentali, tali che questi ultimi siano
riconoscibili in altri dati, già osservati o osservabili, e così mentre essa formalizza predicati,
l‟astrazione ipostatica estrapola soggetti da predicati. Quest‟ultimo tipo di astrazione realizza
una mediazione tra generale e individuale che si rivela proficua in tutti i piani della costruzione
peirceana, da quello matematico, logico, sintattico e semantico, a quello specificamente
semiotico, nonché epistemologico. Peirce scopre che le possibili formalizzazioni non devono
essere necessariamente di ordine simbolico ovvero inerenti ad un‟astrazione di tipo prescittivo,
ma possono essere anche di tipo ipostatico. Ma perché è così importante ricorrere all‟astrazione
ipostatica? Perché è proprio essa che ci può garantire la scoperta di nuovi elementi e di nuove
relazioni: nel caso della prescissione ci si limita a fare un‟operazione di selezione tra gli
elementi più importanti, ma è assente la produzione di un „intero individuale‟. Invece con
l‟astrazione ipostatica si media generale e individuale, e in questa mediazione l‟elemento
caratterizzante diventa l‟individuale, al cui interno viene contratto il generale. La straordinaria
potenzialità di tale operazione sta nel costruire tale insieme di generale e individuale: esso
infatti non è già dato, come accade nella prescissione dove ci si limita a rappresentare
l‟individuale attraverso il generale; nell‟astrazione ipostatica si intende rappresentare il generale
attraverso l‟individuale, ma tale individuale, come accade ad esempio nel ragionamento
matematico, viene immaginato, non è già disponibile.
Sicuramente la potenzialità creativa dell‟astrazione ipostatica si palesa in modo evidente nel
ragionamento matematico, infatti Peirce per metterci nelle condizioni di capire l‟importanza di
questa operazione invita a ricordare che una collezione è un‟astrazione ipostatica:
236 Cfr.CP 4.235.
237
Cfr.CP 3.642.
152
“We may say that a whole is an ens rationis was being consists in the copulate being of certain other
things, either [….] so that a whole is analogous to a collection, which is, in fact, a special kind of whole.
There can be doubt that the word whole always brings before the mind the image of a collection, and
that we interpret the word whole by analogy with collection. [….] A collection [….] is an ens rationis,
or fictitious subject [….] which is individual, and by means of which we are enabled to transform
universal propositions in to singular proposition, thus the proposition “all man are mortal”, appears as “
the collection of man is a collection of mortals”; [….] and by means of other abstraction, we tranform
the same proposition into “The character of mortality is possessed by every man”238
.
Nei Prolegomena to an Apology for Pragmaticism Peirce si impegna in una dimostrazione
matematica attraverso la quale dimostra che la collezione è un ens rationis nella misura in cui
include elementi e relazioni di gran lunga superiori a quelli dei singoli membri individuali che
la costituiscono. Peirce precisamente enuncia la tesi così: “I singoli membri individuali di una
qualsiasi collezione o insieme sono sempre in numero inferiore rispetto alla totalità delle classi
che l‟insieme in questione comprende”239
. Un modo per comprendere in modo semplice la
tesi enunciata e apprezzare la potenzialità conoscitiva di un‟operazione come quella
dell‟astrazione ipostatica e come essa operi all‟interno di concetti come quelli di insieme o di
collezione potrebbe essere il classico esempio tratto dai giochi che descrive il caso di sedici
quadrati disposti in modo da formare un solo quadrato. Se ci interroghiamo sulla quantità dei
quadrati che si formano, si scopre che i quadrati non sono sedici bensì molto di più, giacché ai
sedici quadrati iniziali bisogna associare quello formato dai sedici messi insieme e tutti quelli
che opportunamente associati formano dei quadrati. Infatti se osserviamo la prima figura
potremo constatare facilmente che insieme ai sedici quadratini, si aggiunge il quadrato formato
dai quadratini(6,7,10,11); e così se consideriamo la seconda figura, il quadrato non sarà
composto soltanto da sedici quadratini, poiché si dovrà considerare anche il quadrato formato
dai quadratini(1,2,5,6); e infine si potrà dire della terza figura che il quadrato risulterà
formato, oltreché dai sedici quadratini, dal quadrato costituito dai quadratini
(1,2,3,5,6,7,9,10,11,).
1fig. 2 fig. 3fig.
238
CP 6.382. 239
Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p. 215.
153
Evidentemente si tratta di un esempio efficace, a mio avviso, che evidenzia come un insieme
formato da un certo numero di elementi genera una moltitudine di insiemi di gran lunga più
numerosa.
La formalizzazione matematica della tesi precedentemente enunciata si esprime in questi
termini: qualsiasi insieme A è meno numeroso dell‟insieme delle sue parti ( P (A) ),
denominato partizione di A, cioè dell‟insieme i cui elementi siano tutti i sottoinsiemi di A, ivi
compresi l‟insieme vuoto Ø e lo stesso insieme.
Ad esempio si abbia l‟insieme A (1,2,3,4,5,) , risulterà che la partizione di A sarà uguale a:
P(A) = Ø
(1); (2); (3); (4); (5);
(1,2); (1,3); (1,4); (1,5); (2,3); (2,4); (2,5);
(3,4); (3,5); (4,5);
(3,4,5,); (2,4,5,); (2,3,5); (2,3,4,) (1,4,5,); (1,3,5,);
(1,3,4); (1,2,5,);(1,2,4,);(1,2,3);
(2,3,4,5,); (1,3,4,5,); (1,2,4,5,);(1,2,3,5);(1,2,3,4);
A(1,2,3,4,5,).
Risulta evidente che A è incluso nella partizione di A e che la numerosità di A è inferiore alla
numerosità di P(A). Tra i sottoinsiemi di A due acquistano una denominazione particolare:
l‟insieme vuoto e lo stesso insieme di A. Essi prendono il nome di classi implicite, infatti
l‟insieme vuoto è contenuto in tutti gli elementi di P(A), mentre A contiene qualsiasi elemento
di P(A).
In questo modo l‟astrazione ipostatica produce progressivamente una serie di entità, che
costituiranno l‟ontologia possibile su cui si potrà effettuare quella sperimentazione necessaria
affinché la ragione disveli orizzonti ancora ignoti.
Peirce, dopo avere dato prova della fecondità di questo metodo astrattivo in sede matematica,
nel testo preso in esame ne ribadisce la sua capacità creativa: “Quella meravigliosa operazione
di astrazione ipostatica, con la quale sembriamo creare entia rationis che sono tuttavia talvolta
reali, ci dà il modo di trasformare i predicati da segni che pensiamo o attraverso cui pensiamo in
oggetti di pensiero. Così possiamo pensare sullo stesso pensiero-segno facendone l‟oggetto di
un altro pensiero-segno”240
.
Il modo in cui Peirce parla dell‟astrazione ipostatica in matematica e in logica contribuisce a
spiegare la fondamentalità della modalità rappresentativa dell‟icona: così come i singoli
240
Ivi, p.232. Una definizione logica dell‟astrazione ipostatica viene fornita da Peirce nel testo scritto intorno al 1903, On
Existential Graphs Euler‟s Diagrams and logical Algebra: “L‟astrazione, nel senso in cui sarà usata qui, è un‟inferenza
necessaria la cui conclusione si riferisce a un soggetto al quale non si riferiscono le premesse […] Ma come può essere che
una conclusione possa seguire necessariamente da una premessa che non asserisce l‟esistenza di ciò che la cui esistenza è
affermata dalla conclusione stessa? La risposta deve essere che il nuovo individuo del quale si parla è un ens rationis; cioè il
suo essere consiste in qualche altro fatto. Se un ens rationis possa o non possa esistere o essere reale, è una questione alla
quale non si può rispondere finché l‟esistenza e la realtà non siano state definite molto distintamente. Ma si può notare
subito che negare ogni modo di essere a qualsiasi cosa il cui essere consiste in qualche altro fatto, sarebbe negare ogni modo
di essere a tavole e sedie, poiché l‟essere di una tavola dipende dall‟essere degli atomi di cui è composta, e non viceversa”.
Peirce, On Existential Graph, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra, cit., p 634.
154
membri individuali di una qualsiasi collezione o insieme sono sempre in numero inferiore
rispetto alla totalità delle classi che l‟insieme in questione comprende, allo stesso modo l‟icona
pura è sempre più ricca di tutte le sue diagrammatizzazioni, nel senso che lascia scoprire in
esse sempre nuove e più arricchenti conoscenze. In questi termini l‟astrazione ipostatica si
declina nell‟universo matematico, logico, semiotico ponendo in evidenza come sia possibile che
si renda disponibile un individuale che sia in grado di rinviare ad un generale. L‟alternativa
profondamente significativa dell‟astrazione ipostatica sta nel maneggiare un‟idea come se essa
fosse una cosa, e nello scoprire di essa aspetti che non si rivelerebbero qualora essa venisse
rappresentata da un‟astrazione come quella prescittiva. Tale idea entificata diventa un segno, e
se è un segno, esso produce un effetto esterno, e sebbene il segno in questione può non
corrispondere ad un ente esistente, ciò significa, secondo Peirce, che il mondo esterno non è
costituito soltanto da oggetti esistenti; “But on the contrary, its most important reals have the mode
of being of what the nominalist calls “mere” words, that is, general types and would-bes. The
nominalist is right in saying that they are substantially of the nature of words; but his “mere” reveals a
complete misunderstanding of what our every day world consist of”241
.
Sull‟ontologia creata dall‟astrazione ipostatica, si effettua la sperimentazione del diagramma,
che consiste nell‟introdurre nuove ipotesi e nel contemplare le nuove relazioni che ne possono
derivare, al fine di far procedere l‟iter dimostrativo sino alla conclusione della tesi assunta. In
tale procedimento è riconoscibile l‟opera del ragionamento teorematico, che, come è stato
analizzato nelle pagine precedenti, connota il ragionamento matematico, coniugando
dimensione osservativa e deduttiva, e facendo di esso un ragionamento a pieno titolo sintetico,
sebbene di una specie diversa rispetto a quello kantiano.
Il ragionamento teorematico diventa paradigmatico e nella logica grafica Peirce pone in
evidenza come diventi imprescindibile approntare un piano sensibile alla forma logica, nel
quale essa stessa possa esternare e sperimentare le sue implicazioni. Infatti è su questa base
d‟appoggio che si apprezzerà il valore delle assunzioni elaborate e, in base alla sperimentazione,
il loro imprevisto sviluppo. Le occorrenze grafiche mostreranno come si costruisca all‟interno
di esse il vero, senza che questo implichi l‟identificazione di quest‟ultimo con il contingente,
con l‟individuale, al contrario esse, attraverso la loro materialità, conferiranno consistenza a
ciò che potrebbe divenire reale.
241
CP 8.191. Già in Some Consequences of Four Incapacities Peirce si esprimeva così: “Realista è semplicemente
chi non conosce una realtà più recondita di quella che è rappresentata in un avera rappresentazione. Dal momento che
la parola uomo è vera di qualcosa, ciò che uomo significa è reale. Il nominalista deve ammettere che uomo è
applicabile con verità a qualcosa; ma crede che vi sia sotto a questo una cosa in sé, una realtà inconoscibile. Sua è la
finzione metafisica [….] Il grande argomento del nominalismo è che non esiste l‟uomo al di fuori del singolo uomo
particolare. Il che, tuttavia, non lede il realismo di Scoto; poiché, sebbene non vi sia alcun uomo del quale possa
essere negata ogni ulteriore determinazione, pure vi è un uomo, astrazion fatta da ogni ulteriore determinazione.
Vi è una differenza reale fra l‟uomo inteso senza prendere in considerazione quelle che possono essere le altre
determinazioni, e l‟uomo con questa o quella serie particolare di determinazioni, sebbene senza dubbio questa
differenza sia soltanto relativa alla mente e non in re. Tale è la posizione di Scoto. La grande obiezione di Occam è
che non vi può essere alcuna distinzione reale che non sia in re, nella cosa –in se-stessa, ma questa in realtà è una
petizione di principio, poiché si basa unicamente sulla nozione che la realtà è qualcosa di indipendente dalla
relazione rappresentativa”. Ivi, p.107-108. Tali considerazioni sono importanti, poiché
sottolineano il modo in cui la questione dell‟astrazione ipostatica sia legata, oltre che ai diversi piani della
costruzione peirceana, al tema del reale e del vero e della loro connessione.
155
Il diagramma incarna in modo efficace l‟insegnamento pragmatico, poiché di fatto le relazioni
significative che esplicherà sono il risultato delle operazioni effettuate su di esso. Il significato
condizionale espresso dalla massima pragmatica intende mettere l‟accento sul fatto che un
pensiero non ha come referente una cosa, ma una relazione, nel senso che, a seconda delle
ipotesi, che si traducono in azioni, che selezionano, scelgono, verranno prodotte determinate
conseguenze. E quindi il significato è condizionale, nel senso che una determinata cosa sarà
identificabile come x, se quest‟ultima esplicherà determinate relazioni sotto certe condizioni. I
grafi esistenziali sono conformi all‟insegnamento pragmatico, poiché la loro scrittura grafica
mostra come i significati si sviluppino all‟interno di un processo dinamico, i cui esiti daranno
vita alla formazione di abiti, che a loro volta costituiranno le condizioni di possibilità di una
inedita costruzione grafica. I grafi sembrano concretamente verificare l‟efficacia della massima
pragmatica, poiché sottolineano l‟imprescindibile necessità dell‟esternazione, della materialità,
affinchè il pensiero possa dar conto delle sue produzioni. È in questo atto di proiezione che il
pensiero, secondo Peirce, si evolve, si espande e trova la traccia da seguire. Quest‟ultima è
visibile soltanto all‟interno della sperimentazione grafica, infatti è nell‟osservazione, e
soprattutto nella sperimentazione e dialogicità strutturale propria di ogni atto di pensiero che è
possibile esplicare inedite strade per il ragionamento.
Ma se il pensiero può esprimersi e così anche espandere la sua potenzialità inferenziale
soltanto all‟interno di una rete di segmenti materiali, che non sono statici ma dinamici,
flessibili, perché interagenti fra loro, in quanto espressione di azioni, di operazioni, che una
volta effettuate, pongono nuove basi da cui partire per porre in relazione altre entità, è anche
evidente che il sistema dei grafi evidenzia una trama semiotica. Il grafo è un segno e per il
momento, al di là di stabilire la classe di segni ai quali il grafo appartiene, è importante
sottolineare che la costruzione grafica non può che avere radici semiotiche.
La grammatica segnica, sin dalle pagine del giovane Peirce, ribadisce che il pensiero si
costituisce attraverso pensieri-segni, i quali, a loro volta si costruiscono mediando oggetto e
interpretante. Il segno nella mente di Peirce non è mai pensato come una realtà statica che
convenzionalmente designa il rapporto tra significato e significante ma è inteso sempre come
uno svolgimento. Il segno è una dimensione stratificabile, nel senso che ha un suo volume
esplorabile, appunto sperimentabile e infinitamente conoscibile, perché infinitamente
determinabile.
Il grafo si rivela particolarmente idoneo a dar conto delle varie tricotomie segniche, nella misura
in cui ne è forse l‟espressione più pregnante e più originale, poiché esso sintetizza le
caratteristiche più forti della semiotica peirceana, che sicuramente, come afferma Jorgen Dines
Johansen, si pone come la più „inclusiva‟. Il grafo riporta in superficie tutti i tratti del segno
che lo abilitano alla sua declinazione matematica, logica, fenomenologica, pragmatica. La
trama del grafo è semiotica a patto che si tenga presente, in base a tutti i discorsi svolti
precedentemente, che la grammatica segnica sia leggibile in termini matematici, logici,
fenomenologici e pragmatici. La triadicità, il dinamismo, la contestualità e la generalità, come
afferma Dines Johansen, sintetizzano le caratteristiche del segno peirceano, sono queste che
ci permettono di capire in che modo il grafo è gestibile in termini semiotici, e soprattutto in che
156
senso il sistema dei grafi costituisce una delle conseguenze più sorprendenti della semiotica
cognitiva del nostro pensatore americano, a conferma dell‟ampiezza e della profondità del gesto
segnico.
Infatti il sistema dei grafi non può essere considerato come un mero calcolo formale per
facilitare il ragionamento, perché intanto nella mente di Peirce quando si parla di inferenza si
parla di segno, poiché il pensiero si esprime attraverso segni. Ma il segno non è mai una realtà
a sé stante, infatti se teniamo presente l‟impianto tricotomico, sia che il segno si riferisca a se
stesso, sia in relazione all‟oggetto, sia in riferimento all‟interpretante, il segno si dispiega, si
delinea sempre attraverso tre momenti quali segno, oggetto, interpretante. Tale relazione non è
statica ma assolutamente dinamica, poiché il segno non presuppone l‟oggetto e l‟interpretante,
piuttosto è nel segno che questi ultimi si ritrovano ed è all‟interno di esso che li si riconosce. Il
segno è un laboratorio, in cui si sperimentano possibili oggetti e interpretanti, e quindi è anche il
luogo naturale della referenzialità, nel senso che il segno si riferisce sempre ad un universo di
discorso che deve esporsi alla condivisione. La ribalta del segno è pubblica nella misura in cui
la vita del segno è legata all‟esperienza, e quindi in questo senso la natura del segno è
propriamente dialogica. La referenzialità del segno e la sua dimensione interpretativa
costituiscono il segno stesso, altrimenti destinato ad identificarsi con una mera chimera. Ma se
il segno viene riconosciuto come tale, esso non sarà riconosciuto nella sua mera individualità
ma come la replica di un generale.
I segni, dunque, sono dinamici, crescono, trasmettono significato, a condizione che ci sia un
piano, dove sperimentare i possibili significati veicolabili da referenti e da interpretanti. Chiare
e preziose queste affermazioni di Peirce: “Il pensiero non è necessariamente connesso con un
cervello. Appare nelle opere delle api, dei cristalli, e in tutto il mondo puramente fisico. Non si
può negare che il pensiero vi sia realmente presente proprio come non si può negare che vi
siano realmente presenti i colori, le forme, ecc. degli oggetti […] Il pensiero, oltre a essere
presente nel mondo organico, vi si sviluppa. Ma come non ci può essere un Generale senza
occorrenze che lo traducono in atto, così non ci può essere pensiero senza segni [...] Non ci può
essere nessun segno isolato. Anzi, i segni esigono almeno due quasi-menti: un Quasi-
emittente e un Quasi- interprete. [...] Nel segno le due Quasi-menti sono, per così dire, saldate.
Di conseguenza, non è un mero fatto della Psicologia umana ma è una necessità della Logica
che ogni evoluzione logica del pensiero sia dialogica”242
.
Ora ritornando al grafo, potremmo dire che il movimento messo in atto da quest‟ultimo è
proprio quello del segno, anzi potremmo dire che il grafo in un contesto assertorio lascia
emergere in modo più netto le tricotomie fondamentali del segno. Il grafo è un type, poiché
esso incorpora regole, convenzioni che sono poi di fatto esemplificate nella sua replica,
denominata token. Infatti un determinato token può essere letto in modo diverso a seconda del
type cui si riferisce. Una linea, ad esempio, potrebbe essere letta come il nesso tra due punti o
come il trasferimento di qualche oggetto tra due luoghi. Ma il grafo, partecipando della natura
del segno, avrà un interpretante e un oggetto, in particolare il grafo collocandosi
242
Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.233.
157
essenzialmente in un contesto assertorio ed esprimendo soprattutto un processo inferenziale, è
codificabile, secondo la terza tricotomia dell‟interpretante, rema- segno-dicente-argomento,
come un Fema, che corrisponde al segno dicente. Peirce definisce il termine Fema: “[…] Un
segno equivalente a un enunciato grammaticale, sia esso Interrogativo, Imperativo, o Assertorio
[….] Un grafo è un fema e, almeno nell‟uso che ho sinora osservato, una proposizione. Un
argomento è rappresentato da una serie di grafi”243
.
Ma come tutti i segni il grafo si riferisce ad un referente, e sicuramente la tricotomia che ci
permette di farci cogliere il senso dell‟azione grafica e il modo in cui si colloca all‟interno della
speculazione peirceana è quello che si riferisce al rapporto segno-oggetto ovvero alla triade
icona, indice, simbolo. Abbiamo già detto che il grafo è innanzitutto iconico, poiché è il
carattere iconico che abilita il grafo ad elaborare nuovi significati.
Ma il grafo ha anche una valenza simbolica. Infatti se con il carattere iconico il grafo deduce
possibilità, con quello simbolico esprime regole, leggi, codici. Perché il diagramma possa
essere considerato un type, deve presupporre un simbolo. Nel senso che il type è segno di un
simbolo. Tale differenza è importante perché l‟oggetto a cui si riferisce il simbolo è un generale,
il type è generale nella misura in cui è segno del simbolo244
. Sottolineare tale distinzione è
fondamentale perché il grafo conferma una necessità che sta alla base dell‟intero impianto
peirceano: il vincolo ineludibile tra dimensione percettiva, figurativa e dimensione inferenziale.
Il grafo per la sua costruzione necessita di un simbolo ovvero di un‟idea, ma il simbolo in che
modo veicola tale idea? Attraverso una dimensione figurativa e indicale. Peirce afferma: “Un
simbolo è un segno naturalmente atto ad esprimere quanto segue: l‟insieme di oggetti denotato
da qualsiasi serie di indici, in certi modi connesso al simbolo, è rappresentato da un‟icona
associata a esso”245
. In questo modo il simbolo oggettiva all‟interno del grafo la sua idea per
mezzo di un‟icona e di un indice, e in questo modo, osservando, può elaborare nuovi generali e
formare così nuovi simboli e nuove icone. Ma in questi termini il simbolo non è da intendersi
come una semplice convenzione, semmai così può essere inteso al termine del processo che
esso stesso ha innescato, ma non durante la sua formazione: il simbolo opera sempre a partire
da un‟icona e quindi, il grafo, sebbene possa formalizzare un‟entità inesistente, sicuramente
esprimerà un‟entità possibile246
.
In contrasto alla tradizione del pensiero logico rappresentata da Frege, Russell, il giovane
Carnap, il pensiero logico di Peirce si presenta decisamente nuovo perché essenzialmente
243
Ivi.,pp..221-222. 244
Utile la distinzione di F. Stjernfelt: “The symbol in question refers to a general object while the diagram in question
being an iconic legisign, a type, - is in itself one”. F. Stjernfelt, Diagrammatology, An Investigation on the Bordelines
of Phenomenology, Ontology, and Semiotics, Springer, Copenahagen, 2007, p.97. 245
Peirce, Of Reasoning (1893), cit., p.173. 246
Fortemente consonanti con la linea interpretativa del discorso svolto le considerazioni di Stjernfelt: “The symbol
„unicorn‟ is no less a symbol because its object does not exist. It is perfectly possible to let a diagram make explicit the
content of a symbol whose referent is fictitious merely. On the other hand, it is an important diagram property that is
beyond the rich of any diagrammatization to picture inconsistent symbols this constitutes the very strength of
diagrammatic formalization: every [….] Diagram correspons to a possibility [….] Brefly, being an icon, the diagram
cannot be inconsistent. It may display non – existent entities, but not logically inconsistent entities. [….] This
constitutes a motivation for diagrammatic reasoning: it can make explicit (part of) the signification of a symbol a
pragmatically weed out symbol inconsistences”. F.Stjernfelt, op. cit., pp.98-99.
158
pone in posizione centrale il momento iconico e la costruzione del diagramma. La vera
genialità di Peirce sta nel fatto, come dice Hintikka, nell‟avere esteso la distinzione riscontrata
in geometria tra ragionamento corollario e ragionamento teorematico al ragionamento
deduttivo. Infatti secondo Hintikka la vera scoperta di Peirce sta nel particolare uso del
diagramma in logica: quest‟ultimo, proprio perché trasformabile, non si limita a rappresentare
uno stato di cose ma anche possibili stati di cose. È proprio l‟introduzione dei mondi possibili a
fare della logica di Peirce una logica più in linea con quella appartenente alla tradizione di
Boole, di Schroder, Hilbert, Godel e il maturo Carnap. La logica di Peirce, come dice Stjernfelt,
sulla scia della valorizzazione di Hintikka, è una logica che si pone al di fuori dei problemi in
cui incorre la logica tradizionale. In che senso? Secondo il quadro d‟insieme che Hintikka
offre in The Place of C. S. Peirce in the History of Logical Theory si delineano due tendenze
tra i logici rispetto al modo in cui viene concepito il linguaggio: la prima ritiene che la logica
deve essere intesa come una formalizzazione del linguaggio, e quest‟ultimo viene considerato
universale, perché, secondo questa prospettiva, è impossibile riferirsi al mondo con un mezzo
diverso dal linguaggio; la seconda tendenza, invece, pensa al linguaggio come ad un modello
possibile. La prima posizione determina alcune conseguenze che diventano nodi
problematici, in quanto la logica pone come suo referente il mondo esistente e quindi la sua
formalizzazione non prevede spazi per i counterfactual, non rende possibile una semantica,
poiché non dispone di un linguaggio diverso per formalizzare i suoi contenuti ovvero si ritrova
ad usare il linguaggio che è oggetto specifico della sua riflessione, e così la sintassi formale
diventa l‟ unico oggetto della logica. Ciò crea dei problemi non indifferenti, poiché non è
suscettibile di correzione la veste che il linguaggio conferisce alla cose, e quindi non è
possibile disporre di definizioni di verità.
Al contrario secondo la tradizione nella quale Peirce si riconosce, intanto esistono diverse
logiche, tant‟è che questo modo di concepire la logica ha posto le basi alla logica modale, alla
logica epistemica e alla teoria dei modelli: proprio questa prospettiva, apparentemente
antirealista, approda a posizioni realiste, infatti il nesso con il mondo è possibile proprio
attraverso la rappresentazione iconica, ed è rinnovabile dalla trasformabilità propria delle icone
che assecondano i pragma espressi da nuovi possibili mondi. Insomma la logica che si delinea
è flessibile e proprio per questo è maggiormente idonea a rappresentare le infinite relazioni che
in futuro possono delinearsi all‟interno del mondo reale.
Qui la plasticità della logica proviene proprio dalle icone, poiché esse non si riferiscono ad un
ente esistente, bensì ad un ente possibile e quindi richiedono di essere interpretate e possono
essere utilizzate in modo assolutamente inedito.
Ora se è vero che è centrale il momento iconico, e se è vero che l‟icona significa, predica una
forma, una qualità dell‟oggetto e non si riferisce ad un oggetto esistente, è anche vero che
essa predispone lo spazio per un possibile oggetto che potrà essere incarnato da un indice. In
questi termini la prospettiva logica dei grafi è realista: se il grafo dà conto del processo
inferenziale attraverso il quale è possibile dedurre dei modelli, tali modelli sono resi intelligibili
da funzioni predicative e da funzioni nominative. Ma cosa è diventata la funzione nominativa?
Essa deve completare la struttura relazionale in cui consiste il predicato, essa deve riempire gli
159
spazi vuoti lasciati dal predicato. Questo compito ovvero quello della nominazione sembra
proprio quello dell‟indice, ma l‟indice provvede ad indicare l‟oggetto denotato dal soggetto
della proposizione. Ma la nominazione non è del tutto sganciata dalla forma, perché ad
esempio una determinata cosa, perché possa essere identificata non necessita soltanto della
funzione indicale ma anche di quella categoriale. Ora se il soggetto ha lo scopo di riempire la
forma espressa dal predicato e se verità in questo contesto significa conformità della forma
espressa dal predicato alla forma propria dell‟oggetto denotato, in questi termini i grafi, oltre
che avere un carattere analitico e iconico, posseggono un marcato carattere realistico. La
logica grafica così intende fornire dei modelli con i quali decodificare la realtà.
Infatti nella struttura dei grafi ritroviamo declinati i tre piani fenomenologici ampiamente
elaborati in sede di revisione categoriale. Il movimento dei grafi sembra riecheggiare quello
che dalla Firstness procede in direzione della Thirdness. Proprio nel Ms. 439 del 1898 Peirce
rinvia al nesso profondo tra categorie e grafi: “In realtà, sono state le considerazioni intorno alle
categorie ad insegnarmi come costruire il sistema dei grafi”247
.
Le categorie faneroscopiche si rivelano particolarmente idonee alla logica grafica, poiché ciò
che li accomuna essenzialmente è l‟adozione del principio di continuità e l‟idea che la
possibilità sia un‟entità reale. Già abbiamo visto come queste due dimensioni siano
fondamentali per capire lo spartito categoriale, allo stesso modo esse stesse, possibilità e
continuità, sono esplicative della logica dei relativi e della sua traduzione grafica. In che
senso? Se c‟è una differenza macroscopica, afferma Peirce, tra la logica ordinaria e la logica
dei relativi, essa è relativa al fatto che la prima prende in considerazion le classi, intese come
insiemi di oggetti individuali, la seconda intende le classi come insiemi non di enti individuali
ma di possibilità.
Infatti, come sappiamo dalle analisi precedenti, sono primarie le possibili qualità, non certo
intese come proprietà di un individuo, ma come quelle relazioni possibili, dalle quali scaturisce
un ente possibile.
In logica il predicato diventa la sede dell‟espressione delle possibili forme, a partire dalle quali
possono derivare i possibili indici. Infatti in Prolegomena to an Apology for Pragmaticism
Peirce definisce il predicato come quel termine la cui estensione viene definita dai soggetti, i
quali, quanto alla loro profondità, vengono definiti dal predicato.
Il predicato predispone gli spazi per i possibili soggetti, e allora se intendiamo il predicato in
questo senso, la classe, come abbiamo detto precedentemente, è il frutto di un‟ipostatizzazione
di funzioni predicative, e quindi non dispone di oggetti reali ma di possibilità.
Come rappresenta Peirce graficamente queste acquisizioni? In modo chiaro il pensatore
americano afferma nel Ms. 439: “Nel sistema dei grafi si possono osservare tre tipi di segni di
natura molto diversa. Anzitutto vi sono i verbi, di varietà infinita. Tra di essi troviamo la linea
che denota identità. Ma, in secondo luogo, le estremità della linea d‟ identità (e ogni verbo
dovrebbe venire concepito con queste estremità libere) sono segni di genere totalmente diverso:
sono pronomi dimostrativi che indicano oggetti esistenti; non necessariamente cose materiali –
247
Peirce, Alcune riflessioni in ordine sparso sulla disputa tra Nominalisti e Realisti, cit., p.63.
160
dato che possono essere eventi o anche qualità – ma comunque degli oggetti, designati
semplicemente come questo o quello. In ultimo, costituisce un terzo genere di segni, del tutto
differente, lo scrivere i verbi uno accanto all‟altro o le linee ovali che racchiudono i grafi, intese
non come qualcosa di asserito, ma come soggetti dell‟asserzione - operazione che viene
continuamente utilizzata in matematica e che costituisce una delle grandi difficoltà di questa
scienza. I segni del primo tipo rappresentano gli oggetti nella loro primità e offrono il
significato dei termini. I segni del secondo tipo rappresentano gli oggetti in quanto esistenti,
cioè reagenti, e dunque anche nelle loro reazioni. I segni del terzo tipo rappresentano gli
oggetti nel loro carattere rappresentativo, vale a dire nella loro terzità, e intorno ad essi ruotano
tutti i processi inferenziali”248
.
Ora sebbene il lavoro sui grafi scorra indipendentemente da quello sulle categorie, di fatto
queste ultime costituiscono la loro base, poiché essenzialmente il diagramma ripropone il
movimento del pensiero che corrisponde a quello del reale che, procedendo da possibilità reali,
provvede alla loro codificazione attraverso la scoperta di leggi effettivamente operanti
nell‟universo. Il diagramma diventa lo spartito su cui la realtà può leggere i suoi stessi
movimenti, e vedere le sue possibilità trasformarsi in necessità.
2) La costruzione grafica
Esaminato il modo in cui si colloca la scrittura grafica all‟interno dell‟impianto peirceano,
è opportuno concentrare l‟attenzione sulle regole che governano la costruzione grafica per
comprenderne la dinamica interna.
Appena si dà avvio al lavoro di decodifica dei grafi ci si rende subito conto del fatto che,
diversamente dalla sillogistica tradizionale che si presenta lineare e descrittiva, la logica dei
grafi non si limita a descrivere i passi inferenziali del pensiero ma si prefigge degli scopi,
poiché scopre nuove relazioni, assolutamente ignote al momento della costruzione. E tale
scoperta si realizza grazie alla collaborazione di due diversi agenti che contribuiscono a far si
che il grafo, date alcune assunzioni, pervenga alla formalizzazione di alcune conclusioni
necessarie. È presente una dimensione intersoggettiva nel grafo che è costitutiva del processo
dimostrativo in virtù del quale si accederà a nuovi orizzonti, preziosi e indispensabili alla
comprensione del reale.
Dunque il grafo esprime un pensiero diretto ad uno scopo, e conformemente a quest‟ultimo è
necessario applicare determinate regole come le convenzioni, le autorizzazioni che hanno la
funzione di vincolare le premesse. La scelta della applicazione delle regole è libera, e in virtù di
essa è possibile apporre nuovi elementi che daranno vita ad un atto sintetico e quindi in questo
senso il grafo non dispone soltanto di funzioni analitiche.
Il piano su cui si tracciano i grafi è la Facciata Femica, tale foglio sarà condiviso dal grafista e
dall‟ interprete, che esercitando ruoli diversi si contenderanno i significati che via via saranno
248
Ivi, p. 63
161
prodotti dall‟ azione grafica. Recto e Verso, la prima liscia e la seconda ruvida sono le due
superfici della Facciata Femica, la prima è gestita dal grafista, la seconda dall‟interprete: il
grafista pone sul recto, l‟interprete legge le informazioni che gli passa il grafista dal lato
opposto del foglio ovvero dalla prospettiva del verso. Il grafista e l‟interprete comunicano
attraverso i femi e sono tacitamente d‟accordo sul fatto che il fema abbia un significato.
Il grafista traccia i grafi sul recto, l‟ interprete può effettuare alcune operazioni, come quelle
di cancellatura e di inserzione, sul recto. Il punto di partenza è il recto, in esso figurano le
proposizioni poste dal grafista, queste ultime perché possano essere ritenute vere non devono
essere cancellate dall‟interprete.
Oltre agli operatori che intervengono sul grafo, è importante precisare che l‟universo di discorso
a cui intende riferirsi Peirce si pone come possibile, attuale o necessario. La logica
peirceana è una logica che intende dare espressione all‟universo delle qualità, le quali,
secondo l‟impostazione peirceana, non possono essere intese come enti individuali bensì
come possibilità logiche.
Le possibilità logiche sono generali e in quanto tali, afferma Peirce, non possono essere incluse
in nessuna moltitudine. E allora per rappresentare sul piano logico-grafico le qualità, è
necessario da una parte effettuare una forzatura cioè equiparare le qualità ad enti individuali,
dall‟altra tenere presente che essi costituiscono un universo diverso da quello attuale249
, infatti,
prendendo spunto dall‟araldica, il pensatore americano differenzierà la rappresentazione grafica
dei diversi universi, denominando l‟universo della possibilità con le tinture di Colore,
l‟universo della necessità o dell‟Intenzione, come qui precisamente viene denominato, con le
tinture di Pelliccia, e infine l‟universo dell‟attualità con le tinture di Metallo.
Con le prime due convenzioni formalizzate all‟inizio di questa parte tecnica del saggio, in cui
viene spiegato il funzionamento dei grafi, Peirce intende rappresentare le funzioni del grafista e
dell‟interprete, i modi di essere degli universi rappresentabili, nonché le modalità interpretative
del grafo cioè la possibilità di comprendere quest‟ultimo come Interrogativo, Imperativo, o
Indicativo. Con le altre convenzioni il filosofo analizza il modo in cui il grafista assume. E
proprio l‟atto dell‟assunzione del grafista e le mosse conseguenziali dell‟interprete
costituiscono la dinamica fondamentale in virtù della quale si realizza l‟intelligibilità della
costruzione del grafo e una comprensione più profonda dei perni che sorreggono
l‟architettonica peirceana.
E allora diventa necessario interrogarsi sul modo in cui il grafista elabora le sue assunzioni e
le pone sul recto.
La superficie della Facciata femica rappresenta il continuum, l‟asseribile. Sul foglio è asserito
tutto, ma se si vuole asserire qualcosa di determinato all‟interno della totalità asseribile, e
renderla visibile bisogna compiere un‟azione. È come se ci si trovasse di fronte ad una
totalità bianca e così luminosa tanto da abbagliare, e allora per vedere qualcosa è necessario
annerire, tagliare. Afferma lo stesso Peirce: “You may regards the ordinary blank sheet of
assertion as a film upon which there is, as it were, an undeveloped photograph of the fact in the
249
Cfr.CP 4.514.
162
universe”250
. Evidentemente, prosegue Peirce, non bisogna prendere l‟esempio alla lettera,
poiché il foglio di asserzione dobbiamo intenderlo come un continuum pluridimensionale e
plastico, in modo tale da poterlo modificare in tutti i modi senza rotture, senza discontinuità251
.
I diversi fogli di questo continuum costituiscono i diversi universi discorsivi con cui le
proposizioni hanno a che fare quali l‟universo possibile, quello attuale, e quello necessario.
Ora ritorniamo alla domanda: in che modo il grafista pone sulla facciata femica? Il grafista
per porre, deve determinare. Che significa determinare? Qui determinare significa negare una
parte: il foglio è l‟asseribile e allora per assumere qualcosa è necessario tagliare una parte. Se
è corretta l‟interpretazione di ciò che Peirce intende con la nozione di taglio, l‟atto del
determinare diventa frutto della negazione.
A tal proposito Peirce sottolinea in un testo precedente, che “A cut is not a graph; but an
enclosure is a graph”252
. Qui nel testo preso in esame Peirce afferma: “Un taglio non è né un
grafo né un‟ Occorrenza di grafo”253
.
Tale precisazione è importante, perché è bene tenere presente che la costruzione grafica non è
una descrizione statica bensì assolutamente dinamica, è proprio il taglio, insieme ad altre
operazioni di cui si parlerà successivamente, a dar conto della genesi e trasformabilità dei grafi.
Il taglio renderà possibile l‟assunzione di un‟ipotesi a partire dalla quale prenderà avvio il
processo dimostrativo.
Ma in che modo viene rappresentato il taglio? Il grafista taglia l‟occorrenza di grafo e rovescia
il pezzo omesso in modo da esibire la parte ruvida, che diventa segno dell‟occorrenza di grafo
negata e così sul recto compare il ruvido, che, in alternanza alle parti lisce, crea discontinuità.
Nella terza, quarta e quinta convenzione Peirce insieme alla nozione di taglio, fornisce altre
nozioni come luogo del taglio, linea d‟identità, selettivi, e si sofferma sulle possibili connessioni
tra le diverse occorrenze di grafo254
. A tal proposito Peirce rileva che ciò che ancora non è
stato formalizzato è presente all‟interno dell‟universo asseribile, ma non è ancora gestibile, non
è ancora utilizzabile sul piano formale.
Riprendiamo le sequenze argomentative del testo e soffermiamoci sulla quinta convenzione,
la quale, secondo Peirce, ricomprende essenzialmente le convenzioni precedenti e soprattutto le
spiega.
Infatti il taglio del grafista, e la comunicazione con l‟interprete, che condizionano il
configurarsi delle occorrenze di grafo, come linee d‟identità, selettivi, servono a comporre
proposizioni che stabiliranno un rapporto di implicazione, in modo tale da pervenire ad una
conclusione vera. Infatti Peirce ritiene che “le convenzioni sopraesposte […] non sono altro
che lo sviluppo e l‟inevitabile risultato che scaturisce dall‟unica convenzione seguente: “Se un
qualsiasi Grafo A asserisce che uno stato di cose è reale, e se un altro grafo B asserisce lo
250
CP 4.512. 251
Cfr.Ibidem. 252
CP 4.399. 253
Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.236. 254
I significati designati da tali termini sono reperibili nelle tavole che seguono la conclusione del capitolo, in cui
sono stati raggruppati le principali definizioni, convenzioni, autorizzazioni, contenuti all‟interno dei Prolegomena to
an Apology for Pragmaticism e di On Existential Graph, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra.
163
stesso di un altro stato di cose, allora AB, risultante dal tracciato sia di A sia di B sulla facciata,
asserirà che entrambi gli stati di cose sono reali”255
. La doppia voluta chiusa è il referente
grafico del rapporto di implicazione: nel recinto esterno viene posto l‟antecedente, nel recinto
interno viene inserito il conseguente, il limite esterno viene denominato muro e il limite interno
steccato.
La proposizione rappresentata graficamente con la doppia voluta è una condizionale regolata
da un rapporto di implicazione materiale. In generale quando si è in presenza di una
implicazione materiale bisogna tenere presente che non vi è alcuna connessione reale tra
l‟antecedente e il conseguente ed essa è sempre vera, tranne nel caso in cui l‟antecedente è
vero e il conseguente è falso. L‟implicazione è sempre vera quando abbiamo un antecedente
falso e un conseguente vero: ciò significa che qualunque sia la premessa inconsistente
l‟argomento risulterà valido. Per comprendere il tipo di inconsistenza di cui parliamo, dobbiamo
tenere presente che le premesse inconsistenti non sono prive di significato, esse al contrario
contengono un elevato tasso di significazione, cioè esse implicano ogni cosa. Ma se è così, tali
premesse implicheranno anche il falso e quindi la loro negazione. Infatti secondo i paradossi
dell‟ implicazione materiale, se una proposizione è falsa, allora implica qualsiasi proposizione, e
se una proposizione è vera, allora quest‟ultima è implicata da qualsiasi proposizione: il vero
segue da ogni cosa, perché se q è vero di per se stesso segue a qualsiasi p, non importa se vero
o falso. In realtà l‟implicazione materiale astrae completamente da ogni connessione causale o
contestuale tra l‟antecedente e il conseguente e costituisce la condizione minima sufficiente per
la validità di tutte le implicazioni.
Insomma il condizionale per essere vero non deve essere supportato da altre premesse, per
avere un condizionale sempre vero bisogna avere un antecedente falso, poiché, come è stato
detto, dal falso segue ogni cosa. E quindi potremmo dire: “Poichè è falso che la luna è fatta di
formaggio verde ne segue che la luna è fatta di formaggio verde implica che la terra è
rotonda”256
.
Ora prima di passare all‟analisi dei grafi qui presentati nel testo, teniamo presente la prima
autorizzazione, che qui viene accennata e poi ripresa subito dopo nell‟ambito della
trattazione delle altre autorizzazioni. Essa consiste nel ritenere che la struttura dimostrativa
di un argomento non varia, se vengono effettuate aggiunte alle premesse o omissioni alle sue
conclusioni.
255
Ivi, p. 240. 256
I. M. Copi, Introduzione alla logica, by Società editrice il Mulino, Bologna, 1969, p.310.
164
Se osserviamo la fig. 4
vedremo che essa esprime un condizionale materiale ovvero asserisce che se A è vera, allora
C e D sono entrambe vere. Se ad essa accostiamo la fig.5
possiamo dire che essa, in base all‟autorizzazione in virtù della quale è possibile qualsiasi
aggiunta nel recinto esterno e qualsiasi omissione dal recinto interno, risulta spiegata, poiché
asserisce che se A e B sono entrambe vere, allora C e D sono ugualmente vere,
indipendentemente da quanto asserito da B.
Ora se ciò che è vero di per se stesso segue a qualsiasi premessa, è possibile comprendere la
fig.6.
Peirce afferma riguardo alla figura suddetta: “questa doppia voluta chiusa con il recinto esterno
vuoto giustifica l‟asserzione che se, non importa che cosa sia altrimenti vero, C è in ogni caso
vero; cosicché i due muri crollano, spariscono insieme, e lasciano che i contenuti del recinto
interno se ne stiano da soli asseriti in campo aperto”257
. Tale spazio sia che si presenti vuoto
sia che venga riempito non inficia l‟assunzione. E quindi in questo senso, precisa Peirce, la
257
Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p. 241.
165
facciata femica è l‟asseribile, in essa viene asserito tutto, in questi termini essa equivale al
vuoto. E allora per porre è necessario determinare, ma questo è possibile a patto che si neghi
l‟antecedente: se devo giustificare il conseguente, allora è necessario negare l‟antecedente.
Evidentemente in una prospettiva filosofica in cui non si parte da assiomi bensì da assunzioni,
un‟implicazione come quella materiale risulta assolutamente feconda, poiché secondo Peirce
non si ha nulla alle spalle e quindi, come è stato detto, è necessario negare al fine di giustificare
ciò che si assume. In questo contesto negare significa negare una possibilità per potere inferire
un giudizio esistenziale e infatti, in linea con l‟impostazione peirceana non si parte mai da un
principio ma da una ipotesi. E allora dato che un condizionale de inesse, a differenza di altri
condizionali, asserisce soltanto che o l‟antecedente è falso o il conseguente è vero, ne consegue
soltanto che se sopprimiamo il conseguente e lasciamo sussistere solo l‟antecedente, che può
essere qualsiasi proposizione racchiusa in un ovale, allora quest‟antecedente si trova ad essere
con ciò negato. Quindi per affermare è necessario negare, infatti ogni determinazione deriva da
una negazione: il grafista pone sul recto cioè taglia e lo spazio che usa all‟interno del recto è
uno spazio delimitato che deriva da una negazione: il grafista pone perché ha negato tutte le
premesse, pone un conseguente perché ha negato tutte le premesse258
. Leggiamo questa chiara
definizione di taglio: “Per taglio si intende una linea self-returning [….] che divide tutto ciò che
è recintato dal foglio di asserzione su cui esso stesso si trova [….] Un taglio non è un grafo, ma
un recinto è un grafo”259
. È importante distinguere il taglio dal grafo, poiché il taglio è
un‟operazione, è un‟azione, il cui frutto sarà quello di guadagnare una determinazione. È la
negazione che diventa traccia di quel derivabile da cui è venuta fuori la possibilità di porre
un‟assunzione: se non si realizza l‟operazione del taglio non è possibile aver notizia della
totalità nella quale sta comunque quel taglio. In questi termini diventa fondamentale la nozione
di taglio, perché esprime la negazione dell‟antecedente, ma essa diventa centrale anche perché
costituisce l‟elemento dinamico e fecondo dell‟azione grafica, poiché l‟antecedente negato
espresso graficamente attraverso un ovale, così come sarà mostrato nei grafi che verranno
analizzati successivamente, aprirà una dialettica grafista-interprete, a conclusione della quale
si potrà ottenere il suo conseguente.
Infatti già ne Il Rinnovamento della logica (1896) La Logica dei Relativi (1897), e nella
Speculative Grammar Peirce aveva chiarito che l‟assunzione di ogni proposizione
presuppone un dialogo tra parlante e ascoltatore, poiché la proposizione asserita da un parlante
si riferisce ad uno stato di cose, sia nel caso in cui vi siano indici definiti, come potrebbero
essere i nomi dimostrativi e i nomi propri, che designano il dominio ovvero la serie degli oggetti
258
In On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra Peirce così esprime la rappresentazione grafica
del condizionale de inesse: “Disegniamo una linea chiusa che possiamo chiamare siepe [….], che escluderà ciò che
contiene il foglio di asserzione. Stabiliamo che questa siepe, assieme a tutto ciò che è al suo interno, considerato come
un tutto, sia chiamato comprensorio; questo recinto, essendo scritto sul foglio di asserzione, asserirà il condizionale de
inesse; ma ciò che racchiude, considerato separatamente dalla siepe, non sarà considerato come se fosse sul foglio di
asserzione. Allora, naturalmente, l‟antecedente e il conseguente devono essere in compartimenti separati del recinto.
Allo scopo di rendere iconica la rappresentazione della relazione tra essi, dobbiamo chiederci quale relazione spaziale è
analoga alla loro relazione. Ora se è vero che “Se a è vero, b è vero” e Se b è vero, c è vero, allora è vero che “Se a è
vero, c è vero”. Questo è analogo alla relazione geometrica di inclusione. L‟analogia è così naturalmente stringente da
essere ( io credo) usata in tutti i linguaggi per esprimere la relazione logica”. Ivi, p.616.
259
CP 4.399.
166
che condividono una relazione espressa dal predicato della proposizione, sia nel caso in cui vi
siano indici che corrispondono ai quantificatori. Nel caso in cui l‟asserzione sia espressa da
quantificatori, questi ultimi non sono già dati come nel primo caso, e quindi a fortiori
richiedono all‟interprete della proposizione un ruolo attivo, affinchè quest‟ultimo sottoponga
a verifica i possibili oggetti denotati dagli indici della proposizione assunta. Essenzialmente,
secondo Peirce, vi sono due modalità con le quali si possono costruire modelli al cui interno
indicare oggetti, o selezionando un qualsiasi individuo all‟interno di un dominio, e questo è il
caso rappresentato dal quantificatore universale, o restringendo il campo entro il quale reperire i
possibili oggetti, che corrisponde alla condizione del quantificatore esistenziale. Peirce, infatti,
afferma: “In every assertion we may distinguish a speaker and a listener. [….] Every subject, when it is
directly indicated, as humanity an mortality are, is singular. Otherwise, a precept, which may be called
its quantifier, prescribes how it is to be chosen out of a collection, called its universe. [….] But in
necessary logic [….] To quantifiers are required; the universal quantifier which allows any object, no
matter what, to be chosen the universe, and the particolar quantifier, which prescribes that a suitable
object must be chosen”260
.
In questi termini i ruoli del parlante e dell‟ascoltatore sono regolati rispettivamente dal
quantificatore esistenziale e da quello universale. In che senso? Peirce più avanti spiega che se
in una proposizione il soggetto non è un nome proprio e non risulta designato dall‟esperienza
cui appartengono parlante e ascoltatore, e allora tale designazione viene realizzata o mediante
un precetto in virtù del quale viene riservata all‟interprete la possibilità di scegliere qualsiasi
oggetto, o mediante una scelta che deve essere effettuata dal parlante che, diversamente
dall‟ascoltatore, ritaglia l‟oggetto che gli risulta più conveniente: il primo caso sarà espresso
dal quantificatore universale, il secondo caso da un quantificatore esistenziale261
.
Dunque per comprendere la dinamica del grafo è necessario tenere presente i ruoli diversi del
grafista e dell‟interprete: il grafista rappresenta il verificatore262
, cioè colui che legittima la
proposizione assunta, se riesce a trovare degli elementi che la verificano contro un possibile
attacco dell‟universale che è il falsificatore della proposizione, in cui consiste il ruolo svolto
dall‟interprete. È importante sottolineare che in questa dialettica tra grafista e interprete
intervengono due negazioni: la negazione „duale‟ e la negazione contraddittoria. Nel caso
della negazione duale si verifica un cambiamento di ruolo, che viene esercitato ora dal
grafista ora dall‟interprete, infatti se viene negato il quantificatore esistenziale la scelta passa
al grafista, se viene negato il quantificatore universale la scelta sarà affidata all‟interprete. La
negazione contraddittoria, invece, coincide con la negazione delle proposizioni ora assunte dal
grafista ora confutate dall‟interprete. Quindi è importante nella dialettica grafista-interprete
distinguere i ruoli dalle mosse effettuate da questi ultimi. Lungo il percorso dimostrativo si
verificheranno momenti in cui il grafista e l‟interprete eserciteranno rispettivamente i ruoli di
260
CP 2.334;2.339 passim. 261
Cfr. CP 2.357. 262
I termini quali verificatore, falsificatore, negazione duale, negazione contraddittoria sono termini adottati da
Hintikka, ma sembra possibile utilizzarli per la decodifica della dinamica dei grafi esistenziali di Peirce. Per una
perspicua analisi della logica di Hintikka cfr. M. Panzarella, Logica dei quantificatori dipendenti e indipendenti, Franco
Angeli, Milano, 2009.
167
verificatore e di falsificatore, formalizzando così la negazione „duale‟, e azioni vere e proprie,
compiute ora dal grafista ora dall‟interprete che troveranno espressione nella negazione
contraddittoria.
Ma Peirce da dove tira fuori questa idea della cosiddetta negazione „duale‟? Essa scaturisce
proprio dalla valenza pragmatica del segno, infatti è opportuno tenere presente che una
proposizione è un segno e quest‟ultimo diventa un segno in atto nel momento in cui esso sta
per un interpretante, e infatti in Truth, Peirce così argomenta:
“To say that a proposition is true is to say that every interpretation of it is true. Two propositions are
equivalent when either might have been an interpretant of the other. This equivalence, like other, is by
an act of abstraction (in the sense in which forming an abstract noun is abstraction) conceived as
identity. And we speak of believing in a proposition, having in mind an entire collection of equivalent
proposition with their partial interpretants [….] The interpretant of a proposition itself a proposition.
Any necessary inference from a proposition is an interpretant of it”263
. In questi termini è evidente
che anche i passaggi apparentemente più tecnici della logica grafica
sono profondamente legati all‟impianto semiotico-pragmatico: è inevitabile tenere presente
sempre il nesso profondo tra logica e semiotica per cogliere i tratti originali della logica grafica,
e, non solo, ma anche per capire, come è stato già detto, che il fine della logica è quello di
comprendere il reale, attingibile solo attraverso la grammatica segnico-logica.
Ritornando ai ruoli del grafista e dell‟interprete, già nella Logica dei relativi del 1897 Peirce
attribuisce loro non soltanto il ruolo di esprimere la qualità delle proposizioni ma anche la
quantità. Infatti Peirce si esprime in questi termini: “[….] Ciò che dovrebbe significare ai fini della
sillogistica è il fatto che, invece di lasciare la scelta del caso particolare - come avviene quando
diciamo, qualunque uomo non è buono”, - al negatore della proposizione, quando diciamo
“qualche uomo non è buono”, questa scelta è trasferita al negatore del negatore, vale a dire al sostenitore
della proposizione [….]”264
.
Ora se è chiaro che la qualità e la quantità delle proposizioni vengono espresse dal grafista e
dall‟interprete, sul piano strettamente grafico in che modo comprendiamo di essere in presenza
di una proposizione universale o affermativa particolare e di trovarci di fronte alle eventuali
mosse dell‟interprete o del grafista?
Nello scritto On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra del 1903 Peirce
all‟interno di un corollario riassume le espressioni grafiche della qualità, della quantità, nonché
dei connettivi sia disgiuntivi che congiuntivi delle proposizioni, realizzando una versione
sistematica delle acquisizioni alle quali era già pervenuto nel 1897: “Un grafo può essere
interpretato per mezzo di congiunzioni e disgiunzioni. Vale a dire, se un grafo all‟interno di un
numero dispari-incluso, e un grafo all‟interno di nessuna siepe265
o di un numero pari di siepi è
detto essere pari-incluso, allora schemi nello stesso compartimento sono uniti quando sono
pari-inclusi e combinati disgiuntivamente quando sono dispari-inclusi; e qualsiasi linea di
identità la cui parte più esterna è pari-inclusa, si riferisce a „qualcosa‟, e qualsiasi linea
263
CP 5.569. 264
Peirce, La Logica dei Relativi (1897) cit., p. 938. 265
Con il termine siepe si intende una curva chiusa che avvolge un grafo, ed essa rappresenta il segno di negazione
del contenuto del grafo.
168
d‟identità la cui parte più esterna è dispari-inclusa, si riferisce a qualsiasi cosa ci possa essere.
E l‟interpretazione deve iniziare fuori da tutte le siepi e procedere verso l‟interno. E gli schemi
pari-inclusi devono essere presi come affermazioni; quelli dispari-inclusi come negazioni”266
.
Da ciò si evince che gli schemi pari-inclusi rappresenteranno particolari affermativi e quelli
dispari-inclusi proposizioni universali o implicazioni esistenziali. Se il grafista intende
esprimere un giudizio esistenziale, come ad esempio qualche uomo è calvo, ricorre alla linea
d‟identità pari-inclusa e non ha la necessità di effettuare tagli e di istituire la dialettica con
l‟interprete, mettendo in atto la negazione duale, come invece è essenziale nel caso della
giustificazione di un giudizio universale.
Tale corollario è presupposto nei Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, ma esso è
assai importante, perché per leggere i grafi di Peirce è necessario inforcare gli occhiali della
dialogicità, poiché le asserzioni sono essenzialmente segni e, conformemente alla grammatica
segnica, devono esporsi ad un confronto, ad un‟azione, ad una scelta, infatti il grafista più che
descrivere qualcosa, lancia una sfida relativamente a ciò che può essere assunto; l‟interprete
raccoglie la sfida e così si snodano i passaggi di un percorso al cui termine si sarà guadagnata la
conclusione, la quale è attingibile soltanto dopo che la dialettica tra grafista e interprete si sia
dispiegata.
Ora sulla base delle convenzioni esplicitate dal testo preso in esame e di quelle presupposte,
perché affermate nei testi precedenti, sebbene alcune di esse siano intanto mutate, perché
sottoposte ad un lavoro continuo di autocorrezione e reinterpretazione, è possibile procedere
alla lettura e alla comprensione dei grafi che verranno ora esaminati.
Analizziamo il grafo espresso dalla fig.7:
La prima mossa effettuata dal grafista è quella di tagliare. Tagliare significa negare, come
abbiamo già detto. Ma qui nel contesto grafico negare non significa soltanto negare una
proposizione universale negativa ma aprire anche un dialogo con l‟interprete, nel senso che il
grafista taglia per comunicare all‟interprete le sue assunzioni, il quale avrà la funzione di
confutare la proposizione proposta dal grafista. E allora in questo caso il grafista comunica la
negazione dell‟esistenza di uomo e l‟appartenenza del predicato al soggetto cioè „nessun uomo
è non mortale‟. Tenendo presente la convenzione sulla distinzione tra la linea d‟identità dispari-
inclusa e la linea pari-inclusa, osserviamo che in questo grafo la linea d‟identità è dispari-
inclusa e quindi questa notazione grafica ci avverte del fatto che il grafista intende giustificare
266
On Existential Graph, Euler‟s diagrams and Logical Algebra, cit.,p. 630.
169
una proposizione universale e che è necessario passare il ruolo all‟interprete, perché apra il
processo dialettico, che permetterà di guadagnare la giustificazione della proposizione assunta.
Infatti viene messa in atto la negazione duale, che, come è stato detto, consiste in un
passaggio di ruolo e nel caso in cui il grafo esprime una linea d‟identità dispari-inclusa, come
quello espresso dalla fig.7, il grafista deve tagliare, ovvero incidere l‟occorrenza di grafo da
negare e ribaltare il pezzo reciso, in modo tale che l‟interprete, che si trova sul verso della
facciata femica, possa leggere sul recto. Intanto il grafista effettua la negazione duale,
demandando all‟interprete la prima mossa, poiché ad esso è affidato il ruolo di rappresentare il
quantificatore universale, e quindi all‟interprete viene lasciata la possibilità di determinare sia
la qualità sia la quantità della proposizione comunicata. E allora nel momento in cui il grafista
taglia, nega il quantificatore universale, e questo atto, lo ripetiamo ancora, coincide con la
negazione duale, perché l‟atto di negare il quantificatore universale, espresso graficamente
con una linea d‟identità dispari-inclusa, s‟identifica con il passare il ruolo di falsificatore
all‟interprete, il quale tenterà di confutare l‟assunzione del grafista effettuando la negazione
contraddittoria ovvero la negazione della proposizione. Infatti nel grafo espresso dalla fig.7,
che cosa leggerà l‟interprete?267
L‟interprete leggerà sul recto „nessun uomo è mortale‟, poiché
viene letto l‟effetto della negazione e quindi non viene letto „non possibilmente (tutti gli
uomini sono non mortali)‟ ma soltanto „tutti gli uomini sono non mortali‟ ovvero „nessun uomo
è mortale‟. L‟interprete rimarrà schiacciato dalle assunzioni del grafista, perché nel momento in
cui legge „nessun uomo è mortale‟ non dispone di altre possibilità per contrastare il grafista,
perché non può reperire nel suo universo un uomo che non è mortale da inserire sul recto e
allora cancella e contraddice la negazione della proposizione universale negativa, il cui risultato
asserirà un‟implicazione esistenziale: „se alcunché è un uomo, allora è mortale‟. In questi
termini l‟interprete, contraddicendo le assunzioni del grafista, le confermerà facendole valere
come vere.
E infatti il grafista guadagnerà la giustificazione della sua asserzione, la quale, dopo essere
stata espressa in forma negativa ed esposta alla dialettica con l‟interprete, assume
un‟espressione esistenziale confermando così il ruolo attribuito al grafista, che è quello di
rappresentare il quantificatore esistenziale. Queste condizioni sono necessarie, poiché per
esprimere giudizi di esistenza è necessario negare, l‟esistenza è frutto di negazione, tutti i grafi
si configurano come esistenziali perché sono negazione di proposizioni universali negative. Si
parte da una possibilità e si arriva ad una necessità logica.
Come è stato detto sulla facciata femica si pone attraverso la negazione dell‟antecedente e
questa viene realizzata graficamente con il taglio ovvero incidendo il perimetro dell‟occorrenza
di grafo da negare. Ma la negazione non è soltanto necessaria per porre ma anche per
comunicare la verità posta, infatti questa condizione iniziale si ripete nella costruzione stessa del
grafo.
267
A tal proposito è importante precisare che se si osserva il grafo espresso dalla fig.7 il taglio tratteggiato non indica la
negazione ma la possibilità della negazione. Infatti ad esempio, scrive Peirce, se inseriamo all‟interno di un taglio
tratteggiato la proposizione „piove‟ essa verrà letta nel seguente modo: “It is possible that it does not rain”. CP 4.515.
170
Se il grafista pone sempre a partire dalla negazione, e allora sul recto compaiono parti ruvide,
poiche è utile tenere presente che quando il grafista taglia, incide intorno all‟ occorrenza di
grafo e ribalta il pezzo reciso in modo da esibire la parte ruvida, che diventa segno
dell‟occorrenza negata. E allora sul recto compare il ruvido, che, in alternanza alle parti lisce,
crea discontinuità.
Il recto è l‟universo asseribile, ma non leggibile. È nella comunicazione che si crea il
significato, la negazione non apre soltanto la verità all‟asseribilità ma anche alla dialogicità268
.
E la negazione con le sue espressioni grafiche, il taglio, il ruvido, traccia il discontinuo,
ponendosi come l‟unica condizione che rende possibile la comunicazione del continuo, del
vero. Infatti, abbiamo avuto modo di constatare che il taglio del grafista e la contraddizione
dell‟ interprete diventano i passaporti della verità. Per arrivare al vero dobbiamo mettere in
comune qualcosa, e poi procedere ad osservarlo, contraddirlo e leggerlo. È soltanto dopo
questo percorso che è possibile giustificare le occorrenze presenti nella facciata femica: per
capire i dati, ci insegna Peirce, bisogna inserirli all‟interno di giudizi, ma a loro volta i giudizi
sono reperibili se troviamo i loro conseguenti e antecedenti. Così come nella realtà il pensiero
è sollecitato a fare le sue abduzioni sulla base dei dati, allo stesso modo il grafista parte dalle
occorrenze di grafo per giustificarle all‟interno di giudizi esistenziali, e infatti la fig. 8 significa
„qualcosa è un uomo‟ ed essa risulta giustificata a partire dal giudizio esistenziale espresso dalla
fig. 7 „se alcunché è un uomo, allora è mortale‟. E così è possibile connettere dati isolati,
occorrenze, cioè è possibile provvedere alla loro integrazione, inserendoli all‟interno di giudizi,
conferendo loro una ratio.
Sulla pura possibilità dello spazio femico il grafista attraverso il taglio assume e comunica
all‟interprete al fine di vedere confermata o smentita la propria assunzione, ma, insieme
all‟operazione del taglio, comunica e sviluppa le sue asserzioni attraverso una vera e propria
sperimentazione del grafo, che si estrinseca attraverso operazioni quali inserzione,
cancellazione, iterazione e deiterazione, che, sulla base delle premesse assunte, producono
conclusioni, consentendo il passaggio dalla Possibilità alla Necessità.
Il grafista è un costruttore, traccia occorrenze per connetterle e allora è tenuto ad iterare i grafi
che via via costruisce per mantenere la traccia, per mantenere il continuum, per consentire la
possibilità di tenere presenti tutti i passaggi ai fini di una corretta sequenzialità dell‟ iter
dimostrativo. Procedendo nel testo Peirce enuncia la seconda autorizzazione: “Iterare un
grafo significa tracciarlo di nuovo, congiungendo con legami ogni capo della nuova occorrenza
al corrispondente capo della occorrenza originaria. Deiterare un grafo significa cancellare una
sua seconda occorrenza, ciascun capo della quale è congiunto da un legame a una prima
occorrenza”269
. In base a queste regole di trasformazione i grafi
rappresentati sono comprensibili, infatti se ci chiediamo cosa significhi il grafo espresso
268
È utile tenere presente che logici come Hintikka e Ketner hanno valorizzato e sviluppato l‟idea peirceana di
ragionamento diagrammatico; in particolare Hintikka riconosce Peirce come precursore della semantica della teoria dei
giochi. Altri studiosi stranieri come Sun Joo Shin, F. Zalamea vedono nel sistema dei grafi una valenza decisamente
teoretica. 269
Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.242.
171
dalla fig. 9, possiamo dire che esso è il risultato di un‟iterazione e di una deiterazione. Infatti il
grafo della fig.9 viene iterato per congiungerlo ad una nuova occorrenza, denominata donna,
successivamente viene deiterato per lasciare unicamente l‟occorrenza donna. E allora come
leggiamo questo grafo? Tenendo presente che ogni determinazione è una negazione e quindi
frutto di un taglio, leggiamo la negazione della seguente proposizione:„non (tutti i non cattolici
implicano la possibilità di non adorare una donna)‟. Ora il grafista perché possa affermare e
comunicare la sua asserzione itera il termine donna all‟interno dell‟occorrenza di grafo, dando
così luogo al grafo espresso dalla fig.10. Nello scambio della comunicazione tra il grafista e
l‟interprete, quest‟ultimo legge: „tutti i non cattolici implicano la possibilità di non adorare una
donna‟ ovvero „nessun cattolico implica la possibilità di adorare una donna‟, poiché, come è
stato già detto, legge l‟effetto della negazione. Ricordiamo che il grafista traccia e ribalta,
quindi l‟interprete legge ciò che è tracciato sul pezzo ribaltato.
Ora come potrebbe il grafista contraddire? Dovrebbe trovare un cattolico che adora una
donna, ma non lo trova, e allora rimane bloccato e, in virtù della regola di cancellazione,
elimina sul recto donna e passa la parola al grafista. Il grafista leggerà sul verso „non (tutti i non
cattolici adorano una donna)‟ che è l‟equivalente della seguente implicazione esistenziale: „se
alcunché è un cattolico, allora adora una donna‟.
Qui abbiamo avuto modo di constatare che con le regole di trasformazione e la dialettica tra
interprete e grafista si perviene ad una conclusione necessaria, infatti è necessario che qualsiasi
segno venga esposto all‟interpretazione e che qualsiasi assunzione si sottoponga ad una vera e
propria sperimentazione per approdare a conclusioni necessarie.
Oltre che iterare, deiterare, inserire, cancellare, il grafista inserisce sulla Facciata femica
elementi che apparentemente possono rivelarsi assurdi e paradossali, e che in seguito potranno
rivelarsi fruttuosi. Ciò consente di elevare il tasso di sperimentabilità del grafo per potere
escogitare inediti rapporti, che si potranno rivelare preziosi ai fini della dimostrazione.
172
Se la prima e la seconda autorizzazione contengono le operazioni fondamentali per
sperimentare sui grafi, non sono da trascurare i due principi che sono enunciati
successivamente, i quali ci permettono di cogliere la riserva, la potenzialità del grafo e la sua
interna dinamicità. Infatti proprio perché il grafo è trasformabile, è necessario non dimenticare,
secondo il primo principio, che non è possibile cancellare lo spazio vuoto tra i grafi, perché è
possibile supporre che il grafista possa tracciare premesse non ancora poste, a meno che non
siano tracciati grafi con occorrenze che coprano l‟intero spazio vuoto, d‟altra parte la facciata
femica è l‟universo asseribile, e in quanto tale suscettibile sempre di nuove possibili asserzioni.
A tal proposito Peirce afferma: “[….] If the sheet be blank, this blank whose existence consists
in the absence of any scribed graph, is itself a graph”270
.
L‟altro principio consiste nel ritenere che un punto, essendo un‟implicazione dello spazio vuoto,
può essere inserito in qualunque area: un continuum di punti contigui che possono denotare un
singolo individuo, che coincide con quella che viene denominata linea di identità, nel momento
in cui viene posto, nega quel grafo in cui consiste lo spazio vuoto e che è denominato grafo
assurdo, il cui significato equivale alla seguente proposizione: “Qualunque cosa tu voglia
assumere è vera”271
.
La terza autorizzazione enuncia la regola del doppio taglio che scaturisce dai due principi ora
menzionati: “Due tagli l‟uno dentro l‟altro, con niente fra loro, a meno che ci siano legami che
trapassino da fuori del Taglio esterno sin dentro al Taglio interno, possono essere introdotti o
aboliti su qualsiasi Area”272
. Cosa significa questa regola? Il grafista quando taglia, ribalta la
parte della facciata femica negata, e in questo modo farà comparire sul verso una parte liscia
e sul recto una parte ruvida; qualora il grafista dovesse effettuare un‟altra negazione,
ribalterà la medesima parte ruvida e così sul recto ricomparirà la parte liscia, in questi termini
il grafista non comunica nulla con il doppio taglio, ma non cancella lo spazio vuoto. La regola
del doppio taglio è particolarmente significativa, poiché da un lato ci permette di comprendere
che è possibile introdurre o eliminare la doppia negazione, perché essa non esprime nulla
rispetto a ciò che è dato, ma dall‟altro ci permette di comprendere che lo spazio vuoto non è
eliminabile. Infatti Peirce precisa che “il Grafo assurdo può anche prendere la forma di un
Comprensorio con l‟Area interamente Vuota o che comprende soltanto qualche Occorrenza di
un Grafo implicato nello Spazio Vuoto”273
.
Introdotte queste autorizzazioni, teniamo presente che il fine è quello di comprendere che il
ragionamento ha bisogno di figure visive e concrete per elaborare conclusioni necessarie, per
realizzare tale scopo è necessario inserire dati e giustificarli ovvero porre tagli, legami o linee
d‟identità, selettivi, i quali rispettivamente esprimono l‟assunzione di proposizioni, di
predicati, di connessioni tra predicato e soggetto, e costanti individuali.
La linea di identità si rivela particolarmente preziosa poiché permette l‟inserimento di una
replica all‟interno di un campo assertivo, consentendole di acquisire significato. Il rema svolge
270
CP 4.397. 271
Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.243. 272
Ivi,p.244. 273
Ibidem.
173
la funzione di assumere un‟idea, esso è un‟assunzione ed è necessario che venga connesso a
delle linee di identità per affermare un‟asserzione. Esso mostra degli spazi vuoti e riconosce le
sue possibili valenze, ovvero i suoi possibili soggetti. Le estremità della linea di identità
diagrammatizzano il soggetto logico, in particolare Peirce specifica che ogni verbo dovrebbe
essere immaginato come una linea con estremità libere. La struttura della proposizione risulta
completamente modificata, poiché essa non dispone di entità statiche, piuttosto sono le relazioni
esplicate dal rema e incarnate dai soggetti, a loro volta indicati dalle estremità libere della linea
di identità, a costituirla. È intrinseca alla struttura della proposizione una processualità, una
costruzione che permette di rendere assolutamente complementare il rapporto tra soggetto e
predicato. Se da una parte i soggetti indicati dalle estremità libere della linea di identità
sembrano riferirsi direttamente all‟esistente, dall‟altra il soggetto ha perso la sua centralità, dal
momento che la sua funzione consiste nel colmare uno spazio predisposto dal predicato stesso.
E quindi gli indici non sono impermeabili alla dimensione concettuale del predicato, poiché lo
spazio vuoto che sarà colmato dall‟indice, è uno spazio intriso di predicazione.
Hookway nell‟ambito della riflessione sul modo in cui Peirce concepisce il rapporto tra
predicati e indici esprime in modo efficace questa relazione affermando “[….] names or inces
are already incorporated in the classification of predicates according to valency”274
.
Precedentemente a proposito del rapporto tra predicati e categorie fenomenologiche Hookway
argomenta in questo modo: “L‟analisi del suo (di Peirce) sistematico linguaggio analitico in cui
tutto il ragionamento potrebbe essere espresso produce due importanti scoperte. Primo, un tale
linguaggio conterrebbe predicati monadici, diadici, triadici, espressioni incomplete di una
valenza, due, tre. Secondo, non conterrebbe qualsiasi espressione di valenza maggiore di tre.
Ci sono tre fondamentali tipi di espressioni predicative: Peirce denomina rispettivamente i
concetti espressi […] con Firstness, Secondness, Thirdness. Queste sono le sue tre categorie
universali”275
.
Riguardo la corrispondenza tra la dimensione indicale e la Secondità si potrebbe dire che così
come la Secondità non è da intendersi come forza bruta, ma come la capacità da parte
dell‟oggetto di rivelarsi, anche l‟indice non è mero dato, ma si pone come elemento idoneo a
contenere la significazione del predicato, qualificandosi come parte del predicato. Se si tiene
presente questo profondo rapporto tra rema e soggetto, si può rendere maggiormente
intelligibile il motivo per cui Peirce preferirà sostituire la linea d‟identità ai selettivi e utilizzare
sul piano grafico le diverse connessioni tra la linea di identità e il taglio. A tal proposito è
opportuno soffermarsi sul modo in cui viene tematizzata la linea di identità nel Pap. In questo
scritto Peirce prende le mosse dal concetto di continuo, sostenendo che se le estremità libere di
una linea di identità vengono intese come definite, ciò contraddice lo stesso concetto di
continuo. Peirce chiarisce che i punti di una linea continua non possono essere considerati
come elementi distinti, attuali, e infatti richiamandosi al concetto di continuo kantiano, il
filosofo prosegue affermando che le parti sono omogenee con il tutto e queste parti omogenee
sono indeterminate in quanto non hanno inizio o fine definiti. Ciò che si può attualizzare
274
C. Hookway, Peirce, Routledge e Kegan, London 1985, p. 88. 275
Ivi, p. 87.
174
all‟interno di una linea continua è la relazione intercorrente fra punti, poiché per definire la
relazione di un punto su una linea con un altro punto è necessario prendere in considerazione un
terzo punto e così via.
Inoltre per mettere in evidenza il carattere continuo della linea, Peirce ricorda che la linea di
identità non è tracciata soltanto sulle aree Metalliche ma è anche tracciata sul Colore, che
rappresenta la Possibilità. In questo senso, come scrive Ferriani: “due punti collocati
all‟estremità di una linea d‟identità costituiscono un indice (allo stato puro) del medesimo
individuo, svolgendo la funzione di «diagramma» del soggetto logico di una proposizione
meglio dei selettivi, cioè di una serie di occorrenze discrete di variabili individuali”276
.
Se accettiamo profondamente il significato di continuo lineare, non possiamo pensare che le
estremità libere rinviino a soggetti assolutamente determinati. Nell‟ottica pragmatica, così come
dice Apel, la relazione al futuro è costitutiva per il significato277
. Infatti secondo Peirce un
individuo non è mai assolutamente determinato, ma infinitamente determinabile, perché la sua
essenza consisterà in tutte le sue determinazioni che si esplicheranno in una dimensione futura.
E la linea d‟identità è come se sintetizzasse le infinite possibili determinazioni. In questi termini
la linea di identità, in qualità di continuo è veramente abilitata ad esprimere la connessione tra
predicato e soggetto: le estremità libere della linea d‟identità veicolano il magma della
significazione dal quale predicato e soggetto provengono, inverando una relazione che già è
disponibile in ambito semiotico278
. Infatti la linea di identità è simbolica, indicale e iconica. La
linea di identità qualificandosi come segno convenzionale è un simbolo, denotando una
relazione che può riferirsi ad un individuo o altro esprime la sua valenza indicale, nonché come
continuum di punti è “ottimamente l‟icona della continuità nell‟osservazione attenta di un
oggetto individuale”279
. O come dice nello scritto del 1903:
“la linea di identità appare come nient‟altro che un continuum di punti, e il fatto dell‟identità di
una cosa, vista sotto due aspetti, consiste solamente nella continuità dell‟essere nel passare da
un‟apparizione ad un‟altra”280
.
Insieme a queste considerazioni utili per comprendere e sottolineare, come dice lo stesso Peirce,
il valore straordinario di un segno, come la linea di identità, la cui natura simbolica e iconica la
rende plastica e adeguata ad una rappresentazione grafica, in cui assume particolare
significatività l‟operazione del taglio, è importante concepire la linea di identità come un ens
rationis. Essa infatti, come abbiamo detto più che identificare un singolo individuo esprime la
relazione che intercorre tra diversi predicati attribuibili ad un singolo individuo oppure denota
la non-identità, che esprime attraverso la denotazione di due individui diversi. Essa può porsi
276
M. Ferriani, I grafi esistenziali peirceani: genesi e motivi di una notazione, «Lingua e stile» 25 (1990), n.3 p. 401. 277
Cfr. Apel Karl Otto, Charles S. Peirce: From pragmatism to pragmaticism, Ambert, University of Massachussets
Press, 1981, p.109. 278
A tal proposito Sun Joo Shin afferma: “For visual clarity Peirce adopts a line (which is a graphical object) instead of
a variable (which is a symbolic object) to represent numerical identity among individuals. The connection of the
endpoints by one line visually represents the identify of the individuals denoted by those endpoints. Also, one line with
branches is more visually perspicuous than several tokens of one type of variable”. Sun Joo Shin, The Iconic Logic of
Peirce‟s Graphs, The Mit Press, Cambridge 2002 p.106. 279
Peirce, Il fondamento del Pragmaticismo,in Pragmatismo e grafi esistenziali, a cura di S. Marietti, Jaca Book,
Milano 2003 p.203. 280
Peirce, On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra, cit., p.625.
175
come espressione di diverse relazioni e può essere rappresentata in diversi modi, e proprio
questa sua plasticità crea le condizioni per una maggiore trasformabilità del grafo.
Così come il concetto matematico di collezione è un ens rationis, allo stesso modo la linea di
identità è un continuum che si svolge tra il predicato e il nome cioè essa produce nuove forme
di individualizzazioni che troveranno concretezza nei selettivi. Nel sistema dei grafi la linea
d‟identità, come rileva Peirce, è al „massimo grado iconica‟ poiché permette di scoprire nuove
relazioni e di identificare tali relazioni con la dimensione del nome, realizzando così un
simbolo. In questo senso nel nome si sedimenta, si accumula tutta la continuità di cui è gravida
la linea d‟identità.
Riprendendo l‟iter espositivo dei Prolegomena to an Apology for pragmaticism, si potrà
constatatare nei grafi espressi dalla figura 12 e 13 la forza della linea di identità
indipendentemente dalle contromosse dell‟interprete e soprattutto si potrà riscontrare il fatto
che, se pur si elimina una parte esterna della linea d‟identità, di essa comunque rimarrà sul
taglio un punto assolutamente giustificato: essa, come vedremo, resisterà alle mosse effettuate
dall‟interprete. Già nel 1903 in On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and logical Algebra
Peirce affermava: “Se una linea dentro la siepe è prolungata fino alla siepe, all‟istante in cui
arriva alla siepe la sua estremità viene improvvisamente identificata come dato di fatto, ed è
significativo - con un punto esterno alla siepe; e così il prolungamento assume improvvisamente
un carattere interamente differente da un prolungamento ordinario e non significativo. Questo ci
dà il seguente Principio condizionale N.4: solo le connessioni o la continuità delle linee
d‟identità sono significative, non la loro forma o dimensione [….] la giunzione o disgiunzione
di una linea d‟identità dentro la siepe con un punto sopra la siepe segue sempre le stesse regole
della sua connessione o sconnessione con un punto marcato dentro la siepe”281
.
Procediamo ad analizzare il grafo espresso dalla fig.12, qui il grafista assume la seguente
proposizione: „esiste un milionario che non è sfortunato‟ e procede a giustificarla. Analizziamo
in che modo il grafista potrà affrontare le mosse e l‟eventuale contraddizione dell‟interprete, al
fine di trasformare tale proposizione in un giudizio esistenziale.
Come è stato detto, perché il grafista possa affermare qualsiasi proposizione deve effettuare un
taglio sulla Facciata femica, cioè deve negare una proposizione universale negativa, e allora il
grafista taglia e ribalta la parte della Facciata femica negata. L‟interprete leggerà „Nessuno C è
sfortunato‟. È bene ricordare che l‟interprete trovandosi dalla parte del verso non vede
l‟operazione del taglio ma l‟esito del taglio e quindi non leggerà „non (Tutti i C sono non
sfortunati)‟ bensì „Nessun C è sfortunato‟.
In che modo l‟interprete può contraddire? Quest‟ultimo dispone di due possibilità: o nega il
soggetto o il predicato. Leggiamo il grafo parziale sul luogo del taglio espresso dalla figura 12:
281
Ivi, p. 651.
176
“Il grafo parziale sul luogo del taglio afferma che esiste un individuo, denotato dall‟estremità
esterna al Taglio della linea d‟identità, il quale è un milionario. Chiamiamo quest‟individuo C.
Allora, dato che punti contigui denotano i medesimi oggetti individuali, l‟estremità della linea
d‟identità nell‟Area del Taglio è anch‟essa C, e il Grafo Parziale su quest‟Area afferma che,
qualunque sia l‟individuo scelto dall‟Interprete a piacere, quell‟individuo o non è C oppure
non è sfortunato”282
.
E allora, considerando le due opzioni, ora espresse, possiamo dire che la prima non è
praticabile, poiché in considerazione del fatto che la linea d‟identità è un continuum, C rimane
dentro il taglio, d‟altra parte il punto non è isolabile all‟interno della linea, come è stato detto
precedentemente la linea d‟identità è una relazione tra proprietà, e in questo senso non è una
somma di elementi discreti, la linea d‟identità è come un filo che tiene insieme sia il recto che il
verso, infatti se la linea d‟identità venisse tagliata, è come se venisse cancellato il predicato,
ma l‟interprete ha la funzione soltanto di contraddire e non di eliminare. Quindi se l‟interprete
dovesse scegliere non C e dovesse affermare che non esiste un milionario non sfortunato,
cadrebbe in contraddizione, poiché C rimane dentro il taglio e quindi ciò che non riesce a fare
l‟interprete è quello di trovare un elemento alternativo a C, e quindi viene legittimata la
proposizione assunta dal grafista, perché il predicato non sfortunato è predicato di C e non di un
altro individuo.
Ora nel momento in cui l‟interprete scegliesse l‟altra opzione ovvero non sfortunato, dal
momento che C rimane dentro il taglio, allora il predicato „non sfortunato‟ sarebbe attribuito a
C, ma ciò confermerebbe la proposizione posta dal grafista, perché se l‟interprete sceglie non
sfortunato, l‟interprete afferma che C non è sfortunato, giustificando così la proposizione che
gli era stata comunicata dal grafista.
Tale grafo in modo immediato esprime la demolizione della struttura tradizionale della
proposizione, nel senso che la proposizione viene posta soltanto in relazione al contraddittorio,
infatti la proposizione sarà giustificata soltanto all‟interno del taglio, poiché è il taglio che apre
la comunicazione con l‟interprete e pone le condizioni perché la proposizione possa divenire
giudizio esistenziale, nel momento in cui si espone all‟eventuale contraddizione dell‟interprete.
Ora la proposizione viene posta in relazione all‟interprete per essere giustificata, ma la sua
stessa costituzione è frutto di un‟operazione, poiché è all‟interno del taglio che i suoi elementi
costitutivi, il soggetto e il predicato, si rendono disponibili. È il taglio che restituisce identità al
nome ed è il medesimo che trasforma la proposizione in giudizio esistenziale, quindi in questo
282
Ivi, pp.244-245.
177
senso la proposizione si costituisce in itinere, attraverso le operazioni del grafista e le azioni
dell‟interprete.
Già nel 1903 in On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and logical Algebra Peirce
affermava: “Se una linea dentro la siepe è prolungata fino alla siepe, all‟istante in cui arriva alla
siepe la sua estremità viene improvvisamente identificata come dato di fatto, ed è significativo-
con un punto esterno alla siepe; e così il prolungamento assume improvvisamente un carattere
interamente differente da un prolungamento ordinario e non significativo. Questo ci dà il
seguente Principio condizionale N.4: solo le connessioni o la continuità delle linee d‟identità
sono significative, non la loro forma o dimensione [….] la giunzione o disgiunzione di una
linea d‟identità dentro la siepe con un punto sopra la siepe segue sempre le stesse regole della
sua connessione o sconnessione con un punto marcato dentro la siepe”283
.
Procediamo con l‟analisi dei grafi espressi dalle figure successive in modo tale da comprendere
che i diversi livelli del ragionamento e per struttura e per complessità sono frutto di operazioni e
di costruzioni assolutamente indispensabili alla realizzazione del percorso dimostrativo.
Analizziamo la figura 13:
essa afferma che esiste un Turco che è sia il marito di un individuo denotato da un punto esterno
al Taglio, individuo che possiamo chiamare U, sia il marito di un Individuo denotato da un
punto esterno al Taglio, individuo che possiamo chiamare V. Ora vediamo in che modo il
grafista procede nel giustificare tale proposizione: il grafista afferma quattro predicazioni e cioè
che sia nella dimensione dell‟attualità che in quella della possibilità Turco è marito di U e
Turco è marito di V, e comunica all‟interprete che nessun U possibilmente è moglie di … e che
nessun V possibilmente è moglie di … Teniamo presente due elementi importanti: il primo
consiste nel fatto che il grafista per affermare deve negare una proposizione universale
negativa, e l‟interprete si trova dalla parte opposta e quindi non leggerà „Non (Nessun U
possibilmente è moglie di …)‟, „Non (Nessun V possibilmente è moglie di …)‟, poiché gli sarà
presentato soltanto il pezzo della Facciata femica tagliato e ribaltato, e quindi leggerà
„Nessun U possibilmente è moglie di‟… e „Nessun V possibilmente è moglie di‟ …;il secondo
è dato dal fatto che l‟area del taglio è tinteggiata in Colore e quindi le proposizioni ineriscono
alla dimensione della possibilità.
283
Pierce, On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra, cit., p. 651.
178
L‟interprete in che modo può dimostrare che non sono vere queste predicazioni? Se l‟interprete
contraddice le proposizioni che legge, rimarrà sconfitto e non potrà inviare alcuna
comunicazione alternativa a quella comunicata dal grafista. E il grafista leggerà sul verso la sua
proposizione confermata ovvero „Non (Nessun U possibilmente è moglie di….)‟, „Non (Nessun
V possibilmente è moglie di ….)‟. L‟interprete per averla vinta sul grafista dovrebbe trovare
una U o una V che siano possibilmente mogli di, ma il grafista ha comunicato che U e V non
sono mogli di, quindi gli individui scelti dall' interprete dovranno essere non U e non V, perché
gli si possa attribuire il predicato di essere mogli di. Ma U e V rimangono dentro il taglio,
poiché sono punti di una linea d‟identità che attraversa il taglio e quindi non sono eliminabili,
ma se U e V rimangono dentro il taglio, l‟interprete si ritrova ad attribuire la proprietà di essere
moglie di … proprio ai medesimi U e V considerati dal grafista, e allora l‟interprete rimarrà
comunque bloccato e saranno confermate le quattro predicazioni del grafista.
Analizziamo adesso la fig.14:
Il grafo esprime che c‟è una donna sposata il cui marito non fallirà o altrimenti ella commetterà
suicidio. In che modo il grafista potrà dimostrare tale asserzione? Il grafista potrà giustificare la
propria asserzione tagliando ed effettuando così una negazione, infatti afferma una proposizione
condizionale attraverso una disgiunzione che è la negazione dell‟antecedente o l‟affermazione
del conseguente. Il grafista taglia e nega in questo modo: „Non (tutti gli uomini sposati
falliscono mentre nessuna donna sposata commetterà suicidio)‟, l‟interprete, come noi
sappiamo, si trova dalla parte del verso e quindi sul pezzo reciso e ribaltato dal grafista ovvero
sul recto leggerà „tutti gli uomini sposati falliscono mentre nessuna donna sposata commetterà
suicidio e contraddirà‟, ma tale operazione avrà solo l‟effetto di legittimare l‟asserzione del
grafista.
Analizzati i diversi legami che possono caratterizzare i tagli effettuati dal grafista, viene
enunciata la quarta autorizzazione in cui si pone in chiaro che qualsiasi legame può essere
mantenuto o interrotto a piacere.
Dopo avere esposto le autorizzazioni è opportuno soffermarsi sul rapporto tra la linea d‟identità
e il taglio: la linea di identità all‟interno del taglio entra a far parte del campo assertivo e
contribuisce a definire il predicato, ma in un modo che appare di gran lunga superiore al modo
in cui può farlo un semplice selettivo. Infatti per le considerazioni già fatte le estremità di una
linea di identità non sono coincidenti con il significato espresso dai selettivi, poiché questi
ultimi rinvierebbero a individui determinati, reperibili nel mondo dell‟esistente, mentre le
179
estremità libere di una linea continua esprimono alcune condizioni sotto le quali è
identificabile un possibile individuo, ma proprio in questo senso la linea d‟identità sembrerebbe
inverare il profondo significato del quantificatore esistenziale, poiché, secondo Hintikka, “What
makes a second-order predicate an existential quantifier is not its extension in the actual world,
but the way this extension is determined in any old (or new) world.”284
. In Peirce secondo
Hintikka questa idea del quantificatore ritrova le sue radici nell‟impianto semiotico, dove
secondo Hintikka è riscontrabile “l‟idea di quantificatore come ciò che asserisce la possibilità
di scelta, di specificazione di un certo tipo”285
. In effetti queste considerazioni portano alla
ribalta la radice semiotica del significato del quantificatore esistenziale e con essa tutta
l‟impalcatura gnoseologica peirceana. Infatti c‟è da chiedersi, in considerazione della
costruzione peirceana, se è possibile pensare ad un selettivo, come ad un nome che sia in grado
di incontrare l‟oggetto nella sua assoluta staticità in un punto ben determinato. Un oggetto del
genere, come sappiamo, non si incontra mai nella prospettiva peirceana, esso è piuttosto
frutto di un processo interpretativo, che contribuisce a costruirlo, e quindi il segno non è
accidentale o assolutamente ininfluente rispetto al modo in cui si costituisce l‟oggetto. Ora
proprio la natura del segno ci restituisce l‟idea di continuità, che connota tutti i luoghi in cui si
esercita il ragionamento e si produce conoscenza, e pone l‟accento sulla dimensione
pragmatica del significato. Infatti come abbiamo constatato nella costruzione dei grafi, il ruolo
dell‟interprete, la dialettica tra interprete e grafista entrano a far parte della costituzione dei
significati, e questa dinamica è fondamentale poiché le assunzioni del grafista, resistendo alle
reazioni dell‟interprete, una volta rese inconfutabili, trasformano le assunzioni in conclusioni
necessarie e in qualche modo, la linea di identità all‟interno del taglio esprime proprio
graficamente il percorso che dalla predicazione perviene alla funzione nominativa, e in tale
percorso si mostra il continuum che dal predicato perviene al nome. Più che una gerarchia tra
nome e predicato sembra esserci un flusso continuo, in cui non è più possibile pensare al
nome, come ad un elemento soltanto denotativo, che, in quanto tale, presuppone una realtà già
data. Se da un lato le considerazioni fatte ci permettono di comprendere il motivo per cui la
linea di identità mostra una ricchezza espressiva superiore ai selettivi, dall‟altro ci consentono di
comprendere meglio il rapporto stretto intercorrente tra la linea di identità e il taglio. È
all‟interno del taglio che è possibile asserire ed è quindi in questo ambito assertivo che la linea
d‟identità è in grado di far valere, potremmo dire, la sua ricchezza predicativa e nominativa, è la
linea d‟identità in quanto connessione tra predicato e soggetto a restituirci la contaminazione
imprescindibile tra funzione predicativa e nominativa. La linea d‟identità, meglio di qualsiasi
selettivo, permette di comprendere che i nomi non sono privi di significazione, peraltro essa si
fa espressione grafica di ragioni logiche e semiotiche, nel senso che sia sul piano assertivo della
proposizione sia su quello della rappresentazione segnica non è possibile pensare ad un
rapporto duale tra oggetto da un lato e denotazione e senso dall‟altro come direbbe Frege,
poiché il processo di significazione, sia esso prettamente logico, sia di matrice segnica, rende
284
Hintikka, The place of C.S.Peirce in the History of Logical Theory, in J. Brunning – P. Forster (eds) The Rule of
reason the philosophy of C.S. Peirce, Toronto –Buffalo- London, University of Toronto Press, 1977, p.19. 285
Ivi, p. 20.
180
necessario il momento costruttivo e interpretativo. Tale momento necessita dell‟azione del
grafista, il quale attraverso il taglio provvede a predisporre il piano assertivo. Ma come si rende
disponibile tale piano assertivo? Come bisogna operare per affermare sulla facciata femica?
Leggiamo Peirce: “Ogni simbolo è un ens rationis, perché consiste in un abito, in una
regolarità; ora, ogni regolarità consiste nell‟occorrenza condizionale futura di fatti che non sono
essi stessi quella regolarità. Molte importanti verità sono espresse da proposizioni che si
riferiscono direttamente a simboli o a oggetti ideali di simboli, non a realtà. Se diciamo che due
palle entrano in collisione, esprimiamo una relazione reale tra loro, intendendo per relazione
reale una relazione che implichi l‟esistenza dei suoi correlati. Se diciamo che una palla è rossa,
esprimiamo una qualità del sentire positiva realmente connessa con la palla. Ma se diciamo
che la palla non è blu, esprimiamo semplicemente- per quanto concerne l‟espressione diretta-
una relazione di inapplicabilità tra il predicato blu e la palla o segno di essa. Così è con ogni
negazione. Ora si è già mostrato che ogni proposizione universale implica una negazione,
almeno quando è espressa come grafo esistenziale. D‟altra parte, quasi ogni grafo esprimente
una proposizione non universale ha una linea d‟identità. Ma l‟identità, benché espressa dalla
linea come una relazione diadica, non è una relazione tra due cose, ma tra due representamen
della stessa cosa”286
. Il taglio, insomma, è l‟operazione al cui interno si restituiscono le ragioni
del nome e perciò stesso lo si giustifica.
Riprendendo l‟analisi della costruzione grafica, Peirce applica il sistema dei grafi al
procedimento sillogistico, ponendo in evidenza come anche in questo caso il momento
costruttivo svolge un importante ruolo, nel senso che il ragionamento sillogistico non mette
capo soltanto ad un iter analitico, nel sillogismo non ci si limita ad esplicitare quanto è
contenuto nelle premesse, bensì con l‟intervento di vere e proprie operazioni compiute dal
grafista e dall‟interprete si perviene dalle premesse assunte alle conclusioni. Infatti Peirce
afferma: “In ogni caso, quando un Argomento è portato dinanzi a noi, ci viene fatto notare un
processo (cosa che appare così chiaramente nelle Trasformazioni Illative dei Grafi) attraverso il
quale le Premesse dànno la Conclusione, non informando l‟Interprete della sua Verità, ma
rivolgendosi a lui perché dia il suo assenso a ciò”287
.
E allora procediamo con l‟analisi del seguente argomento sillogistico posto dal grafista: „Ogni
uomo è un animale, e ogni animale è mortale; perciò ogni uomo è mortale‟. Come può il
grafista dimostrare tale argomento sillogistico? Intanto vengono tracciate le premesse, come
nella fig.15, tenendo presente che sono espresse sul grafo con il taglio cioè con la negazione
di proposizioni negative universali ovvero „Non (tutti gli uomini sono non animali) e „non
(tutti gli animali sono non mortali)‟. In virtù della seconda autorizzazione, in particolare
dell‟iterazione, il grafista inserisce la seconda premessa nella prima, e, per non perdere la
traccia di ciò che ha modificato, itera la seconda premessa accanto al grafo nuovo che contiene
le due premesse, e così ottiene la fig. 16.
286
Peirce, On Existential Graphs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra, cit., pp. 634-635. 287
Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p. 249.
181
L‟interprete come risponde leggendo la comunicazione inviata dal grafista? L‟interprete
appellandosi alla prima autorizzazione cancella sul recto l‟iterazione effettuata dal grafista
dando luogo alla fig.17. Successivamente applicando la regola di deformazione l‟interprete
costruisce il grafo espresso dalla fig.18.
Il grafista, grazie alla regola di inserzione, prolunga l‟estremità della linea d‟identità deformata
all‟interno del taglio contenente la seconda premessa, e così determina la fig.19. Il grafista,
successivamente, per la regola di deiterazione toglie animale sul verso e così esprime la fig.20.
In considerazione della terza autorizzazione che prescrive che due tagli l‟uno dentro l‟altro,
che non condividono niente fra loro, possono essere aboliti o introdotti su qualsiasi area, il
grafista abolisce i due tagli perché fra loro non c‟è niente e tale azione produce il grafo
espresso dalla fig.21. L‟ultimo passaggio è dato dall‟interprete, il quale cancella sul recto
„animale‟ e contraddice la proposizione „ nessun uomo è mortale‟ e rimanda al grafista.
182
Qui è bene mettere in evidenza che il grafo della fig.22 è uguale a quello della fig. 7, perché,
come si diceva a proposito di quest‟ultima, quando il grafista deve esprimere un giudizio
universale, sia esso un‟implicazione esistenziale sia esso una universale affermativa, deve fare
ricorso al taglio e allora deve esprimere graficamente una linea d‟identità dispari-inclusa e dare
così avvio alla dialettica grafista –interprete. E allora la conclusione del grafo della fig.22 „se
alcunché è un uomo, allora è mortale‟ equivale alla universale affermativa che conclude il
sillogismo posto dal grafista, ovvero ogni uomo è mortale.
Il grafista preferisce esprimere in modo esistenziale l‟universale affermativa per evitare che il
ruolo venga affidato sempre all‟interprete, perché, come è stato detto precedentemente, i
giudizi universali si esprimono sempre con l‟assunzione di proposizioni universali negative e
quindi con la dialettica interprete-grafista, in cui è l‟interprete a fare la prima mossa.
Ora queste convenzioni che regolano la struttura grafica sono profondamente legate
all‟impianto logico- semiotico e metafisico del sistema peirceano.
Sul piano strettamente logico è fondamentale l‟idea che l‟espressione dei soggetti di una
proposizione sia assolutamente variabile, perché frutto di una scelta che si decide nella
relazione tra grafista e interprete. Come è stato già detto, l‟alternativa vero-falso e i soggetti di
un‟asserzione sono frutto di una dialettica tra grafista e interprete, e quindi la forma, con la
quale vengono espressi i soggetti di un‟asserzione, può variare a seconda di ciò che si intende
comunicare. Infatti Peirce sostiene: “un‟asserzione di necessità logica è semplicemente
un‟asserzione i cui soggetti sono oggetti di una collezione qualunque, non importa quale. La
conseguenza è che l‟icona, che può essere evocata quando si vuole, ha solo bisogno di essere
183
evocata, e chi la riceve ha bisogno solamente di accertare se può distribuire qualunque insieme
di indici nel modo previsto in maniera da rendere l‟asserzione falsa, al fine di sottoporre a
prova la verità dell‟asserzione”288
.
Subito dopo Peirce aggiunge che “il predicato di una proposizione, essendo essenzialmente di
natura ideale, può essere chiamato al solo tipo di esistenza di cui è suscettibile liberamente”289
.
In Peirce questa trasformabilità dei soggetti di un‟asserzione peraltro si lega al lungo percorso
che Peirce ha effettuato sin dagli scritti giovanili per approdare alla risoluzione delle
proposizioni categoriche in proposizioni ipotetiche. Peirce ribadisce che non vi è alcuna
differenza tra le proposizioni categoriche e le proposizioni ipotetiche, poichè la forma di
relazione è la stessa, come si può evincere da questo passo: “Esprimiamo ora la proposizione
categorica “Ogni uomo è saggio”. Qui assumiamo ui a significare che l‟oggetto individuale i è
un uomo e si che l‟oggetto individuale i è saggio. Asseriamo allora che “prendendo un
qualunque individuo dell‟universo i, non importa quale; o l‟individuo i non è un uomo o tale
individuo i è saggio”. Vale a dire chiunque sia un uomo è saggio. Vale a dire qualunque cosa i
possa indicare, o ui non è vero o si è vero. Le proposizioni condizionali e categoriche vengono
espresse precisamente nella stessa forma; e secondo me non vi è alcuna differenza fra esse. La
forma di relazione è la stessa”290
.
Da queste parole traiamo elementi per capire come il soggetto di un‟asserzione sia il frutto di
una possibile relazione veicolata dall‟icona, che perciò stesso si espone ad una possibile verifica
da parte di chi riceverà l‟asserzione, poiché dovrà scegliere, non importa quale collezione, un
insieme di elementi che siano in grado di soddisfare le condizioni di verità della proposizione
comunicata. Una prospettiva di questo tipo è legittimata dal ragionamento matematico che,
come dice Peirce, ci insegna a considerare le idee come entità, nella misura in cui, una volta
individuata una relazione, gli elementi che condividono quella relazione costituiranno un
insieme. In questi termini l‟astrazione ipostatica, strumento formidabile con il quale nel
ragionamento matematico le relazioni espresse da predicati diventano oggetti di pensiero, ci
permette di comprendere meglio in che senso Peirce ritenga inessenziale la quantificazione del
predicato. Dalla lettura dei grafi si evince come l‟espressione della proposizione dipenda
dalla dialettica grafista-interprete, nel senso che il grafo non descrive, semmai pone
un‟assunzione, affinchè attraverso opportune operazioni che scaturiscono dalla comunicazione
tra il grafista e l‟interprete, risulti giustificata l‟assunzione posta. E allora sulla base grafica, così
come il grafista sperimenterà la collezione di individui da selezionare per comunicare
l‟assunzione posta, allo stesso modo, l‟interprete sulla base dell‟assunzione comunicata potrà
scegliere di selezionare l‟insieme di indici che potrà verificarla. Infatti Peirce afferma:
“Tornando ai soggetti, si deve osservare che l‟asserzione può contenere la proposta o la richiesta
che colui che riceve il messaggio faccia qualcosa con essi [….] Supponiamo per esempio che
l‟asserzione sia „Una certa donna è adorata da tutti i cattolici‟. Le icone che la costituiscono
sono, in quello che è il probabile modo di intendere l‟asserzione, tre: quella di una donna, quella
288
Peirce, The Regenerated Logic, (1896), cit., p. 724. 289
Ibidem. 290
Ivi, p.726.
184
di una persona A che ne adora un‟altra B e quella di un non-cattolico. Combiniamo le ultime
due disgiuntivamente identificando il non-cattolico con A, inoltre combiniamo con
giuntivamente questo composto con la prima icona identificando la donna con B. Ne risulta
un‟icona nel modo seguente: B è una donna, e inoltre, o A adora B, o A non è cattolico”. Per
soggetti si intendono tutti gli enti appartenenti nel presente o nel passato al mondo reale. Fra
questi colui che riceve il messaggio può agevolmente sceglierne uno da mettere al posto di B e
non importa allora quale sceglie per mettere al posto di A [….] Tutto ciò si impone a chi
trasmette il messaggio in forza dell‟esperienza; e non in forza di qualche sua particolare
caratteristica mentale; e pertanto si imporrà egualmente a chi riceve il messaggi”291
. Tali
affermazioni in modo evidente mostrano come i soggetti di un‟asserzione non siano dati una
volta per tutte, bensì sono frutto di un‟operazione, di una sperimentazione sulla proposizione
espressa dal grafo. In tal modo i segni iconico-grafici sono assolutamente fecondi così come nel
nostro caso la linea d‟identità, che è quel filo che ci permette di agganciare gli indici che sono
indispensabili alla verifica degli argomenti comunicati. Insomma il problema è quello di
trovare un insieme di elementi che sia in grado di mettere alla prova le relazioni espresse dal
predicato della proposizione comunicata. E allora in questo senso Peirce si oppone alla
dottrina della quantificazione, poiché la relazione espressa dall‟implicazione esistenziale
orienterà il gioco dialettico tra grafista e interprete nella scelta dei soggetti delle asserzioni.
Allo stesso modo il matematico, in considerazione delle relazioni assunte, selezionerà un
universo possibile di elementi compatibili con le relazioni poste.
Tale prospettiva trova conferma nell‟impianto metafisico, poiché sulla base delle nuove
acquisizioni logiche, la Metafisica sarà autorevolmente abilitata a tematizzare il rapporto tra la
dimensione delle idee e quella degli individui. Leggiamo Peirce: “L‟intera scienza matematica
è una scienza di ipotesi. La filosofia non è altrettanto astratta. Infatti essa non compie
osservazioni speciali, come fa ogni altra scienza positiva, e pur tuttavia tratta in effetti della
realtà. Si limita però ai fenomeni universali dell‟esperienza [ …] La logica [….] comincia a
essere una scienza positiva, infatti vi sono alcuni oggetti rispetto ai quali il logico non è libero
di supporre che esistano o non esistano […] Allora la logica esatta sarà la dottrina delle
condizioni della fondazione di credenze stabili che si appoggiano su osservazioni certe e sulla
matematica, vale a dire, sul pensiero diagrammatico o iconico”292
.
Rivolgendo uno sguardo d‟insieme alla costruzione grafica è possibile affermare che il processo
di significazione è distribuito fra tutti i livelli del ragionamento e infatti Peirce, nella parte
conclusiva dei Prolegomena to an Apology for Pragmaticism afferma: “La differenza tra
Termine, Proposizione e Argomento non è in nessun modo una differenza di complessità e non
consiste tanto nella struttura, quanto nelle funzioni che essi distintamente sono destinati a
compiere”293
. Il termine seleziona l‟oggetto, senza pretendere di costituirlo in modo definitivo,
apre il processo della referenzialità, la proposizione contribuisce a giustificare alcune relazioni
291
Ivi, p.723. 292
Ivi,p. 719. 293
Pierce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.249.
185
che consentono di identificare un possibile oggetto e infine l‟argomento codifica e regolamenta
i contenuti delle proposizioni.
Dall‟analisi dei singoli grafi e del rapporto tra il rema e la linea di identità, emerge come
la costruzione ausiliaria che si attui in itinere, getti un ponte, grazie al quale è possibile arrivare
alle conclusioni, e quindi realizzare il percorso dimostrativo. E questo è valido sia all‟interno
della struttura assertiva quale può essere quello della proposizione, sia quella relativa
all‟Argomento. E ciò rafforza l‟idea che le costruzioni non sono euristiche, bensì parte
integrante del percorso dimostrativo. Non è un caso che da questa pratica della costruzione dei
grafi venga qualcosa che non ha a che fare con la singola dimostrazione, ma si costituisce una
metodologia che guida il ragionamento verso la conquista della verità. Infatti questa
metodologia coincide con la necessità di diagrammatizzare il ragionamento, e tale necessità va
oltre la dimensione analitica, che consisterebbe nel verificare la correttezza di un procedimento
deduttivo, poiché essa contribuisce a produrre nuove conoscenze e a costituire una solida base
alla Metafisica. Ma tale obiettivo è raggiunto nella misura in cui viene trasformato il modo di
concepire la proposizione e l‟argomento. Sia nel primo caso che nel secondo è presente un
processo, così come afferma Peirce nel caso dell‟argomento: “le premesse danno la
conclusione, non informando l‟Interprete della sua verità, ma rivolgendosi a lui perché dia il suo
assenso a ciò”294
.
La processualità caratterizzante i due luoghi fondamentali del ragionamento, la proposizione e
l‟argomento, pongono in luce l‟ampio respiro del progetto del sistema dei grafi esistenzaili, che
lungi dal qualificarsi un semplice calcolo, rivoluziona le fondamenta, l‟ossatura del
ragionamento logico, rendendola flessibile, costruttiva, dinamica, e offrendo un esempio di
osmosi tra i vari plessi dell‟impianto. Infatti la flessibilità, la necessità di costruire, di
diagrammatizzare lascia emergere le sue implicazioni semiotiche, matematiche, pragmatiche e
metafisiche. L‟apparato grafico e le regole di trasformazione dei grafi abilitano il sistema
costruito da Peirce, più che semplicemente a facilitare il ragionamento, a produrre conoscenze
nuove, in modo tale da garantire solide fondamenta al processo della conoscenza. La vocazione
più profonda del Peirce scienziato si manifesta nella costruzione dei grafi in tutta la sua
genialità mostrando come anche il ragionamento più astratto può essere osservato e addirittura
divenire oggetto di sperimentazione. Ma questa impresa è gestibile soltanto all‟interno della
costruzione grafica che “Sostituisce ai simboli […] figure visive concrete di cui dobbiamo
constatare se ammettono o no certi rapporti descrivibili fra le loro parti”.
L‟imprescindibilità del tratto materiale, della sua trasformazione e della sua condivisione con
una dimensione interpretante, propri della costruzione grafica, costituiscono i tratti più
innovativi della prospettiva peirceana. Il procedimento argomentativo non è lineare piuttosto si
presenta plastico, visivo, concreto, materiale, e quindi in questo senso si ritiene particolarmente
fondamentale il tratto iconico, poiché pur essendo il contraddittorio, per certi versi, della pura
astrazione, è ciò che di fatto avvia il procedimento argomentativo al fine di svolgere il
percorso della dimostrazione. Diversamente da Frege che non concepisce la logica con una
294
Ivi p. 249.
186
base concreta, intuitiva bensì assolutamente astratta, - tant‟è che sono assenti nelle sue prove
dimostrative elementi concreti, visivi, grafici-, Peirce ritiene che la logica, perché non risulti
scollata da ogni riferimento al linguaggio naturale, magma nel quale è immerso il pensiero, non
deve essere pensata astrattamente e distillata da ogni riferimento alla viva dinamica del pensiero
segno. E come sostiene Hintikka, Peirce forse non avrebbe creato il suo sistema grafico, se
avesse condiviso alcune delle posizioni sostenute dai logici, volte a supportare l‟universalità
del linguaggio. Infatti Hintikka in The Place of C. S. Peirce in the History of Logical Theory
pone l‟accento sul fatto che gli universalisti ritengono che il linguaggio sia un medium
universale dal quale è impossibile prendere distanza senza cadere nelle trappole del non senso
o delle tautologie. Al contrario per coloro che vedono il linguaggio come calcolo è possibile
riflettere sulla semantica di un linguaggio all‟interno di quel linguaggio stesso ed inoltre è
possibile concepire diversi modelli per interpretare gli asserti proposizionali diversi da quelli
inerenti al mondo attuale. In questi termini il linguaggio è reinterpetabile e quindi espone
continuamente i significati elaborati ad un test di verifica, che essenzialmente è rappresentato
dalla figura dell‟interprete.
La concezione logica di Peirce è aperta ad un linguaggio reinterpretabile, ad una visione dei
mondi possibili e quindi è chiaro che questa flessibilità crea le condizioni perché Peirce possa
assumere una posizione più duttile rispetto all‟assolutizzazione di un solo linguaggio, di un solo
sistema logico, non è un caso che dalla facciata femica venga fuori una visione della realtà
declinata nei tre universi della Possibilità, dell‟Esistenza e della Necessità. Ma queste ragioni,
come afferma Sun Joo Shin, non sono bastevoli per stabilire effettivamente quali furono le
condizioni necessarie e sufficienti per la costruzione di un sistema grafico. Infatti se la
condizione necessaria è data dalla distinzione tra formalizzazione e simbolizzazione, quella
sufficiente, come afferma Sun Joo Shin, è intrinseca al modo di concepire il diagramma e al suo
rapporto con la teoria dei segni. Infatti, secondo Peirce, l‟icona gioca un ruolo fecondo nella
rappresentazione delle relazioni, fornisce un‟ evidenza che non è assolutamente riscontrabile
nella dimensione simbolica. Infatti come accade nelle dimostrazioni della geometria euclidea, e
così come è stato ampiamente trattato nelle pagine precedenti, la figura tracciata dal
matematico assume una straordinaria importanza. Opportunamente Sun Joo Shin ritiene che la
figura costruita diventa segno della figura generale e in particolare afferma:
“If we assume that an icon represents only a particular things, we can never cross the bridge from the
properties that we find in the particular triangle to the properties of a triangle in general that we are
interested in knowing”295
. Evidentemente è possibile cadere in errore se in un percorso
dimostrativo vengono assolutizzate alcune proprietà della figura, ma a questo proposito Sun
Joo Shin propone una distinzione all‟interno della figura tracciata: proprietà che
rappresentano fatti e proprietà che non li rappresentano. Le proprietà che non rappresentano
fatti sono quelle accidentali che un‟icona possiede, ma queste non sono attribuibili al suo
possibile referente. Infatti l‟icona permette di visualizzare relazioni di carattere generale, ma al
tempo stesso consente con opportune manipolazioni di arrivare ad ulteriori informazioni e
295
Sun Joo Shin, op.cit., p.28.
187
questo costituisce il notevole vantaggio rispetto ad una formalizzazione soltanto simbolica. In
questi termini Peirce ritiene che una formalizzazione, in grado di intrecciare vari tipi di segni,
è nelle condizioni di diagrammatizzare qualsiasi pensiero. In quest‟ottica se la logica non risulta
sganciata dalla realtà e se è in grado di utilizzare la fondamentale triade segnica, icona, indice
e simbolo, per Peirce essa diventa l‟unico bagaglio di concetti validi a cui deve attingere ogni
disciplina296
. E anche la Metafisica, perché possa costituire il suo edificio su solide basi deve
prendere in prestito i concetti dalla logica.
3) Natura e convenzione
La consapevolezza di una forte compenetrazione tra logica e metafisica è già ribadita ne Il
rinnovamento della logica in cui Peirce precisa che la logica ha la funzione di rendere esatta la
metafisica e di renderla maggiormente compatibile con la scienza. Così precisamente Peirce
afferma: “Quale ci si aspetta che sia l‟utilità della nuova dottrina logica? Il primo vantaggio che
ci si può attendere è che essa serva a correggere un gran numero di affermazioni affrettate sulla
logica, che sono riuscite a influire sulla filosofia. Inoltre se Kant ha mostrato che le concezioni
metafisiche nascono dalla logica, questa grande generalizzazione della logica può condurre a
una nuova visione dei concetti metafisici che li renderanno più adeguati alle necessità della
scienza”297
.
A conclusione dell‟analisi dei Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, infatti le
domande che ci poniamo sono le seguenti: la costruzione logica serve a fornire una
comprensione globale del reale? La dinamica costruttiva che Peirce ha esibito nel sistema
grafico getta luce su domande del tipo: che cos‟è la verità, che cos‟è il reale, in che modo si
accordano? In effetti dopo i Prolegomena to an Apology for Pragmaticism forse è possibile
disporre di una traccia logica per arrivare all‟Esperienza, per comprenderla nella sua
profondità.
Adesso è il caso di fare un‟incursione negli scritti in cui viene elaborata la visione
sinechistica, per tornare successivamente al senso della scrittura grafica.
Già tra il 1896 e il 1898 Peirce predispone in modo significativo lo spazio essenzialmente
teoretico per rispondere a queste domande, e se ci limitiamo ad analizzare questo arco di tempo
che va dagli anni 90 al 1908, forse è possibile individuare un filo che tiene sempre insieme
logica e metafisica, e non solo, forse questo filo è così robusto da tenere insieme A New List of
Categories e gli scritti del Peirce maturo. Come dice Maddalena, Sostanza ed Essere
ricompaiono, ma in che modo? Tutta la fatica di Peirce forse è stata quella di costruire la
credibilità logica di queste dimensioni radicali. Se avesse voluto spazzarle via, non avrebbe
avuto bisogno di costruire una logica grafica, quest‟ultima diventa essenziale, perché è
296
Peirce già nel 1885 affermava che, oltre all‟indice e al simbolo, è necessaria l‟icona , poiché un ragionamento si
fonda sull‟osservazione di determinate relazioni e sulla possibilità di trovarne altre proprio a partire da una base
osservativa. Cfr. Peirce, Sull‟algebra della Logica: Un contributo alla filosofia della notazione, cit., p.886. 297
Peirce, Il rinnovamento della Logica, cit., p. 730.
188
all‟interno di essa che può arrivare notizia della profondità del reale. Insomma così come la
Matematica, pur non legata al mondo attuale, apre nuovi orizzonti per comprendere il reale,
allo stesso modo la logica divenendo grafica si configura come un mirabile „cannocchiale‟ al
cui interno è possibile guardare dentro il reale e apprezzarne la sua profondità. Il pensiero e il
reale sono due dimensioni congruenti, s‟incastrano bene se il tessuto logico è in grado di
integrare gli eventi del reale, ma integrare non significa sottomettere il reale alle ferree ragioni
della logica necessaria, ma assecondare il reale conferendole la veste che le è più congeniale
per farlo venire alla luce e così identificarlo. Infatti Peirce afferma: “È vero che l‟intero
universo, e ogni suo aspetto, va considerato razionale, cioè causato dalla logica degli eventi, ma
da ciò non segue che esso sia determinato a essere ciò che è dalla logica degli eventi, dato che
la logica che presiede all‟evoluzione e alla vita non deve essere pensata così rigida da obbligare
in modo assoluto a una data conclusione. Tale logica può essere quella dell‟inferenza induttiva
o ipotetica298
”.
Una logica di questo tipo è una logica che si apre alla materialità, all‟Esperienza, in modo
tale da rendersi congeniale alla natura del reale. Che cosa significa questo? Se il pensiero e il
reale non condividessero alcunché non potrebbero comunicare o meglio rimarrebbe uno iato
fra loro. Ma se è ammissibile un terreno condivisibile tra realtà e pensiero, ciò è possibile
grazie al fatto che la realtà non è soltanto materia bruta, è anche energia che si trasforma, che
evolve. E allora la scommessa è quella di trovare una grammatica che esprima questo possibile
accordo, ma quest‟ultimo non è dato in modo definitivo, esso è sottoposto ad un continuo
esame, confronto, ed è proprio il costante riferimento da parte del pensiero al reale a garantire
l‟aggiustamento progressivo e ad evitare che il pensiero cristallizzi simbolizzazioni
assolutamente scollate rispetto al reale.
In che modo reale e pensiero si mettono insieme? Nell‟ottica peirceana il nesso tra reale e
pensiero non è risolto a vantaggio del pensiero o della realtà, la grande fatica di Peirce è
proprio quella di trovare un adeguato equilibrio tra realtà e pensiero. E infatti l‟elaborazione
fenomenologica delle categorie già provvede a fornire un‟idea del modo in cui il reale è
assolutamente congeniale al pensiero, poiché se il pensiero può predisporre lo spazio entro cui
ospitare il reale, ciò è possibile perché la realtà è stratificata e il pensiero è la tela che permette
di far trasparire le modalità del reale. Abbiamo già detto che la realtà si declina secondo la
possibilità, l‟esistenza e la necessità. Il punto fondamentale è proprio questo: l‟avere scoperto
che il reale non dispone soltanto dell‟esistenza rende possibile al pensiero la sua leggibilità,
senza negargli l‟indipendenza. Infatti la grande svolta fenomenologica sta nell‟indicare il
metodo con cui gestire il reale e comprenderlo: non capiamo il reale se lo intendiamo soltanto
come qualcosa contro cui il pensiero urta, poiché la consistenza del reale va molto oltre. D‟altra
parte se il reale disponesse di un solo strato, quello dell‟attualità, ritornerebbero i consueti
problemi della tradizione: come è possibile che qualcosa di completamente estraneo al pensiero
possa penetrare in esso? Forse soltanto un atto intuitivo potrebbe colmare il vuoto, lo iato tra
reale e pensiero. Ma sappiamo che già il giovane Peirce nega la possibilità di accedere per via
298
Peirce, La logica degli eventi, cit., p. 69.
189
intuitiva al reale, l‟originalità di Peirce sta nel vedere il reale non come un muro contro cui si
urta, poiché questo si configurerebbe come una „superstizione naturalistica‟, ma come una
dimensione stratificata, nella quale è possibile penetrare non in modo diretto, ma attraverso il
pensiero, il quale con le sue modalità possibili, attuali e necessarie, riesce, se pur in modo
mediato, a comunicare il reale. Il problema di Peirce, come dice P. Manganaro, non è quello
di definirsi realista o idealista ma quello di sconfiggere totalmente ogni residuo nominalistico al
fine di approdare ad un realismo che non disdegni i frutti prodigiosi della lezione idealistica,
conferendo a questi ultimi una veste inedita e integrandoli con i plessi più originali del suo
pensiero. L‟obiettivo di Peirce è quello di mostrare come il reale possa essere concepito come
un generale e mai come un individuale, e nello stesso tempo come esso sia da considerarsi
indipendente rispetto al pensiero, e come proprio questa indipendenza garantisca un sapere
mai dogmatico, ma sempre ipotetico, e disponibile ad accogliere nuove assunzioni.
A tal proposito è importante indugiare sul concetto di esternalità per comprendere che ciò che
sembrerebbe apparire come l‟aspetto più impermeabile al pensiero, di fatto è già per sua
struttura interna compatibile con il pensiero. Infatti esso racchiude un intreccio tra azione,
tensione al futuro, tendenza alla realizzazione di propositi, che è proprio del reale e che allo
stesso tempo è congeniale alla struttura del pensiero.
Intanto nello scritto Belief and Judgment del 1902 Peirce chiarisce in modo netto che esperire
il mondo esterno equivale all‟atto di esperire la dualità, poiché il senso di sforzo da un lato e il
senso di resistenza dall‟altro caratterizzano l‟impatto con l‟esistenza. E sebbene la dualità
necessiti della riflessione, come afferma Peirce, quest‟ultima scaturisce da uno scontro del tutto
inaspettato con l‟esperienza. Infatti Peirce mette in evidenza che, sebbene il reale non si risolva
esclusivamente nell‟esistenza, l‟elemento percettivo nella sua datità diventa imprescindibile
nella misura in cui assolve alla funzione di disattendere le aspettative del soggetto conoscente
creando così un effetto di sorpresa, che è proprio la caratteristica della percezione299
.
Ma perché il reale venga compreso non è sufficiente la sorpresa che scaturisce dall‟impatto tra
oggetto e soggetto, e infatti in Issues of Pragmaticism Peirce lega il termine di esternalità ad
altri termini, come conation300
. Negli scritti tra il 1905 e il 1908, come è stato analizzato in
occasione della trattazione della Faneroscopia, emerge non soltanto un carattere di resistenza
nel reale, ma anche un elemento volizionale. L‟oggetto è come se opponesse resistenza nella
misura in cui intende manifestarsi, creare sorpresa e così coinvolgere il soggetto nella sua rete.
Qual è il senso di questa resistenza? Il senso, a mio avviso, non è soltanto quello di attestare
l‟indipendenza della realtà, poiché una volta preso atto di tale alterità, è necessario integrarla e
comprenderla all‟interno di uno sviluppo che si può dispiegare nell‟ambito di un tempo futuro
a cui appartiene anche il pensiero. Se la realtà si declina anche secondo la possibilità, oltre che
299
Viene ribadita l‟indipendenza del mondo esistente anche in CP 5.525. Può essere utile ricordare che il Webster del
termine external fornisce la seguente definizione: “Having extens apart from sensation or perception; existing
independent of processes of experience; belonging to the external”.Webster‟s New International Dictionary of the
English Language, Springfield, Mass.,U.S.A. published by G & C. Merriam Company, 1913. 300
Nel dizionario, sopracitato, il termine conation viene designato come l‟atto che implica uno sforzo o muscolare o
pschico e viene precisato che tale termine fu usato da Hamilton per indicare una delle tre grandi partizioni della
mente che esprime desiderio e volontà, oltre a quelle rappresentate dal feeling e dalla cognition.
190
secondo l‟esistenza e la necessità, non è possibile assolutizzare il dato esistente, ma non perché
il reale verrebbe ricompreso all‟interno del pensiero, ma perché la dimensione dell‟esistenza è
una delle forme possibili. Infatti Peirce afferma: “Supporremo naturalmente, è ovvio, che
l‟esistenza sia uno stadio dell‟evoluzione. Questa esistenza è presumibilmente solo un‟esistenza
speciale. Non abbiamo bisogno di supporre che ogni forma abbia bisogno per la sua
evoluzione di emergere in questo mondo, ma solo che ha bisogno di entrare in un qualche teatro
di reazioni, uno dei quali è questo”301
.
Ora sebbene l‟esistente sia una delle forme nelle quali il reale si propone, esso è comunque
fondamentale, perché è attraverso di esso che si rendano disponibili la possibilità e la
necessità. L‟esternalità così come viene proposta da Peirce in Belief and Judgment,
Faneroscopia e la storia naturale dei concetti, la logica, e in Issues of Pragmaticism si pone
come volizione, nel senso che l‟oggetto oppone resistenza e si propone come un ostacolo contro
cui entra in collisione il soggetto conoscente, poiché vuole essere esperito.
Il dato esistente avvia un possibile contatto con il pensiero, per iniziare un processo di
conoscenza, al cui interno esso può lasciare intravedere i suoi infiniti strati. Il dato esistente non
cela una realtà noumenica, ma permette la disponibilità di un piano in cui intravedere le infinite
possibilità del reale, che evidentemente si potranno esplicare soltanto in fieri.
Se ritorniamo ai testi cui si è fatto cenno precedentemente, in particolare La Faneroscopia:
ovvero, la storia naturale dei concetti e La Logica Peirce pone in evidenza come la percezione
del dato esterno sia legata ad un elemento volitivo che coinvolge soggetto e oggetto, infatti così
si esprime: “Il feeling è una qualità ma, finchè c‟è un puro feeling, la qualità non può essere
limitata a nessun soggetto definito […] il feeling, in quanto tale, non è analizzabile. La
Volizione è completamente duale […] Troviamo in essa la dualità di agente e paziente, di
sforzo e resistenza […] Il punto importante è che il senso dell‟esteriorità nella percezione
consiste in un senso d‟impotenza di fronte alla forza schiacciante della percezione. Ora l‟unico
modo in cui possiamo conoscere una forza è grazie alla presenza di qualcosa che cerca di
opporsi a essa. L‟urto che riceviamo da ogni esperienza inaspettata ci mostra che anche in noi
c‟è un‟azione di questo tipo”302
. Ne La Logica Peirce privilegia l‟attenzione nei confronti
dell‟oggetto evidenziando il modo in cui l‟elemento volitivo sia anche proprio dell‟oggetto.
Così come è stato detto in merito all‟analisi fenomenologica, Peirce afferma che “la tendenza a
essere sentito fa parte dell‟essere stesso di ogni oggetto capace di Feeling [….] Ciò che è
potenziale tende sempre a divenire Attuale e forse ciò che è immediatamente ed essenzialmente
Potenziale, quando è Reale, tende sempre Realmente e attivamente all‟Attualizzazione”303
.
Tali passaggi ci permettono di capire, in modo meno usuale, che soggetto e oggetto necessitano
di una dimensione plastica e dinamica perché possano rivelarsi e conoscersi.
Queste considerazioni sono in consonanza con i contenuti espressi in Questioni di
pragmaticismo qui vengono fornite le giustificazioni logico-pragmatiche dell‟idea che la
301
Peirce, La logica della Continuità, cit., p.1175. 302
Phaneroscopy, in MS 299, trad.i t. La faneroscopia: ovvero, la storia naturale dei concetti, a cura di M. Luisi in
Esperienza e Percezione, Edizioni ETS, Pisa 2008, p.191. 303
Logic in MS 609, trad. it. La Logica, cit., p.210.
Riguardo l‟elemento volitivo dell‟esistente cfr. CP 5.439 ; CP 5.462.
191
modalità della realtà non coincide soltanto con l‟esistenza, Peirce, infatti, si impegna a
mostrare come non soltanto sono reali i generali ma anche le possibilità, poiché ritiene che se
è ormai assodato che i generali sono reali e operanti, allora diventa fondamentale comprendere
che la Possibilità è reale. Peirce qui riprende la questione legata al noto esempio del diamante,
già affrontata in Come rendere chiare le nostre idee, approfondendo il tema e apportando una
fondamentale correzione, frutto dell‟evoluzione del suo pensiero. La questione legata al
diamante suona in questi termini: qualora un diamante non venisse mai toccato, dello stesso si
potrebbe affermare o negare la qualità della durezza? Nel saggio del „78, Come rendere chiare
le nostre idee, Peirce aveva risolto la questione affermando che essa si legava ad un problema di
nomenclatura, ma in Questioni di pragmaticismo Peirce riesaminando la stessa domanda
ritiene che la risposta è insufficiente perché comunque le questioni di nomenclatura si legano
sempre a questioni di classificazione, le prime stanno in un rapporto di implicazione con le
seconde. E la classificazione discrimina il vero dal falso perché si fonda sui generali, i quali
sono veri se effettivamente operano nella realtà, falsi se invece appartengono al mondo della
finzione304
. La soluzione al problema, secondo Peirce, non può provenire che dalla massima
pragmatica, la quale non è mai rivolta al dato esistente e infatti afferma Peirce: “Il
pragmaticismo fa consistere il significato intellettuale ultimo di tutto quello che volete nel
concetto delle risoluzioni condizionali, o nella loro sostanza. E quindi, dato che queste
risoluzioni condizionali sono costituite da proposizioni condizionali con l‟antecedente ipotetico,
tali proposizioni, attenendo alla natura ultima del significato, devono essere suscettibili di essere
vere: cioè di esprimere qualsiasi cosa vi sia che sia tale e quale la proposizione l‟esprime,
indipendentemente dall‟essere pensata tale in un giudizio effettivamente occorrente, o
dall‟essere effettivamente rappresentata in un qualche altro simbolo umano. Ma questo
equivale a dire che la possibilità ha qualche volta la natura di realtà”305
.
Qui Peirce ribadisce con forza che la comprensione profonda del reale non ha come oggetto
soltanto l‟esistente, poiché se è stato accertato che il reale è generale, esso non può coincidere
con l‟esistente, ma se il generale è veramente operante nel reale, cioè se la legge effettivamente
regola il reale, allora, come dice lo stesso Peirce „i simboli non sono irreali‟. La legislazione
del simbolo non è frutto di convenzione, essa conviene con il reale, ma con quale tipo di
reale? Non certo con il reale come dato esistente, ma con uno stato di cose che si trova nel
modo della Possibilità. Il simbolo nel suo punto di arrivo è convenzionale, come è stato detto,
poiché realizza un codice, ma il suo processo di costituzione non è convenzionale, perché si
limita a codificare il rapporto tra il possibile e l‟esistente, cioè permette al possibile di
riconoscersi o nell‟esistente o nella necessità che il futuro realizzerà.
La questione del diamante non si può risolvere facendo ricorso a soluzioni di tipo
convenzionale, come erroneamente alludeva lo stesso Peirce nel saggio del 78, poiché una
tale soluzione finirebbe per mettere in discussione l‟indipendenza del reale, infatti Peirce
ribadisce che “il reale è ciò che è tale e quale è, indipendentemente da come, in qualsiasi
304
Cfr. Questioni di pragmaticismo, cit., p.428. 305
Ivi, pp.428-29.
192
momento, si pensi che sia”306
. Evidentemente il nucleo concettuale della massima pragmatica
sintetizza le leve di comando del sistema del filosofo americano, in particolare l‟idea di
continuità tra pensiero e realtà e l‟inconcepibilità dell‟inconoscibile. Se il rifiuto di considerare i
simboli come irreali lascia intendere la profonda consonanza tra il mentale e il reale, l‟idea
che qualcosa di ignoto, come il caso della durezza del diamante, sia equivalente ad una
proposizione condizionale vera radicalizza le argomentazioni che Peirce già esponeva in Some
Consequences of Four Incapacities, in merito all‟impossibilità di pensare l‟inconoscibile.
Secondo Peirce l‟inconcepibilità dell‟inconoscibile è giustificata sia dalla prospettiva
strettamente filosofica, sia da quella delle scienze empiriche, infatti Peirce così argomenta: “A
che cosa d‟altro si riferisce tutto l‟insegnamento della chimica, se non al “comportamento” dei
differenti generi possibili di sostanza materiale? E in che cosa consiste questo comportamento,
se non in ciò: che, se una sostanza di un certo genere venisse esposta a un agente di un certo
genere, allora, in base alle nostre esperienze sin qui occorse, ne seguirebbe un certo genere di
risultato sensibile? Quanto al pragmaticista la sua posizione è proprio questa: col dire che un
oggetto possiede un dato carattere, non si può significare altro. Il pragmaticista si trova perciò
costretto a sottoscrivere la dottrina di una Modalità reale, che includa la Necessità reale e La
Possibilità”307
.
In questi termini il concetto di tempo diventa fondamentale per capire, come dice lo stesso
Peirce, la natura del pragmaticismo, infatti il tempo è da concepire come una modalità del
reale, in particolare il futuro si pone come la dimensione temporale più congeniale alla
comprensione dello svolgimento stesso del reale. Il futuro è ciò che ci consentirà di valorizzare
e trasformare la creatività intrinseca alla Possibilità, aprendola alla verità e volgendola in
norma. È proprio il futuro ad esprimere il senso della massima pragmatica, poiché quando si
traggono le conclusioni in merito ad un possibile stato di cose, inevitabilmente, afferma Peirce,
si utilizza il futuro o il condizionale: il tempo entra nella costituzione dei significati, del reale,
nonché dei meccanismi della percezione.
È nel tempo che si produce la verità, ma questa è una condizione che vale anche per il reale,
non è un caso che negli scritti in cui viene tematizzato il concetto di sinechismo che
sicuramente costituisce l‟asse portante della visione metafisica peirceana, si evidenzi la
necessità di leggere il reale in una dimensione evolutiva. Infatti se ci riferiamo all‟ambito
prettamente metafisico, sia pure per accenni, è possibile comprendere come in esso attraverso il
concetto di sinechismo sia possibile cogliere una certa processualità del reale, e come in questo
concetto confluiscano tutti gli assi portanti del sistema peirceano308
. Proprio questa
convergenza, a mio avviso, costituisce una base per fornire possibili risposte alle domande
che vengono fuori dall‟analisi dei Prolegomena to an Apology for pragmaticism.
Negli scritti tra il1891 e il 1893, in cui Peirce espone il suo progetto cosmologico, l‟universo
viene concepito in termini dinamici, poiché quest‟ultimo dal caos, dalla spontaneità procede
306
Ivi, p.431. 307
Ibidem. 308
Per una visione di ampio respiro del sinechismo fondamentale la lettura del MS 948, per la definizione del termine
sinechismo cfr. MS 946; e per i rapporti tra mente e reale cfr. 950; interessanti i Ms 936 e 928 rispettivamente per il
richiamo a Leibniz a proposito del rapporto tra reale e pensiero e per il rapporto tra assiomi matematici e metafisici.
193
verso l‟ordine, la regolarità. La materia non è mai dato inerte, essa è semmai qualcosa di
contratto che deve ancora sciogliersi, e infatti il reale si sostanzia di relazioni e non certo di
forme rigide e definitive: tale idea del reale è giustificata all‟interno della cosmologia
peirceana dalla presenza del caso, infatti in un‟ottica antitetica rispetto al meccanicismo il
caso si pone come principio dinamico operante all‟interno dell‟universo.
È la filosofia del tichismo a tematizzare il caso come elemento strutturale della materia, e
infatti così Peirce argomenta: “[….] Il tichismo deve dare vita a una cosmologia evolutiva, nella
quale tutte le regolarità della natura e della mente sono considerate come prodotti dello
sviluppo”309
, infatti già aveva precisato ne La Dottrina della necessità sotto esame: “Io faccio
uso del caso principalmente per fare spazio a un principio di generalizzazione, o tendenza a
formare abiti, che ritengo abbia proceduto tutte le regolarità. Il filosofo meccanicista lascia del
tutto inspiegabile l‟intera specificazione del mondo, il che è quasi tanto male quanto attribuirla
semplicemente al caso. Io l‟attribuisco completamente al caso, è vero, ma al caso in forma di
una spontaneità che è in qualche misura regolare”310
.
In modo efficace Peirce in Architecture of Theories, in una versione iniziale, contenuta
nell‟ottavo volume dei Writings, recentemente pubblicato, pone in evidenza come nella
dimensione logica e nella legislazione che norma l‟universo non sia possibile prendere le
mosse da una legge già data, poiché tale approccio equivarrebbe a non fornire alcuna
spiegazione. Al contrario la sorpresa, il caso, la spontaneità riscontrabili nell‟universo
sollecitano ipotesi, congetture che, se valide, saranno le uniche a fornire possibili spiegazioni.
Infatti Peirce afferma che ad alcuni fatti non è possibile richiedere spiegazione riguardo
all‟occorrenza di cose simili fra loro o di cose differenti, poiché è l‟ipotesi che è in grado di
spiegare “likenesses or definite relations of unlikenesses”311
.
In questo passo, dopo avere messo in evidenza la valenza ipotetica della cosmologia evolutiva,
Peirce rinvia alla matematica; essa è chiamata in causa perché ritenuta la forma di sapere,
che può costituire un modello per la metafisica. La matematica mostra alla metafisica il modo
in cui è possibile conoscere senza partire da assiomi, e così la metafisica deve sperimentare le
possibilità intrinseche all‟universo, nella misura in cui quest‟ultimo non è strutturato da leggi
fisse e meccaniche, ma esibisce le sue possibilità, affinchè si istituiscano relazioni, che possano
realizzare un ordine possibile, plasmando, modellando l‟infinita ricchezza di spontaneità, di
casualità per trasformarle in abiti.
Il sinechismo sul piano metafisico corrisponde al concetto logico-matematico di continuità, in
generale la metafisica, come dice Peirce, assimila i principi logici non soltanto sul piano
della validità ma soprattutto sul piano della verità, cioè le verità logiche per la metafisica
diventano verità che appartengono al reale a pieno titolo, perché permettono di capire che nel
reale c‟è una riserva di verità che il pensiero coglie di volta in volta. Un passaggio significativo
in merito al modo in cui Peirce intreccia i vari piani della sua costruzione filosofica, è quello ad
esempio che chiude l‟Architettura delle Teorie in cui viene ricordato che “tra i tanti principi di
309
Peirce, La legge della mente, cit., p.1102. 310
Peirce, La dottrina della necessità sotto esame (1892), p.1088. 311
W8: 87.
194
Logica che trovano applicazione in Filosofia, […] ci sono tre concetti, che saltano fuori
dappertutto in ogni teoria della logica, e che nei sistemi più rifiniti si presentano in connessione
fra loro. Io li chiamo i concetti di Primo, Secondo, Terzo. Primo è il concetto di essere o di
esistere indipendentemente da alcunché d‟altro. Secondo è il concetto di essere relativo a, il
concetto di reazione con, qualcosa d‟altro. Terzo è il concetto della mediazione, per mezzo
della quale un primo e un secondo sono posti in relazione […] L‟origine delle cose, considerata
non in quanto conduca ad alcunché, ma in se stessa, contiene l‟idea di Primo; il compimento
delle cose l‟idea di Secondo; il processo di mediazione fra di esse l‟idea di Terzo”312
.
Se da una parte tutto ciò che è conoscibile è coglibile all‟interno delle espressioni proposizionali
di cui è capace la dimensione rappresentativa del pensiero, dall‟altra questa stessa dimensione
proposizionale lascia intravedere una realtà più ampia. Proprio questa realtà più ampia è quella
che viene conosciuta dalla metafisica.
Ma quale realtà viene rivelata? Una realtà che incarna il nucleo tematico più rappresentativo
della prospettiva peirceana e cioè l‟idea che la conoscenza procede per ipotesi e che queste
ultime, dopo essere state sottoposte al vaglio del vero-falso, potranno approdare alla legge.
Così come nel pensiero la legge non sta all‟inizio ma è frutto di uno svolgimento interpretativo,
allo stesso modo l‟universo si presenta come un groviglio di possibilità che il pensiero, con le
sue inferenze, trasforma in relazioni vere.
Quindi l‟interdipendenza tra logica e metafisica sta nel fatto che la logica abduttiva esplicando
nel futuro le possibilità della realtà, lascia intravedere un reale che non è regolato da una
legislazione di tipo meccanico. La metafisica spende le formalizzazioni ottenute attraverso la
logica per scoprire nuovi strati del reale, per compiere nel reale un‟integrazione adeguata di
individuale e generale.
Qui la convergenza tra logica e metafisica emerge chiaramente e non solo ma anche la loro
struttura circolare, poiché vero è che la logica attinge alla metafisica nel senso che le sue
assunzioni affondano le loro radici nel reale, ma al tempo stesso la metafisica necessita della
logica, poiché senza la mediazione proposizionale non può procedere, infatti per quanto il suo
ambito sia più vasto, la metafisica senza le mediazioni logiche non potrebbe attingere
all‟oggetto. È proprio questa necessità a fare della metafisica di Peirce una metafisica
pragmatica, quest‟ultima diventa una metafisica del possibile, nel senso che l‟oggetto della
conoscenza non è dato, esso è mediato dalla complessa dimensione segnica e conformemente
alla massima pragmatica è inesauribile, poiché reale è ciò che urta, che sorprende il nostro
pensiero e ci costringe ad integrarlo nell‟ambito della nostra esperienza presente o futura:
l‟oggetto della Metafisica è irriducibile al pensiero, nella misura in cui è gravido di potenzialità
che si esprimeranno nella prassi dell‟esperibile. E allora se è chiaro il vincolo stretto tra
metafisica e pragmaticismo, la metafisica si presenta congeniale alla costruzione grafica che
diventa il luogo logico- fenomenologico in cui è possibile scoprire i diversi strati del reale
e rivelarne la loro inedita profondità.
312
Peirce, L‟architettura delle teorie (1891), cit., p.348.
195
La formalizzazione logica, in particolare quella grafica, diventa fondamentale perché luogo di
incontro tra l‟essere e i suoi nomi, il segno grafico si pone come il luogo in cui si rende
possibile l‟identificazione del nesso tra individuale e universale, che evidentemente non si
stabilisce in modo definitivo all‟interno della scrittura grafica, al contrario riceve da
quest‟ultima attraverso le sue scelte, le sue manipolazioni, la sua plasticità e i suoi hermeneiai
pragmatici, una fisionomia possibile.
Infatti la logica di Peirce è una logica che trasforma, ma essa è in grado di trasformare,
poiché i segni nei quali vengono espresse le asserzioni sono dinamici, aperti all‟inferenzialità
ipotetica e diretti a destinatari potenziali che si impegnino a verificarne la veridicità.
Proprio qui risiede tutta la densità della „sintassi grafica‟, poiché il movimento proposizionale
cui dà vita non rispecchia una presunta realtà già data bensì è autotrasformantesi, poiché
sperimenta effettuando operazioni al fine di conoscere le necessità che saranno esplicate dalle
proposizioni assunte.
Cos‟è che nella logica grafica permette di scoprire l‟inedito? È il taglio a qualificarsi come
atto sintetico, esso è lo squarcio compiuto dal grafista sulla facciata femica che equivale alla
totalità del reale che il soggetto incontra nell‟esperienza. Nell‟incontro con la realtà il soggetto
non è soltanto investito, ma attiva le sue inferenze abduttive al fine di realizzare la
comprensione di quel pezzo di realtà, che apparentemente si mostra come quel muro contro cui
il soggetto urta, poiché in realtà esso è un muro mobile, plastico, poiché esso permetterà una
penetrazione più profonda del reale, che si realizzerà integrando all‟interno di una regola ciò
che apparentemente si presentava come l‟inatteso, ciò che non era compatibile con le vecchie
regole. E così allo stesso modo il grafista nell‟impatto con la facciata femica, ovvero con
l‟asseribile, con l‟intero, attiva un ragionamento, che non può che essere ipotetico, poiché
necessariamente proiettato verso il futuro: il vero non gli si palesa innanzi nell‟immediato, e
allora, così come fa lo scienziato, deve sperimentare per realizzare un obiettivo ovvero per
giustificare quanto assunto. Se quest‟ultimo risulterà giustificato il vero che ne conseguirà sarà
parziale ma conforme al reale, dal momento che il reale stesso necessita della veste logica in
virtù della quale viene compreso.
Attraverso il taglio scopriamo mondi nuovi, poiché la negazione di una possibilità esprimerà
non soltanto la negazione ma anche la possibilità di una realtà alternativa, ancora da giustificare
ma già assumibile. Così Peirce spiega nei Prolegomena to an Apology for pragmaticism: “[…]
Se diciamo di un uomo che non è innocente, noi rappresentiamo l‟innocente come collocato
soltanto in un universo ideale, il quale universo (o una parte del quale contenente l‟immaginato
essere innocente) noi allora separiamo positivamente dall‟identità dell‟uomo in questione”313
.
In questi termini, oltreché il significato strettamente logico, viene fuori la valenza ontologica
del taglio, il quale, rendendo discontinuo il continuum della facciata femica, lascia vedere le
potenzialità del reale, e pone le condizioni perché queste ultime si trasformino in necessità, ma
tali necessità non esauriscono l‟infinita possibilità del reale, quest‟ultima esibirà nuove
necessità che costituiranno, se pur transitori, nuovi e sorprendenti approdi. Ma in che modo le
313
Peirce, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, cit., p.234 (nota).
196
possibilità condizionali potranno giustificare i loro contenuti? Come si è avuto modo di
constatare dall‟analisi dei grafi contenuti nei Prolegomena to an Apology for pragmaticism
un punto fondamentale, che emerge e che si pone in assoluta coerenza con la massima
pragmatica, consiste nel ritenere il vero come ciò che deve essere sottoposto alla confutazione, e
quindi successivamente condiviso, approvato. La verità deve prima esporsi alla possibile
confutazione perché venga legittimata. Qualsiasi proposizione è un invito a realizzare un
proposito e si rivolge ad un interprete. Proprio questa esigenza del vero coniuga in modo chiaro
l‟asse semiotico-logico e quello pragmatico. Il vero necessita di un movimento logico che si
spende all‟interno di un contesto comune, in cui si procede gradualmente, poiché si
costituisce nella dimensione del segno, che per sua natura è orientato sempre verso un
destinatario, e così si rende tratto osservabile e manipolabile314
.
Le diverse operazioni che la scrittura grafica effettua come le inserzioni, le reiterazioni le
cancellazioni svolgono il vero nel senso che costituiranno il tramite attraverso il quale dai
contenuti condizionali si perverrà ad una conclusione necessaria. In tale tragitto accade il
passaggio dalla possibilità alla necessità, ma l‟esito importante non è soltanto quello legato
alla conclusione dell‟iter logico, poiché l‟effetto pragmatico non si esaurisce qui: sarà il futuro a
marcare la significatività delle conclusioni raggiunte dalla prassi grafica. Se un concetto si
dispiega nei suoi „concepibili‟ effetti pratici, l‟esito pregnante si coglie nella continuità di
questi effetti, nella formazione di abiti in grado di testimoniare il continuum logico espresso
dalla costruzione grafica.
Potremmo dire che la scrittura grafica è profondamente rivoluzionaria perché la sua efficacia, la
sua verità risiede nella capacità di trasformare, di creare nuovi abiti, in questo senso la scrittura
grafica guarda al futuro, riponendo il suo fine nell‟evoluzione degli abiti, affidando il senso
della verità dei suoi asserti alla dimensione del futuro, in cui le condizionalità troveranno
ospitalità presso l‟esistente. Ma questa fiducia nel futuro è supportata, come abbiamo
analizzato precedentemente, essenzialmente dalla visione sinechistica, è il reale che ci
supporta in questo processo che muovendo dalle potenzialità perviene alla legalità, ai principi.
Il continuum reale, che si esplica nel passaggio dal caso alla legge, trova la sua
rappresentazione logica proprio in quella dimensione dialettica in cui grafista e interprete con
le loro operazioni, tagli, inserzioni ed eliminazioni, iterazioni, deiterazioni, e cancellazioni,
creano discontinuità nel continuum, segnando il passaggio dalla possibilità alla necessità. E
così gli artefici dell‟operare grafico mettono in atto i frutti della lezione pragmatica e
consegnano al futuro il senso del loro lavoro. Così si esprime Peirce in On Existential Graphs,
Euler‟s Diagrams and Logical Algebra: “La verità stessa delle cose deve in qualche misura
essere rappresentativa. Se ammettiamo che le proposizioni esprimono davvero la realtà, non è
314
Come afferma F. Zalamea: “[….] The pragmaticist maxim shows that knowledge seen as a logic-semiotic process,
is preeminently contextual (as opposed to absolute) relational (as opposed to substantial), modal (as opposed to
determinate), and synthetic (as opposed to analytic)”. F. Zalamea, A Category – Theoretic Readings of Peirce‟s
System, in New Essay on Peirce‟s Mathematical Philosophy, by Matthew E. Moore, Open Court, Chicago and La
Salle, 2010, p. 205.
197
sorprendente che lo studio della natura delle proposizioni ci possa consentire di passare dalla
conoscenza di un fatto alla conoscenza di un altro”315
.
La costruzione grafica serve a scoprire il vero, poiché le convenzioni, le autorizzazioni ci
permettono di penetrare in ciò che vi è di stabile, di oggettivo. La conoscenza è azione, il
significato è relazione e se da una parte la logica grafica con le sue varie operazioni permette
di iconizzare i principi logici del pensiero, dall‟altra questi ultimi intendono valere come verità
del reale. Insomma lo spazio logico si pone come spazio fenomenologico, poiché i grafi
avrebbero la funzione di elaborare un modello all‟interno del quale apparirebbero gli
universali. In questi termini i grafi assolvono il compito di coniugare metafisica e logica, la
metafisica può sopravvivere a patto che accetti di verificare le sue inferenze in uno spazio
logico. La logica presta al metafisico il luogo in cui dispiegare le sue inferenze, ed è in questo
luogo che sarà possibile apprezzare la valenza ontologica delle connessioni scoperte, perché
ogni ragionamento contempla un atto di costruzione e il pensiero in forma diagrammatica è l‟
unico che consente di seguire lo sviluppo dei vari passaggi inferenziali e l‟attuarsi delle
trasformazioni che in itinere si effettuano. La costruzione dei grafi assume così una veste
fenomenologica e trascendentale: fenomenologica poiché attraverso figure visibili e concrete
dispiega il logos, trascendentale perché nell‟esplicare le connessioni logiche svela quelle del
reale.
La dinamica del grafo, a mio avviso, consolida la relazione triadica del segno, amplificandone il
dominio. Se negli scritti giovanili l‟invalicabilità dell‟orizzonte segnico conduceva Peirce ad
affermare che conoscibile ed essere si identificavano, anche dopo, negli scritti della maturità,
la prospettiva trascendentale, secondo me, non viene meno, poiché il rapporto tra
fenomenologia e semiotica ci permette di comprendere che se il pensiero può rappresentare il
reale ciò è legittimato dall‟assunzione che pensiero e reale presentino una struttura affine. Il
reale non si risolve nel pensiero, ma è configurabile, assume fisionomia in esso. Come
abbiamo avuto modo di constatare nelle pagine precedenti, se da un lato la faneroscopia
indaga sul reale e giustifica l‟impianto semiotico, quest‟ultimo rende articolabile, presentabile
il reale stesso. Secondo Peirce il reale e il pensiero convengono perché presentano strutture
analoghe, infatti la radice semiotica presente nella diagrammatizzazione dei grafi esistenziali
conviene con un‟intrinseca dinamicità del reale che, così come abbiamo analizzato in sede
faneroscopica e negli scritti metafisici, si propone come passaggio dalla spontaneità alla legge.
La proiezione verso il futuro, propria della relazione segnica è assolutamente congeniale al
reale, poiché come è stato detto più volte, la totalità del reale si svelerà soltanto
progressivamente. E di questa crescita è possibile dar conto soltanto all‟interno di un pensiero
formalizzato semioticamente e di una logica diagrammatica. In questo senso la prospettiva di
Peirce, a mio avviso, rimane trascendentale, poiché comunque sarà la dimensione logico-
semiotica ad articolare il reale, cioè ad offrirgli espressione. Qui viene inverato e dilatato il
trascendentale di Kant, poiché se quello kantiano si riferiva alle condizioni di possibilità della
315
Peirce, On Existential Grapfs, Euler‟s Diagrams and Logical Algebra, cit., p.641.
198
dimensione attuale del reale, quello peirceano, soprattutto negli scritti del Peirce maturo, si
pone come condizione della dimensione possibile del reale.
Il movimento innanzitutto abduttivo e l‟intrinseca dialogicità della logica grafica pongono le
condizioni perché in essa si possa esplicare il reale.316
Demolita la pretesa di partire da un
primum immediato, il reale e il pensiero condividono una forma che è quella ipotetica, nel
senso che la Firstness o la spontaneità sono isomorfiche rispetto al potere abduttivo della logica
grafica, la quale procede per assunzioni, e in forma dialogica, poiché le assunzioni soltanto
dopo essere state esposte alla dialettica interprete-grafista potranno dedurre le Possibilità
reali.
In base a queste considerazioni non è possibile pensare alla logica grafica come ad una
sintassi, al contrario, per usare una metafora, questa logica è come se fosse forata, nel senso
che deve disporre di un filtro in virtù del quale comunicare con il reale, cioè deve avvalersi
di segni diversi e quindi non solo di quelli simbolici, che sono generalì, astratti, e non idonei a
rappresentare tutte le modalità del reale, ma deve disporre di segni, che per loro natura si
mostrino plastici, e compatibili con gli input provenienti dal „magma esterno‟.
Cioè la logica deve disporre di segni capaci di agganciare il reale e ritornando alla metafora,
deve avere dei fori, capaci di ospitare le emergenze provenienti dall‟ oggetto dinamico. Lo
sforzo di Peirce è proprio quello di costruire una logica che sia in grado di integrare la
dimensione sintattica e semantico-pragmatica, evitando così di cadere nel logicismo.
Per evitare di cadere nelle aporie del formalismo logico, è necessario far transitare nella
grammatica logica il linguaggio naturale, e tutta la profondità della massima pragmatica.
Perché la logica non perda il rapporto con la realtà deve assolutamente fare i conti con il
316
Utile il saggio di J.Abrams perchè pone in evidenza come Peirce non abbandoni il progetto trascendentale, e
come quest‟ultimo s‟integri anche con i profondi cambiamenti apportati in ambito logico dal pensatore americano.
In un passaggio della sua riflessione lo studioso rinvia proprio ad un punto cruciale dei Prolegomena to an Apology for
Pragmaticism (CP 4.551) in cui si sottolinea l‟imprescindibilità della dimensione dialogica per l‟evoluzione stessa
della logica. Proprio questo punto è alla base della presupposizione trascendentale del discorso che ha prodotto linee
critiche come quella di Apel e di Habermas. J Abrams conclude la sua riflessione affermando: “ Apperception is
then (as Peirce originally argued) the “unity of semiotic consistency”, and is trascendentally directly into the future […]
Meaning entails a triadic movement of the sign-object- interpretant relation, each part of wich is a first, a second, or
third. And, finally, the defense of the categories and apperception takes the form of a transcendental performative
contradction, derived from apel, in the immediate sign. ”. Abrams Jerrold, Peirce, Kant and Apel on Transcendental
Semiotics: The Unity of Appercetion and Deduction of Categories of Signs, <<T.C.P.S.>> 40 (2004) n.4 pp.627-677.
In opposizione all‟idea che nel pensiero di Peirce sia presente un progetto trascendentale T. Midtgarden ritiene che
“[….] The trascendental-empirical and the a priori-a posteriori dichotomies are not assumed for this epistemological
project. Rather, these dichotomies are replaced by an invitation of empirical research-linguistics in particular-to
consider the hypothesis that associated with the indexcality and iconicity of language are certain cognitive functions
connecting and motivating linguistic structure across natural languages”. Midtgarden Torjus, Peirce‟s Epistemology
and its Kantian Legacy: Exegetic and Systematic considerations, <<Journal of the History of Philosophy >> 45 (2007),
n.4, p. 598.T. Midtgarden, sebbene escluda la valenza trascendentale dalla prospettiva peirceana, pone in evidenza che
l‟iconicità della struttura sintattica non è autonoma rispetto alla dimensione del significato e a tal proposito richiama
il passo dei Prolegomena to an Apology for pragmaticism in cui Peirce chiarisce che, affinché un enunciato risulti
comprensibile, è importante che l‟organizzazione delle parole si strutturi iconicamente, poiché le icone servono
soprattutto a mostrare le forme della sintesi degli elementi del pensiero.(4.544). Ivi,p.594. Tale puntualizzazione è in
linea con la prospettiva di questo lavoro, secondo il quale l‟icona è la dimensione in cui si intrecciano il naturale e il
convenzionale. Ora l‟idea che non si possa pensare senza segni rimane un punto fermo nell‟impianto peirceano, esso
infatti si consolida con il sinechismo, che legittima la congruenza tra reale e pensiero. Ogni cosa che è assume una
veste segnica, e in questo senso la prospettiva peirceana, a mio avviso, rimane ancorata ad un punto di vista
trascendentale.
199
linguaggio naturale. D‟altra parte ciò è in linea con il sinechismo di Peirce, in virtù del quale
si intende far valere l‟idea che esiste perfetta consonanza tra le leggi logiche e quelle naturali;
non è un caso che Peirce ribadisca che ogni spiegazione scientifica è un‟ipotesi che c‟è
qualcosa in natura a cui la ragione umana è analoga e che non è ipotizzabile da parte della
scienza qualche fatto fuori dal corso della natura317
. E allora se il segno è l‟unica rete con la
quale il reale è catturabile, così come il linguaggio cerca il contatto con il mondo attraverso
vari tipi di segni, ipostatizzando le immagini, le idee e creando così vere e proprie entità sulle
quali riflettere ed estrapolare significati, insomma così come il linguaggio crea la sua materialità
per risolverla in concetti, che pragmaticamente accresceranno indefinitamente il loro tasso di
significazione, allo stesso modo, la logica, se non vuole essere una logica meramente astratta,
deve accogliere diversi tipi di segni, come le icone e gli indici attraverso i quali vengono
introdotte le emergenze provenienti dal mondo esterno. In questo passaggio dal naturale al
logico si apprezza tutta la profondità della massima pragmatica, poiché come dice Apel: “[….]
La massima pragmatica fornisce una guidalinea normativa per gli esperimenti del pensiero
secondo cui se [….], allora [.…] le connessioni tra possibili azioni o operazioni e possibili
esperienze possono essere scoperte. Così persino l‟inconscio “sfondo” del nostro ordinario uso
di segni (“sfondo” nel senso del testo di Searle sull‟Intenzionalità) può essere progressivamente
portato alla luce, e una più profonda comprensione del significato dei termini e un loro nuovo
uso dei giochi del linguaggio della scienza e della filosofia può essere determinato”318
.
Insomma nella prospettiva peirceana si comprende come le ragioni di una possibile sintesi tra
semantica e sintassi stia nella radice segnica. È il modo in cui è costituito il segno a fornire le
basi per la costruzione di una logica che sia insieme sintattica e semantica. In questa struttura di
pensiero la scrittura grafica diventa il luogo fenomenologico da cui scaturirà una possibile
semantica, nel senso che i segni grafici sono veicoli del significato e non segni neutri. Se i segni
non fossero plastici ma semplicemente lineari, ancora una volta Peirce avrebbe fatto
coincidere la formalizzazione con la simbolizzazione.
317
Cfr. CP 1.316; 1.90. 318
Karl-Otto-Apel, Transcendental semiotic and truth: the relevance of a peircean consensus –Theory of Truth in the
present debate about truty-theories, in Atti del convegno Internazionale „Peirce in Italia‟, a cura di M. Bonfantini e
A. Martone, Liguori Editore, Marzo, 1993, p.204.
200
Dall‟analisi svolta si può dire che, l‟impalcatura peirceana si fa espressione di una struttura
che non vede natura e convenzione come dimensioni che si escludono reciprocamente, poiché
al contrario realizza forme di transizioni e di inclusioni rispetto alla tradizionale
opposizione tra costituzione naturale e costituzione simbolica del segno.
E proprio in questa prospettiva, a mio avviso, si coglie l‟unità all‟interno dell‟opera peirceana,
poiché si ritrova all‟opera il ground, come matrice della dimensione diagrammatica. Il ground
se è condizione del segno, è anche la condizione delle sue esperienze grafiche. Il segno non è
per antonomasia l‟esternazione del pensiero? La diagrammatizzazione costituisce la sua
materialità: pensiero e reale se si costruiscono insieme devono avere un luogo. Il diagramma è
il luogo in cui reale e pensiero si incontrano, reale e pensiero non preesistono al diagramma,
essi di fatto si rivelano all‟interno del diagramma. In questi termini natura e convenzione si
ritrovano insieme e non sono separabili e il loro nesso è proprio il ground. La metafisica,
perché sia possibile, deve diagrammatizzarsi e riconoscersi nella grammatica logico-semiotica,
al fine di ridare senso in modo originale, ma al tempo stesso classico, alla parola verità.
201
Glossario
Diagramma. “Un diagramma è un representamen che è in modo predominante un‟ icona di
relazioni ed è aiutato a esserlo da convenzioni. Anche gli indici vengono più o meno usati.
Dovrebbe essere eseguito sulla base di un sistema di rappresentazione perfettamente
coerente, fondato su un‟idea di base semplice e facilmente intelligibile”. CP 4.418
Grafo.“Un grafo è un diagramma piano composto del foglio sul quale è scritto o disegnato,
di schemi o loro equivalenti, di linee di connessione e (se c‟è bisogno) di comprensorii. Il
genere al quale si suppone che più o meno rassomigli è la formula strutturale del chimico“.
CP 4.419
Grafo logico. “Un grafo logico è un grafo che rappresenta iconicamente relazioni logiche,
cosi da essere un ausilio per l‟analisi logica”. CP 4.420
Grafo esistenziale. “È un grafo logico retto da un sistema di rappresentazione che si basa
sull‟idea che il foglio sul quale è scritto, così come ogni porzione di quel foglio,
rappresenta un universo riconosciuto, reale o fittizio, e che ogni grafo disegnato su quel
foglio e non separato dal corpo principale di esso da un comprensorio, rappresenta qualche
fatto esistente in quell‟ universo, e lo rappresenta indipendentemente dalla rappresentazione
di un altro fatto simile per mezzo di qualsiasi altro grafo scritto su un‟altra parte del foglio,
formando questi grafi, comunque, un grafo composito”. CP 4.421
Sema. “Qualsiasi entità che serva per un qualsiasi scopo da sostituto di un oggetto di cui
sia, in qualche senso, una rappresentazione o un segno. Il termine della logica, che è un
nome classe,è un sema”. CP 4.538.
Fema. Esso è “Un segno equivalente a un enunciato grammaticale, sia esso interrogativo,
imperativo, o assertorio [….] Un tale segno è inteso avere qualche sorta di effetto costrittivo
sul suo Interprete”. CP 4.538. Il fema è una proposizione .
Deloma. Esso è “Un segno che ha la forma di tendere ad agire sull‟ interprete attraverso il
suo proprio autocontrollo,rappresentando un processo di trasformazione che avviene nei
pensieri o nei segni in modo da indurre questa trasformazione nell‟ Interprete”. 4.538. Un
Deloma è un argomento
Foglio di asserzione. È il foglio su cui vengono tracciati i grafi esistenziali.
Recto. È la superficie del foglio di asserzione, su cui vengono poste affermativamente le
occorrenze di grafo.
Verso. È il retro del foglio di asserzione su cui vengono tracciati i grafi negati.
Tinture “Ciascuna parte della superficie (della Facciata Femica) esposta sarà tinteggiata in
una determinata tintura fra le dodici a disposizione. Queste dodici tinture si dividono in tre
classi composte ognuna di quattro tinture. I caratteri - classe sono chiamati Modi di tintura,
ovvero, individualmente, adottando la terminologia araldica, Colore, Pelliccia, e Metallo. Le
tinture di colore sono Azzurro, Rosso, Verde, e Porpora. Le Tinture di Pelliccia sono Nero,
Ermellino ,Vaio, e Potente. Le tinture di Metallo sono Argento, Oro, Ferro e Piombo [……]
Il modo di tintura della provincia […..] mostra se la modalità di essere affermativamente o
negativamente attribuita allo stato di cose descritto è quella della Possibilità, o quella dell‟
Intenzione, o quella dell‟ Attualità. Le tinture di Colore saranno usate per indicare
Possibilità, le tinture di Pelliccia per indicare Intenzione, le tinture di Metallo per indicare
Attualità”. CP 4.553 - 4.554.
Provincia. ”La totalità di una qualsiasi parte continua della superficie esposta coperta da una
tintura sarà detta una provincia”. CP 4.553.
202
Marca. “Il margine della facciata sarà coperto tutt‟ intorno da una tintura, scelta fra le dodici
a disposizione concordemente dal grafista e dall‟ interprete al principio della ricerca. La
provincia di questo margine o confine si può chiamare la Marca. Il modo di tintura della
Marca stabilirà se il grafo totale deve essere inteso come interrogativo, imperativo, o
indicativo“. CP 4.553.
Taglio. “Se il grafista desidera negare un grafo, deve tracciarlo sul verso, e allora, prima di
passarlo all‟interprete, deve fare un‟incisione, chiamata taglio, tutt‟intorno all‟Occorrenza
di grafo da negare, e ribaltare il pezzo reciso in modo da esporre la sua superficie più ruvida
recante l‟occorrenza di grafo negata. Questo ribaltamento del pezzo reciso deve essere
concepito come una parte inseparabile dell‟operazione di fare un Taglio […..] Un taglio
non è né un grafo né un‟occorrenza di grafo”. CP 4.556.
Doppio Taglio. ”Se il grafo che deve essere negato include un taglio, il grafo compreso
entro questo taglio, che viene cosi a essere negato due volte, deve perciò essere tracciato sul
recto”. CP 4.556.
Luogo del taglio: ”La parte della superficie esposta che è continua con la parte
immediatamente esterna al Taglio si chiama luogo del Taglio”. CP 4.556.
Area del taglio. “La superficie entro il taglio viene detta Area del taglio”. CP 4.556.
Grafo totale – grafo parziale. “La congiunzione di tutto quanto è tracciato su un‟ area
qualsiasi, compresi i grafi di cui sono occorrenze i comprensori,si chiama Grafo totale di
quell‟ area; e una qualsiasi parte del grafo Totale, sia graficamente connessa con, o sia
sconnessa da, le altre parti,purché sia il grafo totale della Facciata Femica, è detto Grafo
parziale dell‟ area”. CP 4.556 .
Le convenzioni dei grafi esistenziali
1)Prima convenzione: dell‟azione della traccia
“Bisogna immaginare che due persone, due atteggiamenti o stati mentali collaborino nel
comporre un Fema e nell‟operare su di esso in modo da sviluppare un Deloma. Le due parti
impegnate sono dette Grafista e Interprete. Il grafista traccerà responsabilmente ciascun
Grafo originario e ciascuna successiva aggiunta. L‟interprete dovrà compiere sul Grafo le
operazioni di cancellatura e di inserzione assegnategli dal grafista concordemente alle
Autorizzazioni generali deducibili dalle convenzioni e concordemente ai suoi propri scopi”.
CP 4.552.
2) Seconda convenzione: Oggetto della traccia e modalità dei Femi espressi.
“L‟ oggetto che le occorrenze di grafo devono determinare, e che perciò diventa la Quasi –
mente in cui si identificano il grafista e l‟ interprete […..] è detta Facciata Femica sulla
quale si possono tracciare segni e dalla quale si può cancellare qualsiasi segno sia già stato
tracciato in qualsiasi maniera [….] Ciascuna parte della superficie esposta sarà tinteggiata in
una determinata tintura fra le dodici a disposizione. I modi di tintura delle province e il
modo di tintura della Marca stabiliranno rispettivamente la modalità di essere
affermativamente o negativamente attribuita allo stato di cose descritto (Possibilità,
Intenzione, Attualità), e la modalità del Grafo Totale (Interrogativo, Indicativo)”.
CP 4.553-4.554
203
3) Terza convenzione: Aree incluse nella Facciata Femica, ma da esse separate.
“Si deve pensare che la facciata Femica sia situata sulla più liscia delle due superficie di un
Foglio, parte chiamata recto [..….]. Ogni occorrenza di Grafo sul recto è posta
affermativamente e indefinitamente [….] Se il grafista desidera negare un grafo, deve
tracciare sul verso, e allora, prima di passarlo all‟ interprete, deve fare un‟ incisione
,chiamata Taglio,tutt‟intorno all‟ Occorrenza di Grafo da negare,e ribaltare il pezzo reciso in
modo da esporre la sua superficie più ruvida recante l‟Occorrenza di Grafo negata.Ma se il
grafo che deve essere negato include un Taglio, il grafo compreso entro questo taglio,che
viene cosi‟a essere negato due volte, deve perciò essere tracciato sul recto”. CP 4.555-4.556.
La terza convenzione si riferisce principalmente all‟operazione fondamentale del taglio, alla
nozione di luogo del taglio, all‟Area del taglio, al doppio taglio, al grafo totale e al grafo
parziale.
4) Quarta convenzione: “Segni di individui e di identità Individuale”. CP 4.559.
Rema o predicato. Si intende “Una forma vuota di proposizione quale risulterebbe
cancellando via certe parti da una proposizione e lasciando uno spazio vuoto al posto di
ciascuna parte cancellata. Un predicato ordinario di cui non si intenda rappresentare alcuna
analisi sarà scritto di solito in forma abbreviata, ma con un punto particolare alla periferia
della forma scritta assegnato a ciascuno degli spazi vuoti che potrebbero essere riempiti da
un nome proprio”. CP 4.560.
Schema. “Lo schema graficamente è rappresentato da un predicato e da un trattino ben
marcato che è stato cancellato da una proposizione. Lo schema diventerà un grafo che
esprime una proposizione in cui ogni spazio vuoto è riempito da una parola denotante un
oggetto individuale indefinito, qualcosa. Tale forma scritta con i suoi punti sarà detta
Schema, e ciascun punto collocato alla sua periferia sarà chiamato Capo dello Schema. Lo
schema diventa un grafo che esprime una proposizione in cui ogni spazio vuoto è riempito
da una parola denotante un oggetto individuale indefinito, qualcosa”. CP 4.438-4.560.
Linea d‟identità. “Una linea spessa sarà considerata come un continuum di punti contigui. E
dato che punti contigui denotano un singolo individuo, una linea del genere senza nessun
punto di ramificazione significherà l‟identità degli individui denotati dalle estremità, e il
tipo di tale linea non ramificata sarà il Grafo dell‟identità, ogni occorrenza del quale sarà
chiamata Linea di Identità”. CP 4.561.
Estremità libera. “Una estremità di una linea di Identità che non si congiunga a un‟altra
Linea del genere in un‟altra area sarà chiamata una Estremità Libera”. CP 4.561.
204
Legame. “Una linea spessa, che può essere racchiusa in una medesima area oppure no,le cui
due estremità si congiungono a capi di schemi sarà chiamata Legame. Due linee non
possono congiungersi al medesimo capo, a meno che questo sia un punto di teridentità. Lo
scopo di questa regola è di forzare al riconoscimento della verità logica dimostrabile che il
concetto di Teridentità non è l‟identità semplice: è identità e identità, ma questa “e” è un
concetto distinto, e precisamente quello di teridentità”. CP 4.561.
Selettivo. “Un legame che attraversi un taglio va interpretato come immutato nel
significato cancellando la parte che attraversa il Taglio e attaccando alle due estremità libere
cosi prodotte due occorrenze di un Nome proprio mai usato altrove; tale nome Proprio sarà
detto un Selettivo. Per evitare l‟intersezione di Linee di Identità si può ricorrere a un
Selettivo oppure a un Ponte,che va immaginato come un nastrino di carta”. CP 4.561
Quinta convenzione: Connessioni delle occorrenze di Grafo
“Due occorrenze di grafo parziali si dicono individualmente e direttamente connesse se,
e solo se, nel grafo totale un unico individuo è reso soggetto di entrambi –
incondizionatamente o sotto qualche condizione, affermativamente o negativamente.
[….] Due occorrenze di Grafo situate nella medesima Provincia sono perciò esplicitamente,
benché indefinitamente, individualmente e direttamente connesse, dato che entrambe, o una
e la negazione dell‟altra, o la negazione di entrambe, sono asserite essere vere o false
solidalmente, cioè nelle medesime circostanze, ancorché queste circostanze non siano
formalmente definite ma lasciate all‟ interpretazione del caso. Due occorrenze di grafo non
già nelle medesime provincia,ma solo nel medesimo Modo di Tintura, sono connesse nel
mero senso di appartenere al medesimo Universo. Due occorenze di Grafo in differenti
Modi di Tintura sono connesse solamente nel senso che entrambe,o una e la negazione
dell‟altra, o la negazione di entrambe, sono poste come appartenenti alla Verità. Non si può
dire che esse abbiano una connessione individuale e diretta. Due occorrenze di Grafo che
non sono individualmente direttamente connesse entro il taglio più interno che le contiene
entrambe non sono connesse affatto; e ogni legame che le congiunga è senza senso e può
essere fatto o disfatto”. CP 4.562
205
Le autorizzazioni
Prima autorizzazione. Essa viene “Chiamata regola di Cancellazione e Inserzione. Qualsiasi
Occorrenza di grafo può essere cancellata da qualsiasi Area situata sul recto
(comprendendo la disgiuntura di qualsiasi linea d‟identità), e qualsiasi Occorrenza di grafo
può essere inserita in qualsiasi Area situata sul verso (comprendendo fra le occorrenze di
grafo la giuntura di due qualsiasi Linee d‟identità o Punti di Teridentità”) CP 4.565.
Seconda autorizzazione. Essa viene definita “Regola di Iterazione e Deiterazione.
Qualsiasi Grafo tracciato su qualsiasi Area può essere Iterato, oppure (se già iterato) può
essere Deiterato da, l‟Area in questione o qualsiasi altra Area compresa entro l‟Area in
questione. Ciò implica la Autorizzazione di distorcere una linea di Identità, a piacere. Iterare
un grafo significa tracciarlo di nuovo, congiungendo con Legami ogni Capo della nuova
Occorrenza al corrispondente Capo della Occorrenza Originaria. Deiterare un grafo
significa cancellare una sua seconda occorrenza, ciascun capo della quale è congiunto da un
legame a una prima occorrenza”. 4.566.
Terza autorizzazione. “Essa viene denominata regola del Taglio Doppio. Due Tagli l‟uno
dentro l‟altro, con niente fra loro, a meno che ci siano Legami che trapassino da fuori del
Taglio esterno sin dentro al Taglio interno possono essere introdotti o aboliti su qualsiasi
area”. 4.567.
4.569 Quarta autorizzazione. “Se il più piccolo Taglio che contiene completamente un
Legame che connette due grafi situati in Province differenti ha la sua area sulla superficie
del Foglio opposta a quella dell‟area del più piccolo Taglio che contiene questi due Grafi,
206
allora quel legame può essere mantenuto o interrotto a piacere, almeno per ciò che concerne
questi due grafi”. CP 4.469.
207
TERZA PARTE
QUINTO CAPITOLO
L’Icona come notazione dell’ analogia
1) Ipotesi, likeness e analogia negli scritti giovanili di Peice
L‟idea che termini quali icona e analogia possano incontrarsi in un universo di discorso
comune e dischiudere nuovi orizzonti, all‟interno dei quali ridefinire, ricomprendere e
connettere nuclei concettuali intesi troppo eterogenei, è in qualche modo incoraggiata dal
modo proprio di operare dei ragionamenti peirceani. Il procedere del pensiero peirceano a
mio avviso si caratterizza proprio per la capacità di gettare ponti, tra strade ritenute
tradizionalmente destinate a rimanere inesorabilmente separate. D‟altra parte all‟inizio di
questo lavoro, è stato già chiarito che l‟interesse rivolto all‟icona, uno dei concetti più
rappresentativi della semiotica peirceana, scaturisce dalla convinzione, peraltro sostenuta da
autorevoli studiosi, che la semiotica peirceana si qualifica come una prospettiva di pensiero
capace di abbracciare e di fondare in modo assolutamente originale questioni radicali, come
quelle analizzate in precedenza, riguardanti il rapporto tra natura e convenzione, il rapporto
tra pensiero e realtà, tra referente e modi del segno.
E allora l‟idea che un termine come quello di analogia, strettamente imparentato con la
tradizione logico-metafisica, possa dialogare con uno dei termini più tecnici della semiotica
peirceana quale il concetto di icona, a mio avviso, è confortata dal modo in cui Peirce
intreccia i rapporti tra logica e semiotica. Per comprendere il modo in cui si annodano i fili
tra questi due ambiti è inevitabile ritornare allo scritto del „67, A New list of Categories, e
agli scritti On the Natural Classification of arguments, Upon Logical Comprehension and
Extension, Some Consequences of Four Incapacities. Le conclusioni alle quali pervengono
gli scritti suddetti evidenziano un nesso profondo tra logica e semiotica e anticipano alcune
delle acquisizioni della logica matura, dando prova di coerenza e sistematicità tra le opere
del giovane Peirce e il Peirce della maturità, nonché invitando a procedere nella direzione
che il presente discorso intende intraprendere.
Prima di addentrarmi nell‟analisi specifica di alcune argomentazioni peirceane è forse utile
già mettere in luce che dall‟analisi di questi scritti emerge una riduzione delle inferenze
logiche a ciò che Peirce denomina relazione segnica. Se effettivamente tale riduzione risulta
giustificabile, allora forse è possibile affermare che l‟inferenza analogica, per antonomasia
inferenza che si caratterizza per le relazioni che è in grado di istituire - poiché è la relazione
a qualificarsi come connotativa -, si pone come esplicativa della struttura dell‟icona, la
quale, parte vitale della relazione segnica, apparirà come essa stessa analogica. E allora se
già all‟interno del discorso peirceano è possibile dar conto di una matrice comune per i
concetti di icona e analogia, forse successivamente accostare l‟icona al modo in cui Kant ha
inteso l‟analogia potrà apparire, a mio avviso, confermare il ruolo che l‟analogia svolge
all‟interno dell‟universo peirceano. Se la riduzione dell‟inferenza logica a ciò che viene
chiamato relazione segnica stabilisce sin dall‟inizio uno stretto rapporto tra logica e
semiotica, e se è chiaro che il concetto di logica a cui Peirce si riferisce non s‟identifica con
208
un mero calcolo formale, ma ha a che fare con un progetto di fondazione, l‟analogia e
l‟icona forse possono in questa prospettiva condividere un terreno comune.
L‟indicazione fornita dal ground, che proviene da un mondo che è quello categoriale del
„67, riconosce pretesa fondativa all‟ipotesi. Tale suggerimento, a mio avviso, viene
supportato da On the Natural Classification of Arguments, in modo specifico nel rapporto
tra le diverse figure del sillogismo categorico. Da tale analisi e dal riferimento
all‟argomento per analogia sarà possibile comprendere, a mio avviso, come l‟analogia, già
sin da questo scritto, si può porre come orizzonte di senso e dell‟ipotesi e della sua
traduzione semiotica, che essenzialmente consiste in quello che Peirce, negli scritti
giovanili, denomina likeness319
.
La riflessione logica di Peirce è segnata dalla prospettiva categoriale, le pretese metafisiche
rimbalzano continuamente dalla logica peirceana. Non è un caso che, come già hanno
affermato diversi studiosi, il pensiero logico peirceano si prefigge lo scopo di dare
espressione rigorosa ai contenuti categoriali, e una volta realizzato lo scopo, Peirce procede
a riorganizzare lo spartito ontologico e ad orientare la ricerca logica in vista di nuove
notazioni del quadro metafisico configuratosi. Questa permeabilità tra mondo logico e
mondo categoriale, d‟altra parte segna la distanza tra la logica peirceana e le altre logiche
che hanno caratterizzato il novecento.
In On the Natural Classification of Arguments, come in altri testi, scritti nel medesimo
periodo, Peirce, prendendo le distanze da ogni orientamento di tipo logicista, trattiene
sempre la dimensione semantica e l‟esigenza di scoprire nel ragionamento necessario
contenuti sintetici, poiché la visione logica, oltrechè dalla ricerca categoriale, è sempre
supportata da una impostazione pragmatica, secondo la quale è necessario utilizzare quelle
forme logiche che possono far slittare il pensiero in avanti, consentendogli di accedere a
inedità verità: i contenuti logici devono avere essenzialmente un uso pragmatico. Peirce
ribadirà questa posizione frequentemente nell‟ambito della sua intera produzione: “Una
delle lezioni che la logica deve insegnarci è dunque come compiere astrazioni utili e come
limitarle a quelle applicazioni in cui possono rivelarsi vantaggiose”320
.
La fedeltà a queste considerazioni diventa, a mio avviso, importante, perché può dar conto
delle finalità che in modo più o meno consapevolmente orientano le strategie argomentative
utilizzate all‟interno del testo suddetto, anticipatrici della riflessione logica più matura. Vero
è che in questa fase il pensiero logico peirceano sembra ancorato alla sillogistica
tradizionale, ma sostanzialmente il testo già pone delle premesse significative per
comprendere le fasi successive della sua speculazione logica.
Ciò che non si può trascurare è che nell‟analisi delle regole inferenziali, come avviene nel
testo On the Natural Classification of Arguments, il punto di vista è quello di un logico che
intende scoprire il modo in cui il ragionamento, non solo quello deduttivo sia in grado di
avvalersi di una forma logica rigorosa, e al tempo stesso, di rendere disponibili contenuti
sintetici, e, in modo specifico, come nel processo di derivazione e di riduzione di un
sillogismo in Barbara alla seconda figura e terza figura sia possibile che si diano sia
passaggi analitici sia passaggi sintetici.
319
In On A New list of Categories la somiglianza viene definita come likeness, il termine sarà sostituito dal termine
icona. 320
Peirce, Le Categorie (Ms. 403) 1893, cit., p.46. A tal proposito efficaci suonano le affermazioni di F. Vimercati:
“Peirce non cade nell‟errore in cui incorre buona parte dei logici della scuola algebrica, che omettono di valorizzare il
rapporto tra mondo logico e mondo linguistico entro cui si inscrive la radice più profonda del processo di
simbolizzazione”. F. Vimercati, La scrittura del pensiero, Edizioni Albo Versorio, Milano, 2005, p. 91.
209
Seguendo l‟analisi condotta in On the Natural Classification of Arguments, in modo
specifico, il la derivazione effettuata dalla prima figura del sillogismo categorico alle figure
indirette, e tenendo presente la terminologia adottata da Peirce, e cioè che la premessa
maggiore, premessa minore e conclusione corrispondono rispettivamente alla regola, al caso
e al risultato, è possibile constatare che, mediante il procedimento della contrapposizione,
viene attuata la derivazione della seconda e della terza figura: “If C is true when P is, then P
is false when C is”. Hence it is always possible to substitute for any premise the denial of
the conclusion, provide the denial of that premise be at the same time substituted for the
conclusion”321
. E quindi più avanti dirà: “ The second figure, from the assertion of the rule
and the denial of the result, infers the denial of the case; the third figure, from the denial of
the result and assertion of the case, infers the denial of the rule”322
. Quindi Peirce formalizza
le tre figure del sillogismo secondo tale schema:323
321
W 2:27. 322
W 2:30. 323
Ibidem
210
Peirce, inoltre, secondo la seguente schematizzazione, deduce i singoli modi della seconda e
della terza figura, a partire dalla prima figura, mediante il metodo della contrapposizione. Si
fornisce qui qualche esempio: se consideriamo la seconda figura, e vogliamo dedurre i suoi
modi,partiamo dall‟asserzione della regola della prima figura in barbara A A A, e se nego il
risultato della prima figura e lo pongo come premessa minore della seconda figura, e nego il
caso della prima figura e lo pongo come conclusione della seconda figura, avremo derivato
la seconda figura, e il suo modo, che sarà A O O (Baroco). Se considero Ferio, quale sarà il
modo della seconda figura corrispondente? Partiamo dall‟asserzione della regola E,
neghiamo l‟asserzione del risultato, e il caso, e avremo dedotto un altro modo della seconda
figura ovvero EA E (Cesare). Se partiamo da celarent, in particolare poniamo l‟asserzione
della regola e poi seguendo sempre il metodo della contrapposizione, neghiamo il risultato e
il caso, cambiandone l‟ordine, otteniamo E I O (Festino). Infine se si considera Darii,
sempre in ordine al metodo finora impiegato, si otterrà AEE (Camestres).
Dalla derivazione, come già rileva il Ferriani, si evince che nella seconda figura si attua
l‟inferenza di un caso, se pur nella forma della negazione, da una regola e dalla negazione
del risultato.
Questo tipo di derivazione pone in evidenza che già nell‟ambito di questo procedimento è
possibile apprezzare non soltanto la dimensione analitica ma anche quella sintetica. Si
realizza già un incremento conoscitivo pur nell‟ambito di un procedimento, che peraltro si
dovrebbe limitare e dar conto della correttezza formale del sillogismo su un piano
strettamente sintattico.
Tali considerazioni possono essere sviluppate in modo specifico nell‟ambito della riduzione
delle figure imperfette alle figure perfette, infatti nell‟ambito del procedimento di riduzione,
se si attua una dimostrazione delle regole di inferenza immediate, come le regole di
conversione, contrapposizione, obversione, esse assumono la forma logica di quelle figure
che devono essere ridotte alla prima figura.
Ad esempio se si vuol dimostrare la regola d‟inferenza della conversione in riferimento ad
una proposizione di tipo E, Nessun M è N, in virtù del principio d‟identità si avrà: qualsiasi
N è N, e la conclusione sarà nessun N è M324
. La conclusione sarà quindi una conversa della
premessa maggiore e l‟inferenza data si ritroverà ad avere la forma logica della seconda
figura.
E così allo stesso modo Peirce opera nel caso della dimostrazione dell‟obversione e della
contrapposizione:
324
Cfr., W 2:31.
211
All M is N Some N is some- N
No not- N is N All N is M
.‟. No not-N is M .‟. Some M is some- N
(obversione) (contrapposizione)325
In base a questi passaggi ci si pone un interrogativo, a mio avviso, legittimo che può
assumere la forma del paradosso: negli esempi che lo stesso Peirce fornisce, le regole
d‟inferenza, mediante le quali si dovrebbero ridurre la seconda figura o la terza figura,
risultano frutto di una mediazione sillogistica che assume, come si è avuto modo di
constatare, ora la forma logica della seconda figura o della terza figura. Nel caso della
conversione la mediazione sillogistica di seconda figura e terza figura diventa principio di
spiegazione o luogo in cui la conversione si esplica e ciò è sorprendente, poiché Peirce
scopre che le regole di inferenza risultano dimostrate all‟interno della seconda figura e terza
figura, che da esse dovrebbero essere governate in funzione della riduzione di queste ultime
alla figura perfetta. In tal modo le regole d‟inferenza immediate, che secondo la sillogistica
tradizionale derivano da una sola premessa, risultano esplicate proprio da quelle forme
logiche che esse stesse pretenderebbero di ricondurre alla forma logica perfetta ovvero alla
prima figura. La dimostrazione delle regole d‟inferenza diventa significativa, poiché in tal
modo le figure indirette, più che come forme logiche in posizione subordinata al sillogismo
in Barbara si rivelano abilitate a dimostrare proprio quelle regole di inferenza dalle quali
dovrebbero essere regolate. Peraltro è da notare che è nella seconda e nella terza figura che è
possibile attuare la derivazione della conversione, la medesima operazione non sarebbe
possibile all‟interno di Barbara, dal momento che le due premesse e la conclusione sono
tutte universali affermative326
.
Peirce infatti, fornendo la dimostrazione della conversione e nella seconda figura e nella
terza figura afferma:
Fig. 2 Fig.3
No M is N Any N is N
Any N is N Some N is M
.‟. No N is M .‟. Some M is N
325
W 2:31-32. Riguardo l‟analisi del testo On The Natural Classification of Arguments, utile la linea interpretativa
proposta da M. Ferriani nel saggio Peirce e la logica deduttiva: gli anni giovanili, in Logica e Filosofia della logica,
Bologna, CUEB, 1999. 326
“La conversione è valida nel caso delle proposizioni E e I. È chiaro che la proposizione Nessun uomo è un angelo è
un‟asserzione esattamente equivalente a nessun angelo è un uomo, e ognuna di queste proposizioni può essere
validamente inferita dall‟altra mediante un‟inferenza chiamata conversione. Poiché è chiaro che le proposizioni alcuni
scrittori sono donne e alcune donne sono scrittori sono logicamente equivalenti, ognuna di esse può essere validamente
inferita dall‟altra per conversione. Ma la conversa di una proposizione A non consegue validamente da quella
proposizione A. Per es. se la nostra proposizione originale è “tutti i cani sono animali”, la sua conversa “tutti gli animali
sono cani” non consegue affatto dalla proposizione originaria, poiché quella è vera, mentre la sua conversa è falsa. Ciò
naturalmente è stato riconosciuto anche dalla logica tradizionale, la quale però riconosceva valido qualcosa di molto
simile alla conversione per le proposizioni. Questa inferenza è chiamata conversione per limitazione (o conversio per
accidens). Si può ottenere scambiando le posizioni rispettive dei termini del soggetto e del predicato e insieme
cambiando la quantità della proposizione da universale a particolare. Così, secondo la logica tradizionale dalla premessa
“tutti i cani sono animali” si poteva validamente inferire la conclusione alcuni animali sono cani, e questa inferenza era
una conversione per limitazione. Cfr. Irving M. Copi, Introduzione alla logica, Società editrice il Mulino, Bologna, p.
173.
212
“These are the formulae of the two simple conversion. Neither can be expressed
syllogistically except in the figures in which they are here put (or in what is called the fourth
figure, which we shall consider hereafter)”327
.
Tali affermazioni incoraggiano a prendere atto del fatto che nell‟ambito del procedimento di
riduzione, si ottiene un incremento conoscitivo che non sarebbe pensabile all‟interno di un
procedimento esclusivamente deduttivo. Lungo il percorso dei due procedimenti si
guadagna qualcosa, che non sarebbe pensabile secondo una prospettiva che assegna alla
deduzione esclusivamente l‟analisi. Peirce riconosce la differenza tra inferenze immediate e
inferenze mediate, nel senso che le operazioni attuate dalla conversione e dalla
contrapposizione sono formali, poiché non attingono alcun contenuto empirico. Ciò
nondimeno Peirce afferma che la conversione e la contrapposizione non si differenziano,
quanto alla struttura logica, dagli altri argomenti logici tant‟è che Peirce afferma: “This
distinction may be expressed by saying that they are not inferences, but substitutions
having the form of inferences”328
.
Ciò che qui interessa è che essenzialmente Peirce intende svincolare la seconda e la terza
figura dalla prima figura per mostrare che il ragionamento deduttivo, proprio nella pretesa di
inglobare altre figure al suo interno, lascia scoprire contenuti, se pur solamente formali, non
riconducibili ad una dimensione esclusivamente analitica.
In questo testo, dopo aver analizzato i procedimenti di derivazione e riduzione dalle figure
indirette a quelle dirette, Peirce si interroga sulla giustificazione delle premesse del
sillogismo categorico e procede considerando due argomenti quali una induzione perfetta e
una ipotesi formale, da cui deduce le proposizioni di tipo A- E e le proposizioni di tipo O-I.
Induzione perfetta
Any M is P;
∑' S' is M;
.‟. ∑' S' is P.329
Qui ∑' S'è considerato la somma di tutte le classi che sottostanno ad M. E. Peirce procede
nella dimostrazione in tal modo: se la seconda premessa e la conclusione sono vere, perché
induttivamente risultano vere, allora è possibile ricavare la prima premessa:
∑' S' is P
∑' S' is M
.‟. M is P. 330
In tal modo vengono dedotte le proposizioni di tipo A-E.
Ipotesi formale
Any M is п' P'
Any S is M
Any S is п' P'331
327
W 2-31. 328
W 2:36. 329
W 2:43 330
Ibidem 331
Ibidem
213
Peirce indica con п' P' la congiunzione di tutti i caratteri di M. La congiunzione dei predicati
qui viene utilizzata per determinare M in modo più specifico. La dimostrazione del suddetto
sillogismo, secondo Peirce, è la seguente: se la conclusione e la prima premessa sono vere,
la seconda sarà vera per definizione, e infatti si avrà:
Any M is п' P'
Any S is п' P'
Any S is M.332
Dopo aver effettuato questi passaggi, con l‟assunzione di un numero finito se pur esteso di
soggetti e predicati, non più comprendente tutti i soggetti possibili e predicati possibili,
Peirce deriva la formulazione delle inferenze probabili:
Induzione Ipotesi
S', S'', S''', &cc. are taken at random as M‟s. Any M is, for instance, P', P'', P''',&cc.,
S', S'', S''', &cc. are P; S is P', P'', P''', &cc.,
Any M is probably P. S is probably M.333
Le suddette inferenze probabili presentano una forma logica che è quella rispettivamente
della seconda figura e terza figura, e tale considerazione che Peirce elabora a conclusione
del testo risulta abbastanza feconda, poiché se già nei passaggi precedenti, la seconda e terza
figura si erano rivelate autonome, incrinando il primato del sillogismo in Barbara, alla luce
delle ultime argomentazioni il sillogismo categorico scopre non in se stesso, ma in
argomenti ipotetici e induttivi la sua fondazione.
In virtù del percorso prima delineato, in particolare con la formulazione delle inferenze
probabili Peirce ricava l‟argomento per analogia, come argomento doppio, in quanto
compendio dei caratteri dell‟induzione e della deduzione. Ma come si combinano induzione
e ipotesi per formulare l‟analogia? In base alla formula dell‟induzione se si prendono in
considerazione i seguenti soggetti S', S'', S''', aventi i predicati e se gli stessi soggetti aventi
predicati P', P'', P'''sono predicabili del carattere Q. Per induzione tutti P', P'', P''' quelli che
hanno i predicati P', P'', P'''posseggono anche il carattere Q. (cioè tutti quelli che hanno due
occhi,ecc. hanno anche due piedi). Cioé P', P'', P'''è Q. Ora se io considero un soggetto
determinato T che ha i caratteri P', P'', P'''per deduzione T è Q, perché entrambi condividono
il termine medio che è P', P'', P'''. Allora avremo la seguente formalizzazione:
S', S'', S'''are taken as being P', P'', P'''
S', S'', S'''are q,
(by induction ) P', P'', P'''is q,
t is P', P'', P'''
(Deductively) t is q.
332
W 2:44 333
W 2:46
214
Ciò che ci permette di passare dall‟induzione alla deduzione, indispensabile alla costruzione
della prima parte della formula dell‟analogia, diventa la premessa maggiore dell‟argomento
per analogia ovvero t è S', S'', S'''
Ora prendiamo in considerazione la formula dell‟ipotesi:
i soggetti hanno i predicati P', P'', P''' se prendo un soggetto determinato t che è predicabile
di P', P'', P''' per ipotesi t avrà i medesimi caratteri dei soggetti S', S'', S'''. Se questi ultimi
hanno anche il predicato q, per deduzione t è q perché il termine medio è S', S'', S'''. Cioé se
per ipotesi t condivide gli stessi caratteri dei soggetti S', S'', S'''e se questi ultimi sono
predicabili anche di q, anche t sarà predicabile di q.
E allora avremo la seguente formalizzazione:
S', S'', S''', are, for instance P', P'', P'''
t is P,
(By hypothesis ) t has the common character of S', S'', S'''
S', S'', S''' are Q;
(deductively t è q.
Il passaggio che consente di transitare dall‟ipotesi alla deduzione, necessaria alla
costituzione della seconda parte dell‟argomento per analogia, diventa la premessa minore
dell‟argomento analogico ovvero S', S'', S'''sono Q.
Da questo iter si ricava la seguente formulazione dell‟argomento per analogia:
S, S, and S are taken at random from such a class that their characters at random are such as
presi a caso da una classe tale che i suoi caratteri, pure presi a caso, sono P', P'', P'''
T is P', P'', and P'''
S', S'' and S''' are q;
T is q 334
.
Potremmo dire, in base alle suddette argomentazioni che nell‟analogia figurano le tre
inferenze: ipotetica, induttiva, deduttiva, rispettivamente corrispondenti alla seconda figura,
alla terza figura e alla prima figura, e che l‟argomento analogico è uno schema deduttivo
derivato da induzione e ipotesi. L‟argomento per analogia si pone particolarmente
significativo, poiché si qualifica come un continuum in cui è possibile far transitare
inferenze ipotetiche, induttive e deduttive. L‟analogia contiene e l‟ipotesi e l‟induzione, che
si combinano mediante la deduzione, infatti il passaggio fondamentale che fa da medio tra
l‟induzione e l‟ipotesi nell‟analogia è la deduzione. L‟analogia permette di capire come la
deduzione non sia separata dalle altre inferenze, essa è in grado di trattenerle insieme e al
tempo stesso di dispiegarle. L‟analogia formalizza l‟universale, a partire dall‟esame di casi
o dalla supposizione di casi, deduce l‟universale, o meglio deduce una regola, ma questa
non vive disgiunta dal caso, è all‟interno di esso che si snodano i passaggi per arrivare alla
regola. Insomma i casi tenuti insieme dall‟analogia esibiscono una necessità, infatti
l‟analogia è una deduzione, ma essa non è prodotto analitico, bensì sintetico, poiché media
universale e individuale, l‟universale non è concepibile se non all‟interno dei casi
individuali, essi sono il luogo in cui si realizza la deduzione. Tale tematizzazione della
analogia, a mio avviso, è di straordinaria importanza, poiché sul piano strettamente
matematico anticipa la struttura del ragionamento teorematico, su un piano generale,
guardando nel complesso alla centralità dell‟icona nella filosofia peirceana, si potrebbe dire
334
W 2:47
215
che l‟icona si configura come notazione della analogia, essa è un‟ipotesi, suggerisce i
soggetti possibili ed esibisce una necessità, che è quella espressa dal simbolo. Ma il simbolo
esprime la consapevolezza di quanto è reso possibile in modo originario dall‟icona. Pertanto
l‟icona, potremmo dire, permette di vedere ciò che è stato formalizzato dall‟analogia.
Sul varco aperto da Boole, che aveva seguito le orme della tradizione medievale, piuttosto
che quella kantiana, gradualmente prendeva consapevolezza nel pensiero di Peirce
l‟inadeguatezza del sillogismo classico nel momento in cui veniva paragonato al
ragionamento algebrico e matematico. In On the Natural Classification of Arguments tale
consapevolezza era emersa, poichè il metodo utilizzato finora per categorizzare gli
argomenti veniva fondato essenzialmente sui concetti di estensione e intensione logica. Già
Peirce negli scritti del „65 aveva manifestato le lacune di questa impostazione, e dando
prova ancora una volta di una preziosa permeabilità tra gli esiti semiotici e logici della sua
ricerca, aveva considerato insieme agli aspetti intensionali ed estensionali del significato di
un termine, un terzo elemento, quello dell‟informazione. Sul piano semiotico Peirce aveva
già approfondito le funzioni e del soggetto e del predicato, attribuendo al primo la funzione
denotativa, al secondo quella connotativa. Infatti Peirce afferma: “there cannot be a judgment whose subject is an object of connotation and whose predicate is an
object of denotation. For a symbol denotes by virtue of connoting and not vice versa, hence the
object of connotation determines the object of denotation and not vice versa, in the sense in which
the subject of a proposition is the term determined and the predicate is the determining term335
.
Nello scritto Comprensione ed estensione336
Peirce introducendo l‟informazione, inserisce
un elemento dinamico che permette di estendere l‟orizzonte reso disponibile dalla
denotazione e dalla connotazione, poiché mettendo in relazione le due dimensioni con la
tripartizione semiotica: qualità, relazione e rappresentazione, nonché le tre forme
inferenziali, è possibile osservare che se comprensione ed estensione forse possono essere
bastevoli laddove non c‟è aumento di informazione, come ad esempio nella deduzione, non
possono essere sufficienti in una dimensione logica in cui il tasso di informazione è in
corrispondenza della forma inferenziale.
335
W 1:273. 336
Già in Comprensione ed estensione, alla luce di questo nuovo rapporto denotazione, connotazione e informazione,
Peirce compie passi importanti in direzione di una radicale innovazione della logica tradizionale, soffermandosi sul
concetto di copula. La copula non può identificarsi con il segno di uguaglianza, poiché se si intende che “l‟estensione di
uomo è uguale ad una parte o alla totalità della estensione di animale” ciò significa sostanzializzare l‟identità, piuttosto
che concepirla come relazione, poiché dire che qualcosa è uguale ad un‟altra significa presupporre due realtà distinte, e
verificare se esse combacino (come nel caso della sostanza individuale); e se l‟uno è più grande dell‟altra (come nel
caso dell‟Universale). Peirce, Comprensione ed Estensione, cit., pp. 676–677. “Così qualche S è M significa: se S‟, S‟‟
e S‟‟‟ sono gli S singolari, o S‟ o S‟‟ o S‟‟‟ ha tutti gli attributi appartenenti a M. Un termine particolare, allora ha una
profondità sostanziale in quanto può avere un predicato che è assolutamente concreto, come nella proposizione
“qualche individuo è Napoleone”. Se però poniamo il particolare nel predicato allora abbiamo una proposizione come la
seguente “M ha tutti gli attributi appartenenti a S‟oppure tutti quelli appartenenti a S‟‟ oppure quelli appartenenti a S‟‟‟.
E ciò non può essere vero a meno che M non sia un singolo individuo. Ora una sostanza individuale singola è non un
atomo, ma la più piccola particella di un atomo e cioè niente del tutto. Cosicché un particolare non può avere ampiezza
sostanziale. Consideriamo ora il termine universale S. Noi possiamo dire “ogni S è M, se M però non è una concreta
qualità reale. Per esempio, non possiamo dire “Qualunque uomo è Napoleone”. Possiamo invece dire “Ogni M è S,
anche se M è una sostanza reale o un aggregato di sostanze. Un termine universale quindi non ha profondità sostanziale
ma ha ampiezza sostanziale.” Ibidem. Ma tale sostanzializzazione è vana, poiché nell‟individuale, non potremmo
parlare di due sostanze, ma dell‟unica che intendiamo determinare; nel caso dell‟altra, l‟universale, non la possiamo
concepire come la somma di tante cose che peraltro sarebbero contenute da una realtà concreta, individuale. Pertanto
intendere la copula come segno di attribuzione permette di valorizzare la relazione, ovvero l‟idea che identificare
essenzialmente, potremmo dire, equivale a mettere in relazione, e allora la copula va intesa come un movimento capace
di dar conto di queste sporgenze, grazie alle quali le realtà si connettono, finendo per valorizzare le loro relazioni,
piuttosto che le loro statiche irriducibilità.
216
Insomma, se già nella trasformazione delle figure indirette in figure dirette si producono
nuove forme inferenziali che fanno variare il tipo di informazione, rinnovando se è il caso il
rapporto tra denotazione e connotazione, ciò dà la misura del fatto che estensione e
comprensione costituiscono una parte delle relazioni possibili, perché queste possono essere
ricomprese all‟interno di relazioni più ampie, come quelle in the long run che innesca il
processo semiosico, dal momento che quest‟ultimo è chiamato in causa dal di dentro delle
due aree della denotazione e della connotazione “È ovvio infatti che l‟ampiezza e la
profondità di un simbolo, nella misura in cui non sono essenziali, misurano l‟informazione
che lo concerne vale a dire le proposizioni sintetiche di cui è soggetto o predicato”337
.
Voglio dire insomma che l‟informazione che si riferisce al suo interpretante attraverso il suo
oggetto o tutti i fatti conosciuti attorno al suo oggetto rompe la staticità del rapporto
connotazione e denotazione e introduce un elemento dinamico che permetterà l‟istituzione
di nuove relazioni segniche che contribuiranno da una parte a rideterminare denotazione e
connotazione e dall‟altra ad inserire questi rapporti all‟interno di altri rapporti.
E allora in questo senso comincia a diventare centrale l‟aumento d‟informazione, che ad
esempio si attua nell‟ipotesi. E quest‟ultima, vedremo più avanti, diventerà crocevia di
infinite e inedite relazioni che finiranno, come si diceva prima, per includere comprensione
ed estensione, ma soprattutto anche per superarle e ideare così nuove forme di relazioni.
Questo saggio, se pur vincolato ancora alla logica tradizionale, dal di dentro sta scavando
per gettare le fondamenta ad una logica più ampia, atta ad abbracciare il fluire delle possibili
relazioni. Se il saggio Comprensione e estensione ci permette di cogliere come sia già
emersa la consapevolezza quanto meno di rivedere la sillogistica tradizionale, al fine di
mettere in forma argomenti capaci di dar conto di sillogismi che, operano in modo diverso
rispetto a quelli della logica tradizionale, il saggio Some Consequences of four Incapacities
su un altro fronte, quello semiotico, ci fornisce due indicazioni in merito al concetto di
ipotesi e di analogia. Infatti Peirce si difende dall‟accusa rivoltagli da parte di alcuni
studiosi, i quali sostengono che egli abbia confuso l‟argomento per analogia con l‟ipotesi, e
ribatte dicendo che egli ha inteso parlare proprio di ipotesi, infatti precisa che dalla sua
prospettiva l‟uso fatto del termine ipotesi è condiviso ampiamente dalla tradizione
filosofica, come ad esempio nel caso di Kant. Infatti Peirce definisce “il termine ipotesi in
luogo di conclusione di un argomento dal conseguente all‟antecedente”, e riferisce che Kant
nella Logica già affermava: “Se tutti i conseguenti di un concetto sono veri, anche il concetto stesso è vero. Quindi è lecito
concludere da un conseguente una ragione che tuttavia resta indeterminata, mentre soltanto dal
complesso di tutti i conseguenti possiamo concludere la verità di una ragione determinata. La
difficoltà di questo modo di inferenza positivo e diretto (modus ponens) è che la totalità dei
conseguenti non può essere riconosciuta apoditticamente, e che quindi questo modo d‟inferenza ci
porta soltanto ad una conoscenza probabile e ipoteticamente vera”. (Logik, a cura di Jäsche)338
.
Per quanto riguarda il concetto di analogia Peirce così afferma: “L‟argomento per analogia, che un celebre scrittore di logica (J. S. Mill, logic, libro II, Cap. III.)
chiama ragionamento da particolari a particolari, deriva la sua validità dal combinare i caratteri
dell‟induzione e quelli dell‟ipotesi, essendo analizzabile sia in un argomento composto da una
deduzione e da un‟induzione sia in un argomento composto da una deduzione e da un‟ipotesi”339
.
337
Ibidem. 338
Peirce, Some consequences of four Incapacities, (nota 1), cit., pp.86-87. 339
Cfr. Ibidem.
217
Il nesso tra analogia e ipotesi è già da Peirce sostenuto, come si è analizzato
precedentemente, in On The Natural Classification of Arguments, nel momento in cui parla
dell‟argomento per analogia, come di un ragionamento che combina i caratteri
dell‟induzione e dell‟ipotesi. Cioè in Peirce è chiaro, sin da allora la consapevolezza che
l‟analogia, piuttosto che introdurre un principio nuovo si ritrova ad avere caratteri comuni
agli altri generi d‟inferenza. Questo modo di approcciarsi all‟analogia che costituisce solo il
primo passo, a mio avviso, di una serie progressiva di avvicinamenti tra analogia e ipotesi,
più tardi apparirà più chiaro in seguito ai cambiamenti profondi che avverranno in ambito
logico, e quindi categoriale, già, in qualche modo predisposti dai saggi del giovane Peirce.
Già in On The Natural Classification of Arguments era emersa l‟insoddisfazione nei
confronti del sillogismo categorico, poiché incapace di giustificare alcuni sillogismi
matematici, fondati su principi di analogia. E se da un lato le nuove acquisizioni in sede
logica e gli scritti del 77/78 in ambito epistemologico potranno chiarire sempre più i punti di
contatto tra l‟analogia e l‟abduzione, nel versante semiotico, considerata la corrispondenza
già chiarita in On a New list of Categories e nei primi saggi del ‟68 tra i modi del segno e le
tre specie d‟inferenza deduzione, induzione e ipotesi, sarà possibile già constatare una
corrispondenza tra likeness e ipotesi, che successivamente, con gli apporti maturi della
semiotica, si potrà estendere anche al termine analogia. Cioè l‟analogia potrà qualificarsi
come una struttura capace di esibire caratteri fecondi, tale da mostrarsi affine e all‟icona e al
ragionamento logico che valorizza l‟iter che a partire dal conseguente intende risalire
all‟antecedente; e alla versione gnoseologica dell‟abduzione.
Insomma se nella prima fase emergeranno con maggiore chiarezza come peraltro si sono
analizzati i rapporti tra likeness e ipotesi da un lato e tra analogia e ipotesi dall‟altro, in una
seconda fase con i contributi maturi determinati dai nuovi sviluppi in sede logico-
matematica e semiotica, sarà possibile constatare un rapporto diretto tra icona e analogia e
abduzione. I rapporti tra likeness e ipotesi come dicevo prima, sono già annunciati in On a
New a list of Categories: qui, dopo avere dedotto la tripartizione, somiglianza, indice,
simbolo, dalle categorie utilizzate per operare il passaggio dall‟Essere alla Sostanza, Peirce
distingue i simboli, in termini, proposizioni e argomenti, e questi ultimi, come è stato già
analizzato precedentemente, risultano suddivisi in Argomento deduttivo, induttivo e
ipotetico. Peirce prosegue e specifica:
“le premesse possano fornire una somiglianza, un indice o un simbolo. Nell‟argomento ipotetico
viene provato qualcosa di simile alla conclusione, cioè le premesse formano una somiglianza della
conclusione. Si prende l‟argomento seguente: M è, ad esempio, P', P'', P''', e P''''; S è P', P'', P''', e
P'''' .‟. S è M. Qui la prima premessa si riduce a questo, che P', P'', P'''e P'''' è una somiglianza di
M, e perciò le premesse sono o rappresentano una somiglianza della conclusione”340
.
In considerazione degli sviluppi successivi del pensiero di Peirce, l‟ipotesi si avvicinerà
sempre più all‟analogia e l‟analogia all‟icona. Poiché come si ricorderà, già in On the
Natural Classification of Arguments Peirce ricercava un modello argomentativo in grado di
esplicare i sillogismi matematici, e successivamente, in base all‟approfondimento del
concetto di relazione, come afferma R. Fabbrichesi: “La logica procederà per analogie
puramente matematico-operazionali, trovando in esse oltre che il rigore necessario delle
proprie dimostrazioni, la ragione esplicativa di molti basilari schemi concettuali, quali ad
esempio quelli indicanti il passaggio dai molti all‟Uno”341
.E allora quel posto poco evidente,
340
Peirce, On A New list of Categories, cit., p. 26. 341
Rossella Fabbrichesi Leo, Il concetto di relazione, Jaca Book, 1992, p. 58.
218
assegnato all‟analogia in On the Natural Classification of Arguments, lo ritroviamo
sorprendentemente esteso e soprattutto trasformato per ciò che concerne la sua collocazione,
che non possiamo più qualificare come cumulativa bensì fondativa, ovvero l‟analogia più
che cumulare procedimenti già noti e non produrre alcun incremento di informazione,
istituisce piuttosto per sua virtù nuove relazioni capaci di esplicare feconde conoscenze.
A testimonianza della coerenza e sistematicità del pensiero di Peirce, già comunque in
Description of a Notation for the logic of Relatives del „70 si annunciano alcuni capisaldi
della prospettiva matura del filosofo americano, ovvero è già possibile raccogliere degli
elementi per poter rintracciare quel filo che dovrebbe permettere di vedere strettamente
imparentate analogia, ipotesi e icona. Tale nesso, forse, è possibile constatarlo se si pongono
in evidenza, già a partire da questo saggio, i rapporti tra logica e matematica.
Già in Description of a Notation for the logic of Relatives emergono alcuni insegnamenti
importanti provenienti dall‟impostazione dei ragionamenti matematici, che Peirce dilaterà e,
al tempo stesso, radicalizzerà dando di essi una veste del tutto originale nella elaborazione
del suo sistema grafico. Infatti Peirce ritiene che guardare ai ragionamenti della matematica
è utile, poiché essi risultano universali, proprio perché vengono elaborati nel regno del
possibile, dell‟ipotesi, e, nello stesso tempo, ancorandosi ad individualità esibiscono una
dimensione osservativa ed operativa, poiché è previsto che il matematico manipoli gli
schemi, i diagrammi elaborati per far procedere il pensiero ed indurlo a scoprire le
dimostrazioni necessarie e universali, le uniche abilitate a scoprire qualcosa di nuovo.
Sicuramente questi principi tratti dai ragionamenti matematici si riveleranno costitutivi ed
esplicativi all‟interno del progetto peirceano. Ma ciò non ha nulla a che vedere con
l‟assunzione di presunte posizioni logiciste, peraltro ne La critica degli argomenti Peirce
matura un distacco dal metodo algebrico, poiché ritenuto dalla sua prospettiva, meno
efficace rispetto alle notazioni utilizzate dalla chimica per rappresentare la costituzione delle
sostanze composte. Il testo Qualcosa, Altro, Terzo: una derivazione grafica, scritto nel
1892342
manifesterà questa nuova tendenza.
2) Ground e analogia
In Harvard lecture II (1865) Peirce, a conferma dell‟intreccio fitto tra piano logico e piano
semiotico pone in rapporto le tre forme di inferenza, di cui ha discusso precedentemente e
cioè ipotesi, induzione e deduzione, con il processo di simbolizzazione degli oggetti. Qui
viene precisato che ogni inferenza debba avere il proprio ground logico, e così come
risultano distinti tre tipi di ragionamento, allo stesso modo è possibile parlare di tre oggetti
della simbolizzazione ovvero una cosa possibile, una forma possibile, un simbolo
possibile343
. E in considerazione del fatto che un simbolo, soltanto se riferito ad una
342
È opportuno precisare che il titolo del manoscritto è stato elaborato da S. Marietti. Peirce, Pragmatismo e Grafi
esistenziali, (a cura di S. Marietti) Milano, Jaka Book 2003. 343
A tal proposito potrebbe essere utile ricordare le insistenze su questo rapporto stretto tra processo inferenziale e
processo di simbolizzazione: “Quando Peirce parla del rapporto tra estensione e intensione nei tre tipi di inferenza sta
parlando del modo tramite cui noi possiamo sostituire un simbolo con un altro simbolo […] un esempio di processo
conoscitivo può essere quello il cui risultato sia un giudizio che affermi che un concetto è simile ad un altro
concetto…così nei nostri ragionamenti non facciamo altro che introdurre termini equivalenti, i quali ci consentono di
sostituire un simbolo con un altro avente più informazione, sostituzione che ci permette di avviare il processo
inferenziale. Cfr. G. Di Marco, La radice logica dell‟antintuizionismo in Peirce, in Quaderni di Acme Semiotica ed
Ermeneutica, a cura di C. Sini, Cisalpino, 2003, Milano, p. 83-85
219
possibile cosa istituisce una relazione oggettiva, l‟attenzione sarà rivolta in modo particolare
al ground, inteso come cosa possibile e alla sua inferenza corrispondente ovvero a quella
ipotetica, poiché quel filo che s‟intende seguire tra ground/icona, ipotesi e analogia, forse
potrà rafforzarsi in virtù del continuo rinvio tra i due versanti semiotico e logico
caratterizzante le densissime pagine delle Harvard Lecture.
Poiché si affermi qualcosa da cui trarre quegli incrementi conoscitivi che ci permetteranno
di inferire conclusioni possibili, è necessario porre l‟Essere, così come espone Peirce in
Logica – Capitolo I (1866), da cui, come pure forma, è possibile spostarsi verso un possibile
contenuto: “Il possesso di un carattere, è perciò il primo concetto dotato di contenuto. Il carattere è il ground
dell‟essere; tutto quello che è, è in qualche modo […] è così che dobbiamo intendere la materia. Il
carattere è allora sempre un ground, e in quanto ground è anche sempre un carattere: i due termini
sono coestesi. Il riferimento ad un ground, cioè il possesso di un carattere, non è un concetto dato
nelle impressioni sensibili, ma è il risultato di una generalizzazione”344
.
E così da qui prende avvio quel processo di sostituzione o inferenziale, a seconda della
prospettiva logica, o semiotica, che rende possibile la formazione di un giudizio, perché da
una parte il ground determina, dall‟altra il carattere non provenendo dalle impressioni, in
quel caso si limiterebbe ad essere un‟inesplicabile replica del referente, ma qualificandosi
come frutto di un processo di generalizzazione, esibisce già per sua virtù gli elementi di
base e per la simbolizzazione e per l‟inferenzialità.
Infatti, prosegue Peirce, dall‟istituzione del carattere scaturisce la necessità della
correlazione e infatti proprio in questo passaggio si fa luce sulla giustificazione
dell‟introduzione del ground, poiché grazie a quest‟ultimo risulta spiegato il riferimento ad
un correlato. Ma il correlato a sua volta implica una rappresentazione: comprendere che la
determinazione di qualcosa, per ciò stesso rinvia ad altro, significa fare appello appunto ad
una rappresentazione capace di mediare fra la determinazione di qualcosa e il suo stesso
rimando ad altro. Nella rappresentazione si raccoglie quella consapevolezza in virtù della
quale è possibile comprendere che ciò che è stato generalizzato ha sostituito i suoi elementi
individuali. Già questa operazione di fatto è scattata nel momento in cui al posto dell‟essere
si è nominato il suo ground, ma la consapevolezza di tale atto vive nella dimensione
rappresentativa. Il ground è già sede di dimensioni eterogenee, come l‟individuale e il
generale, ma per capire il tipo di movimento che si attua all‟interno dei tre livelli della
simbolizzazione, è necessario procedere dal ground al suo interpretante e da quest‟ultimo a
ritroso.
Istituiti questi 3 livelli: ground, correlato a rappresentazione, Peirce precisa che mediante
l‟astrazione “per posizione” è possibile isolare il ground dal correlato, così come
quest‟ultimo dalla rappresentazione. Ma la rappresentazione non può essere separata dal
riferimento ad un correlato e ad un ground. È possibile disporre in riferimento al ground di
“qualità semplici”, di relazioni reali, nel caso in cui il riferimento comprende il ground e il
correlato, e di rappresentazioni ove il rinvio è relativo al ground, al correlato e al
“corrispondente”. Penetrando ancora nei passaggi successivi di questo densissimo testo,
Peirce distingue le relazioni in relazioni reali e relazioni ideali e a tal proposito fornisce
degli esempi assai chiari345
: “Il correlato a cui si riferisce una qualità semplice è tale da
rendere possibile una generalizzazione; vale a dire, è il correlato di un accordo”. Peirce
afferma più avanti: “un riferimento ad un ground che implichi un riferimento ad un correlato
344
Peirce, Logica. Capitolo. cit., p. 8. 345
Ivi, p.10.
220
è del tipo esemplificato da verbi uccidere/accostare. È perciò un ground di differenza in
actu. La sola differenza nei soli predicati, come nei termini più grande e simili, può essere
considerata unicamente come una relazione ideale, perché i due termini non possono venire
rappresentati come aventi alcuna connessione se non rispetto ad un corrispondente”346
.
L‟utilità di tenere presenti questi passaggi, è dovuta al fatto che, quando si parla di ground,
bisogna, a mio avviso, pensare essenzialmente a qualcosa che da una parte assume una
determinazione ed, in quanto tale, entra a far parte della catena segnica diventando un anello
tra gli altri della semiosi, dall‟altra si propone come condizione intranscendibile dello stesso
processo semiosico, cioè, per dirla in altre parole, costituisce quell‟unico spazio possibile,
però ancora non accessibile alla dimensione solida della rappresentazione o propriamente
detta simbolica, in cui l‟unità e la differenza cominciano a distinguersi, pur rimanendo
ancora inesorabilmente unite. Insomma le vicende del ground all‟interno dell‟intricatissimo
universo peirceano, a mio avviso, sembrano assimilabili a quelle vissute dall‟analogia. Così
come il ground compare nei primi volumi dei Collected Papers e dei Writings e poi
apparentemente sembra scomparire, ma in realtà finirà per costituire uno degli assi portanti
della semiotica peirceana, allo stesso modo l‟analogia, apparentemente presente soltanto
all‟inizio nella produzione del filosofo americano e peraltro in modo periferico, uscirà fuori
dai confini impostele, qualificandosi, non soltanto come un argomento logico, ma come uno
dei tasselli più significativi della questione gnoseologica, riaprendo così vecchie questioni e
principalmente il dialogo con Kant e con quanti hanno letto l‟analogia kantiana, come nel
caso di certe linee critiche, che in Melchiorre e in Sini vedono i loro autorevoli
rappresentanti.
Utilizzando le distinzioni già fatte, a proposito delle relazioni in reali e ideali, Peirce
stratifica la rappresentazione attraverso i noti termini di somiglianza, indice e segno
generale, quest‟ultimo denominato in altri testi simbolo.
In particolare Peirce specifica che le rappresentazioni possono strutturarsi secondo queste
modalità: il representamen, oggetto della rappresentazione, può instaurare con il proprio
oggetto referente una relazione reale in termini di accordo o differenza, o una relazione
ideale. Nel caso della relazione reale secondo accordo con il proprio referente, la
rappresentazione si identifica con una somiglianza ovvero si dà conto del referente riguardo
ad un suo carattere fondante, ma non si dà alcuna notizia circa la sua esistenza; nel secondo
caso, cioè della relazione che si attua tramite differenza, la sua specificità consisterà nel
riconoscere il representamen come un‟indicazione dell‟esistenza del suo oggetto. In questi
termini la rappresentazione si qualificherà come indice. Quando la relazione è ideale ciò
vuol dire che la connessione tra representamen e oggetto è data in virtù di una qualità che
viene attribuita dall‟interpretante, tale atto produce un segno generale, una parola o un
concetto.
Alcuni passaggi tratti dalla IX Lowell Lecture possono rivelarsi significativi, poiché danno
conto di alcuni concetti che possono corroborare la convinzione che il ground si ponga
come una chiave di volta fondamentale, non soltanto per capire gli sviluppi in sede
semiotica in merito al concetto di icona, ma anche per valutare la sua stessa profonda
potenzialità ontologica. Infatti in queste pagine Peirce argomenta, dopo aver ben costruito
un concetto, in maniera tale da mostrare specularmente come quest‟ultimo si presta ad
essere inserito in un sistema semiotico, peraltro ancora in formazione o in un sistema logico.
Seguire qui passo dopo passo tale fase di gestazione, diventa utile, poiché da un singolo
346
Ibidem.
221
concetto vengono tratte le sue declinazioni logiche o semiotiche e anche matematiche. E
senza pretendere di penetrare nei meandri di questi tre universi, s‟intende cogliere la
polivalenza del concetto di ground, al fine di trarre alcuni nessi con l‟analogia, concetto
tipico della tradizione metafisica.
Dopo aver dedotto questi gradi intermedi tra l‟Essere e la sostanza: ground, correlato e
interpretante, Peirce ritorna sulla distinzione tra relazione reale e ideale, denominando la
prima Equiparanza e la seconda Disquiparanza: la prima ha un „carattere interno‟ e non
rinvia ad un correlato, la seconda, invece, ha un carattere esterno e rinvia al correlato
Per una maggiore perspicuità dei passaggi peirceani può risultare utile il seguente schema: “Qualità interna (Qualità in senso proprio)
la qualità di un equiparante e di una somiglianza (Likeness)
Qualità esterna
la qualità di un disquiparante e di un indice
Qualità imputata
la qualità di un simbolo”347
.
La nozione di equiparanza, a mio avviso, approfondisce la natura fratta del concetto di
ground, poiché permette di comprendere come tratto specifico del ground sia la sua capacità
di tenere insieme identità e differenza. Il ground è come se esibisse uno spazio all‟interno
del quale, è sempre possibile ospitare l‟altro. Cioè come quando “ad esempio metto A in
relazione a B, quando nel contemplare A vedo per così dire B attraverso di esso”348
. È
questa la condizione intrascendibile posta dal ground grazie alla quale è possibile istituire
inediti caratteri, nuove qualità. L‟equiparanza essenzialmente è “un accordo in un
determinato rispetto”, è quel fra che al tempo stesso ci consegna un‟identità. È proprio su
questo che si appunterà l‟attenzione, poiché nei passaggi successivi sarà possibile constatare
come questo concetto di equiparanza si arricchirà di implicazioni semiotiche e logiche, in
virtù delle quali sarà possibile allargare gli orizzonti di questo rapporto tra identità e
diversità, e al tempo stesso si aggiungeranno elementi importanti per tentare di dimostrare
che nel ground riecheggia tutta la forza di un concetto altrettanto capace di contenere la
distanza tra identità e differenza, ovvero il concetto di analogia, da sempre custodito dalla
tradizione metafisica. Qui l‟intento è quello di riconoscere in alcune coordinate ritenute
esclusivamente di pertinenza semiotica logica o matematica all‟interno del pensiero
peirceano, una struttura, che per la sua natura specifica e per il ruolo assunto può
identificarsi con una dimensione di tipo analogico. Per dare fisionomia a questa affinità tra
ground e analogia riprendiamo i passaggi contenuti nella IX Lowell Lecture: le suddivisioni
triadiche finora elaborate possono produrne altre: il simbolo risulta essere suddiviso in
Termine, Proposizione e Argomento. “So if we write “Aristotle” this means nothing except so far as it embodies certain characters of
mind, of nationality, and of position in space and time, which belonged internally and not by
imputation to the real Aristotle. Thus a term is a symbol which is intended only to refer to a ground
or what is the same thing, to stand instead of a Quale or what is again the same, to have meaning
without truth”349
.
Ciò che si riferisce direttamente al suo oggetto affermando e indicandone l‟esistenza e
quindi esprimendone l‟essere vero o falso è una proposizione. Ma in questi termini il
riferimento ad un oggetto, significa nominare un correlato, il quale non può prescindere dal
347
Ibidem. 31
Ivi, p. 8. 349
WI: 477.
222
rinvio al ground e dunque l‟oggetto della proposizione è un relato. Un argomento si riferisce
al suo interpretante, esprime la rappresentazione, già veicolata dall‟interpretante.
L‟Argomento pertanto rappresenta quanto ha realizzato l‟interpretante, e quindi il rinvio a
quest‟ultimo è assolutamente necessario. L‟argomento risulta distinto, sempre in riferimento
alla suddivisione fondamentale icona/indice/simbolo, in ipotesi, induzione e deduzione.
L‟ipotesi sollecita la mente ad immaginare come veri alcuni caratteri di qualche ente;
l‟induzione esibisce informazioni relativamente ai caratteri comuni presenti in un insieme di
enti: “ Induction informs us of the whole extent of those things which have
Certain - characters-for example, it infers that all cloven-hoofed animals are herbivora,- it
therefore informs us as to extension but not as to comprehension, that is it represents a
representation which has extension without comprehension, which is an index”350
. La
deduzione esplica quanto è contenuto in entrambe le premesse.
Esplicate le triadi fondamentali, ritornando alla divisione interna al simbolo, è bene tenere
presente che Peirce introduce tre elementi importati, di cui parlerà in modo sistematico nel
testo del „67 Upon logical Comprehension ad Extension (13 novembre 1867):
connotazione/denotazione o informazione/implicazione. Il Termine rinviando al ground
connota ma al tempo stesso proprio perché rinvia al ground, pone per ciò stesso il correlato
e quindi denota, ma la consapevolezza che il rapporto tra connotazione e denotazione ha
prodotto un aumento conoscitivo è dovuto ad un interpretante che temporaneamente chiude
la triade, con la produzione di un‟informazione.
L‟applicazione di questi tre concetti alla divisione interna dell‟Argomento si configura in
questi termini: l‟ipotesi ha la funzione di spiegare, come dirà estesamente nei testi
successivi, e quindi la sua funzione specifica è quella di comprendere, di connotare.
“Hypothesis brings up to the mind an image of the true qualities of a thing – it therefore
informs us as to comprehension but not as to extension, that is it represents a
representation which has comprehension without extension; in other words it represents a
likeness”351
. All‟induzione si attribuisce il compito di denotare, piuttosto alla deduzione di
esplicare ciò che è contenuto in entrambe le premesse.
L‟analisi fin qui condotta lascia emergere chiaramente la sua specularità, poiché ora le
divisioni semiotiche, ora quelle logiche contribuiscono all‟elaborazione di un quadro ricco
di corrispondenze che, a mio avviso, alla luce delle nozioni di equiparanza e disquiparanza
arricchisce il suo orizzonte di senso e snoda al suo interno molti di quei concetti che
diventeranno sapere acquisito, consolidato nel Peirce della maturità.
Se analizziamo l‟equiparanza in riferimento a ciò che viene qualificato come termine è
possibile supporre che qualcosa si accordi con il bianco in riferimento alla bianchezza.
Questo è un esempio di equiparanza, così come Peirce lo riporta nel suddetto testo. Ora se
immaginiamo un ground di disquiparanza sorge la questione in merito al fatto che la
bianchezza pur essendo un carattere interno dovrebbe esibire una relazione di disquiparanza.
In realtà questo può accadere perché se si considera la qualità come relativa il correlato di
bianco diventa qualcosa non-bianco. Se riferiamo l‟equiparanza alle proposizioni, dobbiamo
tenere presente che esse sono composte da due elementi: il soggetto e il predicato. Il
soggetto esprime il relato e il correlato, il predicato il ground della relazione e qui Peirce
specifica che se la proposizione è negativa, tale carattere lo si intende intrinseco al
predicato: “Thus No elephants are red-means elephants agree in being not red”352
.
350
WI: 485. 351
WI: 485. 352
WI: 481.
223
Il predicato che esprime il ground della relazione o equiparanza è ciò che permette
l‟identificazione di un termine, ma ciò è possibile grazie ad un accordo in un determinato
rispetto, insomma è una classe e il predicato che contiene la relazione, non fa altro che,
rispetto ad un determinato carattere, connotare un termine. Viene fuori un‟indicazione già
preziosissima per il Peirce della maturità, secondo cui la copula non è un tramite mediante il
quale si congiungono due realtà peraltro presunte eguali, piuttosto un operazione di
attribuzione.
In On a Method of Searching for the Categories 1866 (Ms 133) viene ribadito che
l‟equiparanza è in effetti la costituzione di una classe e il correlato di equiparanza non è
altro che un altro membro della stessa classe. Ma con classe s‟intende un insieme di cose
che si accordano. Queste considerazioni insistono nel marcare la potenza originaria di
categorizzare intrinseca al ground: il ground è sempre un predicato mai un soggetto e quindi
essenzialmente è una classe. Ma se è una classe, è un generale, ovvero relazione, quella
relazione mediante la quale è possibile riferire ad una classe un qualcosa. E quindi il ground
si presenta sempre come quella forza connotativa imprescindibile che lo abilita a porsi come
centro da cui dipartono le specifiche categorizzazioni ora logiche, ora semiotiche, e
soprattutto si presenta come caratterizzato non solo dalla possibilità di connotare, poiché il
ground essenzialmente non decide unicamente della connotazione, poiché da quest‟ultima
dipende la denotazione. Ma ciò non avviene perché il ground rende possibile l‟oggetto della
denotazione, il quale esiste indipendentemente da esso, ma perché la significazione
dell‟oggetto intanto dipende dal modo in cui è agganciato dal ground, il quale proprio
perché crea questa condizione pone quello spazio possibile che può essere riempito da quei
soggetti che si presentano idonei ad occupare quel vuoto appositamente predisposto dal
ground. Quindi in questo senso il ground è quello spazio in cui virtualmente coabitano
generale e individuale, identità e differenza. Ed è proprio a partire da questo che potremmo
intendere il ground come espressione di quella tensione tra generale e individuale che
ritroviamo nella forma logica dell‟analogia.
L‟esempio che Peirce qui fornisce, dicendo che l‟elefante è forte come l‟ippopotamo, pone
l‟attenzione sul fatto che mediante un accordo, in questo caso rappresentato dalla forza
dell‟ippopotamo, è possibile connotare il primo termine, quindi il ground di equiparanza
coincide con la forza dell‟ippopotamo. Proseguendo, Peirce precisa che la disquiparanza
implica che, oltre ciò in cui si accordano l‟elefante e l‟ippopotamo, ci siano altre
determinazioni in cui si differenziano. E quindi questo movimento di equiparanza e
disquiparanza, traccia, delimita, delineando identità e anche differenze e sembra custodire
un serbatoio infinito di relazioni e di significati, ci facendoci comprendere come la
differenza e l‟accordo sono propri della dimensione segnica, e in particolare del ground,
nella misura in cui il ground è già una relazione interna. Il ground, come assunzione di
relazioni, istituisce da sempre una tensione tra ignoto e noto, nel senso che, grazie al suo
modo di agganciare l‟oggetto, quest‟ultimo acquista significato. E quindi probabilmente è
un elemento assolutamente esterno all‟oggetto dinamico, che è responsabile dell‟attivazione
del processo conoscitivo.
Insomma vero è che il piano sul quale vive il ground è segnico, ma è anche vero che
soltanto a partire da esso il reale acquista intelligibilità.
Proseguendo nella lettura del testo On a Method of Searching for the Categories 1866 (Ms
133) Peirce si sofferma sui diversi tipi di grounds traendo delle conseguenze che
contribuiscono ad allargare l‟orizzonte dell‟equiparanza – disquiparanza fino ad includere
non soltanto il piano logico-semiotico, ma anche quello matematico.
224
“A disquiparance upon its own ground is called active; a disquiparance upon the inverse
ground is called passive. Thus “A is greater than B” is an active disquiparance; A” is
something than which B is less”, is a passive disquiparance”353
.
Tale passaggio è utile perché lo stesso Peirce pone in evidenza che esso permette l‟ingresso
di un nuovo concetto quale la misura, tant‟è che subito dopo viene affermato che la scienza
dei rinvii dei disquiparanti ai loro grounds è la matematica, lo studio delle inversioni delle
disquiparanze è oggetto specifico dell‟algebra, nonché le differenze tra i tipi di grounds
costituisce il campo della geometria.
A conclusione del testo, facendo riferimento ai concetti di intensione ed estensione, Peirce
evidentemente attribuisce l‟intensione alla legge di equiparanza e l‟estensione alla
disquiparanza: è chiaro che la relazione interna espressa dalla equiparanza è atta a
connotare, piuttosto la disquiparanza, implicando immediatamente il riferimento al
correlato, denota e indica essenzialmente il terreno su cui si consuma la differenza: la
quantità degli elementi disquiparanti, esibiti su quel terreno o “rispetto” costituisce
l‟estensione della disquiparanza. L‟assolutizzazione di queste equivalenze ovvero
equiparanza/intensione, disquiparanza/estensione producono i due principi basilari della
logica: il principio di identità e il principio di non-contraddizione.
“[…] Equiparance of one total intension is a relation, that of identiy; whereas disquiparance
of entirely undetermined intension is a most important relation, that of contradiction as
between man and non-man; and disquiparance in the whole intension is impossible”354
.
E in Upon Logical comprehension and Extension Peirce aggiunge che la copula deve
essere considerata come un segno di attribuzione piuttosto che come un segno di
eguaglianza. La conclusione del testo esaminato e questi passaggi ora richiamati ci
permettono di comprendere come la traduzione di alcuni principi - concetti logici in nozioni
semiotiche, come nel caso del principio d‟identità e di non contraddizione concepiti come
relazioni di equiparanza e disquiparanza - siano funzionali alla scoperta di un movimento, di
rimando, che non appartiene né alla logica, né alla semiotica, né alla matematica, poichè
esso costituisce quell‟unico fronte intranscendibile all‟interno del quale è possibile
articolare relazioni, ora di tipo logico, semiotico o matematico. In particolare alcune
divisioni, insuperabili come nel caso del principio d‟identità e di non contraddizione,
possono essere colmate alla luce di queste complesse relazioni di equiparanza e
disquiparanza all‟interno delle quali si snodano da un‟unica fonte concetti apparentemente
eterogenei. Insomma è come se alcuni principi diventassero permeabili e le apparenti
divisioni si qualificassero come equivalenze. E principi assolutamente divisi come il
principio d‟identità e di non contraddizione diventano espressioni della transitività, che pare
sia la proprietà specifica della copula e più originaria dei principi suddetti, così come
affermerà Peirce in La Critica degli argomenti e in altri scritti. Quindi è come se questo
movimento prodotto dalle relazioni di equiparanza e disquiparanza esprimesse tutta quella
fluidità dei concetti, per dirla con Hegel, prima che essi vengono cristallizzati e solidificati.
Tale fluidità è da leggere in termini di infinita possibilità e quindi di spazio ipotetico.
Non è un caso che queste riflessioni in ambito logico/semiotico porteranno, come si è
analizzato precedentemente ad una revisione categoriale: Peirce parlerà infatti in termini di
Primità e non più di Essere.
353
W I: 527. 354
WI: 528.
225
Le relazioni di equiparanza e disquiparanza si qualificano come dimensione originaria, esse
non possono più rientrare all‟interno di una tradizionale partizione di sostanza ed essere e
Peirce infatti parlerà di Primità, Secondità e Terzità. Ma proprio perché le riflessioni logico-
semiotiche conducono ad una rifondazione categoriale, forse anche da questo si può essere
confortati nel dire che la fluidità logica delle relazioni possibili la si può riconoscere in una
dimensione continuamente evocata che è quella data dal movimento analogico. A tal
proposito può essere utile tenere presente che Ferriani nel suo densissimo saggio Peirce e la
logica deduttiva, ricorda che sulla base dei testi di logica medievale come Pietro Ispano e
Ockham, Peirce ricava la differenza tra termini equiparanti e disquiparanti che
“corrispondono nel lessico odierno a predicati monadici, ad esempio (bianco), i disquiparanti agli
altri, specie a quelli diadici (ad esempio padre di). Quindi una relazione equiparante connette gli
oggetti che condividono una proprietà o si accordano sotto un determinato rispetto: il predicato
contenuto in una proposizione che la esprime designa perciò un carattere interno o assoluto,
condiviso dagli oggetti cui il soggetto si riferisce, mentre una proposizione che esprime una
relazione disquiparante richiede, oltre al soggetto che indica il relato, e al predicato, che designa il
ground un terzo termine per indicare il correlato B”355
.
Ferriani, proseguendo, si interroga sulla ricaduta di tale suddivisione nell‟ambito della
classificazione degli argomenti, e riferendosi ad un brano della Lecture II afferma: “occorre adottare uno speciale principio d‟inferenza, in base al quale l‟intera determinazione della
relazione presentata nel caso – cioè il riferimento al suo specifico correlato – va applicata a tutte le
componenti – ossia al soggetto e al predicato – della regola.Un principio del genere viene utilmente
impiegato nelle dimostrazioni matematiche, ove si presentano frequentemente casi di sussunzioni
multiple. Un esempio molto semplice è dato dall‟inferenza di 3 x 4 = 12 da 4 x 3 = 12, che assume
la seguente struttura sillogistica. La regola qui è: qualsiasi numero che risulta dalla moltiplicazione
di un numero per un altro risulta anche dalla moltiplicazione del secondo per il primo. Il caso è: 12
è un numero che risulta dalla moltiplicazione di 3 x 4”356
.
Tali riferimenti focalizzati dal Ferriani mi paiono assai importanti poiché pongono in
evidenza come l‟uso dei termini equiparanti e disquiparanti obblighi a ricercare un quadro
di relazioni più ampio rispetto a quelle contemplate dalla sillogistica tradizionale, ma questa
consapevolezza non è utile soltanto per marcare i presunti limiti di una certa lettura della
logica tradizionale ma soprattutto per comprendere che un modello come quello analogico
forse può rilevarsi funzionale ad una esplicazione delle relazioni espresse dalla equiparanza
e dalla disquiparanza. Ricordiamo a tal proposito le parole di Peirce, contenute nel testo
Description of a Notation for the logic of Relatives, dalle quali si evince lo scopo di fornire
una notazione simbolica per i relativi: “Nell‟estendere l‟uso dei vecchi simboli dobbiamo
attenerci a certi principi di analogia che, una volta formulati diventano definizioni nuove e
più ampie dei simboli di partenza”357
.
Sempre in riferimento agli scritti del giovane Peirce, Some Consequences of four incapacities
costituisce un saggio fondamentale, poiché si pongono premesse in virtù delle quali il processo
semiotico risulta ampiamente giustificato dal versante gnoseologico/epistemologico. E inoltre
alcune argomentazioni, sulla base della assimilazione di alcuni concetti base già trattati tra il
65 e il 67, qualificano Some Consequences of four incapacities come un testo fondamentale
per comprendere come il quadro di riferimento, finora caratterizzato dall‟intreccio dei due
piani, quello logico e quello semiotico si allarghi guadagnando chiarezza e includendo il
355
Ferriani, Peirce e la logica deduttiva: gli anni giovanili, Bologna, CUEB, 1999, p. 50. 356
Ivi, p. 51. 357
Peirce, Descrizione di una Notazione per la Logica dei relativi che risulta da un ampiamento dei Concetti del calcolo
logico di Boole, In scritti di Logica, trad. it. A. Monti, La Nuova Italia, Firenze, 1981, p. 36
226
versante epistemologico. Traducendo su un piano strettamente gnoseologico le acquisizioni
finora discusse, Peirce insiste sull‟identificazione dell‟azione mentale con il processo
inferenziale: “Non possiamo ammettere alcuna asserzione in ciò che accade dentro di noi,
tranne che come una ipotesi necessaria a spiegare ciò che ha luogo in quello che chiamiamo
di solito il mondo esterno [….] Non vi è nessuna conoscenza assolutamente prima di nessun
oggetto, ma la cognizione sorge sempre da un processo continuo”358
.
Queste affermazioni traducono sul piano epistemologico quanto è stato già affermato negli
scritti precedenti, poiché da un‟altra prospettiva si insiste sul fatto che bisogna partire da
uno spazio, cioè è come se per pensare e poi conoscere fosse necessario fare spazio, ma
questo spazio non è altro che un “fra” che si pone tra un pensiero ed un altro. E questo è già
quel processo continuo indispensabile alla conoscenza. Questo spazio è quello già creato dal
ground la cui introduzione si giustifica a partire dalla necessità di istituire quel “fra” o la
relazione con l‟altro, di equiparanza, che risulta fondamentale nella costituzione del
processo segnico, e che essenzialmente secondo Peirce corrisponde all‟unico modo
disponibile per avere un‟idea della possibile costituzione del referente. Lo spazio, il “fra” è
creato dalla valenza ipotetica del ground, è in questo spazio che l‟accordo in un determinato
rispetto delinea la fisionomia del possibile referente e ciò ci permette di dire che all‟interno
di questo rispetto, ciò che è stato selezionato segnicamente è in qualche modo simile al suo
eventuale referente. A tal proposito può essere utile ricordare che l‟ipotesi, di cui parla
Peirce è condivisa dalla tradizione, come ad esempio nel caso di Kant, già ricordato
precedentemente. Se essenzialmente il processo conoscitivo consiste in questo gioco di
sostituzioni, nel senso che la conoscenza si costruisce sulla base di pensieri che
sostituiscono i pensieri precedenti o meglio di pensieri che sono segni di quelli che lo
precedono, ciò che risulta importante, perché capace di produrre conoscenze nuove, è che si
metta in connessione qualcosa con qualcos‟altro. Dieci anni più tardi Peirce dirà: “abbiamo un‟ipotesi quando troviamo qualche circostanza curiosa che sarebbe spiegata dalla
supposizione che fosse la conseguenza di un caso ascrivibile ad una regola generale, e perciò
adottiamo quella supposizione. Oppure quando troviamo che due oggetti presentano una forte
somiglianza sotto certi rispetti e inferiamo che si devono somigliare fra loro fortemente anche sotto
altri rispetti”359
.
In questi termini vedremo che l‟ipotesi sarà legata sempre più all‟attività del congetturale, in
tale operazione si risolverà più avanti il termine abduzione. Ma se le cose stanno così, al di
là della parentela, a mio avviso, evidente tra ground e ipotesi, comincia a diventare forse più
chiara un‟affinità profonda tra ipotesi, ground e analogia. Ora per quanto Peirce, come è
stato già detto precedentemente, precisi la distinzione tra ipotesi e analogia, in
considerazione del fatto che alcuni studiosi gli rimproverano di avere confuso i due termini,
in effetti, a mio avviso, già dall‟inizio della sua produzione, le due dimensioni appaiono
affini. Se certamente l‟analogia non pretende di risalire ad una legge generale, come invece
avviene nel caso dell‟ipotesi, nel senso che l‟ipotesi, se supportata dall‟induzione e dalla
deduzione aspira all‟universale, lo stesso non si potrà dire dell‟analogia, ma non perché
l‟analogia non contenga l‟universale, ma perché quest‟ultimo è connaturato ad essa.
Potremmo dire che l‟analogia mostra l‟universale; l‟ipotesi lo esibisce attraverso un
processo di mediazione in cui sarà legittimata dall‟induzione e dalla deduzione. Quanto alla
capacità di istituire connessioni per produrre unità, indispensabile alla comprensione
dell‟ancora ignoto, quanto perciò al processo in virtù del quale è possibile sostituire l‟unità
358
Peirce, Some Consequencens of Four Incapacities, cit., p. 83. 359
Peirce, Deduzione, Induzione e Ipotesi, cit., p. 465.
227
alla molteplicità sia l‟ipotesi che l‟analogia si ritrovano a mio avviso unite. È nell‟uso delle
due dimensioni che, almeno in questa fase dell‟opera di Peirce, è avvertibile una differenza,
poiché se l‟ipotesi è destinata, se è valida, ad essere inverata dall‟induzione e dalla
deduzione, l‟analogia vede compiuta la sua funzione nell‟avere prodotto conoscenza
mediante similarità. In questo momento della produzione di Peirce, l‟analogia
essenzialmente ancora si identifica con l‟argomento per analogia. E quindi l‟analogia si
potrebbe dire produce la somiglianza non dispone di altro spazio che quello del luogo in cui
risiede il particolare; nel caso dell‟ipotesi, la sua facoltà di istituire relazioni con l‟apporto
dell‟induzione e della deduzione consente di affrancarsi dall‟individuale e accedere soltanto
all‟universale. A mio avviso questa differenza avvertibile in questa prima fase della
produzione peirceana, che sembra mettere in risalto la superiorità teoretica dell‟ipotesi
rispetto all‟analogia, forse viene meno nel Peirce maturo, poichè l‟analogia entrerà a far
parte, a mio avviso, dell‟intero processo deduttivo, se si considerano la prospettiva
prettamente logica, e le tricotomie semiotiche, e, in particolare, si qualificherà come
principio esplicativo del livello iconico della grammatica segnica.
Prima di dar conto di questi esiti attraverso l‟analisi dei testi del Peirce maturo, è opportuno
ritornare al saggio del 68 per soffermarci sulla profonda convinzione peirceana, secondo la
quale “ogni qualvolta pensiamo, abbiamo presente alla coscienza un sentimento, un‟immagine, un
concetto o un‟altra rappresentazione, che serve da segno […]. Ogni pensiero precedente suggerisce
qualcosa al pensiero seguente, ovvero è il segno di qualche cosa per quest‟ultimo […]. Dal fatto che
sopravvenga come dominante un nuovo costituente di pensiero non consegue dunque che il filo di
pensiero che il nuovo pensiero ha rimosso si rompa del tutto. Al contrario in base al nostro secondo
principio, cioè che non vi è intuizione o cognizione che non sia determinata da cognizioni
precedenti, segue che l‟irruzione di una nuova esperienza non è mai un fatto istantaneo, ma è un
evento che occupa del tempo e che passa attraverso un processo continuo. Perciò il suo emergere
sulla coscienza deve probabilmente essere il coronamento di un processo di crescita; e se è così non
vi è un motivo sufficiente perché il pensiero che appena prima era stato quello dominante cessi
istantaneamente ed ex abrupto. Ma se un filo di pensiero si spegne gradualmente […], non vi è
nessun momento in cui a un pensiero appartenente a questo filo, non succeda un pensiero che lo
interpreti e lo ripeta”360
.
Questi passaggi svelano a mio avviso ciò che più risulta fondamentale per il meccanismo
conoscitivo: essenzialmente la connessione tra un pensiero e un altro, frutto della
demolizione definitiva dell‟ingenuità di una comprensione intuitiva di un presunto oggetto
assoluto e nello stesso tempo la consapevolezza che tale connessione è legittimata dal fatto
che si ritiene possibile che un pensiero rappresenti il precedente e questo a sua volta
costituisca quindi segno per un pensiero segno successivo. Ma ciò significa per dirla con il
registro dell‟esordiente semiotica di Peirce, che la conoscenza procede solo attraverso
“grounds di equiparanza”. Ma queste stesse in virtù del movimento di cui sono capaci, o
meglio in virtù del modo in cui permettono lo stagliarsi di fisionomie, profili sembrano
dischiudere un orizzonte comune e all‟ipotesi e all‟analogia.
Già Sini fornisce indicazioni preziose in questa direzione, poiché quando parla dell‟analogia
come ripetizione, sembra proprio che in questa accezione si posso riscontrare il tema
dell‟analogia nelle affermazioni precedentemente citate. L‟analogia si pone come evento,
afferma Sini, nella misura in cui è capace, contraendo tutta l‟esperienza dei passaggi
precedenti, e quindi permettendo loro di ripetersi, di conferire identità, se pur sempre
360
Peirce, Some Consequences of Four Incapacities, cit. pp. 92-93.
228
infinitamente differita, a ciò che finora non era riuscito ad emergere con chiarezza. Ma ciò è
possibile in virtù di una similarità tra i vari pensieri o segni che si succedono. L‟analogia
lascia emergere una somiglianza, potremmo dire significativa, perché capace di sintetizzare
all‟interno di un solo tratto segnico, che diventa per ciò stesso discontinuo, tutte le piccole
somiglianze che apparivano forse meno evidenti, ma importanti, poiché ad esse è affidata la
responsabilità di non perdere quel filo che verrà successivamente tenuto con maggiore forza
e sicurezza, quando saranno portate alla luce i nessi prima ignoti, e ora messi a fuoco.
Ora il gesto analogico non è affatto un atto improvviso, dovuto ad un atto intuitivo bensì è
l‟oggettivazione, come acutamente osserva Sini, di una pratica che è già da sempre in atto.
Ciò, se risulta plausibile, mi pare che sia in consonanza con lo spirito e con i veti
fondamentali che la prospettiva peirceana pone all‟attività del conoscere, nel senso che essa
stessa confermerebbe il meccanismo di funzionamento della conoscenza, e cioè che non è
possibile apprendere intuitivamente e che invece mediante ragionamento ipotetico è
possibile significare il reale. Infatti il ragionamento ipotetico, per antonomasia procede con
azzardo perché intende unire due elementi, che a primo acchito, sembrano assolutamente
estranei, e quindi in qualche modo tenta, congettura ma, allo stesso tempo, questo obiettivo
non lo persegue con la convinzione di dover cogliere immediatamente la cosa o il rapporto
tra gli elementi. Pertanto se un pensiero è simile ad un altro ciò è da imputare ad un atto
inferenziale, poiché non è possibile confrontare un pensiero ad un altro, poiché frattanto uno
dei due è già passato. E allora solo il “fra” i due pensieri, afferrato per ipotesi non per atto
intuitivo, può presumere di capire il vincolo dell‟ipotesi con ciò che ancora passa sotto il
nome di ground. Ma d‟altra parte la comprensione di questo “fra” è il risultato della capacità
di riconoscere una comunanza pur nella diversità, quindi un‟unità. Ma infatti “funzione di
un‟ipotesi è di sostituire ad un‟ampia serie di predicati che non formano alcuna unità un
singolo predicato […] perciò anche l‟ipotesi è una riduzione della molteplicità a unità”361
.
Dopo avere affermato che la conoscenza è comunque un processo inferenziale, mediato che
non può prescindere dai segni, sicuramente un luogo in cui l‟applicazione di questo modo di
concepire la conoscenza sorprende, forse più di altri, è quello della sensazione. Quest‟ultima
spesso ritenuta come la forma speculare del dato esperito, secondo Peirce è da assimilare ad
un processo inferenziale, e in modo specifico è da ricondurre alla forma dell‟ipotesi: “Una
sensazione è un predicato semplice preso in luogo di un predicato complesso; in altre parole
svolge la funzione di un‟ipotesi”362
. Qui però va precisato che i nessi inferenziali di tipo
ipotetico non sono istituiti in virtù di un procedimento razionale, piuttosto in base ad una
forza naturale, capace, comunque, di istituire connessioni di tipo inferenziale. Quindi se da
un lato la sensazione è determinata dall‟impatto tra il molteplice sensibile e l‟apparato
sensoriale, così come è strutturato naturalmente, dall‟altro essa stessa può darsi a patto che
si realizzi un‟indicazione delle impressioni secondo un‟ipotesi. Ma ciò non avviene in virtù
di un principio razionale, bensì in forza di un potere inesplicabile, occulto. La classe delle
inferenze ipotetiche a cui assomiglia il sorgere di una sensazione è quella del ragionamento
che va dalla definizione al definitum, in cui la premessa maggiore è di natura arbitraria: solo
che in questa modalità di ragionamento, questa premessa è determinata dalle convenzioni
del linguaggio, ed esprime l‟occasione in cui una parola deve essere usata, mentre nella
formazione di una sensazione, tale premessa è determinata da come è costituita, ed esprime
l‟occasione in cui sorge la sensazione, o segno mentale naturale. E allora in questo senso
361
Ivi, cit. p. 87. 362
Ivi, p. 96.
229
Peirce afferma: “La sensazione non è una rappresentazione ma soltanto la qualità materiale
di una rappresentazione”363
.
Per quanto non sia possibile valicare la qualità materiale della rappresentazione, poiché essa
sarebbe determinata da una forza fisiologica che agisce dietro la coscienza, secondo Peirce
questa è la conferma del fatto che quando cominciamo a pensare, già la catena segnica è
stata avviata e prima che noi ne siamo consapevoli, le connessioni in qualche modo, sono
state istituite, e allora ecco che la prima premessa è già bella e pronta, poiché “tale premessa
è determinata da come è costituita la nostra natura, ed esprime l‟occasione in cui sorge la
sensazione, o segno mentale naturale”364
. Ma questa capacità di porre in relazione è facoltà
specifica di quella originaria energia segnica che è propria del ground, che troviamo
all‟opera, prima che intervenga la coscienza o l‟interpretante, e si qualifica come quel fronte
intrascendibile a partire dal quale soltanto dopo l‟interpretante potrà realizzare in modo
cosciente il progetto di significazione del reale, perché questa volta caratterizzato da un
procedimento razionale. Quindi l‟analisi della sensazione ci offre una ribalta particolarmente
interessante, poiché ci permette di capire come già la sensazione sia frutto di un giudizio, le
cui origini non sono da imputare per intero alla facoltà razionale, ma al segno naturale.
Insomma è come se già a livello inconscio l‟energia infinita inferenziale del ground avesse
già operato tanto da confezionarci bell‟è pronta quella premessa da cui si svilupperà l‟iter
della semiosi: tale premessa costituirà un segno per nuove connessioni. Quindi è già saltato
l‟impianto dualistico in base al quale la forza rappresentativa opererebbe su un molteplice
sensibile completamente separato da quest‟ultima. Il molteplice sensibile è già stato a sua
volta selezionato, unificato. Quindi l‟interpretante si ritrova a continuare un‟opera già
iniziata. E allora in questo senso da un lato il ground non è a mio avviso da legare
all‟interpretante, e dall‟altro rivelerebbe una natura ontologica, poiché è come se disponesse
il reale affinchè possa essere reso intelligibile dall‟atto semiosico cosciente. Il ground si
mostra apparentemente neutro, perché ad esempio nella sensazione, si presenta sotto le vesti
della costituzione della natura, o come qualità materiale della rappresentazione, il cui
aspetto in effetti risulta inessenziale, infatti “esattamente come nel ragionamento dalla
definizione al definitum, per il logico è indifferente come suonerà la parola definita, o
quante lettere conterrà, così nel caso di questa sorta di parola determinata dalla costituzione
della nostra natura, non è stabilito da una legge interiore come la sensazione apparirà in
sè”365
, il ground esibisce già una connessione possibile che rappresenta una discontinuità-
evento grazie al quale si effettua una ripetizione di qualcosa che altrimenti rimarrebbe
inattingibile al processo conoscitivo. Tutto ciò è coerente con l‟impostazione generale del
pensiero di Peirce, secondo il quale non è possibile immaginare un punto in cui si apprende
immediatamente l‟oggetto, quest‟ultimo è disponibile perché è stato messo già in forma, ma
questa operazione, prima che essa venga resa intelligibile dall‟interpretante potremmo dire è
rozza e a volte insignificante. Ma proprio questa apparente rozzezza e indifferenza
riusciranno a veicolare quanto si rivelerà significativo ai fini di un‟apprensione regolata da
un principio razionale. Cioè all‟interno di ciò che veniva chiamato qualità materiale si lascia
intravedere come in un tutto indifferenziato materia/forma, particolare universale. Sarà
opera dell‟interpretante quella di dipanare il groviglio consegnato dal gesto trascendentale
del ground per identificare quel generale che consentirà di istituire future relazioni segniche.
363
Ibidem. 364
Ibidem. 365
Ivi, p.97.
230
Nel prosieguo delle sue argomentazioni Peirce si impegna nell‟affrontare le possibili
obiezioni che possono provenire in conseguenza di questa sua impostazione: l‟immagine
può essere inferita?
Nell‟ambito della critica alla teoria associazionistica, Peirce precisa che non è possibile
avere immagini immediate e compiute. Ma se ciò è plausibile, non è pensabile secondo un
criterio di tipo associazionistico, perché quest‟ultimo prevederebbe un confronto tra
immagini immediate e assolutamente determinate, come se queste fossero contemporaneamente
presenti, ma ciò è impossibile, poiché ogni pensiero nasce sulla base di pensieri segni
precedenti, e allora la situazione ora prospettata è assolutamente impossibile. Che un
pensiero sia simile ad un altro è frutto di una ipotesi: “l‟associazione delle idee consiste in
questo: un giudizio occasiona un altro giudizio di cui è il segno. Ora questo non è niente di
più o di meno che inferenza”366
.
Se ogni grado della conoscenza è frutto di un atto inferenziale, il concetto di inferenza si
ritrova esteso e in grado di anticipare una prospettiva che si rivelerà assolutamente fruttuosa
per lo sviluppo del pensiero peirceano.
Già nel testo On a New list of Categories e negli scritti analizzati precedentemente è
apparso chiaramente che il ground è il piano in cui si dispongono le relazioni tra un
elemento ed un altro, rivelando il loro potenziale di similarità. Se è già acquisito che non vi
è alcuna possibilità di toccare l‟oggetto nella sua interezza, è chiaro che non possiamo uscire
dal filtro segnico, attraverso il quale traspaiono le relazioni, le somiglianze. Il ground
sostanzialmente coincide con questo sostrato di discriminazione e di qualificazione in virtù
del quale si ritrovano insieme identità e alterità. L‟atto mediante il quale si oggettiva si
stacca dall‟indifferenziato qualcosa perché possa apparire come una forma compiuta,
produce la qualità propriamente detta. Ma già la qualità scaturisce da un rapporto, essa è
possibile in riferimento al ground, e allora così come abbiamo visto che la sensazione è
sempre frutto di una connessione, sebbene non razionale, comunque inferenziale, in
generale le forme di conoscenza, siano esse valutate da un punto di vista gnoseologico, o
squisitamente semiotico risultano essenzialmente mediate, ipotetiche. Si tenga presente,
come è stato analizzato, che la sensazione funziona come l‟ipotesi, nel senso che il dato
proveniente dall‟esterno non viene appreso direttamente ma per sostituzione ovvero la
sensazione si avvale dell‟uso di un predicato semplice al posto di un predicato complesso.
Come è stato precisato tale operazione non è effettuata da un principio razionale bensì da un
potere inesplicabile occulto, e in quanto tale non è una rappresentazione ma soltanto la
qualità materiale di una rappresentazione. Quindi di fatto e qui risulta evidente un punto di
commistione tra naturale e razionale. È come se il piano razionale avesse un doppio fondo,
il cui volume è occupato dal magma del molteplice sensibile, che comunque accede al piano
razionale, già selezionato, filtrato, messo in forma segnica. Il ground istituendo somiglianze,
introduce un elemento nuovo, mettendo in discussione il modo di pensare della logica
tradizionale, secondo cui nella conclusione non può essere introdotto un termine che non
compare nelle premesse. Nello stesso tempo questa introduzione è giustificata su un piano
strettamente semiotico, poiché l‟introduzione di un elemento nuovo non è frutto di un atto
intuitivo, bensì di un processo continuo. E quindi i pensieri precedenti sono seguiti dai
pensieri che li reinterpretano e li ripetono. Da qui il passo in direzione dell‟analogia è breve.
Qui potremmo dire che Peirce non confonde i termini di analogia e ipotesi. Semmai Peirce
è capace di coglierne la profonda sintonia.
366
Ivi, p. 105.
231
Ma ciò che tipo di ricaduta può avere sul piano strettamente logico? Si potrebbe pensare che
proprio qui il piano razionale puramente deduttivo, in genere ritenuto del tutto scollato da
ciò che avviene al di là del proprio luogo razionale, diventi permeabile tanto da consentire
l‟accesso a ciò che può provenire dall‟esterno. Ma in questo caso ciò che più importa è che
ciò che entra non è necessariamente diverso dal piano deduttivo, perché è esterno, ma
perché è essenzialmente ipotetico. D‟altra parte nel pensiero umano non entra mai il dato
bruto ma la sua traduzione segnica, stando ai veti peirceani. L‟ipotesi, mediante la sua
capacità originaria di capire la connessione tra le cose, permette che il prodotto da essa
stessa partorito sebbene non certo, o addirittura, come nel caso, della sensazione, segnata da
una forza che opera dietro la coscienza, entri comunque nel processo deduttivo, sebbene si
presenti apparentemente come elemento distraente, deviante, insignificante. Successivamente
questo stesso da semplice qualità materiale o da elementare sensazione si tramuta in
simbolo o in giudizio solido, perché irreggimentato dalla deduzione razionale. A questo
proposito Peirce ci viene in aiuto con queste considerazioni: “Quando una cosa che assomiglia a questa prima ci si presenta, sorge un‟emozione simile: di qui
inferiamo immediatamente che la seconda cosa è simile alla prima. Un logico formale della vecchia
scuola direbbe che in logica nessun termine che non sia contenuto nelle premesse può entrare nella
conclusione, e che quindi la proposta di qualcosa di nuovo deve essere essenzialmente diversa
dall‟inferenza. Ma io oppongo che questa regola logica si applica solo a quegli argomenti che sono
chiamati in senso tecnico completi [...] ciò che qui si è detto dell‟associazione per somiglianza è
vero per ogni tipo di associazione. Ogni associazione avviene mediante segni. Ogni cosa ha le sue
qualità soggettive, ossia emozionali che vengono attribuite, e assolutamente o relativamente o per
imputazione convenzionale, a qualsiasi cosa che sia un segno di essa. E così procede il
ragionamento: il segno è così e così; quindi il segno è quella cosa. Questa conclusione riceve,
tuttavia una modificazione dovuta ad altre considerazioni, e così diventa il segno è quasi (è
rappresentativo di) quella cosa” 367
.
Tali considerazioni riecheggiano l‟insoddisfazione che già Peirce aveva manifestato in
merito alla sillogistica tradizionale, poiché il sillogismo deduttivo non sarebbe capace di dar
conto dei ragionamenti matematici fondati su principi di analogia. Qui, a mio avviso,
diventa ancora più forte la convinzione che il nesso tra ipotesi e analogia possa guadagnare
una maggiore plausibilità, poiché se da una parte l‟analogia ancora in questa prima fase
della produzione viene concepita come un argomento capace di combinare i caratteri
dell‟induzione, della deduzione, e dell‟ipotesi, dall‟altra, a quanto afferma Peirce, il livello
base della semiosi e del processo conoscitivo, in senso stretto, è dovuto all‟energia
inferenziale di tipo ipotetico del ground. Si potrebbe dire che la pretesa da parte dell‟ipotesi
di entrare a far parte del processo deduttivo, risulterebbe già giustificato sul piano
analogico. Il punto è che questa pretesa dell‟ipotesi mira in alto poiché vuole a pieno titolo
entrare a far parte del processo deduttivo, non vuole rimanerne estranea. Ora lungo l‟arco
dello sviluppo del pensiero di Peirce si assisterà ad una graduale centralità dell‟ipotesi, sino
a costringere l‟autore a rivedere il ragionamento deduttivo e, sulla base di modelli già
collaudati dalla matematica, dal metodo scientifico, a concepire il ragionamento deduttivo,
come un momento del procedimento razionale, e non come quello più elevato. Allo stesso
modo, a mio avviso, il concetto di analogia, prima sfruttato soltanto come orizzonte a cui
guardare, in direzione di una comprensione più ampia e soprattutto inedita del rapporto tra
367
Ivi, p. 105–106.
232
l‟inferenza ipotetica e quella deduttiva, diventa negli scritti più maturi metodo e verità,
principio e mezzo del procedimento razionale, per altro confermando l‟identità della sua
natura specifica, caratterizzata dalla costituzione nello stesso spazio dell‟individuale e
dell‟universale. Insomma la struttura analogica come l‟ipotesi, penetra,a mio avviso, nel
ragionamento deduttivo caratterizzandolo e addirittura con l‟aiuto delle sue notazioni a
renderlo maggiormente intelligibile, consentendone una perspicua diagrammatizzazione,
operazione essenziale per una comprensione profonda e compiuta. Ma di ciò sarà possibile
fornire elementi più solidi nel Peirce della maturità, perché la tematizzazione di alcuni
concetti, come ad esempio l‟astrazione ipostatica, il ragionamento teorematico, le nuove
acquisizioni in sede logica, potranno forse dimostrare con maggiore evidenza il filo
esistente tra ground ipotesi e analogia ovvero - tenendo presente gli sviluppi della semiotica
e la sua revisione terminologica - tra icona, ipotesi e analogia.
3) La valenza analogica dell’icona
In A New List of Categories Peirce, ancora condizionato dall‟impostazione kantiana, si
prefigge lo scopo di dar conto delle condizioni che rendono possibile l‟unificazione del
molteplice sensibile, ovvero del passaggio dall‟essere alla sostanza. E al fine di operare una
deduzione delle categorie che possono consentire tale passaggio, l‟autore di On A NewList
of Categories elabora un‟attenta analisi dei procedimenti astrattivi che siano idonei all‟effettuazione
di questo arduo compito. A partire da una distinzione netta tra dissociazione e discriminazione,
viene privilegiata l‟astrazione prescittiva, ma quest‟ultima, si rivelerà insufficiente rispetto al
compito affidatole, e sarà necessario supporre l‟introduzione di un‟astrazione di natura
diversa, che nel corso dell‟analisi si identificherà con quel tipo di astrazione, che più tardi
Peirce denominerà astrazione ipostatica, distinguendola nettamente da quella prescittiva.
Quest‟ultima in On A New List of Categories viene definita come quell‟atto in virtù del
quale è possibile operare una separazione tra i diversi attributi di un soggetto concentrando
l‟attenzione soltanto su un elemento e trascurando gli altri.
Ma questa stessa definizione potremmo dire, implica un‟ulteriore procedimento astrattivo
più radicale, che consiste nella facoltà di sostanzializzare gli attributi: ovvero tenere separato un
attributo, una qualità, già a partire da Platone significa essenzialmente concepirla come un
oggetto distinto.
È possibile astrarre da qualcosa, se il qualcosa intanto è stato già posto. Lo spirito, il senso
dell‟astrazione prescittiva è quello di generalizzare, quindi si prescinde da, invece il senso
dell‟astrazione ipostatica è quello di esplicitare il generale per determinarlo e quindi di
pensare il generale secondo determinate coordinate, il senso dell‟astrazione ipostatica è
quello di collocare il generale, di dargli un nome, quindi entrambe pensano il generale, ma
in modo diverso, poiché l‟una parte dall‟insieme delle determinazioni per arrivare alla
comprensione della loro sintesi all‟interno del soggetto, l‟altra parte dal generale per
arrivare attraverso una progressiva determinazione ad un generale individualizzato, ovvero
ad un generale ipostatizzato, e per ciò stesso distinto.
Sebbene questa differenza tra astrazione prescittiva e astrazione ipostatica ancora qui non
emerge chiaramente come negli scritti più maturi, in realtà, come afferma S. Marietti l‟uso
della prescissione nell‟ambito del passaggio dall‟essere alla sostanza in On A New List of
233
Categories trascende le sue reali capacità, e quindi è plausibile pensare che intervenga già
l‟astrazione ipostatica. Infatti Peirce già afferma in Logica Capitolo I:
“Se perciò iniziamo con la nozione di essere e chiediamo cosa esso unisca a ciò che è presente,
otterremo il primo concetto sottostante. Se poi chiediamo cosa questa nozione unisca a ciò che è
presente, avremo il secondo concetto. Possiamo così continuare in questo modo finché alla fine
approderemo al concetto che congiunge direttamente insieme l‟immediatamente presente, in
generale”368
.
In modo abbastanza efficace Peirce fornisce un esempio affermando: “combinare la
molteplicità dell‟immediatamente presente, in generale, richiede l‟introduzione di un
concetto non dato esattamente come la molteplicità dei fenomeni ottici può essere ridotta
all‟armonia solo dal concetto estraneo di etere luminoso”369
.
In On A New List of Categories con un‟impostazione, come sopra veniva affermato,
essenzialmente kantiana, viene ribadito “che gli elementi che vengono unificati non possono
essere supposti senza il concetto, mentre il concetto può generalmente essere pensato senza
tali elementi”370
.
Ora nell‟applicazione di tale principio metodologico al passaggio dall‟essere alla sostanza si
comprende chiaramente come sia necessario istituire un continuo alternarsi di
considerazione del concetto ora in modo mediato, ora in modo immediato per arrivare ad
unificare il molteplice sensibile. Se all‟inizio viene posto l‟essere evidentemente, secondo
Peirce, non è possibile disporre di alcun contenuto, poiché esso indica la pura possibilità e il
suo compito specifico è quello di operare una connessione tra predicato e soggetto e
pertanto diventa essenziale il darsi di un predicato, il quale garantisce la produzione di un
contenuto, coincidendo con il possesso di un carattere ovvero con il ground.
In tal modo viene dedotta la prima categoria intermedia tra l‟essere e la sostanza. Come è
stato già detto, il ground ponendosi come stato relazionale rende possibile la comparazione
e la rappresentazione.
Il darsi di questi gradi intermedi è possibile, perché il ground non è un dato contenuto nelle
impressioni sensibili ma il prodotto di una generalizzazione, ma a sua volta quest‟ultima è
tale perché è un‟astrazione e in virtù di questo il ground si pone come la prima indicazione
originaria dalla quale scaturisce la qualità, oggettivazione del sostrato di discriminazione, di
qualificazione in cui consiste essenzialmente la natura del ground.
Tale oggettivazione diventa a sua volta un concetto immediato se confrontato con un altro
dato, il quale si porrà come la sua traduzione mediata. Quest‟ultima “presa immediatamente”
diventerà mediata attraverso la mediazione rappresentativa che costituirebbe il terzo anello di
questa catena che sta tra l‟essere e la sostanza. Ora questo tipo di deduzione che porterà
successivamente alla produzione delle tricotomie semiotiche più significative lascia
emergere un impianto regolato non soltanto dall‟astrazione prescittiva, ma soprattutto
dall‟astrazione ipostatica371
.
È quest‟ultima che crea il piano su cui poggiano le realtà prodotte dal suo operare, sulla
base delle quali può successivamente agire l‟astrazione prescittiva.
368
Peirce, Logica. Capitolo 1, cit., p. 7. 369
Ibidem. 370
Ivi, p. 18. 371
Qui viene sfruttato un suggerimento fornito dalla convincente e, a mio avviso, fondata analisi di Susanna Marietti del
concetto di astrazione ipostatica. Cfr. S. Marietti, Icona e diagramma, Milano, Led, 2001.
234
Proseguendo nella lettura del testo del 67, come è stato già analizzato precedentemente,
Peirce decreta la nascita della semiotica, poiché le categorie dedotte contengono già una
connotazione segnica, tant‟è che Peirce immediatamente trova abbastanza agevole la loro
traduzione all‟interno di un registro semiotico. Infatti già la qualità in sè sembra custodire
due realtà segniche: quella iconica e quella indicale.
Le relazioni, come sappiamo, risultano caratterizzate dalla somiglianza, dalla indicalità e
dalla simbolicità, poiché la relazione interna è essenzialmente esplicata da una somiglianza
iconica, è l‟essere simile a qualcos‟altro a qualificarsi come elemento caratterizzante della
relazione, nel secondo caso la relazione si consuma su un piano esterno, la connessione tra
relato e correlato è effettiva, è data.
Nel terzo caso la relazione rinvia necessariamente ad una dimensione interpretativa, poiché
essa è resa possibile da un carattere imputato372
.
Da questa tricotomia traspare già un‟altra triade che, sul piano categoriale, conferma il
valore ontologico di questa prospettiva semiotica, così configuratasi all‟interno del testo del
„67, poiché in seguito ai cambiamenti maturati in sede logica, le categorie si affrancano da
ogni ancoraggio ad una visione di tipo corrispondentistico, che vedrebbe ancora come
separati sostanza ed essere, soggetto e predicato, proponendosi come Primità, Secondità e
Terzità.
La Firstness invera il carattere fondativo del ground, poiché come si diceva prima, libera da
qualsiasi visione dualistica che vedrebbe il molteplice e il concetto fronteggiarsi, esprime la
possibilità originaria, già propria del ground, che a sua volta necessita della Secondità
perché venga determinata e diventi oggetto di conoscenza compiuta mediata dalla Terzità.
Quindi anche sul versante categoriale il ground conferma la sua facoltà originaria di costruire
un luogo al generale, nella misura in cui quest‟ultimo viene ipostatizzato, abilitandolo così ad
una conoscenza mediata, indispensabile a che il “generale individualizzato” possa essere
legittimato dalla Terzità.
Rispetto, pura possibilità logica non sono ancora la terzità, piuttosto rappresentano i luoghi
possibili in cui, secondo un rapporto di circolarità, si istituiscono possibili relazioni, che per
essere riconosciute come tali, devono essere mediate dalla Terzità.
In On A New List of Categories l‟uso dell‟astrazione ipostatica, sebbene ancora confuso con
quello dell‟astrazione prescittiva, in ambito categoriale e semiotico e il riferimento alla
matematica come luogo proprio di questa operazione astraente, saranno non soltanto
confermati dal Peirce della maturità ma sviluppati in modo straordinario. Tant‟è che sarà
possibile, nonostante il numero sterminato delle carte peirceane, apparentemente disorganiche,
se pur non di rado criptiche, mantenere un rapporto stretto, costante, nonché progressivamente
arricchentesi, perché profondamente permeabili, tra gli universi semiotico, logico e matematico.
372
Dalla tripartizione semiotica Peirce deduce la classificazione degli argomenti logici: “Mostrerò ora in che modo i tre
concetti di riferimento ad un ground, ad un oggetto e ad un‟interpretante rappresentino gli elementi fondamentali di
almeno una scienza universale, quella logica. Si dice che la logica si occupi delle seconde intenzioni in quanto applicata
alle prime […]. Ora, le seconde intenzioni sono gli oggetti dell‟intelletto considerati come rappresentazioni, mentre le
prime intenzioni, alle quali esse si applicano, sono gli oggetti di queste rappresentazioni stesse [...]. Ma le regole della
logica valgono per ogni simbolo [...]. Esse non hanno alcuna applicazione immediata alle somiglianze o agli indici -
perché nessun argomento può essere costruito con questi segni soltanto – ma si applicano invece a tutti i simboli […].
Si può però tracciare una distinzione tra concetti che si ritiene non abbiano alcuna esistenza se non in quanto
attualmente presenti all‟intelletto e simboli esterni che mantengono comunque il loro carattere simbolico, purché siano
anche solo suscettibili di essere compresi. E dato che le regole della logica si applicano sia a questi ultimi che ai primi
(anche se solo attraverso i primi, e tuttavia questo carattere, appartenendo ad ogni evento, non si presenta come un
limite) ne deriva che la logica ha come oggetto specifico d‟indagine tutti i simboli e non solo i concetti”.
Peirce, Un nuovo elenco di categorie, cit. pag. 24.
235
Lo scritto Le categorie (Ms 403) si rivela uno scritto, a mio avviso, assai significativo, poiché
qui Peirce ritornerà a parlare di astrazione, dopo la svolta operata in ambito logico e
categoriale e quindi attesta una continuità tra la produzione giovanile e poi quella matura,
fornendo uno sguardo di insieme a quello che essenzialmente si impone come la direzione
fondamentale del pensiero peirceano. Riproponendo la stessa impostazione373
di On A New
List of Categories, Peirce, dopo aver valutato i vari tipi di astrazione al fine di dare
soluzione al problema medesimo con cui si apriva il testo On A New List of Categories
ovvero l‟unificazione del molteplice attraverso il passaggio dall‟essere alla sostanza, si
sofferma sul concetto di qualità, ribadendo che essa non è data, bensì, quasi parafrasando
Platone374
, afferma: “questo concetto […] è considerato avere una sorta di essere ideale
indipendente dal proprio essere realizzato in quella cosa particolare”375
.
Una condizione imprescindibile per far filtrare dalla realtà la sua struttura relazionale, è
quella secondo Peirce, di sostanzializzare le idee, in questo caso, la qualità,poiché si pone
un “oggetto distinto” e così si rende discreto quel continuum tra pensiero e realtà, che
altrimenti rimarrebbe inattingibile. Conferire realtà alle idee significa poter pensare in modo
compiuto, poiché si procede attraverso elementi discreti, che si rivelano atti o veicolate le
determinatezze di quell‟universale che non può risultare cosi mai separato da queste
ultime.Valorizzare le astrazioni significa supporre che l‟unico modo in cui è possibile
conoscere le cose è quello di pensarle, in caso contrario, afferma Peirce:
“i pensieri possono essere simili alle cose. Ma i pensieri non possono assomigliare a cose non
pensate: un vero pensiero è un pensiero che risponde all‟evento naturale e che conduce a risultati
del tutto in armonia con la natura. Nella perfetta convenienza dell‟espressione sta tutta la verità
concepibile. Non potete pensare che un pensiero sia simile a qualcosa di non pensato. La
somiglianza è pensiero”376
.
In queste parole vengono condensate, a conferma della possibilità di rintracciare sempre un
sentiero guida, pur negli infiniti meandri, in cui non di rado, sembra disperdersi il detto
peirceano, i nuclei concettuali fondamentali della impalcatura peirceana: la negazione di una
visione dualistica che destinerebbe l‟oggetto e il pensiero ad una perenne divaricazione,
l‟idea di un pensiero possibile soltanto attraverso un processo non intuitivo ma inferenziale,
nonché l‟inconcepibilità dell‟inconoscibile. Quindi la riflessione sull‟astrazione ipostatica
risulta da una parte adeguatamente innestata su quel terreno fertile, già predisposto a partire
da On A New List of Categories e dai saggi del 68, e dall‟altra pronta per effettuare quel
balzo in avanti che tutta la riflessione peirceana ha già iniziato a fare.
Peirce non soltanto, qui forse in modo più efficace, sottolinea la necessità di oggettivare le
idee ma, immediatamente prima di esprimere queste considerazioni, avverte l‟esigenza di
distinguere la prescissione da questa facoltà con la quale è possibile ipostatizzare i
contenuti, siano essi categoriali semiotici, nonché logici. “Quando una qualità è considerata
come un oggetto distinto, si dice che viene considerata astrattamente: è definita infatti
astrazione e i nomi formati da aggettivi, espressioni di tali astrazioni, sono chiamati nomi
373
Nel testo l‟uso dei termini essere e sostanza, sebbene potrebbe far pensare ad un‟assenza di novità in merito al piano
categoriale, in realtà convive già con i concetti più fecondi del Peirce della maturità come la polivalenza dell‟astrazione
ipostatica e il carattere teoretico del pensiero diagrammatico. 374
Qui Peirce sembra evocare alcune insistenze argomentative platoniche a proposito della necessità di tenere separata
l‟idea al fine di porla come principio di interpretazione della realtà. Già da Platone è considerata un‟esigenza più che
legittima, concepire l‟idea come “un oggetto distinto”, poichè l‟idea oggettivata diventa l‟unico spartito in cui è
possibile leggere le relazioni intrinseche alla realtà.
60 Peirce, Le Categorie, cit., p. 44-45. 61
Ivi, p. 43.
236
astratti. È un errore grossolano confondere in logica l‟astrazione intesa in questo senso con
l‟operazione di prescissione o separazione sul piano della supposizione377
.
Il riconoscimento di un‟astrazione diversa da quella prescittiva consente a Peirce, come era
già accaduto in On A New List of Categories, di ribadire anche in questo testo che
l‟esercizio di quest‟astrazione è pienamente realizzato nell‟universo matematico.
È qui che è possibile, seconda la filosofia matematica di Peirce, ipostatizzare universali,
poiché l‟universo matematico, svincolato dai gravami del referente, dell‟oggetto dinamico,
può conferire realtà ad ipotesi, quindi relazioni che, se fruttuosamente elaborate,
consentono, attraverso un procedimento deduttivo di conquistare conclusioni non soltanto
analitiche, ma soprattutto sintetiche378
.
L‟innesto dell‟osservazione ipostatica sul piano matematico permette di arrivare alla
tematizzazione del ragionamento teorematico, indispensabile alla comprensione del valore
teoretico del pensiero diagrammatico, prospettiva centrale negli scritti della maturità.
Nell‟universo della matematica, pensato da Peirce come uno spazio assolutamente puro,
l‟astrazione ipostatica può creare una realtà oggettiva, assolutamente irrelata, poiché ciò che
caratterizza per antonomasia il piano matematico è quello di ricercare, esplorare le infinite
possibilità che possono essere oggetto di pensiero, e il mondo reale è uno tra le svariate
prospettive pensabili. Asserita l‟assoluta purezza del mondo matematico si potrebbe pensare
che le conoscenze prodotte siano essenzialmente di natura analitica, ma è noto,secondo la
prospettiva peirceana, che i ragionamenti matematici producono anche contenuti sintetici.
Ciò che può dar conto di questa formidabile doppia valenza del pensiero matematico, è
secondo Peirce, il concetto di teorematicità: quest‟ultimo, sebbene trovi sicuramente la sua
piena realizzazione nell‟universo matematico, rivela la sua fecondità e la sua paradigmaticità,
poiché esplicativo della realizzazione di incrementi conoscitivi in ogni forma di sapere
disciplinare. Demolendo un‟idea legittimata da una tradizione millenaria Peirce afferma che
la deduzione non deve essere considerata quasi come un procedimento meccanico, poiché
non è affatto vero che si tratta soltanto di esplicitare quanto è contenuto nelle premesse di un
argomento deduttivo, poiché la conclusione dispone di contenuti nuovi rispetto a quelli
presenti nelle premesse. Ed evidentemente in base a queste affermazioni Peirce sostiene che
quindi la famosa distinzione tra giudizi analitici e sintetici non trova la sua ragion d‟essere,
così come pure l‟idea kantiana, “[…]All reasoning is reasoning in Barbara, that that
inference itself is discovered by the microscope of relatives to be resolvable into more than
half a dozen distinct steps”379
.
Ma cos‟è ciò che permette di transitare dalle premesse alla conclusione producendo,
scoprendo relazioni inedite? È l‟inserimento di un elemento estraneo, è la costruzione di
qualcosa che si aggiunge rispetto alle premesse che consente di far procedere il
ragionamento sino alla conclusione: esso coinciderebbe con quelle ipotesi che il geometra
inserisce tra le premesse, la tesi della dimostrazione e la conclusione. Le ipotesi devono
trasformarsi attraverso vere e proprie operazioni, come quelle effettuate da un geometra nel
momento in cui modifica una figura geometrica, prolungandone i lati o altro che conduca
effettivamente ad una vera e propria manipolazione.
377
Ibidem. 378
Per un‟approfondita analisi della filosofia matematica di Peirce cfr., Marietti, Icona e Diagramma LED, Milano,
2001. 379
CP 3.641.
237
Ora sono queste operazioni che insieme alla tesi costituiscono il corpo centrale della
dimostrazione. È opportuno precisare che questa idea estranea, una volta realizzato il
compito di dare vita ad una struttura argomentativa tra la tesi e la conclusione, scompare. “How it can be that, although the reasoning is based upon the study of an individual schema, it is
nevertheless necessary, that is, applicable, to all possible cases, is one of the questions we shall have
to consider [….] Thinking in general terms is not enough . It is necessary that something should be
done. In geometry, subsidiary lines are drawn. In algebra permissibile transformations are made.
Theuropon, the faculty of observation is called into play. Some relation between the parts of the
schema is remarked [….] May be necessary to draw distinct schemata to represent alternative
possibilities. Theorematic reasoning invariably depends upon experimentation with individual
schemata”380
.
Contrariamente al ragionamento corollariale, come è stato altrove, in cui il procedimento è
caratterizzato soltanto da un metodo analitico, poiché è vincolato ad esprimere quanto è
contenuto nelle premesse, il ragionamento teorematico prevede dei passaggi argomentativi
che non sono assolutamente ricavabili dalle premesse, ciò significa che la deduzione di fatto
per svilupparsi necessita della creazione di idee assolutamente nuove, che aiutino a far
procedere la catena deduttiva al fine di arrivare alla conclusione, ma queste idee sono
prodotto di un‟inferenza di tipo abduttivo.
E qui potremmo dire che, il risultato a cui perviene Peirce in On the Natural Classification
of Arguments, in cui, come si è avuto modo di constatare, viene posta la correlazione tra
l‟ipotesi, l‟induzione e le figure indirette del sillogismo, viene inverato e straordinariamente
sviluppato, poiché il concetto di teorematicità riassume tutte le indicazioni provenienti dagli
scritti giovanili e le giustifica all‟interno di un ragionamento, che sancisce la contaminazione di
contenuti analitici e sintetici. Qui in modo chiaro inferenze deduttive e abduttive intrecciano
le loro catene argomentative, ponendo in evidenza il fatto che addirittura sono
complementari e non pensabili separatamente. È come se si assistesse lungo il corso della
produzione peirceana ad un progressivo spostamento in direzione di un‟idea che intende
concepire il ragionamento come una struttura stratificata, al cui interno comunque gli strati
si sovrappongono l‟un l‟altro configurando un continuum, ovvero una struttura unitaria.
Insomma nel pensiero peirceano le partizioni tradizionali tra deduzione e ipotesi si risolvono
in una dimensione unitaria, d‟altra parte, secondo la prospettiva peirceana conoscere
significa cercare uno spazio, una discontinuità per sperimentare il tipo di fisionomia assunta
dall‟idea sostanzializzata; qui è evidente la forza straordinaria di esplicazione dell‟astrazione
ipostatica. Sono necessari tratti determinati, costruzioni ausiliarie perché sia possibile capire
la struttura dell‟universale, che si raggiungerà nella conclusione di ogni percorso
dimostrativo. Non è possibile dar conto di questo tipo di operazione se non per virtù di
un‟inferenza ipotetica che procede dal conseguente verso l‟antecedente; se da una parte
dalla tesi si procede verso la conclusione, dall‟altra si compie il percorso inverso, i contenuti
presenti nella tesi possono essere considerati i conseguenti di possibili antecedenti. E quindi
in questo senso dalla tesi, dal conseguente è necessario spostarsi per reperire con un atto
assolutamente creativo il suo possibile antecedente, reiterando queste operazioni si ritorna
con attrezzi nuovi per gestire e condurre la catena deduttiva sino alla sua conclusione.
D‟altra parte è l‟ipotesi che ha la facoltà di spiegare – proprio in questi termini si esprimerà
Peirce nel testo del „78 Deduzione, Induzione, Ipotesi – ma l‟esercizio di questa facoltà è
reso possibile da un tratto materiale, capace di visualizzare le possibili connessioni
immaginate.
380
CP 4.233.
238
L‟ipotesi deve fornire il piedistallo su cui poggiare qualcosa, che proprio in virtù di questo
sarà dotato di una vita propria e ciò le consentirà di dispiegarsi, al fine di consegnare nuove
strategie, indispensabili affinchè il percorso deduttivo compia il suo viaggio sino alla meta,
impossibile da raggiungere con l‟unico bagaglio offerto dalla tesi.
L‟analisi del ragionamento teorematico segna in modo deciso il ruolo fondamentale assolto
dalla costruzione individuale e dalla manipolazione che è necessario esercitare su di essa.
Queste due necessità esibite dal ragionamento teorematico sono quelle che permettono di
arrivare all‟acquisizione di una prospettiva di pensiero che caratterizza sicuramente in modo
specifico la produzione matura del Peirce, sebbene come si è cercato di evidenziare, sia già
preannunciata negli scritti giovanili. Tale prospettiva, essenzialmente rappresentata dal
pensiero diagrammatico, è il frutto consapevole, potremmo dire, della necessità di
stratificare il pensiero al fine di comprendere quelle relazioni che strutturano il reale. Posto
che già da sempre il reale sta dentro la catena del pensiero, quest‟ultimo per comprendere le
ragioni del reale deve creare distanze, livelli, strati tra i quali riconoscere relazioni. Ma
quest‟operazione è spesso complicata dalle quantità degli strati e allora se non si
costruiscono dei tratti materiali al cui interno possono risultare sostanzializzate le relazioni
scoperte, il pensiero stesso implode. Esso al contrario può dispiegarsi se gerarchizza le
diverse operazioni di sostanzializzazione. Ma questa operazione non è analitica bensì
sintetica, poiché non è un‟operazione di “sussunzione”, bensì di “costruzione”.
Infatti Peirce affermava: “L‟intero processo di sviluppo nella comunità degli studiosi di quelle formulazioni di verità,
ottenute attraverso l‟osservazione astrattiva e il ragionamento, che devono essere valide per tutti i
segni usati da una intelligenza scientifica, è una scienza basata sull‟osservazione.
Come tale essa è simile a ogni altra scienza positiva, nonostante il forte contrasto con tutte le
scienze specifiche, che sorge dalla sua aspirazione a scoprire che cosa dev‟essere e non meramente
che cosa è nel mondo effettivo”381
.
Il pensiero diagrammatico permette più chiaramente di osservare i diversi piani in cui si
disloca il pensiero peirceano. Esso diventa, potremmo dire, una nuova rappresentazione del
pensiero dell‟autore, poiché in esso è come se si potessero abbracciare con un solo sguardo
le diverse declinazioni della riflessione peirceana, ora categoriale, logico/matematico,
nonché semiotico.
Ma essenzialmente ciò che balza in modo evidente è che il concetto dentro il quale si
condensano tutti gli esiti profondamente innovativi è proprio il concetto di icona. Essa
attraversa tutte le fruttuose produzioni peirceane, realizzando anche nei confronti del
pensiero prodotto dall‟autore, un‟operazione di ipostatizzazione, costituendo quasi una
cornice al cui interno vengono contratti tutti i momenti significativi della riflessione
peirceana.
Gli scritti a cui si farà riferimento successivamente sono la testimonianza della profonda
connessione tra mondo logico e mondo semiotico, poiché in modo sincronico i due ambiti si
scambiano risultati mostrando la loro equivalenza. Tale insistenza sulla loro intercambiabilità
incoraggia l‟idea che esiste un nesso profondo tra ipotesi (più tardi denominata
abduzione/retroduzione) icona e analogia.
La critica degli argomenti è un testo in cui la riflessione prettamente logica e quella sul
pensiero diagrammatico lasciano emergere un rapporto molto stretto, poiché qui si ritrovano
uniti gli esiti di due riflessioni che compendiano il Peirce della maturità: Peirce nel
381
Peirce, Opere, cit. p.147.
239
riesaminare i principi della logica tradizionale arriverà alla conclusione che non il principio
di identità, il principio di non – contraddizione, il principio del 3 escluso sono originari,
bensì la relazione transitiva. “Non esiste che un modo del sillogismo universale affermativo. Esso è detto Barbara e si svolge nel
modo seguente:
Ogni M è P
Ogni S è M
Ogni S è P
Il problema è ora quello di determinare qual è tra le proprietà della relazione tra soggetto e
predicato la sola che, se eliminata, comporta invariabilmente l‟impossibilità, per la precedente
forma di inferenza, di trarre una conclusione vera da premesse vere. Per scoprirla, il modo naturale
consiste nel distruggere tutte le proprietà della relazione in questione, in modo da trasformarla in
una relazione del tutto differente e di osservare a questo punto qual è la condizione che tale
relazione deve soddisfare al fine di rendere valida l‟inferenza. Ponendo AMA al posto di è,
abbiamo:
M ama P
S ama M
S ama P
Affinché quanto sopra sia universalmente vero, è necessario che ogni amante ami tutto ciò che il
suo amato ama. Una relazione per la quale ciò è vero è detta una relazione transitiva.
Per conseguenza le condizioni della validità di Barbara è che la relazione espressa dalla copula sia
una relazione transitiva. Tale affermazione è sostanzialmente in accordo con la dottrina di
Aristotele.
L‟analogo del principio d‟identità quando la copula della proposizione è ama è il fatto che ognuno
ami se stesso. Ciò ovviamente non basta di per sé a rendere valida la forma inferenziale; né la sua
falsità potrebbe impedire a quella forma di essere valida; purché amare sia un verbo transitivo. Così
mediante un limitato impiego di pensiero esatto, il principio d‟identità si è rivelato chiaramente
come non necessario nè sufficiente per la verità di Barbara”382
.
Peirce ritiene che cosi come il principio d‟identità non è il principio esplicativo dei
sillogismi affermativi, allo stesso modo il principio di non contraddizione e del terzo escluso
non lo sono per i sillogismi negativi.
Infatti se si prende in considerazione un sillogismo universale negativo, CESARE, Peirce
mostra come di fatto anche in questo caso a qualificarsi come originaria è la relazione
transitiva e non il principio di non contraddizione.
E infatti, afferma Peirce, se nel seguente sillogismo
ogni M è non P
ogni S è P
ogni S è non M
si introduce un contenuto nuovo, inserendo al posto della copula il verbo combattere, il
sillogismo si presenterà nella seguente forma:
382
Peirce, La critica degli argomenti, cit. p. 690.
240
Ogni M combatte ogni P
Ogni S è P
.‟. Ogni S combatte ogni M
Se osserviamo adeguatamente la nuova formulazione del sillogismo possiamo inferire che la
proposizione ogni M combatte ogni P equivale alla sua conversa e cioè ognuno combatte
chiunque lo combatte, ma quest‟ultima a sua volta equivale al principio di contraddizione e
cioè è impossibile che ognuno combatte chiunque non lo combatte.
Quindi non risulta originario il principio di non contraddizione, piuttosto la condizione che
rende valido il sillogismo è che “la relazione espressa da combattere possa essere il proprio
converso”383
, cioè la relazione transitiva, che è la relazione originaria, e che può essere
espressa all‟interno di una conversa.
A questo punto può essere utile ricordare che la regola d‟inferenza della conversione, come
è stato già mostrato in On the Natural Classification of arguments, è dimostrabile all‟interno
della seconda figura e che quest‟ultima è assimilabile all‟inferenza ipotetica.
Ciò significa che in linea con gli scritti giovanili viene ribadito che sia nel caso dei
procedimenti di trasformazione, ovvero casi in cui si ricorre mediante operazioni formali,
come conversione e contrapposizione alla riduzione delle figure indirette, sia nel caso in cui
si introducono contenuti nuovi, come ora si è constatato, si producono passaggi sintetici. E
ciò forse ci aiuta a comprendere come lo spazio della deduzione non sia interamente
occupato da essa, piuttosto in essa potremmo dire troviamo anche altre inferenze, come
quella ipotetica e induttiva.
A tal proposito può essere importante ricordare che Peirce in On the Natural Classification
of arguments sottolineava che le regole d‟inferenza cosìddette immediate come la
conversione potevano essere dedotte all‟interno della seconda e terza figura, nonché della
quarta figura, rappresentata dall‟analogia.
E allora ciò che si vuole dire, in base alle argomentazioni precedenti, è che l‟ipotesi e
l‟analogia si ritrovano fortemente accomunate dalla capacità di divenire luoghi in cui trova
espressione la relazione transitiva, unica relazione riconosciuta da Peirce come realmente
fondativa. Ma l‟ipotesi e l‟analogia esibiscono il loro volto, sono più facilmente
rintracciabili e identificabili nella discontinuità del tratto iconico, ovvero nella loro
traduzione diagrammatica. Insomma sotto angolazioni diverse ipotesi, analogia e icona
esprimono quella che in ambito strettamente logico Peirce denomina relazione transitiva, e
quest‟ultima sul piano logico, traduce il punto di vista base della prospettiva semiotica
peirceana, che essenzialmente si riassume nell‟idea che, lungi da una visione
corrispondentistica della realtà, il problema di significare il reale non sta nel cercare di
rispecchiare qualcosa, semmai, in considerazione del continuum che struttura il pensiero e il
reale, nella possibilità di transitare dall‟uno all‟altro.
E così come il pensiero sembra sempre altro rispetto a ciò che è contenuto all‟interno di un
tratto segnico, allo stesso modo la realtà rappresentata sembra rinviare ad altro, a quell‟Uno,
peraltro “inconcepibile” e quindi impossibile da catturare dentro la rete della
rappresentazione.
La condizione, piuttosto, in virtù della quale la realtà somiglia al pensiero e il pensiero alla
cosa, il piano in cui si può impiantare la conoscenza consiste in questa trama fitta di rapporti
tra analogie e ipotesi, nonché della loro espressione iconica.
383
Ivi, p.692
241
In base ai passaggi logici effettuati nel testo preso in esame, dunque la copula piuttosto che
sussumere deve far transitare, ovvero deve rendere possibili relazioni di vario genere, non
più vincolate a relazioni di similarità. Il punto di riferimento diventa la relazione che non
nomina più la classe bensì un sistema in cui in virtù dell‟assolutizzazione della transitività, è
possibile connettere gli oggetti in diverso modo. Ma tali considerazioni sono assolutamente
in linea con quella facoltà straordinaria, rappresentata dall‟astrazione ipostatica che
provvede a creare ens rationis, perché sia possibile la deduzione delle categorie, la struttura
segnica fondamentale nella sua scansione iconica, indicale, simbolica, nonché il concetto di
teorematicità che, svincolato dal contesto matematico esplica la sua efficacia metodica
anche nell‟ambito delle scienze empiriche. E proprio in virtù di questa universalità
attribuibile al ragionamento teorematico è possibile, forse, trarre fuori da esso due elementi
caratterizzanti: la necessità di introdurre un‟idea estranea nel ragionamento deduttivo e la
necessità di offrire uno spazio determinato, ovvero un tratto iconico, passibile di
osservazione e manipolazione. Espugnata la resistenza opposta dai principi della logica
tradizionale, intesi secondo una certa lettura, principi originari, sono necessarie nuove
architetture concettuali per decodificare le possibili emergenze relazionali. Il lavoro di
„speleologia‟ condotto all‟interno della logica classica e i risultati ai quali approda
obbligano il filosofo americano a sviluppare e scoprire nuove leve di comando all‟interno
del ragionamento, così come nel caso del ragionamento teorematico, e a scoprire nuove
notazioni.
Insomma risulta chiara la necessità del pensiero diagrammatico proprio in considerazione
degli esiti raggiunti in sede logica e in quella matematica, soprattutto comunque emerge il
valore fondativo del pensiero diagrammatico, poiché, esso indipendentemente dagli
involucri disciplinari, siano essi logici, matematici, semiotici o quelli propri delle scienze
empiriche, diventa un passaggio obbligato per potere esplicare il reale. Le parole di Peirce
incoraggiano a dirigerci in questa direzione, poiché sottolineano la radicalità dell‟azione
diagrammatica: “Consideriamo un qualunque argomento sulla cui validità un individuo possa legittimamente avere
un temporaneo dubbio. Per esempio, prendiamo la premessa che dice che da una e dall‟altra di due
province di un certo regno è possibile raggiungere qualsiasi provincia navigando lungo il corso
dell‟unico fiume del regno che attraversa tutto il regno e compiendo un viaggio entro i confini di
una provincia; e la conclusione sia che il fiume, dopo aver toccato tutte le provincie del regno, deve
toccare ancora la prima per cui è passato. Ora, al fine di mostrare che tale inferenza è (o non è)
assolutamente necessaria, si chiede di fare qualcosa di simile ad un diagramma con differenti serie
di parti, dove le parti di ciascuna serie siano palesemente in relazione come lo sono le province,
mentre nelle differenti serie qualcosa che corrisponde al corso del fiume presenta tutte le possibili
variazioni essenziali; tale diagramma deve essere congegnato in modo tale che si possa
agevolmente esaminarlo e che sia facile scoprire se il corso del fiume in verità sia in ogni caso
quello che deve venire qui inferito. Tale diagramma può essere destinato alla vista o all‟udito; in un
caso le parti si presentano nel tempo, nell‟altro caso nello spazio. Al fine di potere riprodurre
completamente le condizioni dell‟argomento in esame, sarà necessario servirsi di segni o simboli
ripetuti in diversi punti e in diverse combinazioni; inoltre questi segni devono essere soggetti a certe
regole, vale a dire a certe relazioni generali cui la mente li associa. Tale metodo di formazione di un
diagramma è detto algebra. Ogni discorso non è che un‟algebra, dove i segni ripetuti sono le parole,
che hanno delle relazioni in virtù di significati associati ad esse”384
.
384
Ivi, p. 695.
242
Proprio in questo punto in cui in modo netto la riflessione peirceana sbocca nell‟oceano
della semiosi, ormai pienamente fondata dal piano matematico/logico, è possibile con un
solo sguardo abbracciare la valenza triadica del concetto di icona: la sua dimensione
ipotetica, la sua versione grafica e la sua possibile traduzione analogica.
Negli scritti On the Algebra of logic: A contribution to the Philosophy of Notation 1885,
One, Two, Three 1886, Uno, Due, Tre categorie fondamentali del pensiero e della natura
1885 e in altri scritti relativi allo stesso periodo troviamo un nuovo assetto categoriale, oltre
che le nuove acquisizioni maturate in sede logica, delle quali La Critica degli argomenti
1892 fornisce un efficace esemplificazione.
Proprio in questo innesto tra versante logico, semiotico e categoriale diventa a mio avviso
evidente il rapporto tra icona e analogia, nella misura in cui, per il modo in cui ne parla
Peirce, l‟icona sembra riprodurre nel suo microcosmo l‟articolazione propria della seconda.
Intanto è utile partire dal modo in cui viene presentato il concetto di icona e la sua funzione
nell‟ambito del processo di apprendimento. “ No quality or character of any kind can be conveyed or made known except by means of an icon
[….] If a person did not know what it was for two objects to be connected together, how could it
possibly be explained to him, except by an example? The analysis of a complex character may be
represented by means of tokens, but how the elements will appear when they are put together,
only an icon can show”385
.
In tal modo la consapevolezza dell‟imprenscindibilità del carattere iconico verrà ribadita in
uno dei passaggi più noti della concezione semiotica peirceana: “l‟unico modo di comunicare direttamente un‟idea è per mezzo di un‟icona; e ogni metodo indiretto
di comunicare un‟idea deve dipendere per la sua istituzione dall‟uso di un‟icona. Quindi ogni
asserzione deve contenere un‟icona o un insieme di icone o altrimenti deve contenere segni il cui
significato è spiegabile per mezzo di icone. L‟idea significata dall‟insieme di icone (o
dall‟equivalente di un insieme di icone) contenute in un‟asserzione può essere detta il predicato
dell‟asserzione”386
.
La sequenza di queste affermazioni, rafforza la convinzione, se pur intervallata da un
decennio - ma forse proprio in questo caso la distanza temporale diventa significativa - che
la riflessione sul concetto di teorematicità acquista uno statuto universale. L‟idea che
bisogna mettere in forma iconica qualcosa perché quest‟ultima possa essere successivamente
asserita, oltre ad acquistare evidenza nell‟ambito della riflessione matematica di Peirce,
assume connotazioni ora logiche, ora semiotiche.
Subito dopo così Peirce si esprime in merito alla nozione di digramma: “Ogni dipinto (per quanto il suo metodo possa essere convenzionale) è essenzialmente una
rappresentazione di questo tipo. E tali sono anche tutti i diagrammi, anche se fra diagramma e
oggetto non vi sia nessuna rassomiglianza sensoriale, ma solo un‟analogia fra le relazioni delle loro
parti. Così una formula algebrica è un‟icona. Chiamare un‟espressione algebrica icona può
sembrare a prima vista una classificazione arbitraria; perché potrebbe altrettanto bene o ancora
385
W5:380. A questo proposito è utile tenere presente la seguente definizione di icona: “Un‟icona è un segno che si
riferisce all‟oggetto che essa denota semplicemente in virtù dei caratteri suoi propri, e che essa possiede nello stesso
identico modo sia che un tale oggetto esista effettivamente, sia che non esista. È vero che, a meno che sia realmente un
oggetto, l‟icona non agisce come segno; ma questo non ha nulla a che fare con il suo carattere di segno. Una cosa
qualsiasi, sia essa qualità o individuo esistente o legge è un‟icona di qualcosa, nella misura in cui è simile a quella cosa
ed è usata come segno di essa”. Peirce, Nomenclature and Division,cit. p. 153. 386
Peirce, That Categorial and Hypotetical Propositions, cit. pag 165. A tal proposito può essere utile riportare un
esempio proposto da M. Bonfantini: “Si pensi ad esempio, di dovere spiegare che cos‟è un aeroplano a un indigeno
delle foreste brasiliane che non ne abbia mai avuto esperienza: gli si dovrà dire che l‟aeroplano è (come) un uccello
metallico. Facendo appello a elementi iconico–percettivi.
243
meglio essere considerata come un segno convenzionale composto. Ma non è così: perché una
proprietà altamente distintiva dell‟icona è che attraverso osservazione diretta di essa si possono
scoprire riguardo al suo oggetto verità nuove oltre a quelle che sono sufficienti a determinare la
costruzione dell‟icona stessa. Dato un segno convenzionale o comunque generale di un oggetto, per
dedurre qualsiasi nuova verità oltre a quanto esso significa esplicitamente, è necessario, in tutti i
casi, sostituire a questo segno un‟icona. Questa capacità di rivelare verità inaspettate è proprio
quella in cui consiste l‟utilità delle formule algebriche, cosicché in esse il carattere iconico è quello
prevalente”387
.
In questa che è ormai l‟espressione matura della semiotica peirceana si avverte la profonda
rilevanza del concetto di icona e soprattutto il suo carattere ontologico che, a mio avviso,
l‟abilita a dar conto essenzialmente di una dimensione ipotetica e a divenire espressione
dell‟analogia.
L‟icona così configurata mette in mostra l‟ipotesi in essa contenuta rivelandone la trama,
che è essenzialmente una tessitura di rapporti analoghi: l‟icona essenzialmente mette in
forma una possibilità, essenzialmente quindi un‟ipotesi.
Ma l‟ipotesi esprime la necessità di una connessione tra un conseguente e un‟antecedente
che ancora non esiste, che non è stato dedotta.
E allora prima di raggiungere l‟antecedente, che permetterà all‟ipotesi di verificare la
correttezza del suo contenuto, lungo il tragitto di ricerca dell‟ipotesi si esplicano rapporti,
connessioni, che essenzialmente risultano di matrice analogica.
Ad esempio, afferma Peirce, “quando in algebra scriviamo equazioni l‟una sotto l‟altra in colonna, soprattutto quando poniamo
l‟una sotto l‟altra lettere somiglianti per coefficienti corrispondenti, la colonna formata è un‟icona.
Ecco un esempio:
a1 x + b1y y=n1
a2 x + b2y y=n2
Questa è un‟icona, in quanto fa apparire simili delle quantità, che sono in rapporti analoghi con il
problema”388
.
Dunque la relazione transitiva, come esito di una certa lettura della sillogistica tradizionale,
sembra trovare corrispondenza nella concezione di un‟icona, che è tale perché consente
all‟universale di assumere una possibile determinazione costringendolo a lasciarsi
contemplare all‟interno di un tratto segnico, determinato, concreto. E proprio all‟interno di
queste pareti create dall‟icona è possibile dar conto di rapporti ascrivibili ad una dimensione
di tipo analogico.
A mio avviso può essere significativo che in On the Algebra of logic, un testo di logica
matematica che apparve nel 1885 in “The America Journal of mathematics”, incentrato
sull‟elaborazione di un sistema di notazione algebrico, in grado di esplicare il ragionamento
deduttivo, Peirce affermi con decisione che, oltre ai simboli e agli indici che servono
rispettivamente per identificare i caratteri generali degli enunciati e i soggetti delle singole
proposizioni, diventano fondamentali le forme iconiche, poiché soltanto esse sono in grado
di mostrare le relazioni intrinseche alla struttura deduttiva.
La parte iniziale di questo saggio in modo chiaro riunisce riflessioni semiotiche, e logico-
matematiche e, al tempo stesso, forse autorizza, in considerazione della prospettiva logica
387
Ivi, p.166. 388
Peirce, Of Reasoning, cit., p.167.
244
peirceana - una prospettiva fortemente ancorata ad esigenze di tipo fondazionale – a vedere
nell‟icona, la concretizzazione di un rapporto analogico. A tal riguardo chiare, a mio avviso,
si presentano le affermazioni peirceane.
“Per lungo tempo è stato considerato enigmatico il fatto che, la matematica da un lato sia di
natura prevalentemente deduttiva e tragga le sue conclusioni in modo apodittico e, dall‟altro
lato presenti una serie assai ricca e apparentemente senza fine di scoperte sorprendenti come
ogni scienza di osservazione. Molteplici tentativi sono stati compiuti per sciogliere il
paradosso facendo cadere ora l‟una ora l‟altra delle precedenti affermazioni, e però senza
alcun successo. La verità, tuttavia, sembra essere questa: “tutto il ragionamento deduttivo, anche il semplice sillogismo, comporta un elemento osservazionale,
vale a dire la deduzione consiste appunto nel costruire una icona o diagramma le cui parti presentano
relazioni aventi una totale analogia con quelle delle parti dell‟oggetto del ragionamento, nello
sperimentare sopra questa rappresentazione nella immaginazione e nell‟osservare il risultato in modo da
scoprire relazioni occulte e non avvertite tra le parti. Prendiamo ad esempio la formula sillogistica:
tutti gli M sono P
S è M
S è P
Esso è effettivamente un diagramma della relazione di S, M e P.
Il fatto che il termine medio occorra nelle due premesse viene effettivamente mostrato, e ciò va
fatto altrimenti la notazione risulta priva di alcun valore.
Quanto all‟algebra, l‟essenza di tale tecnica consiste nel fatto che essa presenta formule che
possono venire manipolate e che, osservando gli effetti di tale manipolazione, troviamo delle
proprietà che non potrebbero essere altrimenti individuate. In tali manipolazioni siamo guidati da
precedenti scoperte che sono incorporate nelle formule generali.
Queste sono altrettanti modelli che siamo autorizzati ad immettere nella nostra procedura, e
costituiscono le icone per eccellenza”389
.
Conclude Peirce il passo dicendo che di fatto le formule algebriche potrebbero essere
sostituite da regole astratte, ma queste ultime se non vengono tradotte in un “immagine
sensibile” non è possibile far alcun uso di esse ovvero non è possibile sperimentare quelle
ipotesi, che invece, immediatamente tradotte in tratti segnici, possono dar conto non
soltanto della sequenza deduttiva dei ragionamenti, e quindi del loro valore analitico, ma
anche e soprattutto del loro valore sintetico.
Qui emerge in modo forte la compenetrazione tra dimensione astratta e operazionale che
non è codificabile secondo un rapporto gerarchico, nel senso che l‟una viene sussunta sotto
l‟altra, poiché la forma iconica, si pone come quel tratto discontinuo, luogo unico in cui è
possibile ambientare l‟universale. In questi termini esso assume una fisionomia che è
possibile usare: usare qui significa rendere plastico l‟universale al fine di assecondare le
pieghe delle sue possibili esplicazioni.
In questa necessità della trascrizione prevalentemente iconica dell‟universale si può leggere
la realizzazione di un modello che è di natura analogica, che da sempre si sforza, all‟interno
di un tratto paradigmatico, di “descrivere l‟universale”. La forma iconica in questa sorta di
stratigrafia dell‟Universale lascia emergere i suoi rapporti analoghi a quelli che
effettivamente possono in the long run decodificare il reale.
389
Peirce, Sull‟algebra della Logica: Un Contributo alla Filosofia della Notazione, cit., pp. 170-172.
245
In questo senso la scrittura iconica, lungi dall‟essere paragonabile alla scrittura alfabetica,
assolutamente astratta e convenzionale, compie lo sforzo in virtù della sua inesauribile
energia ipotetica, di porsi come filtro segnico per eccellenza, da cui s‟intravedono quelle
possibili connessioni, che sembrano qualificarsi come la traduzione di relazioni
essenzialmente analoghe. E in questo senso la forma iconica, dal momento che sembra
assolvere al difficile compito di seguire di volta in volta inediti contenuti e di esibirli, perché
possano essere rigorizzati dalla deduzione, non è vuota: essa non rispecchia la realtà,
piuttosto le crea un ambiente in cui essa possa sopravvivere, in cui essa possa essere
fruibile, ma non in modo statico, bensì dinamico.
In questo ambiente pensiero e realtà provano a conoscersi, a scambiarsi le loro energie, nel
senso che il tratto iconico rendendo visibile l‟universale, suggerisce nuove ipotesi, che a
loro volta ritorneranno sul medesimo tratto per rimodellarlo, ed intraprendere nuovi
percorsi, aprire nuovi varchi.
È chiaro che queste considerazioni tendono a vedere anche in quei passaggi più tecnici di
logico-matematica un modello di pensiero che elabora un sistema di riferimento che ha
pretesa fondativa, e quindi valevole per tutte le espressioni del pensiero peirceano: in tale
sistema si attua un innesto fecondo tra coordinate logico-matematiche e semiotico-
metafisiche. L‟icona, anzi potremmo dire è universale, perché si fa espressione di
quell‟unico modo di dar conto dell‟universale che è proprio dell‟analogia.
In the Regenerated Logic pubblicato in the Monist nel 1896 Peirce ribadisce questo nesso
profondo tra logica, matematica e metafisica e soprattutto la necessità di guardare al piano
matematico, come a quello più fecondo anche per la metafisica, nella misura in cui esso è il
regno del possibile, e come è stato già detto, si sofferma sul rapporto tra logica e metafisica,
ponendo in evidenza come la logica di fatto copra anche lo spazio della metafisica, poiché
essa “non si occupa di alcun fatto non compreso nell‟ipotesi di un‟applicabilità illimitata del
linguaggio390
.
Più avanti Peirce precisa: “la logica può venire definita come la scienza delle leggi che
fondano le credenze in modo stabile. Allora la logica esatta sarà la dottrina delle condizioni
della fondazione di credenze stabili che si appoggiano su osservazioni assolutamente certe e
sulla matematica, vale a dire, sul pensiero diagrammatico o iconico”391
.
Queste parole marcono in testi come quello sopramenzionato, il cui interesse sembrerebbe
rivolto soltanto ad un ambito tecnico, che l‟impostazione di Peirce è sistematica e sembra
non smarrire mai il filo di una filosofia che essenzialmente insegue un‟ideale pragmatico di
verità, che sia pure con modalità diverse influenza tutti gli universi filosofici della sua
speculazione.
In questo testo, come in altri, è presente il carattere sistematico delle considerazioni
peirceane e anche quando come in questo testo Peirce afferma la superiorità della logica
rispetto alla filosofia, tale posizione non ha connotazioni logistiche, poiché il fine della
riflessione logica non è l‟esemplificazione del ragionamento deduttivo piuttosto la
comprensione sempre più profonda delle regole che governano i procedimenti deduttivi.
Insomma se la matematica vantando la massima libertà pone gli oggetti possibili per dar
conto dei suoi procedimenti dimostrativi, la logica traduce il modello matematico
essenzialmente all‟interno di una ratio interna al linguaggio.
390
Peirce, Il Rinnovamento della Logica, cit., p. 719. 391
Ibidem.
246
La filosofia e, ancor più, le scienze empiriche, rispetto alla logica, per quanto la logica
peirceana, non sia una logica che prescinde dai contenuti, toccano concretamente la datità
per integrare il pensiero radicale dei diagrammi con la dimensione induttiva del processo
conoscitivo.
La fecondità e il carattere radicale del pensiero diagrammatico e cioè soprattutto la necessità
di introdurre sempre nuove abduzioni per svolgere il procedimento deduttivo non serve
soltanto per sgranarlo e vederne i suoi elementi costitutivi, ma soprattutto per capire,
introducendo un‟idea assolutamente nuova, quale tipo di percorso possa intraprendere e
scoprire qualcosa di interamente nuovo, di cui non c‟è traccia nelle premesse del percorso
dimostrativo. Tale impostazione ci dà la misura della stratificazione inferenziale, a volte
molto complessa, che si snoda all‟interno di un procedimento deduttivo. Infatti, in Sulla
logica della quantità, Peirce afferma: “La concezione tradizionale del sillogismo […] è senza dubbio che il ragionamento deduttivo viene
compiuto simbolicamente, come afferma Leibniz, senza alcuno aiuto da parte dell‟intuizione, vale a
dire da parte delle icone. Ma la verità è che in tale ragionamento l‟icona è l‟elemento essenziale.
Questo ragionamento, infatti, consiste sempre nell‟enunciare una relazione complessa e
nell‟osservare poi che quella relazione ne implica un‟altra, la quale è detta essere inferita, conclusa
o dedotta […] il ragionamento deduttivo consiste nel comporre relazioni; e la relazione composta
che ne risulta deve essere espressa in un termine che non era contenuto in alcuna delle due
premesse. Il sillogismo dunque, come è comunemente inteso, senza alcun termine nella conclusione
che non sia già nelle premesse è inadeguato alla rappresentazione di tale ragionamento. Anche i casi
più semplici sono nella sostanza di questo tipo. La conclusione asserisce cioè una relazione non
asserita in alcune delle due premesse.
Il comune sillogismo è lungi dal costituire un esempio della più semplice delle deduzioni. Poiché,
sebbene la sillogistica tradizionale non riesca a discernere in esso che un solo passo inferenziale, in
realtà ce ne sono dieci”392
.
Già in On The Algebra of Logic del 1884, Peirce affermava: “Any system of notation which
is to represent propositions must then have these three elements, the denotative, and the
analogical, and the conventional”393
.
Nel ragionamento teorematico l‟ipotesi e la sua traduzione iconica, espressione a sua volta
di rapporti analogici, certo si frappone tra le premesse e la conclusione, ciò vuol dire che
essa, sebbene introduca un‟idea estranea, questa idea è maturata all‟interno di un orizzonte
di regole precedentemente dimostrate, quindi è chiaro che i simboli creano un mondo
peraltro legittimato dalla deduzione, che a sua volta stimola nuovi percorsi. Ma una volta
intrapresi questi percorsi, essi sono inediti, assolutamente di natura sintetica e sono da
distinguere dal momento interpretativo, simbolico, deduttivo. E non solo, è grazie a queste
nuove congetture che si può arrivare alla fase in cui queste scoperte possano essere
legalizzate. Ora perché emerga con chiarezza la trama delle relazioni che conducono alla
deduzione, non solo è necessaria una rappresentazione iconica, perché spesso come si
diceva precedentemente i contenuti ipostatizzati sono parecchi ed è allora preferibile
rappresentarli, ma è anche necessario realizzare una rappresentazione, cosicchè
progressivamente si può seguire il modo in cui dalla forma iconica, essenzialmente ipotetica
– analogica si possa arrivare alla deduzione e apporre il sigillo simbolico.
Insomma i simboli, a loro volta, pongono le premesse per nuove icone che esibiranno
infinite necessità e che successivamente saranno codificate dai simboli.
392
Peirce, Sulla Logica della Quantità, cit., p. 103. 393
W 5: 111.
247
Il nuovo ordine categoriale rappresentato dalla Primità, Secondità e Terzità, fonderà la
nuova logica proposizionale in cui nella proposizione sulla base di relazioni triadiche,
risulterà centrale il predicato. Quest‟ultimo vero fulcro della struttura argomentativa farà del
soggetto un mero indice.Tale impostazione ci permette di capire come la necessità di una
rappresentazione grafico–iconica è già inscritta nel fondo categoriale, poiché in ultima
analisi quest‟ultimo è diventato puro spazio segnico. Se dal lato categoriale “la Primità è
[…] il modo in cui una qualsiasi cosa sarebbe per se stessa, senza riferimento a nessun‟altra
cosa, cosìcché non farebbe alcuna differenza se null‟altra esistesse, o fosse mai esistito, o
potesse esistere”394
; dal lato semiotico la Primità corrisponde all‟icona, che è “un representamen che svolge la propria funzione in virtù di un carattere che esso possiede in sé, e
che possiederebbe ugualmente anche se il suo oggetto non esistesse. Così la statua di un centauro
non è, è vero, un representamen se non esiste niente che assomigli ad un centauro; tuttavia, se
rappresenta un centauro ciò accade in virtù della sua forma: e questa è una cosa che essa possiede,
sia che esistano centauri, sia che non esistano”395
.
Se si tiene un punto fermo presente in tutta la riflessione peirceana ovvero l‟identificazione
di logica e semiotica, si comprende il motivo per cui nella logica proposizionale diventa
centrale il predicato, che già a partire da A New List of categories, consiste nella
sostanzializzazione di una qualità.
Adesso nella produzione matura il predicato si pone come luogo della primità, che a sua
volta qualificandosi come pura struttura formale invera la natura del ground, comparso
all‟inizio della produzione peirceana.
Insomma il predicato diventa decisivo, poiché è al suo interno che è possibile esplicare
relazioni fondative, che, a loro volta, sempre sulla base di un principio triadico esibiscono
ora relazioni monadiche, diadiche, triadiche.
In virtù di questa triplice valenza del predicato, il soggetto, non sarà più una struttura a sé
stante, bensì quell‟indice che si mostra compatibile con le valenze del predicato.
I soggetti graviteranno dentro il predicato, in virtù della forza d‟attrazione che esso esercita
su di essi. Qui il predicato si pone come centro di gravità, e al tempo stesso, come centro da
cui dipartono le differenze, le diverse espressioni segniche.
Ma questo tipo di impianto diventa la ratio essendi della sua traduzione grafico-iconica e
non solo, a mio avviso, diventa il piano su cui è possibile apprezzare la versione iconica di
un modello che essenzialmente risulta analogico.
Il predicato inteso come forma iconica esprime relazioni analoghe a quelle presenti nel reale. È
utile ricordare che la logica/semiotica di Peirce è una logica che intende scoprire il sistema di
funzionamento del ragionamento per decodificare il reale. Peirce, confidando in una sostanziale
unità tra pensiero e reale, fonde le diverse espressioni della sua riflessione
categoriale/logico/semiotica in nome di un ideale, se pur mai raggiungibile in modo definito, di
verità.
Cosi Peirce afferma: “una proposizione è un simbolo … ha una parte speciale per rappresentare il representamen, mentre
l‟intero o un‟altra parte speciale rappresenta l‟oggetto. La parte che rappresenta il representamen, e
che eccita un‟icona nell‟immaginazione è il predicato. La parte che indica l‟oggetto o l‟insieme di
oggetti del representamen è chiamata soggetto o soggetti – in grammatica soggetto nominativo e
oggetti, ognuno dei quali può essere rimpiazzato da un nome proprio o da un altro Indice
monstrativo senza che la proposizione cessi in questo modo di essere tale.
394
Peirce, Alcune riflessioni in ordine sparso sulla disputa tra Nominalisti e Realisti, cit. p. 53. 395
Peirce, Conferenze sul pragmatismo (Ms 308), cit., p. 103.
248
Se da una preposizione cancelliamo una parte e lasciamo il suo spazio vuoto, essendo questa parte
tale da potere inserire al suo posto un indice monstrativo, il simbolo diverrà nuovamente una
proposizione e la parte che rimane dopo questa cancellatura sarà un predicato di quel genere che io
chiamo monade.
Ecco alcuni esempi:
… dà B a C
A dà … a C
A dà B a ...
Se sono due i posti a rimanere vuoti, definisco il predicato diade”396
.
Dunque dentro il predicato precipita tutto, esso si presenta prospettico, riassume tutti i
fondamenti più originali della prospettiva di pensiero peirceano, e soprattutto riguardo
all‟interesse principale del presente lavoro diventa chiaro come il predicato essenzialmente
di natura iconica, apra lo sguardo in direzione dei significati della realtà, sotto il rispetto di
qualcosa, sia essa una qualità o altro che connoti la realtà.
In virtù di questa impostazione, più avanti Peirce afferma: Dire ad esempio che “tutti gli
uomini” è il soggetto della proposizione “tutti gli uomini sono mortali” non è corretto.
L‟analisi appropriata è che “Qualsiasi cosa” sia il soggetto “è mortale oppure non uomo sia
il predicato. Così, in “qualche gatto ha gli occhi azzurri” il soggetto non è “Qualche gatto”,
ma “qualche cosa”, essendo “è un gatto dagli occhi azzurri” il predicato. “Qualche cosa
significa che una conoscenza adeguata ci renderebbe in grado di rimpiazzare il qualcosa con
un indice mostrativo, mantenendo tuttavia la verità della proposizione”.397
Qui su un piano strettamente logico, ma, al tempo stesso valorizzando tutto il corredo
semiotico delle significazioni e implicazioni della nozione di icona e inverando tutti i frutti
della demolizione dei fondamenti di ogni concezione che voglia qualificarsi di tipo
corrispondentistico, Peirce ribadisce la fondamentalità della base iconica della conoscenza,
poiché in essa è possibile vedere quelle relazioni, come possibili, quanto alle loro facoltà di
intelligibilità del reale, quindi come analoghe. La base iconica della conoscenza rivela tutta
la sua efficacia, poiché, nonostante non possa garantire alcuna sicurezza riguardo l‟esistenza
effettiva di qualcosa, ci lascia intendere che qualcosa potrebbe, configurarsi in un certo
modo, esibisce relazioni significative, le uniche che possano effettivamente gettare luce su
ciò che potrebbe essere “analogo” alla realtà, allo stesso modo in cui la matematica così
come la concepisce Peirce, ci insegna ad esercitarsi su come è possibile scoprire relazioni
che potrebbero essere analoghe a quelle della realtà. “I matematici si limitano in pratica allo
studio delle relazioni tra insiemi di singolarità ipotetiche”398
.
Sebbene non compaia in questo testo un esplicito riferimento alla struttura dell‟analogia,
ritengo che in considerazione di quanto detto, sia possibile anche qui sostenere la valenza
analogica dell‟icona e constatare come l‟icona, in quanto espressione dell‟analogia, sia
inevitabilmente vincolata alla dimensione dell‟ipotesi.
396
Ivi, p.118. 397
Ibidem 398
Ivi, p.119.
249
4) Analogia come inferenza
Come è emerso già in On Natural Classification of Arguments il termine analogia si lega a
termini come ragionamento, inferenza, nonché ipotesi. E infatti in Theory of Probable
Inference del 1883 viene presentata la formula dell‟inferenza come un argomento che
contiene sia l‟inferenza ipotetica sia l‟inferenza induttiva con una conclusione deduttiva. E
successivamente Peirce precisa che la correttezza del ragionamento analogico può essere
provata dalla teoria delle probabilità. Ciò conferma la critica rivolta a J. S. Mill, contenuta
in Some Consequences of Four Incapacities a proposito dell‟identificazione dell‟analogia
con un ragionamento che procede da particolari a particolari. Infatti a questo tipo di
concezione dell‟analogia, Peirce oppone l‟argomento per analogia come un ragionamento
che combina i caratteri dell‟induzione e dell‟ipotesi.
In questo tipo di analisi in cui confluiscono tesi logiche ed epistemologiche, a conferma
dell‟impossibilità in Peirce di porre steccati tra le varie espressioni del suo pensiero, è
possibile apprezzare maggiormente il peso di questa identificazione dell‟analogia con un
ragionamento che riunisce insieme induzione e ipotesi, poiché per il tipo di evoluzione che
si è configurato nel pensiero di Peirce, sostenere che l‟analogia si lega all‟induzione e
all‟ipotesi significa assegnarle un posto centrale e soprattutto un ruolo esplicativo del nucleo
teorico più saldo della prospettiva di Peirce, rappresentato essenzialmente dal carattere
ipotetico della conoscenza. Prima nel „67, poi nel „68 e successivamente alla luce della
massima pragmatica, La dottrina delle probabilità 1878, la Probabilità dell‟induzione,
L‟ordine della natura, Deduzione, induzione e ipotesi pongono in luce una elaborazione da
parte di Peirce dell‟induzione e della probabilità in netto contrasto con la logica empiristica
di John Stuart Mill. La probabilità esprime quantitativamente la possibilità delle ipotesi, che
essenzialmente possono essere vere o false o qualificarsi come intermedie tra i suddetti
estremi. Sperimentare la veridicità delle nostre ipotesi significa presupporre un mondo al
quale bisogna adeguarle. Ma non c‟è un mondo già sedimentato di cui bisogna scoprire la sua
regolarità o irregolarità. Così come Peirce spiega399
risulta contraddittorio ogni schema
classificatorio che intenda l‟idea di mondo sotto il principio dell‟uniformità o dell‟imprevedibilità,
poiché il mondo è anch‟esso dinamico e assume fisionomie possibili come frutto del suo
convenire con il pensiero.
Non è un caso che anche l‟induzione, secondo Peirce, in opposizione alla prospettiva di J. S.
Mill riveli la sua efficacia, ai fini della ricerca, soltanto, se sceglie le proprietà, i caratteri
prima di esaminare il campione400
, poiché le uniformità, le regolarità sono frutto della
ricerca e non il loro presupposto come pensava J. S. Mill. D‟altra parte la scelta di designare
alcuni caratteri piuttosto che altri e osservarli nell‟ambito di alcuni fenomeni è frutto di un
movimento ipotetico, poiché è sempre coinvolto il problema della rilevanza dei fenomeni da
osservare. Ma la rilevanza non è data a posteriori bensì è prodotta dalla facoltà di
immaginare, di creare: essa non può essere il risultato di un procedimento meccanico.
Secondo tutta l‟impostazione peirceana l‟atto della rilevanza è dovuta alla facoltà
399
Una critica più recente, all‟impostazione metodologica di J. S. Mill, proviene da Copi: I metodi di Mill si possono
usare soltanto ammettendo le ipotesi che le circostanze menzionate siano le sole circostanze rilevanti. Ciò equivale ad
affermare che le sole cause possibili sono le circostanze elencate […] in ogni caso i metodi di Mill non si possono usare
senza ammettere qualche ipotesi sulle possibili cause. Introduzione alla logica, S. ed. il Mulino, Bologna, 1969, p. 452-
453. 400
Cfr. CP 6. 409.
250
dell‟immaginazione che, nel suo esercizio segnico nonché logico-epistemologico, assicura
l‟approssimarsi al vero.
Insomma Peirce così pone in evidenza il carattere dogmatico dell‟impostazione di J. S. Mill,
poiché essenzialmente non è la classificazione dei fatti secondo alcuni caratteri che ci
permette di arrivare a delle conclusioni assertorie. La dimensione empirica, secondo il ben
noto insegnamento kantiano, pone il dato ma non prescrive nulla in merito a quest‟ultimo.
Non è dalla proprietà di un fenomeno dato che è possibile ricavare delle conclusioni di tipo
analitico, poiché “l‟inferenza sintetica è basata su una classificazione di fatti, non secondo i
loro caratteri, ma secondo la maniera di ottenerli”401
. La classificazione dei fatti è già frutto
di un‟ipotesi, poiché si classifica sulla base dell‟ipotesi402
che alcuni caratteri siano
importanti ai fini della ricerca e tale classificazione è suscettibile di continui cambiamenti a
seconda delle ipotesi che via via vengono elaborate anche sulla base degli stimoli della
esperienza, che conducono ad una progressiva selezione dei caratteri significativi, di quelli
che effettivamente si riveleranno discriminanti, essenziali per tracciare il sentiero della via
verso il vero. Tale tragitto risulta sintetizzato in modo abbastanza efficace dal Peirce della
massima pragmatica: “la realtà è solamente l‟oggetto dell‟opinione finale alla quale
un‟investigazione sufficiente condurrebbe”403
.
Quindi non è il carattere del fenomeno e garantire la scientificità della conoscenza, poiché a
decidere della rilevanza del carattere del fenomeno è proprio l‟ipotesi. È il carattere
ipotetico della conoscenza che in the long run lascerà emergere e per il pensiero e per la
realtà la configurazione di unità, di uniformità possibili: in questo senso non si parte da
un‟idea di mondo già prestabilita e non si pretende di scoprire le regolarità dell‟universo a
partire dalla mera enumerazione dei caratteri dei fenomeni.
Il riferimento alla teoria dell‟induzione in connessione alla teoria della probabilità, nonché
la critica all‟idea di uniformità della natura costituiscono il quadro di riferimento entro cui, a
mio avviso, collocare il rapporto tra analogia e calcolo delle probabilità per valutare sia il
peso di un tema come quello dell‟analogia nell‟economia del pensiero di Peirce, sia
soprattutto il nesso profondo tra le problematiche insorte all‟interno della teoria delle
probabilità e quella della analogia, in maniera tale da porre in evidenza quali affinità
emergono sia nella struttura dell‟analogia sia nelle inferenze che costituiscono il metodo
scientifico.
Il problema della rilevanza a proposito della facoltà classificatoria all‟interno della teoria
della probabilità è comune a quello dell‟analogia. La facoltà analogica è legata alla
possibilità di istituire relazioni, che a loro volta risultano rilevanti se le somiglianze istituite,
debitrici di un atto ipotetico, sono significative. L‟input sia alle ipotesi sia agli argomenti
401
Cfr. CP 2. 692. 402
I metodi di Mill non scoprono mai leggi causali o proposizioni generali, né le stabiliscono dimostrativamente. Questi
metodi rappresentano, tuttavia, i modelli fondamentali cui deve conformarsi chiunque voglia cercare di confermare o
confutare in base all‟osservazione e all‟esperimento, ipotesi asserenti una connessione causale. Le ricerche sperimentali
non possono procedere senza delle ipotesi; è quindi evidente che esse svolgono una parte della massima importanza
nella logica induttiva. Tanto importante è la funzione dell‟ipotesi nella ricerca empirica sistematica che la formulazione
e la riprova della validità delle ipotesi si può considerare come il metodo della scienza. Cfr. I. Copi, Introduzione alla
logica, S. ed. il Mulino, Bologna, 1969, pag. 458.
Anche U. Eco, impegnato nel chiedersi se Kant avrebbe saputo classificare l‟Ornitorinco, si esprime con queste parole:
“Di fronte alla infinita segmentabilità del continum sia gli schemi percettivi che le stesse proposizioni circa le leggi di
natura come sia un rinoceronte, se il delfino sia un pesce, se sia possibile pensare l‟etere cosmico, ritagliano entità o
rapporti che sia pure con diversità di grado permangono sempre ipotetici e sottomessi alla possibilità del fallibilismo.
Eco, Kant e l‟ornitorinco, Bompiani, Milano, 1997, pag. 79. 403
Cfr. CP 2.693.
251
analogici proviene dall‟esperienza ed è nell‟esperienza che, secondo un processo
inarrestabile, si può verificare la loro rilevanza. Infatti Peirce afferma: “For induction,
hypothesis, and analogy, as far as their ampliative character goes, that is, so far as they
conclude something not implied in the premisses, depend upon one principle and involve
the same procedure. All are essentially inferences from sampling404
. Se da una parte emerge
il ruolo dell‟esperienza, dall‟altra non è possibile affidarsi esclusivamente alla dimensione
empirica, poiché, come è emerso nel caso dell‟induzione, non è rilevante l‟enumerazione dei
caratteri di un dato, bensì l‟ipotesi che quei caratteri possano risultare significativi per la
ricerca del vero. In questi termini l‟istituzione di somiglianze proprie dell‟analogia, la
generalizzazione cui conduce l‟induzione, e il movimento proprio dell‟ipotesi che si
prefigge di apportare un contributo esplicativo alla conoscenza, o supponendo che
l‟irregolarità riscontrata o l‟insorgenza di un problema sia risolvibile, ponendolo come il
caso di una regola generale, o riscontrando che una somiglianza tra due oggetti, riguardo ad
alcuni caratteri sia estensibile ad una somiglianza che ne coinvolge altri, si ritrovano
insieme nel sostenere con i loro apporti sintetici il processo della conoscenza verso una
conclusione deduttiva. E quindi equiparare l‟analogia alla teoria delle probabilità, risulta
abbastanza plausibile, poiché se da una parte l‟analogia è in grado di abbracciare e
l‟induzione e l‟ipotesi, perché sostanzialmente ne condivide la struttura: dall‟altra la
probabilità così come è intesa da Peirce è supportata da una ratio induttiva ma
fondamentalmente da un atto ipotetico, così come è stato argomentato precedentemente. E
allora l‟idea che l‟analogia non sia da considerare un argomento che procede dal particolare
al particolare risulta supportata anche dalla teoria della probabilità, così come viene
elaborata da Peirce, poiché essa si propone di dare espressione quantitativa, alla dimensione
ipotetica, che di fatto accompagna sempre qualsiasi tipo di osservazione ed è essa che
sostanzialmente decide del grado di probabilità di un evento. Il modo in cui Peirce intende il
concetto di induzione e la probabilità costituisce un punto di vista interessante, poiché è
possibile comprendere come il filosofo americano si approccia alla dimensione empirica o
del particolare: sia nel caso dell‟osservazione di un fenomeno per comprendere con quale
grado di probabilità esso si presenta sia nel caso del particolare proposto dall‟argomento
analogico, si è in presenza di un‟ipotesi che decide nel primo caso della rilevanza delle
caratteristiche del fenomeno da osservare, nel secondo della somiglianza da istituire tra
elementi o eventi405
.
Gli scritti del „78 sono funzionali a chiarirci le idee sul modo in cui Peirce elabora la teoria
dell‟induzione e delle probabilità e come risulti centrale l‟ipotesi nonché a contestualizzare
il tema dell‟analogia, poiché la critica di Peirce ad un‟analogia che procede dal particolare al
particolare è legata alla critica più ampia ai metodi di J. S. Mill.
La presenza del particolare all‟interno della conoscenza analogica non deve essere
assolutizzata ma vista in funzione dell‟esibizione del generale. Si è constatato come l‟idea di
induzione e di probabilità non si affidino al dato o ad un‟impostazione dogmatica e devono,
secondo Peirce al contrario costruire il generale, a partire da un dato, peraltro filtrato
dall‟ipotesi, e soltanto successivamente accedono al generale. Se invece si parte da principi,
dal predeterminato, l‟analogia appare particolare e la sua valenza fondativa rimane oscurata
404
Cfr. CP 6.40. 405
Nel saggio del 1901 Peirce afferma: “La deduzione si riferisce esclusivamente ad uno stato di cose ideale. Un‟ipotesi
presenta tale stato di cose ideale, e asserisce che è l‟icona, analogo di un‟esperienza. Peirce, On the Lo
gic of Drawing History from Ancient Documents Especially from Testimonies, cit., p.509.
252
e sfuggirà il significato essenziale dell‟analogia che assolve al compito di costituire un
ponte tra il compreso e ciò che non è stato ancora compreso.
Theory of Probable Inference raccoglie i frutti della speculazione precedente e dà conto
della convergenza stretta tra l‟argomento per analogia e la teoria della probabilità, ponendo
in evidenza la fecondità di un argomento come quello analogico che costituisce linfa vitale
per il metodo scientifico, nella misura in cui contribuisce a quel processo assolutamente
creativo della scienza, che nel suo esercizio esplicativo, oltrechè sperimentare, immagina e
crea analogie, ipotesi, al fine di realizzare eventi, che proprio per la loro discontinuità
significativa realizzano il fine proprio del sapere. E inoltre Peirce pone in modo chiaro il
movimento innescato dall‟analogia, anche nella sua forma inferenziale, che procede
dall‟individuale al generale, ed esplicita come questo movimento è proprio anche
dell‟induzione, dell‟ipotesi, nonché della teoria della probabilità.
5) Il movimento della pratica analogica, iconica e abduttiva.
Dall‟iter fin qui svolto come si è avuto modo di constatare icona, analogia e ipotesi vivono
all‟interno di uno stretto rapporto nella riflessione logico matematica, nella grammatica
segnica, nonché in ambito strettamente logico in ordine alla classificazione degli argomenti,
e, oltre che rivelare un continuo rinvio tra loro, esse permettono di osservare, si potrebbe
dire, una occorrenza che si identifica con il delinearsi di una struttura bidimensionale che
sembra caratterizzare lo statuto analogico, iconico e abduttivo.
Analogia, icona e abduzione sembrano articolare un movimento che a mio avviso, risulta
sostanzialmente simile. Esse condividono la necessità, sia pure con modalità diverse, di un
rapporto fondamentale che è quello che transita dall‟individuale all‟universale. Ma questo
transito non si realizza con un atto di sussunzione, bensì, come è possibile cogliere
nell‟ambito del pensiero diagrammatico, ponendo relazioni e soprattutto mostrandole
all‟interno di uno spazio diagrammatico. E in questo spazio si esibiscono rapporti
significativi che non valgono soltanto all‟interno di questa determinatezza, piuttosto essi
saranno fondamentali per definire un insieme di cui essi fanno parte e che nello stesso
tempo fondano, esibendo quella necessità che sarà poi legittimata dal simbolo o dal
procedimento deduttivo. E in questo icona e analogia sono strettamente complementari, o
meglio l‟icona si fa espressione dell‟analogia, poiché quest‟ultima da sempre esprime
somiglianza tra rapporti, somiglianza tra la “singolarità…e la sua… intelligibilità”406
;
l‟icona opera allo stesso modo e nello stesso tempo fornisce un piano su cui poggiare questo
rapporto tra le singole determinatezze e la loro esplicazione. L‟analogia e l‟icona assolvono
al compito di mostrare le relazioni che saranno decisive per arrivare alla scoperta di un
principio universale. In questa operazione le suddette dimensioni sono sorrette dall‟ipotesi il
cui movimento è affine a quello dell‟icona e dell‟analogia, poiché l‟ipotesi nell‟atto di
risalire dal conseguente al suo antecedente, necessita, come avviene nel ragionamento
teorematico o nelle scienze empiriche, di una determinatezza, sia essa ipostatizzata sia essa
fornita dal dato empirico, in cui sperimentare percorsi possibili, introducendo ed eliminando
assunzioni al fine di ritrovare la regola sotto cui sussumere il caso considerato. E anche qui
dal laboratorio del “Guessing” scaturirà la legge, il simbolo nonché la conclusione deduttiva
406
G. Agamben, Signatura Rerum, Bollati Boringheri, prima edizione, Marzo, 2008, p. 25.
253
nel caso di un procedimento dimostrativo o di un argomento logico. L‟analogico, l‟iconico e
l‟ipotetico si rivelano al tempo stesso generali e singolari, ciò che mostrano è frutto del loro
atto fondativo e quindi diventano modello e strumento. L‟icona, pur nella sua singolarità,
mostra una relazione che cogliamo come significativa perché non coincide con la peculiarità
del dato: essa da strumento si fa modello che sarà pienamente consolidato, quando essa
espliciterà il suo indice e la sua legge. Quindi le determinatezze poste dall‟analogia sono
esempio di un insieme, come Peirce mostra in Theory of Probable inference, a proposito di
analogie riscontrabili in merito ad alcune caratteristiche tra i pianeti dell‟universo, ma
l‟esempio stesso mostra la ratio dell‟intero di cui fa parte e che, al tempo stesso, fonda.
L‟ipotesi opera su i singoli casi per arrivare alla legge che li governa, ma sono le riflessioni
all‟interno di questi singoli casi che condurranno alla scoperta della legge.
Ma questa duplice fisionomia della dimensione iconica, analogica ed ipotetica lascia
emergere la necessità di introdurre un elemento di apparente estraneità, diversione,
deviazione: esse compiono un atto essenzialmente creativo per poter esibire ciò che si potrà
configurare come principio esplicativo del reale, cioè introducono una idea apparentemente
estranea, che di fatto costituirà la via di accesso alla scoperta dell‟universale, perché
essenzialmente creerà una mediazione tra gli elementi noti e quelli ancora ignoti, realizzerà
un atto di sostituzione, ma quest‟ultimo non è da intendersi come ciò che sta al posto di
qualcos‟altro, ma come ciò che prende il posto di ciò che non è stato ancora compreso. E
allora in questi termini diventa chiara la necessità dell‟introduzione di un elemento estraneo.
Esso media tra il conosciuto e il non ancora conosciuto e in questo rileva tutta la sua
radicalità.
Le due linee di ricerca sul tema dell‟analogia, l‟una volta a concepire l‟analogia come
inferenza, l‟altra a considerare l‟analogia come modello dell‟icona, in realtà si riannodano.
Infatti, se si considera che l‟analogia si configura come sintesi delle due inferenze probabili
e queste a loro volta, in base al percorso delineato, giustificano il sillogismo categorico, e se
in base alla valenza analogica dell‟icona si prende atto del fatto che per antonomasia il
momento creativo nel processo conoscitivo si attua sempre all‟interno di uno spazio
diagrammatico in cui convergono ipotesi, rapporti analogici contemplabili all‟interno di
forme iconiche, si può comprendere che i due percorsi risultano corrispondenti e
contribuiscono a mio avviso, ad affermare lo statuto ontologico della dimensione analogico-
iconica e il carattere radicale della loro bidimensionalità.
6) Icona e analogia kantiana
In considerazione della valenza analogica dell‟icona e del modo in cui l‟analogia viene
concepita come inferenza si è indotti a porre un possibile confronto tra il modo in cui si
esercita l‟analogia all‟interno dello spazio iconico e il modo in cui si esplica la pratica
dell‟analogia all‟interno del sistema kantiano407
. Sicuramente il luogo kantiano che più
immediatamente rinvia alla struttura iconico-analogica è la nozione di schema. Il
407
Il richiamo al tema kantiano dell‟analogia sfrutta qui un suggerimento proveniente dall‟interpretazione che di questo
tema ha offerto V. Melchiorre (cfr. Analogia e analisi trascendentale, Mursia, Milano, 1991, La Via analogica, Vita e
pensiero, Milano, 1996, La differenza e l‟origine: alle sorgenti dell‟analogia in Figure del sapere, Vita e pensiero,
Milano, 1994) e C. Sini (cfr. Metafisica-Analogia e scrittura della verità, CUEM, Milano, 1996-1997; Analogia della
parola, Jaka Book, 2004).
254
diagramma di matrice iconica in Peirce e lo schema kantiano sembrano condividere una
natura simile, poiché all‟interno di qualcosa che si qualifica come determinato si intende
esibire la regola dell‟universale; quindi entrambi si mostrano come individuali e generali al
tempo stesso. Il continuum a cui appartiene l‟icona, e che nello stesso tempo segna con la
sua facoltà di porsi un tratto discontinuo, isolando una relazione e mettendola in mostra,
corrisponde a quella omogeneità che Kant nello schematismo presuppone per dar conto
dell‟eterogeneità tra ordine logico ed esperienziale. Lo schema deve condividere la qualità
del concetto e, al tempo stesso, deve appartenere all‟ordine del sensibile, ma non
all‟empirico. Lo schema è un prodotto dell‟immaginazione pura, a priori e non coincide con
l‟immagine, esso rende possibili le immagini, ed è un metodo di rappresentazione. Lo
schema nella misura in cui condivide il generale e il sensibile è in sé analogico, poiché
riunisce mondi assolutamente eterogenei e, lungi dal coincidere con l‟immagine mentale,
rende possibile per analogia l‟unità dei fenomeni con l‟universalità propria dei concetti. Già
Kant aveva messo in chiaro che per comprendere la natura dello schema è necessario
affrancarsi dalla nozione di immagine mentale, poiché lo schema si qualifica come regola
per costruire qualcosa che abbia comunque dei caratteri generali, i quali possono assumere
fisionomia all‟interno di una costruzione determinata che coincide con l‟opera proprio dello
schema.
Quanto Kant afferma: “Ora io chiamo schema di un concetto la rappresentazione di un
procedimento generale onde l‟immaginazione porge a esso concetto la sua immagine”408
,
pare delineare un movimento che, in qualche modo, sembra esprimere proprio quello
interno all‟icona. L‟icona in quanto pura possibilità è abilitata ad istituire le condizioni della
somiglianza e suggerisce così la fisionomia di un oggetto possibile. L‟icona ponendosi
come la condizione intranscendibile dello stesso rinvio tra segno e oggetto, ovvero
istituendo il rinvio in quanto tale, media, costruisce il rapporto tra l‟oggetto dinamico,
altrimenti destinato a rimanere inattingibile, e la sua identità segnica, rivela la sua doppiezza
e anche la sua problematicità. Poiché così come il concetto non esaurisce la sua energia
speculativa nel suo uso empirico, quando si flette verso il fenomeno, allo stesso modo
l‟icona non esaurisce le sue infinite possibilità connotative, nel momento in cui rende
discontinua la sua possibilità originaria. “Lo schema... di un concetto puro intellettuale è qualche cosa che non si può ridurre a immagine,
ma non è se non la sintesi pura, conforme a una regola dell‟unità (secondo concetti in generale), la
quale esprime la categoria, ed è un prodotto trascendentale dell‟immaginazione”409
.
E quindi l‟energia speculativa dello schema non può essere ridotta a quella dell‟immagine
empirica, poiché quest‟ultima riproduce, la funzione dello schema, invece, è quella di
produrre unità. Ma qui delineare unità significa trovare la regola. Ma quest‟ultima a cosa
serve? A determinare qualcosa. Ma qui il punto è che se si trova la regola, essa partecipa e
del concetto e del fenomeno. Quindi la funzione dello schema è assolutamente attiva, poiché
come frutto dell‟immaginazione riesce con un atto assolutamente creativo ad istituire uno
spazio in cui dare fisionomia sia all‟individuale sia al generale410
. Così come lo schema non
408
I. Kant, Critica della ragion pura. Trad. it. G. Gentile e G. Lombardo Radice, 1979, Laterza, p. 165. 409
I. Kant, op.cit. p. 166. 410
Preziose a tal riguardo le parole di C. La Rocca: “Invece di un‟esibizione empirica che riproduce o presenta
l‟immagine dell‟oggetto l‟immaginazione trascendentale compie una esibizione originaria dell‟oggetto che precede
l‟esperienza e conferisce originariamente al fenomeno il suo carattere iconico, il suo significato sensibile. Prima che il
fenomeno venga ricompreso in una classe e assunto in un enunciato, diventando in senso stretto oggetto di una
conoscenza, esso si presenta come complesso segnico potenzialmente sussumibile sotto concetti, ciò grazie ad una
255
può identificarsi con l‟immagine empirica, poiché il suo compito non è quello di
rispecchiare qualcosa, bensì di trovare in esso la regola che lo costituisce; allo stesso modo
l‟icona dà conto di una struttura circolare, nel senso che se l‟icona non si rende disponibile
all‟interno di un tratto segnico non può costituire l‟oggetto, ma d‟altra parte se l‟icona la si
intendesse come immagine mentale, non sarebbe idonea a comprendere l‟oggetto nel suo
costituirsi. Insomma la costituzione dell‟oggetto è possibile grazie alla segmentazione del
continuum proprio dell‟icona, ma d‟altra parte questa discontinuità è resa possibile dalla
dimensione ontologica dell‟icona, nella misura in cui essa si qualifica come Intero411
.
Si potrebbe dire, forse, che l‟articolazione dell‟icona in Peirce restituisce in qualche modo,
assolutamente originale il movimento proprio degli schemi in Kant: “Dunque gli schemi dei concetti puri dell‟intelletto sono le sole vere condizioni, che danno ad essi
una relazione con oggetti e quindi un significato; e le categorie non hanno infine altro uso che
quello possibile empirico, servendo soltanto a sottomettere […] i fenomeni a regole generali della
sintesi a priori, a disporli così alla connessione completa in una esperienza”412
.
In questo passaggio mi pare si possa cogliere una forte complementarità tra schema e
oggetto, simile a quella che si instaura tra icona e referente. Rispetto alla relazione con
l‟oggetto dinamico Peirce definisce l‟icona come “ A sign which is determined by its
dynamic object by virtue of its own internal nature”413
, e, al tempo stesso, afferma che “una proprietà altamente distintiva dell‟icona è che attraverso osservazione diretta di essa si
possono scoprire riguardo al suo oggetto verità nuove oltre a quelle che sono sufficienti a
determinare la costruzione dell‟icona stessa. Dato un segno convenzionale o comunque generale di
un oggetto, per dedurre qualsiasi nuova verità oltre a quanto esso significa esplicitamente, è
necessario in tutti i casi sostituire a questo segno un‟icona”414
.
Da queste affermazioni risulta forse plausibile affermare un‟interdipendenza tra icona e
referente, da intendere in questi termini: se da una parte l‟icona, lungi dal pretendere di
riprodurre l‟oggetto, lascia intatta l‟indipendenza dell‟oggetto dinamico, dall‟altra l‟oggetto
dinamico deve accettare la dipendenza dal segno, perché ne vale della possibilità della sua
costituzione. E così come l‟icona non è riducibile all‟immagine empirica, “lo schema per
contro, di un concetto puro intellettuale è qualche cosa che non si può punto ridurre ad
immagine […] ed è un prodotto trascendentale dell‟immaginazione […]”415
. E l‟icona è lo
schema pur non avendo che un uso empirico, suscettibile di essere distinto solo nell‟intero
dell‟atto conoscitivo di cui sono parte, svolgono apriori la loro funzione: la prima
qualificandosi come livello presemiosico e semiosico al tempo stesso, imprigiona l‟oggetto
e libera la sua energia, dandogli quella voce che, senza la rete nel segno rimarrebbe
inascoltata. Lo schema risulta inverato se seleziona soltanto ciò che “è necessario all‟unità
sintetica della esperienza in generale”416
.
pertinentizzazione che gli conferisce tratti riconoscibili; i quali rendono possibile un processo di riflessione e la
formazione di concetti generali. Cfr. C. La Rocca, Strutture kantiane, Ets Editrice, p. 40. 411
Interessanti a tal proposito le metafore utilizzate da U. Eco relativamente al concetto di icona: “Parrebbe che questa
icona primaria sia qualcosa come un buco, un‟entità […] Eppure è proprio da quel non-essere che si può inferire il
formato del tappo che potrebbe occluderlo […] In termini di dialettica tra presenza e assenza può essere definita la
possibilità di ogni fenomeno sterico, compresa la mirabile adeguazione tra un buco e il suo tappo. Ritrovando, nel
definire la meno strutturata tra le esperienze, la primità iconica, il principio strutturale per cui ogni elemento vale in
quanto non è l‟altro, che evocando, esclude. Cfr. U. Eco, Kant e l‟Ornitorinco, Bompiani, Milano, 1997, p. 91. 412
I. Kant, op. cit., p. 169. 413
CP 8.335. 414
Peirce, That categories and Hipotetical Propositions, cit., p. 166. 415
I. Kant, op. cit., p. 166. 416
I. Kant, op. cit., p. 176.
256
E l‟icona e lo schema non presuppongono una costituzione indipendente dei due versanti
della conoscenza: quello iconico e quello referenziale da una parte, e quello puro, a priori
dell‟immaginazione trascendentale e del fenomeno dall‟altra, al contrario è nel loro
convenire che entrambi i lati della conoscenza sembrano acquistare fisionomia.
In questi termini, anche le kantiane “analogie dell‟esperienza” potrebbero qualificarsi come
un terreno solido in cui riscontrare il movimento della pratica iconica. Le analogie
dell‟esperienza fondate essenzialmente sulla relazione, rivelano affinità tali da renderle
confrontabili con la valenza analogica dell‟icona.
Nella prima analogia relativa al principio della permanenza della sostanza Kant ci permette
di comprendere che il mutevole può essere compreso nel permanente, ma nello stesso tempo
questa comprensione può realizzarsi se il permanete si determina, infatti “questo
permanente rende possibile la rappresentazione del passaggio da uno stato all‟altro, e dal
non essere all‟essere, che dunque possono essere conosciuti empiricamente soltanto come
determinazioni alterne di ciò che permane417
. Il permanente e il mutevole si costituiscono
insieme e sembra proprio il loro rinvio a rendere possibile la loro costituzione ovvero nel
senso che possiamo comprendere il mutevole se non a partire dal permanente, ma d‟altra
parte quest‟ultimo può rendersi disponibile come determinazione di ciò che muta. E quindi
in questo senso “possiamo dire con espressione di apparenza paradossale: solo il permanete
(la sostanza) subisce mutamento, il mutevole non subisce nessun mutamento, ma una
vicenda, poiché certe determinazioni cessano ed altre ne sorgono”418
. Sembra giustificata
l‟idea che sia il permanente sia il mutevole si costituiscono attraverso il loro rinvio anche
dal seguente passo: “questa categoria (quella della permanenza) sta sotto il titolo della
relazione, più come sua condizione che come contenente essa stessa una relazione”419
. Da
qui scaturisce la necessità dello schema che incarna il rinvio ed esplica la relazione, di cui è
condizione il principio della permanenza: cioè perché i fenomeni e le categorie possano
riconoscere le loro identità, è necessario che ci sia uno spazio al cui interno scoprire la loro
differenza e la loro unità. Ma questa necessità lascia scoprire un movimento che è quello
proprio dell‟analogia, la quale nell‟istituire rapporti e determinatezze pone la condizione
dell‟unità. Diversamente dalle analogie costitutive, proprie dell‟universo matematico, in cui
dati i due rapporti, di cui sono noti tre elementi, è possibile dedurre il quarto termine, nelle
analogie qualitative proprie dell‟universo filosofico “dati tre membri può essere conosciuto
e dato a priori solo il rapporto a un quarto, ma non questo quarto membro stesso; posseggo
bensì una regola per cercarlo nell‟esperienza, e un segno per scoprirvelo”420
.
L‟analogia ci insegna che la conoscenza del rapporto tra due elementi può fornire una regola
per il rapporto che dobbiamo intendere tra l‟elemento noto e quello ancora incompreso:
all‟interno di un movimento che chiama in causa differenze, rapporti, determinatezze è
possibile istituire una relazione con l‟unità, con quel termine, che sebbene non possa essere
colto immediatamente, si dispiegherà gradualmente nelle relazioni tra il compreso e il non
ancora compreso. Ma se la fecondità dell‟analogia risiede nella valorizzazione dei rapporti
che essa è in grado di istituire, poiché costituiscono quella ribalta in cui è possibile scoprire
la regola per agganciare la relazione con ciò che non è stato ancora compreso, è proprio in
questa operazione effettuata dall‟analogia che si pongono le condizioni di un possibile
confronto con l‟icona. Poiché e l‟analogia e l‟icona ci permettono di comprendere che
417
I. Kant, op. cit., p. 200. 418
Ibidem. 419
I. Kant, op. ci.t, p. 199. 420
I. Kant, op. cit., p. 194.
257
cominciare a conoscere significa gettare ponti con ciò che ancora non abbiamo compreso:
l‟analogia e l‟icona costituiscono proprio quel ponte su cui è necessario indugiare per capire
come potrebbe configurarsi il vero. In questo indugio sarà possibile scoprire nuove relazioni
che ci avvicineranno al vero. Ma il vero qui non sta al posto di un presunto primum da
cogliere una volta per tutte, bensì nelle relazioni che l‟analogia e l‟icona sono in grado di
volta in volta di escogitare, di mostrare per far transitare il vero421
. L‟icona potremmo dire
svolge una funzione retroattiva sul modello analogico kantiano, poiché invera il gesto
analogico conferendogli espressione. L‟icona così come è tratteggiata da Peirce non solo ha
assimilato la lezione della pratica analogica, ma nella sua diagrammatizzazione le fornisce
un‟espressione. Non solo il vero si dà attraverso indefinite relazioni di identità e differenze,
ma l‟icona le rende fruibili ponendole all‟interno di una dimensione sensibile.
Ma questa esigenza è già nota a Kant: “La matematica adempie questa esigenza con la costruzione della figura, la quale è un fenomeno
presente ai sensi (sebbene prodotta a priori). Il concetto della quantità cerca, nella stessa scienza, il
suo punto d‟appoggio e il suo significato nel numero,e questo, alla sua volta, nelle dita,nei coralli
del pallottoliere, o nei trattolini e punti che vengon messi dinanzi agli occhi [...] se viene tolta
questa condizione,cade ogni significato, cioè ogni rapporto all‟oggetto, e non possiamo più
comprendere con nessun esempio, qual genere di cosa si intenda propriamente con siffatti
concetti”422
.
Un altro luogo kantiano confrontabile con la struttura iconico-analogica è la nozione di
limite. In esso è possibile riconoscere la bidimensionalità dell‟icona: se essa da un lato,
assimilabile alla Firstness, è determinabile come may-be (potrebbe essere) e come tale
rimane virtuale, nella misura in cui si diagrammatizza, non solo si rende disponibile, ma
invera la sua destinazione ontologica, in quanto il suo modo di darsi radicalizza la nozione
di limite. Ma se con limite intendiamo uno spartiacque tra le determinatezze e l‟Intero, per
Peirce cosa significa porre questo discrimine? Significa tenere presente non l‟esistenza di un
Primum, mai per intero attingibile, sebbene in se dato da sempre, come si diceva
precedentemente, che confliggerebbe con uno dei veti posti dal filosofo americano (circa
l‟inconcepibile dell‟inconoscibile), bensì le infinite possibilità che diventano segmentabili
soltanto all‟interno di uno spazio diagrammatico. E così come il diagramma lascia emergere
le sue mediazioni analogiche, al fine di sperimentare infiniti percorsi possibili, che a loro
volta in un movimento di divergenze e convergenze delineano differenze e unità possibili,
421
Rispetto a questo discorso preziose risultano le affermazioni di Sini: “il fatto, che l‟identità (l‟origine, il fondamento,
il differire) non sia determinabile in sé, che essa sia da pensarsi al tempo stesso “al di là” delle differenze e identica alle
differenze, perché mai dovrebbe indurci a ritenerla nondimeno qualcosa”? E perché poi qualcosa di inafferrabile, di
innominabile, di impronunciabile? […] Non si potrebbe osservare, più semplicemente, che identità e differenza sono
processi e non cose, pratiche di identificazione e di differenziazione, esattamente come Kant pensa l‟immaginazione
trascendentale (procedimento, monogramma, sintesi conforme a una regola) […]. L‟identità metafisica si manifesta a
partire dall‟evento del suo esercizio, il quale, come ogni esercizio, non ha di trascendentale che la sua apertura (il suo
evento, appunto) essendo per il resto un fatto ontico, o empirico che dir si voglia). Quest‟apertura non è di per sé
qualcosa di irraggiungibile che sempre sfugge o si cela al di là nella sua ineffabile trascendenza (questo è solo un modo
di pensarla entro una pratica definita dalle sue modalità empiriche o storiche che dir si voglia); piuttosto è quell‟evento
che sempre di nuovo viene detto e ripetuto nella variazione analogica di una pratica, qualcosa che appunto “è” nella
ripetizione, esattamente come è, e che ogni volta si sposta nelle sue figure empiriche”. V. Melchiorre, Dialettica del
senso, Vita e Pensiero, Milano, p. 289. 422
Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, cit p. 246. Le medesime considerazioni vengono affermate nei Prolegomeni: “i
concetti puri dell‟intelletto non hanno affatto significato, quando si voglia staccarli dagli oggetti dell‟esperienza e
riferirli a cose in sé (noumena). Essi servono soltanto, per cosi dire, a compitare i fenomeni per poterli leggere come
esperienza; i principi che nascono dal loro rifermento al mondo sensibile, servono soltanto al nostro intelletto per l‟uso
dell‟esperienza.”. Cfr. I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica, Laterza, 2006, p. 137.
258
allo stesso modo, si potrebbe dire che il limite tra mondo sensibile e mondo intelligibile, pur
nel conservare differenze produce unità.
Kant, dopo aver distinto il limite (Grenze) dal confine (Schranke), poiché il primo
costituisce uno spartiacque tra il determinabile e l‟indeterminabile, il secondo, invece, ha
come oggetto il determinabile, perviene al concetto di incondizionato, esemplificato nel
concetto di essere supremo.
E infatti Kant afferma: “Noi siamo costretti a guardare il mondo come se fosse l‟opera di un supremo intelletto e volere, in
realtà non dico niente più che questo: come un orologio, una nave, un reggimento sta
all‟orologiaio,al nocchiero,al colonnello, cosi il mondo sensibile […] sta allo Sconosciuto, che
dunque cosi io certo non conosco in ciò che esso è in sé, ma pur conosco in ciò che esso è per me,
cioè riguardo al mondo di cui io son parte. Una tale conoscenza è la conoscenza per analogia:che
non significa […] una imperfetta somiglianza di due cose, ma una somiglianza perfetta di due
rapporti tra cose del tutto dissimili”423
.
Ma le cose come vengono concepite dalla prospettiva di Peirce? Esse non sono enti bensì
relazioni, e allora ciò che conta, non è la somiglianza tra le cose, bensì la somiglianza tra le
relazioni. È nel transito da una relazione ad un‟altra che possiamo delineare fisionomie e
verità. Nella riflessione peirceana le cose non si autodefiniscono: è necessario, grazie alla
lezione del ragionamento teorematico e in termini più generali del ragionamento
diagrammatico, l‟intervento di un elemento estraneo, o meta dimensione per poterle
definire.
L‟icona mostra una relazione possibile, e ponendola, lascia intravedere altre relazioni
funzionali a rintracciare unità sempre più arricchenti, e sperimenta il significato all‟interno
delle relazioni poste.
Ma nel porre, l‟icona non pretende di definire il significato, bensì di esibirlo, perché possa
essere formalizzato dal simbolo. Insomma l‟icona ha la capacità, di sporgersi dalla sua Pura
Possibilità, che è virtuale, per assumere una fisionomia e determinare il determinabile.
L‟icona in quanto pura possibilità è quindi assenza ma, a queste condizioni può farsi
presenza e assumere un valore positivo, oltreché negativo.
Se è leggibile una valenza fondativa nell‟icona, forse questo è già rintracciabile nelle pagine
kantiane incentrate sulla nozione di limite: “L‟esperienza, che contiene tutto ciò che appartiene al mondo sensibile, non si limita da se stessa:
essa da un condizionato arriva sempre ad un altro condizionato. Ciò che ha il compito di
limitarla,deve essere del tutto fuori di essa, e questo è il campo dei puri intellettivi […]. Ma tuttavia,
siccome un limite è anch‟esso qualcosa di positivo che appartiene cosi a ciò che sta dentro di esso,
come allo spazio che sta fuori di un dato insieme, si ha una reale conoscenza positiva […]. Ma la
limitazione del campo dell‟esperienza con qualcosa che d‟altronde le è sconosciuto, è pur una
conoscenza che ancora rimane alla ragione in questo punto,nel quale essa, non chiusa entro il
mondo sensibile, ma neppure vagante fuori di esso, si limita,come conviene ad una conoscenza del
limite, soltanto al rapporto di ciò che sta fuori di esso con ciò che vi è contenuto”424
.
Il giudizio teleologico costituisce un‟altra ribalta interessante in cui, forse la prospettiva
kantiana e quella peirceana possono continuare a dialogare scambiandosi reciprocamente
indicazioni e soluzioni. L‟insistenza sul fatto che il giudizio teleologico non può qualificarsi
come determinante, poiché è un giudizio soggettivo, di fatto, anche se in modo
problematico, viene superata dalla necessità di questo tipo di giudizio per attuare una
423
I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica op. cit. p. 239. 424
I. Kant, op. cit. 245-247.
259
comprensione unitaria della natura. L‟insoddisfazione nei confronti della spiegazione
semplicemente meccanica della natura lascia spazio alla tematizzazione di un giudizio che,
pur qualificandosi come soggettivo, viene ritenuto necessario.
Infatti, anche se non si ritiene possibile, secondo Kant, attribuire alla natura un operare
secondo finalità, cionondimeno quest‟ultimo risulta fondamentale per collocare in un‟unità
sistematica i fenomeni già determinati dalle leggi meccaniche.
In questi termini il giudizio teleologico risulta analogico, poichè, piuttosto che pretendere di
sussumere i fenomeni, peraltro già determinati dalle categorie dell‟intelletto, riflette sugli
stessi per porli in rapporto ad una finalità che, in quanto tale, possa garantire loro una solida
connessione. Infatti Kant così si esprime: “ai prodotti della natura non si può attribuire
qualcosa come un rapporto della natura a scopi,ma si può soltanto adoperare quel concetto
per riflettere su di essa in vista del legame dei fenomeni, che è dato da leggi empiriche.
Questo concetto è anche del tutto diverso dalla finalità pratica (dell’arte umana o anche
della morale), sebbene sia pensato secondo un‟analogia con questa finalità”425
.
Ora l‟introduzione di una prospettiva finalistica con valenza analogica diventa, secondo la
stessa impostazione kantiana, imprescindibile, poiché non soltanto pone in rapporto i
fenomeni con l‟universale, ma questa stessa diventa condizione per comprendere, quindi per
determinare, contro gli stessi veti kantiani,alcuni fenomeni naturali come quelli degli
organismi viventi. “Non v‟è nessuna ragione umana […], che possa sperare di comprendere
semplicemente secondo cause meccaniche la produzione sia pure di un filetto d‟erba”426
.
Anche qui l‟analogia svolge un ruolo fondativo, poiché non si limita ad esprimere soltanto
una tendenza umana a cogliere gli enti e la loro conformità a scopi, ma risulta esplicativa
riguardo ad alcuni fenomeni. La spiegazione di tipo meccanicistico risulta insoddisfacente e
necessita di un approccio che implichi uno sguardo più complesso sulle cose e che tenga
conto di unità più ampie.
L‟insoddisfazione kantiana nei confronti della prospettiva meccanicistica si pone già in
linea con le insistenze argomentative peirceane in merito al ragionamento diagrammatico, in
cui i tratti iconici e i rapporti analogici cui essi danno vita si prefiggono di esplicare unità
sempre più complesse, in accordo con la natura. È utile ricordare, ciò che è stato già detto
precedentemente, che il pensiero procede secondo uniformità possibili e in queste la realtà si
riconosce. Coerentemente con l‟impostazione già elaborata negli scritti giovanili, Peirce non
riesce a vedere la dimensione del reale e del pensiero scissi, ma sempre in una relazione di
circolarità, in cui il loro scambio si rivela sempre inedito e arricchente. E sebbene Kant
intenda limitare il giudizio teleologico all‟espressione di un bisogno, ad una tendenza, di
fatto quest‟ultimo sembra trascendere i limiti impostigli, per assumere un rilievo di tipo
ontologico. Anche il movimento attivato dal giudizio teleologico sembra affine a quello
innescato dalla pratica iconico-analogica, poiché se da una parte il giudizio teleologico
prescinde dall‟esperienza, perché piuttosto deve riflettere su di essa per elaborare un‟unità
superiore, dall‟altra deve misurarsi con il dato dell‟esperienza. E quindi la definizione di
giudizio riflettente, di cui il giudizio teleologico è espressione, sembra effettivamente
possedere una struttura simile a quella riscontrabile nella struttura iconico-analogica. “Il giudizio in genere è la facoltà di pensare il particolare come contenuto nell‟universale. Se è dato
l‟universale (la regola, il principio, la legge), il Giudizio che opera la sussunzione del particolare
425
I. Kant, Critica del giudizio, trad. it. A. Gargiulo, Laterza, Roma – Bari, 2008, p. 31. 426
I. Kant, op. cit., p. 503.
260
[…], è determinante. Se è dato invece soltanto il particolare, e il Giudizio deve trovare l‟universale,
esso è semplicemente riflettente”427
.
Le mediazioni analogiche che si distribuiscono nei vari piani dell‟edificio kantiano possono
essere ricondotte ad un comune denominatore e cioè ad “un rapporto di relativa identità e
relativa differenza”428
.
L‟analogia così si pone come dimensione fondativa, il punto centrale diventa quello di
trovare all‟interno di una differenza la relazione all‟unità. Ma questo movimento continuo di
unità e differenze è l‟unico disponibile per accedere, se pur in modo indefinito, alla
possibilità di decodificare il reale.
Il percorso che ho cercato di delineare in queste pagine trova qui un suo possibile punto di
approdo. La comprensione di una valenza analogica dell‟icona, grazie alla lezione
dell‟astrazione ipostatica e del pensiero teorematico ovvero l‟idea che dobbiamo disporre
per capire le cose di una dimensione contingente e dell‟introduzione di un elemento
estraneo alla natura della cosa, contribuisce, spero, a chiarire intanto che l‟icona si pone
come notazione dell‟analogia e proprio questo getta luce sul rapporto tra natura e
convenzione. Il movimento dell‟icona, dell‟analogia e dell‟ipotesi ci permette di capire che
la doppiezza che le costituisce caratterizza il rapporto tra natura e convenzione, nella misura
in cui la convenzione si qualificherebbe come quel passaggio contingente obbligato per dar
conto del modo in cui stanno le cose dentro una dimensione naturale.
La convenzione diventa quel segmento in cui si mette in forma il naturale, la dimensione
contingente ed estranea che permette di guardare dentro l‟oggetto, come una sorta di
stratigrafia o come una sorta di cannocchiale.
In questa prospettiva la dimensione analogica finisce per investire tutte le questioni
classicheinerenti al piano del linguaggio, poiché quest‟ultimo per antonomasia costituisce la
dimora che ospita differenze e identità, e in questo senso pratica l‟analogia da sempre,
poiché il nome, pur disponendo, di un tratto materiale, evoca l‟universale, così come accade
riguardo al modo in cui si configura il pensiero diagrammatico. Anche nel caso del nome è
necessario affrancarsi da ogni modello di tipo corrispondentistico,poichè il nome no
produce la cosa: il nome si pone come un segmento in cui compare l‟identità della cosa. In
questi termini l‟azione diagrammatica può trovare le sue lontane premesse nella posizione di
Socrate che, trovandosi a dirimere la controversia tra la posizione naturalistica di Cratilo e
la posizione convenzionalista di Ermogene, in modo più avvertito pone prospettiva in cui
nome ecosa convengono.
Nel gesto del grafgista si potrebbe riscontrare l‟archetipo del senso dell‟azione
diagrammatica, poiché il diagramma implica una costruzione, e prima ancora, una
determinazione che, a sua volta implica una scelta che potrebbe in qualche modo assimilarsi
alla dimensione della convenzione. Ma d‟altra parte la convenzione sarà efficace sul piano
del nome, se introducendo un elemento, un nome porrà le premesse per avviare il processo
di significazione. E proprio nel suo essere distante dalla cosa, la parola potrà divenire
costitutiva nei confronti del reale, poiché se la convenzione istituita sarà ben articolata, essa
esprimerà una verità stabile, indipendente dai soggetti che stipulano la convenzione.
Queste considerazioni, a mio avviso, inverano lo stretto rapporto tra logica e metafisica,
caratterizzante il pensiero peirceano.
427
I. Kant, op. cit., pp. 28-29. 428
V. Melchiorre, La Differenza e L‟origine: alle Sorgenti dell‟analogia in Figure del Sapere, Vita e Pensiero, Milano,
1994, p. 79.
261
La dimensione logica diventerebbe quel segmento formale, ma al tempo stesso plastico,
sempre rimodellatesi, finalizzato non a rispecchiare la realtà, che rimane inattingibile, senza
operazioni di formalizzazione, ma a mostrare le possibili connessioni del reale, che non
hanno altro luogo in cui apparire se non proprio all‟interno del linguaggio formalizzato. Ma
se così stanno le cose il linguaggio della logica deve proporsi aperto a tracciare e a
trascrivere gli infiniti percorsi possibili attraverso i quali è possibile rintracciare la
fisionomia del reale. Certamente essa è frutto di una costruzione, ma non è imputabile
all‟opera del singolo pensiero, ma alle indicazioni che provengono dallo stesso fondo
categoriale che può utilizzare la sua energia ontologica soltanto all‟interno di possibili
trascrizioni formali.
262
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Opere di Peirce
Collected Papers of C. S. Peirce, voll. I-VI, C. Hartshorne e P. Weiss, The Belknap Press
Harvard University Press, Cambridge1931-1935, voll. VII-VIII, a cura di A. Burks,
Cambridge 1958.
Writing of Charles S. Peirce. A Chronological Edition, a cura del Peirce Edition Project, v.
I 1857-1866, Indiana University Press, Bloomington, 1982; v. II 1867-1871, Bloomington
1984; v. III 1872-1878, Bloomington, 1986; v. IV 1879-1884, Bloomington, 1989; v. V
1884-1886, Bloomington 1993; v. VI 18886-1890, Bloomington 1999; v. VIII 1890-1892,
Bloomington, 2010.
The New Elements of Mathematics, by Charles S. Peirce, 4 voll.,a cura di C. Eisele,
Mouton Publishers, The Hague 1976.
The Essential Peirce, vol. I (1867-1893), a cura di N. Houser e C. Kloesel, Indiana
University Press, Bloomington- Indianapolis, 1992.
The Essential Peirce, vol. II, a cura del Peirce Edition Project, Indiana University Press,
Bloomington-Indianapolis, 1998.
I manoscritti di C. S. Peirce nell‟Annoted Catalogue of the Papers of Charles S. Peirce, a
cura di R.Robin, Amherst, University of Massachussets Press,1967. Da due anni in Italia
è consultabile la copia digitalizzata del microfilm dei manoscritti, presso il Centro Studi
Peirce della Biblioteca della Facoltà di Filosofia dell‟Università di Milano.
Antologie
Caso, amore e logica,a cura di M. Cohen, trad. it. di N. e M. Abbagnano, Torino, Taylor,
1956.
Dalla Scienza alla Metafisica, Antologia dagli scritti di C. S. Peirce, a cura di N. Bosco,
vol. II, Giappichelli,Torino1977.
Scritti di Filosofia, a cura di W. Callaghan, trad. it. di L. M. Leone, Bologna, Cappelli
1978.
Scritti di Logica, introd. di C. Mangione, trad. it. di A. Monti, Firenze, La Nuova Italia,
1981.
263
Le leggi dell‟ipotesi, a cura di M. Bonfantini, R. Grazia, G. Proni, con la collaborazione di
M. Ferraresi, Milano, Bompiani, 1984.
La logica degli eventi, a cura di R. Fabbrichesi Leo, presentazione di C. Sini,
Milano,Spirali, 1989.
Categorie, a cura di R. Fabbrichesi Leo, Laterza, Roma-Bari 1992.
Pragmatismo e oltre, a cura di G. Maddalena, Bompiani, Milano, 2000.
Opere, a cura di M. Bonfantini, con la collaborazione di G. Proni, Bompiani, Milano, 2003.
Pragmatismo e Grafi Esistenziali, ( a cura di S. Marietti) Jaca Book Milano, 2003.
Testi critici
Abrams Jerrold J. Peirce, Kant and Apel on Transcendental Semiotics: The Unity of
Apperception and the Deduction of Categories of Signs, «TCPS» 40 (2004) n. 4 pp. 627-
677.
Agamben G., Signatura Rerum, Torino, Bollati Boringheri, 2008
Alexander M. Thomas, Pragmatic Imagination, «T.C.P.S.» 26 (1990), n. 3, pp. 325-348.
Anagnostopoulos Georgios, The significance of Plato‟s Cratylus, «Review of
Metaphysics» 27 (1973), n. 4 pp. 318-345.
Andacht F., El lugar de la imaginaciòn en la semiòtica de C.S. Peirce, «Anuario
Filosofico», 29(1996), n. 3 pp. 1265-1289.
Andacht Fernand, On the Relevance of the Imagination in the Semiotic of C.S. Peirce,
«Versus – Quaderni di studi semiotici», 80 ( 2000), pp. 201-228.
Andacht Fernand ,Iconicity Revisited. An Interview with Joseph Ransdell, in Recherches
Sémiotique/Semiotic Inquirry. Vol. 23, No.1-2-3, (2003), pp. 221-240.
Andacht Fernand, Reflections on iconic power:from technocynism to synechism, «The
Journal of the international association of visual semiotics» Vol. 9:1-2, (2004) pp. 133-
150.
Anderson Douglas, Peirce on Metaphor, «TCPS», 20 (1984), n. 4 pp. 453-468.
Apel Karl Otto, Comunità e Comunicazione, Torino, Rosenberg & Sellier, 1977.
Apel, Karl Otto, From Kant to Peirce: the semiotical transformation of transcendental
logic, in L.W. Beck (ed.), Proceedings of the third international Kant congress,
Dordrecht, Reidel, (1972), pp 90-104.
264
Apel Karl-Otto, Charles S. Peirce: from pragmatism to pragmaticism, Amherst,
University of Massachusetts Press, 1981.
Apel Karl-Otto, Transcendental Semiotics and Hypothetical Metaphysics of Evolution: A
Peircean or Quasi-Peircean Answer to a Recurrent Problem of Post-Kantian Philosophy,
in K.L. Ketner (a cura di), Peirce and Contemporary Thought. Philosophical inquiries.
New York, Fordham University Press,1995, pp. 366-397.
Apel Karl-Otto, Pragmatism as Sense- Critical Realism Based on a Regulative Idea of
Truth: In Defense of a Peircean Theory of Reality and Truth, «T.C.P.S.» 37(2001), n. 4 pp.
445-474.
Aristotele, LaMetafisica/introduzione, traduzione e parafrasi di Giovanni Reale, Milano,
Rusconi, 1989.
Beuchot Mauricio, El Pensamiento analogico en Las Filosofias analitica y pragmatica,
«Dianoia» 47 (2002), n. 48 pp. 25-36.
Black Max, Modelli Archetipi Metafore, Parma, Pratiche Editrice, 1983.
Boboc Alexandru, Kant and Peirce: the Trascendental and Trascendentality in the
semiotic transformation of transcendental philosophy «Revista de filosofie», 51(2004) n.
3-4 pp. 391-397.
Bonfantini Massimo A. Martone Arturo (a cura di), Peirce in Italia, Atti del convegno
«Peirce in Italia» (Napoli,5-7 dicembre 1990), Liguori, Napoli, 1993.
Brandt Per Aage, How Logic Evolves from Representation: Peirce‟s Early Semiotics in the
First Harvard Lecture, «T.C.P.S.», 33 (1997) n. 4 pp. 959-972.
Brent Joseph, Charles Sanders Peirce: a life, Bloomington, Indiana University press,
1998.
Brunning, J. - Forster, P. (eds.), The rule of reason. The Philosophy of Charles S. Peirce,
Toronto-Buffalo-London, University of TorontoPress 1997.
Campos G. Daniel, Peirce on the Role of Poietic Creation in Mathematical Reasoning,
«TCPS», 43 (2007), n. 3 pp. 470-489.
Canto Monique, Le Semeion Dans Le Cratyle, «Revue de Philosophie Ancienne», (I),
(1987), pp. 9-25.
Caputo Cosimo, Segni “fatti”, segni “feticci”, segni “fatticci”, Sebeok e Latour, «Segni e
comprensione» 58 (2006), pp. 135-144.
265
Cassin Barbara, Le doigt de Cratyle, « Revue de Philosophie ancienne», 2 (1987), pp. 139-
150.
Cassin Barbara, La decisione di significare: il libro Gamma della Metafisica/ introduzione
di Barbara Cassin testo critico, commentario di Barbara Cassin e Michel Narcy, edizione
italiana, a cura di Stefano Maso. Bologna, Zanichelli, 1996.
Chumbley Robert, The Synonymous Nature and Communal Function of Peirce‟s Ground,
Immediate Object and Meaning: Three Abductions, «TCPS» 36(2000), n. 3 pp. 407-418.
Copi M. Irving, Introduzione alla Logica,Bologna, Il mulino, 1969.
Colapietro Vincent M. and Olshewsky Thomas M. Peirce‟s Doctrine of Signs, Berlin/New
York, Mouton de Gruyter, 1996.
Colapietro Vincent,Processi di costruzione dell‟immagine e di immaginazione: verso una
chiarificazione pragmatica dell‟immagine, in papers presented at the conference “Peirce
and image”, coordinated by Martin Lefebvre (Concordia University, Quebec) -
Giampaolo Proni (University of Bologna) (Urbino, C.I.S. e L., 17-18-19- July, 2006).
Corrington, R. An Introduction to C. S. Peirce: Philosopher, Semiotician and Ecstatic
Naturalist, Signs of the world, Langham, MD: Rowman & Littlefield, 1993.
Christensen C. B., Peirce‟s transformation of Kant, «The Review of Metaphysics», 48
(1994) n. 1 pp. 91-120.
Cornelis de Waal, Why Metaphysics Needs Logic and Mathematics Doesn‟t: Mathematics,
Logic and Methaphysics in Peirce‟s Classification of the Sciences?, «TCPS» 41(2005) n.
2 pp. 283-297.
Decker, S., Kevin, Ground, Relation, Representation : Kantianism and the Early
Peirce,«T.C.P.S», 37, (2001), n. 2 pp.179-199.
Deladalle Gérard, Charles S. Peirce: phénoménologue et sémioticien, Amsterdam/
Philadelphia, John Benjamins, 1987.
Delaney Cornelius F., Science Knowledge and mind: a Study in the Philosophy of C.S.
Peirce, Notre Dame, University of Notre Dame Press, 1993.
De Marco G., La radice logica dell‟antintuizionismo in Peirce, Quaderni di Acme 60,
(2003), pp. 69-98.
De Tienne André, Peirce‟s early Method of Finding the Categories, «TCPS» 25 (1989),
n. 4 pp. 385-406.
266
De Tienne André, Iconoscopy between Phaneroscopy and Semiotics,in papers presented at
the conference “Peirce and image”, coordinated by Martin Lefebvre (Concordia
University, Quebec) -Giampaolo Proni (University of Bologna) (Urbino, C.I.S. e L., 17-
18-19-July,2006)
Dinda L. Gorlée, Semiotics and the problem of translation, Amsterdam- Atlanta,
Raymond van den Broeck and Kitty M. van Leuven- Zwart, 1994.
Dipert R. Randall, Reflections on iconicity, representation and resemblance: Peirce‟s
theory of signs, Goodmann on resemblance, and modern Philosophies of language and
mind, «Synthese», 106 (1996), n. 3 pp. 373-397.
Doughert Charles, Peirce‟s Phenomenological defense of Deduction, «An International
Quarterly Journal of general Philosophical Inquiry», (1980), 63, pp. 364-374.
Douglas R. Anderson, Creativity and the Philosophy of C. S. Peirce, Dordrecht, Martinus
Nijhoff, 1987.
Douglas R. Anderson, Peirce and Heidegger: A shared concern, «Philosophy Today»,
Summer (1986), pp. 119-125.
Eco Umberto, Le forme del contenuto, Bompiani, 1971.
Eco Umberto, “Peirce‟s Analysis of Meaning” in Proceedings of the C.S. Peirce‟s
Bicentennial International Congress, K. Ketner et al. (eds.) Lubbock: Texas Tech Press,
1981.
Eco U. e Sebeok T. A. (a cura di), Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce, Bompiani,
Milano 1983.
Eco Umberto, Kant e l‟Ornitorinco, Milano, Bompiani, 2005.
Eco Umberto, Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi,1984.
Esposito Joseph, Evolutionary metaphysics: the development of Peirce's theory of
categories. Athens, Ohio University press, 1980.
Fabbrichesi Leo Rossella, L‟iconismo e l‟interpretazione fenomenologica del concetto di
somiglianza in C.S. Peirce, «ACME», 34 (1981), n. 3 pp. 467-498.
Fabbrichesi Leo Rossella, La polemica sull‟iconismo, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 1983.
Fabbrichesi Leo Rossella, I Grafi esistenziali di Charles S. Peirce, «Acme, Annali della
Facoltà di Lettere e Filosofia dell‟Università di Milano» 36 (1983), n. 2-3, pp. 41-83.
267
Fabbrichesi Leo Rossella, Sulle tracce del segno. Semiotica, faneroscopia e cosmologia
nel pensiero di Charles S. Peirce, Firenze, La Nuova Italia, 1986.
Fabbrichesi Leo Rossella, I manoscritti di Charles S. Peirce e il “Peirce Edition Proiject”,
in Cultura e Scuola, n. 102 (1987), pp.142-153.
Fabbrichesi Leo Rossella, Il concetto di relazione in Peirce. Dalla genesi categoriale alla
notazione logico-diagrammatica, Milano, Jaca Book,1992.
Fabbrichesi Leo Rossella, Del certo e del vago: l‟analisi del senso comune in Peirce e in
Wittgenstein, Quaderni di Acme 60, (2003), pp. 9-44.
Fabbrichesi Leo Rossella, Introduzione a Peirce, Roma-Bari, Laterza, 2005.
Fabbrichesi Leo Rossella, Continuità e Variazione. Leibniz, Goethe, Peirce, Wittgenstein
con un‟incursione kantiana, Milano, Mimesis, 2005.
Fabbrichesi Leo Rossella and Marietti Susanna, Semiotics and philosophy in Charles
Sanders Peirce, (edited by), Newcastle, Cambridge scholars Press, 2006.
Fadda E., La semiotica una e bina. Problemi di Filosofia del segno da C.S. Peirce a F. de
Saussurre e L.J. Prieto, Università della Calabria, 2004.
Faggiotto Pietro, La Metafisica Kantiana della Analogia, Trento, Istituto di Filosofia
dell‟Università degli Studi di Padova, 1996.
K.T.Fann, Peirce‟s Theory of Abduction, Martinus Nijhoff, The Hague, 1970.
Feibleman James, Peirce‟s use of Kant, «The Journal of Philosophy», 42 (1945), n. 14 pp
.365-377.
Ferriani M., Peirce e la Logica deduttiva: Gli Anni Giovanili, «Annali di discipline
filosofiche dell‟Università di Bologna» 8 (1986-1987), pp. 5-89.
Ferriani Maurizio, I grafi esistenziali peirceani: genesi e motivi di una notazione, «Lingua
e Stile» 25 (1990), n. 3 pp. 383-404.
Ferriani Maurizio, Logica e filosofia della logica. Studi su Boole e Peirce, Bologna,
Clueb, 1999.
Fetzer J. H., What is abduction? An Assessment of Jaakko Hintikka‟s conception in
Symons John and Kolak Daniel, Quantifiers, Questions and Quantum Phyiscs.Essays on
the Philosophy of Jaakko Hintikka, Netherlands, Springer, 2004, pp. 127-155.
Findlay John Niemeyer, Kant and the transcendental object: a hermeneutic study, Oxford,
Clarendon Press, 1981.
268
Fitzgerald John J., Peirce‟s theory of signs as foundation for pragmatism, The Hauge-
Paris, Mouton, 1966.
Floyd Merrell, Peirce, Signs and Meaning, Toronto, University of Toronto press, 1997.
Forest Michael, Peirce and Semiotic Foundationalism, «T.C.P.S.» 43 (2007), n. 4 pp.
728-744.
Friedman Lesley, C.S . Peirce‟s Transcendental and Immanent Realism, «T.C.P.S.»,
Spring (1995), pp. 374-392.
Gaiarsa Alessandra, Nota sul concetto di costruzione, in Logica e Metafisica di Jena, a
cura di Franco Chiereghin, by Verifiche, Vol. 4, Trento, 1980, pp. 429-442.
Gava Gabriele, The Purposefulness in our Thought: a Kantian Aid to Understanding Some
Essential Features of Peirce, «T.C.P.S.», 44 (2008) n. 4 pp. 699-727.
Gentner D. and Markman B. Arthur, Similarity is like analogy: structural alignment in
comparision, in C. Cacciari (Ed.), Similarity in language, thought and perception,
Brussels: BREPOLS, 1995, pp. 111-147.
Grenlee, D., Peirce‟s concept of signs, The Hauge-Paris, Mouton, 1973.
Haack Susan, La legitimidad de la metafisica: el legado de Kant a Peirce, y el de Peirce a
la filosofia de nuestros dias, in «Annuario filosofico», 40 (2007), n. 22 pp. 471-492.
Hausman R. Carl, Charles S. Peirce‟s Evolutionary Philosophy, Cambridge University
Press, 1993.
Hausman R. Carl, Fourthness: Carl Vaught on Peirce‟s Categories, «T.C.P.S.» 24 (1988),
n. 2 pp.14-265.
Hausman R. Carl, Metaphorical Semeiotic Referents: Dyadic Objects, «T.C.P.S.» 43,
(2007), n. 2 pp. 276-287.
Heflik W, Kant and Peirce the transformation of transcendental Philosophy (in (Polnish)
«Kwfil», 34 (2006) n. 2 pp. 117-131. Helmut.
Hilpinen Risto, On the object and Interpretants of signs: Comment on T.L. Short „s
Peirce‟s Theory of Signs, «T.C.P.S.» 43 (2007) n. 4. pp. 610-618.
Hintikka Jaakko, C.S. Peirce‟s “First Real Discovery”and its contemporary relevance,
«The Monist», 63 (1980) pp. 304-315.
269
Hintikka Jakko, The Place of C.S. Peirce in the History of Logical Theory, in J.Brunning –
P. Forster (eds.), The rule of reason. the philosophy of Charles Sanders Peirce, Toronto-
Buffalo-London, University of Toronto Press, 1997, pp. 13-33.
Hintikka Jakko, What is Abduction? The Fundamental Problem of Contemporary
Epistemology, «TCPS» 34 (1998), n. 3 pp. 503-533.
Hoffmann Michael H.G., How To Get It. Diagrammatic Reasoning as a Tool of
Knowledge Development And ITS Pragmatic Dimension, in Foundation of Science 9
(2004) pp. 285-305, 2004.
HooKway Cristopher, Peirce, London, Routledge e Kegan Paul,1985.
Hookway Cristopher, Truth, Rationality and Pragmatism, Oxford, Clarendon Press, 2000.
Hookway Cristopher, “…a sort of composite photograph”: Pragmatism, Ideas, and
Schematism, «T.C.P.S.», 38 (2002), n. 1-2 pp. 29-45.
Hookway Cristopher, Short on Peirce‟s Early Theory of Signs «T.C.P.S.», 43 (2007) n. 4
pp. 619-625.
Hull K, Why Hanker After Logic? Mathematical Imagination, Creativity and Perception in
Peirce‟s Systematic Philosophy, «T.C.P.S.» 30 (1994) pp. 271-295.
Johnson Mark, The body in the mind: the bodily basis of meaning, imagination, and
reason, Chicago, University of Chicago, 1987.
Janik Piotr, Trascendent Action in the light of C.S. Peirce‟s Architectonic system, «Forum
Philosophicum: International Journal of philosophy» 12 (2007), n.1 pp. 131-138.
Kaag John, Continuity and Inheritance Kant‟s Critique of Judjment and the Work of C. S.
Peirce, «T.C.P.S.» 41(2005), n. 3 pp. 515-540.
Kant, Critica della ragion pura, vol I-II (trad. di G. Gentile e G. Lombardo-Radice),
Roma- Bari, Laterza, 1979.
Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica (trad. di Pantaleo Carabellese), Roma- Bari,
Laterza 2008.
Kant I., Critica del giudizio (trad. di A. Gargiulo), Roma-Bari, Laterza, 2002.
Kasaki Masashi, Hintikka Jaakko, Socratic Epistemology: Explorations of Knowledge-
Seeking by Questioning, The Review of Metaphysics, 2008, December, 1.
Kelly Derek, Architecture as Philophical paradigma, «Metaphilosophy», 7(1976), pp. 173-
190.
270
Kempski, Jürgen von, Charles Sanders Peirce und die Apagogé des Aristoteles, in A.
Menne von, A. Wilhelmy und H. Angstl, (Ed.) Kontrolliertes Denken. Untersuchungen zum
Logikkalkül und zur Logik der Einzelwissenschaften. Verlag Karl Alber, Freiburg i.Br.,
München. Auch in Kempski, J. von, Prinzipien der Wirklichkeit. Schriften 3. Frankfurt:
Suhrkamp 1992, pp. 310-319.
Ketner Laine Kenneth, How Hintikka Misunderstood Peirce‟s Account of Theorematic
Reasoning, «TCPS» 21(1985), n. 3 pp. 12-407.
Kruse E. Felicia, Is Music a Pure Icon, «T.C.P.S.» 43 (2007), n. 4 pp. 626-635.
Kruse E. Felicia, Nature and Semiosis,«T.C.P.S.» 26(1990), n. 2 pp. 211-224.
Landsberg E. Marge, Syntactic Iconicity and Linguistic Freezes: The Human Dimension,
Berlin, Mouton de Gruyter, 1995.
La Rocca C., Strutture kantiane, Pisa, Edizioni Ets,1990.
Lavore Laura, Motivi kantiani nel pensiero di Peirce, Palermo, la Palma, 1986.
Levy H. Stephen, Peirce‟s Theoremic/ Corollarial Dinstinction and The Interconnections
Between Mathematics and Logic, in N. Houser - D.D. Roberts - J.van Evra (eds.), Studies
in the Logic of Charles Sanders Peirce, Bloomington, Indiana University Press, 1997, pp.
85-110.
Liszka J. J., A General Introduction to the Semiotic of Charles Sanders Peirce,
Bloomington, Indiana University Press, 1996.
Licata Gaetano, Teoria platonica del linguaggio: prospettive sul concetto di verità,
Genova, Il melangolo, 2007.
Lo Piparo, Franco, Aristotele e il linguaggio. Cosa fa di una lingua una lingua. Roma-
Bari, Laterza, Percorsi 48, 2005.
Lo Piparo, Franco, Angolo retto e nome ortogonale. I modelli matematici del Cratilo, in
Semiotica: testi esemplari. Storia,Teoria e pratica, proposte, a cura di G. Manetti e P.
Berretti, Testo e immagine, Torino, pp. 3-14.
Loraux Patrice, L‟audition De l‟essence. Essai d‟homophonie, «Revue De Philosophie
Ancienne», (1987), V, (I), pp. 27-47.
Mc. John Stephen M., On Uberty: Legal Reasoning by Analogy and Peirce‟s Theory of
Abduction, «Willamette Law Review» ,Vol. 29, 1993, pp. 191-235.
271
Maltese Corrado, Iconismo ed Esperienza, in Aspetti dell'iconismo : atti del 4. Convegno
della Associazione italiana di studi semiotici, Pavia 24-25 settembre 1976 (S.l.) : AISS,
stampa 1978 (Pavia : GJES), pp. 54-71.
Manetti Giovanni, Le teorie del segno nell‟antichità classica. Milano, Bompiani, 1987.
Margolis, Peirce‟s Fallibilism, «T.C.P.S.» 43 (2007), n. 2 pp. 229-249.
Marietti Susanna, La trattazione della generalità matematica in Charles Sanders Peirce,
«Quaderni di acme» 60 (2003), pp. 45-67.
Marietti Susanna, Icona e diagramma: Il segno matematico, Milano, LED, 2001.
Marietti Susanna, Su Elizabeth F. Cooke, Peirce, Fallibilism, science of Mathematics,
«Philosophia Mathematica» 11(2003) n. 2. pp. 1-3.
Marietti Susanna, Deduzione e Diagrammi. Un confronto tra Peirce e Frege, in «Quaderni
di acme» (2000), n. 44. pp. 39-54.
Melchiorre Vincenzo, Analogia e Analisi Trascendentale, Milano, Mursia, 1991.
Melchiorre Vincenzo, La Via Analogica, Milano, Vita e Pensiero, 1996.
Melchiorre Vincenzo, La differenza e L‟origine: Alle Sorgenti dell‟analogia in Figure del
Sapere, Vita e Pensiero, Milano 1994 pp. 73-89.
Menand Louis, Il Circolo metafisico: la nascita del pragmatismo in America, Firenze,
Sansoni, 2004.
Michael Morris, Le Cratyle De PLaton ET La Base Semantique De la Théorie Des
Formes, «Revue De Philosophie Ancienne», (1988), VI, 2, pp. 155-183.
Midtgarden Torjus, Peirce‟s Epistemology and its Kantian Legacy: Exegetic and
Systematic Considerations, «Journal of the History of Philosophy» 45 (2007), n. 4, pp.
577-601.
Morgan C. ,Modality, Analogy and Ideal Experiments according to C.S.Peirce,
«Synthese» 41(1979) 65-83.
Muller Ralf, On the Principles of Construction and the Order of Peirce‟s Trichotomies of
Signs, «T.C.P.S.», 30 (1994) n. 1 pp. 135-153.
Muller Wolfgang G. and Olga Fischer, From Sign to Signing, Amsterdam/ Philadelphia,
John Benjamins, 2003.
Murphey, Murray G., The development of Peirces philosophy, Indianapolis, Cambridge,
1993.
272
Narcy Michel, Cratyle par Lui-Méme, «Revue de Philosophie ancienne», 2 (1987), pp.
151-165.
Neisser U., Cognition and Reality, San Francisco, Freeman, 1975.
Nesher Dan, Are There Grounds for Identifying “Ground” with “interpretant” in Peirce‟s
Pragmatic Theory of Meaning?, «T.C.P.S.» 20 (1984) n. 3 pp. 303-324.
New Essays on Peirce‟s Mathematical Philosophy, Edited by Matthew E, Moore, Open
Court, Chicago and La Salle, Illinois, 2010
Nicolaci Giuseppe, Aristotele e il linguaggio oltre il dilemma natura/convenzione,
«Giornale di Metafisica-Nuova serie» 26 (2004), pp. 547-556.
Nicolaci Giuseppe, Metafisica e metafora: interpretazioni aristoteliche, Palermo, L‟Epos,
1999.
Noth Winfried, Peircean Semiotics in the Study of Iconicity in Language, «T.C.P.S.» 35
(1999), n. 3 pp. 613-619.
Noth Winfried, Representations of imaginary, nonexistent, or non figurative objects, in
papers in papers presented at the conference “Peirce and image”, coordinated by Martin
Lefebvre (Concordia University, Quebec)-Giampaolo Proni (University of Bologna)
(Urbino, C.I.S. e L., 17-18-19 July, 2006).
Noth Winfried, Foundations of Natural Linguistic and Diagrammatic Iconicity, in K.
Willems & L. De Cuypere (eds.), Naturalness and Iconicity in Language, Amsterdam,
Benjamins, 2008, pp. 73-100. pp. 73-100. Noth Winfried, Iconicity of Symmetries and
Asymmetries in Syntactic Coordination, in C. Küper (ed.), Von der Sprache zur Literatur:
Motiviertheit im sprachlichen und im poetischen Kode, Tübingen, Stauffenburg, 23-36.
Noth Winfried, Handbook of semiotics, Bloomington, Indianapolis, 1990.
Noth Winfried, Origins of semiosis: sign evolution in nature and culture, Berlin/New
York, Mouton de Gruyter, 1994.
Noth Winfried, Opposition the root of Semiosis, in Origins of semiosis: sign evolution in
W. Noth (edited by), Nature and culture, Berlin/New York, Mouton de Gruyter, 1994, pp.
37-60.
Noth Winfried, The Semiotic Potential for Iconicity in Spoken and Written Language,
«Kodikas/Code» 13 (1996) n. 3/4 pp. 191-209.
273
Noth Winfried, Symmetry in Oral and Written Language, in S. Cmejrkova, F. Danes, E.
Havlova (eds.), Writing vs speaking: language, text, discourse, communication:
Proceedings of the Conference held at the Czech language institute of the Academy of
sciences of the Czech Republic: Prague, October 14-16,1992, pp .97-110.
Oehler Klaus, Peirce contra Aristotle: two forms of the theory of categorie, in K. L.
Ketner (edited by), 2. Graduate studies Texas tech University: Proceedings of the C.S.
Peirce bicentennial international Congress, Lubbock, Texas tech press, 1981, pp. 335-342.
O‟Hara L. David, Peirce, Plato and Miracles: On the Mature Peirce‟s Re-discovery of
Plato and the Overcoming of Nominalistic Prejudice in History, «T.C.P.S.», 44 (2008), n.1
pp. 26-39.
Ortiz de Landazuri Carlos,De Kant a Peirce, Cien anos despues. A traves de K.O. Apel,
«Annuario filosofico», 29 (1996) n. 3 pp. 1185-1210.
Ochs Peter, Peirce: pragmatism and the logic of scripture, Cambridge, Cambridge
University Press, 1998.
Palumbo M., Immaginazione e Matematica in Kant, Laterza, Roma-Bari 1985.
Panzarella Massimo, Logica dei Quantificatori dipendenti e indipendenti, Milano, Franco
Angeli, 2009.
Pape Helmut, The natural and final: Some Problem with Short‟s Naturalistic Account of
the Teleological Structure of Semiosis, «T.C.P.S.» 43, (2007) n. 4. pp. 645-653.
Peterson John, Signs, Thirdness and Conventionalism, «TCPS» 19 (1983) n. 1 pp. 23-28.
Pharies David A., Charles S. Peirce and the Linguistic Sign, Amsterdam/ Philadelphia,
John Benjamins, 1985.
Platone, Cratilo, in L. Minio-Paluello (a cura di), Platone Opere Complete, Roma-Bari,
Laterza, 1984, pp. AAA.
Potter Vincent., Peirce on Substance and foundations in Peirce‟s Philosophical
perspectives, edited by Vincent Colapietro, New York, Fordham University Press, 1996.
Proni Giampaolo, La Matematica nella Teoria di Peirce, in A. Repola Boatto (a cura di),
Filosofia logica matematica dal periodo classico al nostro secolo. Atti del convegno
Filosofia logica matematica dal periodo classico al nostro secolo, Ancona, 25, 26, 27
marzo 1993, Quaderni di "Innovazione scuola", (1994), Ancona, pp. 225-242.
Proni Giampaolo, Introduzione a Peirce, Milano, Bompiani, 1990.
274
Proni Giampaolo, Aristotle‟s Abduction, in M. Herzfeld, L. Melazzo, Semiotic theory and
practice. Proceedings of the Third International Congress of the IASS Palermo, 1984,
Berlin, New York, Amsterdam, Mouton de Gruyter, 1988, pp. 953-961.
Proni Giampaolo, L‟icona nella teoria di Peirce come condizione della conoscenza e del
segno, in papers presented at the conference “Peirce and image”, coordinated by Martin
Lefebvre (Concordia University, Quebec) Giampaolo Proni (University of Bologna)
(Urbino, C.I.S. e L., 17-18-19 July, 2006).
Ransdell Joseph, Another Interpretation of Peirce‟s Semiotic, «TSPC» 12 (1976) n. 2 pp.
97-110.
Ransdell Joseph ,T.L. Short on Peirce‟s Semiotic, «T.C.P.S.», 43 (2007), n. 4 pp. 654-662.
Rellstab Hugo Daniel, Peirce for linguistic pragmaticists, «TSCP» 44 (2008) n. 2 pp. 312-
345.
Ricoeur P., La sfida semiologica, Roma, Armando, 1969.
Roberts D., The existential graphs of Charles S. Peirce, The Hague – Paris, Mouton,
1973.
Sami Pihlstrom, Peircean Scholastic Realism and Trascendental Arguments, «TCPS». 34
(1998), n. 2 pp. 382-413.
Savan David, Peirce and Idealism in K. L. Ketner (edited by), Peirce and contemporary
thought: philosophical inquiries, New York: Fordham University Press, 1995, pp. 315-
328.
Sebeok A. Thomas, Iconicity, «MLN» 91 (1976) n. 6 pp. 1427-1456.
Short Thomas L., Peirce‟s Theory of Signs, Cambridge, Cambridge University Press,
2007.
Short Thomas L., Was Peirce a Weak Foundationalist?, «TCPS» 36 (2000), n. 4 pp. 26-
503.
Short Thomas L., Peirce on meaning and Translation, «Athanor» X (1999-2000) n. 2, pp.
71-81.
Short Thomas L., Semeiosis and Intentionality, «TCPS» 17 (1981) n. 3 pp. 197-223.
Short Thomas L., What they Said in Amsterdam: Peirce‟s Semiotic Today, «Semiotica» 60
(1986), pp. 28-103.
275
Short Thomas L., Hypostatic Abstraction in Empirical Science, in «Grazer Philosophische
Studien», 32 (1988), pp. 51-68.
Sini Carlo, Il pragmatismo americano, Bari, Laterza 1972.
Sini Carlo,Semiotica e filosofia. Segno e linguaggio in Peirce, Nietzsche, Heidegger e
Foucault, Bologna, Il Mulino, 1978.
Sini Carlo, Passare il segno, Semiotica, cosmologia, tecnica, Milano, Il Saggiatore, 1981.
Sini Carlo, Kinesis, Milano, Spirali, 1982.
Sini Carlo, I segni dell‟anima, Saggio sull‟immagine, Roma–Bari, Laterza, 1989.
Sini Carlo, Etica della scrittura, Milano, Il Saggiatore, 1992.
Sini Carlo, Fabbrichesi Leo, Variazioni sul foglio mondo. Peirce, Wittgenstein, la
scrittura, Como, Hestia edizioni, 1993.
Sini Carlo, Metafisica Analogia e scrittura della verità), Milano, CUEM, 1997.
Sini Carlo, L‟analogia della parola, Milano, Jaca Book, 2004.
Sowa John F. and Arun k. Majumdar, Analogical Reasoning. Vivo Mind LLC, in
Proceedings of International Conference on Conceptual Structures in Dresden, Germany,
July 2003.
Stjernfelt, Frederik Diagrammatology An Investigation on the Borderlines of
Phenomenology, Ontology and Semiotics, Dordrecht, Springer, 2007.
Sun-Joo Shin, The iconic Logic of Pierce‟s Graphs, Massachussets, Institute of
Tecnology, 2002.
Sun-Joo Shin, Kant‟s Syntheticity Revisited by Peirce, «Synthese» 113 (1997), pp. 1-41.
Tait William, Reflections on the concept of a priori truth and its corruptions by Kant in
M. Detlfsen (edited by) Knowledge in mathematics, London and New York, Routledge,
1992, pp. 33-64.
Tienne André De, Peirce‟s early Method of Finding the Categories, «TCPS» 25 (1989), n.
4 pp. 385-406.
Tiles J. E., Iconic Thought and Scientific Imagination, «TCPS» 24 (1988) n. 2 pp. 161-
178.
Tursman Richard, Peirce‟s theory of scientific discovery : a system of logic conceived as
semiotic, Bloomington, Indianapolis, 1987.
276
Vaught G. Carl, Semiotics and the Problem of Analogy: A Critique of Peirce‟s Theory of
Categories, «TCPS» 22 (1986), n. 3 pp. 16-311.
Vecchio Sebastiano, Provarci e riuscirci. Aspetti del conoscere, «Segno» 247-248 (2003),
pp. 93-108.
Vecchio Sebastiano «All those things that aren‟t evidence». Le abduzioni di Padre Brown,
in G. Manetti e P. Bertetti (a cura di), Atti del XXIX Convegno dell‟Associazione Italiana
di Studi Semiotici (A, I.S.S) Castiglioncello, 5-6-7 ottobre 2001, Semiotica: testi
esemplari, Torino, Testo & Immagine, 2003, pp. 277-291.
Vimercati Fulvia, La scrittura del Pensiero. Semiotica e fenomenologia nei grafi
esistenziali di C.S. Peirce, Milano, Albo Versorio, 2005.
Waugh Linda, Let‟s Take the Con Out of Iconicity: Constraints on Iconicity in the
Lexicon, «The American Journal of Semiotics» 9 (1992), pp. 7-48.
Zalamea Fernando, Ostruzioni e passaggi nella dialettica continuo/ discreto, «Dedalus» 2
(2007) pp. 20-25.
Zeman J. Jay, Peirce on Abstraction, «The Monist» 65 (1982), n. 2 pp. 211-229.
Zeman J. Jay, Peirce‟s Philosophy of Logic, «T.C.P.S.», 22 (1986), n.1, pp. 1-22.
Webgrafia
Faller Mark The origin of Peirce‟s abduction in Plato‟s analytic method, [on line],
http://polar.alaskapacific.edu/mfaller/PeircPlt.PDF ,agg. 05.11.09.
Ransdell Joseph, On Peirce‟s Conception of the Iconic Sign, [online],
http://www.cspeirce.com/menu/library/aboutcsp/ransdell/iconic.htm agg.05.11.9
Ransdell Joseph, The Epistemic Function of Iconicity in Perception, in K. Ketner and
Ransdell et. al., Studi1, [online],
http://www.cspeirce.com/menu/library/aboutcsp/ransdell/epistemic.htm, agg.05.11.09.
(Lubbock, TX. Institute for Studies in Pragmaticism), 1995, pp.1-56.
277
INDICE
PRIMA PARTE
Introduzione pag 1
Primo capitolo Natura e convenzione negli scritti giovanili di Peirce
Le radici metafisiche del progetto semiotico pag. 14
Dall‟essere al segno: metafisica e logica pag. 22
La nozione di rappresentazione e la triade segnica pag. 27
Il ground e le sue matrici trascendentali pag. 33
Ground e likeness negli scritti „65-„66 pag. 39
Ground e likeness in On a New List of Category pag. 48
Critica del nominalismo pag. 56
SECONDA PARTE
Secondo capitolo Natura e convenzione negli scritti degli anni ‘70
La rappresentazione tra natura e convenzione pag. 59
Peirce e i Medievali pag. 63
La likeness negli scritti della logica del „73 pag. 68
Il pragmatismo e le nozioni di likeness e hypothesis
negli scritti 77-78 pag. 73
Terzo capitolo Natura e convenzione negli scritti della maturità
L‟icona come spazio di intersezione tra gli universi
semiotico, logico, matematico pag. 91
La struttura abduttiva pag. 98
L‟icona nel ragionamento matematico pag. 105
La Faneroscopia pag. 120
L‟icona e il progetto semiotico pag. 137
278
Quarto capitolo I grafi esistenziali tra natura e convenzione
La scrittura grafica pag. 148
La costruzione grafica pag. 160
Natura e convenzione pag. 187
Glossario pag. 201
TERZA PARTE
Quinto capitolo L’icona come notazione dell’analogia
Ipotesi likeness e analogia negli scritti giovanili di Peirce pag. 207
Ground e analogia pag. 218
La valenza analogica dell‟icona pag. 232
Analogia come inferenza pag. 249
Il movimento della pratica analogica, iconica e abduttiva pag. 252
Icona e analogia kantiana pag. 253
Riferimenti Bibliografici pag. 262