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libertàcivili In questo numero interventi di: Vincenzo Paglia I figli di Abramo Primo Piano / Miguel Angel Ayuso Guixot Riccardo Di Segni Antonio Golini Silvio Ferrari Giovanni la Manna Cesare Mirabelli Adnane Mokrani Mario Morcellini Sandra Sarti Claudio Siniscalchi BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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In questo numero interventi di: Vincenzo Paglia

I figli di AbramoPrimo Piano /

Miguel Angel Ayuso GuixotRiccardo Di SegniAntonio GoliniSilvio FerrariGiovanni la Manna

Cesare MirabelliAdnane MokraniMario MorcelliniSandra SartiClaudio Siniscalchi

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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libertàciviliRivista bimestrale del dipartimentoper le Libertà civili e l’Immigrazionedel ministero dell’Interno

Piazza del Viminale 1- 00184 Romatel. 06 46525869fax 06 [email protected] [email protected]@interno.it

Comitato scientifico

Presidente Enzo CheliVice presidente emerito della Corte costituzionale

ComponentiVincenzo CesareoProfessore ordinario della facoltàdi Scienze politiche - Universitàcattolica del Sacro Cuore - Milano

Mario GiroResponsabile per le relazioni internazionali Comunità di Sant’Egidio

Antonio GoliniProfessore emerito, già ordinario di Demografia - Università deglistudi di Roma “La Sapienza”

Angelo MalandrinoPrefetto - Autorità responsabiledel “Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi terzi” 2007- 2013

Mario MorcelliniPreside della facoltà di Scienzedella comunicazione - Universitàdegli studi di Roma “La Sapienza”

Riccardo Compagnucci Prefetto - vice capo dipartimentovicario per le Libertà civilie immigrazione

Serenella RavioliResponsabile ufficio comunicazione istituzionale del ministero dell’Interno

Giuseppe RomaDirettore generale CENSIS

Direttore editorialeAngela PriaPrefetto - capo dipartimentoper le Libertà civilie l’Immigrazione

Direttore responsabileGiuseppe Sangiorgi

RedazioneAlessandro GrilliClaudia Svampa

Responsabile organizzativoStefania Nasso

Progetto graficoStudio Francesca CantarelliMilano

FotografieCopertina © Andrea Angelucci -www.angelucci.com;pag.13 © Ansa | Archivio storicointerno; pag. 23 © Ansa | MikePalazzolo; pag. 30 © Ansa |Ettore Ferrari; pag.33 -73 ©Ansa | Danilo Schiavella;pag.63 © Agenzia Frontepagina;pag.91 © Ansa | Mario De Renzis |DRN; pag.101 © Ansa | GuidoMontani; pag.109 © Ansa |Fabio Campana; pag.130 © EPAPhoto EPA | Geogi Licovski/STR/glfob; pag.146 © Ansa | KashGabriele Torsello; pag.156 © Ansa| Filippo Monteforte

CopertinaStudio Francesca Cantarelli

Autorizzazione Tribunale di Milanon. 579 del 18.12.2009Bimestrale - Poste Italiane Spa Sped. in Abb. Post. - D.L.353/2003(conv. in L. 27.02.2004 n.46) art.1, comma 1 DCB Milano

Copyright © 2011 by Ministero dell’Interno

StampaTipografia Iprint Srl Via Tiburtina Valeria km 18,30000012 Guidonia-Montecelio Roma

Anno IIQuinto bimestre 2011finito di stampare dicembre 2011

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In questo numero interventi di: Vincenzo Paglia

I figli di AbramoPrimo Piano /

Miguel Angel Ayuso Guixot

Riccardo Di Segni

Antonio Golini

Silvio Ferrari

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Cesare Mirabelli

Adnane Mokrani

Mario Morcellini

Sandra Sarti

Claudio SiniscalchiBIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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EditorialeIl dialogo fra le religioni, strumento di Pace e Giustiziadi Angela Pria 5

L’interventoNon chiediamo alle religioni di proteggere le nostre paurema impariamo la civiltà della convivenzadi Don Vincenzo Paglia 7

Quel percorso di “pedagogia civile”tracciato dalla Costituzionedi Cesare Mirabelli 11

Noi ebrei, migranti nella storia: la nostra sensibilitàal servizio del dialogoIntervista a Riccardo Di Segni 17

Dialogo interreligioso? Sì, ma non bastaIntervista ad Adnane Mokrani 20

Mondo musulmano e rapporto fra i popoli:una lettura demograficadi Antonio Golini 24

La scheda / Stranieri in Italia: nove su diecisono cristiani o musulmani 31

La sapienza della religione: spazio e limitedella comunicazione di fronte al discorso religiosodi Mario Morcellini e Marco Bruno 34

Il pluralismo religioso fra principi costituzionalie risposte del territoriodi Sandra Sarti 43

Dialogo tra le religioni: quale ruoloper gli Stati e le organizzazioni internazionali?di Silvio Ferrari 49

Per un incontro con il mondo musulmanodi Miguel Angel Ayuso Guixot 55

Haram per l’Islam: il peccatoche divide cultura e religionedi Claudia Svampa 60

L’edilizia di culto e il problema moscheedi Paolo Cavana 69

Dove sono e quante sono le moschee in Italia?di Maria Bombardieri 78

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La finestra sul mondoIl futuro dell’immigrazione e i cambiamenti globalidi Veronica Riniolo 83

EuropaIl dialogo fra le religioni come collante socialedi Andrea Fama 88

UE, le istruzioni per l’uso viaggiano su internetdi Alberto Bordi 92

LaborIl “disagio della cura”di Anna Vittoria Sarli 96

IntegrazioneComprendersi per convivere:il dialogo interreligioso come via per l’integrazionedi Padre Giovanni la Manna 105

La ricercaPovertà, redditi, consumi e risparmi:famiglie straniere e italiane a confrontodi Valeria Benvenuti 110

Tra omologazione e differenziazione:come consumano gli immigratidi Stefania Fragapane 117

Il buon esempioPredicazione del Vangelo e recupero socialedi Alessandro Iovino 127

Cooperare per integrare:il progetto “Nuove presenze religiose”di Maria Bombardieri-Alessandro Ferrari-Roberto Mazzola 136

ImaginariumCinema e immigrati fra paure e coraggiodi Claudio Siniscalchi 141

Sullo scaffale 150

Consigli territoriali per l’immigrazione:i dati dell’attività nel quarto Rapportodi Enrico Melis 151

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ace” e “Giustizia” sono due facce di una stessa medaglia.Sono parole cariche di significato che esprimono principi,al contempo, giuridici ed etici. Accompagnano l’uomo

da quando i primi assembramenti sociali sono andati formandosisu questa terra e costituiscono da sempre un binomio inscindibilecontrapposto a un altro, che vede nella “Guerra” e nella “Ingiustizia”i cardini di un sistema valoriale negativo e oscuro.C’è stato chi, nel nome dell’uno o dell’altro binomio, ha condottobattaglie ideali o drammaticamente concrete e c’è anche chi ha uccisoo ha perpetrato le più grandi ingiustizie nel nome della “Pace”e della “Giustizia”. Eppure vi è una regola molto sempliceper comprendere quando un’azione è pacifica e giusta: quando l’uomoagisce per il bene e nell’interesse del suo prossimo,egli sta nella giustizia e nella pace.I testi teologici delle tre grandi religioni monoteiste contengono un approfondimento elevato e complesso di tali tematiche: Bibbiaebraica, Vangelo e Corano parlano di “Pace” e “Giustizia” e lo fanno,talvolta, in maniera molto simile.Nel Libro dei Salmi della Bibbia si dice che “Il Signore ama i giusti”(Salmo 146), mentre nel Libro di Isaia (Cap. 11) vengono descrittigli effetti del governo di un re giusto: governare con “Giustizia”significa assicurare la “Pace”. E infatti: “La giustizia sarà fasciadei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. Il lupo dimoreràinsieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciulloli guiderà”.Poetico e commovente è, nel Vangelo di Matteo, il discorso della montagna dove Gesù ammaestra la folla dicendo “..Beatiquelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati…Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figlidi Dio..” (5, 1-10). E anche il passo in cui Gesù, nello spiegare la parabola della zizzania nel campo, esclama che “..i giustisplenderanno come il sole nel regno del Padre loro..” (13, 36).

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Il dialogo fra le religionistrumento di Pace e Giustizia

di Angela Pria

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Il dialogo fra le religioni strumento di Pace e Giustizia

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Anche il Corano esalta in più punti la “Pace” e la “Giustizia”. Penso al passo dove vengono definiti i “servi del Compassionevole”,cioè “coloro che camminano sulla terra con umiltà e quando gli ignoranti si rivolgono loro, rispondono: ‘Pace’!” (XXV, 63); o a quello in cui si dice che “la sanzione di un torto è un male corrispondente, ma chi perdona e si riconcilia, avrà in Allah il suo compenso. In verità Egli non ama gli ingiusti” (XLII, 40).Vi è poi un passo, molto bello, in cui viene definita la retta via:“è riscattare uno schiavo, o nutrire, in un giorno di carestia,un parente orfano o un povero prostrato ed essere tra coloro che credonoe vicendevolmente si invitano alla costanza e vicendevolmente si invitano alla misericordia..” (XC, 11-17).Questi messaggi di “Pace” e “Giustizia” conservano tuttora, nonostante siano passati migliaia di anni, una straordinaria vitalitàe rappresentano, per certi versi, l’unica ultima grande ideologiasopravissuta nell’epoca della post democrazia e della globalizzazione.In tempi nei quali molte aree del pianeta sono purtroppo caratterizzateda evidenti sacche di ingiustizia e disuguaglianza, dove la dignitàumana viene calpestata e negata, dove il benessere ha reso l’individuo-consumatore sempre più solo e privo di modellietico-sociali di riferimento, le religioni possono rappresentare un fortefattore di aggregazione e un valido strumento per perseguire la “Pace” e la “Giustizia”.In questo senso il dialogo interreligioso può essere la via maestra perché la religione non sia più causa di divisioni, ma di alleanzetra tutti i “giusti” e tutti “gli operatori di pace” della terra. Mi piace,a quest’ultimo riguardo, ricordare il recente incontro mondiale tra tutte le religioni tenutosi lo scorso mese di ottobre ad Assisi alla presenza di papa Benedetto XVI e al quale sono stati invitatianche i non credenti; a dimostrazione di quanto la religione possaunire anche al di là della fede in un Dio, quando ad essere messi al centro dell’attenzione sono i valori universali della “Pace” e della “Giustizia” tra i popoli.Nei “giusti” è in definitiva riposto il futuro dell’umanità, non importase credenti in religioni diverse o non credenti affatto. Quello che èimportante è la loro “fame e sete della giustizia”, è la loro continuaricerca della verità e l’incondizionata fiducia nell’uomo.

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entoNon chiediamo alle religioni

di proteggere le nostre paure,ma impariamo la civiltà della convivenza

di Don Vincenzo PagliaVescovo di Terni

Il dialogo tra le confessioni tesse una trama pacifica, respinge le tentazioni a lacerare il tessuto civile e libera dalla strumentalizzazionedelle differenze religiose a fini politici. Ma questo richiede audacia e fede. Richiede coraggio

Nell’incontro di preghiera per la pace e la giustizia di Assisidel 27 ottobre scorso, papa Benedetto XVI e i vari leader religiosihanno pregato e lanciato un messaggio forte di pace universale.Un messaggio di estrema attualità in un mondo globalizzato, dovela convivenza quotidiana è attraversata dalle tensioni del pluralismoreligioso ed etnico. Una pace che si fonda sulla capacità che gliuomini avranno di costruire una civiltà della convivenza.

La condizione umana sta diventando sempre più complessa eplurale, e i popoli, le culture, le civiltà e le religioni sono condannatia una ineliminabile vicinanza. So bene che tale convivenza nonè semplice, al contrario è non poco difficile: troppe differenzeall’interno della mondializzazione inducono verso individualismiirresponsabili, tribalismi difensivi, nuovi fondamentalismi. C’ègente che si sente aggredita e spaesata di fronte a nuovi vicini ea un mondo troppo grande, e quindi si lascia prendere dallapaura del presente e del futuro. Chiedono spesso alle religioni diproteggere la loro paura, magari con le mura della diffidenza. Mala sfida del futuro è racchiusa nella capacità che i popoli hannodi vivere assieme pur restando diversi. La prima e più urgenteeducazione da fare è quella del convivere tra diversi.

Ecco perché il dialogo appare come l’unica via per compren-derci gli uni gli altri. Non dobbiamo perciò lasciarsi sopraffaredalle ondate di pessimismo, generatrici di diffidenza, di chiusura,di ripiegamenti amari su di sé. Le religioni sono decisive perstabilire un legame di fraternità tra i popoli. Esse, nella lorodiversità, parlano a un uomo che considerano debole e peccatoree a cui indicano una via (o delle vie) per raggiungere la perfezione.

Nel mondo globale,i popoli,le culture sono condannati alla vicinanza.La sfida del futuro sta nella capacità di vivere assieme restando diversi

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Dialogo religioso, globalizzazione, immigrazione

Le religioni comunicano all’uomo la speranza che, con le armispirituali della fede, può divenire migliore.

Certo, le religioni possono anche essere coinvolte nell’alimentarei conflitti, nel sacralizzare i confini, nel benedire le diffidenzeataviche e nel battezzare quelle nuove. Tante donne e tantiuomini spaesati nel grande mondo della globalizzazione cercano,talvolta nelle religioni, motivi per elevare muri protettivi e pertagliare ponti ritenuti pericolosi. Ne nascono temibili fondamenta-lismi per cui la vita umana può essere sacrificata. D’altronde siaggirano, in questo nostro mondo contemporaneo, non solofondamentalismi religiosi, ma anche fondamentalismi etnici chetanto sacrificano all’idolatria di un gruppo o di una razza. Ma nonpossiamo lasciar vincere la chiusura e il conflitto. E comunquenon è questo l’atteggiamento fondamentale che le religionihanno verso l’uomo. Tutte le religioni, pur nella differenza dellaloro spiritualità e dei loro cammini di fede, parlano a un uomobisognoso dell’Alto. Sì, tutte le religioni indicano all’uomo unavia (o delle vie) per raggiungere la perfezione, e comunicano lasperanza che, con le armi spirituali della fede, ciascuno puòdivenire migliore. C’è insomma nel profondo delle religioni unarisorsa di spiritualità e di amore.

Il Novecento, il secolo più secolarizzato della storia, appariva,fino a ieri, come un tempo di crisi gravissima se non di morte dellereligioni. Invece si è chiuso come un tempo in cui le religionisono attori rilevanti della vicenda storica. Le responsabilità degliuomini e delle donne di religione si fanno più grandi e non sonosolo verso i propri correligionari ma, in un mondo in cui si vive piùinsieme che nel passato, si esercitano anche verso quelli che sonoesterni alla propria comunità religiosa. Il dialogo religioso tesseuna trama pacifica, respinge le tentazioni a lacerare il tessutocivile e libera dalla strumentalizzazione delle differenze religiosea fini politici. Ma questo richiede audacia e fede. Richiedecoraggio. E spinge ad abbattere con la forza morale, con la pietà,con il dialogo, tutti i muri che separano gli uni dagli altri.

C’è poi l’aspetto che riguarda più direttamente il fenomenomigratorio dei popoli e non solo quelli del Nord-Africa. Anche ilconsiderare le implicazioni di questo fenomeno richiede unacultura “alta” dell’immigrazione. Innanzi tutto si deve dire agliitaliani che abbiamo bisogno di stranieri. Non sono essi a farfinire il nostro mondo. È vero esattamente il contrario: senza glistranieri il nostro mondo finisce.

Accade, invece, il contrario: il discorso pubblico scarica sugliimmigrati il sentimento di paura e di insicurezza degli italiani. Lapredicazione dell’antagonismo sociale è il veicolo attraverso cui

Le religioni possono anche esserecoinvolte nell’alimentarei conflitti,ma non è questo il loro atteggiamentofondamentale;pur nelle differenze,esse hanno lo scopo di indicare all’uomo la strada per divenire migliore

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Dialogo religioso, globalizzazione, immigrazione

Chi ha un’identità forte non teme che sia intaccata da altri diversi da lui.Se abbiamo paura che gli immigrati insidino la nostra,dobbiamo chiederci se essa non sia già indebolita o persa

transitano aggressività e violenza. Ce lo ricorda il profeta Osea:“Poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta”(8,8).L’insicurezza c’è, eccome. Ma le sue ragioni non risiedono nell’im-migrazione – se non per poca cosa – bensì nella crisi che stiamoattraversando, nell’assenza di futuro per i nostri giovani, in unaglobalizzazione che spaventa, in una violenza sempre più diffusa.

Non c’è dubbio comunque che l’immigrazione sia una dellegrandi questioni nazionali. Ma è necessario affrontarla con unosguardo sereno e un largo accordo. Dobbiamo riscoprire il sensoe il valore dell’accoglienza. Accoglienza, una parola poco amata,e magari considerata buonista o cattolica, eppure esprime benela responsabilità di chi ha una casa con una sua identità, le sueleggi, la sua tradizione, la sua cultura. Chi ha una casa bensalda non teme di intaccarla se accoglie altri. Chi sente con forzala propria identità non teme che sia intaccata da altri diversi dalui. Se abbiamo paura che gli immigrati insidino la nostra identità,dobbiamo chiederci se già non l’abbiamo indebolita se nonaddirittura persa. L’identità infatti non è un monoblocco, ma unorganismo vivente che è capace di accogliere e di mutare.

C’è una responsabilità dei cristiani in questo campo. E se moltosi è fatto sulla via dell’integrazione lo si deve al sentire cristianoche sostiene l’uguaglianza tra tutti gli uomini al di là della razza,della fede e della cultura. Questo sentire profondo segnato dalcristianesimo è una vera e propria risorsa nazionale, anche senon sempre è stata assecondata dalle istituzioni e dal discorsopubblico. È incredibile: l’Italia ha bisogno degli stranieri, eppuresi fomenta in tanti modi la paura.

È necessario promuovere uno sguardo positivo e costruttivosu questo fenomeno storico che segna la vita del Paese. C’èbisogno di uno stile che sia all’altezza di una politica di acco-glienza che vuol fare degli stranieri lavoratori integrati o cittadini.C’è bisogno di politica. E di un approccio globale. L’invasione nonsi ferma alle frontiere, ma nei Paesi di provenienza con unasapiente politica di cooperazione, che in Italia è però agonizzante.Ci vuole una politica internazionale nel Sud del mondo. Il raffor-zamento della cooperazione, intesa in modo da suscitare unarinnovata iniziativa delle società del Sud del mondo, è un fattoprioritario se si vuole governare l’immigrazione. Dobbiamoimparare la civiltà del convivere! Convivere vuol dire avere unacasa che si allarga, non tante casette poste una accanto all’altra.E l’immigrazione ci ricorda che i popoli del mondo globalizzatohanno un destino che ci lega in modo molto più intimo.L’integrazione, comunque, non è un fatto scontato o naturale. È unaimpresa plurima che richiede l’impegno di tutti.

Sullo sfondo delle migrazioni il dialogotra le religioni è un tema di grande rilievo per l’influenza che esercita. Perciò “i figli di Abramo”, espressione che idealmente vuole abbracciare ogni confessione presente in Italia, e il rilievo che ciascuna di esse è chiamata ad avere nell’aiutare a comporre il quadro dei problemi che delle migrazionisono al tempo stesso le cause e gli effetti

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Quel percorso di “pedagogia civile”tracciato dalla Costituzione

di Cesare MirabelliPresidente emerito della Corte costituzionale

I principi fissati dalla Carta fondamentale stimolano il passaggio da un’identità chiusa e intollerante a una aperta alla comunicazione e al dialogo, affidando questo processo ai comportamenti individuali e collettivi

Le cronache quotidiane portano alla comune attenzioneavvenimenti nei quali comportamenti che si assumono suscitatio motivati da convinzioni religiose sembrano recare offesa alladignità e alla libertà della persona, anziché esprimere per essail rispetto che ogni spirito genuinamente religioso nutre per ilprossimo, nel quale riconosce quanto meno la comune umanità,se non la sacralità di una creatura che richiama alla relazionecon Dio creatore.

I comportamenti lesivi di frequente sono diretti a incideresulla scelta o sulla pratica religiosa della persona, quando siproponga di essere diversa da quella familiare; altre voltecondizionano le scelte di vita e nei comportamenti sociali,dal matrimonio all’abbigliamento, in particolare per le donne.Atteggiamenti di intolleranza, o costrizioni che feriscono lalibertà della persona, sino a manifestarsi talvolta con violenzeche attentano alla vita stessa. Questa esperienza è drammati-camente ricorrente e diffusa in Paesi nei quali è impedita lalibera professione della propria fede, e la pratica religiosa, inprivato e in pubblico, è sottoposta a restrizioni che violano lalibertà religiosa, sino a discriminare intere comunità di minoranzacolpite per la religione professata e praticata.

Tuttavia anche in Paesi nei quali è radicato il riconoscimentoe il rispetto dei diritti umani, non mancano esempi di intolleranzae talvolta di atti di violenza nell’ambito ora considerato, purcontrastati e repressi, che assumono un particolare rilievoquando non si tratta di singoli casi di devianza individuale, marispecchiano il costume collettivo di un gruppo sociale con forte

Le ferite inferte alla dignità della personada atti suscitati o motivati da convinzioni religiose,che incidono su scelte di vita e di fede e sui comportamenti sociali

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La libertà religiosa nella Costituzione italiana

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caratterizzazione identitaria, solitamente e talvolta superfi-cialmente individuata in un unificante elemento religioso.

Il pluralismo al quale ci si era da tempo abituati in Europa,anche tra fedi e convinzioni diverse in materia religiosa, mani-festava l’intreccio di radici ideali con un profondo denominatoreculturale cristiano, proiettato, per i valori di dignità della personache reca, sin nell’area della miscredenza; una molteplicità diorientamenti metabolizzata da una storia comune fatta anche diconflitti, che sono tuttavia rimasti tra affini.

I più recenti fenomeni migratori hanno introdotto elementi disignificativa novità in questo panorama. Le migrazioni sonodivenute, da eventi individuali nell’ambito di contesti culturali inprevalenza omogenei, fenomeni di massa che determinano lapresenza di nuove minoranze etniche e culturali, di frequentecaratterizzate da una forte e diversa identità religiosa, che simanifesta anche come elemento di mantenimento delle proprieradici e di rigida coesione sociale all’interno di un gruppo cheper propria scelta si esclude dalla assimilazione e contrastaogni contaminazione del proprio originario costume e stile divita, che possa provenire dal contesto sociale di accoglienza.

Alla intollerante separatezza identitaria di una minoranza,corrisponde a volte una simmetrica e contrapposta intolleranzadi gruppi più o meno ampi all’interno della maggioranza, conl’effetto reciprocamente coltivato di nutrire il conflitto e di nonfavorire una graduale integrazione, che pure rispetti le diversitàculturali e religiose.

In questo contesto la libertà religiosa assume la consistenzanon solo di un diritto fondamentale, caratteristica che gli ètradizionalmente propria, ma anche di un fattore di integrazioneche tuttavia non omologa, bensì rispetta e fa coesistere lediverse identità.

La Costituzione italiana offre un modello significativo del ruoloinclusivo che la libertà religiosa può svolgere, non solo nellagaranzia dei diritti individuali, ma anche nel riconoscimento deigruppi sociali religiosi, e offre un percorso di “pedagogia civile”che stimola il passaggio da una identità chiusa e intollerante,generatrice di conflitti, a una identità aperta alla comunicazionee al dialogo, che genera reciprocità e comprensione senzaperdere l’ancoraggio ai propri valori.

“Tutti hanno diritto di professare la propria fede religiosa inqualsiasi forma, individuale o associata”. L’incipit dell’articolo 19della Costituzione riconosce e garantisce questo diritto a tutti,senza distinzione tra cittadini e stranieri, in conformità allanatura della libertà religiosa e nella evidente considerazione

La libertà religiosa non solo come diritto fondamentale,ma anche quale fattore d’integrazioneche non omologa,bensì rispetta e fa coesistere le diverse identità

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La libertà religiosa nella Costituzione italiana

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che si tratta di un diritto inviolabile dell’uomo, non ancorato allacondizione di cittadinanza. Il divieto di discriminazioni a motivodella religione professata, come pure delle condizioni personalio sociali (così l’articolo 3 della Costituzione) che possono avereun risvolto o una implicazione religiosa, integra il diritto di libertàe ne costituisce il necessario complemento. Libertà e eguaglianzariflettono la dignità propria di ciascuna persona, che richiedesia rispettata da tutti e garantita dalle istituzioni.

Le convinzioni religiose non rimangono nella sfera intima dellacoscienza e sono sempre espressione di una adesione libera,che non ammette costrizioni per determinare o impedire conver-sioni o mutamenti nelle proprie scelte di credenza e di vita. LaDichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), in pienasintonia con la nostra Costituzione, chiarisce che la libertà dicoscienza e di religione “include la libertà di cambiare di religioneo di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune,e sia in pubblico che in privato, la propria religione, o il propriocredo, nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osser-vanza dei riti” (articolo 18).

Le convenzioni internazionali che proteggono i diritti umaniriprendono questa formulazione e ne precisano il contenuto,

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La libertà religiosa nella Costituzione italiana

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stabilendo che “nessuno può essere assoggettato a costrizioniche possano menomare la sua libertà di avere o adottare unareligione o un credo di sua scelta” (articolo 18, n.2, del Pattointernazionale sui diritti civili e politici, ratificato e reso esecutivocon legge 25 ottobre 1977, n. 881).

La Costituzione prevede un solo limite esplicito al culto, se“si tratti di riti contrari al buon costume” (articolo 19), un’area piùristretta da quella solitamente determinata dall’ordine pubblico.Ma condizioni implicite si rinvengono nella garanzia degli altridiritti inviolabili, quali il diritto alla vita, alla salute e alla integritàfisica, alla libertà personale, alla manifestazione del pensiero ea ogni altro diritto fondamentale che, a seconda delle prospettive,integra o condiziona la libertà religiosa.

Ancora le convenzioni internazionali prevedono che siano“consentite quelle sole restrizioni alla libertà di manifestare lapropria religione o il proprio credo che, stabilite per legge,costituiscono misure necessarie in una società democraticaper la protezione dell’ordine pubblico della salute o della moralepubblica, o della protezione dei diritti e delle libertà altrui”(articolo 9 della Convenzione europea per la salvaguardia deidiritti dell’uomo e delle liberà fondamentali, ratificata e resaesecutiva con l. 4 agosto 1955, n. 848, e art.18, n. 3, del Pattointernazionale sui diritti civili e politici).

È dunque evidente che la libertà religiosa implica e assicurala coesistenza di fedi diverse, giacché a ciascuno è garantitoil diritto di professare e praticare pacificamente la propriareligione, senza per questo subire limitazioni di sorta, e senzavedere sminuita la propria situazione giuridica e la condizionesociale. Assicurato a tutti questo diritto, rimane esclusa per tuttila possibilità di negare l’eguale diritto degli altri o di limitarne ilgodimento.

La libertà religiosa, inoltre, si combina e si integra con gli altridiritti di libertà garantiti dalla Costituzione, con i quali formasistema; in particolare con il diritto di riunirsi e con il diritto diassociarsi liberamente. La libertà di riunione (articolo 17),riguarda anche le riunioni per il compimento collettivo di atti diculto e per finalità religiose, e per quelle in luogo pubblico valela disciplina comune. Sono superate da tempo le restrizioniimposte dalle norme che imponevano l’obbligo del preavvisoper le funzioni, cerimonie o pratiche religiose in luoghi aperti alpubblico, in locali nei quali si può liberamente accedere, avendola Corte Costituzionale, sin dal 1957, dichiarato in contrastocon la Costituzione le vecchie norme del Testo unico delle leggidi pubblica sicurezza che ponevano ingiustificati limiti imposti

La nostraCostituzione garantisce la coesistenza di fedi diverse,giacché ciascuno ha il diritto di professare e praticare pacificamente la propria religione,senza limitazioni,e senza vedere sminuita la propria situazione giuridica e condizione sociale

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La libertà religiosa nella Costituzione italiana

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sopratutto alle confessioni di minoranza. Anche la libertà diassociazione (articolo 18) riguarda la dimensione religiosa,garantendo il diritto di aderire liberamente e altrettanto libe-ramente di non aderire a una qualsiasi organizzazione religiosa,e di dissociarsi da essa senza subire costrizioni o conseguenzedannose.

La Costituzione va oltre le garanzie della libertà religiosaindividuale e collettiva, e ne considera anche la dimensioneistituzionale. Riconosce la Chiesa cattolica, in conformità allasua natura, come indipendente e sovrana nel proprio ordine,distinto da quello dello Stato (articolo 7). Allo stesso tempoassicura a tutte le confessioni religiose eguale libertà (articolo 8).Ciò vale per le chiese e le comunità religiose storiche, tradizio-nalmente presenti nel nostro Paese, ma vale anche per lecomunità religiose di nuovo insediamento. A tutte assicura ildiritto di organizzarsi con piena autonomia, secondo i propristatuti e le proprie regole, “in quanto non contrastino con l’ordi-namento giuridico italiano” (ancora l’articolo 8).

Il riferimento letterale all’ordinamento giuridico italiano apre,con una visione anticipatrice probabilmente inconsapevole,alla presenza di comunità religiose di diversa provenienza ecomposizione nazionale. A tutte è assicurata la libertà diorganizzarsi, di proporsi con la propria e peculiare dimensioneistituzionale, tuttavia con il limite essenziale del “non contrasto”con l’ordinamento italiano.

Non è imposta alcuna omologazione, né prefigurata lacostrittiva assimilazione delle minoranze religiose in un modellopredeterminato; esse rimangono libere di mantenere la propriaidentità, anche mediante la originalità delle proprie struttureistituzionali. Tuttavia il limite del non contrasto con l’ordinamentoitaliano, rimanendo sempre libera la espressione di qualsiasiconvinzione in materia religiosa, esclude che possano averespazio lesioni dei diritti garantiti a ciascun individuo, violazionidel principio di eguaglianza e, in definitiva, offese alla dignitàdella persona motivate da regole di ispirazione religiosa, ma ilpiù delle volte rispondenti al costume legato a identità sociali.Non è quindi ammissibile, ad esempio, imporre scelte matrimonialialle donne, limitarne la libertà e negare ad esse eguaglianza,imporre l’uso di abbigliamenti che mortifichino la loro identità,compiere mutilazioni rituali, anche se questo rispondesse a regoledi ispirazione religiosa.

Il sistema è completato dalla possibilità di regolare sulla basedi intese le relazioni tra lo Stato e ciascuna confessione religiosaorganizzata, che non sia in contrasto con l’ordinamento giuridico

Non è imposta alcuna omologazione,né prefiguratal’assimilazionedelle minoranze religiose a un modello predeterminato;esse restano libere di mantenere la propriaidentità,anche mediante la originalità delle proprie strutture istituzionali

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La libertà religiosa nella Costituzione italiana

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italiano, adottando per la disciplina di queste relazioni unostrumento bilaterale che richiede un paritario consenso.

Le intese consentono di apprezzare e di tener conto dellespecifiche esigenze di ogni confessione religiosa, e di salva-guardare la identità di ciascuna di esse in un quadro di egualelibertà. Prefigurate dalla Costituzione avendo presente lacondizione delle chiese di minoranza tradizionalmente presentinel Paese, le intese costituiscono un percorso aperto a ognicomunità religiosa istituzionalmente organizzata, anche di nuovoinsediamento, stabile nel tempo, che intenda rispettare l’ordi-namento italiano nei principi essenziali di una civiltà rispettosadella dignità della persona e dei diritti fondamentali. Anche leintese costituiscono, quindi, uno strumento orientato a comporreidentità, da preservare, e integrazione, da perseguire.

La Costituzione offre una cornice nella quale l’equilibrio traidentità e integrazione è quotidianamente rimesso al dinamismosociale. In un contesto pluralistico, la “pedagogia civile”orientata dai principi costituzionali rimane affidata al tessutodei comportamenti individuali e collettivi che animano l’incontrotra culture, religioni, orientamenti ideali diversi, destinati acomporre un quadro pacifico e auspicabilmente armonioso diconvivenza.

Il prefetto Annamaria Cancellieri nuovo ministro dell’Interno

Il dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione, il comitatoscientifico della rivista e la redazione di libertàcivili formulanoi loro auguri di buon lavoro al prefetto Annamaria Cancellieri,nuovo ministro dell’Interno del governo Monti, e ai sottosegretariCarlo De Stefano, Giovanni Ferrara e Saverio Ruperto. Unringraziamento va al precedente ministro Roberto Maroni peril suo sostegno alle attività del Dipartimento e alla nostrarivista.

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Noi ebrei, migranti nella storia:la nostra sensibilitàal servizio del dialogo

Intervista raccolta da Giuseppe Sangiorgi

Per il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni,il confronto con chi arriva nel nostro Paeseè una sfida anche per noi che accogliamo.Fondamentale l’impegno perché la religionesia strumento di pace e non di violenza

Professor Di Segni, in che modo il dialogo interreligiosopuò concorrere a una soluzione positiva dei problemi legatialle migrazioni?

Nel problema delle grandi migrazioni, di mobilitazioni di massee di popoli che si spostano, noi interveniamo con la nostramemoria storica perché come ebrei, purtroppo, abbiamoavuto sempre la necessità di spostarci da un posto all’altro

senza trovare tregua. Il caso dell’Italia èpiuttosto eccezionale da questo punto divista, soprattutto la comunità di Roma cheparadossalmente è la più stabile della storia,ma per il resto, per la condizione continua-mente vissuta dal popolo ebreo, abbiamouna sensibilità particolare sul tema dellemigrazioni. Questa sensibilità ha una forteradice anche nel messaggio religioso della

Bibbia. Adamo è un esule con la cacciata dal paradiso terrestre,il popolo ebraico è protagonista dell’esodo, la legge della Bibbiatutela lo straniero che viene a risiedere… Nel dialogo inter-religioso noi portiamo dunque il contributo di questa nostraesperienza, che immagino sia in qualche modo differentedal tipo di sensibilità che possono avere altri mondi. D’altraparte, perché sia proficuo, il dialogo si fa mettendo sul tavolole specificità e le differenze di ciascuno.

Lo “spirito di Assisi” ha una sua influenza in questo campo?Che cosa c’entra questo dato storico con Assisi non lo so.

Perché sia proficuo il dialogo si fa mettendo sul tavolo le differenze e le specificità di ciascuno; è qualcosa di diverso dallo “spirito di Assisi”su cui c’è molta retorica

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Intervista al Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni

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Quando si parla di spirito di Assisibisognerebbe aprire tutta una parentesisull’argomento. Non è una cosa che mientusiasmi. C’è anche molta retorica suAssisi, forse è bene tenere questo aspettoa parte rispetto al discorso che stiamofacendo.

Le migrazioni a loro volta influisconosul dato religioso, ne modificano o neaccentuano alcuni aspetti?

Certamente l’emigrazione costringeal confronto. Chi emigra si trova in unasituazione culturale, religiosa, socialecompletamente diversa, ma anche chiaccoglie suo malgrado o volontariamentel’emigrato viene a trovarsi in una condi-zione analoga, perché comprende che c’èun modello differente con il quale devemisurarsi. Questo è un bene, perché portaa una grande sprovincializzazione di tantiaspetti dei nostri modi di vivere.

Oggi per esempio vengono dallaRomania, dall’Europa orientale moltepersone che sono cristiane ma non cat-toliche; sono ortodosse. Loro portano consé una pratica religiosa che per alcuniaspetti è molto più radicale di quella deicattolici. Penso al digiuno: gli ortodossi loosservano integralmente, non mangianoe non bevono sul serio, come fanno anchegli ebrei. Per i cattolici la pratica deldigiuno sembra essersi ridotta a unablanda astensione da qualche cosa.Voglio dire che spesso le popolazioni chearrivano da fuori, con le loro tradizioni,sfidano e mettono alla prova i compro-messi e gli adattamenti delle popolazioniresidenti.

Secondo il rapporto Caritas 2011sono presenti in Italia circa due milionie mezzo di immigrati cristiani, in preva-lenza ortodossi, un milione e mezzo

di immigrati di religione musulmana,e inoltre induisti, buddisti, fedeli di altrereligioni orientali. Dal suo angolovisuale, e per la grande tradizionerappresentata dalla sua religione,quali suggerimenti possono venireper armonizzare questo insieme dipresenze, di culture e di sensibilitàdiverse in una prospettiva di reciprocacomprensione?

Ci sono due punti, apparentementeopposti, da tenere presenti. Il primo è datodal fatto che noi ebrei rispetto a questemasse di immigrati siamo un dato quan-titativamente del tutto minoritario. Altempo stesso, noi siamo radicati sulterritorio italiano da oltre duemila anni,e abbiamo sperimentato in tutti i modipossibili che cosa significhi la presenzadel diverso minoritario rispetto allapopolazione del luogo, a iniziare dalledifficoltà che questa presenza implica.Esiste quindi una infinità di problemi chenoi abbiamo dovuto affrontare e cercaredi risolvere. Per esempio come praticareliberamente, oppure in condizioni difficili,il proprio culto in una società che noncomprende quel culto. Come sia possi-bile trasmettere la nostra educazionereligiosa in una società che ne ha unadifferente. Come sia possibile osservareil sabato in una società che rispetta ladomenica. Tutto questo nel tempo haportato a modi di essere, ad accordi, asoluzioni legislative che hanno resopossibile la convivenza tra costumi,tradizioni e riti diversi. Su tutto questonoi possiamo dare il contributo di un’e-sperienza molto antica, che è passataper tante vicissitudini storiche ed è il fruttodi tante sofferenze.

Fernand Braudel racconta come findall’inizio dell’Islam ebrei, cristiani

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Intervista al Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni

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e musulmani si incontravano perdiscutere su un piano di eguaglianzai grandi problemi dell’uomo. A Baghdadc’era la “casa della saggezza” voluta dalcaliffo Ma’mun, in Spagna le figure diAverroè e di Maimonide, entrambiuomini del dialogo. Come sollecitare eorganizzare di nuovo e in modo conti-nuativo i contatti e il dialogo fra i tremonoteismi mediterranei?

Perché il dialogo sia davvero proficuo,dobbiamo intanto distinguere i miti dellaconvivenza pacifica dalla realtà dei fatti.Maimonide per esempio dovette fuggirecon la sua famiglia dall’illuminata societàaraba della Spagna. D’altra parte èpossibile che durante alcune fasi dellastoria si siano realizzate condizioni diequi l ibr io che hanno consenti to laconvivenza più o meno pacifica delledifferenze. Al di là di quanto è avvenutonel passato bisogna vedere quali sonoi modelli perseguibili oggi, quali sonopossibili e quali necessari.

Condivido l’idea che i mondi religiosidialoghino e non trasformino le differenzeche esistono in fenomeni di intolleranza edi aggressività. Questo è fondamentale.Nelle società non mancano le pulsionialla violenza, perciò è assolutamentenecessario che le religioni si adoperinoa fare da pompieri, soprattutto in questafase storica nella quale il terzo millenniodell’era cristiana si è inaugurato con unattentato che porta il segno dell’intolle-ranza religiosa. Impegniamoci davverotutti ad adoperare la religione comestrumento non di violenza ma di pace.

In Marocco recentemente c’è statauna conferenza che ha voluto riper-correre e commemorare la Shoah. UnPaese arabo dunque ha ospitato unseminario di studi dedicato alla

memoria dello sterminio degli ebrei.Durante la seconda guerra mondiale ilMarocco si oppose alla deportazionedegli ebrei. Sono segni positivi dellastoria, anche un certo numero dimusulmani è comparso negli elenchidei Giusti fra le Nazioni…

Sì, ci sono stati dei Giusti musulmanie bisogna dare atto che è stato un feno-meno rilevante e importante. Il problemadel rapporto tra ebrei e musulmani è moltodifferente da quello tra ebrei e cristiani,che oggi possiamo considerare preva-lentemente di natura religiosa. Il rapportocoi musulmani è inquinato dalla politica,per il modo particolare in cui l’Islamconcepisce l’identità religiosa, che poinon è molto diverso da quello ebraico. Ecomunque l’ebreo è visto come il membrodi una nazionalità ostile. L’elementopolitico dell’ostilità araba – non musul-mana, che è una cosa differente – alloStato d’Israele può diventare, e purtroppomolto spesso diventa, un fenomeno diintolleranza, o quanto meno di mancataamicizia con gli ebrei. Questo è un feno-meno che va assolutamente combattuto.

E allora come alimentare anche daparte degli ebrei una “cultura dellerelazioni” che tenda ad avvicinare enon a dividere in nome delle diverseappartenenze religiose?

Ritengo che noi concretamente cer-chiamo di farlo, con un atteggiamento didialogo e una presenza nella realtà dellesituazioni che derivano dalla nostrasensibilità e dalla nostra storia.

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Dialogo interreligioso?Sì, ma non basta

Intervista raccolta da Giuseppe Sangiorgi

Per Adnane Mokrani, teologo musulmano e docentealla Pontificia Università Gregoriana, l’Italia puòavere un ruolo di mediatore tra Oriente e Occidente.La cultura e la filosofia come linguaggio comuneper arrivare a una comprensione reciproca

Professor Mokrani, in che modo ildialogo interreligioso può concorrerea una soluzione positiva dei problemilegati alle migrazioni? Lo “spirito diAssisi” ha una sua influenza anche inquesto campo?

La quest ione del le migrazioni èmolto ampia e complessa, ridurla alsolo fattore religioso non aiuterebbe. Ildialogo religioso è importante ma vacollocato in un contesto. Prendiamol’esempio dei musulmani in Italia. Fraloro c’è una grande diversità anchereligiosa. Quando si parla di musulmanici sono scuole di pensiero, scuole teolo-giche, confraternite, o magari singolepersone che appartengono all’Islam comecorpo sociale ma non sono praticanti.Provengono inoltre da nazioni, culturee lingue diverse. Un immigrato delBangladesh che va alla moschea diRoma non comprende il sermone inarabo, avrebbe bisogno di un traduttore.

L’Islam può essere considerato unfattore comune che unisce una grandediversità di popoli e di nazioni, ma èsolo un elemento tra altri. Quello che

temo è che il dialogo religioso, e quelloislamo-cristiano in particolare, contri-buisca paradossalmente a islamizzarei musulmani. Un immigrato musulmanoche viene in Italia, prima che esseremusulmano si sente algerino, tunisino,arabo, insomma ha una identità com-plessa. Se viene trattato solamente damusulmano, la dimensione religiosadiventa la parte più importante dellasua identità. Prendiamo le moschee. InItalia sono luoghi di incontro. Questo vabene, si può accettarlo, ma essendo lemoschee quasi gl i unici luoghi diincontro questa circostanza rinforzaancora di più l’identità religiosa. Nonci sono altri luoghi di riunione, centriculturali neutrali nel senso laico di questaparola. Gli immigrati sono costrett idunque a ritrovarsi nelle moschee. Magarinel Paese d’origine non frequenterebberola moschea, ma quando sono qui nonhanno alternative.

Dialogo religioso dunque, ma nonsolo…

Da un lato i l d ia logo rel igioso è

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Il punto di vista del teologo musulmano Adnane Mokrani

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importante per togliere certi pregiudizi,per mettere insieme le persone, perdialogare, per creare reti di solidarietàe di conoscenza reciproca: insommaè uno strumento di integrazione tra lediverse identità reli-giose. L’identità catto-lica è molto ri levantein Italia per la storia,le tradizioni e lamemoria collettiva cherappresenta. Perciòun immigrato non cri-stiano ha bisogno diconoscere il cristia-nesimo e di coinvol-gersi in un dialogointerreligioso per com-prendere meglio il Paese nel quale vive.Questo dialogo dunque è uno stru-mento di integrazione e di inserimentosociale e culturale. Ma non è sufficiente:c’è bisogno di altri strumenti. Qui lapolitica assume un ruolo determinante,perché occorre una visione chiara del-l’integrazione. Il processo dell’integrazionenon è spontaneo, deve essere aiutato.

Secondo il Dossier Caritas Migrantes2011 sono presenti in Italia oltre unmilione e mezzo di immigrati di religionemusulmana: sono un terzo dei cittadinistranieri che vivono nel nostro Paese.È una specificità della situazione italianarispetto a quella di altri Paesi, o siamonella media europea? E comunque qualiproblemi comporta?

Non vedo tanto problemi specifici,quanto quelli delle migrazioni in gene-rale. Innanzitutto occorre aiutare gliimmigrati a imparare bene la l inguaitaliana. La scuola pubblica è unostrumento fondamentale di integrazioneper le seconde generazioni. Poi la

cultura in generale. Sappiamo che gliimmigrati che vengono in Italia, i musul-mani in particolare, non hanno unaleadership culturale. I giovani magrebini,o tunisini o marocchini per i loro studi

vanno in Francia, pochidi coloro che emigranoin Italia lo fanno perstudiare qui. Questocrea un vuoto. Lamaggioranza di lorosono operai , gentesemplice; sono impre-parati al confronto edunque si sentonofragili, sono impauritida un contesto fortee diverso rispetto al

quale non hanno gli strumenti culturalinecessari per relazionarsi.

Come affrontare questa difficoltà? La difficoltà si ripercuote spesso sui

rapporti tra la prima generazione e laseconda: i genitori non riescono a con-trol lare i f igl i . Ricordo una madremarocchina che diceva: siamo venutiin Italia per i nostri f igli, abbiamolasciato tutto per garantire loro una vitamigliore e alla fine rischiamo di perderli.

In questi casi di crisi sociale c’èbisogno di un lavoro sociale. Le asso-ciazioni italiane che lavorano in questocampo devono intervenire, incontrarequeste persone, cercarle, e aiutarle. Lasocietà civile e lo Stato hanno una granderesponsabilità, perché se non riusciamoa intervenire nel tempo giusto questiproblemi diventano sempre più gravi edifficil i da risolvere. Diventano ancheproblemi di delinquenza. La crisi econo-mica attuale ha colpito molti immigratiduramente. Tanti di loro hanno perso illavoro perché sono più facili da licenziare,

La questione delle migrazioni non può essereridotta al dialogo religioso.Serve che la politica assumaun ruolo determinante,con una visione chiara dell’integrazione, che non èun processo spontaneo,ma deve essere aiutato

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Il punto di vista del teologo musulmano Adnane Mokrani

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non hanno protezione sindacale, sono lafascia più debole della società. Dunquec’è bisogno di una coscienza civile e di unlavoro sociale per garantire una certaintegrazione programmata, non spontanea.Una volta per integrarsi bastava il tempo,adesso c’è bisogno di un impegnoaggiuntivo per garantire una integrazionesana ed equilibrata.

Fernand Braudel racconta come findall’inizio dell’Islam ebrei, cristiani emusulmani si incontravano per discuteresu un piano di eguaglianza i grandiproblemi dell’uomo. A Baghdad c’era la“casa della saggezza” voluta dal califfoMa’mun, in Spagna le figure di Averroèe di Maimonide, entrambi uomini deldialogo. Come sollecitare e organizzaredi nuovo e in modo continuativo i contattie il dialogo fra i tre monoteismi medi-terranei?

Credo che il principale luogo attrez-zato per questo tipo alto di dialogo sial’università. Personalmente, a Roma hoil privilegio di insegnare in due università,la Gregoriana e il Pisai. Per la Chiesacattolica sono i pontiprincipali di dialogocon i musulmani. NellaGregoriana c’è ancheil centro del cardinalBea per gli studi giu-daici e il dialogo congli ebrei. Alla Grego-riana c’è la possibilitàdi studiare l’Islam condocenti musulmani el’Ebraismo con docentiebrei. Per arrivare aun dialogo alto c’è bisogno di trovareun linguaggio comune: quello dellacultura, della filosofia. Nel passato lafilosofia greca è stata uno spazio di

incontro fra le tre religioni del Mediterraneo.

Tutti studiavano Aristotele…Sì, e oggi c’è bisogno di inventare di

nuovo questo spazio di studio, di pre-parazione. Vedo che c’è un interessecrescente dei musulmani verso il dialogo:ogni anno alla Gregoriana vengononuovi studenti musulmani per studiare ilcristianesimo. Questo interesse reciprocodi conoscere la religione dell’altro, questapreparazione filosofica, teologica, cultu-rale è molto importante per trovare unacerta armonia e un’intesa tra le religioni.

Oltre alla Gregoriana e al Pisai, qualialtri luoghi esistono in Italia deputati auna “cultura delle relazioni” che tendaad avvicinare e non a dividere in nomedelle diverse appartenenze religiose?C’è la possibilità, come è stato dettocon una felice espressione, di “uniresenza confondere e distinguere senzaseparare”?

L’Italia ha una posizione geopoliticamolto particolare. È un Paese immersonel Mediterraneo, non ha un passato

coloniale tale da osta-colare il dialogo, laChiesa cattolica hauna forte presenza, aRoma c’è il Vaticano:sono tutte condizionida valorizzare. Pensoanzi che l’Italia abbiauna potenzialità didialogo che finora nonsia stata espressaadeguatamente. L’Italiapuò avere un ruolo di

mediatore tra Oriente e Occidente. È statocosì anche nel passato: penso a Venezia,Genova, Roma, la Sicilia. L’Italia è statasempre vicina culturalmente e umana-

Le università sono il luogo principale dove può svolgersiun dialogo proficuo tra le religioni e l’Italia, per la sua posizione geopolitica,la sua storia e tradizione,la presenza della Chiesa cattolica, può essere un “ponte” verso l’Oriente

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Il punto di vista del teologo musulmano Adnane Mokrani

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mente al Sud del mondo, all’Oriente.C’è bisogno di ritrovare un nuovo interesseverso l’Oriente, soprattutto in questa fase.

La “primavera araba” rappresentauna effettiva novità?

Oggi stiamo vivendo una stagione digrandi cambiamenti in tutto il mondoarabo: in Tunisia, Egitto, Libia, Siria,Yemen… C’è una grande sete di demo-crazia, di libertà, di lotta per i dirittiumani, dunque ci sono valori comuni ec’è bisogno di un aiuto concreto a questipopoli, una solidarietà interreligiosa,interculturale e internazionale per rea-lizzare con loro una nuova alleanza.

Con la sua storia, la sua posizionegeografica e la sua importanza politica,l’Italia può avere un ruolo particolare inquesta mediazione.

Che cosa può essere utile sul pianodiplomatico e delle relazioni con i Paesidella “primavera araba” perché questi

processi di comprensione e di condi-visione di temi come la libertà, lademocrazia, i diritti umani possanodiventare sempre di più un terrenoconsolidato di rapporti e di ricercacomune di equilibrio del Mediterraneo?

C’è bisogno di allargare il significatodella diplomazia, intesa non solamentecome affari esteri, come rapporti traministeri e istituzioni, ma concepitacome rapporti tra le società civili deinostri Paesi. Sviluppare il turismo cultu-rale, delle relazioni umane. Se si va inTunisia ma si resta all’interno dei grandialberghi non si conosce quel Paese.

C’è bisogno di incontrare i tunisini,parlare con loro, entrare in contatto coni centri di studi, le università, le asso-ciazioni, ascoltare, dare vita a progettiinsieme. Per costruire nuovi e più profondirapporti c’è bisogno di una nuova diplo-mazia: una diplomazia della base.

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Mondo musulmano e rapporto fra i popoli:una lettura demografica

di Antonio GoliniProfessore emerito, già ordinario di Demografia - Università degli studi di Roma“La Sapienza”

Nei prossimi 20 anni i fedeli di religione islamica aumenteranno del 35% e diventeranno oltre un quarto della popolazione mondiale, ma cambierà anche la loro distribuzione territoriale,con conseguenze sul piano geo-politico

1. Risalendo fino a Cicerone (De Inventione) si trova che“Religio è tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivoltia un essere superiore la cui natura definiamo divina” e quindi

ben si intende come le religioni siano tantee diverse, legate come sono al tempo e allospazio in cui sono nate, confessate e progre-dite. Poi via via il termine “religione” divienesinonimo di “civiltà”. Nella cultura occidentale,con la Riforma protestante a partire dal XVIsecolo il termine “religione” è assegnato adue confessioni cristiane distinte, e solo conil XVII secolo, nonostante la loro antichissima

origine, l’Ebraismo e l’Islam saranno considerate religioni.Quanto a numero di fedeli, secondo alcune statistiche

religiose – necessariamente approssimate – intorno al 2001-05,l'Islam (con tutte le sue varianti) è al secondo posto con 1,5miliardi e il 21 per cento sul totale dei fedeli nel mondo, dietro alCristianesimo con 2,1 miliardi e il 33 per cento di fedeli (figura 1).

Si tratta quindi di numeri imponenti e significativi, che inogni caso vanno presi con cautela per la grande incertezzadelle statistiche legata, fra l’altro, al fatto che la religione èquestione personale e multidimensionale, per cui si può andaredalla persona fedele e pienamente praticante, alla personasoltanto credente, alla persona agnostica o atea. In generale ilnumero di credenti, e la religione cui si sentono di appartenere,si determina attraverso indagini statistiche più o meno esaustive.Nonostante i limiti e le difficoltà che si incontrano in questo tipo

L’appartenenza religiosa è uno dei fenomeni più incerti da definire dal punto di vista statistico perché è una questione personale e dalle molte dimensioni

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Mondo musulmano e rapporto fra i popoli: una lettura demografica

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di “esercizi”, alcuni istituti nel mondo si sforzano di arrivarea stime le più accurate possibili. Qui ci si rifà a stime del The PewResearch Center’s Forum on Religion & Public Life, un istitutoamericano creato nel 2001, che si propone di promuovere unaconoscenza più approfondita dei problemi e dei temi che si trovanoall’intersezione della religione e della cosa pubblica. Il Pew Forumconduce indagini, analisi demografiche e altre ricerche nelsociale e si propone di essere luogo neutrale di scambio diopinioni.

2. Alla luce della rilevanza delle cifre sul numero di musulmaninel mondo e della grande attenzione che su di essi si è avutanella storia occidentale, anche in seguito agli attentati dell’11settembre 2001 e di altri attentati che si sono avuti poi anchein Europa e che sono stati attribuiti a possibili fanatici di religionemusulmana, l’attenzione del mondo intero, politico e non, si èappuntata proprio su questa grande comunità religiosa e sulsuo possibile sviluppo demografico, tanto a livello mondiale,quanto a livello territoriale di singole aree e regioni.

Al 2010 si stima che i musulmani siano poco più di 1,6 miliardi(questa cifra è praticamente coincidente con quella di fontediversa precedentemente citata) e rappresentino poco meno

Cristianesimo: 2.1 miliardi

Non religiosi: (secolari,agnostici,atei)1.1 miliardi

Buddismo: 376 milioni

Islam: 1.5 miliardi

Figura 1. Distribuzione delle varie religioni per proporzione e numero di aderenti (intorno al 2001-05)

Fonte: http://www.adherents.com/Religions_By_Adherents.html

33%

Induismo: 900 milioni

Religioni indigene

21%

16%

14%

6%

6%

Religionetradizionale

cinese 394 milioni

6%Sikh 0,36%

Altri

Ebraismo 0,22%

Nota: i l totale è superiore al 100% a causa degli arrotondamenti e per il fatto che per ogni gruppo sonostate utilizzate stime al limite superiore

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Mondo musulmano e rapporto fra i popoli: una lettura demografica

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Ci si aspetta che la popolazione musulmana del mondo siaccresca nei prossimi 20 anni del 35 per cento. Globalmentela popolazione musulmana, caratterizzata da relativamente altafecondità, crescerebbe a un tasso doppio di quello della popola-zione non musulmana: a un tasso medio annuo dell’1,5 per centola prima contro un tasso dello 0,7 della seconda. Tuttavia mentreil tasso di crescita dei musulmani rimane molto più intenso, lavelocità del suo accrescimento va diminuendo nel tempo e nondi poco: si stima che fosse pari al 2,2 per cento nel 1990-2010contro il citato 1,5 per cento del periodo 2010-2030.

Il declinante tasso di crescita è dovuto principalmente alladiminuzione della fecondità in molti Paesi a maggioranzamusulmana, incluse nazioni molto popolose come Indonesia eBangladesh; la fecondità diminuisce man mano che in questiPaesi le donne raggiungono l’istruzione secondaria, il tenoredi vita sale e le migrazioni rurali-urbane trasferiscono uncrescente numero di persone verso le città. Infatti negli ottoPaesi a maggioranza musulmana dove le ragazze hanno il piùbasso numero di anni di scuola il numero di figli per donna – inmedia 5 – è più che doppio rispetto al numero – in media 2,3 –che si registra nei nove Paesi a maggioranza musulmana dovele ragazze frequentano un elevato numero di anni di scuola(la sola eccezione è la Palestina dove le ragazze hanno in mediaben 14 anni di istruzione e la fecondità, per motivi politico-ideologici, resta molto alta, 4,5 figli per donna). In generaleè l’uso della contraccezione a essere molto ridotto: nei Paesia maggioranza musulmana la usano il 47,8 per cento delle

di un quarto della popolazione mondiale, mentre al 2030 si stimache possano essere circa 2,2 miliardi e rappresenterebbero un po’più di un quarto della popolazione mondiale (tabella 1).

Tabella 1. Popolazione musulmana e non musulmana nel mondo: stime e proiezioni, 1999 -2030 (miliardi di persone)

Musulmani 1,1 1,3 1,6 1,9 2,2Non musulmani 4,2 4,8 5,3 5,8 6,1Totale popolazione 5,3 6,1 6,9 7,7 8,3

% di musulmani 19,9 21,6 23,4 24,9 26,4

1990 2000 2010 2020 2030

Fonte: elaborazioni proprie su dati: http://pewforum.org/The-future-of-the-Global-Muslim-Population.aspx

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Mondo musulmano e rapporto fra i popoli: una lettura demografica

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donne in età feconda, contro il 63,3 per cento delle donne neglialtri Paesi in via di sviluppo.

La diminuzione della crescita della popolazione musulmanaè più pronunciata nella regione Asia-Pacifico, in quella MedioOriente-Nord Africa, in Europa e assai meno nell’Africa Sub-sahariana. La sola regione dove vede crescere il suo incrementosono le due Americhe, principalmente a causa dell’immigrazione(tabella 2). Nel fare queste proiezioni, ovviamente, ci si imbattein una serie di incertezze, comprese quelle politiche, dalmomento che il cambiamento di atteggiamento e di climapolitico negli Stati Uniti e in Europa influenzano largamente imodelli delle migrazioni musulmane.

Tabella 2. Popolazione musulmana per grandi aree territoriali: stime al 2010 e proiezioni al 2030(valori assoluti in milioni)

Distribuzione percentuale

Stimapopolazionemusulmana

Assoluto %Distribuzione percentuale

Proiezionepopolazionemusulmana

Mondo intero 1.619 10 0,0 2.190 100,0 571 35,3

Asia-Pacifico 1.006 62,1 1.296 59,2 290 28,8Medio Oriente- Nord Africa 322 19,9 439 20,1 117 36,3Africasub sahariana 243 15,0 386 17,6 143 58,8Europa 44 2,7 58 2,7 14 31,8Americhe 5 0,3 11 0,5 6 120,0

Incremento2010-2030

20302010

Area territoriale

Fonte: elaborazioni proprie su dati: http://pewforum.org/The-future-of-the-Global-Muslim-Population.aspx

In particolare i 10 Paesi con la più larga presenza di musul-mani al 2010 e al 2030 sono quelli precisati nella tabella 3. Èfacile vedere come il Pakistan sia il Paese con la più forte crescita(78 milioni di abitanti) e la Turchia quello con la crescita piùbassa (14 milioni di abitanti); ma anche come nella classificaentrino due Paesi asiatici – Afghanistan e Iraq – mentre neescono due del Nordafrica – Algeria e Marocco.

Tutta questa demografia differenziale comporta non soltantouna profonda modificazione nella distribuzione territorialedella popolazione musulmana, ma anche profondi mutamentinella cultura – anche in relazione alla distribuzione, e alladiffusione, delle scuole giuridico-religiose islamiche – e nellageo-politica nel mondo intero.

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Mondo musulmano e rapporto fra i popoli: una lettura demografica

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La riduzione della natalità condurrà necessariamente a unfuturo invecchiamento della popolazione musulmana, finoraparticolarmente giovane considerando che nel 2010 si stimache in essa il 60,4 per cento avesse meno di 30 anni e solo il 39,6per cento 30 anni o più; nel complesso dei Paesi economica-mente più sviluppati (nei quali la presenza musulmana è moltoridotta), la percentuale dei giovani era pari al 36,3 per cento eil 63,7 era la percentuale degli ultratrentenni; la distanza nellaproporzione di popolazione giovane dovrebbe rimanere moltoforte anche nel 2030.

Percentuale di popolazionecon meno di 30 anni 68,4 42,3 60,4 36,3 50,4 32,3

Percentuale di popolazionecon 30 anni e più 31,6 56,8 39,.6 63,7 49,6 67,7

Tabella 3. I 10 Paesi con il maggior numero di musulmani al 2010 e al 2030(in milioni di abitanti)

Paesi 2010 2030 Paesi

Indonesia 205 256 PakistanPakistan 178 239 IndonesiaIndia 177 236 IndiaBangladesh 149 188 BangladeshEgitto 80 117 NigeriaNigeria 76 105 EgittoIran 75 90 IranTurchia 75 89 TurchiaAlgeria 35 51 AfghanistanMarocco 32 48 Iraq

Fonte: http://pewforum.org/The-future-of-the-Global-Muslim-Population.aspx

Tabella 4. Percentuale, sul totale, di popolazione con meno o più di 30 anni nei Paesi a maggioranzamusulmana (a) e nei Paesi economicamente progrediti a larghissima minoranza musulmana (b)

Classi di età 1990 2010 2030

a ba ba b

Fonte: elaborazioni proprie per i Paesi (a) su dati: http://pewforum.org/The-future-of-the-Global-Muslim-Population.aspx e su dati UN, Population Prospects,per i Paesi (b), insieme dei More Developed Countries

È facile immaginare come possibili fenomeni di fanatismoreligioso possano essere maggiormente presenti nei Paesi conun gran numero di giovani; e in ogni caso come in essi sia e

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Mondo musulmano e rapporto fra i popoli: una lettura demografica

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sarà molto più elevata la domanda di istruzione e di lavoro.Il Rapporto del Pew Forum mette anche in luce come i

musulmani sunniti continueranno a costituire la schiacciantemaggioranza (87-90 per cento) anche nel 2030. La porzione disciiti potrà declinare leggermente, soprattutto a causa dellarelativamente bassa fecondità dell’Iran dove vivono circa unterzo di tutti gli sciiti del mondo.

3. Anche nel campo della religione la demografia va disegnandoun mondo che si modifica intensamente e profondamente. Il fattoè che la popolazione mondiale ha raggiunto – 7 miliardi dipersone nel 2011 – e molto probabilmente raggiungerà – piùdi 9 miliardi nel 2050 – una dimensione che inevitabilmentecondiziona tutti gli aspetti della vita delle persone, dei popoli e

dei loro rapporti – culturali, psicologici, econo-mici, sociali, ambientali.

Il retaggio di antichi problemi, e delle forticontrapposizioni che si sono radicate anchenella cultura popolare – ad esempio nellestorie dei pupi siciliani – e il ricordo vivissimodi recenti tragedie – a partire da quelladell’11 settembre e a seguire con le guerre cheda lì hanno preso avvio – certamente hanno

creato nell’opinione pubblica il sospetto e la paura che sivogliano fare guerre di religione, guerre che ancora mietonovittime non soltanto fra i musulmani, ma anche fra i seguacidi altre confessioni, a partire da quella cristiana.

Almeno negli Stati Uniti recenti indagini di opinione hannomostrato come, dopo l’11 settembre, non risulti un incrementoné di alienazione né di rabbia fra i musulmani americani comerisposta alle preoccupazioni della popolazione generale riguardoalla possibile crescita di terrorismo islamico, alle controversieriguardo la costruzione di moschee e alle altre forme di pressionepsicologico-operativa; e anzi gli stessi islamici-americaniesprimono grande preoccupazione riguardo all’estremismoislamico, ovunque si manifesti (http://pewforum.org/Muslim/Musl im-Amer icans--No-Signs-of -Growth- in-Al ienat ion-or-Support-for-Extremism.aspx).

Certamente le gravi condizioni di arretratezza economica esociale che caratterizzano i Paesi a prevalenza islamica nonaiutano il processo di pace che potrà compiersi solo quando sipotrà avere nel mondo una consistente diminuzione, finoall’annullamento, nelle fortissime iniquità che lo caratterizzano.

Sotto il profilo culturale hanno, dal canto loro, grande signi-

Resta nell’opinione pubblica la paura delle guerre di religione, generata da antichecontrapposizioni radicatenella cultura popolare, ma ancheda eventi come l’11 settembre

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Mondo musulmano e rapporto fra i popoli: una lettura demografica

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ficato e importanza iniziative come il dialogo interreligioso, chesi riferisce all’interazione positiva fra persone o gruppi di personeappartenenti a differenti tradizioni religiose, basata sul pre-supposto che tutte le parti coinvolte, a livello individuale eistituzionale, accettino e operino per la tolleranza e il rispettoreciproco. Necessità assoluta per il mondo contemporaneoe per quello prossimo venturo dal momento che la storiadelle religioni mostra che il conflitto è sempre stato il tipo direlazione ordinario tra i vari credo, di gran lunga preponderanterispetto al dialogo.

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anoLa scheda /

Stranieri in Italia: nove su dieci sono cristiani o musulmani

Secondo la stima contenuta nel Dossier Caritas/Migrantes,alla fine del 2010 le due principali confessioni rappresentatetra i 4.570.317 stranieri regolarmente residenti in Italia sonoquella cristiana con il 53,9% e quella musulmana con il 32,9%(tabella 1). Questo significa che quasi nove stranieri su dieciappartengono a uno di questi due grandi gruppi religiosi: unadistribuzione abbastanza diversa da quella generale delleappartenenze religiose nel mondo in cui – secondo i dati dell’Atlasof Global Christianity 2010 – la somma dei fedeli professantiCristianesimo e Islam è di poco superiore al 50% (33,2% deicittadini del globo sono accreditati come cristiani, il 22,4%come islamici).

Tabella 1. Popolazione straniera residente in Italia per confessione religiosa (dati al 31 dicembre 2010)

Religione di appartenenza Numero di stranieri residenti % sul totale

Cristiani * 2.464.938 53,9di cui Ortodossi 1.404.780 (30,7)

Cattolici 876.087 (19,1)Protestanti 203.755 (4,4)Altri cristiani** 32.895 (0,7)

Musulmani 1.504.841 32,9Ebrei 6.657 0,1Induisti 119.689 2,7Buddisti 88.794 1,9Altre religioni orientali *** 60.684 1,3Atei/gnostici 196.156 4,4Religioni tradizionali (animisti) 46.054 1,0Altri 82.504 1,8Totale 4.570.317 100,0

Fonte: Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes. Stima su dati Istat

* Il totale dei “cristiani” risulta leggermente inferiore alla somma delle singole appartenenze religiose stimate,a causa di alcune sovrapposizioni statistiche** Il gruppo degli “altri cristiani” comprende testimoni di Geova, mormoni, spiritisti, indipendenti*** Il gruppo delle “altre religioni orientali” comprende religioni tradizionali cinesi, confucianesimo, gianismo,sikhismo, scintoismo, taoismo, zoroastrismo

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I numeri sull’appartenenza religiosa degli immigrati in Italia

Questa particolare configurazione dell’appartenenza religiosain Italia, che vede sovrarappresentate le due confessionimaggiori, trova le sue ragioni nella particolare provenienzadell’immigrazione italiana, che ha le sue due principali fontinei Paesi dell’Europa dell’Est – dove la confessione ortodossa èlargamente maggioritaria e dunque alimenta la componente“cristiana” – e nei Paesi del Maghreb – dove al contrario è laconfessione islamica a prevalere nettamente su tutte le altre.

A riprova di questo ci sono i dati della tabella 1 relativi aglistranieri di religione cristiana, che per oltre la metà sonoortodossi. Al contempo, risultano significative anche le gradua-torie dei gruppi nazionali per le diverse comunità religiose.Per gli ortodossi i cittadini rumeni pesano per larga parte concirca 841mila unità, seguiti da ucraini (168mila) e moldavi(122mila). Tra i cattolici i gruppi più numerosi sono i filippini(109mila), i polacchi (105mila), gli ecuadoriani (84mila) e iperuviani (80mila). Tra i protestanti prevalgono ancora i rumeni(50mila) e di seguito compaiono immigrati di origine europeacome i tedeschi e gli inglesi (15mila). Tra i musulmani, invece,la classifica dell’appartenenza religiosa per nazione vedeprevalere i marocchini (448mila), seguiti dagli albanesi (364mila)e dai tunisini (106mila).

Da notare il dato relativo agli albanesi che sono probabilmente,pur nella prevalenza della religione islamica, la nazionalitàpiù eterogenea dal punto di vista dell’appartenenza religiosavisto che oltre ai 364 mila musulmani, vi sono anche 42milaortodossi e 42mila cattolici, su una popolazione totale di482mila residenti. Analogo discorso può essere fatto per i rumeni,che oltre agli 814mila ortodossi e ai 50mila protestanti contano71mila cattolici.

Se dal livello nazionale ci si sposta al livello dei Continenti,si nota che il 78% degli immigrati di religione cristiana vieneda un Paese europeo, mentre il 58% dei musulmani sono diorigine africana (in particolare, come ovvio, vengono dai Paesidell’Africa settentrionale) e sei ebrei su dieci sono di origineeuropea. Più scontati i dati relativi alle altre confessioni: sonoasiatici il 95% degli induisti e la totalità dei buddisti, cosìcome provengono dall’Africa tutti gli stranieri che si professanoanimisti.

Per quanto riguarda il dato ri levato per la prima voltaquest’anno, quello relativo ai 196mila immigrati classificaticome “atei” o “non religiosi”, per lo più si tratta di personeprovenienti dall’Europa o dalla Cina.

Infine una breve nota metodologica. I ricercatori del Dossier

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I numeri sull’appartenenza religiosa degli immigrati in Italia

Caritas/Migrantes hanno utilizzato per le loro stime un sistemache si basa su due assunti principali. Il primo riguarda ladefinizione di “appartenenza religiosa”, che si intende come“la formazione ricevuta nell’ambito di una determinata comunitàe il conseguente riferimento alle sue tradizioni, a prescinderedalla relativa partecipazione ai riti religiosi e dall’atteggiamentointimo nei confronti della divinità”. Dunque, quando si definiscela religione di un immigrato si intende la sua confessione diriferimento e non il fatto che egli sia effettivamente praticante.

Il secondo: in mancanza di specifiche fonti sulle sceltereligiose individuali degli immigrati (come d’altra parte sembralogico essendo quella della religione una questione legata allaprivacy), la stima è stata fatta nel presupposto che la lororipartizione per comunità religiose corrisponda a quella che siriscontra nei rispettivi Paesi d’origine.

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La sapienza della religione:spazio e limite della comunicazione di fronte al discorso religioso

di Mario Morcellini e Marco Bruno“Sapienza” università di Roma

Una rappresentazione distorta da parte dei mediaha favorito la strumentalizzazione di questo temaa fini politici. Una volta costruito il clima culturaledella diffidenza e della difesa dell’identità, i framedella paura e del conflitto diventano incontrollabili

Comunicare la religione/le religioniReligione e spiritualità, comportamenti quotidiani dei credenti

e norma religiosa, partecipazione attiva alla vita sociale e usoa fini politici della religione. Sono solo alcune delle coordinatedell’espressione religiosa che i mass media faticano a inquadrare,a rappresentare e, quindi, a interpretare. E ciò in un’epoca incui sempre più, anche a livello internazionale, l’azione politicasovente si organizza intorno ad appartenenze religiose che siconfigurano in termini identitari (che sarebbero in sé oppositivi,dicotomici, rigidi al cambiamento e al dialogo); o almeno a identitàreligiose affermano di ispirarsi.

Si tratta, evidentemente, di un lascito della perdita di appealdei sistemi ideali e ideologici del Novecento, per lo più secolarie secolarizzanti. È il caso, ad esempio, dell’immensa quantoimmeritata fortuna del frame interpretativo dello scontro diciviltà. Immensa perché questa immagine ha dilagato nelleinterpretazioni dei media dell’ultimo decennio, sorretta dallasua semplicità (dicotomica: un “noi” e un “loro” chiaramenteidentificabili) e da una sua perversa “efficacia” nel soddisfare leesigenze di tematizzazione di un panorama informativomediamente impreparato a leggere in profondità i rivolgimentinello scenario internazionale, così come i mutamenti prodottidai fenomeni migratori nelle società occidentali. E immeritataper numerosissimi motivi, il primo dei quali è quello di categorieinterpretative, lo stesso concetto di “civiltà”, perlomeno inadeguate.

Il differenzialismo culturale, che sfocia regolarmente nell’es-senzializzazione delle culture Altre, si nutre spesso della

L’immagine dello scontro di civiltà,in questi anni,ha avuto suimass mediauna fortuna immensa e immeritata

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convinzione che i flussi migratori comportino inevitabilmenteun conflitto, ad esempio, rispetto alla presenza dei musulmaniin Europa. Parlare delle religioni degli immigrati significa implici-tamente discutere di Islam; ma pochi notano che leggendocon attenzione i dati sui nuovi ingressi nel territorio italiano siscopre che entrano in proporzione più “cristiani” (ad esempiodall’Europa dell’est, ma anche dall’Asia) spesso non cattolici,ortodossi o con riferimenti religiosi interni alla galassia protestanteo evangelica, di quanti ne arrivino dal mondo musulmano: solo unterzo dei nuovi arrivi proviene dai Paesi del Maghreb o dall’Asiameridionale, da Paesi quindi a maggioranza – almeno teorica-mente – musulmana (vedi anche la scheda a pag. 31). Colparadossale effetto che, pur aumentando lo “stock” di musulmani,percentualmente la loro quota rispetto all’insieme della popo-lazione italiana appare sostanzialmente stabile da anni 1.

È poi un dato supportato da ampia letteratura e da evidenzeempiriche 2 che nelle rappresentazioni dell’Islam nei mediaitaliani prevalgano stereotipi e immagini distorte. A partire dalpermanere di uno sguardo viziato dalla prospettiva “orientalista”– seguendo la denuncia di Edward Said – in cui l’immagine diminaccia e il frame del conflitto si alternano con visioni esotiz-zanti e suggestive. La monoliticità del sistema religioso islamico,un fanatismo quasi innato, un’immagine astorica e immutabiledelle società musulmane sono solo alcuni degli elementi piùevidenti di questo complesso di distorsioni; cui si aggiungonodiffidenze e incomprensioni, potremmo dire, più recenti chepoco hanno a che fare con la legittima richiesta di rispetto deidiritti umani, ma molto invece con la superficialità delle analisi 3.

Il sentimento religioso, le credenze nei valori e nella spiritualitàrappresentano indubbiamente un soggetto ostico per il sistemadei media, in particolare per il generalismo e per l’informazionequotidiana che si trova spesso a dover trattare sistemi in realtà

1 Tra 1.300.000 e 1.500.000 persone, secondo le varie stime. Sul complessotema della stima delle appartenenze religiose, si veda tra gli altr i , Caritas-Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011, 21° rapporto, Roma, Idos; inparticolare pp. 202-203. Nell’ultima pubblicazione il dossier Caritas alza la stimaa 1.504.841; minori le cifre in altre fonti, tra le quali segnaliamo la stima di1.300.000 in S. All ievi, 2010, La guerra delle moschee. L’Europa e la sfida delpluralismo religioso , Venezia, Marsil io2 Si veda, tra gli altr i , M. Bruno, 2008, L’islam immaginato. Rappresentazioni estereotipi nei media ital iani, Milano, Guerini e Associati 3 Che ad esempio omettono di evidenziare la diffusione trasversale di forme difanatismo, oppure che misoginia, autoritarismo e violazione dei diritt i dei piùdeboli sono tristemente diffusi nelle culture e nei contesti più diversi

Parlare delle religioni degli immigrati significa implicitamentediscutere di Islam;ma pochi notano che in Italia entrano in proporzione più cristiani che persone di confessioneislamica

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molto complessi, sia dal punto di vista delle diverse declinazionidottrinarie sia, soprattutto, in riferimento al concretizzarsi del-l’esperienza religiosa e dei suoi vari aspetti nella vita quotidianadei credenti. Ancora per restare all’Islam, già Carlo Marletti 4

aveva notato come l’attenzione ossessiva del sistema medialeper alcune dimensioni esteriori della religiosità islamica (quali,ad esempio, l’atto di prostrarsi nella preghiera collettiva, leimmagini delle scarpe ammonticchiate all’ingresso di una saladi preghiera, il richiamo cantilenante di un muezzin) mostrassecon tutta evidenza l’incapacità di cogliere le dimensioni realmentesignificative dell’universo religioso e culturale islamico; in questoquadro è pienamente riconoscibile la dipendenza dei mediada segni e simboli di un’alterità “radicale”, resi così immedia-tamente riconoscibili e per questo “iconici”, soprattutto perl’estraneo sguardo “occidentale”. L’effetto di estraneità e didistanziazione culturale si autoalimenta così, proprio in riferi-mento alla metodica riproposizione di questa “religiositàtelegenica” 5, la quale, inoltre, sembra addensarsi in particolarmodo nella dimensione visuale della copertura giornalistica:ritroviamo così un copione visivo costante e monodimensionalenelle immagini televisive e nell’apparato iconografico dellastampa quotidiana e periodica, talvolta anche in opposizioneai contenuti del parlato o dello scritto 6.

Ma con questi esempi si è su un piano in qualche modo piùcomplesso del problema della rappresentazione dell’alterità,e relativo forse a dinamiche più sottili, talvolta inconsapevoli.Uno dei nodi più evidenti, invece, richiama la costruzione diuna sovrapposizione, se non di un’equazione tra l’Islam e levarie forme di fondamentalismo e l’uso strumentale dei simbolireligiosi a fini politici. In questo senso, appare invece evidentela costruzione di un frame funzionale e corrispondenteall’adozione di politiche che sul piano internazionale hannocontraddistinto la prima fase del post 11 settembre (la dottrinaBush, la campagna d’Iraq, la lotta al terrorismo e il vulnus aldiritto plasticamente rappresentato da Guantanamo, Abu Ghraibo dalle extraordinary renditions) mentre sul piano internoquesto frame ha rinforzato la diffidenza e in qualche caso

4 C. Marletti (a cura di), 1994, Televisione e Islam. Immagini e stereotipi dell’Islamnella comunicazione italiana, Roma, VQPT5 C. Marletti (a cura di), 1994, Televisione e Islam. Op. cit6 M. Bruno, L’islam immaginato. Op. cit

L’attenzione ossessiva del sistema informativo per alcune dimensioni esteriori della religiosità islamica mostra l’incapacità di coglierne la dimensione realmente significativa

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l’islamofobia 7, ma soprattutto ha contrastato o rallentato pratichedi scambio e di integrazione, ma anche di pieno riconoscimentodi diritti pur previsti dal nostro ordinamento. L’esempio piùcalzante riguarda i conflitti che si moltiplicano intorno all’edifica-zione di moschee e di luoghi di culto dignitosi, in cui le resistenze(talvolta legittime) degli attori locali e le grottesche, e talvoltaviolente, manifestazioni ipermediatizzate degli imprenditoripolitici della xenofobia finiscono per oscurare la questione diun pieno riconoscimento della libertà religiosa e di culto, sancitadall’articolo 19 della Costituzione italiana 8.

Indulgendo in rappresentazioni distorte, non resistendoadeguatamente alle spinte conflittuali, i media non sono sembratiin grado di contrastare adeguatamente la strumentalizzazionedella religione a fini politici. In questo vi sono dei limiti cheriguardano intrinsecamente la media logic 9, ma ciò non puòcostituire un alibi soprattutto se si considera che non è laprima volta che la comunicazione di massa si trova ad affrontaresimili sfide; si pensi al problema del terrorismo e della violenzapolitica in generale. L’impressione è che, con riguardo al fonda-mentalismo e alle forme di intolleranza politica su base religiosa,i media siano stati meno in grado di resistere, magari proponendouna via di analisi e di interpretazione che non li riducesse astrumento di chi grida più forte o di chi agita il conflitto. Gliesempi sarebbero molti e vanno anche al di là del caso purparadigmatico del “conflitto” con l’Islam: riguardano ad esempiol’opera di provocazione di molti “atei devoti”, lo spazio riservatoai vari predicatori d’odio 10, forme più o meno velate di antise-mitismo, le provocazioni di fondamentalisti cristiani come ilreverendo Jones e il suo rogo del Corano. Alcuni di questiesempi potrebbero etichettarsi come semplici “piazzate”,

7 Termine comunque da maneggiare con cura: sul tema si veda S. Allievi, 2010,La guerra delle moschee. Op. cit., pp. 135-1428 “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasiforma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privatoo in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume” (art.19della Costituzione ital iana). Tale diritto è sancito anche a l ivello internazionale,ad esempio dall ’ar t icolo 9 comma 2 della Convenzione Europea dei Diritt idell’Uomo. Sul tema dei conflitti intorno alla costruzione delle moschee, di per sécomplesso, si r imanda a S. All ievi, 2010, La guerra delle moschee. Op. cit. e Id.(a cura di), 2009, Confl icts over Mosques in Europe. Policy Issues and Trends,London, All iance Publishing Trust 9 M. Bruno, 2009, Islam e comunicazione. L’orientalismo latente e la media logic,in R. Gritti, M. Bruno, P. Laurano, Oltre l’Orientalismo e l’Occidentalismo, Milano,Guerini e Associati, in particolare pp. 277- 281 10 Si pensi allo scellerato spazio e credito offerto a personaggi come Adel Smithda Bruno Vespa a Porta a porta

Riguardo al fondamenta-lismo e alla intolleranza politica su base religiosa i media non sono stati capaci di proporre una via di analisi chenon li riducesse a mero strumento di chi grida più forte

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azioni simboliche o comunque prevalentemente tali, se nonavessero invece conseguenze reali e dolorose, magari a centinaiao migliaia di chilometri di distanza11.

Una volta stimolato, costruito, organizzato, il clima culturaledella diffidenza e della difesa dell’identità, così come il framedella paura e del conflitto, diventa incontrollabile. Questo èuno dei nodi problematici più interessanti e al tempo stesso piùardui da sciogliere riguardo all’azione che i media esercitanosulle conoscenze del mondo dei propri pubblici e, quindi,sugli atteggiamenti che preparano all’agire: la paura e l’insi-curezza mediatizzata – probabilmente le vere cifre del nostrotempo – non si riassorbono con la semplice “conclusione” diun evento che ha scosso e interrogato il pubblico rispettoall’esistenza del male nella società (poniamo, un omicidioefferato in famiglia o un atto terroristico), ma la stessa “chiusura”(l’arresto del colpevole o presunto tale, la scoperta dei mandantio delle motivazioni ideologiche), inserita nelle dinamichemediali, pone nuove domande, genera ulteriori incertezze,alimenta nuove e più grandi paure (cosa ne è della famigliadi una volta? Siamo sicuri nelle nostre città? etc.).

Vi sono poi conseguenze sulle policies in materia migratoria,sulle politiche di welfare, sui provvedimenti in materia di diritti.Come si è visto, la costruzione e definizione di un problemasociale, pur fondandosi su coordinate rappresentative altamenteinfluenzate dalla dimensione simbolica, va analizzata anche esoprattutto in riferimento agli effetti sulla realtà, nei modi diintendere lo stare in società, fino a influenzare le scelte e icomportamenti dei singoli nel quotidiano. Si pensi al delicatotema dell’effettivo e pieno esercizio dei diritti: anche senzaentrare nel merito dei modelli con i quali i diversi Paesi hannoaffrontato il tema del pluralismo religioso e culturale, è undato che l’applicazione di una concezione “comunitarista” delriconoscimento delle diverse identità può avere molti effettinegativi per quel che riguarda l’effettiva integrazione dei singoli(i membri di quel gruppo); d’altronde il semplice richiamo ai dirittidell’individuo può risultare inefficace e avere solo effetti di

11 Manifestazioni e scontri legati alla vicenda del rogo del Corano hanno provocatoin Afghanistan 9 morti e 81 feriti. Il caso è simile alle proteste seguite in varie partidel mondo alla pubblicazione delle vignette danesi contro Maometto; tra queste,in seguito all’utilizzo di tali vignette da parte dell’ex ministro Calderoli che in tv lemostra provocatoriamente stampate su una maglietta, l ’assalto all ’ambasciataital iana in Libia si conclude con la polizia che spara sulla fol la uccidendo 11manifestanti

Il clima di paura e insicurezza ha le sue conseguenze anche sulle politiche relative allaimmigrazione e al welfare,nonché sui provvedimentiin materia di diritti,e quindi sullaintegrazione

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conservazione dello statu quo se non si comprende che alcunediscriminazioni o deprivazioni dipendono in larga misura dallamancanza di voice del gruppo o dell’identità di cui quellapersona fa parte o sente di far parte. Senza contare, poi, chele maggioranze detengono anche un effettivo potere seman-tizzante sui limiti, sulla legittimità di determinate posizioni esulle coordinate caratterizzanti del discorso pubblico. Anchequesti sono elementi da tenere in piena considerazione quandosi affronta, ad esempio, il nodo dell’effettivo riconoscimentodei diritti dei nuovi italiani.

Comunicazione, discorso religioso e discorso pubblicoVi è in tutto ciò una centralità della comunicazione che va

oltre il semplice rispetto delle norme deontologiche e il giustoesercizio del diritto di cronaca, e chiama in causa il delicatoruolo dei media nella società contemporanea e la stessaresponsabilità sociale del giornalista.

Cosa ci dice dei media lo stile di narrazione dei conflittirel igiosi ma in generale della stessa spiritualità? I mediarendono “basso” anche ciò che è “alto”; vi è un problema dirappresentazione di tutto ciò che sfugge alla corporeità, allaconcretezza, alla dimensione terrena, non ultimo lo stessotema della negoziabilità dei valori, di tutti, compresi quellispirituali: se il confronto e l’esercizio del dubbio hanno unsenso, questo si diluisce fino a dissolversi qualora il processodi negoziazione diventi in-finito, reiterato e sterile eserciziodi visioni e identità contrapposte, se non è seguito da unasintesi o non raggiunge un punto d’approdo che almenoconsenta di guardare ai propri e agli altrui valori con francaonestà e rispetto reciproco. I media sono terreni, consumabili,ma il pensiero religioso ha l’aspirazione ad andare oltre, anon costringersi in limiti generici e superficiali. Lo scambiodi idee, invece, la pratica dell’Altro sono il principale antidotoal populismo che tanto permea il discorso pubblico contem-poraneo: il cuore del populismo, infatti, è proprio la certezzadi essere naturalmente dalla parte della ragione e il nonriconoscere il valore democratico del vivere insieme, dellascoperta dell’Altro.

Il problema è, quindi, come uscire da questa impasse e comedistricarsi da queste dinamiche che, più o meno consape-volmente, finiscono con l’aumentare la distanza sociale e ladiffidenza reciproca tra i sistemi religiosi e non riescono arendere conto della quantità e della qualità di dialogo, inter-religioso e interculturale, che invece lavora tenacemente nel

Lo scambio di idee,la scoperta e la pratica dell’Altro sonoil principale antidoto al populismo che permea il discorso pubblico attuale,il cui cuore è la certezzadi essere naturalmente dalla parte della ragione

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cono d’ombra del disinteresse mediale12. Ma la questione puòanche essere posta rovesciandone alcuni dei termini: cosa cidice delle stesse culture religiose il modo in cui i media rap-presentano la religione e soprattutto il suo uso politico? Qualisono gli aspetti caratterizzanti che i sistemi religiosi ma anchegli stessi credenti non riescono adeguatamente a mostrare almondo, cosa impedisce di inserire nel discorso pubblico – inmaniera equilibrata e rispettosa delle differenze – la forza deivalori e della spiritualità che pure guidano l’azione di milionidi cittadini impegnati in uno sforzo quotidiano di automiglio-ramento e di azione nel sociale?

Tutto ciò ha sicuramente a che fare anche con i limiti dellasecolarizzazione, con il complesso e certamente non univocoprocesso di disincanto del mondo13. E la desacralizzazionedella società stessa, la perdita di centralità del sociale nellavita degli individui prepara e sostiene la crisi del giornalismo14

e in generale di tutte le forme di mediazione. Rispetto alladimensione comunicativa, infatti, il disincanto sembra porsi inparallelo con il “licenziamento del passato” 15 che opera neimedia e in generale in tutti i sistemi comunicativi. Si pensi allaperdita di importanza della memoria come dispositivo inter-soggettivo di lettura e “celebrazione” della società, anche daparte dei media e nonostante l’apparente abbondanza dicontenuti “di archivio”; oppure alla rincorsa del nuovo (o delnuovismo) a tutti i costi; e soprattutto alla tendenza a indulgerein un “eterno presente”, in cui il racconto e l’analisi dei processisociali stenta a emanciparsi da quella tenebrosa incapacità diandare oltre il racconto della realtà come cronaca, a vantaggio diuna possibile e auspicabile profondità e ampiezza d’analisi,di una mediazione che non sia mera descrizione ma che offrareali ed efficaci strumenti di comprensione del reale.

In questo senso, c’è il rischio che le religioni possano inqualche modo subire questa logica comunicativa fatta di

12 Si pensi solo alla meritoria opera della Comunità di Sant’Egidio13 Impossibile in questa sede tracciare anche solo le coordinate essenziali deldibattito sulla secolarizzazione e i suoi limiti nella tarda modernità e su un possibile“ritorno del sacro”. Ci limitiamo a rimandare a R. Gritti, 2004, La politica del sacro.Laicità, rel igione, fondamentalismi nel mondo globalizzato, Milano, Guerini eAssociati. Sui mutamenti della religiosità e sul problematico nesso tra dimensionereligiosa e culturale, cfr. O. Roy, 2009, La santa ignoranza. Religioni senza cultura,Milano, Feltr inell i 14 M. Morcellini (a cura di), 2011, Neogiornalismo. Tra crisi e rete, come cambia ilsistema dell’informazione, Mondadori Università, Milano15 M. Morcellini (a cura di), 2011, Neogiornalismo. Op. cit., p. 11

Il modo in cui i media rappresentano la religione e il suo uso politico devono anche farci chiedere quali sono i valori profondie la spiritualità dei sistemi religiosi che i credenti non riescono a mostrare al mondo

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superficialità e genericità, eterno presente e carenza di inve-stimento nei valori. Anche se è improbabile che arrivino aesserne subalterni, cosa accadrebbe ai sistemi religiosi serincorressero o peggio assecondassero un tale spirito del tempo?Se le chiese si fanno “secolarizzare” dai media, quanto perdonodel loro significato? Certo, si tratta di riaffermare che, ad esempio,il problema del relativismo acquista senso solo se riguarda ladimensione della differenza culturale in un’ottica di reciprocorispetto e riconoscimento della pluralità dei punti di vista, comeantidoto a ogni forma di assolutizzazione discriminante; altro è,invece, un relativismo etico che si risolvesse in un’accettazioneacritica di ogni nefandezza in nome di un presunto rispetto dei“valori” dell’altro. Il punto è, in realtà, che non solo le religioni,con la loro aspirazione a parlarci del trascendente, sembranoessere le meno titolate a inserirsi in una tale strettoia, ma ancheche, nella pratica, è molto più facile che i grandi sistemi religiosi– ma non chi si arroga il diritto di farsene strumentalmenteportavoce – trovino tra loro punti di dialogo e incontro intornoai grandi temi che chiamano gli uomini e le donne alla responsa-bilità di progettare le società del futuro: pace, diritti, libertà,riconoscimento reciproco, etc.

Lo sguardo sociologico ha colto bene come le religioni, inquanto apparati simbolici, hanno svolto e svolgono un delicatoruolo di definizione delle mappe di significato per uomini che,consapevoli della propria finitezza, erano e sono alla ricercadi coordinate di senso e di imperativi etici funzionali alla vitae all’agire sociale. Un’interessante prospettiva per affrontarela questione è offerta dall’immaginare (e quindi analizzare) lestesse religioni propriamente come dei sistemi comunicativi.A tal proposito Enzo Pace ha efficacemente mostrato, utilizzandoun approccio sistemico, come esse “tendono a rappresentarsi[…] come un deposito di verità immutabile che le consente diattraversare indenni le temperie della storia”, tuttavia “[…] comesistemi di simboli e come complessi di rituali interagisconocon l’ambiente sociale; di conseguenza subiscono tutti i contrac-colpi dei mutamenti che si verificano nelle società in cui essesono presenti, magari nel respiro lungo della storia” 16.

Il punto è che, proprio attraverso quanto più c’è di comunicativo,la parola, i sistemi religiosi disegnano e rimodellano i confinidella propria influenza, la propria dimensione etica e normativa

16 E. Pace, 2008, Raccontare Dio. La rel igione come comunicazione , Bologna,I l Mulino, p. 315

I rischi insiti nella rinunciaal “sacro”da parte della società e nella perdita di centralità del sociale,che si riflettonosui media;cosa succedese anche le Chiese subiscono la logica comunicativa dell’“eterno presente”

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e quella di ogni singolo credente che si affida in qualche modoa un’appartenenza religiosa. Ma la parola del sentimento e della“comunicazione” religiosa – pur basandosi ad esempio su uncarattere persuasivo che potremmo anche considerare comuneagli apparati mediali – agisce su un piano che appare radical-mente “altro” rispetto alle dinamiche e ai meccanismi dei sistemicomunicativi mass-mediali che, come detto, sono impantanati inuna sterile riproposizione dei frame dicotomici e conflittuali. Adesempio, nel richiamo alla braudeliana longue durée, “unità dimisura” degli adattamenti delle religioni al mutamento sociale, èfacile rintracciare uno degli elementi di maggior distanza rispettoall’eterno presente testardamente coltivato dai media nelladescrizione del reale.

Allora, forse, s’impone uno “scarto di lato”, un mutamento diprospettiva e di focus che consenta di rintracciare piani diversidi partecipazione e di narrazione del contatto con le alterità. Inalcune dimensioni della religiosità, in forme di associazionismo edi attivismo fortemente orientate ai valori della solidarietà, nellarinnovata attenzione al tema dei beni comuni, sembra possibilerintracciare un interesse tutt’altro che marginale, anche in tempi didisincanto, ad alcuni dei nodi più critici attraverso cui si disegnanole società del futuro. Uno di questi, il rapporto con l’Altro, è indub-biamente uno dei territori in cui si fa più appassionante la ricercadi un diverso e più aperto modo di organizzare cognitivamente espiritualmente i disegni sul mondo a venire. Ad esempio – e adispetto delle retoriche catastrofiste sulle nuove generazioni – igiovani appaiono molto più pronti a sperimentare il plurale, sonoforse gli unici a mettersi realmente in gioco, a mostrare di esseremaggiormente attrezzati nel non farsi sopraffare da climi culturaliall’insegna dell’intolleranza e del conflitto; in molti di loro, apparepiù matura, infatti, la capacità di esercizio del dubbio, la ricercadi conoscenza sull’Altro, pure all’interno di una spiritualità che è sìidentità forte ma non per questo smette di essere anche ricerca:fedeli – magari anche inconsapevolmente – all’esortazione “erostraniero e mi avete accolto” (Matteo 25,35), per molti giovani ilconfronto e lo scambio assumono il valore di bene comune eanche il confronto religioso diventa una risorsa pienamentedemocratica di conferimento di senso alla vita.

Può apparire paradossale, ma è proprio in tempi di crisi, disuperficialità e di individualismo sfrenato, che molti sono in gradodi riscoprire che, come diceva T.S. Eliot: “il genere umano nonpuò sopportare troppa realtà”: a maggior ragione se si trattadi una “realtà” fittizia costruita dalle incapacità dei media e daicolpevoli egoismi della politica.

I giovani appaiono molto più pronti a sperimentare il plurale,a mettersi regolarmente in gioco e a non farsi sopraffare da climi culturali all’insegna della intolleranza e del conflitto

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anoIl pluralismo religioso

fra principi costituzionalie risposte del territorio

di Sandra Sarti Prefetto - Direttore centrale per gli Affari dei culti, ministero dell’Interno

Mentre si discute della necessità o meno di una nuova legge sulla libertà religiosa, i governi localihanno già colto l’esigenza di attenzione su questotema, creando una rete di comunicazione con le diverse realtà etniche e confessionali

La portata della garanzia costituzionaleL’articolo 7 della Costituzione definisce lo Stato e la Chiesa

cattolica, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani,e prevede che i loro rapporti siano regolati dai Patti lateranensi.

Il sistema della libertà religiosa si estende a tutte le confes-sioni religiose che, come previsto dall’articolo 8 primo comma,sono ugualmente libere davanti alla legge e, per effetto delcomma successivo, coinvolge tutte le formazioni sociali cheperseguono finalità religiose, alle quali spetta il diritto diorganizzarsi dandosi, con il proprio statuto, una struttura chedeve essere conforme all’ordinamento giuridico dello Stato.L’articolo 19 rafforza e amplia la garanzia della libertà statuendoche tutti hanno diritto di professare liberamente la propriafede religiosa e le convinzioni personali in qualsiasi forma,individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne inprivato o in pubblico il culto, purché non celebrino riti contrarial buon costume.

La Costituzione, non reca norme che qualifichino il nostro Statodal punto di vista confessionale, né norme che lo definiscanoespressamente come laico. Tuttavia, la Corte Costituzionale haaffermato che il principio di laicità è desumibile dal carattereliberale e pluralista della Repubblica e dai principi costituzionali,per cui lo Stato non resta indifferente davanti alle religioni ma,anzi, garantisce la salvaguardia della libertà di religione in unregime di pluralismo confessionale e culturale.

Al ministero dell’Interno è attribuita, per missione istituzionale,la tutela della garanzia costituzionale che viene assicurata dal

Il sistema disegnatodallaCostituzione italiana prevede che lo Stato non resti indifferente davanti alle religioni,ma anzi che garantisca la libertà di professare la propria fede in un regime di pluralismo confessionale e culturale

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ano dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione mediante la

direzione centrale per gli Affari dei culti, attraverso la vigilanzasull’attuazione dei principi di libertà religiosa e di culto.

A tal fine la direzione per gli Affari dei culti si articola in duegrandi aree: l’una destinata agli affari del culto cattolico e,l’altra, agli affari dei culti non cattolici. Un compito che lasciatrasparire tutta la complessità del tema, specie ove si tengaconto che in un momento come quello attuale, in cui sul territorionazionale è presente una pluralità di religioni, la declinazionedei principi fondamentali nella dinamica del quotidiano siintreccia e influisce sui più vari aspetti della vita sociale.

Non si può, infatti, prescindere dal constatare che la religionepermea la trama sociale: ogni confessione, ogni associazione,comunità o aggregazione religiosa e “filosofica” 1, in base allapropria visione della vita terrena e ultraterrena, regola non soloi rapporti tra l’uomo e il trascendente, ma anche i rapporti trai singoli componenti all’interno del gruppo di appartenenza equelli con le altre comunità sociali. Basti pensare in propositoal matrimonio, ai rapporti di famiglia, alla sessualità, o piùsemplicemente ai giorni festivi, alle manifestazioni pubblichedi culto, agli edifici religiosi o ai settori confessionali nei cimiterie così via. Lo Stato non può certo restare indifferente rispettoalle diverse opinioni e alle diverse credenze dei cittadini peril solo fatto che è tenuto a soddisfare le loro esigenze.

Ciò rende evidente come, restando ancorati alla trama costi-tuzionale, l’attuazione della libertà religiosa debba vincolare ilproprio contenuto con la sostanza dei diritti inviolabili dell’uomo(articolo 2) e con il principio di pari dignità e di uguaglianzasenza distinzione di religione garantito dall’articolo 3 dellaCostituzione, consentendo, anche attraverso l’osservanza deiculti e il rispetto delle manifestazioni private e collettive dellaspiritualità, il pieno sviluppo della persona.

Non di meno va considerato che il tema del pluralismo etnicoe religioso incide direttamente sull'identità del corpo socialetrasformandone i profili. Le scelte che vengono operate in taleambito rivestono quindi una particolare valenza per gli aspettidi strategia politica nella gestione del fenomeno, per i profilidi sicurezza, per le questioni di micro e macroeconomia e pergli aspetti sociologici (si pensi solo alla pratica religiosa).

Delicato e complesso è dunque il lavoro di tutti coloro che

La libertà di culto è comunque vincolata,nel contenuto,alla sostanza dei diritti inviolabili dell’uomo e al principio di pari dignità e uguaglianzasenza distinzione di religione,come previsti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione

1 Cfr. Trattato di Lisbona, TFUE, ar t.17

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sono chiamati a trattare il tema della libertà religiosa, siano essistudiosi o ricercatori, sociologi, antropologi, rappresentanti dellevarie comunità di fede o credenza, politici o amministratorilocali. Essi, infatti, in ogni caso entrano in diretto contatto coni valori portanti che caratterizzano il lungo itinerario verso lagestione di una società in fase di forte trasformazione.

La possibile evoluzione del quadro normativo e il ruolo del mondo scientifico

La gestione di un fenomeno di tale portata non può, per altroaspetto, prescindere dalla conoscenza dell’insieme di dispo-sizioni costituenti l’ossatura della normativa che risale al 1929,anno in cui fu emanata la disciplina sull’esercizio dei “cultiammessi” nello Stato, recata dalla legge 24 giugno 1929, n.1159,seguita nel 1930 dal relativo regolamento di attuazione, emanatocon regio decreto 28 febbraio, n. 289.

L’impianto normativo vigente che regola concordatariamentei rapporti con la Chiesa cattolica e pattizziamente quelli con lealtre confessioni, offre alle varie forme di aggregazione religiosadiverse dalla cattolica la possibilità di agire a tre diversi livelli.

Il primo è costituito dalle confessioni di fatto, giuridicamenteequiparate alle associazioni non riconosciute, che restano talifin quando, in seguito a loro richiesta, non venga loro concessoil riconoscimento della personalità giuridica “speciale”.

Diversa è la situazione delle confessioni riconosciute condecreto del ministro dell’Interno che ne approva lo statuto. Ilriconoscimento, oltre a consentire alle confessioni la fruizionedelle varie prerogative previste dalla legge 1159/29, costituisce,di fatto, la conditio sine qua non per la richiesta dell’intesaprevista dall’articolo 8 della Costituzione.

Le confessioni con “intesa” sono, infine, quelle che hannoraggiunto e stipulato con lo Stato un accordo, in analogia alsistema dei rapporti concordatari con la Chiesa cattolica, nonmodificabile unilateralmente dal legislatore, che le sottrae alladisciplina per i “culti ammessi”. Le “intese” da un lato, attraversoil sistema “concordato” delle norme in esse contenute, consentonouna maggiore governabilità della presenza e dello sviluppo dellediverse confessioni, dall’altro introducono sul piano giuridicouna differenza tra le confessioni “con intesa”, che si collocanoa un livello equiparabile a quello ricoperto dalla Chiesa cattolica,e le confessioni “senza intesa”.

Su tali considerazioni, da più voci viene prospettata la neces-sità di pensare in modo organico una legge sulla libertà religiosache riduca le limitazioni sostanzialmente discriminanti per

I tre diversi livelli in cui si manifesta il rapporto tra Stato e religioni non concordatarie:le confessioni di fatto,quelle riconosciute,quelle “con intesa”

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alcune confessioni, insistendo sulla centralità dell’individuo etenendo conto che il diritto di libertà di coscienza e religioneè un diritto inviolabile, personale e universale. Evidente, quindi,l’opportunità di una legge che armonizzi il principio di laicitàcon il pluralismo religioso: un rapporto che, tuttavia, deve essereben dosato perché se si lasciasse una libertà incontrollataalle confessioni, si potrebbe rischiare di dar vita a una sortadi mercato delle offerte religiose, mirate più al potenziamentodi una confessione rispetto ad altre, che al perseguimentodella finalità religiosa in sé e per sé.

L’esigenza di una nuova legge è, dunque, tema di nodaleimportanza, specie ove si tenga conto delle criticità evidenziatesotto il profilo della sicurezza da alcune religioni e amplificatedai fenomeni prodotti dalla globalizzazione. L’argomento richiededi essere affrontato sulla base di un’approfondita conoscenzadelle religioni, dei contesti storici e culturali in cui esse si sonosviluppate, delle componenti interne in cui si articolano e dellavalenza politica nazionale e internazionale che le stesse possonorivestire.

Ciò richiede un approccio di grande equilibrio che non puòprescindere dal contributo della comunità scientifica: sono gliesperti di diritto ecclesiastico, i coordinatori dei laboratori distudio e ricerca delle università, che con la loro competente ecostante lettura del fenomeno religioso nella sua evoluzionepossono offrire elementi a chi, in questo delicato campo, devecompiere scelte coerenti con l’impianto costituzionale. L’apportodel mondo scientifico e universitario è fondamentale perconsentire agli operatori del settore di leggere e interpretareil fenomeno non solo nell’attualità, ma soprattutto nell’ottica diuna prospettiva storica che non può essere disgiunta dallaconoscenza delle esperienze che nello stesso campo stannomaturando negli altri Paesi dell'Unione Europea.

La risposta territoriale al pluralismo religiosoNell’attuale contesto nazionale, il pluralismo religioso va

correlato alla multietnicità delle presenze determinata dalcrescente trend che il fenomeno migratorio ha registrato in questiultimi anni e che, certo, ha avuto un considerevole impattosull’organizzazione sociale. Basti riflettere sui numeri in base aiquali si rileva che mentre nel 19 91 gli stranieri in Italia ammon-tavano a 625.000, oggi, nel 2011, secondo i dati del RapportoCaritas/Migrantes, ammontano a 4.905.575.

L’espansione dell’associazionismo religioso conseguente atale trasformazione del quadro sociale è stata analizzata dalla

Una nuova legge sulla libertà religiosa dovrebbe armonizzare il principio della laicità dello Stato con il pluralismo religioso,dosando attentamente questo rapporto

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Il pluralismo religioso: dai principi costituzionali al territorio

direzione centrale dei Culti attraverso un lavoro di attentaricognizione effettuato dalle prefetture. L’analisi svolta haindicato che sul territorio nazionale sono presenti oltre 3milaentità di culto facenti capo alle varie confessioni, sia a quelleche hanno stipulato l’intesa prevista dall’articolo 8 dellaCostituzione, sia a quelle che, invece, si trovano ai diversilivelli, prima descritti, di organizzazioni religiose riconosciuteovvero di associazioni di fatto.

Gli enti considerati, pertanto, riguardano la religione ebraica,le chiese protestanti (tra cui, per semplificazione, vannoannoverate sia le organizzazioni pre-riforma come, ad esempio,i valdesi, sia quelle post riforma, come ad esempio, gli avventisti),gli ortodossi (ad esempio la Chiesa ortodossa russa, la Chiesaortodossa greca e la Chiesa ortodossa romena), gli islamici,i testimoni di Geova, i buddisti, gli induisti, i baha’i, i sikh, imormoni e altre formazioni religiose (tra cui i Centri di Osho,i movimenti Sukio Maikari e Reik, la Prima Chiesa del Cristoscientista, il movimento New Age, ecc.).

Un tale ventaglio di presenze religiose e di relativi gruppi diappartenenza etnica si colloca nel vigente quadro ordinamentaleche, sulle solide basi dei principi di democrazia, laicità e plura-lismo, consente a più soggetti di “costruire” le dinamiche diuna positiva convivenza, mediante la sperimentazione di ognipossibile modalità di confronto all’interno di regole date. Viviamooggi in uno scenario globalizzato al cui interno vibrano tensioniidentitarie che in alcuni casi mettono a rischio anche gli effettiinclusivi del diritto di libertà religiosa. Per questo la convivenzadei gruppi e il confronto delle diversità religiose, se non adegua-tamente monitorati e seguiti ai vari livelli istituzionali, possonoingenerare tensioni che, a partire dal singolo atto di intolleranzao di discriminazione, possono raggiungere il livello estremodel conflitto sociale.

La necessità di una particolare attenzione a questi fenomeniè stata indubbiamente sentita dai governi locali che esprimonoil massimo grado di prossimità alle persone e alle esigenze dellacomunità amministrata.

L’osservazione del fenomeno ha, infatti, consentito di verificarecome gli enti territoriali e locali, le istituzioni, le organizzazionidi volontariato o le stesse associazioni religiose abbiano creatouna efficace rete di comunicazione con le diverse realtà etnichee religiose. Tali soggetti hanno risposto in modo concreto esinergico alla sfida posta dalla gestione delle diversità, promuo-vendo lo strumento del “dialogo” che contribuisce allo sviluppodella pacifica convivenza. Viene qui spontaneo il riferimento

Fra confessionicon intesa,organizzazioni riconosciute e associazioni di fatto,sul territorio italiano sono attive oltre 3mila entità di culto:un ventaglio di presenze che può essere veicolo di tensioni,se non gestitoadeguatamente

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ano alla massa di norme adottate dalle regioni presso le quali, in

attuazione del principio di sussidiarietà, la libertà di religioneha trovato sostegno anche nei provvedimenti in tema di solida-rietà sociale.

La particolare sensibilità delle istituzioni locali, sempre prontea registrare le mutazioni delle dinamiche sociali territoriali, hafavorito l’adozione di diffuse iniziative di incontro, di approfondi-mento della reciproca conoscenza, di studio e di scambio diesperienze e di culture. Manifestazioni ludiche e teatrali, mostred’arte etnica, avvio di corsi di lingua e di formazione all’arti-gianato, promozione di iniziative scolastiche di partecipazionee di solidarietà hanno animato le piazze, i giardini e i centristorici di molteplici comuni italiani. Biblisti, filosofi, sociologi,letterati, musicisti, poeti, religiosi ed ecclesiastici, in numeroseoccasioni si sono incontrati sul territorio nazionale per analizzarele dinamiche dei processi di integrazione, all’interno dei qualila libertà religiosa riveste un ruolo di primaria importanza.

Questo intreccio di attività ha ancora una volta dimostratocome la “diffusione della conoscenza delle diversità” e il “dialogo”debbano essere annoverati tra i più efficaci strumenti di salva-guardia e consolidamento della coesione sociale. Se laconoscenza abbatte le barriere del pregiudizio, il dialogo creaponti, sinergie ed è in grado di cementare nuovi valori. Questecaratteristiche lo rendono idoneo a ridurre il livello di conflit-tualità e, nel contempo, a indirizzare la società verso unacompattezza e una coesione consapevole. Il dialogo, dunque,quale fattore di maturazione e di evoluzione sociale contribuiscea favorire il clima di sicurezza necessario allo sviluppo dellasocietà.

Non possiamo, del resto, dimenticare che, proprio sul pianoreligioso, il dialogo è stato ritenuto da papa Giovanni Paolo IIil punto cardine dello spirito di Assisi assurgendo, da quelmomento, al rango di filosofia dell’interazione tra popoli ereligioni diversi nel cammino verso la pace.

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anoDialogo tra le religioni:

quale ruolo per gli Stati e le organizzazioni internazionali?

di Silvio FerrariOrdinario di Diritto canonico - Università di Milano

In nome del bene comune minacciato dalla violenza a base religiosa, le istituzioni nazionali e sopranazionali hanno l’obbligo di assumerel’iniziativa e sostenere l’opera delle diverseconfessioni, non quello di prendere il loro posto

Il tema di questo scritto è il ruolo degli Stati nella promozionedel dialogo interreligioso. È corretto e opportuno che essiintervengano in tale dialogo e, in caso di risposta affermativa,qual è il loro compito?

Non si tratta di una domanda accademica. Dopo l’11 settembreil dialogo interreligioso è entrato nella sfera di interesse dimolti Stati. In precedenza essi erano scarsamente interessati auna problematica che era ritenuta una faccenda di teologi dicui uno Stato laico non doveva occuparsi. Oggi la prospettivaè completamente cambiata 1. Le religioni hanno riacquistato unrilievo pubblico e hanno un impatto significativo sulla politicainterna ed estera di ogni Stato: nessun uomo politico e nessundiplomatico potrebbe permettersi di ignorare il peso esercita-to dalla religioni nelle relazioni internazionali, nella sicurezzainterna, nella prevenzione dei conflitti e via dicendo.

L’interesse degli Stati è accentuato dal fatto che il ruolodelle religioni è spesso ambivalente: esse possono promuoverela pace e alimentare il conflitto, generare coesione e stabilitàsociale ma anche rinforzare le divisioni etniche, razziali e culturali.È naturale che gli Stati siano interessati a incoraggiare un dialogo

Dopo l’11 settembrele religioni hanno riacquistato un rilievo pubblico e il loro impattosulla politica interna ed estera di ogni Stato è diventato piùsignificativo

1 Si veda, per l imitarsi ad un esempio recente, Council of Europe, White Paperon Intercultural Dialogue. “Living Together As Equals in Dignity”, Strasbourg, 7May 2008, in cui viene sottolineato l’interesse del Consiglio d’Europa per il dialogointerreligioso (cfr, in particolare le pp. 22-24). Più ampiamente cfr. gli interventiraccol t i in European Conference “The re l ig ious dimension of in tercul tura ld ia logue” (San Marino 23 - 24 April 2007), Council of Europe, 2008

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Dialogo interreligioso: il ruolo degli Stati e delle organizzazioni internazionali

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ano interreligioso che esalti il ruolo positivo che le religioni possono

svolgere e riduca al minimo i pericoli di destabilizzazionesociale impliciti nella loro presenza pubblica. Anche l’idea dilaicità dello Stato, che aveva costituito un freno a ogni interventoin questo campo, appare cambiata. La nuova concezione dilaicità che ha guadagnato terreno tra giuristi e politologi èincline a ritenere che la laicità dello Stato non escluda il dialogocon le religioni e il loro sostegno.

Queste osservazioni inducono a concludere che non solo lereligioni ma anche gli Stati sono “partner” nel dialogo interreligioso.Ma questa affermazione esige di essere precisata per evitareequivoci pericolosi. In che senso gli Stati sono partner del dialogointerreligioso? Fin dove possono spingersi? La partecipazionedegli Stati al dialogo interreligioso è motivata da ragioni politiche:questo approccio non potrebbe disturbare e guastare il dialogotra le religioni? Il dialogo interreligioso fa certamente parte deldialogo tra le civiltà: ma non ha anche un carattere specifico?In conclusione è necessario definire un modello corretto perquesta partnership tra Stati e religioni e identificare il ruoloche ciascun partner deve giocare e rispettare. A questo scopoè bene prendere in considerazione il contesto culturale in cuiil dialogo interreligioso si colloca, nel nostro caso la tradizioneculturale europea.

Non intendo avventurarmi in una definizione della tradizioneo dell’identità europea, di ciò che la differenzia dalla tradizioneoccidentale da un lato e dalle tradizioni dei singoli Stati europeidall’altro. Mi limiterò a menzionare un punto di vista che mipare intelligente e produttivo: la famosa affermazione in cuiCarl Schmitt sostiene che i più importanti concetti politicicontemporanei sono concetti teologici secolarizzati 2. Questaprospettiva tiene conto delle due forze principali che hannocontribuito a costruire l’identità europea: la religione, e inparticolare il cristianesimo che durante il Medioevo ha saputorielaborare e sintetizzare i contributi della civiltà greco-romana;il processo di secolarizzazione, che ha trasformato profondamentei caratteri della tradizione religiosa dell’Europa senza peròcancellarli dalla memoria collettiva dei suoi abitanti. I lineamentiprincipali dell’identità europea derivano dall’incontro e dallacombinazione, in diverse forme, di queste due radici.

Due espressioni di questo incontro tra la tradizione religiosa

Non solo le religioni,ma anche gli Stati sono “partner”nel dialogo interreligioso;va però definito un modello corretto per questa partnership,che identifichibene il ruolo di ciascun attore

2 Carl Schmitt, Le categorie del “politico”, a cura di G. Miglio e P. Schiera, Bologna,i l Mulino, 1972, p. 61

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Dialogo interreligioso: il ruolo degli Stati e delle organizzazioni internazionali

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anoe secolare dell’Europa sono di particolare importanza e costi-

tuiscono il contributo specifico che l’Europa può offrire allaconformazione del dialogo interreligioso sul piano planetario:la distinzione tra religione e politica da un lato e la nozione didiritto naturale dall’altro.

Il primo principio è radicato nella distinzione tra Dio e Cesareaffermata nel Vangelo e ribadita dal pensiero liberale che, neldiciottesimo e diciannovesimo secolo, ha sostenuto con forzal’idea che la religione sia un fatto di coscienza su cui lo Statonon ha alcun potere. Benché il punto di vista cristiano e quelloliberale non coincidano, essi convergono nell’affermazioneche l’ambito della religione e quello della politica sono distinti. Diconseguenza le istituzioni politiche e quelle religiose hanno unruolo differente nell’esprimere le scelte personali e collettivedei loro cittadini e dei loro fedeli.

Il secondo principio, il diritto naturale, può apparire piùcontroverso e meno attuale. Ma è una questione in larga misurasemantica: i diritti fondamentali della persona umana sono lamoderna espressione della nozione di diritto naturale, cioèdell’esistenza di alcuni principi comuni che sono condivisi datutti gli esseri umani e possono guidare le loro azioni. Secondola dottrina cristiana il diritto naturale deriva da Dio, mentresecondo le sue interpretazioni laiche è radicato nella ragioneumana, capace autonomamente di riconoscere alcuni dirittifondamentali che spettano a tutti gli uomini. Non è una diffe-renza di poco conto, ma entrambe le concezioni convergononell’affermazione che questi principi comuni sono universali:pertanto cooperare per il bene comune di tutta la società èuna possibilità per tutti gli esseri umani, di qualsiasi razza,religione, etnia essi siano. Il diritto naturale è, per così dire, unostrumento naturale di dialogo tra popoli di differenti tradizionistoriche, culturali e religiose.

In conclusione, si può affermare che la tradizione europeaoffre due contributi essenziali per la costruzione di un solidoquadro entro cui collocare il dialogo interreligioso: l’idea chetutti gli esseri umani hanno qualcosa in comune e quindi possonocollaborare per il bene comune e l’idea che la religione ha lapropria autonomia e specificità e non può essere quindi confusacon altre dimensioni della vita umana. Da questi due principi èpossibile ricavare le risposte alle domande che ho posto inapertura di questo scritto.

Innanzitutto gli Stati possono e debbono collaborare al dialogointerreligioso, senza però prendere il posto delle religioni.Gli Stati hanno il compito di preparare il palcoscenico di una

I due contributidell’Europa alla costruzionedi una cornice per il dialogo fra le fedi:la distinzione fra religione e politica e la nozione di diritto naturale,quest’ultima nella sua moderna accezione espressa dai diritti fondamentali dell’uomo

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Dialogo interreligioso: il ruolo degli Stati e delle organizzazioni internazionali

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Suscitano perplessità proposte come quella di creare un “ambasciatorereligioso”nell’ambito dell’Onu:il dialogo non può essere concepito lungo le lineedel negoziatofra Stati

rappresentazione che è scritta dalle religioni e da loro recitata.I governi e le autorità pubbliche hanno un legittimo interesseper la coesione sociale e la coesistenza pacifica che rappre-sentano alcuni dei risultati di un produttivo dialogo tra le religioni.Ma questo dialogo ha scopi e dimensioni più ampie: ridurloa uno strumento per prevenire i conflitti e favorire la pace neimpoverirebbe il significato.

Il dialogo interreligioso è nella sua essenza un dialogo attornoalla verità: uomini e donne di fede differente si incontranoper comunicare le proprie convinzioni circa le verità ultime eper comprendere meglio le differenti strade che gli esseri umaniseguono nella loro ricerca. In questo il dialogo interreligiosodifferisce dal dialogo tra le civiltà e questa sua caratteristicaspecifica dovrebbe essere compresa e rispettata dagli Stati edalle organizzazioni internazionali 3. Il dialogo interreligiosonon può essere concepito lungo le linee del negoziato traStati. Per questo motivo suscitano perplessità proposte comequella di creare un “ambasciatore religioso” che dovrebbeessere espressione di un “senato interreligioso” costituitoall’interno delle Nazioni Unite 4. Educare i propri fedeli al dialogointerreligioso, definire i suoi contenuti e la sua agenda, identificarei soggetti che hanno titolo per parteciparvi, fissare i suoi principifondamentali, scrivere direttive condivise che possano servireda guida per temi controversi (come il proselitismo 5), prepararedichiarazioni di “armonia interreligiosa” 6, creare istituzioni perla sua promozione sono in primo luogo compiti delle comunitàreligiose.

Sottolineare la specificità del dialogo interreligioso nonsignifica però sostenere che le organizzazioni secolari non vi

3 Il Consiglio d’Europa tende a concepire il dialogo interreligioso come unadimensione del dialogo intercul turale. Per una cr i t ica di questo approccio cfr.James Arthur, Intercultural versus Interreligious Dialogue in a Pluralist Europe,in Policy Futures in Education, v. 9, n.1, 2011, pp. 74-804 Su questa proposta, avanzata dall’Interreligious and International Federationfor World Peace, cfr. David R. Sands, U.N. office on interfaith dialogue eyed, in TheWashington Times, November 23, 2003 (disponibile su http://washingtontimes.com/functions/print.php?StoryID=20031122-112947-3570r)5 Cfr. per esempio le guidelines indicate in Bert Beach, Proselytism in the contextof globalization, religious liberty and non discrimination, in “Fides et libertas”,2001, pp.85-876 Per un esempio si veda la dichiarazione sull’armonia interreligiosa predispostadalle autorità religiose di Singapore, su invito del primo ministro di quello Stato.Per i l testo del la dichiarazione e alcuni commenti cfr. Religious Harmony , inwww.seuteck.org/religiousharmonyenglish.html; Declaration on Religious Harmonybecomes part of Singapore life, in Radio Singapore International Newsline, June 10,2003, in www.archive.rsi.com.sg/en/programmes/newline/2003/06/10_06_01.htm

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anoabbiano alcuna parte: il dialogo interreligioso è un modo di

perseguire il bene comune e ogni persona e istituzione sociale hala capacità di offrire il proprio contributo in questa ricerca.Quindi, che cosa possono fare gli Stati? Fondamentalmente trecose, che riguardano la libertà, il dialogo e la cooperazione.

Innanzitutto gli Stati possono creare un ambiente politico esociale che sia favorevole al dialogo tra le religioni. Al contrariodi ciò che solitamente si pensa, il dialogo interreligioso nonè una faccenda di soli teologi: riguarda tutti i membri di unacomunità religiosa. Se essi vivono in uno Stato che rispetta lalibertà religiosa, garantisce l’uguale libertà di tutte le comunitàreligiose, incoraggia la tolleranza e il rispetto tra i credenti didiverse fedi, il dialogo interreligioso sarà più facile e produttivo.

In secondo luogo gli Stati possono promuovere il dialogo ela collaborazione con le religioni. C’è un nesso tra la promozionedel dialogo interreligioso e la promozione del dialogo tra Statie religioni: incoraggiare il primo e rifiutare il secondo sarebbecontraddittorio. Nel rapporto “Strengthening of the United Nationsystem”, presentato all’Assemblea generale nel 2004 7, il ruolodei gruppi religiosi e spirituali è sottolineato con forza: essiforniscono “powerful community leadership, shape public opinion,provide advice on ethical matters, facil itate reconciliationbetween conflicting communities and identify the needs ofvulnerable groups” e pertanto, conclude il rapporto, i gruppireligiosi e spirituali dovrebbero essere inclusi insieme ad altrisoggetti nella trattazione di tutte le questioni di rilievo 8. In questocontesto va menzionato anche il trattato costituzionaledell’Unione Europea. Nel suo preambolo esso richiama l’ereditàreligiosa dell’Europa, vale a dire il contributo che le religioni hannodato allo sviluppo dell’identità europea; nell’articolo 52 invital’Unione Europea a mantenere un dialogo aperto, trasparente eregolare con le organizzazioni religiose, di cui riconosce identitàe contributi. Coinvolgere le religioni in un dialogo su temicome l’educazione, la bioetica, il patrimonio culturale e viadicendo, e costituire un forum dove esse possano presentaree confrontare le proprie proposte costituirebbe un grandecontributo dell’Unione al dialogo interreligioso.

Infine dialogo e cooperazione sono necessari perché esistonosituazioni in cui il contributo delle religioni è indispensabile: la

7 A/58/817. Il rapporto è datato 11 giugno 20048 Si veda anche Council of Europe, White Paper on Intercultural Dialogue, p. 23

Compito degli Stati è favorire l’incontro delle fedi creando un ambiente politico e sociale favorevole e promuovendola collabora-zione fra le diverse confessioni

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ano lotta contro la violenza religiosamente motivata, per esempio,

è uno di questi casi. Gli Stati non possono combattere da soliquesta battaglia perché, come ha osservato Lord Lloyd diBerwick, “it is an illusion to believe that the fanaticism anddetermination of well established terrorist organisations can bedefeated by laws alone, even of the most severe and punitivekind” 9. Si tratta di una sfida che si può vincere unicamenteattraverso la persuasione e l’educazione e soltanto le religionisono in grado di convincere i propri fedeli che la violenzareligiosamente motivata è sempre sbagliata. Per questo motivola lotta contro questo tipo di violenza va condotta insieme daStati e religioni, ciascuno nella propria area di interesse ecompetenza.

Sottolineare la necessità di sviluppare una interpretazionedelle tradizioni religiose che ne esalti gli insegnamenti di pacee tolleranza (che esistono in ciascuna di esse), favorire lacreazione di una rete interreligiosa dove i fedeli di differenticomunità possano lavorare insieme, sostenere i gruppi chesono pronti a svolgere questo compito difficile e impegnativoè ciò che gli Stati e le organizzazioni internazionali possonoe debbono fare: al di là di questo limite soltanto le comunitàreligiose e la loro leadership possono spingersi. In nome delbene comune minacciato dalla violenza a base religiosa, gli Statihanno l’obbligo di assumere l’iniziativa e sostenere l’operadelle religioni, non quello di prendere il loro posto. La respon-sabilità ultima di rompere il nesso tra religione e violenza ricadesugli uomini e le donne che hanno una fede religiosa: èun’importante opportunità di fornire un contributo decisivo alformarsi, nel terzo millennio, di una società di pace.

9 Questo passaggio è citato in Terrorism and the Law in Australia: Legislation,Commentary and Constraints; Parliament of Australia, Research Paper no. 132001- 02, Terrorism and the Law in Australia: Supporting Materials, disponibile suwww.aph.gov.au/library/pubs/rp/2001-02/02rp13.htm#doc1

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anoPer un incontro

con il mondo musulmano

di Miguel Angel Ayuso GuixotPreside del Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica (Pisai)

Insegnamento, ricerca scientifica, pubblicazionisono i tre pilastri dell’attività del Pisai, Pontificioistituto di studi arabi e d’islamistica, che da oltre30 anni è impegnato nella formazione dei futuripromotori del dialogo interreligioso

Un dialogo che voglia essere autentico e duraturo fra leculture e le religioni ha come condizioni una solida formazionenella propria fede e una profonda conoscenza dall’interno diquella dell’altro. Sono questi gli elementi essenziali per rendereproficui anche i rapporti islamo-cristiani. Per questo, specialmentedopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, l’Occidente hacompreso la necessità di conoscere meglio il mondo musulmano,a iniziare dallo studio della lingua e della cultura arabe.

Oggi questa consapevolezza è notevolmente diffusa, e vadetto che la Chiesa cattolica aveva avvertitouna tale esigenza con largo anticipo rispettoai nostri tempi. Il dialogo interculturale e contutte le religioni è al centro dell’attenzionedelle istituzioni ecclesiastiche da prima delConcilio Vaticano II. Il Pisai – Pontificio istitutodi studi arabi e d’islamistica – nasce cometale nel 1980 ma trae le sue origini da unaprecedente istituzione sorta negli anni Venti

del secolo scorso a Tunisi, istituzione trasformata nel 1960 nelPontificio istituto di studi orientali, divenuto poi di studi arabi,nel più ampio contesto del dialogo interreligioso desideratodalla dichiarazione conciliare Nostra Aetate e dal ponteficePaolo VI nella sua prima enciclica Ecclesiam suam.

In questi anni, il ruolo del Pisai è stato sottolineato più volteda Benedetto XVI che ha sempre mostrato interessamentoe assicurato sostegno all’attività dell’istituto, confermando intal modo il rilievo che egli attribuisce all’aspetto educativo

Il Pisai nasce nel 1980 ma haradici ben più antiche in un istituto di studi islamici sortoa Tunisi negli anni Venti e poi diventato il Pontificio istituto di studi orientali

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nei rapporti islamo-cristiani. Quando il Papa attraverso ilsegretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone ha manifestatola disponibilità a un dialogo con i 138 saggi musulmani chenell’ottobre 2007 gli avevano indirizzato la famosa letteraaperta d’invito alla collaborazione per la costruzione di unmondo migliore, l’istituto è stato pienamente coinvolto in taleprogetto, che sta già portando i suoi frutti.

Durante il viaggio negli Stati Uniti d'America, parlando alJohn Paul II Cultural Center di Washingtonil 17 giugno 2008, il Pontefice ha ricordatoche “il più importante obiettivo del dialogointerreligioso richiede una chiara esposizionedelle rispettive dottrine religiose... La SantaSede, da parte sua, cerca di portare avantiquesto importante lavoro attraverso il Pontificioconsiglio per il dialogo interreligioso, ilPontificio istituto di studi arabi e d'islamistica,

e varie Università Pontificie”.Il Pisai trae le sue origini dalla fondazione nel 1926, a opera

della Società dei Missionari d’Africa – i Padri Bianchi – di unacasa a Tunisi per la formazione di sacerdoti e religiosi che sipreparavano a vivere in ambiente musulmano. Nel 1964 l’Istitutovenne trasferito a Roma e accolto con molto favore da Paolo VI.Il Pisai è stato, e continua a essere, uno strumento al serviziodel dicastero per il dialogo tra le religioni, col quale esiste unacollaborazione molto stretta.

Il nostro primo impegno è quello di offrire una formazioneseria e approfondita dei candidati, affinché possano divenirepromotori di dialogo. Così il programma di studio favorisce unaspetto essenziale nel campo delle relazioni interreligiose:conoscere l'altro come esso è. Il dialogo diventa in questomodo più vicino, più diretto, più efficace, più oggettivo e piùvalorizzato dall’altro.

Gli studi hanno come finalità la formazione intellettuale espirituale degli studenti, siano essi sacerdoti diocesani, religiosi,religiose o laici, per un incontro tra Cristianesimo e Islam inuno spirito di conoscenza e di mutuo rispetto. L’Islam vienestudiato dal suo interno, fornendo una formazione completache tiene conto del punto di vista dei musulmani attraversol’approfondimento della lingua araba, la lingua del Corano edella Sunna, strumento necessario a una comprensione correttae approfondita. Lo studente è così in grado di stabilire relazionicon i musulmani con serenità e competenza.

Il Pisai del resto, nel “processo di Bologna” mirante all’inte-

Il primo impegno dell’istitutoè garantire una formazioneseria e approfondita in temadi mondo arabo e Islam a chi aspira a diventarefuturo promotore del dialogo

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grazione e alla omologazione di tutti i programmi accademicidell'Unione Europea, dovrebbe essere considerato “istituto dieccellenza”, per la qualità dei suoi programmi e per la specificitàdei suoi studi di alto livello culturale. Da qui la validità di questa“istituzione originale e unica”, per il fatto che la Chiesa cattolicadispone di una realtà accademica che studia e conosce l'altroin un modo oggettivo. Ciò ha comportato l'apprezzamento dimolte realtà musulmane accademiche.

L’insegnamento è soltanto uno dei tre “pilastri” intorno ai qualiruota l’attività dell’istituto. Gli altri sono la ricerca scientifica ele pubblicazioni. Il programma di insegnamento comprende unsecondo ciclo, che si conclude con la licenza e un terzo cicloche si conclude con il dottorato. Due pomeriggi alla settimanaviene offerto inoltre un corso in italiano di introduzioneall’Islam e alla lingua araba. Il corso di licenza ha una duratadi tre anni, mentre dopo due anni di studio a tempo pieno vienerilasciato un diploma di studi arabi. Dall'ottobre 1997, grazie aun protocollo di collaborazione con il Centro di studi arabi DarComboni, il primo anno del ciclo di licenza viene tenuto al Cairo,sede della struttura gestita dai missionari comboniani delCuore di Gesù.

Il programma di formazione è molto impegnativo. La linguaaraba viene studiata quattro ore al giorno, cinque giorni alla

settimana, per un totale di trenta settimaneper anno accademico. Lo studio della linguaè per noi la “via regale” non solo per unaconoscenza oggettiva delle scienze islamiche,ma per la comprensione della cultura islamicanei suoi aspetti più profondi e autentici.L'islamistica – insegnata in francese e ininglese – comprende dieci materie fonda-mentali: partendo dalle fonti della religione

– Corano e Tradizione – si studiano le varie scienze: filosofia,teologia, diritto islamico, storia, sciismo, e mistica. C’è infineil corso di relazioni islamo-cristiane, che per l’istituto è fonda-mentale in quanto esso non è solo una scuola di lingua arabao un centro di studio dell’Islam, ma un istituto pontificio. In talecontesto, una volta alla settimana è prevista anche una preghieracomunitaria, che raduna professori e studenti, in comunionecon le comunità cristiane che vivono nel mondo musulmanoe in solidarietà con i credenti dell’Islam.

Nel terzo anno del corso di licenza i corsi di lingua araba sonoridotti rispetto agli anni precedenti, dal momento che l’islamisticaè tenuta in questa lingua. Il programma d’islamistica comprende

Nei programmi accademiciè fondamentale lo studio dell’arabo, via maestra per la comprensione dellacultura islamica nei suoiaspetti profondi e autentici

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dodici materie di studio, di sei ore settimanali. Viene svoltobasandosi sui testi fondamentali della religione islamica, e questopermette allo studente di entrare nel campo delle scienzereligiose nella lingua originale. Viene richiesta una tesina di finelicenza, come esercizio di ricerca scientifica.

I docenti appartengono a undici nazionalità e sono attual-mente venti: sei di loro provengono da Paesi arabi. Quattro –provenienti da Libano, Egitto e Iraq – sono insegnanti di araboe altrettanti – originari di Siria e Tunisia – di islamistica. A lorovolta i docenti cristiani cattolici appartengono a congregazionireligiose differenti: missionari d’Africa, comboniani, domenicani,gesuiti, maroniti antoniani, clero diocesano. Questa varietàdi provenienze è importante, perché la diversità dei carismidi ciascuno consente un arricchimento culturale reciproco esi riflette sulla qualità dell’insegnamento.

Il Pisai ha avuto fino a oggi oltre 1.400 studenti, più di 50per anno accademico, la maggior parte dei quali lavora nel

campo del dialogo interreligioso. Si trattadi una realtà variegata: ci sono sacerdoti,religiosi, religiose e laici, uomini e donne,che devono presentare un attestato dei lorosuperiori o di un’autorità ecclesiastica, chefaccia fede della loro idoneità. Inoltre, sonoaccolti alcuni musulmani che usufruiscono diuna borsa di studio della fondazione NostraAetate del Pontificio consiglio per il dialogo

interreligioso. I nostri studenti devono manifestare una esplicitavolontà e predisposizione a una conoscenza scientificaapprofondita dell'Islam in vista del dialogo.

Ampia è anche la collaborazione con altre istituzioni acca-demiche. Il Pisai, di comune accordo con la Congregazioneper l'educazione cattolica, il cui prefetto cardinale ZenonGrocholewski è anche Gran cancelliere dell’istituto, può stabilireprotocolli di intesa. Al momento, ne è attivo uno con laLibera università Maria Santissima Assunta (Lumsa) e unocon l’Istituto di studi interdisciplinari su religioni e culturedella Pontificia università gregoriana. Inoltre, alcuni docentidel Pisai insegnano islamistica presso altri centri accademici.

Il Pisai dispone di pubblicazioni di assoluta qualità prodottedai docenti, e di un nutrito numero di tesi di dottorato e di tesinedi licenza prodotto dagli studenti: un contributo scientifico solidoe serio nel campo del dialogo interculturale e interreligioso.Queste pubblicazioni sono a disposizione dei ricercatori e deglistudenti che, provenienti da tutte le parti del mondo, frequentano

Venti docenti di undici nazionalità costituiscono il corpo-insegnanti del Pisai che fino a oggi ha avuto più di 1400 studenti, oltre 50per ogni anno accademico

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la biblioteca dell’istituto. E poi conferenze, tavole rotonde, visitedi delegazioni diplomatiche e di personalità della cultura e delleistituzioni di tutti i continenti. La frontiera del dialogo e dellacomprensione va ampliata ogni giorno.

La biblioteca del Pisai è altamente specializzata sulla culturae la religione islamica. Contiene 32mila volumi, 450 riviste, dicui 256 sono “spente”, antiche e rare, 60 manoscritti arabie circa 250 edizioni rare, tutto rappresentato anche in uncatalogo on-line. Da sei anni a questa parte, per carenza difondi, non è stato possibile acquistare nuovi libri per labiblioteca, sebbene il nuovo Statuto del 2008 preveda cheessa debba “essere tenuta con cura e costantementeaggiornata”. La biblioteca è il “polmone dell’istituto”, dove tantiricercatori attingono alle fonti della cultura e della religioneislamica per i loro lavori di ricerca scientifica.

Per quanto riguarda le pubblicazioni, il Pisai pubblica treriviste e una collana. Due riviste sono al servizio del dialogoislamo-cristiano: Islamochristiana, fondata nel 1975 e pub-blicata annualmente, ha circa 500 abbonati; Encounter,fondata nel 1974, consta di dieci numeri l’anno, con 250abbonati. Una terza, Etudes Arabes, fondata nel 1962 epubblicata annualmente, ha come finalità la conoscenzadella cultura arabo-musulmana, e ha circa 150 abbonati.Infine la collana “Studi arabo-islamici” offre al momentodiciotto titoli relativi alla ricerca orientalistica. Tutte questepubblicazioni raggiungono le strutture accademiche diret-tamente impegnate nel campo del dialogo interreligioso enella conoscenza della cultura arabo-musulmana di quattrocontinenti.

Una biblioteca di 32mila volumi

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Haram per l’Islam:il peccato che divide cultura e religione

di Claudia Svampa

Il distinguo tra Islam radicale e moderato percorrestrade opposte per le politiche migratorie e la religione musulmana. Cultura e fede islamica nonsono sinonimi e l’Islam moderato è un concetto politico e non religioso, nato in Occidente

Haram in arabo vuol dire peccato. Progettare una vita econo-micamente indipendente, frequentare gli amici, volersi laureare,non doversi per forza sposare con un uomo di fede islamicaper le ragazze musulmane che vivono in occidente è haram,peccato. A 24 anni Susanna, nata in Kuwait e cresciuta in Italia,con il peccato sanzionato dai precetti dell’osservanza religiosaimpartiti dalla famiglia ha dovuto farci i conti tutti i giorni, tanto dadire che se fosse cresciuta in Kuwait per lei tutto sarebbe statopiù semplice. Perché per essere se stessa è dovuta scapparedi casa rinnegando tanto i suoi genitori quanto la sua religione,scelta obbligata per vivere appieno l’integrazione. È lei stessa anon credere nelle vie di mezzo dell’Islam: musulmani o lo si èo non lo si è. E si considera una peccatrice per quel che riguardail suo credo perché non rispetta i dogmi imposti.

Susanna è una delle tre protagoniste del video “Haram”, ilpeccato, realizzato da Karima Moual, giornalista, nata in Maroccoe cresciuta in Italia, presentato in apertura del convegnosvoltosi a Roma nell’ottobre scorso “Giovani musulmani inItalia: un’integrazione possibile?” cui hanno partecipato, tra glialtri il presidente del Copasir, Massimo D’Alema, l’ex ministrodella Gioventù, Giorgia Meloni, e il presidente della Camera,Gianfranco Fini.

La generazione 50 e 50Il convegno ha avuto il grande merito di porre l’accento su un

aspetto del dialogo interculturale, quello delle nuove generazionidi immigrati musulmani, oggi rivalutato dalla politica e che

Susanna,24 anni,nata in Kuwaite cresciuta in Italia non crede nelle vie di mezzo dell’Islam:musulmani o lo si è o non lo si è

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Islam radicale, islam moderato e nuove generazioni

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rappresenta il vero terreno di sfida che, per ragioni non solodemografiche, l’occidente è chiamato ad affrontare.

Dagli studi esposti emerge con evidenza che i giovanimusulmani percepiscono con diffidenza la parola “integrare”,in quanto nel loro sentire contiene un implicito penalizzante:sembra volere dire che a questi giovani manchi qualcosa, chedebbano riparare a lacune, a mancanze. Mentre emerge daparte loro un grande orgoglio, perché si sentono portatori diuna cultura (che ha la stessa dignità di quella italiana) che nonvogliono perdere.

Ritengono che nella bivalenza della loro appartenenza, quellastraniera per nascita o per origine familiare e quella italianaper formazione e vissuto, l’unica strada percorribile sia quelladi “un’integrazione che contempli il mantenimento delle proprietradizioni”. Si percepiscono cioè come una generazione 50 e 50dove per il 50% sentono di “essere italiani come apertura mentale”e per il 50% marocchini o egiziani o pakistani per il “rispetto deipropri valori di origine e per visione/modello etico che in Italiatende delle volte a mancare”. Tra assimilazionismo e multicul-turalismo scelgono uniformemente secondo i risultati della ricercala “doppia appartenenza come sintesi autonoma e eclettica diun approccio interculturale”.

Le insidie della doppia appartenenza fra l’Islam e la culturaoccidentale

Il sentirsi italiani “come apertura mentale” appare emblematicodelle insidie nascoste nelle maglie della doppia appartenenzadelle nuove generazioni musulmane cresciute in occidente. Ilconflitto generazionale che spesso si instaura all’interno dellefamiglie tra le prime e le seconde generazioni di immigratiriguarda, in modo specifico, proprio il mondo musulmano per leevidenti tensioni che contrappongono le aspettative legate allatradizione religiosa veicolata in famiglia, con il bisogno di inte-grazione e di comunione sociale dei giovani immigrati cresciutiin Italia con i loro coetanei italiani.

Ma non solo. Susanna, la protagonista del video, affermauna verità certamente poco veicolata, e indubbiamente scomodaal cosiddetto Islam moderato, quando dichiara che non esisteuna via di mezzo per poter essere musulmani. Il sottiledistinguo tra l’Islam radicale e l’Islam moderato percorrestrade diametralmente opposte per le politiche migratorie eper la religione musulmana. Perché cultura e fede islamicanon sono affatto sinomini e l’Islam moderato è un concettopolitico e non religioso, nato e veicolato nel mondo occidentale.

Il conflitto tra prime e seconde generazioni di immigrati riguarda il mondo musulmanoper le tensioniche contrap-pongonole aspettative legate alla tradizione religiosa della famigliaal bisognod’integrazione sociale dei giovani

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La religione islamica non ha chiavi di lettura “moderate”rispetto ai propri precetti. È la cultura islamica d’esportazionead averle, a considerare secondo le politiche occidentali“moderato” un musulmano che abbraccia e condivide, fino a farlosuo, uno stile di vita europeizzato. Tuttavia quello stesso musul-mano, all’interno della sua comunità religiosa, non incontreràl’approvazione e la condivisione del modello adottato. Nonperché necessariamente debba trattarsi di un modello di scarsovalore etico o morale secondo i nostri canoni, quanto perché ladottrina religiosa islamica non può in alcun modo prescinderedai principi cardine della propria religione e dunque i precetticoranici.

“Discussioni sull’Islam” (islam.forumup.it) uno dei più frequen-tati forum religiosi italiani in rete rivolto ai musulmani nel nostroPaese, chiarisce spesso quanto quelli che nel mondo occidentalesono interpretati come precetti dell’Islam radicale in realtàrappresentano semplicemente – e come tali vengono quindiveicolati tanto nelle moschee quanto nel web – le modalità didefinizione del comportamento di un buon musulmano cheintenda vivere fuori dalla sfera del peccato e secondo la leggedi Allah. Anche, e soprattutto, in un Paese straniero.

Allah non fa saldi in euro, non fa distinzione per chi anzichéa Rabat, a Il Cairo o a Islamabad vive a Roma, Parigi o Berlino.I precetti non si rispettano infatti soltanto educando i propri figlinei valori della cultura isalmica, sposando persone della propriastessa fede, rispettando il digiuno nel mese del Ramadan e noninfrangendo il veto per la carne suina e per gli alcolici comesaremmo portati a credere.

Quando Gianfranco Fini durante il convegno ha parlato conenfasi di dilagante ignoranza che contraddistingue la cono-scenza dell’islam nel mondo occidentale, ha ragione da venderema non soltanto in senso filomusulmano del termine. Infatti èopportuno sapere che di haram, di peccaminoso, nella nostraesistenza di Paese occidentale c’è molto più di quel che sappiamoe che quel “di più” ha un peso specifico determinante in quellache sarà la sfida crescente multiculturale, integrazionista oassimilazionista che da tempo abbiamo intrapreso in Europa.

È haram per una ragazzina che ha superato l’infanzia svolgereuna qualunque attività sportiva (nuoto, danza, hip hop, pallavolo,ginnastica artistica, ad esempio) che non le consenta di tenerecoperto il corpo intero o che faccia uso di musica, è haramutilizzare i social network (come Facebook o Twitter o Messanger)che favoriscono la promiscuità tra sessi opposti e che divulganoimmagini del volto o del corpo scoperti, è haram non indossare

La religione islamica non ha chiavi di lettura “moderate”rispetto ai propri precetti.È la cultura islamica diesportazionead averle

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il velo, o vestire con minigonne, top, leggings o shorts, tacchi,trucco occidentale, stile di vita paritario tra i sessi come avvienetra giovani italiani ed europei.

Tutto ciò, e molto altro ancora è haram per il Corano, il sacrolibro dell’Islam che fissa e cristallizza un’immagine molto diversadella donna o dell’uomo musulmano che rispetta e pratica lafede nella nostra società occidentale.

La solidità del modello eticoEd è stato ancora Fini a sottolineare, nel corso del convegno,

quanto i ragazzi intervistati si sentano “figli di quella che èl’apertura mentale della società occidentale, si sentono, con lastessa intensità, arabo musulmani perché avvertono il fortelegame con i loro luoghi di origine e perché, questa è la cir-costanza che più fa riflettere, considerano il modello eticoappreso all'interno delle loro famiglie come più solido rispettoa quello che normalmente viene rappresentato nel nostroPaese”.

Il punto è però che questa “sfiducia nell’etica e nella moralità”

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del Paese ospitante non è tacitamente determinata da quellache Fini stigmatizza univocamente come una responsabilitàdella classe politica quando afferma che “alte figure nellasocietà italiana sono esempi che sotto questo punto di vistadifficilmente rafforzano nel giovane immigrato di secondagenerazione la percezione che essere importanti, essere belli,essere laici significhi anche avere un’etica pubblica o un’eticadella responsabilità”.

Un tema importante quello dell’etica pubblica e della respon-sabilità di alta valenza sociale, non vi è dubbio, ma di differenterispondenza in ambito islamico. Che richiede dei distinguopreziosi prima di poter affermare senza smentite che se dairisultati dell’indagine “G2: una generazione orgogliosa” (ricercapresentata al convegno, promossa da Genemaghrebina, erealizzata da Abis Analisi e Strategie) emerge che i giovanimusulmani considerano il modello etico familiare più consonoai valori in cui credono rispetto al modello etico-sociale occi-dentale, la responsabilità è da ravvisare nella scarsezza dietica pubblica e responsabilità che alberga nelle alte figureche rappresentano la società italiana.

Anche i giovani italiani, cresciuti in famiglie di saldi principietici e morali (e ve ne sono più di quante non ne venganorappresentate) non faticano a individuare nel clientelismo cheannienta la meritocrazia, nel carosello delle olgettine o nel“bunga bunga style” un modello etico molto meno solido diquello familiare. Ma con ogni evidenza suddetti modelli pocoedificanti non rappresentano un potenziale terreno di scontroculturale su valori etici attribuibili per nazionalità.

Molto meno pacifico sarebbe trovare linee di convergenzain modelli familiari sociali che propongono parametri religiosie culturali diversi. Se la prevalenza delle ragazze musulmanecresciute in Italia non beve alcolici, non fuma, non frequentale discoteche, non esce di sera, crede nel matrimonio e nellaverginità, accetta senza viverlo come una limitazione il fattoche il futuro marito dovrà essere un musulmano e piacere alpadre o indossa volontariamente il velo, ciò non può in alcunmodo significare che le omologhe coetanee italiane o francesio inglesi, che in alcuni o in tutti questi comportamenti non siriconoscono, debbano rappresentare per questa ragione unmodello degenere di etica comportamentale.

L’ex ministro Giorgia Meloni è intervenuta con una riletturaantitetica del concetto di integrazione mal vissuto dai giovanimusulmani oggetto del dibattito. “Mi colpisce che i giovani musul-mani percepiscano con diffidenza la parola integrare vivendola

Secondo l’indagine “G2: una generazione orgogliosa”i giovani musulmani considerano il proprio modello familiare più consono ai valori in cui credono rispetto a quello occidentale,a causa della scarsa etica pubblica della nostra società.Un tema che meriterebbe dei distinguo

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Islam radicale, islam moderato e nuove generazioni

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come un’implicita accusa di inferiorità, come un doversicompletare di qualcosa che è mancante. Io al contrario – hasottolineato – non credo che integrare vada in contraddizionecon il costruire un’appartenenza nella quale si possa tenere inperfetto equilibrio l’amore per la terra nella quale si vive conil rispetto della propria identità di provenienza”.

Ed è proprio sul valore del rispetto che Giorgia Meloni haposto l’accento nella valorizzazione delle diverse identità.“Io non mi appassiono alla cultura della tolleranza – ha spiegatonel suo intervento – a questa preferisco la cultura del rispettoperché si tollera qualcosa che non si considera all’altezzamentre la cultura del rispetto impone e presuppone la valo-rizzazione delle identità, evitando una sintesi al ribassodelle stesse”.

Se dunque la solidità del modello etico passasse attraversola cultura del rispetto e non attraverso quella della tolleranza,ecco che la linea di demarcazione tra la cultura musulmana equella occidentale non imporrebbe solo a quest’ultima – comespesso invocato – di spostare i confini culturali rispetto alpoco tollerato velo o alle poco gradite interruzioni dal lavoro perle cinque preghiere quotidiane dei musulmani. Acquisirebbelegittima reciprocità la radicata convinzione che stili di vitadiversi fra ragazze figlie di famiglie europee e islamiche altronon sono che la rappresentazione di diverse identità, entramberispettabilissime e senza gerarchie etico morali.

I mass media veicolo di razzismo diffidenza e approssimazione

L’inevitabile deriva politica del dibattito socioculturale nonha mancato di trovare sponda in Massimo D’Alema quandoaffermava che “l’ostilità verso questo mondo (gli immigratiislamici) di cui avremmo disperato bisogno è diventata un attopolitico. Noi viviamo in un Paese dove abbiamo anche assistitoa cortei che spargono sangue di maiale sui terreni dove si vuolecostruire una moschea o a ministri che indossano magliettecon vignette blasfeme – ha dichiarato – abbiamo assistito afenomeni di imbarbarimento più che di debolezza valoriale equesti fenomeni di imbarbarimento, di chiusura, di islamofobiacome merce elettorale, producono un effetto di chiusura inse stesse di queste comunità e quindi per molti aspetti neaccentuano la pericolosità”.

Tuttavia, dalla ricerca è emerso che i giovani della comunitàislamica non hanno attribuito demeriti xenofobi o islamofobici allasocietà italiana nelle sue molteplici espressioni di accoglienza,

"Si tollera qualcosa che non siconsidera all’altezza mentre la cultura del rispetto impone e presuppone lavalorizzazione delle identità,evitando una sintesi al ribasso delle stesse”

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semmai i due inquisiti sono stati per i giovani la diffidenzagenerata “dall’ignoranza” del popolo italiano rispetto alla culturaislamica e soprattutto la stereotipizzazione dei media. “Quelloitaliano è un popolo molto buono – ha sintetizzato uno degliintervistati – ma spesso si fa influenzare troppo dai mass media:prima dell'11 settembre un musulmano era una brava persona,poi, dopo, sono cambiati ma sbagliano perché guardano solouna cosa, non la vera realtà, il kamikaze che si fa esplodere,ma non sono tutti cosi!”.

Il punto di discontinuità nelle politiche di accoglienza ravvisatodopo l’11 settembre non è l’unica spiegazione che si danno igiovani immigrati rispetto all’atteggiamento di maggior diffidenzanei confronti dei musulmani. Analizzano con chiarezza che ilfenomeno migratorio al tempo dei loro padri era modesto, “gliimmigrati all’epoca erano pochi, il loro inserimento non incontravaostacoli insormontabili, l'immigrazione non era ancora un problemao, come è diventata poi, ‘un'emergenza’. Oggi le cose sonocambiate sul piano economico e sociale”.

Il problema della massificazione mediatica e del ruolo negativosvolto dai canali di comunicazione e informazione è molto sentitodai ragazzi ascoltati. Ai mass media viene attribuita gran partedella responsabilità nella diffusione di diffidenza e razzismoattraverso un sensazionalismo della notizia che tende a stereo-tipare lessicamente l’immagine dell’immigrato relegandoloinevitabilmente alla cronaca quando questa è espressione diepisodi di violenza o di criminalità.

Anche su questo tema l’intervento di Giorgia Meloni ha postol’accento sulla diffidenza verso i mezzi di comunicazione per imessaggi approssimativi diffusi. Sottolineando però che gene-ralizzazioni e linguaggio stereotipato non riguardano solo “glistranieri di seconda generazione; è vero in generale, è una pro-blematica che riguarda tutti i giovani, basti pensare ai continuiriferimenti ai ‘bamboccioni’ o alla generazione ‘gne-gne’. Unvideo stupido – ha aggiunto – postato su YouTube da un ragazzinoaltrettanto stupido apre tutti i telegiornali e diventa il simbolodi un’intera generazione, esattamente come un episodio diviolenza che riguarda un immigrato diventa il simbolo di un’interacomunità”.

Diritti politici e cuori pulsanti delle giovani democrazie arabeIl riconoscimento dei diritti politici, secondo D’Alema, costituisce

la chiave di lettura necessaria e improcrastinabile del dibattitoaperto sulle seconde generazioni di immigrati. “È anche unproblema che riguarda la qualità della nostra democrazia – ha

Ai media vieneattribuita gran parte della responsabilità nella diffusionedi diffidenza e razzismo attraverso un sensazio-nalismodella notizia che tende a stereotipare l’immagine dell’immigratorelegandolo alla cronaca,quando questaè espressione di episodi di violenza o di criminalità

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Islam radicale, islam moderato e nuove generazioni

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detto – perché se la democrazia è il modo più efficace dimediare i conflitti, anche i conflitti sociali, un Paese nel qualeuna quota così rilevante del mercato del lavoro, in particolaredel lavoro dipendente, è escluso dai diritti politici, è un Paesedove la democrazia è limitata”.

È altrettanto sentito dai giovani musulmani il riconoscimentodella cittadinanza e dei diritti politici e quindi la possibilità disvolgere un ruolo attivo nella politica dello Stato attraverso il voto.“Ci interessa la cittadinanza italiana per votare, per cambiare ilPaese” hanno dichiarato, e ancora “la democrazia è dove tuttele genti hanno il diritto di dire, diritto di vivere libere, diritto discegliere quello che vogliono”. Ritengono che in Italia ci siademocrazia e vorrebbero la cittadinanza italiana per poter contare,per poter incidere e per poter votare verso un centro-sinistrache rispetto al centro-destra ritengono più aperto nei confrontidegli immigrati.

“Non è che mi sfuggano le complessità del riconoscimentoattraverso la cittadinanza dei diritti elettorali attivi e passivi – hatenuto a chiarire Gianfranco Fini – ma questa è una sfida e lesfide si vincono se si ha il coraggio di osare”. Sfida raccolta esubito rilanciata nell’agenda politica del nuovo governo Montidallo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano,che ha definito “un’autentica follia” negare la cittadinanza italianaai figli di immigrati nati in Italia. Ma non possiamo sottostimareche la sfida implicherà anche il confronto politico con i dettamireligiosi appartenenti a quella parte del mondo islamico piùvicina a una visione radicale della propria cultura sociale. Cosícome non possiamo sottovalutare quell’equazione matematicadeterminata dalla crescita demografica della popolazionemusulmana nell’Europa dei prossimi 30 anni.

I successi delle recenti rivoluzioni nel mondo arabo hannocontribuito da una parte al riavvicinamento dei giovani allaquestione politica, dall’altro, in Tunisia in particolare, alla nascitadi una nuova era democratica, dopo l’oscurantismo del ventennioBen Ali, che tuttavia ha riaperto la competizione elettoraleanche ai partiti islamici come Ennahda.

Ma i musulmani in Europa non sono stati a guardare. Il risultatodelle urne durante le prime elezioni libere in Tunisia, ha infattidato, come preannuniciato, un largo vantaggio al partitoEnnahda, la Rinascita. partito che, vale la pena ricordarlo, èespressione di un Islam politico definito “moderato” ma fonda-mentalmente nato e cresciuto nel ventre della occidentalissimaEuropa, della britannicissima Londra, dove il suo leader RashidGhannouchi ha vissuto in esilio durante il regime di Ben Ali. E

I giovani musulmani sentono in modo particolare il problema del riconosci-mento della cittadinanza e dei diritti politici e quindi la possibilità di svolgere un ruolo attivo nella politica dello Stato attraverso il voto

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Islam radicale, islam moderato e nuove generazioni

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la nostra sfida non può non essere consapevole dell’importantesostegno che al partito filoislamico Ennahda, è stato dato dallecomunità di immigrati tunisini residenti in Europa. Dalla Franciadove gli islamisti sono stati il primo partito aggiudicandosiquattro seggi su 10. E anche dall’Italia, dove i seggi elargiti aEnnahda sono stati due su 10.

Secondo uno studio pubblicato dall’itituto americano The PewResearch Center’s Forum on Religion & Public Life, il numero dimusulmani nel mondo aumenterà del 35% nei prossimi 20 anni,con un tasso di crescità annuo dell’1,5%. Nel 2030 flussimigratori e tasso di natalità in Europa faranno si che la popo-lazione musulmana europea sarà presumibilmente di 58 milionidi persone. Forse non sarà un’Eurabia, come coniato sotto leceneri delle Torri gemelle l’11 settembre 2001. Certamentesarà un Eurislam. La differenza dirompente sulla futura laicitàdel Vecchio Continente la farà ciò che sarà haram: la culturao la religione.

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anoL’edilizia di culto

e il problema moschee

di Paolo CavanaUniversità Lumsa - Roma

La costruzione di edifici di culto per i fedeli di religione musulmana è una questione critica su cui incide anche la natura che tali edifici hannonei Paesi islamici, in cui la sfera religiosa e quella politica non sono del tutto separate

Gli edifici di culto nell’ordinamento italianoNegli ultimi anni ha assunto particolare rilievo in Italia il tema

degli edifici di culto, che, come suggerisce tale espressione,sono tradizionalmente considerati dal legislatore come luoghiriservati al compimento dei riti religiosi e degli atti di culto daparte dei fedeli. Essi costituiscono da sempre, nelle principalitradizioni religiose, compresa quella cristiana1, anche la sedeprivilegiata per la predicazione e la formazione spirituale deifedeli, ossia per l’esercizio del magistero e del ministero spirituale.Del resto è lo stesso legislatore a considerare come pertinenzedell’edificio di culto, cui si estende il regime giuridico dellacosa principale, quei locali, come la canonica e altre strutturericettive, destinati a ospitare le attività di catechesi, caritativee di formazione spirituale rivolte ai fedeli, considerate parteintegrante della missione propria dei ministri confessionali.

A tali strutture l’ordinamento italiano, al pari di molti altriordinamenti, ha sempre riservato particolare attenzione, ricono-scendone la funzione primaria in ordine all’esercizio del dirittodi libertà religiosa e al soddisfacimento delle esigenze religiosedei cittadini (articolo 19 della Costituzione). In tal senso varicordato innanzitutto il regime di esenzione fiscale di cui godono

La funzione primaria del luogo di culto per esercitare il diritto di libertà religiosa e soddisfarele esigenzereligiose dei cittadini è riconosciutadall’articolo 19della Costituzione

1 E ciò sia nella pluriforme tradizione protestante, sia in quella ortodossa e cattolica,soprattutto dopo la riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II.

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Edilizia di culto e moschee

tali edifici e le loro pertinenze, in quanto considerati beni nonproduttivi di reddito 2.

Attualmente gli edifici di culto, in considerazione della lorodestinazione primaria, sono assistiti da una serie di garanzienormative, di origine unilaterale statale e di origine bilateralepattizia, che ne assicurano – sia pure con alcune significativedifferenze tra le confessioni a seconda del regime cui esse sonosoggette – il libero godimento da parte degli organi confessionali.

Il massimo livello di garanzia sul piano civilistico è oggiassicurato agli edifici aperti al culto pubblico cattolico e a quellidestinati all’esercizio pubblico del culto ebraico (sinagoghe),per i quali è previsto un vincolo legale di destinazione al culto la cuicessazione è rimessa formalmente a una decisione dell’autoritàconfessionale competente 3.

Tali edifici godono inoltre di una serie di ulteriori garanzie sulpiano pubblicistico, previste da disposizioni pattizie ed estesealle altre confessioni con intesa, tra cui la sottrazione a requisi-zione, occupazione, espropriazione o demolizione “se non pergravi ragioni e previa accordo con la competente autoritàecclesiastica” (art.5, legge 121/1985; analoga è la normativadelle intese). Inoltre “salvo i casi di urgente necessità, la forzapubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negliedifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autoritàecclesiastica” (ibid.). Ma la previsione forse di maggiore rilievoconsiste nella possibilità, per la Chiesa cattolica e per le altreconfessioni che accedono al sistema di finanziamento dell’ottoper mille, previsto dal legislatore pattizio, di utilizzare parte delsuo ricavato per soddisfare le esigenze di culto dei loro fedeli,nelle quali vengono ricompresi anche gli oneri per la costruzionedi nuovi edifici di culto o per la conservazione di quelli esistenti.

Quanto alla costruzione di nuovi edifici di culto, solo per quellidella Chiesa cattolica vi è l’esplicita garanzia che, in sede di

2 Per l’esenzione dall’Irpeg, oggi Ires, a condizione che non siano “oggetto dilocazione” e purché l’esercizio del culto sia “compatibile con le disposizioni degliartt. 8 e 19 della Costituzione”, cfr. art. 33, co. 3, Dpr 917/1986; per l’esenzione dall’Ici,che vale per tali edifici purché siano “destinati esclusivamente all’esercizio del culto”e per le loro pertinenze in quanto destinate “esclusivamente allo svolgimento di attività”di utilità sociale e di religione o di culto e non aventi “per oggetto esclusivo o principalel’esercizio di attività commerciali”, cfr. art. 7, co.1, lett. d,i, D.Lgs. 504/19923 Sotto questo profilo godono di una forte garanzia di carattere formale gli edifici delculto ebraico, in quanto la norma posta a loro tutela è di origine bilaterale (art.15,comma 1, legge 101/1989), quindi sottratta a eventuale modifica da parte del legislatoreunilaterale statale, mentre il vincolo di destinazione per gli edifici aperti al cultocattolico è previsto da una norma del codice civile (art. 831, comma 2), modificabileunilateralmente dal legislatore statale

L’ordinamentogiuridico italiano riserva agli edifici di culto, in conseguenzadella loro destinazione,una protezionespecifica che ha origine sia unilaterale,nelle leggi dello Stato,sia pattizia,nelle intese con le singole confessioni

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pianificazione urbanistica, “l’autorità civile terrà conto delleesigenze religiose della popolazione, fatte presenti dalle compe-tenti autorità ecclesiastiche” (art. 5, comma 3, legge 121/1985).Per quelli di altre confessioni religiose – riconosciute peraltrotutte “idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loroappartenenti” (Corte cost., sentenza 195/1993) – valgono iprincipi generali in materia urbanistica, che inseriscono taliedifici tra le “opere di urbanizzazione secondaria” che entranoobbligatoriamente a far parte dei piani regolatori secondostandard urbanistici fissati da normative regionali, evidenzian-done una funzione sociale strettamente connessa al rilievocostituzionale degli interessi religiosi che essi mirano a soddi-sfare e che giustifica l’esistenza di una specifica legislazioneregionale in materia, con la previsione di contributi per ilrestauro, ripristino, ristrutturazione, conservazione, ampliamentoe adeguamento degli edifici di culto esistenti nel territorio dicompetenza dell’ente locale.

Valgono inoltre le comuni garanzie derivanti dal diritto dilibertà religiosa (art.19 Cost.), per cui tutte le confessioni religioseo gruppi di fedeli possono liberamente aprire edifici di culto nelrispetto delle norme urbanistiche senza previa autorizzazionegovernativa e all’interno di essi possono celebrare il culto epredicare anche ministri non approvati ai sensi della legge1151/1929, i cui atti peraltro saranno privi di effetti giuridicinell’ordinamento italiano (Corte cost., sentenza 59/1958); comepure potranno concorrere all’assegnazione di eventuali fondi odi altre agevolazioni previste a tal fine dal legislatore regionale,senza discriminazione rispetto alle confessioni con intesa.

Sulla base di questa normativa promozionale, le principalisfide che interessano oggi la materia nel nostro Paese sonoprincipalmente due: il problema degli edifici di culto dismessi,ossia non più utilizzati per il culto, che interessa la confessionereligiosa di più radicato e diffuso insediamento nel Paese, inparticolare la Chiesa cattolica, anche per l’ampiezza e il valorestorico-artistico del patrimonio chiesastico nazionale; e quelloopposto della costruzione o reperimento di edifici o luoghi per ilculto per le nuove comunità religiose, di più recente inse-diamento nel Paese.

La questione delle moscheeIn questa prospettiva la questione che assume maggiore

attualità presso l’opinione pubblica è quella relativa allacostruzione nel nostro Paese di moschee, intese come grandicomplessi edilizi destinati ad essere punto di riferimento dei

Due le principali sfideper il nostro Paese:il problema dei luoghi di cultodismessi e quello dellacostruzionedi nuovi edificiper le comunitàreligiose di più recente insediamento

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fedeli di religione islamica per la preghiera collettiva delvenerdì e di raccolta dell’intera comunità di un ampio territorio,cui di frequente accedono istituti di cultura islamica e scuolecoraniche.

Il problema è emerso negli ultimi anni a causa dello stanzia-mento in Italia di consistenti comunità di immigrati provenientida Paesi di tradizione islamica, e nasce principalmente, oltreche da motivi di ordine pubblico ben evidenziati nel recenteparere del Comitato per l’Islam italiano (parere sui luoghi diculto islamici, 27 gennaio 2011), anche dalle forti resistenzeopposte dalle popolazioni dei territori interessati, preoccupatedall’impatto negativo che l’attuazione di simili progetti –implicanti una vera e propria riqualificazione di ampie zoneperiferiche urbane – potrebbe avere sulle loro condizioni di vita(e sul valore degli immobili), facendoli sentire quasi stranieriin casa propria per l’effetto attrattivo che simili opere sarebberoin grado di esercitare sui fedeli musulmani di un vasto territorio.

Su tale problema, e sull’acceso dibattito che di solitoaccompagna la presentazione di simili progetti nell’opinionepubblica, incide anche il ruolo oggettivo che tali edifici assumononella tradizione islamica, ove, in assenza di una separazionetra sfera politica e sfera religiosa, essi hanno rappresentatostoricamente non soltanto il luogo della preghiera comunitariadei fedeli, funzione che potrebbe essere assolta anche attraversopiù semplici e disponibili “sale di preghiera”, già presenti nelnostro Paese in modo diffuso in molte aziende e nel tessuto dimolti paesi e centri urbani, ma anche lo strumento privilegiatoper l’affermazione dell’egemonia religiosa e culturale di unacomponente dell’Islam, sostenuta dal potere politico (o da unadinastia regnante), sull’intera comunità.

In assenza di una gerarchia religiosa in grado di affermarela propria autonomia di fronte al potere politico, se non al prezzodi impossessarsi di quest’ultimo, come avvenuto in Iran con lacreazione di un regime teocratico, l’evoluzione storica all’internodell’Islam, quanto meno nei Paesi dai quali proviene l’assolutamaggioranza degli immigrati di fede musulmana che approdanonel nostro Paese, ha sempre visto una forte autorità politica(in genere una dinastia regnante) assumere il ruolo di garantedell’unità della comunità religiosa, con gli strumenti coattiviad essa propri, rendendo di fatto l’unione e il reciproco sostegnotra potere civile e quello religioso un dato costitutivo di taleesperienza, che appare oggi difficilmente immaginabile – edesportabile – al di fuori di queste coordinate.

In sostanza nella tradizione storica di questi Paesi la

Il problema moschee: essestoricamente rappresentano non solo un luogo di preghiera,ma anche lo strumento per laaffermazionedell’egemoniareligiosa e culturale dell’Islam sull’intera comunità

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moschea non è soltanto un luogo di culto e di discussione deiproblemi della comunità, come in altre esperienze confessionali,ma anche un fondamentale strumento di legittimazione (odelegittimazione) dello stesso potere civile e del clero postoal suo servizio, della cui fedeltà all’ortodossia il primo divienegarante. Un simile modello di relazione tra politica e religione,di cui storicamente la moschea è stata e continua ad essereil simbolo per eccellenza nelle terre dell’Islam, appare peròdifficilmente compatibile con gli attuali regimi di democraziapluralista, fondati sull’opposto principio della separazione oautonomia della politica rispetto alla religione e, quindi, sullalibertà religiosa, che postula la neutralità dello Stato sullescelte dei cittadini in materia religiosa.

Ora, vi è il rischio reale che determinate scelte urbanistichedelle amministrazioni locali, pur se assunte in buona fede enell’intento di favorire l’esercizio della libertà di culto, potrebbero

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assecondare di fatto una logica confessionista e autoritaria,nella quale il sostegno accordato dall’ente locale a un’associa-zione islamica mediante l’approvazione di un suo progettoedilizio per la costruzione di una moschea venga percepitoall’interno della comunità immigrata come una sorta di legitti-mazione di un ruolo egemone di tale associazione sul pianopolitico e religioso. Per cui l’individuazione dell’interlocutoreistituzionale e/o la predeterminazione di regole chiare per uneventuale dialogo con esso, diventano fondamentali non soloa livello centrale (per lo Stato, in vista della stipulazione diun’intesa) ma anche a livello locale per gli stessi orientamentie le dinamiche di sviluppo interne alle comunità immigrate ditradizione islamica.

Infatti, con la sua forte visibilità nel territorio circostante, di solitorafforzata dall’erezione di un minareto, la costruzione e lasuccessiva gestione di una moschea è in grado di esercitare– come dimostra una serie di ricerche svolte sull’argomento –una forte influenza all’interno di una vasta comunità immigratadi tradizione musulmana, sradicata dalla propria cultura d’originee priva di riferimenti identitari altrettanto forti, monopolizzandola formazione delle giovani generazioni immigrate e imponendonel tempo l’egemonia religiosa e culturale dei soggetti promotori,magari legati a movimenti islamisti radicali e per lo più bene-ficiari di finanziamenti di provenienza estera. Con l‘effetto, daun lato, di ridurre forzatamente il pluralismo etnico e nazionalee la pluralità di tradizioni delle comunità immigrate, che rappre-sentano invece il principale antidoto all’interno dell’Islam controil prevalere di orientamenti radicali; dall’altro con il rischioreale di un ripiegamento della comunità su se stessa e di unoffuscamento del ruolo dell’autorità civile del Paese ospitante,ostacolando seriamente il processo di integrazione all’internodella più ampia comunità nazionale.

Tutto ciò fa della costruzione di una moschea un potenzialeproblema non solo in Italia ma anche in altre nazioni europee,in quanto possibile centro di diffusione e di formazione dellegiovani generazioni a valori contrari a principi fondamentalidelle attuali democrazie occidentali, come l’eguaglianza trauomo e donna, la pari dignità dei membri della famiglia, il rispettodella libertà religiosa e degli altri diritti umani, la laicità delleistituzioni civili, divenendo in tal caso un reale ostacolo ai processidi integrazione.

Un pericolo reso più grave dalla tendenziale chiusura di talicomunità, formate da immigrati, alla società circostante, e quindidalla loro facile permeabilità all’influsso di ideologie islamiste

C’è il rischio che il sostegnodi alcuni enti locali ai progetti di associazioniislamiche per lacostruzione di moschee venga percepito dalla comunità immigrata come legittimazionedi un ruolo egemone sul piano politico e religioso

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ostili all’Occidente, sostenute da alcune componenti dell’Islamitaliano ed europeo, con il rischio anche di collegamenti conla galassia dei nuclei terroristici di matrice islamista.

Non è certo in discussione il diritto al libero esercizio delculto, per il quale i fedeli di ogni confessione hanno il dirittodi disporre di luoghi per compiervi i riti religiosi sotto la guidadei propri ministri, senza chiedere particolari autorizzazionigovernative; quanto piuttosto le condizioni per l’attribuzionedi quei benefici e agevolazioni previste dal diritto comune inmateria di edilizia di culto, che implica sempre da parte dell’entelocale competente una valutazione e un bilanciamento degliinteressi pubblici e privati coinvolti. Ciò in quanto, come soprarilevato, la moschea non rappresenta solo un luogo di cultoo di incontro della comunità religiosa, ma può divenire anchelo strumento di affermazione di una componente dell’Islamsull’intera comunità, mediante il sostegno che essa ricerca (ericeve) dal potere politico e, in contesto di immigrazione,dalle autorità locali. Il che sembra giustificare l’atteggiamentodi maggiore prudenza e cautela assunto in materia negli ultimianni da alcuni comuni anche per evitare di influire, con propriedecisioni in materia di edilizia di culto, sulle dinamiche di sviluppointerne alle comunità musulmane immigrate, accreditandodeterminati gruppi o associazioni come interlocutori privilegiatidel potere politico e aprendo così la strada all’affermazione diuna loro egemonia sull’intera comunità.

Le indicazioni della giurisprudenza costituzionaleIl problema emerge in particolare per quanto concerne le

autorizzazioni previste dalla normativa urbanistica, come il rilasciodella concessione edilizia o il mutamento della destinazioned’uso dell’immobile, e la concessione di eventuali agevolazionipreviste dalla legislazione regionale e che potrebbero esseredisposte dall’ente locale per favorire la costruzione di un edificiodi culto.

Sotto questo profilo assumono rilievo, oltre a quanto giàevidenziato in modo più articolato dal Comitato per l’Islamitaliano nel suo recente parere, tre criteri generali indicatidalla Corte costituzionale nella sentenza 195/1993 in materiadi edilizia di culto.

Innanzitutto, per quanto concerne l’esigenza di assicurareedifici aperti al culto pubblico mediante l’assegnazione dellearee necessarie e delle relative agevolazioni, la Corte haescluso che la comune normativa urbanistica possa esseredifferentemente applicata a seconda dello status giuridico

I tre criteri generali in materia di edilizia di culto indicatidalla Corte costituzionale con sentenza 195/1993

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assunto dalla singola confessione religiosa. In relazione a taliesigenze “la posizione delle confessioni religiose va presa inconsiderazione in quanto preordinata alla soddisfazione deibisogni religiosi dei cittadini, e cioè in funzione di un effettivogodimento del diritto di libertà religiosa, che comprende l’eserciziopubblico del culto professato come esplicitamente sancitodall’art.19 Cost. In questa prospettiva tutte le confessioni religiosesono idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loroappartenenti” (sent. 195/1993), in quanto per tutte vale lagaranzia del principio della loro eguale libertà davanti alla legge(art. 8, comma 1, Cost.). Forme di riconoscimento pubblico ditali comunità saranno peraltro necessarie quanto meno per lacreazione di un soggetto giuridico cui imputare i benefici previstidal diritto comune, ma gli enti locali non potranno comunquesottrarsi alla necessità di fornire una risposta concreta aibisogni religiosi di una parte consistente della popolazioneresidente.

Il secondo criterio, peraltro ben noto alla tradizione legislativaitaliana, consiste nel condizionare e proporzionare l’interventodell’ente pubblico in materia di edilizia di culto “all’esistenzae all’entità dei bisogni al cui soddisfacimento l’intervento stessoè finalizzato” (sent.195/1993). Questo implica innanzituttol’accertamento dell’effettivo grado di rappresentatività deglistessi da parte dell’associazione o gruppo richiedente e, insecondo luogo, la loro individuazione con riferimento al territoriodi competenza del singolo ente territoriale, evitando – almenoin questa fase di primo radicamento delle comunità immigrate –l’approvazione di progetti che, per le dimensioni dell’opera e laloro ubicazione, apparissero sproporzionati rispetto alle effettiveesigenze religiose della popolazione residente.

Il terzo criterio si coglie in un passaggio nel quale si precisache, una volta accertata la natura di confessione religiosa,l’attribuzione di eventuali benefici previsti dalla legge perl’edilizia di culto rimane condizionata, oltre che alla consistenzae incidenza sociale della confessione richiedente, all’“accet-tazione da parte della medesima delle relative condizioni evincoli di destinazione”. A fronte dell’attribuzione di benefici,viene quindi richiesto al soggetto richiedente l’onere di accettareeventuali condizioni o vincoli fissati dalla legge o dall’entelocale per il miglior soddisfacimento degli interessi generalidi cui quest’ultimo è garante. Tra i quali potrebbero essereinseriti, alla luce di quanto sopra, oltre a determinati requisitio caratteristiche dell’opera in grado di assicurarne un armonicoinserimento nel contesto locale (viabilità, parcheggi, decoro

L’applicazionedella normativaurbanistica agevolativaper gli edifici di cultosi applicaa tutte leconfessioni,e non dipendedal loro statusgiuridico,ma l’interventodell’ente localedeve essereproporzionato all’entità del bisogno religioso espresso da una datacomunità

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architettonico), riducendone l’impatto sul piano sociale eurbano, anche la previsione dell’uso della lingua italiana perla predicazione degli imam e la pubblicizzazione dei canalidi finanziamento, al fine di garantire trasparenza circa la loroprovenienza e il corretto uso di eventuali fondi o agevolazionipubbliche (cfr. Comitato per l’Islam italiano, parere cit.).

Il problema, come noto, è all’ordine del giorno di molti Paesieuropei. La costruzione delle moschee, la formazione degliimam, l’uso della lingua nazionale per la predicazione, la prove-nienza dei cospicui finanziamenti di cui beneficiano determinatecomponenti dell’Islam operanti nell’immigrazione europea, laquestione di una sua rappresentanza unitaria in vista dell’instau-razione di rapporti con le istituzioni civili, il rischio del collega-mento con il terrorismo internazionale sono tutti problemiconnessi in maggiore o minor misura con il tema della predi-cazione islamica e dei suoi contenuti, ossia con l’esercizio delmagistero coranico, che nella tradizione islamica rappresentauna funzione riservata al clero ma fortemente condizionata dalpotere politico e presenta – allo stato attuale della teologiaislamica – margini di adattamento assai più ridotti che in altreesperienze religiose.

S. Allievi, La guerra delle moschee.L’Europa e la sfida del pluralismo religioso,Venezia 2011

C. Cardia, Edifici di culto e nuove reli-gioni, in “Dir. eccl.”, I, 2008/1-2, 13-29

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V.Tozzi - G. Macrì - M. Parisi (a cura di),Proposta di riflessione per l’emanazionedi una legge generale sulle libertà reli-giose, Torino 2010;

Campanili e minareti. I luoghi di cultotra norme civili e interessi religiosi,numero monografico della rivista “Quadernidi diritto e politica ecclesiastica”, 2010/1(con contributi di A. Bettetini, V. Tozzi,P. Cavana, L.Zannotti, V. Marano, N. Marchei,G. Rivetti, S. Allievi, A. Fornerod, M. Lopez,V. Pacillo, A. Seglers, J. Privot)

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Dove sono e quante sono le moschee in Italia?

di Maria BombardieriUniversità degli studi di Padova - Forum internazionale democrazia & religioni

La fotografia dettagliata della presenza islamicanel nostro Paese in un volume di recentepubblicazione: le organizzazioni attive, i luoghidi culto, i casi critici e le esperienze di successo

“Moschee d’Italia. Il diritto al luogo di culto e il dibattito socialee politico”. Questo è il titolo di un recente studio, pubblicato dalla

Emi di Bologna, che intende far luce sullapresenza dell’Islam organizzato in Italia e iconflitti che si generano intorno alle moschee.In esso vengono presentate, con puntualità,le maggiori organizzazioni islamiche delPaese individuandone legami e antagonismi,determinati spesso dalla rincorsa a unamaggiore visibilità politico-istituzionale e alturnover della leadership. Tra le principali

sigle dell’Islam italiano sono presenti l’Unione delle comunitàe organizzazioni islamiche in Italia, la Comunità religiosaislamica italiana, il Centro islamico culturale d’Italia e l’Unionedei musulmani in Italia. Tutte associazioni di carattere nazionaleche hanno all’attivo rappresentanze in buona parte delleregioni italiane e hanno creato network di centri islamici. Unasorta di “leghe di moschee” spesso viste come elemento chegarantisce un certo grado di rappresentatività agli occhi delleistituzioni pubbliche.

L’attenzione del volume si focalizza sui luoghi di culto islamici,meglio conosciuti dal grande pubblico come “moschee”, pun-tualizzando in primis sulla terminologia adottata per identificaree definire questi luoghi, individuati nel censimento nazionalestilato tra l’ottobre 2008 e 2009. 769 sono i luoghi di culto:cinque le moschee (masgid) di nuova edificazione, dotate dicupola o minareto, ovvero di una struttura architettonica

Le principali associazioni attive in Italia hanno creato un network fra centri islamici,una “lega di moschee”che garantisce un certo grado di rappresentatività

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Moschee in Italia: i numeri

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classica, presenti a: Segrate, Brescia, Colle val d’Elsa, Roma eCatania. Discreto è anche il numero dei centri islamici, strutturedi notevoli dimensioni che hanno ambienti per la preghiera,separati da quelli in uso per funzioni culturali o educative(corso di lingua araba), con una leadership ben consolidata euna discreta apertura e interazione con le istituzioni laiche ereligiose locali. Buona parte del dato è comunque costituitoda musalla (sala di preghiera), ovvero luoghi improvvisaticome magazzini, capannoni, garage, appartamenti, cantineadibiti per il culto.

In totale circa 800 luoghi di culto sul territorio italiano perquasi 1 milione e mezzo di musulmani, pari al 34 per cento deiresidenti stranieri e al 2,2 per cento della popolazione (60

milioni): in sintesi un luogo di culto ogni1.723 abitanti. Detiene il primato di regioneospitante la Lombardia con 125 sale dipreghiera e due autentiche moschee conminareto (Segrate, Brescia), seguono poiEmilia-Romagna e Veneto con 112 e 111musalla. Non è dunque un caso che oltre lametà delle sale di preghiera individuate(473) sono localizzate nel Nord del Paese,

dove l’attrattiva lavorativa stabile è maggiore rispetto aicampi di raccolta stagionale del Sud Italia.

La linea mediana è dunque tracciata dalle regioni centrali:la Toscana con 51 sale, il Lazio e le Marche con 36 e 34 spazicultuali. Restano fanalino di coda Basilicata e Molise a quotadue, Valle d’Aosta tre e Sardegna sei, mentre tra le regionimeglio rappresentate del Meridione evidenziamo Sicilia (54) eCalabria (26); quest’ultima registra una sala di preghiera ogni568 abitanti.

Da questi numeri si evince che in realtà non vi è un problemadi mancanza di luoghi di culto o di violazione della libertàreligiosa, quanto piuttosto di problematiche di ordine qualitativoe non quantitativo. La situazione è altamente fluida, infatti lesale di preghiera aprono e chiudono ogni giorno. Tra le causevi sono senza dubbio la crisi finanziaria e le amministrazionicomunali che si attaccano a cavilli burocratici e urbanisticiper decretarne l’immediata chiusura. Le comunità islamiche sipossono spostare alla ricerca di ambienti più ampi e dignitosi,investendo anche nell’acquisto dei locali.

In tutto il Paese costruire moschee è chiaramente difficile;se nel Nord Italia gli ostacoli sono spesso posti dalle polemichedella Lega Nord, nel Centro-Sud le moschee non si costruiscono

Sul territorio italiano sono stati censiti circa 800 luoghi di culto: oltre la metà sono localizzati al Nord e fra le regioni la Lombardia è quella che ne ospita di più

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Moschee in Italia: i numeri

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Valle d’Aosta 3 Lazio 36Piemonte 61 Umbria 36Lombardia 125 Abruzzo 12Liguria 23 Campania 28Trentino-Alto Adige 24 Molise 2Friuli-Venezia Giulia 16 Puglia 25Veneto 111 Basilicata 2Emilia-Romagna 112 Calabria 26Marche 34 Sicilia 54Toscana 51 Sardegna 6

Totale Italia 769

Moschee1 Regione Moschee

1 Con il corrente termine “moschee” qui si intendono anche e soprattutto le semplicisale di preghiera (musalla).

Regione

per mancanza di fondi. Infatti, qui la comunità islamica èoccupata principalmente nei lavori agricoli e nel commercioambulante, e si riunisce soprattutto in estate, perché è legataal lavoro stagionale. In tutta Italia i terreni acquistati per l’edifi-cazione ex novo sono sei, sempre localizzati in aree periferichedelle grandi città, dove già si registra una buona presenza distranieri. Si tratta di aree degradate da riqualificare sul pianourbanistico, da dotare di nuove infrastrutture e di migliori servizipubblici. Località scelte dalle amministrazioni comunali perevitare il forte impatto visivo del luogo di culto sulla popolazioneautoctona, ma talvolta anche dalle comunità islamiche desiderosedi evitare l’insorgere di polemiche, conflitti e fastidi alla viabilitànel giorno di venerdì.

L’autrice dedica un approfondimento sulle dinamiche conflit-tuali emerse a Colle val d’Elsa, Genova, Brescia e Padova, cittàcoinvolte nella costruzione di moschee. Quattro casi concreti,in cui emergono motivazioni di rifiuto di tipo “reale” o presuntotale, come la sicurezza e l'ordine pubblico, e motivazioni di tipo“culturale”, legate a una percezione negativa dei musulmani edell’Islam considerati ostili nei confronti della cultura italianae della religione cattolica.

Il timore generato dalla presenza delle moschee, viste daalcuni quali “covo di terroristi”, non è tuttavia da sottovalutare.Va compreso e va analizzato seriamente, va fatto emergere eva discusso. Il pericolo terrorismo esiste, è reale. In alcunemoschee italiane sono già passate guide religiose colluse conambienti radicali e associazioni con finalità terroristiche, perquesto motivo occorre vigilare e prevenire. E giustamente

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reprimere, come già è accaduto laddove la magistratura l’haritenuto necessario. In questo scenario, la comunità islamica haun ruolo cruciale nel prevenire derive fondamentaliste, in quantoattua un controllo sociale che può fin dall’inizio emarginare edescludere imam radicali. Il conflitto non è tra civiltà, tra noi eloro, quanto tra chi appoggia un disegno radicale e un’azioneviolenta e chi li rifiuta.

Nel dibattito creato intorno alle moschee hanno dato unprezioso contributo anche la Chiesa cattolica e le istituzionilocali e nazionali. Mentre la prima ha sempre difeso il diritto alluogo di culto dei musulmani – si pensi ai discorsi pronunciatipiù volte dall’ex arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi –

le seconde hanno avuto nei diversi casi unduplice atteggiamento di chiusura e diapertura. Dunque, a livello locale ci sonostate esperienze sia di profonda sorditàverso l’esigenza cultuale comunitaria deimusulmani, sia di lungimirante apertura;esempio è Colle val d’Elsa, dove è statoproposto un protocollo d’intesa con il centroislamico per ovviare al timore di derive

fondamentaliste della leadership, lavorando insieme per unprocesso di integrazione della comunità e di trasparenza neifinanziamenti.

A livello nazionale, invece, sono state avanzate proposte dilegge volte a regolamentare l’Islam in Italia: nel 2008 larestrittiva “legge-muro” degli allora deputati Gibelli e Cota;nel 2010 le azioni del ministro Maroni. L’ex ministro dell’Internoha costituito il Comitato per l’islam italiano, un organismo diconsulenza su problemi pratici dell’Islam in Italia e successi-vamente ha dato il patrocinio al corso di formazione “Nuovepresenze religiose in Italia. Un percorso di integrazione”, rivoltoai leader musulmani e promosso dal Forum internazionaledemocrazie & religioni (si veda l’articolo nella rubrica “Il buonesempio”).

In conclusione “Moschee d’Italia. Il diritto al luogo di cultoe il dibattito sociale e politico” rappresenta, oggi, lo studiopiù aggiornato sull’islam italiano; studio che non si realizzavada almeno dieci anni. Ha in sé il pregio di definire i termini deldibattito intorno alle moschee, analizzando i conflitti, partendoda casi concreti e da dati quantitativi puntuali e dettagliati,enucleati regione per regione, provincia per provincia, senzaindugiare in stereotipi consolidati sui musulmani. In definitiva,ne dipinge un quadro fedele.

A livello locale si ritrovano sia esperienze di chiusura verso le esigenze dei musulmani, sia esempi lungimiranti come quello di Colle val d’Elsa in Toscana

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Il futuro dell’immigrazionee i cambiamenti globali

di Veronica RinioloFondazione Ismu - Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità (Orim)

I temi in discussione nella XVI conferenza annualedel progetto Metropolis, un’importante vetrinadi quanto avviene nel mondo delle migrazioniin termini di studi e ricerche, ma anche di sperimentazioni e iniziative intraprese

Il progetto Metropolis e la XVI conferenza internazionaleSi è svolta nel settembre scorso, alle isole Azzorre, la XVI

conferenza di Metropolis, il più importante incontro annuale diesperti in tema di migrazioni e diversità culturale, che ha riunitocirca 700 policy maker, accademici, studenti, operatori delterzo settore appartenenti a oltre 30 Paesi. Dedicata alle sfideposte dalle migrazioni internazionali in un contesto globale incostante evoluzione, segnato da profondi cambiamenti e dacrisi finanziarie ed economiche che costringono a ripensare gliassetti delle nostre società, la conferenza ha visto confrontarsii partecipanti sul tema della mobilità umana e sulle questionia essa legate, quali l’integrazione, i diritti di cittadinanza, ilcontributo dei migranti nelle società d’arrivo. Tali questionirisultano infatti centrali in molteplici ambiti, quali quello acca-demico, politico e della società civile.

Più specificatamente, gli interventi dei partecipanti hannoriguardato tematiche attinenti le migrazioni nel contesto delcosiddetto “villaggio globale”, riflettendo e offrendo nuovi spunti,per esempio, circa il ruolo dell’Information and communicationtechnology (Ict), le identità transnazionali e il crescente impattodei social network.

Ogni anno una città differente ospita l’evento. Il primo incontrovenne svolto nel 1996 a Milano, a testimonianza dell’impegno delnostro Paese nell’ambito di tale iniziativa1.

L’incontroha visto lapartecipazionedi 700 policymaker,accademici,operatoridel terzosettoreprovenientida oltre30 Paesi

1 Le città che hanno ospitato la conferenza internazionale di Metropolis sono: Milano

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La XVI conferenza di Metropolis

Questo appuntamento annuale, che gode ormai di una grandevisibilità, si inserisce nelle attività del progetto internazionaleMetropolis 2, promosso da istituzioni di ricerca, enti di governoe organizzazioni non governative appartenenti a moltepliciPaesi, che si pone differenti obiettivi: lo sviluppo di politichein grado di gestire efficacemente i flussi migratori; la condivisionedi best practice; il confronto tra ricercatori, policy maker eoperatori su temi emergenti legati ai flussi migratori; l’avvio diprogrammi di ricerca, in un’ottica di collaborazione interna-zionale, in grado di produrre risultati efficaci in termini diimpatto sulla gestione dei flussi stessi. Tali obiettivi vengonoperseguiti non solo in occasione della conferenza, ma anchemediante lo sviluppo di progetti di ricerca comuni, pubblicazioni,tra le quali il Journal of International Migration and Integration,e confronti e discussioni informali.

Nel tempo il progetto è cresciuto fino a includere enti –governativi e non – e istituzioni di ricerca appartenenti adiversi continenti: Europa, Nord-America e, seppur in misuraminore, America Latina, Africa e Asia. La promozione in Orientedi Metropolis sarà facilitata proprio dalla scelta della prossimasede dell’evento: Pechino, infatti, ospiterà dal 31 ottobre al4 novembre 2012 la XVII conferenza intitolata “Migration,Cultural Diversity and Urban Development”.

I temi in discussioneIl ricco programma di interventi della Conferenza è stato

organizzato in sessioni plenarie e workshop di approfondimento.Le tematiche affrontate nelle sessioni plenarie hanno nellospecifico riguardato: la globalizzazione e le migrazioni nel Suddel mondo; la mobilità internazionale in spazi economici integrati;l’immigrazione in contesti relativamente di piccole dimensioni,quali le isole; l’effetto delle emigrazioni di massa sui Paesi diorigine dei migranti; il rafforzamento delle identità transnazionaliattraverso internet e i social network; l’invecchiamento dellapopolazione e il ruolo delle migrazioni; la convivenza in cittàmulticulturali3.

La conferenzaannualenon è il solostrumentodel progettointernazionaleMetropolische prevedeanche ricerchecomuni,pubblicazionie discussioniinformali

(1996), Copenaghen, (1997), Zichron Yaacov (1998), Washington (1999),Vancouver (2000), Rotterdam (2001), Oslo (2002), Vienna (2003), Ginevra (2004),Toronto (2005), Lisbona (2006), Melbourne (2007), Bonn (2008), Copenaghen(2009), L’Aia (2010), Ponta Delgada-Isole Azzorre (2011)2 http://www.international.metropolis.net3 Di seguito si riassumono i temi affrontati nel corso delle sessioni plenarie, propo-nendone i punti centrali nell’impossibilità di riportarne per esteso i contenuti

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La XVI conferenza di Metropolis

La discussione sulla mobilità umana tra i Paesi del Sud delmondo ha inteso favorire una comprensione globale dellemigrazioni internazionali, che spesso vengono affrontate soloanalizzando i flussi dal Sud verso il Nord del mondo: è infattirilevante sottolineare che, dei circa 214 milioni di migrantivalutati dall’Onu a livello mondiale, 1/3 di essi si spostanoproprio tra i Paesi del Sud. Ulteriore focus, come sopra richia-mato, ha riguardato il contributo che i migranti apportano asocietà caratterizzate da bassi tassi di natalità e la cui strutturaper età della popolazione è in cambiamento, questione che vaassumendo una crescente rilevanza anche in Italia. A questi temisi sono collegate riflessioni più ampie, quali le implicazionigeo-politiche, economiche e sociali dei bassi tassi di fertilità.

Lo specifico contesto in cui tale iniziativa è stata organizzataquest’anno, le Azzorre, ha offerto lo spunto per un confrontocirca l’impatto delle immigrazioni e delle emigrazioni su contestidi piccole dimensioni, quali le isole. Proprio le Azzorre sonouna terra di emigrazione: più della metà dei suoi abitanti viveinfatti fuori dal proprio Paese, anche se, a partire dalla finedel secolo scorso, sono divenute un punto di approdo dimigranti 4.

Le opportunità e le sfide poste dalle migrazioni si ripercuotono,seppur in maniera differente, sui Paesi di partenza e su quellidi destinazione: per tale ragione sono stati discussi i cam-biamenti che hanno luogo nella struttura economica, sociale eculturale delle nazioni dalle quali le migrazioni prendonoavvio. È di un certo rilievo, inoltre, considerare le funzioni chele comunità di migranti possono assumere nel mantenere unrapporto tra i diversi Paesi, quello di origine e quello di arrivo.Possono così contribuire allo sviluppo economico, sociale,culturale nei Paesi di appartenenza e divenire una spintaall’integrazione dei migranti nella nazione ospite. In tali relazioniassumono un ruolo centrale i social network e internet, che hannomodificato le modalità con le quali i migranti mantengono irapporti con i familiari e gli amici rimasti in patria, rafforzando,al tempo stesso, le identità transnazionali. Si tratta, quindi, di unadoppia presenza del migrante, nella società di partenza e inquella di arrivo, resa possibile anche dagli sviluppi tecnologici 5.

Tra gliargomentioggetto di discussioneil rilevantefenomenodelle migrazionifra Paesidel Suddel mondo,che riguardacirca un terzodei 214 milionidi personemigrantia livellomondiale

4 Per un quadro delle migrazione nelle isole Azzorre cfr. Pires A. C., Imigrantes nosAçores. Representaçoes dos imigrantes face às polìticas e práticas de acolhimentoe integraçao, Macaronesia, Ponta Delgada, 20105 Cfr. Ambrosini M., Prospettive transnazionali. Un nuovo modo di pensare le migrazioni?,in “Mondi Migranti”, 2, 2007, pp.43-90; cfr. Caselli M., Vite transnazionali? Peruvianie peruviane a Milano , FrancoAngeli , Milano, 2009

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La XVI conferenza di Metropolis

Il contributo delle migrazioni è stato inoltre consideratonella prospettiva dell’invecchiamento delle società europee.La domanda alla quale i vari interventi hanno inteso fornireuna risposta è quale contributo i migranti apportano a societàsempre più vecchie in termini demografici. Infine, nel corsodell’ultima sessione plenaria, si sono discussi i temi del multi-culturalismo e della convivenza tra differenti gruppi etnici incontesti urbani 6. Il multiculturalismo è infatti al centro del dibattitoeuropeo: la cancelliera tedesca Angela Merkel, nell’ottobre2010, e il primo ministro britannico David Cameron, nel febbraio2011, hanno annunciato la morte del multiculturalismo aprendouna discussione sulle modalità di gestione della convivenzainteretnica e sul fallimento di alcuni modelli di integrazionerispetto ad altri.

Immigrazione e integrazione: una prospettiva internazionaleed europea

La rete internazionale di Metropolis e la sua annuale conferenzatestimoniano la centralità di un approccio globale al tema dellemigrazioni, direzione intrapresa e ribadita anche e soprattuttoa livello europeo. Già a partire dal 2005, infatti, la Commissioneeuropea7 ha sottolineato l’importanza di un approccio integratoall’immigrazione. In particolare, nel corso delle ultime conferenzeeuropee e nei più recenti documenti, l’attenzione è stata rivoltaalla valutazione delle politiche di integrazione. Nelle conclusionidella conferenza di Malmö, “Indicators and monitoring of theoutcome of integration policies” (2009), si fa esplicito riferimentoalla necessità di individuare indicatori di risultato in grado dimonitorare se sono in corso cambiamenti significativi neiprocessi di inserimento dei migranti nelle società. A tale scopo,sono individuate quattro aree di interesse: lavoro, educazione,inclusione sociale e cittadinanza attiva, così come ribaditosuccessivamente anche nella Conferenza europea ministerialedi Saragozza (2010). Per ciascuna di tali aree, sono stati definiti

L’approccioglobale al tema delle migrazioniè unadirezioneintrapresae ribaditapiù voltesoprattuttoa livelloeuropeo

6 Su tali tematiche cfr. Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, 2011;Cesareo V., Società multietniche e multiculturalismi, Vita e Pensiero, Milano, 2000;cfr. Zanfrini L., Sociologia della convivenza interetnica, Laterza, Roma-Bari, 20047 Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo. Prioritàd’azione per rispondere alle sfide dell’immigrazione. Prima iniziativa presa dopo lariunione di Hampton Court, 30 novembre 2005. In tale documento si legge che “laCommissione riconosce l’esigenza di un approccio coerente, globale ed equilibratosui temi della migrazione e ritiene che l’elaborazione di una politica dell’UE chiarae consolidata in materia di migrazione accresca la credibilità dell’UE, a livellointernazionale e nei rapporti con i Paesi terzi”

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La XVI conferenza di Metropolis

alcuni indicatori al fine di studiare l’effettivo impatto dellepolitiche adottate in ciascun ambito individuato.

Numerosi studi e ricerche recentemente pubblicati testimonianola rilevanza assunta dalla valutazione delle iniziative intrapresedai singoli Stati in materia di integrazione. Per citarne solo alcuni,si richiama il Migration Integration Policy Index III, Mipex 8,indagine che ha confrontato 31 Paesi, europei e nordamericani,prendendo in considerazione le politiche di integrazione e utiliz-zando 148 indicatori; o ancora lo studio condotto da Eurostat“Indicators of immigrant integration. A pilot study”, pubblicatosempre nel 2011 e realizzato proprio a partire dagli indicatoriindividuati nelle conferenze di Malmö e di Saragozza soprarichiamate.

L’enfasi sull’effettivo impatto delle politiche è strettamentelegato anche al rinnovato interesse nei confronti del tema dellacoesione sociale. Le questioni da affrontare sono infatti molteplici:le modalità medianti le quali garantire la coesione tra tutti icomponenti di società caratterizzate in senso sempre più multi-etnico; se la gestione delle differenze implichi trovare unconsenso tra di esse o sia piuttosto l’arte di fare fronte alladiversità 9; o ancora se i migranti e le minoranze etnicherappresentino una minaccia alla coesione sociale o, se alcontrario, possano essere colte e valorizzate le opportunitàofferte dalla loro presenza.

Per concludere, Metropolis rappresenta una importantevetrina di quanto avviene nel mondo in campo migratorio siasotto il profilo degli studi e delle ricerche sia sotto quello dellesperimentazioni e delle iniziative intraprese. Queste reti inter-nazionali offrono occasioni per uno scambio e una riflessionecomune tra coloro che, a titolo diverso, si occupano di taliquestioni.

Recentementeuno degliambiti su cuisi concentral’attenzioneè quello dellavalutazionedelle politiched’integrazioneintrapresedai singoliStati

8 www.mipex.eu. Si veda su questo tema l’articolo di Stefania Nasso in libertàcivilin.2/2011, pag.1269 Cfr. Jansen T., Chioncel N., Dekkers H., Social cohesion and integration: learningactive citizenship, British Journal of Sociology of Education, Vol. 27, No. 2 April 2006,pp.189-205

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Il dialogo fra le religionicome collante sociale

di Andrea FamaErnst & Young - Financial and Business Advisor per il servizio di assistenzatecnica del Fei

Tre esempi di progetti attraverso cui il Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini dei Paesi terzi recepisce le indicazioni comunitarie,promuovendo la conoscenza reciproca e il rispetto per le varie confessioni

“Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienzae di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religioneo convinzione, così come la libertà di manifestare la propriareligione o la propria convinzione individualmente o collettiva-mente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento,le pratiche e l’osservanza dei riti”. Questo è quanto sanciscel’articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali, che riconosceuna serie di diritti personali, civili, politici, economici e sociali deicittadini e dei residenti dell’Unione Europea, fissandoli nellalegislazione comunitaria.

In un’Europa sempre più mosaico di identità e backgroundetnico-religiosi diversi, dove a multiculturalismo e integrazionesi contrappongono escrescenze di intolleranza e fanatismo, ildialogo interculturale e interreligioso è strumento di baseper favorire la conoscenza e l’accettazione reciproca tra societàd’accoglienza e comunità straniere, valorizzandone le rispettivericchezze e promuovendo la prevenzione e la mediazione dipossibili conflitti.

La libertà di culto come collante sociale, quindi, nonchécome diritto ribadito anche dai Principi fondamentali comunidella politica di integrazione degli immigrati nell’UnioneEuropea, secondo cui “la pratica di culture e religioni diverseè garantita dalla Carta dei Diritti Fondamentali e deve esseresalvaguardata, a meno che non sia in conflitto con altri dirittieuropei inviolabili o con le legislazioni nazionali”.

A livello nazionale, in Italia, il Fondo europeo per l’integrazionedi cittadini di Paesi terzi (Fei) recepisce le indicazioni comunitarie

La libertàdi cultoè un dirittoribaditoanchedai Principifondamentalicomunidella politicad’integrazionedegliimmigratinell’UnioneEuropea

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I progetti Fei per il dialogo interreligioso

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in materia, prevedendo iniziative di mediazione sociale epromozione del dialogo interculturale attraverso la program-mazione pluriennale e i singoli programmi annuali.

Le municipalità e i distretti diversamente etnici sono areeprivilegiate per favorire il dialogo interreligioso e promuovere ladiversità culturale e la coesione sociale. È necessario, pertanto,che le realtà locali sviluppino e ottengano i mezzi per gestiremeglio la diversità e lottare contro il razzismo, la xenofobia etutte le forme di discriminazione.

Al fine di fronteggiare eventuali criticità tra comunità religiosein ambito locale, il ministero dell’Interno – dipartimento per leLibertà civili e l’Immigrazione - direzione centrale degli Affari deiculti – quale Autorità responsabile del Fei, intende promuovere laconoscenza e approfondire l’analisi delle tematiche afferentialle confessioni religiose, sostenendo il dialogo e il rispettoreciproco, e implementando uno strumento di approfondimentoin tema di dialogo interreligioso e convivenza civile.

I progetti Fei in materia di dialogo interreligiosoIl progetto “Mondinsieme - cittadinanza, partecipazione e

dialogo interreligioso”, realizzato dal comune di Cremona e rivoltoa cittadini italiani e stranieri, con particolare riferimento alleassociazioni dei migranti, ha inteso raggiungere tre obiettiviprincipali:

sviluppo del centro interculturale Mondinisieme e istituzionedi un tavolo interreligioso. A seguito dell’istituzione del centrointerculturale Mondinisieme il progetto ne ha sviluppato il ruolodi raccordo con la rete dei soggetti competenti in materia,sperimentando altresì servizi di informazione mirati. Unitamentealle attività del centro, il progetto, attraverso il coinvolgimentodel Comune e della diocesi di Cremona e di Migrantes, intendesostenere la crescita di un tavolo interreligioso che preveda lapartecipazione dei responsabili delle diverse fedi presenti aCremona. Il tavolo si pone quale efficace strumento per favorireil rispetto e la conoscenza tra i rappresentanti delle religioni ei fedeli (soprattutto giovani), nonché per isolare e prevenirefenomeni di integralismo

consolidamento della rete associativa delle comunità straniere.L’obiettivo è stato quello di rendere la rete un punto di riferimentoper l’informazione e la socializzazione dei cittadini appartenentialle diverse nazionalità. La rete ha inteso altresì porsi qualestrumento di responsabilizzazione, democratizzazione e integra-zione, attraverso il riconoscimento e il legame con le istituzionilocali. È in questo contesto che è stato sostenuto l’avvio e il

Il progetto“Mondinsieme– cittadinanza,partecipazionee dialogointerreligioso”del comunedi Cremona

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I progetti Fei per il dialogo interreligioso

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consolidamento delle attività del tavolo interreligiosopromozione di attività di consulenza e orientamento. Lo scopo

è stato quello di fornire servizi di consulenza, orientamento emediazione con particolare riferimento ai temi legali e della sanità.

Gli obiettivi progettuali sono stati raggiunti attraverso leseguenti attività:

affiancamento/supervisione agli operatori del centro e aireferenti del Comune; percorso di incontri tra i diversi servizi;raccolta di informazioni e costruzione di schede comuni

percorso di incontri per definire la gestione del centro daparte delle associazioni; attività di informazione rivolta a cittadiniitaliani e stranieri; organizzazione di momenti pubblici; orga-nizzazione di sei incontri nelle scuole secondarie sul tema deldialogo interreligioso; realizzazione di una pubblicazione sul temadelle diverse confessioni presenti nel territorio di Cremona

organizzazione di incontri con avvocati ed esperti giuridiciin materia di immigrazione e cittadinanza; organizzazione diincontri con ostetriche, mediatrici e psicologhe per donnestraniere.

“Lo spirito di Assisi. Religioni e culture in dialogo” è un progettorivolto a cittadini italiani e stranieri, con particolare riferimentoai giovani.

A fronte dei mutamenti che hanno modificato e ampliato ilpanorama religioso italiano, la Comunità di Sant’Egidio, soggettoattuatore del progetto, ha perseguito alcuni obiettivi fondamentali:

favorire la conoscenza dei mondi religiosi degli altri, conducendoogni destinatario (italiano o straniero) a scoprire in tutte le religioniil messaggio di pace che le caratterizza

comprendere meglio il ruolo delle religioni nella costruzionedi società pacifiche

riscoprire il ruolo della preghiera nella crescita umana degliindividui.

Le attività progettuali hanno previsto, tra le altre cose, larealizzazione di sei eventi di incontro e dialogo in occasione dialtrettante ricorrenze di natura religiosa previste dai calendaricristiano, musulmano ed ebraico.

24.488 musulmani, 24.274 ortodossi, 14.842 cattolici, 2.912evangelici, 827 induisti, 375 buddisti: questi sono i dati delcrescente pluralismo religioso che si è sviluppato nel territorioumbro con la crescita strutturale della presenza immigrata. Afronte di questa articolata e importante presenza non esistealcuna vera e propria rete di collegamento tra fedeli di diversa

L’esperienzadel progetto“Lo spiritodi Assisi.Religionie culturein dialogo”attuatodalla comunitàdi Sant’Egidio

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I progetti Fei per il dialogo interreligioso

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confessione e poche sono state le iniziative di dialogo e confrontosviluppatesi sul territorio.

La Aliseicoop, attraverso il progetto “Identità e pluralità neldialogo interreligioso”, intende intercettare la necessità di mol-tiplicare le occasioni di incontro e di conoscenza tra i fedeli didifferenti confessioni, per dare un contributo positivo sul pianodel miglioramento dei rapporti tra uomini, in un comune percorsodi scoperta reciproca e, non da ultimo, di condivisione dellacentralità dei diritti/doveri del cittadino.

In questa direzione si muove il progetto, in corso di realiz-zazione grazie alla collaborazione con la Sezione antropologicadel dipartimento Uomo e territorio dell’università di Perugia. Ilprogetto prevede numerose attività rivolte ai rappresentanti dellecomunità religiose, ai fedeli e alla società civile. Si sono già svoltiincontri con le comunità religiose (sikh, ortodossi, buddisti, islamici,cattolici, cattolici evangelici, induisti ed ebrei) ed è stata realizzatala partecipazione alla prima festa religiosa “El Señor de LosMilagros”, mentre è previsto prossimamente a Perugia il primoconvegno “La religione emigrata”, con la partecipazione di esperti,docenti e rappresentanti delle comunità religiose.

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UE, le istruzioni per l’usoviaggiano su internet

di Alberto BordiViceprefetto - ministero dell’Interno

Presentato il nuovo Portale europeo dedicatoall’immigrazione. On line informazioni e indicazioni utili per gli stranieri che vogliono entrare in uno dei Paesi dell’Europa a 27

Come può ottenere un permesso di lavoro in Francia unragazzo nigeriano? Quale procedura deve seguire uno studentebrasiliano per poter frequentare un corso d’arte in Spagna?Che documenti è necessario presentare per ricongiungersi aipropri genitori cinesi residenti nella città italiana di Prato?Proprio per fornire risposte puntuali a domande come questel’Unione Europea ha realizzato e lanciato sul web il primoportale europeo per l’immigrazione, disponibile all’indirizzohttp://ec.europa.eu/immigration.

La mission del sito EU Immigration Portal,individuabile nella stessa home-page, ovecampeggia un emblematico “Moving to theEuropean Union?”, è quindi quella di fornireai cittadini stranieri extracomunitari tutte leinformazioni necessarie sulle modalità e sulleprocedure di ingresso in uno dei 27 Paesimembri dell’Unione. Molte informazioni disicura util ità sono indirizzate anche aimigranti già presenti sul territorio europeo

(“Already in the EU?”) che intendono spostarsi da un Paeseall’altro della zona UE.

In occasione della presentazione dell’iniziativa, lo scorsonovembre a Bruxelles, la commissaria UE agli Affari interniCecilia Malmström ha spiegato come “molte persone chedesiderano recarsi nei territori dell’UE non conoscono le possi-bilità esistenti, non sanno come chiedere un permesso disoggiorno e sono inconsapevoli dei rischi legati alla migrazione

La mission del sito EU Immigration Portal si trovanell’home page: “Movingto the European Union?”è il titolo che campeggiain primo piano

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irregolare”. “Per questo – ha aggiunto la Malmström – è nell’inte-resse di tutti noi migliorare la comunicazione in quest’area, inmodo da minimizzare le incomprensioni e la burocrazia diquesto processo: questo costituisce l’obiettivo del nuovo portalesull’immigrazione che abbiamo lanciato”. “Nei prossimi 2-3anni – ha concluso la commissaria svedese – l’UnioneEuropea nel suo complesso avrà bisogno di circa due milionidi persone nel settore della sanità, cioè dottori e infermieri”,in quanto “alcuni Paesi semplicemente non hanno investitoabbastanza nella sanità e non hanno un numero sufficiente distudenti di medicina”.

Il sito, ideato per rappresentare un primo punto di accessoa informazioni pratiche e aggiornate sulle procedure e sulle

politiche nazionali in materia di immigrazionenell’UE, caratterizzato da una impostazionedi facile utilizzo e da uno stile lineare ecomprensibile, è attualmente disponibile inlingua inglese e francese e prossimamenteanche in versione araba e spagnola. Perquattro tipologie di destinatari (worker, student,researcher, who wants to join own family)all’interno della sezione “What do I needbefore leaving?”, è spiegato in modo chiaro

come attraversare legalmente le frontiere UE; sono inoltredescritti i rischi connessi alla migrazione irregolare (“Whatshould I avoid?”), primi tra tutti la tratta degli esseri umani eil contrabbando. Vengono quindi segnalate ai migranti e aipotenziali migranti le organizzazioni governative e non gover-native da contattare per ricevere assistenza (sezione “Findsupport organizations”).

Il Portale dell’immigrazione è rivolto agli extracomunitariche decidono di vivere o lavorare nell’UE, informando le personesu come ottenere un visto (sezione “Do I need a visa?” in homepage), come funziona l’assistenza sanitaria, oppure comestipulare un contratto di lavoro. Se la concretezza delle risposteè la sua connotazione peculiare, in esso tuttavia non mancano,secondo lo schema classico dei siti istituzionali, precisi riferi-menti alle decisioni della Corte di Giustizia europea o rimandialle leggi e alle politiche migratorie di ciascuno dei 27 Statimembri, tutti rinvenibili nell’area “Who does what?”, che illustraanche le attuali linee programmatiche della politica migratoriadell’Unione Europea. Questa risulta inevitabilmente collegataa temi di grande rilievo internazionale, quali enlargement andstrategic partners (USA, Canada, Russia, Brasile, India, Cina,

Il sito, attualmente disponibilein inglese e francese, ha varietipologie di destinatari:lavoratori, studenti, ricercatorie persone che intendonoricongiungersi alla famiglia

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Sud Africa e Messico), il tutto non disgiunto dalla cooperazionecon le organizzazioni internazionali, Nazioni Unite in testa.

In sede di navigazione, la combinazione tra il profilo delmigrante (studente, lavoratore, ricercatore etc.) e uno dei 27Stati presso il quale si vuole andare, consente, grazie a menua tendina, di conoscere rapidamente condizioni, procedure,diritti e link riferibili agli intendimenti opzionati dallo straniero,il quale necessita fisiologicamente di avere un quadro conoscitivoben preciso circa i profil i comportamentali, procedurali enormativi di riferimento prima di effettuare scelte, spessorischiose, sempre faticose, che cambieranno inevitabilmentela sua esistenza, programmata in un territorio lontano da quellodi origine.

Per gli internauti che intendano proporre miglioramenti inordine ai contenuti o alla impostazione stessa del Portale, èdisponibile il classico pulsante “Contact us”, mentre le Faq(Frequently Asked Questions) cercano di anticipare le istanzedegli stranieri fornendo loro indicazioni specifiche sulleproblematiche maggiormente diffuse. Sicuramente utile è ilGlossario che raccoglie gran parte dei termini in uso in materiadi immigrazione e asilo, accompagnati da una sintetica spie-gazione e dall’invito a consultare, per le parole non trovate, ilglossario della EMN, European Migration Network.

Il Portale, in più di una sezione, rimanda ai link dei siti istitu-zionali dei vari Stati membri, in particolare quelli dei ministeri

e degli organismi che hanno competenzanelle materie trattate, ossia, per quel cheriguarda l’Italia, il ministero dell’Interno, ilministero del Lavoro e delle Politiche socialie il ministero degli Affari esteri. Le sezionidi maggior interesse risultano essere quelledell’area Immigrazione del portale internetdel Viminale, nella versione inglese, primetra tutte quelle dello Sportello unico perl’immigrazione (Single desk for immigration),

la struttura amministrativa delle prefetture preposta a gestiregran parte delle procedure riguardanti gli stranieri in territorioitaliano, dalla partecipazione ai cosiddetti “decreti flussi”, alleregolarizzazioni, ai ricongiungimenti familiari.

Il nuovo Portale europeo per l’immigrazione consente altresìdi conoscere e visitare, mediante link dedicati, altri siti web dimatrice europea, tutti di grande utilità, come il sito europeosull’integrazione (http://ec.europa.eu/ewsi/en/), strategia primariae indefettibile per valorizzare i flussi migratori come risorsa

Tra i link anche quello all’areaImmigrazione del portaleinternet del Viminale,in particolare il collegamentoalle pagine dello Sportellounico per l’immigrazione

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socio-economica del Paese ospitante, il sito contro il trafficodegli esseri umani (http://ec.europa.eu/anti-trafficking/), il sitoEuraxess (http://ec.europa.eu/euraxess/), che propone lestrade più semplici per avere informazioni e opportunità dilavoro. Per gli studenti europei il sito “welcome to study inEurope” presenta un panorama variegato di soluzioni dedicatealla formazione, allo studio e all’educazione civica. Un ultimo link,“Your Europe Portal” rappresenta un esaustivo contenitore diinformazioni sulle attività quotidiane del migrante destinatoall’eurozona, quali travel, work, vehicles, residence, educationand youth, health, family e shopping. Un esempio: conoscerese la propria patente di guida ha valore anche nel Paese didestinazione, cosa fare in caso di furto o smarrimento di taledocumento, come conseguire la licenza di guida nelle varienazioni della UE, il tutto accompagnato dagli indirizzi di entie organismi competenti.

A ben vedere, nel tradizionale rapporto tra ordinamentogiuridico e società, oggetto di preliminare trattazione nei manualigiuridici editi prima dell’era internettiana, l’Europa inserisce,secondo una marcata vocazione e una consolidata tradizione,la componente della informatica organizzata. Nell’annoso dibattitose sia l’ordinamento giuridico ad adattarsi ai mutamenti socialioppure l’innovazione normativa a determinare i comportamentidella collettività, la realizzazione di portali informatici istituzionalisembra rappresentare uno strumento moderno e idoneo adeterminare comportamenti più consapevoli da parte degliutenti, nel caso specifico degli extracomunitari diretti verso iterritori dell’Unione Europea, veri protagonisti di un fenomenoplanetario che caratterizza il nostro presente e molto proba-bilmente il nostro futuro.

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Il “disagio della cura”

di Anna Vittoria SarliCollaboratrice fondazione Ismu

La sofferenza e la nostalgia per il proprio Paese delle lavoratrici domestiche vengono tamponatecon un sovrainvestimento nel lavoro. Ma questogenera un malessere psicologico che è oggi il principale motivo di accesso ai servizi sanitari

Introduzione La letteratura sociologica, antropologica, psicologica ed

etnopsichiatrica evidenzia quanto il lavoro sia centrale nel-l’esistenza delle persone migranti, condizionando fortemente illoro stato psicosociale [Frigessi Castelnuovo, 1982; Beneduce,2004; Herman, 2007]. Numerosi contributi, inoltre, sottolineanoi molteplici nodi problematici che contraddistinguono i processidi incorporazione dei migranti nel mercato occupazionale italiano[Zanfrini, 2006; Zanfrini, 2007]. In particolare il mercato privatodi cura, così attrattivo nei confronti della manodopera immigratasoprattutto femminile 1, presenta peculiari criticità [Chiaretti,2005].

Il crescente peso demografico della popolazione anziana ela sempre più ampia partecipazione femminile al mercato dellavoro sono le principali tendenze che hanno generato nuovecarenze nel welfare delle società postindustriali, rendendosempre più pressante il problema della non autosufficienza[Andall, 2004; Ehrenreich, 2004; Catanzaro, 2010]. Comerisposta a queste nuove esigenze, è andata configurandosiuna forma di welfare transnazionale, basata sull’importazionedi manodopera dai Paesi poveri a quelli ricchi, per fornire alle

1 Si consideri che in base all’indagine nazionale Ismu, al 1° agosto 2009 il 56,7%delle donne immigrate occupate risulta impiegato nel settore dei servizi alle famigliee alle persone (Cesareo V.-Blangiardo G.C. (a cura di). Indici di integrazione.Un’indagine empirica sulla realtà migratoria italiana, Milano, FrancoAngeli, 2009)

Il lavoro è un fattore centrale nella esistenzadelle persone migranti e condiziona fortemente il loro stato psicosociale

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famiglie accudimento e cura [Parrenas, 2001; Zanfrini, 2005;Castagnone, 2007]. Questa soluzione è particolarmente crucialenei Paesi dell’Europa meridionale, dove le istituzioni nonhanno saputo far fronte a una domanda di cura in progressivoaumento [Del Boca, 2003; Alemani, 2004; Pasquinelli, 2008].Si tratta di una soluzione improvvisata, nata dalla convergenzacasuale tra due bisogni altrettanto impellenti: quello delle famiglieche hanno a carico membri non autosufficienti e quello dellemigranti in cerca di lavoro [Amadei, 2005; Lazzarini, 2009].

Sviluppatosi fuori da ogni controllo istituzionale, il mercatoprivato di cura si caratterizza in Italia per l’elevato grado diirregolarità 2, quindi dequalificazione e alto rischio di sfruttamento,invisibilità e frammentarietà [Ambrosini, 2005]. Esso si basa inlarga misura su un modello organizzativo che risponde al bisognodi assistenza continuativa dell’anziano con l’impiego, lungol’arco delle 24 ore, di un solo lavoratore convivente con l’assistito.Tale formula richiede al lavoratore uno sforzo logorante, oltre auna pesante situazione di isolamento [Tognetti Bordogna, 2004;Marchetti, 2010].

Da queste premesse è nata l’ipotesi dell’esistenza di unarelazione tra il disagio psicosociale delle assistenti familiarimigranti occupate in Italia e i loro vissuti legati all’attivitàlavorativa e alla posizione sul mercato occupazionale. Verificarela pertinenza di tale relazione e indagare come il lavoro influenzala generazione e l’espressione del disagio, oltre al suo tratta-mento nel sistema sanitario, è l’obiettivo cardine della ricerca,condotta tra il 2008 e il 2010 nei comuni di Parma, Fidenza,Reggio Emilia e Modena.

I presupposti epistemologici dell’indagine si ispirano allateoria dei sistemi sociali [Baraldi, 1999; Baraldi, 2003;Luhmann, 1990] e al costruzionismo sociale [Foucault, 1979;White, 1992]. Partendo dall’assunto formulato dalla teoria deisistemi sociali, secondo cui al centro dell’analisi sociologica vi è

2 Dall’indagine nazionale Ismu risulta che, al 1° agosto 2009, erano circa un milionele persone provenienti da Paesi a forte pressione migratoria impiegate regolarmenteo irregolarmente nel settore dei servizi alle persone e alle famiglie. Al 5 luglio 2010si contavano 246mila pareri positivi emessi dalle questure alle domande di regola-rizzazione nell’ultima sanatoria governativa per colf e badanti. Dunque, al 5 luglio2010, circa un quarto dei lavoratori stranieri impiegati nel lavoro domestico e dicura rientrava nell’ambito del sommerso. Tale situazione ha subito un notevolemiglioramento con l’attuazione del provvedimento di regolarizzazione, ma è destinatainevitabilmente a riassestarsi sui livelli precedenti, non essendo stata attivata alcunaefficace misura per il contenimento del lavoro nero [Cesareo V.- Blangiardo G.C.(a cura di), op. cit.]

Una ricerca condotta in Emilia-Romagna ha verificato l’ipotesi che esista una relazionefra il disagio psicologico delle assistenti familiari migranti e il loro vissuto lavorativo

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la comunicazione, la ricerca va a esplorare un insieme diprocessi comunicativi, ossia di narrazioni strutturate sottoforma di intervista e si focalizza, in particolare, sulle narrazionidi disagio 3, cioè sui processi comunicativi in cui il contributoindividuale è stato costruito come disagiato nella comunicazione.Il disagio osservato, dunque, è un fenomeno socialmentecostruito 4.

Sono state raccolte 23 interviste semistrutturate a operatoriafferenti a diversi ambiti professionali, esperti di vissuti del-l’assistenza familiare 5, 32 interviste in profondità ad assistentifamiliari e un focus group 6 con assistenti familiari 7.

Senza diritto alla vulnerabilitàL’analisi conferma ampiamente l’ipotesi iniziale. Operatori e

migranti concordano nel ritenere che, in questa categoria dilavoratrici, le manifestazioni di significative forme di disagiosiano molto frequenti. I professionisti della cura, in particolare,riferiscono come il disagio sia per le assistenti familiari il

3 La scelta di osservare e descrivere le narrazioni del disagio, senza qualificarloa priori né come malattia né come salute incrinata da un malessere ancora sostenibile,nasce da una riflessione sulla natura culturalmente costruita dei concetti di salute emalattia. Senza definirlo a priori, si è lasciato che il disagio prendesse forma nelleparole dei soggetti narranti, liberi di descriverlo, qualificarlo e situarlo al di qua oal di là della porosa linea di demarcazione tra salute e malattia. Questa modalitàd’analisi ha permesso di mantenere un’ottica transculturale, valorizzando a pienola ricchezza espressiva delle narrazioni raccolte e cogliendo gli spunti di riflessionecritica che esse offrono circa la società e la cultura in cui il disagio si produce4 La produzione psichica si presta all’osservazione dello scienziato sociale soloquando trova espressione nella comunicazione, attraverso la partecipazione indi-viduale a un processo sociale. Poiché ogni azione comunicativa determina unacomprensione, è chiaro che la partecipazione individuale alla comunicazione èsoggetta a un processo di costruzione sociale, che le attribuisce significato5 Sono stati intervistati cinque psichiatri, quattro psicologi, due infettivologi, duemedici di medicina generale, due mediatrici linguistico-culturali, due formatrici,una educatrice (operante nell ’ambito dei servizi sociali dell ’Ausl), un medicospecialista in igiene e medicina preventiva, un pediatra, una sindacalista e dueoperatrici che non hanno ritenuto necessario precisare la propria qualifica, ma cheoperano per enti del terzo settore e nell’ambito dei servizi socio-sanitari e dellaformazione6 Al focus group hanno partecipato sette persone, di cui due sono state ancheintervistate. L’indagine ha quindi raggiunto in tutto 37 assistenti familiari7 I requisiti per la scelta degli assistenti familiari migranti da coinvolgere nellaricerca non prevedevano limiti di sesso, età, nazionalità e status giuridico. L’unicacondizione richiesta era quella di aver avuto un impiego, presente o passato, nelsettore dell’assistenza familiare. Per assistenza familiare si intende il lavoro dicura rivolto a soggetti deboli o non autosufficienti (anziani o disabili), svolto sia inmodalità di co-residenza sia con organizzazione su base oraria. Le persone reclutate,tutte di sesso femminile, appartengono a un’ampia fascia d’età, che va dai 21 ai 60anni. Quanto alla cittadinanza, 13 delle intervistate sono moldave, sette sonoucraine, sei ecuadoriane, quattro rumene, due peruviane, una georgiana, una filippina,una brasiliana, una senegalese e una ivoriana

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principale motivo di accesso ai servizi sanitari 8. È unanime laconvinzione che il lavoro, sommato alle sofferenze legate allamigrazione, rappresenti la principale radice di questo malessere.Dai dati emerge dunque l’intensità della relazione tra disagio,vita professionale e posizione occupazionale 9. Viene a gallaanche un quarto fattore, in forte interazione con i primi tre: ilsignificato attribuito al progetto migratorio. Di seguito questiquattro elementi sono osservati da vicino.

Le assistenti familiari intervistate tendono a percepirsicome l’unico motore di un processo di trasformazione capacedi invertire la tendenza al decadimento socioeconomico delnucleo familiare rimasto in patria. L’attivazione e la riproduzionedi tale processo è la finalità su cui è imperniato il progettomigratorio, animato da aspettative di cambiamento 10. Lamigrazione, dunque, è concepita come la sorgente di un percorsodi trasformazione che trae linfa vitale dal lavoro delle migranti,o più precisamente dal reddito di cui esso è fonte.

Consapevoli di esserne le colonne portanti, le lavoratricitendono tuttavia a subire il progetto migratorio, più che ad agirlopropositivamente. Esso, infatti, viene interpretato come unsacrificio auto-inflitto: la strada tortuosa scelta per provvedereal bene della famiglia rimasta in patria. In questa corniceermeneutica, è dunque proprio l’attaccamento a ciò che lamigrazione ha reso distante e assente a costituire l’energiamotivazionale della migrazione. Il senso di nostalgia, perdita

8 Oltre che di problemi organici legati all’età o al lavoro svolto, gli operatori parlanodi frequenti patologie ansioso-depressive: attacchi di panico, abuso di alcol comerisposta alla sofferenza, depressioni gravi o uno stato depressivo meno accentuato,che diventa una sorta di metacornice dell’esistenza

9 Le tre condizioni che intervengono in modo più significativo a dare forza allarelazione tra i fattori sopra indicati sono la condizione di irregolarità delle migranti,il loro impiego in co-residenza e la separazione dalla famiglia, specialmente dai figlirimasti in patria. Tali condizioni vanno infatti a esacerbare i vissuti di disagio associatialla sfera del lavoro. Si tratta di condizioni che caratterizzano un’importante fasedel percorso migratorio della stragrande maggioranza delle assistenti familiariintervistate. Le narrazioni di disagio raccolte sia tra le assistenti familiari sia tra glioperatori si riferiscono quasi sempre a un periodo, passato o presente, in cui sussistealmeno una di queste tre condizioni. Le mie considerazioni si concentrano princi-palmente su questo filone nettamente maggioritario di narrazioni 10 Secondo la teoria dei sistemi sociali la società occidentale contemporanea,società differenziata per funzioni, è orientata da due forme culturali opposte mainterdipendenti: l’individualismo e la personalizzazione. I processi comunicativiimprontati all’individualismo sono animati da aspettative cognitive, ossia aspettativedi cambiamento. Il risultato atteso nella comunicazione è innovazione e sviluppo.La competitività tra gli individui assume un connotato positivo: attraverso l’azione,l’individuo deve dimostrare di essere in grado di emergere sovrastando gli altri “io”.L’individuo, migliorando sempre più la sua prestazione, deve cercare di conformarsi almeglio al ruolo che riveste nella società. I partecipanti alla comunicazione sonotrattati come ruoli e i loro contributi come eteronomi, generalizzati e riproducibili

Spesso le assistenti familiari si sentono l’unica risorsa in grado di invertire la tendenza al decadimentosociale ed economico della famiglia rimasta in patria

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e lutto, diviene così l’asse portante del progetto migratorio.Questa considerazione ci aiuta a capire la tenacia con cui l’at-teggiamento nostalgico che sempre impregna la prima fasedel percorso migratorio tenda a perdurare nel tempo, frenandoil processo di integrazione di queste lavoratrici.

Il lavoro, come attività generatrice di reddito, è dunquel’ingrediente fondamentale per dare senso al progetto migratorio.L’invio di denaro rappresenta l’unica azione, efficace a distanza,per affermare la propria presenza in famiglia. Prima dellamigrazione, tale presenza si configurava come partecipazionea una comunicazione intima 11, orientata dall’amore. Con lamigrazione, le lavoratrici sentono di aver maturato una colpa:quella di aver snaturato l’intimità della comunicazione familiare,producendo una distanza che ha indebolito l’efficacia dell’amore.Il denaro, prodotto diretto del lavoro, ha invece rivelato grandipotenzialità di azione a distanza e, oltre che per soddisfare leaspettative di cambiamento, viene messo in gioco come rispostaalle aspettative affettive, sempre vive nella comunicazione. Ildenaro assume dunque le sembianze di un surrogato dell’amore,rivelandosi però inadeguato a rivestire questa funzione. Leaspettat ive affet t ive, infat t i , r imangono costantementeinappagate.

Ciò produce una sofferenza che le lavoratrici tentano ditamponare con un sovrainvestimento nel lavoro. Generare redditorappresenta, infatti, l’unica strategia per dare significatoall’assenza e tenere a bada la nostalgia, coltivando la vanaillusione di poter soddisfare, attraverso flussi di denaro, leaspettative affettive, sempre frustrate. Concentrate nell’obiettivodi produrre reddito, le lavoratrici trascurano le opportunità difamiliarizzazione con la comunità di residenza, già così rareper l’isolamento che l’assistenza privata comporta.

Si produce così un circolo vizioso: quanto più il lavoroimpedisce l’integrazione, tanto più si intensifica la forza attrattivadi quell’altrove immaginario, costituito dalla comunità d’originee dalla sua esistenza nel passato e, auspicabilmente, nel futuro.

11 Nella comunicazione improntata alla personalizzazione, definita comunicazioneinterpersonale o intima, ogni partecipante è invece trattato nella comunicazionecome persona. Nella comunicazione intima, non hanno alcun valore le prestazioni diruolo, ma solo la fiducia e l’amore per la persona. Ogni azione comunicativa è orien-tata all’esperienza, da parte dell’altro partecipante, di questa fiducia e di questoamore. Le persone sono valorizzate non per quel tipo di intelligenza che permettedi risultare vincenti nella competizione, ma per l’intelligenza emotiva o sensibilità.Le aspettative sono affettive, volte a confermare l’altra persona nella sua unicità,specificità e autonomia

Generare reddito rappresenta per le badanti l’unica strategia per dare significato all’assenza dal proprio Paese e tenere a bada la nostalgia,cercando di soddisfare le aspettativeaffettive dei familiari

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L’ambiente di lavoro assume una valenza imprescindibile, poichédiviene l’unica realtà concreta capace di dare forma al presente.L’importanza totalizzante assunta dal lavoro cresce ancor di piùquando ci si accorge, traumaticamente, che quell’altrove versocui ci si è a lungo protese idealmente si sta sfaldando, poiché lalontananza tende a rendere lasso il legame con le origini.

È così che il lavoro, causa scatenante dello sradicamento,diventa l’arma con cui combattere il vuoto che dilaga: il rifugioinglobante in cui dimenticare il senso di perdita. Il lavorodiviene allora il bene prezioso, da ricercare e salvaguardarea qualunque costo. A tal fine le lavoratrici si sottopongono a sforziche sfiorano (o spesso oltrepassano) i limiti della sopportazione.In quest’ottica, il lavoro in co-residenza è preferito a quello subase oraria, perché permette l’annullamento dei costi di vitto ealloggio. Le ore di riposo, contrattualmente sancite, vengonooccupate da altri impegni lavorativi per amplificare le capacitàdi guadagno. È uno stile di vita contrassegnato da ritmiincessanti, percepiti dalle migranti come gravemente lesiviper l’integrità psicofisica. La preoccupazione per la salute,vista come condizione essenziale per l’esercizio professionale,è viva, ma spesso non si accompagna ad alcuna strategia diautotutela.

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Queste sono le implicazioni del cortocircuito che viene acrearsi tra significato attribuito al progetto migratorio e funzionerivestita dal lavoro. Interessanti sono anche le rappresentazioniemerse nella comunicazione circa le relazioni nell’ambiente dilavoro. Il rapporto con la famiglia datoriale, che si sviluppanella sfera informale senza alcun sostegno da parte del tessutoistituzionale, è ambivalente: da un lato scivola sul piano dellacomunicazione interpersonale intima, dall’altro assume la confi-gurazione di una relazione asimmetrica, contrassegnata dallaprevaricazione, in cui la lavoratrice è identificata con il ruolosvolto: una sorta di macchina da lavoro, priva di affettività ebisogni. Sono due varianti di un rapporto di lavoro che, vuoi pereffetto dell’aspettativa condivisa di un accudimento prodigatocon abnegazione incondizionata, vuoi come conseguenzadell’abuso di potere attuato nei confronti di un soggetto vulne-rabile, tende a spogliare l’assistente familiare del diritto al riposoe all’autotutela.

A rendere inesigibili tali diritti contribuisce la posizionedelle migranti sul mercato del lavoro, percepita come debole acausa della segregazione professionale e della saturazionedel mercato privato di cura. Perseguire condizioni lavorativepiù agiate o una migliore posizione professionale implica ilrischio di disoccupazione, temuta, oltre che per la sua portatadelegittimante rispetto al progetto migratorio, anche per i problemidi tipo materiale, quali la difficoltà di trovare un alloggio, il rischiodi non poter rinnovare il permesso di soggiorno e l’impossibilitàdi provvedere al proprio sostentamento.

Infine, rientra tra i fattori di disagio la grave assenza di forma-zione professionale, che produce nelle lavoratrici senso ditensione e di inadeguatezza rispetto alle responsabilità che illavoro di cura comporta. Tutto ciò determina la maturazionedi un cumulo di vissuti negativi, che restano inespressi datol’isolamento che la professione implica. L’impossibilità di esternareil disagio è considerato dagli operatori un importante fattore dirischio, di aumento del disagio fino a conseguenze gravi.

Le assistenti familiari tendono a interpretare il disagio comemalattia. È opinione diffusa che tale stato patologico colpiscal’emotività della persona, piuttosto che alterarne la fisiologiacorporea, esprimendosi con sintomi quali senso di chiusura edi ripiegamento in se stesse, episodi di pianto immotivato, statidi intensa agitazione e irritazione. In particolare, viene sottolineatocome quest’ultima condizione emotiva metta a dura proval’esercizio della pazienza, strumento fondamentale nel lavorodi cura: per sopportare senza reazioni aggressive i problemi delle

Posizione lavorativa debole,scarsa formazione,paura di perdere il lavoro sonotra i fattori che generano disagio psicologico

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persone assistite, diventa infatti necessario uno straordinarioautocontrollo.

Le migranti compiono grandi sforzi per tenere i datori di lavoroall’oscuro del proprio disagio: finché è possibile, quest’ultimoviene gestito in solitudine, cercando di resistere alla sofferenza.Presumendo che nelle abitazioni degli italiani non vi sia postoche per lavoratrici efficienti, sane e prive di cedimenti, lemigranti tendono a uniformarsi a questo modello ed evitano dimanifestare fragilità. In particolare, tra le lavoratrici vige laconvinzione che l’instabilità emotiva sia considerata dallefamiglie datoriali incompatibile con i compiti di cura, e chepertanto la manifestazione del disagio possa implicare l’inter-ruzione del rapporto di lavoro.

Determinate a non concedersi alcuna forma di debolezza ea mantenere il proprio impiego, le assistenti familiari si neganoogni diritto alla vulnerabilità e restano sorde e mute di fronte aogni avvisaglia del disagio interiore, che trova ascolto soloquando, avendo raggiunto livelli altissimi, risulta invalidanteanche sul piano professionale. Talvolta ciò avviene in modoimprovviso, attraverso patologie psichiatriche acute. In altricasi, il disagio si esprime sotto forma di sintomi somatici, espesso viene portato all’attenzione dei medici, che tuttaviahanno poche possibilità d’azione al di là della mera prescrizionedi psicofarmaci.

Considerazioni conclusiveIl presente studio vuole essere di stimolo per un radicale

ripensamento dei modelli di welfare e delle risposte istituzionalial crescente fabbisogno di cura espresso dalle famiglie nellasocietà italiana. I risultati della ricerca, infatti, mettono in luceuna problematica di grande rilievo, ossia i pesanti costi pagatisul piano del benessere psicosociale dai lavoratori coinvoltinel settore della cura privata. Si tratta di una situazione che siripercuote negativamente anche sull’agio e sulla sicurezza deisoggetti assistiti, e che evidenzia con forza l’insostenibilitàdelle soluzioni finora adottate per la gestione della non auto-sufficienza. La relazione tra disagio e assistenza familiare,infatti, si è rivelata assai intensa.

Si è dichiarato che il disagio osservato ha una naturasocialmente costruita. Quest’affermazione, ben lungi dall’implicarel’arbitrarietà o la limitata rilevanza del fenomeno analizzato,segnala al contrario l’importanza della sua esistenza sociale e,quindi, la necessità di prenderlo nella più seria considerazione.

Determinate a non concedersi alcuna formadi debolezza,a mantenereil proprio impiego,le assistenti familiari si negano ogni vulnerabilità e restano sorde e mutedi fronte alle avvisaglie del disagio interiore

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Il disagio delle assistenti familiari migranti

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ioneComprendersi per convivere:

il dialogo interreligiosocome via per l’integrazione

di Padre Giovanni la MannaPresidente del Centro Astalli

L’obiettivo del Centro Astalli è quello di offrire,attraverso la sua azione concreta, un contributo dal basso per la conoscenza reciproca fra le diverse confessioni religiose,contro tutti i pregiudizi e le discriminazioni

Il Centro Astalli è un’associazione fondata nel 1981 da padrePedro Arrupe per assistere persone in fuga da guerre e perse-cuzioni, offrendo loro servizi di prima e seconda accoglienza eorganizzando iniziative culturali. In questi 30 anni abbiamoincontrato molte persone, di diverse culture e fedi religiose,specialmente musulmani. Alcuni di loro sono diventati nostriamici, colleghi e collaboratori. Per tutti noi è stata un’opportunitàstraordinaria maturata nell’esercizio del confronto quotidiano.

Accompagnare i rifugiatiAccompagnare e servire i rifugiati e gli sfollati, difendere i loro

diritti. È questa la missione che il Centro Astalli da trent’anniha scelto di portare avanti nel contesto della realtà italiana. Lacondizione di una persona che abbandona il proprio Paese diorigine in cerca di asilo è sempre molto delicata e difficile. Èun continuo percorso a ostacoli; superate le difficoltà del viaggioe della fuga, iniziano quelle legate alla necessità di ricominciareda zero in una realtà di cui non si conosce praticamente nulla.In questa fase la persona ha bisogno di non essere lasciata sola,di essere accolta, curata, accompagnata anche nell’affrontarei difficili percorsi burocratici per riuscire a fare richiesta di prote-zione internazionale. Il Centro Astalli cerca di rispondere aquesti bisogni fornendo una serie di servizi di prima accoglienzache vanno dalla mensa, alla gestione di alcuni centri di acco-glienza, all’assistenza socio-sanitaria e legale.

Nel 2010, la mensa di via degli Astalli ha assicurato il pastogiornaliero a circa 400 persone. Numerosi, inoltre, i richiedenti

Fondata nel 1981 da padreArrupe,l’associazioneha la missione di accompagnaree servire rifugiati e sfollati,e di difendere i loro diritti

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asilo e rifugiati che hanno trovato accoglienza presso i nostricentri. Nel 2010, il centro di San Saba per uomini richiedentiasilo e rifugiati ha accolto circa 82 persone, 90 le donne chehanno trovato assistenza presso la Casa di Giorgia, 155 i minoriafghani ospitati presso “Il Faro”. Una realtà particolare èrappresentata dal centro “Pedro Arrupe”, progettato e strutturatoper rispondere alle esigenze di famiglie e minori e che, dal 2001al 2010, ha assistito circa duemila persone. Di grande importanzaè anche il lavoro del centro di ascolto e di orientamento legale.Gli operatori e i volontari assistono i richiedenti asilo in un veroe proprio percorso di accompagnamento attraverso le norme egli adempimenti burocratici legati alla richiesta di protezioneinternazionale.

Per le persone che fuggono da guerre e persecuzioni, però,spesso ottenere una forma di protezione e un documento nonrappresenta la conclusione di un percorso, piuttosto l’inizio diun’altra delicatissima fase, quella dell’integrazione e dell’in-clusione sociale che è spesso la più difficile da realizzare. Leproblematiche da affrontare sono diverse: dalla possibilità diimparare la lingua, alla ricerca di un lavoro e di un alloggio.Tutto quanto rappresenti, per la persona, l’opportunità di gestirein modo autonomo la nuova vita che inizia in un ambientesconosciuto e, spesso, ostile.

A Roma, i percorsi di autonomia alloggiativa e lavorativasono particolarmente incerti. Il centro di orientamento al lavorosupporta i rifugiati nella stesura dei curricula, nel bilancio dellecompetenze, nell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro enell’individuazione di corsi di formazione professionale. Anchel’aiuto nella ricerca di un alloggio non è privo di difficoltà.Superare la diffidenza dei proprietari ad affittare case a personestraniere, far fronte alla richiesta di caparre troppo oneroseper i rifugiati rende ardua l’impresa di trovare alloggi dignitosi.Il Centro Astalli, in questo ambito, svolge un lavoro di sensibiliz-zazione dei proprietari, di erogazione di alcuni contributieconomici per i primi mesi di affitto e di mappatura delleabitazioni disponibili sul territorio. Spesso, purtroppo, si assisteal ritorno, presso i nostri servizi, di persone che pensavano diaver ritrovato con fatica una condizione dignitosa e che, a causadella perdita del lavoro o di altri ostacoli sopraggiunti, si ritrovanoal punto di partenza. Una sconfitta per loro e anche per glioperatori e i volontari che avevano creduto e sperato nella riuscitadi un percorso affrontato insieme.

Le strade dell’integrazione diventano ancora più tortuoseper le persone vulnerabili, le vittime di tortura, quelle che portano

Le persone che fuggono da guerre e persecuzionihanno problematiche di ogni tipo che vanno oltre l’ottenimento di una forma di protezione,e riguardano l’integrazione e l’inclusionesociale

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dentro di sé non solo le difficoltà psicologiche del percorsomigratorio ma anche le conseguenze degli abusi inaccettabiliche hanno subito. Prendersi cura dei più fragili tra i migrantiforzati, vuol dire intraprendere un percorso lungo e complessoi cui esiti sono particolarmente incerti. Queste persone sonobisognose di assistenza mirata e qualificata. Gli operatori cercanodi accompagnarli attraverso interventi di orientamento socio-sanitario, tutela legale, sostegno psicologico e psichiatrico,certificazione medica degli esiti delle violenze subite.

Queste sono solo alcune delle difficoltà che i migranti forzatiaffrontano quotidianamente. La maggior parte di loro, inoltre,si trova a farvi fronte in solitudine. Spesso il sistema di accoglienzanazionale non è sufficiente: ai pochi fortunati che riescono adaccedervi corrispondono ancora troppi esclusi. Per questonelle grandi città si aggravano le situazioni di marginalità tipichedelle occupazioni di spazi o di edifici incustoditi, dove i rifugiativivono un’esistenza parallela, senza contatti veri con la societàe in precarie condizioni igienico-sanitarie. Di fronte a tuttoquesto è necessario uno sforzo comune che coinvolga le asso-ciazioni, le istituzioni e gli stessi cittadini. Un segnale di civiltàe di solidarietà verso chi non ha scelto di lasciare le proprieorigini e chiede solo che gli venga garantito il diritto ad essereaccolto in un luogo sicuro.

Il Centro Astalli e il dialogo interreligiosoQuando nel 2004 iniziammo a pensare di avviare attività

di dialogo interreligioso, non ci spingeva un interesse culturaleo una curiosità intellettuale, ma eravamo piuttosto mossi daconsiderazioni che scaturivano direttamente dal lavoro quotidianodell’associazione. La prima, immediata e dolorosa, riguardavala seria discriminazione che di fatto erano costretti a subire imusulmani: pregiudizi, cattiva informazione, strumentalizzazioni1.Questa prima denuncia apriva però la strada a una considerazionepiù ampia: l’identità religiosa, per certi versi sottovalutata neidecenni passati, torna a proporsi oggi prepotentemente, e ciòrappresenta una straordinaria occasione per la nostra societàitaliana di fare un passo avanti.

La realtà italiana, del resto, appare sempre più complessa.

1 Nel 2006 un rapporto del Consiglio d’Europa evidenziava in Italia in particolare“un deterioramento della situazione per i membri delle comunità musulmane,dovuto soprattutto alla tendenza riscontrata nei dibattit i pubblici e nei media apassare subito alle generalizzazioni e ad assimilare l’appartenenza a tali comunitàal terrorismo”

Spesso il sistema di accoglienza nazionale non è sufficiente a far fronte a tutte le richieste dei “migranti forzati”

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La presenza ormai stabile di immigrati sul territorio proponenuove sfide in termini di convivenza e di integrazione e richiedepertanto strumenti più efficaci e completi di comprensione eelaborazione. Allo stesso tempo, però, l’acuirsi delle tensionisociali e il difficile panorama internazionale alimentano diffidenza,paura e chiusure che non di rado sfociano in gravi episodi diintolleranza. A questo contribuisce un’informazione superficialee inadeguata, basata su slogan e semplificazioni. Le diverseidentità culturali e religiose compaiono nel pubblico dibattitosolo in occasione di polemiche sterili.

Accanto all’ovvio aspetto problematico, legato alle forme diconvivenza e al sistema di regole da affrontare nella manierapiù condivisa possibile, emerge anche una necessità di affinarela nostra comprensione del fatto religioso in quanto tale, chepotremmo definire una sorta di alfabetizzazione. Del resto, unavolta, l’approccio a grandi religioni e culture come l’Islam, ilBuddismo, l’Induismo era appannaggio di pochi. Oggi non c’èquartiere in cui questo incontro non possa realizzarsi e di fattonon si verifichi, anche solo a livello epidermico. Ed è proprioquesto il punto da dove iniziare il nostro lavoro, affinché talioccasioni non vadano sprecate, o peggio non diventino motivodi fraintendimenti e scontro. Peraltro, abituarsi a una pluralitàdi identità religiose, partendo magari da quelle recentementearrivate nel nostro Paese, può essere uno stimolo per fareattenzione a quelle da sempre presenti nella storia italiana,come gli ebrei o i valdesi.

L’azione del Centro Astalli si inserisce nella più ampia missionedella Compagnia di Gesù, che ha indicato la cooperazioneinterreligiosa e il dialogo come una delle priorità centrali dellapropria missione 2. I primi due paragrafi del Decreto 5 della34ª Congregazione generale della Compagnia di Gesùrichiamano fortemente tutti i gesuiti a superare per primi i propripregiudizi e a trovare il modo di agire insieme agli altri uomininella promozione della giustizia, rispettandone e valorizzandonela specificità, anche religiosa.

Il dialogo per un’opera sociale dei gesuiti non può che esserestrettamente connesso all’azione concreta, alla costruzione diun mondo più giusto: un’urgenza che richiede la collaborazioneconcreta di tutti gli uomini. “Il nostro coinvolgimento nella pro-mozione della giustizia”, ricorda ancora il Decreto 5, “avviene

2 Cfr. 34ª Congregazione generale della Compagnia di Gesù, “Decreto 5: La nostramissione e il dialogo interreligioso”

L’azione del Centro Astalli in materia di dialogo interreligioso parte dal presupposto della ineludibilità dell’incontro e della comprensione reciproca fra religioni e culture diverse

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in un mondo in cui i problemi di ingiustizia, sfruttamento edistruzione dell’ambiente naturale hanno assunto dimensionimondiali. Le religioni sono state anch'esse responsabili di questifatti peccaminosi. Pertanto il nostro impegno per la giustizia ela pace, i diritti umani e la protezione dell'ambiente deve essereattuato in collaborazione con i credenti di altre religioni. Noicrediamo che le religioni contengano un potenziale di liberazioneche, mediante la collaborazione interreligiosa, potrebbe creareun mondo più umano. [...] Gesù mirò sempre alla persona umanaquale centro delle credenze e pratiche religiose. Per questol'impegno per la liberazione umana integrale, specialmentedel povero, diventa punto di incontro delle religioni”.

L’obiettivo del Centro Astalli è quello di offrire, attraverso la suaazione, un piccolo contributo dal basso, nell’ottica di “seminare”qualcosa. L’immagine della semina non è casuale: ricorre nellinguaggio culturale e religioso di cristiani, buddisti, musulmanied ebrei e richiama quel processo misterioso in cui lo sforzoumano, pur non portando a risultati immediatamente visibili,concorre a un processo più ampio con un gesto modesto, maessenziale e imprescindibile.

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Povertà, redditi,consumi e risparmi:famiglie straniere e italiane a confronto

di Valeria BenvenutiRicercatrice della fondazione Leone Moressa

L’analisi della fondazione Leone Moressa mostracome più di una famiglia immigrata su tre risultipovera. Un dato allarmante accentuato oggi dallacrisi, che rischia di privare i migranti della loroprincipale fonte di reddito: il lavoro dipendente

Studiare la struttura dei redditi, dei consumi e dei risparmidelle famiglie significa parlare di povertà. E parlare di povertàdegli stranieri significa stimolare riflessioni e fornire elementiutili dai quali partire per creare politiche migratorie coerenticon una realtà in continua evoluzione, specie in un periodo dicrisi come quello attuale.

La fondazione Leone Moressa ha realizzato un studio perapprofondire proprio questo aspetto che si rivela di crucialeimportanza economica e sociale. Si evidenzia come lo statodi povertà in cui versano molte famiglie straniere indichi chiara-mente l’esistenza di una marginalità sociale che non deveessere sottovalutata. La distanza tra famiglie straniere e italiane,in relazione all’entità e alla struttura dei redditi e delle formedi risparmio e di investimento, rende evidente le caratteristichedi tali disuguaglianze. La crisi economica in atto, che stadimostrando come gli stranieri rappresentino la fascia più deboledel mercato del lavoro, rischia di privare gli stranieri dell’unicafonte di reddito su cui le famiglie possono fare affidamento: ilreddito da lavoro dipendente. Senza lavoro, oltre a perdere laregolarità del soggiorno in Italia, gli stranieri vedranno peggiorarela propria situazione economica, aggravando il loro livello dibenessere e creando nuova povertà.

Partendo dall’indagine del 2009 della Banca d’Italia sui“Bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2008”, si è pervenutoa calcolare quanta parte delle famiglie straniere vivono al disotto della soglia di povertà. Si tratta del 37,9%, contro il 12,1%delle famiglie italiane. A questi dati si perviene analizzando

Lo stato di povertà in cui versanomolte famigliestraniere indica l’esistenza di una marginalità sociale che non deveessere sottovalutata

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Povertà: famiglie straniere e italiane a confronto

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La struttura del reddito. Il reddito delle famiglie straniere(che è calcolato al netto delle imposte sul reddito e dei contributisociali) ammonta a 17.409 euro annui e deriva in prevalenzada redditi da lavoro dipendente: quasi il 90% di tutte le entrateproviene infatti da questa voce. Segue il lavoro autonomo,per il 7,7%, e il reddito da capitale, per il 6%. Per quanto riguardai trasferimenti netti, le famiglie straniere mostrano un saldonegativo tra entrate e uscite, dal momento che una buonaparte dei trasferimenti in essere viene destinata a soggetti chevivono all’estero sotto forma di rimesse. Per questo motivo siregistra un contributo negativo dai redditi per trasferimento.

Diversa è la composizione dei redditi delle famiglie di origineitaliana che ammonta a 32.947 euro annui: il reddito da lavorodipendente, pur essendo la voce prevalente, copre neanche

prima l’ammontare dei redditi familiari. Si calcola come per unafamiglia straniera il reddito medio annuo ammonti a 17.409 euro,quasi 15.500 euro in meno rispetto ad una famiglia italiana.Adottando i medesimi parametri applicati dalla Banca d’Italia,in questo modo si perviene a calcolare come il 37,9% dei soggettistranieri viva al di sotto della soglia di povertà, ossia possiedaredditi che, per il 2008 (anno di riferimento dell’indagine),ammontano a 8.150 euro.

D’altro lato, il consumo medio annuo è di 17.772 euro, quandoinvece una famiglia di origine italiana spende ogni anno24.083 euro. Questo consente di stimare il risparmio familiare(dato dalla differenza tra redditi e consumi): per le famigliestraniere questo risulta negativo (-362 euro), per quelle italianeinvece positivo di quasi 9mila euro. Quindi le famiglie stranieremediamente spendono leggermente di più di quanto guadagnano,e ciò permette di calcolare una propensione al consumo (rapportotra consumo e reddito) che è pari al 102,1%, quando per lefamiglie italiane la quota si aggira attorno al 73,1%.

Reddito familiare (in euro) 17.409 32.947 32.146Consumo familiare (in euro) 17.772 24.083 23.757Risparmio familiare (in euro) -362 8.865 8.389Propensione al consumo 102,1% 73,1% 73,9%Indice di povertà economica 37,9% 12,1% 13,4%

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Redditi, consumi, risparmi e povertà economica delle famiglie straniere

Fonte: elaborazioni fondazione Leone Moressa su dati Banca d’Italia

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il 40% di tutte le entrate (quindi meno della metà rispetto allefamiglie straniere), mentre le pensioni e i trasferimenti netti eil reddito da capitale contribuiscono, rispettivamente, per il25,9% e il 21,7%. Infine il reddito da lavoro autonomo concorrea formare il reddito familiare per il 13,2%.

Reddito da lavoro dipendente 89,3% 39,2% 40,6%Pensioni e trasferimenti netti -3,0% 25,9% 25,1%Reddito da lavoro autonomo 7,7% 13,2% 13,0%Reddito da capitale 6,0% 21,7% 21,3%Totale 100,0% 100,0% 100,0%Ammontare in euro 17.409 32.947 32.146

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Struttura del reddito delle famiglie straniere (composizione %) e ammontare del reddito familiare in euro

Fonte: elaborazioni fondazione Leone Moressa su dati Banca d’Italia

Reddito

La struttura dei consumi. Per quanto riguarda i consumi,il comportamento delle famiglie straniere non si differenzia dimolto rispetto a quello delle famiglie italiane (se non per l’importoannuo come visto precedentemente). La quasi totalità deiconsumi è destinata a spese per beni non durevoli: 94,9% perle famiglie straniere contro il 93,1% di quelle italiane. Il rimanenteper la spesa di beni durevoli: 5,1% per gli stranieri, 6,9% per gliitaliani.

Spesa per beni durevoli 5,1% 6,9% 6,8%Spesa per beni non durevoli 94,9% 93,1% 93,2%Totale spesa per consumi 100,0% 100,0% 100,0%Ammontare in euro 17.772 24.083 23.757

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Famiglie italiane

Totale famiglie

Struttura dei consumi delle famiglie straniere (composizione %)e ammontare dei consumi familiari in euro

Fonte: elaborazioni fondazione Leone Moressa su dati Banca d’Italia

Consumi

Le forme di risparmio. Le famiglie straniere che riesconoa risparmiare, per la maggior parte decidono di indirizzare ilproprio denaro in depositi bancari in conto corrente: si trattadel 79,6% delle famiglie. Una parte molto marginale decide diinvestire in obbligazioni (1,3%), in titoli di stato (0,1%) o in altreforme di investimento (1,3%).

Diverso è invece il comportamento di risparmio delle famiglie

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Povertà: famiglie straniere e italiane a confronto

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italiane: sebbene la quasi totalità di esse lasci comunquedepositati parte dei propri soldi in conto corrente (89,5%), siosserva comunque una maggiore varietà di investimento.L’11,6% delle famiglie italiane possiede obbligazioni o quotedi fondi comuni, il 9,7% possiede titoli di stato e quasi il 20%investe in altre forme (come azioni, partecipazioni, gestionipatrimoniali e prestiti a cooperative).

Depositi bancari in c/c 79,6% 89,5% 89,0%Titoli di stato 0,1% 9,7% 9,2%Obbligazioni 1,3% 11,6% 11,1%Altro 1,3% 19,3% 18,4%Totale 82,3% 130,1% 127,6%

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Famiglie italiane

Totale famiglie

Forme di risparmio delle famiglie straniere

Fonte: elaborazioni fondazione Leone Moressa su dati Banca d’Italia

Forme di risparmio

Forme di indebitamento. La struttura dell’indebitamento dellefamiglie straniere differisce rispetto a quelle italiane per il fatto chele prime si indebitano proporzionalmente di più per l’acquistodi beni di consumo rispetto all’acquisto di immobili. In particolare,se il 15% delle famiglie straniere è in debito per l’acquisto dibeni non durevoli, l’11,2% lo è per l’acquisto di immobili. Perquanto riguarda le famiglie italiane i valori sono comunquemolto simili: 13,2% per i beni di consumo, 12,7% per gli immobili.

Per acquisto immobili 11,2% 12,7% 12,6%Per acquisto beni di consumo 15,0% 13,2% 13,3%

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% di famiglie indebitate per tipologia di indebitamento

Fonte: elaborazioni fondazione Leone Moressa su dati Banca d’Italia

Indebitamento

Immobili posseduti. Nel 79,1% dei casi le famiglie stranierevivono in affitto nell’abitazione di residenza e solo nell’11,3%dei casi ne sono proprietarie. Il rimanente 9,6% è in usufruttoo in uso gratuito. Anche in questo caso risulta molto diversala modalità di godimento della casa di residenza per le famiglieitaliane: la maggior parte di esse vive infatti in immobili diproprietà (71,8%), mentre il 18,3% vive in affitto.

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Per quanto riguarda gli immobili posseduti, si osserva comele famiglie italiane abbiano un maggior numero di proprietàrispetto alle famiglie straniere. Gli italiani infatti nel 71,8% deicasi sono proprietari dell’abitazione di residenza, nel 13,4%di altre abitazioni, nel 5,8% di altri fabbricati, nell’8,7% di terreniagricoli e nell’1,5% di terreni non agricoli. Il 25,4% delle famiglieitaliane non possiede invece alcuna proprietà. Se si consideranoinvece le famiglie straniere, il 75,2% non ha alcuna proprietà,quindi oltre tre volte in più rispetto agli italiani. Appena l’11,3%delle famiglie straniere possiede invece l’abitazione di residenzae il 13,5% altre abitazioni (anche all’estero).

Proprietà 11,3% 71,8% 68,7%Affitto 79,1% 18,3% 21,4%Altro titolo 9,6% 9,9% 9,9%Totale 100,0% 100,0% 100,0%

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Totale famiglie

Titolo di godimento dell’abitazione di residenza delle famiglie straniere

Fonte: elaborazioni fondazione Leone Moressa su dati Banca d’Italia

Abitazione di residenza

Caratteristiche delle famiglie e avvertenze metodologicheIn queste elaborazioni si considera straniera la famiglia

che ha come capofamiglia un soggetto con cittadinanza nonitaliana. Su quasi 8mila famiglie intervistate, poco più di 400hanno queste caratteristiche, cioè il 5,1% del campione. Tuttele informazioni presentate nello studio fanno riferimento allecaratteristiche del capofamiglia.

Le famiglie straniere così individuate possiedono dellecaratteristiche particolari che si differenziano ancora una volta

Nessun immobile 75,2% 25,4% 28,0%Abitazione dove abita la famiglia 11,3% 71,8% 68,7%Altre abitazioni 13,5% 13,4% 13,4%Altri fabbricati 0,2% 5,8% 5,5%Terreni agricoli 0,1% 8,7% 8,3%Terreni non agricoli 1,0% 1,5% 1,5%Totale 101,3% 126,7% 125,4%

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Totale famiglie

Proprietà possedute dalle famiglie straniere

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da quelle italiane (che di converso hanno come capofamigliaun soggetto di cittadinanza italiana).

Le famiglie straniere sono in prevalenza costituite da un unicocomponente (37,8%), mentre per le famiglie italiane la classepiù frequente riguarda i nuclei con due componenti (29,6%). Nel 72,4% dei casi il capofamiglia straniero è maschio e perle famiglie italiane la percentuale arriva al 68,9%.

Per quanto riguarda la condizione professionale, gli stranierisono in prevalenza occupati, soprattutto dipendenti (88,6%) e,in percentuali inferiori, autonomi (7,2%). Tra i dipendenti spiccala figura dell’operaio (85,6%), mentre gli impiegati o i dirigentisono appena il 3%. Infine il 3% è disoccupato. Per quantoriguarda invece la condizione lavorativa dei capifamiglia italianiil 44,9% è dipendente (appena il 20,9% ricopre ruoli da operaio)

Fonte: elaborazioni fondazione Leone Moressa su dati Banca d’Italia

Maschi 72,4% 68,9% 69,1%Femmine 27,6% 31,1% 30,9%Totale 100,0% 100,0% 100,0%

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Famiglie italiane

Totale famiglie

Caratteristiche delle famiglie straniere del campione rispetto a quelle italiane Caratteristiche del capofamiglia

Sesso

Dipendente 88,6% 44,9% 47,1%Operaio 85,6% 20,9% 24,3%Impiegato 2,7% 19,0% 18,2%Dirigente 0,3% 4,9% 4,7%Autonomo 7,2% 12,8% 12,5%Non occupato 4,2% 42,4% 40,4%Pensionati 0,0% 39,8% 37,7%Disoccupati 3,0% 1,4% 1,5%Altro 1,3% 1,%2 1,2%Totale 100,0% 100,0% 100,0%

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Famiglie italiane

Totale famiglie

Condizioneprofessionale

Agricoltura 3,8% 7,7% 7,5%Industria 32,0% 25,8% 26,2%Costruzioni 20,9% 9,5% 10,1%Commercio 12,6% 14,1% 14,0%Altri servizi 30,8% 42,9% 42,2%Totale 100,0% 100,0% 100,0%

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Povertà: famiglie straniere e italiane a confronto

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e il 12,8% è un lavoratore autonomo. Quasi quattro soggetti sudieci sono pensionati e appena l’1,4% del totale è disoccupato.

Gli occupati stranieri in prevalenza lavorano nel settoremanifatturiero (32%), nel terziario (30,8%) e le costruzioni dasole raccolgono il 20,9% della manodopera straniera. Per quantoriguarda gli italiani, il comparto prevalente è quello del terziario(42,9%), seguito dalla manifattura (25,8%) e dal commercio(14,1%).

Infine, gli stranieri sono concentrati nelle aree settentrionalidel nostro Paese dove vivono il 73,9% delle famiglie del campione,il 18,9% al Centro e appena il 7,1% nel Mezzogiorno. La distribu-zione delle famiglie italiane risulta invece molto più omogeneanel territorio.

Fonte: elaborazioni fondazione Leone Moressa su dati Banca d’Italia

1 componente 37,8% 25,8% 26,4%2 componenti 22,5% 29,6% 29,2%3 componenti 13,7% 20,4% 20,1%4 componenti 17,7% 18,0% 18,0%5 e più componenti 8,3% 6,2% 6,3%Totale 100,0% 100,0% 100,0%

Famigliestraniere

Famiglie italiane

Totale famiglie

Numero di componentidella famiglia

Nord 73,9% 46,7% 48,1%Centro 18,9% 21,2% 21,0%Sud e Isole 7,1% 32,1% 30,8%Totale 100,0% 100,0% 100,0%

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Macroarea

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1 Nonostante vi sia una distribuzione disomogenea sul territorio, va osservatocome al Sud e nelle Isole nel 2011 si siano registrati gli aumenti più elevati in terminidi presenza di stranieri r ispetto al l ’anno precedente (r ispett ivamente +11,5% e+11,9%)

Tra omologazionee differenziazione:come consumano gli immigrati

di Stefania FragapaneRicercatrice - Facoltà di Scienze politiche dell’università degli studi di Catania

Recenti ricerche rivelano elementi di somiglianza e di differenza tra gli stili di consumo dei migrantie tra questi e le abitudini degli autoctoni che si distinguono in base a provenienza, progettimigratori, condizione abitativa, classe di reddito

La presenza straniera in ItaliaLa crescita della popolazione straniera in Italia, il tasso di

incidenza del lavoro degli stranieri sull’economia nazionale e,parallelamente, la loro sempre più ampia partecipazione almondo del consumo, pongono al ricercatore sociale dellenuove domande in termini di comprensione dei nuovi profili diconsumo.

Al pari di altre nazioni del Sud Europa, l’Italia si è trasformata,nel corso di due decadi, da Paese di emigrazione a Paese diimmigrazione. Gli immigrati vengono in Italia principalmentein cerca di un impiego e per migliorare la loro qualità di vita(Makno - Ministero dell’Interno, 2007; Black et al., 2005).Secondo i dati Istat, aggiornati al gennaio 2011, gli stranieriresidenti in Italia sono 4.570.317, in aumento di quasi l’8%rispetto all’anno precedente; di questi, come ormai noto, lamaggior parte risiede nel Centro-Nord (oltre l’85% a fronte del13,5% dei residenti nelle aree del Mezzogiorno) 1.

Come ricorda anche Roberta Ricucci, l’Italia non si caratte-rizza per la presenza di un’etnia prevalente, al pari di quantoavviene in altri Paesi come la Francia, rendendo così il luogodi origine elemento caratterizzante le diverse dinamiche

La crescita della popolazione straniera in Italia ha aperto un interessante fronte per la ricerca sociale,quello della comprensione dei nuovi profili di consumo

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2 In particolare, le autrici fanno riferimento ai dati E-st@t-Censis 2005 (pubblicatinel 2007) e a quelli del XVI Rapporto Caritas sull’immigrazione3 Tale quadro interpretativo vale in modo specifico nel caso dei migranti, rispettoa cui la condizione di marginalità e povertà è particolarmente evidente, e il cuiattraversamento di confini e Stati è finalizzato a ridurre quello che loro consideranoil gap tra la propria posizione e quella di altre persone maggiormente benestantidi altri Paesi (R. Black, C. Natali e J. Skinner, 2005)

migratorie (Ricucci, 2005). Inoltre, insieme alla Spagna, allaGrecia e al Portogallo, il nostro Paese costituisce sempre di piùun’area di stanzialità e non di solo di transito, un’area interessatada flussi massicci e diversificati (Consoli, 2009).

La stabilità dei progetti migratori si riflette anche sugliatteggiamenti e sui consumi degli immigrati italiani. Alcuniautori, rifacendosi a recenti ricerche 2, parlano di un immigratopiù aperto al rischio e alle sfide – anche di tipo economico –rispetto agli italiani contribuendo, in tal modo, a renderemaggiormente dinamico il mercato del consumo (Paltrinieri,Parmiggiani, 2007).

Studiare gli stili di vita, le preferenze e le abitudini di consumodegli immigrati è fondamentale per comprendere il grado diintegrazione della popolazione straniera in Italia. Secondol’approccio antropologico, il consumo rende visibili e stabili lecategorie culturali e contribuisce a comunicare la propriaappartenenza sociale (Douglas M., Isherwood B., 1984). Moltistudi hanno esplorato come i diversi assi della differenziazionesociale, che si estendono dalla classe e dal genere all’etniae all’appartenenza nazionale, siano costruiti e concretizzatiattraverso le pratiche di consumo della vita di tutti i giorni(Fox, Miller-Idriss, 2008).

Le scelte di consumo: tra omologazione e differenziazioneSebbene, come avverte Laura Bovone, generalmente il

binomio consumi e povertà sia poco usuale, dal momento chedelle persone povere si parla, piuttosto, in termini di “nonconsumo” 3, è necessario superare le concezioni di benesseree qualità della vita come concetti interpretabili esclusivamentesulla base di variabili di tipo economico (Bovone, Lunghi,2009). La multidimensionalità del concetto di benessere, cosìcome l’approccio dinamico alla povertà, includerebbe nonsoltanto la dimensione economica, ma anche la relazione e lacomunicazione, l’alimentazione, la salute. Seguendo il ragiona-mento di Simmel secondo cui il povero è colui che non ha imezzi per raggiungere i propri obiettivi, l’azione di consumo

Alcuni ricercatori sottolineano come gli immigrati siano più aperti al rischio e alla sfida anche di tipo economico,contribuendo a rendere più dinamico il mercato del consumo

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di chi si trova in uno stato di povertà potrebbe aiutare acomprendere “il rapporto dinamico che intercorre tra ‘statodi necessità’ e ‘possibilità di scelta’” (Bovone Lunghi 2009,p. VIII). Queste dinamiche, come vedremo a breve, sonoparticolarmente evidenti nei modelli di consumo delle secondegenerazioni.

Il processo di integrazione economica porta con sé quello diintegrazione sociale, rispetto a cui l’area del consumo costituisceuna sfera privilegiata di lettura: atteggiamenti e comportamentidi consumo rendono visibili processi di integrazione o di rifiutoquali risposte di specifici gruppi o identità (Paltrinieri,Parmiggiani 2007). Tuttavia per poter effettivamente parlaredi inserimento delle comunità nei Paesi di accoglienza non èsufficiente l’integrazione socio-economica e, viceversa, spessoanche in assenza di integrazione socio-economica possiamoparlare di ‘assimilazione culturale’ proprio in riferimento aimodelli di consumo. Portes, per esempio, parla di assimilazione‘segmentata’, “intendendo con questo termine un processo diintegrazione che procede in maniera settoriale, non lineare e nonprogressiva e che non mette in netta contraddizione gli aspettidi differenza e di somiglianza” (Portes citato da Rebughini,2004). Un’ampia letteratura ha sottolineato i limiti del concettopuro di assimilazione e oggi più che a una ‘assimilazioneforte’ si fa riferimento alla ‘assimilazione pragmatica’, riferita perlo più a “strategie di inserimento e alla progressiva interioriz-zazione di abitudini e stili di vita”, pur nel rispetto della propriacultura di origine (Rebughini, 2004).

Alcune recenti ricerche sul consumo dei migranti parlano,per esempio, di scelte di consumo orientate al cosiddetto“mimetismo culturale” che nel caso degli stranieri è finalizzatoa ridurre i segni di differenza per riprodurre gli stili di vitaitaliani e, in alcuni casi, a ricercare una presunta ‘normalità’(Vargiu in Bovone, Lunghi 2009). In altri casi la scarsa dispo-nibilità economica favorisce atteggiamenti di chiusura che siriflettono nelle scelte di consumo. Tali scelte sono finalizzatea sottolineare le differenze culturali attribuibili alla presenzadi un “confine simbolico originario tracciato dal gruppomaggioritario della società di accoglienza – in termini linguistici,culturali e fenotipici – verso il quale non solo i primo-migranti,ma anche i loro figli sono obbligati a relazionarsi”.

Il caso delle ‘seconde generazioni’ presenta delle peculiaritànei modelli di consumo rispetto alla famiglia di origine. Infatti,i giovani di seconda generazione, soprattutto se cresciuti neiPaesi di accoglienza, hanno assorbito aspirazioni e modelli

Atteggiamenti e comporta-mentidi consumo rendono visibili i processi di integrazione o di rifiuto;il caso delle scelte orientate al “mimetismo culturale”per cui gli stranieri tendono a ridurre le differenze con gli stili autoctoni

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di consumo dei loro coetanei autoctoni, evidenziando unatensione tra ‘l’immagine sociale modesta’ del mondo dei genitorie ‘l’acculturazione agli stili di vita’ della società di accoglienza”(Ambrosini 2005, p.167) 4. Invece, i giovani cresciuti nel Paesedi origine riflettono nelle proprie scelte di consumo maggioricomponenti di ‘ibridità’: nella loro quotidianità “convivono quindipratiche, abitudini e riferimenti a mondi culturali differenti...questa apertura quotidiana alla differenza porta i giovani diorigine straniera a sentirsi in parte sempre ‘estranei’ sia nel luogoin cui vivono, sia nel Paese d’origine in cui occasionalmenteritornano” (Rebughini, 2004, p. 11), nel caso dei giovanimigranti si è riscontrata, piuttosto, una certa ibridità nelle loroscelte di consumo, risultato di una commistione tra le due culture(Domaneschi, Rebughini in Bovone, Lunghi 2009, p.152).

I dati sui consumi - I tipi di consumoRecenti ricerche svolte sul tema delle migrazioni 5, rivelano

interessanti elementi di somiglianza e di differenza tra gli stilidi consumo degli immigrati e tra questi e gli stili di consumodegli ‘autoctoni’. È possibile evidenziare una diminuzione delrisparmio e un orientamento ai consumi non soltanto di primanecessità, aspetto che rende maggiormente vicini i consumidegli stranieri a quelli degli italiani, ma distinti in base aprovenienza, progetti migratori, condizione abitativa, classedi reddito (Paltrinieri, Parmigiani 2007).

Secondo i dati Censis 2006, i comportamenti di consumodegli stranieri presenti in Italia manifestano interessanti livellidi inclusione socio-economica. In particolare le spese dellefamiglie straniere sarebbero destinate per quasi il 50% al vittoe all’alloggio, il 24% ad abbigliamento, trasporti e scuola.Interessanti le percentuali riservate alle rimesse (14%) e airisparmi (15%) che risultano elevate indipendentemente dalleclassi di reddito (Censis, 2006).

Sempre secondo i dati Censis, i comportamenti di consumodegli stranieri sarebbero differenziati e prevalentementericonducibili a tre modelli: uno definibile “basic” (37%) in

4 I giovani immigrati sono stati spesso visti come una minaccia per le societàdi accoglienza, dal momento che i l loro inserimento in contesti sviluppati l irende meno propensi, per esempio, ad accettare lavori umili rispetto ai genitorie, nello stesso tempo però, con l imitate possibil i tà di accedere a condizionimigliori (Ambrosini 2005)5 Cfr. tra gli altr i i l “Quindicesimo Rapporto sulle Migrazioni” prodotto dall ’ Ismunel 2009

Le spese delle famiglie straniere,nel 2006,erano per il 50%destinate a vitto e alloggio,per il 24% ad abbigliamento,trasporti e scuola;il tassodi risparmio era del 15%

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quanto caratterizzato da comportamenti di spesa influenzatidalle limitate possibilità economiche. Gli immigrati appartenentia questo primo tipo sono giovani (25-30 anni) e sono arrivati inItalia nel 2000. Costoro frequentano per lo più hard discounte mercati di quartiere, le loro spese per beni durevoli sonoassenti o molto contenute.

Un secondo gruppo, a cui afferisce il 32% degli stranieri, ècomposto da coloro che sono arrivati in Italia tra la metà e la finedegli anni Novanta, hanno tra i 30 e i 40 anni e possiedonoun livello di istruzione medio-alto. Sebbene i loro redditi nonsiano molto alti, il loro progetto migratorio e di vita è finalizzatoalla stabilizzazione nel nostro Paese. A tal fine, i loro consumisono moderati, sebbene non estranei a criteri di qualità eselettività nella scelta dei prodotti; tra i luoghi privilegiati igrandi supermercati e i mercati di quartiere.

L’ultimo gruppo di immigrati (31%) è rappresentato da coloroche hanno redditi più elevati rispetto agli altri due gruppi,sono arrivati in Italia all’inizio degli anni Novanta. Gli immigratiche appartengono a questa categoria presentano livelli diinclusione sociale elevati, molti possiedono un lavoro a tempoindeterminato e il loro progetto migratorio è la stabilizzazione

Ripartizione del budget disponibile nelle famiglie di immigrati in Italia per fasce di reddito

Fonte: indagine Censis Estat-Gruppo Delta, 2005

Alloggio e vitto Risparmio Rimesse Altro

Oltre 2000 euro

Da 1501 a 2000 euro

Da 1001 a 1500 euro

Da 601 a 1000 euro

Fino a 600 euro

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definitiva in Italia. Costoro manifestano, inoltre, profili di consumo‘avanzati’: i loro criteri di scelta sono sofisticati e rivolti allaqualità; tra i luoghi di acquisto troviamo principalmente lagrande distribuzione organizzata, e nel paniere di consumoè presente una discreta percentuale di beni durevoli, tuttecaratteristiche che avvicinano tali consumi a quelli delle famiglieautoctone (Censis, 2006).

Prime due tipologie di negozio scelto dagli italiani e dagli immigrati per l’acquistodi generi alimentari

Fonte: indagine Censis Estat-Gruppo Delta, 2005

Centro commerciale/super-ipermercatoMercato rionaleNegozio che vende prodotti del Paese d’origine

Hard discountNegozio di quartiere specializzato

Interessante rilevare come il Paese di origine e il tempo dipermanenza nel Paese di accoglienza siano variabili importantinel definire i modelli di consumo degli stranieri. Queste variabilideterminano un’articolata distinzione, per esempio, in termini diluogo di acquisto: gli immigrati che sono in Italia da poco temposcelgono in media i ‘mercati di prossimità’ dal momento chepromuovono lo scambio con il territorio e con il contesto socialedi riferimento. I mercati di prossimità sono scelti anche peril prezzo dei prodotti – che è mediamente inferiore – e sonoscelti per lo più dagli immigrati che vivono nel Sud Italia chehanno generalmente redditi inferiori rispetto agli immigratiche vivono in altre zone del Paese. Gli immigrati ‘di lungadata’, invece, preferiscono acquistare nella media e grandedistribuzione (Censis, 2006).

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Ciò nondimeno, indipendentemente dal tempo di permanenzain Italia, le caratteristiche collegate al Paese di provenienzainfluiscono in maniera considerevole sulla scelta del luogo diacquisto: gli immigrati che provengono dal Sud America edall’Africa preferiscono il mercato di vicinanza, rispetto a coloroche provengono dall’Europa centro-orientale che, invece,acquistano prevalentemente presso la grande distribuzione(Censis, 2006).

Comunicazione e mediaUn aspetto interessante per lo studio dei consumi riguarda

l’area della comunicazione e dei media. Se i nuovi mezzi e lenuove tecnologie della comunicazione caratterizzano in generalela società attuale, quali strumenti fondamentali nella costruzionedei propri progetti di vita, ciò è maggiormente vero nel casodegli immigrati rispetto a cui svolgono la funzione di manteneretradizioni e pratiche della propria cultura di origine. Nello stessotempo i media costituiscono un fondamentale strumento peraccedere all’universo culturale del nuovo mondo, aiutando aridefinire i propri valori e le proprie tradizioni del passato alla lucedel contesto di accoglienza e dei nuovi stil i di vita (Gadottiin Bovone, Lunghi, 2009).

Inoltre, attraverso i mezzi di comunicazione si formano emantengono comunità transnazionali. “Il rimando ad un etnoscape,come lo definisce Appadurai, un mondo di riferimenti ‘etnici’immaginato dalle popolazioni in movimento, avviene peraltroin un contesto di pratiche di contaminazione e ibridazione traculture diverse, consapevoli o meno, tanto da indurre questoe altri autori a teorizzare un indebolimento delle identitànazionali e la tendenziale formazione di un’economia culturale‘globale’”. Il transnazionalismo odierno “propone l’immaginedi migranti come soggetti impegnati in un continuo lavoro di‘traduzione’ di linguaggi, culture, norme, legami sociali e sim-bolici”: “...i migranti transnazionali forgiano senso di identità eappartenenze comunitarie ...come qualcosa che è allo stessotempo nuovo e familiare, un bricolage composto di elementitratti sia dal Paese di origine sia da quello di insediamento”(Ambrosini 2008, pp. 69 -70).

I media rappresentano uno strumento di orientamento dellescelte personali e di autoaffermazione, particolarmente nellefasi giovanili, caratterizzate da “apprendimento e assimilazionedi schemi e contenuti di comportamento per favorire la crescitaindividuale in termini di risposte adattive all’ambiente socialein cui ci si trova”. La negoziazione della quantità di informa-

Il ruolo dei media nel facilitare l’accesso all’universo culturale del nuovo mondo degli immigrati,ridefinendo i valori e le tradizioni del passato alla luce del contesto che li accoglie e degli stili di vita predominanti

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zione è finalizzata a ridurre l’incertezza delle proprie decisionilegate alla quantità e complessità di informazioni per averechiari riferimenti per il proprio agire. La decodifica e la selezionedei messaggi avviene in modo mediato attraverso la cultura: trai principali agenti di mediazione culturale certamente possiamoannoverare la famiglia, importante “agente di educazione aiconsumi e alla comunicazione, attraverso lo stile di consumo chegenera, a partire dalle capacità di reddito e dalle potenzialitàculturali, in certi casi, assegnate per sempre dalla condizionesocio-economica, in altri invece, evolutive a loro volta” (Rizzottiin Valtolina, Marazzi 2006, p. 202).

Naturalmente, nel caso delle famiglie immigrate il lavorodi mediazione è molto più complesso, dal momento che ènecessario mediare tra il codice di comportamento della culturadi origine e di quella di accoglienza. Nel caso dei giovani è moltoimportante la peer pression che si mostra ancora più rilevantenel caso di ragazzi immigrati rispetto agli ‘autoctoni’ e rispetto aiquali essa prevale anche rispetto alla pressione esercitata dallafamiglia. Quest’ultima, infatti, in certi casi viene estromessanella costruzione di significati, dal momento che i codici familiarisi mostrano spesso in contraddizione con quelli in via dicomprensione relativi al luogo in cui si vive, anche solo in terminieconomici, a causa della difficoltà di rendere concrete le proprieaspirazioni di consumo, più contenute rispetto a quelle deicoetanei ‘autoctoni’ (Rizzotti in Valtolina, Marazzi op. cit.).

Considerazioni conclusive e prospettive futureQuanto brevemente esposto in questo articolo costituisce

un contributo preliminare, parte di uno studio più ampio rivoltoall’analisi dei consumi degli stranieri in alcuni territori siciliani,finalizzato anche a sottolineare l’importanza di studiare questetematiche per avere una più ampia comprensione dei percorsi edelle dinamiche di integrazione degli stranieri sul nostro territorio.

Un’area che si mostra particolarmente interessante per lacomprensione delle dinamiche di integrazione degli immigratisu un territorio è l’‘etica’ e la ‘responsabilità’ nei consumi.Recenti analisi hanno evidenziato nuovi spunti di riflessionesullo standard package 6 dell’immigrato, composto prevalen-

6 Il concetto di standard package, inizialmente introdotto da Riesman (Riesman,1956), viene ripreso da Alberoni nel 1964 che parla di “beni di cittadinanza” quali beninecessari per integrarsi nella nuova società urbana (Alberoni, Consumi e Società.Il Mulino, Bologna, 1964), e poi da Fabris che attualizza il concetto ridefinendoli “benidi appartenenza”, riferiti a uno specifico stile di vita (Fabris, Il nuovo consumatore:verso il postmoderno. FrancoAngeli, Milano, 2003)

Nei confronti delle giovani generazioni la famiglia ha un ruolo di mediazionefra i codici di comportamentodella cultura d’origine e di quella d’accoglienza

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temente dalla casa, dai beni durevoli in generale, dal cellularee dall’automobile e che si arricchirebbe di prodotti etici, masoprattutto di nuovi criteri di sostenibilità nella scelta dei prodotti,(Cattaneo, 2009), elementi necessari per essere consideraticittadini che aspirano a integrarsi nella nuova comunità e amigliorare il territorio in cui vivono o in cui vorrebbero vivere.

In questo panorama, sarebbe interessante effettuare degliapprofondimenti in alcuni contesti locali, al fine di comprendereil ruolo dei beni nel processo di integrazione e se sia possibileindividuare le diverse appartenenze, in quei territori, sulla basedel consumo. Ciò sembra ancor più rilevante se consideriamola necessità di avere una lettura, il più possibile aderente alcontesto, delle modalità di accesso a servizi e risorse a livellolocale in cui vanno delineandosi “meccanismi di solidarietà,convivenza, pratiche e relazioni sociali che trovano sui territorie nelle comunità locali ragion d’essere” (Consoli 2009, p. 9).

Del resto, rispetto alle pratiche di consumo, la dimensionespaziale riveste particolare importanza, specificamente nellacomprensione dei processi di acculturazione. La migrazione è,infatti, strutturalmente connessa con l’idea di movimento e dispazio: i migranti si spostano attraverso i confini e raggiungononuovi Paesi e nuove città, quali “terre condivise” in cui superanol’invisibilità e guadagnano la posizione di soggetto diventandoagenti attivi nei e dei loro contesti di vita (Visconti, 2010).Pertanto, capire il modo in cui i migranti vivono la città 7, studiarele preferenze di consumo e le modalità di scelta dei beni,insieme ai luoghi frequentati nel proprio tempo libero, contribuiscein maniera rilevante a comprendere i processi di inclusionesociale, giustizia ed equità e ad analizzare la capacità deimigranti di gestire le contraddizioni tra culture.

7 Gli spazi pubblici possono acquisire anche significato ‘nazionale’ non soltantonelle intenzioni di chi costruisce quegli spazi, ma anche attraverso l’interpretazionedi coloro che li utilizzano tutti i giorni. Ristoranti, bar e caffè diventano aree ‘dinazionalità’ attraverso il loro utilizzo, più che attraverso la progettazione (Fox,Miller-Idriss, 2008)

Una chiave di ricerca per il futuro;la valutazione del processo di integrazionesulla base dello studio delle preferenze di consumo degli immigrati e delle loro modalità di scelta dei beni

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Bibliografia

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Predicazione del Vangeloe recupero sociale

di Alessandro Iovino Scrittore

L’esperienza della Missione evangelica zigananata in Francia negli anni Cinquantaper iniziativa del pastore Clément Le Cossece da trent’anni attiva anche in Italia

La diffusione dell’Evangelismo tra i Sinti La storia della Missione evangelica zigana (Mez) è ricollegabile

all’opera di evangelizzazione da parte di un pastore pentecostalefrancese: Clément Le Cossec1. Deceduto a 80 anni nel lugliodel 2001, andò per la prima volta in India nel 1966. Davanti allamiseria e alla povertà dei bambini che dormono sui marciapiedidi Bombay fra i topi, e alla richiesta di un padre affinché i suoi figlipotessero avere due pasti di riso al giorno, decise di fondare unamissione che potesse sopperire ai bisogni della popolazionelocale 2.

Prima del viaggio in India, Le Cossec ebbe già modo dipredicare il Vangelo tra rom-sinti in Francia. Dopo il primocontatto, avvenuto nel 1946, Le Cossec ebbe modo di inten-sificare le sue visite a questa comunità. Fu un giovanotto chelo contattò la prima volta a condurlo da altri suoi parenti.Seguirono visite ai bambini malati e molti di loro venivanoguariti grazie alla potenza della preghiera. Dopo poco questefamiglie si spostarono in altre parti della Francia, ma ormai LeCossec aveva in cuore l’evangelizzazione di questo popolo.

Nel 1950 il pastore francese, per motivi di salute, era inriposo nei pressi di Lisieux. Una sera fu condotto nella chiesa

1 Per maggiori informazioni consulta: http://www.clement-le-cossec.org2 A oggi quest’opera conta circa 32 scuole residenziali per un totale di 1600 bambiniche vengono sostenuti attraverso offerte provenienti da diversi Paesi come la Francia, laGermania e la Svizzera (per maggiori informazioni consulta http://mission-inde.org)

Nel 1946 il primo contatto fra il pastore Le Cossec e la comunità zigana: da quelmomento le visite non sono mai cessate ed è iniziata l’opera di evangeliz-zazione

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evangelica pentecostale di quella città ed ebbe il piacere diconstatare che era frequentata da un folto gruppo di zigani.Notando il suo stupore una credente si rivolse a Le Cossecsottolineando la sincerità di fede di questa famiglia di zigani.Quello fu il primo incontro con la famiglia Duvil. Il modo in cuisi convertì la famiglia Duvil fu curioso. Ecco come lo stessoLe Cossec narra questa storia:

In un giorno di mercato, sulla piazza di Lisieux un credente,con la barba che gli conferiva l’aspetto d’un patriarca, distribuivadei volantini presso il suo banco di Sacre Scritture. La signoraDuvil madre, nel passargli vicino, ebbe l’offerta di un volantino;nel contempo egli le parlò dell’amore di Gesù Cristo e la invitòalle adunanze evangeliche. Il volantino, che indicava i giorni ele ore di queste adunanze, fu delicatamente piegato e riposto nelportamonete e la “Tzigana” se ne andò a continuare la sua vitaerrante sulle strade della Normandia. Passarono mesi. Succedevatalvolta che il volantino cadesse dal portamonete quando lasignora Duvil faceva uso del suo denaro; ma, come guidata dauna mano invisibile, ogni volta lo raccattava e lo rimetteva conprecauzione al suo posto. Ora accadde che uno dei suoi figli,chiamato Giacomo, s’ammalò così gravemente di peritonite e ditubercolosi, che la scienza medica disperava di salvarlo […] Fuproprio nel corso di questa dura prova ch’ella si ricordò delvolantino […] si recò dal pastore […] e lo pregò di visitare il figlioammalato e di pregare per la sua guarigione. L’invito fu subitoaccolto e dopo la preghiera nel Nome di Gesù Cristo e l’imposizionedelle mani, la guarigione si compì. […] Fu questo il principio delgran risveglio tra gli Tzigani di Francia 3.

A seguito di questa guarigione quasi tutta la famiglia Duvilsi convertì all’evangelismo. Dopo circa due anni, nel 1952,mentre predicava 4 nel Teatro nuovo di Brest, Le Cossec ebbemodo di incontrare nuovamente la famiglia Duvil. Trascorsealcuni giorni in loro compagnia. Il pastore francese fu sorpresonel constatare come questi credenti fossero cresciuti nella fedee nella maturità cristiana. Scoprì più tardi che essi avevano

3 Da questo momento tutte le ci tazioni di Le Cossec sono tratte da: ClèmentLe Cossec, La vita d’uno dei popoli più antichi al mondo, s.e., Roma4 Ecco come Le Cossec descrive quei momenti: “Predicavo l ’Evangelo … tutt iascoltavano molto attentamente la predicazione della Parola di Dio, come inuna specie d’estasi. I l loro cuore era vivamente toccato e non è esagerato direche “bevevano” le parole dell ’Evangelo che citavo”

Le prime esperienze di guarigione grazie alla preghiera:l’incontro con la famigliaDuvil e la sua conversione

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girato molte città della Normandia in cerca di pastori e credenti 5

che potessero ammaestrarli secondo le dottrine della Bibbia. Fu così che nacque la Missione evangelica zigana. Le Cossec

si trovò subito a fronteggiare un primo problema relativo aicredenti zigani che volevano essere battezzati. Infatti molti pastoripentecostali si rifiutavano di farlo perché essi non avevanocontratto matrimonio legale. Nessuno di loro era sposato inmunicipio. Allora il pastore francese decise di farsi carico delproblema cercando di risolvere una questione che era insiemereligiosa e sociale. Dopo un’attenta ricerca dei documenti, LeCossec si recò al municipio di S.Pietro (un borgo di Brest) percercare di trovare una soluzione insieme a Giovanni Duvil. Ilrifiuto fu immediato. Fu fatto loro notare che per la legge franceseera necessario almeno un mese di residenza nel comune percontrarre matrimonio legale. D’altronde però, come notò lostesso Le Cossec, un’altra legge francese vietava che i nomadisostassero più di quarantotto ore nello stesso posto così che leforze dell’ordine subito intervenivano per mandarli via. Il pastorefrancese capì che solo il procuratore della Repubblica del tribu-nale di Brest poteva risolvere con pieni poteri il problema. LeCossec, sempre accompagnato da Duvil, venne ricevuto dalvice-procuratore che rapidamente risolse la questione.L’autorizzazione per il matrimonio civile fu subito rilasciata e daquel momento pervennero numerose richieste di questo genereal tribunale di Brest. Finalmente era stata risolta 6 una vicendache impediva a questi credenti di essere battezzati secondoil Comandamento delle Sacre Scritture. Le Cossec riporta ilseguente aneddoto relativo a quei momenti:

Fu in quel momento che Duvil mi fece questa confessione scon-volgente: “Vedete, fratello, se tutti i pastori avessero continuatoa rifiutarci il battesimo, mia moglie ed io saremmo andati inriva ad un fiume e siccome non so leggere, avrei messo la Bibbiasull’erba, saremmo scesi nell’acqua e avrei detto: ‘Signore, amo

5 Trovarono soccorso “spir i tuale” a Mezidon dai signori Lel ievre, che si inte-ressarono di trasmettere loro le dottr ine fondamental i del l ’Evangel ismo 6 La questione legata al matrimonio è comunque ancora molto attuale in tantiPaesi dove vivono i rom-sinti. La loro cultura prevede che il consenso dei genitorie un periodo trascorso da “sol i” siano elementi val idi per sancire un legamematrimoniale. Infatt i la maggioranza di loro contrae matrimonio legale solo pernon essere di scandalo nelle società dove vivono, perché ritengono la burocraziaoccidentale molto “invadente”. Per i zigani cristiani invece rappresenta una buonaopportunità per dare testimonianza del loro r ispetto delle leggi e delle autori tàterrene, come prescrit to nel la Bibbia

Il problema inizialeda risolvere per la Missioneevangelica zigana è stato quello dei credenti che volevano essere battezzati ma non potevano esserlo perchénon erano sposati in municipio

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la Tua Parola che è lì sull’erba e poiché gli uomini non voglionobattezzarci, faremo da noi per ubbidirti, e ti chiediamo di benedirci’.Poi avrei battezzato mia moglie e lei avrebbe battezzato me! Cosìsaremo stati in regola col Signore che ha detto nella Sua Parola:“Colui che avrà creduto e sarà battezzato sarà salvato”.Dinanzi a questa fede, semplice ma tanto bella e sincera, mi sentiiprofondamente commosso e decisi di adoperarmi, nell’ambito delpossibile, perché questo popolo, così sconosciuto dalla maggioranzadei cristiani del XX secolo, sia anch’esso evangelizzato.

Dopo poco, sulla spiaggia di S. Marco a Brest, furonobattezzati i coniugi Duvil insieme a tanti altri che avevanoaccettato Cristo e il messaggio dell’Evangelo.

I frutti di queste conversioni furono da subito evidenti. Inprimo luogo gli zigani divennero attivi testimoni del messaggio

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evangelico e furono tanti anche quelli che superarono problemicome l’alcolismo e il vizio del fumo. Da evidenziare sicuramenteil cambiamento anche nel rapportarsi al mondo esterno: sipresentavano ai culti evangelici non più con vestiti sudici e logorima decorosi, se pur umili. La Bibbia divenne il loro principaletesoro. Non sapendo leggere e scrivere erano ben lieti di trovarequalcuno che leggesse loro brani biblici. La loro abitudine allaconservazione della tradizione e della cultura per via orale lirendeva comunque molto ferrati dottrinalmente: una volta ascoltatii versi biblici li memorizzavano con velocità.

Per circa due anni, dal 1952 alla primavera del 1954, ilrisveglio spirituale si concentrò nella Bretagna e Brest divenneil punto d’incontro dei rom-sinti evangelici. Duvil nel frattempopercorreva la Bretagna con una lunga carovana di carrozzonie un altro credente, Reinard, si dirigeva verso il Sud raggiungendoBordeaux, dove stanziava la sua famiglia alla quale testimoniòdel messaggio evangelico. Fu così che nel 1954 si videro arrivarea Brest zigani provenienti da Bordeaux, Lourdes, Pau, Nimes,Marsiglia e Parigi.

Le Cossec, nel frattempo, assistito da altri pastori pente-costali francesi, organizzò un convegno a Brest, dopo alcuniincontri che erano avvenuti precedentemente in modo informale.I partecipanti furono circa 500 e secondo le descrizioni di LeCossec non mancarono problemi organizzativi: le forze dell’ordineimpedivano l’accampamento degli zigani e quindi il regolaresvolgimento del raduno. Nonostante ciò il convegno ebbesuccesso: la stampa locale diede risonanza all’evento e ungiornale parigino se ne interessò.

Nel 1954 si tenne un altro convegno a Rennes. Si registraronole solite problematiche con la municipalità, ma l’intento conil quale venivano organizzate queste riunioni veniva sempreraggiunto: altre famiglie si convertivano all’Evangelo. Il risvegliosi estese anche a tutto il Sud-Ovest della Francia.

L’impegno di Le Cossec fu profuso non solo nell’evangelizzarequesto popolo ma anche nel difenderlo dagli attacchi dellasocietà civile francese e delle forze dell’ordine. Ecco qui diseguito un appello che Le Cossec rivolse, su un numero dellarivista “Vie et Lumière”, alle autorità francesi:

So che questa rivista sarà letta da numerose autorità e che sarà,come ogni numero, controllata dal Ministero della Giustizia, dalMinistero d’Informazioni, dal “Parquet” di Rennes e dalla Prefettura.Ebbene, mi sia permesso di chiedere se è possibile che la Francia

Il risveglio spirituale della comunitàzigana si è concentrato inizialmente in Bretagna,fra il 1952 e il 1954,e Brest è diventato il punto d’incontro dei rom-sinti evangelici

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adotti un sistema più umanitario nei confronti degli Tzigani e seil governo francese volesse prendere in considerazione questoproblema. Dappertutto ho visto la sofferenza di questi cari amiciTzigani che vivono nel nostro paese di Libertà come un popoloindesiderabile, inseguito ad ogni istante, scacciato in ogni luogo,trattato con disprezzo e senza pietà. Perché il nostro paese, cosìcivile e moderno, non prepara in ogni comune un terreno contutte le comodità indispensabili: acqua potabile, gabinetti igienici,ecc., dove questa gente nomade possa accamparsi?Ogni Tzigano sarebbe ben contento di pagare un piccolo contributogiornaliero pur di essere finalmente tranquillo! Gli costerebbemeno caro che pagare dei processi per essersi fermato nei luoghiproibiti! Questo trattamento farebbe certo onore alla Francia.Perché, inoltre, due pesi e due misure, esigendo solamente dagliTzigani nomadi dei libretti antropometrici voluminosi, da esibirequasi ogni giorno? Perché quei libretti che corrispondono a quellidei criminali e di quelli ai quali è vietato il soggiorno, non sonosostituiti da semplici carte d’identità, come ne hanno tutti i francesi?Possano le Autorità, in un giorno non lontano, mettere in atto lesoluzioni che si impongono necessarie.

La Missione evangelica zigana in Francia intanto è cresciutae dal piccolo nucleo di convertiti di Brest oggi si contano,solo in Francia, più di 100mila fedeli (gli zigani in Franciasono circa 300.000) e 114 luoghi di culto. Un tempo gli ziganifrancesi erano quasi tutti cattolici, ma a partire dalla metàdegli anni Cinquanta si sono convertiti in massa al protestan-tesimo. Dopo la morte del pastore Le Cossec, la guida dellamissione evangelica è stata assunta dal pastore JosephCharpentier. I raduni nazionali zigani si svolgono ogni anno,generalmente nel Nord o Nord-Est della Francia. La missioneevangelica ha delle relazioni non sempre facili con la comunitàzigana cattolica, ma ha dei buoni contatti con le autorità digoverno francesi e viene spesso interpellata quando si tratta didiscutere problemi concernenti le genti nomadi 7.

Proprio dalla Francia sono partite missioni e campagne dievangelizzazione in molti Paesi del mondo, tra cui l’Italia.

7 Cfr. da:http://www.voceevangelica.ch/index.cfm?method=articoli.notizie_gen&id=3284

Oggi in Francia ci sono 100mila fedeli evangelici,su un totale di 300mila zigani in tutto il Paese;114 i luoghi di culto censiti

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La nascita della Missione evangelica zigana in ItaliaLa Missione evangelica zigana in Italia nacque negli anni

Ottanta del Novecento ed è una diretta continuazione del revivalche ebbe inizio in Francia nel 1948. L’opera evangelica penteco-stale in Italia è diffusa tra i sinti di tutto il territorio italiano.Come per la missione in Francia, l’obiettivo principale dichiaratoè di predicare l’Evangelo, ma essi sono impegnati anche nelrecupero sociale di persone della loro etnia. Come accadde pergli zigani francesi, anche in Italia i sinti evangelici, crescendodi numero, hanno riscontrato negli ultimi anni difficoltà nel trovareluoghi per raduni e convegni. Contano circa duemila fedeli,anche se il numero di simpatizzanti dell’opera è molto superiorepoiché le loro evangelizzazioni sono costantemente rivolte adaltri sinti e rom.

Già dal 1962 ci furono dei predicatori italiani impegnatinell’evangelizzazione dei sinti e rom. Tra questi ci fu il pastoreArghittu, di Luserna San Giovanni, dell’Esercito della salvezza 8,e Vincenzo Buso responsabile di una comunità evangelicaindipendente. Furono inizialmente alcuni rom Kalderash e inseguito altri rom appartenenti al gruppo dei Lovara ad avvicinarsiall’Evangelo. Tutto ciò a partire dalla fine degli anni Settanta.Nel 1981 alla Gobba (Milano) si cominciarono a svolgere regolaririunioni di culto e ben presto fu costituita un’associazioneufficiale di quest’opera di cui facevano parte, tra l’altro, ilpastore valdese Gustavo Bouchard e un pastore battista.

Oggi, a più di trent’anni dalle prime conversioni tra i rom inItalia, la Missione evangelica zigana ha ormai superato la suafanciullezza e con essa i facili entusiasmi che l’hanno accompa-gnata all’inizio, per giungere ad una fase di piena maturità. Findall’inizio l’adesione alla fede evangelica è stata testimoniatadalla volontà di cambiamento e di ricerca di un nuovo stile divita. Occorre dire, con molta franchezza, che non è stato facileper tutti percorrere la strada di una vera conversione e che alcuni,che già si erano avvicinati all’Evangelo, se ne sono in seguitoallontanati o - quantomeno - non sono riusciti a rompere deltutto i legami con le vecchie abitudini. Questo è, per così dire,

8 “L’Eserci to del la salvezza è par te integrante del mondo protestante.Attualmente, serve in 115 Paesi, conta circa 1 mil ione di membri e usa circa175 l ingue aff iancando al la predicazione della Parola di Dio opere social i divario genere quali scuole, case per bambini, ostel l i per senza f issa dimora,ospedali , programmi di emergenza per i disastr i , ecc... In Ital ia l ’Esercito dellasalvezza opera dal 1887”. (Tratto da: http://www.esercitodellasalvezza.org/)

In Italia la Missione ha cominciatola sua attivitànegli anni Ottanta ed è diffusa fra i sinti di tutto il territorio italiano

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“un fatto fisiologico” che non sminuisce l’opera del Signore ma chemette in evidenza come senza il Suo aiuto l’uomo da solo fallisca 9.

Sono comunque molti coloro che hanno cambiato stile di vita,pur senza rinnegare le proprie origini. Nel corso del tempo,però, si è determinata una distinzione tra sinti e rom. Infatti ilnucleo della Mez è composto per la sua quasi totalità da sinti,mentre molti evangelici rom si sono associati in altre denomi-nazioni o semplicemente sono rimasti indipendenti. Attualmentei pastori consacrati sono trenta; alcuni di essi svolgono attivitàmissionaria in alcuni Paesi dell’Europa dell’Est (Slovenia,Serbia, Slovacchia, Ungheria e Romania) allo scopo di evan-gelizzare le comunità rom e sinti di quelle regioni.

I membri della Missione evangelica zigana si riuniscono in convegnigenerali che si tengono ogni anno tra aprile e ottobre, con unapausa estiva nei mesi di luglio e agosto. Questi momenti assem-bleari, che vedono una vasta partecipazione da ogni parte, sisvolgono prevalentemente in città di grandi e medie dimensionidel Centro e Nord Italia (Roma, Prato, Bologna, Reggio Emilia,Piacenza, Padova, Vicenza, Verona, Mantova, Brescia, Bergamoe Torino). Durante la pausa estiva hanno luogo raduni didimensioni più modeste a Rimini, Pescara, Massa e altre localitàcostiere in cui vi è una forte concentrazione di sinti. Nei mesiinvernali, da ottobre ad aprile, i pastori si occupano della curadei gruppi nell’area in cui essi sono stanziati, garantendo regolariservizi di culto 10.

Da un punto di vista religioso questa missione si richiamaalla dottrina pentecostale, infatti è affiliata alle Chiese CristianeEvangeliche “Assemblee di Dio in Italia” 11.

In questi anni si è registrato un considerevole aumento di sinticonvertiti all’Evangelo, nonché un aumento di predicatori che

9 Tratto da: http://www.mez-ital ia.org 10 Tratto da: http://www.mez-ital ia.org 11 Le Chiese Crist iane Evangeliche “Assemblee di Dio in Ital ia” (Adi) sono unaemanazione diretta di quel movimento di r isveglio, nato contemporaneamentee indipendentemente nel principio del secolo scorso in diversi Paesi delmondo quando crist iani di diversa denominazione si r iunirono nel la r icercadella potenza dall ’alto e r icevettero i l battesimo nello Spir i to Santo con lamanifestazione della “glossolalia”, o parlare in altre l ingue, come era avvenutoil giorno della Pentecoste e come si era ripetuto all'inizio di ogni risveglio religioso.(Tratto da: / /www.assembleedidio.org)

Nel corso del tempo si è creata unadistinzione fra sinti e rom;gli evangelici appartenenti al secondo gruppo sono rimasti indipendenti rispetto alla Mez

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svolgono prevalentemente il proprio ministero nei campi rom-sintisparsi sul territorio nazionale e, secondariamente, anche all’estero.

La Mez cura una pubblicazione periodica, stampata tre voltel’anno e il cui nome è Vita & Luce, che raccoglie le testimonianzedi sinti convertiti e le varie relazioni riguardanti l’attività spiritualesvolta in mezzo al popolo zigano. Ha una tiratura di circa 5milacopie a numero e viene inviata a più di 4mila persone. Si sostienecon libere offerte, e il fatto che riesca ad essere finanziariamenteautonoma conferma l’apprezzamento di cui gode presso i proprilettori.

L’attività evangelistica si svolge prevalentemente nel Centro-Nord Italia, in quanto in questa zona sono concentrati lamaggioranza dei sinti, evangelici e non. Con l’ausilio di unagrande tenda capace di accogliere più di 500 persone, e conaltre piccole tende, i predicatori della Mez intensificano l’evan-gelizzazione in mezzo al loro popolo in estate, raggiungendodecine di città del Nord e predicando annualmente il Vangeloa migliaia di loro conoscenti. Durante il periodo invernale sidedicano al sostegno delle chiese locali, dislocate nei vari campiove risiedono, e alla cura dei singoli credenti. Solo nell’anno2008 si sono registrati più di 80 nuovi convertiti che sono statibattezzati per immersione, secondo l’insegnamento della SacraScrittura, come testimonianza della loro fede in Cristo Gesù.

Nel tempo, sono stati raggiunti i campi di insediamentoubicati nelle seguente città: Acqui Terme, Torino, Asti, Bologna,Reggio Emilia, Modena, Bergamo, Piacenza, Pavia, Lidi FerraresiLimbiate, Ivrea, Roma, Trieste, Udine, Terni, Civitanova Marche,Rimini, Carpignano e altri ancora. Alcuni predicatori dellaMissione evangelica zigana italiana collaborano già da tempocon missionari della Mez francese al fine di portare l’Evangelonei Paesi dell’Est. Incoraggianti sono stati i risultati che hannovisto diverse conversioni e l’apertura di alcune chiese in quellezone.

L’attività evangelica si concentra soprattutto nel Centro-Nord e si svolge con l’ausilio di una tenda mobile capace di accogliere più di 500 persone

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Cooperare per integrare:il progetto “Nuove presenzereligiose”

di Maria Bombardieri - Alessandro Ferrari - Roberto MazzolaForum internazionale democrazia & religioni

Il primo programma italiano che propone ai responsabili delle associazioni musulmane operanti sul nostro territorio una formazione sulle maggiori problematiche relative alla presenza delle comunità islamiche nel Paese

Il progetto “Nuove presenze religiose in Italia. Un percorsodi integrazione”, giunto al secondo anno di attività, è il primoprogramma italiano nato per proporre ai responsabili delleassociazioni musulmane operanti nel Paese una formazione orga-nizzata in week-end tematici residenziali, organizzati insiemedalle università e dalla Pubblica Amministrazione, nella speciedal dipartimento per le Libertà civili del ministero dell’Interno.Questo nella convinzione e nell’auspicio che solo una formazioneche riunisca in un clima di confronto franco, ma anche amichevoletutti i soggetti coinvolti dalle questioni trattate può portare, neltempo, frutti all’altezza delle aspettative e delle sfide connesse auna piena integrazione delle comunità musulmane in Italia.

Per lo sviluppo del progetto sono risultati indispensabili treattori: le università, il ministero dell’Interno1 e le associazionimusulmane. In particolare l’iniziativa, nata da un’idea di PaoloBranca (Università cattolica del Sacro Cuore) e Alessandro Ferrari(Università degli studi dell’Insubria e attuale coordinatore delprogetto) deve la sua concreta realizzazione al Fidr (Foruminternazionale democrazia & religioni) 2, centro di ricerca nato

1 Si deve al ministro Maroni l'incoraggiamento a coinvolgere il dipartimento Libertàcivili e la direzione dei Culti nell'iniziativa e al prefetto Morcone e alla dott.ssaCostantino, allora, rispettivamente, capo del Dipartimento e capo della direzionedei Culti, l'aver dato concreto seguito alle direttive del Ministro, accompagnandonecon attenzione e sensibilità le iniziative

2 Nel sito del Fidr (www.fidr.it) è possibile consultare tutta la documentazione relativaal progetto qui presentato

Per lo sviluppo del progetto sono risultati indispensabili tre attori:le università,il ministero dell’Interno e soprattutto le associazioni musulmane

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Il progetto “Nuove presenze religiose”

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all’interno dell’Università degli studi del Piemonte Orientale conil finanziamento della Compagnia San Paolo di Torino e direttoda Roberto Mazzola. La presenza di tre docenti di universitàdifferenti e, soprattutto, la consapevolezza della necessità diaffrontare il tema della formazione delle leadership associativemusulmane in un’ottica interdisciplinare, ha da subito portatoal coinvolgimento di altri colleghi con competenze e provenienzedifferenti 3.

Si deve anche alle comunità musulmane se il corso ha avutopieno successo. Tutte le principali associazioni, indipendente-mente dalla loro diversa impostazione, hanno infatti inviato lororesponsabili ai fine settimana formativi. Con grande fiducia edisponibilità. E questa lungimiranza è stata fondamentale perconsentire di apprezzare la ricchezza di un pluralismo comunitarioche, lungi dall’essere soltanto motivo di preoccupazione edifficoltà, è apparso, invece, anche nell’ottica di una ricchezza,di un deposito di esperienze e saperi diversi meritevoli diattenzione.

Nell’arco di due anni il progetto ha visto la partecipazionedi oltre quaranta musulmani, espressione di diverse tipologieassociative presenti sul territorio: dal dirigente del centro islamicoalla mediatrice culturale-linguistica, dal responsabile delConsiglio locale degli stranieri all’esponente delle associazionireligiose: uomini, donne, convertiti e giovani di “secondagenerazione”, tutti hanno giocato un ruolo fondamentale e, sipotrebbe dire, complementare nello svolgimento del corso.

Nel corso del biennio, anche con l’intervento di diversiesperti stranieri, sono state affrontate molteplici problematicherelative alla presenza delle comunità musulmane in Italia: dallequestioni storico-politiche che hanno contribuito a definirel’orientamento dello Stato italiano nei confronti del fenomenoreligioso, alle dinamiche sociali connesse al pluralismo religioso,al rapporto tra religioni e democrazia, per finire con le questionipiù squisitamente giuridiche legate all’esercizio del diritto dilibertà religiosa. Il progetto ha così consentito un rapporto

2 Il progetto si è aperto a giuristi, sociologi, storici, linguisti, esperti in intercultura,includendo nel comitato scientif ico Silvio Ferrari dell 'università degli studi diMilano, Milena Santerini dell'Università cattolica del Sacro Cuore, Stefano Allievidell’università degli studi di Padova e tre ricercatori di questi atenei, AntonioAngelucci, Maria Bombardieri e Davide Tacchini. Con la firma di una convenzione lecinque università di provenienza dei docenti coinvolti hanno poi compiuto un passoimportante decidendo di impegnarsi formalmente sul fronte della formazione ededucazione interculturale

La concreta realizzazione di “Nuove presenze religiose”si deve al Fidr,Forum internazionale democrazia & religioni,centro di ricerche nato all’internodell’universitàdegli studi del Piemonte orientale

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sinergico tra mondo della ricerca, istituzioni pubbliche eassociazioni islamiche. Non solo. Il costante incontro e loscambio di esperienze tra i partecipanti al corso hanno, infatti,favorito un importante confronto interno tra le stesse associazionimusulmane, creando l’occasione per un fecondo e sincerodialogo tra i loro esponenti, talvolta legati a livello nazionale aorganizzazioni con alle spalle antiche tensioni connesse apreoccupazioni di visibilità politico-istituzionale e di rappre-sentanza dell’Islam in Italia. Si è trattato, dunque, di un progettocapace di distinguersi nel panorama della ricerca per la precisavolontà di affrontare a tutto tondo la complessità del fenomenoreligioso all’interno delle democrazie contemporanee.

In un clima di reciproco rispetto e di mutua collaborazione,seppur partendo da differenti prospettive e ineguali modi diconcepire i problemi nella società pluralistica contemporanea,grazie a un confronto serrato, aperto e sincero, i partecipantiai corsi hanno acquisito la giusta maturità nel formulare proposteconcrete rivolte alle istituzioni, tanto locali quanto nazionali,finalizzate alla gestione e alla soluzione delle problematichepiù sensibili che toccano le comunità islamiche in Italia: i luoghidi culto, i ministri di culto e l’associazionismo religioso.

Nello specifico, il workshop sui luoghi di culto ha preso inesame tutte le problematicità della questione: dalle difficoltànell’individuare le norme applicabili, alla procedura da seguireper la costruzione o l’apertura di sale di preghiera. Difficoltàche si sono tradotte nella proposta di redazione di linee guidastandard che chiariscano le procedure per l’apertura e la realiz-zazione dei siti e di edifici annessi per l’esercizio del credo,nonché di aree nei piani regolatori che tengano effettivamenteconto delle esigenze legate alla realizzazione di edifici islamici.D’altro canto, gli stessi presenti hanno avanzato il proprioimpegno “ad attuare percorsi di formazione civica, linguisticae di promozione dei valori costituzionali italiani ed europei,incentivando la trasparenza e la collaborazione con le istituzionie un’attiva presenza femminile negli organismi associativiislamici”.

Per quanto riguarda, invece, i ministri di culto, i tavoli di lavorosvoltisi durante i corsi hanno evidenziato la necessità che asvolgere tale delicata e importante funzione, al contemposociale e spirituale, siano persone qualificate, capaci di coniu-gare la conoscenza religiosa con quelle linguistica, giuridica eculturale del contesto in cui operano. Si è inoltre auspicatoper la loro formazione “la realizzazione di specifici percorsiformativi con il coinvolgimento delle istituzioni universitarie in

Uno dei workshop è stato dedicato al problema dei luoghi di culto; dalle difficoltà di individuare le norme applicabili,alla procedurada seguire per la costruzione o l’apertura di sale di preghiera

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grado di fornire l’apporto delle conoscenze giuridiche e civichedel contesto italiano”.

Il corso ha anche affrontato il complesso tema dell’associa-zionismo religioso. A questo riguardo è emerso il diffuso utilizzodi forme associative non religiose anche per lo svolgimento difunzioni cultuali, questo sia “per la diffusa mancanza di cono-scenza delle normative italiane in materia di associazionismoreligioso, sia per i timori che nell’attuale contesto socialemanifestare apertamente un’identità religiosa musulmanapossa determinare un rifiuto o un imbarazzo nel riconosci-mento da parte della Pubblica Amministrazione”. Si è alloramanifestata l’esigenza di un riconoscimento delle associazionimusulmane come associazioni religiose in condizione di paridignità con quanto avviene per le altre comunità religiose,accompagnata dal duplice impegno di definire anche nelleforme associative più comuni statuti trasparenti, esprimenti lareligiosità delle finalità, e di promuovere una maggiore collabo-razione con gli enti locali in materia di sicurezza, integrazionee partecipazione civica. In verità moschee, imam e associazionisono solo alcuni dei numerosi temi approfonditi dal Fidr. Altrisono stati oggetto di dibattito e di esame condiviso: i problemipratici della libertà religiosa connessi ai cimiteri (sepolturaislamica), gli ospedali e le carceri (assistenza spirituale edieta alimentare halal) o, ancora, le problematiche interculturalidell’integrazione nelle scuole e quelle dei rapporti con le istitu-zioni locali, per non parlare dei rapporti fra media e mondomusulmano.

Il Fidr ha invece escluso deliberatamente dai programmi diformazione ogni profilo e richiamo agli aspetti e ai contenutipropriamente teologici, concentrandosi esclusivamente sui temidell’educazione all’intercultura e al pluralismo. Collocandosisu tale piano il corso ha condotto i partecipanti a porsi qualimembri attivi della società italiana e a riconsiderare le diverseproblematiche incrociate nella quotidianità di un contestolaico e plurale, affrontandole con nuovi strumenti.

Dopo due anni di attività qual è il bilancio che si può trarreda questo progetto? Intanto i corsisti – provenienti soprattuttodal Nord Italia – hanno manifestato la propria soddisfazione eil proprio desiderio di approfondire in futuro argomenti specificiconnessi alla famiglia, ai rapporti di genere e generazionali e aldialogo interreligioso. Inoltre, essi hanno espresso il desideriodi un più ampio e solido riconoscimento dell’Islam in Italia. Inquesto senso hanno espresso l’auspicio che in futuro maturiuna più forte collaborazione tra i leader di alcune delle più

Una delle esigenze emerse è quella del riconosci-mento delle associazioni musulmane come “religiose”,in condizioni di pari dignitàcon quanto avviene per le altre comunitàe con statuti trasparenti,specie in temadi religiosità delle loro finalità

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Il progetto “Nuove presenze religiose”

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importanti organizzazioni islamiche nazionali. Tale istanza è stataavanzata a Gulshan Antivalle, Comunità ismailita italiana; El-ZirIzzedine, Unione delle comunità e organizzazioni islamichein Italia; Abdelaziz Khounati, Unione musulmani italiani; YahyaPallavicini, Comunità religiosa islamica italiana; e AbdellahRedouane, Centro islamico culturale d’Italia, tutti intervenutialla tavola rotonda organizzata in occasione dell’ultimo incontrodel corso nel dicembre 2010 dedicata al “ruolo delle associazioniislamiche in Italia. Tra visibilità politico-istituzionale e rappre-sentanza dei musulmani”. Interessante al riguardo la risposta,espressa da Yahya Pallavicini, di costituire un coordinamentonazionale delle realtà musulmane del Paese.

Tuttavia, a prescindere da queste importanti manifestazionidi intenti, i partecipanti hanno già iniziato ad attivarsi autonoma-mente programmando incontri formativi all’interno delle propriecomunità religiose con lo scopo di diffondere le conoscenzeacquisite durante il corso. A ciò si aggiunga il riconoscimentogiunto al corso dal Comitato per l’Islam italiano che, nel pareresugli imam, ha segnalato il progetto come buona pratica dariprodurre e ripetere in altre parti d’Italia in quanto capace dicoinvolgere il mondo musulmano in un percorso di valorizzazionedelle identità culturali e religiose consentendo un’armoniosaconvivenza nel rispetto di una logica pluralistica.

L’auspicio è che la fiducia e la collaborazione tra tutti i prota-gonisti (università, Ministero e associazioni musulmane) chehanno contraddistinto l’avvio del progetto non vadano disperse.Per quanto spetta alle università esse fanno ancora una voltaproprio l’invito dei partecipanti al corso a che “Nuove presenzereligiose in Italia. Un percorso di integrazione” possa qualificarsiin maniera sempre più efficace ed articolata, favorendo così,grazie alla effettiva collaborazione del ministero dell’Interno,la piena integrazione, la piena partecipazione civica, deimusulmani in Italia.

Il progetto è stato riconosciuto dal Comitato per l’Islam italiano come buona pratica da riproporre in altre parti del Paese

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fra paure e coraggio

di Claudio SiniscalchiDocente Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta)

Il villaggio di cartone, recente film di Ermanno Olmi, pretesto per un viaggio nella storia della “settima arte”. La finzione cinematografica è unmezzo al servizio della rappresentazione sociale:può servire per cause giuste o sbagliate

Giovanni Paolo II il 15 settembre del 1987 si recò a Hollywood.Lì tenne un discorso molto lungo e articolato sull’importanzadel cinema. Rileggendo quel testo si nota la benevola predispo-sizione del Pontefice, l’interesse per la materia, la speranza diseminare la buona novella. Non poteva certo sapere che proprioda lì sarebbe arrivata, nel venticinquennio successivo, un’insidiosae incessante opera di denigrazione della Chiesa cattolica.

Il cinema è uno strumento sin troppo pericoloso se finiscenelle mani sbagliate. Non a caso i dittatori amano il cinema.Lenin considerava la cinematografia il treno della rivoluzione

bolscevica e una volta affermò: “è l’arte piùforte”. Mussolini, per non essergli da meno,scrisse di suo pugno: “è l’arma più forte”. Ilpotentissimo dottor Joseph Paul Goebbels,capo della propaganda del Terzo Reich,adorava il cinema e lo comandava con manoferrea. Aveva per vocazione la letteratura.Poi ripiegò sul giornalismo politico. Infinescoprì il fascino misterioso e onnipotentedella celluloide. Abbandonò ogni velleità

artistica e si gettò a capofitto nel cinema. I maligni sostenevanoa causa delle attrici. Verità soltanto parziale, giacché Goebbelsaveva ben inteso l’importanza delle immagini di finzione a finipropagandistici. Insomma, per farla breve, la pellicola esercitaun richiamo irresistibile per i dittatori.

Il cinema di finzione ha un potere straordinario: può ricostruire,quando gli riesce, un’accettabile e veritiera misura del tempo

Il cinema è uno strumento pericoloso se finisce nelle mani sbagliate; non a caso i dittatori amano il cinema,ad esempio Lenin lo definì “l’arte più forte”

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passato e di uomini realmente vissuti. “Nel XIX secolo la storiaprende il posto di Dio nell’onnipotenza sui destini dell’umanità,ma è solo nel XX secolo che appaiono le follie politiche nate daquesta sostituzione”. Così si esprime in una pagina illuminantelo storico François Furet in un libro straordinario, imponente elucidissima lettura del Novecento filtrato attraverso il fascinoesercitato dall’idea di rivoluzione (Il passato di un’illusione.L’idea comunista nel XX secolo, Mondadori, 1996).

Il cinema – le immagini in movimento – nel primo ventenniodel Novecento assume la funzione di strumento di espressionee provocazione artistica delle avanguardie. Futuristi, espres-sionisti, dadaisti e surrealisti intendono le immagini come un

pugno nello stomaco da sferrare alle conven-zioni dell’arte borghese del proprio tempo.Nel decennio successivo la “settima arte” sipone al servizio della rivoluzione, diventandoformidabile arma di comunicazione e propa-ganda dei regimi totalitari. L’arte nuova natadal sogno dei fratelli Lumière diviene così,in un brevissimo arco di tempo, il migliorestrumento per raccontare il XX secolo. Sel’Ottocento è racchiuso nelle grandi opere

della letteratura, il Novecento invece è tutto condensato nei testifilmici, vera e unica forma di arte universale.

Portando alle estreme conseguenze questo ragionamento,il cinema può essere considerato una “fonte della storia”. Una“fonte” che non raffigura necessariamente la società che intenderappresentare, ma ciò che la società reputa debba essererappresentato. Per questa ragione il film di finzione, dando vitaa una fruizione di massa, finisce per avere un ruolo importan-tissimo, altrimenti la rappresentazione del sociale rimarrebbelimitata al terreno delle immagini legate alla cronaca. Il cinema,da questa angolazione, si trasforma in utile strumento della“rappresentazione del sociale”. Ma va ricordato sempre che leimmagini non sono la realtà, ma un modo di interpretare la realtà.Per ovvie ragioni, il cinema non può essere considerato l’unica“fonte” di comprensione della storia contemporanea, ma è una“fonte” da integrare alle altre tradizionali, un documento in gradodi definire con maggiore profondità e ricchezza di aspetti laconoscenza di una specifica realtà storica.

Nell’ultimo quarantennio, nella cultura occidentale, si è assistitoa un processo di “indebolimento”, che ha privato i sistemi eticidi fondamenti certi, rendendoli mutevoli, soggetti a ogni tipo direvisione in base ai più disparati punti di vista. Non si è mai

La Settima arte, prima mezzodi provocazione artistica delle avanguardie, poi al servizio della rivoluzione,come formidabile arma di comunicazione e propaganda

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parlato così tanto di etica. Eppure un così ampio e diversificatodiscorso è coinciso di fatto con la progressiva affermazionedel “relativismo etico”. Anche la filosofia contemporanea, in largamisura marcata da una visione anti-metafisica, ha trovatouna nuova legittimazione nell’etica, come risposta morale alleproblematiche poste dal mondo della tecnica. A questa tendenzasi riferiva il teologo Joseph Ratzinger in un’opera di portataepocale apparsa nel 1969. Osservava Ratzinger come l’ideache “l’etica sia, in fin dei conti, ingiustificabile è un concettoche si sta diffondendo e che inizia ad avere un certo impatto.Sul tema dell’etica si sprecano fiumi di inchiostro, un fenomenoche, da un lato, testimonia dell’attualità del problema e, dall’altro,dimostra la confusione imperante attorno a noi in questomomento. Nel suo percorso filosofico Kolakowski ha richiamatomolto energicamente l’attenzione sul fatto che la cancellazionedella fede in Dio, gira e rigira, finisce per togliere fondamentoall’etica” (Introduzione al cristianesimo, Queriniana, 2005).Queste lontane parole non hanno perso nulla del loro originariosignificato: anzi, rimangono ancora oggi di bruciante attualità.

Se c’è un aspetto che salta agli occhi nel cinema contem-poraneo, in quello europeo come in quello americano, èl’“indebolimento” del sistema valoriale etico che lo sorregge.

In un libro di qualche anno fa MichaelMedved, critico del New York Post, fece moltorumore negli ambienti delle produzionihollywoodiane. Già dal titolo Medved erasin troppo esplicito: Hollywood vs. America(Harper Collins, 1992). A suo avviso l’universodella celluloide spandeva a piene mani ilveleno della decristianizzazione, attaccandoalle fondamenta la società americana,aggredendo in special modo la religione e la

famiglia, ed esaltando i valori della solitudine, dell’emarginazionee della violenza. Per riprendere il titolo di un altro libro che haavuto un forte impatto nel dibattito culturale statunitense, il nuovoanti-cattolicesimo galoppa irrefrenabile. L’autore del saggio(The New Anti-Catholicism. The Last Acceptable Prejudice,Oxford University Press 2003), lo storico delle religioni PhilipJenkins, scrutava nel cinema (e nei media) un puntello essenzialedella retorica anti-cattolica. Medved denunciava la tendenzain film spettacolari e violenti, come l’esaltazione addiritturapremiata con l’Oscar del serial killer de Il silenzio degli innocenti(1991) di Jonathan Demme. Jenkins invece affrontava filmdi chiarissima ispirazione anti-cattolica, da L’ultima tentazione

L’aspetto che più risalta nel cinema contemporaneo,in quello europeo come in quello americano,è l’indebolimento del sistemavaloriale etico che lo sorregge

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di Cristo (1989) di Martin Scorsese a Stigmate di RupertWainwright (1999), senza dimenticare Il Padrino III (1990) diFrancis Ford Coppola.

Nella prima parte del Novecento è stata combattuta unabattaglia ideologica e convenzionale, attraverso lo spiritodistruttore del totalitarismo. Nella seconda metà la guerra èdiventata mediatica, globalizzata e ipermoderna. Ma alloral’universo cinematografico richiama soltanto uno scenarioapocalittico? Questo è solo un lato del problema. I film di finzione,come ogni strumento della tecnologia finito nelle mani degliuomini, possono servire per una causa giusta o per una sbagliata.Con la stessa pellicola e gli stessi attori si può fare un film chedenuncia il pericolo dell’immigrazione o il suo contrario; chedenuncia il pericolo dell’islamizzazione dell’Occidente o il suocontrario; il pericolo della funzione della religione nella odiernavita nelle società laiche o il suo contrario.

Il cinema, essendo un mezzo della tecnica, è neutro. Sonogli uomini a riempirlo di significati. E poi non basta, giacché lafinzione cinematografica è simile a una bomba: deve esplodere.I film che nessuno vede sono come gli ordigni inesplosi. Magarirestano sepolti, per anni, in attesa. Vengono lanciati in un conflitto,ma nessuno ne avverte la portata distruttiva. Un giorno, poi, conritardo possono far danni, senza nessun avviso; oppure vengono

fatti brillare senza pericolo; oppure ancorasi eclissano per sempre. Finita la secondaguerra mondiale, ad esempio, gli americanicontinuarono a bombardare incessantementel’intero Occidente: Roma, Parigi, Londra, Berlino,Vienna. Ma usavano le “bombe intelligenti”,i film di finzione. Bombardarono a tappeto,ogni giorno in dosi massicce. E il risultato fusorprendente e per nulla distruttivo: l’ameri-canizzazione dell’Occidente. Ciò avvenne

dolcemente, attraverso la persuasione del consumismo e dellamitologia prodotta dalla celluloide. I colonizzati – le popola-zioni bombardate dolcemente – aprivano volentieri le porte aicolonizzatori.

Se vogliamo trovare un esempio della forza evocativa dellostile di vita americano riprodotto dal cinema, ce n’è uno moltoesplicito nel romanzo di Pier Paolo Pasolini Amado mio, compostotra il 1947 e il 1950. Il protagonista, innamorato di un ragazzo,una sera decide di andare a vedere un film, insieme al suo“amato”. Il film è Gilda (1945) di Charles Vidor, interpretato daRita Hayworth. I due lo vedono al cinema estivo di Caorle.

Il cinema, essendo un mezzo della tecnica, è neutro,sono gli uomini a riempirlo di significati, anche esplosivi.I film che nessuno vede sonocome ordigni inesplosi

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Ecco cosa scrive Pasolini: “Poi si spensero le luci, ed ebbeinizio quello che avrebbe dovuto essere il più bel film visto daDesiderio. Davanti a Gilda qualcosa di stupendamente comuneinvase tutti gli spettatori. La musica della canzone, Amadomio, era devastante (…) Rita Hayworth con il suo immensocorpo, il suo sorriso e il suo seno di sorella e di prostituta –equivoca e angelica, stupida e misteriosa, con quello sguardodi miope freddo e tenero fino al languore – cantava dal profondodella sua America latina da dopoguerra, da romanzo-fiume,con un’inespressività divinamente carezzevole” (Amado mio,Garzanti, 1982).

Per capire l’americanizzazione dell’Occidente è difficiletrovare un esempio migliore. Le nuove armi dell’impero, essendo

di celluloide, non fanno danni all’atto dell’e-splosione; non distruggono tutto come labomba atomica (Rita Hayworth venne ribat-tezzata, come è noto, l’“atomica”). Dovendoinnovare la cultura del consumatore, perconquistare il mercato europeo, lo strumentomigliore diventa l’impiego di “bombe intelli-genti”. “Nel 1946 – ricorda Victoria De Grazia –le vecchie colonne per l’affissione pubblicitariadi tutta l’Europa occidentale erano state

tappezzate con i manifesti della divina Rita Hayworth, star di‘Gilda’; quella storia di frodi, tradimenti e corruzione tra americaniespatriati era così cinica e la figura di Gilda così spavalda nelsuo comportamento incosciente, che il film fu messo all’indice”(L’impero irresistibile. La società dei consumi americana allaconquista del mondo, Einaudi, 2005). Ma nessuna censura,americana o europea, fu in grado di mettere sotto tutela ilpotere della seduzione esercitata dal cinema.

Prendiamo l’ultimo film di Ermanno Olmi Il villaggio di cartone,i cui protagonisti sono i derelitti migranti dalla pelle scura. Unpovero e vecchio parroco assiste impotente alla spoliazione degliarredi sacri della sua chiesa. I fedeli che un tempo gremivanolo spazio sacro sono svaniti. Quindi si chiudono i battenti. Ilgrande crocifisso posto in alto, al di sopra dell’altare, viene fattoscendere in terra, impacchettato e riposto in una cassa, daaccatastare nel magazzino polveroso del passato. La messa èdavvero finita. Sul vecchio sacerdote cala all’improvviso ladisperazione. Avverte vivissima e bruciante l’approssimarsi dellafine. Dolore, disperazione, impotenza. Splendida visualizzazionedi una condizione temporale. Il tempo della desertificazionedello spazio religioso, che sta riempiendo di metastasi, almeno

Nell’ultimo film di Ermanno Olmi sono protagonisti migranti dalla pelle scura e un parroco coraggioso che sfida leggi e autorità accogliendoli nella sua chiesa

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dalla seconda metà degli anni Sessanta del secolo passato,il corpo del cristianesimo occidentale. Nella chiesa spogliatadei sacri arredi trova immediatamente riparo un nutrito gruppodi clandestini, arrivati dopo un viaggio in mare periglioso, e intransito verso la Francia. Inaspettatamente il vecchio sacerdotescopre il significato autentico del sacerdozio (fino ad ora maiprovato), e apprende anche quanto il mondo sia diventato ingiustoe vigliacco, poiché scaglia leggi odiose, rifiuto, disprezzo epersecuzione contro i poveri fuggitivi. Nelle ormai inutili muradi recinzione di una brutta chiesa di cemento, sorge il villaggiodi cartone.

Da questo punto il film si trasforma in una sorta di teatrobrechtiano, con il bene e il male separati con l’accetta. Fuori sonoraffiche di mitra, elicotteri in volo, sirene spiegate, movimentie luci di segugi armati e grida di aiuto. La Legge dei forti staassediando i deboli al riparo nella casa di Dio. Anche fra i buonic’è di tutto: prostitute dal cuore grande, fanatici della religione,kamikaze, saggi e colti, padri di famiglia, atei e devoti, sciacalliche approfittano delle debolezze dei propri fratelli. C’è chi

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ama l’intera umanità e chi invece ne disprezza una parte accu-sandola di avergli rubato il presente. Il vecchio sacerdote è ilsolo a difendere il branco dei disperati. Lo ha persino tradito,come Caino, il fedele sacrestano d’un tempo. I medici dell’o-spedale sono delatori. Meglio rivolgersi allora al medico delluogo, scampato da bambino al campo di sterminio. Lui cura ibisognosi e non bada al colore della pelle o alla condizione diclandestinità.

Olmi non ha dubbi: più delle fede può il bene. Concludeil film una riflessione sulla necessità che gliuomini debbano cambiare il corso dellaStoria altrimenti sarà la Storia a cambiaregli uomini. Del film il cardinale GianfrancoRavasi (amico e consulente di Olmi per il filminsieme a Claudio Magris) ha detto: “È unaforte ed emozionante parabola con una nettaimpronta umana e civile ma anche con iride-scenze cristologiche (…) ogni film di Olmi eogni sua ricerca sono simili a una spada di

luce che trapassa l’epidermide della storia per coglierne lacarne e scendere fino al midollo delle ossa” (L’OsservatoreRomano, 24 luglio 2011).

Il villaggio di cartone ha richiamato numerosi commenti,equamente divisi tra favorevoli e contrari. Per alcuni il contenutoè profetico, per altri mistificatorio. Sarà il tempo che darà lagiusta dimensione del valore sociale del film di Olmi. Gli spettatorinon hanno preso minimamente in considerazione l’opera. Labomba cioè non è deflagrata. A pochissimi interessano dunquele problematiche trattate da Olmi. E questo è il dato piùpreoccupante. La società italiana reputa la grande tematicadell’immigrazione un fastidioso dettaglio. Un passaggio epocale,perlopiù sgradevole, che il tempo prima o poi farà rientrare.Più che sui commenti favorevoli o contrari, bisognerebbe rifletteresull’inconsistenza e il disinteresse sociale suscitati da Il villaggiodi cartone.

Più della fede può il bene.Il film riflette sulla necessitàche gli uomini cambino il corso della Storia,altrimenti sarà quest’ultimaa cambiare loro

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Un progetto ambizioso, difficile, perché tali sono i tentatividi divulgare e rendere semplice una storia complessa comequella del nostro Paese. Ma anche uno strumento importanteda mettere a disposizione di chi ha bisogno e piacere diconoscere la nostra lingua e la nostra storia, che arrivaproprio mentre l’Italia celebra i suoi primi 150 anni.

Cortissima STORIADITALIA propone per la prima voltauna sintesi testuale e audiovisiva degli anni dell’Unità italiana.Una sintesi “multimediale” – un libro e un video – pensatasoprattutto come agile strumento di formazione e informa-zione per i milioni di uomini e donne provenienti da altriPaesi che vivono e lavorano e studiano in Italia, i “nuoviitaliani”, ma anche per quella parte di nostri connazionaliche vive all’estero e, soprattutto nelle generazioni più giovani,non ha avuto modo di conoscere e di studiare la storiadella patria d’origine. Senza contare che questa storiad’Italia in breve, per lo stile chiaro e semplice con cui èrealizzata, può rappresentare un utile compendio ancheper tutti i nostri concittadini (adulti, giovani, adolescenti,anziani) che vogliono imparare o ricordare i passaggiprincipali della storia unitaria.

Nei prossimi mesi e anni, con l’entrata in vigore del nuovoAccordo di integrazione, in tutta Italia aumenteranno perlegge i corsi di italiano abbinati a momenti di informazionecivica sulla storia e sulla Costituzione: Cortissima STORIA-DITALIA sarà un possibile supporto didattico a questeattività. Nel libro, i 10 capitoli-racconti, illustrati a colori, nonriguardano solamente la politica ma i fatti più importanti esignificativi di ordine sociale, culturale, economico, artistico,sportivo. Il linguaggio usato è fatto di parole, immagini,disegni, fotografie, legati da un testo semplice, essenziale,comprensibile ai più. Ai capitoli si aggiunge un’utileappendice con la Costituzione italiana. Il video, a suavolta, è composto da 10 puntate brevi di 8 minuti l’una,corrispondenti alle 10 fasi storiche proposte dal libro. Ognipuntata è realizzata con una modalità e uno stile cheesprimono di volta in volta l’epoca storica raccontata,rielaborando immagini, oggetti e materiali caratteristici delperiodo.

L’autore, Gianguido Palumbo è consulente in comunica-zione e cooperazione internazionale e per la realizzazione

CortissimaSTORIADITALIAdi Gianguido Pagi PalumboEdiesse, 2011

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Al Wasit - La lingua italiana per arabofoni di Abrah MalikEdiesse, 2011

ha coinvolto Giacomo Verde, video-artista impegnato da anniin una sperimentazione che intreccia teatro, cinema d’ani-mazione e videoarte, con una particolare sensibilità didatticae una lunga esperienza nelle scuole e nelle università.

“Al Wasit” è una espressione araba che in italiano ètraducibile come “La via per”. Un percorso, dunque, unitinerario. In questo caso, un viaggio verso la conoscenzadella lingua italiana. Questo volume di 420 pagine non èsoltanto un originalissimo manuale di lingua italiana pertutti gli arabofoni – e infatti si rivolge in primo luogo agliarabi presenti in Italia, o anche all’estero, che intendonoimparare la lingua italiana in modo corretto e compiuto –ma rappresenta innanzitutto un ponte tra due culture ingrado di accrescere il dialogo euro mediterraneo, nel solcodel “Progetto di solidarietà per l’università di Nassiriya”promosso dall’associazione Il Campo.

La biografia dell’autore, Abrah Malik, è una perfettatestimonianza di come questo ponte possa funzionare:poeta e scrittore, Malik è nato a Baghdad dove ha lavoratocome giornalista, ma attualmente vive in Italia dove insegnapresso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’università deglistudi di Napoli “L’Orientale”.

L’opera si compone di due volumi, di un fascicolo e diun Cd audio-video, tutti raccolti in una apposita custodia.Il primo volume, partendo dall’alfabeto, prende in esamela grammatica italiana e ne illustra le regole che sovrin-tendono alla costruzione del periodo. Nel secondo volumesono invece contenute: una storia della lingua italianadalle origini a oggi; un taccuino storico economico, untaccuino sociale geografico e un taccuino linguistico delnostro Paese; l’illustrazione della coniugazione dei verbiregolari e irregolari. Il fascicolo raccoglie in 12 tavolesinottiche i contenuti dell’opera, mentre nel Cd sono conte-nute le lezioni che accompagnano l’apprendimento dellalingua italiana supportate, oltre che dal sonoro, anche damateriale scritto.

Per struttura e completezza si tratta di un’opera unicanel panorama italiano, utile per gli arabofoni, che neiprossimi mesi dovranno affrontare i test di lingua italianaprevisti dal nuovo Accordo sull’integrazione, ma ancheper gli italiani che vogliono approfondire la conoscenzadella lingua araba. L’ambizione è quella di far circolareuno strumento attraverso cui l’Italia può tornare ad essereun riferimento culturale importante per tutti gli arabi chearrivano nel nostro Paese, un luogo d’accoglienza in cuifinalmente valorizzare le affinità, anziché le differenze.

a cura di Stefania NassoDoc

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Consigli territorialiper l’immigrazione:i dati sull’attivitànel quarto Rapporto

IntroduzioneNel settembre 2011 è stato pubblicato dal dipartimento per

le Libertà civili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno ilquarto Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immi-grazione riferito all’anno 2009. Il rapporto raccoglie e aggregale informazioni qualitative e quantitative ricevute dai 103 Consigliterritoriali che rilevano, a livello provinciale, dati riguardantigli indicatori socio-economici sul fenomeno dell’immigrazioneregolare nel territorio (lavoro, alloggio, salute, istruzione, minori,scuola, servizi assistenziali, cultura, associazionismo, fenomenidi devianza) e le iniziative e i progetti attuati da istituzioni e daorganizzazioni private a sostegno delle politiche di integrazione.

Rispetto a quanto rilevato per gli anni precedenti, il rapporto2009 descrive un quadro del fenomeno immigrazione in corsodi maturazione e di consolidamento, con una generale tendenzaal passaggio da fenomeni propri dei primi ingressi a fenomenipropri di un progressivo radicamento delle comunità stranieresul territorio nazionale, seppure con evidenti squilibri fra Norde Sud. Tale evoluzione del fenomeno immigrazione appareaccompagnata da una parallela evoluzione e maturazione deiservizi offerti dalle istituzioni, in modo da rispondere in modoadeguato alla domanda di servizio sia in termini qualitativi,sia in termini quantitativi.

Al fine di inquadrare in modo corretto l’ambito e i limiti delleinformazioni di seguito fornite, è necessario precisare che i datidi seguito riportati riguardano essenzialmente il fenomenodell’immigrazione regolare nell’anno 2009 riguardante cittadiniextracomunitari (ovvero cittadini di Paesi non appartenentiall’Unione Europea), così come comunicati, attraverso la retedei Consigli territoriali, dalle diverse istituzioni operanti sulterritorio. I dati contenuti nel rapporto, infatti, sono frutto dellafunzione svolta dai Consigli territoriali in qualità di organismidi coordinamento e di impulso sia degli enti titolari sul territoriodelle specifiche competenze in materia di erogazione di servizi

di Enrico MelisConsulente del dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno

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Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

di interesse, sia dei soggetti pubblici e privati (associazioni dicategoria, associazioni di stranieri, organizzazioni no profit) avario titolo coinvolti nelle problematiche dell’immigrazione. È daevidenziare, in questo ambito, il numero crescente di riunionitenute dai Consigli territoriali per analizzare dal punto di vistaquali-quantitativo il fenomeno immigratorio sul loro territorio,per individuare le criticità e la domanda di servizi che da essoemergono e per promuovere e monitorare un ampio spettro diinterventi volti a migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’azionedi tutti gli attori pubblici e privati operanti in questo settore.

È inoltre da sottolineare che, con l’intento di potenziare larete di cooperazione dei diversi attori operanti sul territorio,l’Autorità responsabile del fondo Fei – dipartimento per le Libertàcivili e l’Immigrazione, direzione centrale per le Politiche dell’im-migrazione e dell’asilo – ha inoltre attivato una forma permanentedi dialogo con regioni e Consigli territoriali, per disporre di unquadro condiviso che rispecchi i diversi bisogni espressi dalleprovince nel territorio regionale, con l’intento di adeguare laprogrammazione del fondo alle esigenze espresse dal territorio.Il Rapporto, in quest’ottica, è una fotografia del fenomenoimmigrazione annualmente prodotta dalla rete dei Consigliterritoriali e messa a disposizione dei medesimi a fini di cono-scenza e di programmazione degli interventi.

È infine da sottolineare che la stesura del presenteRapporto ha potuto giovarsi di una completa informatizzazionedel processo di raccolta ed elaborazione dei dati. Infatti, iConsigli territoriali, per l’anno 2009, hanno potuto caricare einoltrare al Dipartimento i dati oggetto di rilevazione in modalitàtotalmente on line, mediante un sito web appositamente fornitodal Ministero. Tale applicazione informatica ha inoltre permessola pre-elaborazione automatica delle aggregazioni statistichealla base del presente Rapporto.

La fonte di tutte le tabelle e dei grafici che seguono è larilevazione dei Consigli territoriali per l’immigrazione.

La popolazione extracomunitaria residenteAlla data del 1 gennaio 2010 1, secondo i dati Istat, risiedevano

sul territorio nazionale 2.943.501 cittadini extracomunitari, parial 4,9%, dell’intera popolazione residente. È bene precisare che,alla stessa data, risiedevano sul territorio nazionale 1.291.558

1 Ai fini di parametrare i dati del rapporto si assume come riferimento l’anno 2009.Sul sito dell ' Istat sono disponibi l i i dati aggiornati r iguardanti la popolazionestraniera residente

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Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

cittadini stranieri comunitari (cittadini di Paesi appartenentiall’UE), pari a un ulteriore 2,1% dell’intera popolazione residente.

I cittadini extracomunitari risultavano concentrati per l’84%nelle regioni del Centro-Nord d’Italia (Lombardia 17,8%, Lazio13,9%, Emilia-Romagna13,3%, Veneto 13,2%) e presenti soloper il 16% nel Sud del Paese.

Le regioni del Centro-Nord (dall’8,9% dell’Emilia-Romagna,al Friuli-Venezia Giulia, al Lazio, al Trentino-Alto Adige e al Veneto)sono anche quelle che hanno fatto registrare la maggiore incidenzadi popolazione extracomunitaria in rapporto al totale dei cittadini.

Al riguardo si segnalano le alte percentuali di stranieri rilevatea Brescia (11,7%), Mantova (10,2%), Prato (11%), Ravenna(10,4%), Reggio Emilia (10,9%) e Treviso (11,2%). Di contro, intutte le regioni del Sud l’incidenza rilevata è inferiore al 2%.

Di seguito sono riportate in forma grafica le percentualidelle ultime due colonne della tabella 1.

Abruzzo 32.852 34.891 67.743 1.338.898 5,1% 2,3%Basilicata 3.123 3.514 6.637 588.879 1,1% 0,2%Calabria 13.431 13.975 32.665 2.009.330 1,6% 1,1%Campania 42.069 62.978 105.047 5.824.662 1,8% 3,6%Emilia-Romagna 196.079 194.299 390.378 4.395.569 8,9% 13,3%Friuli-Venezia Giulia 44.527 42.558 87.085 1.234.079 7,1% 3,0%Lazio 176.381 205.197 410.132 5.681.868 7,2% 13,9%Liguria 36.011 39.250 92.175 1.615.986 5,7% 3,1%Lombardia 272.123 235.197 522.938 9.826.141 5,3% 17,8%Marche 38.602 37.713 105.915 1.559.542 6,8% 3,6%Molise 1.676 1.889 3.565 320.229 1,1% 0,1%Piemonte 73.343 76.071 217.656 4.446.230 4,9% 7,4%Puglia 30.300 26.755 57.055 4.084.035 1,4% 1,9%Sardegna 12.360 12.292 24.652 1.672.404 1,5% 0,8%Sicilia 32.929 24.778 78.726 5.042.992 1,6% 2,7%Toscana 107.833 106.316 214.167 3.730.130 5,7% 7,3%Trentino-Alto Adige 35.339 37.171 72.510 1.028.260 7,1% 2,5%Umbria 30.310 31.047 61.357 900.790 6,8% 2,1%Valle d’Aosta 2.772 2.882 5.654 127.866 4,4% 0,2%Veneto 201.657 185.787 387.444 4.912.438 7,9% 13,2%Totale 1.383.717 1.374.560 2.943.501 60.340.328 4,9% 100,0%

Regione Extra- Extra- Totale Totale % extra- % extra-comunutari comunutari extra- residenti comunitari comunitari

uomini donne comunitari su totale su totaleresidenti nazionale

extra-comunitari

Residenti in regione

Tabella 1. Rilevazione Consigli terr itor iali per l ’ immigrazione 2009 - Popolazione residente

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154 2 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

Nazionalità prevalenti nella popolazione extracomunitaria residente nelle diverse regioni italiane

AlbaniaMaroccoUcrainaFilippineEcuadorTunisia

Distribuzione della popolazione extracomunitaria nelle diverse regioni italiane nel 2009

% extracomunitari su totale residenti % extracomunitari su totale nazionaleextracomunitari

Fonte: dati Istat 2010

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Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

Permessi di soggiorno delle diverse tipologie rilasciati nel 2007, 2008 e 2009

20082007 2009

Come già osservato nel 2007 e nel 2008, gli albanesi preval-gono nelle regioni adriatiche e nel Centro Italia, i marocchininel Nord, in Calabria e in Sardegna. Si notano inoltre presenzerilevanti di cittadini delle Filippine nel Lazio, dell’Ucraina inCampania, dell’Ecuador in Liguria e di tunisini in Sicilia.

In 41 province italiane (rispetto alle 44 del 2008) la nazionalitàpiù presente è quella albanese; in 32 province (come nel 2008)quella marocchina. Gli ucraini rappresentano la maggioranzastraniera ad Avellino, Benevento, Cagliari, Caserta, Napoli,Salerno e Verbano Cusio Ossola; gli indiani a Cremona, Latinae Mantova e i cinesi a Firenze, Prato e Rovigo.

I permessi di soggiorno rilasciatiNel 2009, secondo i dati pervenuti, sono stati concessi

1.758.245 permessi di soggiorno (in aumento del 15,3% rispettoal 2008), prevalentemente per lavoro subordinato (52%) e permotivi familiari (36%).

Il 90,3% dei permessi di soggiorno è stato rilasciato nelleregioni del Centro-Nord, in particolare in Lombardia (31%), inEmilia-Romagna(9,1%) e in Veneto (8,7%). Le province che hannorilasciato il maggiore numero di permessi di soggiorno sonostate Milano (18,3%), Roma (6,1%), Torino (4,1%) e Bergamo(3,9%). La ripartizione dei permessi di soggiorno rilasciati persesso del richiedente è passata da una maggiore incidenza

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156 2 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

di donne osservata nel 2008 a una maggiore incidenza diuomini nel 2009 (51% del totale).

Permessi di soggiorno rilasciati nel 2009

796.785; 52%

143.103; 9%

40.741; 3%

551.450; 36%

7.328; 0%

Lavoro subordinatoLavoro autonomoMotivi familiariStudioAltro

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1572 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

Abruzzo 16.655 869 9.964 1.498 46 40.602 59,9% 2,3%Basilicata 2.680 240 1.541 76 19 5.210 78,5% 0,3%Calabria 8.479 3.071 7.686 480 92 23.746 72,7% 1,4%Campania 36.105 5.237 15.329 867 199 63.713 60,7% 3,6%Emilia-Romagna 117.457 12.450 74.819 3.453 744 159.235 40,8% 9,1%Friuli-Venezia Giulia 26.138 2.884 19.460 1.559 103 52.705 60,5% 3,0%Lazio 16.956 40.446 20.664 7.701 1.145 131.649 32,1% 7,5%Lliguria 28.400 4.009 17.883 2.005 400 56.251 61,0% 3,2%Lombardia 223.890 25.745 157.584 6.367 734 545.154 104,2% 31,0%Marche 38.559 4.249 31.850 628 78 77.842 73,5% 4,4%Molise 1.139 203 899 71 724 2.312 64,9% 0,1%Piemonte 56.378 9.541 48.254 3.294 504 133.457 61,3% 7,6%Piglia 8.321 2.324 6.922 339 188 23.793 41,7% 1,4%Sardegna 4.057 2.143 2.582 316 83 9.853 40,0% 0,6%Sicilia 19.426 4.174 14.366 490 191 43.364 55,1% 2,5%Toscana 77.365 14.040 46.984 6.220 549 149.371 69,7% 8,5%Trentino-Alto Adige 22.963 1.827 14.340 1.315 226 44.351 61,2% 2,5%Umbria 20.368 2.360 14.667 1.103 14 39.091 63,7% 2,2%Valle d’Aosta 1.199 85 947 166 2 2.708 47,9% 0,2%Veneto 70.250 7.206 44.709 2.793 1.287 153.838 39,7% 8,7%Totale 796.785 143.103 551.450 40.741 7.328 1.758.245 59,7% 100,0%

Regione

Tabella 2. Permessi di soggiorno r i lasciati

% s

ull

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op

ola

zio

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extr

aco

mu

nit

aria

resi

den

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% s

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oro

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ton

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Le richieste di asilo ricevute dalle questure nel 2009 sonostate 21.429 (dati pervenuti da 100 Consigli territoriali su 103),con un calo del 12% rispetto al dato registrato nel 2008. Le istanzerisultano concentrate prevalentemente in Sicilia (31,5% con il13,6% di Caltanisetta), in Puglia (17,9% di cui ben il 17,5% aFoggia), e in Lazio (13% con il 10,9% a Roma).

Il lavoroDalla rilevazione effettuata risulta che 30 province del

Meridione e del Nord-Ovest impiegano il lavoro extracomunitariosoprattutto nel settore dell’agricoltura e che altre 12 provincedella Lombardia e della Liguria suppliscono con gli stranierialla carenza di mano d’opera nel settore dell’edilizia, caratte-rizzato in quasi tutta Italia dal ricorso alle assunzioni di immigrati.Nel Lazio e in Campania prevale l’impegno nelle attività commer-

Fonte: Creg-Tor Vergata

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Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

ciali e in Valle d’Aosta quello nel settore del turismo. Nelle isole,nel Nord-Est, in Umbria e nelle Marche è richiesto soprattuttol’aiuto nei servizi domestici.

Nel 2009 gli extracomunitari iscritti alle liste di collocamentosono indicati in 361.301 (con un decremento dell’1,5% rispetto aldato del 2008), concentrati in particolare in Campania (14,2%),Emilia-Romagna (11,2%) e Lazio (11%). Tale cifra corrispondeal 7,1% del totale nazionale degli iscritti alle liste di collocamentoe al 12,3% della popolazione extracomunitaria residente. Lapercentuale più rilevante rispetto al totale degli iscritti è segnalatain Emilia-Romagna (24%), Lombardia (19,7%), Valle d’Aosta(19%) e Trentino-Alto Adige (19%).

La Campania (48,7%), il Molise (43,2%), il Friuli-VeneziaGiulia (38,4%) e la Valle d’Aosta (32,5%) hanno la più alta

Tabella 3. Iscr izioni nelle l iste di collocamento

% extra- % extra- % extra-Regione Extra- Totale comunitari comunitari comunitari

comunitari iscritti iscritti su iscritti su iscritti suiscritti totale iscritti extracomunit. totale

residenti nazionale

Abruzzo 12.954 133.174 9,7% 19,1% 3,6%

Basilicata 1.373 104.869 1,3% 20,7% 0,4%

Calabria 3.135 125.689 2,5% 9,6% 0,9%

Campania 51.210 1.444.995 3,5% 48,7% 14,2%

Emilia-Romagna 40.294 167.845 24,0% 10,3% 11,2%

Friuli-Venezia Giulia 33.459 301.065 11,1% 38,4% 9,3%

Lazio 39.668 692.206 5,7% 9,7% 11,0%

Liguria 13.449 71.059 18,9% 14,6% 3,7%

Lombardia 28.882 146.242 19,7% 5,5% 8,0%

Marche 12.466 97.143 12,8% 11,8% 3,5%

Molise 1.539 64.736 2,4% 43,2% 0,4%

Piemonte 30.141 223.788 13,5% 13,8% 8,3%

Puglia 15.457 671.369 2,3% 27,1% 4,3%

Sardegna 2.686 185.847 1,4% 10,9% 0,7%

Sicilia 8.160 204.698 4,0% 10,4% 2,3%

Toscana 19.715 160.437 12,3% 9,2% 5,5%

Trentino-Alto Adige 1.606 8.460 19,0% 2,2% 0,4%

Umbria 3.787 23.362 16,2% 6,2% 1,0%

Valle d’Aosta 1.837 9.681 19,0% 32,5% 0,5%

Veneto 39.483 259.855 15,2% 10,2% 10,9%

Totale 361.301 5.096.520 7,1% 12,3% 100,0%

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Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

percentuale di iscrizione di extracomunitari rispetto al numerodegli extracomunitari residenti.

Con riferimento all’ambito provinciale, rispetto alle 18 provinceregistrate nel 2008, risultano 30 quelle con tasso di incidenzadel numero di extracomunitari iscritti alle liste di collocamentosul numero totale di iscritti superiore al 20% (Aosta, Asti, Avellino,Benevento, Bologna, Campobasso, Caserta, Enna, Foggia,Frosinone, Isernia, L’aquila, La Spezia, Latina, Lecce, Livorno,Massa-Carrara, Napoli, Pesaro-Urbino, Pordenone, Potenza,Reggio Calabria, Rieti, Salerno, Sassari, Siracusa, Taranto, Teramo,Torino e Trieste).

Secondo i dati comunicati dai Consigli territoriali, dalleispezioni effettuate dagli uffici preposti sul territorio sonorisultati 10.109 i lavoratori extracomunitari senza contratto (inaumento del 12,4% rispetto al 2008 e pari allo 0,3% di quelliresidenti), distribuiti per il 24,7% in Lombardia, per il 15% nelVeneto e per il 14% in Emilia-Romagna.

Confronto fra il 2008 e il 2009 delle iscrizioni di lavoratori extracomunitarialle liste di collocamento

20092008

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160 2 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

Il numero rilevato nel 2009 di vertenze sindacali avviate dalavoratori extracomunitari è stato pari a 27.356, in crescita del3% rispetto al 2008 e con una incidenza dello 0,9% sullapopolazione extracomunitaria residente. La distribuzioneregionale di questo fenomeno è mostrata nella tabellaseguente che evidenzia le percentuali, sul totale nazionale,del 22,8% in Lombardia, del 19,1% in Piemonte, e dell’11,6%in Emilia-Romagna. Rispetto al numero degli extracomunitariresidenti, in Basilicata, Molise e Piemonte si registrano piùdi 2 vertenze ogni 10 0 extracomunitari residenti.

Il numero di infortuni sul lavoro riguardanti lavoratori extra-comunitari rilevato nel 2009 è stato di 78.985 (2,7 ogni 10 0extracomunitari residenti), con una diminuzione del 4,3%rispetto all’anno precedente. Il fenomeno risulta più evidente

Ispezioni

Regione Lavoratori % su extracomunitari % su totalesenza contratto residenti nazionale

Abruzzo 64 0,1% 0,6%

Basilicata 37 0,6% 0,4%

Calabria 216 0,7% 2,1%

Campania 307 0,3% 3,0%

Emilia-Romagna 1.418 0,4% 14,0%

Friuli-Venezia Giulia 307 0,4% 3,0%

Lazio 112 0,0% 1,1%

Liguria 470 0,5% 4,6%

Lombardia 2.494 0,5% 24,7%

Marche 589 0,6% 5,8%

Molise 4 0,1% 0,0%

Piemonte 698 0,3% 6,9%

Puglia 143 0,3% 1,4%

Sardegna 170 0,7% 1,7%

Sicilia 122 0,2% 1,2%

Toscana 1.131 0,5% 11,2%

Trentino-Alto Adige 36 0,0% 0,4%

Umbria 219 0,4% 2,2%

Valle d’Aosta 52 0,9% 0,5%

Veneto 1.520 0,4% 15,0%

Totale 10.109 0,3% 100,0%

Tabella 4. Ispezioni

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1612 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

in Veneto (21,6% di cui il 5,2% a Treviso e il 5% a Vicenza),Emilia-Romagna (20,1% con il 6,2% di Bologna) e Lombardia(13,8% del totale nazionale con punte a Bergamo e Brescia).Con riferimento al numero degli extracomunitari residentinella regione, valori superiori al 5% si registrano in Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta.

Nel 2009 sono state infine contestate 32.904 violazioniamministrative e penali in materia di lavoro attinenti a lavoratoriextracomunitari, con un incremento del 63% rispetto a quantorilevato nel 2008 e con una incidenza di 11 violazioni ogni1.000 extracomunitari residenti. In Lombardia (27,1% del totalenazionale) e in Veneto (15,7%) è stato rilevato il maggiornumero di violazioni. In ambito provinciale, l’11,4% del totalenazionale delle contestazioni è stato segnalato a Potenza,seguita da Venezia con il 7%. Rispetto al numero degli extraco-munitari residenti, la Basilicata e la Valle d’Aosta presentanovalori superiori al 4%.

Abruzzo 817 1,2% 3,0% 833 1,2% 1,1%Basilicata 1.910 28,8% 7,0% 5 0,1% 0,0%Calabria 220 0,7% 0,8% 253 0,8% 0,3%Campania 1.897 1,8% 6,9% 587 0,6% 0,7%Emilia-Romagna 3.182 0,8% 11,6% 15.853 4,1% 20,1%Friuli-Venezia Giulia 861 1,0% 3,1% 2.928 3,4% 3,7%Lazio 977 0,2% 3,6% 4.813 1,2% 6,1%Liguria 1.211 1,3% 4,4% 932 1,0% 1,2%Lombardia 6.250 1,2% 22,8% 10.933 2,1% 13,8%Marche 580 0,5% 2,1% 3.652 3,4% 4,6%Molise 126 3,5% 0,5% 55 1,5% 0,1%Piemonte 5.224 2,4% 19,1% 7.012 3,2% 8,9%Puglia 147 0,3% 0,5% 1.381 2,4% 1,7%Sardegna 146 0,6% 0,5% 74 0,3% 0,1%Sicilia 433 0,6% 1,6% 1.029 1,3% 1,3%Toscana 1.050 0,5% 3,8% 3.765 1,8% 4,8%Trentino-Alto Adige 450 0,6% 1,6% 4.834 6,7% 6,1%Umbria 358 0,6% 1,3% 2.639 4,3% 3,3%Valle d’Aosta n.d. 0,0% 0,0% 334 5,9% 0,4%Veneto 1.517 0,4% 5,5% 17.073 4,4% 21,6%Totale 27.356 0,9% 100,0% 78.985 2,7% 100,0%

Regione Numero % su % sul Numero % su % sulextra- totale extra- totale

comunitari nazionale comunitari nazionaleresidenti residenti

Tabella 5. Ver tenze sindacali avviate da lavoratori extracomunitar i e infor tuni sul lavoro

Vertenze sindacali Infortuni sul lavoro

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162 2 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

La situazione alloggiativaSu base nazionale, le case popolari assegnate a cittadini

extracomunitari nel 2009 risultano pari a 11.497 (corrispondentiallo 0,4% degli extracomunitari residenti), con una diminuzionedel 44% rispetto al 2008. Il decremento di assegnazioni di casepopolari agli extracomunitari è generalizzato nelle principaliregioni italiane (con l’eccezione del Friuli-Venezia Giulia).

In relazione al numero degli extracomunitari residenti, ilFriuli-Venezia Giulia, il Piemonte, il Molise e l’Umbria hannosuperato tutte il valore dell’1% di case assegnate; le provincecon il maggior numero di alloggi concessi agli stranieri risultanoForlì-Cesena (7,4% del totale nazionale), Alessandria (7,3%),Trieste (7,3%), Bergamo (6,9%), Perugia (6,5%), Parma(6,3%), Ravenna (6,3%) e Cuneo (5,7%). Per ogni 100 stranieriresidenti,le più alte percentuali di assegnazioni si registranoa Trieste (5,9), Biella (4,7) e Alessandria (3,1).

% su extracomunitari % su totaleRegione Numero residenti nazionale

Abruzzo 123 0,2% 0,4%Basilicata 3.673 55,3% 11,4%Calabria 72 0,2% 0,2%Campania 415 0,4% 1,3%Emilia-Romagna 4.753 1,2% 14,8%Friuli-Venezia Giulia 602 0,7% 1,9%Lazio 68 0,0% 0,2%Liguria 608 0,7% 1,9%Lombardia 8.700 1,7% 27,1%Marche 1.526 1,4% 4,8%Molise 16 0,4% 0,0%Piemonte 1.244 0,6% 3,9%Puglia 199 0,3% 0,6%Sardegna 154 0,6% 0,5%Sicilia 236 0,3% 0,7%Toscana 3.658 1,7% 11,4%Trentino-Alto Adige 36 0,0% 0,1%Umbria 709 1,2% 2,2%Valle d’Aosta 266 4,7% 0,8%Veneto 5.036 1,3% 15,7%Totale 32.094 1,1% 100,0%

Tabella 6. Violazioni amministrative e penali in materia di lavoro contestate a lavoratori extracomunitari

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1632 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

Resto % su popolaz.Regione Comune della Totale extra- % su totale

capoluogo provincia provincia comunitaria nazionaleresidente

Abruzzo 1 19 20 0,0% 0,2%

Basilicata 5 9 14 0,2% 0,1%

Calabria 1 3 4 0,0% 0,0%

Campania 14 123 137 0,1% 1,2%

Emilia-Romagna 1.379 1.587 2.966 0,8% 25,8%

Friuli-Venezia Giulia 509 505 1.014 1,2% 8,8%

Lazio 128 35 163 0,0% 1,4%

Liguria 91 75 166 0,2% 1,4%

Lombardia 689 1.236 1.925 0,4% 16,7%

Marche 36 172 208 0,2% 1,8%

Molise 6 55 61 1,7% 0,5%

Piemonte 887 1.434 2.321 1,1% 20,2%

Puglia 6 17 23 0,0% 0,2%

Sardegna 2 18 20 0,1% 0,2%

Sicilia 3 11 14 0,0% 0,1%

Toscana 306 450 756 0,4% 6,6%

Trentino - Alto Adige 34 66 100 0,1% 0,9%

Umbria 333 560 893 1,5% 7,8%

Valle d’Aosta n.d. n.d. n.d. 0,0% 0,0%

Veneto 169 523 692 0,2% 6,0%

Totale 4.599 6.898 11.497 0,4% 100,0%

Tabella 7. Assegnazione di case popolari agli extracomunitar i

Confronto fra il 2008 e il 2009 delle assegnazioni di case popolari agli extracomunitari

20092008

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164 2 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

Confronto fra il 2008 e il 2009 del numero di extracomunitari in lista d’attesa per l’assegnazione delle case popolari

20092008

Le richieste si concentrano principalmente in Emilia-Romagna(23,5% con il 16,7% di Bologna), in Lombardia (19,8% con l’8,7%di Brescia), nel Veneto (10,7%) e in Trentino-Alto Adige (10,4%con il 7,7% di Trento).

Nel 2009, 59 province (rispetto alle 45 rilevate nel 2008),hanno dichiarato l’esistenza di strutture di accoglienza (struttureche provvedono alle immediate esigenze alloggiative e alimentaridegli stranieri regolarmente soggiornanti impossibilitati aprovvedervi autonomamente per il tempo strettamente necessarioal raggiungimento dell’autonomia personale) per un numerocomplessivo di 10.627 posti (in aumento del 26,3% rispettoalla precedente rilevazione), pari a quattro posti ogni 1.000extracomunitari residenti. La maggiore disponibilità di posti èstata segnalata nel Lazio (24% del totale nazionale, con il21,6% di Roma), nel Trentino-Alto Adige (13,3% del totale nazio-nale, con il 9,2% di Bolzano) e in Lombardia (12,3% del totalenazionale). In relazione al numero degli stranieri residenti, leregioni che risultano più attrezzate al riguardo sono la Calabria,la Campania e il Trentino-Alto Adige, con valori superiori all’1%.

I servizi socio-sanitariIl numero di stranieri iscritti al Servizio sanitario nazionale

(SSN) nel 2009 è risultato pari a 2.454.057 (pari all’83,4%degli stranieri residenti), in aumento dell’8,9% rispetto al 2008.

Gli extracomunitari in lista di attesa sono indicati in 53.415,in diminuzione dell’8,6% rispetto al 2008 e pari all’1,8% deiresidenti stranieri e al 27,7% del totale delle domande.

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1652 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

Il 92,6% delle iscrizioni si concentrano nel Centro-Nord d’Italia(il 25% in Emilia-Romagna, il 21,7% in Lombardia e il 12,4% nelVeneto).

Le prestazioni sanitarie erogate a cittadini stranieri tempo-raneamente presenti (ovvero cittadini stranieri presenti sulterritorio nazionale che, sebbene non in regola con le normerelative all’ingresso e al soggiorno, hanno diritto alle prestazionid’urgenza erogate dal SSN mediante rilascio di apposita tesseraSTP) sono state 100.063, in diminuzione del 44% rispetto al 2008e con una media di 3,4 prestazioni ogni 100 stranieri residenti.Le maggiori percentuali sono state registrate in Piemonte (34,8%del totale nazionale, con il 33,4% di Torino) e in Campania (16,3%del totale nazionale con il 14,9% di Caserta). Piemonte (16%)e Campania (15,5%) presentano i valori più alti in rapporto allapopolazione straniera presente sul proprio territorio. Caltanisetta,Caserta e Torino superano la soglia del 20%.

Uomini Donne Totale % su Regione stranieri straniere stranierii popolazione % su totale

iscritti iscritte iscritti straniera nazionaleal SSN al SSN al SSN residente

Abruzzo 13.706 12.795 26.501 39,1% 1,1%Basilicata 2.557 3.834 6.391 96,3% 0,3%Calabria 4.255 5.406 9.661 29,6% 0,4%Campania 31.998 40.324 73.301 69,8% 3,0%Emilia-Romagna 153.311 155.476 614.416 157,4% 25,0%Friuli -Venezia Giulia 40.693 42.789 83.482 95,9% 3,4%Lazio 29.339 37.014 66.353 16,2% 2,7%Liguria 48.064 57.712 105.776 114,8% 4,3%Lombardia 268.093 250.324 531.696 101,7% 21,7%Marche 41.943 45.654 87.597 82,7% 3,6%Molise 2.475 3.665 6.140 172,2% 0,3%Piemonte 55.471 62.163 118.260 54,3% 4,8%Puglia 17.560 21.858 39.418 69,1% 1,6%Sardegna 8.711 11.861 20.572 83,4% 0,8%Sicilia 17.446 15.885 33.331 42,3% 1,4%Toscana 94.521 115.903 210.424 98,3% 8,6%Trentino-Alto Adige 22.346 22.576 46.522 64,2% 1,9%Umbria 29.500 36.822 66.322 108,1% 2,7%Valle d’Aosta 1.553 1.558 3.111 55,0% 0,1%Veneto 153.504 151.279 304.783 78,7% 12,4%Totale 1.037.046 1.094.898 2.454.057 83,4% 100,0%

Tabella 8. Iscr izioni al Servizio sanitar io nazionale (SSN)

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166 2 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

La maggior parte delle prestazioni è stata offerta nelleregioni del Nord-Est ai moldavi; in Piemonte e nel Centro aglialbanesi; in Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Puglia e Calabriaai marocchini. Completano il quadro gli ucraini (in Friuli-VeneziaGiulia e in Campania), i cinesi (in Toscana e Abruzzo), e i cittadinidell’Ecuador (in Liguria), della Nigeria (in Basilicata), del Senegal(in Sardegna) e della Tunisia (in Sicilia).

I permessi di soggiorno rilasciati nel 2009 a donne in statodi gravidanza sono stati 2.819 (in calo del 27,3% rispetto all’annoprecedente), di cui il 29,1% in Veneto (10,4% nella sola Padova),seguito dall’Emilia-Romagna(13,4%), dal Piemonte (10,5%) edalla Lombardia (10,4%). I permessi di soggiorno concessiper motivi umanitari connessi a particolari stati di salute sonostati 2.070, in aumento del 133,6% rispetto al 2008. Risultanorilasciati per il 45,4% nel Lazio e per il 14,3% in Veneto.

Prestazioni % su popolazione % su totaleRegione fornite stranieri residente nazionale

Abruzzo 123 0,2% 0,1%

Basilicata 19 0,3% 0,0%

Calabria 916 2,8% 0,9%

Campania 16.312 15,5% 16,3%

Emilia-Romagna 7.262 1,9% 7,3%

Friuli-Venezia Giulia 512 0,6% 0,5%

Lazio 3.092 0,8% 3,1%

Liguria 2.163 2,3% 2,2%

Lombardia 8.502 1,6% 8,5%

Marche 1.666 1,6% 1,7%

Molise 16 0,4% 0,0%

Piemonte 34.830 16,0% 34,8%

Puglia 1.026 1,8% 1,0%

Sardegna 422 1,7% 0,4%

Sicilia 5.314 6,7% 5,3%

Toscana 9.037 4,2% 9,0%

Trentino-Alto Adige 1.155 1,6% 1,2%

Umbria 1.409 2,3% 1,4%

Valle d’Aosta 24 0,4% 0,0%

Veneto 6.263 1,6% 6,3%

Totale 100.063 3,4% 100,0%

Tabella 9. Stranieri temporaneamente presenti

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1672 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

I minori e la scuolaI minori stranieri residenti in Italia al 31 dicembre 2009

risultavano essere 933.693, pari al 9,1% del totale dei minoripresenti sul territorio (dati Istat). In ambito comunitario, lenazionalità maggiormente rappresentate erano la Romania,la Polonia, la Bulgaria e la Germania. In ambito extracomunitario,le nazionalità maggiormente rappresentate erano il Marocco,l’Albania, la Cina Popolare, l’Ucraina, la Tunisia e la Macedonia.

Il numero di studenti extracomunitari iscritti per l’annoscolastico 2008-2009 risulta di 505.852 unità, in crescita del31,5% rispetto al dato rilevato per l’anno scolastico precedente:il 41% iscritto alla scuola primaria, il 32% alla scuola secondariadi 1° grado e il 27% alla scuola secondaria di 2° grado.

Confronto nel triennio 2007- 2009 del numero complessivo di studenti extracomunitari iscritti ai diversi gradi di scuola

Scuola secondaria1° grado

Scuola secondaria2° grado

Scuola primaria

Come evidenzia il grafico che segue, le regioni con il maggiornumero di studenti extracomunitari sono la Lombardia (23,3% deltotale nazionale), il Lazio (22,7%) e il Veneto (11,8%). Negli ultimitre anni, inoltre, il Lazio, la Lombardia, il Piemonte e il Venetohanno fatto registrare un trend positivo di crescita.

I minori delle comunità rom, sinte e caminanti, presenti peril 24,9% in Lazio, per il 18,1% in Campania e per il 16,9% inLombardia, sono stati censiti in 7.520 unità, in aumento del22,8% rispetto al 2008.

I minori extracomunitari in affido o in case famiglia risultanoessere 2.493 (in diminuzione del 39,8% rispetto al 2008), dicui ben 524 segnalati a Roma e 356 a Udine. Il 21% del totale

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168 2 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

nazionale è presente nel Lazio, seguito dalla Lombardia (18,9%)e dal Friuli-Venezia Giulia (16,3%).

I 3.898 minori extracomunitari non accompagnati rilevatiper il 2009 (in diminuzione del 10,9% rispetto all’anno 2008),risultano presenti per il 22,7% del totale nazionale in Sicilia,per il 16,9% nel Lazio, per il 9,3% nel Veneto. Le strutture diaccoglienza per i minori censite sul territorio sono 293, distribuiteprincipalmente in Sicilia (19,8% del totale nazionale), Puglia(11,6% del totale nazionale) e Campania (9,9%). Vi alloggiano3.768 minori, pari al 96,6% di quelli complessivamente segnalati.

Infine, i minori extracomunitari detenuti (492 unità, in calodel 27,8% rispetto al 2008) risultano localizzati principalmentein Emilia-Romagna (47,8% del totale nazionale, 235 nella solaprovincia di Bologna).

Le iniziative e i servizi di integrazione socialeLe iniziative di integrazione sociale rilevate dai Consigli

territoriali per il 2009 sono state 567, per la maggior parteriferite agli adulti (58% del totale) e agli alunni stranieri (27%).La Lombardia ne ha sostenuto il 22% del totale nazionale,seguita dal Veneto con il 13,9%.

Analizzando la distribuzione per tipo di target, le iniziativeper gli adulti e gli alunni stranieri prevalgono in Lombardia. LaLombardia e il Veneto sono leader nelle iniziative per i minoriricongiunti e per le loro famiglie e la Sicilia per le iniziativerivolte ai giovani a rischio di devianza e di marginalità.

Ripartizione per regione degli abitanti extracomunitari iscritti a scuola nel 2009Dati pervenuti da 102 Consigli territoriali su 103

Scuola secondaria1° grado

Scuola secondaria2° grado

Scuola primaria

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1692 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

I servizi sociali nel 2009 hanno preso in carico 68.402 adultiextracomunitari, pari al 2,3% di quelli residenti, localizzati peril 34,1% in Veneto (di cui il 12,6% a Venezia, il 6,9% a Veronae il 6,1% a Treviso), per il 19,7% in Lombardia (di cui il 15,1%a Brescia) e per il 20,4% in Piemonte (di cui il 6,6% a Torino

Numero di iniziative di integrazione sociale attuate sul territorionel 2009 suddivise per targetDati pervenuti da 102 Consigli territoriali su 103

58%

27%

7%

8%

AdultiAlunni stranieriGiovani a rischio di devianzae marginalitàMinori r icongiuntie famiglie

Iniziative e servizi di integrazione sociale attuati nel 2009 suddivisi per regione e per target

AdultiMinori r icongiuntie famiglie

Giovani a rischiodi devianzae marginalità

Alunni stranieri

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170 2 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

e il 6,2% a Cuneo). Rispetto al totale di extracomunitari residenti,la regione con la percentuale più alta di iniziative è il Piemonte(6,4% della popolazione extracomunitaria residente), seguitadal Veneto (6%), dal Molise, dalla Sardegna e dall’Umbria, chefanno registrare valori superiori al 3%.

Sono segnalati 7.421 bambini extracomunitari iscritti agli asilinido comunali, pari all’1,9% dei minori extracomunitari residenti.Il primato spetta alle strutture comunali del Veneto (21,8% deltotale nazionale con il 6,7% di Verona); seguono l’Emilia-Romagna (15,2% con l’11,3% di Bologna) e la Lombardia (11,4%).

Con riferimento al totale di minori extracomunitari residentisul territorio regionale, le percentuali più alte di iscrizioni, convalori uguali o superiori al 4%, si riscontrano in Friuli-VeneziaGiulia, in Lazio e in Puglia.

Cultura e religioneNel 2009 sono stati rilevati 1.378 luoghi di culto non cattolici

(in crescita del 43,1% rispetto al 2008), localizzati per la maggiorparte in Sicilia (13,1% con il 6,2% di Catania e il 3,6% diCaltanisetta), in Lombardia (11,7%) e in Emilia-Romagna (10,5%con il 4,4% di Bologna).

Sono indicate in 1.172 le associazioni di riferimento per lapopolazione straniera, presenti, in particolare, in Lombardia(14,1%), Emilia-Romagna (13,8%), Toscana (11,9%) e Veneto(10,8%).

Numero di associazioni rappresentative della popolazione straniera nel 2009

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1712 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

I Consigli territoriali hanno segnalato, in particolare in Toscana,Veneto e Piemonte, 160 interventi di mediazione culturale, chespaziano dall’organizzazione di manifestazioni ed eventiinformativi all’erogazione di servizi (nei settori della scuola,della formazione, dell’avviamento al lavoro, della sanità e delrapporto con la Pubblica Amministrazione) per il tramite disportelli di mediazione.

Nel 2008 risultano presentate da parte delle comunità straniere359 richieste di autorizzazione per manifestazioni pubbliche(20,3% nel Veneto, con particolare riferimento a Padova,Treviso e Verona; seguito dal Lazio con il 18,9% di Roma),in aumento del 131% rispetto alla rilevazione del 2008.

Sono stati infine censiti 14 episodi di intolleranza, in particolarenel Lazio (sei casi segnalati a Roma) e in Toscana (tre casisegnalati a Pistoia).

Il contenziosoI ricorsi riguardanti cittadini extracomunitari segnalati per

il 2009 sono stati 9.731, di cui il 49% civili e il 43% ammini-strativi; il rimanente 8% è rappresentato dai ricorsi gerarchici.Le espulsioni costituiscono l’oggetto più frequente dei ricorsi(59%), seguite dai rigetti dei rinnovi di permesso di soggiorno(16%) e dei nullaosta (10%).

Le regioni con il maggiore numero di ricorsi censiti risultanol’Emilia-Romagna(19,2%), il Piemonte (12,7%) e la Sicilia (12,6%).In Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia,Piemonte, Puglia, Sardegna e Umbria prevalgono i ricorsi civili;

Ricorsi presentati nel 2009 suddivisi per tematica

59%

10%

8%0%

16%

7%

0%

Provvedimento di respingimentoDecreti di espulsioneDecreti di r igetto richiestedi nullaostaDecreti di r igetto richiestedi asiloDecreti di r igetto richiestedi rinnovo di permessidi soggiornoDecreti di r igetto richiestedi cittadinanzaAltre tematiche

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172 2 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

nelle altre regioni i ricorsi amministrativi e i ricorsi gerarchicicostituiscono la maggioranza di quelli complessivamentepresentati.

Il tasso di accoglimento dei ricorsi, a livello nazionale, è statodel 23,2%. Percentuali superiori al 30% si osservano in Abruzzo,Calabria e Lazio, mentre sono inferiori al 15% in Basilicata, Marche,Molise, Trentino-Alto Adige, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto.

Fenomeni di devianzaSulla base delle risposte pervenute da 102 Consigli territoriali

su 103, il numero di cittadini extracomunitari (compresi anchequelli irregolari) denunciati nel 2009 è di 115.551, in crescitadel 43% rispetto al dato del 2008 e con un tasso di incidenzarispetto alla popolazione extracomunitaria residente del 3,9%.

Cittadini % dei denunciatiRegione extracomunitari su popolazione % su totale

denunciati nel 2009 extracomunitaria nazionaleresidente

Abruzzo 944 1,4% 0,8%

Basilicata 92 1,4% 0,1%

Calabria 166 0,5% 0,1%

Campania 19.188 18,3% 16,6%

Emilia-Romagna 9.975 2,6% 8,6%

Friuli -Venezia Giulia 1.910 2,2% 1,7%

Lazio 3.608 0,9% 3,1%

Liguria 18.060 19,6% 15,6%

Lombardia 15.033 2,9% 13,0%

Marche 2.237 2,1% 1,9%

Molise 73 2,0% 0,1%

Piemonte 10.126 4,7% 8,8%

Puglia 1.828 3,2% 1,6%

Sardegna 707 2,9% 0,6%

Sicilia 2.871 3,6% 2,5%

Toscana 14.819 6,9% 12,8%

Trentino -Alto Adige 1.287 1,8% 1,1%

Umbria 2.460 4,0% 2,1%

Valle d’Aosta 73 1,3% 0,1%

Veneto 10.094 2,6% 8,7%

Totale 115.551 3,9% 100,0%

Tabella 10. Numero di cittadini extracomunitar i denunciati, suddivisi per tipo di reato

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1732 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

Similmente a quanto osservato per il 2008, nel 2009 le impu-tazioni più frequenti sono quelle di furto (12%), spaccio distupefacenti (9%), ricettazione (5%), lesioni dolose (5%)minacce (3%) e danneggiamenti (3%).

La Campania ha segnalato il maggiore numero di extraco-munitari denunciati (16,6% del totale nazionale). Seguono laLiguria (16,6%), la Lombardia (13,0%) e la Toscana (12,8%).A livello provinciale, presentano percentuali notevolmenteelevate Salerno (12,6%), La Spezia (9,2%) e Brescia (7,5%).Con riferimento al numero degli extracomunitari residenti sulterritorio, come già osservato nel 2007 e nel 2008, la Liguriaha fatto registrare il valore maggiore (19,6%), seguita dallaCampania (18,3%) e dalla Toscana (6,9%); ad Agrigento,Imperia, La Spezia, Livorno, Lucca, Pistoia e Salerno ne risultadenunciata una percentuale superiore al 10% di quelli residenti.Il reato di immigrazione clandestina è stato contestato in 17.065casi: il 29,2% in Lazio, il 27,2% in Piemonte.

Su un totale di 38.098 espulsioni, il maggior numero è statosegnalato da Lombardia (16,8%) e Lazio (15,3%).

Infine, risultano rilasciati nel 2009 2.439 permessi di soggiornoper protezione sociale (in aumento del 122% rispetto all’annoprecedente), concessi a cittadini extracomunitari che si trovinoin condizioni di violenza o di grave sfruttamento per consentireloro di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti delle orga-nizzazioni criminali e di partecipare a programmi di assistenzae di integrazione sociale. Il 29,1% del totale sono stati concessiin Molise (in particolare a Isernia) e l’11,2% in Emilia-Romagna.

Progetti finanziati attuati sul territorioNel 2009 sono stati rilevati 213 progetti, per un importo

complessivo di 40.509.533 euro, attuati sul territorio con finan-ziamenti nazionali (72% del valore complessivo) ed europei. Taliprogetti hanno riguardato in particolare la mediazione culturale(33% del valore complessivo), i servizi informativi (17%) el’alloggio (10%). Sono stati inoltre segnalati, come tematiche difrequente interesse, gli interventi riguardanti la scuola, il lavoroe i minori. Le regioni che risultano aver attuato un numero diiniziative superiori a 15 sono la Campania, la Lombardia, ilPiemonte, la Sicilia e il Veneto.

Il valore medio dei progetti si è attestato sui 190.165,00 euro,con punte di 641.675,50 euro in Campania e di 478.029,77 euroin Calabria. Il valore medio dei progetti in rapporto alla popo-lazione extracomunitaria residente è di 13,76 euro per ogni unità.Le regioni dove questo rapporto è maggiormente favorevole

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174 2 011 settembre - ottobre

Il Rapporto sull’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione

Tematiche trattate nell’ambito dei progetti finanziati con fondi nazionali o europei nel 2009

8%9%

4%

17%

33%6%

8%

10%

AlloggioCentri di aggregazioneLavoroMediazione culturaleMinoriPari opportunitàSaluteScuolaServizi informativi

La versione elettronica del primo, del secondo, del terzo e del quartorapporto sull’attività dei Consigli Territoriali per l’Immigrazione èconsultabile nella sezione “pubblicazioni” del sito del dipartimentoLibertà civili e Immigrazione (http://www.libertaciviliimmigrazione.interno.it), nella sottosezione “politiche dell’immigrazione e dell’asilo”

5%

sono la Calabria, la Campania e la Puglia, con valori superiorio uguali a 30 euro per cittadino extracomunitario residente.

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vili“… I ragazzi di origine immigrata nella scuola

e nella società sono non solo una sfida da affrontare,ma anche una fonte di stimoli fruttuosi, proprio perchéprovengono da culture diverse. E non deve preoccupare

il fatto che la loro sia un'identità complessa, nonnecessariamente unica, esclusiva. Se noi desideriamo

che i figli e persino i nipoti o pronipoti dei nostricittadini emigrati all'estero mantengano un legame

con l’Italia e si sentano in parte anche e ancora italiani, non possiamo chiedere invece ai ragazziche hanno genitori nati in altri paesi di ignorare

le proprie origini. L’importante è che vogliano viverein Italia e contribuire al benessere collettivo

condividendo lingua, valori costituzionali, doveri civicie di legge del nostro Paese”.

Giorgio Napolitano(Intervento all’incontro dedicato ai “nuovi cittadini

italiani”, Quirinale - 15 novembre 2 011)

NEL PROSSIMO NUMERO

Immigrati imprenditori

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

Realizzato con il contributo del Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di Paesi terzi