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libertàcivili In questo numero interventi di: Gianfranco Ravasi Fratelli d’Italia Primo Piano / Enzo Cheli Vincenzo Cesareo Antonio Golini Massimo Montanari Giuseppe Roma Sonia Viale BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE FrancoAngeli Quando eravamo noi. New York, inizi del ’900: bambino italiano emigrato

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In questo numero interventi di: Gianfranco Ravasi

Fratelli d’ItaliaPrimo Piano /

Enzo CheliVincenzo CesareoAntonio Golini

Massimo MontanariGiuseppe RomaSonia Viale

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE FrancoAngeli

Quando eravamo noi.New York, inizi del ’900:bambino italianoemigrato

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BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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libertàciviliRivista bimestrale del dipartimentoper le libertà civili e l’immigrazionedel ministero dell’Interno

Piazza del Viminale 1- 00184 Romatel. 06 46525869fax 06 [email protected] [email protected]@interno.it

Comitato scientificoPresidente Enzo CheliVice presidente emerito della Corte costituzionale

ComponentiVincenzo CesareoProfessore ordinario della facoltàdi Scienze politiche - Universitàcattolica del Sacro Cuore - Milano

Mario GiroResponsabile per le relazioni internazionali Comunità di Sant’Egidio

Antonio GoliniProfessore ordinario di Demografia- facoltà di Scienze statistiche -Università degli studi di Roma“La Sapienza”

Angelo MalandrinoPrefetto - Autorità responsabiledel “Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi terzi” 2007- 2013

Mario MorcelliniPreside della facoltà di Scienzedella comunicazione - Universitàdegli studi di Roma “La Sapienza”

Umberto Postiglione Prefetto - vice capo dipartimentovicario per le Libertà civilie immigrazione

Serenella RavioliResponsabile ufficio comunicazione istituzionale del ministero dell’Interno

Giuseppe RomaDirettore generale CENSIS

Direttore editorialeAngela PriaPrefetto - capo dipartimentoper le Libertà civilie l’Immigrazione

Direttore responsabileGiuseppe Sangiorgi

RedazioneAlessandro GrilliClaudia Svampa

Responsabile organizzativoStefania Nasso

Progetto graficoStudio Francesca CantarelliMilano

FotografieCopertina © Augustus Sherman | NationalPark Service, Statue of LibertyNational Monumental; pag.10 © Olivier Chassot | UNPhoto;pag.17 © European Union 2011 pag.19 © per gentile concessionedel ministero degli Affari esteri;pag.49 © National Park Service,Statue of Liberty NationalMonumental; pag.63 © @US ArmyNogales; pag.70 © EuropeanParliament; pag.89 -105 -150 © Frontepagina;pag.97 © OCHA-David Ohana |UN Photo

CopertinaStudio Francesca Cantarelli

Autorizzazione Tribunale di Milanon. 579 del 18.12.2009Bimestrale - Poste Italiane Spa Sped. in Abb. Post. - D.L.353/2003(conv. in L. 27.02.2004 n.46) art.1, comma 1 DCB Milano

Copyright © 2011 by FrancoAngeli s.r.l.

StampaTipografia Gamma srl Via G. Pastore 9 - Cerbara06012 Città di Castello (PG)

Abbonamenti 2 011Per conoscere il canone d’abbonamento corrente, consultare il sito www.francoangeli.it, cliccando sul bottone “Riviste”,oppure telefonare all’UfficioRiviste (02 2837141) o, ancora,inviare una e-mail ([email protected]) indicandochiaramente il nome della rivista.Il pagamento potrà essere effettuatotramite assegno bancario,bonifico bancario, versamento su conto corrente o con carta di credito.

L’abbonamento all’annata in corso verrà attivato non appenagiunta la notifica dell’avvenutopagamento del canone.L’opera, comprese tutte le sue parti,è tutelata dalla legge sui dirittid’autore. Sono vietate e sanzionate(se non espressamente autorizzate)la riproduzione in ogni modo e forma (comprese le fotocopie, la scansione, la memorizzazioneelettronica) e la comunicazione(ivi inclusi a titolo esemplificativoma non esaustivo: la distribuzione,l’adattamento, la traduzione e la rielaborazione, anche a mezzodi canali digitali interattivi e con qualsiasi modalità attualmente nota od in futurosviluppata).Le fotocopie per uso personaledel lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68,commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopieeffettuate per finalità di carattereprofessionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale,possono essere effettuatea seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO(www.aidro.org e-mail [email protected]).

Anno II - Terzo bimestre 2011finito di stampare giugno 2011

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In questo numero interventi di: Gianfranco Ravasi

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Enzo CheliVincenzo CesareoAntonio Golini

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Quando eravamo noi.New York, inizi del ’900:bambino italianoemigrato

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EditorialeTante storie complesse per una storia ancora da scriveredi Angela Pria 5

L’interventoL’itinerario dal multiculturalismo all’interculturalitàdi Gianfranco Ravasi 7

Emigrazione, immigrazione:i percorsi incrociati della legislazione italianadi Enzo Cheli 13

Una lettura delle migrazioni italiane negli ultimi 150 annidi Vincenzo Cesareo 18

Il lungo cammino della popolazionedall’Unificazione a oggidi Antonio Golini 27

L’identità dell’Italia tra relazioni e mobilitàdi Giuseppe Roma 34

Essere italiani oggi, una riflessionesu noi stessi e sull’Altrodi Marco Omizzolo 41

La nazione oltre il territorioe la questione della cittadinanzadi Lara Olivetti 46

L’intervistaLa gestione italiana dell’emergenza immigrati:un format riuscito da esportare nell’UEIntervista al sottosegretario Sonia Viale 54

La finestra sul mondoGestione dell’immigrazione e controllo delle frontieresulle due sponde dell’Atlanticodi Stefania Nasso 58

EuropaSchengen: l’ammiraglia europea al croceviadel futuro delle migrazionidi Claudia Svampa 66

L’integrazione nei territori:il Fei e la collaborazione con i comunidi Angelo Malandrino 72

L’Unità d’Italia come momento di integrazionedi Andrea Fama 76

Creuza de ma, la via impervia verso l’approdo dei dirittidi Monia Gangarossa 79

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CittadinanzaLa cittadinanza in Italia: una legge vecchia?di Ennio Codini 85

Diritto d’asiloBel Paese, terra d’asilodi Nadan Petrovic 93

Dialogo interculturaleIdentità, confronto, scambiodi Massimo Montanari 101

La ricercaImmigrazione in Toscana: i dati del 2010di Nelly Ippolito Macrina 110

L’immigrazione in Lombardia in sette libri 120

IntegrazioneStranieri, integrazione e richieste del territoriodi Enrico Cesarini 122

Minimum mediaQuei minori stranieri sempre più “minori d’Italia”di Giuseppe Sangiorgi 133

Il Glossario delle migrazioni. Strumento per una politica comune europea 138

ImaginariumProve di “incontro di classe” al sesto pianodi Maria Vittoria Pisani 141

Sullo scaffale 145

Cittadinanza italiana per matrimonio e residenza:i dati 2010 su istanze e concessionidi Stefania Nasso 149

La popolazione straniera nel Bilancio demografico Istat del 2010 156

Centocinquanta anni di dati demograficisulla popolazione italiana 160

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a rivista libertàcivili partecipa alle celebrazioni per il centocinquantesimo dell’unità nazionale, dedicandoquesto numero all’evoluzione dei processi migratori

nella storia dell’Italia unita.Si è soliti dire che il nostro Paese, del 1861 ad oggi, sia divenutouna terra di immigrazione, da terra di emigrazione qual era.L’affermazione, se è corretta, cela però, dietro alla sua apparentesemplicità, tante storie complesse tra loro legate che non è semprefacile dipanare.Prima fra tutte quella dello Stato italiano che da Paese a economiaagricola è gradualmente divenuto un Paese industrializzato.Durante la seconda metà dell’Ottocento, subisce profonde trasformazioni economiche che, associate alla crescita demografica,portano a un consistente flusso migratorio soprattutto verso le Americhe.La storia dell’Italia, in un certo senso è, come comprensibile, la storia di un intero continente. L’Europa, per le stesse ragionidell’Italia, industrializzazione e aumento demografico, emigraverso l’altra sponda dell’Oceano: si calcola che, tra il 1845 e il 1890, circa 370.000 europei lascino il continente e che tale cifraaumenti in modo esponenziale fino a 900.000 espatri ogni annotra il 1891 e il 1920. Per essere ancora più precisi, tra la metàdell’Ottocento e i primi del Novecento, circa cinquanta milioni di europei lasciano le proprie terre per raggiungere l’Americasettentrionale (65%) e l’America centro-meridionale (25%).C’è poi la storia degli Stati Uniti d’America, del Canada o dell’Argentina che, proprio grazie a quei consistenti flussimigratori, sono stati in grado di supportare le proprie politicheeconomiche di sviluppo, senza dimenticare l’apporto, in termini di dinamismo culturale, che le genti europee diederoalle loro nuove patrie.E ancora vi sono le storie degli emigrati: storie di speranze, di sofferenze, di sacrifici, di soddisfazioni, di rimpianti…ci sonole storie di ricordi chiusi dentro una valigia di cartone o persi dietro la scia bianca di un transatlantico.Non solo le navi ma anche i treni quando gli italiani sceglieranno,

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Tante storie complesse per una storiaancora da scriveredi Angela Pria

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Tante storie complesse per una storia ancora da scrivere

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durante la prima metà del 1900, la strada dell’emigrazione europeaverso il Belgio, l’Olanda, la Svizzera o la Germania. Nella nascenteUnione Europea, quella del carbone e dell’acciaio, i nostri connazionali, in molti casi ex contadini o ex bracciantiagricoli, diverranno operai e minatori. E proprio nella miniera di Marcinelle, in Belgio, l’8 agosto 1956 centotrentasei di essi moriranno sottoterra, divenendo il simbolo di intere generazionidi italiani emigrati nella speranza di un futuro migliore.Poi il boom economico di fine anni Cinquanta, l’emigrazioneinterna da Sud verso Nord, testimonianza di una questione meridionale ancora tutta da risolvere.Ora siamo noi, assieme all’Europa intera, a doverci confrontarecon un forte flusso migratorio di derivazione africana, che è determinato non solamente da ragioni economiche, ma anche da condizioni di vita dove gli elementari diritti della persona sono messi in discussione e, talvolta, calpestati come da più parti è stato affermato.Per il nostro Paese, invece, la situazione è stata ben diversa perché, come già detto, gli italiani emigrarono soprattutto per motivi economici. Persino il colonialismo fascista ebbe nella povertà delle campagne e nella crescita demografica le sue reali giustificazioni, anche se non bisogna dimenticare coloro che, durante il ventennio, emigrarono per motivi di discriminazione politica o razziale.L’attuale massiccio flusso migratorio avrà certamente un impattosugli assetti politico-sociali degli Stati europei; si tratta, in altritermini, della questione del multiculturalismo e della necessità di garantire un equilibrio tra i valori dell’accoglienza e della solidarietà e quelli della tutela delle peculiarità sociali e culturali delle tante patrie europee, molte delle quali proprionel Risorgimento ebbero la loro origine.Anche questa è una storia, che si aggiunge alle altre, ma le sue pagine sono ancora tutte da scrivere. Come sarà scrittadipenderà dall’impegno civile di ciascuno di noi. Di ciascuno di noi e della società in cui vive e delle mete che questa si saprà dare.

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entoL’itinerario

dal multiculturalismo all’interculturalità

di Gianfranco Ravasi

Il percorso storico dallo scontro etnico alla convivenza delle culture, fino all’approccio basatosullo scambio e l’influenza reciproca. Conservarel’armonia della diversità nel dialogo e nell’incontroè la meta di una genuina esperienza interculturale

Hanno fatto un po’ impressione le critiche avanzate recen-temente, anche da parte di alcuni uomini politici, al concetto ealla pratica del multiculturalismo. Prescindendo dalle probabilisemplificazioni e approssimazioni insite in tali reazioni e neirelativi equivoci presso la pubblica opinione, pronta a cavalcareconcezioni riduttive, è però importante fare il punto su questodibattito la cui sostanza è, in verità, molto rilevante per il futurostesso della nostra civiltà. Procederemo, quindi, per tappe inuna sorta di itinerario essenziale che abbracci i nodi e i croceviapiù rilevanti del fenomeno. Partiremo, dunque, da una radiceun po’ lontana, ma che dette l’avvio alla questione.

Infatti, fu proprio in quel Settecento tedesco nel quale si eraconiato il termine Cultur/Kultur con l’accezione specifica attuale,che si iniziò anche a parlare di “culture” al plurale, gettandocosì le basi per riconoscere e comprendere quel fenomeno cheora è definito come “multiculturalità”. Ad aprire questa via,che superava il perimetro eurocentrico e intellettualistico e siinoltrava verso nuovi e più vasti orizzonti, era stato Johann GottfriedHerder con le sue Idee sulla filosofia della storia dell’umanità(1784-91), lui che tra l’altro si era già dedicato nel 1782 allo Spiritodella poesia ebraica. L’idea, però, balenava anche nel pensierodi Vico, Montesquieu e Voltaire che riconoscevano nelle evoluzionie involuzioni storiche, negli stessi condizionamenti ambientali,nell’incipiente incontro tra i popoli, al seguito delle varie scoperte,nelle prime osmosi ideali, sociali ed economiche, l’emergere diun pluralismo culturale.

Certo, questo approccio si innestava all’interno di una dialettica

Parte da lontano il dibattito sul fenomenodefinito oggi multicultura-lità. Inizia nel Settecento con il pensatore tedesco Johann Gottfried,ma anche con Vico,Montesquieu,Voltaire.Il pluralismo culturale come risultato dell’incipienteincontro fra i popoli

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antica, quella che – sempre con qualche semplificazione –vedeva incrociarsi etnocentrismo e comparativismo. È statacostante, infatti, l’oscillazione tra questi due estremi e noi nesiamo ancor oggi testimoni, sia pure in forme nuove.

L’etnocentrismo si esaspera in ambiti politici o religiosi distampo integralistico, aggrappati fieramente alla convinzione delprimato assoluto della propria civiltà, in una scala di gradazioniche giungono fino al deprezzamento di altre culture classificatecome “primitive” o “barbare”. Lapidaria era l’affermazione diTito Livio nelle sue Storie: “Guerra esiste e sempre esisterà trai barbari e tutti i greci” (31, 29). Questo atteggiamento è statoriproposto ai nostri giorni sotto la formula dello “scontro diciviltà”, codificata nell’ormai famoso saggio del 1996 Lo scontrodelle civiltà e il nuovo ordine mondiale del politologo SamuelHuntington – scomparso nel 2008.

In questo testo erano elencate otto culture (occidentale,confuciana, giapponese, islamica, hindu, slavo-ortodossa,latino-americana e africana), enfatizzandone le differenze, cosìda far scattare nell’Occidente un segnale d’allarme per l’autodifesadel proprio tesoro di valori, assediato da modelli alternativi edalle “sfide delle società non-occidentali”. Significativa in questavisione era l’intuizione che, sotto la superficie dei fenomenipolitici, economici, militari, si celasse uno zoccolo duro eprofondo di matrice culturale e religiosa. Certo è, però, che, sesi adotta il paradigma dello “scontro delle civiltà”, si entra nellaspirale di una guerra infinita, come già aveva intuito Tito Livio.Ai nostri giorni tale modello ha fortuna in vari ambienti, soprat-tutto quando si affronta il rapporto tra Occidente e Islam, e puòessere adattato a manifesto teorico per giustificare operazionipolitico-militari di “prevenzione” o di “esportazione dellademocrazia”, mentre in passato avallava interventi di coloniz-zazione o colonialismo (già i Romani erano in questo maestri).Paradossalmente il modello può essere adottato in senso inversoanche dal fondamentalismo.

Il comparativismo è, invece, un termine non proprio felice usatoper indicare un ben differente approccio alla multiculturalità.Esso si basa sul riconoscimento della diversità come una fiorituranecessaria e preziosa della radice comune “adamica”. Si propone,allora, l’attenzione, lo studio, il dialogo con civiltà prima ignorateo remote, ma che ora si affacciano prepotentemente su unaribalta culturale finora occupata dall’Occidente (si pensi, oltreall’Islam, all’India e alla Cina), un affacciarsi che è favorito nonsolo dall’attuale globalizzazione, ma anche da mezzi di comu-nicazione capaci di varcare ogni frontiera (la rete informatica ne è

Le otto culture del mondo le cui differenze il politologo Samuel Huntington poneva alla base di uno scontro di civiltà destinato a proiettarsi all’infinito

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il simbolo capitale). Queste culture, “nuove” per l’Occidente,esigono un’interlocuzione, spesso imposta dalla loro presenzaimperiosa, tant’è vero che ormai si tende a parlare di “glocaliz-zazione” come nuovo fenomeno di interazione planetaria.

Questa impostazione ha una sua rappresentazione riduttivaappunto nel multiculturalismo che, nel quadro di una determinatasocietà (o, se si vuole, del mondo globale), presuppone lacoesistenza “statica” di diverse culture. Esse vivono l’una accantoall’altra, rispettando le varie identità, senza però interagire traloro. Si pensi ai quartieri di una metropoli come New York ovecoesistono, senza interloquire tra loro, Chinatown, Little Italy,il quartiere ebraico, il Bronx e così via, con le loro tipologieisolate, inquadrate però nel comune perimetro della leggegenerale americana. È evidente che questo accostamento puòregistrare contatti o frizioni, ma non riesce ad attuare la coesionesocioculturale di una città o nazione.

Di fronte alla dialettica tra scontro etnico e multiculturalismostatico, si è andato configurando un nuovo approccio chepotremmo ora abbozzare in modo molto sintetico e approssi-mativo e che viene chiamato interculturalità. Esso è stato definitoda uno studioso di fenomeni socioculturali, Khaled Fouad Allam,in questi termini: “L’interculturalità sottende una concezionedinamica delle culture, una loro reciprocità e sinergia, che facilitasia il reciproco scambio sia l’evoluzione delle differenze culturali.Implica la convivenza e tende ad allentare la tensione che puòdeterminarsi nel confronto fra culture. Rimane la questione dicome tradurla in politiche efficaci”.

Si tratta di un impegno complesso di confronto e di dialogo,di interscambio culturale e spirituale, che noi ora vorremmorappresentare in modo emblematico proprio a partire da quel“codice” della nostra cultura che è la Bibbia. La Parola sacranon è, infatti, un aerolito piombato dal cielo, bensì l’intreccio traLogos divino e sarx, “carne” storica. Si è, così, in presenza diun confronto dinamico tra la Rivelazione e le varie civiltà, dallanomadica alla fenicio-cananea, dalla mesopotamica all’egizia,dall’hittita alla persiana e alla greco-ellenistica, almeno perquanto riguarda l’Antico Testamento, mentre la Rivelazioneneotestamentaria si è incrociata col giudaismo palestinese edella Diaspora, con la cultura greco-romana e persino con leforme cultuali pagane.

Giovanni Paolo II, nel 1979, affermava davanti alla PontificiaCommissione Biblica che, ancor prima di farsi carne in GesùCristo, “la stessa Parola divina s’era fatta linguaggio umano,assumendo i modi di esprimersi delle diverse culture che da

L’inter-culturalità come reciprocità,sinergia e concezione dinamica delle culture e del loro incontro,secondo la definizioneche ne ha dato lo studioso dei fenomeni socioculturali Khaled Fouad Allam

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Abramo al Veggente dell’Apocalisse hanno offerto al misteroadorabile dell’amore salvifico di Dio la possibilità di rendersiaccessibile e comprensibile alle varie generazioni, malgrado lamolteplice diversità delle loro situazioni storiche”. La stessaesperienza di osmosi feconda tra cristianesimo e culture – chedette origine alla “inculturazione” del messaggio cristiano inciviltà lontane (si pensi solo all’opera di Matteo Ricci nel mondocinese) – è stata costante anche nella Tradizione a partire daiPadri della Chiesa. Basti citare un passo della Prima Apologiadi S.Giustino (II sec.): “Del Logos divino fu partecipe tutto il genereumano e coloro che vissero secondo il Logos sono cristiani, anchese furono giudicati atei, come fra i Greci Socrate ed Eraclito e altricome loro” (46, 2-3).

A questo punto vorremmo continuare nel campo che ci è piùspecifico, ossia quello dell’interculturalità religiosa. Non si puòignorare che in questo necessario dialogo interculturale einterreligioso sono in agguato anche alcuni rischi. Non possiamo,nello spazio ridotto di questa nota, aprire il recente complessocapitolo del dialogo tra le religioni. Aveva ragione il teologoHeinz R. Schlette quando, già nel 1963, nel suo saggio Le religioni

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come tema della teologia osservava che “ci si trova di fronte a unterreno teologicamente nuovo, paragonabile alle zone in biancodegli antichi atlanti”. Al tradizionale paradigma dell’“esclusivismo”(extra ecclesiam nulla salus) si è sostituito quello dell’ “inclusi-vismo”, suggerito soprattutto dal famoso teologo tedesco KarlRahner, mentre il Concilio Vaticano II dava impulso “al dialogoe alla collaborazione dei cristiani coi seguaci delle altre religioni”(Nostra Aetate 2), così come si tentavano mediazioni ulterioritra i due citati paradigmi con la proposta di un cristianesimo“relazionale”.

Ma si poteva anche procedere verso la deriva di un pluralismointerculturale che in pratica faceva perdere l’identità alla teologiacristiana stingendone, se non estinguendone, il volto proprio.Si pensi, ad esempio, al cosiddetto paradigma “geocentrico”proposto dal teologo presbiteriano britannico John Hick nellesue opere Dio e l’universo delle fedi (1973) e Dio ha molti nomi(1980), destinato a cancellare la specificità cristologica, in unaprospettiva di generica spiritualità universale. In sede menoteorica e più etico-politica – e, quindi, con minore assertività – simuoveva anche il noto Progetto per un’etica mondiale, elaboratonel 1990 da Hans Küng e adottato dal “Parlamento delle religioni”di Chicago nel 1993: esso si basava su un consenso moraleminimo verso cui le grandi tradizioni culturali e religiose dovevanoconvergere per essere al servizio dell’humanum, così da creareun mondo “giusto, pacifico e sostenibile”.

Se è vero che il fondamentalismo etnocentrico e integralisticoè la negazione esplicita dell’interculturalità, lo sono però anchele forme di sincretismo e relativismo, che più facilmente tentanociviltà stanche e divenute meno identitarie come quelle occi-dentali. Anche questo atteggiamento – come quello che proponevaghe religioni “unitarie” su pallidi e inoffensivi denominatoricomuni (ne sono esempi in passato le tesi dello storico ingleseArnold Toynbee o del pensatore indiano Vivekananda) – sioppone al vero dialogo. Esso, infatti, suppone nei due soggetti unconfronto di identità e di valori, certo per un arricchimentoreciproco, ma non per una dissoluzione in una generica confusioneo in un appiattimento. Come l’eccesso di affermazione identitariapuò diventare duello non soltanto teorico, ma anche armato,così il concordismo generico può degenerare in un incoloreuniformismo o in una “confusione” relativistica. Conservarel’armonia della diversità nel dialogo e nell’incontro, come accadenel duetto musicale (che crea armonia pur nella radicale differenzadei timbri di un basso e di un soprano), è la meta di una genuinae feconda esperienza interculturale.

La grande risposta è il dialogo,come confronto di identità e di valori contro l’eccesso di affermazione identitaria che può degenerare in conflitto e contro un concordismo generico incolore e relativistico

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La celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italiaè l’occasione per ripercorrere una storiasegnata dalle relazioni con gli “altri” e dalla mobilità: quella degli italiani che, per quasi un secolo, sono emigrati all’estero, o hannoviaggiato dal Sud al Nord del Paese alla ricercadi un benessere non solo economico;negli ultimi 30 anni, quella degli immigrati chevengono in Italia spinti da motivazioni analoghe

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Emigrazione, immigrazione:i percorsi incrociati della legislazione italiana

di Enzo CheliVice presidente emerito della Corte costituzionale

Un excursus sulle principali norme che hanno regolato nel corso dei 150 anni dell’Unità i due versanti della mobilità sociale: prima quellodegli italiani che partivano per Paesi lontani,oggi quello degli stranieri che arrivano da noi

1. L’Italia, nell’arco della sua storia unitaria, si è trovata adover affrontare, in termini forse più sofferti e impegnativi diquelli sperimentati dagli altri Paesi europei, i problemi relativiad ambedue i versanti della mobilità sociale, dell’immigrazionee dell’emigrazione. Di tale vicenda resta precisa testimonianzanei percorsi della legislazione che, in tema di emigrazione eimmigrazione, si è sviluppata nel nostro Paese senza soluzionedi continuità dagli anni dell’Unità ai nostri giorni.

Per i primi centovent’anni della storia nazionale i problemiche l’Italia ha dovuto affrontare sono stati, com’è noto, quellilegati all’emigrazione. Un fenomeno di dimensioni imponenti,già presente negli anni dell’unificazione e destinato a coinvolgere,specialmente negli anni a cavallo dei due secoli, strati semprepiù ampi della popolazione, costretta a ricercare fuori dei confininazionali migliori condizioni di vita.

Per questo già con le prime leggi di unificazione (e, in parti-colare, con la legge 20 marzo 1865 n. 2248) il tema dell’emigra-zione veniva affrontato, sia pure in un’ottica prevalentementeorientata verso la tutela della pubblica sicurezza e il controllosulle “agenzie di emigrazione” (che erano, in sostanza, gli“scafisti” del tempo). Succede, nel 1888, la “legge Crispi” dovesi poneva attenzione anche al profilo della “libertà di emigrazione”sia pure nel rispetto degli “obblighi imposti ai cittadini dalla legge”.Le numerose discipline legislative e regolamentari che seguirono(nel 1901, nel 1910, nel 1913 e nel 1919), con la loro minuziosaregolazione dei contratti di trasporto, dei controlli amministrativi esanitari, delle condizioni d’imbarco e di vita a bordo delle navi,

La “legge Crispi”del 1888 pone per la prima volta il profilo della libertà di emigrazione accanto a quelli dellasicurezza pubblica e delle modalità dei viaggi

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ano offrono ancor oggi un materiale prezioso allo storico che voglia

indagare intorno a quelle che furono le vere caratteristiche dellavicenda che il popolo dei “migranti” si trovò allora a doveraffrontare.

La situazione, nella sostanza, non cambia con l’avvento delfascismo, nonostante il regime, per valorizzare l’orgoglionazionale e una politica demografica espansiva, tenti di porreun freno ai flussi transoceanici per orientarne la destinazioneverso i territori delle colonie da poco conquistate. Il saldo diquesto cammino di sofferenza alla ricerca di una patria chepossa dare un lavoro e una prospettiva di emancipazione sichiude, al momento dell’inizio del secondo conflitto mondiale,con diversi milioni di lavoratori italiani sparsi, insieme con le lorofamiglie, in tutto il mondo (dall’Argentina agli Stati Uniti, dal Canadaall’Australia), alcuni già collocati in posizioni economiche esociali soddisfacenti, altri (e sono la maggioranza) alla ricercadi un’integrazione sociale che stenta a consolidarsi e seguitaa far rimpiangere la patria lontana.

2. Si giunge così agli anni del secondo Dopoguerra e dellaCostituente repubblicana, i cui lavori, svoltisi tra il 1946 ed il 1947,presentano un interesse notevole anche per quanto concernela materia in esame.

La Costituente non affronta direttamente il tema dell’immi-grazione come fenomeno collettivo – fenomeno del tuttosconosciuto alla realtà italiana di quegli anni – ma dedicaparticolare attenzione alla materia dell’emigrazione. Vediamocosì che, in sede di elaborazione del progetto di costituzioneda parte della Commissione dei 75, il tema dell’emigrazioneviene affrontato sia nell’ambito della disciplina sulla libertà dicircolazione e soggiorno (affidata alla competenza della primasottocommissione), sia sul terreno dei rapporti economici edella tutela del lavoro (affidato alla competenza della terzasottocommissione). Alla fine prevale la tesi dell’on. Fanfani,relatore sulla materia dei diritti economici, e il richiamo allalibertà di emigrazione e alla tutela del lavoro italiano all’esteroviene inserito nel testo dell’articolo 35 dedicato alla tutela dellavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”.

Sul tema si impegnerà molto un costituente democristiano,l’on. Dominedò, autore di un emendamento diretto a circoscriverele limitazioni da parte della legge alla libertà di emigrare. “Chiricordi le gravi ferite portate al diritto di emigrare per ragionimilitariste, nazionaliste o razziste – rileverà con tono appassionatol’on. Dominedò in sede di discussione in Assemblea dell’articolo 35

Con la Costituzione il richiamo alla libertà di emigrazione e alla tutela del lavoro italiano all’estero viene inseritonel testo dell’articolo 35. La connessione con l’articolo 16

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– vorrà riconoscere la necessità che domani sia preservato daaltri pericoli il diritto dell’uomo alla piena espansione dellapropria personalità e, quindi, il diritto di partecipare alla vita dellacomunità dei popoli da parte di chi, per dirla con Mazzini, puòamare tutte le patrie perché ama veramente la sua”.

La disciplina speciale in tema di emigrazione posta attraversol’articolo 35 veniva, d’altro canto, a trovare una copertura diordine più generale sul terreno dei diritti civili, attraverso ilprincipio introdotto con l’ultimo comma dell’articolo 16, in temadi libertà di circolazione e soggiorno, dove si stabiliva che“ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblicae di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge”.

Con queste due norme veniva, quindi, tracciata quella cornicecostituzionale che tuttora inquadra, nel nostro ordinamento, lamateria dell’emigrazione. Dentro questa cornice, negli annisuccessivi, l’intera disciplina del fenomeno migratorio venivarivisitata attraverso varie leggi (del 1948, del 1959, del 1967,del 1976) dirette, tra l’altro, a riordinare le competenze su questamateria dei vari ministeri.

3. Si arriva così alle soglie degli anni Novanta del secolo scorso,quando nella corrente dei flussi migratori si viene a manifestareuna crescente inversione di tendenza. Il legislatore italianoaffronta, di conseguenza, per la prima volta in termini organici,la materia dell’immigrazione con la legge 28 febbraio 1990n. 39 (c.d. “legge Martelli”), cui seguiranno la legge 40/1998 eil decreto legislativo 286/1998, contenente il Testo unico sulladisciplina dell’immigrazione e della condizione dello straniero.

Quali sono i binari di natura costituzionale dentro cui si muovequesta nuova fase della legislazione?

Abbiamo detto che la Costituente era rimasta muta in ordineal tema dell’immigrazione. In realtà questo silenzio avevariguardato l’immigrazione come fenomeno collettivo (che alloranon esisteva), ma non l’immigrazione vista sotto il profilo relativoalla posizione soggettiva del singolo immigrato. Questo profilo,infatti, non era stato ignorato, ma aveva trovato la sua rispostanell’articolo 10 della Costituzione, dove al secondo, terzo equarto comma, era stata regolata la condizione giuridica dellostraniero. Con la disciplina posta da queste norme si era intesoaffermare alcuni principi di base e cioè: a) l’esistenza di unariserva di legge sulla materia; b) il vincolo per il legislatorestatale ad agire “in conformità delle norme e dei trattati inter-nazionali”; c) il riconoscimento del diritto di asilo per gli straniericui sia impedito nel proprio Paese l’esercizio delle libertà

È l’articolo 10invece a regolare la condizionegiuridica dello straniero,vincolando il legislatore ad agire in conformità con i trattati internazionali

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Entro la cornice istituzionale,la materia dellaimmigrazionesi presenta ben delineata da un complesso di regole caratterizzate da una forte apertura verso i principi del diritto internazionalee pattizio

democratiche garantite dalla costituzione; d) il divieto di estra-dizione dello straniero per reati politici. Successivamente, conla riforma dell’articolo 117 della Costituzione varata nel 2001,a questo quadro costituzionale veniva aggiunto un altro tassellorelativo all’affidamento della materia “immigrazione” alla com-petenza legislativa esclusiva dello Stato.

Alla luce di questo quadro di regole costituzionali, tutte moltochiare e impegnative, anche nella materia dell’immigrazione ladiscrezionalità del legislatore ordinario si presenta, dunque,oggi ben delimitata da un complesso di regole caratterizzateda una forte apertura verso i principi del diritto internazionaleconsuetudinario e pattizio. Un diritto che – come sappiamo –nei suoi sviluppi più recenti, si è orientato sempre più versol’espansione del profilo tradizionale dei diritti fondati sullacittadinanza, in direzione di un profilo legato alla visione univer-salistica dei diritti umani.

Non solo. A livello europeo la materia dell’immigrazione, apartire dal Trattato di Amsterdam del 1997, è stata “comunita-rizzata” con la previsione di regole destinate alla disciplina deivisti, dell’asilo, della libera circolazione delle persone. Su questabase gli organi di governo dell’Unione Europea, nel corso degliultimi anni, sono intervenuti ripetutamente con regolamenti,direttive e decisioni riferite all’ingresso, al soggiorno e all’allon-tanamento degli stranieri, nonché al contrasto dell’immigrazioneclandestina. Anche questa disciplina, al pari di quella espressaattraverso le norme dei trattati internazionali, viene, dunque,oggi a vincolare il nostro legislatore: e questo in base al principiodi “primazia” del diritto comunitario sul diritto interno, principioaffermato da tempo dalla giurisprudenza delle Corti europee edella nostra Corte costituzionale e confermato, dopo la riformadel 2001, anche dalla nuova formulazione del primo commadell’articolo 117 della Costituzione che subordina la legislazionestatale e regionale ai “vincoli derivanti dall’ordinamentocomunitario”.

4. Questi, in estrema sintesi, i due percorsi che in tema diemigrazione e immigrazione ha sviluppato il legislatore italianodagli anni dell’unificazione ai giorni nostri. Percorsi assaicomplessi e tormentati, ma la cui lettura può aiutarci a coglierealcuni passaggi cruciali della nostra storia nazionale.

Viene a questo punto da domandarsi se, alla luce della storiache abbiamo richiamato, esiste un parallelismo tra questi duepercorsi e tra i motivi di fondo che li hanno ispirati. Il parallelismoindubbiamente esiste ma, forse, più che sul piano dei modelli

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giuridici adottati, sul piano dei principi di etica civile e di sensibilitàsociale che sono rimasti sottesi a tali modelli. Il fatto è che l’e-sperienza sofferta e prolungata di una emigrazione di massanon può non condurre a maturare nella coscienza collettiva diun popolo anche un particolare rispetto per la condizione dellostraniero presente dentro i confini nazionali. Questo accade ogginell’esperienza del nostro Paese che appare aver assimilato nelproprio patrimonio genetico quello “spirito di inclusione” cheinduce più agevolmente a superare la barriera del vincolo deirapporti di sangue, per favorire il riconoscimento e la promozionedella dignità della persona umana “senza distinzione di razza,di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personalie sociali”.

Forse sta proprio in questo sentire collettivo che intorno a noisi avverte – e che l’articolo 3 della nostra Costituzione ha moltobene interpretato – il lascito più rilevante di questa storia cheabbiamo richiamato e che ha finito per collegare le dureesperienze del passato alle non facili scelte che i problemi delpresente vengono oggi a imporre alla nostra comunità

Un parallelismo tra percorsi che ha certamente influito suquello “spiritodi inclusione”necessario per affrontare il problema

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Una lettura delle migrazioni italianenegli ultimi 150 anni

di Vincenzo CesareoUniversità Cattolica di Milano

Un excursus sui movimenti interni ed esterni di popolazione nell’Italia post-unificazionee i principali approcci utilizzati per interpretaretali fenomeni: quello della distanza culturale e quello della socializzazione anticipatoria

1. Un sintetico excursusLe informazioni relative alle migrazioni nel nostro Paese

antecedenti all’unificazione politica sono scarse. È solamentecon il primo censimento del nuovo Stato nazionale che comincianoa essere disponibili dati più precisi. I censimenti moderni nasconoproprio nell’Ottocento; in Italia si comincia a disporre di indica-zioni relative ai migranti da quello del 1871.

Nel corso dell’Ottocento, i movimenti migratori europei intra-continentali non rappresentano ancora un fenomeno rilevantesoprattutto se confrontati con quelli intercontinentali. Infatti, lafase di grande espansione delle migrazioni avvenuta nel XIXsecolo riguarda flussi che – a partire prevalentemente dai Paesianglosassoni, ma in seguito anche da Francia, Germania evia via coinvolgendo tutti i popoli europei – avevano qualedestinazione le Americhe. I movimenti intra-europei riguardavanoperlopiù forze-lavoro specializzate che dalle zone più progredite(ad esempio la Germania) si spostavano verso aree più arretrate(come la Polonia o la Russia). Tuttavia dal 1870 si registraun’inversione di tendenza e le migrazioni intracontinentaliacquistano una nuova rilevanza1. Si trattava di migrazionitemporanee dalle zone economicamente più arretrate alle areeindustrializzate, in particolare verso la Germania, la Francia ela Svizzera, che in quegli anni cominciano a trasformarsi daPaesi di emigrazione in Paesi di immigrazione.

1 Alberoni F., Baglioni G., L’integrazione dell’immigrato, Il Mulino, Bologna, 1965, p. 248

È con i censimenti,a partire dalprimo, quello del 1871,che anche in Italia si comincia a disporre di indicazioni relative ai migranti,i cui movimenti sono stati prima inter-continentali,poi intra-europei,poi interni

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Proprio a partire dal 1860 il fenomeno migratorio assume uncerto rilievo anche in Italia: inizialmente le emigrazioni partonodalla Liguria, dal Piemonte, dall’Alta Lombardia e dal Veneto;solo successivamente riguarderanno invece in modo consistenteanche il Meridione, in particolare Calabria, Campania, Puglia,e Sicilia.

L’emigrazione italiana presenta alcune peculiarità: in primoluogo prende avvio in un momento successivo rispetto a quelladelle popolazioni anglosassoni e di lingua tedesca, ma raggiungerapidamente dimensioni tali da collocare l’Italia, all’inizio delNovecento, tra i principali Paesi europei di emigrazione. Insecondo luogo, essa raggiunge il suo apice tra il 1900 e il 1914,periodo di notevole espansione economica per l’Italia, mentre inaltri Paesi europei, allo sviluppo economico, corrisponde unacontrazione delle migrazioni in uscita.

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Proprio a cavallo tra le due guerre mondiali si registra inveceun declino dei flussi migratori, soprattutto per quanto riguardaquelli transoceanici. Le ragioni di tale battuta d’arresto sonoprincipalmente di carattere socio-economico e riguardano unduplice processo: da un lato i Paesi di destinazione (in particolaregli Stati Uniti) attivano meccanismi di restrizione dei flussi;dall’altro sono gli stessi Paesi di emigrazione a tentare diarrestare l’esodo dei propri connazionali. Al rapido calo dellemigrazioni intercontinentali corrisponde però una sostanzialetenuta di quelle intracontinentali, soprattutto verso la Francia.

Nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale lemigrazioni assumono nuove caratteristiche: accanto alle tradi-zionali destinazioni, quali l’America del Nord e del Sud, se neaffermano di nuove, come Australia, Venezuela, Israele, ecc.Dall’Italia ci si sposta soprattutto verso la Francia e laSvizzera 2. Complessivamente, sul piano quantitativo, nelbilancio delle migrazioni transoceaniche e intracontinentali,l’emigrazione italiana ha un peso notevole: nell’arco di unsecolo, tra il 1876 e il 1976, si calcola infatti che siano emigraticirca 24 milioni di italiani 3.

È necessario a questo punto segnalare un altro fenomenopeculiare della realtà del nostro Paese: quello delle migrazioniinterne. Infatti, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, con-testualmente al boom economico del Nord, numerosi migrantisi sono trasferiti dal Mezzogiorno e dal Triveneto versoLombardia, Piemonte e Liguria, attratti dalle opportunitàoccupazionali offerte dalle grandi industrie del Nord-Ovest, ilcosiddetto “triangolo” del miracolo economico italiano.

A partire dal 1973 avviene però una nuova inversione ditendenza molto significativa: per la prima volta, si registra unsaldo migratorio positivo che trasforma l’Italia da Paese diemigrazione a Paese di immigrazione. In base al XII censimentogenerale della popolazione (1981) i cittadini di altre nazionalitàrisultano essere 321mila 4.

Il primo intervento normativo per regolamentare l’immigrazione,soprattutto l’attività lavorativa degli immigrati, risale al 1986,con la legge n. 943 Norme in materia di collocamento e ditrattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e controle immigrazioni clandestine. Questa legge contiene alcuni principi

2 Ibid.: 2563 Rosoli G., Un secolo di emigrazione ital iana 1876 -1976, Cser, Roma, 19784 Istat, XII censimento generale della popolazione, Roma, 1981

Il 1973 è l’anno della svolta: il primo anno in cui l’Italia si trasforma da Paese di emigrazione in Paese di immigrazione

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generali di particolare importanza, quali la parità di diritti tralavoratori italiani e stranieri, l’accesso garantito ai servizisociali e sanitari, la salvaguardia dell’identità culturale e laregolamentazione del ricongiungimento familiare. Inoltre lalegge istituisce una serie di organi e servizi atti a garantire talidiritti, oltre a prevedere una sanatoria per tutti gli stranieri che,entro tre mesi dalla promulgazione della legge, dimostrino diessere residenti in Italia.

È negli anni Novanta però che l’immigrazione assume unarilevanza tale da indurre a varare una nuova legge. Nel 1990 vieneinfatti approvata la “Martelli” (legge n.39 del 28 febbraio 1990)che per la prima volta tenta di disciplinare in modo organicola realtà migratoria italiana, introducendo anche la regolamen-tazione dell’ingresso e del soggiorno di cittadini immigrati, il dirittodi asilo e riconoscendo agli stranieri i diritti fondamentali dellapersona oltre a quelli del lavoratore.

La prima immigrazione di massa investe l’Italia nel 1991 e haun forte impatto anche sull’immaginario collettivo. La cadutadel regime comunista in Albania del 1990 e la successiva gravecrisi economica che colpisce questo Paese provoca infattiun grande esodo e la nostra televisione mostra le immagini dimigliaia di persone che, ammassate su navi fatiscenti, attra-versano il mare Adriatico alla ricerca di migliori condizioni di vitae nuove opportunità.

Il consistente aumento di immigrati in Italia induce a elaborareuna nuova normativa, la legge n.40 del 1998, poi recepita eintegrata con il D.Lgs, n. 286 dello stesso anno. Il Testo unico,detto anche “Turco-Napolitano”, disciplina puntualmente laprogrammazione dei flussi di ingresso, le carte di soggiorno,la tutela della famiglia e dell’integrazione scolastica, e introduceprecise norme per il contrasto dell’immigrazione clandestina,tramite l’istituzione dei Cpt (Centri di permanenza temporanea).

La “Turco-Napolitano” viene a sua volta sostituita nel 2002dalla cosiddetta “Bossi-Fini” (legge 189/2002). Successivamentela normativa in materia di immigrazione è stata incrementatadalla legge n. 94 del 2009, nota come “Pacchetto sicurezza”,che prevede anche l’implementazione di un Accordo di integra-zione, peraltro non ancora entrato in vigore.

Da questo sintetico richiamo risulta evidente che il sistemalegislativo ha scandito la storia del fenomeno immigratorioitaliano. L’arrivo in Italia di persone di diversa provenienzaculturale, oltre che geografica, ha spinto le istituzioni a crearenuove soluzioni a garanzia della convivenza, della sicurezzae dell’integrazione di fronte all’entità assunta da questi flussi.

Il primo intervento normativo in materia di immigrazione è del 1986,con la legge 943.Sono seguite la legge Martelli del 1990,la Turco-Napolitano del 1998,la Bossi-Fini del 2002 e la Maroni-Alfano del 2009

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Al 1° gennaio 2010 in Italia risiedevano infatti oltre 5,3 milionidi stranieri 5 e, nonostante questi flussi migratori abbiano portatocon sé alcuni innegabili aspetti problematici, i l processo diintegrazione sembra ormai avviato. Perché integrazione econvivenza diventino elementi strutturali del nostro Paese ènecessario però che la riflessione intorno al tema dellemigrazioni e l’individuazione di possibili modelli di integrazionenon si arrestino.

2. Gli approcci interpretativiNel corso degli anni gli approcci utilizzati per leggere i

fenomeni migratori sono stati molteplici. Tradizionalmente,per interpretare gli spostamenti di persone da una nazioneall’altra sono state adottate chiavi di lettura riconducibili in largamisura alla teoria della distanza culturale. Con tale concettosi pone l’accento sulla diversità tra i valori e i modelli dicomportamento, consapevoli o inconsapevoli, presenti nelledifferenti società 6.

L’approccio della distanza culturale è stato utilizzato,implicitamente o esplicitamente, per la lettura delle migrazioniintercontinentali, nello specifico di quei flussi di persone che,nel corso dell’Ottocento e nei primi del Novecento, si spostaronodall’Europa in direzione delle due Americhe. Tali emigranti,perlopiù contadini, giunti nel Paese di destinazione viderosvanire l’idea di trovare un ambiente sociale simile a quello dipartenza 7: incontrarono una realtà socialmente e culturalmentediversa dal propria, percepita come molto distante ed estranea.I soggetti della stessa provenienza avevano quindi la tendenzaa mantenere stretti legami fra di loro, tendendo a distinguersie isolarsi rispetto alla società ospite. Questo avvenne anchesuccessivamente, quando coloro che partivano avevano giàacquisito, prima della partenza, alcune informazioni relativeal contesto di arrivo. Le persone, nel Paese di immigrazione,conservavano quindi spesso valori e modelli di comportamentotipici della società di partenza e assumevano atteggiamentietnocentrici. Peraltro questo stesso orientamento era partico-larmente diffuso anche tra gli autoctoni, che percepivano inuovi venuti come portatori di culture inconciliabili con la propria.

5 Fondazione Ismu, XVI Rapporto sulle migrazioni 2010, FrancoAngeli, Milano, 20106 Ibid.: 10 07 Ibid.: 10 2

Gli approcci utilizzati per leggere i fenomeni migratori sono stati molteplici,a partire da quello della distanzaculturale,che rilevavai conflitti tra autoctoni e nuovi arrivati

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Tale periodo storico fu dunque caratterizzato da una notevoledistanza tra migranti e autoctoni, che limitava gli scambi tra leculture, favorendo al contrario l’etnocentrismo, inteso comepresupposizione della superiorità della propria cultura rispettoalle altre 8. Secondo tale approccio, inoltre, l’integrazionerisulterebbe tanto più difficile quanto maggiore è la diversitàdelle culture che si incontrano: per tali ragioni la distanza traculture renderebbe maggiormente problematica per il migrantela comprensione della società ospite.

In sintesi, le migrazioni intercontinentali erano caratterizzateprevalentemente da tre elementi distintivi:a. differenze profonde tra le cultureb. limitati se non nulli contatti tra la cultura degli autoctoni equella dei migranti, con una conseguente scarsa conoscenzareciproca delle personec. elevato etnocentrismo, rilevabile sia tra i migranti che tragli autoctoni.

La storia delle migrazioni interne italiane, a partire dall’Unitàdel Paese, ha tuttavia indotto alcuni studiosi a muovere dellecritiche nei confronti della teoria della distanza culturale,mettendola in discussione. La chiave di lettura di tale approccio,indubbiamente appropriata per le migrazioni internazionali diun tempo, non è parsa del tutto adeguata all’interpretazionedelle migrazioni interne che hanno interessato l’Italia a cavallotra gli anni Cinquanta e Sessanta. È proprio con l’avvento ditali migrazioni che si è posta la necessità di ricercare nuovemodalità interpretative, proprio perché queste presentavanotratti distintivi diversi da quelli in precedenza individuati:a. frequenti comunicazioni e scambi di informazioni tra personeabitanti nelle diverse aree, anche grazie al contributo dei massmedia, che consentivano una maggiore e più puntuale cono-scenza dei contesti d’arrivob. assunzione e condivisione, anche prima della partenza, dielementi culturali del contesto di arrivoc. etnocentrismo “alla rovescia”: i migranti ritenevano superiorela cultura del contesto ospite rispetto a quella del Paese diprovenienza.

8 Ibid.: 10 5

Il diffondersi delle migrazioni interne fa nascere nuove modalità interpretative,legate a una minore conflittualità e alle volte a un etnocentrismo alla rovescia

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Un nuovo approccio è stato messo a punto nella letturadelle migrazioni: quello della socializzazione anticipatoria.Nel caso delle migrazioni interne italiane, si riscontrava che imigranti, già nell’area di partenza (Nord-Est e Meridione diItalia) avevano acquisito una buona conoscenza della realtàdi destinazione (Lombardia, Piemonte, Liguria). Avevano cioènon solo già assimilato, almeno in qualche misura, i modelli dicomportamento propri delle aree più interessate dai processidi industrializzazione e di modernizzazione, ma anche desi-deravano assumerli. Tale processo è stato possibile, come siricordava, in particolare grazie all’azione dei mass media chein quegli anni andavano assumendo un rilievo significativoanche sotto il profilo della socializzazione.

Alcune indagini empiriche hanno dimostrato che l’interioriz-zazione di valori e modelli culturali del contesto di destinazione hafavorito l’inserimento nella società ospite senza grossi traumie conflitti. Emblematica e particolarmente innovativa, a questoproposito, è la ricerca sperimentale sull’integrazione degliimmigrati nella città di Milano condotta tra il 1961 e il 1962 9

dall’università Cattolica nel quadro delle attività promossedall’allora ministero dell’Agricoltura e Foreste. Scopo dell’indagineera proprio quello di analizzare il livello di integrazione socio-culturale di soggetti da poco insediatisi in città, al fine di verificareempiricamente l’ipotesi della socializzazione anticipatoria.

Dall’indagine emergeva l’immagine di una popolazioneimmigrata con un livello adeguato di conoscenza delle abitudinidi una grande metropoli, che stava intraprendendo un apprez-zabile percorso di integrazione, disposta a condividere lemodalità di vita del luogo di adozione e in grado di fare una buonasintesi tra la propria cultura tradizionale e quella di adozione.

Oltre il 75% degli intervistati dichiarava di voler rimanere aMilano definitivamente, ma più significativo è che il 63% degliintervistati aveva intrapreso il percorso migratorio con la convin-zione che si sarebbe ben adattato nel capoluogo lombardo,non solo per le opportunità lavorative che esso offriva, maanche per il fascino esercitato da una grande città, modernae industrializzata. Inoltre circa tre quarti degli intervistati nonpercepiva una stigmatizzazione da parte degli autoctoni.Oltre il 50% dei soggetti dichiarava di non sentirsi spaesatoa seguito della migrazione, mentre una quota pari al 20%

9 Ibid.

Un’indagine sociologica che ha fatto scuola: quella realizzata dall’università Cattolica a Milano fra il 1961 e il 1962.Grazie anche all’azione dei massmedial’atteggiamentodei migranti diventa desideroso di integrazionee di un nuovo modello di vita

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sosteneva di aver sofferto di problemi di adattamento solonelle prime fasi di insediamento. Accanto a questi elementi,certamente indicatori di una buona integrazione, dalla stessaricerca emergeva come permanessero negli immigrati segnidi attaccamento alla cultura di origine (a questo proposito oltreil 55% riteneva giusta l’affermazione “Moglie e buoi dei paesituoi”) pur avendo acquisito un certo equilibrio tra l’adesioneai valori tradizionali e i modi di vita milanesi.

L’ormai storica ricerca, qui brevemente richiamata, ha quindiconsentito di verificare in larga misura l’ipotesi della socializ-zazione anticipatoria. Questa teoria, applicata al caso italiano,ha dato luogo a vivaci dibattiti e confutazioni ma, a distanzadi tempo, ha dimostrato di essere valida almeno in qualchemisura e a determinate condizioni.

Accanto alle chiavi di lettura della distanza culturale e dellasocializzazione anticipatoria è opportuno riservare una crescenteattenzione anche a quelle più recentemente proposte e finorapoco esplorate, quali quelle del transnazionalismo e dell’assimi-lazione segmentata. Per effetto delle maggiori possibilità dicomunicazione e di mobilità territoriale sta emergendo unanuova figura: il trasmigrante. Si tratta di una persona che riescea mantenere significativi legami e una solida identificazionecon il proprio Paese d’origine senza pregiudicare la propriaintegrazione nel contesto culturale di arrivo. Il transnazionalismomette quindi in crisi quelle letture che considerano il manteni-mento di legami identitari con il proprio Paese incompatibilecon una effettiva integrazione in quello di accoglienza (Caselli,2010: 109). I trasmigranti rappresentano, però, ancora unaminoranza tra gli immigrati che giungono in Italia.

Un altro approccio, sviluppato soprattutto a partire dall’espe-rienza statunitense e molto innovativo, è quello della cosiddettaassimilazione segmentata 10. Secondo questa teoria i giovaniimmigrati, mettendo in atto un processo di acculturazioneselettiva, capace di realizzare una sintesi positiva tra i valoritradizionali familiari-comunitari e quelli del contesto di immi-grazione, avrebbero migliori chance di sottrarsi al rischio didevianza e di assimilazione verso il basso che il processo diassimilazione tout court può portare con sé.

10 Ambrosini M., “Introduzione. Una ricerca su socialità e integrazione dei giovanidi origine immigrata”, in Ambrosini M., Bonizzoni P., Caneva E. (a cura di), Incontrarsie riconoscersi. Socialità, identif icazione, integrazione sociale tra i giovani diorigine immigrata , fondazione Ismu, regione Lombardia, Osservatorio regionaleper l ’ integrazione e la multietnicità, Milano, 2011, pp.19-38

Sta emergendouna nuovafigura: il trasmigrante,che mantiene i legami d’origine e la propria identificazione con il Paese di partenza,senza pregiudicare la propria integrazione nel nuovo contesto culturale d’arrivo

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Una lettura delle migrazioni italiane dopo l’Unità

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Alberoni F., Baglioni G., L’integrazionedell’immigrato, Il Mulino, Bologna, 1965

Caselli M., “Transnazionalismo” inCesareo V., Blangiardo G.C. (a cura di),Indici di integrazione. Un’indagine empiricasulla realtà migratoria italiana, FrancoAngeli,Milano, 2009

Rosoli G., Un secolo di emigrazioneitaliana 1876 -1976, Cser, Roma, 1978

Istat, XII censimento generale dellapopolazione, Roma, 1981

Fondazione Ismu, XVI rapporto sullemigrazioni 2010, FrancoAngeli, Milano,2010

Ambrosini M., “Introduzione. Una ricercasu socialità e integrazione dei giovani diorigine immigrata”, in Ambrosini M.,Bonizzoni P., Caneva E., Incontrarsi ericonoscersi. Socialità, identificazione,integrazione sociale tra i giovani di origineimmigrata, fondazione Ismu, regioneLombardia, Osservatorio regionale perl’integrazione e la multietnicità, Milano,2011, pp.19-38.

Bibliografia

Con riferimento alla realtà italiana ci sembra di poter affermareche le chiavi di lettura sopra esposte – della distanza culturalee della socializzazione anticipatoria – non solo possano ancoraoggi essere adeguate per interpretare la realtà migratoria, mache non siano tra loro necessariamente alternative (aut … aut)quanto piuttosto complementari (et … et). Esse possono essereadottate cioè assieme o separatamente a seconda degli aspettiindagati.

Va tenuto inoltre sempre presente come tuttora l’Italia nonsia solo un Paese di immigrazione, ma continui a essereanche terra di emigrazione tanto che, al 1° gennaio 2010,oltre 4 milioni di cittadini italiani risiedevano all’estero (Aire,Anagrafe degli italiani residenti all’estero). Gli approcci delladistanza culturale e della socializzazione anticipatoria, così comequelli cui si è accennato del transnazionalismo e dell’assimi-lazione segmentata, risultano delle chiavi di lettura valide perlo studio delle migrazioni “per” e “dall’“Italia che, sin dallasua unificazione politica, è terra di emigrazione e, ormai daalcuni decenni, anche di immigrazione.

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anoIl lungo cammino

della popolazione dall’Unificazione a oggi

di Antonio GoliniAccademia dei Lincei e “Sapienza” università di Roma

L’evoluzione demografica italiana negli ultimi150 anni: da Paese di emigrazione siamo diventati Paese di immigrazione. Grazie agli arrivi dall’estero,nel 2050 avremo più abitanti, una minore incidenzadi anziani e più persone in età lavorativa

1. Il 150° dell’Unificazione italiana va fornendo, assai oppor-tunamente, le più varie occasioni di esaminare il lungo percorsoche ha fatto il nostro Paese e di riflettere su di esso. In questolungo percorso, dal punto di vista migratorio, l’Italia è passata– come è ben noto – dall’essere Paese di forte emigrazione aPaese di forte immigrazione, da Paese in cui c’era un intensosquilibrio demografico-economico con un surplus di forza lavoroda scaricare all’estero a Paese in cui lo squilibrio si è rovesciatoe, per ora, è l’estero che scarica verso di noi parte dei suoi surplus.

Sulla lunga e intensa emigrazione italiana la bibliografia èdavvero sterminata, dal momento che il tema attirò, e continuagiustamente ad attirare, l’attenzione di un grandissimo numerodi studiosi di tutte le scienze sociali. Anche sull ’ intensaimmigrazione straniera verso l’Italia la bibliografia, nonostanteil relativamente breve periodo nel quale si va manifestando, ègià enorme. In questa sede non si affronta né l’uno, né l’altrodei periodi, ma ci si propone di dare uno sguardo, a volod’uccello, sui 150 anni di storia demografica italiana – migratoriae non – prolungando lo sguardo su che cosa può aver significatola storia migratoria recente per il possibile futuro della nostrapopolazione.

2. A guardare il grafico dello sviluppo della popolazione italianadal 1861 al 2011 (figura 1) si vede come esso rifletta poco letormentate vicende che l’Italia ha subito fino al 1980: le annessionie le perdite territoriali, un’emigrazione violentissima durata piùdi un secolo, le due tragiche guerre mondiali. Di quest’ultime

La storia demografica come chiave di lettura per il possibile futuro della nostra popolazione

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La popolazione e le migrazioni italiane dall’Unificazione a oggi

è la prima che ha lasciato un segno demograficamente un po’più marcato, rallentando lo sviluppo della popolazione e anzisegnando una sua ridotta regressione, per entità e durata;‘marcato’ anche perché immediatamente dopo la prima guerramondiale si manifestò quella tragica epidemia di influenza –ricordata come “spagnola” – che falcidiò un gran numero divite umane.

In una prospettiva di lungo periodo, il sistema popolazioneha avuto in Italia, fino agli inizi degli anni Ottanta del secoloscorso, un andamento così regolare perché è stato costante-mente alimentato da un consistente numero di nascite – più omeno un milione l’anno – che ha permesso di assorbire le perditedemografiche provocate da eventi eccezionali, ma “brevi”,come le guerre e da eventi meno intensi, ma prolungati, comel’emigrazione. Poi, a partire dagli anni Settanta, le nascite sonoprogressivamente crollate fino a poco più di mezzo milione

Figura 1. Popolazione residente a fine anno in Italia dal 1861 al 2010 nei confini dell’epoca (valori in migliaia)

Fonte: elaborazione su dati Istat, da Popolazione e movimento anagrafico dei comuni e http://www.demo.istat.it

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La popolazione e le migrazioni italiane dall’Unificazione a oggi

l’anno e l’andamento della popolazione si è di conseguenza appiat-tito, nonostante nel frattempo l’emigrazione consistente siandasse via via esaurendo.

Dall’inizio degli anni Ottanta si è invece cominciata ad avereimmigrazione straniera, sempre più intensa, che ha consentitoalla popolazione italiana di abbandonare un andamento piattoe di crescere nuovamente, come è bene evidente nell’ultimaparte della figura 1. A volere sintetizzare al massimo, negli ultimiventi-trenta anni gli immigrati stranieri vanno giocando il ruoloche nei precedenti centoventi anni aveva giocato l’alto numerodi nascite (figura 2) nell’assicurare il ricambio generazionale equindi la sopravvivenza demografica della popolazione italiana(figura 3).

Figura 2. Nati vivi e morti in Italia della popolazione residente nei confini dell’epoca, 1862-2010(valori in migliaia)

Fonte: elaborazione su dati Istat, da Popolazione e movimento anagrafico dei comuni e http://www.demo.istat.it

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La popolazione e le migrazioni italiane dall’Unificazione a oggi

3. Nel presente lavoro si è fatto riferimento alla popolazioneresidente, cioè a quella iscritta nei registri anagrafici dellapopolazione. Così come si è fatto riferimento agli eventi –nascite, morti, iscrizioni (assimilate alle immigrazioni) e cancella-zioni (assimilate alle emigrazioni) da e verso l’estero – che inessa si registrano. Nella realtà il quadro demografico è piùcomplesso soprattutto per la circostanza che un numero, nonsempre trascurabile, di persone entrano ed escono dal Paesesenza iscriversi o cancellarsi dall’anagrafe1. Ma le statistichenon basate sui registri di popolazione – e in particolare quellemigratorie – sono più incerte, e quindi assai spesso più imprecise,soprattutto, ma non solo, per quel che riguarda i primi decennidella nostra storia unitaria. Una rivisitazione rigorosa di tutta la

1 Naturalmente qui ci si r i ferisce a migranti, di breve o di lungo periodo, e nonad altr i t ipi di spostamenti territorial i

Figura 3. Saldo naturale (differenza fra nascite e morti) e saldo migratorio (differenza fra immigratied emigrati) della popolazione residente dell’Italia nei confini dell’epoca, 1862 -2010 (valori in migliaia)

Fonte: elaborazione su dati Istat, da Popolazione e movimento anagrafico dei comuni e http://www.demo.istat.it

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storia demografica della popolazione italiana fu fatta dall’Istatnel 1961 in occasione del primo centenario dell’Unificazione ea quei dati, poi costantemente aggiornati, ci si è rifatti peravere la lunga serie storica che compare nei grafici qui prodotti(a tale proposito si veda anche l’Appendice, contenuta nellasezione “Documentazione e statistiche”, che riporta la seriestorica della popolazione residente, dei nati vivi e morti, delsaldo naturale e del saldo migratorio in Italia negli anni dal 1861al 2010) 2.

Pur nei limiti di quanto appena precisato i dati sonostraordinariamente significativi. L’emigrazione netta italianaera particolarmente cospicua già alla fine dell’800, quando nei13 anni che vanno dal 1888 al 1900, la differenza fra partenze eritorni fu di 1 milione e 653mila persone, cioè di 118mila persone inmedia all’anno, dirette prevalentemente verso le Americhe; unamedia elevatissima considerando che la popolazione italianaa quei tempi era di circa 30-32 milioni, che i trasporti dell’epoca,sia all’interno per trasferirsi soprattutto verso i porti di Napoli eGenova, sia verso l’estero, erano pochi, lenti e costosi e infineche era ridottissima la possibilità di avere corrette informazionisu tutti gli aspetti del processo migratorio, anche in conse-guenza della altissima percentuale di analfabeti.

Altra punta di grande intensità si ebbe alla vigilia della primaguerra mondiale, nel 1912-13, quando le partenze verso l’esterosuperarono gli arrivi di ben 714mila unità, con direzioneprincipale verso i nuovi mondi. E ancora un altro periodo dielevate perdite migratorie si ebbe dopo la seconda guerramondiale, tanto che nel quindicennio 1954- 68 le partenzesuperarono i rientri di 1 milione e 659mila unità – una media di111mila all’anno – con direzione prevalente l’America del nord,nel primo periodo, e poi l’Europa occidentale, nella qualeun’impetuosa ricostruzione e un declino demografico accentuatorichiedevano manodopera dall’estero.

Poi, anche in Italia, il miracolo economico degli anni Cinquantae Sessanta, si accompagnò, a partire dal 1964, a un progressivofortissimo declino delle nascite, sicché le regioni settentrionali,in alcune delle quali il declino era cominciato prima, comin-ciarono a sperimentare un’accentuata carenza di forza lavoro. Èin questo periodo che il Mezzogiorno, sempre economicamentearretrato e demograficamente vitalissimo, subì un’emigrazione

2 Tabelle e grafici sono stati elaborati con l’ausilio prezioso del dott. Angelo Lorenti,che qui sentitamente si r ingrazia

Il miracolo economico degli anni ’50 e ’60 dirotta l’emigrazione italiana anche versoil Nord del Paese.Il Meridionepaga il prezzo più alto:tra il 1951 e il 1971 perdeun capitaleumanodi quattromilionidi persone,due versoil Norde due versol’estero

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emorragica tanto verso il Nord del Paese, quanto verso l’estero:fra il 1951 e il 1971 le perdite nette del Mezzogiorno furono di circa4 milioni di persone – un capitale umano e sociale smisurato –di cui 2 milioni dirette verso il Centro-Nord e 2 verso l’estero.

Transizione demografica (verso una forte e generalizzatadiminuzione della fecondità e verso un saldo naturale in cuile morti eccedono sulle nascite), transizione economica (versouna buona crescita del reddito pro-capite e verso un forteaumento degli addetti ai servizi), transizione sociale (verso uncrescente benessere delle famiglie e un forte aumento dellascolarità superiore, in particolare delle donne) hanno creatoin Italia non soltanto un crescente squilibrio quantitativo fraofferta e domanda di lavoro, ma anche un crescente squilibrioqualitativo fra lavori domandati dal mercato e lavoratori italianidisponibili ad accettarli. Tutto questo – come è ormai ben noto– ha portato a far finire nel 1988 l’emigrazione netta italianae a far cominciare, anche per l’azione di istituzioni caritatevoli,dal 1989 un’immigrazione netta (cioè immigrati meno emigrati)verso il nostro Paese.

Fino al 2001 l’immigrazione netta è stata di 10-50mila personeall’anno; poi una domanda di lavoro sempre più intensa el’accumulazione in Italia di irregolari e clandestini hanno portatoa quote sempre più elevate di immigrati previste nei decreti flussie soprattutto a ricorrenti sanatorie nei confronti degli irregolari.E così, nei nove anni che vanno dal 2002 al 2010, gli arrividall’estero hanno superato le partenze verso l’estero di ben3 milioni e 753mila unità 3, cioè in media di 417mila all’anno;e di questa larghissima popolazione si hanno i segni evidentitanto nella figura 1 della popolazione italiana, che per l’appuntodal 2002 schizza in su, ma ancora di più nel grafico del saldomigratorio (figura 3).

4. Sono gli immigrati stranieri i nuovi “italiani” nonostante,per larghissima parte di essi, alla presenza di fatto non siaccompagni un pieno riconoscimento giuridico. Che si tratti deinuovi italiani è fuori di dubbio tenendo conto, a parte ogniconsiderazione di ordine etico, del loro effetto demograficonel lungo periodo.

La popolazione italiana prevista al 2050, secondo le proiezioniche furono effettuate dalle Nazioni Unite nel 2002 (quando il

3 Partenze non solo di stranieri che avevano deciso di ritornare in patria, ma anchedi italiani qualificati che hanno continuato a emigrare

Transizione demografica,transizione economica e transizionesociale hanno creatoin Italia un crescente squilibrio quantitativo e qualitativo tra offerta e domanda di lavoro e tra lavori richiesti dal mercato e disponibilità degli italianiad accettarli

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La popolazione e le migrazioni italiane dall’Unificazione a oggi

grande ciclo dell’immigrazione italiana ancora non avevadispiegato alcuni suoi importanti effetti), sarebbe stata di 44,8milioni di cui circa il 41% ultrasessantenni, mentre secondo lerecentissime proiezioni effettuate nel 2010 la popolazione,sempre al 2050, ascenderebbe a 59,1 milioni; a metà del secoloavremmo quindi come frutto diretto e indiretto dell’immigrazionestraniera 14,2 milioni di popolazione in più di quello che siimmaginava nove anni prima, e la percentuale di ultrasessantenniscenderebbe al 38% circa (tabella 1).

Ma fatto forse ancora più significativo è che la popolazionein età lavorativa sarebbe stata al 2050 di 20.822 mila personesecondo le proiezioni del 2002, mentre sarebbe di 27.981 secondole proiezioni del 2010. Quindi, grazie alle massicce immigrazionidegli ultimi anni, in Italia al 2050 si dovrebbero avere più abitantie una minore proporzione di anziani e vecchi; ma soprattuttopiù persone in età lavorativa che renderebbero meno squilibratala struttura della popolazione italiana a metà di questo secolo.Sempre che, ora e a quell’epoca, vi sia abbastanza lavoro nelquale impegnare i nuovi oltre che i vecchi italiani.

Proiezioni effettuate nel

Popolazione prevista per l’Italia al 2050 (in migliaia di abitanti)

% di popolazione con 60 anni e più prevista al 2050

Differenza fra il valore massimo e il valore minimo delle proiezioni

Tabella 1. Popolazione italiana e percentuale di popolazione con 60 annie più previste dalle Nazione Unite al 2050 secondo cinque diverse successive proiezioni

2002 44.875 40.62004 50.912 41.32006 54.610 38.62008 57.006 39.12010 59.158 38.4

+ 14.283 - 2.9

Fonte: Population Division of the Department of Economic and Social Affairs of the UnitedNations Secretariat, World Population Prospects: Various Revisions

Gli immigrati stranieri sono a tutti gli effetti oggi i “nuovi italiani”nonostante non si accompagni a questo un pienoriconoscimentogiuridico

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L’identità dell’Italiafra relazioni e mobilità

di Giuseppe RomaDirettore generale Censis

Nel celebrare i 150 anni dell’Unità, è opportunovalutare anche i cambiamenti che comporterà la presenza sul territorio di tanti cittadini stranieri.Un’analisi del Censis sull’idea che gli immigratihanno del loro futuro e di quello del nostro Paese

Se lo Stato italiano compie 150 anni, l’idea d’Italia e i caratterisocioculturali del nostro Paese sono molto più antichi 1. Ognistruttura economica o sistema sociale, per affermare un’iden-tità sua propria, deve differenziarsi rispetto a quanti gli sonopiù vicini e ai modelli dominanti. Le condizioni geografiche –troppo spesso trascurate dagli analisti – sono parte integrantedei complessi movimenti che operano incessantemente nellastoria per formare comunità socialmente coese.

Per l’Italia, relazioni e mobilità costituiscono paradigmifondanti di una collettività tanto diversificata al suo interno,quanto capace di ritrovarsi in un’unica lingua, in un comunegusto culturale, artistico e architettonico, in valori condivisi diintraprendenza e solidarietà. Pur non potendosi riferire a unoStato nazionale integrato, le eccellenze della nostra storiarichiamano connessioni e aperture, verso l’Europa e verso ilMediterraneo. Si tratti dell’espansione della RepubblicaVeneta, o del Gran Tour, dei Giubilei della Cristianità o delleLeghe dei Liberi Comuni, del Rinascimento o del melodramma,il nostro contributo alla civilizzazione occidentale ha avutosempre un carattere di scambio, derivante in parte anche dallaconformazione e dalla permeabilità del nostro territorio. Perfavorire il coagulo interno si è sempre promossa la tessitura di

Le eccellenze della nostra storia richiamano connessioni e aperture verso l’Europa e il Mediterraneo.Il nostro contributo alla civiltà occidentale ha avuto sempre un carattere di scambio

1 Vedi a questo proposito il bel libro di Francesco Bruni Italia. Vita e avventure diun’idea, Bologna, 2010; oltre al testo classico di Guido Bollati, L’italiano - Il caratterenazionale come storia e come invenzione, Torino,1984

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L’identità dell’Italia fra relazioni e mobilità

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rapporti, si potrebbe dire con linguaggio moderno, si è sviluppatala tendenza a realizzare “reti aperte”.

A un tale archetipo nazionale di permeabilità, apertura emobilità dobbiamo riferire la costante presenza, nella più recentestoria dello Stato unitario, di fattori di movimento che riguardanoil capitale umano, di cui le migrazioni sono parte costitutiva.

Se ci riferiamo in particolare agli ultimi 150 anni, i tre maggiorifenomeni migratori hanno segnato altrettanti passaggi crucialidella nostra storia. Proprio l’unificazione ha segnato l’avviodel grande esodo di italiani verso le Americhe e il NuovoMondo, anche come conseguenza dell’integrazione economicanazionale e, con essa, dello scongelamento di ampie quotedella popolazione rurale.

L’industrializzazione del secondo Dopoguerra ha provocatocome effetto sociale la mobilità interna al nostro Paese indirezione Sud/Nord, ma anche Est/Ovest, con i suoi prolunga-menti verso il resto dell’Europa, che a sua volta compiva i primipassi verso un destino comunitario.

Infine, la globalizzazione e, ancora una volta, la perdita diconfini, in ragione di una permeabilità ancora maggiore che nelpassato, ci ha posto di fronte all’arrivo di milioni di immigrati,oltre che dai Paesi più vicini, da tutti gli altri continenti.

Nel celebrare la nostra storia passata, è forse opportunovalutare quali cambiamenti comporterà, nel prossimo futuro, unfenomeno tanto inedito quanto dirompente come la consistentepresenza di cittadini appartenenti alla nostra comunità, macontemporaneamente portatori di altre culture e tradizioni. Permantenere forte la base identitaria nazionale, seppur nelleforme flessibili e talvolta ambigue caratteristiche del passato,abbiamo la necessità di ripensare a tutti i fattori che possanorafforzarla nelle mutate condizioni.

Anche per questo è utile esplorare come gli immigrati arrivatiin Italia guardano al futuro e prevedono possa evolversi l’identitàdel Paese dove hanno scelto di stabilirsi. Un recente studiodel Censis ci può aiutare nella riflessione 2. Gli immigrati presentiin Italia sono destinati ad aumentare nei prossimi anni, ma già oggirappresentano una realtà significativa e vitale per la comunitànazionale. Nel 2020, l’Istat stima che circa il 10% dei residentiavrà origine straniera e che nel Centro-Nord si concentrerà lagran parte dei nuovi italiani.

Tre fenomeni migratori hanno segnatoaltrettanti passaggi cruciali della nostra storia:il grande esodo verso l’estero ai tempi dellaunificazione,l’emigrazione interna Sud-Nord nel periododel boom delDopoguerra,l’immigrazionenell’era della globalizzazione

2 Censis “Italia 20/20” in Stazione Futuro - Qui si rifà l’Italia, Torino Comitato 150, 2011

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L’identità dell’Italia fra relazioni e mobilità

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Come affermato in precedenza, la collocazione geograficaitaliana ci fa identificare come la porta d’ingresso all’Europa, aiPaesi più ricchi. La presenza degli stranieri è progressivamentecresciuta nell’ultimo ventennio, con una loro notevole capacitàdi inserirsi nel lavoro, omologandosi ad alcuni comportamentisocioeconomici tipici degli italiani, a cominciare dalla propen-sione a creare microimprese, o anche a utilizzare i risparmi peracquistare una casa in proprietà.

Aspettative ottimistiche e spinta individuale a migliorare lapropria condizione sono il cuore del rapporto tra gli immigrati eil proprio futuro in Italia. L’impegno, il sacrificio di oggi e delleattuali generazioni costituiscono un patrimonio fiduciario daapportare per lo sviluppo del Paese nel suo insieme, oltre natu-ralmente che per accrescere il benessere della propria famigliae delle generazioni future. Più del 74% degli immigrati pensache la condizione socioeconomica dei propri figli sarà miglioredella propria, ed è solo l’8% a ritenere, al contrario, che saràpeggiore. Se la confrontiamo con l’opinione degli italiani, ilcontrasto è stridente visto che solo il 42% prevede un avvenirepositivo per le giovani generazioni (tabella 1).

Fonte: indagine Censis, 2011

Rispetto alla Sua condizione socioeconomica, Lei ritiene che quella dei Suoi figli sarà: Italiani Immigrati

Migliore 41,8 74,2Uguale 22,8 18,2Peggiore 35,4 7,6Totale 100,0 100,0

Tabella 1. Previsione di italiani e immigrati sulla condizione socio-economicadei propri figli (val. %)

Lo spirito ottimistico dei nuovi italiani emerge anche riguardoal lavoro. La stragrande maggioranza (circa il 92%) ritiene,infatti, che tra dieci anni sarà certamente occupato: per circala metà in un lavoro uguale a quello che svolge attualmente,mentre oltre un quarto immagina una futura collocazione inun’attività diversa e migliore rispetto all’attuale, per competenzee settore economico. Quota che cresce fra i più giovani.

Inoltre, quasi il 76% degli immigrati intervistati nello studioCensis vorrebbe che i propri figli avessero accesso a un titolodi studio universitario. Proprio come nell’Italia del grande boom,quando “l’operaio voleva il figlio dottore”, anche gli stranieri

Gli immigratisono più ottimistidegli italianiriguardo alleprospettivefuturedella propriacondizionesocio-economica

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annettono alla qualificazione professionale e alla formazione ilruolo di principale motore della mobilità sociale. I figli laureatisono ovviamente la forma paradigmatica più evidente di mobilitàsociale attesa, l’idea che l’impegno attuale possa garantire allegenerazioni future un punto di partenza più alto. Meno del 20%degli immigrati afferma che in futuro i propri figli studieranno ilminimo indispensabile. Capitale culturale e istruzione scolasticadeterminano aspettative molto alte di ascesa sociale alle qualisarebbe importante rispondere con azioni che rendano possibiliquei percorsi ascendenti di successo scolastico.

Sappiamo come fra gli italiani nel tempo si sia svalutata – perle ragioni più diverse – l’idea di affermazione sociale tramite lascuola e l’università, e che il binomio “più competenza e piùruolo” non si applica, in Italia, all’attuale condizione delle giovanigenerazioni. Tuttavia, una così pronunciata opzione formativadegli immigrati non può non ridare linfa al patrimonio valorialenazionale.

Fiducia nel futuro e ottimismo per le nuove generazioni costi-tuiscono uno slancio senz’altro positivo da parte degli stranieri,soprattutto se confrontato con le aspettative decrescenti che,lentamente, si vanno installando nelle famiglie italiane. Unaprospettiva che, indirettamente, sembra dimostrare come,nonostante le molte difficoltà esistenti, il contesto italiano diaancora spazio alla mobilitazione delle energie, alla voglia di fare,alla vitalità degli individui motivati ad avanzare socialmente.Spirito del fare e vitalità ottimistica degli immigrati sono conformiai paradigmi dominanti delle precedenti generazioni d’italiani,quelle del miracolo economico e della successiva imprendito-rializzazione di massa, che hanno messo al centro del proprioprogetto di vita l’azione diretta, personale e familiare. E non c’èdubbio che tali valori alimentano l’identità nazionale se nonda 150, almeno da 50 anni.

Il patrimonio familiare – la casa in particolare – costituisceun ulteriore elemento caratterizzante i comportamenti socialidegli italiani fin dall’epoca unitaria (basta ricordare “la roba”ottocentesca). Anche questo fattore vede una convergenzavisto che su di esso si concentrano gli sforzi di radicamento deinuovi italiani. Infatti, da qui a dieci anni, quasi il 46% degliimmigrati dichiara che, nei tempi consentiti dalle condizionieconomiche, intende acquistare una prima casa nella città incui vive. La casa è il perno della vita familiare, il luogo dove,nel prossimo futuro, gli immigrati pensano si svolgerà una partedecisiva del proprio tempo libero. Quanto agli spazi pubblici, iriferimenti non divergono molto da quelli più frequentati dagli

Lo spirito del fare e la vitalità ottimistica degli stranieripresenti nel nostro Paese richiama lo slancio che ha caratterizzato la generazione di italiani protagonisti del miracolo economico

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italiani. Per tutti, alla tradizionale piazza, si vanno sostituendoi centri commerciali.

Lavoro, casa, studi per i figli costituiscono un insieme diobiettivi volti a imprimere una progressiva ascesa del benesserefamiliare per gli immigrati, con effetti di stimolo anche verso lanostra società. Una via spontanea all’integrazione, non esplicitatain forme codificate di coinvolgimento dei nuovi arrivati in un’ideadi nazione. All’orizzonte del 2020, il 29% degli stranieri ritieneche i propri figli saranno pienamente integrati, al punto da nonavvertire diversità rilevanti con i nativi. La maggioranza, tuttavia,pari al 61%, pensa che le nuove generazioni straniere sarannosolo parzialmente integrate, permanendo significative differenzetra le varie comunità di immigrati e tra queste e gli italiani(tabella 2).

Fonte: indagine Censis, 2011

Secondo Lei, tra dieci anni in Italia i figli degli attuali immigrati: Totale

Saranno pienamente integrati, non ci saranno diversità rilevanti con i nativi 28,5Saranno parzialmente integrati, rimarranno visibili le differenze tra le varie comunità di immigrati e anche gli italiani 60,8Non saranno integrati e ciò potrà generare conflitti 10,7Totale 100,0

Tabella 2. Previsione del livello di integrazione dei figli degli immigrati al 2020(val. %)

L’Italia è un Paese di immigrazione recente; nella prossimafase di stabilizzazione, oltre che di incremento dei flussi,crescerà la visibilità sociale degli immigrati, divenendo crucialialtri ambiti di relazione sui quali occorrerebbe un impegnoprolungato, per prevenire tendenze disgreganti e conflittuali.Problemi relazionali si sono già posti per i contesti residenziali:l’accesso agevolato alla casa, i rapporti di vicinato, l’uso di spazipubblici per specifiche attività (si pensi alle funzioni religiose,al commercio o la ristorazione etnica). È indispensabile chele diverse forme, anche micro, di identità territoriale trovinoequilibri adeguati anche a fronte delle nuove dinamichemigratorie legate a Paesi di origine molto diversi dal nostro(si pensi all’Africa sub-sahariana), non immediatamentericonducibili a uno spontaneo inserimento comunitario.

Gli immigrati vedono in prevalenza (60%) un’Italia del futuro

Con l’immigrazione crescerà la visibilità sociale degli immigrati e diverranno cruciali gli aspetti relazionali della convivenza

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costituita da comunità di persone che, pur parlando italiano,conserveranno le proprie abitudini e l’appartenenza al Paesedi provenienza. In particolare, questa è l’opinione più diffusa fra legiovani leve di stranieri, magari nate in Italia, ma che avvertonopiù dei loro genitori l’importanza delle culture d’origine. Purse minoritaria, è significativa la quota del 40% che traguardaun avvenire di maggiore omologazione in grado di produrreun senso d’appartenenza molto forte nella comunità italiana(tabella 3).

Tabella 3. L’Italia del futuro vista dagli immigrati, per ripartizione geografica (val. %)

Come vorrebbe l’Italia Nord- Nord- Centro Sud Totaletra dieci anni? Ovest Est e isole

Un Paese fatto da comunità di persone che, pur parlando italiano, conservano le proprie abitudini e l’appartenenza al Paese di provenienza 69,6 53,4 54,7 56,4 59,7Un Paese di persone con origine straniera, ma unite da lingua, principali abitudini quotidiane, senso di appartenenza a una stessa comunità 30,4 46,6 45,3 43,6 40,3Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: indagine Censis, 2011

Molti altri fattori – la stabilizzazione, l’educazione dei figli,le opzioni di fondo – convergono nel poter affermare che il nostroPaese è vissuto dai nuovi arrivati come la comunità nazionaleove si compie il destino proprio e della propria famiglia. Si trattadi una scelta di vita che convive con percezioni identitariediverse: quasi la metà dichiara di non sentirsi italiano, il 45% sentedi avere una doppia identità, mentre l’8% ha completamenteassimilato un sentire pienamente italiano (tabella 4).

Tabella 4. L’identità italiana degli immigrati per età (val. %)

Si sente italiano? 18 - 29 30 - 44 45 anni Totaleanni anni e oltre

Si, solo italiano 14,3 5,6 4,0 7,5

Sento una doppia identità, italiana e del Paese di origine 39,0 46,9 47,5 45,0

No, non mi sento italiano 46,7 47,5 48,5 47,5

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: indagine Censis, 2011

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A influenzare tale sentimento d’appartenenza concorronola cittadinanza di suolo e l’inserimento territoriale. I ventenniidentificano soprattutto il suolo dove sono nati, o dove sonoarrivati bambini, come la radice nazionale più forte sebbene,come osservato in precedenza, ritengono di non dover rimuoverela cultura d’origine. Per i più anziani, i legami anche familiari ela memoria della vita vissuta altrove continuano a pesare suisentimenti identitari. Ma un orientamento viene anche dallacomunità locale d’insediamento, in grado di trasmettere ainuovi arrivati un sentimento di accoglienza, di offrire concreteopportunità lavorative, di comunicare un livello di alta qualità dellavita. Si sente, finora, più italiano chi vive in territori a insediamentodiffuso del Centro Italia e del Nord-Est, rispetto a chi abita ingrandi centri o aree metropolitane.

Solo nel lungo periodo potrà maturare e generalizzarsi l’identitàspecifica dei nuovi italiani. Per ora resta una scelta di vitaeffettuata con energia e volontà, orientata a raggiungere piùelevati livelli di benessere.

La lunga scia dell’Italia continuerà a rimodellarsi continuamentesulla base dei suoi archetipi storici: relazioni e mobilità. LoStato-Nazione, che compie 150 anni, è opportuno che non lascialla spontaneità dei processi il compiersi della sua missione,agendo per perseguire uno sviluppo armonico, in grado diprevenire eventuali conflitti.

Solo nel lungo periodo potrà maturare e generalizzarsi l’identità specifica dei nuovi italiani; per oraresta una scelta di vita orientata a raggiungere un maggior benessere

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una riflessione su noi stessie sull’Altro

di Marco OmizzoloDottorando - università di Firenze

Le nuove prospettive dell’identità nazionalealla luce del confronto con gli stranieri.Le migrazioni obbligano a reinterpretare e riscrivere il patto storico che ci lega e definiscela nostra appartenenza a una storia comune

Aprendo i lavori per la preparazione delle celebrazioni del150° anniversario dell’Unità d’Italia, il Presidente emerito dellaRepubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, affermava che “iltempo che ci separa dal 2011 deve essere utilizzato per crearecircostanze, eventi, momenti, prodotti che favoriscano unariflessione diffusa e insieme approfondita sul significato del-l’essere italiani oggi; una rivisitazione del nostro passato econ essa la consapevolezza dei valori che lo hanno animato,rendendo possibile il conseguimento di impegnativi traguardi.Lo spirito delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unitàd’Italia sarà dunque animato dall’unità della Patria, dallalibertà dei cittadini e dagli ideali che hanno ispirato le lottedegli uomini del Risorgimento”. Un proposito necessario quellodel Presidente Ciampi, utile al Paese, ambizioso e indispensabile.Evoca una necessità non rinviabile per la crescita civile e culturaledell’Italia e degli italiani e la formazione di una nuova consa-pevolezza relativa al nostro essere e alla dimensione globalenella quale siamo ormai collocati.

Ma cosa significa precisamente riflettere sul significatodell’essere italiano oggi? Significa riflettere e comprendereinnanzitutto la complessa e articolata identità degli italiani dioggi. Si tratta di una riflessione che comprende “noi stessi” e checomporta necessariamente la riflessione “sull’Altro”, ossia sucolui che condivide con noi il medesimo territorio eppure èconsiderato diverso, estraneo, straniero.

L’identità può essere considerata, in maniera sintetica masufficientemente corretta, la coscienza sentita e concretamente

La riflessione con la quale il presidente emerito CarloAzeglio Ciampi aprì i lavori per la preparazione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità.Occorre la consapevo-lezza della dimensione globale nella quale siamo ormai collocati

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vissuta di se stessi di cui è indispensabile acquisire consape-volezza. Ciò significa che l’identità è per sua natura dinamica,considerando che si modifica nella storia, imperfetta e dialet-ticamente connessa con l’alterità. Gli stessi più intransigentisostenitori dell’idea di identità quale concetto fisso e immutabile,non possono compiere quest’atto di “presunzione” senzaavere chiara in mente l’immagine dell’Altro da cui distinguersi.Dunque identità/alterità quale condizione ineludibile e cheassume particolare concretezza e rilevanza alla luce dellatrasformazione a cui l’Italia da qualche decennio è andataincontro, al pari di molti altri Stati europei, quale destinazioneambita dei flussi migratori internazionali.

Nel nostro Paese, per esempio, dal 1990 l’immigrazione ècresciuta di ben 10 volte, arrivando a toccare la cifra di quasicinque milioni di presenze regolari (ad oggi, secondo i dati Istatforniti per l’anno 2010, in Italia risiederebbero circa 4 milionie 235mila migranti regolari). Un dato che restituisce bene ladimensione di una rivoluzione sociale, culturale, economica checolloca l’Italia in una dimensione globale e che trasforma,anche sul piano simbolico, il complesso identitario che sino asolo qualche decennio fa era considerato solido e, a torto,definitivamente acquisito. L’identità, invece, non può esserepiù concepita come qualcosa di immutabile, fisso, definitivo acui aggrapparsi, rischiando di farne un alibi per giustificarepericolose paure o ansie da invasione. Non è un concettoautoreferenziale ma al contrario relazionale e dinamico.Necessita del confronto e della critica per vivere. Se mummificatorisulta strumentale e soprattutto, considerando i caratteri dellatardo-modernità contemporanea, a-storico.

È altrettanto ovvio che la stretta vicinanza con l’Altro richiedesempre elasticità e capacità di ridefinizione della propria visionedel mondo. Ma è proprio in questa tensione costante tra critica,elasticità, rielaborazione e difesa che sta la ricchezza delconcetto. Per questa ragione i migranti, soprattutto attraversoi rapporti che essi intrattengono con gli autoctoni, generanoprocessi nuovi, a volte contrastati, come nel caso, particolarmentecontroverso, della costruzione di luoghi di culto (moschee) inalcune città italiane. Proprio le migrazioni obbligano a reinter-pretare e riscrivere il patto storico che ci lega e conduce adefinirci appartenenti e protagonisti di una storia e narrazionecomune e soprattutto sempre uguale.

Il piano che probabilmente più di qualunque altro risulta piùdirettamente investito da questo processo di trasformazionesociale e rigenerazione, a volte anche conflittuale, della convivenza

In Italia dal 1990 l’immigrazioneè cresciuta di dieci volte.Un dato che restituisce bene la dimensionedi una rivoluzione sociale e culturale,collocando l’Italia in una dimensione globale e trasformandoil suo complesso identitario

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sociale tra residenti all’interno di un contesto comune, è quelloterritoriale. I territori sono, infatti, i luoghi in cui i migranti e gliautoctoni si incontrano e confrontano dando vita a ibridisminei comportamenti, forme nuove di organizzazione sociale,trasformazioni urbane inedite e nuovi sviluppi imprenditoriali,dei saperi e delle conoscenze. È infatti proprio a livello territorialeche è possibile rilevare con maggiore facilità la riscritturadell’antropologia sociale del Paese e notare tutta la fragilità einconsistenza dei principi omologatori e stereotipanti in vogain molte teorie sociali e politiche dell’Ottocento.

Da questo punto di vista è sempre più urgente che il relativodibattito scientifico comprenda, e anzi collochi in una posizioneindubbiamente centrale, la dimensione che più di tutte le altreè coinvolta e co-protagonista di quest’evoluzione, ossia quellaterritoriale, responsabile in primis delle molteplici e liquidedimensioni che compongono, in un puzzle dal disegno astrattoe complesso, l’identità nazionale. Edgar Morin, a questo riguardo,parla di identità polimorfe la cui mutevolezza permette latrasformazione in qualcosa d’altro rispetto a ciò che esseerano in precedenza, conservando però continuità e coerenza difondo con se stesse. Una sorta di continuità nel mutamento.

È in questa dimensione che va intrecciata la discussionesulla nuova prospettiva dell’identità italiana, carica di nuoviuniversi culturali, economici e simbolici di straordinario interessesociologico ed etno-antropologico. Basterebbe, a sostegno diquanto affermato, considerare le seconde generazioni dimigranti. Ragazzi che parlano due lingue, che indossano abitioccidentali ma non rifiutano quelli tradizionali, attivi sostenitoridi attività commerciali etniche ma anche nuovi clienti di quelletradizionali, ambiziosi e spesso desiderosi di tornare nella patriadei genitori per conoscerla visitando i luoghi, conoscendo ilpopolo e la cultura da cui essi provengono, se non anche di tornaredefinitivamente nella terra d’origine a compimento di un progettomigratorio familiare che prevedeva, in origine, il ritorno in patria.I migranti si dimostrano, guardandoli nella loro dimensionepiù concreta, ossia quella territoriale, estremamente sensibilie interessati al complesso di valori, usanze, costumi, modellidi pensiero e di comportamento che essi considerano tipicidel Paese di accoglienza, pure rielaborato attraverso la lorocultura d’origine. Protagonisti di una dualità identitaria che èguidata dalla cultura d’origine ma ispirata da quella di acco-glienza, che diventa la fonte del senso e dell’esperienza, chesi fonda su attributi culturali in relazione tra loro, assumendoun’importanza prioritaria rispetto ad altre fonti di senso.

La dimensioneterritoriale è quella direttamente più coinvolta dal fenomeno migratorio,perché è sul territorioche si riscrive l’antropologia sociale del Paese

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Si tratta di un’apertura direttamente legata alla capacità deimigranti di sviluppare reti sociali, stili di vita e modelli culturaliche riflettono le caratteristiche sia della società ospitante, siadel contesto di origine. Glick Schiller, Basch e Blanc-Szanton,tre antropologhe che hanno dato vita agli studi transnazionalisulle migrazioni in seguito ripresi e ampliati dalla sociologia,mettono in luce le cosiddette identità culturali fluide che proprioi migranti residenti nei Paesi di accoglienza tendono ad assumerein relazione ai diversi contesti con cui entrano in contatto e siconfrontano.

I migranti sikh della provincia di Latina, ad esempio, sonoprotagonisti di una relazione continua tra l’identità del Paesedi accoglienza e quella d’origine, che genera contaminazioniinaspettate e spesso totalmente originali. La loro costante fre-quentazione, con gli autoctoni, di alcuni ambienti sociali comequello lavorativo e istituzionale, ha generato abitudini, nuovicomportamenti e fenomeni nuovi che peraltro aiutano lacomunicazione e conoscenza tra le due etnie, e servono adampliare l’universo simbolico di entrambe le culture, a generareoccasioni nuove di crescita e sviluppo, come nel caso di un’eco-nomia etnica transnazionale che rappresenta, in provincia diLatina, una delle novità sociologicamente più interessanti.

La dimensione identitaria, dunque, con quella territoriale einsieme alla rigenerazione prodotta dai migranti – sebbenesia necessario evitare facili retorici entusiasmi – rappresentasenza dubbio una delle ragioni di rinnovamento culturale esociale più importanti per un Paese. Le migrazioni hannocambiano la geografia sociale dei territori e indirizzato l’azionecollettiva verso manifestazioni e percorsi nuovi. Esse sonostate in grado di riscrivere l’agenda politica di uno Stato ehanno obbligato amministratori e cittadini a confrontarsi conprocessi nuovi che possono arrivare, come nel casodell’Italia, a generare una rimodulazione della governancenazionale e a far riemergere, dall’inconscio collettivo, influenzeculturali che sembravano irrimediabilmente perdute.

Un esempio interessante è rappresentato dalla derivazionedel termine “vu cumprà”, in voga negli anni Novanta, con il qualegli italiani apostrofavano i venditori ambulanti, in particolaresenegalesi, che generalmente invadevano le spiagge estivepiù turistiche. Pochi sanno che tale termine ha le sue originiin una canzone di Raffaele Viviani del 1925 che raccontaval’avventura dei venditori ambulanti napoletani in Libia.

Accogliere migliaia di migranti significa inoltre rifletteresulla loro stabilizzazione e sulle conseguenze che essa deter-

I migranti sikhdella provincia di Latina sono protagonisti di una relazione continuatra l’identità d’origine e quella italiana,con una contaminazionedel tutto originale

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L’integrazionenon è scontata,ma la presenzadegli immigratiè un forte fattore di cambiamentoe spesso di recuperodi ambiti territoriali o lavorativi degradati e abbandonati

minerebbe sul piano sociale, economico e politico. Negli anniSessanta, per esempio, i policy-maker europei ritenevano chei migranti avrebbero avuto un periodo di permanenza nel territorionazionale piuttosto breve. Una previsione evidentemente errata.Essi si sono invece stabilizzati, hanno avviato ricongiungimentifamiliari e formato comunità etniche sempre più ampie, orga-nizzate, evidenti anche sul piano simbolico e chiaramentericonoscibili, soprattutto nelle aree urbane di maggiori dimensioni,generando processi che hanno prodotto trasformazioni urbane,sociali, economiche di grande ri l ievo. Hanno generatospesso la trasformazione di interi quartieri, la riqualificazionein chiave etnica di zone altrimenti degradate, hanno avviatoprocessi di conversione economica di alcune attività su baseetnica e spesso cambiato anche l’antropologia sociale,soprattutto dei piccoli comuni italiani, così come gli stili di vitae consumo dei relativi abitanti.

Si tratta, quindi, di uno dei fattori più importanti ed evidentidi mutamento sociale. Tutto ciò ha aperto un nuovo spazio diconfronto e discussione rispetto al rapporto tra migranti eautoctoni che riguarda l’inclusione o esclusione dei primi nonsolo dal territorio nazionale ma anche, e forse soprattutto,dagli spazi economici, sociali e culturali posti a fondamentodel vivere civile e culturalmente orientato degli italiani. Ècertamente vero, come sostengono Colombo e Sciortino,che l’assimilazione o l’integrazione non sono affatto scontate,o meglio, non sono affatto iscritte nel codice genetico dellemigrazioni contemporanee. Esse non possono derivare dallecaratteriste individuali o di gruppo identificabili ex ante.

Il processo di inserimento o integrazione dei migranti seguedirezioni, velocità, modalità diverse che variano in manieranon prevedibile e che solo un’attenta riflessione e una ricercaaperta e continua possono comprendere e a volte, ma soloraramente, anche anticipare. È indubbio però che la dimensioneterritoriale sia, per l’identità polimorfa o fluida, quella che piùe meglio di ogni altra è in grado di rifletterne le caratteristiche,nonché luogo di incontro-confronto di identità culturali migrantidiverse, capaci di combinazioni originali e ambiziose conquella autoctona.

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La nazione oltre il territorioe la questione della cittadinanza

di Lara OlivettiRicercatrice - università Vrije di Amsterdam, Migration and Diversity Centre

Conoscere meglio la comunità italiana all’esteroe il suo carattere composito significa restituire dignità alla storia delle nostre migrazioni, ancheper avere un atteggiamento più lungimirantee teso all’integrazione con chi arriva in Italia

Italiani oltre il territorio nazionaleNel celebrare l’Unità italiana possiamo ricercare il significato

della sua presenza anche fuori dai confini del territorio nazionale.L’emigrazione e le sue molteplici forme di organizzazione ecomunicazione rendono possibile e ormai eclatante il fatto chebuona parte della comunità nazionale ha superato i confini del

territorio e mantiene stabilmente rapporti conl’Italia. Questi aspetti devono essere consideratiadeguatamente nel rapporto fra lo Stato italianoe i suoi cittadini e nella società stessa. Il Museonazionale dell’emigrazione italiana rappresentaun importante passo istituzionale per recupe-rare la memoria dell’esperienza migratoriae, per quella via, comprendere la dimensionecomplessa della attuale comunità italiana.

Gli intensi flussi migratori che si sono succeduti nel tempoci inducono ad andare oltre i dati dell’anagrafe degli italianiall’estero. Secondo tale registro, sono quattro milioni i cittadiniitaliani residenti in altre nazioni, il 6,7% degli oltre 60 milionidi residenti in Italia, un numero quasi pari a quello degli stranieriresidenti nel Paese 1. Esso può rappresentare un punto di partenzaper chiarire chi sono gli italiani nel mondo e qual è il rapporto che

Celebrare l’Unità d’Italia significa anche ricercare il suo significato fuori dai confini del territorio nazionale,attraverso la lunga storia dell’emigrazione italiana

1 I cittadini i tal iani iscritt i al l ’Anagrafe degli i tal iani residenti al l ’estero sono4.028.370, secondo i dati raccolt i nel Rapporto “Ital iani nel mondo” 2010 dellafondazione Migrantes. Cfr. Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione2010, edizioni Idos, Roma, ottobre 2010

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vogliamo con loro. A questo fine, può essere utile richiamareil dibattito sul riconoscimento della cittadinanza.

Emigrazione e doppia cittadinanzaIn base alle prime registrazioni statistiche dello Stato unitario

del 1876, possiamo contare quasi nove milioni di emigrati già entrol’anno 1900. I dati statistici successivi tracciano movimenti di circa29 milioni di italiani in uscita fino agli anni Ottanta del secolo scorso.

Gli emigrati dovettero normalmente acquisire la cittadinanzadello Stato di residenza per essere ammessi a svolgere attivitàeconomiche e a esercitare i diritti, per essere integrati nellasocietà; una circostanza alla quale la legge legava la perdita

della cittadinanza italiana, in via automatica.Lo stesso era previsto per le donne italianeemigrate che, sposando uno straniero,acquisivano la cittadinanza del marito 2. Unalegge che testimonia l’indifferenza verso lasorte dei lavoratori italiani all’estero, se nonl’ostilità per un fenomeno migratorio dimassa che svuotò il Paese in tempi di gravecrisi e segnò profondamente la storia delle

famiglie italiane. In mancanza di un registro degli italiani partiti estabilitisi all’estero, o di un rapporto con le rappresentanzedello Stato italiano all’estero, la cancellazione degli emigrati dal-l’anagrafe dei residenti e la perdita automatica della cittadinanzaitaliana ebbero l’effetto di far sparire milioni di persone da ognimenzione.

La registrazione ufficiale degli emigrati residenti all’estero fupossibile dal 1989, con l’istituzione dell’Anagrafe degli italianiresidenti all’estero (Aire). Essa comprende coloro che poteronomantenere la cittadinanza italiana e che sono stabilmenteresidenti all’estero 3.

Rimaneva aperta la questione della perdita della cittadinanzaitaliana da parte della maggioranza degli emigrati, esclusi dalriconoscimento della loro appartenenza alla comunità italiana eda ogni registrazione. Un lungo e vitale dibattito nel Dopoguerravedeva protagoniste le organizzazioni degli emigrati all’estero,raggruppate su base provinciale e in rete a livello nazionale,attorno al pensiero che ammette la doppia cittadinanza delle

È iniziata soltanto nel 1989 la registrazione ufficiale degli emigrati residenti all’estero, con l’istituzione dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire)

2 Articoli 8 e 10 della legge 13 giugno 1912 n. 5553 Legge 27 ottobre 1988, n. 470, “Anagrafe e censimento degli italiani all'estero”

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persone. Attraverso la Costituzione, la libertà di emigrazioneera entrata nel nostro ordinamento giuridico come connaturale alpopolo italiano, pertanto riconosciuta e protetta (articolo 35). Èa questa realtà, e non a ideologie precostituite, che si ispirauna visione della cittadinanza più aderente all’identità di unapopolazione largamente emigrata. Con le parole di FrancescoSaverio Nitti, “gli emigrati non avrebbero perso nulla del Paesedi origine a diventare dei cittadini degli Stati che li ospitano, inquanto la ‘doppia nazionalità’ può essere facilmente regolata equando torneranno non saranno meno italiani di prima”.

La strada per l’accoglimento di una concezione della cittadi-nanza che includesse anche gli emigrati era nuova e molteerano le opposizioni. In un’epoca in cui la doppia cittadinanzaera vista con sospetto, la questione del riconoscimento dellostatus agli emmigrati residenti all’estero, una cittadinanza davivere accanto a quella acquisita nello Stato di arrivo, aveva unportato rivoluzionario e nuovo a livello internazionale. Il riferi-mento principale era la Convenzione del Consiglio d’Europa del1963 sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima e sugliobblighi militari in caso di cittadinanze plurime, la quale sancìil principio della perdita automatica della cittadinanza di origine,allorché se ne acquisisca un’altra attraverso una manifestazioneespressa di volontà 4.

In Parlamento, fin dagli anni Cinquanta, a ogni legislaturavenivano depositate proposte di legge sulvoto agli emigrati da parte di parlamentari didiverse tendenze politiche. Tuttavia, il dibattitoparlamentare si arrestava al termine delladiscussione generale e l’assemblea nonprocedeva alla votazione.

È sulla effettiva volontarietà dell’acquistodella cittadinanza dello Stato di emigrazioneche si consuma buona parte del dibattito

sull’ammissibilità della bipolidia. Le organizzazioni rappre-sentanti degli emigrati chiedevano provocatoriamente quantofosse volontaria l’espressione da parte di chi, non trovandoil modo di risolvere il problema esistenziale nel proprioPaese, era costretto a sottomettersi all’acquisizione di quellacittadinanza per poter lavorare, progredire, realizzarsi o di

Con l’avvento della Repubblica,la Costituzione all’articolo 35 “riconosce la libertà di emigrazione salvo gli obblighistabiliti dalla legge e tutela il lavoro italiano all’estero”

4 Convenzione sottoscritta a Strasburgo i l 6 maggio 1963 sulla riduzione deicasi di cittadinanza plurima, ratif icata con la legge 876/66

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chi acquista una cittadinanza straniera solo per il fatto di esserenato in un determinato Stato 5.

Ma anche il diritto di voto degli emigrati italiani all’estero, inquanto cittadini, fu una preoccupazione sollevata da più parti,nella politica e nell’amministrazione. Dalle amministrazioni localifu espresso il timore di dover accogliere numerosi emigrati diritorno, in qualità di nuovi concittadini con pieno diritto, portatoridi idee nuove e potenzialmente confliggenti con quelle ormairadicate. Eppure, nel solco tracciato dal lungo impegno del ministroMirko Tremaglia, quei timori cedevano il passo all’apertura eall’opportunità di progredire anche grazie alla visione di quantihanno sperimentato la vita da stranieri in società diverse. Siaffermava l’idea che non vi è cittadinanza piena senza la possibilitàpratica di esercitare il più importante diritto che la sostanzia:il diritto al voto politico.

Ai fautori del recupero degli italiani all’estero furono opposteanche ragioni di carattere politico-economico, determinate

5 In queste righe si fa riferimento alle riflessioni espresse dalle parti sociali, esponentidel governo e parlamentari al convegno “Doppia cittadinanza per il pieno godimentodei diritti dei migranti”, Trento, Centro Santa Chiara, 6-7- marzo 1987, atti pubblicatidall'associazione Trentini nel Mondo, Trento, novembre 1987

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dall’opportunità di lasciare andare lavoratori italiani all’estero escoraggiare il loro ritorno in pieno diritto in Italia, al fine di favorirela maggiore occupazione di quanti restavano e la crescitaeconomica del Paese. Il dibattito di quegli anni, svoltosi anchefuori dalle aule parlamentari, coniugò in modo organico ragionigiuridiche, esigenze politiche e aspetti umani, contribuendo inmodo determinante alla comprensione più ampia del valoredell’ammissione alla piena cittadinanza degli emigrati, finoall’affermazione del principio della doppia cittadinanza con lalegge 91 del 5 febbraio 1992. Da allora, conserva la cittadinanzaitaliana il cittadino che possiede, acquista o riacquista unacittadinanza straniera (articolo 11).

Fu un passo determinante che portò anche altri Stati europei alsuperamento della concezione della cittadinanza come apparte-nenza della persona a un unico Stato. Oggi la doppia cittadinanza

è stata ammessa dagli ordinamenti di moltiStati nel mondo. L’Italia ha recentementerevocato la propria adesione alla parte dellaConvenzione di Strasburgo che prevede laperdita della cittadinanza d’origine in caso diacquisizione della cittadinanza di un altroStato per espressa volontà 6. Allo stesso modohanno fatto i governi di Svezia, Germania,Belgio, Francia e Lussemburgo.

Nel 1992 fu ammesso solo in via temporanea il riacquisto dellacittadinanza italiana per gli emigrati che l’avevano persa automa-ticamente in base alla legge precedentemente in vigore. Ledomande furono ricevute fino al 1997. Poiché non furono mairegistrati ufficialmente gli emigrati che persero la cittadinanza,non furono individuati e informati tutti gli aventi diritto, che pertantorimasero in larga parte esclusi dal riacquisto della cittadinanzaitaliana. Si determinò allora la situazione, ancora attuale, di unframmentario riconoscimento dei cittadini italiani nel mondo, allabase di tensioni nella comunità italiana internazionale e di propostedi legge presentate all’asssemblea parlamentare. Si riconoscela cittadinanza italiana per discendenza agli oriundi, pronipotidi emigrati in epoca unitaria e prebellica in Stati in cui non erarichiesto mutare cittadinanza per lavorare e integrarsi, in particolarmodo negli Stati dell’America meridionale e centrale.

Con la legge 91/1992 si affermail diritto alla doppia cittadinanza.Da allora conserva lo status anche il cittadino italiano che possiede o acquista una cittadinanza straniera

6 Denuncia del 4 giugno 2009 da parte dell'Italia del Capitolo I della Convenzionedi Strasburgo del 6 maggio 1963, cit.

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Diversamente andò per gli emigrati più recenti, dopo la primae la seconda guerra mondiale e fino agli anni Ottanta delNovecento, in un’epoca in cui i governi avversavano la doppiacittadinanza e richiedevano la naturalizzazione per una pienaammissione alla società. Vigente in Italia la legge del 1912, essipersero in via automatica la cittadinanza e non la poteronotrasmettere ai figli. Pur essendo nati in Italia e avendo formatofamiglie di lingua e cultura italiana, la maggior parte di essi sonoesclusi dal riconoscimento della cittadinanza. Pertanto risultanooggi esclusi dalla cittadinanza per discendenza proprio gliemigrati più recenti e i loro figli. Di queste persone non troviamo

traccia nelle statistiche, nell’anagrafe dellapopolazione residente all’estero, nelle listeelettorali, sebbene i loro parenti siano in Italiaed essi vivano e siano identificati come italianinelle comunità in cui vivono.

Nell’ultimo decennio si è assistito al rimpatriodi oriundi italiani dal Sud-America. Parte di essiha chiesto e ottenuto la cittadinanza italianasecondo il principio della trasmissione della

cittadinanza iure sanguinis su cui è fondato il nostro ordinamento.Questa esperienza, ancora in atto, è finora emersa in modoframmentato e vario nel Paese, limitata alle famiglie in cui sonoavvenuti incontri con i parenti ritrovati e agli uffici comunaliche hanno talvolta reagito con fastidio alla domanda di istruzionedi procedimenti con numerosi documenti provenienti dall’estero.In mancanza di una compiuta elaborazione di queste esperienze,possiamo talora vedere una maggiore apertura delle comunitàlocali all’incontro, ma vi sono anche sentimenti di timore versoi nuovi arrivati, pur quando gli stranieri hanno un cognomefamiliare.

Nuove reti nel mondoOltre ai quattro milioni di italiani registrati nell’Aire, troviamo

nel mondo anche molti cittadini che trascorrono all’esteroperiodi relativamente lunghi e ripetuti per lavoro, studio e motivifamiliari. La storia dell’emigrazione ha documentato che vi sonosempre stati italiani che tornavano periodicamente in Italia evivevano un’esistenza fra due o più Stati. Ma negli ultimidecenni la mobilità delle persone e delle famiglie italiane risultamolto più diffusa, a fronte della maggiore facilità di spostamento,immediatezza e frequenza delle comunicazioni internazionali,dell’integrazione nell’Unione Europea. L’ambito di riferimentodi un maggior numero di discipline, professioni, mercati si è

Sono quattro milioni gli italiani registrati all’Aire. Oltre a loromolti altri concittadini trascorrono all’estero periodi più o meno lunghi e ripetuti perlavoro, studio o motivi familiari

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allargato oltre i confini nazionali e così anche quello delleopportunità di studio, lavoro, di vivere la propria differenza daimodelli dominanti nella comunità territoriale. Un fenomeno chei sistemi di registrazione ufficiale – anagrafico, elettorale, fiscale– difficilmente intercettano in quanto improntati a concetti diresidenza alternativa, in Italia o all’estero, per periodi minimideterminati e per dinamiche di spostamento unidirezionali.

Di questi percorsi si trova traccia nelle reti di italiani nel mondodi più recente istituzione. Esse si sviluppano in forum e socialnetwork, con finalità di comunicazione e scambio di informazioni,solidarietà e accoglienza in diverse nazioni. Non più (solo)organizzazioni costituite nelle città dell’emigrazione dove siincontrano italiani accomunati dall’origine in determinate regionio province italiane, bensì luoghi virtuali di incontro e discussionedove si esprime la propria opinione, si comunica in italiano, siparla di temi di interesse anche pratici, della partenza dall’Italiaalla ricerca del lavoro, della casa, di opportunità di integrazione,anche attraverso accoglienza e incontri sociali con gli italiani neiluoghi in cui si abita.

Le reti attuali partecipano anche a network mondiali doveespatriati di tutte le nazioni si incontrano, accomunati dall’interessee dall’esperienza della migrazione (ad es. Internations.org). In

esse è riconoscibile una tendenza degli italiania ricavare spazi di incontro fra di essi, apertialla partecipazione di persone di altre prove-nienze che vogliano comunicare in italiano epartecipando anche alle attività internazionalidella rete. Fra i luoghi virtuali, si trovano retiinformali, adesioni a iniziative individuali eassociazioni costituite. Si possono riconosceredifferenti livelli di comunicazione, talvolta

integrati, fra italiani che si trovano o vogliono spostarsi in unadeterminata area geografica – ad es. gruppi in Facebook diitaliani in Belgio, a Budapest, in Argentina, in Australia, etc., i sitiitalia.es, italianiaberlino.it, italianiabarcellona.com – o che, daovunque nel mondo, discutono di determinati argomenti di interesse(es. Virtual Italian Academy via-academy.org, vivoaltrove.it,cervelliinfuga.com).

Questi livelli si possono trovare compresenti in reti più ampiedove, accanto ai forum tematici, si trovano i forum locali in cui siincontrano iniziative di comunicazione virtuale e occasioni diaggregazione sociale di persone (ad esempio, Italians.net).Talvolta criticati dall’associazionismo tradizionale per il caratterevirtuale e distante delle relazioni che promuovono, i luoghi e le

Oggi le reti degli italiani nel mondo si sviluppano attraverso forum e social network, luoghi virtuali di incontro, scambio di informazioni e di esperienze

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reti virtuali dimostrano comunque di assolvere a diverse utilitàrelative alla circolazione di idee e informazioni su vasta scala ealla realizzazione di contatti fra milioni di persone che riconosconofattori nazionali comuni, indipendentemente dal riconoscimentodella cittadinanza italiana da parte dello Stato.

ConclusioneI movimenti migratori passati e attuali della popolazione italiana

inducono a fare un passo avanti rispetto alle riflessioni chehanno animato il dibattito in Parlamento e ai pareri consultivi.Da essi emerge il convincimento che i potenziali italiani all’estero

sarebbero “troppi” e che i diritti, fra i quali ilvoto, non possano essere “concessi” a tutti.Un’idea che suggerisce una visione delcittadino italiano unicamente come residentein Italia, rispetto al quale l’emigrante e lasua famiglia sono un’eccezione, tollerata entronumeri relativamente piccoli. Oltre tale limite,tracciato in base alla prossimità territoriale(residenza), generazionale (grado di discen-

denza), etnica o linguistica, si è considerati stranieri. Si può discutere se o in che misura il riconoscimento della

cittadinanza italiana sia un atto utile o necessario per compren-dere gli italiani anche fuori dal territorio nazionale. Ma si deveammettere la necessità di conoscere meglio la comunità italianae il suo carattere composito e ampio, di promuovere legamiattraverso “soggetti privilegiati”, a fondamento di più intense efruttose relazioni politiche, culturali ed economiche con comunitàin Stati esteri. In modo simile, possiamo adottare un atteggiamentolungimirante e cogliere l’opportunità di conoscere e integrarcimaggiormente con gli immigrati originari di Stati esteri, attraversoi quali potremmo coltivare i rapporti di pacifica convivenza esviluppo anche economico di cui l’Italia ha grande bisogno.Questa sfida non può che venire proprio dal popolo italianoche, più di ogni altro, è emigrato e presente nel mondo.Riconoscere la cittadinanza significa promuovere un confrontoalla pari, disporsi realmente a un possibile cambiamento,andando oltre la curiosità di un incontro occasionale. Un terrenoin cui ci si confronta fra cittadini italiani di esperienze diverse,con gli imbarazzi e i timori che suscita il riconoscimento dell’u-guaglianza della dignità umana.

Riconoscere la cittadinanzasignifica promuovere un confronto alla pari,disponendosi al cambiamento,oltre alla curiositàdi un incontro occasionale

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dell’emergenza immigrati:un format riuscitoda esportare nell’UE

Intervista di Claudia Svampa

A poche settimane dalla nomina a sottosegretariodel ministero dell’Interno abbiamo incontrato l’on. Sonia Viale che dopo l’esperienza al ministerodell’Economia e delle Finanze torna al Viminale con deleghe su immigrazione, asilo e cittadinanza

Le sue deleghe, on. Viale, con particolare riferimentoall’immigrazione e all’asilo, sono fortemente legate all’attualitàche ha caratterizzato i mesi appena trascorsi e che ha postoal centro della scena politica italiana ed europea il tema dellosbarco massiccio di clandestini e profughi sulle coste italiane.

Il ministro Maroni fino ad oggi ha seguito personalmente questitemi, sia il contrasto all’immigrazione clandestina che le politichedi integrazione, con significativi risultati sul fronte degli sbarchi –pressoché azzerati nell’anno 2010 – grazie a una severa politicadi lotta al traffico di esseri umani e di promozione degli accordibilaterali. Tale incisiva azione ha subito un’inevitabile battutad’arresto a causa della “Primavera” del Nord Afr ica.L’emergenza umanitaria che ne è scaturita ha comportato l’arrivodi circa 44mila persone in poche settimane, alle quali è stataprestata assistenza grazie a uno sforzo organizzativo eccezionaledell’intero Paese. Ma è evidente che situazioni di tale portatanon possono più essere affrontate e risolte, come in passato, daun singolo Stato nazionale. Per fronteggiare una situazione checoinvolge la maggior parte dei Paesi della sponda sud delMediterraneo occorre un forte e concreto intervento dell’UnioneEuropea.

Sono mesi ormai che l’Italia ripropone un pressing neiconfronti dell’Unione Europea circa un maggior coinvolgimentopolitico nella gestione del fenomeno dei flussi di immigratiprovenienti dal Nord-Africa, tuttavia Bruxelles continua anon sembrare così ricettiva alle pressioni esercitate dal

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Intervista al sottosegretario Sonia Viale

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nostro Governo. Quali ulteriori strumenti possiamo metterein campo per ottenere delle risposte?

Il nostro Governo ha rappresentato e continuerà a rappresentarenelle sedi istituzionali la necessità di avere una strategia da partedell’UE non soltanto in termini di maggiori stanziamenti, ma anchedi promozione di accordi di cooperazione con i Paesi del Maghrebe di un concreto sistema operativo di difesa delle frontiere esterne.

In ogni caso, il ministero dell’Interno sta facendo la sua parteattraverso le sue articolazioni centrali e periferiche, insieme aldipartimento della Protezione civile, con il coinvolgimento deglienti locali e delle regioni.

La ripresa massiccia dei flussi via mare non può non tenerconto della perdita di precedenti accordi di partenariato coni Paesi rivieraschi conseguenti alla rivoluzione politica inatto nel Nord-Africa. Non è questo uno dei punti cardine sucui l’UE dovrebbe intervenire, parallelamente alla riprogram-mazione di accordi bilaterali tra i singoli Stati membri e ipartner mediterranei?

Il ministero dell’Interno da tempo promuove accordi dicooperazione volti a intensificare le azioni di contrasto al trafficodi esseri umani, il rimpatrio degli immigrati irregolari e la forma-zione degli operatori. L’efficacia di tali strumenti è dimostrata dalla

stipula dell’accordo del 5 aprile con laTunisia che ha portato alla riduzione drasticadegli sbarchi. Questa e altre analoghe inizia-tive dovrebbero essere promosse dall’UnioneEuropea sia attraverso interventi concreti econgiunti nel contrasto dell’immigrazioneclandestina, sia nel promuovere condizioni divita migliori nei territori di provenienza.

Il Mediterraneo nel suo insieme è un confinedi tutta l’UE e come tale dovrebbe essere percepito a livelloeuropeo: un luogo di scambi commerciali, un territorio di dialogoe un’area di frontiera esterna. Fino ad oggi questo non si è verificatoconcretamente, e va al merito della politica di questo Governo edel ministro Maroni l’aver voluto sottoporre all’attenzionedell’UE il rapporto con il Mediterraneo, promuovendo un tavolodi lavoro tra Cipro, Malta, Grecia e Italia, alle quali si sonoaggiunte poi Francia e Spagna. Occorre che la strategia europeadi un approccio globale in materia di immigrazione vengarafforzata e implementata con una politica di cooperazionecon i Paesi del Nord-Africa, che porti a risultati vantaggiosiper entrambe le parti: il cosiddetto approccio more for more,

Il Mediterraneo nel suo insiemeè un confine di tutta l’UEe come tale dovrebbe esserepercepito a livello europeo:un luogo di scambi e dialogoe un’area di frontiera esterna

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Intervista al sottosegretario Sonia Viale

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ossia a chi più farà più sarà dato, che ad oggi non è attuato.

Oltre all’immigrazione, lei si occuperà di asilo, dunquedi rifugiati, categoria sotto protezione dei diritti umani violatinei propri Paesi, che tuttavia all’interno dell’Unione pesacome un ospite indigesto con un rimpallo continuo del-l’applicazione del principio del burden sharing. Come simuoverà in questa direzione?

Il burden sharing è un’altra sfida che l’Unione Europea dovràporsi perché i recenti fenomeni migratori hanno messo in lucel’indifferenza di alcuni Paesi europei rispetto a questo tema.

La risposta dell’Unione non può farsi attendere. Il terminedel 2012 per la realizzazione di un Sistema comune di asilo(il c.d. CEAS) deve essere rispettato e l’obiettivo perseguito con

determinazione. È inoltre indispensabile chel’UE rafforzi i meccanismi emergenziali disolidarietà finanziaria nei confronti degli Statisottoposti a un afflusso massiccio di profughi,come sta accadendo attualmente in Italia acausa della guerra in Libia.

Sul tema dei rifugiati, per il prossimo mesedi settembre, si sta organizzando una confe-renza che affronterà da un lato gli scenari

possibili della crisi in atto nel Maghreb e la ricaduta sui flussimigratori e dall’altro come realizzare l’inserimento dei profughiche hanno diritto a rimanere sul nostro territorio. Proprio suquest’ultimo aspetto si coinvolgeranno le regioni, gli enti locali,i sindacati e le associazioni di volontariato, soggetti indispensa-bili per impostare efficaci politiche di integrazione.

Concludendo, alla luce delle rivoluzioni nel mondo araboda una parte, e della lenta ricettività della UE dall’altra aprenderne atto in maniera soddisfacente per gli Stati membri,potrebbe essere proprio Schengen la prima vittima collateralepronta a franare?

Sinora la linea della Commissione europea è stata estremamenteprudente riguardo a iniziative che possano incidere negativamentesul principio della libera circolazione sancito da Schengen. Sel’Europa non fornirà risposte concrete su tematiche così importanti eattuali si rischia di creare una frattura tra i cittadini europei e leistituzioni che li rappresentano.Occorre piuttosto rafforzare lagovernance di Schengen, in un’ottica di solidarietà e responsabilitàcomune evitando iniziative unilaterali, e con il potenziamentodell’agenzia Frontex.

È indispensabile che l’UErafforzi i meccanismidi solidarietà finanziaria versogli Stati sottoposti a un afflussomassiccio di profughi,come sta avvenendo in Italia

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Gestione dell’immigrazione e controllo delle frontiere sulle due sponde dell’Atlantico

di Stefania Nasso

Un progetto di ricerca “transatlantico”analizza e mette a confronto le politiche seguite in Europa e negli Stati Uniti in otto aree strategiche tra cui l’occupazione,la crescita economica, i diritti umani, la sicurezza

Gestire l’immigrazione significa non solo saper controllarei flussi migratori ma più in generale controllarne l’impatto sullasocietà. Dalla crescita economica, alla sicurezza, ai diritti umani,alle dinamiche demografiche, la struttura di ogni settore politicosubisce l’influenza della grande mobilità territoriale che carat-terizza il presente secolo e che “...va modificando intensamentee incisivamente la vita individuale, familiare e delle interecomunità locali e nazionali, oltre che il territorio stesso su cuiinsiste” (Golini, libertàcivili n. 6/2010, pg.19).

Affrontare la questione delle politiche migratorie è urgentema, sia a livello nazionale che sovranazionale, manca il consensosu come renderle più efficaci. Allo stesso tempo i cittadini deiPaesi occidentali sono sempre più preoccupati riguardo allacapacità dei loro governi di controllare le frontiere, frenare i flussiillegali, i terroristi, proteggere il lavoro e mantenere le condizionidi impiego. Queste preoccupazioni si acuiscono quando, comeora, aumenta il livello di disoccupazione, la crisi economicacostringe a serrare i cordoni della borsa del bilancio statale ecresce l’instabilità politica dei Paesi a forte pressione migratoria.

Affrontare tale realtà non richiede solo uno scenario di buonipropositi ma competenza e capacità di relazione internazionale.La messa a disposizione di competenze è alla base del progetto“Migliorare la capacità dei sistemi di immigrazione dell’UE edegli Stati Uniti per rispondere alle sfide globali: impararedalle esperienze”.

Il progetto è co-finanziato dalla Commissione Europea DGRelex, nel quadro del programma pilota "Transatlantic Methods

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doEuropa, Stati Uniti e sfide globali: un progetto di ricerca

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for Handling Global Challenges in the European Union andUnited States" e diretto dal Migration Policy Center (MPC - RobertSchuman Centre for Advanced Studies - Istituto UniversitarioEuropeo, Firenze) e dal Migration Policy Institute (MPI), istitutoindipendente di ricerca statunitense.

Otto aree strategiche sono oggetto dell’analisi: l’occupazione,la crescita economica, i diritti umani, la sicurezza, l’integrazionedegli immigrati, la demografia, lo sviluppo economico dei Paesid’origine e la cooperazione con essi. Per ciascuna di questearee sono previste due diverse ricerche, riguardanti una gli

Stati Uniti e l’altra l’Unione Europea. Vengonopoi affrontati alcuni casi di studio specifici(ad esempio, l’analisi di determinati corridoimigratori, il processo di integrazione di unadata comunità in Europa e negli Stati Uniti, laquestione della criminalità tra gli immigrati).Le ricerche comprendono anche la valutazionedell’impatto delle politiche sinora adottate edel probabile impatto di quelle che vengono

suggerite sotto forma di “raccomandazioni”. I risultati dei lavoripubblicati sono disponibili per la consultazione sui siti webhttp://www.eui.eu/Projects/TransatlanticProject/Home.aspx/e http://www.migrationpolicy.org/immigrationsystems.

Nel quadro di un dibattito costruttivo questo lavoro comparativopotrà essere utile a valorizzare non solo un approccio piùpragmatico al fenomeno delle migrazioni ma anche le opportu-nità e i vantaggi di una più efficace cooperazione transatlantica,fondamentale per rispondere alle sfide globali che si stannodelineando, sia nel contesto della presente crisi economica sianel lungo termine.

La sicurezza: una ricerca sul controllo delle frontiere UsaL’obiettivo di migliorare la risposta politica alle sfide migratorie

a medio e lungo termine nel settore della sicurezza parte daldato di fatto che la gestione delle frontiere e il problema dell’im-migrazione clandestina sono diventate priorità su entrambe lesponde dell’Atlantico, così come i problemi riguardanti l’accessonon autorizzato ai mercati del lavoro. Queste priorità incontranoi propri limiti nel rispetto dei diritti e delle libertà individualie dovrebbero essere orientate al mantenimento di elevatistandard etici.

In Europa il dibattito sulla governance del trattato di Schengenè indicativo di come il tema del controllo delle frontiere siatornato centrale nel dibattito politico, principalmente in seguito

Per ciascuna delle otto aree prese in esame dal progetto di ricerca sono previste due diverse indagini, riguardantiuna gli Stati Uniti e l’altra l’Unione Europea

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do Europa, Stati Uniti e sfide globali: un progetto di ricerca

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all’emergenza nei Paesi della sponda sud del Mediterraneoe al conseguente aumento dei flussi di immigrati clandestini.

La prima relazione prodotta, “The Evolution of Border Controlsas a Mechanism to Prevent Illegal Immigration” di Rey Koslowski,osserva come controllare le frontiere degli Stati Uniti sia diventatomolto più difficile nel corso degli ultimi decenni, soprattuttodopo gli attacchi terroristici dell’undici settembre. Ogni annooltre 400 milioni di viaggiatori varcano ufficialmente la frontierastatunitense e altre centinaia di migliaia di persone la attraversanoillegalmente. La risposta programmatica del governo, che devetenere conto delle pressioni politiche per bloccare l’immigrazioneclandestina e impedire l’ingresso di potenziali terroristi, facilitandoal contempo l’ingresso di viaggiatori e merci attraverso i portiufficiali di entrata, viene descritta nella sua evoluzione ed efficacia,così come le innovazioni e le tecnologie adottate. In generaleil rapporto rileva che, nonostante quote molto consistenti dirisorse siano state destinate a far rispettare le politiche di controllodei confini, il successo non è stato omogeneo.

Gli sforzi volti a prevenire gli ingressi non autorizzati,soprattutto sul confine terrestre Usa-Messico, hanno inclusola costruzione di recinzioni fisiche, l’adozione di nuovi sistemidi controllo con uno straordinario dispiegamento di radar, sensori

di terra, veicoli teleguidati programmati perintercettare i clandestini e l’aumento di cinquevolte del numero di agenti in meno di duedecenni. Alcuni programmi, però, sono statidi difficile attuazione, in particolare l’ambiziosotentativo di creare una barriera virtuale alconfine sud-ovest, denominata SBInet, un mixdi alta tecnologia composto da torrette contelecamere, sensori e sorveglianza aerea,

che si è dimostrato vulnerabile a guasti tecnici e poco adattabilealle esigenze del personale di controllo sul campo, venendo diconseguenza cancellato.

L’aumento del numero degli agenti di polizia di frontiera haindubbiamente ridotto l’immigrazione clandestina e, insiemeall’impiego delle barriere virtuali, ha fatto lievitare costi e rischiper passare illegalmente la frontiera. Controlli più severi spingonoi trafficanti a rendere più sofisticate le loro strategie (ad esempioingaggiando clandestini-esca per distrarre gli agenti) e a deviarei flussi verso aree meno accessibili. Il limite delle barriere virtualideriva dal fatto che, per essere efficaci, devono essere supportateda un elevato numero di agenti che prenda in custodia i clandestinidopo che il sistema li ha individuati. In effetti il sistema di controllo

Che cosa insegnano gli enormiimpegni organizzativied economici volti a preveniregli ingressi non autorizzatilungo il confine terrestrefra gli Stati Uniti e il Messico

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delle frontiere deve essere in grado di perseguire un obiettivoin continua evoluzione e movimento, e ciò può rivelarsiestremamente costoso.

Anche la gestione dei porti ufficiali di transito ha subitomodifiche sostanziali, stimolata dalla creazione e dallo sviluppodi tecnologie di controllo automatizzate, con banche dati perdare agli operatori dell’immigrazione accesso immediato alleinformazioni e monitorare gli arrivi e le partenze, con sistemiche raccolgono dati sui viaggiatori prima che arrivino nel Paeseallo scopo di facilitare il commercio internazionale e il movimentodi persone.

E in effetti l’applicazione dei programmi di registrazione deiviaggiatori alle frontiere terrestri e negli aeroporti statunitensiè avvenuta con relativa facilità e rappresenta un esempio dimodernizzazione dei controlli che ha facilitato il transito al controllopassaporti dei passeggeri valutati a basso rischio.

Maggiori difficoltà ha incontrato l’attuazione del costososistema denominato “US-Visit” che avrebbe dovuto registrare

gli arrivi e le partenze al fine di individuaregli overstayers, coloro che si trattengono nelPaese dopo la scadenza del visto. Ottenerei dati biometrici dei viaggiatori alla frontiereè tecnicamente possibile ma è enormementecostoso e politicamente pone delle difficoltà.Così la piena attuazione del programma èancora un obiettivo lontano e il suo contributoall’applicazione della legge sull’immigrazione

al momento marginale. Tra i programmi dedicati a raccogliere informazioni più

complete sui passeggeri in entrata si segnala il Visa WaiverProgram (VWP), che consente ai cittadini di Paesi consideratia basso rischio di viaggiare senza visto, consentendo notevoliriduzioni delle procedure consolari. Nonostante alcuni politiciabbiano espresso preoccupazioni riguardo alla sicurezza e allapermanenza sul territorio oltre il tempo consentito, il Congressoha imposto al Dipartimento di Sicurezza nazionale di darvicorso e raccogliere le informazioni biografiche dai viaggiatorial massimo 72 ore prima della partenza, di sviluppare lecompetenze in campo biometrico per assicurarsi che gli stessilascino il Paese e di negoziare accordi di condivisione delleinformazioni con i Paesi membri del VWP.

Il sostegno politico per l’utilizzo di questi sistemi e tecnologieresta forte, ma ci si interroga se sono valsi il loro costostraordinario o se le risorse economiche che richiedono

Oltre alle barriere fisiche ci sono quelle virtuali,specie negli aeroporti,con lo sviluppo di sistemidi controllo automatizzati,collegati a banche dati

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potrebbero essere meglio impiegate altrove. Dato che l’immigra-zione clandestina è funzione della domanda di lavoro, maggiorisforzi per perseguire i datori di lavoro che violano la leggepotrebbero probabilmente fare di più per ridurre l’immigrazioneillegale di quanto possa fare l’incremento della dotazionefinanziaria, già molto alta, per la costruzione di recinzioni diconfine, fisiche o virtuali.

Gli accordi transatlantici per la raccolta e condivisionedelle informazioni sui viaggiatori

Gli accordi transatlantici per la raccolta e la condivisionedelle informazioni sui viaggiatori sono al centro della ricerca“Transatlantic Cooperation on Travelers’ Data Processing: From

Sorting Countries to Sorting Individuals” diPaul De Hert e Rocco Bellanova che rilevacome si sia passati dal controllo basato sullanazionalità del viaggiatore al controllo dellecaratteristiche individuali del viaggiatore. Laforma più concreta di cooperazione transa-tlantica è senza dubbio la condivisione deidati, unita al trasferimento di informazioni trale autorità governative, e agli accordi che

governano tale processo.Dopo l’11 settembre si sono moltiplicati gli sforzi per l’identifi-

cazione di terroristi e criminali e un’enorme serie di dati suiviaggiatori internazionali viene attualmente utilizzata a scopi disicurezza. Si va dalle informazioni presenti sui passaporti ai datibiometrici e personali raccolti dai sistemi di check-in e per mezzodelle prenotazioni effettuate dalle compagnie aeree, fino alleinformazioni sensibili sulla salute e a quelle raccolte dal casellariogiudiziario. L’utilizzo al momento è più diffuso negli Usa che inEuropa, dove però tali pratiche si stanno affermando.

Per i governi ci sono diversi vantaggi: l’aumento del controlloesercitato, la possibilità di procedere a un controllo preventivoe accurato e di focalizzare l’attenzione e le risorse verso queisoggetti considerati più a rischio. In generale si ritiene chetale sistema sia utile a mantenere un controllo effettivo suimovimenti trasfrontalieri senza ostacolare la mobilità. Ineffetti la disponibilità di informazioni sui viaggiatori stadiventando un elemento centrale delle strategie di sicurezzadei governi che negli ultimi anni hanno enfatizzato il concettodi allargamento della frontiera verso l’esterno: individuarechi possa rappresentare un potenziale pericolo per la sicurezzae gli arrivi indesiderati prima che raggiungano la frontiera e,

Dopo l’undici settembre 2001 gli accordi transatlantici hanno intensificato l’aspetto dell’antiterrorismo, utilizzando a scopi di sicurezza un’enorme quantità di dati dei viaggiatori

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se possibile, prima che il viaggiatore lasci il porto di partenza.Ma la condivisione e l’elaborazione dei dati hanno fatto sorgere

parecchie questioni politiche e legali riguardo alla privacy, al dirittoalla protezione dei dati personali e al principio di presunzionedi innocenza, così come la necessità di creare un quadro legale perregolamentare l’utilizzo dei dati e il rispetto dei diritti individuali.Tutto ciò è stato oggetto di una serie di accordi negoziati neglianni passati tra Usa e UE, accordi tuttora in evoluzione, il cuiscopo fondamentale è limitare le potenziali conseguenzenegative per gli individui e fornire chiarimenti giuridici alle com-pagnie aeree e agli altri vettori commerciali, così come allestrutture governative, cui vengono richiesti i dati dei passeggeri.

Tre degli otto accordi in essere tra UE e Usa nel settore dellasicurezza e della mobilità contemplano forme di scambiodelle informazioni: il PNR (Passenger Name Record), il MutualLegal Assistance e l’accordo Europol-US. Questi accordi permet-tono lo scambio di dati personali dei passeggeri che viaggianotra Stati Uniti e Stati membri dell’UE e contemplano differentitipi di informazioni.

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Il PNR è il termine con il quale si indicano le informazionicommerciali che i passeggeri dei voli transatlantici fornisconoalle compagnie aeree e marittime. Esso comprende molteinformazioni, nomi, indirizzi, numero del passaporto, informazionisulle carte di credito, sui passeggeri che viaggiano congiunta-mente, sugli agenti di viaggio e anche sulle preferenze alimentari.Essendo una delle fonti più dettagliate ha assunto un grandesignificato simbolico e pratico nel dibattito sulla condivisionedei dati personali ed è stata oggetto di numerosi accordiinternazionali, misure nazionali, scontri politici e istituzionali egrande interesse accademico.

Poche misure di sicurezza hanno attirato così tanto l’attenzionequanto il PNR e poche hanno generato così tante tensioni. I

negoziati Usa-UE sono stati talvolta “asimme-trici”, con gli Stati Uniti, che per la maggiorparte hanno richiesto e utilizzato i dati, el’Unione Europea preoccupata in primo luogodi cercare assicurazioni affinché l’uso deglistessi fosse limitato agli scopi “legittimi”, menoinvadenti per la privacy dei passeggeri.

Parecchie questioni sorgono dall’usogovernativo, o anche dal mancato uso, dei dati

dei viaggiatori, e ciò si riflette in vari gradi nei trattati interna-zionali. Primo, c’è la preoccupazione che i governi giustifichinola raccolta e l’elaborazione dei dati personali come partedello sforzo per combattere terrorismo e gravi crimini inter-nazionali, e successivamente utilizzino tali dati per altri scopi,come i reati legati all’immigrazione. Secondo, attualmente gliStati Uniti utilizzano alcuni dati, in particolare il PNR, non soloper ricercare informazioni su specifici individui sospettati, maanche per analizzare statisticamente caratteristiche e compor-tamenti al fine di tracciare profili di individui che “potrebbero”costituire un rischio per la sicurezza. Oltre al fatto che le personeidentificate mediante tale processo possono subire conseguenzetangibili – come per esempio un diniego immotivato del permessodi viaggiare o essere sottoposti a ripetuti controlli – questamodalità di utilizzo di modelli statistici può violare il principio dipresunzione di innocenza, quello del giusto processo e dellanon discriminazione. Una terza preoccupazione è che partedelle informazioni messe in condivisione possano essereimprecise. Le persone possono essere danneggiate da talierrori, ma raramente saranno risarcite. Infine, una mancanza ditrasparenza può ostacolare il diritto di sapere come i nostri dativengono utilizzati.

Sui due piatti della bilancia c’è la ricerca di un equilibrio tra le esigenze di sicurezza e l’invasività di controlli che spesso vanno controla privacy dei viaggiatori

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Le raccomandazioni espresse dagli autori tengono contodi queste criticità e suggeriscono in primo luogo di usare inmaniera sensata i mezzi tecnologici che giocano un ruoloimportante nel controllo delle frontiere; le tecnologie sonopiù che uno strumento neutrale e il loro utilizzo spesso ha unforte impatto sulla società. Meritano quindi di essere valutatecon profonda attenzione e non dovrebbero essere adottatealla cieca. Le politiche di controllo delle frontiere dovrebberotenere in maggior conto gli interessi legittimi dei viaggiatori.Il diritto al risarcimento e all’azione giudiziaria dovrebbero

essere il fulcro delle iniziative contro gli abusinell’utilizzo dei dati personali, assicurandoal tempo stesso che i controlli di sicurezzasiano utilizzati nell’interesse dei cittadini.L’elaborazione dei dati personali e le sueconseguenze dovrebbero essere oggetto dipubblico dibattito e di un maggior controllo.Accertamenti sistematici dovrebbero essereposti in essere per verificare l’effettiva pro-

tezione dei dati e della privacy e i modi in cui vengono utilizzatele tecnologie dedicate. L’utilizzo di esercizi statistici mirati, illoro scopo, la loro portata ed efficienza, così come le loropotenziali conseguenze, rimangono poco chiare: l’UnioneEuropea dovrebbe chiarire la propria posizione riguardo all’usodi tecniche di profiling dei soggetti, e i politici su entrambele sponde dell’Atlantico dovrebbero riconoscere e affrontare lequestioni politiche che le misure che adottano fanno sorgere.

La Commissione Europea ha già dato mandato per negoziarenuovi accordi PNR con Stati Uniti, Canada e Australia e unaccordo quadro con gli Usa per la protezione dei dati personali.L’accordo quadro è considerato fondamentale daIla commissariaalla giustizia Viviane Reding per bilanciare la sicurezza con laprivacy e ridurre l’asprezza di ogni futuro accordo sulla condi-visione dei dati personali.

Si prevedono tempi brevi per la conclusione, anche perchèil Parlamento Europeo, nel luglio prossimo, voterà sull’accordoPNR con gli Usa. Gli accordi sono cruciali per le compagnieaeree europee, dato che il trasferimento di queste informazioniè condizione per volare negli Stati Uniti. E la proposta di direttivadella Commissione Europea (febbraio 2011) per un PNR europeodimostra come la raccolta e l’elaborazione dei dati personalisia considerato un aspetto centrale non solo per le strategiedi sicurezza delle frontiere ma anche per le politiche di giustiziae affari interni.

La Commissione europea ha dato mandato a negoziarenuovi accordi con Stati Uniti,Canada e Australia, per la protezione dei dati personali,aspetto centrale della sicurezza

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Schengen:l’ammiraglia europea al crocevia del futuro delle migrazioni

di Claudia Svampa

I progressi compiuti negli anni dall’UE sotto il cappello di Schengen non potevano tenere contodi due fattori che ne avrebbero stravolto le linee guida: l’allarme terroristico di matrice jihadistae le pressioni dei flussi migratori clandestini

Un popolo senza più frontiere: da dove veniamoFino a pochi anni fa bastava nominarla per percepirne la

fonetica solida, promettente, fatta per durare: Schengen. Unnome geografico presto trasformato in un’idea di liberalizzazione,ma che fino al 1985 era solo una piccola cittadina lussem-burghese nel distretto di Grevenmacher, non distante daiconfini franco-tedeschi. E che ventisei anni fa diede nome eospitalità alla stipula della celebre convenzione fortementevoluta dall’allora cancelliere tedesco Helmut Kohl insiemeall’allora presidente francese François Mitterrand, gettandole basi del principio della l ibera circolazione in senoall’Unione Europea.

Dopo il primo accordo fra i cinque Paesi fondatori –Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi – firmatoil 14 giugno 1985, fu la convenzione di Schengen, stipulatanel 1990 ed entrata in vigore nel 1995, ad aprire quell’inizialespazio di libera circolazione a tutti i restanti Stati firmatari,creando un territorio senza frontiere che abolisse i controlliinterni ai confini nazionali, perimetralmente sostenuto daun’unica frontiera esterna lungo la quale i controlli dello spazioSchengen sarebbero avvenuti secondo identiche procedure.

Onde evitare che lo spazio di libera circolazione di mezzie persone non determinasse una falla nella sicurezza nazionalea seguito dell’abolizione dei controlli doganali e di frontiera,furono affiancate le cosiddette “misure compensative” atte amigliorare la cooperazione e il coordinamento fra i servizi dipolizia e le autorità giudiziarie, allo scopo di preservare la

La convenzione stipulata nel 1990 ed entrata in vigore nel 1995 ha aperto uno spazio di libera circolazione nell’UE,abolendo i controlli interni ai confini nazionali

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sicurezza interna degli Stati membri e garantire l’efficaciaalla lotta contro la criminalità organizzata.

È in questo contesto che è stato sviluppato il SIS, Sistemad’informazione Schengen, operativo dal 1995, un complessodata-base interconnesso a tutti i Paesi aderenti a Schengenche consente di scambiarsi dati relativi all’identità di personee beni. La copertura del territorio, nello scambio informativo, ègarantita dalle singole reti nazionali del SIS (dette N-SIS) deivari Stati membri collegate a un sistema centrale (C-SIS)integrato a una rete chiamata “Sirene” che rappresenta l’inter-faccia umana del SIS. Il SIS II – attualmente ancora in fase ditest in tutte le sue funzionalità e condizioni di applicabilità –rappresenta invece l’evoluzione dell’attuale SIS, sperimentandofunzionalità tecnologiche avanzate e di nuova generazione.

Dunque la cooperazione rafforzata all’interno del territorio UE,nata oltre un quarto di secolo fa, mirava in sintesi all’adozionedi un quadro normativo condiviso dagli Stati membri focalizzatosu più punti: 1. l’abolizione dei controlli sulle persone e sulle merci in transitoalle frontiere interne agli Stati2. un insieme di norme comuni da applicare alle persone cheattraversano le frontiere esterne degli Stati membri UE3. l’armonizzazione delle condizioni di ingresso e delle conces-sioni dei visti per i soggiorni brevi4. il rafforzamento della cooperazione giudiziaria mediante unsistema di estradizione più rapido e una migliore trasmissionedell’esecuzione delle sentenze penali5. il rafforzamento della cooperazione tra polizie, compresi idiritti di osservazione e inseguimento transfrontaliero6. la creazione e lo sviluppo del sistema d’informazioneSchengen (SIS).

La “crescita” della cooperazione intergovernativa dello spazioSchengen, nata in un primo momento al di fuori della normativaUE, ha trovato poi la sua legittimazione attraverso l’entrata invigore del trattato di Amsterdam (1 maggio 1999) con il qualetale cooperazione, con un protocollo addizionale, è stata integratanell’Unione Europea incorporando gli accordi di Schengen nelcosiddetto “primo pilastro” del Trattato di Maastricht (1992).

Tuttavia i progressi compiuti dall’UE sotto il cappello Schengennel corso degli anni non potevano tenere conto di due fattoriche tempo dopo ne avrebbero stravolto le linee guida nelperseguimento degli obiettivi: in primis l’allarme terroristico,esploso in maniera prorompente a seguito dagli attentati contro

Il Sistema di informazione Schengen,un complessodata-base interconnessoa tutti i Paesiaderenti,che consente lo scambio di dati su persone e beni

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BelgioFranciaGermaniaLussemburgoPaesi BassiMonaco

Italia

PortogalloSpagna

Austria

Grecia

DanimarcaFinlandiaSveziaIslandaNorvegia

SloveniaEstonia

LettoniaLituaniaPoloniaRepubblica CecaSlovacchiaUngheriaMalta

Svizzera

Liechtenstein

Cipro

Bulgaria

Romania

4 giugno 1985

27 novembre 1990

25 giugno 1992

28 aprile 1995

6 novembre 1992

19 dicembre 1996

1º maggio 2004

16 ottobre 2004

28 febbraio 2008

1º maggio 2004

1º gennaio 2007

1º gennaio 2007

gli Stati Uniti d’America l’11 settembre 2001, ma percepito in tuttaevidenza come reale pericolo in casa solo qualche anno dopo,con le stragi di Madrid (11 marzo 2004) e di Londra (7 luglio 2005)che confermarono senza più dubbio quanto anche l’Europa fossediventata un obiettivo sensibile del nuovo terrorismo jihadista.In secondo luogo l’escalation migratoria, che ha investito l’Europaquale Paese di destinazione – con flussi di provenienza extra-

Le adesioni a Schengen nei Paesi europei

26 marzo 1995

26 ottobre 1997

26 marzo 1995

1º aprile 1998

26 marzo 2000

25 marzo 2001

21 dicembre 2007(confini terrestri e marittimi)

30 marzo 2008(aeroporti)

12 dicembre 2008(confini terrestri)29 marzo 2009(aeroporti)

1º novembre 2009

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Stati Membro da: In vigore da:

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europea che hanno portato il numero di immigrati stranieri sulterritorio UE a quadruplicarsi dal 1985 a oggi – e che costituisceun elemento destabilizzante, rischiando di mettere in discussionela filosofia stessa di liberalizzazione ispiratrice dello spazioSchengen, uno dei risultati più tangibili e popolari conseguitidall’UE.

La teoria dei trattati calata nella realtà: chi siamoOggi, sul territorio europeo, sono presenti poco più di 20 milioni

di cittadini extracomunitari (Eurostat 2010) e quello delle politichemigratorie rappresenta uno dei maggiori dibattiti aperti e contro-versi in seno all’Unione.

I recenti e repentini eventi politici che hanno caratterizzatol’effetto domino delle proteste popolari in molti Paesi del mondoarabo e le conseguenti cadute dei regimi totalitari in Tunisia,Egitto e Libia hanno inderogabilmente riacceso i riflettori sullepotenzialità dei flussi migratori in arrivo dalla sponda sud delMediterraneo e sulle possibili conseguenze in merito alle realicapacità di accoglienza degli Stati europei senza che la situazionemigratoria possa degenerare in una vera e propria crisi.

Alla luce di ciò, non è più solo l’Italia – Paese fortementeesposto alle pressioni di clandestini in arrivo via mare – a chiedersise lo spazio Schengen, così come concepito allora, sia oggiancora la scelta giusta. Lo stesso presidente francese NicolasSarkozy, con un monito a effetto, nel maggio scorso ha allertatol’Unione dichiarando: “noi vogliamo che Schengen viva, maperché Schengen viva Schengen deve essere riformata”.

In una lettera a firma congiunta inviata lo scorso aprile aHerman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo e JosèManuel Barroso presidente della Commissione europea,Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi hanno definito i punti direvisione necessari perché il principio di libera circolazioneall’interno dello spazio Schengen possa continuare a esistere,scongiurando il pericolo di una vera e propria crisi determinatada flussi migratori incontrollati che possano minare la fiduciadei concittadini rispetto allo stesso principio.

Il presidente francese e il premier italiano hanno allorarichiesto che l’Unione Europea concretizzi i propri impegni daun lato nel ridefinire le relazioni con i Paesi terzi (prioritaria-mente quelli della sponda sud del Mediterraneo) e dall’altro nelrivedere “in profondità la normativa interna in questo settore”.Specifica attenzione è stata posta dai due leader al partenariatocon i Paesi terzi che assicuri tanto il sostegno UE verso costoroquanto una cooperazione rapida ed efficace dei partner

Gli eventi politici nel Nord-Africa hanno acceso i riflettori sui possibili flussi migratori dalla sponda sud del Mediterraneo e sulla capacità di accoglienzadegli Stati europei

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extraeuropei nella lotta all’immigrazione illegale, comprensivadella riammissione dei migranti clandestini nei Paesi di provenienza.

In relazione alla possibilità di un afflusso massiccio di profughiprovenienti dalla Libia, Berlusconi e Sarkozy hanno chiesto inoltreai presidenti del Consiglio e della Commissione UE “una nuovasolidarietà tra gli Stati membri” affinché i Paesi più esposti ai flussiin arrivo possano beneficiare “di un piano operativo definitoin anticipo che tenga conto delle capacità di accoglienza diciascuno dei partner così come degli sforzi già sostenuti”.

Non ultimo, al terzo punto della lettera, oltre al rafforzamentodell’agenzia Frontex – che costituisce un imperativo prioritario– è proprio il rafforzamento della governance nello spazioSchengen ad essere stato sottolineato quale oggetto di unseguito politico più strutturato, anche attraverso una maggiorevisibilità delle discussioni affrontate in seno all’ultimo consiglioGAI (Giustizia e Affari interni) dello scorso giugno.

Un sogno difficile da realizzare: dove andiamoProprio la Comunicazione della Commissione sulle migrazioni,

inviata il 4 maggio scorso al Parlamento europeo – a seguitoanche delle conclusioni raggiunte dal Consiglio europeodell’11 e del 24 marzo e del Consiglio GAI dell’11 aprile – ha piùconcretamente affrontato il nuovo meccanismo della governancedi Schengen.

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Il sistema intergovernativo inter pares, che è attualmentein vigore nell’UE per garantire l’applicazione delle normecomuni, dovrebbe poter essere revisionato basandosi su “unapproccio a livello dell’Unione, con la partecipazione di espertidegli Stati membri e di Frontex, diretto dalla Commissione”come recita la stessa Comunicazione.

Il meccanismo proposto mira ad assicurare una maggioretrasparenza, correggendo le eventuali misure di follow-uprilevate rispetto ai punti deboli valutati dagli esperti. Inoltre nellarevisione della governance di Schengen è prevista l’istituzionedi “un meccanismo che permetta all’Unione di gestire sia lesituazioni in cui uno Stato membro non adempie all’obbligo dicontrollare la propria sezione di frontiera esterna, sia quelle incui un tratto particolare della frontiera esterna diventa oggettodi pressione inaspettata e grave a seguito di eventi esterni”.La salvaguardia di Schengen è dunque in questo allargamentodi ruoli e collaborazioni nella valutazione dei rischi alle frontiereesterne, allo scopo di evitare che iniziative unilaterali dei singoliPaesi sottoposti a maggiori pressioni costringano alla reintro-duzione dei controlli alle frontiere interne o all’intensificazionedi controlli di polizia.

Tuttavia il futuro della libera circolazione di persone e mezzinel territorio della UE non potrà non tener conto di quell’insiemedi fattori, strettamente interconnessi tra di loro, che sarannodeterminanti nel futuro delle migrazioni. Fattori condizionanticome l’evoluzione delle “road maps” nei Paesi in cui i governiprecedenti sono caduti o che sono in rivolta e dove gli esiti distabilità e tenuta governativa interna costituiranno l’ago dellabilancia dei temuti esodi di massa verso l’Europa.

Così com’è, il futuro di Schengen non potrà più prescinderedalla consapevolezza che la stabilità e la tenuta degli accordidi partenariato con i Paesi della sponda sud del Mediterraneosaranno la discriminante dei programmi di prevenzione nellalotta all’immigrazione illegale e, in condizioni di negoziazionedifficile come quelle attuali, l’incentivazione concreta e proporzio-nale al risultato raggiunto potrebbe costituire una sollecitazioneimportante nel conseguimento dell’obiettivo di una stabilecollaborazione nella gestione dei flussi fra le due sponde delMediterraneo.

Perché la posta in gioco è alta e Schengen, l’ammiragliaeuropea delle politiche comunitarie, rischia di finire rottamatanella ritardata comprensione del fenomeno della primaveraaraba e delle sue possibili ripercussioni.

Il futuro di Schengen dipende anche dalla tenutadegli accordi dipartenariato con i Paesi mediterranei,che saranno la discriminantedei programmidi prevenzionenella lotta allaimmigrazione illegale

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L’integrazione nei territori:il Fei e la collaborazionecon i comuni

di Angelo MalandrinoPrefetto - Autorità responsabile del Fondo europeo per l’integrazione dei cittadinidi Paesi terzi 2007-2013

La sinergia fra ministero dell’Interno e Anci nasce dal riconoscimento dell’importanza di un’interazione tra gli attori pubblici centralie locali, per rafforzare l’efficacia dell’intervento verso i cittadini di Paesi terzi

La cornice dell’interventoIl Fondo europeo per l’integrazione, istituito con decisione

del Consiglio dell’Unione Europea n. 2007/435/CE, ha lo scopodi aiutare gli Stati membri dell’Unione Europea a migliorare lapropria capacità di elaborare, attuare, monitorare e valutaretutte le strategie di integrazione, le politiche e le misure neiconfronti dei cittadini di Paesi terzi, lo scambio di informazionie buone prassi e la cooperazione, per permettere ai cittadini diPaesi terzi, che giungono legalmente in Europa, di soddisfarele condizioni di soggiorno e di integrarsi più facilmente nellesocietà ospitanti. Lo stanziamento complessivo per gli anni dal2007 al 2013 è pari a 825 milioni di euro. In particolare, le risorsefinanziarie totali stanziate per l’Italia, con riferimento all’interoperiodo, ammontano a circa 103 milioni di euro.

Sulla base delle priorità di intervento specificate dallaCommissione Europea per la destinazione delle sommestanziate, il ministero dell’Interno, dipartimento per le Libertàcivili e l’Immigrazione, individuato quale Autorità responsabileper l’Italia, ha sviluppato una strategia per l’utilizzo delle risorsedel Fondo, predisponendo un Programma pluriennale relativoall’intero periodo di riferimento (2007-2013).

La collaborazione con l’AnciIn questa cornice, e in particolare nell’ambito dei Programmi

nazionali ad affidamento diretto, si è avviata la collaborazionecon i comuni e con l’Anci, loro organismo di rappresentanza.L’interesse per un lavoro congiunto tra ministero dell’Interno e

Dal 2007 il Fondo europeo per l’integrazione ha lo scopo di aiutare gli Stati membri UE a migliorare la propria capacità complessivadi gestionedei problemilegati ai flussi migratori

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Anci nasce dal riconoscimento dell’importanza di una interazionee sinergia tra gli attori pubblici di livello centrale e locale coinvoltinelle politiche di integrazione, al fine di rafforzare l’efficacia el’efficienza dell’intervento pubblico nel suo complesso.

Siamo consapevoli infatti che la strategia finalizzata all’inte-grazione del cittadino sul territorio debba essere definita, tantoa livello macro che nei contenuti specifici, in stretto raccordocon gli enti locali, cui spetta l’onere di portare a compimento lepolitiche territoriali in cui si traducono necessariamente gliinterventi pubblici a favore dell’integrazione. Ciò è particolarmentevero in un Paese come il nostro, dove l’immigrazione si contrad-distingue per la capillare distribuzione sul territorio. È notoinfatti come, a differenza di altri Paesi europei, che vedono unapolarizzazione della presenza di cittadini stranieri solo intornoalle grandi aree metropolitane, la presenza in Italia è ancoracontraddistinta, grazie alle caratteristiche specifiche dei nostriterritori, dalla diffusione tra comuni di diverse dimensioni (fattasalva comunque una certa concentrazione nelle grandi città).

Questo elemento è indicativo di quanto il tema incida inmaniera determinante e diffusa sulla vita delle città italiane equindi sulle pratiche amministrative e dà un’idea di come lasfida dell’integrazione passi necessariamente da una sinergiad’intenti con le amministrazioni locali.

Il “Programma di formazione integrata”A questa esigenza si è inteso corrispondere con il “Programma

di formazione integrata”, avviato nel 2008 e oggi alla secondaedizione, finanziato a valere sui fondi stanziati a favore deiprogetti nazionali.

Il contesto in cui le amministrazioni comunali si trovano adoperare presenta caratteristiche ormai consolidate e ben definite:queste sono di fatto già coinvolte nella gestione dei fenomenimigratori sia in virtù delle buone prassi attivate sui propri territori,che hanno permesso la creazione di efficienti sportelli perl’immigrato, sia in virtù delle modifiche normative, intervenuterecentemente, che costituiscono un primo parziale trasferimentodi competenze amministrative ai comuni in quest’ambito. Sonoun esempio al riguardo il D. Lgs. 30/2007, che ha introdottol’obbligo di iscrizione anagrafica per i cittadini dell’UnioneEuropea che soggiornano in Italia per un periodo superiore aitre mesi e il c.d. “pacchetto sicurezza” – leggi 125/2008 e94/2009 – che ha riconosciuto nuovi poteri al sindaco in materiadi segnalazione alle autorità competenti di irregolarità nellapresenza dei cittadini stranieri e comunitari nonché nuove

Il raccordo con gli enti locali è decisivoper unaefficacestrategia in un Paese aimmigrazionediffusa

ll “Programmadi formazioneintegrata”con il gradualetrasferimentodi competenzeamministrativeai comuni e nuovi poteri ai sindaci

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disposizioni in materia di certificazione delle idoneità sanitariee alloggiative, di cancellazioni anagrafiche e di pubblicazionedegli atti per il matrimonio dei cittadini stranieri.

I comuni si trovano quindi nella condizione di dover gestireun’importante fase di innovazione che richiede conoscenzespecialistiche e nuove soluzioni tecnico-organizzative per unapiù efficace pianificazione dei servizi e delle politiche comunali,da realizzarsi soprattutto attraverso la lettura del territorio e deifenomeni migratori. A tale riguardo è evidentemente decisivoacquisire competenze che consentano al comune una puntualeazione di monitoraggio e analisi dei fenomeni e dei processiin atto.

Particolarmente adeguata a perseguire tale obiettivo è parsafin da subito la proposta dell’Anci di attivare un Programma diformazione integrata, rivolto ai responsabili e agli operatoridei servizi comunali maggiormente interessati dalle tematichesull’immigrazione (servizi demografici, servizi sociali e poliziamunicipale), fornendo loro adeguati strumenti per approcciare ilfenomeno migratorio in maniera sistemica, accrescendo leconoscenze e le competenze tecnico-giuridiche nonché il gradodi sinergia, cooperazione e scambio informativo sia all’internodel comune, nell’ambito dei differenti settori coinvolti, sia ester-namente nei confronti delle prefetture, delle questure e delleassociazioni del terzo settore.

Il programma ha coinvolto nella prima edizione i comuni delleregioni Piemonte, Veneto, Marche e Lazio e quest’anno si estendeai territori della Lombardia, Toscana, Umbria e Abruzzo.Obiettivi specifici quelli di: innovare i processi organizzativiinterni; superare un approccio settorializzato e non sistemicoal fenomeno; erogare efficaci ed efficienti servizi ai cittadinistranieri; operare consapevolmente nell’ambito di una reteistituzionale locale.

Si è ritenuto di confermare anche per quest’anno, alla lucedei risultati e delle esperienze maturate nel corso della primaedizione pilota, l’integrazione di contenuti didattici veicolatiattraverso seminari in presenza e formazione a distanza cheverteranno sui seguenti macroambiti:

semplificazioni e procedure amministrative in materia diimmigrazione

modelli organizzativi per l’accoglienza e l’integrazionedei cittadini stranieri.

Il percorso formativo FAD, inoltre, si concluderà con lavalutazione finale dell’apprendimento e la certificazione delcredito formativo universitario. È stato, infine, richiesto ad Anci

Dalla prima edizione pilotanelle regioni Piemonte,Veneto,Marche e Lazioalla estensione delle iniziative ai territori di Lombardia,Toscana,Umbria e Abruzzo.In gioco le procedureamministrativee i modelli di accoglienza degli immigrati

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Il Fei e la collaborazione con i comuni

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di integrare la componente seminariale d’aula con un’attività diascolto e rilevazione di modelli organizzativi e buone prassiattivati a livello locale che costituiscano casi di studio daanalizzare e presentare a tutta la platea dei comuni destinataridell’intervento, nonché agli attori istituzionali del programma.

Un nuovo approccioCrediamo che il progetto formativo proposto da Anci contri-

buisca ad avviare un nuovo approccio culturale alla gestionedei cambiamenti (normativi, organizzativi, etc.) richiesti ai comunie agli altri enti locali, coinvolti nella gestione di problematichecomplesse quali quelle dell’immigrazione e della sicurezzasociale.

L’idea guida è quella di fornire ai comuni gli strumentinecessari per gestire in maniera organica e sinergica le nuovecompetenze introdotte dal legislatore e altresì per garantireuna piena capacità di lettura dei bisogni, dei diritti e dei doveridei nuovi cittadini. Ci sembra, anche questo, un buon modo perfesteggiare degnamente i 150 anni dell’Unità d’Italia, rendendosempre più visibile, da parte delle istituzioni, la presenza stabiledi ormai cinque milioni di nuovi cittadini, famiglie che nascono,si formano, lavorano, acquistano case e avviano imprese sulnostro territorio.

Verso un nuovo approccio culturale nella gestione dei cambiamenti richiesti ai comuni in materia di integrazione e di sicurezza sociale

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L’Unità d’Italia come momento di integrazione

di Andrea FamaErnst & Young - Financial and Business Advisor per il servizio di assistenza tecnicadel Fei

Il Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi terzi prevede, sin dal primo anno di programmazione, l’implementazione di un’azione specificamente incentrata sulla formazione linguistica e civica dei nuovi arrivati

L’immigrazione in Italia è un fenomeno che ha acquisitorilevanza a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso.

Il dibattito pubblico si è poi trasformato in discorso politiconel corso degli anni Novanta, fino a raggiungere la stringentecondizione attuale. Oggi il fenomeno migratorio è celebratoanche nell’ambito del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia,come dimostrano diverse iniziative realizzate in proposito.

In alcuni casi si tratta di iniziative cosiddette dal basso,come l’esposizione “150 Immigrati Tricolore”, un’opera collettiva

che, attraverso il passaparola on-line, raccogliegli scatti degli utenti che immortalano i voltidei cittadini stranieri caratterizzati dal tricolorenazionale. A queste si affiancano iniziative piùistituzionali, come quella relativa alla realiz-zazione di un francobollo commemorativo dellastoria dell'emigrazione italiana. Oggi, comesottolineato durante la presentazione dellavignetta da Alfredo Mantica, sottosegretario agli

Affari esteri, “siamo tutti cittadini del mondo e l’Italia è diventatada alcuni decenni terra di immigrazione. E significativamenteabbiamo voluto dedicare una sezione del Museo nazionaledell’emigrazione italiana anche al mondo dell’immigrazione”.

Percorsi di emigrazione e di immigrazione, dunque, che siintrecciano fino a delineare le trame di un disegno che pone alcentro l’integrazione di tutti i cittadini, a prescindere dal lorobackground etnico, religioso o culturale. L’Unità d’Italia, infatti,rappresenta un’occasione preziosa di integrazione con i cittadini

Legate ai 150 anni tante iniziative istituzionali e tante altre partite dal basso, come i “150 immigrati tricolore”, che sono inserite nelle celebrazionidell’anniversario del Paese

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L’Unità d’Italia come momento d’integrazione

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immigrati; un’opportunità per ribadire quei valori positivi chehanno determinato il costituirsi di una nazione unica, quegli stessivalori alla base del concetto di “identità arricchita” fondamentaleper comprendere il nuovo volto del popolo italiano.

Alla luce di ciò, risulta quanto mai calzante lo spunto diriflessione offerto in occasione di un convegno su immigrazionee Unità d’Italia da Giulio Boscagli, assessore alla Famiglia,Conciliazione, Integrazione e Solidarietà sociale della regioneLombardia: "Per affrontare adeguatamente un processo reale diintegrazione e inclusione occorre possedere la certezza dellapropria identità culturale e storica non come spazio chiuso,castello da difendere, ma piuttosto come consapevolezza delpercorso che ha portato a costruire, condividere e praticare ivalori della nostra cittadinanza”.

Il Fei tra integrazione e unitàL’uniformità linguistica è stata un tassello fondamentale

nell’architettura dell’Unità d’Italia. Parlare la stessa lingua, infatti,è il primo passo verso la comprensione reciproca, elementoimprescindibile di unità e integrazione.

A tale scopo, il Fondo europeo per l’integrazione di cittadinidi Paesi terzi (Fei) prevede, sin dal primoanno di programmazione, l’implementazionedi un’azione specificamente incentrata sullaformazione linguistica e civica. Tale azioneintende promuovere corsi specifici di formazioneda attivare sia dal momento dell’arrivo in Italiache nella fase di preparazione alla partenza,essendo rivolti ai cittadini stranieri chesoddisfano le condizioni per fare ingresso

nel Paese, con l’obiettivo di supportare e facilitare il loro percorsod’inserimento in Italia.

I progetti finora finanziati sul tema della formazione linguisticasono oltre 30 e variano da un ambito strettamente territoriale a unapiù ampia dimensione nazionale. Tra questi ultimi spiccano“Italiano, lingua nostra” e “Cantieri d’Italia”, realizzati dal ministerodell’Interno in collaborazione, rispettivamente, con l’Universitàper stranieri di Perugia e Rai (vedi libertàcivili n. 2/2010). Perevidenziare l’importanza dei mass media nel processo di unifi-cazione e alfabetizzazione del Paese, vale la pena ricordarecome, parafrasando Umberto Eco, la televisione, con le suetrasmissioni e i suoi conduttori, abbia contribuito – e accelerato– all’Unità (linguistica) d’Italia in misura considerevole, conden-sando i diversi dialetti del frastagliato panorama linguistico del

La propria identità culturale e storica vissuta non come uno spazio chiuso,ma come consapevolezza di un percorso di incontrocon altre identità e altre culture

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L’Unità d’Italia come momento d’integrazione

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Bel Paese in un italiano di base accessibile a tutti che hacontribuito notevolmente alla formazione dei cittadini.

La conoscenza degli elementi fondanti della nostra lingua èuno degli obiettivi principali del Fei che in Italia, tramite l’azionedi formazione linguistica, intende dare impulso a misure volteanche a favorire il conseguimento da parte dei cittadini stranieridegli obiettivi fissati dalle recenti disposizioni normative inmateria di integrazione (art. 4bis D.Lgs 286/98).

Il senso di appartenenza a una comunità nasce senza dubbiodalla conoscenza della cultura e della lingua, ma anche, e in

modo imprescindibile, dalla possibilità diaccedere a servizi primari per l’individuo, la cuifruibilità, tuttavia, non è sempre immediatanel caso dei cittadini stranieri. Per rispondereall’esigenza di favorire l'accesso degli immigrati“alle istituzioni nonché a beni e servizi pubblicie privati, su un piede di parità con i cittadininazionali e in modo non discriminatorio” 1, il Feiha previsto, nel corso dell’intera programmazione,

un’azione rivolta alla mediazione sociale e alla promozione deldialogo interculturale. L’azione è intesa, tra le altre cose, aimplementare progetti di sostegno, orientamento e accompa-gnamento rivolti ai cittadini stranieri, finalizzati a garantire unmaggiore e migliore accesso ai servizi locali in particolare in ambitosanitario, scolastico, creditizio, ecc., anche tramite l’attivazionedi reti tra pubbliche amministrazioni, enti locali e associazionidel terzo settore.

Nel ripercorrere gli interventi volti allo sviluppo di un sentimentodi unità e di partecipazione attiva di tutte le componenti del sistema-Paese, risulta preponderante il ruolo delle seconde generazioni.Le G2, infatti, sono testimonial d’eccezione di un orgoglioso spiritodi italianità, rivendicato quotidianamente con ferma dignitànonostante le incomprensioni e le discriminazioni che il loro statusspesso comporta. Il tema delle seconde generazioni si impone,dunque, quale oggetto privilegiato di analisi nell’ambito degliinterventi destinati allo scambio di esperienze e buone pratiche,cui la programmazione pluriennale e annuale del Fei dedicaun’apposita azione. In quest’ottica, emerge quale volano positivodi integrazione e unità l’associazionismo dei giovani stranieri diseconda generazione, la cui condizione di domani sarà testimo-nianza preziosa del lavoro di semina fatto oggi per assicurarela parità dei diritti nel pieno rispetto dei doveri.

I giovani stranieri grandi e orgogliosi testimonial,nonostante le difficoltà che ancora incontrano, del nuovo corso di un’Italia diventata Paese aperto e multietnico

1 Sesto Principio fondamentale comune per l’integrazione

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Creuza de ma, la via imperviaverso l’approdo dei diritti

di Monia GangarossaCoordinatrice area dialogo e comunicazione “Creuza de ma”

Promosso dal comune di Vittoria il progetto,articolato su diverse aree di intervento,è finanziato dal Fei e riguarda una porzione di territorio nel Sud-Est della Sicilia caratterizzatodalla presenza stabile di cittadini stranieri

Il progetto “Creuza de ma” insiste nel territorio di riferimentodella cosiddetta “fascia trasformata”, intesa come quella porzionedi territorio del Sud-Est della Sicilia che va da Acate a Ispica,interessato dalla coltivazione dell’ortofrutta in serra. Data lanumerosa e ormai stabilizzata presenza di cittadini stranieriresidenti in quel territorio, si è manifestata l’esigenza di metterein rete i soggetti istituzionali e del privato sociale che, convari titoli e competenze, si occupano di immigrazione.

Già nel 2009 è nato il Forum per l’immigrazione, promosso dalcomune di Vittoria e fondato su un protocollo stipulato con altrienti pubblici, la Cgil, comunità religiose e numerose associazionidel terzo settore della provincia di Ragusa operanti a livellointernazionale, nazionale, regionale e locale. Uno dei ruoli piùimportanti del Forum è quello di stimolare la progettazione, inmaniera integrata, di interventi miranti alla creazione di processidi integrazione e coesione sociale.

È nato cosi “Creuza de ma” (www.creuzadema.eu), un progettofinanziato nell’ambito dell’azione 5 del Fei (Fondo europeo perl’integrazione) 2009, promosso e progettato dal comune di Vittoriain partenariato con i comuni di Acate, Santa Croce Camerina,Scicli, l’azienda sanitaria provinciale di Ragusa, l’Ufficio scolasticoprovinciale, la Cgil di Ragusa, l’Associazione per i diritti umani diVittoria, l’Enaip (Ente nazionale Acli istruzione professionale)di Ragusa, la parrocchia Spirito Santo di Vittoria. Il titolo delprogetto cita un celebre brano di Fabrizio De Andrè, appunto“Creuza de mä”, letteralmente mulattiera di mare, intesa comestradina scoscesa nella roccia che conduce all’approdo. Le

Dal titolo di un brano di Fabrizio De Andrè,Creuza de mäsignifica una stradina scoscesa nella roccia che conduce al mare,che porta all’approdo.In questo casoun’iniziativa per integrarei cittadini stranieri residenti in questa zonadella Sicilia

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Il progetto “Creuza de ma”

azioni previste dal progetto mirano a creare appunto un “approdo”di diritti, sanciti e riconosciuti ma spesso difficili da esercitare.

Il progetto, della durata di 12 mesi, è articolato in varie macroaree di intervento.

Area serviziSono nati quattro sportelli di Segretariato sociale, uno in ogni

comune partner del progetto, al fine di potenziare i servizi giàesistenti e crearne di nuovi. L’intervento è finalizzato ad affrontaree rimuovere le difficoltà di accesso dei cittadini stranieri allaPubblica Amministrazione. L’equipe presente agli sportelli,debitamente formata sui temi dell’intercultura e della legislazionelegata allo status di immigrati, lavora in rete per offrire unsupporto integrato e articolato ai cittadini stranieri residentinell’intero territorio della fascia trasformata, per garantire loro unamigliore conoscenza e pari opportunità di accesso ai servizipubblici: salute, lavoro, formazione, P.A. e mediazione familiare.

Area formazionea. Percorso formativo rivolto a 70 impiegati pubblici degli ufficidegli enti partner del progetto, per sviluppare competenze e peruna migliore capacità di risposta alle situazioni di mediazionesociale, in un ottica di interculturalitàb. Corso di formazione di 260 ore per mediatori culturali e socialirivolto a 20 cittadini stranieri finalizzato a formare operatoriabili a costituire e agevolare un primo contatto tra i cittadinistranieri e gli enti pubblici e privati del territorio, svolgendouna funzione “ponte” tra le diverse culture per la promozionee lo sviluppo del dialogo interculturale, contribuendo a garantirepari opportunità nell’accesso alla P.A. e la non discriminazione.Alla formazione seguiranno, per ognuno dei soggetti coinvolti,due mesi di stage presso gli uffici degli enti locali e delle istitu-zioni partner del progetto.

Area dialogo interculturaleÈ stato istituito, nel comune di Vittoria, un centro polivalente

interculturale. All’interno del centro sociale, hanno sede varieiniziative.

Lo sportello di segretariato sociale del comune di Vittoria,aperto al pubblico tre volte a settimana e sostenuto dal lavorodi un mediatore linguistico, di un mediatore legale e dalla colla-borazione in rete dei servizi sociali dei comuni coinvolti,dell’Azienda sanitaria, dell’Ufficio scolastico provinciale, deipatronati, della Camera del lavoro.

Attraverso la collaborazionetra pubblico e privato il progetto prevede una serie di interventi che riguardanooltre a Vittoriai comuni di Acate,Santa Croce Camerina e Scicli,con sportelli di segretariato sociale, corsidi formazione,un centro polivalente interculturale

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Il progetto “Creuza de ma”

Il Laboratorio ludico culturale, attivo tre pomeriggi a settimanada novembre 2010 a maggio 2011 che, attraverso il giocointeso come strumento per il superamento delle differenze,coinvolge 30 bambini italiani e stranieri insieme alle loro famiglie,per una migliore prevenzione del disagio giovanile. In questoambito è stato molto importante includere nelle attività, nonsolo minori stranieri ma anche italiani, in un ottica di realeintegrazione e di scambio e conoscenza. La difficile condizionesociale del quartiere nel quale si trova il Centro polivalenteche ospita il laboratorio ludico è stata anche una spinta perl’avvio di un monitoraggio e poi di un tentativo di interventoanche sulla condizione di disagio dei giovani e dei minoriresidenti. Di molto aiuto, in questa fase, è stato il contributodei volontari della comunità della chiesa valdese presente nelcomune di Vittoria che, numerosi e per tutta la durata del progetto,hanno contribuito con passione e competenza ad arginare ledifficoltà e le criticità che sempre si presentano in un contestodi complessità sociale.

Il servizio di supporto scolastico pomeridiano, attivo tutti igiorni da ottobre 2010 a giugno 2011, volto a favorire l’inclusionescolastica dei minori stranieri appartenenti alla fascia d’etàcompresa tra i 6 e i 14 anni, agevolandone capacità di appren-dimento e sostenendo attitudini e competenze individuali.L’enorme richiesta di iscrizioni ha imposto uno sforzo nell’acco-gliere più bambini di quelli previsti in fase di progettazione –attualmente sono 30 ragazzi – ma anche la necessità di ricercareuna soluzione che desse immediata e qualificata risposta albisogno, anche attraverso lo sviluppo di nuove reti. Un contributoconsistente è stato apportato dal lavoro di circa 15 studenti estudentesse delle quarte classi del liceo psico-pedagogico“Mazzini” di Vittoria che per 60 ore ciascuno, accompagnati emonitorati da due educatrici, una tutor e dal coordinatore delprogetto, accolgono e seguono i bambini, cosi come stabilitodal protocollo di intesa siglato dal comune di Vittoria con illiceo. La collaborazione mira ad agevolare la diffusione, nellascuola, dei principi di solidarietà, intercultura e multirazzialità,nonché ad affermare il valore sociale e la funzione formativadell’attività di volontariato. Ciò ha permesso di riaprire leiscrizioni e di rispondere a un numero maggiore di richieste edall’altro di creare una opportunità formativa nuova, sul campo,per quegli studenti che collaborano al progetto.

Scaffale dal mondo. È stata creata una mini biblioteca ed

Una grande risposta ha avuto il servizio di supporto scolastico pomeridiano volto a favorire l’inclusione dei minori stranieri dai 6ai 14 anni

Una delle iniziative ha coinvolto trenta bambini italiani e stranieri con le loro famiglie

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Il progetto “Creuza de ma”

emeroteca interculturale, con accesso ad internet, con l’obiettivodi fornire strumenti di conoscenza reciproca. La biblioteca èaperta al pubblico tre volte a settimana per il servizio di prestitoe consultazione dei testi e navigazione internet. Gli orari sonostati modulati per permettere anche a chi lavora di poter fruiredel servizio. La metodologia applicata per la scelta dei testirispecchia quella adottata per le altre azioni: coinvolgimentodella rete (partner del progetto, insegnanti, rappresentanti dellecomunità straniere, delle associazioni di stranieri, operatori delprivato sociale). I test individuati sono quindi prettamente inerentiall’ambito della comunicazione, della formazione e dell’informazionee sono destinati agli operatori del centro, ai minori e alla loroformazione interculturale, agli operatori scolastici, agli studenti eall’intera cittadinanza, per la diffusione delle “culture altre”.

Laboratorio di inclusione sociale rivolto alle donne straniere.L’attività, che ha la durata di 96 ore e si tiene due volte a settimananelle ore pomeridiane, mira all’acquisizione delle competenzelinguistiche per l’alfabetizzazione di ritorno, ma innescaanche processi di avvicinamento, di inclusione sociale e diconciliabilità tra famiglia e lavoro.

Le donne incontrate, che coincidono spesso con le madridei minori che frequentano le attività del centro, hanno dimostratointeresse per il progetto e per le attività di socialità e di incontroproposte. L’attività cosi pensata ha permesso alle donne difrequentare le lezioni di alfabetizzazione e gli incontri avendol’opportunità, nel frattempo, di poter affidare i loro figli agli operatoridel centro. Il corso di italiano è tenuto da una insegnante di L2,esperta in relazioni di gruppo e di tecniche di apprendimentoinformale, sostenuta da due volontari. La partecipazione ècostante nel tempo e il gruppo è composto maggiormente dadonne arabofone, ma anche da una percentuale più bassa didonne provenienti dall’Europa dell’Est. L’obiettivo che ci si è postiè stato prevalentemente quello dell’alfabetizzazione e dell’inse-gnamento della lingua italiana a partire dal lessico. Il materialedidattico è formato sia da schede strutturate e testi specialistici,sia da attività interattive Quest’azione si colloca nell'otticadell'educazione interculturale e perciò considera le diverseculture di cui sono portatrici le donne straniere un bagaglio dirisorse utile per i processi di crescita della società e dellepersone, in una prospettiva di reciproco arricchimento.

In quest’ottica, la collaborazione che si è strutturata extraprogetto con una associazione di volontariato, l’Auser di Vittoria,formata da molte donne adulte e anziane, ha dato l’opportunità

Uno specifico laboratorio di inclusione sociale è rivolto alle donne straniere:mira a farapprendere la lingua ma anche a insegnare come conciliare le esigenze di famiglia e lavoro

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Il progetto “Creuza de ma”

di arricchire il laboratorio linguistico di un percorso di inclusionee di incontro tra donne straniere e donne autoctone. Si è trattatodi un seminario formativo dal titolo “Narrazione e convivenza”,condotto da una docente di arabo, esperta di relazioni digruppo e di teatro di narrazione. L’attività ha avuto lo scopodi promuovere nel gruppo, e in generale nelle persone, unsenso sano di comunità, cercando di stimolare lo sviluppo direlazioni pacifiche e democratiche con “l’altra e il diverso”,l’anziana, la straniera, la giovane. Con il metodo del confrontoe dello scambio di esperienze il gruppo, intergenerazionale einterculturale, è stato stimolato a narrare e intrecciare storie,personali o lontane nel tempo e nelle spazio, ma che accomunanoil vissuto di tutte le donne.

Durante il percorso, le partecipanti hanno avuto modo diacquisire gli strumenti cognitivi per abbattere eventuali “paure” e“pregiudizi” nei confronti di chi non si conosce. L’uso di unapratica antica e condivisa dalle popolazioni nelle diverse culture,la narrazione orale, ha costituito il metodo usato per incoraggiarel’apertura dell’una verso l’altra. Ha rappresentato però ancheun fine, oltre che un mezzo, cioè il fine di recuperare l’oralitàcome pratica per la trasmissione della conoscenza, eserciziomolto diffuso nelle passate generazioni e meno fra le nuove,ma condivisa da tutti gli esseri umani.

Nell’area dialogo sono state incluse anche altre azioni:1. Festival delle anime migranti. Sono state realizzate dellegiornate itineranti nell’intero territorio interessato dal progetto,con concerti, seminari, mostre, feste interculturali che coinvol-geranno l’intera popolazione. L’obiettivo è stato quello di valorizzarele diverse culture presenti nel territorio, promuovendo il dialogointerculturale e la diffusione della cultura della pace e dellaconvivenza. Gli appuntamenti sono stati costruiti seguendo ilmetodo del lavoro in rete fra i partner del progetto e le realtàsociali, culturali italiane e straniere presenti nelle diversemunicipalità, portatrici di idee, pratiche, attività e relazioni dienorme importanza per garantire la ricaduta reale dell’azionesul territorio e sui destinatari finali 2. “Mostra interattiva Equo Mondo”, percorso di educazioneallo sviluppo e all'intercultura dal titolo “Equo Mondo - giochi,giocattoli e suoni dalle strade del mondo” organizzato incollaborazione con il CISS, una Ong impegnata sulle tematichedell’educazione interculturale alla legalità, ai diritti umani e allacittadinanza attiva. È un percorso di educazione allo sviluppoe all'intercultura dedicato ai bambini, ma anche agli adulti,

Un’area del dialogo ha previsto laorganizzazionedi feste interculturali,concerti,mostre e seminari coinvolgendo l’intera popolazione per valorizzare e fare incontrare le diverseculture presentisul territorio

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Il progetto “Creuza de ma”

un’attività interculturale ludica in forma di viaggio, per offrirestrumenti di conoscenza sulla realtà dell’infanzia del Sud delmondo a insegnanti e bambini/ragazzi delle scuole di Vittoriae Scoglitti, Acate, Santa Croce Camerina e Scicli. Si è utilizzato“il gioco” come veicolo di conoscenza, come "porta di accesso”per creare empatia e affrontare e modificare le immagini stereo-tipate che si hanno sugli altri popoli. Si tratta di un percorsointerattivo e dinamico, che è stato rivolto alle scolareschedella scuola primaria della provincia, organizzate in gruppi di25 bambini, i quali per due ore sono stati stimolati a interagirecon l’ambiente e a costruire dei giocattoli con materiale diriciclo. Si sono svolte anche tre giornate di formazione rivolteagli insegnanti e agli operatori e ai volontari, sui temi di cui trattail progetto. Le numerose scolaresche che hanno partecipato ele loro insegnanti hanno apprezzato molto l’attività che li hatrasformati per un giorno in “viaggiatori del mondo”3. Guida dei diritti e dei doveri. È stata prodotta e distribuitain tutto il territorio provinciale una guida multilingue ai diritti edoveri degli stranieri.

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anzaLa cittadinanza in Italia:

una legge vecchia?

di Ennio CodiniFondazione Ismu - Università Cattolica di Milano

Rivedere la disciplina attuale significa cogliere una doppia opportunità: per “loro”, gli immigrati,di entrare a far parte a pieno titolo della comunitàin cui vivono, per noi italiani di inserire nella società persone che arricchiranno la vita civile

Di recente sono stato a New York e, come in pellegrinaggio,ho visitato Ellis Island. Come in pellegrinaggio, perché di lì passòagli inizi del ’900, carico di speranze poi deluse, mio nonno.

E mentre sostavo in quei luoghi intessendo una sorta didialogo con lui, pensando a questo intervento mi sono chiesto:attorno a quale idea lo organizzerò? E ho scelto una parola,che anche l’audioguida mi proponeva incessantemente1.

Due visioni opposteCi sono modi diversi di concepire il ruolo della disciplina

della cittadinanza a fronte dell’immigrazione. V’è chi ragiona in termini di presa d’atto. Si tratta di concedere

la cittadinanza se si accerta o si presume vi sia un certo livellodi integrazione. È una prospettiva diffusa nell’opinione pubblicacosì come a livello politico. Chi ragiona così di solito ritieneanche che molti immigrati e figli di immigrati non vogliano onon possano integrarsi e che comunque l’integrazione sia unprocesso necessariamente lungo.

E allora la legge attuale può non apparire vecchia bensìadeguata. Si apprezza, in particolare, il fatto che agli immigratisiano necessari di norma dieci anni di regolare soggiorno

1 Questo scritto ripropone l’intervento dell’autore in occasione della presentazionedel Migrant Integration Policy Index III avvenuta a Roma lo scorso 10 marzopresso l ’ Ist i tuto Sturzo. Minimi gli adattamenti; si è preferito conservare lo sti ledel discorso e anche alcuni r i ferimenti di circostanza

Occorre andare oltre le due attuali visioni contrapposte sulla concessione della cittadinanza agli immigratie i suoi tempi:l’eccessiva prudenza,o una aprioristica apertura

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La cittadinanza in Italia: una legge vecchia?

prima di poter chiedere la cittadinanza e che ai loro figli natiin Italia si conceda la cittadinanza solo dopo la maggiore età.Si apprezza, poi, il fatto che almeno per gli immigrati adultil’acquisto sia a discrezione dell’autorità di governo.

Nei tempi lunghi di attesa si vede una risposta razionale aitempi lunghi dell’integrazione. Nella discrezionalità, d’altraparte, si vede uno strumento adatto a bloccare i molti che,anche dopo parecchio tempo, non si sono integrati. I tempilunghi e la discrezionalità sono poi apprezzati anche comestrumenti utili per frenare l’immigrazione. Si pensa, infatti, chetempi più brevi e maggiori certezze potrebbero indurre alcunimigranti a scegliere l’Italia.

C’è però anche un altro modo di concepire il ruolo delladisciplina della cittadinanza a fronte dell’immigrazione, percerti versi opposto al primo. È un modo abbastanza diffusonel privato sociale così come tra gli intellettuali. Il rapporto traacquisto della cittadinanza e integrazione risulta rovesciato:non è l’integrazione ad essere il presupposto della cittadinanza,bensì quest’ultima ad essere il presupposto dell’integrazione.Si ragiona così: non è forse vero che l’integrazione consistenella titolarità dei diritti o comunque la presuppone? E non è forsevero che la pienezza dei diritti discende dalla cittadinanza? Eallora, non si dovrà forse concludere che la cittadinanza nonva considerata il compimento bensì la base del processo diintegrazione?

E allora la disciplina attuale appare vecchia, inadeguata.Si critica, in particolare, il fatto che gli immigrati adulti debbanoattendere a lungo prima di poter chiedere la cittadinanza.Quanto poi ai loro figli nati in Italia, si vorrebbe addirittura unrovesciamento della disciplina attuale con l’introduzione delloius soli.

Che dire? Alcune delle convinzioni di cui sono intessuti i dueapprocci sono senza dubbio fondate. È vero, per cominciare,che in molti casi l’integrazione degli immigrati e dei loro figliè un processo lungo e difficile. È sempre stato così in ogniterra d’immigrazione, ed è particolarmente vero oggi in Italia.

Molti, troppi immigrati sono giunti da noi per caso. Volevanoraggiungere il primo mondo, e sono arrivati in Italia perchédavanti a tante porte chiuse si sono affidati a canali illegali cheli hanno condotti qui. Oppure sono giunti per ricongiungersi aifamiliari. Non l’hanno fatto per divenire parte di un popolo. Tral’altro parecchi sono arrivati pensando di fare poi ritorno nelproprio Paese, non con l’intenzione di mettere radici. Nei progettie nei percorsi migratori spesso, troppo spesso, non ha trovato

Il punto in discussione:se debba essere l’integrazioneil presuppostodellaconcessionedellacittadinanza,o non sia quest’ultimail presuppostodellaintegrazione

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La cittadinanza in Italia: una legge vecchia?

spazio neppure in nuce quel sentiment d’appartenance di cuiparlava Renan nel suo famoso Qu’est-ce qu’une nation? del1882 e che invece ha segnato – ad esempio – l’immigrazionedall’Europa agli Stati Uniti.

La debolezza dei sentimenti peserebbe forse relativamentepoco se i migranti fossero vicini alla nostra società sul pianoculturale, come è stato nel caso dell’immigrazione europea nelleAmeriche. Ma in molti, troppi casi così non è. Con l’aggravanteche gli stranieri entrano quasi tutti senza conoscere la linguaitaliana. Tutto questo incide negativamente sulla possibilità diconoscere, comprendere e fare propri saperi, stili di vita, valoricivili e politici.

D’altra parte, è parimenti vero che i diritti sono un presuppostodell’integrazione. Lo si comprende bene considerando lesituazioni nelle quali l’immigrato è un “senza diritti”. Pensiamoa un immigrato, e ve ne sono purtroppo, che lavora in nero, chenon può avere un alloggio degno, che non chiede nulla alleistituzioni perché le teme o comunque non si aspetta nulla daloro. Che cosa vediamo? Una persona avviata all’integrazione?

Però nella struttura dei due approcci troviamo anche ideeche non reggono a un esame critico. Non è vero, per cominciare,che sempre l’integrazione richieda tempi lunghi. Sarebbe follia,allora, quella di britannici, francesi e statunitensi che dannola possibilità agli immigrati adulti di chiedere la cittadinanzadopo cinque anni di soggiorno proprio sul presupposto chel’integrazione sia già avvenuta. E poi: non abbiamo forse tuttinelle mente esempi di stranieri adulti immigrati da poco o giovanigià a tutti gli effetti italiani come e più di tanti tali per nascita?

Ho letto sul giornale un episodio. In una secondaria superioreil professore cerca di proporre la storia dell’Unità d’Italia, mala classe non lo segue. Chiede: “Ma non vi interessa?”. Moltirispondono: “No”. Finché una studentessa dice: “Sì, a meinteressa, perché voglio conoscere la mia storia”. È una sedicenne,straniera. Se la volontà e il sentimento sono l’essenziale,come diceva Renan, non dobbiamo forse considerare quellastudentessa pronta a ricevere la cittadinanza anche se hasolo sedici anni?

Quanto poi all’idea che sia bene che l’acquisto della citta-dinanza sia un evento lontano e incerto, perché altrimenti siincoraggerebbe l’immigrazione, essa è contraria ai fatti. Chiviene in Italia considera molte cose – le opportunità di lavoro;le regole e la loro applicazione; il welfare State; la presenzadi reti familiari o comunitarie ecc. – ma proprio per nulla laquestione della cittadinanza. E d’altra parte, ben si potrebbero

Pensiamo a un immigratoche lavora in nero,che non può avere un alloggio degno, che non si rivolgealle istituzioniperché le teme o nonsi aspetta nulla da loro:in questo casopossiamoparlare di una personaavviata allaintegrazione?

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ridurre i tempi e dare più certezza senza per questo renderela cittadinanza italiana più “facile” di quella francese o quellabritannica e dunque senza rendere per questo l’Italia unameta preferibile rispetto ad altre.

Ma anche la posizione di chi vede nella cittadinanza ilfondamento dell’integrazione non è sostenibile. È – e deverimanere – ben fermo, infatti, che in Italia i diritti non derivanodalla cittadinanza. I diritti sono propri di chi in Italia vive e pertutti allo stesso modo secondo il principio di eguaglianza chevale anche per gli stranieri. Solo i diritti politici, la libertà dicircolazione e soggiorno e pochi altri diritti strettamente connessisi ricollegano alla cittadinanza; quanto al resto vige l’eguaglianza.Certo, i diritti che si ricollegano alla cittadinanza sono senzadubbio importanti; ma parimenti non v’è dubbio che vi puòessere un cammino di successo verso l’integrazione anchesenza la titolarità di tali diritti. E d’altra parte: l’esperienzamostra non pochi esempi di persone con la pienezza dei dirittie tuttavia fondamentalmente estranee e addirittura ostili allacomunità nazionale. È il vissuto dell’umanità da sempre: nonbasta dire “fa come se fossi a casa tua” per avere un amico.

La disciplina della cittadinanza come possibile fattore di integrazione

V’è poi una critica radicale da muoversi alle due posizionidi cui sopra. Che cosa temiamo oggi più di ogni altra cosa difronte ai milioni di immigrati che affollano il nostro Paese? Diveder crescere comunità separate e tra loro tendenzialmenteostili sicché, per effetto dell’immigrazione, dopo oltre un secolodi sforzi per dar vita a un solo popolo, italiano, coeso per ilcomune sentire, ci ritroveremmo, vecchi per la maggior partee forse anche poveri, a vivere in una terra dimora di tribù.

Ma se temiamo questo, e non senza ragione, non dobbiamoforse chiedere al diritto di essere fattore d’integrazione? E nondobbiamo allora diffidare di due approcci che non chiedonoquesto alla disciplina della cittadinanza? E non dobbiamo forsedomandarci se invece tale disciplina possa essere fattored’integrazione degli immigrati e dei loro figli, per poi, se larisposta è favorevole, in relazione a questo stabilire se la leggevigente è adeguata alla sfida dell’immigrazione oppure è unalegge vecchia?

Ma di che cosa è fatta l’integrazione politica? Ho duebambini, di sette e dieci anni. Nati italiani. Però l’integrazionepolitica non può essere per loro cosa diversa da quella chedev’essere per gli immigrati e i loro figli. E allora mi chiedo,

Rispetto al timore di veder crescere comunità separate e tra loro potenzial-mente ostili,dobbiamo chiedere al diritto di essere fattore di integrazione

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come genitore, che cosa dovrò proporre loro per farne deicittadini?

Parole, anzitutto, parole. Perché il cittadino è sovrano. E allora,secondo la lezione di don Milani, ha bisogno anzitutto di parole.Perché solo coloro che posseggono un linguaggio adeguatopossono comprendere, valutare, discutere, decidere. E con leparole, inscindibilmente, dovrò proporre le idee che reggonola Repubblica, dovrò dire loro che siamo tutti provvisti di egualidiritti, che siamo governati da leggi e non da uomini… E tuttoquesto dovrò proporlo non come qualche cosa da accettare o,peggio, da subire, ma come qualche cosa in cui credere;sapendo che il credere non può essere imposto, ma sapendoanche che non sarà mai impedito né sarà mai inutile mostrarela bellezza di ciò in cui si crede.

Quest’ultimo è un punto delicato: il cittadino deve crederee sentirsi parte, ma non c’è nulla che possa determinarenecessariamente ciò. Tuttavia, dobbiamo confidare nel fattoche chi entra in contatto nei modi giusti con un sistema divalori buono non può non esserne in qualche modo affascinato.

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E poi non dobbiamo trascurare l’importanza di momenti fortisul piano simbolico. Quanti tra noi hanno cominciato, certonon senza preparazione, ma comunque hanno cominciato asentirsi italiani in un preciso momento forte della loro vita,magari davanti a una bandiera in occasione di una festa civilevissuta stando con gli altri cittadini?

Sapere. Credere. Dovrò dire anche ai miei figli che si è cittadinisolo se si ha un reddito? No, non glielo dirò. Provo vergognasolo a pensarlo. Gli dirò, invece, che in buona misura l’Italial’hanno costruita plebi miserabili e che l’abolizione del votocensitario non è stato un errore.

Se di questo è fatta l’integrazione politica, allora la disciplinadella cittadinanza di fronte alla sfida dell’immigrazione puòcerto proporre obiettivi e percorsi significativi a riguardo. Eallora la legge vigente appare vecchia in quanto inadeguata.Perché non troviamo in essa alcun riferimento alla lingua eall’educazione civica, quali elementi essenziali per l’acquistodella cittadinanza da parte degli immigrati e dei loro figli, nétroviamo previsti momenti forti sul piano simbolico. Agli adultisi dice di attendere; lo stesso ai loro figli nati in Italia. Dopo diche, quando verrà il tempo, gli adulti andranno incontro a unavalutazione dai contorni indeterminati, dove uno dei pochipunti fermi (ancorché non stabilito dalla legge) sembra essereche in carenza di reddito la risposta sarà negativa; mentre i lorofigli nati in Italia rischieranno di sentirsi dire di no, non perchéeventualmente non hanno frequentato la scuola – cosa secondola legge del tutto irrilevante – ma perché magari a quattro annihanno soggiornato per otto mesi dai nonni nel Paese d’origine,sicché è venuto meno il requisito del soggiorno senza interruzionerichiesto dalla legge.

Abbiamo bisogno allora di una legge nuova che anzituttoproponga per gli adulti percorsi di formazione insieme linguisticae civica. In questa linea, ma si tratta di una fase diversa delprocesso migratorio, si pone la legge sull’ingresso e il soggiornoprevedendo il contratto di integrazione. Le ambizioni paionocomunque modeste, con solo poche ore di formazione oltretuttoconcentrate nel primo mese di soggiorno. E comunque per lacittadinanza ci vorrà molto di più; ci vorranno occasioni diformazione e d’incontro, con obiettivi ambiziosi, con lo stessotipo di ambizione che aveva don Milani coi suoi ragazzi dellascuola di Barbiana.

L’integrazione è essenziale, varrà dunque la pena di stanziarerisorse, credendo in quello che si fa, cosa non scontata in unPaese dove un micidiale mix di stanchezza e cinismo rende

Abbiamo bisogno di una legge nuova,che propongaper gli adulti percorsi di formazione linguistica e civica e occasioni di incontro.L’obiettivo ambizioso da perseguireviene dall’esempiodi don Milanicon la sua scuola di Barbiana

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difficile anche solo articolare un discorso sulla cittadinanza chepossa affascinare uno straniero. Alla fine andranno collocatidei test di accertamento della competenza linguistica –sapendo che un livello B2 potrebbe non bastare a un esercizioconsapevole della sovranità – e dei test di educazione civica,predefiniti e conoscibili come nell’esperienza statunitense e oraanche in quella tedesca; fermo restando che i test possonomisurare – e anche accrescere, nel loro essere riferimento – isaperi, ma non possono saggiare né promuovere il credereche può sorgere, invece, dai percorsi formativi e d’incontro.Da ridurre al massimo invece la discrezionalità, che di fronteai grandi numeri dell’immigrazione di fatto non può garantirenulla e finisce per essere o comunque apparire solo arbitrio.

Quanto ai figli degli immigrati nati in Italia, invece, nonabbiamo alternativa a credere nella scuola quale agenzia diformazione civica. Del resto la scuola pubblica Italiana nacqueproprio con tale missione. Abbiamo bisogno allora di unalegge sulla cittadinanza che dica con chiarezza: frequentatela scuola e lì diverrete cittadini. Sembra azzardato anche solopronunciare queste parole, ma che futuro potremo avere senon possiamo credere in questo?

E alla fine, per gli uni e per gli altri, il giuramento. Non unostanco rituale burocratico e nemmeno – come invece a voltequalcuno sembra pensare – una sorta di mera sottomissionealle leggi quasi si trattasse di sudditi e non di cittadini, bensì,come nella tradizione anglosassone, una cerimonia nella qualeil Paese con i suoi rappresentanti e il suo popolo incontra i nuovicittadini. Sapendo che, in fondo, anche la cittadinanza è unaforma di amicizia e allora si può ricordare quello che dice lavolpe al Piccolo Principe: il faut des rites, ci vogliono dei riti.Noi italiani di oggi, invero, stanchi e cinici magari ci ritroviamonella replica del Piccolo Principe: “Che cos’è un rito?”.Rileggiamo allora la risposta della volpe: “È qualcosa cheabbiamo dimenticato, purtroppo. È ciò che rende un giornodiverso dagli altri giorni, un’ora diversa dalle altre ore”.

Ho lasciato per ultimo quello che molti pongono all’inizio,l’indicazione dei tempi richiesti. Perché davvero viene dopo,dipende dalla bontà dei percorsi oltre che, non si può nonrilevarlo, dalla fiducia che una società ha in sé stessa e nellapropria capacità di integrare. Comunque direi che dovremmoosare tempi più brevi di quelli di oggi, perché l’integrazionepolitica è comunque possibile – e ancor più mutando la disciplinanei termini proposti – in tempi più brevi e perché il messaggioagli stranieri, trattandosi di un’amicizia, non può che essere:

Occorre ritualizzare il percorso verso la cittadinanza.Ricordiamo il dialogo tra la volpe e il piccolo principe:che cos’è un rito? È ciò che rende un giorno diverso dagli altri…

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“La vogliamo quanto prima”. Come in altri Paesi con una lungastoria di immigrazione, si potrebbe optare, quanto agli immigratiadulti, per i cinque anni o al più, magari in una prima fase, inun’ottica gradualistica, per gli otto, come in Germania; un giustorigore nei percorsi formativi e nei test potrebbe essere piùche bastevole nel complesso per distinguere chi desidera eriesce a sviluppare un’integrazione relativamente rapida da chiinvece è bene lasciare in attesa. Per i nati in Italia, invece, seè la scuola la principale agenzia pubblica d’integrazione,sarebbe logico porre la possibilità di acquisto al compiersidell’obbligo scolastico, ossia a sedici anni, come del restoavviene in Francia, collocando così tra l’altro il rito della cittadi-nanza nell’ambito dei processi identitari che caratterizzanol’adolescenza.

Una legge così sarebbe un bel regalo da farci per ilCentocinquantenario dell’Unità d’Italia.

Ma su quale parola si è fondato questo intervento?Una parola oggi trascurata, che a volte sembra addirittura

dimenticata in un Paese che appare stanco, ma è importanteriscoprire, se non vogliamo rimanere immobili nelle nostrepaure, veder passare la storia e perdere tutto: opportunità,questa la parola che tornava e ritornava nella mia audioguidaa Ellis Island, ‘opportunità’.

Questo deve offrire la legge. Per loro, gli immigrati: l’opportunitàdi entrare a far parte pienamente della loro nuova comunità,seguendo percorsi di effettiva integrazione politica. Per noi,gli italiani: l’opportunità di inserire nella nostra compagineuna moltitudine di persone che per molti motivi non possiamolasciare ai margini e che potrebbero arricchire la vita civile.

Per noi e per loro: l’opportunità di costruire un nuovo popolo.

La parola chiave è opportunità:perché è con questa parola che potremo costruire il nuovo popolo italiano

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iloBel Paese, terra d’asilo

di Nadan PetrovicEsperto del dipartimento Libertà civili e Immigrazione - ministero dell’Interno

L’Italia è diventata una delle mete privilegiated’approdo dei flussi internazionali di rifugiati.La necessità di costruire un dispositivo di accoglienza e integrazione per i richiedentie titolari della protezione internazionale

L’attuale emergenza riguardante l’arrivo di diverse decinedi migliaia di migranti, tra cui molti richiedenti protezione interna-zionale, sancisce definitivamente la trasformazione dell’Italia interra d’asilo. Un’attenta analisi delle domande d’asilo pervenute

negli ultimi anni indica, infatti, una complessivae sensibile crescita dei richiedenti protezioneinternazionale, iscrivendo l’Italia tra i Paesimaggiormente esposti ai flussi per richiestedi asilo tra i Paesi industrializzati 1. A fiancodell’incremento esponenziale del numero dicittadini stranieri residenti in Italia (dalmezzo milione circa del 1987, raddoppiatonel decennio successivo, agli attuali quasicinque milioni) infatti si registra già da anni

una crescita costante di richieste di protezione internazionalesegnando in modo definitivo il passaggio di status dell’Italia daPaese d’emigrazione a Paese d’immigrazione, ma anche daterra d’esilio a terra d’asilo.

Tale passaggio è avvenuto molto gradualmente. Secondoalcuni autori 2, in tutto il periodo tra il 1952 e il 1989 vengonopresentate in Italia 188.188 domande d’asilo. Non solo: nonostante

1 Nel 2008 si è collocata al quarto posto tra le mete prescelte dai richiedentiprotezione internazionale, subito dopo Stati Uniti, Canada e Francia 2 C. Hein (a cura di). Rifugiati, Venti ’anni di storia del diritto d’asilo in Ital ia,Donzell i editori, Roma, 2010

Nel 2008 dopo Stati Uniti,Canada e Francia, l’Italia è diventata, fra i Paesi industrializzati, il quarto come meta di richiedenti protezione internazionale

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il numero relativamente esiguo di domande, solo una minimaparte dei rifugiati opta per la permanenza nel nostro Paese,scegliendo la stragrande maggioranza il c.d. reinsediamentoverso Paesi di più lunga tradizione migratoria (in particolareStati Uniti, Canada e Australia). A dimostrazione di ciò,secondo i dati dell’Unhcr (Alto commissariato delle NazioniUnite per i rifugiati) aggiornati al 31 dicembre 1991, soltanto12.203 rifugiati riconosciuti dal Governo italiano risultavano“stabiliti in Italia” 3.

Per i motivi di cui sopra, per quasi quattro decenni, il temadel diritto d’asilo veniva trattato in via residuale all’interno delpiù ampio dispositivo nazionale dedicato all’immigrazione. Lasituazione cambia all’inizio degli anni Novanta con l’adozionedella c.d. legge Martelli 4 ma ancora di più a seguito delle

ripetute emergenze occorse in quel periodoche vedono arrivare in Italia diverse decinedi migliaia di persone bisognose di unaqualche forma di protezione provenientiperlopiù dall’area balcanica (Albania, iPaesi della ex Jugoslavia). Nel solo 1999vengono infatti presentate in Italia oltre33mila domande d’asilo con il conseguenteintasamento della procedura ordinaria e ilsostanziale collasso del precario sistema

assistenziale nei confronti dei richiedenti asilo e rifugiati.Tuttavia anche di fronte a queste emergenze, i diversi governipreferiscono ricorrere all’emanazione di leggi o decreti mini-steriali ad hoc, anziché affrontare il problema dell’assenzadi una normativa organica in materia di asilo o quello piùgenerale della mancanza di un vero e proprio sistema d’ac-coglienza in Italia.

Più di recente, gli arrivi per via terrestre e verso le costepugliesi, provenienti per la maggior parte dall’area balcanica,che hanno caratterizzato tutti gli anni Novanta, sono stati

3 A questo numero andrebbe aggiunto un numero discreto di rifugiati extraeuropeiche hanno beneficiato della sanatoria della prima legge nazionale sull’immigrazionedel periodo di post-conflitto, segnatamente la legge n. 943 del 1986 (cosiddettalegge Foschi) 4 Il decreto legge n. 416 del 30 dicembre 1989, convertito nella legge n. 39 del28 febbraio 1990 – meglio conosciuta come legge Martell i – stabil isce le“norme urgenti in materia di asilo polit ico, ingresso e soggiorno dei cittadiniextracomunitar i e apol idi già present i nel terr i tor io del lo Stato”, def inendonel l ’ar t icolo 1 alcuni aspetti r i levanti sul tema dell ’asilo quali, ad esempio, laprocedura di r iconoscimento dello status di r i fugiato

Se fino al 1991 erano riconosciuti solo 12.203 rifugiati stabili dal governo italiano, nel solo 1999 le domande d’asilo presentate sono diventate oltre 33mila

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sostituiti dagli sbarchi sulle coste calabresi provenienti perlopiùdal Medio Oriente 5 e in particolare da quelli sulle coste della Sicilia,in prevalenza di migranti di origine africana. L’intensificarsi deglisbarchi, insieme al fatto che i flussi migratori sono di caratteremisto (migranti economici e soggetti in cerca di protezione)hanno reso quindi necessario strutturare un sistema di acco-glienza corrispondente all’obiettivo di favorire la tutela deidiritti e delle protezioni umanitarie riconosciuti a livello inter-

nazionale e nazionale e che sia rispondenteal rispetto delle regole generali di ingressoe di soggiorno.

Interventi normativi rilevanti vengonointrodotti dalla c.d. legge Bossi-Fini adottatanel 2002, in particolare attraverso gli articoli 31e 32 che definiscono le tematiche relativeall’asilo. Nello stesso periodo, il processo diunificazione comunitaria in materia d’asilo –volto all’istituzione del c.d. Spazio unico

europeo – inizia a influenzare fortemente le politiche italiane.Quest’ult imo processo, avviato dall ’adozione della c.d.Convenzione di Dublino 6 – approvata nel 1990 ed entrata invigore in Italia a partire dal 1° settembre 1997 – e proseguitoattraverso l’adozione dei decreti legislativi in attuazione delleDirettive UE in materia di protezione temporanea, di standardminimi d’accoglienza, di procedure d’asilo e di status di pro-tezione internazionale, ha contribuito in maniera sempre piùdeterminante all’avvio di una politica italiana responsabile neiconfronti delle migliaia di rifugiati approdati nel Paese a partiredalla fine degli anni Novanta 7. Tale mutamento sia di caratterenormativo che sociologico, ha avuto inevitabili ricadute sullepolitiche di accoglienza e integrazione degli stranieri chechiedono protezione internazionale.

L’evoluzione e la crescita del fenomeno – caratterizzatadall’incremento complessivo del numero di arrivi sulle coste

A partire dalla convenzionedi Dublino, entrata in vigore in Italia dal primo settembre 1997, inizia un mutamento normativo e sociologico nelle politiche di accoglienza

5 A partire dalla seconda metà degli anni Novanta iniziano infatti una serie di sbarchidei rifugiati, per la maggior parte di provenienza mediorientale, sulle coste calabresi6 Si tratta della convenzione sulla determinazione dello Stato competente perl’esame della domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri dell ’UnioneEuropea, f irmata a Dublino i l 15 giugno 1990; in G.U.C.E. n. L 131 del 254 del19 agosto 19977 Prima dell’adozione della Convenzione di Dublino molti rifugiati, una volta sbarcatiin Italia, preferiscono ottenere un ordine di espulsione con intimazione a lasciarel’Italia e presentare la domanda d’asilo nei Paesi del Nord-Europa. Tuttavia, a seguitodell’entrata in funzione di alcuni strumenti operativi a supporto della procedura diDublino, anche tale ipotesi non poteva più essere percorsa

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italiane e conseguentemente da un significativo aumento didomande di protezione internazionale nonché da un crescenteinteresse da parte dell’opinione pubblica – ha reso infattinecessario mettere in piedi un sistema di accoglienza articolatoin diverse tipologie di strutture a seconda del tipo di soggettiospitati in essi o della particolarità del servizio offerto, portandoa una riorganizzazione generale del sistema.

Proposte per la costruzione di un Sistema nazionale d’asilo La riorganizzazione di cui sopra è passata sia dal poten-

ziamento della complessiva capacità ricettiva che dal gradua-le miglioramento della gestione del fenomeno, in merito, adesempio, agli standard di accoglienza realizzati, alle proble-matiche emerse nella tutela dei casi vulnerabili nonché alla

predisposizione di iniziative di integrazionea favore di quanti ottengono una forma diprotezione da parte dello Stato. Nell’ambitodi tali attività non sono mancate le forme divalorizzazione delle iniziative nate dal bassodalle organizzazioni del terzo settore e deglienti locali che, a livello territoriale, cercanodi rispondere nell’immediato alle necessitàdei richiedenti asilo e dei rifugiati in stato dibisogno. Tali attività, inizialmente spontanee

e non coordinate, gettano in seguito, con l’avvio di forme dicoordinamento o di rete 8, le basi di quello che diventerà il“modello italiano d’accoglienza”.

Nonostante gli indubbi e numerosi progressi di carattereorganizzativo e normativo menzionati prima, il completamentodi un sistema nazionale d’asilo si può considerare tuttaviatutt’altro che compiuto. L’importanza, le dimensioni e la strut-turalità del fenomeno non permettono che la tematica dell’asiloe della tutela dei rifugiati continui a essere trattata come unaquestione secondaria nel quadro dell’elaborazione delle politichenazionali. A quasi dieci anni dall’avvio del primo dispositivonazionale d’accoglienza, protezione e integrazione per richiedentiasilo e rifugiati in Italia 9 – forte, anche su scala internazionale,di diversi elementi innovativi – l’efficacia del sistema italiano

L’incontro fra le misure predisposte a livello centralee le iniziative nate dal basso,dalle organizzazioni del terzo settore e dagli enti locali a livello del territorio

8 In tal senso merita particolare attenzione l’esperienza del progetto AzioneComune, del Programma nazionale asilo (Pna) e del Sistema di protezione perrichiedenti asilo e rifugiati (Sprar)9 Il r i ferimento è al Pna - Programma nazionale asilo

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richiede di essere ulteriormente rafforzata, alla luce anche deiparametri definiti in sede comunitaria e nel quadro del processodi armonizzazione delle politiche nel settore dell’asilo lanciatonel 1999 a Tampere.

A tal fine, un sistema completo e composito di accoglienzae tutela dei richiedenti e titolari della protezione internazionaledovrebbe poggiare su di un articolato sistema di attori e risorsein grado di coinvolgere tutte le risorse territoriali da un lato, eassicurare un solido collegamento con il sistema produttivonazionale dall’altro.

Per implementare ulteriormente questa forma di governancenel contesto attuale e, ancor più, al fine di perseguire unastrategia mirata a offrire ai beneficiari il massimo livello diautonomia necessaria all’inserimento e all’integrazione nelcontesto territoriale, è opportuno un coinvolgimento di queisoggetti che ricoprono ancora un ruolo marginale, nello specificovalorizzando il ruolo delle regioni e delle province 10, ma anche

10 Per esempio attraverso il potenziamento delle attività di formazione professionalegià durante la fase della prima accoglienza all’interno dei Cara (Centri di accoglienza perrichiedenti asilo)

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sollecitando un collegamento proficuo col mondo del lavoro11.A tal fine potrebbero essere sperimentate sin da oggi, ancheattraverso l’uso di risorse comunitarie, ulteriori misure volte afavorire un più veloce inserimento socio-lavorativo dei titolari diprotezione internazionale sul territorio. Tali misure potrebberoriguardare la realizzazione di un programma pilota che individuipossibili forme di job-matching tra domanda e offerta di lavoroda parte della popolazione rifugiata o titolare di protezionesussidiaria.

Allo stesso tempo, alla luce dei frequenti fenomeni di disagiosociale che interessano numerosi titolari della protezione inter-nazionale, e che si manifestano particolarmente nelle principaliaree urbane, è opportuno avviare una riflessione sulla rispondenzadel sistema di accoglienza12, o attraverso un potenziamento

significativo dell’attuale dispositivo nazionalenei termini della complessiva ricettività delsistema (a partire dal finanziamento diesperienze in grado di assicurare risultati dilunga durata in termini di integrazione),oppure attraverso il riconoscimento di uncontributo economico personalizzato perquanti non possono o non vogliono usufruiredi tale accoglienza.

Considerando peraltro la ristrettezza dellerisorse disponibili, il problema può essere inizialmente affrontatofacendo fruttare al massimo il periodo di accoglienza deibeneficiari nei cosiddetti Cara (Centri di accoglienza perrichiedenti asilo). Ciò è auspicabile sia per quanto riguardal’inserimento nella rete Sprar (Sistema di protezione perrichiedenti asilo e rifugiati) delle persone soggette a particolarivulnerabilità, sia per quanto riguarda l’inserimento nel tessutolavorativo delle categorie cosiddette “ordinarie” che non riesconoa trovare un posto in accoglienza nello Sprar e/o che non sonointeressate a tale inserimento.

11 Il riferimento è proprio alle sperimentazioni avviate nell’ambito dei progetti MareNostrum, finanziato nell’ambito delle c.d. azioni comunitarie del Fer (Fondo europeoper i rifugiati), nonché del progetto Nautilus, avviate nell’ambito dei progetti finanziaticon il Fer nazionale 12 Si pensi ad esempio alla necessità di un maggior coordinamento delle misuredi accoglienza tra quanto disposto dal D.Lgs 140/05 e le misure in materia diaccoglienza successivamente introdotte con il D.Lgs 25/08 e con il D.Lgs 159/08e in ultima analisi sul legame tra il sistema di accoglienza nei Cara, il sistema Sprar(Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e alcune realtà territorialidalle caratteristiche peculiari (zone di arrivi, compresi valichi aeroportuali, areemetropolitane, come ad esempio. Roma, Milano ecc.)

Nei confronti dei rifugiati politici è necessaria una complessa governance,che favorisca sbocchiduraturi nel temposul mercato del lavoro

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Protezione internazionale: la situazione italiana

Problematiche connesse al coordinamento complessivodegli interventi

Le complessità della gestione del fenomeno richiedono unforte coordinamento degli interventi. Negli ultimi anni, nell’ambitodell’asilo, si sono moltiplicati infatti gli interventi delle istituzionicentrali e territoriali nonché degli organismi nazionali e inter-nazionali portatori di un prezioso bagaglio di expertise e dicompetenze specifiche. Data la complessità del problema nonchél’eterogeneità delle attività progettuali s’impone l’esigenza diun coordinamento sia a livello nazionale che a livello territoriale,al fine di assicurare una sinergia tra le diverse azioni ed evitarela sovrapposizione di iniziative uguali o simili, ma anche al finedi valorizzare le esperienze positive (le cosiddette buoneprassi replicabili in altri/diversi contesti territoriali).

A tal fine, in un primo momento sarebbeopportuno – sulla stregua delle simili esperienzenel passato – la convocazione di un tavolopermanente su asilo e accoglienza (checoinvolga le prefetture-UTG maggiormenteesposte al fenomeno, i rappresentanti dellecittà metropolitane, dell’Alto commissariatodella Nazioni Unite per i rifugiati, dell’Organiz-zazione internazionale per le migrazioni, leassociazioni di rappresentanza degli enti

locali e regionali – Anci, Upi, Aiccre e Conferenza dei presidentidelle regioni – oltreché i più importanti enti gestori dei Cara 13,altri principali assegnatari dei contributi dell’ex bando delFondo europeo per i rifugiati e i gestori dei progetti più rilevantifinanziati dal ministero dell’Interno). Questa configurazionerappresenterebbe una sorta di cabina di regia in grado diaccompagnare la creazione di un sistema articolato (in particolarenelle fasi dell’arrivo, prima e seconda accoglienza) finalizzatoall’integrazione o all’espulsione del migrante, a seconda delsuo status giuridico.

In un secondo momento tuttavia, alla luce della ipoteticacrescente importanza del tema dell’asilo nel dibattito politico,mediatico e istituzionale, bisognerebbe compiere un ulterioresalto di qualità verso l’individuazione e il relativo potenzia-mento della struttura a livello centrale avente un compito dicoordinamento delle complessive attività in materia di asilo.

Necessaria la convocazionedi un tavolo permanente di coordinamento che parta dalle prefetture -UTG per arrivare alle organizzazioniinternazionali del settore

13 Quali Croce Rossa ma anche enti come Connecting people che in questi anni hadimostrato una forte capacità di gestione dei centri di piccole e grosse dimensioni

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Protezione internazionale: la situazione italiana

Ciò potrebbe avvenire attraverso la creazione di una specificaDirezione centrale per le politiche e i servizi dell’asilo all’internodel dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del ministerodell’Interno, oppure, attraverso la creazione di una vera epropria Agenzia nazionale sull’asilo, in seno al Ministero, macon forte autonomia operativa, come del resto già sperimentatocon successo in altri Paesi industrializzati.

Le misure di cui sopra contribuirebbero in maniera deter-minante – senza peraltro costi aggiuntivi a carico dello Stato,ad eccezione del necessario potenziamento della ricettivitàdell’accoglienza – non solo a un migliore funzionamento delsistema d’asilo, concretizzando finalmente gli alti ideali chehanno ispirato i Padri costituenti, ma anche all’esigenza dirafforzamento della coesione sociale che costituisce, nel-l’ambito del quadro strategico nazionale, una delle specifichepriorità a cui ricondurre tutti gli investimenti pubblici ordinarie straordinari 14.

14 Le cosiderazioni svolte nel presente articolo riprendono in parte il contenuto diun libro dell’autore di prossima uscita: Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia deldiritto d’asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi, FrancoAngeli, Milano, in pubblicazionea settembre 2011

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Identità, confronto, scambio

di Massimo MontanariUniversità di Bologna

Le persone migrano e con esse prodotti alimentari,tecniche e sapori; i patrimoni gastronomici si incrociano e si modificano reciprocamente.Anche la ricchezza della cucina italiana nasce dalla sovrapposizione di mondi e culture diverse

Ho sempre pensato che ogni discorso sulla cucina sia undiscorso sulla vita. Che il nostro atteggiamento nei confronti delcibo sia lo specchio di ciò che pensiamo di noi stessi, degli altri,del mondo in cui ci tocca vivere. Perciò faccio molta attenzionealle parole che circolano attorno al cibo, e quando esce il concetto

“Il cibo è cultura”. C’è un microcosmo dietro questa frase cheMassimo Montanari, docente di Storia medievale all’Universitàdi Bologna riporta nel saggio dal titolo “Identità, confronto,scambio”, prefazione del volume Mi racconto… Ti racconto.Storie e ricette del nostro mondo, a cura di Reza Rashidy(Bologna, Coop Editrice Consumatori, 2007), che libertàciviliripropone su gentile concessione dell’autore e dell’editore.Perché parlare di cibo, di cucina, in realtà, significa toccaretante questioni che attengono alla sfera della cultura deipopoli: le identità, la loro continua ridefinizione e il dialogo fraesse, la contaminazione e le influenze reciproche, il bagaglio disaperi (e sapori) che le migrazioni portano con sé. Un fenomenotanto più interessante in un Paese come il nostro che – neisuoi 150 anni di storia – attraverso l’emigrazione ha esportatouna cultura alimentare “forte”, pur se frammentata in tantecucine regionali e frutto storico di molteplici influenze ancheesterne, e che oggi, divenuto Paese di immigrazione, fa i conticon gli influssi che i nuovi arrivati stanno – lentamente –introducendo nella cultura gastronomica. Un fenomeno su cuivale la pena di indagare, anche in futuro.

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di identità mi faccio particolarmente vigile, perché so che – anchese si parla di tagliatelle o di cus-cus – le idee e le suggestioni cheattraversano quel concetto sono delicate, sensibili, pericolose.Proteggere le identità culturali – anche in cucina, perché il cibo ècultura – è un obbligo per noi tutti, non solo in omaggio alla nostrastoria e alle radici da cui proveniamo, ma anche per una migliorecomprensione del presente, che valorizzi al meglio le nostrepossibilità e costruisca con intelligenza il futuro che ci attende.

Ma questo non vuol dire chiudersi agli altri, negare l’incrociodi esperienze, allontanare l’altro da sé come qualcosa che nonci riguarda. Questo atteggiamento non solo è razzista sul pianoideologico, ma rappresenta un oltraggio alla storia. Proprio lastoria, infatti, ci insegna come funzionano i meccanismi dicostruzione delle identità: esse non sono stabili e immutabilinel tempo, ma al contrario, si definiscono e ridefiniscono continua-mente a seguito dei contatti con culture diverse, con uominidiversi, con pensieri e tradizioni diverse. Le radici, a cui spessoci riferiamo quando si tratta di identità culturali, in realtà hannoben poco a che fare con quelle identità, collocandosi in unorizzonte diverso: “identità” è l’insieme dei riferimenti culturaliche concorrono a definirci qui e ora, come individui e comecomunità; “radici” sono le origini storiche di quei riferimenti, e nonnecessariamente appartengono a noi.

Se, ad esempio, ricercassimo le “radici” di un piatto sempli-cissimo che oggi segna in maniera forte l’identità italiana,come gli spaghetti al pomodoro, le troveremmo fuori di noi, nelMedio Oriente arabo da cui giunse in Italia, durante il Medioevo,la tecnica industriale di preparazione della pasta allungata,essiccata al sole per potersi conservare a lungo; e nell’Americacentrale da cui giunse in Europa, dopo i viaggi di Colombo edegli altri conquistadores, la rossa solanacea che conoscemmodapprima nelle sue varianti gialle (e perciò chiamammo “pomod’oro”). In tempi diversi, entrambe le novità – la tecnica medio-orientale, la pianta americana – giunsero in Italia da lontano eper lungo tempo vissero vite separate: la pasta, fino al XVIIIsecolo continuò a essere condita preferibilmente con burro eformaggio, sposandosi soprattutto con il parmigiano grattugiato,un’invenzione italiana non casualmente contemporanea alladiffusione della pasta; il pomodoro finì talvolta in padella, piùspesso fu ignorato dalla cucina dei più. Solo nell’Ottocento, informa di salsa, esso venne a colorare di rosso gli spaghetti,dando origine, allora e non prima, a un piatto “italiano” cheperò attese il XX secolo per diventare segno dell’identitànazionale.

Il cibo è cultura,per questo è un elemento essenziale del confrontocon gli altri

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In questa vicenda, dove stanno le radici e dove l’identità?Evidentemente, in due luoghi distinti: le radici stanno lontano,

in altri Paesi e in altre culture; l’identità è qui fra noi, si è costruitamettendo insieme pezzi di culture altre. Morale della storia: laricerca delle radici, quando è intesa come attaccamento a unpassato mitico di purezza incorrotta della nostra identità, non èche una mistificazione ideologica; condotta senza pregiudizi,essa diviene la ricerca dell’altro che è in noi. E a questo punto ildiscorso si inverte, si inverte il significato delle parole che usiamo.

Come la vicenda paradigmatica degli spaghetti al pomodoro,mille altre segnano la storia della cucina italiana in tutte le suedeclinazioni regionali. La storia dell’alimentazione e della cucina èuna storia di incroci, di scambi, di contaminazioni, di adattamenti. Ese vogliamo spingere la metafora fino in fondo, diciamo che lepiante sono tanto più robuste, quanto più le loro radici sonoprofonde nel terreno. Quanto più le radici pescano lontano, tantopiù la nostra identità è ricca e forte.

Nella realtà veneta, chi negherebbe un forte valore identitarioa cibi come il baccalà, i fagioli, la polenta… Quanti di loro sonooriginari della regione? La risposta a questa semplice domandanon deve sconfortarci nella percezione della nostra identità. Infondo – come insegnava il grande Marc Bloch, riflettendo sul“mestiere di storico” – l’origine delle cose ci importa poco, ocomunque meno dei percorsi vitali che esse hanno poi attra-versato in lungo e in largo, piegandosi a diverse forme d’uso,a interpretazioni legate alle diverse culture che di volta in volta leaccolsero. Se il mais è americano, la polenta è indubitabilmentemediterranea, e si faceva ben prima che il mais arrivasse arimpiazzare altri cereali usati in età antica (farro) o medievale(miglio) per preparare la ghiotta vivanda (che solo la povertàestrema dei contadini riuscì a trasformare in veicolo di malattia:la terribile pellagra, che falcidiò le campagne padane fra Ottoe Novecento, fu occasionata dalla carenza vitaminica della farinadi mais bollita, ma causa ne fu l’assenza di altri prodotti con cuiaccompagnarla).

Se il merluzzo si pesca nei mari del nord, il baccalà o lostoccafisso sono entrati ormai da secoli negli usi di cucinadelle nostre genti, e tutto funziona alla perfezione. E le tecnichedi imbianchimento del radicchio rosso di Treviso richiamanoanaloghi sistemi utilizzati per la cicoria belga… Una cosa nonesclude l’altra: le radici (lontane) non intaccano l’identità (attuale),anzi concorrono a costruirla.

La ricchezza del patrimonio gastronomico italiano, attestata giàdai ricettari medievali, non nasce sulla fedeltà a un improbabile

Anche tantipiatti tipici italiani sono la secolare maturazione di scambi, di adattamenti e di contaminazionicon altri Paesi,altre culture e altri modi di vivere.Come le piante:le più robustesono quelleche hannole radicipiù profondee più lontane

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archetipo di cultura locale, bensì sulla sovrapposizione di mondie culture diverse: nei testi di cucina del XIV-XV secolo il profumod’Oriente si mescola ai sapori del continente europeo, non soloperché l’emporio veneziano fu per secoli il luogo deputatoall’incontro e all’accumulo di prodotti e preparazioni di ogniprovenienza, ma perché quello era il segno identitario dellacucina medievale e il segreto della sua fecondità. In quellacucina, prodotti, ricette, tecniche islamiche si confondono conil lascito greco e romano, di cui, in tanti casi, sono eredi diretti;ma dall’Oriente vengono anche molte novità, che si saldanocon altre novità venute da nord, con le culture germaniche,ingiustamente sottovalutate quando si tratta di cucina. Altrettantoforte fu il segno della cultura ebraica, che, nel Medioevo comeoggi, operava profondamente nella definizione di certe identitàlocali, cittadine o regionali. Una leggenda attribuiva la fondazionedello Studio medico di Salerno – un luogo cruciale di elaborazionedella cultura dietetica e gastronomica medievale – all’incontrodi quattro medici di diversa origine etnica e culturale: uno latino,uno greco, uno arabo, uno ebreo. Sul piano simbolico il significatoè chiaro: l’incontro di saperi e tradizioni diverse è l’indispensabilepremessa di ogni crescita intellettuale.

Viaggiano i prodotti alimentari, viaggiano le tecniche e isaperi, viaggiano gli uomini con le loro idee, incontrandosi econfrontandosi con le idee altrui. Gli usi si mescolano, nuoverealtà si costruiscono, nuove identità nascono dai processi diincrocio, di scambio, di contaminazione che inevitabilmente simettono in moto. Inevitabilmente. È inutile chiedersi se certecose debbano o no accadere; accadono, e basta. Tutto ciò chea molti può sembrare pericoloso e oscuro è inevitabile e naturale– tutto ciò che dobbiamo fare è impegnarci per gestirlo bene.Migrano le persone, si incrociano le culture: nascono problemi,si elaborano soluzioni. Il più delle volte ci guadagnano tutti. Matutti cambiano, e questo può disorientare: ma è l’assioma dellavita, perché ogni organismo vivente è soggetto al cambiamento.Neppure i minerali restano immobili per sempre.

Le storie raccontate nel libro Mi racconto… Ti racconto.Storie e ricette del nostro mondo sono storie semplici. “Ti piacecombinare le diverse tradizioni culinarie?” chiede l’intervistatorea Jean-Claude, venuto in Italia del Congo. “Sì, è una cosa chemi piace”, risponde senza esitare: “posso prendere un po’ di tee un po’ di me, e mettere tutto insieme”. Rimane la consapevolezzadi una diversità originaria: quando Jean-Claude desidera offrireai suoi ospiti qualcosa di congolese, usa il garbo di “non allon-

L’incontro di tradizioni e di saperi diversi è premessa indispensabile di ogni crescita intellettuale:avviene quando si mescolano realtà, idee,e con esse anche le abitudini alimentari

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tanarsi troppo dalla loro cultura alimentare di base”, scegliendoprodotti “che mangiano anche loro” ma cucinandoli in mododiverso. Gli ingredienti restano gli stessi, ma assumono altreforme: se immaginiamo la cucina come un linguaggio, è lamorfologia a cambiare. Il modo di declinare le parole. Del resto,Jean-Claude conosceva già, in Congo, certe preparazioni“tipicamente” italiane: la polenta, ad esempio, importata daifrancesi. Quando in Veneto ritrova la polenta, gli viene da pensare:“Questa polenta mi insegue dappertutto”.

L’andirivieni delle culture tocca anche gli immigrati argentini,che, però, quando pensano al cibo della loro patria, hanno inmente modelli alimentari recenti – l’asado, la carne di manzo –che non fanno parte del patrimonio arcaico, delle “radici culturali”del continente americano, ma sono un’importazione europeadel dopo Colombo. L’America che suscita ancora qualchenostalgia è l’America seconda Europa, ridisegnata dal XVI secoloin poi dagli spagnoli, più tardi dagli stessi italiani. Il gran mitomedievale della carne, a partire dall’Europa, diventò americano.

Europeo e medievale è anche il gusto per il sapore dolce,che oggi in Europa va scemando, mentre continua a dominareoltre Oceano, dove fu portato – con la canna da zucchero, e gli

Europeo e medievale è il gusto per il sapore dolce:lo abbiamo esportato oltre Oceanodove continuaa dominare

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A contatto con nuove realtà si cambia.Si impara a cambiare attraverso processi di acculturazioneche funzionano in tutte le molteplici direzioni coinvolte

schiavi africani per lavorarla nelle piantagioni – dai conquistatorinostrani. Significativamente, l’intervista con Pablo, il nostroargentino, mette in luce una certa nostalgia per il gusto dolcedella sua cucina di casa, mentre il modello di consumo italianoviene percepito come “più acido”. Al contrario, il rumeno Danielaggiunge panna acida agli spaghetti alla carbonara, per ritrovareun sapore familiare alla sua memoria.

La modificazione dei sapori, tramite l’aggiunta o la sostituzionedi determinati ingredienti, è una tecnica sperimentata, partico-larmente efficace per richiamare la memoria di casa – inevitabilecontrappasso quando si verificano processi di contaminazioneculturale: da un lato si rigenera la propria cultura, si innova, sicambia; dall’altro si scongiura la vertigine dell’ignoto rituffandosiin ciò che si conosce, recuperando qualcosa dell’identità chesta cambiando. La carbonara è il segno del cambiamento; lapanna acida è il richiamo a ciò che si era e si è ancora, ma inun nuovo contesto che ha disegnato diversamente quellaidentità. L’identità è fatta di tante appartenenze, che non siescludono fra loro, ma si affiancano e si sovrappongono: ribadirleogni tanto, è un modo per attraversare indenni i turbini del cam-biamento. Ma nessuna appartenenza si può negare: l’intolleranza,è stato scritto, nasce quando una di esse viene privilegiatasulle altre e confusa con l’identità, che le contiene tutte.

A contatto con nuove realtà si cambia. Si impara a cambiare,attraverso processi di acculturazione che funzionano in entrambele direzioni – quando gli attori sono due; o in direzioni molteplici,se gli incontri sono particolarmente complessi. Pensiamo a ciòche accadde nel Medioevo quando le popolazioni di tradizioneromana (che già di per sé costituivano un grande melting-potche riuniva insieme culture diverse attorno ai denominatoricomuni dell’impero e del Mediterraneo) incontrarono i “barbari”del nord, e contemporaneamente i “barbari” dell’est, e quellidel sud: i germani, gli slavi, gli arabi. Pensiamo ai modi intricatie a dir poco suggestivi con cui le comunità ebraiche, sparse unpo’ ovunque nell’Europa e nel mondo, hanno saputo tenersifedeli a tradizioni proprie e rielaborare, nel contempo, i modi divivere (e di mangiare) delle società in cui si erano inseriti.Pensiamo ai flussi migratori del XIX secolo, che hanno portatoin America i costumi di mezza Europa, però a livello popolare,dopo che i conquistadores vi avevano imposto, con la forza,interessi e prospettive eurocentriche destinate soprattutto airicchi. Piccole storie: il peperoncino che dall’America centralemigra in Europa e viene acclimatato, inserito nei sistemi dicucina – soprattutto poveri – di intere regioni (l’Ungheria, la

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Calabria) e poi di nuovo ripassa l’Oceano, portato in America,stavolta nel nord, dai nostri emigranti: il nome con cui fuconosciuto negli Stati Uniti, “calabresella”, è tutto un programmae rispecchia l’andirivieni di questi percorsi di scambio.

Curiosamente, sono spesso i sapori “secondari” – così verrebbeda chiamarli, in una miope prospettiva funzionalista – a richiamarememorie, a conservare il segreto di identità perdute o conservate.Sono spesso i condimenti, più dei prodotti di base, a veicolarenostalgie e desideri, gusti e sapori di casa: qui il peperoncino,là il burro o l’olio (gli emigranti liguri d’oltre Oceano, nellestruggenti missive ai parenti rimasti a casa, non rimpiangonogli spaghetti, ma l’olio per condirli); qui il sentore dolce diPablo, là la panna acida di Daniel. Come a dire: il primo dovereè placare la fame, ma l’identità alimentare si esprime neicondimenti, più che nella materia prima a cui ci si affida per ilnutrimento quotidiano. Allora ha ragione Jean-Claude, quandoha ospiti “stranieri” (gli italiani che vanno a trovarlo nella suacasa), a iniziarli alla cultura africana cucinando in modo diversole cose che loro conoscono benissimo. Anche in cucina, comenella vita, è il dettaglio a fare la differenza.

Come si cambia? Da chi si impara? Imitando gli altri, anzitutto:le interviste contenute nel libro alludono sempre a qualcuno (lasorella, il marito, la moglie, la mamma del marito o della moglie…)che ti ha avviato alla sua cultura, consentendo di modificare latua. Ma non c’è solo questo: più di un testimone chiama in causai libri, grande risorsa delle società alfabetizzate, quelle “societàdella scrittura” la cui marcia in più – notava Jack Goody – sta nellapossibilità, offerta appunto dalla scrittura, di capitalizzare i proprisaperi, farne tesoro, poterli in qualsiasi momento arricchire erielaborare. Anche perché i libri girano, possono insegnare adistanza: la peruviana Maritta racconta di avere imparato unpo’ di cucina italiana “dalla sorella, che in Perù cucinava condei libri di ricette”. Oggi si aggiunge la famigerata TV: “Da chiavete imparato a cucinare italiano?” chiede l’intervistatore aYussef, albanese. Risponde: “Dai libri, dalla TV e dalle famigliedove si lavorava”. Inutile stupirsi, in un Paese come il nostro,che solamente la TV è riuscita a uniformare sul piano linguistico,non prima della seconda metà del XX secolo.

Si impara, si insegna. Non esiste incontro di culture senzache entrambe si modifichino, e il pullulare di ristoranti cosiddetti“etnici”, in Italia come altrove, ne è la prova migliore. Con tuttele cautele del caso: parliamo di cucina “cinese” semplificandodrasticamente una tradizione gastronomica che conosce molteplici

Nello scambio delle esperienze si impara e si insegna insieme.Non esiste incontrotra due culture senza che entrambesi modifichino.Il pullulare in Italia di ristoranti cosiddetti etnici ne è la prova migliore

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e differenti cucine regionali. Non per nulla i ristoranti “etnici” sirivolgono di regola a noi, non a loro. Ma l’interesse verso l’altro,pur tra molti inevitabili equivoci, è comunque un fatto positivo.

È difficile anche inserire i propri usi in contesti strutturalidifferenti: la cucina è un sistema organico, non una sommacasuale di fattori. Un sistema dove ogni cosa ha il suo posto,la sua posizione, il suo ruolo. Non è strano quanto osserva lasignora Ling: in Italia i piatti “cinesi” cambiano non solo perchévengono semplificati e adattati al gusto italiano, ma anche perchési inseriscono in una diversa logica “sintattica” (se la cucina èlinguaggio, il menu ne è la sintassi): “noi mangiamo un piatto unico,qui no, per una forma di adattamento al gusto degli italiani”, cioèalla logica del primo-secondo eccetera. Insomma la cucina sipuò trasportare, ma trasportandola inevitabilmente cambia, assumecaratteri propri del luogo in cui arriva.

Là dove la cucina “di casa” rimane più forte e riconoscibileè nei menu e nei piatti delle feste, un tema a cui tutti gli intervistatidedicano molta attenzione. I cibi legati a determinate ricorrenzecivili o, soprattutto, religiose sono connotati da un tasso parti-colarmente alto di immobilismo e di conservazione. Per Natale,la famiglia ucraina inevitabilmente prepara 12 cibi “magri”,ossia senza carne, e “ciascuno deve essere assolutamenteassaggiato”: là dove la ritualità vince (perfino nel numero dellevivande, numero cristiano per eccellenza, che rimanda alnumero degli apostoli) il cambiamento stenta a mettersi inmoto, ed è giusto che sia così. La distanza fra quotidiano efestivo, chiarissima nei sistemi di cucina tradizionali, è in largaparte venuta meno con il progressivo affermarsi dell’industriaalimentare e del cibo-preparato-da-altri. Ma questa è – fra moltiindubitabili progressi, a cominciare dalla sicurezza del cibo –sicuramente una perdita, e perciò conservarla fra le pieghe diun mondo che cambia è un modo come un altro (non degli ultimi)per preservare il nostro patrimonio culturale, di cui la cucina èespressione primaria.

Il problema sta proprio lì, nel tempo che si dedica alla cucina:se in passato esso era lungo, oggi si è drasticamente abbreviato.Molti lo osservano: qui in Italia, dice Jean-Claude, “non si perdetanto tempo a cucinare”, mentre “da noi [in Congo] i tempi dicottura sono lunghi”. Curiosamente, l’Italia diventa qui paradigmadella modernità, pur essendo, fra i Paesi industrializzati, quello incui persistono con maggiore tenacia, presso molte famiglie, usigastronomici tradizionali. In ogni caso, quel modello si contrap-pone a un altro, che per intenderci definiremo pre-moderno, incui la pratica e l’idea stessa di “cucina” si dilatavano ben oltre

In Italia non esiste il piatto unico:questo implica un problema di adattabilità per le cucine di altri Paesi.Dove rimangono le differenze è nei piatti delle feste:in questo caso difficilmente si rinuncia ai rituali gastronomici dei propri Paesi d’origine

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le dimensioni che ora siamo soliti attribuire loro: tempi lunghinon solo di cottura, ma di preparazione del cibo e, prima ancora,di approvvigionamento e di trasformazione delle risorse. Lesocietà preindustriali dedicano una gran parte del loro tempoalla filiera del cibo; le società industriali lo riducono al minimoe tendono a concentrarlo nel momento finale, quello della cotturaprima dell’immediato consumo.

Da questo punto di vista è difficile pensare che l’incontro fraculture alimentari diverse possa re-introdurre un rapporto colcibo che appare irrimediabilmente perduto. Per altri versi peròl’innesto di uomini, saperi, tecniche può produrre risultati dirilievo. Non per nulla, le regioni italiane oggi più interessanti sulpiano della cultura gastronomica appaiono quelle “di confine”,in cui l’interazione fra culture diverse ha prodotto maggioriproblemi ma, con essi, anche maggiori opportunità e un tassodi inventiva particolarmente alto.

Misurarsi con gli altri è difficile, è una scommessa che nonsi vince sempre. Ma bisogna provarci, perché i risultati possonoessere sorprendenti e fecondi. Ricordiamolo: la tradizione nonè che un’invenzione ben riuscita.

Occorre sempre ricordare che anche la più vecchiatradizione non è che unainvenzione ben riuscita,e perciò mantenuta

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Immigrazione in Toscana:i dati del 2010

di Nelly Ippolito MacrinaPrefettura di Firenze

Pubblicata la quarta edizione del rapporto regionale,un’iniziativa nata dalla Conferenza dei prefetti ed elaborata dalle dieci prefetture toscane,che quest’anno si presenta rinnovatae arricchita nei contenuti e nella metodologia

Le premesse, gli aspetti generali, il metodo di lavoroCon “L’immigrazione in Toscana nel 2010” giunge alla quarta

edizione l’annuale ricerca che, nata a suo tempo su iniziativadella Conferenza dei prefetti della Toscana, è stata elaboratadalle dieci prefetture della regione1. Consultabili online 2, lericerche hanno anzitutto proposto i dati numerici e statisticidell’immigrazione, perché la conoscenza della dimensione e dellafisionomia di un fenomeno variegato, in continua evoluzione eche riverbera i suoi effetti in tutti i settori della nostra società,è il primo passo – importante e imprescindibile – per la com-prensione del fenomeno stesso e per delinearne ipotesi diprospettive future.

Negli anni, gli aspetti indagati sono stati quelli demograficie quelli che attengono alla regolare presenza dei cittadinistranieri sul territorio. Le analisi hanno riguardato ambiti della vitaquotidiana di queste persone – la scuola, la casa e il lavoro – maanche i reati e le espulsioni; hanno evidenziato le iniziative diaccoglienza offerte dal territorio in favore di rifugiati e minori,hanno trattato dei progetti dei Consigli territoriali per l’immi-grazione e del lavoro degli Sportelli unici presso le prefetture.

1 La ricerca è stata realizzata da Nelly Ippolito Macrina e da Daniela Pierini. Hannocollaborato: Vincenzo Arancio, Maria Teresa Cattarin Franzero, Vittorio De Cristofaro,Antonio Falso, Filippo Izzo, Daniele Colbertaldo, Daniela Lucchi, Valentina Pezone,Stefania Trimarchi, Domelia Ruffini. L’elaborazione grafica è stata curata daFrancesco Puorto2 www.prefettura.it/firenze (“Approfondimenti- Pubblicazioni, studi e ricerche”)

Consultabili on line, i datiriguardano ambiti della vita quotidiana degli immigrati come la casa,la scuola,il lavoro,ma anche numerosi altri fenomeni sociali

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Accanto a questi ambiti di osservazione, costanti nei quattrorapporti, di volta in volta sono stati messi in luce profili diversi edeterogenei tra loro quali, per citarne alcuni: le religioni e le“prove” di dialogo intraprese tra le stesse; l’associazionismo che,spesso basato sull’appartenenza allo stesso Paese, talune voltevede coinvolti assieme stranieri e italiani; le rimesse degli immigratie i flussi pensionistici.

L’edizione 2010, rispetto alle precedenti, si caratterizza peruna serie di novità sotto il profilo dei contenuti e della metodologiaadottata. Quanto ai contenuti, si parla anche delle proceduredi ingresso di lavoratori altamente qualificati e vi sono approfon-dimenti sia sulla giurisprudenza che sulla nuova legge regionalein tema di accoglienza dei cittadini stranieri. Quanto allametodologia, la ricerca segue la traccia teorica di costruzionedegli indicatori di integrazione degli immigrati, delineata nelVII Rapporto del Cnel (luglio 2010) rapportandola, però, alleprovince della Toscana.

Tali indicatori, riassunti nell’indice sintetico di attrattivitàterritoriale, vogliono indagare il potenziale di ciascuna provinciadi attrarre e trattenere stabilmente sul proprio territorio i cittadiniimmigrati. L’immagine che emerge dalla costruzione dell’indicesintetico mostra alcune particolarità: ad esempio, Firenze,pur essendo un forte polo di attrazione durante le fasi inizialidell’inserimento dei cittadini stranieri, mostra un indice sinteticodi attrattività soltanto “medio” che può implicare, da parte deglistranieri stessi, la scelta di altri territori per il proprio insediamentostabile. Per converso, una provincia come Pisa, che mostravalori dei singoli indicatori piuttosto bassi rispetto a Firenze,si colloca, nell’indice sintetico, al terzo posto; e questo puòindurre a ritenere che lì siano state adottate iniziative capacidi attrarre e trattenere sul territorio i cittadini stranieri.

Piace sottolineare un aspetto che è trasversale alla ricercanei quattro anni: essa è stata realizzata a più “voci”, dando spazioai soggetti che a vario titolo sono interessati al fenomeno immi-gratorio, dalle amministrazioni pubbliche, alla regione, agli entilocali, alle associazioni, laiche e religiose. I rapporti delle prefetturetoscane hanno infatti costituito un’occasione preziosa per scoprireancora una volta percorsi di lavoro integrabili, campi di indagineda esplorare insieme, ciascuno con gli strumenti che gli sonopropri, ma i cui risultati sono da mettere a fattor comune.

Gli aspetti demograficiDa anni nella regione l’immigrazione è un fenomeno strutturale.

Ne sono conferma, tra l’altro, il numero rilevante di immigrati,

Gli indicatori,riassunti in un indice sintetico di attrattivitàterritoriale,mostrano il potenzialedi ciascuna provincia toscana a trattenere stabilmente sul proprio territorio i cittadini immigrati

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il ritmo di crescita continuo nel tempo, la distribuzione su tutto ilterritorio, la sostanziale equivalenza numerica della presenzamaschile e di quella femminile, l’elevata incidenza dei minori conun sopravanzare delle “seconde generazioni”, la crescentetendenza alla stabilità di residenza. Sono tutti fattori che, lettinel loro insieme, portano a riconoscere nel fenomeno migratoriouno degli aspetti di maggior rilievo della nostra società attualee di quella degli anni a venire.

Gli ultimi dati Istat forniscono della Toscana l’immagine di unaregione in cui la presenza della popolazione straniera residenteè, alla data dell’1 gennaio 2010, di 338.746 persone, distribuite,provincia per provincia, secondo la tabella che segue.

Tabella 1. Distribuzione, in valori assoluti e percentuali, della popolazione straniera residente in Toscanaal 1 gennaio 2010

Fonte: elaborazione degli autori su dati Istat

Arezzo 15.966 44,95 19.440 54,67 107 0,38 35.513Firenze 26.029 25,03 77.514 74,54 436 0,43 103.979Grosseto 7.953 41,65 10.883 56,87 257 1,48 19.093Livorno 6.858 31,63 14.548 67,01 270 1,36 21.676Lucca 10.835 40,88 15.544 58,65 123 0,47 26.502Massa Carrara 5.625 44,04 7.092 55,52 55 0,44 12.772Pisa 8.712 25,88 24.676 73,32 264 0,80 33.652Pistoia 8.463 32,38 17.604 67,36 65 0,26 26.132Prato 4.131 13,13 27.281 86,74 38 0,13 31.450Siena 9.324 33,32 18.474 66,03 179 0,65 27.977Totale 103.896 30,67 233.056 68,79 1.794 0,04 338.746

% su totale

stranieri

TotaleValoreass.

Province % su totale

stranieri

Valoreass.

% su totale

stranieri

Valoreass.

Cittadini UE(a 27)

Cittadini extracomunitari

Altri*

* con altri si intendono i cittadini di Svizzera, Norvegia, San Marino, Islanda, Liechtenstein e Monaco.

Con quasi 339mila persone (delle quali il 52% sono donne)la presenza straniera, quindi, rispetto all’anno precedente,risulta aumentata di poco più di 29mila unità, arrivando arappresentare il 9% del totale della popolazione residente inToscana (3.730.130 persone). È un dato interessante, speciese raffrontato a quello, di gran lunga inferiore, che si rilevaa livello nazionale dove la popolazione straniera arriva aun’incidenza del 7% rispetto al totale della popolazione residentenel Paese.

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La ricerca ha voluto anche indagare sulla densità dellapopolazione straniera nelle dieci province toscane (la superficiedi queste è quella ufficialmente fornita dall’Istat), correlandolaa quella della popolazione italiana. Infatti, nell’immaginariocollettivo, di frequente si affaccia una sorta di sentimento di“saturazione” nei confronti della presenza straniera, quasiche questa “comprimesse” lo “spazio vitale” della popolazioneautoctona. Anche in questo caso i dati oggettivi, evidenziati nellatabella che segue, consentono di verificare la rispondenzacon la percezione che ciascuno ha di tale aspetto dell’immi-grazione.

Tabella 2. Densità della popolazione straniera (numero medio residenti per Kmq e numero medio residentistranieri per Kmq, per provincia)

Provincia Superf. Pop. al Densità per Pop. straniera Densità in Kmq 1/1/2010 Kmq al 1/1/2010 per Kmq

Arezzo 3.235,88 348.127 107,58 35.513 10,97Firenze 3.514,38 991.862 282,22 103.979 29,58Grosseto 4.504,29 227.063 50,41 19.093 4,23Livorno 1.212,43 341.453 281,62 21.676 17,87Lucca 1.772,81 392.182 221,22 26.502 14,94Massa C. 1.156,44 203.642 176,09 12.772 11,04Pisa 2.445,82 414.154 169,33 33.652 13,75Pistoia 964,98 292.108 302,7 26.132 27,08Prato 365,26 248.174 679,44 31.450 86,10Siena 3.821,22 271.365 71,01 27.977 7,32Toscana 22.993,51 3.730.130 162,22 338.746 14,73

Fonte: elaborazione degli autori su dati Istat

Dall’elaborazione dei dati Istat, la ricerca delle prefettureevidenzia altri tratti che caratterizzano il fenomeno dell’immi-grazione sul territorio. Le famiglie residenti in Toscana checomprendono al loro interno almeno un componente stranierosono 160.805, circa il 10% del totale; i minori stranieri sono oltre71mila e, di questi, 43.289 (quasi il 61%) sono nati in Italia.

Connesso al tema dei minori è quello della scuola, cui laricerca dedica ampio spazio analizzando ad esempio l’aspettodella dispersione scolastica. Secondo gli ultimi dati del ministerodell’Istruzione – che evidenziano come le maggiori criticitàdel sistema scolastico si riscontrino nelle regioni del Sud Italia– si rileva che la Toscana, insieme al Lazio e alla Liguria, mostraun tasso di dispersione scolastica leggermente superiore allamedia nazionale (4,9 ogni 100 iscritti sul totale dei cinque anni

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di scuola secondaria di II grado, a fronte di un tasso a livellonazionale del 4,7%). È questo un fattore da monitorare per leimplicazioni che comporta, quale veicolo di potenziali conflittisociali: come sottolineato anche nelle pagine di questa rivista,l’insuccesso scolastico avvia gli immigrati al rischio di lavoridequalificati, alimenta negli italiani uno stereotipo di discrimina-zione e negli immigrati il convincimento di essere vittime diun’ingiustizia3.

Si è consapevoli del fatto che, come in genere accade alivello nazionale, anche nella ricerca relativa alla Toscanasfuggono i dati relativi alla presenza irregolare e che tale limiteè ancora più evidente in quanto le stime si riferiscono a unarco temporale che precede di poco la regolarizzazione previstaper colf e badanti dalla legge 102/2009. L’alto numero di domandepresentate nella regione per gli extracomunitari (più di 15.800,pari al 5,37% del totale nazionale) e di nulla osta rilasciati nel2010 (11.424) indica già quanto possa essere rilevante lacomponente sommersa della popolazione immigrata.

Dal permesso di soggiorno alla cittadinanza 4, il lavoro e la casaIn Toscana, secondo i dati forniti dal dipartimento di

Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, i permessi disoggiorno rilasciati al 1 gennaio 2010 ammontano a 225.049.Quanto alle motivazioni del rilascio: ben il 46,5% è stato perlavoro; il 30,1% per ricongiungimento familiare; l’1,6 % per studioe l’1% per protezione internazionale e asilo.

Pur senza voler trascurare il fenomeno delle migrazioni forzate– di coloro che altra scelta non hanno se non di lasciare il proprioPaese dove vi è miseria e violenza, o di coloro che sono vittimedi tratta, moderna forma di schiavitù – è il mercato del lavoroa confermarsi in Toscana 5 quale vero volano dell’immigrazione.Per l’immigrato, il lavoro – oltre a essere il fattore primario diformazione della identità di “nuovo cittadino”, costituendo lo spazioda cui hanno origine le prime forme di relazione e di radicamentosul territorio – è il presupposto imprescindibile ai fini della suaregolare presenza e lo accompagna – assieme alla disponibilità

3 Antonio Marzano, “Per un governo delle migrazioni”, in libertàcivili, novembre-dicembre 20104 I dati dono stati forniti dal ministero dell’Interno, dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione5 È questo un aspetto in controtendenza rispetto ai dati nazionali: in Italia, infatti,secondo i dati forniti dal Cnel nel suo ultimo Rapporto 2010, il numero dei rilasci deipermessi di soggiorno per motivi familiari ha superato quello dei rilasci per lavoro

Degli oltre 225mila permessi di soggiorno rilasciati in Toscana nel 2010,il 46,5% sono stati per lavoro,il 30,1% per ricongiun-gimento familiare,l’1,6% per studio e l’1,1% per asilo politico

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dell’alloggio – dal suo ingresso in Italia sino al possibile ricono-scimento della cittadinanza italiana.

Su questi due aspetti, il lavoro e la casa, occorre quindiindagare approfonditamente.

Il lavoro: laddove vi è richiesta, gli immigrati vanno, andandoper lo più a colmare i vuoti del mercato e occupando i settorimeno qualificati, più pesanti e rischiosi, a prescindere daititoli di studio e dalle competenze professionali possedute. Laricerca delle prefetture, dopo avere disegnato il quadro d’insiemedell’economia toscana, si sofferma tra l’altro – come evidenziatonelle tabelle 3 e 4 – sulla condizione di disoccupazione dellapopolazione, autoctona e straniera, nonché sul differenzialeretributivo tra italiani e stranieri.

Tabella 3. Tassi di disoccupazione

Valori % 2008 2009 Var. %Tasso di disoccupazione generale 5,4 6,3 0,9Tasso di disoccupazione femminile 7,4 8,7 - 1,3Tasso di disoccupazione giovanile 14,4 17,8 - 3,4Tasso di disoccupazione straniera 8,6 10,2 - 1,6

Fonte: elaborazione Irpet su dati Istat-Rcfl

Come gli occupati dipendenti, anche gli imprenditori stranieritendono a concentrarsi in attività a basso contenuto di innovazioneo bassa qualifica: ciò potrebbe anche riflettere – come rilevatodalla Banca d’Italia – una difficoltà di accesso al credito, derivantedalla percezione del sistema creditizio di una maggiorerischiosità dell’imprenditore straniero. E in effetti spesso la

Tabella 4. Retribuzioni medie nette mensili dei dipendenti stranieri per classi di età e differenza % con tota-le dipendenti. II trim. 2009

Età Retribuzione media mensile Differenza % tra dipendenti netta dei dipendenti stranieri stranieri e italiani

in euro15-22 649 - 27,123-34 982 - 13,935-44 1.050 - 15,945-54 996 - 25,755-64 768 - 45,8Totale 974 - 21,6

Fonte: elaborazione fondazione Leone Moressa su dati Istat (Rcfl)

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durata di tali imprese è effimera, a fronte invece di un altoindice di “natalità”. Vi è infatti una percentuale di stranieriche, talvolta, si “improvvisa” imprenditore, senza tenere contodei rischi del fare impresa nonché degli obblighi e degliadempimenti normativi imposti dal nostro ordinamento giuridico.Da qui è nata a Firenze – nell’ambito delle iniziative del Consiglioterritoriale per l’immigrazione – l’esigenza di realizzare la“Guida per la creazione di una nuova impresa 2010”, disponibileanche in versione online sui siti del portale P.A.e.S.I. e della Cameradi commercio di Firenze.

La casa: come prima accennato, quello dell’alloggio è perl’immigrato, insieme al lavoro, “il” problema prioritario, soprattuttonella fase iniziale del processo di inserimento, quando nontrova un sistema di informazione, coordinamento e aiuto chelo guidi nel nuovo contesto di vita e in cui è la conoscenzapersonale, intesa come reti di connazionali o dei colleghi di lavoro,che gli consente spesso di supplire ai bisogni attraverso lasistemazione come ospite o facilitando il subentro in unappartamento. Oltre questa situazione che coinvolge il cittadinostraniero nella prima fase del suo insediamento, la ricercaesplora tra l’altro: l’andamento delle compravendite di alloggida parte degli immigrati che nel 2009 anche in Toscana haregistrato una decisa diminuzione – la punta massima negativaè stata a Lucca (15,2) – con una controtendenza a Prato,unica provincia in cui vi è stato un aumento degli acquisti; ilmercato delle locazioni (è aumentato, di fatto, il costo mediodi affitto di un immobile posto nella periferia, circa 1.100 euroal mese a Firenze); il problema crescente degli sfratti in relazioneal numero delle famiglie residenti (a livello nazionale tale rapportosi attesta a 1 sfratto ogni 401 famiglie mentre a livello toscano siconta 1 sfratto ogni 247 famiglie 6).

Il percorso di integrazione di un cittadino straniero nel nostroPaese si chiude, dal punto di vista formale, con l’acquisizionedella cittadinanza italiana. Nel 2009, il ministero dell’Internoha accolto, a livello nazionale, 59.369 istanze di cittadinanza(con un incremento del 10,6% rispetto all’anno precedente);in Toscana ne sono state accolte 2.577. Avvertendo che le

6 Nel 2009, in Toscana sono stati emessi 6.411 provvedimenti di sfratto (il 10,4%del totale nazionale). Di questi, i provvedimenti per morosità sono stati 5.388 cherappresentano ben l’84,04% del totale (ministero dell’Interno, Ufficio centrale distatistica. I Quaderni della Documentazione n. 3/2010, “Gli sfratti in Italia: andamentodelle procedure di rilascio di immobili ad uso abitativo”)

Anche in Toscana per gli immigrati,nella fase iniziale del loroinsediamento,insieme al lavoro,quello dell’alloggio è il primo dei problemi.Difficile il mercato degli affitti e della compravenditadegli immobili

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acquisizioni di cittadinanza si riferiscono a cittadini comunitarie non, la tabella che segue ne rileva il trend nel triennio2007/2009 evidenziando le motivazioni per le quali è stataacquisita.

Tabella 5. Decreti di r i lascio di cittadinanza nel tr iennio 2007/2008/2009 nelle province toscane,suddivisi per motivazione della richiesta (legge 91/1992)

Anno 2007

Fonte: elaborazione degli autori su dati ministero dell’Interno - dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione

Anno 2008 Anno 2009

Art. 5 Art. 9 Totale Art. 5 Art. 9 Totale Art. 5 Art. 9 Totale

Matrim. Resid. Matrim Resid. Matrim. Resid.

AR 220 40 260 92 98 190 66 142 208

FI 607 142 749 382 240 622 247 527 774

GR 163 7 170 137 20 157 58 36 94

LI 169 26 195 147 40 187 88 85 173

LU 231 35 266 145 78 223 87 145 232

MS 93 24 117 67 23 90 36 75 111

PI 204 37 241 133 72 205 85 148 233

PT 182 35 217 138 70 208 87 197 284

PO 144 23 167 85 59 144 39 174 213

SI 139 35 174 109 78 187 87 168 255

Totale 2.152 404 2.556 1.435 778 2.213 880 1.697 2.577

Prov.

Gli aspetti giuridici L’attenzione è stata focalizzata sulla legge regionale

29/2009 (“Norme per l’accoglienza, l’integrazione partecipe ela tutela dei cittadini stranieri nella regione Toscana”) e sullagiurisprudenza più significativa – quella costituzionale e quelladelle Sezioni unite della Corte di cassazione – del 2010, a iniziaredalla sentenza 269/2010 che ha riguardato proprio la citatalegge regionale, sancendone la legittimità costituzionale.

La brevità dello spazio a disposizione non consente didare compiuta contezza dei contenuti di questa larga partedel documento delle prefetture.

Dovendo tracciare solo i tratti più salienti:quanto alla giurisprudenza, si ricorda che la Corte Costitu-

zionale è intervenuta con sentenze assai significative, ad esempioin merito all’aggravante di clandestinità o all’autorizzazione alsoggiorno del genitore per motivi connessi allo sviluppo delminore. Si ricorda anche la sentenza n.134 relativa ai Centri

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di identificazione ed espulsione che, intervenendo sulla leggedella Liguria, ha decretato l’illegittimità del divieto di istituiretali centri nella regione. La rilevanza di tale sentenza si coglie sottodue aspetti: da una parte, perché si inserisce in un ambito didiscussione che nel 2010 ha coinvolto anche la Toscana, attesala mancanza di CIE sul territorio; dall’altra, perché la Corte èstata chiamata ancora una volta sul tema del riparto della potestàlegislativa tra Stato e regioni, un tema che ancora oggi – chiscrive è, a Firenze, preposta all’Ufficio del rappresentantedello Stato e della Conferenza permanente – è oggetto di uncontinuo dibattito aperto, alimentato, di volta in volta, dallediverse sensibilità ideologiche

quanto alla recente legge della regione Toscana – che, nel2010, ha superato il vaglio della Corte Costituzionale – i suoicontenuti e finalità nonché il modello di governance delineatosono stati trattati proprio da chi, nell’ambito della regione, hafortemente contribuito alla realizzazione 7. Pur consapevoliche la sintesi non rende giustizia all’ampio articolato normativo,vale la pena di sottolineare che sullo sfondo della legge sicolloca il riconoscimento dei limiti di modelli conosciuti inambito internazionale come quello “assimilazionista” 8 e quello“multiculturale” 9. La legge regionale 29/2009 tende invece apromuovere il rafforzamento della società Toscana come“comunità plurale e coesa” in una concezione dei processi diintegrazione fondati su un reciproco avvicinamento tra comunitàstraniere e comunità “autoctona”.

Al cuore dello sviluppo delle future politiche di integrazione lalegge colloca il tema della partecipazione dei cittadini stranieriall’elaborazione delle stesse e promuove una qualificazione eun’espansione, presso gli enti locali della regione, di Consiglie Consulte degli stranieri. La legge dedica anche una forteattenzione allo sviluppo: della rete dei punti informativi impegnatinel supporto agli immigrati negli adempimenti amministrativi;delle politiche tese a promuovere il superamento delle differenzelinguistiche e culturali che possono ostacolare la piena fruizionedelle opportunità offerte dal territorio; degli interventi socio-assistenziali che, se urgenti e indifferibili, sono previsti anche

7 L’approfondimento è stato curato dal dottor Giovanni Lattarulo, dirigente dellaregione Toscana8 È i l modello teso a favorire la mera integrazione del cittadino straniero nelcontesto culturale del Paese di destinazione9 È il modello teso a garantire una convivenza pacifica e di rispetto reciproco trale diverse culture ma con un basso livello di scambio e di comunicazione

Le linee guida della politica toscana di integrazionesono contenutenella legge regionale 29/2009,che tende a promuovere il rafforzamento della società regionale come “comunità plurale e coesa”

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in favore di coloro che sono privi di titolo di soggiorno, al finedi garantire i diritti fondamentali della persona. Nell’ambitodel modello di governance delineato dalla legge 29, occorreevidenziare il ruolo dell’Osservatorio sociale regionale istituito,fra l’altro, per il monitoraggio del fenomeno migratorio e perl’analisi di impatto delle politiche sull’immigrazione. E occorreanche citare la previsione di un Comitato per le politiche perl’immigrazione, del quale è chiamato a far parte anche undelegato del rappresentante dello Stato nella regione Toscana,così da facilitare l’integrazione con l’azione sviluppata dalleistituzioni e dagli uffici statali e con l’attività svolta nei contestiprovinciali dai Consigli territoriali per l’immigrazione presso leprefetture.

Quest’ultima previsione della legge regionale sembra digrande rilievo. La questione dell’immigrazione è – come effi-cacemente viene detto nell’enciclica “Caritas in veritate”, la“magna carta” della dottrina sociale della Chiesa cattolica peril XXI secolo – di “gestione complessa” e non tollera soluzionisbrigative. L’importanza che all’ immigrazione è connessa,esige che le relative problematiche siano affrontate e risoltesulla base di scelte comuni. E il principio di leale collaborazionetra Stato, regioni ed enti locali può a tal fine essere di grandeausilio.

Il supporto offerto da unOsservatorio sociale regionale,istituito per il monitoraggio del fenomeno migratorio

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Nel corso del convegno L’immigrazionein Lombardia: evoluzione e consolida-mento, tenutosi lo scorso 3 marzo 2011a Milano e organizzato dall’Osservatorioregionale per l’integrazione e la multiet-nicità (Orim), sono stati presentatisette volumi che restituiscono il quadroquantitativo e qualitativo della popo-lazione straniera in Lombardia, regioneche accoglie quasi un quarto di tuttigli immigrati presenti in Italia. Secondole ultime stime della fondazione Ismu,infatti, al 1° gennaio 2010 gli stranierinel nostro Paese sono stimati in 5,3milioni di unità, di cui 5,1 milioniprovenienti dai cosiddetti Paesi a fortepressione migratoria. La Lombardia neospita ben 1 milione e 188mila,includendo in tale dato anche chi èprivo di un regolare titolo di soggiornoe/o dell’iscrizione anagrafica.

Nel Decimo Rapporto sugli immigratiin Lombardia. Anno 2010 (fondazioneIsmu, regione Lombardia, Orim, 2011)sono raccolte riflessioni sulle tematiche,quali il lavoro, la scuola e la formazioneprofessionale, la salute, la tratta e moltealtre ancora, alcune delle quali trovanouno specifico approfondimento negliulteriori volumi distribuiti in occasionedel convegno. Nello specifico, L’immi-grazione straniera in Lombardia. Ladecima indagine regionale. Rapporto2010 (a cura di Blangiardo G.C., fonda-zione Ismu, regione Lombardia, Orim,2011) raccoglie i principali dati sulla

presenza e le caratteristiche della popo-lazione straniera, con focus su aree diattenzione cruciali quali il lavoro, lafamiglia e i giovani.

Il tema dell’attuale crisi economicae dei suoi impatti sul mercato del lavoroimmigrato è affrontato in Immigrazionee mercati del lavoro: gli impatti dellacrisi in Lombardia. Rapporto 2010, (a curadi Colasanto M., Marcaletti F., fondazioneIsmu, regione Lombardia, Orim, 2011)il quale, oltre a un’accurata analisi deipiù recenti dati sul mercato del lavoroimmigrato, propone una lettura dellafase attuale del mercato occupazionalein termini di problemi e prospettive.

L’associazionismo migrante, oggettosempre di maggior attenzione sia daparte della società civile che da partedelle istituzioni, è un fenomeno chel’Orim monitora da alcuni anni e chein Volti e percorsi delle associazioni diimmigrati in Lombardia. Rapporto2010 (a cura di Caselli M., Grandi F.,fondazione Ismu, regione Lombardia,Orim, 2011) trova uno specifico spazio:dopo un’analisi delle caratteristichedelle associazioni presenti sul territoriolombardo, resa possibile grazie all’attivitàdi mappatura sistematica condottadall’Osservatorio regionale a partire dal2008, sono infatti esposti casi di studiorelativi ad associazioni che presentanocaratteri rilevanti dal punto di vista delcontributo al processo di integrazione deimigranti stessi sul territorio regionale.

L’immigrazione in Lombardia in sette libri

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Sette libri sull’immigrazione in Lombardia

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La socialità dei giovani immigrati èinvece l’oggetto della ricerca presentatanel volume Incontrarsi e riconoscersi.Socialità, identificazione, integrazionesociale tra i giovani di origine immigrata(a cura di Ambrosini M., Bonizzoni P.,Caneva E., fondazione Ismu, regioneLombardia, Orim, 2011): a partire dauno studio sui luoghi di aggregazionefrequentati dai giovani di origineimmigrata e da questionari somministratiagli stessi, il testo affronta le questionidell’aggregazione, delle pratiche disocialità, delle forme di identificazionee delle modalità di integrazione. Irisultati mostrano che l’integrazionedei giovani di origine immigrata nellasocietà italiana è un processo complessodalle molteplici sfaccettature.

A partire da una ricognizione europeasulle politiche urbane e abitative e dopoaver affrontato alcuni casi studio europei,la ricerca Migrazioni, politiche urbanee abitative: dalla dimensione europeaalla dimensione locale (a cura diAgustoni A., Alietti A., fondazioneIsmu, regione Lombardia, Orim, 2011)affronta una questione sempre piùrilevante e legata alle tematiche delwelfare: l’abitare. Si analizzano politichee iniziative a livello nazionale e regionale,sino a una riflessione sui processi diinsediamento abitativo dei migranti inLombardia.

Infine Accompagnare le istituzioniformative nella progettazione intercul-turale. Guida per il tutor di scuola (a curadi Colombo M., Santagati M., fondazioneIsmu, regione Lombardia, Orim, 2011) sipone come strumento pratico di sostegnoalle istituzioni formative che intendonosviluppare una progettazione intercul-

turale, con l’obiettivo di fornire indicazioniutili alle fasi di stesura e realizzazionedi un progetto, con un focus specificosul tutoring nell’ambito del processodi insegnamento e apprendimento, intesocome tecnica didattica basata sullacooperazione.

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Stranieri, integrazionee richieste del territorio

di Enrico CesariniAssistenza tecnica del Fondo europeo per l’integrazione (Fei)

Investire nell’insegnamento dell’italiano,nella scuola e nell’accesso al lavoro: queste le priorità a livello nazionale emerse dall’indaginedei Consigli territoriali per l’immigrazione

In quali settori è più urgente investire risorse e pianificareazioni a sostegno dei processi di integrazione dei cittadinistranieri che vivono in Italia? Esiste una mappatura nazionaleche tenga conto delle specificità locali e delle linee di tendenzacomplessive? In questo lavoro vengono presentati i risultati diun’indagine sui fabbisogni locali d’integrazione dei cittadinistranieri, condotta in collaborazione con i Consigli territorialiper l’immigrazione (Cti) 1 dalla Direzione centrale per le politichedell’immigrazione e dell’asilo del ministero dell’Interno, in qualitàdi Autorità nazionale responsabile del Fondo europeo perl’integrazione (Fei) 2.

Nella gestione del Fondo, tutti gli Stati membri sono chiamatia definire e sottoporre annualmente alla Commissione europeaun Programma annuale in cui viene presentato il quadronazionale delle politiche per l’inclusione dei cittadini stranieri. InItalia, la predisposizione dei Programmi annuali del Fondo faseguito a un’ampia e articolata attività di consultazione,

1 Organi consultivi, introdotti dal T.U. Immigrazione, D.Lgs 286/98 (V. art. 3, comma 6)istituiti a livello provinciale con compiti di analisi delle esigenze e di promozione degliinterventi da attuare a livello locale. I Cti sono composti dai rappresentanti degli ufficiperiferici delle amministrazioni centrali, delle regioni, degli enti locali, delle organizzazionisindacali e di categoria, nonché delle associazioni rappresentative degli stranieri. Aiprefetti, secondo quanto disposto dall’art. 57 del Dpr 394/99 e dal Dpcm 18 dicembre1999, spetta il compito di presiedere i Consigli2 Il Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi è stato istituitonel 2007, con decisione del Consiglio europeo n. 2007/435/CE con l’obiettivo disostenere gli Stati membri nell’attuazione di programmi e interventi finalizzati apromuovere l’integrazione dei cittadini di stranieri regolarmente soggiornanti

Il quadro analitico dei risultati dell’indagine sui fabbisogni condotta per conto del Fondo europeo per l’integrazione

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I fabbisogni territoriali per l’integrazione dei cittadini stranieri

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condotta sia a livello centrale che locale, con gli stakeholderistituzionali competenti in materia di immigrazione (ministeri,Conferenza unificata Stato-regioni, Consigli territoriali perl’immigrazione, etc.) per adeguare e modulare la programma-zione in funzione della dinamicità espressa dal fenomenomigratorio all’interno del Paese. Annualmente, tali documentiprogrammatici illustrano i fabbisogni cui far fronte nell’ambitodegli interventi a supporto dell’integrazione dei cittadinistranieri, specificando, conseguentemente, gli obiettivi strategiciche si intendono perseguire, gli ambiti di azione e le tipologiedi interventi cui dare attuazione, e definendo le relativedotazioni finanziarie.

In procinto di trasmettere alla Commissione europea ilProgramma annuale relativo al 2011, la Direzione centraleper le politiche dell’immigrazione e dell’asilo ha rinnovato il coin-volgimento della rete nazionale dei Consigli territoriali perl’immigrazione, inviando un questionario mirato attraverso ilquale ottenere una mappatura completa e una fotografiaaggiornata sui fabbisogni di integrazione del territorio.

Dall’analisi dei risultati emerge un quadro significativo e distretta attualità.

Il questionario e le consultazioniPer approfondire i fabbisogni di integrazione di ciascun

territorio provinciale e verificare l’allineamento della programma-zione nazionale rispetto alle necessità locali, è stato trasmessoai 103 Consigli territoriali per l’immigrazione un appositoquestionario di rilevazione: ciascun Consiglio è stato chiamatoa rispondere a quattro quesiti, attraverso i quali si richiedevadi indicare le esigenze e le proposte maturate attraverso leconsultazioni locali, nonché di esprimere un giudizio sullarilevanza delle linee di intervento indicate nei Programmiannuali del Fondo adottati dal 2007 al 2009.

A tale scopo, sono state sottoposte due tabelle di rilevazionenelle quali erano riportati il riepilogo delle nove Azioni di interventoprecedentemente pianificate e l’elenco delle corrispondentitipologie di progetti ammissibili a finanziamento. Le Azioni rappre-sentano gli ambiti strategici indicati nelle programmazioninazionali: coprono ampi settori di intervento come la formazionelinguistica, la mediazione culturale, il miglioramento dei serviziamministrativi, etc. Per ogni azione, inoltre, i Programmi annualiindicano numerose tipologie di progetti ammissibili a finanzia-mento: nell’ambito della mediazione culturale, ad esempio, sonoprevisti “interventi di mediazione a supporto delle pubbliche

La mappaturadell’intero territorio nazionale è stata resa possibile attraverso la rete dei Consigli territoriali per l’immigrazione,che rappresentanogli osservatoriistituzionali deputati ad analizzare le necessità e promuoveregli interventi a livello locale

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amministrazioni in ambito sanitario, scolastico e amministrativo”,“servizi di segretariato sociale” etc. Per indicare la rilevanza diogni Azione e tipologia progettuale i Consigli territoriali avevanoa disposizione quattro possibili giudizi: rilevanza prioritaria (paria un punteggio di 10/10), rilevanza alta (7,5/10), rilevanza media(5/10), rilevanza scarsa (1/10). L’elaborazione dei dati complessiviriporta, nelle tabelle che seguono, i valori medi ponderati definitidai Cti per ciascun intervento.

Successivamente all’analisi dei questionari pervenuti daciascuna provincia, si è sviluppata un’azione di confrontodiretto nell’ambito di appositi tavoli di consultazione convocatidall’Autorità responsabile del Fei per ciascuna regione italiana.Il dialogo con i rappresentanti dei Consigli territoriali ha consentitodi condividere i risultati emersi, approfondire le questioni direciproco interesse e delineare un quadro organico e condivisoper ogni territorio.

I risultati di tale attività sono stati recepiti nel Programmaannuale 2011 e hanno fornito indicazioni specifiche per la stesuradei bandi di gara per selezionare i progetti da finanziare tramiteil Fondo. Rappresentano, inoltre, un interessante contributo per laricognizione del fenomeno, a uso di decisori pubblici, operatorie policymaker.

1. Formazione linguistica, orientamento civico, orientamento al lavoro 31,1%

2. Progetti giovanili 22,8%

3. Azioni di sensibilizzazione, informazione e comunicazione 4,1%

4. Iniziative di mediazione interculturale 13,0%

5. Iniziative di mediazione sociale e promozione del dialogo interculturale 8,8%

6. Programmi innovativi per l’integrazione 1,6%

7. Valutazione delle politiche e degli interventi di integrazione 3,1%

8. Capacity building 13,0%

9. Scambio di esperienze e buone pratiche tra P.A. italiane e di altri Stati membri dell’UE 2,6%

Totale 10 0%

Fonte: elaborazione su questionari di rilevazione Cti 2010

Azioni previste nei Programmi Annuali Fei 2007-2008-2009-2010

Rilevanza prioritaria

rispetto ai fabbisogni

territoriali (val. %)

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In quali settori investire? Quali progetti finanziare?Il secondo ambito di analisi proposto ha riguardato la valutazione

sulla rilevanza delle varie tipologie di azioni e progetti previstedal Fondo in relazione ai fabbisogni di integrazione del proprioterritorio.

Per oltre il 31% dei Consigli territoriale l’azione di maggiorimportanza è rappresentata dalla Formazione linguistica, edu-cazione civica e orientamento professionale. Numerose tipologieprogettuali proposte nell’ambito di questa azione, come adesempio i “percorsi di formazione linguistica e orientamentocivico finalizzati al conseguimento degli obiettivi dell’accordodi integrazione”, o gli “interventi di orientamento professionale,in complementarietà con eventuali corsi di formazione finanziabilicon Fse” 3 sono state valutate come di importanza massima,con valori compresi tra 7,8 e il 8/10. Altre tipologie di progettoafferenti a tale azione sono state valutate mediamente di rilevanzainferiore, come i “percorsi formativi nei Paesi d’origine” (6/10)o i “corsi in modalità e-learning” (4,3/10).

L’azione Progetti giovanili è stata considerata come laseconda tipologia prioritaria in termini di rilevanza dai Cti concirca il 23% delle preferenze totali. Ognuna delle quattro tipologieprogettuali riferite a tale azione si attesta ben oltre il punteggiodi 7/10. In particolare, i Cti ritengono di fondamentale importanzaporre in essere “interventi finalizzati a sostenere un migliorinserimento dei minori stranieri che accedono al circuitoscolastico, attraverso precorsi propedeutici di insegnamentodella lingua italiana, interventi di sostegno e servizi di orienta-mento”: tale tipologia progettuale risulta in assoluto quella dalpunteggio più alto (8,3/10).

L’azione Capacity building, finalizzata a rafforzare e sostenerele capacità della pubbliche amministrazioni di fornire serviziagli stranieri, è ritenuta prioritaria dal 13% dei Cti, attestandosicome terza azione più importante sulle nove analizzate. Inparticolare, analizzando la rilevanza delle varie tipologieprogettuali proposte, “l’aggiornamento e formazione professionalerivolte agli operatori delle P.A.” risulta una delle più rilevanti intermini assoluti (punteggio pari a 7,4/10). Lo stesso punteggio(13%) è attribuito alla Mediazione interculturale. In tale ambito,

3 È utile precisare che, in base al principio di complementarietà tra finanziamentieuropei, le attività di formazione professionale in senso stretto non sono finanziabilidal Fei, pertanto gli interventi a sostegno dell’occupabilità degli stranieri, quali i servizidi orientamento professionale, sono pianificati nell’ambito di un’offerta integrata diservizi formativi

I progettifinalizzati all’apprendi-mentodella lingua italiana,e in termini più generali ai servizi di formazionecivico-linguistica sono al primo postotra le azionida finanziare

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gli “interventi di mediazione culturale a supporto delle pubblicheamministrazioni” rientrano nel gruppo delle prime cinque tipologieprogettuali, con un punteggio pari a 7,5/10.

Per quanto riguarda la Mediazione sociale e promozionedel dialogo interculturale: tale azione è ritenuta prioritaria dal9% dei Cti. In tale ambito rientrano gli “interventi finalizzati allagestione dei conflitti sociali in ambito locale e urbano” (un’urgenzaavvertita in molti contesti territoriali) nonché gli “interventi chemirano alla creazione di reti di coordinamento e cooperazionein ambito locale con istituzioni, organismi e associazionicompetenti”. Attraverso tale azione vengono finanziati, altresì,i progetti di dialogo interculturale e interreligioso che promuovanola conoscenza e l’accettazione reciproca tra società d’accoglienzae comunità straniere.

Le Azioni di sensibilizzazione, informazione e comunicazionerisultano prioritarie solo per il 4% dei Cti. Questa categoriaprevede l’attivazione di campagne di sensibilizzazione sui temidell’integrazione e dell’intercultura e varie attività di comuni-cazione, specialmente istituzionale. Analizzando la rilevanzadelle tipologie progettuali, emerge tuttavia che le “attività diinformazione rivolte a cittadini stranieri in materia di normativasull’immigrazione e accesso ai servizi” risultano di primariarilevanza, ottenendo una valutazione pari a 7,3/10.

Le rimanenti azioni vengono definite complessivamente dirilevanza inferiore:

Valutazione delle politiche e degli interventi di integrazione:prioritaria per il 3% dei Cti.

Scambio di esperienze e buone pratiche con altri Statimembri dell’UE: prioritario per l’3% dei Cti

Programmi innovativi per l’integrazione: prioritari per l’1%dei Cti.

Tuttavia tali azioni prevedevano alcune tipologie progettualirisultate di grande interesse. (V. tabella 2). Citiamo, tra le altre, lo“scambio e condivisione di progetti e interventi attuati da parte diamministrazioni locali di vari Stati membri in tema di alloggio,politiche sociali, servizi amministrativi”, con il punteggio di 6,3/10.

Cosa chiede il territorio?Investire nell’insegnamento dell’italiano, nella scuola e nell’ac-

cesso al lavoro. Sono queste, per ordine di importanza, lepriorità che emergono a livello nazionale.

Sviluppare l’offerta di servizi di formazione linguistica ededucazione civica si afferma come una necessità condivisa eprioritaria per i Consigli territoriali: appare fondamentale

Tra i settoriindicaticome prioritaridal territorio,ci sono la lingua,la scuola,il lavoro e la questione abitativa

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I corsi di lingua italiana rivoltiai cittadini immigrati vanno modulati sulle loro competenze linguistiche e articolati in orari che siano per loro accessibili

migliorare le competenze linguistiche dei cittadini stranieri e laloro conoscenza sia dell’ordinamento italiano che dei propridiritti e doveri. Viene sottolineato, in particolare, il valoredell’integrazione tra formazione linguistica e civica, non soloper la rilevanza prioritaria che accomuna entrambe, ma anchenell’ottica della funzionalità ed efficacia didattica: si imparal’italiano accostandolo alla vita reale, così come si illustranoi diritti e doveri sin dallo studio della lingua. Significativa èl’attenzione per un’offerta formativa articolata e modulare,auspicando “un maggior numero di corsi di lingua italianarivolto ai cittadini migranti, modulati sulle loro competenze lingui-stiche e articolati in orari che siano per loro accessibili”.

Tali necessità appaiono come prioritarie e strutturali. Al con-tempo, vi conferisce ulteriore attualità e importanza l’imminenteentrata in vigore dell’Accordo di integrazione, previsto dallalegge 94/2009 e l’introduzione del test di conoscenza linguisticarichiesto per il rilascio del permesso di soggiorno CE perlungo soggiornati.

Significativamente, si evidenza l’importanza di “migliorarela conoscenza della lingua italiana da parte dei cittadini stranieri,in quanto una buona capacità di comunicazione rappresentala base imprescindibile per una integrazione autentica”.Garantire adeguate conoscenze e competenze linguisticheorali e scritte è riconosciuto come “presupposto essenzialeper la loro inclusione sociale” e l’esercizio dei diritti e dei doveridei cittadini stranieri.

Risulta necessario, inoltre, sostenere la conoscenza dellacultura italiana, indicare le comuni regole vigenti, gli adempimentiamministrativi finalizzati alla regolarità del soggiorno deglistranieri e fornire informazioni per promuovere l’accesso ai servizidisponibili sul territorio. Nell’ambito dei servizi di educazionecivica e di orientamento viene raccomandato di “promuovereuna maggiore conoscenza dei principi del nostro ordinamento,come insieme dei diritti e dei doveri dei cittadini. Nel contemporendere più correttamente informata la comunità locale sulfenomeno migratorio, al fine di ridurre i pregiudizi e le potenzialisituazioni di discriminazione” .

Per migliorare l’informazione si raccomanda la “realizzazione ela diffusione di appositi vademecum che riportino, in sintesi,indicazioni circa gli adempimenti da effettuare subito dopol’ingresso in Italia, allo scopo di facilitare l’acceso ai servizi(es. richiesta del permesso di soggiorno, iscrizione anagraficae iscrizione al Servizio sanitario nazionale)”.

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Supportare l’inserimento scolastico e sociale dei minoristranieri: è questa la seconda priorità indicata dai Consigliterritoriali. La scelta di investire in questo settore affronta lenecessità del presente (in Italia quasi il 25% della popolazionestraniera complessiva è composta da minori 4) e al contempovuole guardare al futuro del Paese e dei processi di integrazione.

“I minori immigrati si trovano a dover affrontare quotidiana-mente difficoltà di inserimento nel territorio di residenza e nellascuola. Situazioni di passaggio e di transizione possono generaremomenti di conflittualità, di difficoltà di gestione del grupponell’ambito scolastico. Emerge il bisogno di una più attivamediazione nell’incontro tra la cultura di cui il minore stranieroè portatore e la cultura rappresentata dalla scuola. Da più partiviene rappresentata la necessità di delineare un progettoeducativo e formativo, rivolto agli insegnanti, e capace, a cascata,di coinvolgere intensamente gli allievi e in qualche misura lefamiglie”.

Sono numerose le tipologie di interventi indicate, in corre-lazione alle varie specificità territoriali, come: i servizi di sostegnoe assistenza per minori stranieri non accompagnati, gli interventidi mediazione culturale in ambito scolastico, gli interventi asostegno di minori a rischio di devianza, le azioni di aggiornamentoprofessionale dei docenti impegnati in ambito scolastico, lapromozione del dialogo interculturale con i giovani italiani,e di quello tra le famiglie italiane e quelle straniere.

Il terzo ambito di interesse riguarda il tema del lavoro edell’occupazione, in particolare dei cittadini stranieri tempo-raneamente in stato di disoccupazione.

È avvertita e urgente l’esigenza di sostenere l’inserimento o ilreinserimento occupazionale dei lavoratori stranieri. Nei territorimaggiormente segnati dalla crisi economica, in particolare,l’impatto sulle fasce più vulnerabili e segnatamente sui cittadinistranieri è risultato significativo. “Il principale bisogno rilevatodai Cti è quello del sostegno all’occupazione per favorire, insituazioni di crisi economica come quella attuale, la riqualifi-cazione del lavoratore straniero attraverso interventi mirati alleesigenze locali, all’accrescimento della cultura della sicurezzanei luoghi di lavoro e delle competenze linguistiche”.

4 Sono 932.675 i minori stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2011, pari al 22%della popolazione straniera complessiva. Fonte: Istat, Indicatori demografici 2010,Roma, 24 gennaio 2011

Importantesupportarel’inserimentoscolastico e socialedei minori stranieri che sono circa il 25%del totaledegli immigrati

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La questioneabitativadegli stranierirappresentauna criticitàin numerosicontesti urbani

A tal fine vengono proposte “azioni di incentivo al regolareaccesso al mercato del lavoro e tutele contro fenomeni disfruttamento e lavoro sommerso; di inserimento/reinserimentolavorativo, anche tramite sostegno alla creazione di impreseetniche o, auspicabilmente, di imprese integrate tra cittadiniitaliani e stranieri”. È sottolineata, in particolare, la “necessitàdi correlare la richiesta di lavoro degli immigrati con l’effettivadisponibilità e con la capacità di assorbimento del mercatoanche attraverso servizi di orientamento e formazione”, al fine didare risposte incisive in caso di perdita del lavoro ed evitare ilrischio di clandestinità.

Di importanza centrale risulta l’attivazione di servizi a sostegnodell’accesso all’alloggio. La questione abitativa degli stranierirappresenta una criticità in numerosi contesti urbani. Apparealimentata dalla combinazione di più fattori: alle difficoltàgeneralizzate sofferte a livello di sistema si aggiunge la specialevulnerabilità del target immigrato. “L’alloggio è una necessitàindispensabile: conseguentemente le politiche della casa,dell’accoglienza e della pianificazione urbana dovrebberoimpegnarsi nel garantirla. Si ritengono utili i servizi che realmenteriescono ad accompagnare il cittadino nella ricerca di unalloggio, sostenendo anche oneri di tipo finanziario”.

Tra le varie proposte vengono indicate: il sostegno all’accessoregolare al mercato abitativo; interventi per contrastare lediscriminazioni a carico degli stranieri; interventi utili ad attenuareaspetti problematici legati all’alloggio (concentrazione ghettizzantein alcuni centri storici, dispersione e isolamento nelle zone rurali,eccessiva onerosità e/o degrado e precarie condizioni igienico-sanitarie degli alloggi offerti in locazione, irregolarità contrattuali);la realizzazione di strutture di primo alloggio temporaneo e di unarete sussidiaria tra soggetti pubblici e privati; il recupero edilizio;l’accompagnamento abitativo con l’impegno dello strumentoassociativo (cooperative private e pubbliche) e di agenzie dimediazione per l’incontro tra domanda e offerta d’alloggi. Conparticolare riferimento al lavoro stagionale si evidenzia l’esigenzadi una attività di accoglienza mirata principalmente alla siste-mazione alloggiativa.

Nell’ambito della Mediazione interculturale è stata sottolineatal’importanza di “attivare servizi in ambito sanitario, scolasticoe amministrativo, finalizzati a erogare servizi di mediazionelinguistica, mediazione culturale e orientamento”. “Un bisognodiffusamente avvertito è quello del potenziamento dell’attività

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di mediazione culturale specie per favorire l’accesso e il contattocon gli uffici ed i servizi pubblici. Esigenze particolari sonosegnalate in ambito scolastico, dove emerge, in particolare, lanecessità di supporto da parte di operatori qualificati persostenere l’inserimento scolastico dei minori stranieri e favorire ilprocesso bidirezionale di avvicinamento con la realtà locale”.

Tra le varie proposte si sottolinea l’importanza che “gli entilocali possano usufruire di servizi di segretariato sociale finalizzatiad assistere gli immigrati nella conoscenza dei servizi ad essirivolti e ad accompagnare gli stessi nelle strutture dedicate”.

Le donne rappresentano un target privilegiato di attenzionee di intervento. È opportuno approfondire la “conoscenza delmondo femminile immigrato, con la promozione di iniziative diincontro tra donne che mirino a rafforzare e accrescere la consa-pevolezza di genere nell’ottica delle pari opportunità”.

Particolare attenzione è stata rivolta “all’integrazione delledonne in tema di servizi sanitari”. Si auspicano apposite“iniziative in ambito sanitario, come una rete dei servizi sanitariterritoriali e ospedalieri per costruire dei percorsi specifici perle donne immigrate e consentire a queste ultime di accrescere

Azioni e tipologie progettuali previste nei Programmi annuali Fei2007-2008-2009-2010

Rilevanzarispetto

ai fabbisogni territoriali

(n/10)

1. Formazione linguistica, orientamento civico, orientamento al lavoro

1.1 Percorsi di formazione linguistica e orientamento civico finalizzati al conseguimento degli obiettivi dell’accordo di integrazione 8,01.2 Interventi di orientamento professionale, in complementarietà con eventuali corsi di formazione finanziabili con Fse 7,81.3 Interventi integrati di formazione linguistica, educazione civica e servizi di orientamento professionale 8,01.4 Percorsi formativi di carattere innovativo in modalità e-learning e Fad 4,31.5 Percorsi di formazione linguistica ed orientamento civico da realizzarsi nei Paesi d’origine, rivolti ai cittadini extracomunitari che soddisfano le condizioni per fare ingresso in Italia 6,01.6 Azioni che rendono l’applicazione delle procedure di ammissione più efficace ed accessibile ai cittadini di Paesi terzi, anche grazie a tecnologie informatiche e di comunicazione, campagne di informazione e procedure di selezione facilmente accessibili 5,8

2. Progetti giovanili 2.1 Interventi finalizzati a sostenere un miglior inserimento dei minori stranieri che accedono al circuito scolastico, attraverso precorsi propedeutici di insegnamento della lingua italiana, interventi di sostegno e servizi di orientamento 8,3

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2.2 Progetti di dialogo interculturale, educazione alla diversità, gestione dei conflitti e valorizzazione dei patrimoni culturali d’origine, da realizzarsi in ambito scolastico ed extrascolastico, anche con interventidiretti alle famiglie d’origine italiane e straniere 7,4

2.3 Progetti di orientamento professionale e sostegno all’occupazione, complementari a percorsi di formazione finanziabili mediante Fse 7,5

2.4 Iniziative di sensibilizzazione e aggiornamento rivolte a docenti e personale di sostegno, finalizzate a migliorare i processi di inserimento dei minori stranieri in ambito scolastico 7,3

3. Azioni di sensibilizzazione, di informazione e di comunicazione 3.1 Attività di informazione rivolte a cittadini stranieri in materia di normativa sull’immigrazione e accesso ai servizi 7,33.2 Attività di comunicazione e sensibilizzazione sul tema del rispetto della legalità, anche tramite il coinvolgimento delle comunità straniere 7,23.3 Attività di comunicazione e sensibilizzazione rivolte alla società di accoglienza, finalizzate a promuovere una corretta informazione sul fenomeno migratorio e sostenere i valori della diversità e del rispetto 6,4

4. Iniziative di mediazione culturale 4.1 Interventi di mediazione culturale a supporto delle P.A., in particolare in ambito sanitario, scolastico e amministrativo, finalizzati a erogare servizi di mediazione linguistica, mediazione culturale e orientamento 7,54.2 Servizi di segretariato sociale da attivarsi presso la rete degli enti locali 5,9

5. Iniziative di mediazione sociale e promozione del dialogo interculturale 5.1 Interventi di mediazione sociale e gestione dei conflitti sociali in ambito locale e urbano 6,25.2 Progetti di dialogo interculturale e interreligioso che promuovano la conoscenza e l’accettazione reciproca tra società d’accoglienza e comunità straniere 6,45.3 Interventi che mirano alla creazione di reti di coordinamento e cooperazione in ambito locale con istituzioni, organismi e associazioni competenti 6,55.4 Azioni di informazione, orientamento e accompagnamento finalizzati a garantire una maggiore conoscenza e fruizione dei servizi rivolti ai cittadini stranieri, in particolare nell’ambito dei servizi sanitari e dell’accesso all’alloggio 7,3

6. Programmi innovativi per l’integrazione6.1 Attività di formazione e informazione in modalità e-learning, Fad, blended, etc. 4,26.2 Progetti di carattere innovativo dal punto di vista delle metodologie d’intervento, che prevedono di valorizzare la partecipazione e il contributo degli stranieri nella formulazione e attuazione degli interventi di integrazione 6,1

7. Valutazione delle politiche e degli interventi di integrazione7.1 Azioni di monitoraggio sui progetti finanziati nell’ambito del Fondo, che tengano conto del “Quadro di monitoraggio e valutazione per i programmi nazionali” 5,57.2 Creazione di un sistema integrato di monitoraggio in itinere e valutazione ex post dei percorsi di integrazione dei cittadini stranieri 6,47.3 Azioni di condivisione con i policy-maker dei modelli che recepiscano i risultati ottenuti mediante le attività poste in essere 5,8

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I fabbisogni territoriali per l’integrazione dei cittadini stranieri

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il senso della identità di genere”. Significativa è la proposta diavviare “progetti innovativi per dar più voce alle donne immi-grate che hanno desiderio di incontrarsi per condividere leloro conoscenze ed esperienze anche con le donne italiane”.

Infine, in relazione ai servizi amministrativi e agli interventi dicapacity building delle pubbliche amministrazioni, si sottolineanotre direttrici di intervento: sviluppare il coordinamento e l’approcciodi rete, investire nell’aggiornamento del personale e potenziarei servizi. In particolare si auspica la “creazione di reti di coordina-mento a livello provinciale tra istituzioni, organismi e associazioniche a vario titolo si occupano di immigrazione” e il “potenziamentoquantitativo e qualitativo delle reti interistituzionali dedicate all’in-tegrazione degli immigrati e alla riqualificazione degli operatori”.

Appaiono “fondamentali gli interventi in tema di aggiornamentoe formazione professionale rivolti agli operatori delle P.A. cheentrano in contatto con le richieste degli stranieri”. Si auspicadi “usufruire delle prestazioni di mediatori linguistico-culturaliper le sedi periferiche delle amministrazioni dello Stato (prefetture,Sportelli unici per l’immigrazione e questure)”.

Fonte: elaborazione su questionari di rilevazione Cti 2010

8. Capacity building8.1 Azioni di aggiornamento e formazione professionale rivolte agli operatori delle P.A. impiegati nel settore dei servizi ai cittadini stranieri 7,48.2 Interventi di mainstreaming finalizzati a valorizzare l’integrazione a livello trasversale in tutte le politiche 5,88.3 Attivazione di una rete territoriale di centri e osservatori locali per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni razziali 5,5

9. Scambio di esperienze e buone pratiche tra P.A. italiane e di altri Stati membri dell’UE9.1 Scambio e condivisione di materiali informativi e d’approfondimento in materia di integrazione tra gli Stati membri, privilegiando il ricorso al sito europeo www.integration.eu 5,49.2 Costituzione di gruppi di lavoro e di momenti di incontro e di approfondimento sulle politiche di integrazione attuate 5,59.3 Scambio e condivisione di progetti e interventi attuati da parte di amministrazioni locali di vari Stati membri (alloggio, politiche sociali, servizi amministrativi) 6,3

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Giunto nel 2011 alla seconda edizione, il Rapporto annualedi Save the children sui minori stranieri in Italia è diventatoanch’esso un riferimento nel panorama conoscitivo dei diversiaspetti del pianeta italiano dell’immigrazione. Il rapporto diSave the children – un’organizzazione indipendente che daquasi un secolo sta sulla scena internazionale occupandosidella protezione e della promozione dei diritti dei minori – siunisce a quel materiale documentale di informazioni e di studi(del quale libertàcivili in ogni numero dà conto) compostodagli annuali dossier della Caritas, del Censis, del Cnel,dell’Ismu, dell’Istat, oltre alle documentazioni fornite dalleistituzioni centrali e locali a partire dal ministero dell’Interno. Ilrapporto – disponibile per la consultazione anche on line sulsito www.savethechildren.it – affronta uno degli aspetti piùspinosi e spesso drammatici dell’immigrazione, quello deiminori stranieri, una realtà come vedremo subito estremamenteeterogenea e complessa.

Una campagna pubblicitaria televisiva promossa dall’Unhcr(L’Alto commissariato Onu per i rifugiati) è entrata nelle casedegli italiani negli ultimi mesi mostrando uno spaccato di questarealtà dei minori stranieri. Immagini di sofferenza, di abbandono,di elementari diritti umani violati e calpestati in tante regionidel mondo che ripropongono il tema generale delle migrazioninon solo nei suoi termini politici, o legali, o economici macome qualcosa che prende di petto la questione della dignitàumana e i valori intorno ai quali, come abbiamo scritto altrevolte, viene organizzata la convivenza civile delle società.

Quei minori stranierisempre più “minori d’Italia”

di Giuseppe Sangiorgi

Il Rapporto 2010 di Save the children analizzala realtà di oltre un milione di bambini e ragazzidi nazionalità non italiana, di cui oltre 600milanati nel nostro Paese. Un universo compositoche reclama diritti e maggiore attenzione

Giunto alla seconda edizione,il rapporto è diventato anch’esso un riferimentoobbligato per la conoscenza dei problemi delle migrazioni,insieme a quelli di Caritas,Censis, Ismu,Cnel e Istat

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La documentazione offerta da Save the children – pensiamoanche alla sua campagna per l’adozione a distanza, con 80centesimi al giorno, dei minori stranieri in difficoltà – ha laconcretezza dell’organismo che si occupa di migliaia di singolicasi umani attraverso una serie di progetti educativi, diaccoglienza e di lotta allo sfruttamento e alla tratta dei minori,progetti attuati anche insieme ad amministrazioni pubblichecentrali e periferiche del Paese. Ma lo sguardo d’insiemedell’organizzazione va oltre l’emergenza per ricomprendere lacondizione del milione e più di minori stranieri presenti oggi inItalia. Un universo – si legge nel rapporto – difficile da definiresia dal punto di vista statistico che sociologico per le tante ediverse figure individuabili al suo interno. Il rapporto ne classificasette: i minori nati in Italia da genitori stranieri regolarmentesoggiornanti; i minori che entrano regolarmente per ricongiungersiai propri genitori; i minori che arrivano irregolarmente, dopo

Il progetto Praesidium

Fra le attività svolte da Save the children in collaborazionecon il ministero dell’Interno c’è la partecipazione al progetto“Praesidium - Potenziamento dell’accoglienza rispetto aiflussi migratori che interessano l’isola di Lampedusa”avviato nel febbraio 2006 dal dipartimento per le Libertà civilie l’Immigrazione, con la sottoscrizione di convenzioni bilaterali– con Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni),Croce Rossa Italiana, Unhcr – e il finanziamento dell’iniziativainsieme alla Comunità Europea nell’ambito del Progetto comunitario“Argo 2005”. Dal 2008, in considerazione dell’aumento delnumero di minori stranieri non accompagnati, tale progetto hacoinvolto anche Save the children (vedi libertàcivili n. 3/2010pg. 136).

Rinnovato nel 2011 per il sesto anno consecutivo, il progettoha l’obiettivo di consolidare e potenziare la capacità di acco-glienza e di gestione dei flussi migratori misti, composti cioè dimigranti economici e rifugiati politici, che interessano determinatearee dell’Italia meridionale. Concentrato inizialmente sull’isoladi Lampedusa è stato poi esteso ai centri di accoglienza ecomunità alloggio per minori di Sicilia, Calabria, Puglia eSardegna. Le regioni attualmente interessate sono Sicilia, Calabria,Campania e Marche.

L’attività prevede che migranti e profughi siano informati

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Il Rapporto sui minori stranieri in Italia di Save the children

avere affrontato il viaggio senza nessun adulto di riferimento;i minori che arrivano irregolarmente insieme con i genitori; iminori che transitano per l’Italia diretti verso altri Paesi; i minoriche arrivano irregolarmente per ricongiungersi ai propri genitorio ad altri parenti; i minori vittime di tratta.

Dentro questo universo così complesso il punto centrale,secondo il rapporto, è che “un cambiamento in senso restrittivonelle politiche di ingresso e di controllo può determinare unabbassamento del livello di garanzia e di godimento dei dirittifondamentali riconosciuti ai minori dalle convenzioni interna-zionali e dall’ordinamento interno”. A proposito della legge94/2009 Save the children chiede una riconsiderazione che siain grado di conciliare le due sicurezze che sono sul piattodella bilancia: la sicurezza sociale dei Paesi riceventi e lasicurezza sociale degli immigrati, in particolare quando si trattadi minori. Non deve esserci tensione tra le norme di protezione

sui rischi legati alla migrazione irregolare, alla tratta di esseriumani e alla riduzione in schiavitù a scopo di sfruttamento,sulle conseguenze della permanenza irregolare sul territorionazionale e sulle procedure di ingresso regolare in Italia. Èprevisto poi il monitoraggio del buon andamento delle proceduredi accoglienza nei centri e il supporto alle forze dell’ordinenell’individuazione di gruppi vulnerabili bisognosi di particolareassistenza (minori non accompagnati, vittime di tratta, migrantia rischio sfruttamento).

In particolare, Save the children svolge attività di orientamentoe informazione legale e mediazione culturale verso i minoristranieri, anche quelli con nucleo familiare al seguito, dalmomento dello sbarco alla collocazione nei centri di accoglienzao comunità dedicate, attraverso sessioni di informazione collettivae colloqui mirati per offrire sostegno e assistenza in casi specifici.Supporta inoltre i presunti minori nel processo di identificazionee ha realizzato un monitoraggio degli standard di accoglienza erispetto delle procedure a tutela dei minori all’interno del centrodi Lampedusa – concluso nel febbraio del 2009 – negli altri centriper immigrati e nelle comunità alloggio per minori stranieri nonaccompagnati presenti sul territorio siciliano.

In accordo con il principio di modulazione dell’intervento inbase alle criticità che man mano si evidenziavano, l’attività dellequattro Agenzie, sempre in raccordo con il ministero dell’Interno,si è indirizzata verso quelle categorie di migranti che, in quel

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Il Rapporto sui minori stranieri in Italia di Save the children

dei minori e le politiche di contenimento della immigrazione.Negli ultimi sette anni il numero dei minori stranieri residenti

in Italia è passato dai 400mila del gennaio 2004 agli oltre930mila del gennaio 2010, pari all’8% della popolazione minorileitaliana. Oggi siamo oltre il milione e più di 600mila di lorosono nati in Italia. Con percentuali che vanno dal 25 al 28 percento Cremona, Lodi, Brescia, Mantova, Bergamo, Prato, Vicenza,Treviso, Reggio Calabria e Lecco sono le prime dieci provinceitaliane per densità abitativa di minori stranieri. Quelli nonaccompagnati sono intorno ai cinquemila.

Secondo il rapporto appariva in diminuzione il flusso di quelliprovenienti dal Corno d’Africa in seguito agli accordi fra Italiae Libia. Ma questo era il dato del 2010. Oggi i drammaticiavvenimenti della Libia hanno rimesso in discussione la situazione.Quanto agli altri, denuncia ancora il rapporto, “i loro canalid’arrivo sono sempre più rischiosi, nascosti dentro tir e furgoni

determinato momento storico, risultavano essere più esposte arischio di sfruttamento o di violenza, come ad esempio le donne,i minori non accompagnati, i lavoratori stagionali presenti inalcune regioni del sud dell’Italia (Campania).

Praesidium VI. Nella annualità in corso, l’attività diPraesidium si sta rivelando uno strumento idoneo anche perfronteggiare la situazione di emergenza umanitaria dovutaall’immigrazione dai Paesi del Nord-Africa. Tra gli obiettivioperativi di Praesidium VI c’è il rafforzamento della capacità diprofiling dei migranti per dare soccorso e specifica accoglienzaalle c.d. categorie vulnerabili, soprattutto i minori non accom-pagnati, anche richiedenti asilo politico o protezione sussidiaria,che sono seguiti nel loro percorso assistenziale anche pressole case-famiglia di destinazione. Particolare attenzione vieneprestata verso i migranti portatori di traumi fisici o psichici,vittime di tortura o violenze generiche, i quali sono indirizzatipresso i presidi medici dei centri di accoglienza o del territorio,per ricevere cure e sostegno competente e adeguato. Prosegueinoltre l’attività di formazione/informazione dei soggetti istitu-zionali e non, preposti, a vario titolo, alla gestione dei flussimigratori, in uno sforzo congiunto di accrescere la capacitybuilding di tutto il sistema nazionale di accoglienza.

(s.n.)

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nel caso di minori afgani e bengalesi, o su navi da diportoirriconoscibili e non facilmente intercettabili nel caso di quelliprovenienti per esempio dal Medio Oriente. I trafficanti chegestiscono i viaggi chiedono per ciascun ragazzo cifre tra iquattro e i cinquemila euro. Per ripagare il debito contrattodalle famiglie, i ragazzi si ritrovano esposti al rischio disfruttamento o di caduta nei circuiti della clandestinità, delladevianza e della illegalità.

Rispetto a questi dati e a questi gravissimi aspetti secondoRaffaella Milano, responsabile dei programmi italiani ed europeidell’organizzazione, è urgente fare almeno tre cose: “dare corsoalle misure sull’integrazione dei minori previste dal Pianonazionale ‘Identità e incontro’ varato dal governo nel maggio 2010;rivedere le norme sulla cittadinanza prevedendo il riconoscimentoprima del compimento dei 18 anni; approntare un programmaorganico per la protezione dei minori stranieri nelle condizionidi maggiore rischio. Su questo ultimo punto, un segnale positivoè venuto dal Parlamento nel mese di ottobre 2010 con l’appro-vazione di una mozione unica sottoscritta dai diversi gruppi,volta a rafforzare la tutela dei minori stranieri non accompagnati”.

Il rapporto di Save the children disegna una politica dell’acco-glienza e dell’integrazione che passa naturalmente per la scuolae per i servizi a favore dell’infanzia. Contrarietà alle soglie disbarramento per gli alunni stranieri nelle classi, e rafforzamentoinvece delle risorse e degli strumenti a favore della scuolaperché questa istituzione fondamentale possa giocare il ruolonecessario nei processi di integrazione. Maggiori spese per lascuola, così come per i servizi d’assistenza, non vanno intesecome un costo ma come un investimento. Un investimento nelfuturo di tutto il Paese, non dei soli minori stranieri.

Raffaella Milano,responsabile dei programmi italiani di Savethe children:dare corso alle misure previste nel piano nazionale del Governo “Identità e incontro”varato nelmaggio 2010

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È stata presentata il 15 giugno con tre diversi eventi laversione italiana del Glossario migrazioni e asilo preparato dallaRete europea migrazioni (EMN, European Migration Network,vedi scheda in fondo all’articolo) nel contesto di un gruppodi lavoro ad hoc che, sin dal 2005, si è riunito regolarmentecon l’obiettivo di fornire definizioni e spiegazioni comuni ditermini legati al settore dell’asilo e della migrazione.

Il Glossario, che presenta in maniera sistematica l’uso el’interpretazione comune delle parole e locuzioni utilizzatenel settore, vuole essere un documento utile e di riferimentoper i Punti di contatto nazionali EMN (EMN NCPs) e i membridelle loro reti nazionali, così come per tutti gli altri operatori.La raccolta comprende 300 termini di uso essenzialmentegiuridico, raggruppati, ove possibile, in famiglie semantiche(per es. “Asilo - Diritto di”, “Asilo - Domanda di”, ecc.), per iquali viene offerta un’esauriente definizione, corredata senecessario da riferimenti al termine più specifico o piùampio, al termine correlato (anche in senso opposto) e alsinonimo. Viene evidenziata graficamente, oltre al vocaboloin italiano, la sua traduzione in lingua inglese tratta dalla versioneoriginale curata sempre dal gruppo di lavoro EMN e riportatala corrispettiva traduzione nelle altre lingue europee. Infine èriportato il parametro fondamentale: la fonte del diritto cui sicollega il termine utilizzato.

Le fonti giuridiche sono state raggruppate in ordine diimportanza. La priorità è stata riconosciuta alle definizionifornite dall’acquis communautaire, che riguardano preva-lentemente argomenti come l’asilo, i rifugiati, la migrazione(ir)regolare e il ritorno. L’elevato numero dei termini propostitestimonia della complessità della tematica e dell’importanzadi definire in maniera il più possibile univoca i vocaboli chiavedi una materia tanto sensibile e controversa.

L’aggiornamento futuro prevede l’introduzione di terminipropri di altri aspetti della fenomeno migratorio, in particolarequelli collegati alla sociologia, all’economia e all’integrazionee il perfezionamento delle definizioni. Il glossario sarà inoltre

Il Glossario delle migrazioni.Strumento per una politica comune europea

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Il glossario delle migrazioni

Bisogna saper leggerele migrazioniattraverso la lente degli effettivi bisogni del Paese

utilizzato per l’ulteriore sviluppo del Thesaurus EMN, strumentofinalizzato a semplificare la ricerca sistematica dei documenticontenuti nel Sistema di scambio di informazioni della rete.

L’importanza di tale lavoro sistematico è evidente se siconsidera che le definizioni esistenti nel campo dell’immi-grazione e dell’asilo sono spesso imprecise o discordanti,che per molti termini non ci sono definizioni universalmenteaccettate, che i termini riguardanti la migrazione vengonousati in maniera differente tra i vari Stati membri e che, ancheall’interno di uno stesso Stato, vengono seguiti approccidifferenti e i diversi organismi (ad esempio i governi, leautorità di polizia e di frontiera, le organizzazioni governative enon-governative) tendono a utilizzare determinate definizionisulla base delle proprio punto di vista.

In un simile contesto si rende necessaria una piattaformache consenta un corretto scambio di informazioni e favoriscaquanto più possibile l’uniformità nella definizione, e quindinel trattamento, di situazioni, qualità, status, fornendo unmezzo valido di confronto e armonizzazione in un settoreeterogeneo e delicato. Si tratta una delle tappe di un percorsolungimirante, lo scambio di informazioni aggiornate, oggettivee attendibili a supporto dello sviluppo delle politiche in materiadi asilo e migrazione, un importante obiettivo individuato sindalle prime fasi dell’evoluzione di una politica comune a livelloeuropeo in materia di asilo e immigrazione.

La corretta comunicazione delle informazioni e delle notizieè un aspetto centrale nella società odierna, e l’utilizzo impropriodi termini e definizioni può avere un impatto fortementenegativo (vedi libertàcivili n.3/2010 e n. 2/2011, dedicati al temadella comunicazione). Per questo, oltre che per le istituzionicomunitarie, gli Stati membri, i policy-makers, i giudici, iprofessionisti e gli operatori del settore, cui è in primo luogodestinato, il Glossario è uno strumento utile anche per i media,per raccontare in modo non distorto il mondo dell’immigrazione.

(s.n.)

Scheda / Che cos’è l'EMN?La European Migration Network (EMN) costituisce uno

degli strumenti creati dalla Commissione europea, in colla-borazione con gli Stati membri dell’UE, per rispondere alleesigenze di informazione delle istituzioni comunitarie, delleautorità e delle istituzioni degli Stati membri, fornendo

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Il glossario delle migrazioni

informazioni aggiornate, obiettive, attendibili e confrontabilisul tema della migrazione e dell’asilo e favorendone lo scambio.Svolge un ruolo di supporto ai responsabili europei delle politichesu questi temi ed è anche chiamata a fornire informazioniall’opinione pubblica. È stata istituita formalmente con laDecisione del Consiglio n. 381 del 14 maggio 2008.

La struttura della rete è costituita dalla Commissioneeuropea e dai Punti di contatto nazionali, uno per ogni Statomembro. I Punti di contatto sono designati dai governi degliStati membri e ne fanno parte i ministeri dell’Interno e dellaGiustizia, affiancati da istituti di ricerca e organizzazioni nongovernative. I Punti di contatto sono al centro della rete perchésvolgono il lavoro di documentazione, analisi e ricerca.Referente per l’Italia è il ministero dell’interno (la Direzionecentrale per le politiche dell’immigrazione e dell’asilo deldipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione) che siavvale del supporto del Centro Studi e Ricerche IDOS-Dossierstatistico immigrazione, chiamato a implementare – per la suacomprovata esperienza operativa nel settore dell’immigra-zione e dell’asilo – il punto di contatto nazionale sin dal 2002.

L’EMN redige ogni anno rapporti annuali che delineano iprincipali sviluppi in campo politico e legislativo degli Statimembri, come anche i dibattiti politici in tema di migrazionee asilo; rapporti annuali sulle statistiche in materia di asilo emigrazione; raccolte compilative delle risposte ricevute allerichieste ad hoc (Ad-Hoc Queries); studi su temi ritenuti rile-vanti per i responsabili politici.

Tutti gli studi svolti dall’EMN, inclusi i rapporti nazionali ei rapporti di sintesi, sono pubblicati sul sito web dello EuropeanMigration Network (www.emnitaly.it) e sono accessibili a tutti.

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di “incontro di classe”al sesto piano

di Maria Vittoria Pisani

Nella pellicola di Philippe Le Guay, ambientatanella Parigi degli anni ’60, va in scena l’incontrodi due mondi – quello della borghesia bene e quello del personale di servizio – distanti, anchese separati soltanto da una scala d’ingresso

Parigi, anni ‘60. In uno dei tanti edificid’epoca napoleonica che rimboccanoi vari “Boulevard” della capitale, duemondi paralleli coabitano senzaconoscersi: quello delle famigliedella Parigi “bene”, di lunga – o nuova– generazione borghese e quello delpersonale a servizio presso dettefamiglie, d’origine per lo più iberica,

in fuga dalla miseria e dalla Spagna franchista.Due mondi divisi, fisicamente separati da scale d'ingresso

diverse: la padronale, con tanto di tappeto rosso e ascensore,a uso esclusivo delle famiglie “per bene”; quella interna nelcortile del palazzo, occultata alla vista dei più da una porticinadai vetri opachi, stretta in scalini a chiocciola portanti all'ultimopiano dell'immobile. Ed è a questo piano, il sesto, che vivequest'umanità di “bonnes”, ognuna con la sua storia, diversama per molti versi simile alle altre, relegata in camerette anguste,con servizi igienici comuni, mal funzionanti se non addiritturaguasti, privi di qualsivoglia riscaldamento.

Un mondo a parte, decisamente ignoto a quello della scalapadronale, ripiegato su se stesso, sul proprio vacuo perbenismo,percorso da pregiudizi ancestrali, animato da atteggiamentidi condiscendente buonismo nei confronti di questa manovalanzadi basso ceto, ma a buon prezzo, stranamente “pulita” e che“si lava”! Un modo che pur vicino è in realtà molto lontano,relegato nei sotto tetti cui le “bonnes”, dopo l'orario di lavoro

Les Femmes du 6ème étage:

di Philippe Le Guay,con Fabrice Luchini,

Sandrine Kimberlaine,Carmen Maura,Natalia Verbeke

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Il film Les Femmes du 6ème étage

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ium accedono dall’uscita di servizio degli appartamenti borghesi,

completamente e volutamente ignorato dal mondo padronale.

A questo mondo padronale appartiene la famiglia di MonsieurJean Louis Joubert (Fabrice Lucchini), un agente di cambioche gestisce uno studio d’eredità paterna, fondamentalmenteonesto e senza velleità speculative, la cui vita si svolge tra ilproprio lavoro e le sole mura domestiche. Monsieur Jobert èsposato da anni a Madame (Sandrine Kimberlaine), perennementepresa in quotidiane vacue occupazioni, che dirige, senza in realtàminimamente occuparsene, la vita quotidiana della famiglia,delegando l’educazione dei suoi due figli a un collegio “dall’ec-cellente reputazione”.

All’altro mondo, quello del sesto piano, appartiene inveceMariat (Natalia Verbeke), una giovane spagnola da poco arri-

vata dalla Spagna in cerca di lavoro. Mariatsi ambienta subito in questo nuovo universoeminentemente femminile e riesce a ottenerelavoro presso la famiglia di Monsier Joubert,entrando rapidamente nelle grazie di Madame,ma soprattutto di Monsieur. Quest’ultimo,infatti, se ne innamora progressivamente,fino ad arrivare a rimettere in causa il propriomatrimonio nonché le priorità della sua stessavita, finendo con il coinvolgere anche la sua

Signora in questa stravolgente “remise en question”.Storia banale, dai risvolti alquanto prevedibili e che tale

resterebbe se non fosse, in realtà, il pretesto per affacciarsi econoscere questo mondo diverso e sconosciuto del sestopiano: infatti, grazie all’interesse che Monsieur nutre per Mariat,Jean Louis Jubert finisce coll'interessarsi a questa pletora di“bonnes”, ai loro problemi, ai loro sogni, finendo con l’utilizzarela propria posizione sociale per alleviarne i problemi se nonaddirittura aiutarle a realizzare le ambizioni, passando dalrisolvere il problema ancestrale dell’intasamento del bagnoall’ottenere per una di loro la gestione di una portineria!

E anche qui la storia risulterebbe ancora alquanto banale sela presa di coscienza di Monsieur Jubert dell’esistenza diquesto universo parallelo cui si deve riconoscere uguale dignitàfosse il risultato della sola infatuazione per Mariat. Ma non ècosi! Monsieur accede al cambiamento in quanto è l’universostesso del sesto piano che lo conquista: Jean Louis Jubert,accusato ingiustamente di tradimento dalla moglie, si rifugiaproprio in questo sottotetto, condividendo con le “bonnes” la loro

L’incontro fra due mondi,quello dei sogni diventati diritti di cittadinanza e quellodei sogni che restano solo speranza di diventare qualcosa di nuovo e diverso

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Il film Les Femmes du 6ème étage

vita basica, per accedere, attraverso questa condivisione,gradualmente, alla felicità, assaporando in pieno la proprialibertà di essere, nell'ambito paradossalmente angusto di un“rèduit” di due metri quadri!!!

Forse, e dico forse, l'intero film risulterebbe alquanto minimalistase Philppe Le Guay non avesse scelto attori di indubbio talento

per animarlo e farlo vivere di vera umanità:un Fabrice Luchini estremamente convincentenel suo personaggio di borghese “coincé”,a metà strada tra l'adempimento dello statussociale ereditato ma noioso e una naturaautenticamente empatica; una SandrineKimberlaine perfetta nel suo ruolo di borgheseprovincialotta, quindi di nuova generazione,tutta tesa ad adempiere al suo ruolo di mogliee madre secondo i più alti livelli stereotipali

di classe; una Natalia Verbeke estremamente seducente nellasua figura di donna di servizio riservata, di poche parole,apparentemente e volutamente mansueta; una Carmen Maura,alias Conception, zia di Mariat (Natalia Verbeke), che rende almeglio di se la “bonne” emigrata per far fortuna e poter comprareuna casa in Spagna, ove poi tornare a condurre la vita di “patrone”.

Accanto a questi attori di provata capacità, una pletora diottime comparse si muove per dar vita alle mille sfaccettaredella donna di servizio tipo dell’epoca: dalla ragazzotta in esilioperché in cerca di sistemazione presso un marito francese,alla contestataria che, in fuga dalla Spagna franchista, è inperenne rivolta contro la classe padronale dominante per itrattamenti discriminatori perpetrati e che con rabbia perenneaffronta quella che considera una condizione di vita inaccettabilema ineluttabilmente immutabile: il tutto, passando per la “bonne”emigrata semplicemente per penuria di lavoro in patria, conl’ossessivo obiettivo di assicurare un futuro ai suoi figli.

Con “Les Femmes du 6ème étage” Philippe le Guay ci rega-la un vero e proprio spaccato di umanità, che, benché ani-mante una Parigi degli anni andati, è sempre di grande, atem-porale attualità.

Atemporale è infatti la discriminazione apportata dalla classedominante, finanziariamente e socialmente, nei confronti degliemigranti che, alla ricerca di una migliore qualità di vita, se nondi una qualità “tout court”, lasciano il proprio Paese per altri lidi.

Atemporale è lo sguardo vessatorio della stessa checonfonde sovente povertà con miseria umana e tratta ancoraoggi il “nulla tenente” come un “nulla essente”. Eppure questi

Il film ha una severa attualitàper gli spaccati che mostra:la discriminazione di classe,il confondere povertà e miseriaumana, il ritenere il nulla tenente un “nulla essente”

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Il film Les Femmes du 6ème étage

“nulla essenti” sono coloro che, ieri come oggi, per fame,sono disposti a fare lavori che i civili concittadini abiurano!

D’altro canto, prima di queste “bonnes” spagnole, quantiitaliani, dall'immediato Dopoguerra in poi, hanno riempito allamen peggio delle poco probabili valigie di cartone, serrate inspaghi a doppio filo, per andare esuli in altri Paesi alla ricerca diun lavoro? Quanti si sono dovuti adattare a lavori estremamente

umili e fisicamente provanti per sbarcare illunario per sé e le proprie famiglie? E ciònon solo nella lontana America, ma anchee soprattutto nella più vicina Germania e/o nellimitrofo Belgio!

L’Unione Europea, con i suoi quattro principipropri del mercato unico, in primis quellodel riconoscimento e attuazione della libertàdi stabilimento e di prestazione di servizioper tutti i cittadini dell’Unione, era decisamente

lontana! Non solo per la Spagna che non ne faceva parte, maanche per un Paese fondatore come l’Italia! Perché sovente sidimentica che talune conquiste civili, oggi definitivamenteacquisite, fino a ieri non erano affatto date. E ancora: coloroche hanno duramente lottato per vedersi riconosciuti questidiritti, dimenticano, o piuttosto rimuovono, le pene sofferteper arrivarci. Né le situazioni di totale necessità in cui vivono lenuove generazioni di emigranti sembrano aiutare la nostramemoria.

Chissà che non vi riesca, Philippe Le Guay con le sue“Femmes du 6ème étage”.

È stata lunga e sofferta la strada, ancora lontana dal traguardo, delle conquistecivili, oggi definitivamente acquisite, ma costate umiliazioni e sacrifici

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Il primo romanzo pubblicato da Franco Di Mare, Nonchiedere perché, cattura da subito come un reportage privatopubblicato 20 anni dopo. Ma non per questo meno attuale,meno intenso, meno emotivo di un racconto d’attualità.Semmai uno di quei reportage che ti riconcilia con ilgiornalismo. Una di quelle storie dove i personaggi posseggonol’anima e la carta d’identità dei loro ispiratori e non stentia riconoscerli perché la narrazione trasuda di fatti e ha ilsapore della verità, a differenza di certe sensoriali corri-spondenze giornalistiche assai in voga negli ultimi anni.

Franco Di Mare, la “sua” guerra del Kosovo la raccontacon l’intimità con cui un giornalista la racconterebbe unasera a casa propria in salotto fra gli amici più cari. Storie ditutti i giorni dentro storie che hanno fatto la storia. Nientefiltri, nessuna analisi politica, che non sia la riflessioneinteriore e critica su quei quattro anni di assedio, sui 15milamorti di cui l’85% civili. “Noi raccontavamo l’assedio, ma inItalia, a 50 minuti di volo, lo capivano? – si chiede – perchéla religione davvero non c’entrava niente, quella era unaguerra di potere”. Nessun ridondante pietismo, solo lacronaca asciutta e attonita su come, inverosimilmente,si cominciò a sparare sui bambini che, racconta Di Mare,“è una cosa che ti toglie il fiato”.

Solo che la telecamera dell’operatore, in Non chiedereperchè, è puntata su Marco, protagonista di questo romanzoche viene inviato in Kosovo come giornalista televisivo araccontare la guerra. Dove incontra i suoi “angeli”, queicollaboratori locali che, nelle zone di guerra, ti affiancanoe ti proteggono e senza i quali – come lui stesso sottolinea –“non avrei mai potuto fare tutto quello che ho fatto”. Esoprattutto trova lei, Malina, una bimba di pochi mesi cheentra prepotentemente nella sua vita durante un serviziosu un orfanotrofio bombardato di Sarajevo. È questa labella, bellissima storia d’amore tra un uomo e una culla.Tra quello che sarà un padre, senza averlo cercato, senzaaverlo previsto, e quella che sarà una figlia, che a pochimesi di vita lo cerca e lo sceglie con la determinazionee la magia seduttiva del sorriso di una bimba. Marco faràdi tutto per portare via la bambina e non sarà lui a salvarela vita di Malina, ma semmai il contrario. Quella bimbache oggi è ormai grande e quando nel dicembre 2009

Non chiedere perché di Franco Di Mare Rizzoli, 2011

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Voci di donne migrantiA cura di Claudia Carabini,Dina De Rosa, Cristina Zaremba Ediesse, 2011

Franco Di Mare è voluto tornare a rivedere la sua Sarajevo– e dare l’ultimo bacio a uno dei suoi “angeli” – prima dipartire gli ha chiesto: “fai molte foto papà”.

Degli immigrati e delle loro storie si parla spesso suimedia, ma nella maggior parte dei casi attraverso lanostra prospettiva, proponendo la nostra visione della lororealtà. Come discusso nell’ultimo numero di libertàcivili èinvece diventato fondamentale invertire questa prospettivae dare “diritto di parola” ai migranti stessi, affinché sianoloro a raccontarci, dal loro punto di vista, le vite vissute,le esperienze, i problemi che incontrano. Anche per farciscoprire prospettive nuove, e magari consentire a “noi” dicomprendere meglio “loro”.

Questo volume pubblicato da Ediesse, già dal titolo –Voci di donne migranti – si inserisce perfettamente nelparadigma del diritto di parola. Le voci contenute in questaraccolta si riferiscono a ventuno donne migranti, giunte aRoma in tempi diversi, che raccontano la loro vita. Per lorosi tratta quasi di una “prima volta”: raramente hanno avutomodo di parlare, ancor più raramente hanno trovato ascolto.“Abbiamo qualcosa dentro il cuore, però non sappiamocome dirlo, come spiegare a voi per far capire quello chesentiamo”, dice una di loro, a dimostrazione di come ilbisogno di far parlare i protagonisti sia, in primo luogo,un bisogno dei protagonisti stessi.

Questo libro ha dato voce alle donne migranti; una voceche racconta di fughe dalla guerra e dalla miseria, di sacrificie stenti, ma anche di quotidianità e conquiste. Il tema dellamaternità, vissuta lontano dagli affetti e dalle tradizioni,è stato il filo rosso che ha guidato questa raccolta di storie,ma anche un pretesto per narrare altro: identità perdute,aspettative e delusioni, coraggio, forza, riscatto sociale.Sono storie di donne che si sentono cittadine del mondo.Alcune ricordano la vita, gli usi e costumi del Paese d’origine.Tutte parlano della loro realtà quotidiana, con le fatiche e lesperanze di donne e di madri. Le curatrici – Claudia Carabini,Dina De Rosa, Cristina Zaremba – si sono avvalse dellametodologia autobiografica per “tradurre” in forma scrittaqueste voci di donne migranti, proponendo così un panoramadi testimonianze sul mondo dell’immigrazione femminile inItalia e in particolare a Roma. Il volume contiene, inoltre,un dialogo a distanza con queste donne attraverso leriflessioni di Maura Cossutta, Cecilia Bartoli e Mercedes Friase il saggio di Antonella Martini.

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Ancora un libro sulle donne, ancora un libro in cui latestimonianza dei protagonisti è in primo piano. Il tema èdi quelli che fanno indignare, che non possono lasciareindifferenti; la tratta delle prostitute sul nostro territorio èun fenomeno di dimensioni notevoli, sia dal punto di vistadei numeri che da quello economico e chi gestisce talitraffici trae profitti notevoli da questa attività.

Il libro 500 storie vere sulla tratta delle ragazze africanein Italia si concentra sulle prostitute provenienti dalContinente Nero, che costituiscono comunque la fetta piùlarga del fenomeno. A scriverlo è stata Isoke Aikpitanyi,che questa esperienza l’ha vissuta sulla sua pelle. Natain Nigeria a Benin City, arriva in Italia nel 2000 per lavorare,ma viene ingannata e resa schiava. Liberatasi dall’oppres-sione, si dedica interamente alle altre decine di migliaiadi ragazze nigeriane schiavizzate in Italia avviando il Progetto“Le ragazze di Benin City”, divenuto un’associazione.

Basato sui risultati di un’indagine capillare svoltasi intutta Italia e realizzata con il contributo del ministero dellePari opportunità, il libro racconta con forza e concretezzale storie di centinaia di ragazze nigeriane rese schiave ecostrette con l’inganno a prostituirsi dall’alleanza framafia nigeriana e criminalità italiana. Sono tante le ragazzeafricane, soprattutto nigeriane, scomparse o uccise, maquesto non ferma il flusso illegale e ininterrotto di arrivi dimigliaia di giovanissime, spesso minorenni, che da quasivent’anni vengono condotte nel nostro Paese. A tutte vieneimposto un debito altissimo, fino a 80mila euro, cui debbonofar fronte nel tempo sotto la stretta e violenta sorveglianzadella rete delle maman, diffuse capillarmente in tutto ilterritorio nazionale. Eppure sta crescendo il numero delleragazze che, come l’autrice del libro, si ribellano al ricattodella mafia e, attraverso percorsi diversi, riescono a liberarsidal suo dominio.

Contributi significativi affiancano nel libro la denunciadella tratta: quelli dello scrittore Roberto Saviano, dei musicistiinglesi Michael Nyman e David McAlmont, dell’artistaamericana Martha Rosler, cui si accompagnano le riflessionidi Claudio Magnabosco e Gianguido Palumbo, due uominiitaliani impegnati nelle reti e nelle associazioni contro latratta per un cambiamento delle responsabilità maschili.

500 storie vere Sulla tratta delle ragazzeafricane in Italia. di Isoke AikpitanyiEdiesse, 2011

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a cura di Stefania NassoDoc

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Cittadinanza italiana per matrimonio e residenza:i dati 2010 su istanze e concessioni di Stefania Nasso

Sono stati resi noti dalla Direzione centrale per i diritti civili,la cittadinanza e le minoranze del ministero dell’Interno i dati2010 riguardanti istanze e concessioni di cittadinanza italiana.Anche quest'anno presentiamo una selezione di statistichecorredate da un breve commento ricordando che sul sitowww.interno.it, sezione cittadinanza/statistiche è disponibile laserie completa.

Sono 40.223 i nuovi cittadini italiani nel 2010 su un totaledi 41.857 istanze definite.

Notiamo subito come si confermi la tendenza all’incrementoannuale (+ 6,67%) dei procedimenti conclusi. Rispetto al 2009sono in deciso aumento i dinieghi, passati da 859 a 1.634(+90,22%) e in gran parte attribuibili alle istanze di concessioneper residenza conclusesi negativamente. Alla data del 31 dicembre2010 risultano inoltre 146.281 richieste in itinere delle quali 112.490(oltre il 76%) per residenza.

Concessioni di cittadinanza italiana (2008-2009-2010)

Fonte: ministero dell’Interno

procedimenticonclusifavorevol-mente

procedimenticonclusinegativa-mente

totaledefinite

Art. 5* Art.9* Totale Art.5 Art.9 Totale Art.5 Art.9 Totale

24.950 14.534 39.484 17.122 22.962 40.084 18.593 21.630 40.223 + 0,34%

434 305 739 432 427 859 468 1.166 1.634 + 90,22%

25.678 15.224 40.902 18.647 23.874 40.943 19.061 22.796 41.857 + 6,67%

Variazione %

2009-2010

2008 2009 2010

*Art. 5 concessione per matrimonio con cittadino italiano*Art. 9 concessione per residenza

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I dati 2010 sulle concessioni di cittadinanza italiana

Guidano la classifica dei nuovi italiani i cittadini provenienti daMarocco, Albania e Romania. Rispetto al 2009, quando l’Albaniaprecedeva il Marocco, c’è uno scambio tra le prime due posizioni(vedi libertàcivili n. 2/2010 pg.150).

Fonte: ministero dell’Interno

Concessioni per matrimonio e residenza per Paese di provenienza, prime dieci nazionalità (anno 2010)

matrimonio residenza totale

Marocco 2.135 4.817 6.952

Albania 1.570 4.462 5.628

Romania 1.210 1.359 2.929

Perù 1.166 842 1.377

Brasile 984 788 1.313

Tunisia 811 571 1.215

Ucraina 783 553 1.033

Polonia 745 537 974

Egitto 683 534 912

Russia 657 464 861

Altri 7.849 6.703 17.029

Totale 18.593 21.630 40.223

Fonte: ministero dell’Interno

Istanze in Itinere al 31.12.2010

Art. 5 Art. 9 Totale

33.791 112.490 146.281

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I dati 2010 sulle concessioni di cittadinanza italiana

La suddivisione per genere e fasce d’età mostra come sianoin netta prevalenza le donne a chiedere e ottenere la cittadinanzaper matrimonio (84%) mentre coloro che la ottengono per residenzasono in maggioranza uomini, anche se con una percentualemolto più bilanciata (61,5%) rispetto alle donne nella stessacategoria.

La fascia d’età 3 0-39 predomina nelle concessioni permatrimonio e quella oltre 40 anni nelle concessioni per residenza.

Concessioni per matrimonio con cittadino italiano (2010)

Donne per fasce d’età 20-29 30-39 oltre 40

Marocco 1.746 377 831 538

Romania 1.495 457 695 343

Brasile 1.024 275 447 302

Ucraina 979 157 420 402

Albania 953 324 439 190

Russia 734 224 337 173

Cuba 721 289 335 97

Moldavia 672 197 271 204

Polonia 645 148 371 126

Perù 507 72 251 184

Altri 6.159

Totale 15.635

Fonte: ministero dell’Interno

Uomini per fasce d’età 20-29 30-39 oltre 40

Marocco 389 110 184 95

Argentina 380 14 83 283

Albania 213 96 97 20

Brasile 186 37 70 79

Egitto 178 49 99 30

Venezuela 140 4 50 86

Tunisia 130 44 50 36

Senegal 99 12 69 18

Santo Domingo 91 30 46 15

Cuba 90 19 52 19

Altri 1.332

Totale 3.228

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I dati 2010 sulle concessioni di cittadinanza italiana

Concessioni per residenza (2010)

Donne per fasce d’età 20-29 30-39 oltre 40

Albania 1.813 443 638 732

Marocco 1.436 454 450 532

Romania 764 158 357 249

Perù 532 60 139 333

Serbia 239 53 94 92

Polonia 218 38 101 79

Filippine 206 23 48 135

Bosnia 204 56 63 85

Tunisia 167 37 69 61

Macedonia 149 41 65 43

Altri 2.591

Totale 8.319

Fonte: ministero dell’Interno

Uomini per fasce d’età 20-29 30-39 oltre 40

Marocco 3.381 451 914 2.016

Albania 2.469 458 917 1.274

Tunisia 675 23 205 447

Romania 595 125 258 212

Egitto 509 18 129 362

India 455 48 185 222

Bangladesh 408 21 218 169

Macedonia 388 65 188 135

Serbia 295 60 103 132

Ghana 278 14 56 208

Altri 3.858

Totale 13.311

La distribuzione territoriale dei nuovi cittadini è perfettamentein linea con i dati degli anni precedenti confermando la preferenzaa stabilirsi nelle regioni del Centro-Nord per circa il 73% del totale,nell'ordine Lombardia (21,7%), Veneto (12,3), Piemonte (11,8%),Emilia-Romagna (10,9%), Lazio (8,5%) e Toscana (7,6%).

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I dati 2010 sulle concessioni di cittadinanza italiana

Concessioni per regione, matrimonio e residenza

Regioni Matrimonio Residenza Totale

Piemonte 1.744 2.742 4.486Valle d’Aosta 66 82 148Lombardia 3.528 4.742 8.270Trentino Alto Adige 444 744 1.188Veneto 1.610 3.083 4.693Friuli-Venezia Giulia 398 515 913Liguria 550 666 1.216Emilia-Romagna 1.652 2.506 4.158Toscana 1.174 1.715 2.889Umbria 350 443 793Marche 700 1.111 1.811Lazio 1.650 1.619 3.269Abruzzo 360 378 738Molise 54 35 89Campania 583 300 883Puglia 409 277 686Calabria 280 114 394Basilicata 83 27 110Sicilia 573 430 1.003Sardegna 190 86 276Totale regioni 16.398 21.615 38.013Residenti all’estero 2.195 15* 2.210Totale complessivo 18.593 21.630 40.223

Provincia con maggior numero concessioni - Prime dieci posizioni

Milano 3.109Roma 2.593Torino 2.285Brescia 1.459Vicenza 1.153Treviso 1.083Padova 854Firenze 836Verona 778Bologna 763Altro 25.310Totale 40.223

Fonte: ministero dell’Interno

* Le istanze presentate all'estero per residenza ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. c)della legge n. 91/1992 si riferiscono a coloro che prestano servizio per lo StatoItaliano presso ambasciate e/o consolati

Le province che fanno registrare il maggior numero diconcessioni sono Milano, Roma e Torino.

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I dati 2010 sulle concessioni di cittadinanza italiana

Dai dati disponibili per le sole concessioni per residenzaabbiamo una ripartizione delle attività lavorative svolte daglistranieri naturalizzati italiani. L’attività di operaio è quellache guida la classifica mentre sono al secondo posto coloroche dichiarano di essere studenti. Il lavoro casalingo, al terzoposto, precede la collaborazione domestica.

Concessioni per residenza Classifica in base all’attività lavorativa (prime dieci)

Attività Donne Uomini TotaleOperaio 1.945 6.487 8.432Studente 736 594 1.330Casalinga 1.234 78 1.312Collaboratore domestico 886 157 1.043Impiegato 490 285 775Artigiano 96 615 711Autista 4 592 596Commerciante 138 416 554Cuoco 120 345 465Infermiere 300 46 346Non disponibile 1.446 2.371 3.817Totale complessivo 8.319 13.311 21.630

Fonte: ministero dell’Interno

Tra le occupazioni di alta specializzazione, qui in ordinealfabetico, troviamo al primo posto i religiosi, quindi medici,ingegneri e insegnanti.

Concessioni per residenza - Attività altamente specializzate

Attività Donne Uomini TotaleAgronomo 6 12 18Architetto 5 7 12Avvocato 3 7 10Chimico 7 7 14Dirigente 5 7 12Farmacista 18 13 31Giornalista 6 2 8Industriale 3 21 24Ingegnere 22 78 100Insegnante 53 36 89Medico 46 55 101Professore Universitario 1 10 11Regista 2 2Religioso 156 83 239Ricercatore 9 11 20Sportivo 6 11 17

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I dati 2010 sulle concessioni di cittadinanza italiana

Per quanto riguarda i titoli di studio, sempre riguardanti lesole concessioni per residenza, il 38,7% possiede un diplomadi istruzione di secondo grado, il 30,3% la licenza media e il 9%è laureato.

Fonte: ministero dell’Interno

Concessioni per residenza in base al titolo di studio

Titolo di studio Donne Uomini TotaleLaurea 875 1.089 1.964Media superiore 3.677 4.707 8.384Professionale 144 148 271Licenza media 2.285 4.282 6.567Licenza elementare 367 796 1.163Nessuno 354 670 1.024Non disponibile 617 1.619 2.236Totale complessivo 8.319 13.311 21.630

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Il Bilancio demografico dell’Istat relativo al 2010, pubblicatolo scorso 24 maggio, presenta una serie di dati particolarmenteinteressanti sulla popolazione straniera in Italia. Il dato piùevidente è che l’incremento della popolazione italiana registratonell’ultimo anno (+0,5%) è dovuto esclusivamente alle migrazionidall’estero, in quanto il saldo naturale della popolazione(ossia la differenza fra nati e morti) continua ad essere negativo.Di seguito un estratto del Bilancio demografico nazionalenella parte relativa alle migrazioni, interne ed esterne

La popolazione stranieranel Bilancio demograficoIstat del 2010

Le migrazioni segnano un più nel bilancio demograficonazionale

Al 31 dicembre 2010 la popolazione complessiva risultapari a 60.626.442 unità. Si è dunque registrato un incrementodi 286.114 unità rispetto all’anno precedente, pari allo 0,5%,dovuto completamente alle migrazioni dall’estero.

Complessivamente, la variazione della popolazione è statadeterminata dalla somma delle seguenti voci di bilancio: ilsaldo del movimento naturale, pari a -25.544 unità, il saldodel movimento migratorio con l’estero, pari a +380.085, unincremento dovuto al movimento per altri motivi e al saldointerno pari a -68.427 unità (a livello nazionale, il saldomigratorio interno può risultare diverso da zero a causadello sfasamento temporale delle registrazioni anagrafichedi iscrizione e cancellazione).

La quota di stranieri sulla popolazione totale residente èpari al 7,5%, in crescita rispetto al 2009 (7 stranieri ogni 100residenti). L’incidenza della popolazione straniera è molto piùelevata in tutto il Centro-Nord (9,9% nel Nord-Ovest, 10,3%nel Nord-Est e 9,6% nel Centro), rispetto alle regioni del Sude delle Isole, dove la quota di stranieri residenti è, rispettivamente,appena del 3,1% e del 2,7%. […]

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1572 011 maggio- giugno

Bilancio demografico Istat 2010 e immigrazione

Migrazioni più consistenti verso Nord-Ovest e CentroCome già da diversi anni, l’incremento demografico del

nostro Paese deriva da un saldo migratorio con l’estero positivo(6,3 per mille), mentre quello interno è pari a 0,2 per mille1.Considerando i dati a livello ripartizionale, la somma dei tassimigratori interno ed estero indica il Nord-Ovest e il Centrocome le aree più attrattive, con un tasso pari al 9,1 mille;segue il Nord-Est (8,7 per mille). Il Sud acquista popolazionea causa delle migrazioni con l’estero, ma ne perde a causadelle migrazioni interne, con il risultato di un tasso migratorioappena superiore all’1 per mille. A livello regionale, l’Emilia-Romagna risulta essere la regione più attrattiva (11,5 permille), seguita dalla Lombardia (10,3 per mille), dall’Umbria(9,7 per mille), dalla Toscana (9,6 per mille). Tra le regioni delMezzogiorno solo l’Abruzzo si stacca nettamente dalle altrecon un tasso pari a 5,6 per mille.

Nord-Ovest 460.457 19,5 149.946 94,0 13.263 54,5 623.666

Nord-Est 305.457 22,3 107.408 94,5 11.993 68,0 424.858

Centro 254.174 19,3 109.909 93,9 7.359 56,6 371.442

Sud 236.313 8,1 64.475 88,1 5.399 52,9 306.187

Isole 117.962 6,5 27.118 81,4 2.026 33,5 147.106

di cui:%

stranieri

Totaleper altri

motivi

Ripartizionigeografiche

di cui:%

stranieri

Daestero

di cui:%

stranieri

Da altrocomune

Movmento migratorio della popolazione: iscritti e cancellati per tipo e di cui stranieri. Anno 2010

Iscritti

Cancellati

Nord-Ovest 438.314 18,9 25.194 43,6 44.031 76,2 507.539

Nord-Est 290.813 23,1 21.410 53,7 34.628 80,1 346.851

Centro 240.694 19,8 15.296 43,8 24.943 79,0 280.933

Sud 269.521 8,5 10.696 26,5 10.917 65,4 291.134

Isole 124.080 6,2 6.166 12,9 4.883 63,8 135.129

1 Il tasso migratorio interno dovrebbe essere uguale a zero, ma sfasamenti temporalinelle registrazioni e cancellazioni possono produrre differenze positive o negativenel saldo nazionale

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158 2 011 maggio - giugno

Bilancio demografico Istat 2010 e immigrazione

Oltre la metà degli immigrati sono donneNel corso del 2010 sono state iscritte in anagrafe 458.856

persone provenienti dall’estero. Il numero di iscritti dall’esteroè cresciuto di circa 16mila unità rispetto a quello del 2009. Laripresa del flusso di iscritti dall’estero, dopo un anno in cui siera registrato un rallentamento (90mila iscritti in meno nel 2009rispetto al 2008) 2 è stata comunque contenuta e più rilevantenelle ripartizioni del Sud, delle Isole e del Nord-Ovest. Leiscrizioni risultano distribuite nel corso di tutto il 2010, conuna media di circa 38mila nuovi iscritti ogni mese. Le iscrizionisono da ascriversi in parte prevalente alle donne (54,7%),ancor più che negli anni precedenti. Tra gli iscritti, gli italianiche rientrano dopo un periodo di permanenza all’esterorappresentano solo il 7,5%, pari a meno di 35mila persone. Lalarga maggioranza è costituita invece da cittadini stranieri,soprattutto nelle regioni del Nord e del Centro.

Le cancellazioni dalle anagrafi di persone residenti in Italiatrasferitesi all’estero ammontano a 78.762 unità. Tra i cancellatiper l’estero prevalgono gli italiani (circa il 60% del totale). Vanotato che la maggior parte degli stranieri che lasciano il nostroPaese sono conteggiati tra i cancellati per altri motivi, poichécancellati per irreperibilità o per scadenza del permesso disoggiorno: si tratta di più di 90mila casi nel 2010 sulle circa120mila cancellazioni per altri motivi in totale. Complessivamente,il bilancio migratorio con l’estero, pari a +380.085, è dovuto aun saldo fortemente positivo per gli stranieri, superiore a 390mila unità, che compensa il saldo lievemente negativo relativoalla sola componente italiana (-12mila unità circa), che si presentastabile rispetto ai due anni precedenti.

Il bilancio con l’estero risulta positivo per tutte le regioni eil corrispondente tasso varia dal 2,7 per mille della Sardegnaal 9,6 per mille dell’Emilia-Romagna, rispetto a una medianazionale del 6,3 per mille. Le regioni con tassi migratoriesteri più elevati sono: Emilia-Romagna (9,6 per mille)Lombardia (8,6 per mille), Umbria (8,1 per mille) e Toscana(8,0 per mille: in generale, le regioni delle ripartizioni del Norde del Centro hanno tassi migratori esteri doppi rispetto a quellidelle regioni del Sud e delle Isole.

2 Il decremento del 2009 rispetto al 2008 era da attribuire al progressivo esaurimentodell’effetto congiunturale indotto dall’allargamento dell’UE del 2007

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1592 011 maggio- giugno

Bilancio demografico Istat 2010 e immigrazione

Flusso migratorio interno stabile verso Centro e NordNel corso del 2010 i trasferimenti di residenza interni

hanno coinvolto circa 1 milione e 370mila persone e, secondo unmodello migratorio ormai consolidato, sono caratterizzatiprevalentemente da uno spostamento di popolazione dalleregioni del Mezzogiorno (eccettuato l’Abruzzo) a quelle delNord e del Centro. Anche dal punto di vista quantitativo, ildato conferma quello del 2009. Il tasso migratorio internooscilla tra il -3,2 per mille della Basilicata e il 3,0 per milledella provincia autonoma di Trento, seguito dal 1,9 per milledell’Emilia-Romagna.

Le migrazioni interne sono dovute anche agli stranieri residentinel nostro Paese, che seguono una direttrice simile a quella dellemigrazioni degli italiani, ma presentano una maggior propensionealla mobilità. Infatti, i cittadini stranieri, pur rappresentando il 7,5%della popolazione, contribuiscono al movimento interno per piùdel 17%.

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160 2 011 maggio - giugno

Nati vivi Morti Saldo Saldo Pop.Naturale Migratorio fine

anno1861 - - - - 22.1821862 834 694 140 7 22.3291863 865 701 164 8 22.5011864 849 673 176 12 22.6891865 870 687 183 12 22.8841866 883 672 211 12 25.7721867 933 886 47 8 25.8271868 906 794 112 5 25.9441869 959 730 229 4 26.1771870 959 790 169 - 26.3461871 967 794 173 - 27.3041872 1.027 843 184 -21 27.4671873 991 829 162 -17 27.6121874 958 842 116 -21 27.7071875 1.041 859 182 -23 27.8661876 1.090 811 279 -26 28.1191877 1.034 802 232 -28 28.3231878 1.017 828 189 -25 28.4871879 1.068 851 217 -34 28.6701880 962 885 77 -38 28.709

Questa tabella è un appendice all’articolo del prof. Golini“Il lungo cammino della popolazione e delle migrazioni italianedall’Unificazione a oggi”, pubblicato nel Primo Piano diquesto numero. In essa sono riportati i dati su popolazioneresidente a fine anno, nati vivi e morti, saldo naturale esaldo migratorio in Italia negli anni dal 1861 al 2010 (i datisono espressi in migliaia, e per ciascun anno è riportato ildato relativo alla popolazione compresa nei confini dell’epoca).

Centocinquanta anni di dati demografici sulla popolazione italiana

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1612 011 maggio- giugno

I dati sulla popolazione italiana dal 1861 al 2010

1881 1.085 798 287 -43 28.9531882 1.065 801 264 -48 29.1691883 1.075 808 267 -52 29.3841884 1.135 793 342 -54 29.6721885 1.131 800 331 -64 29.9391886 1.091 859 232 -70 30.1011887 1.157 842 315 -92 30.3241888 1.123 833 290 -123 30.4911889 1.152 780 372 -88 30.7751890 1.086 808 278 -96 30.9571891 1.135 807 328 -124 31.1611892 1.114 815 299 -100 31.3601893 1.129 788 341 -111 31.5901894 1.106 787 319 -127 31.7821895 1.095 795 300 -134 31.9481896 1.098 769 329 -142 32.1351897 1.105 706 399 -151 32.3831898 1.074 742 332 -161 32.5541899 1.093 713 380 -142 32.7921900 1.072 781 291 -154 32.9291901 1.062 726 336 -87 33.1781902 1.096 739 357 -84 33.4511903 1.044 748 296 -83 33.6641904 1.086 711 375 -79 33.9601905 1.084 743 341 -96 34.2051906 1.070 710 360 -90 34.4751907 1.060 714 346 -74 34.7471908 1.137 786 351 -60 35.0381909 1.113 754 359 -67 35.3301910 1.140 698 442 -64 35.7081911 1.090 760 330 -67 35.9711912 1.131 651 480 -296 36.1551913 1.120 679 441 -418 36.1781914 1.111 656 455 74 36.7071915 1.105 821 284 76 37.0671916 879 866 13 -57 37.0231917 713 959 -246 -17 36.7601918 655 1.281 -626 - 36.1341919 771 685 86 21 36.2411920 1.159 690 469 -279 36.4311921 1.121 650 471 -79 38.483

Nati vivi Morti Saldo Saldo Pop.Naturale Migratorio fine

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I dati sulla popolazione italiana dal 1861 al 2010

1922 1.182 699 483 -90 38.8761923 1.162 663 499 -149 39.2261924 1.131 671 460 -97 39.5891925 1.118 678 440 -88 39.9411926 1.103 689 414 -87 40.2681927 1.103 648 455 -87 40.6361928 1.080 653 427 -113 40.9501929 1.045 675 370 -118 41.2021930 1.098 583 515 -121 41.5961931 1.030 615 415 -124 41.8871932 995 616 379 -74 42.1921933 1.001 579 422 -87 42.5271934 999 568 431 -88 42.8701935 1.004 600 404 -80 43.1941936 970 599 371 -55 43.5101937 999 623 376 -53 43.8331938 1.044 620 424 -38 44.2191939 1.046 596 450 66 44.7351940 1.052 625 427 25 45.1871941 942 667 275 54 45.5161942 930 712 218 18 45.7521943 901 801 100 19 45.8711944 832 741 91 19 45.9811945 831 653 178 20 46.1791946 1.057 559 498 -124 46.5531947 1.031 534 497 -193 46.2101948 1.011 493 518 -176 46.5521949 942 489 453 -91 46.9141950 914 458 456 -75 47.2951951 866 489 377 -132 47.5401952 863 488 375 -123 47.7921953 860 484 376 -47 48.1211954 882 446 436 -80 48.4771955 879 449 430 -118 48.7891956 884 500 384 -121 49.0521957 886 483 403 -144 49.3111958 880 459 421 -92 49.6401959 910 455 455 -72 50.0231960 923 481 442 -93 50.3721961 924 460 464 -161 50.6751962 946 503 443 -106 51.012

Nati vivi Morti Saldo Saldo Pop.Naturale Migratorio fine

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1632 011 maggio- giugno

I dati sulla popolazione italiana dal 1861 al 2010

1963 978 514 464 -91 51.3851964 1.035 489 546 -115 51.8161965 1.018 517 501 -158 52.1591966 999 494 505 -160 52.5041967 962 508 454 -128 52.8301968 945 531 414 -100 53.1441969 949 530 419 -73 53.4901970 917 529 388 -46 53.8321971 911 515 396 -39 54.1891972 893 518 375 10 54.5741973 888 544 344 11 54.9291974 886 533 353 11 55.2931975 842 556 286 10 55.5891976 806 556 250 8 55.8471977 757 547 210 6 56.0631978 721 540 181 3 56.2471979 683 542 141 - 56.3881980 657 559 98 -7 56.4791981 628 541 87 -42 56.5241982 635 538 97 -58 56.5631983 613 564 49 -47 56.5651984 598 536 62 -39 56.5881985 589 549 40 -30 56.5981986 562 545 17 -20 56.5941987 560 535 25 -10 56.6091988 578 538 40 - 56.6491989 567 532 35 10 56.6941990 581 544 37 13 56.7441991 556 547 9 20 56.7731992 575 545 30 18 56.8211993 553 555 -2 24 56.8421994 537 558 -21 23 56.8441995 526 555 -29 29 56.8441996 537 558 -21 53 56.8761997 540 565 -25 53 56.9041998 533 577 -44 49 56.9091999 537 571 -34 49 56.9242000 543 560 -17 54 56.9612001 536 548 -12 46 56.9962002 538 557 -19 347 57.3212003 544 587 -43 610 57.888

Nati vivi Morti Saldo Saldo Pop.Naturale Migratorio fine

anno

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164 2 011 maggio - giugno

I dati sulla popolazione italiana dal 1861 al 2010

2004 563 547 16 558 58.4622005 554 567 -13 303 58.7522006 560 558 2 377 59.1312007 564 571 -7 495 59.6192008 577 585 -8 434 60.0452009 569 592 -23 318 60.3402010 562 587 -26 311 60.626

Nati vivi Morti Saldo Saldo Pop.Naturale Migratorio fine

anno

Fonte: elaborazione su dati Istat, da Popolazione e movimento anagrafico dei comunie http://www.demo.istat.it

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vili“La comunità internazionale, e innanzitutto l’Unione

europea, non possono restare inerti dinanzi al crimineche quasi quotidianamente si compie organizzando

la partenza dalla Libia, su vecchie imbarcazioni ad altorischio di naufragio, di folle disperate di uomini, donne,

bambini. È un crimine lucroso gestito da avventurierisenza scrupoli, non contrastati dalle autorità locali

per un calcolo, forse, di rappresaglia politica control’Italia e l’Europa. Ma è un crimine che si chiama

“tratta” e “traffico” di esseri umani, ed è come talesanzionato in Europa e perfino a livello mondiale con

la Convenzione di Palermo delle Nazioni Unite nel 2000.Stroncare questo traffico, prevenire nuove, continue

partenze per viaggi della morte (ben più che “viaggi della speranza”)

e aprirsi – regolandola – all’accoglienza: è questo il dovere delle nazioni civili e della comunità europea

e internazionale, è questo il dovere della democrazia”.

Giorgio Napolitano(Lettera a Claudio Magris,

Corriere della Sera, 6 giugno 2011)

NEL PROSSIMO NUMERO

La città interetnica

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

Realizzato con il contributo del Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di Paesi terzi

€ 12,50 i.i.(R117.2011.3)

FrancoAngeli s.r.l., v.le Monza 106 - 20127 MilanoPoste Italiane Spa - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano - III bimestre 2011