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CURARI DI STRYCHNOS E CHONDODENDRON CURARI DI CHONDODENDRON CURARI DI STRYCHNOS DELLA SAVANA LIMA RIO MAMORÈ RIO DE JANEIRO BUENOS AYRES CURARI DI STRYCHNOS Cr. R/o '9/0 4. Q POTUMAYO o ELLE AMAZZONI RIO ARI Distribuzione di vari tipi di curato nell'America del Sud secondo J. Vellard. La zona orientale che è compresa tra la Guyana e il rio Negro, la zona intermedia che com- prende l'Hyleia amazzonica va dal Rio Negro al Rio Javari, la zona occidentale com- prende le regioni della zona subandina, infine la zona più meridionale comprende le regioni tra il Rio Mamoré e il Rio Jurena nel Mato Grosso in cui non esiste più la selva tropicale, ma una savana boscosa in cui vegeta una pianta del genere Strichnos. J A a. proprietà del curaro di bloccare la trasmissione neuro-muscolare e quindi di provocare la morte per paralisi dei muscoli respiratori era nota da secoli agli indi amazzonici che impiegavano questo velenò per cacciare piccoli animali e più raramente per ani- mali più grandi, come cervi e tapiri. Non risulta invece che il curaro sia mai stato impiegato come arma da guerra. L'interesse che ha assunto il curaro nel nostro tempo non è legato alla sua importanza etnografica, ma alle parti- colarissime proprietà farmacologiche di questo preparato che ha dapprima tro- vato impiego in medicina nella tera- pia del tetano, ma che, soprattutto, ha rivoluzionato le tecniche dell'anestesia chirurgica. È per questi motivi che le conoscen- ze sugli aspetti etnografici, f armacolo- gici e chimici del curaro acquistano particolare interesse perché appunto su di esse si sono sviluppati, e sono anco- ra in evoluzione, nuovi medicamenti quali le sostanze curarizzanti. Le prime informazioni sicure sul cu- raro appaiono nel XVII secolo nei rap- porti dei colonizzatori. Fin dal secolo precedente erano tuttavia stati ampia- mente descritti i veleni impiegati dagli indi, soprattutto del gruppo Caribe, per avvelenare le frecce di guerra. La non sempre esatta descrizione dei sintomi di avvelenamento, l'eccessiva fantasia con cui venivano invece de- scritte le preparazioni di questi veleni, i cui ingredienti erano non solo piante, ma anche animali, serpenti e insetti, che sarebbero state eseguite da vecchi, in quanto i vapori che dalla miscela si sprigionavano sarebbero stati mortali, se ha favorito l'interesse e quindi lo studio su questi veleni, ha nello stesso tempo creato per secoli mistero e con- fusione sulla loro elaborazione. In base a una rigorosa critica fonda- ta su documenti e relazioni dell'epoca è oggi possibile affermare che i veleni per frecce, preparati con estratti di piante, e indicati pertanto dai cronisti con il nome di herboladas o hervadas (cioè intrise con erbe), vennero a co- noscenza dei conquistatori nei primi contatti avuti con gli indi nell'attua- le zona della costa colombiana e ve- nezuelana. La prima relazione su questi veleni da frecce, detti in seguito anche vele- ni americani, apparve nel 1516 nel- l'opera De Orbe Novo del milanese Pietro Martire d'Anghiera, che in Spa- gna svolgeva un incarico che gli dava libero accesso a tutti i rapporti prove- nienti dalle nuove terre scoperte a oc- cidente. In seguito quasi tutti i cronisti spa- gnoli ne fecero dettagliate descrizioni, in particolare Lopez de Gomara e Cie- za de Lean che indugiarono soprattut- to sugli aspetti più fantasiosi di queste preparazioni. Il primo accenno specifico al curaro, e cioè a dei veleni per frecce dotati di particolari proprietà, si trova in una relazione del 1596 di Sir Walter Raleigh sull'insediamento di una colonia in Guyana. Egli faceva riferimento a un veleno per frecce denominato wourari o ourari, nome che in Guyana sareb- be attribuito ad alcune liane che oggi si identificherebbero con piante del ge- nere Strychnos. Nel 1700 il nome di wourari, ourari e curaro diventò più frequente nelle relazioni di viaggiatori ed esploratori. La prima descrizione esatta e attendi- bile di questo veleno si deve a Padre José Gumilla, in un libro scritto tra il 1740 e il 1742. In questo viene ri- ferito che presso una tribù di indi del- l'alto Orinoco viene elaborato un par- ticolare veleno che « può essere mes- so in bocca e ingoiato senza pericolo, purché uno non abbia ferite in bocca, mentre se iniettato sotto cute provoca morte rapidissima ». Con queste parole è la prima volta che si mette in evidenza una delle pro- prietà del curaro di non essere tossi- co per via orale — e ciò è un grande vantaggio per un veleno da caccia — ma di agire solo se iniettato nel flus- so sanguigno. Il Padre Gumilla riferisce anche la preparazione del curaro, che sarebbe fatta con radici di una pianta chiama- ta anch'essa curaro, che viene tratta- ta con acqua bollente e il cui estratto viene concentrato a piccolo volume. Si può dire che questa tecnica venga ancor oggi seguita per la preparazione dei curari in quella stessa zona. Quasi contemporaneamente (1745- 1751) il francese La Condamine, che si era recato in Ecuador per osservazioni e rilievi per la misura del meridiano terrestre, compiva con lo spagnolo An- tonio de Ulloa la traversata del conti- nente sud americano dalle Ande al- l'Atlantico. Nei lunghi rapporti, stesi indipendentemente da questi studiosi, sul loro viaggio viene menzionato un veleno per frecce, chiamato ticuna, dal nome della tribù che lo preparava concentrando al fuoco l'estratto acquo- so di numerose piante. Il primo studio scientifico sulle pro- prietà fisiologiche del curaro si deve a una serie di particolari iniziative e coin- cidenze e si realizza a Firenze. Lo stu- dioso ecuatoriano Francisco Maldona- do, probabilmente in seguito all'inte- resse suscitato in Europa intorno al curaro ticuna, inviava a Londra alla Royal Society un campione di questo veleno, elaborato nelle vallate suban- dine dei tributari del Rio delle Amaz- zoni, regione che oggi è denominata Montana. Tale campione pare non abbia in- contrato interesse in Inghilterra, ma fu consegnato alcuni anni dopo a Felice Fontana, arciatra del Granduca di To- scana, noto e abilissimo sperimentatore. Fontana, con le sue esperienze, pri- ma di tutto sfatò la leggenda della tos- sicità dei vapori del curaro, e quindi chiari le proprietà farmacologiche di questi estratti, mettendone in evidenza l'azione paralizzante. Questi risultati di grande interesse perché rappresentavano la prima dimo- strazione di un nuovo meccanismo di azione diverso da quello delle altre so- stanze conosciute, vennero pubblicati dal Fontana nel 1782 in un volumetto intitolato Sui veleni della vipera e sui veleni americani. L'interesse del mondo scientifico del- l'epoca per il curaro doveva essere no- tevole se Alexander von Humboldt e Aimé Bonpland, che percorsero nei pri- mi anni del secolo XIX vasti territori dell'America Latina in una fondamen- tale missione di esplorazione e di stu- dio, non riuscirono a sottrarsi al fasci- no di approfondire anche loro il pro- blema del curaro. Malgrado le numerose informazioni raccolte, le notizie sulla preparazione del curaro risultavano ancora contrad- dittorie. Inoltre si trattava di stabilire esattamente quali erano gli ingredienti essenziali e se la complessa elaborazio- ne avveniva per fare reagire tra loro vari componenti e dare origine al prin- cipio attivo; oppure se questo era pree- sistente nelle piante e la concentrazione aveva solo la funzione di assicurarne un più alto tenore e far si che aderisse alle punte delle frecce. A. von Hum- boldt ci dà una risposta circostanziata di questi quesiti, descrivendo la prepa- razione del curaro a cui assistette nel- l'alto Orinoco nel 1807. Di questa ri- portiamo alcuni passi particolarmente istruttivi. « Avemmo la fortuna di tro- vare un vecchio indio meno ubriaco degli altri che stava estraendo il curaro da piante appena raccolte. Era l'alchi- mista della regione. Egli aveva dei g ran- di vasi di argilla in cui faceva bollire i succhi vegetali, dei vasi meno pro- fondi in cui li faceva evaporare e delle foglie di banano arrotolate che serviva- no a filtrare i liquidi che erano più o meno mescolati a fibre vegetali. Nella sua capanna regnava il più grande or- dine e la massima pulizia; il vecchio in- dio che ci doveva istruire era conosciu- to nella missione col nome di maestro del veleno (amo del curare). Egli ci dis- se che il curaro di cui si traman- davano la preparazione di padre in fi- glio era superiore a tutti i veleni prepa- rati in Europa. Si trattava del succo di un'erba capace di uccidere senza che la vittima si accorgesse della freccia che la colpiva. La preparazione a cui il vecchio attribuiva tanta importanza a noi parve di una semplicità estrema. La pianta utilizzata era il bejuco de mavacure che si raccoglie abbondan- temente a est della missione lungo la riva sinistra dell'Orinoco. Si può usa- re indifferentemente la pianta fresca oppure essiccata. Solo la corteccia e parte del midollo contengono il ter- ribile veleno. La corteccia viene ra- schiata con un coltello e quindi ridot- ta in sottili filamenti su una pietra su cui si lavora la farina della ma- nioca. Siccome il succo velenoso è giallo tutta la massa assume quel co- lore. Si pone quindi il tutto in un imbuto fatto di una foglia di bana- no arrotolata posta entro un'altra fo- glia più robusta di palma. Si inizia l'in- fusione a freddo versando l'acqua nel- l'imbuto e raccogliendo il filtrato che scende goccia a goccia e contiene le sostanze velenose. Per concentrare il succo lo si pone a evaporare in un grande vaso d'argilla e, per far si che diventi viscoso e possa aderire alle punte delle frecce, gli si aggiunge du- rante la ebollizione il succo di un'al- tra pianta chiamata Kiracaguero». Da questa descrizione risulta eviden- Il curaro E in realtà un gruppo di veleni elaborati dagli indi del Sud America che hanno la proprietà di paralizzare la trasmissione neuromuscolare e che attualmente trovano importanti applicazioni in anestesia di G. B. Marini-Bettòlo 36 37

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CURARI DI STRYCHNOSE CHONDODENDRON

CURARIDI CHONDODENDRON

CURARI DI STRYCHNOSDELLA SAVANA

LIMA

RIO MAMORÈ

RIO DE JANEIRO

BUENOS AYRES

CURARI DI STRYCHNOS

Cr.

R/o '9/04. QPOTUMAYO

oELLE AMAZZONI

RIO

ARI

Distribuzione di vari tipi di curato nell'America del Sud secondo J. Vellard. La zonaorientale che è compresa tra la Guyana e il rio Negro, la zona intermedia che com-prende l'Hyleia amazzonica va dal Rio Negro al Rio Javari, la zona occidentale com-prende le regioni della zona subandina, infine la zona più meridionale comprende leregioni tra il Rio Mamoré e il Rio Jurena nel Mato Grosso in cui non esiste più laselva tropicale, ma una savana boscosa in cui vegeta una pianta del genere Strichnos.

J Aa. proprietà del curaro di bloccarela trasmissione neuro-muscolaree quindi di provocare la morte

per paralisi dei muscoli respiratori eranota da secoli agli indi amazzonici cheimpiegavano questo velenò per cacciarepiccoli animali e più raramente per ani-mali più grandi, come cervi e tapiri.Non risulta invece che il curaro sia maistato impiegato come arma da guerra.

L'interesse che ha assunto il curaronel nostro tempo non è legato alla suaimportanza etnografica, ma alle parti-colarissime proprietà farmacologiche diquesto preparato che ha dapprima tro-vato impiego in medicina nella tera-pia del tetano, ma che, soprattutto, harivoluzionato le tecniche dell'anestesiachirurgica.

È per questi motivi che le conoscen-ze sugli aspetti etnografici, f armacolo-gici e chimici del curaro acquistanoparticolare interesse perché appunto sudi esse si sono sviluppati, e sono anco-ra in evoluzione, nuovi medicamentiquali le sostanze curarizzanti.

Le prime informazioni sicure sul cu-raro appaiono nel XVII secolo nei rap-porti dei colonizzatori. Fin dal secoloprecedente erano tuttavia stati ampia-mente descritti i veleni impiegati dagliindi, soprattutto del gruppo Caribe, peravvelenare le frecce di guerra.

La non sempre esatta descrizione deisintomi di avvelenamento, l'eccessivafantasia con cui venivano invece de-scritte le preparazioni di questi veleni,i cui ingredienti erano non solo piante,ma anche animali, serpenti e insetti,che sarebbero state eseguite da vecchi,in quanto i vapori che dalla miscela sisprigionavano sarebbero stati mortali,se ha favorito l'interesse e quindi lostudio su questi veleni, ha nello stessotempo creato per secoli mistero e con-fusione sulla loro elaborazione.

In base a una rigorosa critica fonda-

ta su documenti e relazioni dell'epocaè oggi possibile affermare che i veleniper frecce, preparati con estratti dipiante, e indicati pertanto dai cronisticon il nome di herboladas o hervadas(cioè intrise con erbe), vennero a co-noscenza dei conquistatori nei primicontatti avuti con gli indi nell'attua-le zona della costa colombiana e ve-nezuelana.

La prima relazione su questi velenida frecce, detti in seguito anche vele-ni americani, apparve nel 1516 nel-l'opera De Orbe Novo del milanesePietro Martire d'Anghiera, che in Spa-gna svolgeva un incarico che gli davalibero accesso a tutti i rapporti prove-nienti dalle nuove terre scoperte a oc-cidente.

In seguito quasi tutti i cronisti spa-gnoli ne fecero dettagliate descrizioni,in particolare Lopez de Gomara e Cie-za de Lean che indugiarono soprattut-to sugli aspetti più fantasiosi di questepreparazioni.

Il primo accenno specifico al curaro,e cioè a dei veleni per frecce dotati diparticolari proprietà, si trova in unarelazione del 1596 di Sir Walter Raleighsull'insediamento di una colonia inGuyana. Egli faceva riferimento a unveleno per frecce denominato wourario ourari, nome che in Guyana sareb-be attribuito ad alcune liane che oggisi identificherebbero con piante del ge-nere Strychnos.

Nel 1700 il nome di wourari, ourarie curaro diventò più frequente nellerelazioni di viaggiatori ed esploratori.La prima descrizione esatta e attendi-bile di questo veleno si deve a PadreJosé Gumilla, in un libro scritto trail 1740 e il 1742. In questo viene ri-ferito che presso una tribù di indi del-l'alto Orinoco viene elaborato un par-ticolare veleno che « può essere mes-so in bocca e ingoiato senza pericolo,

purché uno non abbia ferite in bocca,mentre se iniettato sotto cute provocamorte rapidissima ».

Con queste parole è la prima voltache si mette in evidenza una delle pro-prietà del curaro di non essere tossi-co per via orale — e ciò è un grandevantaggio per un veleno da caccia —ma di agire solo se iniettato nel flus-so sanguigno.

Il Padre Gumilla riferisce anche lapreparazione del curaro, che sarebbefatta con radici di una pianta chiama-ta anch'essa curaro, che viene tratta-ta con acqua bollente e il cui estrattoviene concentrato a piccolo volume.

Si può dire che questa tecnica vengaancor oggi seguita per la preparazionedei curari in quella stessa zona.

Quasi contemporaneamente (1745-1751) il francese La Condamine, che siera recato in Ecuador per osservazionie rilievi per la misura del meridianoterrestre, compiva con lo spagnolo An-tonio de Ulloa la traversata del conti-nente sud americano dalle Ande al-l'Atlantico. Nei lunghi rapporti, stesiindipendentemente da questi studiosi,sul loro viaggio viene menzionato unveleno per frecce, chiamato ticuna,dal nome della tribù che lo preparavaconcentrando al fuoco l'estratto acquo-so di numerose piante.

Il primo studio scientifico sulle pro-prietà fisiologiche del curaro si deve auna serie di particolari iniziative e coin-cidenze e si realizza a Firenze. Lo stu-dioso ecuatoriano Francisco Maldona-do, probabilmente in seguito all'inte-resse suscitato in Europa intorno alcuraro ticuna, inviava a Londra allaRoyal Society un campione di questoveleno, elaborato nelle vallate suban-dine dei tributari del Rio delle Amaz-zoni, regione che oggi è denominataMontana.

Tale campione pare non abbia in-

contrato interesse in Inghilterra, ma fuconsegnato alcuni anni dopo a FeliceFontana, arciatra del Granduca di To-scana, noto e abilissimo sperimentatore.

Fontana, con le sue esperienze, pri-ma di tutto sfatò la leggenda della tos-sicità dei vapori del curaro, e quindichiari le proprietà farmacologiche diquesti estratti, mettendone in evidenzal'azione paralizzante.

Questi risultati di grande interesseperché rappresentavano la prima dimo-strazione di un nuovo meccanismo diazione diverso da quello delle altre so-stanze conosciute, vennero pubblicatidal Fontana nel 1782 in un volumettointitolato Sui veleni della vipera e suiveleni americani.

L'interesse del mondo scientifico del-l'epoca per il curaro doveva essere no-tevole se Alexander von Humboldt eAimé Bonpland, che percorsero nei pri-mi anni del secolo XIX vasti territoridell'America Latina in una fondamen-tale missione di esplorazione e di stu-dio, non riuscirono a sottrarsi al fasci-no di approfondire anche loro il pro-blema del curaro.

Malgrado le numerose informazioniraccolte, le notizie sulla preparazionedel curaro risultavano ancora contrad-dittorie. Inoltre si trattava di stabilireesattamente quali erano gli ingredientiessenziali e se la complessa elaborazio-ne avveniva per fare reagire tra lorovari componenti e dare origine al prin-cipio attivo; oppure se questo era pree-sistente nelle piante e la concentrazioneaveva solo la funzione di assicurarneun più alto tenore e far si che aderissealle punte delle frecce. A. von Hum-boldt ci dà una risposta circostanziatadi questi quesiti, descrivendo la prepa-razione del curaro a cui assistette nel-l'alto Orinoco nel 1807. Di questa ri-portiamo alcuni passi particolarmenteistruttivi. « Avemmo la fortuna di tro-vare un vecchio indio meno ubriacodegli altri che stava estraendo il curaroda piante appena raccolte. Era l'alchi-mista della regione. Egli aveva dei gran-di vasi di argilla in cui faceva bollirei succhi vegetali, dei vasi meno pro-fondi in cui li faceva evaporare e dellefoglie di banano arrotolate che serviva-no a filtrare i liquidi che erano più omeno mescolati a fibre vegetali. Nellasua capanna regnava il più grande or-dine e la massima pulizia; il vecchio in-dio che ci doveva istruire era conosciu-to nella missione col nome di maestrodel veleno (amo del curare). Egli ci dis-se che il curaro di cui si traman-davano la preparazione di padre in fi-glio era superiore a tutti i veleni prepa-rati in Europa. Si trattava del succo diun'erba capace di uccidere senza che

la vittima si accorgesse della frecciache la colpiva. La preparazione a cui ilvecchio attribuiva tanta importanza anoi parve di una semplicità estrema.La pianta utilizzata era il bejuco demavacure che si raccoglie abbondan-temente a est della missione lungo lariva sinistra dell'Orinoco. Si può usa-re indifferentemente la pianta frescaoppure essiccata. Solo la corteccia eparte del midollo contengono il ter-ribile veleno. La corteccia viene ra-schiata con un coltello e quindi ridot-ta in sottili filamenti su una pietrasu cui si lavora la farina della ma-nioca. Siccome il succo velenoso è

giallo tutta la massa assume quel co-lore. Si pone quindi il tutto in unimbuto fatto di una foglia di bana-no arrotolata posta entro un'altra fo-glia più robusta di palma. Si inizia l'in-fusione a freddo versando l'acqua nel-l'imbuto e raccogliendo il filtrato chescende goccia a goccia e contiene lesostanze velenose. Per concentrare ilsucco lo si pone a evaporare in ungrande vaso d'argilla e, per far si chediventi viscoso e possa aderire allepunte delle frecce, gli si aggiunge du-rante la ebollizione il succo di un'al-tra pianta chiamata Kiracaguero».

Da questa descrizione risulta eviden-

Il curaro

E in realtà un gruppo di veleni elaborati dagli indi del Sud Americache hanno la proprietà di paralizzare la trasmissione neuromuscolaree che attualmente trovano importanti applicazioni in anestesia

di G. B. Marini-Bettòlo

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Vasetti di terracotta nera usati come contenitori per il curarodagli indi dell'Amazzonia occidentale. Per la preparazione delcuraro in vasi vengono usate piante del genere Chondodendron

e Strychnos entrambe abbondanti in queste regioni. Si otten-gono curari contenenti due principi attivi: la tubocurarina egli alcaloidi del gruppo della tossiferina e della curarina.

Tubi di bambù contenenti punte di frecce cosparse di curaro provenienti dalla tribùGuayas che abita la regione dell'alto Orinoco. A sinistra in alto si può vedere unamezza calebassa usata come recipiente per travasare e prelevare liquidi. Il curaro ètuttora indispensabile come veleno per la caccia e nell'intricata selva amazzonica èpiù sicuro di qualunque fucile. Infatti le prede cadono dagli alberi immediatamenteparalizzate nel più completo silenzio senza spaventare la eventuale altra selvaggina.

te che il responsabile di tutta l'attivitàè la corteccia del bejuco de mavacure,della liana che oggi si vorrebbe identi-ficare con una certa probabilità conStrychnos guianensis.

I campioni di Strychnos e di curaroraccolti da Humboldt vennero alcunianni dopo sottoposti a uno studio daparte di due scienziati francesi, Rouline Boussingault, che erano stati invitatia Bogotà da Simon Bolivar per studia-re le risorse naturali della Gran Co-lombia.

Pochi anni prima Pelletier e Caven-tou avevano isolato in Europa da semidi Strychnos nux vomica, la noce vo-mica proveniente dall'oriente, il princi-pio tossico stricnina.

La stricnina è un alcaloide, una so-stanza organica dotata di proprietà ba-siche, di struttura molto complessa chesarà chiarita solo molti anni dopo, chepresenta una elevata azione tossica sul-l'uomo e sugli animali che si manife-sta con convulsioni seguite da morte.

Era logico pensare che, essendo lapianta impiegata per la preparazionedel curaro una specie del genere Strych-nos, essa contenesse stricnina o un al-caloide simile a questa.

Va tuttavia osservato che le proprietàdel curaro sono paralizzanti cioè op-poste e antagoniste rispetto a quelledella stricnina.

Le accurate esperienze, magistral-mente descritte di Roulin e Boussin-gault, effettuate a Bogotà, dimostraro-no che nel curaro studiato non vi erastricnina, ma un principio attivo, dota-to di inconsuete proprietà per un com-posto organico, solubilissimo in acquae difficilmente cristallizzabile.

Più di mezzo secolo di ricerche bo-

taniche ed etnografiche da parte di DeCastelnau, dei fratelli Schomburgk, diJobert, Crevaux, Lacerda, Schwack eBarbosa Rodriguez, dalla metà del se-colo XIX circa alla sua fine, fornironouna messe di risultati che ci danno si-cure basi per le conoscenze sul curaro.

Parallelamente si erano effettuate inEuropa ricerche chimiche, in particola-re in Germania, mentre in Francia neera stato studiato il meccanismo fisio-logico da parte di Claude Bernard che,con una serie di brillanti esperienze, di-mostrò che l'azione paralizzante del cu-raro era dovuta ad un blocco della tra-smissione neuro-muscolare.

Già Humboldt aveva chiara l'ideache non si potesse parlare di curaroma di diversi curari.

Le acquisizioni successive conferma-no quanto era stato chiaramente riscon-trato da Humboldt: è necessario parla-re di curari diversi, elaborati con pian-te diverse e con metodi simili da tribùdi indi, disperse in un territorio immen-so, distanti tra loro migliaia di chilo-metri dall'Essequibo in Guyana allevalli subandine del Perù, dall'alto Ori-noco al Mato Grosso.

Questi curari hanno tutti in comunela proprietà di « curarizzare » gli ani-mali colpiti, sono infatti ovunque usaticome veleni da caccia, generalmente sufrecce che vengono lanciate con la cer-bottana.

Le osservazioni etnografico-botani-che di questo periodo conducono adammettere che non tutti i curari sonoelaborati da piante del genere Strych-nos ma che possono contenere anchepiante della famiglia delle Loganiacee,da sole o insieme a Strychnos.

Una esatta valutazione di questi dati

permetteva al Boehm verso il 1885 diproporre una classificazione etnografi-ca dei curari, che per quanto incomple-ta è stata una guida indispensabile perun periodo di circa settanta anni.

Boehm assunse come criterio per lasua classificazione il tipo di recipienteusato dai diversi gruppi etnici per con-servare il curaro. Si hanno cosí: i tubo-curari, che vengono conservati in unrecipiente ottenuto tra due nodi di unacanna di bambù; i curari di calebassa,che vengono conservati in cortecce dis-seccate di zucche, note con il nome spa-gnolo di calabazas; i curari in vasi, chevengono conservati in vasetti di terra-cotta nera fabbricati dagli indi (si ve-dano le figure in queste due pagine).

Come si è detto anche se questa clas-sificazione non è più accettabile, perchésono stati trovati nuovi tipi di curaro eperché oggi, al contatto con la civiltà,si impiegano ogni tipo di recipienti daquelli di vetro ai metallici, essa ha avu-to molta importanza nello studio deicurari per il parallelismo riscontratodallo stesso Boehm tra tipo del reci-piente e composizione sia pure appros-simativa dello stesso curaro.

Mentre era noto che le piante impie-gate per l'elaborazione dei curari di ca-lebasse appartenevano al genere Strych-nos, meno certa era l'origine del prin-cipio attivo delle due altre categorie,ma molto probabilmente si trattava dipiante della famiglia Menispermacee.Molti curari non rientrano invece inquesta classificazione, per esempio, nel1962 la spedizione del CNR in Amazo-nia-Orinoco, guidata da E. Biocca, po-teva stabilire l'esistenza di un nuovotipo di curaro presso la tribù degliYanoama nel Venezuela meridionale.

Biocca riferisce che il curaro vienepreparato da una singola pianta del ge-nere Strychnos di cui si impiega lacorteccia che si fa asciugare al fuocoe quindi si polverizza tra le mani perforte confricazione. La polvere cosí ot-tenuta viene poi estratta a caldo dispo-nendola in un imbuto di foglia di ba-nano con acqua bollente.

Il liquido filtrato che cosí si ottieneviene utilizzato direttamente per intri-dere le punte delle frecce e non vieneconservato.

L'importanza di questa osservazionesta soprattutto nel fatto che si dimostrache il principio attivo della pianta,Strychnos, viene integralmente trasferi-to sulla freccia senza elaborati tratta-menti, che dovrebbero potenziarne laattività.

Questo tipo di curaro diffuso intutto il gruppo dei Guayas nell'alto Ori-noco è stato anche osservato dal padremissionario D. Grossa che ne ha dO-cutnentato il metodo di preparazione(si vedano le fotografie a pagina 43).

Recentemente il noto etnografo fran-cese Jean Vellard ha proposto di clas-sificare i curari in base alla loro origi-ne geografica, cosa non sempre facileperché è stato dimostrato l'esistenza diun vasto commercio di curaro tra zonetra loro molto distanti.

Vellard propone quattro zone: laorientale, compresa, grosso modo tra laGuyana e il Rio Negro, i cui curari so-no elaborati solo con Strychnos comeprincipio attivo, la intermedia che com-prende la Hyleia amazonica dove si tro-vano curari misti di Strychnos e Chon-dodendron tra il Rio Negro e il RioJavari, la occidentale comprendente leregioni della zona subandina degli altitributari del Rio delle Amazoni dove sitrovano curari elaborati da soli Chon-dodendron quali principi attivi. Laquarta ed ultima zona, che comprendele regioni tra il Rio Mamoré e il RioJuruena nel Mato Grosso, è isolata dal-le altre e soprattutto è costituita nongià da selva tropicale ma da boscaglia.Il principio attivo di questi curari, degliindi Nambikuara, sarebbe una piantadel genere Strychnos che vegeta nellasavana (si veda la figura a pagina 37).

Recentemente W. Bauer del Museoetnologico di Vienna ha potuto esami-nare, con moderne tecniche analitiche,decine di campioni di curaro delle piùdiverse provenienze. Egli sulla base del-l'alcaloide principale presente, comevedremo meglio in seguito, propone unasuddivisione geografica per i curari chesi avvicina notevolmente a quella pro-posta da Vellard per le tre prime zone.

Questa suddivisione naturalmente im-plica la distribuzione e la diffusionedi determinate specie di piante capa-

ci di dare origine agli alcaloidi consi-derati caratteristici di ciascuna zona.

Anche oggi dopo tre secoli dalla sco-perta dei primi curari si studiano

ancora nuovi campioni, per cercare ditrovare nuovi principi attivi e da questirisalire alle piante usate per la loro ela-borazione, prima che il progresso cheormai sta avanzando avanza verso l'in-terno della regione dell'Hyleia nonfaccia scomparire anche la tradizionalepreparazione di questo veleno per lacaccia che presenta tanto interesse.

Il curaro, infatti, ancor oggi è unanecessità nell'interno della selva amaz-

zonica, presso i piccoli gruppi di indi.Malgrado la introduzione di armi dafuoco, il curaro resta l'arma che uccidesilenziosamente e quindi è indispensa-bile per la caccia di uccelli e piccolianimali nella foresta. Il rumore di uncolpo di fucile sarebbe tale da allonta-nare dalla zona per giorni tutta la fau-na costringendo gli abitanti alla fame.

Rimane ancora un mistero comel'indio abbia potuto risalire alle pro-prietà degli estratti di piante molto di-verse tra loro, dotati della particolari-tà di essere innocui per via orale, sep-pure amarissimi, ma letali se iniettati,e che questi principi siano stati usati

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componenti farmacologicamente attivi del curaro sono tuttialcaloidi. Secondo un'ipotesi di D. Bovet formulata intornoagli anni 50 l'attività curarizzante, paralizzante cioè la tra-smissione neuromuscolare, era dovuta alla presenza di duegruppi ammonici quaternari del tipo di quelli segnati nellaformula della ( ±) tubocurarina in alto a sinistra. Questa for-mula che nel 1971, grazie a più raffinate tecniche d'indagine, si

rivelò sbagliata (infatti la formula esatta è quella in alto adestra con un solo gruppo ammonico quaternario) diede il viaalla preparazione di curari di sintesi e permise di costruire leesatte formule di alcuni alcaloidi naturali quali la malouetina,la C-tossiferina e la nordiidrotossiferina, tutti con due gruppiammonici. La mavacurina con un solo gruppo è priva diazione curarizzante, ma ha azione tossica come la diabolina.

NORDIIDROTOSSIFERINA

CH2OH

CHCH2ON

C-TOSSIFERINA

(+) TUBOCURARINA

H3C CH3/

N+

CH,

OCH,

N

CH3 H

(+) TUBOCURARINA

MALOUETINA MAVACURINA DIA BOLINA

per la caccia a preferenza di altre so-stanze tossiche facilmente reperibili nel-la flora, proprio per i vantaggi che essioffrono nel paralizzare e quindi fare ca-dere subito e verticalmente la preda nelgroviglio della foresta tropicale.

Nelle sue lezioni sulle proprietà delcuraro tenute al Collège de France

nel 1856, Claude Bernard concludeva:« Il curaro, come molti altri potenti ve-leni diventerà sicuramente un farmaco,ma bisognerà prima conoscerne esatta-mente la composizione ».

Era infatti necessario a questo puntofare un passo avanti nella conoscenzadel curaro rispetto alla sua composi-zione chimica per isolare, dalle com-plesse miscele di sostanze eterogenee, ilo i principi attivi puri responsabili del-l'attività curarizzante.

Fu il famoso farmacologo tedescoRudolf Boehm a effettuare le primericerche chimiche in questo senso trail 1886 e il 1897.

La prima osservazione fondamentaledi Boehm fu quella di separare nei cu-rari gli alcaloidi terziari, denominaticurine, che non presentano azione cu-rarizzante, e gli alcaloidi quaternari,chiamati con il nome generico di cu-rarine, dotati di azione curarizzante.

Si può qui ricordare che il gruppoamminico terziario (N = R3) rappre-senta uno dei gruppi funzionali dellemolecole organiche e si trova frequen-temente negli alcaloidi, che in questocaso appunto si dicono terziari.

Il gruppo ammonico quaternario (R3-N+-R) che si trova appunto negli al-caloidi detti quaternari, presenta unatomo di azoto tetrasostituito con unacarica positiva. Questo conferisce allasostanza una forte basicità e facilità adare sali con gli acidi: sali quaternari,che sono solubilissimi in acqua.

Le curarine sono pertanto dei sali dialcaloidi quaternari e appunto per que-ste particolari proprietà sono state perlungo tempo difficilmente isolabili ecristallizzabili.

Dai tubo-curari, che, come si è visto,provengono dalla regione amazzo-

nica subandina, Boehm isolò una cu-rina, alcaloide terziario inattivo, e unacurarina, quaternaria, dotata di spic-cata attività curarizzante.

Molti anni dopo a Vienna Spath ri-conobbe che la curina di Boehm erauno stereoisomero di un alcaloide noto,la d-beeberina, isolata da una drogasudamericana nota con il nome di Ra-dix pareirae bravae che veniva pre-parata da varie piante del genereChondodendron (famiglia delle Meni-spermacee).

Queste osservazioni polarizzarono laattenzione dei chimici sulle piante delgenere Chondodendron: infatti anchein base a osservazioni etnografiche sipoteva ammettere che queste piante ve-nissero usate largamente per la elabo-razione dei tubo-curari.

Questo non era tuttavia possibile sen-za la collaborazione di botanici, capacidi stabilire quali erano le specie diChondodendron e la loro distribuzio-ne geografica. Solo a questo punto sa-rebbe stato possibile disporre di unapianta dalla quale isolare il principioattivo del tubo-curaro.

Questo studio venne svolto in circatre anni di esplorazioni e ricerche dalbotanico statunitense Krukoff, uno deimaggiori esperti di flora amazzonica, incollaborazione con Moldenke. I risul-tati di questa indagine permettono diricondurre a cinque le specie di Chon-dodendron che potevano interessare lapreparazione di curari e in particolareil Chondodendron tomentosum, il C.platyphyllum e il C. microphyllum.

Questo ha consentito ai chimici Win-terstein e Dutcher di disporre di mate-riale determinato e sicuro sul quale ef-fettuare le indagini chimiche.

Nel frattempo H. King aveva isolatoda un tubo-curaro in forma pura unalcaloide quaternario che indicò con ilnome di d-tubocurarina (oggi indicatacome (+) tubocurarina) responsabiledi tutta l'attività curarizzante.

Winterstein e Dutcher a loro voltaisolarono la stessa (+) tubocurarina inbuone percentuali dal Chondodendrontomentosum, che si rivelava cosí unabuona fonte per ottenere questo alca-loide.

A questa sostanza, in base alle cono-scenze chimiche che erano maturatesugli altri alcaloidi delle Menisperma-cee, veniva attribuita una formula ri-sultante dall'unione asimmetrica di duemolecole di benzilisochinolina sostitui-ta, caratterizzata dalla presenza di duegruppi ammonici quaternari (si vedala formula in alto a sinistra nella pa-gina a fronte).

È grazie a queste ricerche che si ini-zia la sperimentazione clinica con latubocurarina e che nel 1942 Griffith eJohnson negli Stati Uniti introducononella anestesia chirurgica la tubocu-rarina. La ricerca sistematica di bota-nici e chimici rigorosamente coordinataaveva portato in pochi anni a disporredi una fonte abbondante di (+)tubocu-rarina, la cui richiesta andava aumen-tando per i suoi sempre maggiori im-pieghi in clinica sostituendo a un pre-parato come il curaro, di alto costo edi difficile approvvigionamento, unapianta facilmente reperibile.

ZOOLOGIA

LE SCIENZEedizione italiana di

SC I ENTI FI C AM E RI CAN

ha finora pubblicato:

L'ANTILOPE ALCINAE L'ORICEdi C.R. Taylor (n. 7)

IL FALAROPOdi E.O. Hiihn (n. 13)

LE SCIMMIE DI CITTÀdi S.D. Singh (n. 14)

LE FORME DI VITANELL'OCEANOdi J.D. Isaacs (n. 16)

COME SI MUOVONOI SERPENTIdi C. Gans (n. 25)

L'OROLOGIO BIOLOGICODEL PARASSITADELLA MALARIAdi F. Hawking (n. 25)

I GRANDI ALBATROSdi W.L.N. Tickell (n. 30)

COMUNICAZIONITRA LE FORMICHEE I LORO OSPITIdi B. 1-1:cilldobler (n. 34)

L'ECOSISTEMA DEL PARCODI SERENGETIdi R.H.V. Behl (n. 38)

I PESCI DEL DESERTOdi J.H. Brown (n. 42)

LA CRIPTOBIOSIdi J.H. Crowee A.F. Cooper jr. (n. 43)

COME LE API DIFENDONOL'AMBIENTE DELL'ALVEAREdi R.A. Morse (n. 47)

REAZIONI DI FUGANEGLI INVERTEBRATIMARINIdi H.M. Feder (n. 50)

40 41

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otiRARO

e

MEMBRANAPOSTSINAPTICA

AChAChE

CONTRAZIONE

eAChE

R \.

1Na+

K+

I risultati clinici di Griffith e Johnsonstimolano a questo punto l'interesse deiricercatori.

Daniel Bovet a questo proposito scri-ve: « Nelle ricerche sui curari di sinte-si che abbiamo iniziato nel 1946, dopoche i lavori di Griffith e Johnson ave-vano attirato l'attenzione sull'interessepresentato dai curari in anestesia, ab-biamo messo a profitto sia le conclu-sioni degli autori che ci hanno prece-duto sulla farmacodinamica dei deri-vati semplici contenenti la funzioneammonica quaternaria, e sia il model-lo che ci fornisce la struttura dellad-tubocurarina ».

È appunto in base alle analogie traattività biologica e struttura chimica,che Daniel Bovet fece l'ipotesi di lavo-ro che l'attività curarizzante fosse de-terminata dalla presenza di due gruppiammonici quaternari in una molecolache avesse le dimensioni o l'ingombrodi quelle della tubocurarina.

I chimici dell'Istituto Pasteur di Pa-rigi prima e quindi quelli dell'IstitutoSuperiore di Sanità di Roma, sintetiz-zarono su questo modello numerosicomposti la cui attività biologica con-fermava in pieno l'ipotesi di Bovet, trale quali la gallamina e la succinilcolina.

Ambedue queste sostanze sono larga-mente entrate nell'anestesia chirurgica,soprattutto la seconda, dotata di azionebreve, in quanto viene rapidamenteidrolizzata dagli enzimi nell'organismo,

e pertanto molto indicata per il suo im-piego in perfusione.

Infatti essa presenta il vantaggio diinterrompere con la somministrazionel'azione curarizzante, a differenza della(+) tubocurarina e della gallamiriache presentano un'azione prolungata.

Va a questo proposito ricordato chela (+) tubocurarina per metilazione dàla dimetil-tubocurarina, nove volte piùattiva della stessa tubocurarina, che vie-ne anche essa usata in pratica.

Dal 1950 sulla strada aperta dai la-vori di Bovet sono stati sintetizzati cen-tinaia di prodotti, che rispondono tuttial canone di Bovet della presenza nellamolecola di due gruppi ammonici qua-ternari opportunamente separati. Uncerto numero di questi prodotti si è af-fermato ed è entrato nella pratica del-l'anestesia.

Altri ricercatori, tra i quali si ricor-dano D. Nachmanson di New York eP. Waser di Zurigo, hanno cercato didare una interpretazione a livello mo-lecolare del meccanismo dell'azione cu-rarizzante. Questa si manifesterebbe alivello delle sinapsi neuromuscolari, ca-ratterizzate da un recettore dotato digruppi con carica negativa che si com-binerebbero con i gruppi quaternari,fortemente positivi della molecola del« curaro » spostandone l'acetilcolinache è il mediatore chimico.

Questa combinazione impedirebbe loscambio di ioni sodio (Na + ) e ioni po-

tassio (K 1 ) attraverso la membranabloccando quindi la trasmissione neuro-muscolare (si veda la figura in questapagina).

In base alla determinazione dell'atti-vità di diversi composti biquaternari,si è potuto stabilire che quelli che pre-sentano maggiore azione curarizzantesono quelli in cui i gruppi ammoniciquaternari sono separati da una distan-za compresa tra 12 e 14 A': si ri-tiene pertanto che questa sia anche ladistanza tra i siti attivi dei recettori.Tuttavia si ammette la necessità di con-siderare anche un fattore sterico comu-ne a tutti i curari a molecola comples-sa, definiti da Bovet, pachicurari.

L'eccezionale lavoro svolto sui tubo-curari, che ha consentito di risalire

da questi ai Chondodendron che ne co-stituivano la fonte di principi attivi edi qui all'estrazione e alla separazionedella (+) tubocurarina per l'industriafarmaceutica, costituisce un modello diricerca anche per gli altri tipi di cura-ro, di calebassa o in vaso, la cui atti-vità biologica è molto elevata e che tral'altro costituiscono la maggioranza deicurari conosciuti.

Abbiamo visto che i curari di cale-bassa erano stati studiati tra i primi daHumboldt, da Roulin e Boussingault esuccessivamente da Boehm. Tuttavia, adifferenza di quanto è avvenuto con itubo-curari dove la miscela di alcaloi-di poteva venire frazionata con unacerta facilità non essendo molto com-plessa, nel caso dei curari di calebassasi avevano delle miscele di alcaloidi digrande complessità che resistevano aogni frazionamento.

Lo stesso problema presentavano glialcaloidi che venivano estratti dallacorteccia di Strychnos usata come ma-teria prima nella elaborazione di questicurari.

Per molti anni si sono avuti solo al-caloidi sui quali era difficile potere ef-fettuare ricerche chimiche o esperienzebiologiche, perché non si poteva opera-re su un individuo puro.

Malgrado le ricerche di Boehm suicurari e quelle effettuate da Paulo DeBerredo Carneiro nel 1938 sulla Stry-chnos solimoesana che dimostravano lasimilitudine tra gli alcaloidi della pian-ta e quelli elaborati nel curaro, si do-vette attendere l'introduzione in labo-ratorio delle tecniche cromatografiche,sia analitiche che preparative, per po-ter affrontare lo studio dei curari dicalebassa su una base rigorosamentescientifica.

L'impiego della cromatografia su co-lonna ha consentito subito di metterein evidenza l'estrema complessità delle

Queste fotografie, del padre Dino J. Grossa, costituiscono undocumento piuttosto eccezionale della preparazione del curaroda parte dello stregone della tribù Guaicas che abita la regionedell'alto Orinoco. In alto a sinistra si vede lo stregone che com-pie la prima operazione che consiste nella polverizzazione dellematerie prime tra le mani. Questa operazione assai importanteviene proseguita più energicamente nella seconda fotografiaaiutandosi con le ginocchia, mentre la polvere cosi ottenuta

viene fatta cadere su una foglia. In basso a sinistra si può ve-dere come lo stregone, costruito un imbuto con una foglia eriempitolo della polvere ottenuta precedentemente, compia l'ope-razione di lisciviazione che consiste nel versare acqua quasibollente nell'imbuto e nel raccogliere il filtrato. Nell'ultimafotografia si vede il « cacique » della tribú che unge le frecceche poi verranno spalmate di curaro. Quando il veleno nonviene subito utilizzato viene conservato in appositi recipienti.

Rappresentazione schematica del funzionamento del recettore muscolare secondo P.Waser. Il poro che permette il flusso di ioni attraverso la membrana postsinaptica,quando questa è depolarizzata, è circondato da due molecole di acetilcolinesterasi(AChE) con quattro centri attivi (—, G) e può essere bloccato dalle grosse molecoledel curaro. Le molecole di acetilcolina (ACh) o di decametonio (C10) si attaccano aivari recettori colinergici (11) 10 dei quali sono situati in prossimità della molecola dicolinesterasi, forse in connessione con la proteina posta esternamente ai centri attivi.Questa azione fa variare la struttura della membrana che si contrae allargando i pori.

42 43O

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l'2-----ERITROCURARINA I

•Gylo

GUIACURINA II

ERITROCURARINA

GIV

-GUIACURINA I

5

10

15

20

25

Cromatografia bidimensionale degli alcaloidi contenuti nella corteccia di Strychnosguinnensis, eseguita per avere un quadro dei vari componenti la miscela (che nellacromatografia appaiono sottoforma di « macchie »). Gli alcaloidi posti sulla carta ven-gono fatti migrare dapprima in una direzione con un solvente, poi, ruotato il fogliodi 900, vengono fatti migrare con un altro solvente. Si possono cosi separare anche lemiscele piú complesse, che, colorate con reattivi specifici, possono essere confron-tate tra loro. Le sigle G T _ T , indicano le varie frazioni individuate di guiacurarina.

5

10

15

20

25

30

miscele di alcaloidi contenuti nei eu-rari e anche nella corteccia di tal uneStrychnos. Si avevano da separare 20--25 alcaloidi, ma molto spesso anche30-40. Ognuno di questi era presentein piccole dosi cosí che risultava spes-so difficile disporre di quantità suf-ficienti per stabilirne la struttura e stu-diarne le proprietà farmacologiche.

L'impiego, in queste prime ricerche,di curaro, cioè di un concentrato del-l'estratto dei principi attivi della pianta,rappresentava in questo caso un note-vole vantaggio, dato che si poteva ope-rare su un materiale arricchito, mentrelavorando le piante occorreva disporredi molto materiale, cosa non facile,per ottenere piccole quantità di alca-loidi totali.

Alla cromatografia preparativa su co-lonna si è associata per tutto lo studioanalitico la cromatografia su carta.

In questo caso, infatti, sono sufficien-ti millesimi di milligrammo di estrattototale per avere un quadro abbastan-za completo della composizione dellamiscela.

Questo sistema consente, impiegandola tecnica bidimensionale cioè ripeten-do l'operazione in due direzioni a 90°tra loro sullo stesso foglio di carta, condue solventi diversi, di risolvere le mi-scele piú complesse di alcaloidi e indi-viduarli in base alla loro posizione rela-tiva e alle colorazioni che essi assumo-no con reattivi specifici. Anche i meto-di spettroscopici sono stati largamenteusati per la caratterizzazione delle so-stanze curarizzanti (si vedano le figurein queste due pagine).

L'autore insieme a vari collaborato-ri tra cui il botanico brasiliano Duckeha effettuato nel periodo tra il 1952 eil 1964 un'accurata indagine farmaco-logica e chimica di una ventina di spe-cie del genere Strychnos per stabilire lapresenza di nuovi alcaloidi.

In base ai risultati ottenuti è statopossibile chiarire la costituzione di uncerto numero di alcaloidi in mezzo allasessantina che sono stati isolati o carat-terizzati in curari e Strychnos.

Si era detto che gli alcaloidi presentinei curari si possono ritrovare tra quel-li isolati da piante del genere Strychnosusate per la loro preparazione; succes-sivamente è stato confermato che iprincipi attivi sono preesistenti nella

I cromatogrammi preparativi su carta deltipo raffigurato in questa pagina in alto,alla luce ultravioletta sono fluorescenti epossono essere fotografati per fornire undocumento stabile dei diversi tipi di fluo-rescenza delle varie frazioni di alcaloidiche possono quindi essere, se pur con unacerta approssimazione, confrontati tra loro.

pianta. Per questo motivo le ricerchesui curari di calebassa sono state se-guite dallo studio della composizionedelle cortecce di Strychnos usate per laelaborazione dei curari.

Gli alcaloidi piú caratteristici, co-me la C-curarina (il prefisso C sot-tintende la parola Calebassa) e la C-tos-siferina, sono dimeri biquaternari do-tati di elevate proprietà curarizzan-ti e caratteristici di vari curari di ca-lebassa come pure di varie specie diStrychnos.

Accanto a questi alcaloidi dimeri bi-quaternari, si trovano nei curari e nel-le piante alcaloidi quaternari monome-ri, alcaloidi terziari dimeri e alcaloiditerziari monomeri.

L'attività curarizzante è dovuta esclu-sivamente agli alcaloidi quaternari di-meri, perché quella dei monomeri è ir-rilevante, mentre agli alcaloidi terziariche sono stati isolati dalle piante, si

possono attribuire solo proprietà tossi-che negli estratti. Va ricordato che inquesti ultimi anni è stata riscontrata lapresenza nei curari, come era logico,anche di taluni di questi alcaloidi ter-ziari.

Alcaloidi monomeri quaternari ap-partengono a vari gruppi di alcaloidi in-dolici e sono stati ritrovati in curari ein Strychnos, tra cui le macusine A, Be C e la mavacurina riscontrata inalcuni curari oltre che in Strychnos.

Alcaloidi dimeri-bis terziari come lanordiidrotossiferina, sono stati isolatida curari e da piante. Essi non pre-sentano attività curarizzante ma pro-babilmente sono precursori nella pian-ta di alcaloidi biquaternari.

Tra gli alcaloidi terziari monomeri,va ricordata la diabolina rivelatasi on-nipresente insieme al suo desacetilde-rivato in Strychnos e frequente in cu-rari. (Alcune formule chimiche degli

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In questo esperimento condotto sul coniglio in narcosi sonostate messe a confronto le azioni della d-tubocurarina e dellafrazione C, del curaro Yanoàma. Per misurare l'effetto cura-rizzante dei due farmaci venivano somministrate, per via en-dovenosa, dosi scalari dei due farmaci e venivano registrate leoscillazioni del muscolo gastrocnemio (in alto) che, stimolatoattraverso il nervo sciatico, si contraeva fino a quando uno dei

due curari, bloccando la trasmissione neuromuscolare, non pro-vocava atonia muscolare. La durata della pausa, misurabile inascissa, era proporzionale alla dose del farmaco somministrato.Il tracciato in basso si riferisce all'andamento della pressionearteriosa che non veniva apprezzabilmente influenzata dai cu-rari. Come si può facilmente osservare i due campioni in esa-me manifestano un'azione quasi identica sull'attività muscolare.

CiTUBOCURARINA0,15 mg/kg 0,002 cm'/kg

M.G.

P.A.15

5

ILJn111n.n10 10 20 30 min

O i

TUBOCURARINA [0,1 mg/kg

0,005 cm3/kgTUBOCURARINA

0,15 mg/kg

CI C.10,003 cm3/kg

PALETNOLOGIAE ARCHEOLOGIA

Dal Paleoliticoall'Antichità Classica

Lemar da LE SCIENZE

4444 41:117T/IC

USCITOUN NUOVOVOLUME

DI LETTURE DA

SCU,NZEPALETNOLOGIA E ARCHEOLOGIADal Paleolitico all'antichità classicaa cura di Alfonso de Franciscis

LA PREISTORIA IN EUROPAIl carbonio-14 e la preistoria dell'Europadi C. RenfrewL'ossidiana e le origini del commerciodi J. E. Dixon, J. R. Cann e C. RenfrewUn accampamento paleolitico a Nizzali H. de LumleyL'evoluzione dell'arte paleoliticadi A. Leroi-GourhanLe incisioni rupestri della Valcamonicadi V. Fusco

LA PREISTORIA NELLE AMERICHEL'uomo preistorico nelle Andedi R. S. MacNeishI primi abitatori delle Antilledi J. M. Cruxent e I. RouseUna necropoli archeoindiana a Terranovadi J. A. Tuck

LE CIVILTÀ DEL VICINO ORIENTEUn antico villaggio agricolo in Turchiadi H. Cambel e R. J. Braidwood

Un'antica città iranianadi C. C. e M. Lamberg-Karlowsky

I qanat dell'Irandi H. E. WulftAscesa e caduta dell'Arabia Felixdi G. W. Van BeekGli aderenti al Nuovo Patto di Clumrandi S. Talmon

LA CIVILTÀ CLASSICA

La prospezione archeologicadi C. M. LericiLe pietre ornamentali colorate nell'antichitàdi R. GnoliLa vita nella Grecia miceneadi J. Chadwick

Le pitture grechedella tomba del tuffatoredi M. NapoliLa sorgente sacra della Sennadi S. A. Deyts

Questo volume contiene una raccolta di articoli, attentamente sele-zionati, pubblicati in questo campo da Le Scienze a partire dal set-tembre 1968, scelti non solo per soddisfare le esigenze e l'interessedegli studenti ma anche degli appassionati della storia dell'uomo.

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BIOLOGIA 1 L. 3.000 (abbonati L. 2.700)

BIOLOGIA 2 L. 3.000 (abbonati L. 2.700)

alcaloidi citati sono riportate a pagi-na 40).

Rimaneva solo inspiegabile come glialcaloidi quaternari si ritrovassero finoa pochi anni or sono solo in specie diStrychnos del Sud America; recenti ri-cerche hanno però dimostrato che inun veleno di frecce del Ruanda (AfricaCentrale), ottenuto da S. usambarensissono presenti alcaloidi quaternari delgruppo della curarina.

Le ricerche sugli alcaloidi di Strych-nos, cosí importanti per la conoscenzadi curari, sono ancora in evoluzione. Irisultati finora ottenuti non hanno por-tato a nuove sostanze curarizzanti daimpiegare in anestesia, se si eccettua ilprodotto semi-sintetico, la alloferina distruttura simile alla curarina. Questo sideve soprattutto al fatto che per sinte-si sono già stati preparati numerosi pro-dotti che hanno coperto la maggiorparte delle esigenze della anestesia.

necessario ancora qui sottolineareche questi curari vengono ancora oggipreparati in Amazzonia e hanno, co-me è stato recentemente dimostrato lastessa composizione di quelli preparaticento anni fa. Questo dipende dal fat-to che in ogni zona vi sono piante ca-ratteristiche, che contengono determi-nati alcaloidi e che la tecnica tradi-zionale non è mutata.

I curari in vaso provengono da unavasta area dell'Amazzonia occidenta-

le e vengono prodotti da tribù di indiche preparano un determinato tipo diterracotta nera che serve anche perfabbricare i vasi dove il curaro vieneconservato (si veda la figura a pa-gina 38).

Secondo le più recenti ricerche quasisempre questi curari vengono elaboratiimpiegando sia Chondodendron cheStrychnos e quindi contengono sia tu-bocurarina che gli alcaloidi bis-quater-nari del gruppo della tossiferina e dellacurarina.

L'impiego di due diversi principi at-tivi, provenienti da due famiglie diver-se di piante, rappresenta il termine in-termedio tra i curari di calebassa equelli di tubo e si riscontra in quelle zo-ne dove ambedue le specie di piante sitrovano con eguale abbondanza.

A questo gruppo si devono ricondur-re molti curari che hanno importan-za storica come quello portato in Eu-ropa dalla spedizione di de Castelnaunel 1854.

Oggi tuttavia non si può ammettereuna classificazione rigida come quelladi Boehm perché risulta che vi sonocurari misti in calebassa o in tubo, percui si può affermare che la composi-zione dei vari curari è legata alle areedi distribuzione delle piante contenentialcaloidi curarizzanti.

A questo punto ci si può chiedere sele ricerche sui curari e sulle piante con-

tenenti principi attivi curarizzanti sia-no concluse e se esse rappresentino orasolo un interesse storico nello sviluppodella scienza.

Si può dire che, anche se oggi abbia-mo delle conoscenze molto più esau-rienti di quelle di un secolo fa, su que-sto argomento vi sono ancora moltiproblemi che non sono stati del tuttochiariti e ogni nuova acquisizione fafare un passo avanti verso nuovi svi-luppi.

Per esempio, alcuni anni or sono èstata studiata una apocynacea del Ve-nezuela, la Malouetia bequertiana, chesi sapeva veniva impiegata per la fab-bricazione di alcuni curari ed è statodimostrato che il principio attivo diquesta pianta è un alcaloide steroidi-co, la malouetina, caratterizzato da duegruppi ammonici quaternari ai dueestremi della molecola.

Questa struttura, imprevista per lanatura della molecola fondamentale,giustifica la sua azione curarizzante conla presenza dei due gruppi ammoniciquaternari.

Questa sostanza presenta le stesseproprietà dei cosiddetti pachicurari ocurari pesanti che agiscono come com-petitivi dell'acetilcolina sulla sinapsineuromuscolare.

La scoperta di questo nuovo farma-co curarizzante è servita di modelloper una nuova serie di composti cura-

rizzanti dotati di particolari proprietà,di cui il piú importante rappresentan-te è il cloruro di pacuronio, steroidesintetico simile alla malouetina che hadue gruppi piperidinici quaternari aidue estremi della molecola.

Da quanto si è visto sulle relazionitra struttura chimica e attività farma-cologica potrebbe sembrare che l'atti-vità curarizzante sia condizionata, se-condo l'ipotesi di lavoro di D. Bovet,dalla presenza in una singola molecoladi due gruppi ammonici quaternariseparati da una determinata distanza.

Nel 1971 Everett Loxe e Wilkinson,riesaminando con l'im piego di nuoveraffinate tecniche chimico fisiche gli al-caloidi del gruppo della tubocurarinahanno potuto stabilire che la (+) tu-bocurarina non possiede, come si eracreduto sino ad allora, due gruppi am-monici quaternari ma uno solo (siveda la formula in alto a destra a pa-gina 40).

Questo risultato abbastanza scon-certante è stato confermato medianterigorose dimostrazioni anche per viachimica e con i raggi X.

L'errore di King può essere facil-mente spiegato considerando i mezzia sua disposizione circa quaranta annior sono e le difficoltà d'interpretazionedi una grande molecola.

Eppure sulla formula di King è ba-sata l'ipotesi di Bovet che ha dischiusoalla ricerca e all'applicazione praticatutto il campo dei curarizzanti di sin-tesi, e ha trovato conferma altresí nel-l'attività degli alcaloidi naturali suc-cessivamente isolati, curarina, tossife-rina, malouteina, che dimostrarono dipossedere effettivamente due gruppiquaternari.

Questo ci dimostra l'importanza del-le ipotesi di lavoro quando spingonoalla ricerca in campi nuovi in quantospesso consentono, come in questocaso, di fare nuove e importanti sco-perte anche se la premessa non eraesatta.

A questo punto si può fare una con-siderazione finale su quanto è stato finoa qui esposto.

Tre secoli di studi e ricerche in cam-pi tanto diversi come la etnografia, labotanica, la chimica, la farmacologia ela anestesiologia hanno permesso, nelquadro di una ricerca interdisciplinare,di risalire dalla semplice osservazionesulla caccia di popolazione primitive,rimaste culturalmente all'età della pie-tra, a una delle più brillanti conquistenel campo della medicina moderna permerito dello spirito di osservazione,dell'abilità sperimentale e della fanta-sia scientifica degli uomini che si sonodedicati a questo lavoro.

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