james hillman città, sport e violenza

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James Hillman CITTÀ, SPORT E VIOLENZA Traduzione di Roberto Donatoni Adelphiana www.adelphiana.it 19 giugno 2002

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Page 1: James Hillman CITTÀ, SPORT E VIOLENZA

James Hillman

CITTÀ, SPORT E VIOLENZA

Traduzione di Roberto Donatoni

Adelphianawww.adelphiana.it

19 giugno 2002

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«Invitati o no, gli dèi saranno presenti». Se riferito aglieventi sportivi, il celebre motto di Jung da cui prendono lemosse in generale il lavoro di Hillman, e in particolarequesta conferenza tenuta all’Università di Firenze nelmaggio del ’90, assume una sua cruda evidenza. Comesempre, Hillman ragiona in termini di malattie (o meglio,analizza ciò che si cela negli stati dell’anima che chia-miamo così) e di possibili cure (che poi spesso consistononell’ascoltare i nostri disturbi, quando in essi risuoni lavoce del Nume). E se il morbo in questione è il tifo, i suoivettori Marte e il testosterone, i suoi sintomi la predisposi-zione al voyeurismo che accomuna tanti di noi, capiamosubito che il discorso ci riguarda molto da vicino. E sare-mo ancora più interessati ai rimedi diligentemente propo-sti dal medico, che scopriremo molto meno paradossali diquel che potrebbero apparire.

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... il miglior consiglio che possiamo offrire ai lettori è dirassegnarsi a continuare a convivere, nel calcio e altrove,

con il teppismo.the roots of football hooliganism

violenza marziale

Descrizioni e immagini sono tanto sconvolgentiquanto familiari: stadi di calcio brasiliani protettida fossati, recinzioni, e dalla polizia con i cani; «ti-fosi» (alla lettera, resi pazzi dal tifo) italiani; qua-ranta o più persone uccise a Bruxelles da ultras delLiverpool; cinquecento feriti in una mischia duran-te una partita in una scuola superiore a Washing-ton. Storie del tutto simili provengono dall’Ameri-ca Centrale, dalla Turchia, dall’Argentina, dal Perù,dalla Cina, dall’Unione Sovietica, dall’Egitto. Nel1970, quando il Brasile vinse la Coppa del Mondo,due milioni di persone festeggiarono il ritorno del-

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la squadra: quarantaquattro morti, milleottocentoferiti. Nelle nostre città gli spettacoli sportivi, anchese di scarsa importanza, sfociano talvolta in violen-ze mortali. Si tratta di un fenomeno mondiale.Che cosa può dirci al riguardo la psicologia arche-tipica| Innanzitutto che per «archetipici» si inten-dono qui gli schemi onnipresenti, profondamentesentiti, ineluttabili, che veicolano sia i valori sia laprofondità religiosa. «Archetipici» sono però an-che tutti gli schemi «necessari», quelli cioè che go-vernano il comportamento in quanto affondano leproprie radici nella vita psichica. Se come conse-gue dalla celebre premessa di Aristotele – anthro-pos physei politikon zoon – la vita psichica degli esse-ri umani è per sua natura politica, allora quale sco-po politico necessario ed essenziale adempie il fe-nomeno archetipico della violenza sportiva| Comepossiamo intendere, psicologicamente e anche po-liticamente, il tema della violenza sportiva| Di fatto,può in qualche modo la violenza sportiva mostrarela relazione innata, di cui parla Aristotele, tra le piùprofonde forze animali presenti nella natura uma-na e la vita della polis|Vorrei cominciare da una tesi che estende l’affer-mazione di Aristotele: gli sport appartengono allanatura politica dell’essere umano, quindi la violen-za a essi intrinseca ha a sua volta una portata politi-ca. Le competizioni $siche non si svolgono per caso,né possono essere relegate nell’antica categoria deipanem et circenses. Al contrario, sono una componen-te fondamentale dell’esistenza politica.In questa indagine archetipica il mio metodo si ispi-

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rerà al famoso detto di Jung: «Gli dèi sono diventa-ti malattie». Noi non cerchiamo più gli dèi sull’O-limpo – cioè in culti antichi, in templi o statue delpassato – e neppure nei racconti e nei drammi del-la mitologia. Oggi gli dèi appaiono piuttosto nei no-stri disturbi. In quelli privati, ovviamente, ma an-che in quelli pubblici. La prima vera lezione cheimpariamo da Edipo non corrisponde all’interpre-tazione di Freud, e cioè non riguarda i disturbi pri-vati della sfera erotica familiare, bensì la malattiadella città, con cui la tragedia dell’Edipo re si apre edi cui si preoccupa Edipo quando, rispondendo allaS$nge, scopre il male che flagella Tebe. Edipo vor-rebbe salvare la città. Questa è la sua prima preoc-cupazione – e alla stessa preoccupazione dovrebbeispirarsi qualunque psicologia del profondo deri-vante dalla visione freudiana di Edipo come mitofondamentale. Parimenti, questa preoccupazioneper la città deve essere il centro d’interesse di qua-lunque psicologia dell’anima, poiché l’anima del-l’individuo si situa all’interno della sfera – più va-sta – dell’anima mundi. La salvezza della città è ilproblema centrale anche dell’Edipo a Colono, scrit-to da Sofocle in tarda età. E, non a caso, la tragediasi conclude con la morte di Edipo in un luogo chesanti$ca la polis di Corinto. Il mito di Edipo stabi-lisce la direzione della psicologia del profondo, nonsoltanto riguardo alla malattia privata della fami-glia, ma anche riguardo alla malattia pubblica del-la città. Perciò, spostando lo sguardo della psicolo-gia archetipica sulla violenza sportiva nelle città, in

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sostanza riprendiamo l’approccio mitico – o me-glio edipico – di Freud ai disturbi psicologici.Vorremmo tuttavia seguire anche Jung, cercando discoprire il «dio» nella malattia della violenza spor-tiva. E qui la domanda diventa: quale dio| A benvedere, è lo stesso quesito che nell’antichità venivaposto all’oracolo: a quale dio o eroe devo fare unsacri$cio| Infatti, dare un nome alla potenza re-sponsabile è già l’inizio del rimedio (H.W. Parke,Greek Oracles, Hutchinson, London, 1967, p. 871;The Oracles of Zeus, Blackwell, Oxford, 1967, p. 111).Scoprire l’altare davanti a cui deporre il problema«situa» il disturbo, conferendogli un signi$cato.Per i problemi di Edipo, il dio in questione era A-pollo, e per quelli di Ippolito, Afrodite. Per i pro-blemi che incontriamo nei nostri stadi di calcio,penso sia il caso di rivolgersi ad Ares, o Marte chedir si voglia.Che le gare contemplino eventuali incursioni diMarte è noto da tempo. E il fatto riguarda tutte lecompetizioni, persino le corse dei cavalli. Nel 1822,il giornale britannico «The Annals of Sporting» con-sigliava agli spettatori di recarsi a Epsom e ad Ascotarmati, dato che la violenza poteva esplodere inqualsiasi momento – ed era già accaduto che unfantino dato per favorito, dopo aver deluso i suoisostenitori, venisse assalito dalla folla e frustato(A. Guttmann, Sports Spectators, Columbia, NewYork, 1986, p. 68). Un altro esempio| Il tennis. Permantenere l’ordine – o meglio, per evitare lo scop-pio di disordini – in un doppio, dove quattro uomi-ni vestiti di bianco si affrontano su un terreno ret-

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tangolare accuratamente delimitato da linee bian-che, occorrono almeno quattordici giudici di linea,più il giudice di sedia.E veniamo al calcio. Col suo Discorso sopra il giuoco delcalcio $orentino, scritto nel 1580, Giovanni Bardi ten-tò di chiudere in un insieme di regole e di precet-ti anche estetici un gioco che gli autori precedentide$nivano semplicemente una «battaglia». Il «gio-co della pugna», così come altri certami – quali leannuali sassaiole perugine –, in seguito condanna-ti da Savonarola, dimostrano con suf$ciente chia-rezza come nell’Italia antica, almeno quanto all’e-poca di Roma, era Marte a presiedere il disordineche oggi chiamiamo violenza sportiva.E qui vanno chiarite subito due cose: Marte non sioccupa né di strategia né di vittoria. In altre paro-le, la sua sfera non comprende né il pensiero delcombattimento né il suo esito. Marte appare piut-tosto nella furia paonazza e nella febbre inebrian-te che affliggono i «tifosi», si manifesta come un’ec-citazione dovuta al sesso o a una droga, un traspor-to inarrestabile verso una condizione altra, che èpoi quella della lotta nel senso più $sico del termi-ne. È allora, in quei momenti di furore bellico, chegli umani sono stretti nell’abbraccio di un’energiadivina.Gli epiteti del dio ci dicono molto sui suoi effetti.Marte veniva chiamato moles, a testimoniarne la po-tenza $sica e la suggestione sulle masse, e anchecaecus. La frequente associazione con Nerio ne cer-ti$cava l’eroismo. Ai guerrieri di Marte venivanopoi attribuiti termini più antichi, come quelli ve-

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dici e avestici analizzati da Dumézil: «giovane osti-nato», «eroe possente», «gigante» e «danzatore»(G. Dumézil, Archaic Roman Religion, trad. ingl., Uni-versity of Chicago Press, Chicago, 1966, pp. 206-12,392; W.H. Roscher, Lexicon der Greichische und Römi-schen Mythologie VIII, Olms, Hildesheim, 1965). Aquesto complesso appartengono anche parole perl’ira, la furia e l’uccisione.Magari noi li abbiamo dimenticati, ma gli dèi si ri-cordano bene di noi. Siamo ancora soggetti alla lo-ro possessione archetipica. Forse, allora, il primobene$cio della violenza è che ci obbliga a ricono-scere il perdurare degli dèi, non più nell’ossequio dicorpi e anime ai rituali, ma come «malattie» psico-logiche nel corpo politico e nell’anima della città.Nella mitologia Marte è sempre innamorato di Ve-nere. In lui esiste dunque una parte venusiana cheama la bellezza quanto la battaglia – ed è questa laparte che Giovanni Bardi e gli sportivi $orentiniprediligevano ed esibivano. Basti pensare all’abbi-gliamento con cui i $gli di Marte presenziavanoagli eventi sportivi nel Rinascimento: velluti, sete,broccati, armature, stendardi, fasce, e poi il vermi-glio, lo scarlatto, la porpora delle maniche. E oggi ilquadro non è diverso.Si immagini l’amore venusiano, e cioè sensibile,raf$nato, attento ai particolari che i $gli di Martemostrano nella cura delle armi da guerra, da cac-cia e sportive – si pensi alle lame, alle punte, aidenti, ai metalli, agli sbalzi, alle tempre di coltelli,a spade, aste, picche, alabarde, sciabole, asce da bat-taglia, scorticatoi, stocchi, pugnali, lance, tutti amo-

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revolmente af$lati con l’intenzione di uccidere. Siricordi la musica: i tamburi e i pifferi e le corna-muse, le trombe e le buccine, i canti, i passi di mar-cia, le bande in marcia, i galloni e gli ottoni. Si ri-cordino, ancora, le parate e le legioni, le decorazio-ni militari, i cappelli con le penne e le pistole dal-l’impugnatura d’avorio, le medaglie e le onori$-cenze; e le grandi mura e i bastioni delle forti$ca-zioni progettati per la violenza da Brunelleschi, daLeonardo, da Michelangelo, da Buontalenti ( J. Hill-man, Wars, Arms, Rams, Mars, in Facing Apocalypse, acura di V. Andrews et al., Spring, Dallas, 1987, pp.123-24).Ancor oggi, come osservano Dunning et al., recin-zioni e gabbie armate di punte hanno trasformatola maggior parte degli stadi britannici in «costru-zioni simili a fortezze» (E. Dunning, P. Murphy e J.Williams, The Roots of Football Hooliganism, Routled-ge, London, 1988, p. 235). Inoltre, i giovani tifosi sisentono difensori del territorio in casa, e audaci in-vasori in trasferta.Vi chiedo di non dimenticare che Marte governauna vasta parte della psiche e della storia umana,dalle glorie dell’eroismo alle aggressioni del tep-pismo. Nella stessa Firenze, il Battistero era in ori-gine un tempio dedicato a Marte; Giuliano de’ Me-dici si presentò, dopo un torneo, atteggiandosi co-me Marte; e la lotta fra Guel$ e Ghibellini avvennesotto una statua di Marte.Possiamo dunque concepire Venere e Marte comedue dèi complementari. Che gli amanti cadanopreda della pazza furia di Marte non ci sorprende.

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Ma accade anche il contrario. Il mondo di Martegode del contatto $sico ravvicinato, dell’esibizio-ne del corpo, e sa apprezzare lo stile, lo sfogo degliistinti, lo slancio delle passioni. Sì, Marte e Venereesprimono una stessa brama di vita.La differenza fra eroismo marziale e teppismo di-pende in larga misura da tre forme di disciplina: ladisciplina della bellezza, di cui abbiamo appenaparlato e su cui ritorneremo; la disciplina dell’in-terconnessione, di cui parlerò più avanti; la disci-plina gerarchica. Da esse nascono i rituali in gradodi limitare all’interno della sfera umana l’in$ltra-zione della potenza divina.Allo stadio ritroviamo lo stesso rispetto ossessivo del-le gerarchie che sul campo di battaglia determinal’obbedienza immediata. I giocatori seguono le di-rettive dell’allenatore o del commissario tecnico,e tutti quanti sono agli ordini di arbitri e giudici.Nelle partite di strada la gerarchia si stabilisce allasvelta, con la nomina di un capitano. Anche le ban-de urbane impongono una rigida disciplina gerar-chica. Dove c’è Marte c’è anche gerarchia, e sottoquesto pro$lo la lotta delle femministe per un’u-guaglianza assoluta vista come unico fondamentodella democrazia ottiene l’effetto contrario, e cioèstimola la disobbedienza, la sfrenatezza, la cecitàdi Marte. La gerarchia protegge il dio dalla sua fu-ria. Arriverei a dire che la disciplina gerarchica nonè tanto una costrizione repressiva ispirata al Satur-no patriarcale, quanto lo spiritus rector della $guraarchetipica di Marte, il cui stesso spirito violentoinventa la gerarchia per salvarsi dalla cieca e rovi-

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nosa dissipazione di sé in un’insensata esplosionedi violenza. Dopotutto gli dèi, ci ricordano i Neo-platonici, sono intelligenze. Quando inventano ciòdi cui hanno bisogno dobbiamo supporre che sap-piano cosa stanno facendo.E adesso alcuni esempi per corroborare la tesi del-la disciplina gerarchica. Il sumo giapponese e quida noi la scherma o la lotta greco-romana si basa-no sull’ardore marziale del corpo a corpo, e sonoquindi molto competitivi e $sicamente duri. Eppu-re in genere gli spettatori, imbrigliati da una com-plessa disciplina cerimoniale, rimangono silenzio-si. Al contrario, gli incontri di boxe sono noti perle esplosioni di violenza fra il pubblico, che inqualche modo li considera una sorta di rissa aper-ta a tutti. In questo caso entra in gioco solo un a-spetto di Marte, la sua ira battagliera, mentre del-le sue esigenze di formalità gerarchiche non si tie-ne conto.Dal momento che la violenza, eroica o teppisti-ca, deriva da un’incursione divina, non può esserespiegata da interpretazioni marxiste, freudiane, so-ciologiche, psicologiche, simboliche o strutturali-ste. Possiamo parlare di psicosi collettive, di un a-baissement du niveau mental, della folla e del suo po-tere; possiamo parlare della rivolta delle masse edell’impotenza delle classi oppresse, della perditadel padre come garante di autorità e ordine, delcomportamento passivo-aggressivo favorito dai me-dia, della disperazione e dell’anomia urbane, dellosfruttamento e dello spaesamento dovuti alla ma-nipolazione commerciale degli sport... ma non pos-

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siamo spiegare la pazzia furiosa di Marte. Ciò cheha luogo nella violenza sportiva delle città somigliaa ciò che si scatena sul campo di battaglia. Questainfrazione di tutte le norme civili, che a volte chia-miamo «tifo violento», ci dice che quanto sta acca-dendo non è soltanto «malato» ma anche mitico –perché il mito opera adesso in maniera più vivida,e mostra il potere trascendente degli dèi, proprio aldi fuori della ragione, nei comportamenti inesplica-bili comunemente intesi come psicopatologia.

testosterone

Ad Atene Marte viveva sull’Areopago, e a Roma nelCampo di Marte – in entrambi i casi fuori dalla cit-tà. Il dio della guerra è infatti sempre stato consi-derato un pericolo per il civis, perché vive comun-que nel sangue di ciascun cittadino, dove è chia-mato «testosterone». La virilità di Marte è ancheun fenomeno endocrino. Gli dèi non risiedonosoltanto sull’Olimpo, o nei cieli del mito e nei san-tuari dell’antichità; continuano ad abitare i nostricorpi.Come tutti gli studi in materia confermano, il pub-blico del calcio è composto in larga misura da ado-lescenti. Questo vale soprattutto per le nazioni piùgiovani, in altre parole per il Terzo Mondo, dovel’età media della popolazione è inferiore a quelladell’Europa occidentale. Ma ricerche condotte aColonia, per fare solo un esempio, mostrano che

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più della metà della tifoseria – nell’ottantotto percento composta da maschi – ha ventun anni o me-no. In numerosi testi gli scontri prima, durante odopo la partita vengono de$niti «crisi puberali ri-tardate», e c’è chi si spinge a interpretarli come unrito iniziatico basato sul rischio $sico.All’inizio della pubertà la secrezione di testostero-ne aumenta improvvisamente di trenta volte. Gli ef-fetti di questa esplosione ormonale sono sorpren-denti, e non solo nella specie umana. Nell’alce, peresempio, il palco delle corna cresce $no a una lar-ghezza di due metri in soli centoventi giorni. Qua-si il novanta per cento del cibo che l’animale inge-risce serve unicamente a questa sua magni$ca esi-bizione di orgoglio maschile – e di aggressività. Iltestosterone produce esperienze prolungate e in-tensamente stimolanti, e comporta uno stato di ec-citazione sessuale che può sfociare in violenza – laquale violenza a sua volta aumenta, anziché dimi-nuire, i livelli di testosterone. Né le prediche mo-ralistiche di autorità e commentatori sportivi, né ilcontrollo della polizia, né l’ideologia femministapossono in alcun modo influenzare questa forza na-turale, questo Marte che risiede nel flusso sangui-gno. Bisogna farci i conti. Esaminiamo quindi piùda vicino le situazioni psicologiche capaci di eleva-re il livello di testosterone:1) L’attesa di una s$da.2) La gara e la vittoria.3) Il miglioramento della propria condizione do-vuto al superamento di una prova.4) L’attesa di un incontro sessuale e il suo successo

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(i livelli di testosterone salgono sia prima che dopol’attività sessuale).5) L’ira.

Non c’è quindi da stupirsi se una decisione arbi-trale considerata ingiusta o un fallo non sanziona-to scatenino l’ira della folla, innescando una spi-rale di furia dovuta a un aumento dei livelli di te-stosterone. Ed è altrettanto prevedibile che l’attesadi un evento sportivo provochi un tumulto nel flus-so sanguigno. Né dovrebbe sorprendere che al ter-mine della partita l’eccitazione non scemi, e che incaso di vittoria le esplosioni di violenza siano anco-ra più probabili.Fra i cinque fattori citati merita particolare atten-zione l’ira, sia perché è una componente di rilie-vo della violenza sportiva, sia perché dal punto divista mitologico e simbolico appartiene a Marte.Ma in questo caso non possiamo rivolgerci alla psi-cologia, che molto spesso perde di vista il valorespeci$co dell’ira facendola confluire nel gruppodell’ostilità, dell’aggressività, del furore, della fu-ria e dell’odio. Eppure, come dimostra la diversitàdelle parole, ciascuno di questi stati d’animo corri-sponde a sentimenti, comportamenti e signi$catidiversi. Il nostro non differenziare le emozioni mar-ziali è il risultato di una storia, soprattutto cristia-na, che ha radici lontane. Ira e cupiditas sono state alungo considerate le due grandi nemiche del buoncristiano. In questi due concetti, di derivazione sco-lastica, si celano infatti le potenze primordiali diMarte e Venere, e di riflesso la paura nei confrontidegli dèi pagani.

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Tuttavia, piuttosto che reprimere questi impulsi per-ché «pagani», è possibile af$narli. Come le arti a-matorie sviluppano le potenzialità del desiderio, co-sì gli sport sfruttano al meglio quelle dell’ira. Pri-ma della partita, ad esempio, l’allenatore usa la re-torica di Marte nel tentativo, spesso concitato, di ac-cendere l’agonismo nella squadra. Stessa funzioneha lo sguardo irato del pugile. Chi si trova di fron-te un avversario deve imparare a conoscere e a usa-re l’ira: deve sapere come lasciarla montare, comefrenarla senza «perderla» o «soffocarla». Inoltre,deve diventare abile nel provocare l’ira dell’altro,

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spingendolo a sbagliare o a commettere falli. Anchenegli sport individuali come il golf, lo sci, o l’auto-mobilismo occorre acquisire il controllo dell’ira,cosicché la carica esplosiva da cui dipende l’azionevincente non trapassi mai in cieca aggressione. Va-le a dire, la violenza «strumentale» usata delibera-tamente come mezzo (che è poi quella cui ricor-rono d’abitudine i tifosi violenti) non deve dege-nerare in una violenza «espressiva» – e non impor-ta che l’espressione avvenga sul campo di gioco, nel-le tribune, o fra la polizia schierata a mantenerel’ordine (Dunning et al., op. cit., pp. 236-38). Martestrattona sempre il guinzaglio della disciplina cheimpedisce l’espressione a bene$cio della strumen-talità.Se sottraiamo l’ira al campo personale, se la privia-mo delle caratteristiche ostili e aggressive e la col-leghiamo alla $gura archetipica di Marte, possia-mo scorgerne la necessità. Marte è l’iniziatore, ilprincipio – così come marzo sta all’inizio dell’anno,e aprile, il suo mese, apre la via, simile alla testacozzante di un ariete. L’ira è la prima emozione ascattare dai blocchi, è la combustione spontaneache dà origine (oriri, «sorgere») all’azione. Spessole esplorazioni più profonde dei rapporti persona-li cominciano con schermaglie irose. E per quantosuoni sconcertante, senza ira, offrendo l’altra guan-cia, lo sport non esisterebbe. Non giocheremmoneppure a ping pong.Anche l’importanza del testosterone, in fondo, ènota da sempre. A carnevale, nella Londra del XIIsecolo, i ragazzi giocavano a palla nei campi aper-

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ti. I maggiorenti e i notabili assistevano alle partite,come per ritrovare la perduta giovinezza: «Il fervo-re naturale sembra essere eccitato in loro alla sem-plice vista di tale vigorosa attività, e dal prenderparte alle gioie della gioventù sfrenata» (Guttmann,op. cit., p. 50).Questo «fervore naturale» (o Marte o testosterone)aumenta anche solo assistendo alla gara. Se è così,allora gli eventi sportivi non sono affatto catartici(Guttmann, op. cit., p. 155). Gli spettatori esconodallo stadio più carichi di quando sono entrati, edè per questo che città intere ringiovaniscono viavia che la loro squadra si avvicina a una $nale diCoppa. Si prospetta un ritorno alla vita.In caso di scon$tta, tutto cambia. I livelli di testoste-rone scendono a causa di:1) Scon$tta.2) Umiliazione, insuccesso o perdita di status.3) Ri$uto sessuale – il fenomeno di Lisistrata.4) Isolamento – essere separati dal corpo politicodeprime l’energia vitale.5) Punizione senza appello.

Così, il luogo deputato a ridurre l’esuberanza ma-schile, a raffreddare il «fervore naturale», è la cel-la di una prigione – insieme isolamento, umiliazio-ne e punizione.Mentre la scon$tta abbassa i livelli di testosterone,e ha effetti equiparabili alla depressione, all’impo-tenza e all’isolamento, cioè all’anomia sociale, glieventi che innalzano il livello di testosterone favo-riscono la vitalità collettiva. Parlando di testostero-ne ci limitiamo a descrivere in termini $siologici

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una verità che da sempre, per le nostre strade, san-ciscono le parate trionfali, gli archi della vittoria,le bande di ottoni, la corsa dei tori a Pamplona, enaturalmente le partite di calcio: una città in salu-te deve onorare Marte.La stretta correlazione fra competizione aggressivae appetito sessuale mostrata dagli studi sul testo-sterone riafferma, in un linguaggio psico$siologico,la relazione mitologica fra Ares (Marte) e Priapo.Forse ricorderete che Priapo, il dio dall’enorme fal-lo e dalla fertilità seminale, insegna al giovane A-res a danzare. Solo dopo essere diventato un provet-to danzatore Ares diviene un guerriero (K. Kerényi,The Gods of the Greeks, trad. ingl., Thames and Hud-son, London, 1951, p. 176). Al primo erompere del-la pubertà i giovani della tribù devono impararedanze di caccia e di guerra così da rendere più ero-tico, estetico e fertile l’esplicito spargimento di san-gue richiesto da Marte. Oltre a sviluppare il lato ve-nusiano di Ares, Priapo insegna al giovane dio che lasessualità deve essere danzata, deve essere esibita da-vanti alle donne e alla comunità, deve essere un belmotivo d’orgoglio prima dell’aggressione violenta.La danza nasce spontaneamente. Si scatena. Il salto,il ritmo sincopato, la giravolta e la corsa con lebraccia alzate, le mani protese a battere quelle deicompagni – tutta l’esuberanza dopo un goal mo-stra l’impulso marziale alla danza. Eppure nel foot-ball americano, da qualche tempo, le manifestazio-ni $siche di esultanza dopo una meta vengono pu-nite: i festeggiamenti eccessivi, le danze sono sog-gette a penalità.

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Il passo che segue è tratto da una recente intervi-sta a uno hooligan pubblicata sul «Corriere dellaSera». Lo cito per dimostrare che una vita senzadanza, senza esibizione orgogliosa, insomma sen-za le arti trasmesse da Priapo, lascia a Marte un’u-nica scelta – la violenza.Gilles è un magazziniere di ventisei anni che lavorain un grande centro commerciale di Londra. Sta perpartire alla volta dell’Italia, dove seguirà i Mondiali.Sostiene di non essere razzista e di non aver mai fat-to uso di droghe, anche se ammette di bere talvol-ta un po’ troppo. Gli piace il «confronto $sico».«Perché|» gli chiede il giornalista.«Perché avere paura, e vincerla, è stupendo. An-che fare un po’ di casino. Voi dei giornali scrivetesempre che siamo superorganizzati. Non è vero. Ilcapogruppo lo scegliamo solo dentro lo stadio. Chiè più in forma quel giorno diventa il capo. Guar-da, io mi ammazzo di fatica tutta la settimana. Nonsono nessuno. Se tutto va bene fra dieci anni saròcapo magazziniere, cioè nessuno. Invece allo sta-dio, con i miei amici, per un giorno sono qualcu-no. Capisci|».Come nell’Iliade e nella Bibbia, condottieri e capieroici emergono dunque spontaneamente graziealla condizione $sica, quando cioè lo spirito mar-ziale rende loro visita.

spettatori

Suppongo avrete notato che non sto tracciando leconsuete distinzioni fra giocatori attivi e spettatori

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passivi dello sport, coprendo di lodi i primi e di ri-provazione i secondi. Dato che il dio Marte e il te-stosterone pervadono sia gli uni che gli altri, ognidistinzione tra loro risulta psicologicamente falsa.Guardare una partita in televisione, allungati su undivano, eccita comunque la furia marziale; la sen-to nel battito cardiaco, nella voce, e la ritrovo nelmio comportamento verso chiunque mi capiti a ti-ro, donne incluse.Inoltre, è dimostrato che quasi tutti gli spettatori dieventi sportivi – ciclismo, calcio, tennis, baseball,bowling, non fa alcuna differenza – sono, o sonostati, anche praticanti di quegli sport. Chi è attivoguarda; chi non lo è non guarda – e non gioca.Vorrei prendere le difese degli spettatori. La paro-la «città» è sinonimo di esibizione e di immagina-zione nelle loro forme più ricche e complesse. O-vunque mi trovi – dentro la cattedrale o subito fuo-ri, al mercato, in piazza, davanti al municipio – pos-so assistere all’esibizione altrui, guardare gli altricome giocatori. Anche in questo risiede il fascinodelle città, di quei luoghi cioè dove divampano in-cendi, si tengono esecuzioni pubbliche, si costrui-scono nuovi edi$ci, si celebrano matrimoni e fu-nerali, avvengono incidenti, si organizzano sciope-ri e manifestazioni. E di tutto ciò il cittadino è spet-tatore, anche se oggi il suo spazio di azione si limi-ta a una passeggiata in un centro commerciale, o aqualche minuto trascorso in un caffè «a guardarela gente».Il piacere di guardare non va sottovalutato. La sco-po$lia o voyeurismo, e cioè il trasporto erotico, le

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fantasie, le speculazioni che il puro assistere alla vi-ta cittadina scatena hanno contribuito alla nascitadei centri urbani molto più di ragioni concrete qua-li la sicurezza, il commercio, gli scambi, la comuni-cazione, la cultura, l’industria, le opportunità e viadicendo. Pertanto, sarebbe auspicabile che la pro-grammazione degli eventi cittadini e la piani$cazio-ne urbanistica tenessero in maggior conto l’esisten-za degli spettatori – anche per non lasciare agli even-ti sportivi il monopolio dello spettacolo urbano.Qualcuno di recente ha proposto che New York,schiacciata dai debiti e dotata di forze di polizia in-

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suf$cienti, rinunci alle grandi s$late che festeggia-no i diversi gruppi etnici. Ma se davvero la possibi-lità di essere spettatori è un aspetto essenziale del-la vita cittadina, allora questi spettacoli fantasma-gorici, chiassosi, coloratissimi rinsaldano i legamifra i cittadini, rivelandosi in $n dei conti un buoninvestimento.Polis signi$ca «ressa, folla, flusso, pienezza, molti-tudine». La sua etimologia è connessa a quella diplenus, plerus, plebs, palus, plus (o sovrabbondanza,sempre). È una parola dionisiaca. Perduto fra lafolla, accalcato negli stadi, l’individualità fusa conquella di migliaia di spettatori, io sono più nellacittà e della città – nel signi$cato radicale del ter-mine – rispetto a quando mi ritrovo solo nel mioappartamento, dietro una porta chiusa a chiave. Mase dietro a quella porta guardo una partita in tele-visione sono un animale politico; se non la guar-do, lo sono molto meno. Lo ripeto, quindi: qualun-que cosa promuova moltitudini e folle – e la tem-poranea dissoluzione dell’individualismo – alimen-ta la vita cittadina.Qui devo trarre un esempio dalla storia delle cittàamericane. È stato scritto che le grandi città degliStati Uniti sono diventate metropoli nell’Ottocen-to per tre ragioni sorprendentemente banali. All’i-nizio erano un miscuglio di ghetti: i bianchi ricchistavano in certi quartieri, gli immigrati più antichiin altri, e i nuovi arrivati dall’Europa meridionalee orientale – nonché le persone «di colore» e gli a-siatici – in altri ancora. Cibo, lingue, cerimonie, fe-ste, chiese, persino l’abbigliamento, come pure le

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af$liazioni politiche, erano determinati etnicamen-te. E i vari gruppi non si mescolavano. Il «crogiuo-lo» nacque solo quando le diverse fazioni si ritro-varono unite grazie a una Gemeinschaftsgefühl co-mune. Che non fu l’educazione, nonostante tuttipensino che il vero collante della società america-na sia stato il suo sistema formativo democratico,libero e pubblico. Molto prima agirono i tre fatto-ri di cui parlavo sopra, e cioè: il trasporto pubblico,che permise a chiunque, per pochi spiccioli, di usci-re dal proprio quartiere; i grandi magazzini, che at-trassero grandi folle dai sobborghi verso il centrodella città, dove era possibile accalcarsi, mescolar-si, addirittura accoppiarsi con uno straniero eso-gamo; e la squadra cittadina, specie quella di base-ball. Se i primi due, il trasporto e i grandi magazzi-ni, incoraggiavano il movimento e la mescolanza deicorpi, il terzo, la squadra cittadina, sciolse i senti-menti dei ghetti etnicamente separati – e rivali – inuno spirito collettivo.

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Non c’è dubbio che il teppismo negli stadi facciacattivo uso dello spirito urbano, usandolo come unabandiera dietro cui nascondere il desiderio dellabattaglia. Ma la città ne trae comunque vantaggio.La violenza ricorda alla città che è un organismovivente fondato non soltanto sul commercio e lacultura, ma su fattori transumani che continuanoa richiedere sangue. La violenza ha indubbiamen-te molte e complesse componenti psicosociali cheè possibile denunciare e condannare – e, si spera,correggere. Ma il punto fondamentale è che il tep-pismo non è una sorta di compensazione esplosivadella passività di chi assiste a una gara, e non nascedall’orgoglio per i simboli della propria squadra.

rituale

E allora| Ho detto che della violenza sportiva nellecittà non si può incolpare l’esuberanza dello spiri-to di squadra, né l’atteggiamento passivo dello spet-tatore. Ho anche sostenuto che l’affollamento ur-bano favorito dagli eventi sportivi è essenziale allavita cittadina, e mi sono ri$utato di accettare le spie-gazioni sociologiche, marxiste e psicologiche spes-so usate per condannare il fenomeno che dovrebbe-ro spiegare.Al contrario, ho affermato che la pazzia furiosa èmarziale, è una furia divina, e che i suoi elementicostitutivi $siologici si scatenano in determinatecondizioni. In altre parole, la violenza sportiva sa-rebbe innata e naturale, un archetipo dell’essere u-

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mano come animale politico e della città come suadimora.Ho anche sostenuto che il teppismo è un rituale a-bortito. Lo considero una richiesta del dio alla po-polazione af$nché il suo potere venga riconosciu-to e rispettato. In una città laica il dio marziale nontrova egida per la sua furia. E così il suo potere sidisperde in una violenza laica e casuale, ritorcen-dosi contro i suoi stessi adepti, gli spettatori e i tifo-si, che nel loro inconsapevole tentativo di onorarloprovocano soltanto una repressione ancor più se-vera.Dato che siamo di nuovo alla vigilia dei Mondialidi calcio, che tendono a scatenare una pazzia divi-na e a far sì che «furia intestina e feroce guerra ci-vile tartassino tutte le parti d’Italia» (Shakespeare,Giulio Cesare, atto III, scena i [trad. it. di A. Serpie-ri]), sarebbe il caso di capire qualcosa di più deigiovani e del loro bisogno di rituali, del testostero-ne, e di Marte. Più polizia, idranti, cani feroci, e ilricorso ai manganelli servono alla repressione, maabbiamo imparato da Freud che ciò che è repressoritorna sempre. Inoltre, si può reprimere Marte|Non faremmo meglio a esercitare l’immaginazionein termini di rituale, anziché di repressione| Af$-dare Marte ai militari, i giovani alle bande, alle pri-gioni e alle droghe, e alla senectus dei college e delleuniversità, e il testosterone alle motociclette, ai con-certi pop e alla cocaina non appaga il bisogno dirituali. La condanna non stimola gli anziani a riflet-tere sull’iniziazione dei membri più giovani dellaloro stessa tribù. Al contrario: queste mosse abban-

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donano la gioventù a se stessa, tentano anzi di di-sfarsene come di un «problema». Malgrado la con-danna, la repressione, e persino l’assassinio deigiovani da parte degli anziani negligenti, il «pro-blema» non scompare, anzi, diventa tifo violento.Da qui la giusta preoccupazione – e lo spavento –degli anziani, consapevoli che le norme secolarinon possono trattenere la furia divina, e che i ri-tuali ricompaiono nelle bande, nelle prigioni, neitumulti, nei concerti rock: come se il dio, malgra-do gli anziani, forzasse i giovani a iniziazioni an-che profane e inadeguate.Per secoli l’iniziazione dei giovani – il tributo al li-tima (Masai) o all’energia violenta dei maschi, l’in-canalamento riuscito del testosterone e l’introdu-zione a quel dio che noi chiamiamo Marte – è sta-ta la principale preoccupazione di ogni società. Lapreparazione delle cerimonie e l’esecuzione dei ri-tuali costituiva la parte più importante della vitadi veglia della maggior parte dei popoli tribali, el’iniziazione si protraeva per anni e anni. Il ritua-le permeava l’intera esistenza, da cui non era néseparato né separabile. Non sto suggerendo ora,con René Girard, che la violenza sia sacra o che sianecessaria al sacro, e che il sacro si dia a partiredalla violenza. Ma una visione più sacra del disor-dine potrebbe onorare il dio che vi dimora, spin-gendolo a mostrarci le sue intenzioni più profon-de circa la nostra cultura – che lo tratta come unfuorilegge, mentre dedica gran parte del suo po-tenziale industriale e delle sue esportazioni ai pro-dotti bellici.

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In de$nitiva, quello che vi chiedo è di considerareMarte con una nuova consapevolezza del suo si-gni$cato e del suo ruolo nella nostra vita psichicae civile. Soltanto il dio che porta la malattia puòguarirla. Il simile cura il simile. Come dice l’ome-rico Inno ad Ares [trad. it. di F. Cassola]:

ascoltami, protettore dei mortali, dispensatore della[balda giovinezza,

e riversa dall’alto sulla mia vita la tua mite lucee la tua forza guerriera, così che io possa

allontanare da me l’odiosa viltàe piegare nella mia mente la passione che inganna

[l’animae frenare la forza travolgente dell’ira, che mi spingea gettarmi nella battaglia agghiacciante; tu invece,

[o beato,concedimi il coraggio, e di rispettare le norme

[inviolabili della pace,sfuggendo al tumulto dei nemici, e alla morte

[inesorabile.

raccomandazioni cliniche

Preferisco concludere con l’inno, lasciando chel’invito al dio faccia il suo corso. Come disse Jungcitando un antico motto latino, «invitati o no, glidèi saranno presenti». Eppure, essendo un clinicodell’anima, e in particolare dell’anima della città,e avendo appena emesso una diagnosi che attribui-sce il nostro disturbo a un dio speci$co, mi sentoobbligato a concludere con alcune raccomanda-

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zioni per la cura. La cura comincia con il ricono-scimento del dio nella malattia e continua con al-cune prescrizioni atte a onorare in maniera piùsoddisfacente le intenzioni del dio.Primo: Si tenga a mente che i più importanti even-ti sportivi della città sono consacrazioni dello spi-rito urbano alla forza violenta di Marte. Essi invi-tano Marte a essere presente, perciò devono esse-re concepiti con solennità e pompa: più musicamarziale, bandiere, canti; più arbitri, più giudi-ci, più autorità; più s$late, costumi, cerimonie. Siprenda a modello una qualsiasi pagina di Giovan-ni Bardi.Secondo: Si prevedano rituali speci$ci per gli spet-tatori. Non li si tratti come pecore, perché alloradiventano una massa. Piuttosto li si inviti nell’are-na come protagonisti di uno spettacolo allargato.Si consentano loro entrate eroiche, individuali o apiccoli gruppi. Si inventi un rite d’entrée e un rite desortie più formalizzato, cosicché il dio che governalo stadio venga racchiuso all’interno dello spaziosacro. Il controllo repressivo diviene necessario so-lo una volta che gli spettatori siano diventati una«folla».Terzo: Si ricordi Venere – e non soltanto con ragaz-ze pon-pon e majorette. Prezzi speciali per le don-ne, e premi speciali per la moda femminile. Ci si ve-sta bene per l’evento. Ci siano balli sul campo su-bito dopo. Esibizione. Bellezza.Quarto: Si pensi meno in termini di numeri – ilcancello d’entrata, il costo, la folla. Il numero fa-vorisce l’anonimato, quindi la violenza.

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Quinto: Si dedichi maggiore attenzione al pubbli-co, o meglio ai singoli spettatori. Le telecamere in-dugino più a lungo sulle signore in tribuna – suivestiti, il trucco, i cappelli.

Sesto: Si lasci in ombra il fattore umano. Gli eroi del-lo sport non devono essere presentati come esseriqualunque, né devono essere visti in seno alla fa-miglia, mentre bevono latte e mangiano cioccola-ta, vicino a mogli sorridenti, al volante di macchineuguali alle nostre. Il loro ruolo è più che umano:sono $gli di Marte, e il mistero della loro abilità so-vrumana va preservato, anzi in$ttito. Devono diven-tare sino in fondo $gure rituali, e in quanto tali su-scitare sgomento, rispetto e distanza.Settimo: Si diffondano meno notizie sugli ingaggi.Gli eroi vengono pagati con cifre stratosferiche nonperché siano poi così abili, ma in quanto emblemi

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di un altro mondo, stelle che appartengono a Famae sono favoriti da Fortuna. Lo stipendio elevato san-cisce il loro valore oltremondano. I loro guadagninon dovrebbero essere immaginati nei termini deicomuni mortali.Ottavo: Si accresca l’intensità agonistica delle par-tite. Gli sport dovrebbero sempre essere al limitedell’esplosione, poiché l’esibizione di una forza do-mata, di un eccesso controllato, dimostra come ilrituale sappia trasformare la violenza marziale in ar-te marziale. Credo che la violenza, intensi$cata e alcontempo formalizzata, diminuisca i rischi di con-tagio epidemico.Nono: Si rafforzi la gerarchia. Una regola generalesembra valere negli sport: quanto più lo sport è ge-rarchicamente strutturato, tanto più è robusto ilcontenitore sacro che trattiene l’influsso dell’ener-gia. Gerarchia signi$ca classi$che, arbitri, regole,penalità, norme, capitani – un occhio costante al-l’ordine procedurale.Decimo: Si incrementi il fattore estetico. Giornali-sti della carta stampata e delle televisioni e spetta-tori comuni devono apprezzare maggiormente labellezza di cui i loro campioni sono portatori. Piut-tosto che sui punteggi $nali e i vincitori, si deve in-dugiare sulla «danza» del gioco – passaggi, assist, sti-le, movimenti con e senza palla. Il gioco è infatti illuogo dove la persona ordinaria incontra l’epifa-nia della bellezza $sica. In alcuni momenti – unasvolta improvvisa dell’incontro, una parata impos-sibile, miracolosa – sul campo passa Ermete, e dal-

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la propria seggiola il plebeo viene trasportato, gra-zie al fuoco di Marte, in un’altra visione, in un’altradimensione.Su queste prescrizioni il medico si rimette a sedere,aspettando il calcio d’inizio. E ritorna spettatore.

© 1990 james hillman

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