la disciplina giuridica dell’immigrazione e i suoi...

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1 LA DISCIPLINA GIURIDICA DELL’IMMIGRAZIONE E I SUOI RAPPORTI CON I PRINCIPI COSTITUZIONALI INDICE CAPITOLO PRIMO LO STRANIERO: DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA ED EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CITTADINANZA 1. La mancata definizione di straniero nell’o rdinamento giuridico nazionale …………………………………………………………………... » 4 2. Riconoscimento e garanzia dei diritti fondamentali della persona negli ordinamenti democratici …………………………………………………… » 17 3. I diritti dello straniero nello Statuto Albertino e nel codice civile del 1865 …………………………………………………………………… » 27 4. I diritti dello straniero nella Costituzione italiana 4.1 L’articolo 10 della Costituzione: l’unica norma costituzionale che disciplina la condizione giuridica dello straniero ……………….…. » 33 4.2 Articolo 10 della Costituzione e articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale: un confronto ……………………………… » 42 4.3 Gli effetti della riforma dell'articolo 117 della Costituzione sulla condizione giuridica dello straniero ………………………….. » 48 4.4 L’inviolabilità dei diritti di cui all’articolo 2 della Costituzione …… » 55 4.5 Il principio di uguaglianza: cittadino e straniero in perfetta sintonia? ………………………………………………... » 63 4.6 Il combinato disposto degli articoli 10 (II comma), 2 e 3 della Costituzione: un passo obbligato ……………………………. » 68 5. I diritti fondamentali dello straniero alla luce della giurisprudenza costituzionale e degli orientamenti dottrinari ……………………………… » 71

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1

LA DISCIPLINA GIURIDICA DELL’IMMIGRAZIONE E I SUOI

RAPPORTI CON I PRINCIPI COSTITUZIONALI

INDICE

CAPITOLO PRIMO

LO STRANIERO: DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA ED

EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CITTADINANZA

1. La mancata definizione di straniero nell’ordinamento giuridico

nazionale …………………………………………………………………... » 4

2. Riconoscimento e garanzia dei diritti fondamentali della persona negli

ordinamenti democratici …………………………………………………… » 17

3. I diritti dello straniero nello Statuto Albertino e nel codice civile

del 1865 …………………………………………………………………… » 27

4. I diritti dello straniero nella Costituzione italiana

4.1 L’articolo 10 della Costituzione: l’unica norma costituzionale che

disciplina la condizione giuridica dello straniero ……………….…. » 33

4.2 Articolo 10 della Costituzione e articolo 16 delle disposizioni

sulla legge in generale: un confronto ……………………………… » 42

4.3 Gli effetti della riforma dell'articolo 117 della Costituzione

sulla condizione giuridica dello straniero ………………………….. » 48

4.4 L’inviolabilità dei diritti di cui all’articolo 2 della Costituzione …… » 55

4.5 Il principio di uguaglianza: cittadino e straniero

in perfetta sintonia? ………………………………………………... » 63

4.6 Il combinato disposto degli articoli 10 (II comma), 2 e 3

della Costituzione: un passo obbligato ……………………………. » 68

5. I diritti fondamentali dello straniero alla luce della giurisprudenza

costituzionale e degli orientamenti dottrinari ……………………………… » 71

2

6. I diritti sociali fondamentali del non cittadino …………………………….. » 74

6.1. Il diritto alle prestazioni di assistenza e previdenza sociale ……………….. » 76

6.2 Il diritto alla salute come corollario del diritto alla vita ………………… » 79

6.3 Il lavoro nella sua doppia veste di diritto al lavoro e di diritti del

lavoratore. Quale tutela per il lavoratore straniero? ……………………. » 85

6.4 Il diritto all’abitazione: il possesso della casa come requisito

di ingresso e soggiorno sul territorio nazionale e l’accesso

all’edilizia residenziale pubblica ………………………………………. » 90

7. Il non cittadino possiede diritti politici? ……………………………….. » 94

8. La libertà di circolazione e soggiorno: una garanzia solo per

il cittadino comunitario ………………………………………………… » 100

CAPITOLO SECONDO

LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO. RICERCA DEGLI

ELEMENTI DI CRITICITÀ NELLE FATTISPECIE NORMATIVE

1. La politica migratoria italiana tra Tulps e circolari ……………………. » 106

2. La prima legge organica sugli stranieri in Italia: la n. 943/1986 ……..... » 115

3. La prima legge di previsione dei flussi migratori:

la legge “Martelli” ……………………………………………………… » 118

4. La prima legge di previsione del sistema delle quote,

la legge “Turco-Npolitano”. Le successive modifiche ad opera

della legge “Bossi-Fini” ed il pacchetto sicurezza:

solo politiche migratorie restrittive? …………………………………… » 121

4.1. Politiche migratorie a confronto: testo unico e novella del 2002 … » 124

4.2 Visti di ingresso e titoli di soggiorno: il legame tra ingresso

e lavoro non si scioglie, anzi si rafforza ………………………….. » 126

4.3 Le due forme di allontanamento: il respingimento

alla frontiera e l’espulsione

Solo difesa dall’immigrazione clandestina? ……………………... » 135

3

4.4 I centri di permanenza temporanea: semplice trattenimento o detenzione?

Le costanti violazioni del diritto alla libertà

personale e del diritto di difesa ………………………………… » 149

4.5 Le nuove norme del pacchetto sicurezza: effetti sullo statuto

del non cittadino. Il tanto discusso reato di clandestinità …….. » 153

4.6 Ricongiungimento familiare: l’unità familiare

si può invocare ancora come diritto? …………………………… » 160

5. L’Europa e l’immigrazione ……………………………………………… » 166

CAPITOLO TERZO

DIRITTO DI ASILO. RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

1. Premessa ………………………………………………………………….. » 176

2. L’asilo nella legislazione internazionale …………………………………. » 177

3. L’asilo nella legislazione europea ………………………………………... » 180

4. L’asilo nella Costituzione e nella legislazione italiana …………………… » 181

5. Direttive comunitarie: come cambia il contesto normativo italiano.

Qualche esempio.

5.1 Accoglienza e lavoro per i richiedenti asilo alla luce della Direttiva

comunitaria 2003/9/CE: verso la tutela dell’articolo 35 della

Costituzione anche per chi è in attesa di rifugio ..………………….. » 188

5.2 La direttiva qualifiche e la direttiva procedure.

Alcuni aspetti innovativi …………………………………………… » 194

6. Alcune considerazioni in tema di asilo ……………………………………... » 197

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE » 200

Bibliografia ………………………………………………………………….. » 208

4

CAPITOLO PRIMO

LO STRANIERO: I DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA ED

EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CITTADINANZA

SOMMARIO: 1. La mancata definizione di straniero nell’ordinamento giuridico nazionale - 2. Riconoscimento

e garanzia dei diritti fondamentali della persona negli ordinamenti democratici - 3. I diritti dello straniero nello

Statuto Albertino e nel codice civile del 1865 - 4. I diritti dello straniero nella Costituzione italiana - 4.1.

L’articolo 10 della Costituzione: l’unica norma costituzionale che disciplina la condizione giuridica dello

straniero - 4.2. Articolo 10 della Costituzione e articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale: un

confronto - 4.3. Gli effetti della riforma dell'articolo 117 della Costituzione sulla condizione giuridica dello

straniero - 4.4. L’inviolabilità dei diritti di cui all’articolo 2 della Costituzione - 4.5. Il principio di uguaglianza:

cittadino e straniero in perfetta sintonia? - 4.6. Il combinato disposto degli articoli 10 (II comma), 2 e 3 della

Costituzione: un passo obbligato - 5. I diritti fondamentali dello straniero alla luce della giurisprudenza

costituzionale e degli orientamenti dottrinari - 6. I diritti sociali fondamentali del non cittadino - 6.1. Il diritto alle

prestazioni di assistenza e previdenza sociale - 6.2. Il diritto alla salute come corollario del diritto alla vita - 6.3.

Il lavoro nella sua doppia veste di diritto al lavoro e di diritti del lavoratore. Quale tutela per il lavoratore

straniero? - 6.4. Il diritto all’abitazione: il possesso della casa come requisito di ingresso e soggiorno sul

territorio nazionale e l’accesso all’edilizia residenziale pubblica - 7. Il non cittadino possiede diritti politici? - 8.

La libertà di circolazione e soggiorno: una garanzia solo per il cittadino comunitario

1. La mancata definizione di straniero nell‟ordinamento giuridico nazionale

L’ordinamento giuridico italiano si caratterizza per non avere una definizione di

straniero. Sono state dottrina e giurisprudenza, sia di legittimità che di merito1, che hanno

tentato, con esiti peraltro soddisfacenti, di colmare tale lacuna, definendo lo straniero come

colui che non ha la cittadinanza italiana. Si tratta di “una definizione negativa con lontane

origini, nascenti dalla contrapposizione che fin dall‟antichità distingueva gli appartenenti ad

una comunità etnica e politica (la polis o la gens) da coloro che non vi appartenevano, che

1 Consiglio di Stato, sentenza n. 12 del 15/09/1956, Corte di Cassazione, sentenza n. 1254 del 16/06/1965; Corte

di Cassazione, sentenza n. 3018 del 10/04/1990.

5

erano dunque estranei (“barbari”, “nemici”), non godendo di alcuno o di pochi, limitati

diritti”2.

Anche la nostra Costituzione, nell’unica norma in cui si può trovare il termine

straniero, l’articolo 10, secondo comma3, lo utilizza in maniera generica, e non sembra fornire

una chiave interpretativa univoca per stabilire quale sia il suo significato alla luce delle varie e

diverse figure soggettive che a quel termine stesso si possono riferire (straniero comunitario e

extracomunitario - regolare, irregolare, clandestino - apolide4, rifugiato, richiedente asilo)

5.

Da un punto di vista giuspubblicistico, dunque, è facile notare come l’elemento

comune a tutte le figure giuridiche riconducibili al termine straniero, sia rappresentato

dall’assenza, in capo a ciascuna di esse, della cittadinanza italiana. Se dalla Carta

costituzionale ci si sposta al codice civile, e precisamente all’articolo 16 delle disposizioni

sulla legge in generale6, non sembra emergere una definizione di straniero neanche in un

ottica privatistica. Tuttavia, la giurisprudenza ha interpretato tale concetto propendendo, però,

per una sua determinazione positiva. Il Consiglio di Stato7 intervenuto a tal proposito, ha

infatti evidenziato come il legislatore, per cercare una definizione di straniero, abbia seguito il

criterio positivo, identificandolo come colui che possiede la cittadinanza di uno Stato estero:

“tale criterio emerge innanzitutto dalle disposizioni preliminari del c.c. (artt. 17-21, 23, 25 e

26) e dalla stessa circostanza che la condizione degli apolidi è disciplinata in diversa ed

apposita norma (art. 29)”.

La mancanza di una definizione di straniero non sembra caratterizzare solo

l’esperienza italiana, ma è un elemento comune anche di altre Costituzioni redatte

nell’immediato dopoguerra, le quali disciplinano e tutelano solo indirettamente la figura dello

straniero. In Francia, ad esempio, né la Costituzione del 19468 né quella del 1958

9 hanno

2 B. Nascimbene, Lo Straniero nel diritto italiano, Milano, Giuffrè, 1998, pg. 8.

3 Articolo 10 Cost., II comma, recita che “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in

conformità delle norme e dei trattati internazionali”.

4 Si ricorda che le norme di riferimento dell’apolide, per ciò che attiene la pubblica sicurezza, sono le stesse dello

straniero extracomunitario, mentre per ciò che riguarda le leggi civili, l’apolide ha parità di trattamento con il

cittadino italiano.

5 E. Grosso, Straniero (status costituzionale dello), in Dig. disc. pubbl., 1957.

6 “Lo straniero è ammesso e godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità”.

7 Consiglio di Stato ad. pl. del 15 settembre 1956.

8 La Costituzione del 1946 si limita, infatti, al riconoscimento del diritto di asilo: nel suo preambolo afferma che

6

chiarito il suo significato. Solo l’Ordonnance n. 45-2658 del 2 novembre 1945 definisce lo

straniero come colui che non ha la nazionalità francese10

. Lo stesso può dirsi per la Spagna

dove, nella recente Costituzione del 1978, non vi è riferimento alcuno alla definizione di

straniero, anche se è una delle Costituzioni, insieme a quella svedese11

, in cui vengono

specificate nel dettaglio le libertà a lui riconosciute, tutelando direttamente la sua posizione

giuridica12

.

Appare pacifico, a questo punto, che quando si parla di straniero o immigrato, ci si

riferisca a colui che non è cittadino. Il binomio straniero - non cittadino riveste, oggi, un ruolo

particolare rispetto al passato, in quanto si va strutturando una diversa concezione del

concetto di cittadinanza, spogliata del suo storico legame con la nazionalità, svincolata ed

autonoma rispetto alla statualità. Una riflessione sul concetto giuridico della cittadinanza

sembra necessaria in virtù di un ripensamento della sua dimensione statalistica, anche alla

luce della novità costituzionale della cittadinanza europea. Prevista e disciplinata nell’articolo

17 del Trattato sull’Unione europea del 199213

, quella europea rappresenta una cittadinanza

che, sebbene complementare, in quanto non si sostituisce a quella nazionale, ma si aggiunge

ogni individuo perseguitato in ragione della sua azione in favore della libertà ha diritto di asilo sul territorio

della Repubblica.

9 L'articolo 14 della Costituzione del 1958 (Le Président de la Répubblique accrédite les ambassadeurs e les

envoyés extraorinaires auprés des puissances étrangèrs; les ambassadeurs e les envoyés extraorinaires

étrangèrs sont accrédités auprés de lui) regola esclusivamente i poteri del Presidente della Repubblica nei

confronti di ambasciatori e inviati straordinari stranieri.

10 “Sont considérés comme étrangers au sense de la présente ordonnance tous individus qui n‟ont pas la

nationalité française, soit qu‟ils aient une nationalité étrangère, soit qu‟ils n‟aient pas de nationalité”.

11 Precisamente, l’articolo 20 della Costituzione svedese.

12 L’articolo 13.1 della Costituzione spagnola afferma che gli stranieri godranno in Spagna delle libertà

pubbliche garantite dal presente titolo, nei termini stabiliti dai trattati e dalla legge. Questo articolo va peraltro

integrato con l’articolo 10.2 in cui si stabilisce che le norme relative alle libertà e ai diritti fondamentali

dovranno essere interpretate in conformità alla Dichiarazione universale dei diritti umani e ai trattati e accordi

internazionali ratificati dalla Spagna.

13 “E‟ istituita una cittadinanza dell‟Unione. È cittadino dell‟Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno

Stato membro. La cittadinanza dell‟Unione costituisce un complemento delle cittadinanza nazionale e non

sostituisce quest‟ultima. I cittadini dell‟Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente

trattato”.

7

ad essa14

, assume un ruolo di fondamentale importanza perché caratterizza un modello di

Unione che supera la statualità. La cittadinanza europea costituisce la prima pietra di quella

forma di cittadinanza svincolata dalla nazionalità come appartenenza ad un singolo Stato, in

cui lo status civitatis è espressione invece di un’appartenenza ad una Unione di Stati, con

culture ed ordinamenti giuridici differenti. Ci si trova in un momento di cambiamento

epocale, in cui le comunità sovra ed extra nazionali, la globalizzazione, i flussi migratori in

costante crescita, la nascita delle società multietniche, rappresentano fattori di “demolizione”

di quel sistema nazionalistico il cui progetto era stato avviato dalla Rivoluzione francese e poi

fedelmente ripreso da tutte le carte costituzionali ottocentesche e novecentesche. L’ambizione

di costruire una nuova categoria giuridica della cittadinanza, sebbene non sostitutiva di quella

nazionale, non può non essere espressione proprio di questo processo di crisi dello Stato

nazionale a fronte di elementi di espansione delle identità pluriculturali, non più

necessariamente sinonimi di identità nazionali, anche se ad esse ancora profondamente legate.

La previsione, infatti, della cittadinanza europea come figura che si accompagna e

non si sostituisce alla cittadinanza originaria, risponde alle esigenze degli Stati membri di

mantenere comunque la propria individualità, tanto che “L‟Unione rispetta l‟identità

nazionale dei suoi Stati membri”15

. Anche la Corte di Giustizia della Comunità europea,

confermando che la cittadinanza nazionale è autonoma e indipendente da quella comunitaria,

salvo il rispetto del diritto comunitario16

, concorda con l’Unione nel non disconoscere che lo

Stato nazionale sia l’unico che possa decidere in merito alla concessione della cittadinanza

come parte integrante della sua domestic jurisdiction, e nell’identificare quella cittadinanza

come strumento necessario ai fini del riconoscimento della cittadinanza europea.

Tutto ciò appare ancora più pregnante di significato se si considera che la cittadinanza

14 Sulla cittadinanza europea, e sul suo rapporto con la cittadinanza nazionale, vedi V. Lippolis, La cittadinanza

europea, Bologna, 1994, M. Cartabia, Cittadinanza europea, in Enc. Giur. Aggiornamenti, Roma, 1995 .

15 Articolo 6.3 del T.U.E.

16 Vedi causa Micheletti, C-369/90, in Raccolta della giurisprudenza 1992 pagina I-04239. Nel dispositivo della

sentenza si legge, infatti, che “Quando uno Stato membro ha attribuito, nel rispetto del diritto comunitario, la

sua cittadinanza ad una persona, non è ammissibile che un altro Stato membro possa limitare gli effetti di

siffatta attribuzione pretendendo un requisito ulteriore per il riconoscimento di tale cittadinanza, al fine

dell‟esercizio di una libertà fondamentale prevista nel Trattato, tanto più che ammettere una possibilità del

genere comporterebbe che il campo d‟applicazione “ratione personae” delle norme comunitarie potrebbe

variare da uno Stato membro all‟altro”.

8

nazionale, ancorché indispensabile per il riconoscimento di quella comunitaria, viene

sostanzialmente superata, ad esempio, quando il cittadino europeo circola e soggiorna

liberamente nello spazio dell’Unione. L’abolizione delle frontiere interne, e quindi la totale

assenza di controllo sulla nazionalità del cittadino europeo che si muove e si stanzia sul

territorio di qualunque Stato membro, si presenta, infatti, come un evento ineguagliabile, un

modello unico di Unione attraverso cui costruire l’identità di cittadino europeo libera dalla

identità nazionale.

L’habermaniano patriottismo costituzionale rappresenterebbe l’elemento necessario

per la costruzione di questa identità di cittadino europeo, svincolata dalla nazionalità sebbene

ancorata alla cittadinanza come storia e cultura, anche giuridica, del suo Stato. Il filosofo

tedesco sostiene infatti che “Il patriottismo costituzionale europeo deve legarsi a principi

universalistici comuni a partire da prospettive differenti segnate dalle storie nazionali;

piuttosto che cercare radici comuni nella storia medievale si tratta dunque di creare una

coscienza europea che corrisponda al ruolo che l‟Europa saprà giocare nel XXI secolo”17

.

Tale patriottismo “acuisce la sensibilità verso la diversità e, insieme, verso l‟integrità delle

differenti forme di vita che coesistono in una società multiculturale”18

.

Il cittadino comunitario, titolare della libertà di circolazione e soggiorno ai sensi

dell’articolo 8A del Trattato sull’Unione Europea del 199219

, fa indiscutibilmente parte

integrante di quella società multiculturale20

; ma, ci si chiede, se in essa possa mai trovare

spazio il cittadino extracomunitario, rispetto al quale sembra non valere pienamente la libertà

17 J. Habermas, Citoyenneté et identité nationale. Rèflexions sur l‟avenir de l‟Europe, in J. Lenoble, H.

Dewandre, (eds), L‟Europe au soir du siècle. Identité et démocratie, Paris, ed. Esprit, 1992, pg. 38.

18 J. Habermas, op. cit. pg. 28 e ss.

19 “Ogni cittadino dell‟unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati

membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in

applicazione dello stesso”.

20 Si fa presente, a tal proposito, come parte della dottrina, in particolare A. Spadaro, La Carta europea dei diritti

tra identità e diversità di tradizione e secolarizzazione, in AA.VV, La Carta europea dei diritti, in Dir. pubb.

comp. ed europ., II/2001 e La crisi delle costituzioni compromesso e il ruolo dei cattolici in Europa, in

www.associazioneitalianadeicostituzionalisti.it, sostiene sia fallito il modello multiculturale, che prevede una

sovrapposizione di modelli culturali diversi senza integrazione, lasciando il posto al modello interculturale, che,

attraverso l’integrazione, invece cerca di trovare un minimo comune denominatore costituzionale da parte di tutti

i consociati.

9

di circolazione e soggiorno, costituzionalmente garantita solo per il cittadino italiano e

comunitario21

. È abbastanza scontata la considerazione su come la cittadinanza europea abbia

esaltato la differenza tra le due condizioni giuridiche del cittadino comunitario e di quello

extracomunitario, provocatoriamente analizzata in termini di apartheid europeo da una parte

della dottrina filosofica22

. Da elemento di inclusione, comprendente tutti gli appartenenti

all’Unione, la cittadinanza europea diviene fattore di esclusione per tutti coloro che ne sono

estranei23

, i cittadini degli Stati terzi. Lo stesso Trattato di Lisbona, recependo quasi

integralmente le disposizioni del Trattato CE, e disponendo, nel suo articolo 8, che “E‟

cittadino dell‟Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza

dell‟Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce”24

, ripropone,

sostanzialmente, il rapporto tra cittadino europeo ed extraeuropeo proprio in termini di non

appartenenza allo Stato comunitario. Ma davvero la cittadinanza europea rappresenta un

fattore di estromissione e di esclusione dello straniero che non abbia la cittadinanza di uno

Stato membro? Davvero lo straniero non avrebbe la possibilità di circolare e stanziare nello

spazio comunitario, sul presupposto che la sua cittadinanza lo lega ad uno Stato terzo? Qui,

più che in ogni altro aspetto, si rileva la modernità e l’unicità della cittadinanza europea: lo

straniero extracomunitario, nonostante non abbia la titolarità di quella cittadinanza, può

comunque esercitare la libertà di circolazione e soggiorno nello spazio europeo. Viene, infatti,

stabilito che lo straniero extracomunitario già residente in uno Stato membro e titolare di un

permesso di soggiorno da questo rilasciato, può circolare liberamente nell’area comunitaria,

per un periodo non superiore a novanta giorni per ogni semestre. Resta, tuttavia, obbligato a

21 Si rimanda, per tali aspetti, agli approfondimenti inseriti nel paragrafo avente ad oggetto, specificamente, la

libertà di circolazione e soggiorno.

22 In particolare quella rappresentata da Etienne Balibar.

23 Si ricorda che se un soggetto possiede una doppia cittadinanza, una di uno Stato membro e l’altra di uno Stato

extraeuropeo, è sufficiente la prima per l’attribuzione della cittadinanza europea.

24 Vedi Paolo Stancati, Lo statuto costituzionale del non cittadino: le libertà civili, Relazione al Convegno

dell'Associazione italiana dei Costituzionalisti - Lo Statuto costituzionale del non cittadino, Cagliari, 16/17

ottobre 2009, pg. 15, il quale sottolinea anzi, che la locuzione “si aggiunge” (al posto di quella originaria che

prevedeva la locuzione “costituisce un complemento”), importerebbe che “il portato normativo della prima

espressione potrebbe venire legittimamente inteso come di tipo riduttivo, quanto meno nel senso di viepiù

sottolineare la essenzialità e primazia del requisito della cittadinanza nazionale (e, dunque, degli apporti

qualificatore provenienti dallo stato membro), di contro alla mera succedanei della cittadinanza dell‟Unione”.

10

dichiarare la propria presenza sul territorio degli altri Stati Schengen entro tre giorni lavorativi

dall’ingresso. Può addirittura esercitare il diritto di soggiorno qualora sia in possesso di un

permesso di soggiorno di lunga durata, sempre che il soggiorno sia dettato da motivi di

lavoro. Sarà competente l’autorità dello Stato di soggiorno a trasformare il titolo secondo i

rispettivi adempimenti legislativi25

. Si apre così uno scenario interessantissimo e ricco di

riflessioni. La cittadinanza europea si pone come longa manu includente e non escludente;

opera in una dimensione che supera il nazionalismo, essendo lo strumento che unisce i

cittadini di differenti nazioni, non solo europee; si muove in una dimensione embrionale di

cittadinanza cosmopolita e diviene strumento preliminare di una cittadinanza globale. Se

infatti la cittadinanza europea è il presupposto giuridico per l’esercizio della libertà di

circolazione e soggiorno dei cittadini comunitari, lo è anche, indirettamente, per la libertà di

movimento e stanziamento dei cittadini extracomunitari, i quali, nei limiti su indicati,

vengono inclusi in un percorso di integrazione all’interno di uno spazio comunitario, sebbene

non titolari di alcuna cittadinanza europea.

Il pregio della creazione di uno spazio europeo libero si interseca con la condizione

giuridica dello straniero extracomunitario a tal punto che quella contribuisce, forse anche

inconsapevolmente, a far riemergere lo straniero dalla condizione di non-persona26

a quella di

persona. Uno spazio europeo che favorisce il distacco da quel legame quasi indissolubile tra

cittadino e nazione, in quella simbiotica appartenenza dell’uno all’altra27

per cui lo straniero

est celui qui n‟appartient pas à la communautè nationale dèfinie par les frontieres de l‟Ètat28

.

L’Europa unita contribuisce, dunque, alla evoluzione del concetto di cittadinanza, non

25 Vedi la Direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003 relativa allo status dei cittadini di paesi

terzi che siano residenti di lungo periodo.

26 A. Dal Lago, Non persone. L‟esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli - Milano 2004, pg.

207.

27 Il legame tra cittadinanza e nazione è il frutto dell’elaborazione del principio di nazionalità che si è sviluppato

intorno alla metà del secolo XIX, in particolare dopo la Rivoluzione Francese del 1789, a seguito dello

smantellamento dell’Ancien Régime. La cittadinanza diventa espressione di uno status di cui godono appunto gli

appartenenti alla nazione, i suoi membri, e attraverso la quale questi esercitano la sovranità popolare

contribuendo alla “gestione” dello Stato. Per approfondimenti vedi M. Alberini, Lo Stato nazionale, Il Mulino,

1997, pg. 20 e ss.

28 D. Lochak, Ètrangers et citoyens au renard du droit, in Withol De Wenden, C. (Ed), La citoyenneté et les

changements de structures sociale et nationale de la population française, Fondation Diderot, 1988, pg. 76.

11

più rappresentativo di quella linea di demarcazione tra chi è dentro e chi è fuori (gli insider e

gli outsider), espressione di un valore inclusivo e di uguaglianza per tutti coloro che sono

cittadini, e di uno esclusivo e di chiusura sociale per tutti coloro che non lo sono29

. In tale

contesto, la cittadinanza europea costituisce un esempio di come liberasi della marshalliana

“perimetrazione nazionale della cittadinanza”30

, ragionando non secondo categorie fisse, ma

secondo categorie flessibili e soprattutto in un’ottica che vada oltre i confini statali.

La tendenza degli anni moderni, infatti, è proprio quella di un superamento del

concetto di cittadinanza inteso in senso classico e tradizionale31

, come sinonimo di

nazionalità32

, ritenendo che l’universalismo dei diritti fondamentali e il particolarismo

dell’appartenenza non si conciliano più con la concezione tipica della cittadinanza33

. Ampliare

la nozione stessa di cittadinanza34

, scollegandola dalla nazionalità35

, avrebbe come effetto

29 R. Brubaker, Citizenship and Nationhood in France and Germany, Cambridge, Harvard University Press

1992; trad. it. Cittadinanza e nazionalità in Francia e Germania, Bologna, Il Mulino, 1997.

30 Diritti di cittadinanza e Welfare State. Citizenship and Social Class di Tom Marshall cinquant‟anni dopo

(T.H.Marshall, Cittadinanza e classe sociale, a cura di S. Mezzadra, Roma-Bari, Laterza, 2002), pg. 14.

31 Definito dal sociologo inglese Marshal, come status che viene conferito a coloro che sono membri a pieno

titolo di una comunità” – e dei suoi due sottoconcetti, quello di cittadinanza formale - nationality (legame con

uno Stato) e quello di cittadinanza sostanziale - citizenship (serie di diritti e doveri discendenti dalla cittadinanza

formale). Vedi T.H.Marshall, Cittadinanza e classe sociale, Utet, Torino 1976. Per una disamina sulla teoria di

Marshall vedi D. Zolo, Cittadinanza: storia di un concetto teorico-politico, in Filosofia politica 1/2000.

32 Diverso è il concetto di cittadinanza inteso nel senso di sudditanza, che si sviluppa negli Stati non democratici,

caratterizzati non dallo Stato comunità ma dallo Stato apparato o principe: il rapporto che lega il soggetto

appartenente a questo Stato e lo Stato stesso viene concepito, appunto, come sudditanza. Per approfondimenti

vedi Quadri, Cittadinanza, in Nss. D.I, III, Torino, 1959, pg. 306 e ss.

33 La suddivisione in tre tipi - civile, politica e sociale - e la relativa sequenza cronologica sostenuta da Marshall,

volta alla realizzazione di una condizione di “uguaglianza fondamentale di appartenenza”, non appare essere più

condivisa da tutta la dottrina che invece, da un lato, si sofferma su un processo di cittadinanza aperto e non

chiuso nel senso di concluso, dall’altro, analizza quel concetto e quel processo di cittadinanza nei termini su

indicati anche e soprattutto alla luce del fenomeno migratorio. Il concetto di cittadinanza così come inteso da

Marshall appare deformato perché non è visto come uno specifico status soggettivo che si aggiunge a quello

della personalità, ma come il presupposto di tutti i diritti fondamentali, inclusi quelli che spettano alla persona

indipendentemente dall’essere cittadino. Vedi L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, Laterza, Bari-Roma, 2002.

34 Sulla definizione di cittadinanza la dottrina ha dato svariate indicazioni. Solo per citarne alcune, già nell’800

Romagnosi (Istituzioni di civile filosofia ossia di giurisprudenza teorica, Parte I, in G. D. Romagnosi, Opere,

XIX, Firenze 1833, pg. 245 e ss) scriveva che il cittadino è membro di un unione di persone che godono dei

12

quello di svincolarla dallo status civitatis, riflettendosi, in particolare, sulla posizione

giuridica del soggetto nei suoi rapporti con l’ordinamento dello Stato, sia dal punto di vista

dei diritti politici che civili36

. Significherebbe ancorarla, per esempio, ai diritti sociali e al

principio solidaristico, che sono stati il presupposto per l’evoluzione, in Italia, della forma di

Stato, da quella liberale incarnata dallo Statuto Albertino, a quella democratica e sociale

garantita dalla Carta costituzionale del 194837

. Si parla, in questo senso, di cittadinanza

diritti originari e dei diritti compresi nell’atto di unione. Secondo l’autore la cittadinanza rientrava nel novero di

quei diritti “chiamati dai leisti col nome di universali”. Nel senso di cittadinanza come appartenenza si è

espresso Biscottini (Cittadinanza, in Enc. dir., VII, Milano 1960, pg. 140) secondo il quale la cittadinanza è la

condizione giuridica di un gruppo di persone appartenenti allo Stato, e precisamente di quelle che in esso sono

titolari di particolari diritti ed obblighi fra i quali primeggiano i cosiddetti diritti politici e l’obbligo di effettuare

determinate prestazioni. Santi Romano (Il diritto pubblico italiano, Milano 1988, pg. 66 e ss) invece non trova

una definizione di cittadinanza tanto che la considera come “una condizione giuridica di contenuto variabile, che

non può né determinarsi a priori né scomporsi interamente in singoli diritti e doveri, da ciò la difficoltà della

sua definizione”.

35 “Le problème est donc l‟invention de la citoyennetè comme distinte de la nationalitè “, in A. Touraine, Face à

l‟exclusion, Esprit, 1991, pg. 11.

36 Vedi C. Romanelli Grimaldi, Cittadinanza, in Enc. Giur. VI, Roma 1988.

37 In Europa si inizia a parlare di welfare state con la Costituzione di Weimar del 1919, nella quale, per la prima

volta, venne introdotta tutta una serie di diritti sociali, grazie soprattutto alle sollecitazioni e alle insistenze delle

forze socialdemocratiche che avevano “lottato” a tal punto da ottenere il riconoscimento, in quella carta

costituzionale, di quelli che poi verranno definiti diritti, appunto, sociali. Per approfondimenti vedi S. Mezzadra,

Costituzionalizzazione del lavoro e Stato sociale: l‟esperienza weimariana, in AA.VV., Ai confini dello Stato

sociale, Roma, Manifestolibri, 1995. Per un’analisi approfondita sui rapporti tra socialdemocrazie e welfare state

vedi Gianni Silei, Welfare State e socialdemocrazia. Cultura, programmi e realizzazioni in Europa occidentale

dal 1945 ad oggi. Manduria-Bari-Roma, P. Lacaita, 2000. Questo saggio si inserisce nel filone di studi sullo

stato sociale, a cui lo stesso autore dedica ancora oggi attenzione attraverso altri scritti, come ad esempio “Lo

stato sociale in Italia. Storia e documenti. Dall‟unità al fascismo” o “Breve storia dello Stato sociale” e a cui

altri autorevoli autori come Paci e Ferrera si sino rivolti con opere ricche di pregio. Silei si propone di

evidenziare che tra le socialdemocrazie occidentali ed il Welfare State esiste un legame molto stretto ma che

troppo spesso è stato considerato simbiotico: “socialdemocrazie uguale Welfare State”. Ciò perché l’evoluzione

del sistema di welfare da un lato e l’ascesa dei partiti socialdemocratici dall’altro sono andati per anni di pari

passo, compiendo entrambi percorsi lunghi e laceranti ma assolutamente similari. In verità, anche alla luce di

un’analisi attenta e capillare della letteratura sul tema, l’autore del saggio nega quella identità affermando che

“quello socialdemocratico è solo uno dei vari approcci alle politiche di welfare che sono stati teorizzati ed

applicati nel corso delle varie fasi storiche, ma non l‟unico”.

13

sociale, per sottolineare come “il modello di cittadinanza, che si è tendenzialmente sviluppato

nel corso del XX secolo in Europa occidentale (se non stabilizzato dappertutto), non è rimasto

quello di una pura cittadinanza politica, fondata sulla rappresentanza delle correnti di

opinione e degli interessi su scala locale e nazionale. Essa ha parzialmente incorporato nella

teoria (a livello di testi che parlano di diritto all‟esistenza e di repubblica sociale) e

soprattutto nella pratica (attraverso strutture di regolazione de conflitti, di partecipazione, di

cogestione di organismi di previdenza, etc.) un certo numero di diritti sociali fondamentali, il

cui complesso costituisce ciò che è stato chiamato una cittadinanza sociale"38

. Altre volte si

fa riferimento al concetto di cittadinanza sociale “aperta”39

: si è osservato, da un lato, come il

processo di integrazione europea abbia di fatto ristretto i confini territoriali della cittadinanza,

dall’altro, come il “ruolo della nazionalità come filtro, come strumento di chiusura

territoriale e come solido contenitore dei diritti è stato progressivamente azzerato”40

, tanto

che l’assenza del diritto di residenza in capo allo Stato nazione e la sua previsione invece in

capo all’Unione europea, potrebbe rappresentare, secondo l’elaborazione dottrinale in esame,

un “forte potere destrutturante” e per questo fondamentale per la creazione di un assetto

solidaristico su scala continentale41

.

Nuovi scenari potrebbero, quindi, aprirsi attraverso l'utilizzazione delle moderne

definizioni di cittadinanza, con ripercussioni più che positive nei riguardi della condizione

giuridica dello straniero, riferibili non solo al godimento dei diritti sociali fondamentali, quali

l’assistenza sanitaria, la previdenza, e le situazioni abitative42

.

Non è facile, del resto, liberarsi dai retaggi storici e giuridici ancorati a quelle

convinzioni per cui sono le norme relative alla cittadinanza che fanno di qualcuno una

38 E. Balibar, Una cittadinanza “impossibile”?, in “La rivista del Manifesto”, n. 12, dicembre 2000.

39 M. Ferrera, Verso una cittadinanza sociale “aperta”. I nuovi confini del welfare nell‟Unione Europea.

Working Papers del Dipartimento di studi sociali e politici Università di Milano, n. 8/2004.

40 M. Ferrera, op. cit., pg. 11.

41 M. Ferrera, op. cit., pg. 27, propone uno schema di reddito minimo garantito contro la povertà e l’esclusione,

come esempio di quell’assetto solidaristico su scala continentale.

42 La crisi dello Stato democratico-sociale in verità pone dei limiti seri al mantenimento di un livello adeguato di

prestazioni sociali. Servirebbe una riforma dello Stato che contemperi sia i propri interessi in termini, ad

esempio, di spesa pubblica, che quelli dei cittadini, ma anche degli stranieri, relativi al mantenimento delle loro

libertà.

14

persona, e non viceversa43

. Ma i dibattiti e gli studi, non solo italiani, e non solo prettamente

giuridici, sulla cittadinanza e sul suo significato attuale, sono la prova di quanto sia necessario

un approccio in senso evolutivo del concetto di cittadinanza, e di quanto sia indispensabile il

superamento del binomio cittadinanza - nazionalità. L’analisi di questa categoria giuridica

appare poi ulteriormente rilevante per i suoi rapporti con altre tematiche ad essa correlate.

Come giustamente sostiene Sandro Mezzadra, la cittadinanza è diventata una delle

“lenti fondamentali attraverso cui sono stati letti e discussi alcuni dei processi politici più

rilevanti degli ultimi anni: dalla crisi dello Stato sociale ai nuovi movimenti migratori, dalla

globalizzazione all‟accelerazione del processo di integrazione europea”44

. Inoltre, quella

stessa cittadinanza rappresenta “una nozione strategica per chi voglia studiare il

funzionamento delle istituzioni democratiche, poiché si tratta di una categoria fondamentale

sia dell‟analisi giuridica, che guarda alla titolarità di diritti e doveri, che di quella socio-

politica, che si concentra sulle ragioni pregiuridiche dell‟appartenenza o esclusione dal

contesto politico” 45

.

Ecco, allora, che di fronte a fenomeni come la globalizzazione, l’immigrazione, la

cittadinanza europea, viene ad essere quanto mai antiquata la sovrapposizione tra nazionalità e

cittadinanza. Prova ne sia che una parte della dottrina, non solo nazionale, ha abbandonato

quelle due definizioni, prendendo in prestito dalla Gran Bretagna il termine “denizenship”46

,

43 A. Dal Lago, Non persone. L‟esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 2004, pg. 207

44 S. Mezzadra, Le vesti del cittadino. Trasformazioni di un concetto politico sulla scena della modernità.

Introduzione a c. di S. Mezzadra, Cittadinanza. Ordine, soggetti, diritto. Bologna, Clueb, 2004. Sempre

Mezzadra, in un suo recente contributo, S. Mezzadra, Diritto di fuga: immigrazione, cittadinanza,

globalizzazione, Verona, Ombre corte, 2006, si interroga sulla possibilità di avere cittadini oltre la Nazione,

soffermandosi sull’analisi di alcuni orientamenti europei che non vedono più come fonte di diritto la

cittadinanza, ma la personalità stessa dell’individuo, basata sull’universalità dei diritti umani, in un modello

postnazionale di appartenenza. Riprende le tendenze esposte dallo studioso Yasemin Soysal a proposito di come

“le pressioni a livello mondiale spingerebbero in direzione di una espansione dei diritti individuali e di una

crescente inclusione degli stranieri all‟interno degli spazi politici esistenti, rendendo la cittadinanza nazionale

via via meno importante”.

45 Vedi D. Zolo (a cura di ), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari, 1994, pg. IX.

46 Dal termine “denizen” (che era lo straniero ammesso alla cittadinanza per concessione della Corona, nel XVII

sec.) introdotto da Hammar, il quale ha riscontrato l’esistenza di una nuova categoria di soggetti che godono di

alcuni diritti di cittadinanza, senza averne acquisito lo status. Vedi T. Hammar, State, Nation and Dual

Citizenship, in AA.VV., Immigration and the politics of citizenship in Europe and North America, a cura di

15

per indicare lo status dei migranti residenti di lungo periodo in un certo Stato, che godono di

quasi tutti i diritti dei cittadini tranne quelli politici47

, a prescindere dal possesso di una

cittadinanza appunto giuridica48

. Si fa strada un nuovo concetto, quello di “semicittadino”49

che starebbe nel mezzo tra cittadino e straniero, tra cittadinanza e non cittadinanza. Perplessità

su questa nuova nozione vengono espresse sia in campo sociologico che giuridico. Da un lato

Mezzadra50

, per esempio, puntualizza che si potrebbe incorrere nel rischio che la denizenship

possa essere il risultato di una cittadinanza ottriata, dunque concessa e non acquisita: ed è un

rischio tanto più insidioso in una situazione in cui, anche all’interno delle singole collettività

nazionali, sono molte e potenti le tendenze a frantumare l’universalismo della cittadinanza e a

istituire nuovi confini interni agli stessi spazi politicamente omogenei51

. Dall’altro, critico

della denizenship è anche Sandro Staiano52

, il quale sostiene, per un verso, che l’utilizzo di

detta categoria concettuale porterebbe ad uno svuotamento della cittadinanza; infatti, se il

godimento dei diritti non è legato allo status di cittadino ma a quello di residente di lungo

periodo, ecco che allora la costruzione logico-giuridica che ruota attorno al concetto di

cittadinanza verrebbe meno. D’altro canto, continua a sostenere l’autore, non ammetterne

W.R. Brubaker, New York, 1989, pg. 81 e ss.

47 Si vedrà nel corso del presente lavoro, ed è proprio questo lo spirito della ricerca, che non sempre i diritti che

in teoria sembrano garantiti all’immigrato poi si concretizzano nella realtà: vi è una sostanziale differenza, per

dirla come Bobbio, tra “diritti pensati e diritti attuati”.

48 In Italia la “cittadinanza giuridica” si acquista pleno jure con le modalità indicate dalla legge 5 febbraio 1992

n. 91 (su G.U. 15.02.1992 n. 38). I punti fondamentali della legge sono: l’acquisto iure sanguinis (il figlio, anche

adottivo, di padre o madre in possesso di cittadinanza italiana, qualunque sia il luogo di nascita); la possibilità

che viene data agli stranieri di acquistare la cittadinanza per nascita, per iure soli (colui che è nato da genitori

ignoti o apolidi o che, nato in Italia da cittadini stranieri, non ottenga la cittadinanza dei genitori sulla base delle

leggi degli Stati cui questi appartengono), per residenza (regolare residenza per 10 anni sul territorio nazionale)

ovvero per discendenza. Inoltre viene prevista l’esclusione della cittadinanza italiana connessa al possesso o

all’acquisto o al riacquisto della cittadinanza straniera.

49 Nel nostro Paese tale figura potrebbe essere rappresentata dagli stranieri possessori di carta di soggiorno, che

si ottiene, ai sensi della legge 189/2002, dopo almeno sei anni di residenza regolare sul territorio nazionale.

50 S. Mezzadra, Le vesti del cittadino. Trasformazioni di un concetto politico sulla scena della modernità.

Introduzione a c. di S. Mezzadra, Cittadinanza. Ordine, soggetti, diritto op. cit. pg 68.

51 In S. Mezzadra, op. cit. pg 68 cfr. Balibar 1998 e 2001 nonchè Kofman 2000 cap. 4).

52 S. Staiano, Migrazioni e paradigmi della cittadinanza: alcune questioni di metodo, in Federalismi.it n.

21/2008.

16

l’utilizzo significherebbe privare “la denizenship di autonomia concettuale, poiché essa

designerebbe null‟altro che una serie di casi, diversi nei singoli Paesi e con riferimento a

singoli gruppi di stranieri, di attribuzione di diritti ai non cittadini, cioè designerebbe pur

sempre la condizione giuridica dello straniero, mentre, sotto il profilo giuridico, la distinzione

di sostanza resterebbe quella fra cittadini e non cittadini, tra inclusi ed esclusi”.

A quanto pare, non sembra essere facile neanche per la dottrina fare i conti con

categorie concettuali di stampo classico e nuove tendenze che si plasmano sui mutamenti

sociali e culturali che sempre più “invadono” le democrazie occidentali.

Quello che appare abbastanza chiaro è che quella cittadinanza, nata assieme allo Stato

nazionale, in cui sovranità e territorialità ne costituiscono elementi essenziali, viene messa

costantemente in discussione, soprattutto nei paesi di forte immigrazione come l’Italia di oggi,

dove il concetto di popolo appare sempre più restrittivo ed esclusivo alla luce dei fattori già

indicati, mentre diviene oggetto di considerazione sempre più crescente il concetto di

popolazione e la natura inclusiva che lo caratterizza. Ci si chiede, allora, come possa accadere

che negli Stati democratici, che hanno un costituzionalismo oramai radicato in tema di libertà

fondamentali e una cultura universalistica dei diritti fondamentali, permanga questo

ancoraggio ad un sistema nazionalistico in cui le norme sulla cittadinanza la fanno ancora da

padrone53

, tanto che spesso i diritti fondamentali sembrano non appartenere alla persona ma al

cittadino54

, fortemente legati ad una identità nazionale piuttosto che ad una identità

personalistica.

53 È la legge sulla cittadinanza che determina infatti il rapporto di esclusione tra cittadini e stranieri, facendo

derivare, da suo possesso, questa o quella conseguenza giuridica sul piano dei diritti e dei doveri del singolo

individuo. Così E. Grosso, Cittadinanza in www.dirittiumani.utet.it.

54 Vedi a tal proposito uno dei moderni studiosi dei fenomeni migratori, Alessandro Dal Lago, Non persone.

L‟esclusione dei migranti in una società globale, op. cit. pg. 219, il quale parla di spersonalizzazione di

determinate categorie di esseri umani nella nostra società umanistica e razionale, quasi a voler riprendere la linea

di Hanna Arendt, la quale ne parlava già nel secondo dopo guerra, nel capitolo delle Origini del totalitarismo, sul

tramonto dello Stato nazionale e la fine dei diritti umani (in Hanna Arendt, Le origini del totalitarismo, trad. it. .

A Guadagnin, Einaudi, Torino 2004). La Arendt faceva discendere sostanzialmente la crisi dello Stato nazionale

dalla presa di coscienza della non effettività dei diritti umani. In queste pagine, che hanno il sapore della

modernità e della lungimiranza, i diritti umani vengono visti come idealismo ingenuo: sebbene previsti

universalmente a tutela di ogni essere umano, nella concretezza solo i cittadini di uno Stato potevano

“usufruirne”. Tali diritti erano di fatto diritti di cittadinanza, e tutte le minoranze - ebrei, schiavi, stranieri -

erano “schiuma della terra”, non solo senza diritti, ma senza diritto ad avere diritti.

17

2. Riconoscimento e garanzia dei diritti fondamentali della persona negli ordinamenti

democratici

La crisi della categoria giuridica della cittadinanza ispirata all’idea classica di

nationalité dovrebbe agevolare la realizzazione di azioni positive che individuino diritti in

capo al non cittadino, non come accesso ai diritti, ma, per riprendere le parole arendtiane,

come riconoscimento del diritto ad avere diritti. Il problema dello straniero (sia esso rifugiato,

apolide, sans papiers, clandestino), infatti, è anche e soprattutto un problema di

riconoscimento dei diritti all’individuo quando questi non è cittadino.

Non sembra vi siano dubbi né in dottrina né in giurisprudenza55

, sul fatto che i diritti

fondamentali della persona debbano essere garantiti a tutti gli individui, in quanto uomini e

non in quanto cittadini, indipendentemente da una specifica “appartenenza” ad uno Stato.

Così come non sembrano esservi perplessità sul far rientrare nel novero dei diritti

fondamentali anche i diritti umani, che anzi vengono definiti come diritti morali universali56

.

Negli anni, vi è stato, dunque, il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona

con una portata ed una validità universale, il cui fondamento risiede nel più alto valore etico-

giuridico: la dignità57

. In nome di quella dignità, si dovrebbe considerare l’uomo come

55 Vedi sentenza n. 293 del 2000, in cui la Corte costituzionale ha sostenuto che “quello della dignità della

persona umana è valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo[...]”.

56 Emilio D’Orazio, Una introduzione all‟analisi e alla giustificazione dei diritti nella prospettiva dell‟etica

pubblica, in Immigrazione e diritti di cittadinanza, Conferenza nazionale dell’immigrazione – Università

Bocconi Milano – Cnel – Editalia, definisce i diritti umani come diritti morali universali, nel senso che tutte le

persone li possiedono indipendentemente dalla razza, dal sesso, dalla religione, dalla nazionalità e dalla

posizione sociale, e indipendentemente dal fatto che siano riconosciuti nel sistema giuridico del paese in cui si

risiede. In questo suo interessantissimo intervento l’autore fa un’analisi dei diritti, partendo dal modello Hohfeld,

che nel linguaggio dei diritti propone quattro rapporti giuridici fondamentali, passando poi per le teorie

normative (teorie teleologiche – utilitarismo- , deontologiche – teoria dei diritti e contrattualismo -, miste –

pluralismo -) con la finalità di esporre una riflessione: “la questione importante […] non è stabilire se i limiti sui

diritti degli stranieri siano compatibili con i termini delle contemporanee dichiarazioni dei diritti – le quali sono

ovviamente imperfette e discutibili – ma stabilire se tali limiti siano compatibili con una concezione

filosoficamente adeguata dei diritti umani e morali e con le premesse circa il benessere umano, l‟autonomia e la

dignità che sottostanno tale concezione”.

57 G. Silvestri, Dal potere ai principi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo, Laterza,

18

cittadino del mondo, a prescindere da ogni differenza culturale-religiosa, da ogni frontiera

geopolitica, da ogni eventuale posizione regolare o meno in un Paese straniero. La dignità è

legata al concetto di persona umana come persona libera, responsabile, portatrice di diritti ma

anche di doveri, espressione del principio personalista che caratterizza il nostro apparato

costituzionale. Dignità umana che, in quanto fondamento dei diritti fondamentali, potrebbe

addirittura sostituirsi, secondo Peter Hӓberle, alla sovranità popolare, in quanto il popolo

sovrano non avrebbe il potere di scalfire il valore supremo della dignità58

.

Purtroppo, nella realtà, tale valore non sembra essere considerato. I costanti episodi di

cronaca ci raccontano storie sconcertanti a fronte di politiche che eludono i principi del

rispetto della persona, della sua dignità, dei suoi diritti fondamentali, dando ad essi un

significato universale solo formale e non anche sostanziale. Politiche, queste, che si muovono

contro la previsione, sia nazionale che internazionale e comunitaria59

, di specifici strumenti di

2009, in questo suo recentissimo saggio, parla proprio dell’esistenza di alcuni punti di convergenza universali,

come il rispetto della persona e della sua dignità.

58 Si veda a tal proposito come G. Sivestri, Considerazioni sul valore costituzionale della dignità della persona,

in www.associazionedeicostituzionalisti.it,14 marzo 2008, apprezzi le Costituzioni portoghese e spagnola,

proprio perché la prima pone la dignità dell’uomo e la volontà popolare a fondamento della repubblica sovrana, e

la seconda perché pone la dignità ed i diritti fondamentali a fondamento dell’ordine politico.

59 Qualche esempio. La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, adottata a Parigi il 10 dicembre del

1948 dall’Assemblea delle Nazioni Unite, contiene una disciplina dettagliata dei diritti di libertà, civili, politici,

economici, sociali, che troveranno specificazione in due successivi patti, il Patto internazionale sui diritti civili e

politici e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. Tale dichiarazione afferma che

tutti gli esseri umani sono dotati di ragione e coscienza, dunque nascono tutti liberi ed uguali e tutti debbono

godere degli stessi identici diritti; esprime così la validità erga omnes dei diritti umani, dunque la loro

universalità. Oltre ai diritti, enuncia disposizioni sui doveri che ogni soggetto ha nei confronti della comunità.

Emerge una visione giusnaturalistica che si evince già dal suo preambolo: “la dignità inerente a tutti i membri

della famiglia umana” e “i loro diritti sono uguali e inalienabili”. Ma il punto di forza è l’articolo 1 della

Dichiarazione, visto come norma-base di una costituzione della società mondiale (Onuf), che regola un sistema

di rapporti nel quale l’uomo e la sua dignità vengono prima del diritto costituzionale e delle stesse costituzioni

statali (così G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Reposo, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Giappichelli-Torino,

2007, pg. 27). Ancora prima si veda la Carta di San Francisco, che rappresenta lo Statuto delle Nazioni Unite,

adottata a conclusione delle Conferenze delle Nazioni Unite sull’Organizzazione Internazionale il 26 giugno

1945 a San Francisco, entrata in vigore il 24 ottobre 1945, entrata a far parte dell’ordinamento giuridico italiano

con ordine di esecuzione del 17 agosto 1957 (legge 848, su G.U. del 25 settembre 1957 n. 238). In essa vengono

indicati gli scopi e le finalità che l’ONU deve realizzare, in particolare “mantenere la pace e la sicurezza

19

tutela di quei diritti la cui violazione diventa violazione della dignità umana. “Ciò può far

apparire la proclamazione dei diritti contenuta in tanti documenti internazionali una forma

ideologica di dissimulazione degli interessi dominanti nel mercato globale, ben garantita

dalla brutale forza militare delle grandi potenze”60

. Se, dunque, vi sono in astratto previsioni

normative poste a tutela dei diritti fondamentali, ma non vi sono in concreto provvedimenti

statali che ne danno attuazione, allora ci si trova in un circolo vizioso dal quale è difficile

uscire. Secondo Luigi Ferrajoli61

il vero problema dei diritti fondamentali, è, infatti, un

problema non di previsione ma di garanzia62

, sia da parte dei poteri nazionali che di quelli

extra-sovra nazionali, che di fatto non hanno saputo mantenere le promesse avviate con

l’istituzione del patto di convivenza pacifica stipulato con l’istituzione dell’ONU e basato sul

divieto di guerra e sulla tutela dei diritti dell’uomo63

. Lo stesso Bobbio64

rimarcava come il

internazionale”, prendere “[…] efficaci misure collettive atte a prevenire e reprimere le minacce alla pace, gli

atti di aggressione e le altre violazioni di pace […]”, e soprattutto “sviluppare tra le nazioni relazioni

amichevoli fondate sul rispetto del principio dell‟ uguaglianza dei diritti e dell‟autodeterminazione dei popoli

[…]”, nonché “[...] promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell‟uomo e delle libertà fondamentali per

tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua e di religione [...]”. Questo principio della dignità umana verrà

poi ripreso e rafforzato nella successiva Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. A seguire, si

pensi alla Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri dell’uomo, adottata dalle nazioni americane 6 mesi

prima della Dichiarazione universale, durante la IX Conferenza Internazionale degli Stati Americani svoltasi a

Bogotà nell’aprile del 1948. Ancora, si abbia riguardo alla Convenzione americana dei diritti umani del 1978,

alla Carta araba dei diritti dell’uomo del 1994 ma non entrata in vigore; alla Dichiarazione del Cairo sui diritti

umani nell’Islam del 1990, alla Carta africana sui diritti dell’uomo e dei popoli del 1981.

60 G. Silvestri, Dal potere ai principi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo, op. cit., pg.

25.

61 L. Ferrajoli, Diritti fondamentali e democrazia costituzionale, in Analisi e diritto 2002-2003, a cura di P.

Comandarci e R. Guastini, pg. 331 e ss.

62 “Sia garanzie primarie, ossia divieti di lesione e di obblighi di prestazioni in capo ad appositi organismi

internazionali, sia garanzie secondarie, ossia di un sistema adeguato di istituzioni giudiziarie in grado di

sanzionare le violazioni o le inadempienze dei diritti e delle relative garanzie primarie”, in L. Ferrajoli, op. cit.,

pg. 345 e ss.

63 Si ricorda come le garanzie dei diritti dell’uomo abbiano origini antichissime, da quelle di provenienza anglo-

americana, seguite da quelle europee. Si pensi alla Magna Charta Libertatum del 1215 e alla Petition of Rights

del 1628. Con l‟approvazione della Petition of Rights il Parlamento, nel contrastare la politica autoritaria di

Carlo I, si opponeva a qualsiasi forma di sovranità illimitata che potesse minacciare i principi informatori

dell‟ordine costituzionale e, innanzitutto, il “dominio della legge” (rule of law), con ciò riaffermando le libertà

20

problema dei diritti fondamentali dell’uomo non è quello della loro istituzione quanto quello

della loro protezione.

Neanche la dimensione europea della tutela dei diritti fondamentali della persona,

maggiormente interessante per i suoi più diretti e ravvicinati effetti, sembra, a volte, essere

sufficiente per garantire i diritti fondamentali della persona, spesso disattesa dalle nostre

politiche nazionali in tema di respingimenti di immigrati, ad esempio. La Convenzione

europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 195065

, il cui

fondamentali”. Così S. Bonfiglio, The Petition of Rights (1628), in Il Monitore Costituzionale, pg. XV. Di

particolare rilievo fu dunque la previsione di tutta una serie di diritti e di libertà dei sudditi contro prevaricazioni

ed abusi della Corona inglese, che costituiscono un esempio di tutela dei diritti umani: “Oggi non serve

un‟ideologia dei diritti umani fondata sull‟individuo astratto, ma una cultura dei diritti che posizioni l‟uomo

nella sua realtà effettuale per riconoscerne, in primo luogo, la dignità”, S. Bonfiglio, op. cit. pg. XXX. Ma si

pensi anche al Bill of Rights del 1689: anche se la più chiara consapevolezza del complessivo significato politico

e costituzionale dei diritti inviolabili dell’uomo è riscontrabile soltanto nelle costituzioni americane della

seconda metà del secolo XVIII, non si può negare che la vera origine di quei diritti sia imputabile a una

particolare evoluzione del diritto inglese. Vedi A. Baldassarre, Diritti inviolabili, in Enc. Giur. it, XI, Roma,

1989, pg. 2. Si pensi inoltre, sempre a conferma di quanto sopra, all’Habeas Corpus, che, partendo dalla

legislazione inglese, è stato poi introdotto in tutte le costituzioni occidentali, fino alla Dichiarazione Universale

dei Diritti Umani, il cui articolo 9 afferma che “nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato,

detenuto o esiliato”. Si ricordi ancora la Dichiarazioni della Virginia del 1776 e la Dichiarazione francese del

1789. In particolare, la dichiarazione francese del 1789 è la prima vera carta formale dei diritti dell’uomo,

seguita all’affermazione dei valori e dei principi rivoluzionari di libertà, eguaglianza e fraternità. In essa

confluiscono le elaborazioni teoriche di Locke, Montesquieu e Rousseau. Sull’argomento vedi Jellinek G, La

déclaration des droits de l‟homme et du citoyen, Paris, 1902, G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo,

Roma-Bari, 1995, N. Bobbio, L‟età dei diritti, Einaudi, Torino, 1992. E se è vero che la Rivoluzione francese è

da considerarsi l’atto di nascita delle idee moderne di “cittadino” e di “cittadinanza”, dove non esisteva

dicotomia tra cittadino e uomo (i diritti del cittadino erano quelli dell’uomo), è pur vero che, come parte della

dottrina ha sostenuto (P. Costa, La cittadinanza: un tentativo di ricostruzione 'archeologica', in D. Zolo (a cura

di), La cittadinanza, Roma-Bari, Laterza, 1994 e M. Cuniberti, Il problema della qualificazione giuridica della

cittadinanza, 1997), ben presto quella dicotomia venne alla ribalta (« Le mot de citoyennetè n‟a, dans le dromi

français, pas de sens que nationalité », in Touraine, Face à l‟exclusion, op. cit., pg. 11) e la cittadinanza subì

“una trasformazione dal suo originario (ma assai precario e incerto) significato universalistico verso

un‟accezione nazionalistica [che] ne avrebbe ben presto fatto una delle pietre angolari dell‟edificazione del

moderno Stato nazionale” ( M. Cuniberti, op. cit., pg. 4 ).

64 N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Bologna, 1984.

65 Adottata dal Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa il 4 novembre 1950, è entrata in vigore il 3

21

preambolo ricalca sostanzialmente l’articolo 1 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del

1948, è l’espressione di quel ius publicum (libertatum) europeum66

che verrà ritrovato nel

trattato sull’Unione europea67

, (articolo F68

), e poi nella Carta di Nizza69

, in cui si torna a

garantire il rispetto dei diritti fondamentali così come sono tutelati dalla CEDU70

. Essa si fa

custode dei diritti fondamentali della persona, a prescindere da ogni forma di appartenenza

statale, escludendo ogni atteggiamento che possa essere discriminatorio a fronte di

settembre 1953 e ratificata in Italia con legge n. 848/1955. Nel suo preambolo si richiamano esplicitamente i

principi dettati dalla Carta di San Francisco, in tema di riconoscimento ed effettiva applicazione dei principi in

essa contenuti, oltre alla indicazione della necessità di salvaguardare e promuovere lo sviluppo dei diritti

dell’uomo e delle libertà fondamentali. A ciò si aggiungono una serie di divieti, contenuti nella norma di

chiusura in materia di previsioni di libertà e divieti (art. 14), in particolare il divieto di discriminazione: “Il

godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza

nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le

opinioni politiche o di altro genere, l‟origine nazionale o sociale, l‟appartenenza a una minoranza nazionale, la

ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”. Per approfondimenti vedi G. Sperduti, La convenzione europea

dei diritti dell‟uomo, RDI, 1963.

66 Così G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Reposo, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, op. cit., pg. 28.

67 Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1 novembre 1993.

68 1) L‟unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell‟uomo e delle libertà

fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri 2) L‟unione rispetta i diritti

fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell‟uomo e delle

libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni

degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.

69 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000. La Carta di Nizza

ha l’importanza di riunire, per la prima volta ed in un unico testo normativo, i diritti che spettano a tutti i cittadini

europei nonché a tutte le persone che vivono sul territorio dell’Unione. Non ha certamente un connotato

rivoluzionario, come in genere vuole la tradizione del costituzionalismo moderno, ma ha un carattere ricognitivo

e compilativo. Riafferma diritti già proclamati, anche se li suddivide non più in diritti civili, politici, sociali, etc,

ma li raggruppa in sei valori fondamentali (dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia) posti

su di un piano di assoluta parità, che l’Unione intende “preservare” oltre che “promuovere”. Di particolare

rilievo è l’estensione e l’allargamento della rosa dei diritti in essa contenuti anche ai soggetti extracomunitari

(vedi articolo 34 - sicurezza sociale e assistenza sociale -).

70 È da sottolineare come la CEDU non solo abbia previsto tutta quella serie di obblighi cui gli Stati membri

sono tenuti all’osservanza, ma alcuni di questi Stati membri, tra cui la Svezia, ha addirittura inserito nel corpo

costituzionale nazionale le norme relative ai diritti umani in essa comprese.

22

quell’appartenenza71

. I suoi articoli 15.1 e15. 372

e 21.273

sono un esempio di come la

posizione del cittadino di un Paese terzo possa essere ugualmente meritevole di tutela qualora

risieda regolarmente in un Paese dell’Unione. Tanto più che oggi la Carta dei diritti

fondamentali, da documento “di riconosciuto rilievo interpretativo”e “formalmente ancora

privo di valore giuridico”74

, diviene un corpo normativo vincolante, pur non essendo parte

integrante del Trattato di Lisbona. Certo, la mancata ratifica del Trattato che adotta una

Costituzione per l’Europa da parte della Francia e dell’Olanda nel maggio 2005, ha

contribuito alla mortificazione di quel processo di “costituzionalizzazione” europea75

che

poteva rappresentare una garanzia ulteriore per i diritti fondamentali della persona. Le

aspirazioni di coloro che credevano in una Costituzione europea sembrano, però, non del tutto

vanificate grazie al nuovo Trattato di Lisbona, il quale, facendo un rinvio esplicito ai valori

dell’Unione76

, distinguendoli sia dai diritti fondamentali che dagli obiettivi dell’Unione

stessa, dovrebbe contribuire maggiormente, proprio attraverso quel richiamo ai valori che ne

costituiscono il fondamento, ad una tutela concreta dei diritti fondamentali della persona. Ma

v’è di più. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, come detto, da mero

documento politico77

diviene documento giuridicamente vincolante, assumendo lo stesso

valore giuridico dei trattati, nonostante la Carta non venga inclusa in questi ultimi78

. Anche

71 Appartenenza che assume una sfumatura diversa nella forma adattata al Trattato di Lisbona. Il precedente

articolo 21 recitava, infatti, il divieto di qualunque discriminazione fondata sulla cittadinanza; nella forma attuale

ci si riferisce invece al divieto di qualunque forma di discriminazione in base alla nazionalità.

72 “Ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata” e, in

linea con questo, “i cittadini dei persi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri

hanno diritti a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell‟Unione”.

73 “Nell‟ambito d‟applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull‟Unione europea

è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza”.

74 Così Corte costituzionale sentenza n. 349 del 2007, in materia di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU

sul risarcimento dei danni per occupazione acquisitiva e indennità di espropriazione per pubblica utilità.

75 Per una lettura sulla Carta di Nizza, sul Trattato di Roma, e sui diritti in essi contenuti vedi G. Arrigo, La

nuova Carta europea dei diritti fondamentali, in Lav. inf., n. 23-24, 2000, 5.

76 Art. 1 bis TUE.

77 Documento politico che però, si badi bene, la Corte di Giustizia delle Comunità europee aveva preso come

parametro di riferimento per la tutela dei diritti fondamentali a prescindere dalla sua positivizzazione all’interno

di un corpo normativo.

78 Articolo 6, par. 1 del TUE; Dichiarazione 1.

23

tale aspetto dovrebbe costituire una fonte di maggiore tutela del rispetto della persona umana

e della sua dignità.

Restando sempre in ambito comunitario79

, altro elemento di garanzia dei diritti

fondamentali della persona, è rappresentata dal “costituzionalismo giurisdizionale”, esplicato

a mezzo di organi giudiziari permanenti, quali la Corte europea dei diritti dell’uomo80

e la

Corte di Giustizia delle Comunità Europea81

. Quest'ultima, in particolare, dopo un iniziale

rifiuto ad occuparsi della tutela dei diritti82

, è intervenuta per sciogliere alcuni nodi sorti a

proposito delle interferenze tra le disposizioni comunitarie direttamente esecutive negli

ordinamenti statali e le disposizioni nazionali in tema di diritti fondamentali. La Corte di

Giustizia è stata infatti la protagonista della storica sentenza Stauder del 196983

, con cui si è

affermato che la tutela dei diritti fondamentali costituisce parte integrante dei principi generali

del diritto comunitario, e la salvaguardia di quei diritti deve essere assicurata dalla Corte di

Giustizia attraverso il rispetto delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. In

altre sentenze84

, quella stessa Corte ha, inoltre, sostenuto che anche i trattati, o gli altri

strumenti internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno

cooperato o aderito, possono ugualmente fornire elementi di cui occorre tener conto

nell’ambito del diritto comunitario85

.

79 Si ricorda come, invece, in ambito internazionale, la garanzia giurisdizionale sia posta in essere da due Corti

supreme. La prima è la Corte internazionale di giustizia, istituita il 26 giugno del 1945, la quale costituisce il

principale organo di giustizia delle Nazioni Unite e garantisce in sede giudiziaria la tutela dei diritti umani violati

nel mondo dal potere politico. La seconda è la Corte penale internazionale Istituita recentemente, il 17 luglio

1998, il cui compito è invece quello di giudicare individui ritenuti colpevoli di crimini internazionali.

80 Istituita dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ha

come funzione quella di assicurare il rispetto dei diritti umani. La Corte di Strasburgo non può essere adita se

non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne (ai sensi del primo comma dell’art. 35 Convenzione europea

dei diritti dell’uomo).

81 Ha sede a Lussemburgo e la sua competenza istituzionale è quella di assicurare il rispetto del diritto

comunitario nell'interpretazione e nella applicazione dei Trattati.

82 Vedi sentenza Stork del 4 febbraio 1959, causa C – 1/58.

83 Sentenza Stauder del 12 novembre 1969, causa 26/69.

84 Sentenza Nold del 14 maggio 1974, causa 4/73, sentenza Hauer del 13 dicembre 1979, causa 44/79.

85 I rapporti e le interferenze tra le due Corti, oggi più che mai, sono al centro di dibattiti dottrinari (in particolare

dopo che la Corte di Giustizia si è mossa nella direzione dell'ampliamento della propria sfera di azione,

estendendola anche alla tutela dei diritti umani) dove si parla, ad esempio, di “lotta sotterranea tra le due Corti

24

Sul problema della effettività e della attuazione dei diritti fondamentali, così come

affermati nella Convenzione europea, è intervenuta anche la nostra Corte costituzionale. In

particolare, merita di essere ricordata la sentenza n. 10 del 19/01/199386

, con la quale è stato

riconosciuto alle norme della Convenzione europea il carattere di norme vincolanti, aventi la

stessa forza di legge propria degli atti contenenti i relativi ordini di esecuzione.

Tutto ciò non sembra, però, costituire un limite per le politiche nazionali che, lungi dal

ritenere vincolanti i principi affermati nei documenti internazionali e comunitari, spesso li

raggirano e li eludono, calpestando così il valore supremo della dignità umana in esse

contenuto. Si adatterebbero perfettamente, qui, le parole di Gaetano Silvestri, il quale, in

alcune sue argomentazioni sul valore costituzionale della dignità della persona87

, riprendendo

l’incipit del Contratto sociale di Rosseau (L‟uomo è nato libero, ma ovunque è in catene),

afferma che “la dignità dell‟uomo è, per sua natura, intangibile, ma ovunque è calpestata”!

Calpestare la dignità della persona significa calpestare non solo i suoi diritti fondamentali, ma

anche mettere in gioco la democraticità di un ordinamento giuridico. Una società democratica,

infatti, esiste solo se i suoi componenti rispettano i principi fondamentali dell’ordinamento

sociale88

. I diritti fondamentali trovano un fondamento democratico nella loro stessa

per la primazia in Europa”(vedi G. Zagrebelsky, Dichiarazioni dei diritti e giurisdizioni nazionali e

sovranazionali, in Paper della relazione tenuta alla Luiss, Gennaio 2001).

86 Ma vedi anche le sentenze nn. 188/1990, 153/1987e 323/1989.

87 G. Silvestri, Considerazioni sul valore costituzionale della dignità della persona, in

www.associazionedeicostituzionalisti.it, 14 marzo 2008, il quale sostiene come la dignità quale valore universale

sia quotidianamente calpestato anche nei paesi occidentali sviluppati, dove “continuano ad esistere fenomeni di

povertà ed emarginazione sociale che generano forme disparate di lesione della dignità (pensiamo […] agli

immigrati […])”.

88 Il rapporto tra democraticità di un ordinamento giuridico e diritti fondamentali è stato a lungo studiato dal

filosofo Norberto Bobbio, il quale, nella Introduzione all‟età dei diritti, Einuadi, Torino, 1992, afferma che “il

problema [dei diritti dell‟uomo] è strettamente connesso a quello della democrazia e a quello della pace [….]. Il

riconoscimento e la protezione dei diritti dell‟uomo stanno alla base delle istituzioni democratiche moderne. La

pace è, a sua volta, il presupposto necessario per il riconoscimento e l‟effettiva protezione dei diritti dell‟uomo

nei singoli Stati e nel sistema internazionale. Nello stesso tempo il processo di democratizzazione del sistema

internazionale, che è la via obbligatoria per il perseguimento dell‟ideale della “pace perpetua”, nel senso

kantiano della parola, non può andare innanzi senza una graduale estensione del riconoscimento e della

protezione dei diritti dell‟uomo al di sopra dei singoli Stati. Diritti dell‟uomo, democrazia e pace sono tre

momenti necessari dello stesso movimento storico: senza diritti dell‟uomo riconosciuti e protetti non c‟è

25

universalità89

, dettata non dal “consenso di tutti nei loro confronti, bensì dalla loro titolarità,

cioè dal fatto che essi spettano a tutti - nel senso che si riferiscono al popolo nella totalità dei

suoi componenti ed esprimono perciò, in capo a ciascuno, un frammento di sovranità. E in

questo senso è democratica una costituzione: perché i suoi contenuti, cioè i diritti in essa

stabiliti, garantiscono tutti, e non già per la forma della sua produzione, cioè perché essa sia

(stata) voluta da tutti”90

. E’ la trasformazione dei valori supremi in principi e, dunque, il

passaggio dalla sfera dell’etica pubblica a quella del dover essere, che incide sull’aspetto

democratico di un ordinamento giuridico. Ogni carta costituzionale, tutelando i diritti

fondamentali della persona umana, contribuisce necessariamente a rendere democratiche le

istituzioni. La tutela di questi diritti avviene in chiave prestatale. Essi sono considerati come

diritti naturali della persona umana preesistenti, appunto, a qualunque ordine statale, e ciò fa

si che abbiano un valore erga omnes.

Anche la nostra Costituzione ha riconosciuto e garantito i diritti fondamentali

dell’uomo come diritti preesistenti ad ogni potere costituito, compreso il legislatore, sia

ordinario che costituzionale91

. I costituenti presero ad esempio le carte angloamericane

piuttosto che quelle europee, tanto che la Costituzione italiana rappresentò un’eccezione in tal

senso. Nelle carte anglo-americane della fine del secolo XVIII, la preesistenza dei diritti

fondamentali della persona, rispetto all’ordine statale, ha sempre costituito un elemento

caratterizzante delle stesse92

. In quelle europee, invece, la preesistenza a qualsivoglia potere

democrazia; senza democrazia non vi sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti [….]. La

democrazia è la società dei cittadini, e i sudditi diventano cittadini quando vengono loro riconosciuti alcuni

diritti fondamentali; e ci sarà pace stabile, una pace che non ha la guerra come alternativa, solo quando vi

saranno cittadini non più soltanto di questo o quello stato, ma del mondo”.

89 Ferrajoli sostiene che il termine fondamentale abbia il significato di universale. Tanto è vero che esclude dal

novero dei diritti fondamentali il diritto di proprietà che, a differenza dei diritti di libertà, non può essere esteso

ugualmente a tutti, e vi include invece i diritti sociali (avallando anche le decisioni della Corte costituzionale e

gli orientamenti della maggior parte della dottrina che si sono indirizzate verso la “fondamentalità” dei diritti

sociali).

90 L. Ferrajoli, Diritti fondamentali e democrazia costituzionale, in Analisi e diritto 2002-2003, a cura di P.

Comandarci e R. Guastini, pg. 342.

91 A. Baldassarre, Diritti inviolabili, in Enc. Giur. it, XI, Roma, 1989, pg. 1.

92 “Grazie ad una tradizione che affondava le sue radici storiche nei gradi movimenti politico-religiosi

dell‟Inghilterra del XVI-XVII secolo reinterpretata poi in chiave moderna dalla Rivoluzione americana”, A.

Baldassarre, Diritti inviolabili, in Enc. Giur. it,op. cit. pg. 1.

26

precostituito, sebbene affermata in teoria, nella pratica ha avuto sempre delle difficoltà ad

esprimersi nel diritto positivo, in quanto relativizzata rispetto a qualcosa di più elevato e di

realmente supremo. Un esempio per tutte può essere la Francia: qui il valore supremo era

rappresentato dalla volontà generale del popolo, “impersonata” dal legislatore sovrano; questi

aveva libero arbitrio riguardo ai diritti fondamentali, ne poteva disporre come meglio credeva

ed il loro godimento, da parte dei soggetti destinatari, ne dipendeva totalmente. Lo spirito dei

nostri padri costituenti fu invece così tanto vicino alle concezioni anglo-americane da ritenere

che “l‟inviolabilità assoluta e totale non è più un attributo delle supreme istituzioni

costituzionali e di chi ne impersona fisicamente la sovranità, cioè il monarca o finanche le

assemblee rappresentative, ma è invece un connotato indelebile dei diritti dell‟uomo, dei

valori personali e della dignità umana”93

. Certamente alcune differenze vi sono state.

Diversamente dalla cultura anglo-americana, che ha abbracciato quasi unanimamente la teoria

che faceva discendere i diritti fondamentali da una legge trascendente94

, quella italiana lo ha

fatto solo in casi isolati95

, preferendo posizioni giusnaturalistiche ovvero positivistiche96

.

Tutt’altra interpretazione è stata, invece, espressa da una diversa dottrina97

, la quale si è

chiesta se “la costruzione di tali diritti come innati e della libertà e dell‟uguaglianza come

prodotti di natura, non sia solo una finzione, una finzione irrinunciabile, ma in ogni caso una

costruzione intellettuale”. Esponente di spicco di questo orientamento è Massimo Luciani,

per il quale ogni libertà costituzionalmente prevista e tutelata è una libertà culturale, in quanto

non esiste una libertà naturale: “una libertà grazie alla cultura e mediante la cultura98

”. Tale

costruzione intellettuale sarebbe necessaria allo Stato per la tutela dei diritti fondamentali: “di

fatto lo Stato costituzionale deve elaborare la finzione secondo cui l‟uomo godrebbe della

propria libertà già prima dell‟esistenza dello Stato, perché altrimenti si correrebbe il rischio

che lo Stato possa disporre dei diritti fondamentali come fossero solo stati, mentre invece è la

93 A. Baldassarre Diritti inviolabili, in Enc. Giur. it, op.cit. pg. 1.

94 Teoria cui aderirono anche i pensatori politici dell’epoca, da Hooker a Locke.

95 F. Messineo, Fonte del potere costituente, in AA.VV., Costituzione e Costituente, Roma, 1946.

96 A. Baldassarre, Diritti inviolabili, in Enc. Giur. it, op.cit. pg. 1 e ss.

97 M. Luciani (a cura di), La democrazia alla fine del secolo: diritti, eguaglianza, nazione, Europa, Roma-Bari,

Laterza, 1994, pg. 110 e ss.

98 M. Luciani, op. cit. pg. 111.

27

cultura che, come una seconda nascita, fa dell‟uomo un essere umano”99

. Una

interpretazione, questa, che si distacca sia dalla dottrina che, sostanzialmente, si ispira ad una

visione giusnaturalistica dei diritti fondamentali, sia da quella che rinviene il fondamento di

questi diritti nelle teorie positivistiche, sia infine da quella parte della letteratura giuridica che,

sulla scia del neocostituzionalismo, si avvale della teoria dei valori per esaltare maggiormente

i principi costituzionali, positivizzazione di quegli stessi valori.

3. I diritti dello straniero nello Statuto Albertino e nel codice civile del 1865

Espressione del liberalismo italiano100

, lo Statuto Albertino del 1848, nonostante

avesse dei contenuti innovati rispetto alle Carte delle Restaurazione101

, ha rivestito comunque

il carattere di una Carta ottriata, la cui concessione da parte del Sovrano era la testimonianza

che questi rivestiva una posizione preminente e centrale a fronte del parziale e scarno

accoglimento delle istanze democratiche dello Stato. Ugo Allegretti descrive esaustivamente

come lo Statuto Albertino abbia preso ad esempio le costituzioni ottocentesche “meno

splendenti nelle affermazioni delle libertà fondamentali [e] non abbia ripreso il grande

modello delle costituzioni rivoluzionarie settecentesche ed abbia invece adottato in tema di

libertà un atteggiamento che, senza trascurarle o dimenticarle … riserva loro però una

posizione testuale e un tono pallido e dimesso”102

. Sempre Allegretti sostiene come lo Stato

liberale non abbia rappresentato uno Stato pienamente libero, in quanto, una volta

consolidato, ha rappresentato un ostacolo all’estensione del riconoscimento dei diritti civili e

di quelli politici alle classi subalterne, i cui componenti non erano “soggetti” di diritto ma

99 M. Luciani, op. cit. pg. 111.

100 Si ricorda come lo Stato liberale sia nato in Inghilterra a seguito delle due rivoluzioni contro la dinastia degli

Stuart; in America dopo la guerra di indipendenza dalla Gran Bretagna e con la Costituzione di Filadelfia del

1787; in Francia con la rivoluzione contro l’Ancien Régime; in Italia nasce come frutto di un compromesso e di

una rivoluzione dall’alto, realizzata grazie all’espansione progressiva rispettivamente dello Stato prussiano e del

Regno di Sardegna. Per una visione più ampia vedi Diritto pubblico comparato, Giuseppe Morbidelli, Lucio

Pegoraro, Antonio Reposo, Mauro Volpi, Giappichelli-Torino, 2007, pg 47.

101 Espressive dell’assolutismo regio e del rifiuto del riconoscimento dei diritti di libertà, in U. De Siervo - P.

Caretti, Istituzioni di diritto pubblico, Giappichelli editore, Torino, 2004, pg. 49.

102 U. Allegretti, Profilo di storia costituzionale italiana. Individualismo e assolutismo nello stato liberale,

Bologna, 1989.

28

venivano “assoggettati” al diritto. Ciò nonostante, lo Statuto Albertino ha comunque

rappresentato un elemento di novità soprattutto perché, seppur con estrema prudenza, ha dato

il via alla tutela di alcune libertà (spalmate su nove articoli in tutto) tra cui spiccava, accanto

allo storico diritto di proprietà, il principio di uguaglianza. L’articolo 24 recitava infatti che

“tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali davanti alla legge. Tutti

godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari,

salve le eccezioni determinate dalle leggi”. Il riferimento ai regnicoli non era invece presente

negli articoli successivi, né nell’art. 26 avente ad oggetto la libertà individuale (“la libertà

individuale è guarentita. Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi

previsti dalla legge, e nelle forme ch‟essa prescrive”), né nell’art. 27 inerente il domicilio (“il

domicilio è inviolabile. Niuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della legge, e

nelle forme ch‟essa prescrive”), e così fino all’articolo 32. Gli stranieri non erano neanche

menzionati. Che posizione occupavano dunque nello Statuto? Quali diritti costituzionali

potevano essere loro estesi? Il principio di uguaglianza, sebbene riferito in via esclusiva ai

soli regnicoli, poteva includere anche i non regnicoli? Così come oggi103

, anche nell’ottocento

ha dovuto sopperire “l’intervento” della dottrina, che si è spinta oltre il tenore letterale degli

articoli dello Statuto. La gran parte dei giuristi di quel periodo, a partire da Ranelletti sino a

Santi Romano, non avevano dubbi nel sostenere che le libertà civili dovevano essere garantite

a tutti gli individui, a prescindere da qualunque appartenenza allo Stato, in quanto intese quali

“facoltà dell‟individuo della piena disponibilità dell‟essere suo, in quelle direzioni, nelle quali

l‟attività tende agli scopi, che egli può avere come uomo, indipendentemente dalla qualità di

membro dello Stato”104

. Allo straniero dovevano esser negati solo i diritti politici105

. Diritti

politici che invece venivano garantiti, ad esempio, ai sensi dell’articolo 20 della Costituzione

sovietica del 10 luglio 1919, agli stranieri che si trovavano sul territorio russo per ragioni di

lavoro, a condizione però che questi facessero parte della classe lavoratrice o della classe dei

contadini che non sfruttava forza lavoro altrui106

.

103 L'articolo 3 della nostra Costituzione parla espressamente di uguaglianza tra “cittadini”, ma questo non

sembra essere sottoposto ad interpretazioni restrittive, come si vedrà nei paragrafi a seguire.

104 O. Ranelletti, La polizia di sicurezza, in Trattato Orlando, Vol. IV, P.I, Soc. ed. libraria Milano, 1904, pg.

999 .

105 Vedi Santi Romano, Il diritto pubblico italiano, Milano, 1988.

106 Il caso è citato da H. Kelsen, Vom Weswen und Wert der Demokratie (1929), Trad. It.. Essenza e valore della

29

In uno dei commenti più significativi allo Statuto Albertino, quello di Racioppi e

Brunelli107

, si legge che la Carta costituzionale “non limita la sua tutelatrice efficacia ai soli

cittadini del regno: se parla unicamente dei “regnicoli” egli è perché ciascuna costituzione,

quando si preoccupa di riassicurare gli individui relativamente ai loro diritti subiettivi,

sentesi tratta, naturalmente, a parlare ai propri sudditi; mentre poi nella sostanza lo Stato

moderno è così penetrato del sommo principio d‟uguale libertà per tutti, che riconosce la

personalità umana in ogni individuo, e ad ogni individuo, sia suddito e cittadino suo perpetuo

o temporaneo, concede e garantisce del pari l‟eguale protezione delle leggi. In questo senso,

ma in questo soltanto, i costituenti francesi avevano giusto motivo di parlare, nelle loro

Dichiarazioni, di “diritti dell‟uomo”.

Contemporaneo allo Statuto Albertino, anche il codice civile del 1865 si occupava dei

diritti del non cittadino. Le norme in esso contenute riconoscevano allo straniero residente gli

stessi diritti del suddito. Questi era soggetto a forme di sorveglianza come gli italiani, ai sensi

della legge sull’ordine pubblico del 1889108

. L’articolo 3 del codice del 1865 - “Lo straniero è

ammesso a godere dei diritti civili attribuiti ai cittadini”- ebbe la caratteristica di essere

autonomo, diverso e profondamente innovativo, con aspetti liberali e progressisti, rispetto al

corrispettivo articolo 11 del Code Civil francese, ispirato alla condizione di reciprocità di

trattamento109

, probabilmente in osservanza del ridimensionamento dei valori universalistici

promossi e sostenuti dalla Rivoluzione francese. I redattori del codice italiano, respingendo il

contenuto della codificazione napoleonica110

, e accogliendo, invece, le idee del giurista

democrazia, in I fondamenti della democrazia, Bologna, 1966, 22 e riportato in M. Cuniberti, Il problema della

qualificazione giuridica della cittadinanza, op. cit. pg. 4. Cuniberti sostiene che il riconoscimento dei diritti

come universali è la conseguenza di ogni movimento rivoluzionario portatore appunto di quei diritti. Così

avvenne nella rivoluzione russa e nella Costituzione che la seguì, ma anche nella Costituzione rivoluzionaria

francese del 1793 (dove la sovranità della nazione era la sovranità del popolo e la cittadinanza attiva veniva

riconosciuta a tutti i nati e domiciliati in Francia), che però non fu mai entrata in vigore cedendo il passo alla

successiva del 1795 che invece tornò a politiche più restrittive in tema di cittadinanza.

107 F. Racioppi – I. Brunelli, Commento allo statuto del Regno, con prefazione di Luigi Luzzatti, Vol. III, Utet,

Torino, 1909, pp. 39-40.

108 T.U.L.P.S. Regio Decreto n.6144 del 1889.

109 Articolo 11 del Codice Napoleonico così recitava: “ L‟ètranger jouira en France des memes droits civils que

sont ou seront accordès aux Français par les traitès de la nation à laquelle cet ètranger appartiendra”.

110 Con l’eliminazione della clausola di reciprocità, i codificatori cercavano di ottenere un flusso di capitali

30

ottocentesco Pasquale Stanislao Mancini, avevano evitato di includere la condizione di

reciprocità, con la speranza che quella norma potesse essere da esempio per gli altri Stati111

.

Si diceva che la norma fosse “il trionfo completo del principio giuridico, il quale

riconosce l‟uomo soggetto di diritti come uomo e non come cittadino, e insomma non fa

dipendere il godimento dei diritti civili dalla cittadinanza, ma dalla personalità giuridica che

riconosce in ogni uomo a qualunque nazionalità esso appartenga”112

. Fabio Toriello113

,

intervenendo con delle considerazioni in merito all’articolo 3 del codice civile del 1865,

sostiene che la formulazione di quella norma era stata in qualche modo facilitata in quanto “i

redattori del codice avevano [d‟altra parte] potuto contare su di una ricca tradizione

legislativa diffusa negli Stati preunitari proprio nel trattamento dello straniero”. In

particolare, l’autore si riferisce alle previsioni contenute nel Regno delle Due Sicilie e nel

Regno di Napoli, inerenti la condizione dello straniero e la possibilità, da parte dello stesso, di

godere di alcuni diritti. Rilevanti erano ad esempio, l’omnes peregrini, che aveva concesso

agli stranieri la piena facoltà di disporre per testamento, con l’affido ai vescovi di conservare i

beni degli stranieri defunti in attesa di consegnarli agli eredi richiamati, nonché

l’albinaggio114

e il diritto di incolato115

. La natura non chiara del diritto di soggiorno o diritto

di incolato, come diritto politico o diritto civile, aveva stimolato i vivaci dibattiti della dottrina

stranieri in Italia che fossero di sostegno e di aiuto alla industrializzazione e al decollo dell’economia della

penisola. Così C. Corsi, Lo Stato o lo straniero, Padova, Cedam, 2001 pg. 39 e Storti Storchi, Il ritorno alla

reciprocità di trattamento, in Cinquant‟anni del codice civile, Milano, 1993.

111 Gli effetti furono deludenti, perché gli altri Stati non seguirono le idee lanciate dall’Italia, tanto da preferire la

condizione di reciprocità al godimento tout court dei diritti civili da parte degli stranieri. Per approfondimenti

vedi Fedozzi, Il diritto internazionale privato. Teorie generali e diritto civile, pg. 27 e ss,; M. Scerni, Diritto

internazionale privato nella nuova codificazione, Milano, 1939, pg. 30.

112 B. Nascimbene, Lo Straniero nel diritto italiano, Milano, Giuffrè, 1998, pg. 11.

113 F. Toriello, La condizione dello straniero, Cedam, Padova, 1997, pg. 14 e ss.

114 Si ricorda come il diritto di albinaggio, di origine feudale, era un diritto in base al quale i beni dello straniero

non naturalizzato o che non avesse disposto mediante testamento, passavano in proprietà dello Stato in cui essi si

trovavano, con esclusione di ogni diritto degli eredi del defunto. L’albinaggio divenne appannaggio del sovrano,

che in seguito lo sostituì con un diritto di ritenzione parziale, ossia col diritto di incamerare una certa percentuale

del valore del patrimonio ereditario. L’istituto venne abolito in seguito al diffondersi delle istanze ideologiche

della Rivoluzione francese che esaltava la proprietà individuale come diritto naturale dell’uomo.

115 Vedi P. Fiore, Delle disposizioni generali. Sulla pubblicazione, applicazione ed interpretazione delle leggi,

Napoli, 1886.

31

dell’epoca, da cui fiorirono varie opinioni in merito. Da una parte si affermava che il diritto di

soggiorno aveva la caratteristica di un diritto politico, “derivante cioè dallo Stato pubblico”116

e, come tale, non in contrasto con il fondamento dell’articolo 3 del codice civile che tutelava

invece la condizione dello straniero rispetto ai diritti civili. Spiccava, dall’altra parte,

Ranelletti117

, il quale sosteneva che “nel nostro ordinamento, come del resto in tutti i paesi

liberi, allo straniero è riconosciuta la facoltà di entrare nel territorio dello Stato ed a lui,

come al cittadino, è riconosciuto ancora il diritto di portarsi e fissare la propria sede in quel

luogo, ove i suoi interessi lo possono chiamare”. Tale diritto non era però configurabile come

un diritto soggettivo, ma, proseguiva Ranelletti, come un interesse legittimo di incolato118

.

Ciò era giustificato dal fatto che l’autorità di polizia, ai sensi del T.U. 1889, aveva un potere

discrezionale in merito ai motivi per una eventuale espulsione o respingimento dello straniero

stesso: tale potere doveva escludersi se si fosse trattato di un vero e proprio diritto soggettivo.

Sostenitore, invece, della natura civilistica del diritto di incolato era Ferroni, il quale legava

quel diritto all’uomo in quanto tale e non al cittadino, definendolo come “rapporto che ne

deriva tra il voluntarius municipes e la città ospitale, ed è al tempo stesso la condizione

giuridica di cui egli gode in conseguenza del domicilio ivi eletto”119

.

Dalla lettura del codice e dalle considerazioni che sono emerse in dottrina, ne discende

che quella codificazione poteva e forse doveva essere un trionfo, visto che già aveva ben

avvertito l’esigenza di scollegare la cittadinanza dalla nazionalità, anticipando il problema che

ad oggi ancora non appare risolto, con opinioni sempre più discordanti in dottrina ed in

giurisprudenza, relativo al collegamento tra cittadinanza e fruibilità dei diritti, anche politici. I

relatori dell’articolo 3 del c.c. 1865 avevano scartato la cittadinanza come parametro di

riferimento per il godimento dei diritti civili, facendo perno invece sulla personalità giuridica

dell’individuo. Si erano, quindi, orientati sull’attitudine del soggetto ad essere titolare di

situazioni giuridiche piuttosto che sulla cittadinanza e sui suoi complicatissimi rapporti con

116 Straniero, voce in Dig. It. XXII, pt. 2°, Torino 1895, pg. 882 e ss, 888.

117 O. Ranelletti, La polizia di sicurezza, in Trattato Orlando, Vol. IV, P.I, Soc. ed. libraria Milano, 1904, pg 999

118 O. Ranelletti, op. cit. pg. 1006.

119 U. Ferroni, Incolato (diritto di), in Dig. It., XIII, I, Torino 1903, pg. 549. D’altra parte però il diritto di

incolato così come definito da Ferroni perde la sua connotazione con l’ammissione al godimento dei diritti civili

da parte di stranieri e forestieri ai sensi dell’articolo 3 codice civile 1865, riducendo lo ius incolatus “ a quel lato

del suo contenuto che più aveva rapporto con l‟azione dello stato: il risiedervi cioè liberamente, sottratti a

misure speciali di polizia”.

32

gli elementi fondamentali dello Stato quali la sovranità, il popolo ed il territorio.

Purtroppo, esigenze politiche ed economiche120

non hanno permesso che il principio

contenuto nell’articolo 3 c.c. 1865 avesse una portata universale, tanto che il codice del 1942

ripropose la condizione di reciprocità (art 16 disposizioni sulla legge generale) che è, ancora

ai giorni nostri, oggetto di ampie discussioni, come più innanzi si avrà modo di leggere. Le

ispirazioni liberali, solidaristiche e giusnaturalistiche, nonostante fossero avallate anche da

una giurisprudenza orientata in tal senso121

, dovettero quindi cedere il passo alle spinte

autoritaristiche e nazionalistiche che si facevano strada in quel periodo. Il legislatore non

poteva non risentirne, tanto che la sua preoccupazione fu soprattutto quella “di sostituire

all‟anteriore orientamento, ritenuto “eccessivamente liberale122

”, una più efficace e realistica

tutela dei diritti dei cittadini che si trovassero o si recassero in altri Stati”123

.

La condizione di reciprocità, del resto, era già presente in sede di Relazione al

Progetto definitivo del 1936 del nuovo codice civile, ma in una versione differente rispetto a

quella del successivo codice civile del 1942. Nel suo articolo 8, infatti, che sarebbe poi

diventato l'articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale, si affermava che “lo straniero

è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino, salvo le disposizioni contenute in

leggi speciali. La norma non si applica per quei diritti al godimento dei quali lo Stato

straniero non ammette il cittadino italiano”. La disposizione fu oggetto di una diversa lettura

interpretativa, da parte delle Commissioni da un lato, e dall'allora Guardasigilli Solmi,

dall’altro. Per le prime, la ratio dell’articolo 8 era sostanzialmente quella di uniformare la

120 L’Italia di questo periodo storico è un paese appena uscito dalla prima guerra mondiale: risente dei suoi effetti

disastrosi, fioriscono i nazionalismi, la depressione economica avanza. Sono tutti fattori questi che fanno fare

alla nostra nazione un brusco passo indietro che si concretizza nella eliminazione, dal codice del 1942, della

equiparazione tra cittadini e stranieri. Cui non può non aggiungersi la reintroduzione, nel T.U. del 1931, della

fattispecie penale dell’espulsione nonché le modifiche apportate in tema di cittadinanza (in particolare il decreto

1381/1938 - Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri - con cui veniva sancita la perdita della

cittadinanza italiana e della possibilità di risiedere in Italia e nelle sue colonie per tutti quegli ebrei che avevano

ottenuto la cittadinanza italiana dopo il 1919, ed il decreto 1728/1938 - Provvedimenti in difesa della razza

ariana - con cui vennero privati gli ebrei della loro proprietà, ma soprattutto venne vietato al cittadino italiano di

razza ariana di contrarre matrimonio con ebrei e con abitanti delle colonie.

121 Cass. Milano, 30 aprile 1862, in La legge, Rep. Gen. 1861-1864, 249.

122 Così si era espresso il guardasigilli nella sua relazione (n. 7) in G. D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione

italiana: asilo, condizione giuridica, estradizione, Padova, Cedam, 1992 pg. 377.

123 G. D’Orazio, op. cit. pg. 377.

33

condizione giuridica del cittadino con quella dello straniero, cioè lo straniero doveva godere

degli stessi diritti e nella stessa misura dell'italiano all'estero. Diverso sembra essere stato,

invece, il parere di Solmi. Questi sosteneva che non vi era una equiparazione tra cittadino e

straniero, ma semplicemente un mero principio di non discriminazione tra gli stessi, facendo

leva, per sostenere detta tesi, sul fatto che esistono civiltà inferiori a quella italiana in cui il

cittadino sarebbe assolutamente pregiudicato nel godimento dei diritti124

. Il rischio che si

correva optando per questa interpretazione era non di poco valore: allo straniero non venivano

riconosciuti quei diritti che non esistevano nel suo ordinamento. Nella riformulazione

dell’articolo che divenne poi l’articolo 16 delle preleggi si tenne conto di questo, tanto che lo

straniero è ammesso a godere dei diritti civili italiani se anche l’italiano è ammesso a godere

dei diritti civili stranieri. L’introduzione della condizione di reciprocità vanificò l’intento

universalistico dei codificatori del 1865, la cui previsione di una equiparazione tra cittadini e

stranieri in sede di diritti civili rappresentava “una scelta di straordinaria modernità,

realmente - senza retorica - priva di precedenti nella storia dell‟umanità”125

.

4. I diritti dello straniero nella Costituzione italiana

4.1. L‟articolo 10 della Costituzione: l‟unica norma costituzionale che disciplina la

condizione giuridica dello straniero

Il possesso della cittadinanza rappresenta, ancora oggi, il lasciapassare per il

124 “Nel definire poi il trattamento da fare agli stranieri nei casi concreti, ho considerato poco conveniente

subordinare l‟applicazione del principio generale alla condizione di reciprocità, e, cioè, alla equiparazione

dell‟italiano al proprio cittadino da parte dello Stato straniero. Tale equiparazione, infatti, soltanto nei paesi di

civiltà pari alla nostra è sufficiente a porre l‟italiano nella condizione giuridica che questi ha in Italia. In paesi

di civiltà inferiore o diversa l‟equiparazione può, invece, dar luogo ad un peggioramento, nonostante il quale la

reciprocità sussisterebbe e in Italia il cittadino di quel paese dovrebbe godere di un trattamento pari a quello

dell‟italiano. Ciò non mi è sembrato conveniente. Ho, pertanto, stabilito che lo straniero debba subire in Italia

quelle limitazioni alle quali l‟italiano è assoggettato all‟estero, anche se le stesse limitazioni lo Stato straniero

stabilisce per il proprio cittadino. Il diritto dal cui godimento lo Stato straniero esclude il cittadino italiano sul

proprio territorio, sarà, quindi, negato in Italia al cittadino di quello Stato”. In F. Toriello, op. cit. pg. 147 e ss.

125 Così G. F. Ferrari, Relazione conclusiva, al Convegno dell’Associazione Italiana Costituzionalisti, “Lo statuto

costituzionale del non cittadino”, Cagliari, 16 ottobre 2009.

34

riconoscimento di posizioni giuridiche attive oltre che passive. Lo straniero che non gode

dello staus civitatis, non è titolare di quelle situazioni giuridiche che ad esso fanno capo.

Potrebbe essere ragionevole, a tal proposito, sostenere la tesi sulla cittadinanza

avanzata da Kelsen126

, perché di fatto si andrebbe ad agire proprio sull’assenza dello status

civitatis, che tanto diventa limitante nei riguardi dei non cittadini. Definendo la cittadinanza

come una situazione di soggezione alle leggi, l’esistenza dello Stato dipenderebbe

dall’esistenza degli individui e non dei cittadini. Come sostenuto da autorevole dottrina127

,

infatti, il problema che oggi si pone è quello di una ridefinizione del concetto di cittadinanza a

fronte della crisi dello Stato nazionale, il quale ha in se una doppia contraddizione: quella di

possedere, da un lato, una Costituzione avente carattere nazionale - espressione di una

determinata cultura e di un dato momento storico – e, dall’altro, una Costituzione ispirata a

principi universalistici, con efficacia erga omnes. Detta contraddizione permane nel nostro

Paese, nonostante la Costituzione italiana sia espressione di una evoluzione rispetto allo

Statuto del 1848. Se si mette a confronto lo Statuto dell’epoca liberale e la Carta del 1948,

non si possono non notare i mutamenti di quest’ultima, soprattutto in termini di libertà:

afferma e sostiene quelle negative, ma, in particolare, fa emergere quelle positive, sia

individualistiche sia collettive, che in epoca passata erano state assolutamente ignorate. Le

libertà nello Stato e non più solamente dallo Stato fanno da supporto alla nascita dello Stato

sociale. Il principio di uguaglianza sostanziale, contenuto nell’articolo 3, secondo comma,

della Cost. it., costituisce la base per la tutela di quei diritti sociali che faticosamente, negli

anni, si sono eretti a diritti fondamentali. Quegli stessi diritti sociali che erano incomprensibili

entro le categorie giuridiche e politiche alle origini dello Stato moderno - liberale , e che

invece hanno costituito e costituiscono l’essenza del modello di democrazia accolto dalla

nostra Carta costituzionale.

Ciò nonostante, lo spettro di quella dicotomia – cittadinanza e fruizione dei diritti –

non sembra che ci abbia abbandonati. Si è vero, molti dei diritti, tranne (in parte) quelli

politici, contenuti in Costituzione sono elargiti anche agli stranieri, ma la strada da percorrere,

come si vedrà scorrendo la lettura del presente testo, è lunga e faticosa.

Come tutte le Carte costituzionali del dopoguerra, anche quella italiana si è orientata a

costituzionalizzare prevalentemente i diritti dei cittadini, lasciando un posto assolutamente

126

H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, Ed. it. a cura di G. Treves, Milano 1952.

127 M. Cuniberti, Il problema della qualificazione giuridica della cittadinanza, op. cit., pg. 3.

35

residuale alle previsioni e alle tutele dei non cittadini. Del resto, non era certo da biasimare

l’operato dei costituenti, tanto più che l’Italia è sempre stata una terra di emigrazione,

scoprendo l’immigrazione solo alla fine degli anni Settanta. Per cui le “attenzioni” erano

rivolte, eventualmente, ai cittadini italiani all’estero piuttosto che ai cittadini stranieri in Italia.

La condizione di reciprocità del codice civile ne è la prova tangibile, così come lo sono anche

le altre disposizioni che l’hanno preceduta, interessate al fenomeno migratorio esclusivamente

sotto l’aspetto dell’emigrazione. Numerosi furono gli interventi in tal senso, dapprima con

leggi generali rientranti nel diritto comune, quali ad esempio la Legge per l‟unificazione

amministrativa del Regno d‟Italia128

, in cui veniva tutelata la libertà di espatrio nell’ambito

della disciplina delle c.d. agenzie di emigrazione129

, per poi passare a leggi più specifiche,

come la legge Crispi130

, in cui si statuiva la libertà dell’emigrazione, salvo gli obblighi

imposti ai cittadini dalle leggi, fino alla Legge sull‟emigrazione131

ed al suo regolamento di

esecuzione132

, in cui si confermava non solo la libertà di emigrazione della legge Crispi ma si

forniva la definizione di migrante, con le sue diverse tipologie133

. Seguirono svariate leggi134

128 Nella parte contenente Disposizioni di Pubblica Sicurezza. Legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato B.

129 E. Furno, Emigrazione II) Diritto pubblico, in Enc. Giur. It. Roma, 1989, pg. 1 e ss.

130 Legge 30 dicembre 1888, n. 5866, “Legge portante disposizioni sulla emigrazione”.

131 Legge 31 gennaio 1901 n. 23.

132 Contenuto nel r.d. 10 luglio 1901, n. 375 (Regio decreto che manda in vigore la legge n. 23 del 31 gennaio

1901 sull‟emigrazione ed approva il relativo regolamento).

133 Veniva definito migrante transoceanico colui che, viaggiando in terza classe, si recava fuori dal Mar

Mediterraneo. Questa figura si distingueva in emigrante spontaneo, cioè colui che partiva senza vincoli o

promesse, e a proprie spese; emigrante con viaggio gratuito o sussidiato; emigrante favorito, a cui venivano

anticipate le spese di nolo con l’obbligo di restituzione nel Paese di destinazione; emigrante arruolato, cioè

colui che partiva con contratto di lavoro scritto o verbale o con l’affidamento che il contratto di lavoro verrà

stipulato nel Paese di destinazione. Per approfondimenti, vedi T. Perassi, I lineamenti del diritto italiano

dell‟emigrazione, Napoli, 1921, ripubblicato in Scritti giuridici, I, Milano, 1959, pg. 171 e ss.

134 R. d. n. 556 del 16 maggio 1912 (Regolamento per la Gestione amministrativa e contabile del fondo per

l‟emigrazione); legge n. 1075 del 2 agosto del 1913 (Provvedimenti per la tutela giuridica degli emigranti),

modificata dalla legge n. 173 del 24 gennaio 1915, dal decreto legge luogotenenziale n. 1379 del 29 agosto 1918

(Attribuzione agli ispettori dell‟emigrazione di tutte le controversie contemplate dalla legge 2 agosto 1913 n.

1075 per la tutela giuridica degli emigranti), dal r.d. n. 1643 del 28 agosto 1919 (Regolamento per la tutela

giuridica degli emigranti); r.d n. 635 del 2 maggio 1915 (espatrio per ragioni di lavoro); decreto legge

luogotenenziale n. 1093 del 18 maggio 1919 (Disposizioni per la uscita dal regno dei cittadini che si

considerano o si presumono emigranti); regio decreto legge n. 2205 del 13 novembre 1919 (Approvazione del

36

prima della consacrazione della libertà di emigrazione nella nostra Carta costituzionale135

, che

la riconosce nel comma terzo dell’articolo 35136

e nel secondo comma dell’articolo 16137

.

Con riguardo al fenomeno migratorio considerato, invece, dal punto di vista

dell’immigrazione, uno dei principi fondamentali che emerge e riveste un ruolo predominante

non solo in Costituzione, ma anche nell’esegesi delle altre fonti del diritto, è rappresentato

dall’articolo 10 secondo comma: “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla

legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”.Analizzando i lavori preparatori

dell’Assemblea costituente ad esso relativi, si riescono a comprendere le motivazioni che

hanno spinto i componenti dell'Assemblea a redigerlo con quelle particolari caratteristiche. I

suoi relatori furono La Pira e Basso, che presentarono il testo dapprima in seno alla prima

Sottocommissione nella seduta del 2 ottobre 1946138

, e poi nella Commissione dei 75 in

testo unico di legge sull‟emigrazione e a tutela giuridica dell‟emigrante) convertito in legge n. 473 del 17 aprile

1925 (Conversione in legge, con approvazione complessiva, di decreti luogotenenziali e regi aventi per oggetto

argomenti diversi, emanati sino al 23 maggio 1924) e suo regolamento di attuazione n. 375 del 10 luglio 1921;

regio decreto legge n. 628 del 28 aprile 1927 (Soppressione del Commissariato generale per l‟emigrazione ed

istituzione presso il ministero sugli affari esteri di una direzione generale degli italiani all‟estero) convertito in

legge n. 1873 del 6 gennaio 1928; regio decreto legge n. 2146 del 23 ottobre 1927 (Soppressione del consiglio

superiore dell‟emigrazione e del relativo comitato permanente); r.d. n. 358 del 11 febbraio 1929 (Abolizione

delle giurisdizioni speciali previste dalla legge sull‟emigrazione); r.d. n. 1278 del 24 luglio 1930 (Adozione di

nuove norme penali in materia di emigrazione); regio decreto legge n. 306 del 5 gennaio 1939 (Istituzione e

funzionamento di una commissione permanente per il rimpatrio degli italiani all‟estero) convertito il legge n.

965 del 15 maggio 1939 (Conversione in legge, con modificazioni, del regio decreto legge 5 gennaio 1939 n.

306, riguardante l‟istituzione di una commissione permanente per il rimpatrio degli italiani all‟estero); r.d. n.

1157 del 12 luglio 1940 (Modificazioni della denominazione e dell‟ordinamento degli ispettorati ed uffici

dell‟emigrazione nel regno).

135 Preceduta da due decreti: uno ministeriale del 20 dicembre 1946, che sostituiva la Direzione generale degli

italiani all’estero con una Direzione generale dell’emigrazione e delle relazioni culturali per la stipula di accordi

internazionali e la vigilanza sui servizi a tutela dell’emigrante, e uno legislativo (del Capo Provvisorio dello

Stato) n. 201 del 23 agosto 1946 recante “Norme per la concessione di un sussidio straordinario a favore dei

lavoratori italiani arruolati per prestare la loro opera all‟estero”.

136 [La repubblica] “Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell‟interesse

generale, e tutela il lavoro italiano all‟estero”.

137 “Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge”

138 In La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell‟Assemblea costituente, VI, 478.

37

seduta plenaria del 24 gennaio 1947139

, per essere adottato in via definitiva dall’Assemblea

costituente nella seduta antimeridiana dell’11 aprile 1947140

. Dalla lettura degli atti

dell’assemblea, si nota che l’approvazione dell’articolo non fu accompagnata da dibattiti e

discussioni approfondite, come invece avvenne riguardo l’ultimo comma relativo al diritto di

asilo. Vi è, senza dubbio, un parallelismo tra la carenza di attenzione relativa alla condizione

dello straniero ed il contesto storico in cui venivano svolti i lavori della Costituente. L’Italia

era appena uscita dal secondo conflitto mondiale ed era impegnata nella “ricostruzione” di

tutto quel sistema di diritti che la transizione fascista aveva spazzato, e pertanto anche

l’Assemblea, che di fatto era investita di tale compito, si sentiva più interessata alla tutela del

cittadino e dei suoi diritti, anche all’estero, piuttosto che allo straniero eventualmente presente

sul territorio nazionale. Lo scarso interesse nell’adozione del testo fu tale che, la prima

Sottocommissione, non prese neanche in considerazione la proposta avanzata dai relatori di

inserire una disposizione che riassumesse l’elenco dei diritti garantiti a chi non fosse cittadino

italiano. Tra tali diritti vi rientrava, ad esempio, la libertà personale, il diritto di difesa, il

riconoscimento della capacità giuridica ad ogni uomo. Come si vedrà nel corso del lavoro,

dottrina e giurisprudenza hanno adattato parte di quei diritti allo straniero, interpretando

estensivamente i contenuti dei principi fondamentali inseriti nella prima parte della nostra

Carta costituzionale. La mancata previsione di questo disposto normativo viene giustificata,

da parte della dottrina141

, come probabile e plausibile preoccupazione, avvertita da qualche

costituente, che dal tenore letterale delle norme costituzionali non fosse possibile dedurre con

certezza la reale portata soggettiva di molti diritti fondamentali.

Le discussioni dell’Assemblea in merito all’articolo che qui ci interessa sono state

poche e di scarso rilievo, soprattutto se messe a confronto, come già detto, con quelle

riguardanti il suo ultimo comma relativo al diritto di asilo; però, secondo autorevole dottrina,

dalle stesse possono emergere alcune considerazioni interessanti142

. Una prima riguarda la

dialettica tra le posizioni di Tieri e quelle di Leone, Della Seta e Moro, in ordine

139 In La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell‟Assemblea costituente, VI, 169-172.

140 In La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell‟Assemblea costituente, I, 801.

141 E. Grosso, Straniero (status costituzionale dello), in Dig. disc. pubbl., 1957, pg. 162.

142 A. Cassese, artt. 10-12, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Zanichelli, Bologna-Roma,

1975, pg. 508.

38

all’estensione dei diritti costituzionali agli stranieri. Tieri, nella seduta del 26 marzo 1947143

,

avanzava delle perplessità sull’ampiezza dei diritti attribuiti ai non cittadini, poiché, a suo

avviso, veniva loro riconosciuta una sorta di condizione di privilegio. Questa tesi venne

interpretata dai membri dell’Assemblea, Leone e Della Seta, nella seduta del 27 e 28 marzo

1947144

, come espressione di una volontà di mantenere la condizione di reciprocità contenuta

nel codice civile, che fino ad allora aveva regolamentato la condizione dello straniero.

Pertanto entrambi si dichiarano contrari. In particolare, Della Seta sostenne che avrebbe

dovuto predominare in questa materia un “criterio etico più alto che non sia quello della

reciprocità145

”. Moro, che aveva elaborato il progetto, osservò, riferendosi all’intervento di

Della Seta, che “era precisamente questo il senso della disposizione146

. Dopo di che nessuna

altra notazione venne avanzata da parte dei membri dell’Assemblea, tanto che si discute,

ancora oggi, sia sulla possibilità di estendere alcuni diritti costituzionali ai non cittadini, sia se

la condizione di reciprocità abbia ancora senso di esistere a fronte dell’articolo 10, II comma,

Cost. it. L’altro elemento che la stessa dottrina147

ha rilevato come significativo, è il

riferimento al diritto internazionale sia particolare che generale, nonostante l’emendamento

contrario presentato da Patricolo, il quale aveva rilevato che era già stato inserito nel

“progetto di costituzione un principio per cui l‟ordinamento giuridico italiano si conforma

alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Non vedo quindi, perché, in

questa precisa materia, si debba sottolineare che tale condizione giuridica è subordinata alle

norme di diritto internazionale. Noi dobbiamo riferirci al diritto italiano e, d‟altronde, la

nostra legge si adatterà sempre alle norme internazionali. Trovo pertanto, superflua

l‟affermazione contenuta in questa seconda parte”148

. La differenza che intercorre, anche

nelle modalità di recepimento nell'ordinamento giuridico, tra le norme internazionali

generalmente riconosciute, le cd. consuetudini internazionali di cui al primo comma

dell'articolo 10 Cost. it., e le norme che discendono dai trattati e dagli accordi internazionali,

143 In La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell‟Assemblea costituente, I, 668.

144 In La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell‟Assemblea costituente, I, 700 .

145 Seduta del 28 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell‟Assemblea

costituente, I, 733.

146 Seduta del 28 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell‟Assemblea

costituente, I, 733.

147 A. Cassese, artt. 10-12, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, op., cit., pg. 509.

148 Seduta del 11 aprile 1947, in Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori, I, 797.

39

cui fa riferimento specificatamente il secondo comma dell’articolo 10 Cost. it., giustifica

ampiamente la scelta dei costituenti di voler mantenere il riferimento a queste ultime,

nonostante il parere discordante su riportato.

La poca attenzione ai dibattiti relativi alla disciplina giuridica dell’immigrazione non

fu, del resto, un’anomalia solo italiana, tanto che non furono così accesi neanche in Francia e

in Germania, a dimostrazione del fatto che, anche lì. la condizione dello straniero era

sostanzialmente sottovalutata o comunque di poco rilievo. E questo fattore costituisce qui più

che in Italia una sorta di aggravante, se si considera che, ad esempio, la Francia è una terra di

immigrazione da oltre due secoli e mezzo. Già nel 1973 Saint-Just sosteneva, nell’Essai de

Constitution che “il popolo francese si dichiara amico di tutti i popoli; offre asilo nei suoi

porti a tutti i vascelli del mondo. Gli stranieri e i loro usi saranno rispettati nel suo seno. I

francesi dimorano in un paese di stranieri. I cittadini devono essere amici ospitali e

fratelli”149

. Con riguardo alle legislazioni francesi in materia di stranieri, in particolare quelle

relative alle naturalizzazioni, in cui lo jus soli prevale sullo ius sanguinis, si nota come esse

siano l’espressione di una Francia che, fedele ai principi repubblicani, si è ispirata ai valori di

civile convivenza facendo dell’individuo un attore preminente nell’ordinamento giuridico

statale. Ma, si badi bene, a livello costituzionale, in Francia la tutela dello straniero è indiretta,

tanto che rientra nel novero delle tutele e garanzie universali, estese a tutti gli individui.

Tornando alla nostra Costituzione, l’articolo 10, II comma, stabilisce una duplice

garanzia nella disciplina della condizione dello straniero, attraverso una riserva di legge

rinforzata. Spetta infatti alla legge ordinaria150

regolare la condizione giuridica dello straniero,

sottostando sia alle disposizioni costituzionali che riconoscono allo straniero, in modo

implicito o esplicito, determinate situazioni giuridiche, sia, in virtù della riserva di legge

rinforzata, alle norme e ai trattati internazionali, nonché alle norme internazionali

generalmente riconosciute di cui al primo comma dell’articolo 10 Cost. it. che

“contribuiscono così a definire alcuni standards comuni di trattamento garantiti dalla

149 Saint-Just, L.A.L., Oeuvre complètes, Paris, Champ libre Editio Gerard Lebovici, 1984, pg 20.

150 Parte della dottrina vede in questa norma non un obbligo di legiferare a carico del legislatore, ma

eventualmente un invito a regolare tale materia (C. Lavagna, Basi per uno studio delle figure soggettive

contenute nella Costituzione italiana, in Studi Cagliari, 1953, pg. 28); contra vi è V. Crisafulli, Libertà

personale, Costituzione e passaporti, in Arch. Pen. 1955 II, pg. 51 e ss, il quale ritiene vi sia invece un obbligo

inderogabile a legiferare.

40

comunità degli Stati”151

. Secondo il diritto internazionale, lo Stato è libero di darsi una

disciplina che regoli l’ammissione dello straniero nel suo territorio, esprimendo la propria

sovranità nella definizione del sistema dei visti e dei controlli alle frontiere; ed è altrettanto

libero nel regime delle espulsioni, salvo il rispetto del principio di non refoulement ai sensi

della Convenzione di Ginevra152

. Tale libertà presenta però dei limiti riguardo ad alcune

norme internazionali quali ad esempio, quelle attinenti alle garanzie giurisdizionali, ai diritti

fondamentali, al riconoscimento della capacità giuridica e di agire dello straniero, cui il

legislatore nazionale è costituzionalmente obbligato a conformarvisi153

.

Come sostenuto da autorevole dottrina154

, sono due le considerazioni che possono far

comprendere la ratio della riserva di legge. Innanzitutto, la disciplina della condizione

giuridica dello straniero venne affidata al Parlamento al fine di attuare il disegno dei

costituenti che volevano sottrarre tale materia alle norme di rango secondario della pubblica

amministrazione, in particolare quelle del periodo fascista, improntate tutte al sospetto dello

straniero e spesso foriere di trattamenti illiberali. In secondo luogo, la previsione della riserva

di legge rinforzata era necessaria affinché “nel trattamento degli stranieri, l‟Italia si

adeguasse al comportamento prevalente nella vita di relazioni internazionali”155

. La riserva

di cui all’articolo 10, II comma, Cost. it., peraltro, non sembra essere una riserva assoluta ma

relativa perché esso (articolo) “non dice che non si possa regolare la condizione dello

straniero se non attraverso lo strumento della legge. Non lo dice neppure nel campo dei diritti

fondamentali, che la Costituzione garantisce al cittadino. Essa (tale norma) dice soltanto che,

nel campo in cui le norme costituzionale pongono garanzie di cui non determinano la sfera

dei destinatari, queste si estendono agli stranieri solo se la legge formale non dispone

151 G. D’Orazio, Straniero (condizione giuridica dello), in Enc. Giur. XXX, Roma, 1993, pg. 1, nonché in G.

D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana, Padova, 1992, pg. 132 e ss.

152 G. Kojanec, Emigrazione 1) diritto internazionale, , in Enc. Giur., 1993, pg. 1.

153 Vedi sentenza Corte costituzionale n. 120 del 1967, che fa rientrare, nel novero delle norme internazionali da

“rispettare”, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 e la dichiarazione universale ONU del 1948.

Per approfondimenti sul rapporto tra norme internazionali prima e dopo la Costituzione italiana vedi G. Dorazio,

Straniero (condizione dello) in Enc. Giur. op., cit., G. D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana: asilo,

condizione giuridica, estradizione, Padova, Cedam, 1992, E. Grosso, Voce Straniero (status costituzionale dello)

in Dig.discip.pubb.1957.

154 A. Cassese, artt. 10-12, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, op., cit., pg. 508.

155 A. Cassese, op. cit. pg. 510.

41

altrimenti”156

. Sempre a sostegno della riserva come relativa, si sostiene che spetti alla legge

ordinaria dare una disciplina di principio, lasciando poi quella di dettaglio a fonti inferiori, di

natura sublegislativa157

. La relatività della riserva di legge sembra poi rispecchiare la storia

della disciplina giuridica dell’immigrazione nel nostro paese. Questa è testimone di come tale

materia sia stata per anni “regolamentata” con atti formalmente privi di contenuto normativo

esterno, come ad esempio le numerosissime circolari del Ministero dell’Interno e del

Ministero del Lavoro. Il che non è contra Costituzione purché, si badi bene, le norme di rango

inferiore che vanno ad agire sulla condizione dello straniero siano meramente esplicative o

esecutive di norme legislative, pena la loro illegittimità costituzionale158

.

Rispetto alla natura giuridica della legge che regola la condizione dello straniero, la

dottrina159

pensa si tratti di una fonte atipica in senso stretto, formalmente uguale ad ogni altra

legge ordinaria, ma vincolata, dal punto di vista costituzionale, ad un determinato contenuto

normativo; per cui, se da un lato quella legge ha una capacità innovativa minore rispetto alle

altre leggi, dall’altro ha una resistenza passiva maggiore, in quanto potrà essere modificata o

sostituita solamente da leggi che siano anche esse conformi alle norme internazionali160

. La

giurisprudenza161

, dal canto suo, è intervenuta affermando che non esiste una presunzione di

legittimità costituzionale delle leggi di esecuzione dei trattati, ma è necessario, anche in

questo caso, la verifica della conformità di dette fonti ai principi costituzionali. Sulla natura di

fonte atipica delle norme che danno esecuzione ai trattati internazionali non sembra invece

concordare Cassese162

quando, confutando la tesi di altra parte della dottrina163

, sostiene che

156 G. Biscottini, I diritti fondamentali dello straniero, in Studi in onore di Biondo Biondi, III, Giuffrè, Milano,

1965, pg. 1.

157 R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, in Commentario alla Costituzione, Utet giuridica, 2008, pg. 252.

158A. Cassese, op. cit. pg. 510/511.

159 V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, Cedam, Padova, 1993, pg. 209 e ss.

160 Così in Cian Trabucchi, Commentario breve alla Costituzione, 2008, pg. 85.

161 Sentenza Corte Costituzionale n. 54 del 1979.

162 A. Cassese, artt. 10-12, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, op., cit., pg. 515 e ss.

163 In particolare La Pergola, Costituzione e adattamento nell‟ordinamento interno al diritto internazionale,

Giuffrè, Milano, 1961, pg. 325 e ss, quando afferma che le norme esecutive dei trattati che regolano la

condizione dello straniero “risultano sottratte, in forza dell‟esplicito disposto dell‟art. in esame 2° comma, alla

possibilità di abrogazioni e modifiche ad opera di leggi ordinarie, che non siano, a loro volta, emanate in

adempimento di accordi internazionali, successivi ed incompatibili con le convenzioni già rese esecutive

42

le norme di cui si sta trattando hanno la stessa resistenza all’abrogazione di qualunque altra

legge ordinaria, distinguendosi da queste solamente per la tutela costituzionale di cui sono

dotate.

4.2. Articolo 10 della Costituzione e articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale:

un confronto

L’analisi dell’articolo 10, II comma, della Costituzione italiana assume un ruolo

fondamentale in merito alla vexata quaestio inerente il superamento o meno della condizione

di reciprocità di cui all’articolo 16 disp. prel. cod. civ., secondo cui “lo straniero è ammesso a

godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità”164

.

La Carta costituzionale del 1948 ha posto, infatti, il problema della compatibilità

ovvero della sopravvivenza della condizione di reciprocità, a fronte di tutta una serie di

garanzie e di diritti che la stessa Costituzione estende agli stranieri in quanto esseri umani e

non in quanto cittadini di uno Stato. Dottrina e giurisprudenza, a tal riguardo, si sono mosse

negli anni esprimendosi per una ridefinizione della portata dell’articolo 16 delle preleggi non

solo in riferimento ai principi costituzionali, ma anche in osservanza della legge di riforma del

sistema italiano di diritto internazionale privato165

, il cui articolo 73 ha abrogato solamente gli

articoli dal 17 al 31 delle preleggi, senza “toccare” l'articolo 16 delle stesse166

.

La tesi dell’esclusione della reciprocità ad opera dell’articolo 10 Cost. it. è sostenuta,

nell‟ordinamento interno”.

164 Si fa presente che, in questa sede, si analizzerà l’art. 16 delle preleggi solo in rapporto all’articolo 10 Cost. it.

Per un disamina sulla condizione di reciprocità vedi G. Alpa, V. Mariconda, Codice civile commentato, Ipsoa,

Milano, 2009, pg. 168 e ss, nonché F. Toriello, La condizione dello straniero, op., cit., pg. 137 e ss, che offre una

lettura approfondita dell’articolo 16 disp. prel. cod. civ., attraverso lo studio del termine godimento, erede della

jouissance francese, inteso come capacità giuridica piuttosto che come capacità di agire, soffermandosi sulla

differenza tra godimento dei diritti (agli stranieri) e attribuzione dei diritti (agli italiani), approfondendo le

diverse nozioni di reciprocità (da mera non-discriminazione come aveva sostenuto il Guardasigilli a godimento

degli stessi diritti e nella stessa misura come invece avevano sostenuto le Commissioni), sino all’analisi della

compatibilità della condizione di reciprocità con il disposto costituzionale.

165 Legge 31 maggio 1995 n. 218.

166 Da notare come la mancata abrogazione dell’articolo 16 da parte della riforma porta a pensare, in dottrina, che

l’articolo in questione non sia una norma di diritto internazionale privato, bensì di diritto interno

43

ad esempio, da Cassese167

, il quale la giustifica soprattutto alla luce dei lavori della

costituente. Gli interventi di Della Seta e Moro furono proprio indirizzati contro il

mantenimento della condizione di reciprocità, che non poteva del resto sussistere in un

contesto quale era quello dell’epoca post fascista, dove prevalevano le tendenze

personalistiche dei cattolici, quelle internazionalistiche dei socialisti, nonché quelle posizioni

comuni a tutte le forze politiche di allora, che “avevano amaramente sofferto della condizione

di straniero, e perciò tendevano naturalmente a considerare gli stranieri in Italia in maniera

più aperta e comprensiva”168

. In più, continua Cassese, lo spirito della Costituzione

repubblicana, orientato al superamento della concezione dell’individuo come estrinsecazione

della sovranità statale e diretto invece all’affermazione dell’individuo come persona umana169

,

non poteva sopportare una visione per cui lo straniero non è considerato in sè, come persona,

ma è legato ad un elemento che non lo riguarda in alcun modo, ovvero alla comunità statale

di appartenenza170

. Si è recentemente espresso in tal senso anche il Presidente emerito della

167 A. Cassese, artt. 10-12, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, op. cit., pg. 512 e ss.; ma

anche Barile, Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Padova, 1953, Diritti dell‟uomo e libertà

fondamentali, Bologna, 1984; G. D’Orazio, Straniero (condizione giuridica dello), Enc. Giur, op. cit., pg., 4 che

però non parla di esplicita abrogazione, ma di ridotta sfera di efficacia della condizione di reciprocità.

168 Così A. Cassese op. cit., pg. 513.

169 La prova è costituita dagli articoli 2 e 3 della Costituzione. In particolare sul principio di uguaglianza, dottrina

e giurisprudenza (vedi sentenze Corte Costituzionale n. 120 del 1967, n. 104 del 1969, 144 del 1970) si sono

orientate nel senso dell’applicazione del principio anche agli stranieri, pur tenendo presenti le diversità tra gli

individui, quando queste sono ragionevolmente giustificate ed obiettivamente fondate.

170 Il pensiero di Cassese è stato invece inquadrato, da altra parte della dottrina, nello specifico Cuniberti, Il

problema della qualificazione giuridica della cittadinanza, op. cit. pg. 195, nota 109, nella tesi intermedia (che

sta tra l’abolizione ed il mantenimento della condizione di reciprocità) secondo cui “la condizione di reciprocità

non varrebbe più come principio generale ma potrebbe essere prevista in leggi particolari…..”. In realtà non

sembra possa accettarsi una interpretazione del genere, quando lo stesso Cassese sostiene rigorosamente che

l’articolo 10 della Costituzione italiana sopprime la condizione di reciprocità. A meno che le leggi particolari di

cui Cuniberti parla non siano quelle clausole che, inserite nei trattati internazionali, si fondano sul principio della

reciprocità, “quando i cittadini della controparte vogliono godere in Italia di determinati diritti civili in certe

materie. In tali casi la differenziazione che viene a crearsi tra gli stranieri in generale e i cittadini di un certo

Stato estero appare dunque ragionevolmente giustificata dalle particolari circostanze (economiche,

commerciali, politiche, ecc) che hanno indotto i nostri organi a stipulare quello specifico trattato e darvi un

certo contenuto”. (Così in A. Cassese, artt. 10-12, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione,

op.cit., pg. 514).

44

Corte costituzionale, Valerio Onida, il quale sostiene l'inadeguatezza della condizione di

reciprocità. Tale principio, infatti, porterebbe a considerare l’individuo solamente come un

riflesso del “suo” Stato171

: la spersonalizzazione del soggetto mal si concilierebbe con le

dichiarazioni universali dell'uomo che hanno invece, come elemento portante, proprio quella

persona umana, a prescindere da qualunque forma di appartenenza statale. Tuttavia, sostiene

sempre Onida, occorre tener presente, a tal proposito, due cose. In primis, il legislatore del

1995172

, non avendo abrogato l'articolo 16 con la legge di riforma del sistema italiano di

diritto internazionale privato, ha avvertito la necessità che questo restasse in vigore. In

secondo luogo, l'articolo 2 del testo unico immigrazione, se al suo primo comma riconosce, in

capo allo straniero, “i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto

interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale

generalmente riconosciuti”, al suo secondo comma afferma che “lo straniero regolarmente

soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino

italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l'Italia e il presente testo unico

dispongano diversamente. Nei casi in cui il presente testo unico o le convenzioni

internazionali prevedano la condizione di reciprocità, essa è accertata secondo i criteri e le

modalità previste dal regolamento di attuazione”. La conseguenza di tutto ciò, secondo

Onida, è che la condizione di reciprocità non appare come un guscio vuoto, ma continua ad

essere un punto di riferimento della legislazione inerente la condizione giuridica dello

straniero. E con questo occorre fare i conti!

La considerazione che la clausola di cui all’articolo 16 delle preleggi non sia stata

inserita in Costituzione, e quindi rifiutata, porta altra parte della letteratura, nello specifico

Paolo Barile, a sostenere una sua abrogazione tacita; tanto più che non lo convince quella tesi

per cui la reciprocità “sarebbe valida nei limiti di cui all‟articolo 10 II comma, in quanto la

clausola stessa costituisce di per sé qualcosa di diverso (e di opposto: la riserva di legge è

per costituzione rinforzata dal vincolo del diritto internazionale) rispetto all‟art. 10, che non

menziona affatto un diritto di ritorsione spettante allo Stato contro Stati esteri: anche i lavori

preparatori della costituente suffragano tale tesi”173

. Fautore, invece, della tesi elaborata nel

171 V. Onida, Relazione introduttiva al Convegno dell'Associazione italiana dei Costituzionalisti, Cagliari, 16/17

ottobre 2009, pg. 8.

172 Legge 31 maggio 1995 n. 218 cit.

173 P. Barile, Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, op. cit. pg. 32.

45

senso di una maggiore chiusura verso lo straniero, che opta per il mantenimento della

condizione di reciprocità, è stato, ad esempio, Temistocle Martines, il quale ne ha riconosciuto

la legittimità oltre che l'efficacia, ma senza dare motivazioni o precisazioni in tal senso174

. Di

non diverso avviso sembra essere Paolo Stancati175

, il quale si avvale di due osservazioni per

giustificare la sua non propensione per l’abrogazione tacita della condizione di reciprocità ad

opera dell'articolo 10 della Costituzione italiana. Innanzitutto, l'autore sostiene che la

copertura Costituzionale dello straniero, per ciò che attiene a quell'insieme di principi che si

possono ricondurre al nucleo essenziale, consente il loro esercizio, da parte dello straniero

stesso, a prescindere dal fatto che il cittadino italiano all'estero non goda dello stesso

trattamento. E questo non per opera dell'articolo 10 Cost. it., ma piuttosto alla stregua del

portato precettivo dell'articolo 2 della Costituzione e delle norme concernenti le singole

libertà inviolabili176

. L'esistenza di una norma come quella dell'articolo 2, comma 1 e 2, del

testo unico immigrazione avallerebbe la tesi di cui sopra. Del resto, anche alcuni orientamenti

giurisprudenziali177

sembrano portare ad una identica soluzione, quando sostengono che la

condizione di reciprocità non si applica qualora ci si trovi di fronte a diritti di rango

costituzionale. Pure Massimo Luciani178

pare sia dello stesso avviso, quando asserisce che la

clausola de qua non godrebbe di operatività qualora ci si riferisca a diritti inviolabili. In

secondo luogo, Stancati affronta tale problematica non in riferimento al nucleo essenziale dei

diritti fondamentali, ma a quelle facoltà che fanno capo al singolo diritto e che sono

assoggettabili alla condizione di reciprocità: i c.d. “frammenti di garanzia”. Sostiene

insomma che la clausola di reciprocità è ancora valevole per quel contenuto minimo di

garanzia “disponibile”, che sarà più o meno ampio a seconda sia della libertà presa in

considerazione, sia della tutela che la Costituzione predispone nei suoi riguardi179

. Ancora dei

174 T. Martines, Diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 1994, pg. 176; contro l’abrogazione vedi anche A. Pace,

Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 1990, 145 e ss, ma anche A. Pace, Problematica delle libertà

costituzionali. Parte generale. Introduzione allo studio dei diritti costituzionali, Cedam, Padova, 2003.

175 P. Stancati, Relazione al Convegno dell'Associazione italiana dei Costituzionalisti - Lo Statuto costituzionale

del non cittadino: le libertà civili, Cagliari, 16/17 ottobre 2009.

176 P. Stancati, op. cit. pg. 25.

177 Corte di Cassazione, sez. un. civ. 4 marzo 1988 n. 2265 .

178 M. Luciani, Cittadini e stranieri come titolari dei diritti fondamentali – L‟esperienza italiana, in Riv. crit. dir.

priv., 1992, pg. 213 e ss..

179 Per maggior chiarezza vedi P. Stancati, Relazione al Convegno dell'Associazione italiana dei Costituzionalisti

46

cenni ad altra autorevole dottrina180

, la quale, invece, sostiene che la capacità in capo allo

straniero di godere dei diritti costituzionali sia il derivato dell'operatività della clausola di

reciprocità. L'autore articola sostanzialmente il suo pensiero in tre punti fondamentali.

Dapprima asserisce che la nostra Carta costituzionale deve tutelare innanzitutto i cittadini

italiani all'estero, mediante la clausola di reciprocità, la cui validità verrebbe messa in

discussione qualora ai cittadini stranieri spettassero automaticamente i diritti costituzionali.

Poi si sofferma sul riferimento alle norme internazionali sia pattizie che generalmente

riconosciute contenuto nell’articolo 10 Cost. it.: tali disposizioni coprirebbero integralmente

la condizione giuridica della straniero senza che questi abbia bisogno di altrettanta copertura

costituzionale. Ciò nonostante, e questo è il terzo punto, lo Stato italiano può avvalersi della

legge ordinaria per estendere alcuni dei diritti spettanti ai cittadini anche agli stranieri, con la

specifica che qualora si tratti di diritti civili, l'estensione può essere anche tacita, mentre deve

essere esplicita quando il diritto di cui si parla fa parte di quei diritti che “costano”, ovvero

diritti sociali e politici181

. Da ultimo, Bruno Nascimbene sembra credere, per una serie di

ragioni, nella compatibilità tra il disposto della Carta repubblicana e l’articolo 16 delle

preleggi182

. La conciliabilità tra i due dettati normativi sarebbe possibile in quanto non vi è

alcuna norma costituzionale che vieta discriminazioni verso lo straniero fondate sulla

condizione di reciprocità; inoltre, la reciprocità non è un caso isolato, solamente italiano, visto

che è inserita e dunque prevista in svariate convenzioni internazionali, ratificate anche dal

nostro Paese; infine, la clausola de qua non andrebbe comunque ad “intaccare” i diritti

inviolabili sanciti della Costituzione, ma solo i rapporti privati, cui la condizione

- Lo Statuto costituzionale del non cittadino: le libertà civili, op. cit. pg. 25.

180 A. Pace, Libertà e diritti di libertà, Studi in onore di Pierfrancesco Grossi, in

www.associazionedeicostituzionalisti.it, La libertà di riunione nella Costituzione italiana, Giuffrè, Milano, 1967,

pg. 35 e ss, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, I ed. 1984, III ed., Cedam, Padova 2003,

315 e ss.

181 Come riporta lo stesso Pace, anche L. Paladin, Diritto Cosituzionale, II ed., Cedam, Padova, 1995, 360 e ss,

sebbene favorevole alla estensione dei diritti di libertà civile ai non cittadini, sosteneva che il “principio dello

standard minimo di protezione, da assicurare comunque agli stranieri ed agli apolidi, con particolare riguardo

alle libertà fondamentali, toglie pratico rilievo al quesito se per i non cittadini possa farsi diretta applicazione

delle norme costituzionali concernenti i singoli diritti inviolabili, ovvero si debba riferirsi ai patti vincolanti

l'Italia”.

182 B. Nascimbene, Lo straniero nel diritto italiano, Milano, Giuffrè, 1988, pg. 15 e ss.

47

specificatamente si riferisce.

Non poteva non intervenire sulla questione la giurisprudenza. Lo ha fatto nel 1993183

,

sostenendo che la condizione di reciprocità “non è derogata dagli articoli 2, 3, 10, 24 della

Costituzione perché: 1) l‟art. 2 si riferisce solo ai diritti inviolabili specificatamente

individuati e riconosciuti dai successivi artt. 13 (diritto di libertà), 14 (inviolabilità di

domicilio), 15 (libertà e segretezza della corrispondenza), 19 (libertà di religione), 21 (libertà

di manifestazione del pensiero), 27 (personalità della responsabilità penale), 24 (tutela

giurisdizionale), i quali sono, quindi, i soli diritti riconosciuti allo straniero senza il limite

della condizione di reciprocità; 2) l‟art. 3 non esclude i trattamenti differenziati che

rispondono ad un criterio di ragionevolezza (quale è quello riservato agli stranieri dal citato

art. 16 delle disposizioni sulla legge in generale); 3) l‟art. 10 impone solo l‟adeguamento

delle norme sulla condizione giuridica dello straniero alle norme e ai trattati internazionali,

implicitamente legittimando quelle limitazioni che non contrastano con altre norme

costituzionali o con i principi e gli atti di diritto internazionale; 4) l‟art. 24 si riferisce solo

alla tutela giurisdizionale dei diritti già posseduti e riconosciuti”. La Corte così “tiene in

piedi” la condizione di reciprocità, la quale, essendo una disposizione di rango legislativo,

sarà derogabile solo da fonti di rango superiore, quali sono quelle costituzionali e quelle di

natura internazionale, sia di natura consuetudinaria che pattizia, così come dovrà soccombere

al diritto comunitario nel caso di divergenza tra le stesse.

Le ipotesi su brevemente riportate sono solamente alcune tra le tante avanzate da

dottrina e giurisprudenza184

, ma testimoniano sufficientemente come vi siano divergenze che

non sono solo interpretative. La problematica sulla effettività della reciprocità, infatti, ha delle

ripercussioni concrete sulla vita del non cittadino e sulla jouissance dei diritti civili, a seconda

che prevalga, in un dato cotesto storico, la tesi più aperta o più chiusa. Tanto che la condizione

giuridica dello straniero si barcamena, da anni, tra orientamenti più o meno restrittivi, senza

aver trovato ancora una “stabilità normativa” che favorisca un univoco e rigoroso trattamento

del non cittadino in tema di spettanza di diritti.

183 Corte di Cassazione sentenza n. 1681 del 1993.

184 Anche il legislatore si è mosso negli anni per sostenere una riforma della condizione di reciprocità. Vedi ad

esempio il disegno di legge n. 2871 - legislatura 13° - comunicato alla Presidenza il 5 novembre 1997 , in

www.senatodellaRepubblica.it, il cui spirito è nel senso di “una abrogazione di tale norma, preferendosi ad altre

soluzioni quella più radicale e più aderente allo spirito della Costituzione”.

48

4.3. Gli effetti della riforma dell'articolo 117 della Costituzione sulla condizione giuridica

dello straniero

L'analisi dell'articolo 10, II comma, Cost. it., impone anche una sua lettura in

combinato disposto con il novellato articolo 117 della Cost. it., in quanto ne rafforza la portata

relativamente alla vincolatività delle norme internazionali.

La riforma del titolo V della Costituzione185

, infatti, ha in qualche modo rivoluzionato

l'articolo 117 Cost. it., attraverso l'introduzione, al suo primo comma, del riferimento agli

obblighi internazionali cui deve sottostare la potestà legislativa statale oltre che regionale186

.

Ne discende che il diritto internazionale, sia esso pattizio che consuetudinario187

, assume oggi

un ruolo preminente188

anche nella disciplina giuridica dell'immigrazione, rispetto al periodo

185 Legge costituzionale n. 3/2001 recante “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”.

186 Articolo 117 primo comma “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della

Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

187 A tal proposito B. Caravita, Prime osservazioni di contenuto e di metodo sulla riforma del titolo V della

Costituzione, in Osservatorio sul Federalismo, pg. 10, sostiene che gli “obblighi internazionali che vanno

rispettati dal legislatore italiano non sono dunque tutti i disposti di derivazione internazionale, comunque

formati e definiti, bensì solo quelli che entrano nell'ordinamento italiano -che rimane dualista- con forza di

legge o superiore alla legge: e, dunque, le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, introdotte

dall'adattatore automatico di cui all'articolo 10 Cost., e le norme di derivazione pattizia introdotte sulla base di

legge di ratifica, ex art. 80 Cost., e sulla base di ordine di esecuzione dato con legge (ordine di esecuzione la cui

necessità non pare superata dalla formulazione dell'art. 117, comma 1, cosicché il nostro ordinamento

sembrerebbe ancora di tipo dualista”.

188 Ruolo che ormai è pacificamente riconosciuto dalle sentenze della Corte Costituzionale nn. 348 e 349 del

2007, e delle numerose note a sentenza che le hanno seguite, in cui si sono affrontati, per la prima volta, proprio

quei rapporti tra potestà legislativa nazionale e obblighi internazionali. Le norme internazionali, nel sistema delle

fonti, assumono il rango di fonte interposta rispetto alla legislazione, con la conseguenza, vantaggiosa, di

resistere ad una eventuale abrogazione ad opera delle leggi ordinarie. Per approfondimenti vedi T.F. Giupponi,

Corte costituzionale e “controlimiti allargati”: che tutto cambi perché tutto rimanga uguale?, in Forum

quaderni costituzionali; C. Panzera, Il bello dell'essere diversi. Corte Costituzionale e corti europee a confronto,

in Forum quaderni costituzionali; S. Penasa, Tanto rumore per nulla o meglio tardi che mai? Ancora sulle

sentenze 348-349/2007 della Corte Costituzionale tra dubbi ermeneutici e possibili applicazioni future, in

Forum quaderni costituzionali; ancora A Ruggeri, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva

formale-astratta e prospettiva assiologico-sostanziale d'inquadramento sistematico, in Forum quaderni

49

anteriore alla riforma del 2001, quando l'unico “aggancio costituzionale” alle norme

internazionali era rappresentato dal secondo comma dell'articolo 10 Cost. it. Ma anche il

successivo comma, alle lettere a) e b), parlando di politica estera e rapporti internazionali

dello Stato, di rapporti dello Stato con l'Unione europea, di diritto di asilo e condizione dei

cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea e di immigrazione, altro non fa che

avvalorare, testualmente, il rapporto tra gli articoli 10 e 117 Cost. it.189

.

Il novellato articolo 117 Cost. it. sembra rappresentare, poi, un significativo elemento

di apertura alle tendenze universalistiche di origine internazionale e comunitaria. Sempre

secondo Stancati, infatti, questo articolo “forza (senza tuttavia scardinare) quel presupposto

normativo che in Costituzione s‟incentra sulla dicotomia tutti/cittadino (o, altrimenti detto,

uomo/cittadino), nel senso che rappresenta una valida base formale al fine di consentire e

legittimare una lettura che ben si potrebbe definire [ …. ] di tipo ampliativo, la quale non

sarebbe stato possibile esperire, […..] anteriormente alla apparizione della disposizione (cioè

in vigenza del solo art. 10, co. 2)190

. Sostanzialmente, l’articolo 117 Cost. it. permette che le

norme relative alla condizione giuridica dello straniero abbiano come parametro di

riferimento quei principi di provenienza internazionale ispirati non al cittadino, ma alla

persona umana tout court, altresì comprensiva dello straniero. Anche il secondo comma

dell’articolo 117 Cost. it. è di fondamentale importanza, per il rapporto che intercorre tra le

competenze dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali a fronte della disciplina del

fenomeno migratorio, nello spirito di quel processo di riforma del sistema delle autonomie

territoriali avviato con le leggi Bassanini e culminato poi nella legge costituzionale n. 3/2001.

Innanzitutto, occorre segnalare come il termine immigrazione venga per la prima volta

costituzionali.

189 Paolo Stancati, Relazione al Convegno dell'Associazione italiana dei Costituzionalisti - Lo Statuto

costituzionale del non cittadino: le libertà civili, op. cit., pg 7 afferma, a questo proposito, che non è ostativo

all'analogia tra il disposto di cui all'articolo 10 Cost. it. e quello di cui all'articolo 117 Cost. it. il fatto che in uno

si parli di straniero e nell'altro di cittadino di Stato non appartenente all'Unione Europea: “tale ultima locuzione

infatti vale soltanto a sottointendere la necessità di distinguere coloro che nel lessico del diritto comunitario

vengono definiti cittadini di paesi terzi dai cittadini di uno stato membro dell'Unione. La ratio della (solo

apparente) difformità è, dunque, quella di adeguare il disposto costituzionale in parola al processo di

integrazione europea ed, in particolare, di sancire il formale (ancorché indiretto) accoglimento, a livello

costituzionale, di quel punto d'arrivo rappresentato dalla cittadinanza dell'Unione”.

190 P. Stancati, op. cit. pg. 7 e ss.

50

inserito in Costituzione proprio in questo novellato articolo, seguendo le tendenze di altri

paesi europei, in particolare ci si riferisce alle Carte costituzionali di Spagna (articolo 149, n.

2 ), Germania (articolo 73, n. 3) e Austria (articolo 10, n. 3) . Nel mutato regime di riparto di

competenze, invertito, come è ben noto, rispetto al vecchio 117 Cost. it.191

, l’immigrazione

rientra nel novero delle materie di competenza esclusiva statale, per cui spetta unicamente allo

Stato la legislazione avente ad oggetto i processi migratori, nello specifico la

regolamentazione dei flussi. Le Regioni hanno invece una competenza concorrente ovvero

esclusiva, in materie quali il governo del territorio, la programmazione sociale, l’istruzione, la

sanità, la sicurezza del lavoro. Ciò significa che in questi ambiti di intervento le Regioni

saranno le destinatarie, inevitabilmente, di quegli aspetti del fenomeno migratorio ad essi

relativi. A tali enti spetta la “gestione” dell’immigrazione nella realtà quotidiana,

barcamenandosi tra bisogni concreti, scarse risorse economiche e normative peraltro non

chiare. In altre parole, se fanno capo al governo statale le politiche dell’immigrazione, titolari

delle politiche per gli immigrati saranno invece le Regioni, attraverso forme di sostenimento

del welfare locale anche per i non cittadini192

. Vi è da osservare che, nonostante in

Costituzione sia indicata una competenza esclusiva dello Stato nella materia

dell’immigrazione, dottrina193

e giurisprudenza194

hanno sostenuto e sostengono

argomentazioni per le quali detta esclusività non presenterebbe aspetti di rigorosa rigidità.

Invero, alla luce anche del principio di sussidiarietà, l’attività legislativa delle Regioni in

materia di immigrazione195

non contrasterebbe con la riserva di legge statale, qualora fosse

191 Il riparto delle funzioni legislative ha trasformato in negativo quell’elenco delle materie di competenza

legislativa regionale che prima era in positivo.

192 Per approfondimenti sulla differenza tra politiche dell’immigrazione e politiche per l’immigrazione, vedi T.

Caponio, Governo locale e immigrazione in Italia. Tra servizi di welfare e politiche di sviluppo, in Le istituzioni

del federalismo, 2004, pg. 805 e ss.

193 A. Ruggeri - C. Salazar, “Ombre e nebbie nel riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di

emigrazione/immigrazione dopo la riforma del Titolo V, in M. Revenga Sanchez (a cura di), I problemi

costituzionali dell‟immigrazione in Italia e Spagna, Valencia, Tirant lo blanch, 2005, pg. 64.

194 Vedi le motivazioni della Corte Costituzionale nelle sentenze n. 300 del 22/07/2005 e n. 156 del 14/04/2006,

in merito alla impugnazione governativa delle leggi regionali, rispettivamente, n. 5/2004 dell’Emilia Romagna e

n. 5/2005 del Friuli Venezia Giulia.

195 Tra le varie leggi regionali si ricordano la l.r. Lazio, n. 1072008, recante “Disposizioni per la promozione e

la tutela dell‟esercizio dei diritti civili e sociali e la piena uguaglianza dei cittadini stranieri immigrati”; l.r.

51

inerente a materie di pertinenza regionale, sia in via concorrente196

che residuale197

.

Chiaramente l’attività legislativa delle Regioni andrà ad occuparsi di tutti quegli aspetti che

fanno capo a politiche di partecipazione e integrazione sociale, senza intaccare la disciplina

dell’ingresso e del soggiorno la cui competenza, si ripete, rientra nel novero della esclusività

statale. Ciò è stato asserito sia in una sentenza della Consulta del 2006198

, in cui si legge che

“l‟intervento pubblico in materia di immigrazione non può limitarsi all‟ingresso e al

soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, ma deve necessariamente considerare altri

ambiti - dall‟assistenza sociale all‟istruzione, dalla salute all‟abitazione, che coinvolgono

competenze normative alcune attribuite allo Stato, altre alle Regioni”, che in un’altra recente

sentenza, la n. 50/2008199

, in cui si ribadisce la competenza esclusiva statale in materia di

Emilia Romagna n. 5/2004 recante “Norme per l‟integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati.

Modifiche alle leggi regionali 21 febbraio 1990, n. 14 e 12 marzo 2003, n. 2”.

196 Ad esempio istruzione o sanità ai sensi del 117, comma 3, Cost. it.

197 Ad esempio assistenza sociale ai sensi del 117, comma 4, Cost. it.

198 Corte Costituzionale, sentenza n. 156/2006. Il presidente del Consiglio dei Ministri sollevava, in via

principale, questione di legittimità costituzionale degli articoli 16, comma 3, e 21, comma 1, lettera f), della

legge Regione Friuli -Venezia Giulia del 4 marzo 2005 n. 5 (“Norme per l‟accoglienza e l‟integrazione sociale

delle cittadine e dei cittadini immigrati”), per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettere a) e b), della

Costituzione. Le norme impugnate prevedono rispettivamente interventi per minori non accompagnati dopo il

raggiungimento della maggiore età e svolgimento di compiti istruttori da parte degli enti locali nell’ambito dei

procedimenti per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno e delle carte di soggiorno, nonché di richiesta

di nulla osta al ricongiungimento. La Corte non ha ritenuto fondate le questioni di legittimità, in quanto la

norma di cui all’articolo 16 va interpretata “nel senso che essa si limita a precedere l‟esercizio di attività di

assistenza rientranti nelle competenze regionali,m senza incidere in alcun modo sulla competenza esclusiva

dello Stato in materia di immigrazione”, mentre la norma di cui all’articolo 21, comma 1, lettera f) “lungi dal

regolare aspetti propriamente incidenti sulla materia dell‟immigrazione, si limita a prevedere in favore degli

stranieri presenti sul territorio regionale una forma di assistenza che si sostanzia nel mero affidamento agli enti

locali di quegli adempimenti che, nell‟ambito dei procedimento di richiesta e rinnovo di permesso di soggiorno

e di carta di soggiorno, ovvero di richiesta di nulla osta al ricongiungimento familiare, diversamente sarebbero

stati svolti direttamente dagli stessi richiedenti”. Per un commento a questa sentenza, vedi Davide Strazzari,

L‟immigrazione tra Stato e Regioni”, su Forum dei quaderni costituzionali, 10/06/2006.

199 A seguito di ricorsi presentati dalla Regione Veneto e Milano, la Corte costituzionale ha dovuto pronunciarsi

sulla legittimità costituzionale di finanziamenti vincolati in materie incidenti su competenze regionali, istituiti

con legge finanziaria n. 296/2006. Per ciò che attiene la parte della sentenza che interessa la tematica di cui

trattasi, si rileva che la Corte ha dichiarato incostituzionale l’istituzione del Fondo per l’inclusione sociale degli

52

“programmazione di flussi di ingresso ovvero al soggiorno degli stranieri nel territorio

nazionale”, e non anche per ciò che attiene i provvedimenti inerenti i servizi sociali e

l’istruzione, che competono invece alla Regione200

.

Anteriormente alla riforma del Titolo V, la legge statale sull’immigrazione201

veniva

considerata come una legge quadro o legge cornice, in quanto con essa si definivano istituti

quali, ad esempio, l’ingresso, il soggiorno, le espulsioni dello straniero, mentre si lasciavano

alle Regioni forme di intervento nelle materie di propria competenza, trasversali a quelle che

immigrati presso il Ministero della solidarietà sociale, ai sensi dell’articolo 1, comma 1267, finanziaria 2007,

finalizzato alla realizzazione di un piano per l’accoglienza degli alunni stranieri. Secondo la Corte, il legislatore

nazionale ha sostanzialmente perseguito “finalità di politica sociale, prevedendo uno stanziamento di risorse

finanziarie al fine di assicurare l‟adozione delle suddette misure di assistenza”, invadendo, in tal modo, le

competenze regionali. Infatti la legge impugnata, sempre secondo la Consulta, non si è limitata a prevedere un

intervento pubblico comunque ricollegato alla previsione dei flussi di ingresso o relativi al soggiorno dello

straniero, materie di esclusiva competenza statale, ma si è andata ad inserire in quelle materie, quali i servizi

sociali e l’istruzione, la cui competenza è riservata alla Regione, non solo a livello costituzionale, ma anche a

livello legislativo nazionale (nello specifico, all’articolo 42 del testo unico sull’immigrazione). Pertanto,

conclude la Corte Costituzionale, il finanziamento del Fondo è ritenuto in contrasto con gli artt. 117 e 119 della

Costituzione.

200 Vi è da ricordare come la giurisprudenza costituzionale si sia mossa, negli anni, nella considerazione di una

più netta divisione di ambiti di competenze di Stato e Regioni. Si prenda ad esempio la sentenza n. 300/2005.

Qui la Corte aveva già preso delle posizioni abbastanza chiare in merito al coordinamento tra Stato e Regioni

nella materia dell’immigrazione. Se è vero che l’immigrazione e la condizione giuridica dello straniero rientrano

nel novero delle materie la cui competenza è esclusivamente statale, è pur vero, sostiene il giudice delle leggi,

che è lo Stato stesso a prevedere “che una serie di attività pertinenti la disciplina del fenomeno migratorio e

degli effetti sociali di quest‟ultimo vengano esercitate dallo Stato in stretto coordinamento con le Regioni, ed

affida alcune competenze direttamente a queste ultime; ciò secondo criteri che tengono ragionevolmente conto

del fatto che l‟intervento pubblico non si limita al doveroso controllo dell‟ingresso e del soggiorno degli

stranieri sul territorio nazionale, ma riguarda necessariamente altri ambiti, dall‟assistenza all‟istruzione, dalla

salute all‟abitazione, materie che intersecano ex Costituzione, competenze dello Stato con altre regionali,

informa esclusiva o concorrente”. La sentenza n. 50/2008 ha fatto di più, come detto. Ha definito quale è

l’intervento statale e quali sono i suoi limiti rispetto alle competenze regionali.

201 Il testo unico immigrazione 286/1998 e successive modifiche. Si ricorda come anche la legge n328/2000,

recante “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, abbia delineato

interventi di natura sociale mirati alla creazione di una struttura che, attraverso i piani di zona e i piani regionali,

favorisse e garantisse servizi alle persone, tra cui anche gli immigrati. Per approfondimenti sul tema, vedi C.

Gori, La riforma dei servizi sociali in Italia, Carocci, Roma, 2004.

53

la Costituzione e la legge nazionale indicavano come propriamente riservate alla legislazione

dello Stato202

. Il fondo nazionale per le politiche migratorie sovvenzionava gli interventi

regionali in materia, come per esempio quelli scolastici e di formazione professionale, ovvero

quelli inerenti alle problematiche abitative. Con la riforma del 2001, solo apparentemente il

nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni sembra negare a queste ultime ogni spettanza

in materia di immigrazione. Infatti, le considerazioni su riportate, insieme al disposto di cui

all’articolo 118 Cost. it., avvalorano l’idea di come sia invece possibile che la Regione si

occupi di tale disciplina. Ciò che differenzia l’attività legislativa statale da quella regionale è

solamente l’ambito di intervento, l’una agisce nelle politiche di immigrazione, l’altra nelle

politiche per l’immigrazione. Del resto l’articolo 118 Cost. it. è chiaro in questo senso. Al suo

terzo comma richiama, infatti, le forme di coordinamento tra Stato e Regioni nelle materie di

cui alla lettera b) e h) del secondo comma dell’articolo 117 Cost. it., che sono proprio quelle

inerenti immigrazione, ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa

locale. Le due materie peraltro non sembra siano poi così scollegate, dal momento che il

fenomeno migratorio, oggi più che mai, è valutato sotto l’aspetto, quasi esclusivo si può

affermare, della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza interna, tralasciando, come gli

episodi di cronaca purtroppo ci ricordano, i suoi aspetti umanitari e solidaristici.

Espressioni di quella forma di coordinamento prevista dall’articolo 118 Cost. it. sono

sia il coinvolgimento degli enti substatali nella definizione delle politiche di immigrazione,

come la programmazione dei flussi di ingresso, le procedure di accesso ai titoli di soggiorno,

il contrasto all’immigrazione clandestina, sia la partecipazione dello Stato alle politiche per

l’immigrazione, sostenendo, ovvero finanziando (a livello di integrazione), il Fondo sanitario

nazionale per l’assistenza sanitaria ai soggetti stranieri presenti sul territorio italiano (anche se

irregolari o clandestini)203

. Di diversa natura sono, invece, gli interventi finalizzati alla

integrazione e alla tutela dell’esercizio dei diritti civili e sociali degli stranieri, la cui

202 Ci si riferisce al testo unico immigrazione - Art. 1 Ambito di applicazione (Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 1):

“1. Il presente testo unico, in attuazione dell‟articolo 10, co. 2, della Costituzione, si applica, salvo che sia

diversamente disposto, ai cittadini di Stati non appartenenti all‟Unione europea e agli apolidi, di seguito

indicati come stranieri.2. […]3. […]4. Nelle materie di competenza legislativa delle Regioni, le disposizioni del

presente testo unico costituiscono principi fondamentali ai sensi dell‟articolo 117 della Costituzione. Per le

materie di competenza delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome, esse hanno il valore di norme

fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.[…]”.

203 Articolo 33 legge 6 marzo n. 40 del 1988, oggi articolo 35 testo unico immigrazione n. 286/98.

54

competenza spetta in modo esclusivo alla Regione. A sostegno di queste politiche sono

intervenute alcune leggi regionali, tra cui quelle della Toscana e delle Marche204

, nei confronti

delle quali, peraltro, sono stati opposti ricorsi dinanzi la Corte Costituzionale da parte

dall’attuale Governo, per far dichiarare la loro illegittimità costituzionale sul presupposto che

tali leggi sono in contrasto “con uno dei principi fondamentali stabiliti in materia della legge

dello Stato, ovvero l‟illegittimità del soggiorno degli immigrato irregolari. La norma

regionale incide sulla disciplina dell‟ingresso e del soggiorno degli immigrati, riservata allo

Stato (“diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti

all‟Unione Europea”) e in sostanza dispone - attraverso regimi in deroga non previsti dalla

normativa statale, casi diversi ed ulteriori di non operatività della regola generale: la

condizione di illegalità dell‟immigrato irregolare”205

. In attesa della decisione della Suprema

Corte, si può solamente sperare che questa tenga in considerazione lo spirito delle leggi

regionali improntato alla accoglienza, alla assistenza e alla protezione sociale dell’immigrato,

il quale, ancor prima di essere considerato per la sua condizione giuridica, deve essere pensato

come persona umana, portatrice di bisogni che prescindono dalla sua regolarità sul territorio

nazionale. Non si vuole, con questo, mettere in discussione il fatto che lo straniero debba

avere un titolo di soggiorno che lo legittimi alla permanenza nel nostro paese. Ma sembra

doveroso mettere in evidenza come spesso ci si celi dietro questioni terminologiche come il

titolo di soggiorno e la regolarizzazione, rischiando di perdere il contatto con la realtà che ci

testimonia, continuamente, come i milioni di persone che fanno ingresso irregolare in Italia

sono persone bisognose di assistenza, e non solo sanitaria. Oggi più che mai, dunque, la

differenza tra immigrato regolare e irregolare costituisce “una delle più eloquenti

rappresentazioni di quanto una qualificazione normativa può incidere sulle opportunità di

vita di un essere umano uguale ad un altro essere umano”206

. Rifiutare, pertanto, politiche di

accoglienza e di protezione, anche locale, significherebbe non solo perdere di vista l’essere

uomo in quanto tale, ma vorrebbe dire violare tutte le disposizioni a sua tutela, a patire dalla

Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo sino alla nostra Costituzione.

204 Rispettivamente n. 29/2009 e n. 13/2009, le quali prevedono che anche i cittadini extracomunitari non titolari

di un titolo di soggiorno e in attesa di regolarizzazione, hanno diritto all’assistenza sociale.

205 In Rapporto 2009 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, allegato alla nota di sentesi: analisi

di 16 politiche pubbliche tra Stato, autonomie e Unione europea, Roma, 2009, pg. 43.

206 S. Niccolai, Straniero, in M. Ainis (a cura di), Dizionario costituzionale, Roma-Bari, 2000, pg. 543.

55

Non si può non essere in accordo con quelle legislazioni regionali finalizzate alla

concreta realizzazione di una comunità in cui vi sia armonia tra straniero e cittadino, anche

per ciò che attiene al godimento dei diritti, in particolare quelli sociali, che uno Stato delle

prestazioni deve assicurare senza discriminazione e senza diseguaglianza. Proprio da questa

convinzione emerge una preoccupante riflessione legata ai diversi “atteggiamenti” delle

politiche regionali nei riguardi del non cittadino. Potrebbe accadere che alcune Regioni

abbiano non solo una spiccata sensibilità verso le tematiche di cui trattasi, ma anche risorse

economiche sufficienti per investire molto nelle discipline per l’immigrazione. In questo caso

il non cittadino residente in quel particolare territorio, avrebbe uno status giuridico e sociale

di gran lunga migliore rispetto ai suoi pari che risiedono, invece, in Regioni in cui, o per

scelta o per mancanza di mezzi sufficienti, la posizione dello straniero non è presa in

considerazione ovvero lo è in minima parte. L’autonomia regionale, in questo specifico

contesto, potrebbe diventare il presupposto per una politica della diseguaglianza e lo stesso

criterio della residenza potrebbe, a sua volta, divenire un elemento di differenziazione nel

godimento dei diritti da parte dello straniero. Per la costruzione di uno statuto regionale del

cittadino, sarebbe quindi opportuna una concertazione tra tutte le autonomie locali dalla quale

emergano delle linee guida comuni per ogni Regione, tali da uniformare ed equilibrare le

differenti legislazioni locali in materia, al fine di evitare interventi disomogenei che

potrebbero incidere non sull’uguaglianza tra cittadini e stranieri, ma, paradossalmente, tra gli

stessi stranieri.

4..4. L‟inviolabilità dei diritti di cui all‟articolo 2 della Costituzione

Il vivace dibattito della Costituente relativo all’articolo 2207

Cost. it., si era sostanzialmente

incentrato sull’ordine del giorno Dossetti, in seno alla prima Sottocommissione (del 19

settembre 1946), frutto dell’accordo delle tre tendenze presenti in Assemblea, quella cattolica

rappresentata da Dossetti e Moro, portatori dell’idea personalistica, quella social comunista

rappresentata da Mandolfo, sostenitore dei diritti individuali e sociali connessi al principio di

sovranità popolare, e quella laica fondata sull’idea giusnaturalistica, i cui maggiori esponenti

207

Dibattito che fu preceduto dai lavori preparatori della c.d. Commissione Forti, istituita presso il Ministero per

la Costituente.

56

furono La Pira e Benvenuto208

. In tale sede “La prima sottocommissione, esaminate le

possibili impostazioni sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell‟uomo; esclusa quella

che si ispiri ad una visione soltanto individualistica; esclusa quella che si ispiri ad una

visione totalitaria, la quale faccia risalire allo Stato l‟attribuzione dei diritti dei singoli e

delle comunità fondamentali; ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle

esigenze storiche, cui il nuovo Statuto dell‟Italia democratica deve soddisfare, è quella che:

a) riconosca la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei

suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali, ma anche spirituali); b) riconosca ad un

tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e

perfezionarsi a vicenda, mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale: anzitutto

in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità (comunità familiari,

territoriali, professionali, religiose, ecc.), e quindi, per tutto ciò in cui quelle comunità non

bastino, nello Stato; c) che perciò affermi l‟esistenza sia dei diritti fondamentali delle

persone, sia dei diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione da parte dello

Stato”209

. All’ordine del giorno Dossetti, fece seguito il contributo di La Pira e Basso210

,

finalizzato al miglioramento dell’accordo tra le forze in campo. Intervenne anche Aldo Moro,

tentando di mitigare le rimanenti dispute in merito. Questi sostenne, da un lato, che la dignità

umana e il pluralismo sociale costituivano i valori predominanti dell’articolo 2 Cost. it.;

asserì, dall’altro, che non vi era alcuna differenza tra il diritto naturale delle forze cattoliche e

liberali ed il diritto storico delle forze di sinistra, in quanto entrambi, al di là dell’aspetto

terminologico, rappresentavano quei diritti supremi, preesistenti a qualunque ordinamento

statale e legge positiva, sottratti a qualsivoglia forma di revisione costituzionale211

. Le

argomentazioni dell’on. Moro erano dirette a valorizzare sia l’uomo che lo Stato pluralista:

“uno Stato non è pienamente democratico se non è al servizio dell‟uomo, se non ha come fine

208 Per approfondimenti, vedi A Baldassarre, Diritti inviolabili, in Enc. Giur. it, op. cit., pg. 9.

209 Atti A.C., Prima Sottocommissione, VI, pg. 323 e ss.

210 Per approfondimenti, vedi E. Rossi, Art. 2, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A.

Celotto, M. Olivetti, 2006.

211 A. Baldassarre, Diritti inviolabili, in Enc. Giur. it, op. cit., pg. 9 e ss., esamina l’articolo 2 in maniera

minuziosa e dettagliata, dapprima attraverso un excursus storico sulle origini dei diritti inviolabili, poi

soffermandosi sui lavori della Costituente e sul significato di persona umana, proseguendo con l’individuazione

dei diritti inviolabili nella Costituzione italiana, senza tralasciare la giurisprudenza costituzionale che si è

espressa in materia.

57

supremo la dignità, la libertà, l‟autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle

formazioni sociali nelle quali si svolge e nella quali si integra la propria personalità”212

.

Prendendo in prestito le parole di Dossetti, la Costituente ha dato“la precedenza sostanziale

alla persona umana rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di quella”, per

cui “non è l‟uomo in funzione dello Stato, ma quest‟ultimo in funzione dell‟uomo”213

.

Dall’articolo 2 Cost. it. si possono desumere, allora, tre principi. Quello personalista,

che impone alla Repubblica di riconoscere e garantire diritti a tutti gli uomini

indipendentemente dalla cittadinanza. Quello pluralista, che riconosce e garantisce non solo il

singolo in quanto individuo, ma anche il singolo in quanto membro di formazioni sociali

(aggregazioni in cui si svolge la crescita della persona: famiglia, scuola, partiti politici,

sindacati, comunità religiose): da qui la considerazione dell’uomo come soggetto sociale.

Infine quello solidarista: il riconoscimento assoluto delle libertà dell’individuo comporta il

rischio, soprattutto in campo economico, di situazioni di privilegio e di abuso in danno dei

soggetti più deboli; per questo motivo, sono stati imposti dei doveri che spingono il singolo ad

uscire da una posizione di difesa egoistica dei propri interessi, per assumere un ruolo di

membro responsabile della collettività.

I concetti espressi dai nostri padri costituenti si inseriscono sia nell’argomento relativo

all’anteriorità dei diritti inviolabili dell’uomo rispetto ad ogni forma di organizzazione statale,

preesistenti e superiori alle leggi, che nelle affermazioni di quella parte della dottrina che si è

espressa sostenendo come non vi sia democrazia senza rispetto dei diritti fondamentali e delle

libertà umane.

La letteratura giuspubblicistica214

ha distinto, infatti, due diverse tipologie di diritti

fondamentali - diritti (fondamentali) originari e derivati - proprio in base al loro rispettivo

rapporto con la concezione di democraticità delle istituzioni statali. I diritti originari

costituirebbero le “precondizioni universali della democrazia”. In essi verrebbero ricompresi

i diritti dell’uomo e del cittadino, la cui inviolabilità importerebbe una intangibilità del loro

nucleo essenziale. I diritti derivati, invece, rappresenterebbero le “precondizioni particolari

della democrazia”, in quanto, nonostante non siano condicio sine qua non dell’esistenza della

democrazia, concorrerebbero, in maniera determinante, alla qualificazione pluralistica della

212 Seduta del 13 marzo 1947, in A.C., I, 372.

213 C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1975, pg. 155.

214 A. Baldassarre, Diritti inviolabili, in Enc. Giur. it, op. cit pg. 23 e ss.

58

stessa. Tale interpretazione dottrinaria sembrerebbe ricordare il pensiero di C. Schmitt, il

quale distingueva i diritti inviolabili in due parti, una comprensiva dei “veri diritti

fondamentali”, la cui titolarità spetterebbe a tutte le persone, stranieri compresi, in quanto

preesistenti alla legge positiva, l’altra di derivazione legislativa, dunque facente capo ad un

ordinamento statale precostituito. Anche Giustino D’Orazio215

si orienta in tale senso,

suggerendoci di “considerare come fondamentali diritti che, accanto a quelli propri

dell‟uomo, possono individuarsi come diritti creati dal legislatore (sua sponte o ex pactis)

nell‟ambito di un‟organizzazione politica e che spettano, come fondamentali, anche allo

straniero che vive giuridicamente nello Stato senza, peraltro, appartenergli uti civis”216

.

L’articolo 2 Cost. it. si presenta, dunque, come architrave della nostra Costituzione,

non solo perché è il fondamento delle situazioni giuridiche riferibili ai cittadini, ma anche

perché rappresenta il caposaldo di quelle posizioni giuridiche inerenti la condizione del non

cittadino, a prescindere dal fatto che la prima parte della nostra Carta costituzionale sia

intitolata ai “diritti e doveri dei cittadini”. Del resto, già le parole dei costituenti, come quelle

dell’on. Moro su riportate, erano dirette verso una “estensione” della portata di questo

articolo, che non poteva certo chiudersi e racchiudersi nel concetto classico di cittadinanza, a

fronte delle tendenze universalistiche che nell’immediato dopoguerra si andavano

sviluppando. Prova ne sia il fatto che molte norme costituzionali in tema di libertà, quasi a

non considerare l’intitolazione ad esse relative, non specificano testualmente che la loro

applicazione debba essere limitata ai soli cittadini. Tali disposizioni si caratterizzano infatti

per la loro impersonalità: locuzioni come “tutti”, “nessuno”, “il lavoratore” sono di gran lunga

più frequenti di quelle in cui vi è il riferimento al “cittadino”, circoscritte, queste ultime, a

poche ipotesi, come, ad esempio, nella libertà di circolazione e soggiorno, nella libertà di

associazione, nel diritto al lavoro. Lo spirito dell’Assemblea costituente è stato in qualche

modo ripreso sia dalla letteratura217

che dalla giurisprudenza218

. È oramai pacifico, infatti,

215 G. D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana: asilo, condizione giuridica, estradizione, op.cit., pg.

224 e ss.

216 G. D’Orazio, op. cit, pg. 224.

217 G. De Vergottini, Diritto costituzionale, Cedam, Padova, 1997, P. Barile, Istituzioni di diritto pubblico, VI

ed., Cedam, Padova, 1991, P. Caretti e U. De Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, III ed., Giappichelli, Torino,

1996, L. Arcidiacono, A. Carullo e G. Rizza, Istituzioni di diritto pubblico, Monduzzi, Bologna, 1993.

218 La Corte Costituzionale non ha solamente confermato l’inviolabilità di quei diritti facenti capo al titolo I

59

anche per tali operatori giuridici, che i diritti inviolabili tutelati nell’articolo 2 Cost. it. hanno

come destinatari tutti gli uomini, fuori da ogni logica di appartenenza statale. Pertanto

l’ostacolo dell’intitolazione restrittiva della parte prima della Costituzione ad oggi è solo

apparente. Anche gli stranieri, in quanto esseri umani, saranno titolari dei diritti inviolabili, in

nome di quel valore supremo quale è la dignità umana, di cui la stessa Corte Costituzionale,

nella sentenza 105/2001, si è fatta portavoce, sostenendo che “i diritti che la Costituzione

proclama inviolabili spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità

politica, ma in quanto esseri umani”.

L’articolo 2 Cost. it. sembra essere una macroarea comprensiva sia di quei diritti

fondamentali la cui origine è prestatale219

, che di quei diritti altrettanto fondamentali la cui

nascita è di natura legislativa. Resta da chiarire se i diritti facenti capo a tale macroarea siano

solo quelli già indicati in Costituzione ovvero altri e diversi che, ancorché non

costituzionalizzati, appartengono sempre alla sfera dei diritti fondamentali. Questa

problematica è affrontata da due teorie su cui ancora oggi si discute: quella del criterio

riassuntivo ovvero restrittivo e quella del criterio estensivo. La prima ipotesi di lettura, che

senza dubbio conferisce una maggiore certezza del diritto, ma che appare oltremodo inattuale,

considera come inviolabili solamente quei diritti che sono espressamente menzionati nelle

norme costituzionali che succedono all’articolo 2 Cost. it.: l’ambito di azione della norma de

qua sarebbe quindi limitato e ristretto ad un numero chiuso di diritti220

. In particolare, Paolo

Barile221

preferisce considerare l’articolo 2 Cost. it. come garante dei diritti già indicati in

Costituzione, e non come fonte di altri diritti non istituzionalizzati. Andrebbero invece

interpretati in via estensiva, sostiene sempre l’autore, i singoli diritti di libertà, traendo “dallo

stesso articolo diversi contenuti che si riannodano alla tutela e allo sviluppo della persona

della Parte prima della Costituzione,ma, attraverso una lettura estensiva, ha definito come inviolabili anche

alcuni diritti appartenenti al titolo II e III, relativi, rispettivamente, ai “Rapporti etico-sociali” e ai “Rapporti

economici”. Per un superamento della dicitura letterale di alcuni articoli della Carta suprema, vedi sentenza

Corte Costituzionale n. 219 del 1995 in cui si afferma che “anche lo straniero fruisce della garanzia

costituzionale in ordine ai diritti civili fondamentali”.

219 Si ricorda come la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 199 del 1986, abbia indicato l’articolo 2 Cost. it.

come “norma di garanzia dei diritti umani”.

220 Tale tesi è sostenuta in dottrina, ad esempio, da P. Barile, Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, Bologna,

1985, P. F. Grossi, Introduzione ad uno studio sui diritto inviolabili nella Costituzione italiana, Padova, 1972.

221 P. Barile, Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, op. cit.

60

umana, visti come espressione di un minimo denominatore comune a tutte le libertà”222

. La

teoria estensiva è, invece, quella che sostanzialmente tende a ricomprendere nell’articolo 2

Cost. it. tutte quelle situazioni di libertà non espressamente previste nel catalogo

costituzionale223

, ma emergenti dalla Costituzione materiale. Il numero dei diritti sarebbe in

tal caso aperto a nuove situazioni giuridiche che potrebbero emergere da un eventuale

mutamento del contesto politico, sociale ed economico, non solo nazionale, ma anche

comunitario ed internazionale. Anche la giurisprudenza costituzionale interviene in tale

dibattito, prendendo posizione con due sentenze del 1979 (n. 98 e n. 125), in cui ha affermato

che “non esistono altri diritti fondamentali inviolabili che non siano necessariamente

conseguenti o connessi a quelli costituzionalmente previsti”224

. Se questo orientamento della

Consulta sembra, agli occhi di Barile, dare sostegno alla tesi restrittiva, del contrario appare

convinto D’Orazio, il quale lo legge in uno spirito di maggior apertura, orientato al

superamento delle posizioni “più rigide e bloccate” sostenute nel passato dalla Corte

Costituzionale. Non poteva del resto essere diversa l’opinione di questo secondo autore, il

quale, critico della tesi restrittiva, afferma che “l‟accennata impostazione è, per ciò stesso,

suscettibile di frenare ogni impulso evolutivo della giurisprudenza in parallelo con lo

sviluppo della società, o meglio -per dirla con le parole stesse della Costituzione - con il suo

progresso materiale e spirituale”225

.

Il giudice delle leggi sembra, attualmente, valorizzare la fattispecie aperta. Tra le sue

222 P. Barile, op. cit., pg 56.

223 La tesi aperta è sostenuta in dottrina, ad esempio, da A. Barbera, Commento all‟art. 2 Cost., in Comm. Cost.,

Zanichelli-Il Foro Italiano, Bologna-Roma, 1975, P. Perlingeri, La personalità umana nell‟ordinamento

giuridico, Jovene, Napoli, 1972, A. Pizzorusso, Manuale di istituzioni di diritto pubblico, Jovene, Napoli, 1997,

F. Modugno, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale”, Giappichelli, Torino, 1995.

224 Sulla garanzia dei diritti come inviolabili, vedi sentenza n.109 del 1971, in cui la Corte Costituzionale

affermava che “non tutti i diritti garantiti in Costituzione sono, per ciò solo, dotati del carattere di

inviolabilità”.

225 G. D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana: asilo, condizione giuridica, estradizione, op. cit. pg.

233. Si ricorda come questo autore faccia riferimento anche alla teoria, avanzata da parte delle dottrina, di una

tesi intermedia tra quella chiusa e aperta, “conseguendo un ampliamento del numerus clausus secondo un

principio di coerenza interna allo stesso sistema dei diritti enumerati, che consente di individuarne altri, per

così dire, inespressi, ma enucleabili da quelli come diritti impliciti, o strumentali o trasversali”.

61

sentenze226

, di particolare interesse è la n. 404/1988, in cui viene riconosciuto il diritto sociale

all’abitazione come diritto inviolabile che, in quanto tale, è estensibile anche agli stranieri.

Tale decisione, peraltro, si pone sulla stessa lunghezza d’onda di alcuni orientamenti dottrinari

che l’hanno preceduta, aventi ad oggetto proprio la fondamentalità dei diritti sociali. Valerio

Onida, ad esempio, già nel 1995227

sosteneva la loro inviolabilità, spiegando come si fosse

oramai evoluto e dunque modificato il significato dell’inviolabilità stessa: dal concetto

classico di garanzia negativa contro abusi ovvero intromissioni da parte del potere statale

nella sfera privata della persona, si è passati ad una “pretesa all‟effettivo soddisfacimento di

esigenze primarie della persona”. I diritti sociali, che erano incomprensibili entro le categorie

giuridiche e politiche alle origini dello Stato moderno - liberale228

, diventano invece l’essenza

del modello di democrazia accolto dalla nostra Carta Costituzionale. Quegli stessi diritti

sociali che, nonostante fossero stati consacrati nella Costituzione del 1948, stentarono ad

affermarsi come diritti fondamentali, equiparabili, per ciò che attiene la loro prescrittività, ai

diritti di libertà, restando per molto tempo inclusi nel novero dei diritti secondari.

Prendendo in considerazione il significato dell’inviolabilità dal punto di vista delle

garanzie, sembra maggioritaria, sia in dottrina229

che in giurisprudenza230

, l’ipotesi della

inviolabilità dei diritti come irrivedibilità degli stessi. Non vi sono, in Costituzione, dei limiti

226 Vedi, per esempio, la sentenza n. 561/1997: qui la Corte, a proposito della sessualità come modalità di

espressione della personalità dell’uomo, afferma che “il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto

soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione e

inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l‟art.2 Cost. impone di garantire”; ma vedi anche la

sentenza n. 278/1992 avente ad oggetto il diritto di abbandonare il proprio paese e la sentenza n. 383/1998

avente ad oggetto il diritto alla propria formazione sociale.

227 V. Onida, Relazione, in AA.VV., 1995, pg. 69. Vedi in questo senso anche G. De Vergottini, Diritto

costituzionale comparato, Cedam, 2007 pg. 295 .

228 A. Baldassarre, Diritti Sociali, in Enc. Giur. it. XI, Roma, 1989, pg. 1.

229 P. Barile, Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Padova, 1953, A. Barbera, Commento all‟art. 2, in

Comm. Cost. Branca, Bologna-Roma, 1975. Per una dottrina minoritaria, vedi G. Bognetti, Trasformazioni e

revisioni della Costituzione, in AA.VV., Origine, valore e attualità della Costituzione nella prospettiva europea,

ed. Consiglio regionale Toscana, Firenze, 1997 e A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, I, Cedam,

Padova, 1992.

230Vedi ad esempio le sentenze della Corte Costituzionale nn. 1146/1988, 366/1991, in cui si afferma la

inviolabilità, dunque l’intoccabilità, dei principi supremi, i quali non possono essere oggetto neppure di revisione

costituzionale.

62

espliciti posti a tutela dei diritti fondamentali, pertanto vengono in soccorso i due articoli di

chiusura della nostra Carta costituzionale, l’articolo 138 e 139. Se nel primo viene imposto un

procedimento aggravato per la revisione costituzionale, nel secondo si sottrae alla revisione

stessa la modifica della forma repubblicana. Questo limite esplicito suggerisce tutta una serie

di “limiti impliciti” per cui non è intoccabile solamente la nostra forma di Stato, ma sono

altresì intoccabili tutti quei principi fondamentali che vanno a caratterizzare il nostro

ordinamento.

Porre in essere una modifica dei diritti fondamentali, equivarrebbe a scardinare sia

l’assetto costituzionale fondato su quei principi, che tutto il sistema democratico ad esso

collegato. Una inviolabilità che limita sia il potere di revisione costituzionale sia, secondo

parte della dottrina231

, il legislatore ordinario, il quale è sottoposto ad una riserva di legge

rinforzata che lo vincola al rispetto totale dei principi costituzionali.

4.5. Il principio di uguaglianza: cittadino e straniero in perfetta sintonia?

Le interessanti letture sull’origine storica del concetto di uguaglianza testimoniano

come tale principio si sia evoluto nel tempo. L’ordinamento ateniese, ad esempio, garantiva

l’uguaglianza ai soli cittadini, nel duplice aspetto di abolizione delle situazioni di privilegio

agli aristocratici e di sottoposizione ad una unica norma giuridica del soggetto, sia privato che

pubblico. L’uguaglianza in senso moderno, invece, come soggezione di tutti gli uomini ad una

unica legge232

, amplia la sfera dei suoi destinatari, includendovi anche la persona straniera233

.

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza

distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni

personali e sociali”. Una lettura puramente letterale del primo comma dell’articolo 3 Cost. it

contraddirebbe ogni ipotesi sull’estensione del principio di uguaglianza ai non cittadini. Le

interpretazioni che si sono avute nel corso della storia giuspubblicistica, in linea anche con

231 Così in A. Baldassarre, Diritti inviolabili, in Enc. Giur. it, op. cit. pg. 37. Per approfondimenti vedi sempre A.

Baldassarre, op. cit. pgg. 33 e ss, il quale affronta questa tematica anche in merito alle garanzie dei diritti

inviolabili nei confronti della Pubblica amministrazione.

232 C. Esposito, Eguaglianza e giustizia nell‟art. 3, in La Costituzione italiana, Padova, 1954.

233 Per una esposizione sul tema dell’uguaglianza, vedi A. Cerri, Uguaglianza (principio costituzionale di) in

Enc. Giur. it, XXXII, Roma, 1994.

63

quelli che erano gli orientamenti emersi in sede costituente, hanno invece osservato l’articolo

3, primo comma, Cost. it., in senso aperto: “Benché esplicitamente riconosciuta solo nei

confronti dei cittadini, l‟uguaglianza si applica anche agli stranieri per quel che concerne il

godimento dei diritti inviolabili e di quei diritti che sono connessi ad un regime

democratico234

”. La Corte costituzionale235

, dal canto suo, ha preso posizioni assai chiare:

l’uguaglianza, almeno nel suo contenuto minimale di uguaglianza intesa in senso formale, è

garantita a tutti, indistintamente cittadini e stranieri. Già nel 1966236

, i giudici costituzionali

affermavano, infatti, che l’uguaglianza era “un principio generale che condiziona tutto

l‟ordinamento nella sua obiettiva struttura […] indipendentemente dalla natura e dalla

qualificazione dei soggetti ai quali [le disparità di trattamento] vengono adottate”. Ancora,

nel 1967 e nel 1969 la Consulta sosteneva che il principio di uguaglianza, ancorché riferito

dalla Costituzione ai soli cittadini, era valevole anche per lo straniero, quando si dovevano

tutelare i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dall’articolo 2 Cost. it.237

, con la specifica,

però, che “la riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei

diritti di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi,

fra soggetti uguali, differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua

discrezionalità, la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo

apprezzamento”238

. Anche recentemente, la Corte costituzionale si è espressa a favore del

principio di uguaglianza tra cives e nec cives, in una sentenza avente ad oggetto la non

discriminazione degli immigrati nell’accesso alle prestazione di assistenza sociale239

.

Il principio di uguaglianza formale, già noto nello Statuto Albertino, impone un divieto

di non discriminazione nei confronti dello Stato, il quale non può emanare provvedimenti che

siano, appunto, discriminatori in base ad uno (o più) dei sei parametri indicati nell’articolo 3,

comma I, Cost. it. Il principio di uguaglianza non è però da intendersi come assoluta parità di

trattamento. Il legislatore deve adeguare, infatti, le varie norme giuridiche ai diversi aspetti

234 A. Cerri, Uguaglianza (principio costituzionale di ) in Enc. Giur. It., XXXII, op. cit., pg. 7.

235 Per una disamina sulla giurisprudenza della Corte in materia di uguaglianza, vedi A. Cerri, L‟uguaglianza

nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Quaderni costituzionali, 1976.

236 Corte costituzionale, sentenza n. 25/1966.

237 Sentenze n. 120 del 1967 e sentenza n. 104 del 1969.

238 Corte costituzionale, sentenza n. 104 del 1969, cit.

239 Corte costituzionale, sentenza 432/2005.

64

della vita sociale e trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo diverso situazioni

diverse240

. La Corte costituzionale ha affermato che tale principio è da intendersi come divieto

di introdurre discriminazioni illegittime. La valutazione della diversità delle situazioni non è

lasciata alla piena discrezionalità del legislatore, ma questi deve attenersi al criterio di

ragionevolezza per giustificare la disparità di trattamento tra i cittadini (e non cittadini),

fornendo cioè logiche giustificazioni della diversità della disciplina241

.

Tra i divieti imposti dal principio di uguaglianza formale, quello che più interessa al

presente lavoro è la non discriminazione in ragione dell’appartenenza ad una razza. I

Costituenti lo introdussero per evitare che potessero rivivere quelle leggi razziali242

che

durante il regime fascista avevano creato disuguaglianze di non poco conto. Se l’affermazione

di tale divieto era stata quindi necessaria per risolvere un problema del passato, diviene oggi

attuale e fondamentale a fronte dell’accentuarsi del fenomeno migratorio e della relativa

trasformazione della nostra società in una società multirazziale243

. Il principio di non

discriminazione razziale è garantito non solo a livello costituzionale. In sede internazionale si

ricorda, infatti, la Convenzione di New York del 1966244

mentre, in ambito europeo, già nel

1950, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo lo prevedeva nel suo

articolo 14245

. Ripreso successivamente dall’articolo 21246

della Carta di Nizza, il divieto di

240 Vedi sentenza della Corte costituzionale n. 3/195, in cui viene affermato detto principio. Contra, vedi

sentenza n. 28/1957, in cui, a distanza di poco tempo, la Corte sostiene che non può essere riservata al potere

discrezionale del legislatore l’analisi della rilevanza o meno della diversità delle situazioni giuridiche. Oggi è

pacifico anche nella giurisprudenza costituzionale che non discriminazione e ragionevolezza caratterizzano

l’operato del legislatore, fermo restando il suo sindacato di legittimità qualora detti principi fossero violati.

241 “Il significato del principio di eguaglianza formale, come criterio di ragionevolezza della legge, si è

affermato attraverso un lungo cammino di pensiero della dottrina e soprattutto della giurisprudenza della Corte

costituzionale; frutto, assai verosimilmente, anche della trasformazione dello Stato di diritto in Stato sociale”, in

L. Arcidiacono - A. Carullo - G. Rizza, Istituzioni di diritto pubblico, Moduzzi editore, Bologna, 2005, pg 175.

242 Come ad esempio il R.D.L. 1728/193 che imponeva il divieto di matrimonio tra cittadino italiano di razza

ariana e un soggetto appartenente ad altra razza.

243 P. Caretti - U. De Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, Giappichelli editore, Torino, 2004, pg. 443.

244 Recepita in Italia con la legge 654/1975 in Suppl. ordinario alla Gazz. Uff. n. 337, del 23 dicembre 1975 –

“Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull‟eliminazione di tutte le forme[...]”.

245 “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza

nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le

opinioni politiche o di altro genere, l‟origine nazionale o sociale, l‟appartenenza a una minoranza nazionale, la

65

non discriminazione viene qui considerato come un diritto fondamentale della persona. Nella

legislazione nazionale, è il testo unico per l’immigrazione247

che, per la prima volta, inserisce

il principio di non discriminazione all’interno di una legge di disciplina del fenomeno

migratorio: ci si riferisce, in particolare, ai suoi articoli 43248

e 44249

.

Il principio di uguaglianza formale non troverebbe piena attuazione se non lo si

rapportasse al principio di uguaglianza sostanziale250

previsto nel secondo comma

dell’articolo 3 della Costituzione italiana. La dottrina sembra utilizzare il concetto di “dignità

sociale” per collegare le due fattispecie di uguaglianza. In particolare, è quella formale che

dovrà parametrarsi al valore assoluto della dignità umana, per cui ogni individuo ha eguale

ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”.

246 “E‟ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle

o l‟origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le

opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l‟appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la

nascita, gli handicap, l‟età o le tendenze sessuali”.

247 Vedi anche la precedente legge n. 205/1993 del 25 giugno 1993 – conversione in legge, con modificazioni,

del decreto legge 26 aprile 1993 n. 122 recante “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica o

religiosa”-, con cui sono state introdotte, nel nostro ordinamento giuridico, delle norme penali contro i

comportamenti volti a propagare l’odio razziale e la discriminazione. Vedi anche il d.lgs. n. 215 del 2003, in

attuazione della direttiva comunitaria 2000/43/CE, recante “Norme sulla parità di trattamento delle persone

indipendentemente dalla razza e dall‟origine etnica”, in cui si è vietata sia la discriminazione diretta, che è

quella per cui un soggetto è trattato in maniera meno favorevole di come dovrebbe, che quella indiretta, la quale

si realizza quando una norma ovvero un atto, ma anche un comportamento o una prassi, che sono

apparentemente neutri, possono “mettere le persone di una determinata razza o origine etnica, in una posizione

di particolare svantaggio rispetto ad altre” (articolo 2 comma 1 lettera a e b del d.lgs. su citato).

248 In cui viene definito come discriminatorio “Ogni comportamento che, direttamente o indirettamente,

comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l‟ascendenza o

l‟origine nazionale o etnica […] o che abbia lo scopo o l‟effetto di distruggere o di compromettere il

riconoscimento , il godimento o l‟esercizio in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali

in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”.

249 In cui vengono previste le tutele giurisdizionali in caso di violazione del principio di cui all’articolo 43 del

testo unico immigrazione.

250 “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la

libertà e l‟eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l‟effettiva

partecipazione di tutti i lavoratori all‟organizzazione politica, economica e sociale del Paese” .

66

dignità di uomo ed eguale diritto a godere delle libertà fondamentali251

. Il riferimento alla

dignità sociale non è del resto nuovo nell’ambito della dottrina giuspubblicistica. Già nel

1974, infatti, Ferrara tentava di integrare i due principi di uguaglianza proprio attraverso la

dignità sociale, “che rappresenta il rovesciamento del carattere formale dell‟uguaglianza”252

.

Il rispetto della dignità umana impone forme di intervento statale finalizzate alla

costruzione di un sistema giuridico e sociale, in cui non solamente i cittadini possano godere

dei diritti fondamentali dell’uomo. L’art. 3, secondo comma, Cost. it., costituisce, infatti, il

riferimento testuale del rapporto tra forma di Stato e diritti di libertà, in quanto attribuisce allo

Stato sia il compito di garantire le sfere individuali dei singoli, come era già previsto nello

Statuto Albertino (art. 24), che quello di impegnarsi concretamente al fine di assicurare a tutti

i cittadini (in senso lato) un esercizio effettivo delle libertà costituzionali. Lo Stato, dunque,

ha la responsabilità di eliminare ogni situazione di privilegio che offenda la pari dignità e di

promuovere una politica di sostegno e di aiuto che consenta la piena e libera affermazione

della persona. Attraverso la codificazione dell’uguaglianza sostanziale, si riconosce il

fondamento costituzionale dei c.d. diritti sociali, ossia di quei diritti che attribuiscono

all’individuo la pretesa ad una determinata prestazione d’opera nei confronti dei pubblici

poteri e, al contempo, impongono loro il dovere di adempiere a quella prestazione. In esso si

esprime l’intento del costituente di imporre una specifica direttiva al futuro legislatore,

chiamato a rimuovere, proprio attraverso un’effettiva realizzazione dei diritti sociali, le

disuguaglianze che di fatto esistono nel tessuto sociale e che, se lasciate inalterate,

rischierebbero di rendere puramente formale il riconoscimento e la tutela dei tradizionali

diritti individuali di libertà.

Quel che in questa sede maggiormente interessa, è la considerazione che il principio di

uguaglianza, nella sua doppia veste di uguaglianza formale e sostanziale, si lega, appunto

doppiamente, alla condizione giuridica del non cittadino. In primo luogo, perché

l’uguaglianza è un principio necessario per estendere agli stranieri la garanzia dei diritti

fondamentali, nel rispetto del divieto di non discriminazione di cui al primo comma

dell’articolo 3 Cost. it.. In secondo luogo, perché costituisce la fonte costituzionale attraverso

cui attribuire i diritti sociali anche al non cittadino.

251 Così in B. Nicotra, nota alla sentenza n. 432/2005 della Corte Costituzionale, in www.unionedirittiumani.it.

252 G. Ferrara, La pari dignità sociale (Appunti per una ricostruzione), in Studi in onore di Giuseppe Chiarelli,

II, Milano, 1974, pg. 1089 e ss.

67

Gli orientamenti della dottrina, riguardo alla possibile estensione del principio di

uguaglianza agli stranieri, sono stati diversi e non sempre concordi. Pace, ad esempio,

sostiene che i diritti costituzionalmente garantiti si possano estendere agli stranieri solamente

nei limiti dell’operatività della clausola di reciprocità, oppure a mezzo di un’autonoma scelta

del legislatore253

; il principio di uguaglianza è infatti utilizzato dall’autore con estrema

cautela, in quanto il suo significato soggettivo sembrerebbe escluderne l’applicabilità ai non

cittadini. Di opposto parere sembra essere invece Paladin, il quale, in linea anche con le

tendenze giurisprudenziali già citate, e pur ammettendo, in via astratta, una differenza di

trattamento tra cittadino e straniero, ricorda come il principio di cui all’articolo 3 Cost. it. sia

un diritto dell’uomo, disciplinato anche dalle norme internazionali, cui deve necessariamente

ispirarsi la condizione giuridica dello straniero ai sensi dell’articolo 10, II comma, Cost. it.254

.

Qualche tempo fa, Giovanna Zincone aveva affermato come l’uguaglianza inerente

all’idea di cittadinanza sarebbe un’uguaglianza limitata, con la consapevolezza che però la

piena uguaglianza tra cittadini e non cittadini renderebbe la cittadinanza priva di

significato”255

. L’interpretazione di questa autrice si lega, del resto, ad alcuni recenti studi che

propendono per una visione del principio di uguaglianza in un ottica che supera i confini della

cittadinanza, nonché per una evoluzione del concetto stesso di cittadinanza, scollegato dalla

nazionalità.

Certo, il contesto politico e sociale non sembra ancora pronto a mutamenti così

importanti, tali da incidere direttamente su costruzioni giuridiche ormai da anni consolidate. È

per questo che la perfetta sintonia tra cittadino e non cittadino la si dovrà ricercare, ancora, nei

principi fondamentali della nostra Costituzione, avvicinandosi di più a quegli orientamenti

dottrinari e giurisprudenziali che maggiormente tutelano lo statuto costituzionale del non

cittadino anche sotto il profilo dell’uguaglianza, che non può e non deve essere ridotto a pura

isonomia se non si vuole svuotare lo stesso statuto di quello che oggi rappresenta il parametro

di riferimento per l’applicazione dei diritti di libertà allo straniero. Il terreno su cui si opera è

estremamente delicato. Il binomio uguaglianza – straniero dovrebbe sempre essere analizzato

tenendo presente che, come ci ricordano Tocqueville e Montesquieu, l’uguaglianza è il

253 A. Pace, La libertà di riunione nella Costituzione italiana, Giuffrè, Milano, 1967, ma anche A. Pace,

Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, III ed. Cedam, Padova, 2003.

254 L. Paladin, Il principio costituzionale di uguaglianza, Milano, 1965.

255 G. Zincone, Da sudditi a cittadini, Il Mulino, Bologna, 1992.

68

presupposto della democrazia. Purtroppo, i frequenti atteggiamenti razziali e xenofobi ispirati

all’altro diverso e disuguale, che caratterizzano da anni la storia del nostro Paese,

indeboliscono proprio la democraticità dell’intero assetto istituzionale, con conseguenze che

saranno tanto più gravose quanto più lentamente ci si aprirà a considerazioni e comportamenti

veramente dignitosi e rispettosi della persona umana.

4.6. Il combinato disposto degli articoli 10 (II comma), 2 e 3 della Costituzione: un passo

obbligato

Ricostruite le fonti normative e appurato che gli articoli 10 (II comma), 2, 3 Cost. it.

costituiscono gli “agganci” necessari e indispensabili per affrontare il tema della condizione

giuridica dello straniero, sembra necessario analizzare queste fonti in combinato disposto, al

fine di comprendere il loro rapporto.

La dottrina ha tentato, negli anni, di risolvere alcune incertezze costituzionali. In primo

luogo, è intervenuta sul fatto che i costituenti non inserirono un elenco dei diritti spettanti a

coloro che non godevano della cittadinanza italiana256

. In secondo luogo, si è adoperata per

indicare una nozione di straniero che “consenta di orientare l‟interprete nell‟esegesi delle

norme costituzionali che riconoscono diritti fondamentali, e di distinguere quali di esse fanno

riferimento ai soli cittadini italiani, quali ai non-cittadini, quali infine ad alcune categorie di

essi”257

.

Una parte della letteratura giuspubblicistica258

è partita dalle situazioni giuridiche

soggettive che la Costituzione garantisce nell’articolo 2. Tenendo bene in mente il dato

letterale, tale orientamento sostiene che, qualora, i diritti costituzionali non siano

espressamente riferiti ai cittadini, si possono estendere anche a coloro che cittadini non sono.

256 La proposta di predisporre un catalogo dei diritti spettanti agli stranieri venne presentata dagli onorevoli La

Pira e Basso. Per una sua lettura vedi La costituzione della Repubblica italiana nei lavori preparatori

dell‟Assemblea costituente, a cura del segretario generale della Camera dei Deputati, Roma, 1970, IV.

257 E. Grosso, Straniero (Status costituzionale dello), op. cit. pg 161.

258 A. Barbera, Art. 2, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione. Principi fondamentali, artt. 1-

12, P. Barile, Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, T. Martines, Diritto costituzionale,

Giuffrè editore, 1992.

69

Nel caso in cui la Costituzione, invece, indichi specificatamente che quei diritti siano a

vantaggio solo dei cittadini, allora sorgerebbe il problema di trovare una adeguata copertura

costituzionale per la loro estensione anche ai non cittadini. In questo caso, secondo la dottrina

de qua, potrebbe venire in aiuto l’articolo, 10 II comma, Cost. it. La riserva di legge in esso

contenuta permetterebbe al legislatore di intervenire al fine di legittimare l’estensione di quei

diritti anche allo straniero, seppur nei limiti delle norme e dei trattati internazionali. Il

carattere svantaggioso di tale interpretazione consisterebbe, secondo parte della dottrina, sia

nella discrezionalità che viene conferita al legislatore, il quale può estendere o meno le libertà

costituzionali anche allo straniero, che nella natura dei limiti entro i quali il legislatore

sarebbe libero di estendere certi diritti di libertà al non cittadino259

. Del tutto diversi sono,

invece, quegli orientamenti dottrinari che, per ricostruire la condizione giuridica dello

straniero260

, si muovono dall’articolo 10, secondo comma, Cost. it. Tali posizioni insistono

sulla riserva di legge in esso contenuta, che legittimerebbe il legislatore a disciplinare la

condizione giuridica dello straniero con l’unico limite delle norme e dei trattati internazionali.

Il legislatore sarebbe peraltro libero di restringere le libertà che la Costituzione prevede anche

per i non cittadini, ovvero estendere quelle stesse libertà agli stranieri nonostante non vi sia in

Costituzione una espressa indicazione in tal senso (come ad esempio i diritti politici). Una

siffatta interpretazione potrebbe dar luogo ad una serie di problematiche che sono state ben

espresse da Grosso nel Nuovissimo Digesto261

, il quale sostiene che, nonostante la

Costituzione sia un fatto politico, la stessa non può essere ad esclusivo vantaggio dei cittadini.

Sicuramente il cittadino è stato il primo destinatario dei diritti costituzionali, ma ciò non deve

costituire un limite per una lettura della Costituzione ancorata al principio di cittadinanza. I

riferimenti universalistici cui la nostra Carta costituzionale non solo si è ispirata, ma di cui ne

è espressione262

, sono la prova tangibile di quanto invece possa essere estensiva la sua portata.

Alla luce di ciò, Grosso ha tentato di ricostruire la condizione giuridica dello straniero

259 E. Grosso, Straniero (Status costituzionale dello), op. cit. pg 162.

260 In questo senso A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 1992,; G. Zagrebelsky, Questione

di legittimità costituzionale della l. 3 febbraio 1963 n. 69 istitutiva dell‟ordine dei giornalisti, in Giur. cost.

1968; P. Bonetti, Prime note sulla tutela costituzionale contro il razzismo e la xenofobia, in Rivista trimestrale

diritto pubblico, 1994.

261 E. Grosso, Straniero (Status costituzionale dello), op. cit. pg 163.

262 In questo senso vedi anche F. Cerrone, Identità civica e diritti degli stranieri, in Pol. dir. 1995.

70

articolandola in base alla tipologia dei diritti che si prende in considerazione. Per ciò che

attiene ai diritti fondamentali, tutelati a livello costituzionale dall’articolo 2, gli stranieri non

possono essere distinti dai cittadini, pertanto lo status civitatis non è elemento di

diseguaglianza o di discriminazione. Rispetto ad altre situazioni giuridiche, è possibile che vi

sia un trattamento differenziato non solo tra cittadini e stranieri, ma anche tra le diverse figure

di straniero. Il legislatore avrà la responsabilità di tale differenziazione nei limiti della

ragionevolezza. Ecco che qui entra in gioco il principio di uguaglianza. Se è vero che

l’uguaglianza non impedisce che situazioni diverse vengano trattate in maniera diversa, e se

ammette, come anche la Corte Costituzionale ha più volte ribadito, delle differenziazioni in

merito al possesso del requisito della cittadinanza, è pur vero che il limite invalicabile ed

insormontabile è proprio quello della non arbitrarietà. I giudici costituzionali dovranno, in

ogni singolo caso, accertare se il legislatore abbia trattato ragionevolmente le diverse

situazioni. La perplessità che potrebbe emergere in merito a tale interpretazione riguarda

proprio il giudizio di legittimità della Corte Costituzionale. La sua giurisprudenza ha

evidenziato, soprattutto negli ultimi anni, come non siano state frequenti le declaratorie di

illegittimità nei confronti di palesi violazioni dei principi costituzionali da parte della legge di

attuazione dell’articolo 10, II comma, Cost. it. Il favor legis operato dalla Corte potrebbe

costituire, infatti, ove ripetuto nel tempo, un ostacolo insormontabile per il non cittadino, le

cui garanzie sarebbero scoperte, a questo punto, sotto ogni fronte.

Non si può, comunque, non concordare con Grosso quando afferma che, al di là delle

diversificazioni che il legislatore può porre in essere, frutto non solo della differenza tra

cittadino e non cittadino, ma anche tra le diverse categorie di non cittadino (straniero

extracomunitario regolare, irregolare, clandestino, straniero comunitario, apolide, rifugiato,

titolare di un permesso di soggiorno ovvero di una carta di soggiorno), in ogni caso tutti i non

cittadini godono della garanzia dei diritti inviolabili dell‟uomo263

.

Il combinato disposto degli articoli 10 (II comma), 2, 3 Cost. it. offre, dunque, degli

idonei strumenti giuridici per la tutela del non cittadino, e questo vale sia che ci si muova,

come detto, dai diritti fondamentali dell’individuo che, ai sensi dell’articolo 2 Cost. it.,

vengono riconosciuti inevitabilmente anche allo straniero in quanto persona umana, sia che si

proceda dalla riserva di legge di cui all’articolo 10, secondo comma, Cost. it., che garantisce

263 Cosi. E. Grosso, op.cit. pg. 164.

71

ugualmente il non cittadino attraverso le non poche tutele fissate dalle norme internazionali,

generali o pattizie che siano.

Il nostro assetto costituzionale, criticato da più parti e oggetto, sempre più

frequentemente, di volontà politiche di riforma, è quindi capace, anche quando non ha

previsto specifiche tutele per i non cittadini, di farsi interpretare nel migliore dei modi,

offrendo gli strumenti necessari per diminuire le differenze tra chi appartiene alla polis e chi

invece ne è fuori264

. In tale prospettiva il principio di uguaglianza assume un ruolo

egemonico, perché attraverso di esso si può modellare ragionevolmente, e non

arbitrariamente, lo statuto “costituzionale” del non cittadino.

5. I diritti fondamentali dello straniero alla luce della giurisprudenza costituzionale e

degli orientamenti dottrinari

Quando si parla di diritti, anche fondamentali, si incide sostanzialmente sulla loro

titolarità. Su quella dei diritti inviolabili vi sono differenti opinioni in merito, tanto più

interessanti se si considera che attraverso la titolarità del diritto da parte di un soggetto, si può

ricostruire il fondamento delle posizioni giuridiche ad esso spettanti.

Ci si è chiesti, sia in dottrina che in giurisprudenza, se allo straniero possano estendersi

tutti diritti fondamentali, ovvero se tra questi solamente alcuni e perché non tutti. E se vi siano

differenze, in termini non solo di spettanza ma anche di godimento di questi diritti, nella

posizione dell’immigrato regolare, irregolare o clandestino. È opinione oramai pacifica quella

per cui lo straniero, qualunque sia la sua posizione nell’ordinamento italiano, sia titolare dei

diritti inviolabili, intesi nel più ampio significato di diritti fondamentali della persona.

L’origine prestatale, l’assenza di ogni legame con lo status civitatis, l’universalità e le

garanzie anche internazionali, sono delle caratteristiche che permettono ai diritti fondamentali

di essere estesi anche ai non cittadini. Il principio di uguaglianza ha un valore assoluto quando

264 Una ricostruzione particolare sulla condizione giuridica dello straniero viene fatta da G. D’Orazio,

Condizione dello straniero e “società democratica”, Cedam, Padova, 1994, il quale non si esprime con una

rassegna delle situazioni giuridiche spettanti allo straniero, lavoro peraltro elaborato dallo stesso autore in altra

sede, ma tenta di porsi non nella posizione dello straniero, bensì dello Stato, cercando di evidenziare le

motivazioni per cui un ordinamento statale debba porre dei limiti alle libertà del non cittadino.

72

si rapporta con siffatte situazioni giuridiche265

, tanto che è inimmaginabile una disparità di

trattamento tra cittadino e non cittadino con riguardo alla titolarità dei diritti fondamentali.

Anche il legislatore nazionale, nell’articolo 2 del testo unico dell’immigrazione (diritti

e doveri dello straniero), specifica che lo straniero comunque “presente” sul territorio

nazionale è titolare dei diritti fondamentali della persona umana. Altri diritti inviolabili, di

origine però statale, spettano invece allo straniero in quanto è presente ovvero partecipa, in

senso lato, nell’ordinamento266

. Si ricorda che il testo unico per l’immigrazione riconosce al

non cittadino, sulla base del regolare soggiorno sul territorio, la tutela dei diritti in materia

civile, la partecipazione alla vita pubblica locale e la parità di trattamento nella titolarità dei

diritti facenti capo al soggetto-lavoratore. Infine, vi sono diritti fondamentali che non spettano

affatto allo straniero, perché ancorati alla (oramai obsoleta) categoria della cittadinanza come

appartenenza allo Stato, i cui unici destinatari sono i cittadini italiani267

.

Ciascun diritto fondamentale è stato oggetto di “scissione” da parte della

giurisprudenza costituzionale, al fine di distinguere, all’interno di ognuno, il nucleo essenziale

ovvero irriducibile dalla parte meno irriducibile. Emblematica è stata la sentenza n. 252 del

2001, in cui la Corte costituzionale ha affermato che “il nucleo irriducibile di tutela della

salute quale diritto fondamentale della persona deve essere riconosciuto anche agli stranieri,

qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l‟ingresso ed il soggiorno

nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso”.

Ciò per significare che ogni diritto inviolabile è costituito da due parti: quella irriducibile, che

non potrà mai essere negata a nessun essere umano, straniero compreso, e quella inviolabile

ma non “irriducibile”, che sarà in balia del legislatore, il quale, discrezionalmente e

ragionevolmente, dovrà decidere se almeno una parte di quel diritto sarà godibile dal non

cittadino. Pertanto tutte le persone, anche straniere, sono titolari dei diritti inviolabili, con

riguardo al loro nucleo essenziale, anche se non tutte ne possono godere allo stesso modo.

I principi ispiratori della Costituzione, quali quello personalista, pluralista e

solidaristico, hanno influenzato enormemente l’operato della giurisprudenza costituzionale,

265 Copiosissima è stata la giurisprudenza costituzionale in tal senso. Vedi, ad esempio, sentenze nn. 104/1969,

120/1967, 144/1974, nonché le più recenti nn. 219/1995 e 509/2000.

266 G. d’Orazio, Condizione dello straniero e “società democratica”,op. cit., pg. 224.

267 Ad esempio, la libertà di circolazione e soggiorno e i c.d. diritti politici.

73

tanto che questa si è orientata verso il superamento di quegli orientamenti che credevano nella

inviolabilità del diritto di proprietà268

. La Corte Costituzionale ha preso le mosse dalla

considerazione della persona umana, che “infatti è venuta incondizionatamente in primo

piano in tutte le sua manifestazioni di libertà”, lasciando il diritto di proprietà “subordinato

alla funzione sociale”269

.

Si ricorda, inoltre, come l’interesse dei giudici delle leggi, ma del resto anche della

dottrina giuspubblicistica270

, sul tema della condizione giuridica dello straniero, sia emerso

dalla fine degli anni sessanta. E questo non è avvenuto a caso. Gli anni settanta sono quelli in

cui l'immigrazione in Italia ha cominciato a raggiungere dimensioni significative. La Corte

costituzionale inizia a prendere posizione nel 1974271

, affermando che l’“articolo 2 proclama

l‟inderogabile valore di quei sommi beni che formano il patrimonio pretrattabile della

persona umana” 272

; nel 1975273

riconosce a tutti i soggetti, sia cittadini che stranieri, i diritti

inviolabili dell’uomo “che appartengono all‟uomo inteso come essere libero”, già ritenuti

inderogabili nella sentenza del 1974. La Corte fa poi rientrare nel novero dei diritti inviolabili

dell’uomo anche il principio di uguaglianza, in quanto “principio generale che condiziona

tutto l‟ordinamento nella sua obiettiva struttura”274

: in virtù di tale principio, i diritti su

definiti come inviolabili possono estendersi anche per lo straniero275

.

Tra i diritti inviolabili la Corte costituzionale annovera, senza dubbio, il diritto al

268 Si ricorda come, nello stato liberale, la proprietà rappresentasse il fondamento della libertà individuale.

269 In G. D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana: asilo, condizione giuridica, estradizione, op. cit. pg.

221.

270 Gli interventi dottrinari, limitati, prima degli anni sessanta, ad alcune voci enciclopediche sulla cittadinanza

(G. Biscottini, Cittadinanza, in Enc. Dir., op. cit., e R. Quadri, Voce Cittadinanza, in Enc. Dir., op. cit), si

intensificano soprattutto con le opere di G. D’Orazio, Effettività dei diritti e condizione dello straniero, in Dir.

Soc., 1973 e di B. Nascimbene, La condizione giuridica dello straniero, Cedam, Padova, 1988, aventi ad oggetto

la condizione giuridica dello straniero.

271 Sentenza n. 33.

272 Sulla diversa definizione che questa Corte opera nei confronti dei diritti garantiti dall’articolo 2 della

Costituzione italiana, a volte indicati come diritti inviolabili tout-court, a volte fondamentali ovvero umani, vedi

G. D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana: asilo, condizione giuridica, estradizione, op. cit. pg. 223.

273 Sentenza n. 102.

274 Così in sentenza n. 25 del 1966.

275 Vedi sentenze n. 120 del 1967, cit., n. 104 del 1969, cit., n. 144 del 1970, n. 109 del 1974, n. 144 del 1974 cit,

n. 244 del 1974, n. 46 del 1977, n. 54 del 1979.

74

proprio decoro, al proprio onore, alla propria rispettabilità, alla propria riservatezza, alla

propria intimità, alla propria reputazione276

, così come vi ricomprende la libertà di

manifestazione del pensiero e delle proprie opinioni politiche, purché non contrarie all’ordine

pubblico costituzionale277

. Per ciò che attiene alla tutela giurisdizionale, ci si limita qui a

riferire che lo straniero ne è titolare in ogni stato e grado del procedimento, senza condizione

di reciprocità278

. Considerazioni più ampie, su questo tema, verranno illustrate nell’ambito dei

procedimenti di espulsione, dove maggiormente è violata tale garanzia costituzionale.

Nei paragrafi che seguono, si analizzerà il rapporto tra straniero e diritti, in riferimento

alle difficoltà inerenti la tutela di alcuni diritti fondamentali, in particolare i diritti sociali,

tralasciando quelle situazioni giuridiche per le quali è oramai pacifica una parità di

trattamento tra cittadino e non cittadino, e rinviando, comunque, per una trattazione generale

sul tema, alla letteratura giuspubblicistica che si è occupata, con passione e rigore, alla

tematica in oggetto279

.

6. I diritti sociali fondamentali del non cittadino

La previsione costituzionale dei diritti sociali accanto ai tradizionali diritti di libertà

civili, si colloca nel filone avviato dalla Costituzione di Weimar280

in cui prende corpo lo

276 Sentenza n. 38/1973.

277 Vedi sentenze n. 122/1970, n. 168/1971, n.85/1965. In merito alla professione giornalistica, come modalità di

espressione della libertà di manifestazione del pensiero, G. D’Orazio, in linea con gli orientamenti

giurisprudenziali (in particolare la sentenza Corte Costituzionale 11/1968), sostiene che tale libertà non viene

“menomata” per il fatto che la legge subordini il suo esercizio a condizione di reciprocità. G. D’Orazio,

Straniero (condizione giuridica dello): I, op. cit. pg. 2, nonché G. D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione

italiana: asilo, condizione giuridica, estradizione, op. cit. pg. 245 e ss.

278 Vedi sentenze n. 11/1956, n. 37/1969, n. 11/1971, n. 125/1979.

279 Vedi per tutti il più volte citato G. D’Orazio, Straniero (condizione giuridica dello): I, op.cit. , nonché G.

D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana: asilo, condizione giuridica, estradizione, op. cit, G.

D’Orazio, Effettività dei diritti e condizione dello straniero, in Dir. Soc., 1973, B. Nascimbene, La condizione

giuridica dello straniero, Cedam, Padova, 1988, G. Biscottini, I diritti fondamentali degli stranieri, in Studi in

onore di Biondo Biondi, III, Giuffrè, Milano, 1965.

280 Sulle differenze tra Costituzione di Weimar e Costituzione italiana vedi A. Baldassarre, Diritti sociali in Enc.

giur., op. cit, pg. 10.

75

Stato sociale281

. La dimensione sociale dei diritti diviene non solo lo strumento per la

concretizzazione dell’uguaglianza, ma è anche espressione di quell’idea di persona umana

vista nella sua dimensione di essere individuale e sociale282

.

Tanto più appare interessante la disciplina del diritti sociali, quanto più la si rapporta

alla condizione giuridica degli stranieri. Qui più che mai, il valore dell’uguaglianza e la

crescita della persona umana hanno la possibilità di raggiungere il loro pieno sviluppo e la

loro più concreta attuazione. La garanzia di uno Stato delle prestazioni anche per un soggetto

che non ha i requisiti della cittadinanza intesa in senso tradizionale, apre le porte ad un

modello di cittadinanza intesa in senso sociale, non come condizione di accesso a diritti, ma

come riconoscimento del diritto ad avere diritti. Oggi i diritti sociali, lungi dall’essere

riconosciuti come diritti secondari283

, hanno preso la veste di diritti fondamentali, in armonia

con gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza costituzionale284

. Essi sono difatti

considerati come diritti inviolabili, garantiti dall’art. 2 della Costituzione italiana, il cui

fondamento giuridico è rappresentato dal principio di uguaglianza e dal valore supremo della

dignità umana285

.

281 A. Baldassarre, Diritti sociali, op. cit., pg. 8, intende per Stato sociale “la risposta politico-costituzionale alla

crescente ed obiettiva insicurezza sociale, che costituisce il sottoprodotto […] difficilmente eludibile sia degli

squilibri di potere comportati dal libero gioco delle forze sociali e dell‟incertezza insita nei meccanismi

spontanei del mercato […] sia dell‟instabilità dei valori insita nelle accelerate dinamiche culturali […] proprie

di società, come quelle rette da regimi politici democratici e da sistemi capitalistici, che sono caratterizzate da

una crescente apertura reciproca […] e da ritmi di sviluppo delle condizioni di vita straordinariamente veloci”.

282 Per una lettura sui rapporti tra Costituzione e Stato sociale, si consiglia S. Bonfiglio, “Costituzione e Stato

sociale. Consolidamento democratico e riforme costituzionali in Italia”, Roma 1996, S. Bonfiglio, “Lo Stato

sociale in trasformazione : un problema attuale”, in “Il Politico”, 1993, n.4, S. Bonfiglio, “Costituzione

economica. Stato sociale e privatizzazioni”, in Le privatizzazioni delle imprese pubbliche in Italia, a cura di

Laura Ammannati, Milano, 1995.

283 La stessa dottrina costituzionale era poco propensa all’idea di una equiparazione tra diritti di libertà e diritti

sociali. Vedi ad esempio P. Calamandrei, L‟avvenire dei diritti di libertà, oggi in P. Calamandrei, Costituzione e

leggi di Antigone. Scritti e discorsi politici, Firenze, 2004.

284 Vedi, ad esempio, Corte Costituzionale, sentenza n. 404 del 1988, relativa al diritto sociale all’abitazione, e

ordinanza n. 383 del 1988, relativa al diritto alla propria formazione culturale.

285 Sulla inviolabilità dei diritti sociali, vedi A. Baldassarre, Diritti sociali, op. cit., P. Barile, Diritti fondamentali

e garanzie costituzionali: un‟introduzione, in Studi in onore di Leopoldo Elia, Milano, 1999.

76

6.1. Il diritto alle prestazioni di assistenza e previdenza sociale

Per anni, l’esempio più calzante dell’accennata distinzione tra titolarità del diritto e

suo godimento, lo si è potuto riscontrare nel diritto sociale alle prestazioni di assistenza e

previdenza sociale. Innanzitutto, vi è da specificare che tale diritto, in tanto è garantito allo

straniero, in quanto questi abbia una posizione di regolarità sul territorio nazionale. Non è

pertanto ricomprensibile tra quei diritti altrettanto fondamentali che si applicano allo straniero

anche se irregolare o addirittura clandestino.

L’articolo 38 della Costituzione italiana riferisce due postulati fondamentali, uno

legato all’assistenza sociale per tutti i cittadini286

che siano inabili al lavoro e sprovvisti dei

mezzi di sussistenza per vivere, svincolato da qualunque obbligo contributivo a carico del

beneficiario; l’altro legato alla figura del lavoratore, che ha diritto alle tutele di assistenza e

previdenza in caso di infortunio, di malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione, in quanto

si sia adoperato, lui o il suo datore di lavoro, a porre in essere le dovute contribuzioni287

.

Questo secondo aspetto verrà esaminato nella parte relativa al diritto al lavoro. Ci si limiterà

pertanto, in questa sede, ad alcune considerazioni inerenti il primo principio.

Fino all’inizio dello scorso anno, al cittadino extracomunitario invalido civile e

regolarmente soggiornante sul territorio nazionale, era riconosciuta la titolarità della pensione

di invalidità, ma non altrettanto l’elargizione della rispettiva pensione, subordinata,

quest’ultima, al possesso della carta di soggiorno, ora permesso di soggiorno CE per

soggiornanti di lungo periodo. La Corte costituzionale intervenne sulla materia svariate volte,

con orientamenti non sempre coerenti, anzi addirittura discordanti. In una delle sue prime

sentenze, la n. 324/2006, dichiarava inammissibile il ricorso con cui era stata eccepita

l’illegittimità costituzionale della legge finanziaria del 2001288

e del decreto legislativo n.

286 Qui da intendersi, come dottrina e giurisprudenza costanti hanno sostenuto, in senso estensivo. Poiché si tratta

di un diritto (sociale) fondamentale, il riferimento ai cittadini non produce alcun effetto limitante ad una

estensione di quel diritto agli stranieri.

287 Sulle diversità tra i due principi, vedi sentenze Corte costituzionale nn. 31 del 1986 e 17 del 1995.

288 Art. 80 comma 19, legge n. 388/2000, che così recita: “Ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 25

luglio 1998, n. 286, l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base

alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione

medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali

l'equiparazione con i cittadini italiani è consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso

77

286/1998289

, nella parte in cui tali norme escludevano che la pensione di inabilità (spettante

agli invalidi civili al 100%) potesse essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto

perché questi non erano in possesso della carta di soggiorno290

(ora, come detto, permesso di

soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo) ovvero non risultavano forniti dei requisiti di

reddito necessari ai fini del rilascio dei predetti titoli di soggiorno291

. L’ente erogatore della

pensione, ovvero l’INPS, si vide costretto non solo a limitare la concessione dell’assegno di

invalidità a coloro che fossero titolari di carta di soggiorno, ma si ritenne anche obbligato a

richiedere le somme già versate a titolo di assegno di invalidità a coloro che avevano il solo

permesso di soggiorno, ritenendo che la legge del 2001 potesse applicarsi ex tunc. La

discriminazione che il legislatore della finanziaria aveva operato aveva un doppio risvolto, e

per questo maggiormente inquietante. Infatti, non solo vi era disparità tra cittadino e non

cittadino, ma il diverso trattamento coinvolgeva la stessa categoria degli stranieri, peraltro

regolarmente soggiornanti. Questa palese violazione del principio di uguaglianza sembra che

abbia avuto fine recentemente, grazie all’intervento della Corte costituzionale, la quale è

tornata ad occuparsi della materia292

nel gennaio 2009293

. I giudici costituzionali hanno

di soggiorno di durata non inferiore ad un anno <…>”.

289 Articolo 9.

290 Si ricorda come, antecedentemente alla finanziaria del 2001, l’articolo 41 del testo unico immigrazione

286/1998 (assistenza sociale), prevedeva che gli stranieri titolari di permesso di soggiorno superiore all’anno o

di carta di soggiorno, fossero equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle prestazioni e previdenze

sociali.

291 La carta di soggiorno è quel titolo di soggiorno che veniva rilasciata allo straniero alle seguenti condizioni:

doveva essere regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, doveva essere in

possesso di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, doveva

dimostrare di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari. Questo titolo è stato

sostituito, ai sensi del Decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, dal permesso di soggiorno CE per soggiornanti di

lungo periodo. I requisiti per il suo rilascio sono: possesso di un permesso di soggiorno (non per lungo

soggiorno) da almeno 5 anni, disponibilità di reddito annuale pari almeno all’importo dell’assegno sociale (per il

2009 ammontava ad € 5.317,65), idoneità alloggiativa tale da rientrare nei parametri minimi richiesti dalla

regione per gli alloggi di edilizia pubblica residenziale, comprensiva della idoneità igienico-sanitaria (detta

certificazione può essere infatti rilasciata dall’Ufficio tecnico del Comune di residenza, ovvero dalla Asl di

appartenenza).

292 Si fa presente che la Corte intervenne, con la sentenza 306 del 29 luglio 2008, nella materia relativa alla

concessione della indennità di accompagnamento. Tale giurisprudenza dichiarava l’illegittimità costituzionale

78

finalmente affermato il principio di non discriminazione, rilevando, questa volta,

l’illegittimità delle norme della finanziaria che limitavano l’accesso alle prestazioni

assistenziali ai non titolari di carta di soggiorno: “la subordinazione dell‟attribuzione di tale

prestazione al possesso, da parte dello straniero, di un titolo di soggiorno il cui rilascio

presuppone il godimento di un reddito, rende ancor più evidente l‟intrinseca irragionevolezza

del complesso normativo in scrutinio”. La situazione antecedente all’intervento del giudice

delle leggi rappresentava infatti un circolo vizioso, ovvero un killer loup294

: lo straniero

invalido doveva possedere il permesso di soggiorno CE, per il cui rilascio è necessario avere

un reddito; ma se lo straniero aveva una invalidità al cento per cento, che di fatto lo limitava

nell’espletamento di una attività lavorativa, come poteva essere titolare di una fonte di

guadagno da questa derivante? L’irragionevolezza di tali norme era evidente, tanto che la

Corte le ha dichiarate entrambi incostituzionali, per violazione sia del principio di

uguaglianza, in quanto ai cittadini italiani non è richiesta alcuna fonte reddituale per il rilascio

della pensione di inabilità, sia per violazione dell'articolo 14 della CEDU (principio di non

discriminazione) e dell'articolo 1 del relativo Protocollo addizionale, dai quali scaturisce il

divieto, per lo Stato italiano, di porre in essere norme, aventi ad oggetto prestazioni sociali,

da cui emergano differenze di trattamento basate sulla nazionalità delle persone295

. In virtù

della sentenza de qua, gli enti previdenziali saranno tenuti alla “concessione materiale” della

pensione di inabilità nei confronti dello straniero extracomunitario, qualora questi riesca a

dimostrare, semplicemente, di essere residente in Italia e di avere un permesso di soggiorno

dell’articolo 80, comma 19, della legge finanziari del 2001 e dell’articolo 9 comma 1 del testo unico

immigrazione, come modificato dall’articolo 9 comma 1 della legge 189 del 2002, poi sostituito dal d. lgs. 3 del

2007, nella parte in cui escludevano gli stranieri extracomunitari, non in possesso dei requisiti necessari per il

rilascio della carta di soggiorno (ora permesso CE), dall’indennità di accompagnamento prevista dalla legge 18

del 1980 (articolo 1).

293 Sentenza n. 11 del 14 gennaio 2009.

294 Ci si permette di riportare l’espressione quanto mai azzeccata di B. Pezzini, Lo statuto costituzionale del non

cittadino: i diritti sociali, Relazione al Convegno dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, Cagliari, 16-17

ottobre 2009, pg. 19.

295 Vedi, a tal riguardo, anche le Convenzione OIL del 1949 e del 1973 (n. 47 e n. 143), entrambe ratificate,

rispettivamente, con legge n. 1302/1052 e n. 158/1981, che garantiscono, in materia di sicurezza sociale, parità

di trattamento tra cittadino e straniero qualora questi si trovi regolarmente soggiornante sul territorio, a

prescindere dalla durata della permanenza o dalla fonte reddituale.

79

(non di lungo periodo) da almeno 5 anni.

Con tale sentenza, la Corte Costituzionale sembra aver superato le sue tendenze

risalenti agli anni Settanta296

, con cui non escludeva che vi fossero, di fatto, delle differenze in

ordine al godimento dei diritti fondamentali della persona da parte dello straniero, giustificate

dalla diversa posizione che cittadino e non cittadino avevano nei confronti dello Stato297

.

Si ricorda ancora che, sempre in tema di assistenza e previdenza sociale, quegli stessi

giudici costituzionali sono dovuti nuovamente intervenire su un sistema ancorato alla

disparità di trattamento, questa volta connesso alla gratuità del trasporto pubblico. La Corte

non ha ritenuto legittimo che il beneficio della gratuità del trasporto pubblico, operato dalla

Regione Lombardia, escludesse gli stranieri invalidi totali residenti nel territorio lombardo,

assumendo come parametro discriminatorio il requisito della cittadinanza. Non vi sarebbe

stata, secondo la Consulta, alcuna “razionale causa giustificatrice idonea a spiegare, sul

piano costituzionale, le ragioni poste a base della deroga”, deroga che sarebbe andata contro

lo spirito e la logica di solidarietà sociale caratterizzante il percorso normativo di questo

legislatore regionale.

Da ultimo, occorre ricordare come vi siano delle differenziazioni in merito alla

titolarità sia dell’assegno comunale emesso per i nuclei familiari con almeno tre figli che dei

bonus bebè di 1000 Euro per il secondo figlio: queste prestazioni sono esclusivamente

riservate ai cittadini. Così come sono previste, solo per chi sia titolare di carta di soggiorno, le

prestazioni inerenti l’assegno di maternità, sia statale che comunale. Violazioni anche queste

del principio di uguaglianza? Sembrerebbe proprio di si! Solo un intervento della

giurisprudenza costituzionale potrebbe sciogliere il nodo tra cittadinanza e fruibilità dei sopra

citati diritti di assistenza sociale.

6.2. Il diritto alla salute come corollario del diritto alla vita

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 54 del 1979, definiva come inviolabile sia il

diritto alla vita298

che il diritto alla salute299

, in quanto strumentale al primo. Nella sua doppia

296 Le già citate sentenze nn. 104/1969, 144/1970 e la recente n. 252/2001.

297 Così G. D’Orazio, voce Straniero (condizione giuridica dello): I, in Enc. dir. op. cit., pg. 2.

298 “Senza tuttavia precisarne la specifica copertura costituzionale, anche se questa sembrerebbe doversi

80

articolazione, il diritto alla salute viene garantito, ai sensi dall’articolo 32 della Costituzione

italiana, sia come diritto all’integrità pisco-fisica, cui la dottrina300

e la giurisprudenza301

hanno conferito valore di diritto soggettivo perfetto, sia come diritto alle prestazioni sanitarie,

ovvero come diritto di essere curati302

.

Anche il legislatore nazionale mostra una sensibilità nei riguardi del diritto sociale alla

salute, non solo attraverso le norme del testo unico dell’immigrazione, ma anche con quelle

della Bossi-Fini le quali, nell’inasprimento generale della condizione giuridica dello straniero,

sembra che abbiano lasciate quasi inalterate le condizioni di accesso allo ius de quo.

Le disposizioni in tema di immigrazione forniscono una tutela differenziata del diritto

alla salute, a seconda sia della regolarità o meno dello straniero sul territorio nazionale, sia del

tipo di regolarità. Gli immigrati che soggiornano con un permesso di non breve durata303

,

ricondurre all‟art. 13 Cost. (libertà personale), nel quale andrebbe ricompreso ogni diritto sul proprio corpo e

sulla propria mente (o, se si vuole, sulla propria essenza spirituale), incluso quello all‟esistenza degli stessi”, A.

Baldassarre, Diritti sociali, in Enc. giur. op. cit. pg. 27. Mentre Giustino D’Orazio, a proposito della tutela del

diritto alla vita, prende in considerazione, come riferimento costituzionale, l’articolo 27, quarto comma, Cost. it.,

ovvero il divieto costituzionale alla pena di morte, in relazione agli artt. 2 e 3 della Costituzione stessa. Diritto

alla vita che, seguendo detto orientamento, sarebbe probabilmente violato ogni volta che uno Stato respinga

clandestini, senza accertamenti sulla democraticità dello Stato in cui questi vengono inoltrati, sia esso Stato di

provenienza che Stato di accoglienza.

299 Sentenze n. 88/1979 e n. 561/1987, le quali hanno definito il diritto alla salute, dal punto di vista “della difesa

dell‟integrità psico - fisica della persona umana di fronte alle aggressioni o alle condotte comunque lesive di

terzi” , come diritto inviolabile.

300 A. Baldassarre, Diritti sociali, in Enc. Giur., op. cit.,afferma che “il bene protetto dalla norma costituzionale

è […] - almeno potenzialmente ed in astratto - già proprio del beneficiario del relativo diritto, e non ha quindi

bisogno dell‟intervento del legislatore come unica condizione di tutela […]. La norma di cui all‟art. 32 va

pertanto ritenuta sicuramente applicabile: da essa nascono, in capo ai singoli, diritti soggettivi perfetti aventi ad

oggetto il bene salute, direttamente azionabili dinanzi all‟autorità giudiziaria”

301 Sentenze Corte Costituzionale n. 247 del 1974 e n. 88 del 1979, cit.

302 Vedi sentenza Corte costituzionale n. 992 del 1988, in cui il diritto alla salute viene considerato come un

“diritto primario e fondamentale che […] impone piena ed esaustiva tutela”, nonché sentenza n. 445 del 1990,

in cui la Corte ha affermato che il diritto ai trattamenti sanitari, ovvero “il diritto ad ottenere le prestazioni

sanitarie dal Servizio Sanitario Nazionale”, è un diritto fondamentale di ogni persona, seppur con il limite del

bilanciamento (vagliato dal legislatore) di tale diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti.

303 Stranieri che siano dunque titolari, o in attesa di rinnovo, del permesso di soggiorno per motivi di lavoro,

attesa occupazione, attesa adozione, motivi familiari, affidamento, acquisto cittadinanza, minori inespellibili,

81

nonché i familiari a loro carico304

godono di "parità di trattamento e piena uguaglianza di

diritti e doveri rispetto ai cittadini" : è pertanto obbligatoria l’iscrizione al Servizio Sanitario

Nazionale. Gli stranieri invece di cui all’art. 34, commi 3 e 4305

, del testo unico immigrazione,

possono iscriversi volontariamente al Servizio Sanitario Nazionale ovvero stipulare una

polizza assicurativa privata306

. Un posto a parte occupano gli stranieri irregolarmente o

clandestinamente presenti sul territorio nazionale. A questi viene in ogni caso riconosciuto, ai

sensi dell’art. 35, comma 3, del testo unico dell’immigrazione, il diritto alle "cure

ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per

malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva"307

. Anche la

gravidanza o puerperio.

304 Di cui all’articolo 34, comma 1 lettera a) e b) e comma 2, del testo unico dell’immigrazione.

305 “Lo straniero regolarmente soggiornate, non rientrante tra le categorie indicate nei commi 1 e 2 è tenuto ad

assicurarsi contro il rischio di malattie, infortunio e maternità mediante stipula di apposita polizza assicurativa

con un istituto assicurativo italiano o straniero, valida sul territorio nazionale, ovvero mediante iscrizione al

servizio sanitario nazionale valida anche per i familiari a carico. Per l‟iscrizione al servizio sanitario nazionale

deve essere corrisposto a titolo di partecipazione alle spese un contributo annuale, di importo percentuale pari

a quello previsto per i cittadini italiani, sul reddito complessivo conseguito nell‟anno precedente in Italia e

all‟estero. L‟ammontare del contributo è determinato con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il

Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e non può essere inferiore al contributo

minimo previsto dalle norme vigenti. L‟iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale può essere altresì

richiesta: a) dagli stranieri soggiornanti in Italia titolari di permesso di soggiorno per motivi di studio;b) dagli

stranieri regolarmente soggiornanti collocati alla pari, ai sensi dell‟accordo europeo sul collocamento alla

pari, adottato a Strasburgo il 24 novembre 1969, ratificato e reso esecutivo ai sensi della legge 18 maggio 1973,

n. 304”. Si ricorda, come si dirà più avanti, che il d. lgs. 160 del 2008 del 3 ottobre (Modifiche ed integrazioni

al decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5, recante attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di

ricongiungimento familiare) abbia esteso l’obbligo dell’iscrizione volontaria ai genitori ultrasessantacinquenni

ricongiunti.

306 Ancora diverso ancora è il caso in cui uno straniero faccia ingresso in Italia per cure mediche. L'articolo 36

del testo unico dell’immigrazione prevede, infatti, che “lo straniero che intende ricevere cure mediche in Italia e

l'eventuale accompagnatore possono ottenere uno specifico visto di ingresso ed il relativo permesso di

soggiorno”, previa istanza e versamento cauzionale.

307 Si ricorda che il regolamento di attuazione del testo unico dell’immigrazione ha predisposto, ed è tuttora

valido, l’utilizzazione del c.d. STP (stranieri temporaneamente presenti), ovvero di un tesserino rilasciato dalle

Asl e valido su tutto il territorio italiano, attraverso cui lo straniero irregolare può accedere alle cure mediche

82

giurisprudenza concorda con il legislatore nel ritenere che lo straniero regolare ed il cittadino

sono perfettamente uguali nelle tutela del diritto alla salute, mentre allo straniero irregolare va

comunque garantito quel “nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla

Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana”308

. L’intervento della Corte è stato

indispensabile per la individuazione del criterio attraverso il quale è possibile far rientrare le

prestazioni sanitarie tra quelle urgenti ed essenziali di cui all’art. 35, comma 3, del testo unico

dell’immigrazione309

. La sentenza n. 252 del 2001 ha infatti affermato che il riconoscimento

delle prestazioni sanitarie urgenti debba essere effettuato con riferimento al reale e concreto

stato di salute del soggetto, dunque attraverso una valutazione caso per caso, frutto di un

apprezzamento prudente dei sanitari310

. Tale decisione ha un valore straordinario nel

paradigma dei diritti dello straniero, in particolare di quel diritto alla salute costituzionalmente

garantito dagli articolo 2 e 32, perché definisce, con estrema puntualità, come quel diritto

spetti a tutti, cittadini e stranieri, e, per questi ultimi, indipendentemente dalla loro regolarità

sul territorio nazionale.

presso le aziende sanitarie.

308 Vedi sentenze n. 185 del 1998, n. 309 del 1999, e n. 509 del 2000.

309 Per il rapporto tra diritto alla salute e cittadinanza sociale, con particolare riguardo alla sentenza de qua, vedi

Andrea Patroni Griffi, La cittadinanza sociale e il diritto alla salute degli stranieri: alcune considerazioni, in

www.filodiritto.com/diritto/pubblico/costituzionale/cittadinanzasocialepatronigriffi.htm.

310 Si ricorda come la Corte sia stata attenta a precisare che il sistema della valutazione medica caso per caso sia

necessario anche in sede di convalida di un procedimento di allontanamento, nello specifico di una espulsione, in

quanto non si può, a detta della Corte, procedere ad una espulsione senza che prima si sia accertato che quella

espulsione non vada a pregiudicare irreparabilmente lo stato di salute dell’espellendo. Il ricorso di legittimità

aveva infatti ad oggetto il caso di uno straniero sottoposto a procedimento di espulsione, che era entrato in

situazione di irregolarità al fine di ottenere, in Italia, la sostituzione di una protesi al piede che gli era stato

amputato, con la consapevolezza che questa stessa prestazione sanitaria era impossibile averla nel proprio Paese

di origine. La Corte, pur dichiarando infondata la questione di legittimità, ha comunque affermato, in primo

luogo, che il diritto alla salute non può incidere sul suo nucleo essenziale, "irriducibile […] come ambito

inviolabile della dignità umana"; in secondo luogo, che comunque è inespellibile lo straniero che sia entrato

irregolarmente sul territorio nazionale per avere delle cure mediche non disponibili nel suo Paese di origine; in

terzo luogo, che l’elencazione delle prestazioni di cui all’articolo 35, 3 comma, del testo unico immigrazione,

“non può ritenersi esaustiva degli interventi sanitari da assicurare comunque al soggetto che si trovi, a

qualsiasi titolo, nel territorio dello Stato”. Per approfondimenti su tale decisione, vedi il commento di A.

Algostino, Espulsione dello straniero e tutela del diritto alla salute: spetta al giudice decidere caso per caso, in

Giur.it. 2002.

83

In virtù di quanto affermato dalla Corte, non si può non fare riferimento ad alcune

novità legislative che stavano per stravolgere l’assetto della disciplina giuridica

dell’immigrazione, nonché i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale. Ci si

riferisce alla legge in materia di sicurezza pubblica 94 del 2009311

che, nella prima versione

approvata al Senato - AC2180, aveva previsto l’obbligo di segnalazione, alle autorità

competenti, dello straniero irregolare che faceva accesso alle strutture sanitarie.

Fortunatamente, tale norma venne poi stralciata nel testo definitivo. L’importanza del divieto

di segnalazione, previsto dall’articolo 35, comma 5312

, del testo unico dell’immigrazione, è

stata ben sottolineata non solo dalla giurisprudenza costituzionale che, nella citata sentenza

252 del 2001, affermava che“il comma 5 dello stesso articolo 35, proprio allo scopo di

tutelare il diritto alla salute dello straniero comunque presente nel territorio dello Stato,

prevede che “l‟accesso alle strutture sanitarie […] non può comportare alcun tipo di

segnalazione all‟autorità, salvo i casi in ci sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni

con il cittadino italiano”, disposizione che conferma il favor per la salute della persona che

connota tutta la disciplina in materia”, ma anche dalle numerose associazioni che si erano

mobilitate per evitare che, con la soppressione dell’articolo 5 del testo unico

dell’immigrazione, si potesse provocare una “pericolosa marginalizzazione sanitaria di una

fetta della popolazione straniera presente sul territorio, anche aumentando i fattori di rischio

per la salute collettiva”313

.

311 Legge 15 luglio 2009, n. 94 - "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica".

312 “L‟accesso alla strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può

comportare alcun tipo di segnalazione all‟autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di

condizioni con il cittadino italiano”.

313 Testo dell’appello ai Parlamentari - Divieto di segnalazione. Siamo medici e infermieri, non spie - di Medici

Senza Frontiere, Asgi, Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, Osservatorio Italiano sulla Salute Globale,

su www.medicisenzafrontiere.it. Si legge nel testo, a proposito dell’abrogazione del comma 5 dell’articolo 35

testo unico immigrazione, che “La cancellazione di questo comma vanificherebbe inoltre un‟impostazione che

nei 13 anni di applicazione ha prodotto importanti successi nella tutela sanitaria degli stranieri testimoniato, ad

esempio, dalla riduzione dell‟Aids, dalla stabilizzazione di quelli relativi alla Tubercolosi, dalla riduzione degli

esiti sfavorevoli negli indicatori materno infantili (basso peso alla nascita, mortalità perinatale e neonatale …).

E tutto questo con evidente effetto sul contenimento dei costi, in quanto l‟utilizzo tempestivo e appropriato dei

servizi (quando non sia impedito da problemi di accessibilità) si dimostra non solo più efficace, ma anche più

“efficiente” in termini di economia sanitaria”. La soppressione del comma 5 dell’articolo 35 avrebbe provocato,

84

L’introduzione del reato di clandestinità, ad opera del pacchetto sicurezza del 2009, ha

poi creato ulteriori difficoltà interpretative, sia in relazione all’articolo 6, comma 2, del testo

unico immigrazione (divieto di esibire il permesso di soggiorno per l’accesso alle prestazioni

sanitarie urgenti ed essenziali, di cui all’articolo 35), sia in merito allo stesso articolo 35 del

testo unico immigrazione. Il chiarimento è arrivato a mezzo di una circolare del Ministero

dell’Interno, firmata dal Capo Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione314

, con cui,

da un lato, si mantiene operativo il divieto di segnalare alle autorità lo straniero irregolare che

acceda alle cure mediche, nonostante l’introduzione della legge 94 del 2009, e dall’altro, si

specifica che non è richiesta l’esibizione dei documenti per le prestazioni di cui all’articolo 35

del testo unico immigrazione, come espressamente previsto dall’articolo 6, comma 2, del testo

unico immigrazione, così come modificato dalla legge del 2009.

Sembra salvo, per ora, il diritto alla salute dei cittadini immigrati che versano in una

condizione di irregolarità. Ma, ci si chiede, per quanto tempo? La libertà e l’autonomia del

legislatore nazionale in materia di immigrazione è molto ampia. Il criterio di ragionevolezza,

che dovrebbe accompagnare ogni attività legislativa, non sempre funziona. Le risposte della

Corte costituzionale non sempre sono espressione di garanzia dello statuto dei diritti del non

cittadino. Il contesto socio-politico come quello attuale, dove la lotta alla clandestinità sembra

occupare il primo posto nelle politiche migratorie, e dove il Governo, a voce del suo

Presidente del Consiglio, parla di criminalità come sinonimo di clandestinità, non fa ben

sperare, tanto che le preoccupazioni su accennate diventano maggiormente inquietanti. Il

binomio criminalità – clandestinità sembra peraltro essere falso, come testimonia il rapporto

Caritas-Migrantes315

. Tra i diversi approfondimenti condotti dal Dossier, uno ha riguardato

proprio il legame tra criminalità e immigrazione, rilevando, in primo luogo, che l’aumento

della criminalità non è proporzionale all’aumento della popolazione straniera residente; in

secondo luogo, che il tasso di criminalità degli stranieri sia solo leggermente più alto di quello

inoltre, la fuga dalle prestazioni sanitarie per paura di segnalazione, con evidenti ripercussioni sulla salute

pubblica collettiva, l’aumento dei costi per le prestazioni di pronto soccorso, il favoreggiamento alla creazione di

strutture pseudo sanitarie parallele.

314 Circolare n. 12 del 27 novembre 2009 con oggetto : “Assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti al

Servizio Sanitario Nazionale. Divieto di segnalazione degli stranieri non in regola con le norme sul soggiorno.

Sussistenza”.

315 Dossier Statistico Immigrazione Caritas - Migrantes 2009, Caritas Italiana - Fondazione Migrantes - Caritas

diocesiana di Roma, Edizioni Idos, Ottobre 2009.

85

degli italiani (tra l’1,23 % e l’1,4% contro lo 0,75%); in terzo luogo, che il coinvolgimento

degli immigrati nei reati riguarda sostanzialmente la condizione di irregolarità a seguito

dell’introduzione del reato di clandestinità: il reato commesso da 4 stranieri su 5 (87,2%) ha a

che vedere, infatti, con la violazione della legge sull’immigrazione.

6.3. Il lavoro nella sua doppia veste di diritto al lavoro e di diritti del lavoratore. Quale

tutela per il lavoratore straniero?

La Costituzione repubblicana riconosce una tutela del lavoro, sia come diritto al lavoro

che come diritti del soggetto lavoratore. Nella sua prima accezione, l’articolo 4 Cost. it. non

raffigura più un diritto ad avere un posto di lavoro e a conservarlo, così come era nell’ottica

delle forze politiche comuniste e socialiste dei primi anni della Repubblica. Del resto, anche

la Corte costituzionale, nel 1965316

, negava l’esistenza di un diritto soggettivo al

conseguimento ovvero al mantenimento del posto di lavoro. Presenta, invece, elementi di

attualità quella diversa visione del diritto al lavoro come garanzia sociale, ispirata alle

ideologie giacobine della fine del 1700, ed espressione di quegli orientamenti politici

socialdemocratici che portarono avanti in Europa il sistema di garanzie e di tutele sociali a

fondamento del welfare state. In quest’ottica, il diritto al lavoro di cui all’articolo 4 Cost. it.,

si identifica con il principio “diretto a costituire una fonte di doveri per tutti i pubblici poteri

(compreso il legislatore) e per la collettività intera affinché creino le condizioni per

assicurare a ogni persona lo svolgimento di un‟un attività lavorativa che le permetta di vivere

una vita dignitosa”317

.

Nel suo secondo significato, il diritto al lavoro è l’espressione dei diritti del lavoratore,

cui la Costituzione, all’articolo 36, prescrive una serie di tutele, quali una retribuzione

sufficiente e proporzionata, una riserva di legge in materia di durata massima lavorativa, un

diritto al riposo settimanale e ferie annuali. Se appare pacifico, sia in dottrina che in

giurisprudenza, che tali garanzie debbono estendersi anche al lavoratore straniero, finanche

irregolare, al fine di tutelare il lavoro “in tutte le sue forme”, così come è sancito dall’articolo

35 Cost. it., maggiori perplessità emergono in merito al diritto sociale al lavoro di cui

all’articolo 4 Cost. it, ovvero in tutti quei casi in cui si parli di accesso al lavoro. Ed è su

316

Sentenza n. 45 del 1965.

317 A. Baldassarre, Diritti sociali, in Enc .Giur. , op. cit. pg. 14.

86

questo ultimo aspetto che ci si soffermerà maggiormente, in quanto rappresenta uno di quegli

elementi di criticità della nostra legislazione che ancora non ha trovato, sembra, una

soluzione.

Sul primo punto, ci si limita a fare qualche breve considerazione. Innanzitutto, con

riguardo a quelle Convenzioni internazionali che sancirono la parità di trattamento di tutti i

lavoratori, a prescindere da qualunque rapporto con la categoria della cittadinanza. Ci si

riferisce sia alle due Convenzioni OIL in materia di parità di trattamento del lavoratore

migrante, rispettivamente n. 97 del 1949 e n. 143 del 1975 sia, in sede ONU, al Patto sui

diritti economici, sociali e culturali del 1966 e alla Convenzione ONU del 18 dicembre 1990,

entrambi finalizzati non solo al riconoscimento dell’eguale trattamento dei lavoratori, ma

anche degli uguali diritti fondamentali della persona del lavoratore migrante, quali la libertà di

religione, la libertà di lasciare il proprio o qualunque altro Paese, la libertà di opinione e di

espressione, la libertà sindacale e associativa. In particolare, il recepimento della Convenzione

OIL del 1975 ha costituito l’avvio, per il nostro Paese, di quelle politiche legislative in

materia di trattamento dei lavoratori stranieri, a partire dalla legge 943 del 1986318

, di cui si

parlerà specificamente nei capitoli successivi.

Vi è da notare che le modificazioni apportate, negli anni, alla disciplina

dell’immigrazione, non sempre hanno agito nel rispetto del principio di uguaglianza nei

riguardi della condizione del lavoratore straniero. Un esempio di disuguaglianza, infatti,

potrebbe essere ravvisato nel mutamento del regime degli oneri contributivi qualora lo

straniero faccia rientro nel Paese di origine. L’articolo 8, comma 5, della legge 943 prevedeva

che “in caso di rimpatrio il lavoratore extracomunitario conserva i diritti previdenziali e di

sicurezza sociale maturati e può goderne indipendentemente dalla vigenza di un accordo di

reciprocità”. Il testo unico per l’immigrazione manteneva sostanzialmente inalterata questa

impostazione, aggiungendo solamente la possibilità che lo straniero potesse richiedere il

rimborso della contribuzione versata, maggiorata del 5%. La legge di riforma del 2002 ha

invece ridimensionato la posizione del lavoratore straniero, eliminando la previsione della

liquidazione anticipata della contribuzione, e, nel caso in cui lo straniero volesse far rientro

nella propria nazione, il godimento dei diritti previdenziali viene fissato al compimento dei

sessantacinque anni di età. Restano immutati, invece, sia la titolarità che il godimento, da

318

Recante “Norme in materia di collocamento e di trattamento del lavoratori extracomunitari e contro le

immigrazioni clandestine”.

87

parte del lavoratore extracomunitario, di alcuni dei diritti attinenti la sicurezza sociale:

dall’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro alle malattie professionali, dall’assicurazione

per malattia e per maternità alle detrazioni anche per i figli a carico che risiedono all’estero.

Diversa è la posizione del lavoratore extracomunitario stagionale, il quale non può usufruire

né dell’assegno di disoccupazione né di quello per il nucleo familiare319

: qui vige una sorta di

sistema delle tutele ridotte, che importa un’ampia discriminazione all’interno della categoria

dei lavoratori, separando nettamente gli stagionali da tutti gli altri.

Spostando ora la trattazione sulla parte che qui più interessa, si rilevano delle difficoltà

in merito alla titolarità, in capo allo straniero extracomunitario, del diritto sociale al lavoro di

cui all’articolo 4 Cost. it. Non sembra essere di aiuto neanche la giurisprudenza

costituzionale, che anzi si adopera per una interpretazione dell’articolo 4 Cost. it. fondata su

fattori di diseguaglianza tra cives e nec cives. In una delle sue storiche sentenze, la 144 del

1970, la Corte costituzionale, se da un lato affermava che “può ormai ritenersi pacifico” che

cittadino e straniero siano in una posizione eguale di fronte ai diritti inviolabili, dall’altro

sosteneva che tra gli stessi, “nel campo dell‟assunzione al lavoro, non v‟è dubbio che esistono

delle differenze sostanziali, perché, mentre il primo è inserito nel sistema di avviamento al

lavoro predisposto, in conformità dell‟art. 4 Cost., dalle leggi che prescrivono l‟iscrizione

presso gli uffici di collocamento e regolano l‟assorbimento delle forze non occupate, il

secondo non entra nel giuoco di questa normativa se non quando, avendo chiesto il visto […]

per l‟ingresso nel nostro Paese […] ha ottenuto il relativo consenso, che può essergli

concesso solo se non vi siano lavoratori nazionali idonei per il posto che chiede”. Tale

decisione sembra del resto in linea con gli orientamenti di quella stessa giurisprudenza320

,

secondo cui era possibile operare delle differenziazioni tra la posizione giuridica del cittadino

e dello straniero anche nel godimento dei diritti costituzionalmente garantiti, quando si tratta

di diversificazioni ritenute ragionevoli “entro i limiti della specificità della condizione dello

straniero”321

. A distanza di anni, il giudice delle leggi riprende le mosse dalla sua vecchia

319 Si ricorda come l’assegno per il nucleo familiare spettante al lavoratore extracomunitario non stagionale sia

limitato ai soli familiari residenti sul territorio nazionale.

320 Vedi sentenza 104 del 1969, già citata, in cui la Corte interpreta il principio di uguaglianza alla luce del

principio di ragionevolezza che giustificherebbero eventuali disparità di trattamento.

321 E. Grosso, Straniero (status costituzionale dello), in Dig. disc. pubbl. op. cit. pg 173.

88

decisione. Nel 1988, con la sentenza 454322

, continua a sostenere che solamente gli stranieri

che hanno un’autorizzazione al lavoro subordinato stabile, con un permesso rilasciato per

motivi di lavoro ovvero altro titolo di soggiorno che gli permetta di accedere al lavoro, hanno

la stessa parità di trattamento con i lavoratori italiani. Il punto focale si ravvisa, dunque,

nell’accesso al lavoro. Quando questo si è compiuto, allora spunta l’uguaglianza come

principio che assicura la parità di trattamento tra cittadino e straniero. Una parte della dottrina,

a ragione ci si permette di dire, contesta la facoltà conferita al legislatore di porre in essere

alcune differenziazioni tra cittadini e non cittadini per ciò che attiene l’accesso al lavoro, in

nome di una valutazione improntata alla ragionevolezza. Tale orientamento dottrinario legge

quelle differenziazioni come costanti violazioni del diritto di uguaglianza, le quali sarebbero

legittime solo se vi fosse l’esigenza di tutelare un interesse che sia ad esse prevalente e

rilevante da un punto di vista costituzionale323

.

Il delicatissimo tema del diritto al lavoro, sotto questo specifico profilo, va

necessariamente ad intersecarsi con il regime degli ingressi degli stranieri sul territorio

nazionale, in particolare con l’attuale contratto di soggiorno (di cui se ne parlerà nella parte

dello scritto relativa alla legislazione nazionale) che, probabilmente, non rappresenta la

massima garanzia del principio di uguaglianza; la previsione di una siffatta forma

contrattuale, costituisce proprio un elemento di diversità tra lavoratore autoctono e non, visto

che solamente il secondo vi è tenuto. Se, dunque, l’accesso al lavoro è libero per i cittadini

italiani, i quali si orientano in un libero mercato del lavoro caratterizzato dall’incontro tra

domanda ed offerta, così non vale per gli stranieri, i quali devono sottostare al regime dei

flussi di ingresso e ad una autorizzazione ad hoc che consente loro di accedere al lavoro324

.

322 Ma anche nella recente sentenza n. 206 del 2006.

323 E. Cannizzaro, L‟assunzione dei lavoratori stranieri: aspetti costituzionali, in G. Gaja (a cura di), I lavoratori

stranieri in Italia, il Mulino, Bologna, 1953, pg 66. Sulle critiche mosse al pensiero dell’autore, vedi M.

Cuniberti, Il problema della qualificazione giuridica della cittadinanza, op.cit. pg. 349, nota 39.

324 M. Cuniberti, Il problema della qualificazione giuridica della cittadinanza, op. cit. pg. 358 e ss, sostiene, in

un contesto in cui era attuativa, si badi bene, ancora la legge 39 del 1990, che vi sarebbe un trattamento

differenziato anche tra lo straniero che entra per motivi di lavoro, il quale sarebbe sottoposto alla

programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro e alla relativa verifica dell’indisponibilità di

manodopera nazionale, e lo straniero che, entrando nel nostro Paese per altri motivi, in quanto già regolarmente

soggiornante, avrebbe la possibilità di accedere al lavoro liberamente. In questo modo, secondo l’autore,

“verrebbe ad essere stravolto lo stesso principio in base al quale si ammette, come condizione per l‟accesso al

89

Tale differenziazione sarebbe oltremodo legittima, secondo parte della dottrina325

, in quanto

giustificata “da esigenze ragionevoli, quali quelle di evitare, in un mercato del lavoro dalle

potenzialità non certo illimitate, che un accesso al lavoro riconosciuto indiscriminatamente

possa ripercuotersi in senso sfavorevole per le possibilità di occupazione degli stessi cittadini

italiani”. Dimentica forse, questa parte di letteratura giuspubblicistica, che il mercato del

lavoro “occupato” dai cittadini stranieri non sembra pregiudicare la realtà occupazionale degli

italiani. Lavori spesso umili e indecorosi costituiscono la fonte primaria di reddito del

lavoratore straniero. Sarebbe difficile trovare un cittadino italiano disposto a svolgere quelle

stesse attività lavorative, non qualificate né qualificanti. I due mercati, quello del lavoratore

straniero e quello del lavoratore italiano, pertanto, sembrano essere paralleli, senza nessun

punto di intersezione!

Il profilo ora evidenziato appare ancor più interessante, se si considera che l’intera

disciplina italiana dell’immigrazione è incentrata proprio su quel necessario legame tra

ingresso regolare e disponibilità di un lavoro. La legge del 2002, infatti, come si vedrà più

avanti, ha di fatto escluso tutte quelle modalità di accesso sul territorio alternative al lavoro,

come ad esempio il vecchio istituto della sponsorizzazione.

Dalla lettura di quanto sopra emergono due considerazioni. Ci si accorge,

innanzitutto, di come l’istituto della cittadinanza rappresenti un fattore di diseguaglianza

quando si agisce sulla libertà di accesso al lavoro, negata allo straniero ma concessa

all’italiano. In secondo luogo, ci si rende conto del fatto che le limitazioni alla libertà di

accesso al lavoro, valgono, nella realtà quotidiana, solamente per gli stranieri regolari e non

anche per gli irregolari o i clandestini. Non è una novità, infatti, che l’assetto economico del

nostro paese si sostenti con il lavoro nero che, oggi, è un lavoro nero straniero. La scarsità di

manodopera italiana, in determinati settori dell’economia nazionale, alimenta la richiesta di

lavoratori stranieri irregolari. Qui vige un sistema di libero mercato, di naturale scambio tra

lavoro, l‟accertamento dell‟indisponibilità di manodopera nazionale e, con esso, lo stesso principio della

programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro”. Cuniberti prevede, come soluzione a tale disparità

di trattamento, che vengano applicate, anche allo straniero che sia entrato per altri e diversi motivi dal lavoro,

quelle modalità di accesso al lavoro che fanno capo agli stranieri che si trovano all’estero, ovvero quello stesso

accertamento dell’indisponibilità di manodopera nazionale, con la sola esclusione, tra l’altro, di coloro che hanno

fatto ingresso in Italia per “motivi di rilevanza costituzionale”, in particolare studio e famiglia.

325 M. Cuniberti, Il problema della qualificazione giuridica della cittadinanza, op. cit., pg. 349.

90

domanda ed offerta di lavoro, di piena libertà di scelta del lavoratore straniero di accedere o

meno alle diverse tipologie di lavoro, seppur con tutte le problematiche attinenti allo

sfruttamento del lavoro nero, ma questo è un discorso a parte. Le politiche non solo

migratorie dovrebbero allora partire dal basso per poter auspicare ad un buon funzionamento.

Iniziare non dalla lotta alla clandestinità, ma dalla lotta al lavoro nero. E vi è differenza, in

quanto non si agirebbe su soggetti stranieri, ma su cittadini italiani che sfruttano e abusano

degli immigrati per diminuire i costi di produzione ed aumentare i profitti. Certo, sarebbe un

Governo coraggioso quello che non si accanisce più contro l’immigrato, ma contro il cittadino

che approfitta dell’immigrato: ma la perdita del consenso popolare sarebbe una conseguenza

forse troppo gravosa!

6.4. Il diritto all‟abitazione: il possesso della casa come requisito di ingresso e di

permanenza sul territorio nazionale e l‟accesso all‟edilizia residenziale pubblica

Il diritto alla casa assume, per lo straniero, una rilevanza quanto mai fondamentale a

fronte delle nuove discipline sull’immigrazione che richiedono, come requisito di ingresso e

di permanenza sul territorio nazionale, la disponibilità di un alloggio adeguato, cioè conforme

alle norme sull’edilizia pubblica residenziale.

A livello costituzionale si riscontra una evidente lacuna, in quanto non vi è alcuna

espressa indicazione del diritto all’abitazione. Ha sopperito, però, la giurisprudenza

costituzionale, che ha collocato tale diritto non solo tra diritti sociali ma anche tra quelli

inviolabili326

. In particolare, la sentenza n. 404 del 1988327

individuava in quella collocazione

“un connotato della forma costituzionale di Stato sociale voluto dalla Costituzione”, mentre,

la sentenza n. 559 del 1989 propendeva per una visione del diritto all’abitazione come

326 La giurisprudenza costituzionale degli anni Ottanta (vedi sentenza n. 252 del 1983), in verità, non aveva

ancora preso posizione in merito al rapporto tra diritto all’abitazione e diritti inviolabili, lasciando “in ombra la

qualificazione di tale diritto (“a non perdere il tetto) rispetto all‟articolo 2 Cost.”, in G. D’Orazio, Lo straniero

nella Costituzione italiana: asilo, condizione giuridica, estradizione, op. cit., pg. 267.

327 Ma anche la sentenza n. 217 del 1988, della Corte Costituzionale, faceva rientrare il diritto all’abitazione tra i

diritti sociali fondamentali, riconoscendo, in capo al giovane lavoratore subordinato, il diritto all’acquisto della

prima casa, e collegando quel diritto al valore della dignità umana: “Contribuire a che la vita di ogni persona

rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l‟immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato

non può abdicare in nessun caso”.

91

un’estensione del diritto della famiglia.

Sul piano internazionale, non vi sono dubbi nel ritenere che il diritto alla casa sia un

diritto sociale fondamentale, estensibile anche agli stranieri. La Dichiarazione universale dei

diritti dell’uomo ed il Patto sui diritti economici, sociali e culturali hanno, infatti, qualificato

l’abitazione come diritto inviolabile dell’uomo328

, mentre la Convenzione OIL n. 97 obbliga

“tutti gli Stati a riconoscere ai lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti un trattamento

non meno favorevole dei cittadini nell‟accesso all‟alloggio”329

.

Nella dimensione nazionale, come si è anticipato, il diritto alla casa si insinua in quel

sistema regolatore dell’immigrazione che vuole legare l’ingresso ed il soggiorno dello

straniero sul territorio italiano ad una condizione alloggiativa adeguata. Questa diviene

conditio sine qua non per il rilascio del primo permesso di soggiorno per motivi di lavoro: qui

l’onere del reperimento dell’alloggio grava sul datore di lavoro330

, il quale, nel tanto discusso

contratto di soggiorno, deve assumersi la responsabilità che lo straniero abbia un’abitazione

che risponda ai parametri indicati dall’edilizia residenziale pubblica. Il possesso di una casa è

anche il requisito richiesto dal legislatore nazionale per il rilascio del permesso di soggiorno

per lavoro autonomo331

, così come quello per ricongiunzione familiare332

, per cure mediche333

e anche per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (la vecchia carta di

soggiorno)334

.

Per quanto riguarda, invece, la posizione dello straniero in merito all’accesso

all’edilizia residenziale pubblica, la dottrina e la giurisprudenza hanno riscontrato delle

problematiche legate a presunte violazioni del principio di uguaglianza. Si procede all’analisi

di questa fattispecie, facendo un passo indietro. La legge 40 del 1998335

aveva superato le

328 Si ricorda che gli articoli 25 della Dichiarazione universale ed 11 del Patto economico furono il presupposto

giuridico per l’orientamento giurisprudenziale emerso dalla sentenza 404 del 1988 citata.

329 Così articolo 6 lettera a) della Convenzione OIL n. 97

330 Articolo 5 bis, comma 1, del testo unico immigrazione.

331 Articolo 22 e 26 del testo unico immigrazione.

332 Articolo 29 e 29 bis del testo unico immigrazione.

333 Articolo 36 del testo unico immigrazione.

334 Articolo 9 del testo unico immigrazione.

335Recante norme sulla “Disciplina dell‟immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero”,

articolo 38.

92

disposizioni del d.p.r. 655 del 1964336

, consentendo l’assegnazione di alloggi residenziali

popolari allo straniero regolarmente soggiornante. Disponeva infatti la legge 40, non solo che

“lo straniero regolarmente soggiornante può accedere ad alloggi sociali, collettivi o privati,

predisposti, secondo i criteri previsti dalle leggi regionali, dai comuni di maggiore

insediamento degli stranieri o da associazioni, fondazioni o associazioni di

volontariato,ovvero da altri enti pubblici o privati” ma anche che “gli stranieri titolari di

carta di soggiorno e gli stranieri regolarmente soggiornanti che siano iscritti nelle liste di

collocamento o che esercitino una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro

autonomo hanno diritto di accedere, in condizione di parità con i cittadini italiani, agli

alloggi di edilizia residenziale pubblica”. L’ articolo 40 del testo unico immigrazione aveva

successivamente inserito alcune modificazioni di rilievo, indirizzate a favorire maggiormente

lo straniero nell’accesso a quel tipo di prestazione. In particolare aveva previsto, come

requisito necessario per accedere agli alloggi popolari, la sola regolarità dello straniero sul

territorio nazionale. La novella del 2002 ha invece ristretto, ancora una volta, i campi. Ai

sensi del nuovo articolo 40 del testo unico immigrazione, possono accedere all’edilizia

residenziale pubblica solamente gli stranieri che siano almeno titolari di un permesso di

soggiorno di durata biennale. Ciò è in contrasto, tra l’altro, con la già citata Convenzione OIL

n. 97, che non pone alcun limite a quell’accesso, sia in ordine al reddito che all’anzianità

ovvero al possesso di un titolo di soggiorno che abbia una durata particolare. Le previsioni di

cui all’articolo 40 novellato sono, poi, ancor più gravose per lo straniero, se si inquadrano in

quel sistema che prevede la necessaria disponibilità di un alloggio per l’ottenimento del titolo

di soggiorno.

La “conquista” di un alloggio residenziale pubblico da parte dell’immigrato, è ancor

più difficoltosa se si considera che alcuni bandi indetti dai Comuni italiani fissano principi di

natura discriminatoria. Ci si riferisce, in particolare, a quelli pubblicati dal Comune di Milano

e di Torino, cui sono seguite delle impugnative presso le rispettive giurisdizioni sia ordinarie

che amministrative. Le contestazioni vertevano, sostanzialmente, sul requisito della residenza

di lungo periodo richiesta allo straniero affinché potesse partecipare al bando. Il Comune di

Milano prevedeva, addirittura, un elemento di ulteriore discriminazione: assegnava un

punteggio di cinque punti qualora il richiedente fosse cittadino italiano. Tale manifesta

336

Il quale escludeva il non cittadino dall’assegnazione in proprietà o in locazione degli alloggi economici e

popolari.

93

discriminazione venne rilevata dal Tribunale di Milano nel 2002337

, il quale riteneva come

quel bando fosse in contrasto con l’articolo 43 del testo unico immigrazione338

. Più

recentemente339

, il Tar Lombardia, in una decisione peraltro abbastanza contraddittoria, se da

un lato riconosceva la legittimità di alcuni limiti posti agli stranieri nell’accesso all’edilizia

residenziale pubblica340

, dall’altro rilevava come fosse irragionevole che lo straniero potesse

accedere a quegli alloggi solamente se in possesso di un titolo di soggiorno biennale. Era

necessaria, invece, secondo tale giurisprudenza, la verifica non del titolo di soggiorno, ma del

periodo complessivo di residenza su quel territorio. In Piemonte, invece, un’altra sentenza del

Tar341

respingeva il ricorso proposto contro presunte illegittimità contenute in un bando

indetto dal Comune di Torino, bando che tra l’altro si rifaceva alla legge regionale Piemonte

n. 46 del 1995342

. La questione si inseriva, a questo punto, in un conflitto di attribuzione tra

Stato e Regioni, in ordine al riparto di competenze di cui all’articolo 117 Costituzione

novellato nel 2001. Il bando venne impugnato perché, sebbene fosse stato emesso in armonia

con la legge regionale n. 46, sarebbe stato però in contrasto con la normativa di cui

all’articolo 40 del testo unico immigrazione, avente ad oggetto proprio l’accesso agli alloggi

di residenza pubblica. Il Tar specificava che le condizioni di accesso agli alloggi di residenza

pubblica non costituiscono una caratteristica della condizione giuridica dello straniero,

riservata, ai sensi dell’articolo 10, II comma, Cost. it., al legislatore, in particolare al

legislatore statale come prescritto dall’articolo 117 Cost. it.343

. Invero, per condizione

giuridica dello straniero, deve intendersi “soltanto la disciplina della capacità giuridica

generale, ossia della titolarità dei diritti ad essere parte di rapporti giuridici nel territorio

della Repubblica, mentre le altre limitazioni all‟accesso agli alloggi e.r.p. in funzione della

337 Tribunale di Milano, 21 marzo 2002.

338 “Discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

339 Tar Lombardia, ordinanza n. 23 del 9 febbraio 2009.

340 Sostiene, infatti, tale giurisprudenza, come sia legittima “La previsione di limiti per la concessione di certe

agevolazioni ai cittadini extracomunitari che, essendo spesso in condizioni più disagiate economicamente dei

cittadini italiani, potrebbero vedersi attribuire gran parte dei fondi disponibili se non vi fosse un criterio di

accesso che tenga conto della permanenza in Italia e del livello di non precarietà di tale residenza”.

341 Tar Piemonte - sez. 1 - sentenza n. 323 del 13 febbraio 2002.

342 Modificata dalla legge regionale 22 del 2001 dopo la legge costituzionale 3 del 2001.

343 Vedi sul punto le critiche di G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L‟esperienza italiana tra

storia costituzionale e prospettive europee, op. cit. pg. 307 e ss, in particolare la nota 100.

94

regolarità e della durata della pregressa permanenza in Italia attengono soltanto a

condizione personali analoghe ai limiti di reddito e valevoli per tutti gli aspiranti, a

prescindere dalla loro nazionalità”.

La giurisprudenza amministrativa regionale è stata copiosissima al riguardo, tutta

orientata a valutare la ragionevolezza o meno del criterio di residenza come requisito di

accesso all’edilizia residenziale pubblica da parte del non cittadino344

. Tale criterio appare,

peraltro, ritenuto discriminatorio anche negli orientamenti della giurisprudenza comunitaria,

sebbene limitatamente ai cittadini comunitari e sebbene in contesti diversi da quelli relativi al

diritto all’abitazione345

. La Corte costituzionale, invece, si è semplicemente limitata ad

un’ordinanza, la n. 32 del 2008 (le cui criticità sono esposte molto chiaramente da Barbara

Pezzini346

), con la quale, richiamando in maniera assai generale e non sempre appropriata

altre sue decisioni, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità

costituzionale avanzata nei confronti della legge regionale Lombardia347

, nella parte in cui

detta legge indicava, come requisiti per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, la

residenza ovvero lo svolgimento dell’attività lavorativa nella regione da almeno 5 anni.

Il diritto di accesso all’alloggio residenziale pubblico sembra, alla luce delle

argomentazioni su riportate, essere privo di riferimenti giurisprudenziali, soprattutto di natura

costituzionale, in grado di essere da supporto, anche interpretativo, al legislatore sia nazionale

che regionale.

7. Il non cittadino possiede diritti politici?

Il discorso sui diritti politici348

degli stranieri si inquadra nella più ampia riflessione in

tema di cittadinanza cui ci si è riferiti all’inizio del presente lavoro, e che in questa sede è

d’obbligo riprendere.

344 Vedi anche Tar Lombardia, sez. Brescia, ordinanza 264 del 2005 e Tar Lombardia sentenza n. 4196 del 2004.

345 Vedi ad esempio sentenza CGCE del 2003, n. C- 388/01 a proposito di agevolazioni tariffarie per gli ingressi

nei musei a favore dei cittadini italiani.

346 B. Pezzini, Lo statuto costituzionale del non cittadino: i diritti sociali, op. cit. pg. 11 e ss.

347 L.r. Lombardia n. 7 del 2005.

348 Per una lettura sui diritti politici, soprattutto in una ricostruzione secondo il principio di uguaglianza

sostanziale e formale, vedi G. Volpe, Diritti politici, Enc. Giur., Roma, 1989.

95

I diritti di cui agli articoli 48, 49, 50 e 51 contenuti nella Costituzione sono, infatti,

l’espressione del rapporto tra cittadinanza ed identità nazionale e del legame esistente tra

individuo - cittadino e comunità statale. Non stupisce, del resto, che lo spirito dei nostri padri

costituenti fosse profondamente legato alle categorie giuridiche di cittadinanza, sovranità e

popolo, in un contesto storico che era lontanissimo da fenomeni quali l’immigrazione, la

libertà di circolazione delle persone, la cittadinanza europea. La crisi che oggi coinvolge lo

Stato-Nazione, a fronte non solo dei processi di comunitarizzazione che hanno creato

organismi sovranazionali, ma anche dei fenomeni come la globalizzazione, le migrazioni di

massa e le relative forme di multiculturalismo e di meltingpot, porta inevitabilmente ad un

ripensamento delle forme classiche di cittadinanza, verso tendenze più aperte che coinvolgono

anche le forme di partecipazione alla vita pubblica, non solo locale, e non solo dei cittadini.

La dottrina classica349

e la giurisprudenza costituzionale350

si sono sempre orientate

verso una concezione dei diritti politici come diritti spettanti esclusivamente ai cittadini,

escludendo de facto il non cittadino dal loro esercizio, e giustificando le loro posizioni con

l’assunto che, siccome “il contenuto essenziale della cittadinanza consiste nella

partecipazione”351

, e solo i cittadini italiani sono chiamati a dettare l’indirizzo politico del

loro Paese352

, gli stranieri ne sono inevitabilmente esclusi. In tale prospettiva, la cittadinanza

costituisce il tradizionale presupposto logico-giuridico per il riconoscimento dei diritti

politici353

.

La Corte costituzionale sembra aver condiviso appieno questa idea, tanto che in una

delle sue sentenze, precisamente la n. 87 del 1975, ha evidenziato proprio questo legame

profondo tra cittadinanza e diritti politici, definendo la prima come “stato giuridico

costituzionalmente protetto […] che importa una serie di diritti nel campo privatistico e

pubblicistico e inoltre, in particolare, i diritti politici”. Nonostante questa Corte abbia

349 C. Esposito, I partiti nella Costituzione italiana, in La Costituzione italiana. Saggi. Padova, 1954; G.

Biscottini, I diritti fondamentali dello straniero, in Studi in onore di Biondo Biondi, Milano, 1965; R. Quadri,

Cittadinanza, in Novissimo Digesto Italiano, Torino, 1960; C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam,

Padova, 1976; F. Lanchester, Voto: diritto di, in Enc. Dir., Milano, 1993.

350 Sentenze n. 11 del 1968 e n. 104 del 1969.

351 In E. Grosso, Straniero (status costituzionale dello), op. cit., pg. 176.

352 P. Barile, E. Cheli, S. Grassi, Istituzione di diritto pubblico, VIII ed, Padova, 1998, pg. 175.

353 Vedi in questo senso E. Castorina, Introduzione allo studio della cittadinanza. Profili ricostruttivi di un

diritto, Milano, 1997.

96

qualificato, con i dovuti ripensamenti rispetto a suoi precedenti orientamenti354

, i diritti

politici come diritti fondamentali e inviolabili355

, ciò non è stato letto come segnale di

apertura nei confronti dei non cittadini, i quali ne vengono comunque esclusi, sia in ordine

alla titolarità che al relativo godimento356

.

Altra parte della dottrina357

, molto più sensibile a possibili estensioni dei diritti politici

ai non cittadini, si sofferma sull’analisi e sulla lettura del testo costituzionale, che non

sembrerebbe escludere tout-court gli stranieri dall’esercizio di quei diritti. Secondo questo

orientamento, le disposizioni costituzionali sulle libertà politiche garantirebbero una copertura

costituzionale dei diritti politici solo per i cittadini, ma non “sembrano porre alcun vincolo

alla sfera delle liceità costituzionale, cioè all‟eventualità che il legislatore decida di estendere

tali libertà a altre categorie di individui”358

. Pertanto, spostando l’attenzione sulla protezione

costituzionale anziché sul divieto costituzionale, che di fatto non esisterebbe, potrebbero

aversi delle leggi, ordinarie ovvero costituzionali, con cui ricomprendere anche gli stranieri

nel novero dei titolari dei diritti politici. Dello stesso parere sembra essere anche altra

354 Sentenza n. 11 del 1968, in cui la Corte ha sostenuto che tra i diritti inviolabili non sono certo da

ricomprendersi quelli più “strettamente connessi allo status civitatis”.

355 Sentenze nn. 235 del 1988, 571 del 1989 e 141 del 1996.

356 Vedi sentenza n. 172 del 1999 per ciò che attiene l’apolide e sentenza n. 11 del 1968 per gli asilanti. Di

interesse sembra essere la prima delle sentenze citate, non già per aver escluso l’apolide dal diritto di voto, ma

per averlo incluso nei soggetti che hanno l’obbligo del diritto di leva. Si concorda con quella dottrina (E. Grosso,

Sull‟obbligo di prestazione del servizio di leva da parte degli apolidi. Spunti di riflessione verso possibili nuove

concezioni della cittadinanza, in Giur. Cost. 1999; M. Cuniberti, Immigrazione e Costituzione, in Riv. Dir. Cost.

2001; G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L„esperienza italiana tra storia costituzionale e

prospettive europee, Jovene, Napoli, 2007) che vede un legame profondo tra quel dovere di solidarietà politica

quale è il servizio militare e l’esercizio dei diritti politici, espressione entrambi di una partecipazione alla

comunità statale. In particolare, è interessante lo spirito aperto con cui Bascherini legge la sentenza del 1999, la

quale potrebbe, secondo l’autore, “offrire una sponda all‟articolazione di una cittadinanza di residenza che

ricomprenda coloro che decidono di venirne a fare parte e che per questo si vedono riconosciuti diritti e doveri”

357 E. Grosso, Straniero (status costituzionale dello), op. cit. pg.175 e ss.

358 Così E. Grosso, Straniero (status costituzionale dello), op. cit. pg.176, che riprende l’ipotesi di G. D’Orazio,

Lo straniero nella Costituzione italiana: asilo, condizione giuridica estradizione,, Padova, 1992, pg. 307, il

quale sostiene che, nell’ipotesi che lo Stato possa concedere unilateralmente tali diritti allo straniero, questa

estensione deve essere necessariamente prevista con legge costituzionale “dovendosi integrare l‟attuale

previsione dell‟art. 48”.

97

letteratura, come ad esempio quella rappresentata da Luciani359

il quale, riflettendo sulle

sentenze della Corte costituzionale relative alla tematica di cui trattasi, osserva come queste

abbiano semplicemente escluso gli stranieri dalla titolarità del diritto di voto, riferendosi “solo

al godimento dei diritti politici come diritti fondamentali inviolabili. Non si esclude - invece -

che quei diritti possano essere goduti (ma appunto in quanto “diritti legislativi“, o tuttalpiù

“costituzionali” ma non “fondamentali”) se il legislatore (ordinario o costituzionale) decide

di ampliare l‟ambito di tutela”360

. Le parole di questo autore incidono su due aspetti

fondamentali. Il primo, sulla natura ordinaria o costituzionale della legge de qua, ed il

secondo, sul valore dei diritti politici come diritti legislativi, che al primo è ricollegato, in

quanto solo ammettendo che si possano estendere, con legge ordinaria, le libertà politiche ai

non cittadini, queste assumono valore di diritti legislativi. La dottrina si è mossa negli anni

sostenendo l’una o l’altra ipotesi. Cuniberti, afferma, ad esempio, che, non esistendo nessuna

norma di rango costituzionale che vieti l’esercizio dell’elettorato sia attivo che passivo in

capo allo straniero, anche una semplice legge di natura ordinaria sarebbe costituzionalmente

legittima ad operare quel riconoscimento, “restando ovviamente al legislatore la

discrezionalità circa i limiti, i modi e i tempi di tale riconoscimento”361

. Con parere opposto si

è espressa, invece, altra parte della letteratura362

. Tale orientamento sostiene che, qualora si

volessero estendere i diritti politici ai non cittadini, occorrerebbe una revisione costituzionale

perché, essendo il diritto di voto un diritto inviolabile, questo deve essere necessariamente

359 M. Luciani, La Costituzione italiana e gli ostacoli all‟integrazione europea, PD, 1992.

360 M. Luciani, op. cit., pg, 585.

361 M. Cuniberti, Il problema della qualificazione giuridica della cittadinanza, op. cit. pg 429. Vedi sul punto

anche A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 1992, secondo cui sarebbe consentito al

legislatore ordinario estendere agli stranieri quei diritti che la Costituzione riserva ai soli cittadini, compresi

quelli politici. Ancora, G.U. Rescigno, Note sulla cittadinanza, in Dir. Pubb. 2000; C. Corsi, Lo Stato e lo

straniero, Padova, Cedam, 2001, P. Bonetti, Ammissione all‟elettorato e acquisto della cittadinanza: due vie

dell‟integrazione politica degli stranieri. Profili costituzionali e prospettive legislative, in www.federalismi.it , n.

11 del 2003. Una visione meno consolidata in dottrina è quella di A. Algostino I diritti politici dello straniero,

Jovene, Napoli, 2006, la quale sostiene che già costituzionalmente gli stranieri sono titolari di questi diritti, per

cui l’opera del legislatore servirebbe solamente all’attuazione di quanto già disposto. Quest’autrice lega il

riconoscimento dei diritti politici al fatto che questi sono dei diritti della persona umana, pertanto spettanti ad

ogni individuo, scollegandoli dalla cittadinanza, per orientarsi, invece, sul criterio della residenza stabile in un

determinato territorio.

362 Vedi ad esempio T. E. Frosni, Gli stranieri tra diritto di voto e cittadinanza, in Quaderni costituzionali, 2004.

98

disciplinato nel testo costituzionale. In caso contrario, si verrebbe a creare un “pericoloso

strappo alla costituzione”.

Segnali di apertura nell’estensione dei diritti politici agli stranieri sembravano fossero

venuti, a livello di legislazione nazionale, con il disegno del legge del 1997, che poi ha dato

vita alla legge n. 40 del 1998. Lì si prevedeva, nell’articolo 38, che vi fosse un riconoscimento

delle libertà politiche, seppur limitatamente alle elezioni comunali, ai cittadini

extracomunitari che soggiornavano regolarmente sul territorio nazionale. Stralciando questa

parte del disegno di legge, il legislatore è tornato sui suoi passi, specificando come si dovesse

necessariamente far uso di una legge costituzionale per estendere il diritto di voto ai non

cittadini. Una legge costituzionale che tra l’altro non è mai arrivata!363

Oggi vi sono delle normative regionali che si stanno muovendo nella previsione di un

diritto di voto, locale si intende, ai cittadini stranieri residenti sul territorio, così come vi sono

anche degli interventi comunali che prevedono forme di partecipazione alla vita pubblica

locale, come le consulte degli immigrati ed i consiglieri aggiunti. Questo in armonia sia delle

disposizioni comunitarie, sebbene non recepite o recepite parzialmente dal nostro Paese, come

la Convenzione di Strasburgo sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello

locale364

, sia del testo unico sull’immigrazione365

che a quella Convenzione si riferisce, sia

infine del TUEL366

, il quale prevede che gli statuti comunali possano promuovere forme di

partecipazione alla vita pubblica locale sia dei cittadini europei che extracomunitari. Da ciò si

363 La norma venne stralciata e, al contempo, spostata in un disegno di legge di revisione costituzionale

dell’articolo 48 della Costituzione, con cui si voleva aggiungere, al predetto articolo, un ulteriore comma che

così recitava “Allo straniero è riconosciuto, anche in esecuzione dei trattati e accordi internazionali, il diritto di

voto, nei limiti, con i requisiti e secondo le modalità stabiliti dalla legge, con esclusione delle Camere e delle

elezioni regionali”. Vedi Atto Camera n. 4167 del 1997.

364 Adottata nell’ambito degli Stati membri del Consiglio d’Europa nel 1992, prevede l’estensione del diritto di

voto in sede locale agli stranieri. L’Italia ha recepito la Convenzione con legge n. 203 del 2004, ma non

integralmente, avendo stralciato il relativo capitolo C, inerente proprio il diritto di voto alle elezioni locali.

365 L’articolo 9 del testo unico immigrazione consente agli stranieri “di partecipare alla vita pubblica locale,

esercitando anche l‟elettorato quando previsto dall‟ordinamento e in armonia con le previsioni del capitolo C

della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio

1992”.

366 Articolo 6, comma cinque, per cui “lo statuto, ispirandosi ai principi di cui alla legge 8 marzo 1994 n. 203, e

al decreto legislativo del 25 luglio 1998 n. 286 , promuove forme di partecipazione alla vita locale dei cittadini

dell‟Unione europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti”.

99

desume che, le autonomie locali, impegnate nella cura e nella gestione delle politiche per

l’immigrazione, si rendono evidentemente conto, più di qualunque altro operatore giuridico,

di quanto sia importante, proprio per l’attuazione di quelle politiche, la realizzazione di un

sistema di partecipazione e di voto a livello locale che coinvolga appieno anche gli stranieri

extracomunitari, la cui esclusione sarebbe ragione di esclusione da ogni altra forma

partecipativa diretta alla loro integrazione nel tessuto sociale. Tutto ciò appare ancor più ricco

di pregio se si considera che, oramai, l’immigrato è stanziale sul territorio, ha una casa spesso

di proprietà, si è ricongiunto con i suoi familiari, partecipa all’economia di quella comunità

sia attraverso il suo lavoro che attraverso l’assolvimento dell’onere dell’imposizione fiscale.

Tanto erano alte le aspettative di quelle Regioni italiane che hanno iniziato una politica in tal

senso, tanto basse le risposte governative che le stesse hanno ricevuto. Si prendano in

considerazione, ad esempio, le due recenti revisioni degli statuti regionali di Toscana ed

Emilia Romagna, che avevano previsto un allargamento nella sfera dei titolari dei diritti

politici, con il limite delle elezioni locali, a favore degli stranieri regolarmente soggiornanti.

La risposta del Governo è stata l’impugnativa dei due statuti dinanzi alla Corte

costituzionale367

, eccependo come fosse necessario un procedimento di revisione

costituzionale per proporre un’estensione dei diritti politici ai non cittadini, sebbene

limitatamente alla sfera locale. La Corte368

rilevava la manifesta inammissibilità delle

eccezioni di incostituzionalità, non entrando però nel merito della questione di legittimità, ma

limitandosi ad affermare che quelle previsioni statutarie non avevano portata normativa: “alle

enunciazioni in esame, anche se materialmente inserite in un atto-fonte, non può essere

riconosciuta alcuna efficacia giuridica, collocandosi esse precipuamente sul piano dei

convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nelle comunità regionali al

momento dell‟approvazione dello statuto […]”369

.

367 Nello specifico, il Governo ha impugnato l’articolo 3, comma 6, dello statuto Regione Toscana nella parte in

cui prevedeva che “la Regione promuove, nel rispetto dei principi costituzionali, l‟estensione del diritto di voto

agli immigrati” e l’articolo 2, comma 1, lettera f, dello statuto Regione Emilia Romagna, nella parte in cui

assicurava il diritto di voto agli immigrati. La Regione Emilia Romagna non si è limitata dunque ad una sola

previsione di quella estensione, ma si è spinta sino ad assicurare la predetta estensione!

368 Con le sentenze nn. 372, 378 e 379 del 2004.

369 Vedi, per un’analisi approfondita sul tema degli statuti regionali dopo le sentenze di cui sopra, T. Groppi, I

nuovi statuti delle regioni dopo le sentenze 372, 378 e 379/2004 della Corte costituzionale, in

www.associazionedeicostituzionalisti.it.

100

In ambito locale, anche alcuni statuti comunali si sono caratterizzati per avere avuto

delle aperture nei riguardi del diritto di voto degli stranieri370

. Particolare “scalpore” ha

suscitato lo statuto del Comune di Genova, con cui venne esteso il diritto di voto locale agli

immigrati. Ad un primo favorevole parere del Consiglio di Stato371

, seguì altro ed opposto

orientamento di questa giurisprudenza amministrativa372

che, in linea con la circolare del

Ministero dell’Interno con cui veniva diffidato, ai governi locali, di promuovere iniziative di

tal genere373

, non ritenne legittima la competenza del comune in questa materia.

Appare infine pacifica, e pertanto merita semplicemente di essere citata, la

partecipazione alla vita pubblica locale di quegli stranieri comunitari, i quali si sono visti

riconoscere il diritto di voto per l’elezione degli enti locali dal decreto legislativo n. 197 del

1996, in attuazione delle direttive comunitarie 93/109/CE e 94/80/CE, in materia di esercizio

del diritto di voto dei cittadini dell’Unione che risiedono in uno Stato diverso da quello di cui

sono cittadini nazionali. La tutela di tale diritto è stata oltremodo ripresa dalla Carta di Nizza

che, nel suo articolo 40, si esprime nel senso di una uguaglianza tra il cittadino e lo straniero

comunitario che risiede in quello Stato membro, per ciò che attiene la titolarità del diritto di

voto locale.

8. La libertà di circolazione e soggiorno: una garanzia solo per il cittadino

comunitario?

La libertà di circolazione e soggiorno374

è una di quelle libertà che più di ogni altra

assume degli aspetti di modernità, legati soprattutto ai processi comunitari, non solo come

caratteristica ultima del libero mercato avviato con i primi trattati istituitivi dell’Europa, ma

come strumento di affermazione delle politiche europee che con il Trattato di Maastricht

370 Vedi, per una disamina sul tema, T. F. Giupponi, Gli stranieri extracomunitari e la vita pubblica locale: c‟è

partecipazione e partecipazione, in www.forumcostituzionale.it.

371 Parere 8007 del 28 luglio 2004.

372 Vedi i pareri 9771/04 e 11074/04 del 2005.

373 Circolare Ministero dell’Interno n. 4 del 22 gennaio 2004.

374 Si ricorda come tale libertà fosse già prevista nella Magna Charta del 1215, sotto forma di libertà di espatrio

e rimpatrio, attraverso la quale i mercanti, anche stranieri, potevano entrare, circolare ed uscire dal regno. In U.

Goldoni, Circolazione e soggiorno (libertà di), in Enc. Giur. VI, Roma, 1988.

101

hanno dato vita all’Unione europea. Rappresenta, inoltre, una libertà che pone una linea di

confine, anche molto netta, tra il cittadino e lo straniero extracomunitario, ricomprendendo a

pieno titolo, invece, il cittadino europeo.

La Costituzione italiana, discostandosi dalla Carta del 1848375

, tutela la libertà di

circolazione e soggiorno separatamente dalla libertà personale, lasciando poi alla letteratura

giuspubblicistica le interpretazioni in merito alla individualità o meno di quella libertà rispetto

all‟habeas corpus376

. L’articolo 16 della Costituzione italiana conferisce al cittadino il diritto

di circolare e soggiornare liberamente sul territorio dello Stato, imponendo una riserva di

legge come limite a detta libertà, qualora si ravvisino motivi di sanità e di ordine pubblico. La

libertà di movimento è ulteriormente garantita dall’articolo 120 Cost. it., che vieta

rigorosamente alle Regioni di adottare “provvedimenti che ostacolano in qualsiasi modo la

libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni”. La libertà di circolazione e

soggiorno deve inoltre confrontarsi con la libertà di emigrazione, prevista sia nel dettato

costituzionale, articolo 16, II comma, Cost. it., che nelle carte di natura internazionale, dove

assume addirittura il valore di diritto fondamentale di ogni essere umano. Ciò importa delle

difficoltà, soprattutto in un periodo storico come quello attuale in cui i flussi migratori sono a

volte allarmanti, proprio in merito alla conciliazione tra libertà di ingresso e stabilimento del

cittadino da un lato, e libertà di emigrazione nel territorio nazionale da parte del non cittadino

dall’altro. Da anni, la dottrina e la giurisprudenza sono state investite dello studio sulla

possibilità di estendere la libertà di circolazione e soggiorno anche agli stranieri. Le teorie

maggioritarie hanno asserito che tale diritto è esclusivo del cittadino italiano e comunitario,

estromettendo il cittadino extracomunitario (cui la legge n. 40 del 1998 ha assimilato

l’apolide). Una delle poche ipotesi in controtendenza, condivisa anche da Goldoni377

, è quella

375 Lo Statuto Albertino garantiva la libertà di circolazione e soggiorno nel suo articolo 26, come una

“sfumatura” della libertà personale, affermando che “la libertà personale importa la facoltà di andare, restare,

partire, viaggiare; quindi di emigrare in paese estero, sia definitivamente che a tempo”.

376 Parte della dottrina assimila la libertà di circolazione e soggiorno alla libertà personale. Vedi ad esempio V.

Crisafulli, Libertà personale, Costituzione e passaporti, in Arch. Pen. 1955 II, M. Galizia, Libertà di

circolazione e soggiorno, in La pubblica sicurezza, Milano, 1967. Altra parte della dottrina sostiene, invece, la

separazione delle due libertà. Vedi ad esempio P. Barile, Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, Bologna,

1984, G. Amato, Commento all‟art. 16 della Costituzione, in Comm. Cost. Branca, Bologna-Roma, 1977.

377 U. Goldoni, Circolazione e soggiorno (libertà di), in Enc. Giur. VI, op. cit., pg. 4.

102

di Mazziotti378

, il quale applicherebbe l’articolo 16 Cost. it. anche agli stranieri perché

espressione della libertà civile, sebbene nei limiti delle altre fonti di rango costituzionale oltre

quelli derivanti da disposizioni del legislatore nazionale. La giurisprudenza, con una sentenza

abbastanza datata peraltro, la n. 244 del 1977, si è orientata sulla teoria dell’esclusione dello

straniero dal godimento della libertà di circolazione e soggiorno, affermando che “lo

straniero non ha, di regola, un diritto acquisito di ingresso e di soggiorno in altri Stati; può

entrarvi e soggiornarvi solo conseguendo determinate autorizzazioni, e per lo più, per un

periodo determinato, sottostando a quegli obblighi che l‟ordinamento giuridico dello Stato

ospitante gli impone al fine di un corretto svolgimento della vita civile”. È chiaro il

riferimento della Corte al cittadino extracomunitario, il quale non ha, dunque, alcuna garanzia

costituzionale all’ingresso sul territorio dello Stato, in quanto non avrebbe, secondo parte

della dottrina, alcun collegamento con lo Stato, “mancando il quale lo Stato non assume

precise responsabilità per la tutela delle libertà […] e quindi non si realizza […] la

prevalenza della tutela delle libertà rispetto al potere dello Stato”379

. La mancanza di un

contatto o “attacco sociale”380

con il paese ospitante priva, di fatto, lo straniero

extracomunitario del diritto all’ingresso. Anche le norme di diritto internazionale, del resto,

non attribuiscono alcun obbligo, a carico degli Stati, relativamente all’ingresso di cittadini

stranieri, tranne nei casi relativi al diritto di asilo o rifugio. Viene invece garantita, sebbene in

maniera parziale, la libertà di circolazione e soggiorno dello straniero che abbia già fatto

ingresso regolarmente sul territorio nazionale, anche alla luce dei disposti sovrastatali, come il

Patto internazionale dei diritti civili e politici ed il Protocollo n. 4 (art. 2) alla Convenzione

europea dei diritti dell’uomo, i quali tutelano lo straniero regolarmente soggiornante in uno

Stato firmatario: questi è libero di circolarvi, di risiedervi ovvero di lasciarlo, salvo i limiti

dell’ordine pubblico legittimanti eventuali restrizioni da parte del legislatore. Restano però

sempre giustificabili alcune diversità di trattamento, sebbene legittimate dal criterio di

ragionevolezza, in conseguenza proprio del diverso staus dei due soggetti di fronte allo Stato.

In ragione della riserva di cui all’articolo 10, II comma, Cost. it., la libertà di

circolazione e soggiorno, per ciò che attiene l’ingresso nel territorio nazionale degli stranieri,

378 M. Mazziotti, Circolazione e soggiorno (libertà di) in Enc. Dir. VII Milano, 1960, pg 14 e ss.

379 M. Cuniberti, La cittadinanza. Libertà dell‟uomo e libertà del cittadino nella Costituzione italiana, Padova,

1997, pg. 222.

380 Così B. Nascimbene, Straniero - diritto internazionale , in Enc. Giur. XXX, Roma, 1993, pg. 5.

103

è dunque rimessa all’apprezzamento del legislatore che la disciplina, spesso restrittivamente,

con le norme in materia di immigrazione. Il testo unico dell’immigrazione prevede infatti tutta

una serie di ipotesi in cui lo straniero può fare ingresso sul territorio nazionale, utilizzando, in

particolare, il sistema dei flussi di ingresso per motivi di lavoro. Inoltre, sempre il testo unico

contempla delle disposizioni relative al soggiorno, conferendo il diritto allo straniero regolare

di circolare e soggiornare liberamente in tutto il territorio nazionale381

ed in tutti i comuni

della Repubblica382

, salvo che il prefetto non abbia posto delle limitazioni in tal senso,

derivanti da esigenze di difesa nazionale. Infine, il d.lgs. n. 286/1998 conferisce al cittadino

extracomunitario la libertà di lasciare e fare reingresso in Italia senza necessità di visto383

,

sempre che sia in possesso di un titolo di soggiorno ancora valido384

. Anche la Corte

costituzionale collega l’ingresso degli stranieri sul territorio nazionale sia alla discrezionalità

del legislatore che alla ponderazione degli interessi cui questi è tenuto nel disciplinare,

appunto, l’ingresso ed il soggiorno del non cittadino: “la regolamentazione dell‟ingresso e del

soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati

interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l‟ordine pubblico, i

vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione e tale

ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia

un‟ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto

dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli”385

.

Diverso è, invece, il rapporto tra libertà di circolazione e soggiorno e stranieri cittadini

europei, per i quali valgono le norme del Trattato sull’Unione Europea del 1992, il cui articolo

8A prevede che “ogni cittadino dell‟unione ha il diritto di circolare e di soggiornare

liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste

dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso”. Si ricorda

come la dottrina abbia considerato tali disposizioni comunitarie fonti di rango costituzionale,

381 Articolo 5 comma 1 del testo unico immigrazione.

382 Articolo 6 comma 6 del testo unico immigrazione.

383 Articolo 4, comma 2, e articolo 9, comma 4, lettera a) del testo unico immigrazione.

384 Si ricorda che lo straniero che lascia il territorio per più di sei mesi, non avrà più il suo titolo di soggiorno

valido nello Stato.

385 Sentenza n. 206 del 2006 e ordinanza n. 361 del 2007.

104

ai sensi dell’articolo 11 della Costituzione italiana386

, pertanto non solo immodificabili da

leggi di natura ordinaria, ma vincolo per le stesse, qualora abbiano ad oggetto la disciplina di

quelle materie. La normativa europea è ripresa anche in ambito nazionale, dal d.p.r. 54 del

2002, e dal successivo d.lgs. n. 30 del 2007, che oggi regola la materia della circolazione e del

soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea.

La libertà di circolazione e soggiorno rappresenta un principio fondamentale del

cittadino europeo e di tutto l’ordinamento comunitario, costituendo l’essenza stessa delle

politiche europee, tutte orientate allo sviluppo di quello spazio di libertà, sicurezza e giustizia,

di cui la circolazione e soggiorno ne è proprio parte integrante. È chiaro che l’obiettivo

prefissato dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea, ovvero la conservazione e lo

sviluppo dell’Unione come spazio di libertà, sicurezza e giustizia, pone una doppia esigenza.

Assicurare la libertà di circolazione all’interno degli Stati membri, ma al tempo stesso tutelare

quegli Stati membri dall’immigrazione clandestina, attraverso un controllo delle frontiere

esterne. Quindi l’Unione si pone, sostanzialmente, sullo stesso piano di uno Stato nazionale,

che si barcamena costantemente con la libera circolazione dei cittadini europei e quella

limitata dei cittadini extracomunitari. Questi differenti settori di azione sono stati oggetto di

misure europee dirette, da un lato, alla realizzazione della libertà di circolazione e soggiorno

dei cittadini comunitari nello spazio europeo, e, dall’altro, al coordinamento delle politiche

regionali di ogni Stato membro finalizzato al controllo delle frontiere esterne e alla

regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dei cittadini di Stati terzi387

. Anche nel

Trattato che istituisce una Costituzione per l‟Europa venne ribadita la distinzione tra i

cittadini dell’Unione, destinatari diretti della libertà di circolazione e soggiorno, e i cittadini di

Paesi di Stati terzi rispetto ai quali, l’esercizio di detta libertà, era condizionato ad una

residenza legale sul territorio di uno Stato membro388

. Non vi sono state variazioni di rilievo

neanche nel Trattato di Lisbona.

Nell’ambito della libertà di circolazione e soggiorno assume un ruolo fondamentale la

386 Vedi N. Guerrera, Territorio e circolazione delle persone nell‟ordinamento costituzionale, Milano, 1995

387 Sulla ratio binaria delle politiche migratorie europee, vedi F. Pastore, Migrazioni internazionali e

ordinamento giuridico, in Storia d‟Italia - Annali- 14 (Legge, Diritto, Giustizia), Torino, 1998

388 Vedi B. Nascimbene, Politica di immigrazione e Costituzione europea, in Le Istituzioni del Federalismo,

5.2004, che parla di una libertà di circolazione e soggiorno che viene “accordata” ai cittadini extracomunitari che

risiedono sul territorio di uno Stato membro, pg.734.

105

cittadinanza europea, attraverso la quale viene conferito ai cittadini comunitari un trattamento

privilegiato, tra cui proprio quel diritto di spostamento e stabilimento in ogni Stato membro,

che si somma alla gamma dei diritti personali legati alla cittadinanza nazionale. Come si è già

detto nei paragrafi precedenti, essa è prevista e disciplinata nell’articolo 17 del Trattato

sull’Unione europea del 1992 come una cittadinanza complementare a quella nazionale. E’ il

frutto di un percorso di integrazione comunitaria parallelo a quello delle libertà di circolazione

e soggiorno. Il diritto di spostamento nel territorio dell’Unione si è, infatti, modificato negli

anni, rispondendo a quel processo evolutivo che ha caratterizzato la crescita anche giuridica

dell’Unione europea. Dal Trattato di Roma del 1957, in cui si agganciava il diritto di

circolazione delle persone allo svolgimento di un’attività economica (di lavoro dipendente,

autonomo ovvero di prestazione di servizi)389

, all’Atto unico europeo, che, modificando il

trattato istitutivo della Comunità europea, precisava la volontà di creare uno spazio senza

frontiere con la relativa abolizione dei controlli alle frontiere interne sulle persone, a

prescindere dalla loro nazionalità. Volontà che si è concretizzata nel Trattato di Maastricht, in

cui si è definita ed istituzionalizzata la cittadinanza europea, la cui maggiore esplicazione è

proprio rappresentata dalla libertà di circolazione e soggiorno. Il successivo Trattato di

Amsterdam del 1997, inserendo l’accordo di Schengen nel trattato sull’Unione, ha

incrementato e completato il rapporto tra cittadinanza europea e nazionale, nei termini su

indicati nell’articolo 17. Oggi la cittadinanza europea rappresenta uno dei sei principi

enunciati nella Carta di Nizza, che, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, assume,

finalmente, effetti giuridici vincolanti.

La cittadinanza dell’Unione costituisce, dunque, un valore aggiunto non solo perché è

uno strumento ulteriore che garantisce ai cittadini europei la libertà di spostamento negli Stati

membri, ma perché caratterizza l’Europa unita di fronte alle altre potenze mondiali, nei cui

riguardi deve risultare come “interlocutore autorevole”390

.

389 Si ricorda come il legame tra attività economica e libertà di circolazione iniziò a spezzarsi ancor prima del

1992, già con le direttive del 1990, le quali estesero la libertà di circolazione anche a categorie di persone che

non avevano legami di natura economica con il paese presso cui circolavano, come i pensionati, gli studenti

ovvero i cittadini con mezzi economici sufficienti. Vedi la direttiva sul diritto di residenza 90/364, la direttiva sul

diritto di residenza per i lavoratori 90/365 e la direttiva relativa al soggiorno degli stranieri 90/366, sostituita

dalla direttiva 93/96/CE del 29 ottobre 1993.

390 M. Cartabbia, Qual è oggi il volto dell‟Europa?, 7 maggio 2009, in www.ilsussidiario.net.

106

CAPITOLO SECONDO

LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO NELLA

LEGISLAZIONE ITALIANA. RICERCA DEGLI ELEMENTI DI CRITICITÀ

NELLE FATTISPECIE NORMATIVE.

SOMMARIO: 1. La politica migratoria italiana tra Tulps e circolari - 2. La prima legge organica sugli stranieri in

Italia: la n. 943/1986 - 3. La prima legge di previsione dei flussi migratori: la legge “Martelli” - 4. La prima

legge di previsione del sistema delle quote, la legge “Turco-Npolitano”. Le successive modifiche ad opera della

legge “Bossi-Fini” ed il pacchetto sicurezza: solo politiche migratorie restrittive? - 4.1. Politiche migratorie a

confronto: testo unico e novella del 2002 - 4.2. Visti di ingresso e titoli di soggiorno: il legame tra ingresso e

lavoro non si scioglie, anzi si rafforza - 4.3. Le due forme di allontanamento: il respingimento alla frontiera e

l’espulsione. Solo difesa dall’immigrazione clandestina? - 4.4. I centri di permanenza temporanea: semplice

trattenimento o detenzione? Le costanti violazioni del diritto alla libertà personale e del diritto di difesa - 4.5. Le

nuove norme del pacchetto sicurezza: effetti sullo statuto del non cittadino. Il tanto discusso reato di

clandestinità - 4.6. Ricongiungimento familiare: l’unità familiare si può invocare ancora come diritto? - 5.

L’Europa e l’immigrazione

1. La politica migratoria italiana tra Tulps e circolari

L’immigrazione in Italia ha sempre avuto degli aspetti peculiari, dettati in larga misura

dal fatto che il nostro Paese non è mai stato terra di immigrazione, ma si è sempre

caratterizzato come terra di emigrazione. Tanto è vero che dalla lettura dei primi

provvedimenti repubblicani e degli stessi atti della Costituente, si nota che la voce migrazione

si riferisce sostanzialmente ai nostri concittadini che emigravano nell’Europa del nord, o negli

Stati Uniti, in cerca di lavoro e di migliori condizioni di vita. In questo l’Italia si è sempre

distinta dagli altri Paesi di forte immigrazione come quelli dell’Europa centro-settentrionale,

in cui la ricerca di lavoro nel dopoguerra, legata sia alla necessità della ricostruzione post-

bellica che allo sviluppo industriale, ha spinto i lavoratori stranieri a migrare e a stanziarsi in

quei territori.

Solamente nella seconda metà degli anni Settanta, il nostro Paese inizia timidamente

ad accogliere una presenza straniera, proveniente soprattutto dal Terzo Mondo e dall’Europa

107

Orientale. Tale presenza non era affatto insignificante, ma, mentre gli altri Stati europei

avevano già una regolamentazione relativa all’ingresso e al soggiorno degli stranieri391

,

l’Italia se ne trovava sprovvista, in quanto il fenomeno migratorio rappresentava una novità in

quel contesto storico, sociale e legislativo. Questa situazione fece si che fino quasi agli anni

novanta, nella nostra penisola, non esisteva nessuna norma che disciplinasse, nello specifico,

l’ingresso ed il soggiorno dello non cittadino. Le presenze straniere erano considerate

situazioni d’emergenza e, come tali, regolamentate con decretazioni d’urgenza.

Fino alla legge Martelli, la normativa cui ci si riferiva per trovare una seppur minima

regolamentazione in materia di immigrazione (o meglio di presenza straniera), era

rappresentata dal T.U.L.P.S392

e dal suo Regolamento di esecuzione del 1940393

. Un ruolo a

parte rivestirono le “leggi speciali” del regime fascista394

che “si segnalarono per uno spirito

e per contenuti tali da determinare una netta inversione di tendenza rispetto

all‟atteggiamento tollerante, liberale e (sia pur limitatamente) universalistico della normativa

precedente”395

.

Tralasciando l’epoca fascista che fu particolare per tutta una serie di motivi che gli

storici ci hanno insegnato, e tornando alla nostra tematica, si nota come le norme relative agli

stranieri erano tutte raggruppate nel titolo V del Tulps, intitolato “Degli stranieri”, le quali,

oltre ad essere molto limitate dal punto di vista numerico (dieci disposizioni circa,

dall’articolo 142 al 152)396

, erano sostanzialmente di stampo poliziesco, dunque restrittive ed

inerenti alla tutela dell’ordine pubblico attraverso lo stretto controllo dello straniero. Sono

trascorsi circa settant’anni dall’emanazione di quelle norme, e sembra che nulla sia cambiato

391 Paesi come la Svezia, la Francia e la Germania già avevano predisposto dei limiti all'ingresso degli stranieri

nei loro territori, sia a tutela dei lavoratori locali che per salvaguardare l'aumento inevitabile che avrebbero avuto

gli oneri sociali sul welfare state se gli ingressi non fossero stati controllati.

392 Testo unico della legge di pubblica sicurezza, R.d. 18 giugno 1931, n. 733 (artt. 142-152).

393 R.d. 6 maggio 1940 n. 635 (artt. 261-271).

394 Il già citato R.D.L. 1728/193 che imponeva il divieto di matrimonio tra cittadino italiano di razza ariana e un

soggetto appartenente ad altra razza.

395 M. Luciani, Cittadini e stranieri come titolari dei diritti fondamentali. L‟esperienza italiana, in Riv. Crit.

Dir. Priv., 1992, pg. 212.

396 Le norme maggiormente innovative furono quelle che introdussero l’obbligo di visto di ingresso per stranieri

e l’obbligo di notifica, alla polizia, dell’arrivo e della domiciliazione di qualunque straniero entro 72 ore dal

passaggio alla frontiera.

108

nelle recentissime leggi statali. La vigente legge Bossi-Fini, infatti, ha affrontato il problema

dell’immigrazione come un problema legato alla sicurezza e all’ordine pubblico, ponendo

l’accento sull’allontanamento degli immigrati irregolari e sul contrasto alla immigrazione

clandestina.

Lo stesso ddl sulla sicurezza, diventato legge il 2 luglio 2009, con l’introduzione del

reato di clandestinità, segue una linea di difesa dell’ordine pubblico che sovrasta, in ogni

modo, qualunque forma di possibile accoglienza e integrazione dello straniero presente sul

territorio nazionale.

Il fatto che il Tulps fosse una delle poche norme di riferimento in materia, portava con

se delle serie problematiche non solo di ordine giuridico. In primo luogo, questo testo venne

osservato fino quasi al 1990, quando già il fenomeno migratorio aveva raggiunto in Italia

livelli se non preoccupanti ma comunque di notevole dimensione: l’inadeguatezza della

disciplina del Tulps, tutta improntata, come detto, solamente alla sicurezza e all’ordine

pubblico, era evidente in un Paese in cui le relazioni anche familiari tra stranieri si andavano

via via formando e strutturando. In secondo luogo, la restrittività delle norme in esso

contenute, facevano dubitare della loro costituzionalità397

, soprattutto quelle del capo II in

tema di espulsione398

. Tale regime prevedeva che lo straniero venisse espulso ad opera

dell’autorità amministrativa senza regolare contraddittorio, e gli eventuali ricorsi avverso

detta espulsione non avevano alcun effetto sospensivo: la lesione del diritto di difesa sancito

dall’articolo 24 Cost. it. era costantemente violato (ci si chiede: la Bossi non è forse una

rivisitazione in chiave moderna del testo del 1931?). Di non minor rigore erano le norme del

Tulps relative all'ingresso dello straniero: l'articolo 142 stabiliva, infatti, l'obbligo per lo

straniero di presentarsi, entro gg. 3 dal suo ingresso sul territorio nazionale, presso l'autorità di

397 La Corte Costituzionale intervenne svariate volte in quel periodo, al fine di verificare la legittimità delle

norme contenute nel Tulps, ma non mai prese posizione dichiarando illegittima questa o quella norma. Con la

sentenza n. 104/1969 confermò, addirittura, la legittimità costituzionale del potere di controllo e di indagine

attribuito alla autorità di pubblica sicurezza.

398 Sulla espulsione degli stranieri e sulla ricostruzione storica di questo istituto vedi G. Sabatini, Stranieri

(Espulsioni degli) in Novissimo digesto italiano, pg. 543 e ss, il quale brevemente, ma con estrema chiarezza, fa

presente come il concetto di espulsione dello straniero fosse già presente nel Codice Penale delle Due Sicilie del

1819, successivamente nel Codice Penale del 1859 fino al Codice Penale del 1930. Interessante, sempre in

questa voce, è anche la dialettica su espulsione e diritto di asilo come limite alla prima.

109

pubblica sicurezza per fare la dichiarazione di soggiorno399

.

Nel periodo storico che va dagli anni Trenta fino quasi agli anni Novanta, la normativa

in materia di immigrazione appare disorganica, complessa e soprattutto poco chiara. In tutti

gli anni che precedono la legge del 1990, infatti, per colmare le lacune in materia, il potere

esecutivo aveva sviluppato la prassi di “legiferare per circolari”400

, con la previsione di una

doppia forma di regolarizzazione, una facente capo al Ministero dell’Interno e l’altra al

Ministero del Lavoro. Questa modalità creava alcuni problemi di non facile soluzione.

Innanzitutto, si violava costantemente la riserva di legge prevista dall’art. 10, comma

II, Cost. it. tutte le volte che la condizione giuridica dello straniero veniva disciplinata con

strumenti quali le circolari, ovvero con atti amministrativi produttivi di effetti giuridici401

,

anziché essere disposta con legge. In secondo luogo, il fatto che svariate amministrazioni

disciplinassero la condizione del non cittadino a mezzo di circolari, produceva notevoli disagi

in merito all’organicità, al coordinamento e al collegamento delle stesse, per cui il profilo

dell'efficienza era spesso disatteso. La prassi amministrativa svolgeva un ruolo normativo, e

ciò comportava non solo che le norme sull’immigrazione fossero totalmente disorganiche, ma

soprattutto tale situazione dava luogo a frequentissime violazioni del principio di uguaglianza

nei riguardi dei cittadini stranieri, a seconda che la loro condizione fosse regolamentata da

questa o da quell’altra amministrazione402

. La faceva da padrone la discrezionalità

amministrativa mentre era debolissima la certezza del diritto.

Tra le circolari più importanti, quella che merita particolare attenzione risale al

399 Questo obbligo è tuttora in vigore. La normativa vigente (Legge 28 maggio 2007 n. 68 “Disciplina dei

soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio”) impone allo straniero di presentarsi,

entro 8 gg. dall'ingresso nel nostro Paese, all'autorità di frontiera o al questore della Provincia in cui si trova al

fine di dichiarare la propria presenza. Tale norma ha sostituito il precedente obbligo, per lo straniero, di

richiedere il permesso di soggiorno per periodi non superiore a tre mesi.

400 B. Nascimbene, Lo Straniero nel diritto italiano, Milano, Giuffrè, 1998, pg. 18.

401 Per una disamina sul tema vedi M. Ricci, Lo straniero extracomunitario e il regime delle circolari, in Riv.

amm. Rep.it., 1986, pg. 628 e ss.

402 Gli stranieri spesso affrontavano due procedure che facevano capo a due amministrazioni “in buona parte

indipendenti e frequentemente in contraddizione” e, ancor più grave, accadeva di frequente che lo stesso lo

straniero fosse considerato come regolarmente soggiornante da un Ministero e irregolarmente soggiornante

dall’altro: così A. Colombo, G. Sciortino, Gli immigrati in Italia. Assimilati od esclusi: gli immigrati, gli italiani,

le politiche, Bologna, Il Mulino, 2004, pg. 52 e ss.

110

1963403

. Emessa di concerto dal Ministero del Lavoro, dell'Interno e degli Affari Esteri, tale

circolare aveva ad oggetto "norme per l'impiego in Italia dei lavoratori subordinati".

Attraverso di essa il Governo auspicava di mettere ordine nel marasma di norme

frammentarie, procedendo ad una rielaborazione totale della materia. Venne introdotto un

nuovo documento che si accompagnava a quello che nella prassi veniva chiamato “permesso

di soggiorno”404

: si trattava dell’autorizzazione al lavoro, che costituiva un requisito

necessario per l'ingresso dello straniero in Italia, subordinato, per quanto atteneva al suo

rilascio, alla "indisponibilità di lavoratori nazionali idonei e disposti ad occupare il posto".

La lettura delle circolare de qua ci fa rivivere quegli articoli della Bossi-Fini che vincolano

l’ingresso ed il soggiorno dello straniero al possesso di una attività lavorativa certa, attraverso

una chiamata diretta del lavoratore dal proprio Paese di origine. Nella circolare era difatti

previsto che il datore di lavoro dovesse preventivamente fare una richiesta all’Ufficio

provinciale del lavoro e massima occupazione (U.P.L.M.O.) competente territorialmente,

diretta all’assunzione di uno specifico lavoratore; dopo di che l’Ufficio di cui sopra, accertato

che nessun lavoratore nazionale era disposto ad esercitare quell’attività lavorativa, rilasciava

l’autorizzazione al lavoro integrata dalla dichiarazione di indisponibilità. Queste due

certificazioni erano necessarie al rilascio del visto di ingresso del lavoratore, che avveniva

solo ed esclusivamente qualora l’autorità di P.S. avesse dato il proprio nulla osta all’ingresso.

Una volta giunto sul territorio nazionale, lo straniero munito di visto e delle certificazione

403 Circolare n. 51/22/IV del 4 dicembre 1963.

404 Con tale concetto ci si riferiva alla ricevuta che veniva rilasciata allo straniero obbligato a presentarsi

all’autorità di pubblica sicurezza locale (sindaco) o provinciale (questore), per dare contezza di sé e fare la

dichiarazione di soggiorno (art. 142 Tulps), una volta che si era verificato che nulla ostava alla permanenza del

soggetto straniero nel territorio nazionale. Sulla natura giuridica di questo istituto, la dottrina era spaccata a metà.

Vi era una parte che vedeva il permesso come un documento auotorizzatorio, mentre vi era un’altra parte che

vedeva la ricevuta come mero accertamento negativo. Anche la giurisprudenza non era chiara in tal senso. Il

Consiglio di Stato, nella sentenza n. 208 del 27 febbraio 1952, propendeva per la tesi di atto amministrativo

quando sosteneva che la ricevuta, e quindi il permesso, fosse l’espressione della volontà dell’autorità di pubblica

sicurezza a che lo straniero soggiornasse regolarmente sul territorio nazionale. Non sembrava, invece,

intenzionata a risolvere questa problematica la Corte Costituzionale (sentenza n. 244/1974), la quale, pur facendo

menzione ai diversi orientamenti sul tema, non prendeva nessuna posizione al riguardo (in G. D’Orazio, Lo

straniero nella Costituzione italiana: asilo, condizione giuridica, estradizione, op. cit. pg. 388). Per

approfondimenti sulla introduzione del permesso di soggiorno, vedi per tutti G. Biscottini, L‟ammissione e il

soggiorno dello straniero, in Scritti in onore di V. E. Orlando, I, Padova, 1957.

111

indicate, poteva fare richiesta di permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Come già detto, il sistema del 1963 presenta delle similitudini con quello attuale, a

parte la minore “burocraticizzazione”: lì non esistevano quote flussi, per cui la chiamata

diretta poteva avvenire in ogni momento, e non esisteva neanche tutto quel farraginoso

apparato “postale” prima e “telematico” poi, oggi necessario ad avviare la pratica inerente la

richiesta nominativa di un lavoratore straniero. Ci si permette ancora di dire che, attualmente,

la chiamata diretta non riveste più il ruolo che probabilmente aveva negli anni Sessanta, ma è

sostanzialmente la maschera di una “sanatoria” individuale che procede, incessante, alla

ricerca di definizione.

Sempre la circolare del 1963 imponeva l’obbligo, onerosissimo, della richiesta di una

nuova autorizzazione (con tutti gli adempimenti sopra descritti), qualora lo straniero avesse

cambiato il settore della propria attività lavorativa.

È da sottolineare che in quello stesso anno, alcune categorie di stranieri non vennero

inclusi nella circolare del 1963, derogando ad essa sia in forza di accordi bilaterali sottoscritti

dal nostro Paese, sia in forza di quella discrezionalità amministrativa cui si è già fatto

riferimento, che si era nel frattempo espressa con altrettante circolari dirette, appunto, a

categorie privilegiate di stranieri. Si possono qui sommariamente elencare alcune delle

circolari del Ministero del Lavoro quali la n. 84/38-IV del 6 ottobre 1964, avente riguardo alle

autorizzazioni al lavoro degli ex cittadini italiani naturalizzati stranieri da non oltre 10 anni,

oppure quella inerente l’apprendistato, specificatamente la n. 24/94-IV del 28 aprile 1971.

Altra circolare di rilievo è stata quella del 1970, recante “Norme per l'ingresso, il

soggiorno e il transito degli stranieri in Italia”405

. Tale circolare, emessa dal Ministero degli

Affari Esteri, si andava ad aggiungere alla disciplina del Tulps che restava, comunque, in

vigore, specificando che “regolano la materia i diversi accordi internazionali, multilaterali e

bilaterali, sottoscritti dall'Italia”.

Si nota come in quegli anni, ma se vogliamo anche oggi (vedi la sanatoria 2009 per

colf e badanti), la tipologia di attività lavorativa era in qualche modo elemento più o meno

discriminante. Per ciò che attiene il lavoro domestico, vi è da sottolineare che dal 1972, e per

tutti gli anni Settanta, vennero emanate una serie di circolari del Ministero del Lavoro406

e

405

Circolare n. 007 del 28 dicembre 1970.

406 Circolare n. 443/215610 del 19 agosto 1972.

112

dell’Interno407

prima, e del solo Ministero del Lavoro poi408

, finalizzate ad una

regolarizzazione settoriale degli stranieri impiegati in quella mansione, il cui ingresso in Italia

era antecedente all’emanazione della prima circolare del 21 maggio 1979. A questa forma di

regolarizzazione si aggiungeva anche la possibilità di effettuare delle chiamate nominative da

parte di datori di lavoro italiani, facendo uso di liste di stranieri, depositate presso le

rappresentanze consolari, in cui si prenotavano tutti coloro che prestavano un loro interesse

allo svolgimento del lavoro domestico.

Di fronte a questo caos legislativo, prende posizione la Corte costituzionale409

, per

sostenere la necessità che il legislatore intervenga al fine di dare organicità alla materia,

tenendo in considerazione il rispetto e la tutela delle libertà umane fondamentali che sono

connesse all’ingresso e al soggiorno degli stranieri in Italia.

Sempre per restare in tema di disciplina dell’immigrazione a mezzo di circolari, si

ricorda che nella fase storica che precede la legge n. 943/1986 si sono avute altre circolari410

con un valore assolutamente discordante e discriminatorio: restrittivo da un lato, perché

imponevano un divieto di rilascio dell’autorizzazione al lavoro, ed espansivo dall’altro,

perché disciplinavano un sistema di regolarizzazione, ma solamente a favore di quei lavoratori

entrati nel nostro Paese prima del 31 dicembre 1981. Venivano esclusi gli stranieri entrati in

Italia dopo tale data per motivi diversi dal lavoro subordinato, gli stranieri entrati in tale data

ma non per motivi di lavoro subordinato e i lavoratori frontalieri. A ciò si aggiungevano delle

regole più rigide per il rilascio delle autorizzazioni, le quali necessitavano di un certificato di

sana e robusta costituzione e di un deposito a livello cauzionale, a carico del datore di lavoro,

corrispondente alle spese necessarie per il biglietto aereo di ritorno dello straniero nel Paese di

origine. Ciò non stupisce. A distanza di circa trent’anni la situazione è sostanzialmente

identica: la Bossi-Fini e il suo decreto attuativo prevedono non solo che il datore di lavoro,

nella chiamata nominativa, si assuma l'onere delle eventuali spese di rientro dello straniero nel

407 Circolare n. 37/106/III del 30 dicembre 1972.

408 Circolare n. 8026, 140/90/79 e 141/19/80 rispettivamente del 21 maggio 1979, 17 dicembre 1979 e 18 marzo

1980.

409 Sentenza n. 46 del 20 gennaio 1977 e successive ordinanze n. 135 del 21 novembre 1979 e n. 24 del 27

febbraio 1980.

410 14194/IR/A del 2 marzo 1982, 14677/IR/A del 14 maggio 1982, 14995/IR/A del 2 agosto1982, 15106/IR/A

del 9 settembre 1982.

113

proprio Paese di origine, ma è suo preciso onere anche la garanzia che l'immigrato alle proprie

dipendenze abbia la disponibilità di un alloggio e che questo sia conforme ai parametri

minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

La situazione venne in parte modificata, sempre nel 1982, con una circolare411

che

ridimensionò sia le ferree regole per ottenere l’autorizzazione che la chiusura della

regolarizzazione, tanto che destinatari della sanatoria divennero tutti gli stranieri comunque

presenti sul territorio. Ci fu qui un problema di condivisione della norma da parte del

Ministero dell’Interno, il quale non volle recepire la circolare nella sua totalità, anzi ribadiva

come fossero escluse dalla sanatoria quelle categorie di stranieri che erano presenti in Italia ad

altro titolo (studio, lavoro frontaliero, formazione professionale): insomma, ripeteva le

estromissioni della prima circolare del 1982.

La confusione era totale. Chi ne faceva le spese era l’immigrato, che non sapeva dove

e come uscire da questa impasse di natura normativo-amministrativa. Dalla lettura delle

circolari sopra evidenziate, si evince, infatti, un’assurda discriminazione: i soggetti che erano

regolarmente soggiornanti nel nostro Paese, ma a titolo diverso dal lavoro, non potevano

procedere alla sanatoria perché di fatto esclusi dalla stessa, e chi invece era in posizione di

clandestinità e non di irregolarità, si badi bene, poteva usufruirne tranquillamente. Per non

parlare, poi, dell’arbitrarietà cui era sottoposta la procedura di regolarizzazione: spettava al

datore di lavoro, infatti, dichiarare che aveva alle proprie dipendenze uno straniero

clandestino, incorrendo così non solo in sanzioni di natura previdenziale e assistenziale, ma

anche di natura penale visto che non vi era alcuna norma che limitasse la loro responsabilità

in merito alla contestazione dei reati da essi commessi.

Il fallimento della sanatoria fu evidente dal punto di vista numerico: pochissimi furono

gli immigrati che procedettero alla regolarizzazione, mentre la maggior parte restarono a

colmare le file del lavoro nero. Questa situazione fu, senza dubbio, il contraltare dell’assenza

di una normativa omogenea che fosse espressione della volontà di tutte le componenti

politiche, necessaria ai fini di un efficace intervento risolutivo in materia.

Del resto, le normative su indicate, a partire dal Testo Unico di Pubblica Sicurezza

sino alle circolari ministeriali, hanno sempre considerato lo straniero quasi estraniato dal suo

essere persona. Il Tulps lo contemplava sotto l’aspetto esclusivo della sicurezza e dell’ordine

411 Circolare Ministero del Lavoro n. 151/IR/A del 9 settembre 1982.

114

pubblico; le altre circolari, sostanzialmente, dal punto di vista lavorativo. Nessuna di queste

fattispecie normative ha mai tutelato lo straniero come vero soggetto di diritto, che fosse

anche espressione di una vita dignitosa in famiglia, nei rapporti sociali, nei momenti di

associazionismo.

Oltre le circolari, anche le leggi che, di fatto, non disciplinavano specificatamente la

materia dell’immigrazione, erano orientate a forme di controllo dello straniero. La legge n.

152 del 22 maggio 1975, recante “Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico”, ad esempio,

prevedeva, nel suo articolo 25, nuove e più severe forme di espulsione, che si aggiungevano a

quelle già inserite nel Tulps. Lo straniero che non dimostrava la sufficienza e la liceità delle

fonti di sostentamento in Italia412

, era soggetto ad espulsione immediata. La legge n. 685413

del 22 dicembre 1975 regolava, invece, all’articolo 81414

, forme di espulsione legate alla

condanna dello straniero per detenzione di stupefacenti. Se si contestualizzano tali norme nel

sistema politico, economico e sociale di quel periodo, è facile capire come la situazione

italiana fosse abbastanza complessa e caotica. Esodi massicci di stranieri entravano con visti

turistici, per poi non tornare mai più indietro nei loro paesi di provenienza. L’opinione

pubblica, oltre che le forze politiche dell’epoca, avvertivano che quel fenomeno semi isolato

degli anni Settanta stava diventando, invece, un fenomeno di massa che, se non

regolamentato, poteva sfuggire a qualunque tipo di controllo. Tanto è vero che nel 1985 ci fu

un intervento del Ministero dell’Interno che, avvalendosi ancora una volta dello strumento

412 “Salvi i limiti derivanti da convenzioni internazionali, gli stranieri che non dimostrano, a richiesta

dell'autorità di pubblica sicurezza, la sufficienza e la liceità delle fonti del loro sostentamento in Italia, possono

essere espulsi dallo stato con le modalità previste dall'articolo 150, secondo e quinto comma, del testo unico

delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n.773, salvo quanto disposto

dall'articolo 152 dello stesso testo unico. La disposizione del comma precedente non si applica nel caso di asilo

politico previsto dall'articolo 10, penultimo comma, della costituzione della repubblica”.

413“Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di

tossico-dipendenza”.

414 “Espulsione dello straniero condannato” 1. Lo straniero condannato per uno dei reati previsti dagli artt. 71,

71-bis, 73 e 76, commi 2 e 3, a pena espiata deve essere espulso dallo Stato. 2. Lo stesso provvedimento di

espulsione dallo Stato può essere adottato nei confronti dello straniero condannato per uno degli altri delitti

previsti dalla presente legge. 3. Se ricorre lo stato di flagranza di cui all'Articolo 382 del codice di procedura

penale in riferimento ai delitti previsti dai commi 1, 2 e 5 dell'Articolo 71, il prefetto dispone l'espulsione

immediata e l'accompagnamento alla frontiera dello straniero, previo nulla osta dell'autorità giudiziaria

procedente.

115

della circolare, emanava “Disposizioni di massima sugli ingressi e sul soggiorno degli

stranieri in Italia”415

, in cui si faceva presente proprio la problematica degli ingressi regolari

poi tramutatisi in situazioni di irregolarità416

.

2. La prima legge organica sugli stranieri in Italia: la n. 943/1986

L’assetto normativo in tema di immigrazione cambia il 30 dicembre 1986, anno in cui

venne emanata la storica legge n. 943, recante “Norme in materia di collocamento e di

trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine”.

Tale disposizione fu il risultato dell’adeguamento dell’Italia agli obblighi

internazionali, nello specifico all’applicazione dei principi sanciti dalla Convenzione n.

143/1975 dell’O.I.L. sul trattamento dei migranti, ratificata dall’Italia con legge 10 aprile

1981, n. 158, concernente le migrazioni in condizioni abusive, la promozione

dell’uguaglianza di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti. Ma fu anche il

rimedio normativo alla presenza, in Italia, non tanto dei clandestini, quanto dei cosiddetti

overstayers, cioè di quei soggetti entrati nel territorio nazionale con un regolare visto di

ingresso turistico, mai trasformato in titolo di soggiorno. Nella legge n. 943 venne prevista

anche una sanatoria (105.000 domande di regolarizzazione furono accolte nel 1986), ovvero

l’insieme delle misure finalizzate all’emersione e alla regolarizzazione degli stranieri

irregolarmente presenti sul territorio italiano. Da questo momento in poi si dette il via a quella

prassi per cui, generalmente, ogni nuova legge sull’immigrazione importa anche una

regolarizzazione degli irregolari. Una delle caratteristiche della legge del 1986 fu l’assenza

della programmazione dei flussi migratori, sostituita da una programmazione

415 Circolare n. 559/443/225388/2/4/6 del 19 agosto 1985.

416 Intervenne a tal proposito l'allora Ministro dell'Interno Oscar Luigi Scalfaro che proponeva una mediazione

tra le “porte spalancate” e i limiti all’ingresso sul territorio per “impedire abusi e pericoli”. Premessa di Oscar

Luigi Scalfaro alla Circolare n. 559/443/225388/2/4/6 del 19 agosto 1985 cit. pg. 1: “L'Italia ha una tradizione

umanitaria degna della sua civiltà: porte spalancate a chi qui da noi viene per cercare libertà e sfuggire a

persecuzioni o a costretta clandestinità; uguale comprensione per chi, malgrado queste stagioni povere di

lavoro e di attività, viene per lavorare onestamente e per inserirsi in una realtà sociale che ritiene valida. Porte

spalancate anche per aiutare e potenziare il flussi turistico da ogni parte del mondo, fonte di attività, lavoro e

di ricchezza e mezzo non ultimo di reciproca conoscenza (…). Queste porte spalancate, dolorosamente trovano

un limite, un setaccio per impedire abusi e pericoli”.

116

dell’occupazione, ossia da una disciplina dell’accesso al lavoro “caso per caso”, a seconda

delle disponibilità occupazionali, previo accertamento della indisponibilità dei lavoratori

italiani e comunitari in merito a quella specifica attività lavorativa per la quale era richiesta

l’autorizzazione417

. Questa legge non si pose in conflitto con l’allora vigente Testo Unico di

Pubblica Sicurezza in materia di ingresso e soggiorno, ma intervenne sul solo contesto

lavorativo, predisponendo una normativa più vicina allo spirito della Costituzione. Con essa si

garantiva, in particolare, la piena parità di trattamento del lavoratore extracomunitario con

quello italiano, in ossequio anche agli orientamenti della giurisprudenza costituzionale più

volte citata418

, in cui si legge che vi può essere una differenziazione tra cittadino e straniero,

dal punto di vista lavorativo, solamente con riguardo alle modalità di ingresso e soggiorno sul

territorio419

. L’art. 1 della legge n. 943, infatti, “[…] garantisce a tutti i lavoratori extra u.e.

legalmente residenti […] parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai

lavoratori italiani […] garantisce inoltre i diritti relativi all‟uso dei servizi sociali e sanitari

[…] al mantenimento dell‟identità culturale, alla scuola e alla disponibilità all‟abitazione”.

Il principio di uguaglianza ed i diritti sociali vennero così estesi anche ai lavoratori stranieri e,

finalmente, affermati all’interno di uno specifico corpo normativo! Non si può non

condividere, in questa sede, l’opinione di Cuniberti420

, secondo cui lo straniero veniva

escluso, e dunque discriminato, nell’esercizio del dovere di scelta dell’attività lavorativa

garantito dall’articolo 4 del nostro dettato costituzionale, anche se limitatamente al biennio

417 La programmazione dell’occupazione veniva resa attuativa con decreti ministeriali. Essa si concretizzava con

la presentazione e la raccolta delle domande di lavoro, cui seguiva l’inserimento dei nominativi nelle liste di

collocamento speciali e la formazione delle graduatorie necessarie per una selezione dei lavoratori; infine, vi era

l’avviamento al lavoro. Per fare ingresso in Italia e per poter esercitare un attività di lavoro subordinato, lo

straniero doveva essere in possesso di una autorizzazione al lavoro rilasciata dagli Uffici provinciali del lavoro

ed un relativo visto di ingresso dell’autorità consolare.

418 Sentenza Corte Costituzionale n. 144 del 1970 cit.

419 M. Cuniberti, “Il problema della qualificazione giuridica della cittadinanza”, op. cit. pg. 348 e ss, si

conforma ad altri orientamenti dottrinari (vedi A. Adinolfi, I lavoratori extracomunitari, Il Mulino, Bologna,

1992 e M. Luciani, Cittadini e stranieri come titolari di diritti fondamentali. L‟esperienza italiana, in Riv. crit.

dir. priv., 1992) sostenendo come la diversità di trattamento tra le due categorie di soggetti - cittadini e non

cittadini - può essere giustificata, e dunque solamente in questo caso ragionevole, soltanto con l’accertamento di

indisponibilità di manodopera nazionale necessaria all’autorizzazione al lavoro, e non anche durante l’esercizio

dell’attività lavorativa.

420 M. Cuniberti, Il problema della qualificazione giuridica della cittadinanza”, op. cit., pg. 357.

117

coincidente con la durata dell’autorizzazione. Si ricorda, a tal proposito, che la durata

dell’autorizzazione era biennale, e che, solamente alla sua scadenza, lo straniero non era

vincolato al rinnovo dell’autorizzazione per quella tipologia di lavoro, ma era libero di

scegliere attività lavorative non autorizzate, attraverso l’iscrizione nelle liste di collocamento

ordinarie e non più separate. Al di là di questo aspetto, la legge in esame ha rivestito un ruolo

fondamentale nella tematica dell’immigrazione, in quanto si è riusciti ad enunciare, per la

prima volta in un testo normativo, tutta una serie di garanzie per il lavoratore straniero,

finalizzate alla tutela dei diritti fondamentali, dei diritti sindacali, della sicurezza sociale e

delle libertà sia individuali che collettive. Si consideri, però, che la legge n. 943 collegava la

tutela di quei diritti al presupposto che venisse svolta, comunque, una attività lavorativa da

parte del cittadino extracomunitario, restando di fatto esclusa la tutela della condizione

giuridica dello straniero in qualità di persona altra dal lavoratore.

Nei riguardi dell’espulsione, come detto, la legge del 1986 non vi dedicò una

disciplina specifica. Si limitò semplicemente a trattare tale istituto come forma di rimpatrio,

tra l’altro contravvenendo alle norme della Convenzione sulla competenza delle spese ad esso

relativo421

.

Per ciò che attiene alla sanatoria, si vuole ricordare che i suoi esiti furono altrettanto

che favorevoli. Il timore degli stranieri di essere denunciati anziché regolarizzati, e la scarsa

volontà dei datori di lavoro di voler procedere ad una emersione del lavoro nero, fecero non

solo “cadere” i numeri degli stranieri “sanati”, ma fecero si che lo sfruttamento della

clandestinità, contrastato a piena voce dalla Convenzione Oil, continuò ad essere invece di

normale amministrazione.

Le specificità delle disposizioni contenute nella legge n. 943, sebbene limitate al solo

lavoratore subordinato e non anche autonomo, nei riguardi del quale non venne fatto alcun

cenno, non riuscirono, però, a colmare l’assenza di una cornice legislativa chiara, omogenea

e, soprattutto, espressione di una politica univoca in grado di superare le norme del Tulps

ancora in vigore. Tanto è vero che tale rimase, di fatto, pressoché inapplicata in molte sue

421 B. Nascimbene, “Lo straniero nel diritto italiano” op. cit. pg. 39, esprime delle perplessità in merito.

L’autore sostiene, infatti, che la legge 943 non sia stata conforme alla Convenzione OIL, quando, nel disciplinare

il rimpatrio, aveva istituito “un contributo gravante su tutti i lavoratori stranieri a favore di quelli che siano

privi dei necessari mezzi economici”, violando, in tal modo, l’art. 9, par. 3, della Convenzione OIL in cui si

puntualizza, invece, che le spese per il rimpatrio non debbano essere a carico del lavoratore e della sua famiglia.

118

parti. Emergevano, infatti, necessità di garantire il lavoratore non solo come lavoratore

dipendente, di tutelare le condizioni dei profughi e rifugiati, e di avere una copertura

finanziaria adeguata che supportasse economicamente le attività necessarie alla realizzazione

dei presupposti normativi enunciati nella norma di riferimento.

Per far fronte a tali esigenze e per arginare le situazioni di clandestinità che in quegli

anni iniziarono a diventare preoccupanti, intervenne di nuovo il potere esecutivo, il quale

procedette, in via d’urgenza, all’emanazione, nel 1989, del decreto legge n. 416/1989

convertito in legge n. 39/1990.

3. La prima legge di previsione dei flussi migratori: la legge “Martelli”

La legge n. 39/1990422

si inquadra in un contesto storico particolare, nel quale il

fenomeno migratorio iniziava a ricevere attenzione soprattutto per le dimensioni che stava

raggiungendo. L’Italia, del resto, non era pronta a sostenere tale evento, né sotto il profilo

normativo (si è visto nei paragrafi precedenti come il caos di circolari e norme comportasse

disomogeneità nella disciplina dell’immigrazione), né sotto quello della tutela dei diritti dei

non cittadini (ad esempio le citate violazioni del principio di difesa contenute nel Tulps), né,

infine, dal punto di vista sociale (integrazione o assimilazione: ancora oggi si è indecisi su

quali di questi metodi, peraltro risultati entrambi fallimentari, adottare!).

Si cercò di porre rimedio a tale sofferente situazione con la legge Martelli, che

costituiva, altresì, il necessario strumento per poter procedere alla adesione della Convenzione

con gli obblighi ad essa relativi. Due delle novità eclatanti introdotte dalla legge n. 39

rappresentarono, infatti, i due presupposti richiesti dall’accordo di Schengen per poter dar

luogo al negoziato: l’abolizione delle riserva geografica per il riconoscimento dello status di

rifugiato prevista dalla Convenzione di Ginevra, e la programmazione di flussi di ingresso

come filtro per l’accesso degli extracomunitari sul territorio nazionale, oltre la previsione di

disposizioni aventi ad oggetto il soggiorno e l’eventuale allontanamento dello straniero.

La legge Martelli ha costituito la prima legge organica in materia di immigrazione e di

asilo. Attraverso di essa, il nostro Paese riconosceva “l’esistenza” di una presenza stabile di

immigrati che lavoravano e vivevano sul suo territorio. I diritti fondamentali della persona

422 Recante norme sull’ingresso, il soggiorno e l’espulsione degli stranieri.

119

vennero riconosciuti e scollegati da quei diritti garantiti agli stranieri in quanto lavoratori.

Inoltre, tale legge ha il merito di aver tentato di rendere armonico un sistema settoriale e

frammentato. Innanzitutto, ha abolito le norme del Tulps attinenti la disciplina dell’ingresso e

del soggiorno dell’immigrato; in secondo luogo, ha previsto una serie di disposizioni legate

all’ingresso dello straniero sul territorio nazionale non solo per motivi lavorativi423

; in terzo

luogo, ha tutelato lo status di rifugiato che, per la prima volta, trova spazio in una previsione

legislativa nazionale; infine, ha disciplinato le modalità di rilascio e di revoca del permesso di

soggiorno. Anche questa legge ha previsto una sanatoria424

, rivolta a tutti coloro che, presenti

illegalmente in Italia, volevano regolarizzare la propria posizione.

Occorre prestare attenzione alla programmazione dei flussi di ingresso, ancora oggi

validi non solo come strumento di controllo degli ingressi, ma soprattutto come unica

possibilità di accesso425

legale nel nostro Paese da parte di un cittadino straniero.

La programmazione cd. occupazionale, così come concepita dalla legge n. 943, cedette

il passo ad una programmazione annuale dei flussi di ingresso. Le differenze non erano di

poco conto. Se, infatti, la prima si riduceva, come detto, ad una autorizzazione all’ingresso,

previa verifica della indisponibilità dei lavoratori italiani e comunitari in merito a quella

specifica attività lavorativa per la quale era richiesta l’autorizzazione, la seconda aveva una

complessità, anche di gestione, notevolmente superiore. Come la programmazione

occupazionale, anche quella dei flussi necessitava, per la sua attuazione, di decreti

ministeriali, ma la diversità risiedeva nel fatto che con questi ultimi veniva stabilito un tetto

massimo all’ingresso degli stranieri, sulla base dell’andamento dell’economia nazionale e

delle capacità di accoglienza del Paese in cui l’immigrato faceva ingresso. Dal particolare al

generale, dunque: dalla programmazione caso per caso, ad una programmazione i cui criteri di

valutazione avevano una portata tutt’altro che individuale426

. Come fa notare Cuniberti427

, il

423 Vennero disciplinate varie tipologie di ingresso sul territorio, per motivi di turismo, per cura, per motivi

familiari o di culto, per lavoro autonomo, per assistenza familiare, oltre i tradizionali ingressi legati al lavoro

subordinato, studio e ricongiunzione familiare già previsti dalla legge del 1986.

424 Si ricorda che vennero accolte circa 217.000 domande di regolarizzazione.

425 A parte alcune tipologie di ingressi cd. fuori quota.

426 L. Adinolfi, I lavoratori extracomunitari, op. cit. pg. 144 e ss, facendo un paragone tra la legge n. 943 e la

legge 39, sostiene come la prima sia di gran lunga più efficace perché procede ad una valutazione precisa ed

individuale del meccanismo della indisponibilità, a differenza di quelle valutazioni invece globali che fanno da

supporto alla programmazione dei flussi, che “rischiano di essere basate su stime impressionistiche della

120

regime dei flussi di ingresso annuali non portò ad una programmazione seria ed efficace, che,

anzi, si tramutò in un blocco degli ingressi per motivi di lavoro, giustificato dalla

disoccupazione in crescita ovvero dalla maggior tutela occupazionale del lavoratore italiano.

Un cenno, infine, all’istituto dell’espulsione dello straniero. La legge Martelli lo ha

disciplinato separatamente dal Testo Unico del 1931, superando, in tal modo, le previsioni

legislative di pubblica sicurezza che si muovevano, come detto, tra eccessiva rigorosità e

dubbi di costituzionalità sempre più crescenti. Significativa, a tal proposito, è stata

l’introduzione di fattispecie relative all’allontanamento dell’immigrato nonché ai suoi rimedi

giurisdizionali, a seguito dell’abrogazione del già citato articolo 152 del Tulps428

. In

particolare, si fa presente come l’espulsione non venne considerata più come rimedio a

politiche migratorie spesso inefficaci ovvero inesistenti, ma come una misura legata alla

gravità del fatto illecito commesso da parte dello straniero.

Le due leggi in materia di immigrazione sommariamente descritte, la n. 943 del 1986 e

la n. 39 del 1990, hanno sicuramente rappresentato una svolta nella disciplina giuridica

dell’immigrazione, ma non hanno avuto la stoffa per gestire le complesse problematiche

legate al fenomeno migratorio, che non è solo ingresso e soggiorno, ma è distinzione tra

immigrato extracomunitario e comunitario, è differenziazione tra immigrato economico,

rifugiato, asilante, apolide, è garanzia delle libertà fondamentali dell’uomo, è tutela dei diritti

sociali, è protezione dei rapporti familiari. A fronte di ciò, presero il sopravvento,

nuovamente, le amministrazioni del Governo, sia attraverso l’emanazione di numerose

circolari, la cui costituzionalità e legittimità fu sempre posta in dubbio, che a mezzo di

decretazioni d’urgenza. Gli anni che vanno dal 1992 al 1996, infatti, furono caratterizzati per

l’emanazione di una serie di decreti legge, finalizzati all’adeguamento dell’apparato

normativo strutturato nella legge Martelli al reale contesto socio-economico di quel periodo.

Nel 1995, venne emanato il decreto legge n. 489, cd. decreto Dini, che però non verrà mai

convertito in legge, nonostante le ripetute reiterazioni. L’intento del legislatore era quello di

consistenza delle presenze, soprattutto irregolari, di lavoratori stranieri, nonché di essere rapidamente superate

- sia per eccesso che per difetto - a causa delle mutevoli esigenze del mercato del lavoro”.

427 M. Cuniberti, “Il problema della qualificazione giuridica della cittadinanza”, op. cit. pg. 355.

428 Per una puntuale analisi sulle tipologie di espulsione nel Tulps e sul loro rapporto con la legge n. 39/90, vedi

G. D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana: asilo, condizione giuridica, estradizione op. cit. pg., 391 e

ss.

121

modificare alcune norme contenute nella legge n.39, in particolare quelle relative alle materie

di ingresso, soggiorno ed espulsione429

, nonché quello di avviare la predisposizione dei flussi

di ingresso per lavoro stagionale. Tutte le previsioni contenute nel decreto decaddero,

naturalmente, con effetti retroattivi, tranne la sanatoria in esso contenuta, che permise la

regolarizzazione degli stranieri irregolari presenti sul territorio nazionale a far data dal 19

novembre 1995. Questa sanatoria430

venne disciplinata con la legge n. 617 del 9 dicembre

1996431

, che fece salvi gli effetti di regolarizzazione avviati nel 1995 dal decreto legge del

Governo Dini.

4. La prima legge di previsione del sistema delle quote, la legge “Turco-Npolitano”. Le

successive modifiche ad opera della legge “Bossi-Fini” ed il pacchetto sicurezza: solo

politiche migratorie restrittive?

La nuova legge sulla cittadinanza432

, il decreto legge recante misure urgenti in materia

di discriminazione razziale, etnica e religiosa433

, l’adesione dell’Italia agli accordi di

Schengen434

, la ratifica e l’esecuzione del Trattato di Amsterdam435

, hanno costituito i

precedenti legislativi della legge Turco-Napolitano sulla “Disciplina dell‟immigrazione e

429 Tali modifiche non previdero solo diverse ipotesi espulsione, ma, soprattutto, spostarono la competenza

giurisdizionale: dal giudice amministrativo, che era il giudice naturale nella legge Martelli, al giudice penale,

così come indicato nel d.l. n. 489.

430 Si ricorda che si procedette all’accoglimento di circa 240.000 domande di regolarizzazione.

431 Lo strumento normativo delle legge era, del resto, diventato l’unico che potesse disciplinare la materia, visto

che intervenne, in quegli stessi anni, la Corte costituzionale che, con la sentenza del 24 ottobre 1996, dichiarò

incostituzionale la reiterazione non innovativa dei decreti legge decaduti.

432 La già citata legge n. 91 del 5 febbraio 1992 (e il relativo regolamento di esecuzione, dpr n. 572 del 12

dicembre 1993), che detta nuove norme sulla cittadinanza sia per i cittadini presenti nel territorio nazionale, sia

per i cittadini italiani e/o discendenti, residenti all’estero.

433 Decreto legge n. 122 del 26 aprile 1993, convertito in legge n. 205 del 25 giugno 1993.

434 Ratificato ed eseguito in Italia con legge n. 388 del 30 settembre 1993. Si ricorda come l’accordo di Schengen

fu il frutto di una politica comune degli Stati membri, al fine di spostare il controllo dalle frontiere interne, che

non era più necessario in virtù delle libertà di circolazione dei cittadini negli Stati membri, alle frontiere esterne,

cui si accompagnava la relativa problematica di ammissione e soggiorno dei cittadini extracomunitari.

435 Il trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 è stato ratificato ed eseguito dall’Italia con legge n. 209 del 16

giugno 1998.

122

norme sulla condizione giuridica dello straniero”436

, poi confluita nel Testo Unico

sull‟Immigrazione n. 286/1998437

e nel relativo regolamento di attuazione Dpr n. 394/1999.

I processi di comunitarizzazione quindi, in particolare l’accordo di Schengen, hanno

segnato e contraddistinto le scelte politiche nazionali in tema di condizione giuridica dello

straniero, le quali si sono dovute necessariamente adattare agli standards europei di cui le

predette convenzioni si facevano portavoce. Il legislatore del 1998 aveva ben chiaro il

concetto sia dell’armonizzazione dell’Italia con il resto d’Europa, che dell’armonizzazione

della materia in un quadro che fosse il più certo e unitario possibile. I tre obiettivi principali

che la legge si era prefissata, si possono leggere nella relazione di accompagnamento della

legge stessa. Il primo afferiva alla lotta all’immigrazione clandestina e allo sfruttamento

criminale dei flussi migratori. Il secondo aveva ad oggetto la realizzazione di una puntuale

politica di ingressi legali limitati, regolati e programmati. Il terzo era inerente all’avvio di

realistici ma effettivi percorsi di integrazione per i nuovi immigrati legali e per gli stranieri già

regolarmente soggiornanti. Alla luce di queste tre finalità, il legislatore avviò il suo lavoro

predisponendo circa 49 articoli (contro i 13 della legge Martelli) che disciplinavano svariati

aspetti della condizione dello straniero.

Per chiarezza si fa presente che, ai fini di una più facile esposizione, si parlerà

indistintamente di testo unico, anche se ci si riferisce alle norme introdotte con la legge n. 40,

visto che poi in esso sono state trasfuse e coordinate.

Innanzitutto, il testo unico immigrazione definisce il suo ambito di applicazione, che

comprende i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e gli apolidi; mentre non

comprende i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea438

, i quali sono destinatari di

una normativa specifica439

. Per essi vale, infatti, il principio della libera circolazione e

436 Legge n. 40 del 1998.

437 Il testo unico ha provveduto a riunire e coordinare le disposizioni in materia di immigrazione già in vigore.

Comprende la legge n. 40/98, il Tulps del 1931, la legge n. 943/86, la legge n. 39/90 e la legge n. 335/1995 in

tema di riforma del sistema previdenziale.

438 Si ricorda come le norme del testo unico immigrazione si applicano ai cittadini comunitari solo se più

favorevoli (articolo 1, comma 2, testo unico immigrazione). Tale principio è stato, ad esempio, invocato per

l’iscrizione anagrafica del genitore comunitario di minore italiano (nella risposta del Ministero dell’Interno ad un

quesito del 16 novembre 2007).

439 Testo unico n. 54/2002 recante norme in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri

dell‟Unione europea, così come modificata dal d.lgs. n. 30/2007.

123

soggiorno statuito dall’articolo 8A del Trattato di Maastricht del 1992440

, cui si attribuisce

efficacia di fonte costituzionale ai sensi dell’articolo 11 della nostra Carta costituzionale.

Gli articoli della legge di riforma del 1998 si snodano in sette titoli, affrontando

tematiche distinte, sebbene tra esse fortemente connesse, quali la disciplina dell’immigrazione

e quella per l’immigrazione. La prima inerente l’ingresso, il soggiorno, le modalità di accesso

al lavoro, l’espulsione dello straniero; la seconda avente ad oggetto la tutela dei diritti

fondamentali e civili, nonché dei doveri ad essi collegati. I punti cardine del dettato normativo

si possono ravvisare nella programmazione dei flussi di ingresso, nel contrasto

all’immigrazione clandestina, nell’introduzione dei centri di permanenza temporanea, nella

disciplina della carta di soggiorno, nelle norme a tutela della famiglia e dell’integrazione

scolastica, nella uguaglianza e parità di trattamenti sanitari, sociali e giurisdizionali441

.

Lo spirito della legge n. 40/98 è ben definito dalle parole di Cuniberti442

, il quale

valuta la Turco-Napolitano come “un compromesso soddisfacente tra l‟esigenza di un

controllo sull‟immigrazione e la tutela dei diritti di chi entra legalmente”. Questa

disposizione si presenta, infatti, con una “ratio binaria”. Per un verso, è espressione di una

politica migratoria che, per la prima volta, parla di integrazione dello straniero nel rispetto dei

diritti umani e dei principi di solidarietà e di eguaglianza. A tal proposito, l’articolo 2 del

testo unico immigrazione, riconosce, allo straniero presente alla frontiera e nel territorio dello

Stato, i diritti “fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno,

dalle Convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale

generalmente riconosciuti”, mentre garantisce, allo straniero regolarmente soggiornante nel

territorio dello Stato, i diritti “in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le

convenzioni internazionali in vigore in Italia e il presente testo unico dispongano

diversamente”. Per altro verso, in sintonia con le politiche degli altri stati europei, tale legge

ha previsto un sistema di controllo delle frontiere e degli ingressi, per la tutela della legalità e

440 “Ogni cittadino dell‟unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati

membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in

applicazione dello stesso”. Si ricorda che le limitazioni di cui parla l’articolo 8A sono quelle inerenti ai motivi di

sicurezza, sanità e ordine pubblico. Sostanzialmente, tali limiti sono gli stessi che si ritrovano nell’articolo 16

della Costituzione italiana.

441 Si ricorda come, anche questa volta, sia stata prevista una sanatoria, con l’accoglimento di 215.000 domande

di regolarizzazione.

442 M. Cuniberti, Immigrazione e Costituzione, in Forum della Rivista di diritto costituzionale, 2001, 218 e ss.

124

della sicurezza interne, attraverso forme di respingimento alla frontiera ovvero di espulsione.

A ciò si è accompagnato un inasprimento delle pene nei riguardi di chi favorisce

l’immigrazione clandestina, in linea con l’emergenza non solo politica, di porre un freno agli

ingressi irregolari sul territorio italiano, approdo, in quegli anni, di migliaia di migranti

economici.

La trattazione del testo unico, in quanto costituisce la disciplina generale in materia di

immigrazione, abbisogna di un’analisi che non può prescindere da quelle modifiche

legislative, anche recentissime, che sono state apportate alla norma in esame. Pertanto, si

procederà, anche nell’ottica di una migliore chiarezza espositiva, ad una lettura comparata di

quegli istituti non solo più interessanti ma anche più discutibili, la cui regolamentazione ha

subito delle modificazioni a seguito delle normative successive al testo unico n. 286/1998. In

particolare, si presterà attenzione ai mutamenti avvenuti ad opera della legge n. 189/2002443

,

cd. Bossi – Fini, che ha optato per una politica migratoria all’insegna della restrittività. Le

norme relative all’ingresso e al soggiorno dello straniero, come quelle riguardanti i visti di

ingresso, il permesso e la carta di soggiorno, il ricongiungimento familiare, l’accesso ai diritti

sociali, l’espulsione, il diritto di asilo, hanno subito dei cambiamenti che non sono stati a

vantaggio dell’immigrato. La legge del 2002 è complessivamente ancorata a quel rapporto,

quasi indissolubile ci si permette di dire, tra ingresso nello Stato ed esistenza concreta di un

contratto di lavoro. Lo straniero ha il diritto di varcare il confine nazionale solo se “chiamato”

ad un’attività lavorativa. Su questa esigenza, del resto, si è plasmata la previsione del

contratto di soggiorno, la durata del permesso commisurata alla durata del relativo contratto di

soggiorno, la determinazione di quote legata alla effettiva domanda di lavoro.

4.1. Politiche migratorie a confronto: testo unico e novella del 2002

La politica di governo sull’immigrazione, secondo il testo unico, si esprime attraverso

due strumenti di cui la nuova legge si avvale. Il primo strumento consiste nel documento

programmatico triennale, che il Presidente del Consiglio sottopone all’approvazione del

Consiglio dei Ministri e presenta al Parlamento. Con il documento programmatico vengono a

delinearsi le linee guida, i progetti e gli interventi che il nostro Paese intende realizzare in

443 “Modifica normativa in materia di immigrazione e di asilo”.

125

relazione al fenomeno migratorio, predisponendo anche cooperazioni sia con gli altri Paesi

europei al fine di realizzare un politica comune, che con le organizzazioni internazionali e le

istituzioni non governative. Inoltre, con questo documento vengono definiti i flussi di ingresso

e gli interventi necessari al fine di garantire l’inserimento sociale, l’integrazione culturale, i

rapporti familiari ed eventualmente un reinserimento nel Paese di origine dello straniero

soggiornante in Italia. La Bossi-Fini ha ridefinito la durata del documento di

programmazione, che non è più vincolato all’emanazione triennale, ma tale periodo può

essere ridotto, qualora esigenze particolari lo necessitino444

, conferendo al Presidente del

Consiglio dei Ministri la possibilità di emanare un documento programmatico nuovo,

vanificando gli effetti del precedente attualmente in essere. Il secondo strumento consiste

nell’approvazione di uno o più decreti che definiscono, annualmente o per il più breve

periodo relativo al lavoro stagionale, le quote degli immigrati per i quali è ammesso l'ingresso

per motivi di lavoro subordinato o autonomo: i cd. decreti flussi. La predisposizione di un

sistema di quote permette di delineare un tetto massimo di ingressi, che poi verrà a sua volta

suddiviso a livello regionale e provinciale. Nel sistema complessivo delle quote vi rientrano

anche quelle cd. privilegiate, ovvero le quote che vengono concesse a Paesi terzi con i quali il

nostro Governo ha stipulato accordi di riammissione445

. Preventivo all’emanazione del

decreto flussi, è il parere delle Commissioni parlamentari competenti. A tale parere si

aggiunge, così come stabilito dalla novella del 2002, quello del Comitato per il

coordinamento e monitoraggio delle disposizioni del testo unico e della Conferenza unificata

Stato-Regioni, in modo tale che vi sia una concreta corrispondenza tra gli ingressi dei

lavoratori extracomunitari e le effettive esigenze di mercato occupazionale446

.

Una breve considerazione in merito al sistema delle quote. Se, in linea di principio, la

predisposizione di quote di ingresso potrebbe rappresentare una soluzione per limitare,

concretamente, gli ingressi irregolari sul nostro territorio, v’è da dire che ciò che non

444 “Salvo la necessità di un termine più breve”, si legge, infatti, nell’articolo 3 della legge n. 189/2002.

445 Possono anche aversi delle quote di ingresso che si distinguono dalle ordinarie, le quali sono necessarie per

far fronte a situazioni particolari, come quelle conferite ai Somali nel 2001. L’articolo 21, primo comma, del

testo unico immigrazione, è stato integrato dalla legge del 2002, con la previsione di una limitazione agli ingressi

di quei lavoratori cittadini di “Stati che non collaborano adeguatamente al contrasto dell‟immigrazione

clandestina o nella riammissione di propri cittadini destinatari di provvedimenti di rimpatrio”.

446 Una delle novità introdotte dalla legge n. 189 è rappresentata dalla definizione delle quote entro una data

stabilita, che è quella del 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento del decreto.

126

convince è il numero massimo degli ingressi stabiliti. Questo è sempre molto esiguo rispetto

alla moltitudine di stranieri che vorrebbero onestamente e regolarmente soggiornare in Italia.

Da questo punto di vista, le quote tendono ad assumere la caratteristica di un boomerang, da

strumento per evitare la clandestinità a strumento che sostiene quella stessa clandestinità: tutti

coloro che rimangono fuori quota entrano, e dunque vivono sul territorio irregolarmente,

alimentando il lavoro nero e gravando sul welfare statale qualora esercitino i cd.“diritti che

costano”447

.

Per ciò che attiene, infine, alle competenze legislative in materia di immigrazione, si

ricorda come questo tema sia stata già trattato nel paragrafo relativo al rapporto tra l’articolo

10, II comma, Cost. it. e l’articolo 117 Cost. it. Pertanto, in questa sede, ci si limita a ripetere

che il rapporto tra Stato, Regioni ed altri enti locali in materia di immigrazione viene

disciplinato dal testo unico immigrazione prevedendo un ruolo decisamente attivo dei

secondi, che concorrono allo svolgimento delle politiche per l’immigrazione attraverso

iniziative volte a favorire l’integrazione e l’inserimento degli stranieri nel tessuto sociale,

avvalendosi dell’opera dei Consigli Territoriali per l’immigrazione, istituiti appositamente per

assolvere tale finalità.

4.2. Visti di ingresso e titoli di soggiorno: il legame tra ingresso e lavoro non si scioglie,

anzi si rafforza.

Il primo titolo del testo unico immigrazione afferma che vige il principio generale per

cui si fa ingresso nel territorio dello Stato con regolare passaporto in corso di validità o

documento equipollente e visto di ingresso448

, rilasciato dall’autorità consolare o diplomatica

italiana nel paese di origine dello straniero449

. L’articolo 4 del testo unico immigrazione

individua due tipi di visti di ingresso, quelli per soggiorni di breve durata, validi sino a

447 Come il diritto alle cure mediche indispensabili ovvero il diritto all’assistenza per la maternità.

448 Il visto di ingresso è un provvedimento amministrativo che, sostanzialmente, autorizza lo straniero cui è

rilasciato, a fare ingresso sul territorio di tutti quegli Stati dell’Unione europea tra i quali è in vigore la libera

circolazione (la c.d. area Schengen) qualora si tratti di un VSU, ovvero, a fare ingresso in uno solo degli Stati

aderenti alla convenzione Schengen, qualora lo straniero sia in possesso di VN o VTL.

449 Fanno eccezione, ad esempio, i visti di ingresso rilasciati dalle autorità diplomatiche o consolari di altri Stati

(artt. 10, 11 e 12 dell’Accordo di Schengen), e gli accordi internazionali sull’abolizione dei visti di ingresso per

turismo (articoli 5 e 21 dell’Accordo di Schengen).

127

novanta giorni, e quelli per soggiorni di lunga durata. I primi, nel caso in cui vengano

rilasciati per turismo, visite, studio o affari, non comportano più l’obbligo della richiesta di un

permesso di soggiorno, ma è sufficiente, ai sensi della legge n. 68 del 28 maggio 2007450

, la

presentazione di una dichiarazione di soggiorno o alla polizia di frontiera all’atto dell’ingresso

sul territorio ovvero alla questura. I secondi comportano la richiesta di un permesso di

soggiorno che abbia la stessa motivazione indicata nel visto di ingresso. Le tipologie di visto

sono sostanzialmente tre. Il VSU, il Visto Schengen Uniformi, rilasciati per transito o

soggiorno non superiore a tre mesi, il VN, il Visto nazionale e il VTL, ovvero il visto a

validità territoriale limitata. Ai fini del rilascio del visto di ingresso, lo straniero dovrà

dimostrare di essere in possesso di una idonea documentazione attestante lo scopo e le

condizioni del soggiorno, e di avere la disponibilità dei mezzi di sussistenza sufficienti per la

durata del soggiorno. Nel caso di diniego del visto di ingresso, occorre fare una

differenziazione tra la natura di interesse legittimo ovvero di diritto soggettivo del visto di

ingresso, ai fini della competenza giurisdizionale in caso di ricorso. L’articolo 30, comma 6,

del testo unico immigrazione, sostiene l’ipotesi della natura di diritto soggettivo, ad esempio,

del visto di ingresso per ricongiungimento familiare; dichiara, quindi, competente il giudice

ordinario per un eventuale ricorso avverso il diniego di tale di visto. La competenza spetterà,

invece, al giudice amministrativo, qualora vi sia un ricorso contro il diniego, ad esempio, di

un visto turistico, in quanto la posizione giuridica che fa capo a colui che richiede il visto de

quo sembra essere ricomprensibile nell’interesse legittimo. Il provvedimento di diniego va

sempre motivato, tranne, in deroga alla legge n. 241/1990, quello adottato per ragioni di

sicurezza o di ordine pubblico451

.

Relativamente all’ingresso dello straniero, la novità apportata dalla legge di riforma

del 1998, oltre al sistema delle quote innanzi descritto, è rappresentata dalla previsione dello

sponsor come meccanismo di ingresso dello straniero per inserimento lavorativo (articolo 23).

Lo sponsor era un soggetto, italiano o straniero regolarmente soggiornante, che si faceva

garante452

dell’ingresso in Italia di uno straniero, dandogli così la possibilità di ottenere un

450 “Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio”.

451 Salvo che abbia ad oggetto le domande di visto presentate ai sensi degli articoli 22, 24, 26, 28, 29, 36, 39 del

testo unico immigrazione.

452 La garanzia copriva la sistemazione alloggiativa e i costi per il sostentamento e l’assistenza sanitaria, per tutta

la durata del permesso di soggiorno.

128

permesso di soggiorno di durata annuale, al fine di inserirsi nel mercato del lavoro. Tale

istituto rappresentava, di fatto, una opportunità in più che veniva conferita allo straniero, al

fine di stanziare regolarmente, anche se temporaneamente, in Italia, per cercare un lavoro che

gli permettesse, poi, di rendere definitiva la sua permanenza. La successiva legge n. 189/2002

ha abolito lo sponsor. Probabilmente, nell’ottica di questo legislatore, doveva essere troppo

rischioso facilitare l’ingresso dell’immigrato per ricerca lavoro e presumere di non poter

controllare, se non marginalmente, il ritorno di quello stesso immigrato nel Paese di origine o

in altro Stato, qualora la ricerca occupazionale non avesse dato esiti positivi. La Bossi – Fini

poteva e, forse, doveva mantenere lo sponsor, specificando, magari, le modalità di gestione

dell’eventuale allontanamento dello straniero qualora questi non si fosse inserito nella realtà

lavorativa. Continuare a prevedere la sponsorizzazione, avrebbe significato non solo

concedere una risorsa in più all’immigrato che voleva fare ingresso regolare sul territorio, ma

anche diminuire le possibilità che quello straniero andasse ad incrementare il numero, già

peraltro elevato, dei clandestini. Del resto, tutto ciò è il risultato sia della ferrea lotta contro

l’immigrazione irregolare e clandestina che ha condizionato tutta la legge di riforma del testo

unico immigrazione, che di una volontaria limitazione all’ingresso, anche regolare, dello

straniero sul territorio nazionale. La buona funzionalità di tale istituto è stata ben compresa da

coloro che avevano previsto, nel ddl di riforma dell’immigrazione cd. Amato - Ferrero453

,

approvato il 24 aprile 2007, il reinserimento dello sponsor454

come canale di ingresso

scollegato dall’incontro domanda e offerta di lavoro, anche se limitato nell’ambito delle quote

previste a tal fine. Lo sponsor è oggi sostituito dai cd. titoli di prelazione nel collocamento dei

lavoratori stranieri che hanno frequentato corsi di formazione e aggiornamento professionale

organizzati all’estero da enti abilitati: una soluzione molto poco pratica che non pare abbia

riscosso successo.

Per ciò che attiene ai titoli di soggiorno, il testo unico immigrazione ha

sostanzialmente confermato la disposizioni già contenute nella legge n. 39 del 1990455

. Il

453 “Disciplina dell‟immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero”.

454 Il ddl Amato - Ferrero prevedeva anche la cd. auto sponsorizzazione. Lo straniero aveva la possibilità di fare

ingresso in Italia per cercare un lavoro, ma era sottoposto all’onere di depositare una somma di denaro in

garanzia, che sostanzialmente sostituiva lo sponsor – garante.

455 Si ricorda che la Bossi-Fini ha arricchito l’articolo 5 del testo unico immigrazione specificando che il

permesso, per essere titolo di soggiorno, deve essere in corso di validità.

129

d.lgs. n. 286/1998 inserisce delle specifiche ulteriori riguardo alle varie tipologie di permesso

di soggiorno456

e alle loro caratteristiche, quali la richiesta457

, il rilascio e il rinnovo458

, la

revoca e le rispettive modalità di impugnazione459

, la durata460

, oltre all’indicazione dei

456 Permessi di soggiorno per motivi di lavoro, turismo, motivi familiari, studio, formazione, giustizia, attesa

emigrazione in altro stato, esercizio delle funzioni di ministro di culto, cure mediche, convivenza in istituti civili

o religiosi, protezione sociale e ragioni umanitarie.

457 Il permesso di soggiorno deve essere richiesto al questore della provincia in cui lo straniero si trova. Il

termine è di gg. 8 dall’ingresso sul territorio nazionale. Sulle modalità della richiesta, si ricorda che questa si

avviava con la compilazione di una scheda - modello (predisposto dal Ministero dell’Interno) che veniva

sottoscritta dal richiedente, in cui venivano dichiarate le proprie generalità, il luogo del soggiorno e soprattutto il

motivo del soggiorno. Inoltre lo straniero doveva consegnare un foto tessera che poi veniva apposta sul permesso

allora cartaceo.

458 Competente al rinnovo del permesso di soggiorno è sempre il questore della provincia di residenza dello

straniero. Questi deve fare richiesta di rinnovo entro gg. 30 dalla data di scadenza del titolo di soggiorno.

Particolare attenzione è da prestare alla condizione dello straniero nelle more del rilascio del nuovo permesso di

soggiorno. Lo straniero era in possesso del cd. cedolino, ovvero la ricevuta attestante la richiesta di rinnovo, che

però non lo abilitava né all’espatrio né all’eventuale rientro, tantomeno poteva essere titolo per usufruire di

alcuni diritti sociali. Questa era la situazione fino alla emanazione delle direttiva del Ministero dell’Interno del 5

agosto 2006, attraverso la quale si è disposto che, per tutto il periodo della fase del rinnovo del permesso, il

cedolino equivaleva al permesso di soggiorno e produceva i suoi stessi effetti. Oggi, con le modifiche inerenti le

modalità di rinnovo del permesso di soggiorno, in virtù della convenzione stipulata tra il Ministero dell’Interno e

Poste Italiane spa, ai sensi della legge n. 3 del 16 gennaio 2003, a partire dall’11 dicembre 2007, le istanze di

rilascio del permesso e carta di soggiorno devono essere presentate dall’interessato presso gli Uffici Postali

abilitati, attraverso gli appositi Kit postali. In tal caso la ricevuta postale, al pari del cedolino, sostituisce appieno

il permesso di soggiorno. Così ha disposto il Ministero dell’Interno con la circolare del 16 giugno 2007,

affermando, in primo luogo, che i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti possono partire temporaneamente

dall’Italia e farvi regolare rientro anche se in possesso della sola ricevuta di Poste italiane (che attesta l’avvenuta

presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso o della carta di soggiorno); ricordando, in secondo luogo, che,

come da circolare del 7 dicembre 2006, la ricevuta postale ha la stessa validità del cedolino che prima veniva

rilasciato dalle questure e consente allo straniero di godere degli stessi diritti connessi al possesso del titolo di

soggiorno

459 L’impugnazione contro il rifiuto al rilascio del permesso di soggiorno avveniva con ricorso al Tar

territorialmente competente entro gg. 30 dalla notifica del diniego. Era anche previsto una ricorso straordinario al

Presidente della Repubblica, alternativo a quello ordinario, stante la natura di atto amministrativo definitivo del

diniego del questore.

460 In merito alla durata, si fa presente che ogni tipologia di permesso di soggiorno ha una specifica durata. Si va

da un periodo di tre mesi per il permesso turistico, per esempio, ad un periodo superiore ai due anni per un

130

controlli in materia di soggiorno. Il permesso di soggiorno è un titolo che legittima lo

straniero a soggiornare regolarmente sul territorio nazionale. In più lo abilita, nei casi in cui la

tipologia di permesso lo consenta, allo svolgimento di tutte le attività lavorative, a meno che

queste non siano riservate ai soli cittadini italiani. Un esempio di attività preclusa allo

straniero, pur in possesso di regolare permesso di soggiorno, è quella del pubblico impiego.

L’esclusione dello straniero dal pubblico impiego trova il limite insormontabile nella richiesta

della cittadinanza italiana come requisito indispensabile per lo svolgimento di quella attività.

Un accesso negato che non ha subito variazioni né a livello legislativo461

né a livello

giurisprudenziale. L’articolo 27, comma 3, del testo unico sull’immigrazione, nel disciplinare

l’ingresso per lavoro in casi particolari (i cd. fuori quota) fa salve, infatti, le disposizioni che

prevedono il possesso della cittadinanza italiana per lo svolgimento di determinate attività.

Gli operatori del diritto, solo in casi isolati, hanno mostrato uno spirito di apertura verso

l’accesso dello straniero al pubblico impiego462

. La Cassazione ha recentemente appianato

ogni divergenza sul punto, affermando la negazione dell’accesso dello straniero al pubblico

impiego463

e ribadendo la necessità della cittadinanza italiana come requisito indispensabile

per qualunque forma di pubblico impiego464

. Il cittadino extracomunitario, ancorché

regolarmente residente, viene, dunque, escluso dalla possibilità di assunzione da parte di una

pubblica amministrazione, in ottemperanza al disposto costituzionale di cui all’articolo 51.

Tale limitazione non è invece operante per il cittadino comunitario cui viene riconosciuto, ai

permesso per motivi di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero autonomo. Si ricorda che il permesso

per attesa occupazione, che nel testo unico aveva una validità annuale, con la legge di riforma ha durata

semestrale.

461 Un segno di apertura in tal senso potrebbe essere rappresentato dalle previsioni della legge del 2002 in ordine

alle attività infermieristiche svolte dai cittadini extracomunitari, non solo in strutture sanitarie private ma anche

pubbliche. Vedi, a tal proposito, l’articolo 27 r-bis testo unico immigrazione, che, addirittura, esclude queste

attività dal sistema delle quote.

462 Vedi, ad esempio, la sentenza del Tribunale di Venezia 12 gennaio 2005 ed il decreto della Corte di Appello

di Firenze n. 11333 del 2005.

463 Sentenza della Cassazione civile, sez. lav. Del 13 novembre 2006, n. 24170. La Corte ha ritenuto legittimo

che fosse rifiutato, da parte dell’amministrazione provinciale di Siena, ad un cittadino albanese, l’iscrizione nelle

liste riservate ai disabili per l’accesso al lavoro presso le pubbliche amministrazioni, ai sensi della legge n.

68/1998.

464 Come previsto dall’articolo 2 del dpr n. 3 del 1957 in materia di accesso agli impieghi civili dello Stato, e

dall’articolo 38 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 in materia di pubblico impiego.

131

sensi della legge n. 165 del 2001465

, il diritto all’accesso presso le pubbliche amministrazioni,

qualora il posto di lavoro o le funzioni da svolgere non implichino esercizio diretto o indiretto

di pubblici poteri, ovvero non attengano alla tutela dell’interesse nazionale.

Alla luce di quanto detto, sarebbe interessante inquadrare l’esclusione dal pubblico

impiego nelle aree tematiche di cui spesso si è discusso, in particolare la cittadinanza ed il

principio di uguaglianza. Ci si sta muovendo verso una cittadinanza sociale aperta; la nozione

classica di cittadinanza non ha più quel valore intrinseco di quando lo stato nazionale era nel

pieno splendore; anche a livello di proposte legislative, sembra emergere sempre più il criterio

della residenza piuttosto che quello della cittadinanza, come presupposto all’esercizio dei

diritti. A fronte di tutto ciò ci si chiede, allora, se quella limitazione all’accesso al pubblico

impiego non rappresenti un fattore di disuguaglianza ai sensi dell’articolo 3 Cost. it. Al

contrario, se i nostri apparati politici e, soprattutto normativi, restassero immuni da questi

mutamenti che non solo di carattere nazionale, allora si dovrebbe continuare a ragionare con

le vecchie categorie per cui l’uguaglianza c’è comunque, anche se emergono delle

differenziazioni tra soggetti appartenenti a status diversi, purché queste siano ragionevoli.

Tornando ai titoli di soggiorno, la nuova disciplina in tema di immigrazione ha agito

fondamentalmente sulla loro durata, usando come parametro di riferimento le cause del

rilascio degli stessi. Il permesso di soggiorno per motivi diversi dal lavoro, avrà la durata

prevista dal visto di ingresso, nei limiti stabiliti dal terzo comma dell’articolo 5 del testo unico

immigrazione. Se, invece, il titolo di soggiorno sarà per motivi di lavoro, il discorso cambia.

La nuova disciplina prevede delle modifiche in merito alla richiesta di questa tipologia di

permesso, consistenti nella preventiva stipula del contratto di soggiorno466

. Questo è un

negozio giuridico, di natura sinallagmatica, tra datore di lavoro e lavoratore, con il quale il

primo comunica, allo Sportello Unico per l’Immigrazione 467

competente, che il secondo è

alle proprie dipendenze, facendosi altresì garante della sua sistemazione alloggiativa e del

pagamento delle spese per un suo eventuale ritorno nel Paese di origine. Si ricorda come

fossero diverse le modalità previste per il rimpatrio dello straniero-lavoratore nella legge n.

465 Recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

466 Articolo 3 bis della legge 189/2002.

467 Si ricorda che lo Sportello unico per l’immigrazione è un organo istituito dalla legge Bossi-Fini con sede

presso ogni Prefettura. La sua competenza è quella, appunto, di occuparsi di tutta la procedura relativa

all’assunzione del lavoratore straniero.

132

943. Nel suo articolo 13, si prevedeva un Fondo istituito allo scopo di garantire i mezzi

economici necessari per il rimpatrio del lavoratore extracomunitario, per il cui finanziamento

era sufficiente un contributo dello 0,50% della retribuzione imponibile a carico dei lavoratori

extracomunitari. I lavoratori extracomunitari degli anni Ottanta erano, quindi, svincolati dai

propri datori di lavoro e dagli impegni, anche onerosi, cui questi erano sottoposti ai fini del

soggiorno regolare dello straniero. Si badi bene che, nonostante il contratto di soggiorno sia

uno degli istituti fondamentali della legge del 2002, i suoi effetti saranno prodotti solamente a

seguito dell’emanazione del regolamento di attuazione, il dpr 333/2004468

. Il regolamento ha

individuato, peraltro, delle specifiche che hanno alleggerito la posizione gravosa del datore di

lavoro, relativamente ai due requisiti necessari per la stipula del contratto di soggiorno. Infatti,

prima del 2004, l’interprete non aveva dubbi a qualificare come garanzia l’onere che aveva il

datore di lavoro circa la ricerca di un alloggio idoneo per il lavoratore chiamato in Italia. Nel

dpr n. 333 scompare la parola garanzia. Permane, invece, la previsione di una sorta di

impegno, a carico del datore di lavoro, il quale dovrà semplicemente indicare che il lavoratore

ha un alloggio idoneo dal punto di vista igienico e dell’abitabilità; in più, il datore di lavoro

procederà, sempre a titolo di impegno e mai di obbligo, a finanziare eventuali spese per il

rimpatrio del lavoratore che sarà alle sue dipendenze.

Il contratto di soggiorno, infine, è anche il termine di raffronto per la durata del

permesso di soggiorno. Questa non è più standard, ma va di pari passo con la durata del

contratto di soggiorno e non può, comunque, essere superiore a nove mesi per il lavoro

stagionale, un anno per il lavoro subordinato a tempo determinato, e due anni per il lavoro

subordinato a tempo indeterminato e per ricongiunzione familiare.

Per ciò che attiene il lavoro autonomo, vi è da dire che il legislatore non si è mai posto

particolari problemi, tanto è vero che la prima legge organica addirittura non ne

regolamentava la fattispecie. Solamente con la successiva legge Martelli, vennero previste le

iscrizioni presso gli albi e registri professionali, oltre che il possesso della licenza, necessaria

anche per il commercio ambulante. Si dovrà, però, attendere il testo unico immigrazione

affinché il lavoratore autonomo abbia una disciplina specifica. Si fa presente che l’articolo 26

del testo unico immigrazione vincola anche il lavoratore autonomo alle quote flussi469

, e,

468 Regolamento di attuazione che è arrivato dopo circa 3 anni dalla emanazione della legge di riferimento,

lasciando che questa producesse i suoi effetti solo in modo parziale.

469 A ciò si aggiungono tutti gli adempimenti previsti per il rilascio delle autorizzazioni necessarie all’esercizio

133

proprio a tal riguardo, la dottrina si è posta una serie di interrogativi sulla “determinazione del

fabbisogno annuo di lavoratori autonomi”470

.

Altra novità introdotta dalla legge di riforma in tema di titoli di soggiorno, è

rappresentata dalla carta di soggiorno. Il dibattito parlamentare che si instaurò attorno alla

legge n. 40 del 1998, si era soffermato molto sugli effetti che tale titolo di soggiorno poteva

produrre in capo al titolare. Il fatto che fosse un titolo permanente concesso allo straniero, in

quanto legalmente residente sul territorio dello Stato da almeno cinque anni, aveva, infatti,

posto il problema della garanzia dei diritti politici anche al non cittadino. Tanto è vero che ci

si chiedeva, in sede parlamentare, se non fosse necessaria una preventiva riforma

costituzionale dell’articolo 48 Cost. it., che prevedesse la titolarità dell’elettorato attivo e

passivo anche per gli stranieri. La parte relativa al diritto di voto, sebbene il riferimento fosse

solamente al voto amministrativo, non venne poi inserita nel testo normativo. E, pertanto,

restò operativa la sola disciplina della carta di soggiorno come titolo di soggiorno

permanente471

, che potrà essere rilasciato allo straniero regolarmente soggiornante in Italia da

almeno cinque anni, purché non vi siano preclusioni di natura penale472

.

Nel testo unico immigrazione si legge che uno dei requisiti per potere richiedere la

carta di soggiorno, è il possesso, da parte dello straniero, di una tipologia di permesso che

“consente un numero indeterminato di rinnovi”. Sarebbero dunque esclusi, dal novero degli

“aventi diritto” alla richiesta di carta, per esempio, i possessori del permesso per motivi di

studio, essendo superfluo che questi siano regolarmente residenti sul territorio da cinque anni.

Il limite del possesso di un permesso che consenta un numero indeterminato di rinnovi

dell’attività, nonché i requisiti che anche il lavoratore autonomo deve possedere, per ciò che attiene la

sistemazione alloggiativa ed il possesso del reddito minimo.

470 G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L‟esperienza italiana tra storia costituzionale e

prospettive di riforma, op. cit. pg. 295, il quale si riporta, per una disamina sulla disciplina del lavoro autonomo

e sul suo rapporto con la condizione di reciprocità, a M. Marando, La disciplina del lavoro autonomo e i rapporti

di lavoro speciali, in B. Nascimbene (a cura di), Diritto degli stranieri, Cedam, Padova, 2004, pg 833 e ss.

471 Originariamente sottoposta a rinnovo ogni dieci anni, attualmente ogni cinque, a seguito delle modifiche

apportate dalla legge Bossi-Fini.

472 E’ ostativa al rilascio della carta di soggiorno la situazione dello straniero che riveste la qualità di imputato

con il rinvio a giudizio per uno dei reati di cui all’articolo 380 e 381 cpp (arresto obbligatorio e facoltativo in

flagranza), nei limiti, per quest’ultimo, dei reati non colposi, ovvero quando lo straniero è condannato con

sentenza anche non definitiva per gli stessi reati.

134

determina evidenti disuguaglianze tra soggetti appartenenti, peraltro, ad uno stesso status. Le

modifiche apportate dalla legge Bossi-Fini non hanno posto rimedio a questa diversità,

essendosi “limitate” a far salire, da cinque a sei anni, la durata del soggiorno regolare ai fini

della concessione della carta di soggiorno. Pertanto, il vincolo del numero indeterminato di

rinnovi è stato operativo sino all’emanazione del decreto legislativo n. 3 dell’8 gennaio 2007.

Con tale riforma, avvenuta in attuazione della direttiva europea 2003/109/CE relativa allo

status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, si è, invece, proceduto alla

modifica dell’articolo 9 del testo unico immigrazione nonché all’inserimento di un nuovo

titolo di soggiorno che sostituisce la carta, il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di

lungo periodo. La durata della permanenza regolare sul territorio nazionale viene riportata a

cinque anni e, soprattutto, non sarà più necessario, ai fini del suo rilascio, il possesso di un

permesso di soggiorno per un motivo che consenta un numero indeterminato di rinnovi. Non

hanno subito variazioni i requisiti inerenti l’idoneità alloggiativa473

ed il reddito minimo474

.

Vi è da rilevare, inoltre, come la carta di soggiorno abbia costituito, per anni, il

lasciapassare per l’accesso alle prestazioni sociali, fino a quando l’intervento della Corte

costituzionale475

, ne ha ridimensionato la portata, scollegando il diritto di diritto alle

prestazioni di assistenza e previdenza sociale dal possesso della carta di soggiorno476

.

Si ricorda, infine, che la legge Bossi-Fini ha introdotto il comma 2 bis all’articolo 5

del testo unico immigrazione, che include i rilievi foto dattiloscopici cui deve essere

sottoposto lo straniero che fa richiesta del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno. La

previsione del rilievo delle impronte digitali agli immigrati ha suscitato aspre polemiche nello

scenario, non solo politico, di quel periodo. Ciò che veniva criticato era, innanzitutto, l’effetto

automatico con cui venivano presi i rilievi dattiloscopici, rispetto alla discrezionalità utilizzata

nel testo unico, che li contemplava solamente nel caso in cui si dubitasse delle identità dello

straniero477

. In secondo luogo, si contestava la legittimità del comma 2 bis con riguardo alla

473 L’alloggio idoneo deve rientrare nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia

residenziale pubblica ovvero deve essere ritenuto idoneo, dal punto di vista igienico sanitario, da parte della Asl

locale competente per territorio.

474 Il reddito minimo non deve essere inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale.

475 Sentenza n. 11 del 14 gennaio 2009, cit.

476 Si rimanda, per tale trattazione, al paragrafo 6.1 del capitolo I.

477 I rilievi dattiloscopici potevano essere infatti richiesti dall’autorità di pubblica sicurezza solo quando lo

135

violazione del principio di libertà personale. Prevalsero le opinioni dei sostenitori della legge

di riforma, secondo i quali l’articolo 13 Cost. it. non veniva violato, in quanto i rilievi foto

dattiloscopici non si concretizzavano in una ispezione corporale o personale. Il sistema del

rilievo delle impronte digitali venne inserito, quindi, nel corpo normativo ed è attualmente in

vigore.

4.3. Le due forme di allontanamento: il respingimento alla frontiera e l‟espulsione.

Semplice difesa dall‟immigrazione clandestina?

L’allontanamento dal territorio nazionale è uno degli istituti su cui il legislatore, sia

vecchio che nuovo, ha sempre prestato puntuale attenzione per il suo forte legame con il

principio della sicurezza interna e dell’ordine pubblico. Rappresenta, inoltre, almeno secondo

alcuni disegni politici, uno degli strumenti necessari per contrastare l’immigrazione

clandestina. Proprio a tal fine, il testo unico immigrazione avrebbe disposto delle fattispecie

più severe e più rigide rispetto alle leggi precedenti che, pure in un ottica di lotta alla

clandestinità, avevano attuato una disciplina degli allontanamenti fondata sulla sola

intimazione a lasciare il territorio, e non anche sull’accompagnamento coattivo alla frontiera.

Prima di affrontare l’aspetto che qui interessa maggiormente, ovvero quello legato al

profilo della tutela giurisdizionale dello straniero in caso di allontanamento dal territorio

nazionale, occorre soffermarsi sulle differenze, anche sostanziali, che esistono tra il

respingimento alla frontiera e l’espulsione. Il respingimento è un rifiuto all’ingresso che la

polizia di frontiera, nel caso di respingimento alla frontiera, o il questore (qualora lo straniero

abbia fatto ingresso sul territorio nazionale sottraendosi ai controlli di frontiera ovvero per

necessità di pubblico soccorso), nel caso di respingimento differito, effettuano nei confronti

dell’immigrato che non ha i requisiti per accedere nello Stato. Il respingimento non pregiudica

e non preclude la possibilità di ingressi successivi, purché regolari. Si ricorda come il

respingimento sia stato ulteriormente potenziato dal comma 1 bis, con cui il legislatore del

2002 ha arricchito l’articolo 11 del testo unico immigrazione, attraverso la previsione di un

parere, comunque non obbligatorio, del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza

pubblica nei confronti del Ministero dell’Interno, all’atto della emanazione delle misure

straniero si rifiutava di esibire, senza un giustificato motivo, il passaporto, il permesso di soggiorno ovvero altro

titolo identificativo, e da ciò emergeva il dubbio sulla identità del soggetto in questione.

136

necessarie per il coordinamento unificato del controlli sulla frontiera marittima e terrestre

nazionale. Si specifica, inoltre, come il regolamento CE del Parlamento europeo e del

Consiglio n. 562 del 2006478

, nel disciplinare le modalità con cui debbono essere effettuati i

controlli alle frontiere, abbia affermato, una volta per tutte, la natura giuridica del

respingimento come provvedimento amministrativo. L’espulsione, invece, consiste in un

allontanamento dello straniero che ha soggiornato, anche irregolarmente, sul territorio dello

Stato, e comporta il divieto di reingresso in Italia, salvo apposita autorizzazione. Dal testo

unico immigrazione emergono due tipologie di espulsioni, una di natura amministrativa e una

di natura giudiziaria. La prima fa capo a tre soggetti: il Ministro dell’Interno, per l’espulsione

per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato; il Prefetto, per l’espulsione frutto

dell’ingresso clandestino o della irregolarità sul territorio479

; il questore, per ciò che attiene

alla fase esecutiva delle misure. La seconda spetta invece al giudice e può o essere utilizzata

come misura di sicurezza che questi ha a disposizione qualora accerti che lo straniero è un

soggetto socialmente pericoloso, ovvero come sanzione sostitutiva della detenzione. È chiara

la motivazione di questa scelta: sollevare lo Stato italiano dagli oneri economici relativi

all’esecuzione della pena nel territorio nazionale.

La disciplina degli allontanamenti inserita nel testo unico immigrazione ha subito

variazioni notevoli con la novella del 2002480

, soprattutto per le ripercussioni sul tema delle

garanzie costituzionali facenti capo anche allo straniero. Pur restando ferme le caratteristiche

generali degli istituti quali l’espulsione ed il respingimento per ciò che attiene la tripartizione

delle competenze, viene, però, revisionato il loro assetto, in un’ottica di reformatio in peius

che colpisce l’intera condizione dello straniero. La copiosa giurisprudenza intervenuta negli

anni, e finalizzata al ripristino di un sistema di alcune tutele fondamentali, è la testimonianza

di quanto la legge di riforma sia stata oltremodo irrispettosa dei principi costituzionalmente

garantiti.

478 Che istituisce un “Codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle

persone”.

479 L’espulsione prefettizia deve essere sempre motivata e, si badi bene, è sempre eseguita con

l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

480 Per un confronto tra la disciplina degli allontanamenti nel testo unico e nella novella del 2002, vedi M .

Cuniberti, Allontanamento ed espulsione degli stranieri nell‟ordinamento italiano, in M. Revenga Sanchez (a

cura di), I problemi costituzionali dell‟immigrazione in Italia e Spagna. Il giornale italo-spagnolo di giustizia

costituzionale, Giuffrè, Milano, e Tirant lo blanch, Valencia, 2005.

137

Innanzitutto, la nuova norma ha introdotto l’obbligatorietà dell’espulsione amministrativa con

accompagnamento, rispetto a quella con intimazione precedentemente prevista. Si è passati, in

tal modo, dall’eccezione alla regola481

. In secondo luogo, ha reso immediatamente esecutivo il

decreto di espulsione amministrativa, “anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte

dell‟interessato”. A tal riguardo, si fa presente che la vecchia legge Martelli prescriveva

l’effetto automatico della sospensione del provvedimento di espulsione qualora vi fosse stato

ricorso. Il testo unico immigrazione, nella sua versione originaria, prevedeva, invece, dei

termini così brevi, cinque giorni per il ricorso e dieci per la decisione, che potevano in

qualche modo essere causa giustificatrice dell’assenza della sospensione cautelare. Si

specifica che, nel caso in cui vi fossero stati ritardi gravosi nell’iter del ricorso al decreto di

espulsione, era necessario l’intervento del giudice il quale, secondo la giurisprudenza della

Corte costituzionale, aveva la possibilità di “individuare lo strumento più idoneo, nell‟ambito

dell‟ordinamento, per sospendere l‟efficacia del decreto prefettizio impugnato”482

. La legge

Bossi - Fini delinea un procedimento giurisdizionale a senso unico, unilaterale, in cui non

viene previsto alcun effetto sospensivo in caso di ricorso, tanto che, qualora proposto, le

udienze dovrebbero svolgersi senza ricorrente, di fatto già espulso, e dunque senza

contraddittorio. Già il testo unico immigrazione aveva ridimensionato la tutela giurisdizionale

dello straniero, con riguardo agli effetti sospensivi dell’impugnativa dell’atto di espulsione.

Infatti, se nella legge Martelli, come detto, lo straniero era legittimato a proporre un ricorso

amministrativo contro l’espulsione, con effetti sospensivi di gg. 30 dalla notifica del

provvedimento, nel d.lgs. n. 286/1998 si è fatto a meno dell’effetto sospensivo del ricorso, si è

addirittura spostata la competenza al giudice ordinario, e, da ultimo, si sono ridotti i termini

per l’eventuale proposizione del ricorso. Si consideri come questa evoluzione, per meglio dire

involuzione, già rappresentativa di una diminuzione delle garanzie processuali per lo

straniero, ha raggiunto livelli apicali con la legge di riforma del 2002, modificata ed integrata

dalla legge n. 271 del 2004, con cui si è sostanzialmente affidato ad un giudice non togato,

quello di pace, la responsabilità di decidere sull’espulsione. Sul presupposto di alleggerire il

481 Si ricorda che la legge n. 94 del 2009, che ha novellato l’articolo 14, comma 5 bis, del testo unico, irrigidendo

ancora di più le norme sugli allontanamenti, ha disposto che anche lo straniero non più trattenuto nei CIE (centri

di identificazione ed espulsione) sia assoggettato all’espulsione coattiva, mentre precedentemente gli veniva

semplicemente intimato di lasciare il Paese.

482 Sentenza Corte costituzionale n. 161 del 2001.

138

carico di lavoro gravante sui tribunali ordinari, a fronte dell’introduzione della udienza di

convalida dell’accompagnamento alla frontiera, si è pensato ad “una complessiva

rimeditazione della competenza”, attraverso l’attribuzione dell’intera materia ad un giudice

onorario (così si legge nella relazione al ddl AS 3107 di conversione). Tale motivazione

sembra essere pretestuosa. La riforma del 2004 è stata un passo obbligato a seguito

dell’intervento del giudice costituzionale che, in quello stesso anno483

, dichiarava

l’illegittimità costituzionale di alcune norme della Bossi – Fini che non prevedevano alcun

effetto sospensivo dell’espulsione in caso di ricorso, né il contraddittorio nell’udienza di

convalida484

. In realtà, la legge n. 271 non aveva introdotto alcuna udienza di convalida, in

quanto già presente nel testo unico immigrazione, ma si era limitata solamente ad indicare che

venissero garantite la difesa ed il contraddittorio in quella udienza485

. Ma v’è di più. Il

legislatore ha reso competente quello stesso giudice di pace anche per le decisioni inerenti il

reato di clandestinità, delineando, peraltro, un iter procedimentale esclusivo. La legge n. 94

del 2009, novellando il decreto legislativo n. 274 del 2000486

, ha introdotto, per tutte quelle

tipologie di reato perseguibili d’ufficio, tra cui vi rientra anche il reato di clandestinità, un rito

accelerato dove, sia la fase dibattimentale che la redazione del verbale di udienza e la

successiva motivazione della sentenza, avvengono tutte in maniera celere e abbreviata.

Parte della dottrina487

inserisce, tra le carenze nella tutela giurisdizionale dello

straniero, proprio la previsione della competenza del giudice onorario in materia di

provvedimenti espulsivi, oltre quella relativa al recente reato di immigrazione clandestina.

Questo è il frutto, del resto, delle attuali politiche migratorie che si stanno orientando, sempre

con più evidenza, e sempre con meno scrupoli, verso forme di non tutela dello straniero

finalizzate al suo allontanamento dal territorio nazionale, il prima possibile e preferibilmente

483 Sentenze Corte costituzionale nn. 222 e 223 del 2004, cit.

484 Articolo 13, comma 5 bis, e articolo 14, comma 5 quinquies, del testo unico immigrazione, così come

modificato dalla legge n. 189/2002.

485 Per approfondimenti, vedi A. Caputo - L. Pepino, Giudice di pace e habeas corpus dopo le modifiche al testo

unico dell‟immigrazione, in Dir. Imm. citt., 2004, fasc. 3.

486 “Disposizioni sulla competenza del giudice di pace, a norma dell‟articolo 14 della legge 24 novembre 1999,

n. 468”.

487 A. Pugiotto “Purché se ne vadano. La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di

allontanamento dello straniero”, Relazione al Convegno nazionale dell’Associazione Italiana Costituzionalisti,

Lo statuto costituzionale del non cittadino, Cagliari, 17-17 ottobre 2009, pg. 33 e ss.

139

in forma coattiva488

.

La Corte costituzionale, dal canto suo, non ha avuto sempre atteggiamenti coerenti in

merito a tali questioni. Se in molte sue decisioni, in particolare quelle del 2004489

, si è

espressa favorevolmente con riguardo alle garanzie processuali dello straniero e alla tutela

della libertà personale di quello stesso soggetto, in altre490

ha affermato che, “giacché il

provvedimento di accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica, sebbene

inerisca alla materia regolata dall‟articolo 13 Cost., in quanto presenta quel carattere di

immediata coercizione che qualifica le restrizioni della libertà personale e che vale a

differenziarle dalle misure incidenti sola sulla libertà di circolazione (sentenza n. 105 del

2001; e così anche sentenza n. 222 del 2004), costituisce pur sempre una modalità esecutiva,

adottata dall‟autorità di pubblica sicurezza, dell‟espulsione amministrativa”491

.

Altro aspetto degno di nota, è l’equiparazione dello status di straniero irregolare e di

straniero clandestino nel sistema dell’espulsione prefettizia. Il provvedimento di espulsione

non è solamente una misura che si applica allo straniero clandestino, ovvero a colui che non

ha mai avuto un titolo che legittimasse il suo ingresso o la sua permanenza sul territorio dello

Stato 492

, ma si estende anche all’immigrato irregolare, ovvero a colui che non ha proceduto al

rinnovo del suo titolo di soggiorno entro in termini di legge493

. La Corte di cassazione è

488 A. Pugiotto “Purché se ne vadano. La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di

allontanamento dello straniero”, op. cit. pg. 6

489 Ma vedi anche altre pronunce, come la n. 105 del 2001 e la n. 198 del 2000 in cui si affermava, nella prima,

che “le garanzie dell‟articolo 13 [non] subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri

beni costituzionalmente rilevanti” e, nella seconda, che “il diritto a un riesame del provvedimento di espulsione,

con piena garanzia del diritto di difesa, spetta non soltanto agli stranieri che soggiornano legittimamente in

Italia, ma anche a coloro che sono presenti illegittimamente sul territorio nazionale”.

490 Ordinanza Corte costituzionale n. 109 del 2006.

491 Si ricorda che la questione di legittimità sull’articolo 13 del testo unico immigrazione, era stata avanzata dal

giudice di pace di Potenza rilevando come fosse incompetente, questo giudice, ad esaminare le cause relative

agli allontanamenti, per effetto del decreto legislativo n. 274 del 2000 (“Disposizioni sulla competenza del

giudice di pace, a norma dell‟articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468”), “in virtù del quale è sottratta

al giudice di pace la competenza a pronunciarsi in materia di restrizione della libertà personale di qualsivoglia

soggetto, sia esso cittadino italiano o extracomunitario”.

492 Si fa presente che la condizione di clandestinità scatta dopo che, trascorsi gg. 8 dall’ingresso sul territorio

nazionale, non sia stata presentata domanda di soggiorno.

493 Si ricorda che lo straniero diventa irregolare dopo che sono trascorsi gg. 60 dalla scadenza del suo permesso

140

intervenuta nel 2003494

per tentare di ammorbidire questa drastica normativa. Tale

giurisprudenza ha affermato che, qualora lo straniero, spontaneamente, presenti domanda di

rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine di sessanta giorni dalla sua scadenza, non

si può procedere automaticamente alla sua espulsione, ma questa potrà essere disposta

solamente se “la domanda sia stata respinta per la mancanza originaria o sopravvenuta dei

requisiti richiesti dalla legge per il soggiorno dello straniero sul territorio nazionale, mentre

la sua tardiva presentazione potrà costituire solo indice rilevatore nel quadro di una

valutazione complessiva della situazione in cui versa l‟interessato”. La prassi ci insegna

come questo orientamento a volte sia stato preso ad esempio, altre volte no. Alcune questure

ne hanno tenuto conto ai fini della decisione sul rinnovo del permesso di soggiorno, altre

sono, invece, rimaste legate alle ferree disposizioni normative. Occorrerebbe una

consapevolezza maggiore, soprattutto negli operatori degli uffici che sbrigano le pratiche di

rinnovo, della situazione di disagio che, siffatto allontanamento, andrebbe a creare soprattutto

nella condizione umana dello straniero495

. Si pensi ai complessi e faticosi percorsi di

integrazione che, probabilmente, ha dovuto sostenere l’espellendo per vivere dignitosamente

nel nostro Paese, o all’unità familiare cui lo stesso dovrà rinunciare nel caso in cui i suoi cari

lo avessero già raggiunto in Italia. Per non parlare delle potenziali, se non certe, difficoltà di

vita e di lavoro che incontrerà rientrando nel proprio Paese di origine, abbandonato non per

gioco ma per necessità.

Altra novità della Bossi-Fini è l’introduzione della modalità del silenzio assenso,

qualora l’autorità giudiziaria, nell’emanazione del nulla osta necessario al questore per

procedere all’espulsione di uno straniero sottoposto a procedimento penale, non provveda

entro quindici giorni dalla data di ricevimento della richiesta496

. Il ruolo del giudice e

di soggiorno. Questi rappresentano i cd. giorni di tolleranza, che di fatto aumentano i termini legali del rinnovo

del titolo, che tendenzialmente sono di gg. 30 prima della scadenza del permesso.

494 Corte di cassazione, sentenza n. 7892 del 20 maggio 2003.

495 A tal riguardo si ricorda che, giuridicamente, l’espulsione comporta il divieto di reingresso sul territorio

nazionale generalmente per cinque anni, oggi dieci, salvo che in sede di ricorso se ne stabilisca uno diverso, che

comunque non può mai inferiore ai tre anni.

496 In attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore può decidere di trattenere lo straniero in un

centro di permanenza temporanea, ex articolo 14 testo unico immigrazione. Da notare che il testo unico

immigrazione prevedeva il trattenimento per un massimo di 30 giorno, mentre la legge Bossi - Fini ha

raddoppiato i termini, estendendoli sino a sessanta.

141

l’effettività del suo provvedimento vengono quindi a sminuirsi di fronte alla possibilità che le

forze di polizia possano eseguire l’espulsione a prescindere da un provvedimento del giudice,

forti solamente di un suo comportamento silente.

La tematica delle espulsioni assume un interesse particolare per i suoi rapporti con le

norme costituzionali, in particolare con la libertà personale ed il diritto alla difesa, e, più in

generale, con gli articoli 111 e 112 della Costituzione italiana. Sembra opportuno partire

dall’esame delle due sentenze della Corte Costituzionale che, con maggior forza, hanno difeso

il sistema delle garanzie giurisdizionali dello straniero. Nel 2004, il giudice delle leggi

rilevava alcuni profili di incostituzionalità di quella parte della disciplina giuridica

dell’immigrazione novellata dalla legge n. 189 del 2002497

, per lesione dei diritti fondamentali

come il principio di difesa e di uguaglianza. La Corte costituzionale, con la prima delle due

sentenze, la n. 222 del 2004, dichiarava illegittimo l’articolo 13, comma 5 bis, del testo unico

novellato, in cui non veniva previsto che, in tema di espulsioni appunto, il giudizio di

convalida ad esse relativo avvenisse in regime di contraddittorio e con le garanzie della difesa

prima della esecuzione del provvedimento di accompagnamento. La norma oggetto di quel

giudizio prevedeva, infatti, che lo straniero sottoposto ad espulsione dovesse essere

accompagnato alla frontiera senza che prima, il giudice, si fosse pronunciato sul

provvedimento limitativo della libertà personale. La Corte metteva in luce come vi fosse stata

un’inversione di tendenza rispetto al testo unico immigrazione nella sua originaria

formulazione, quando in esso si prevedeva l’allontanamento coattivo come eccezione, rispetto

all’allontanamento con la sola intimazione che era la regola. La disposizione impugnata

violava non solamente l’articolo 13 Cost. it., ma anche il diritto alla difesa, ovvero, ripetendo

le parole della Corte, il suo nucleo incomprimibile, in quanto lo straniero era messo nella

condizione sia di non poter essere ascoltato dal giudice, che di non poter nominare un

difensore. Anche il ruolo del giudice e dei suoi provvedimenti subisce delle limitazioni con il

novellato disposto, poiché a nulla varrebbero il diniego o la mancata convalida predisposti dal

quel giudice, dal momento che l’accompagnamento si è già prodotto.

La decisione della Corte costituzionale del 2004 fu del resto un passo annunciato, visto

che, quella stessa giurisprudenza, già con la sentenza n. 105 del 2001, era stata investita del

497 Articolo 13, comma 5 bis, e articolo 14, comma 5 quinquies, del testo unico immigrazione, così come

modificato dalla legge n. 189/2002.

142

giudizio sulla legittimità del procedimento previsto per la convalida dell’accompagnamento

disposto dall’autorità amministrativa, cui seguiva il trattenimento. La giurisprudenza

costituzionale estese il controllo del giudice anche all’accompagnamento coattivo, basandosi

sulla considerazione che l’allontanamento costituiva una misura di privazione della libertà

personale, e, come tale, doveva essere garantita ai sensi dell’articolo 13 Cost. it. In poche

parole, la Corte ha evidenziato che il trattenimento e l’allontanamento sono due misure che

limitano, entrambi, la libertà personale. Per tale motivo, la riserva di giurisdizione valevole

per il trattenimento deve essere estesa anche all’accompagnamento498

. Il giudice ha, dunque,

la possibilità di convalidare, in un’unica sede, sia il provvedimento di trattenimento che

quello (presupposto) di accompagnamento coattivo alla frontiera.

La seconda sentenza, la n. 223 del 2004, aveva ad oggetto, invece, la verifica della

costituzionalità dell’articolo 14, comma 5 quinques, del testo unico immigrazione novellato

nel 2002, nella parte in cui prevedeva l’arresto in flagranza per il reato di ingiustificato

trattenimento sul territorio nazionale499

. Si sospettava la lesione degli artt. 3 e 13 della

Costituzione italiana. La violazione dell’ordine di allontanamento del questore è un reato di

natura contravvenzionale che non ha ragione di essere misurato, secondo il giudice

costituzionale, alla stregua dei più gravi reati. L’irragionevolezza della disposizione

impugnata, per la Corte costituzionale, si riscontrerebbe nella previsione di una misura

punitiva che, in questo contesto, “si risolve in una limitazione provvisoria della libertà

personale priva di qualsiasi funzione processuale, ed è quindi, sotto questo aspetto

manifestamente irragionevole”. La funzione processuale sarebbe venuta meno, infatti, nel

momento in cui il giudice investito del procedimento avrebbe dovuto obbligatoriamente

mettere in libertà l’arrestato in flagranza, perché reo di un fattispecie di natura

contravvenzionale. Queste decisioni del giudice delle leggi investirono, in realtà, aspetti

costituzionali più ampi, in quanto, la lesione del diritto alla difesa e della libertà personale

costituisce violazione di un diritto inviolabile dell’uomo, non suscettibile di disparità di

trattamento per il solo fatto che il destinatario di quel diritto sia un cittadino straniero.

498 Per un commento a questa sentenza, vedi V. Angiolini, L‟accompagnamento coattivo alla frontiera e la tutela

della libertà personale: con la sentenza n. 105/2001 la Corte fa (solo) il primo passo e lascia ai giudici comuni

di proseguire, in Dir. imm. citt. 2/2001.

499 La legge Bossi-Fini prevedeva l’arresto, da sei mesi a tre anni, per il reato di indebito trattenimento nello

Stato.

143

Rispetto al monito emerso dalle sentenze del 2004, vi fu una sorta di boicottaggio

legislativo ad opera della legge che avrebbe, invece, dovuto adattarvisi. Il decreto legge n.

241/2004, recante “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione”, convertito nella legge

n. 271/2004, non ha proceduto alla sola modifica dell’articolo 13, comma 5 bis, del testo

unico immigrazione novellato dalla legge Bossi – Fini, dichiarato incostituzionale, ma ha

anche trasferito, al Giudice di Pace, la competenza sui ricorsi avverso i provvedimenti di

espulsione amministrative e sulle convalide di accompagnamento coattivo alla frontiera e del

trattenimento nei centri di permanenza temporanea. Il trasferimento della competenza ad un

giudice non togato, aveva creato delle perplessità in merito all’effettiva rispondenza di questa

norma ai principi costituzionali, in particolare al rispetto della libertà personale, cui già in

precedenza si è accennato. Da un lato, le preoccupazioni principali del legislatore del 2004

erano quelle di garantire celerità nel giudizio relativo all’espulsione o alla convalida

dell’accompagnamento coattivo, e per questo, veniva attribuiva la competenza la Giudice di

Pace. Dall’altro, quel legislatore non aveva riguardo della palese violazione del principio di

uguaglianza che stava operando, nel momento in cui stabiliva che le restrizioni alla libertà

personale del cittadino fossero di competenza del giudice ordinario, mentre quelle dello

straniero dovevano essere oggetto di autonomo giudizio dinanzi al Giudice di Pace.

Dalla lettura della legge del 2007, si nota come questa abbia in qualche modo

raggirato, e, probabilmente, eluso le indicazioni dei giudici costituzionali, soprattutto per ciò

che attiene la disposizione di cui all’articolo 14, comma 5 ter, del testo unico immigrazione,

in quanto ha trasformato la natura del reato di ingiustificato trattenimento sul territorio, da

contravvenzione a delitto, punendolo con la reclusione da uno a quattro anni. La Corte

costituzionale ha dovuto nuovamente intervenire, dichiarando però inammissibile la questione

di legittimità. Con la sentenza n. 22 del 2007, tale giurisprudenza ha rilevato come non vi sia

identità, per diversità di ratio, tra le fattispecie considerate, ovvero il testo unico per

l’immigrazione e le disposizioni del codice penale, in quanto le prime non sarebbero

“sovrapponibili o assimilabili a problematiche diverse, legate alla pericolosità di alcuni

soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare con il fenomeno

dell‟immigrazione”500

. La Corte costituzionale non ha, dunque, preso posizione in merito,

500 Al riguardo vedi P. Stancati, Lo statuto costituzionale del non cittadino: le libertà civili, op. cit. pg. 31, dove

critica la ricostruzione operata dal giudice delle leggi per non aver considerato come quella norma fosse lesiva

del nucleo fondamentale di alcuni principi costituzionalmente garantiti, in particolare l’articolo 2 e 27, e si sia

144

lasciando che la norma impugnata proseguisse il suo naturale percorso attuativo, nonostante la

gravosità della pena in essa indicata sia costituzionalmente irragionevole e, soprattutto, non

commisurata ad esigenze di ordine pubblico e sicurezza501

, eventualmente giustificatrici di

una sanzione così pesante.

Dall’esame di tali sentenze e di altre decisioni della giurisprudenza costituzionale,

emerge una considerazione sugli orientamenti che la Corte costituzionale ha avuto dalla fine

degli anni Novanta ad oggi. Sebbene investita di copiosi giudizi di legittimità, soprattutto in

ordine a quelle norme della legge Bossi-Fini spesso non garanti dei diritti fondamentali, non

sempre le sue pronunce sono state particolarmente incisive nei confronti del legislatore.

Alcune volte si è, infatti, limitata ad interpretazioni conformi al dettato costituzionale,

rinviando ai giudici a quibus di conformarvisi, lasciando inalterata la disposizione di legge

impugnata. Non si vuole certo esprimere una valutazione sull’operato della Corte, ma si

intende solamente sottolineare come gli effetti di quelle decisioni costituzionali si producano

poi, nella realtà, sulla condizione giuridica dello straniero che rimane, spesso, schiacciato da

una legislazione troppo ingombrante e poco garante dei suoi diritti.

Un cenno particolare va fatto, poi, al respingimento in alto mare e al rimpatrio

immediato, che hanno segnato le cronache non solo italiane dello scorso anno, suscitando

fortissime perplessità sia per la violazione dei diritti umani che per il mancato rispetto del

principio di non refoulement. Tale modalità di respingimento, sembra non essere supportata da

alcuna garanzia giurisdizionale per lo straniero; e ciò rappresenta un fatto ancora più grave se

si considera che tra i respinti avrebbero potuto esserci dei potenziali richiedenti asilo. Il

rischio del respingimento in alto mare senza nessuna identificazione dello straniero, importa,

infatti, la violazione del principio di non refoulement disposto dall’articolo 33 della

Convenzione di Ginevra. Non solo, quindi, non si sarebbe consentito allo straniero di poter

avviare una domanda di asilo così come previsto dall’articolo 2 della stessa Convenzione, ma

si sarebbero praticati dei respingimenti, tra l’altro collettivi, senza il preventivo accertamento

della posizione del migrante. In più, si sarebbe violata anche la Direttiva 2005/85/CE502

nel

invece limitata a comparare la sproporzione della pena, senza quindi dichiarare l’illegittimità di quella norma

contenente “una sanzione irrazionalmente elevata (e solo ragionevolmente tollerata)”.

501 La Corte costituzionale rilevava, infatti, come la sanzione di cui all’articolo 14, comma 5 ter, del testo unico

immigrazione non possa essere “riconducibile a mere esigenze generali di ordine e sicurezza pubblica”.

502 Recante “Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri la fine del riconoscimento e della

145

momento in cui non si sarebbe data la possibilità ai migranti di accedere a qualunque

procedura per l’esame delle domande di protezione o si asilo. Queste sono state le critiche

mosse allo Stato italiano, che hanno accompagnato i respingimenti in alto mare e i rimpatri

verso la Libia503

, avvenuti nella scorsa estate504

. Tali comportamenti stupiscono ancora di più

se si considera che il Governo italiano sarebbe andato, addirittura, contro una legge stessa

dello Stato. Si fa presente, infatti, come sia stata la legge n. 189 del 2002 a prevedere che, nel

caso la nave italiana, sia della Marina militare sia quella in servizio di polizia, incontri nel

mare territoriale, nella zona contigua o anche al di fuori delle acque territoriali, una nave di

cui si ha fondato motivo di ritenere che sia adibita o coinvolta nel trasporto illecito di

migranti, ha il potere di fermarla ed ispezionarla per poi ricondurla in un porto dello Stato505

.

In un porto dello Stato, e non in un porto libico! Il trasbordo dei migranti su navi italiane (si

ricorda come la nave che batte bandiera italiana rappresenti una porzione di territorio statale)

e la riconsegna degli stessi alle autorità libiche sarebbe illegittimo per una serie di motivi.

Innanzitutto, perché in palese violazione con il regolamento CE 562 del 2006, in virtù del

quale lo Stato italiano non avrebbe proceduto alla verifica di frontiera minima che consente

l’individuazione dello straniero506

. Data la natura di regolamento comunitario, le disposizioni

in esso contenute sono immediatamente esecutive nell’ordinamento giuridico italiano. La

potestà legislativa dello Stato italiano è, infatti, vincolata ai principi e agli obblighi derivanti

dagli ordinamenti comunitari ed internazionali ai sensi dell’articolo 117 Cost. it., così come

novellato nel 2001. In secondo luogo, il nostro Paese avrebbe violato anche l’articolo 3 della

Convenzione europea dei diritti umani per aver inviato, nei porti libici, un numero consistente

revoca dello status di rifugiato”.

503 Tanto per riportare alcune censure, vedi la Risoluzione del Parlamento UE del 14 gennaio 2009 e il discorso

dell’Alto Commissariato ONU per i diritti umani, i cui estratti possono trovarsi su Repubblica del 15 settembre

2009, in cui viene lamentata la lesione del principio di cui all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra.

504 Per una esaustiva lettura sui respingimenti, non solo in alto mare, vedi Associazione studi giuridici

sull’immigrazione, voce Respingimenti, Scheda a cura di Sergio Romanotto e Paolo Bonetti, aggiornata al 14

settembre 2009, reperibile su www.asgi.it . Per una riflessione critica di diritto costituzionale sui respingimenti in

mare verso la Libia, vedi M. Benvenuti, Un diritto in alto mare, 27 maggio 2009, su www.costituzionalismo.it .

505 Articolo 12, commi 9 bis, 9 ter, 9 quater, 9 sexies del testo unico immigrazione.

506 Il mancato accertamento della posizione individuale dello straniero prima del respingimento importerebbe

anche la violazione delle norme comunitarie che vietano le espulsioni collettive, la cui illegittimità risulta

dall’articolo 4, del Protocollo n. 4, della CEDU e dall’articolo 19, comma 1, della Carta di Nizza.

146

di immigrati, senza la preventiva verifica che in quel Paese non vi fossero dei trattamenti

degradanti e non conformi al rispetto del migrante ed alla sua dignità. Una verifica cui il

nostro Governo doveva probabilmente sentirsi in qualche modo obbligato, visti alcuni noti

precedenti. Ci si riferisce, in particolare, al rapporto Human Rights Watch del 2006, che aveva

evidenziato abusi contro i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati in Libia507

, e alla censura

che il Governo italiano aveva già subito in passato, per le espulsioni di immigrati dall’isola di

Lampedusa verso la Libia508

. In terzo luogo, vi sarebbe stata violazione dell’articolo 5 della

CEDU, per assenza di tutela giurisdizionale nella fase della privazione della libertà personale,

oltre che dell’articolo 13 della nostra Carta costituzionale.

Se a tale situazione, già di per se desolante, si aggiungono le innovazioni in tema di

immigrazione degli ultimi anni - quali il maggior controllo alle frontiere e il rafforzamento dei

poteri di polizia, l’espulsione immediata dei clandestini, la possibilità che lo straniero varchi il

confine solo se “chiamato” ad un’attività lavorativa, la rilevazione delle impronte digitali, il

rilascio della carta di soggiorno dopo sei anni (oggi di nuovo 5) di regolare permanenza,

l’estensione a gg. 60 del periodo di trattenimento nei centri di permanenza temporanea509

, la

riduzione da un anno a sei mesi del permesso per attesa occupazione - si nota come l’attuale

normativa presenti elementi non trascurabili di inadeguatezza. Le norme sull’immigrazione,

attualmente, sembrano essere forti di una volontà di predisporre ed attuare non una disciplina

dell’immigrazione, quanto una tutela dall’immigrazione. Qui non valgono i modelli di

inclusione degli immigrati: non vale quello assimilazionista di stampo francese né quello

multiculturale di stampo anglosassone. Sembra valere solamente il principio di difesa dallo

straniero. La legge Bossi-Fini è stata elaborata in un contesto storico particolarmente grave e

teso quale era quello successivo all’11 settembre 2001, per cui ben si può comprendere la sua

articolazione in termini più di tutela del territorio nazionale che non in quelli di accoglienza e

ospitalità relativamente al fenomeno migratorio. Tuttavia si denota un’incongruenza che mal

si concilia con l’inarrestabile affluenza di persone in cerca di una nuova territorialità, che

coinvolge tutte le nazioni europee e che rappresenta un fenomeno sociale non risolvibile con

leggi che ne arginino la portata. Sembra perfettamente costruita attorno a tali considerazioni la

507 Rapporto Human Rights Watch del Settembre 2006, volume 18, No 5(E), Libia. Arginare i flussi: gli abusi

contro migranti, richiedenti asilo e rifugiati, in www.hrw.org.

508 Risoluzione del Parlamento UE PT-TA (2005)0138, approvata il 14 aprile 2005.

509 Oggi 180 giorni, così come modificato dalla legge n. 94 del 2009.

147

fictio iuris proposta da Giovanni Sartori in un articolo sul Corriere della Sera di qualche anno

fa510

: “il clandestino non entra in Italia finché non viene ammesso legalmente. Fino a quel

momento il fatto che i suoi piedi camminino sul suolo italiano non ha nessun rilievo giuridico.

Fino a quel momento è come se non fosse in Italia”. Ci si chiede, però, che fine farebbero, se

si attuasse la fictio di Sartori, quelle situazioni giuridiche che fanno capo allo straniero anche

se non legalmente presente, ovvero i diritti inviolabili ad esso spettanti, e caratterizzanti la

dignità del suo essere uomo. Se tali situazioni fossero ricomprese in questa fictio iuris,

potrebbero non aver alcun rilievo giuridico nei confronti del clandestino, che quindi non avrà

più la relativa copertura, neanche costituzionale!

Ci si chiede, ancora, che fine abbia fatto quel principio di ospitalità kantiano511

, che

non solo costituisce un diritto naturale e, pertanto, antecedente a qualunque organizzazione

statale, ma, in quel progetto filosofico di pacifismo giuridico, si innalza addirittura a diritto

universale512

, differenziandosi dal diritto pubblico interno o pubblico (ius civitatis) e da quello

dell’assetto delle relazioni internazionali (ius gentium) e finalizzato alla realizzazione della

pace perpetua tra i popoli. Il principio di ospitalità che “non ha a che vedere con il diritto

degli stati né con quello fra gli stati, ma mette a fuoco i diritti degli individui come persone

morali, indipendentemente dalla appartenenze e dai confini e ne sancisce lo status di

“cittadini del mondo (ius cosmopoliticum)”513

. Un diritto cosmopolito che coincide con il

“diritto dello straniero che arriva sul territorio di uno Stato a non essere trattato ostilmente.

È un diritto di visita che spetta a tutti gli esseri umani, quello di offrirsi alla socievolezza in

virtù del possesso comune della superficie della terra, sulla quale, gli uomini non possono

disperdersi all‟infinito, ma devono da ultimo tollerarsi nel vicinato, nessuno avendo in

origine maggior diritto di un altro ad una porzione determinata della terra [….]. Lo straniero

può essere allontanato, se ciò può farsi senza suo danno, ma, fino a che dal canto suo si

comporta pacificamente, non si deve agire ostilmente contro di lui”514

. La tematica non è del

510 G. Sartori, Clandestini, un rimedio c‟è, ne Il corriere della Sera, 6 agosto 2001.

511 I. Kant, Per la pace perpetua, 1795.

512 I. Kant definisce il diritto di ospitalità come diritto cosmopolito nel senso di superiore perfino al tradizionale

diritto internazionale.

513 I. Kant, Per la pace perpetua, prefazione di Salvatore Veca, Traduzione di Roberto Bordiga, con un saggio di

Alberto Burgio, Milano, Feltrinelli Editore, 2003, pg. 14.

514 I. Kant, Per la pace perpetua, a cura di G. Sasso, pg. 120 e ss. Vedi, in epoca più recente, Jaques Derrida,

148

resto solo filosofica: essa si ripercuote nelle leggi e nelle disposizioni relative alla

immigrazione. Le parole kantiane rimbombano fortemente in un periodo storico come il

nostro, in cui vengono adottate politiche miranti agli allontanamenti e ai respingimenti forzati,

senza avere premura di verificare se il rimpatrio è fatto “a danno” dello straniero, se questi

nel suo Paese di origine forse non gode dei diritti di libertà universalmente garantiti, se forse

non era il caso di ospitarlo per salvare la sua vita, la sua dignità, la sua persona. È naturale

chiedersi come si conciliano queste scelte politiche con la Convenzione di Ginevra515

, posta a

tutela della condizione di rifugiato516

, e in particolare con il suo principio cardine, ovvero il

principio di non refoulement517

, cioè il diritto a rimanere sul territorio del Paese ospitante e

presso il quale si è avanzata richiesta di asilo, fino all’esito della Commissione che riconosce

o meno lo status di rifugiato.

Oramai da tempo si studia quella che è stata definita “globalizzazione”, come crescita

progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti, il cui effetto

primario è una decisa convergenza economica e culturale tra i paesi del mondo. In questa

ottica, le civili nazioni europee dovranno sempre più essere consapevoli che giova

maggiormente una sana e fruttuosa solidarietà con gli stranieri, in termini sia di rispetto delle

Anne Dufourmantelle, De l‟hospitalité, Calmann-Lévy 1997; trad. it. Sull‟ospitalità, Baldini & Castoldi, Milano

2002, pg. 52 e ss, il quale ci parla ancora di ospitalità, anzi, di ospitalità assoluta, che si distanzia dalla legge

dell'ospitalità come diritto o dovere: “L‟ospitalità assoluta esige che io apra la mia dimora e che la offra non

soltanto allo straniero (provvisto di un cognome, di uno statuto sociale di straniero eccetera), ma all‟altro

assoluto, sconosciuto, anonimo, e che gli dia luogo, che lo lasci arrivare e aver luogo nel luogo che gli offro,

senza chiedergli né reciprocità (l‟entrata in un patto) e neppure il suo nome[…]".

515 In ambito internazionale, è con la Convenzione di Ginevra che si dà, per la prima volta, una definizione di

rifugiato, a seguito della disastrosa situazione che aveva lasciato la seconda guerra mondiale. Conclusa a Ginevra

il 28 dicembre 1951. Approvata dall’Assemblea Federale il 14 dicembre 1954. Entrata in vigore per la Svizzera

il 21 aprile 1955. Ratificata in Italia con legge n.722/1954 e modificata con la convenzione di New York del

31/1/1967.

516 Il rifugiato è definito dalla Convenzione di Ginevra come una persona che “temendo a ragione di essere

perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le

sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore,

avvalersi della protezione di questo Paese” (art.33). Differente è, invece, il richiedente asilo, ossia colui che,

fuggendo dal proprio Paese, chiede asilo; ovvero colui che fa richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato,

ai sensi della Convenzione di Ginevra.

517 Art. 32 Convenzione di Ginevra.

149

regole e dei principi costituzionali propri di ogni paese, che di accoglienza ed integrazione

interculturale. Del resto, se l’altro non viene considerato come il diverso da cui difendersi,

potrà essere accettato, viceversa, come fonte di ulteriore ricchezza umana, culturale ed

economica per il paese ospitante. La non lontana storia dell’emigrazione italiana dovrebbe

orientare la politica ed il legislatore verso una normativa che preveda forme più “morbide” di

accoglienza e di ospitalità, nel rispetto dei diritti fondamentali che già la nostra Costituzione

aveva previsto nel 1948, all’insegna di una auspicabile civile convivenza.

4.4. I centri di permanenza temporanea: semplice trattenimento o detenzione? Le costanti

violazioni del diritto alla libertà personale e del diritto di difesa

I centri di permanenza ed assistenza temporanea furono introdotti dalla legge n. 40 del

1998 allo scopo di trattenere gli stranieri qualora vi fosse pericolo che questi si sottraessero

all’esecuzione del provvedimento di allontanamento518

, in linea con gli accordi di Schengen

che non permettono agli Stati membri di lasciare in circolazione persone che siano state

espulse o prive di identificazione. L’inserimento di questo istituto nell’ordinamento giuridico

italiano, già praticato peraltro in altri Stati europei519

, rappresenta una novità che ha suscitato

forti perplessità, soprattutto in merito al fatto che gli stranieri non identificati e quelli

destinatari di un decreto di espulsione fossero trattenuti in centri estranei al circuito

penitenziario. La previsione di tali strutture, e le relative modalità di gestione, hanno quindi,

da subito, smosso gli operatori non solo del diritto, ma anche gli operatori sociali e le

associazioni a tutela dei diritti umani, come Medici Senza Frontiere520

o Amnesty

International, per i dubbi di costituzionalità ad esse legate. Sebbene la disposizione di cui

all’articolo 14, comma 2, testo unico immigrazione, reciti che “Lo straniero è trattenuto nel

centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua

dignità. [….]”, nella realtà avveniva, ed avviene tuttora, il contrario di quanto statuito:

518 Queste strutture furono costituite a mezzo di decreto del Ministero dell’Interno, di concerto con i Ministri

della Solidarietà sociale e del Tesoro.

519 Per una lettura sulle esperienze straniere in tema di centri di permanenza, si rinvia a B. Nascimbene, Expulsio

and detentio of aliens in the European Union countries, Giuffrè editore, Milano, 2001.

520 Vedi rapporto sui centri di permanenza temporanea e assistenza di Medici senza Frontiere, Missione Italia,

Gennaio 2004 su www.medicisenzafrontiere.it.

150

strutture inadeguate e sovraccariche, e diritti calpestati sono diventati, oramai, le peculiarità

dei centri di permanenza temporanea. Il trattamento degli immigrati all’interno di tali centri è

indecoroso, le condizioni igieniche sono pressoché carenti, così come lo è il cibo e

l’assistenza medica. La riforma del 2002, anziché rendere dignitoso il vivere nel centro, così

come legislativamente previsto, ha sostanzialmente aggravato tale situazione. Innanzitutto, ha

alzato a 60 i giorni di trattenimento dello straniero nella struttura; in secondo luogo, ha

previsto che si debba procedere al trattenimento anche nei confronti dei richiedenti asilo, nelle

more dell’esame della domanda di asilo da parte delle commissioni competenti. A tal fine si

ricorda che, accanto ai centri di permanenza, esistevano i centri c.d. di identificazione, la cui

caratteristica originaria era quella di essere dei centri di passaggio, dove ci si limitava ad

identificare lo straniero, per poi indirizzarlo nel centro di permanenza ed assistenza. La

sempre più numerosa presenza di immigrati nei centri di permanenza temporanea, ha fatto si

che la prassi fosse quella del trattenimento vero e proprio anche nei centri di identificazione,

snaturando così la loro iniziale funzione. Una delle tante decretazioni d’urgenza in materia, la

n. 92 del 2008521

, ha mutato la denominazione dei centri di permanenza che ora si chiamano

centri di identificazione ed espulsione (CIE).

Da un punto di vista giuridico, è d’obbligo la considerazione in merito alla tutela dei

diritti fondamentali dello straniero all’interno dei centri di permanenza, primo tra tutti

l‟habeas corpus522

ed il diritto alla difesa. Per rendere compatibile il sistema del

trattenimento, come limitazione alla libertà personale, con le disposizioni costituzionali di cui

all’articolo 13, il legislatore ha imposto un giudizio di convalida del decreto di trattenimento.

Giudizio di convalida che però, avvenendo in Camera di Consiglio ai sensi dell’articolo 737

cpc, diversamente dalla convalida dell’arresto o del fermo, non sembrerebbe sufficiente a

garantire il principio di legalità e il diritto di difesa dello straniero, con il relativo

contraddittorio. Tanto è vero che i giudici del Tribunale di Milano, nel 2000, a mezzo di

numerose ordinanze523

, sollevarono una questione di legittimità costituzionale proprio per le

521 Recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, convertito in legge 24 luglio 2008 n. 125.

522 Il trattenimento presso tali centri incide, infatti, sulla libertà personale, garantita sia a livello costituzionale

(art. 13) che a livello legislativo. In particolare ci si riferisce all’articolo 2 del testo unico immigrazione e agli

articoli 1 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

523 Sette ordinanza emesse il 9 novembre 2000, rispettivamente iscritte al n. 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59 del registro

ordinanze 2001.

151

motivazioni di cui sopra. La Corte costituzionale524

, però, non ravvisò gli estremi per una

dichiarazione di illegittimità dell’articolo 14, comma 4, testo unico immigrazione, in quanto

quei giudici a quibus, nelle more del sindacato di legittimità, avevano disposto il rilascio degli

stranieri trattenuti. La Corte valutò il comportamento di quei giudici come assenza del

requisito della rilevanza ai fini del giudizio a quo, in quanto sarebbe mancato “l‟indefettibile

presupposto della incidentalità della questione di legittimità costituzionale”. L’orientamento

di questa Corte non mutò neanche in sua una decisione successiva525

, avente ad oggetto una

presunta violazione del diritto di difesa dello straniero trattenuto nel centro di permanenza: la

questione di legittimità non fu accolta perché l’atto impugnato era un regolamento di

attuazione, dunque un atto non avente forza di legge, escluso, quindi, dal novero della

competenza della Corte costituzionale. La questione venne sollevata, sempre dai giudici di

Milano, per far dichiarare incostituzionale l’articolo 14, comma 3, testo unico immigrazione e

l’articolo 20 del suo regolamento di attuazione, nella parte in cui non prevedevano l’obbligo

del questore di dare avviso della misura del trattenimento al difensore, di fiducia o d’ufficio,

fin dall’adozione del provvedimento amministrativo di trattenimento, o, quantomeno, dal

momento della comunicazione al giudice dell’inizio della misura. La Corte ritenne, come

detto, manifestamente inammissibile la questione relativa all’articolo 20 del regolamento di

attuazione, in quanto questa norma non aveva forza di legge, mentre ritenne infondata la

questione di legittimità nei riguardi dell’articolo 14, comma 3, testo unico immigrazione,

poiché il diritto di difesa sarebbe ugualmente tutelato nel caso in cui lo straniero trattenuto

non avesse scelto già un difensore: “questo gli viene nominato d‟ufficio dal giudice della

convalida, lo stesso difensore deve essere presente all‟udienza e può acquisire al più tardi in

quella sede ogni elemento di conoscenza utile alla difesa”. La Corte Costituzionale, stante la

medesima questione delle ordinanze di remissione su indicate, riunì i giudizi e dichiarò, con la

sentenza interpretativa di rigetto più volte citata, la n. 105 del 2001, l’infondatezza di tutte e

due le questioni di legittimità avanzate dal Tribunale di Milano. Tale decisione, che si è prima

esaminata sotto l’aspetto della riserva giurisdizionale in tema di convalida

dell’allontanamento e del trattenimento, ora interessa per altri aspetti. Nonostante sia una

sentenza di rigetto, sicuramente deludente per chi sperava in una sentenza di accoglimento

che finalmente ponesse in posizione di uguaglianza cittadino e straniero, afferma però, in

524

Con ordinanza n. 297 del 2001.

525 Ordinanza n. 385 del 22 novembre 2001.

152

maniera indiscutibile, un principio fondamentale. Contrastando con il parere dell’Avvocatura

generale dello Stato, intervenuta a difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri, il giudice

delle leggi sostenne che il trattenimento presso il centro di permanenza costituiva, comunque,

una limitazione della libertà personale, così come anche l’accompagnamento coattivo, che

invece, per l’Avvocatura, avrebbe rappresentato solamente una limitazione alla libertà di

circolazione.

Tornando ai centri di permanenza, in particolare alla loro funzione, è chiaro come,

ufficialmente, essa consista in un trattenimento dell’immigrato in attesa di allontanamento.

Ma cosa succede ufficiosamente? Davvero i centri rappresentano un luogo di sola permanenza

e assistenza? Le numerose inchieste giornalistiche aventi ad oggetto le condizioni di vita degli

stranieri nei centri, e le testimonianze di chi purtroppo vi è stato, lasciano intravedere

tutt’altro: i centri di permanenza significano, sempre più, luoghi di detenzione. Una

detenzione peraltro abusiva, in quanto lo straniero sarebbe privato della libertà personale non

per la commissione di un reato, ma per un illecito amministrativo, la cui sanzione sarebbe di

natura contravvenzionale, come più volte precedentemente accennato. Ciò si scontra non solo

con quanto statuito nel testo unico del 1998, ma anche con la circolare ministeriale dello

stesso anno526

, in cui veniva precisato che “il trattenimento nel centro non potrà in nessun

caso assimilarsi all‟applicazione di una sanzione detentiva, per cui dovrà aversi cura perché

l‟accoglienza nei centri non comporti limitazioni della libertà che non siano strettamente

indispensabili per evitare l‟allontanamento abusivo e per garantire la sicurezza delle persone

che convivono o lavorano nel centro stesso”. Ancora, vi sarebbe contrasto con la direttiva

generale del Ministero dell’Interno del 30 agosto 2000 avente ad oggetto “i diritti e i doveri

della persona ospitata nei centri di permanenza temporanea”527

, tra l’altro oggi non più

applicata a seguito della novella del 2002.

Ci si chiede se, attualmente, con l’istituzione del reato di immigrazione clandestina,

possa avere ancora un senso parlare di tutto questo. Ovvero, se è ancora giuridicamente logico

far riferimento ad un illecito amministrativo sanzionato con una privazione della libertà,

quando, prendendo in prestito la terminologia penalista, quel nesso di causalità tra

526 Circolare del Ministero dell’Interno n. 11 del 20 marzo 1998.

527 La cd. carta dei diritti e dei doveri, in cui si elencavano una serie di doveri facenti capo all’ospite del centro,

ma anche tutta una serie di diritti di cui l’ospite era titolare, quali il diritto alla salute, all’assistenza linguistica,

alla comunicazione con l’esterno.

153

trattenimento e immigrazione clandestina sembra essere scomparso. Infatti, se la clandestinità

oggi costituisce un reato, ciò imporrebbe la detenzione in una struttura penitenziaria e non in

un centro la cui funzione ufficiale non ha natura detentiva, anche se ufficiosamente è vero il

contrario.

Un altro aspetto altrettanto non convincente, quando si parla di centri di permanenza, è

quello legato allo straniero che, trascorsi i sessanta giorni, esce dal centro. L’interrogativo è il

seguente: che fine fa questa persona? La disposizione normativa ci dice che, allo scadere dei

sessanta giorni, all’immigrato viene intimato di lasciare il territorio entro cinque giorni. Non

vi è previsione di un accompagnamento alla frontiera, per cui viene rimesso al senso di

responsabilità dello straniero l’adempimento all’ordine di polizia. Se quello straniero non

uscisse dal territorio statale, e fosse, in ipotesi, fermato dalle forze dell’ordine, sarà soggetto

all’arresto ovvero condotto, ancora una volta, presso il centro di permanenza. Il circolo è

vizioso e di nuovo, il centro di permanenza, assume le sembianze di un carcere, a tutti gli

effetti!

4.5. Le nuove norme del pacchetto sicurezza: effetti sullo statuto del non cittadino. Il tanto

discusso reato di clandestinità

L’Italia è in una posizione strategica per attirare i viaggiatori del mare che,

clandestinamente, sbarcano sulle sue coste. I retroscena di questi viaggi infernali sono spesso

invisibili oltre che inimmaginabili. Un sottosistema di criminalità avvolge le condizioni di

quei migranti che si affacciano sulle nostre terre, a partire dagli scafisti che si fanno

remunerare profumatamente, fino ai datori di lavoro che approfittano della loro clandestinità

per sottopagare il lavoro da essi svolto.

Ogni disciplina dell’immigrazione si è occupata della lotta alla clandestinità, non solo

perché questa potrebbe rappresentare un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico, ma

anche perché le politiche nazionali in tema di welfare, di istruzione, di assistenza sociale e

sanitaria quasi lo impongono, dal momento che l’accesso a queste prestazioni è garantito

anche allo straniero clandestino.

Le già trattate tematiche sull’espulsione e sui respingimenti hanno messo in luce

quanto sia difficoltoso rapportarsi con l’immigrazione clandestina, anche per i delicatissimi

profili costituzionali che ad essa si possono ricollegare. Oggi più che mai, l’evoluzione della

154

politica legislativa dell’immigrazione in materia di clandestinità, sfida le garanzie

costituzionali ed internazionali quando adotta, come sopra illustrato, respingimenti senza una

preventiva identificazione del respinto e senza l’obbligatorio accertamento che quello

straniero respinto non rientri tra i richiedenti asilo. I delicatissimi temi degli allontanamenti e

dei trattenimenti hanno subito delle modifiche di rilievo con la legge n. 94 del 2009, recante

“Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, con cui ci si è avviati verso forme più rigide

di trattamento degli immigrati, soprattutto non regolari e clandestini. Ma anche altre

innovazioni hanno provocato effetti non positivi sullo statuto del non cittadino, creando

spesso tensioni con il dettato costituzionale.

Innanzitutto, la nuova norma ha introdotto, all’articolo 4 bis, il cd. accordo di

integrazione, “finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli

stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a

partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società”. La lettura di tale articolo

lascia basiti. Addirittura, non sembra quasi immaginabile che il legislatore sia lo stesso che ha

inserito, in quella stessa legge, il reato di clandestinità. L’illusione è breve. Scorrendo il testo,

l’arcano è presto risolto. L’accordo di integrazione è semplicemente il presupposto per una

nuova modalità di espulsione. La legge dice che l’accordo è conditio sine qua non per il

rilascio del permesso di soggiorno528

. Tale accordo è “articolato per crediti, con l‟impegno a

sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione, da conseguire nel periodo di validità del

permesso di soggiorno”. Se questi crediti vengono persi, vi è la revoca del permesso di

soggiorno e la relativa espulsione dal territorio dello Stato. Viene istituito, dunque, una sorta

di permesso di soggiorno a punti: più punti si hanno e più possibilità di restare sul territorio

nazionale si conquistano, meno punti si posseggono, più possibilità di espulsione si

intravedono. La disposizione pone degli interrogativi inevitabili. Se la legge nulla dispone in

merito alle modalità con cui debbono essere raggiunti gli obiettivi di integrazione richiesti, in

base a che cosa viene disposto l’allontanamento dello straniero? O meglio, su quale

presupposto giuridico verrà revocato il permesso di soggiorno? Come faranno le questure a

verificare e monitorare se lo straniero ha conseguito o meno i crediti derivanti dall’accordo di

528 Si badi bene che il requisito dell’accordo di integrazione finalizzato al rilascio del permesso di soggiorno si

estende anche a quelle categorie di permessi, quali ad esempio quelli per ricongiungimento familiare, per motivi

umanitari e di protezione umanitaria, per asilo, che sono però sottratti, ai sensi dell’articolo 4 bis, secondo

comma, all’espulsione.

155

integrazione?529

Interrogativi che sono e rimangono aperti!

La legge n. 94 è nota, soprattutto, per l’introduzione dell’articolo 10 bis nel testo unico

per l’immigrazione, ovvero del tanto discusso reato di immigrazione clandestina. La natura

giuridica di questo reato è contravvenzionale, ed è punito con una sanzione pecuniaria che va

da € 5.000,00 a € 10.000,00. L’articolo 10 bis prevede due tipologie di condotta illecita, una

legata all’ingresso e l’altra legata al soggiorno, anche se costituiscono in realtà un unicum, in

quanto lo straniero non potrà essere perseguito per entrambe le condotte. È esente dal reato lo

straniero destinatario del provvedimento di respingimento alla frontiera o subito dopo

(articolo 10 testo unico immigrazione), adottato dal questore.

Ciò che stupisce della nuova norma è che non viene prevista alcuna esimente circa la

permanenza determinata da “giustificato motivo”. L’illegale ingresso o permanenza sul

territorio nazionale vengono, quindi, puniti senza che si possa giustificare il perché di

quell’ingresso o di quella permanenza irregolare. Incoerente appare, poi, il fatto che il rientro

in Italia del cittadino extracomunitario espulso non sia più punibile, o lo sia al massimo con

un’ammenda: non costituisce sempre un ingresso illegale?

Per ciò che riguarda la sanzione imposta allo straniero come conseguenza del reato di

clandestinità, al legislatore pare interessare non certo la pena, sulla cui esigibilità vi sarebbe

da discutere, ma la sanzione sostituiva dell’espulsione giudiziale530

. Non vi sono dubbi sul

fatto che lo straniero non è assolutamente in grado di pagare l’ammenda imposta per il reato

di clandestinità; e di questo ne era cosciente, sicuramente, anche il legislatore che, infatti, ha

disposto l’espulsione come sanzione sostitutiva alla condanna531

. Il fine ultimo è stato

assicurato: espulsione come motore della lotta alla clandestinità!

Sempre in ambito penale, un’altra fattispecie introdotta dalla legge n. 94, è il reato per

la locazione di immobile allo straniero irregolare: “Chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre

529 Si ricorda come anche in Francia, con la legge di riforma del 2006, Loi n. 2006-911 du 24 juillet 2006 relative

à l‟immigration et à l‟intégration, si è predisposto un contratto di accoglienza ed integrazione limitato però agli

stranieri tra i 16 ed i 18 anni ammessi per la prima volta nel paese e che hanno intenzione di stanziarvi, fornendo

però gli strumenti pubblici di formazione linguistica e civica, cosa che non sembra previsto nel testo della

riforma in oggetto.

530 Per approfondimenti vedi A. Caputo, “Nuovi reati di ingresso e di soggiorno illegale dello straniero nello

Stato, in S. Corbetta - A. Della Bella - G.L. Gatta (a cura di), Sistema penale e “sicurezza pubblica”. Le riforme

del 2009, Ipsoa, Milano, 2009.

531 Articolo 16, comma 1, testo unico immigrazione.

156

ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero

che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di

locazione, è punito con la reclusione”532

. Si ricorda come la previsione originaria del testo

non indicava che l’irregolarità dello straniero dovesse essere ravvisata al momento della

stipula o del rinnovo del contratto di locazione, così che il proprietario dell’immobile sarebbe

stato sempre punibile in ogni caso di mancata coincidenza tra la durata del soggiorno e la

durata della locazione533

.

Altra discutibilissima novità del pacchetto sicurezza è il prolungamento fino a 180

giorni del trattenimento degli stranieri nei CIE. Un occhio poco attento alle tematiche

dell’immigrazione potrebbe convincersi che il dettato legislativo che prolunga il trattenimento

sia perfettamente in linea con i principi comunitari, in particolare con la Direttiva

2008/115/CE “recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio

di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”. La disposizione comunitaria prevede

che il trattenimento possa durare per un periodo massimo di un anno e sei mesi. Pertanto,

come ha affermato il Sottosegretario agli Interni Mantovano534

, nella normativa italiana “non

solo vi è piena conformità con le disposizioni europee, ma anzi vi è un utilizzo più contenuto

del limite massimo previsto dalle stesse disposizioni”535

. La lettura comparata della direttiva e

del nuovo articolo 14 rileva tutt’altro che conformità. Emerge, soprattutto, che lo spirito della

direttiva è quello di prevedere il trattenimento come estrema ratio, preferendo il rimpatrio

volontario, quando possibile: ipotesi neanche contemplata dal diritto interno536

. In più, come

532 Articolo 12 n. 5 bis del testo unico immigrazione, inserito dalla legge articolo n. 94 del 2009, articolo 1,

comma 14.

533 Vedi in tal senso A. P. Griffi, Stranieri non per la Costituzione, Relazione al Convegno organizzato

dall’Associazione E. De Nicola su Immigrazione nell‟equilibrio tra esigenze di sicurezza e di integrazione

sociale, Torre del Greco (NA), 16 maggio 2009, in Quaderni costituzionali.

534 Seduta della Camera dell’8 aprile 2009, n. 161.

535 Si ricorda che la proposta governativa aveva in realtà predisposto un trattenimento fino a 18 mesi. Fu

solamente grazie ad un emendamento dell’opposizione parlamentare, il n. 39107, che la durata venne portata

almeno fino a 180 giorni.

536 Vedi a tal proposito P. Bonetti, Le norme in materia di stranieri del disegno di legge sulla sicurezza

pubblica all‟esame dell‟assemblea della Camera dei Deputati (A.C. 2180- A). Analisi e commento a prima

lettura, 2 maggio 2009, il quale sostiene che “l'introduzione del reato di soggiorno illegale ha dichiaratamente

l'intento di consentire all‟ordinamento italiano di avvalersi dell'art. 2, comma 2 della Direttiva 2008/115/CE sui

157

sostenuto da parte della dottrina537

, la novella del 2009 scambia i presupposti del

trattenimento iniziale con quelli per il suo prolungamento, così “la legislazione nazionale

finisce per legittimare la detenzione amministrativa in presenza di condizioni che invece,

secondo la normativa comunitaria, giustificherebbero esclusivamente una sua eventuale

proroga”538

. Del resto, oggi poco importa se l’Italia si sia o meno conformata alla direttiva

comunitaria, visto che l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale vanifica

l’applicazione del dettato comunitario, quando questo stesso prevede, all’articolo 2 secondo

comma, lettera b), che “gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente

direttiva ai cittadini di paesi terzi [...] sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come

conseguenza di una sanzione penale […]”.

Il vecchio articolo 14, comma 5, del testo unico immigrazione, novellato dalla legge

del 2002, prevedeva, come detto, il trattenimento dello straniero per un tempo massimo di

giorni complessivi pari a trenta, prorogabili di altri trenta qualora fosse difficoltosa o

l’identificazione dello straniero o l’acquisizione dei documenti di viaggio per il rientro nel

Paese di origine. Dopo tale periodo, il trattenuto doveva essere messo in libertà, con

l’intimazione a lasciare il territorio della Repubblica entro 5 giorni. Le nuove norme

prevedono, invece che, trascorso un primo periodo di sessanta giorni di trattenimento, il

questore può chiedere due successive proroghe per un periodo massimo di 180 giorni. Si

sottolinea che la prima proroga può essere chiesta dal questore al giudice di pace, per un

periodo di sessanta giorni, “in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del

rimpatri, che dà agli Stati la facoltà di non applicare la Direttiva stessa agli stranieri per i quali il rimpatrio sia

sanzione penale o conseguenza di una sanzione penale. Poiché introducendo nell'ordinamento italiano il reato

di soggiorno illegale l'espulsione si fa conseguire alla condanna per tale reato (espulsione disposta dal giudice

quale sanzione sostitutiva della pena prevista per il reato) si potrà prescindere, per ogni straniero espulso,

dall'applicazione delle disposizioni della Direttiva che invece privilegiano, di norma, il rimpatrio volontario e

non quello coattivo e prevedono che ogni forma di trattenimento sia soltanto un rimedio eccezionale e

residuale”.

537 A. Pugiotto, “Purché se ne vadano. La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di

allontanamento dello straniero”, op. cit. pg. 31.

538 Per una interpretazione vincolante della direttiva de qua vedi la sentenza della Corte di Giustizia europea del

30 novembre 2009, la quale, in sei fondamentali punti, cerca di dare una lettura interpretativa rispondente agli

intenti dei legislatori comunitari. Il primo di questi punti attiene proprio alla durata massima della detenzione

amministrativa, che deve includere il periodo di trattamento subito nel contesto di una procedura di

allontanamento avviata prima che il regime introdotto da tale direttiva divenisse applicabile.

158

Paese terzo interessato o di ritardi nell‟ottenimento della necessaria documentazione dai

Paesi terzi”. Altri sessanta giorni possono essere concessi qualora “non sia possibile

procedere all‟espulsione in quanto, nonostante che sia stato compiuto ogni ragionevole

sforzo, persistono le condizioni di cui al periodo precedente”. Oltre alla difficoltà

interpretative in ordine sia alla cooperazione dello straniero che ai ritardi nell’ottenimento

della documentazione (entrambe cause non imputabili al trattenuto peraltro: per ciò che

attiene alla prima, sarebbe difficile per lo straniero collaborare restando richiuso in un centro,

per ciò che riguarda la seconda, è lo Stato terzo che si dovrebbe adoperare per il rilascio

dell’idonea documentazione), vi è da dire che si denota, ancora di più, il carattere detentivo

del trattenimento presso i CIE, accompagnato da una minorazione delle tutele giurisdizionali.

Infatti, il Giudice di Pace, senza contraddittorio, procede alla convalida di ciò che l’autorità

amministrativa, nella persona del questore, gli chiede. E non può neanche discostarsene,

qualora discrezionalmente avesse voluto decidere per un periodo minore ovvero superiore di

trattenimento. Come fa giustamente notare l’avvocato Guido Savio in un recentissimo

seminario ASGI e Magistratura Democratica539

, la carenza delle garanzie giurisdizionali, in

particolare il diritto alla difesa e l’habeas corpus, già presente nella disciplina ante riforma,

nella novella “emergono con forza in ragione della triplicazione della durata della

permanenza nei C.I.E. e della genericità dei presupposti legittimanti le proroghe”540

. Il diritto

di difesa viene meno in quanto la convalida del giudice, oltre ad essere essenzialmente

dichiarativa e non costitutiva, avviene, peraltro, inaudita altera parte; il contrasto con il

dettato costituzionale si acuisce ancor di più rispetto al passato, perché il diritto inviolabile

della libertà personale non solo viene ad essere costantemente violato, ma la violazione ha una

durata triplicata!

Le analisi sopra svolte sulle tematiche relative all’immigrazione, indicano una volontà

del legislatore diretta essenzialmente ad un restringimento dei diritti dello straniero e

finalizzata, comunque, ad un aggravamento della posizione dell’immigrato. Un’ulteriore

prova di tale orientamento la si trova nella introduzione dell’aggravante di clandestinità ai

539 G. Savio, “La condizione giuridica dello straniero dopo le recenti riforme della normativa in materia di

immigrazione”, Relazione seminario ASGI e Magistratura democratica, Firenze 18/19 settembre 2009

540 G. Savio, “La condizione giuridica dello straniero dopo le recenti riforme della normativa in materia di

immigrazione”, op. cit. pg. 14

159

sensi dell’articolo 61, n. 11 bis, del codice penale541

. L’effetto di tale circostanza si produce

quando la commissione di un reato, qualunque esso sia, avviene ad opera di un soggetto

straniero illegalmente presente sul territorio nazionale. In questo caso la pena viene aumentata

di un terzo rispetto a quella prevista per quella stessa fattispecie penale, se la commissione del

reato fosse ad opera di un cittadino italiano ovvero di uno straniero ma regolarmente

soggiornante in Italia542

. Pertanto, l’offesa di quel bene giuridico è la stessa, sia che il reato lo

abbia commesso uno straniero irregolare o clandestino ovvero un italiano o uno straniero

regolare; ciò che cambia è invece la sanzione: questa dipenderà dallo status giuridico del reo.

Alla luce di ciò, sono stati sollevati dubbi543

sulla costituzionalità di questa circostanza

aggravante, in merito alla violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge, che deve

essere tale senza distinzione di condizioni sociali e personali. Al riguardo, svariati ricorsi di

legittimità sono stati avanzati dinanzi la Corte costituzionale, sia prima che dopo la

conversione del decreto, da parte di quei giudici che si sono trovati ad applicare la circostanza

aggravante nei confronti di immigrati irregolari544

. Si è in attesa delle risposte del giudice

delle leggi. Fatto sta che ad oggi, il diritto penale speciale dei migranti, si arricchisce anche di

541 Prevista dal d.l. 23 maggio 2008 n. 92 (c.d. decreto sicurezza, convertito con emendamenti dalla legge 24

luglio 2008 n. 125.

542 Si evidenzia come l’introduzione della circostanza aggravante abbia anche apportato delle modifiche in

ambito processuale. L’articolo 656, comma 9, cpp, modificato dal pacchetto sicurezza, dispone, infatti, che,

qualora ricorra l’aggravante di cui all’articolo 61 n. 11 bis, non può essere disposta la sospensione

dell’esecuzione della pena detentiva fino a tre anni (fino a sei quando si tratti di pena inflitta per reati connessi in

relazione a uno stato di tossicodipendenza) anche se residua di maggior pena, volta a consentire la presentazione

di istanza di ammissione a una misura alternativa alla detenzione.

543 Dubbi emersi sia in sede di lavori preparatori, dalle forze di opposizione, sia dall’Associazione nazionale

magistrati, dall’Unione Camere Penali e dalla dottrina penalistica e costituzionalistica. Quest’ultima letteratura,

che interessa maggiormente questa sede, si espressa ad esempio con V. Onida, Efficacia non scontata per il

ricorso penale, ne il Sole 24 Ore, del 22 maggio 2008, il quale ha testualmente affermato che l’aggravante di

clandestinità “opera, mi pare, una vera e propria discriminazione fra persone in ragione dell‟origine nazionale

e di condizioni personali, vietata dagli articoli 2 e 7 della Dichiarazione Universale, dall‟articolo 14 della

CEDU e dall‟articolo 36 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, oltre che dall‟articolo 3 della

Costituzione”. Vedi anche A. Algostino, Il “Pacchetto sicurezza” , gli stranieri e la Costituzione. Prime note, in

www.forumcostituzionale.it.

544 Vedi ad esempio Tribunale di Latina, ordinanza 1 luglio 2008 oppure Tribunale di Livorno, ordinanza 3

novembre 2008.

160

un altro contributo e si espande anche al diritto processuale penale545

.

Si aggiunge, infine, che queste nuove previsioni penali contrastano totalmente con gli

orientamenti giurisprudenziali della Corte costituzionale, la quale ha sempre rivendicato che il

ricorso allo strumento penale debba rappresentare l’extrema ratio, “il momento nel quale

soltanto nell‟impossibilità e nell‟insufficienza dei rimedi previsti da altri rami è concesso al

legislatore ordinario di negativamente incidere, a fini sanzionatori”546

.

Ancora più interessante si fa dunque l’attesa delle decisioni della Corte Costituzionale,

nella speranza che siano conformi ed in linea con questi suoi precedenti.

4.6. Ricongiungimento familiare: l‟unità familiare si può ancora invocare come diritto?

Il mutamento dello scenario migratorio italiano, ma anche europeo, caratterizzato dalla

stanzialità dei migranti e dalla relativa integrazione nel tessuto sociale di residenza, ha

condotto all’esigenza, da parte dello straniero, di potersi ricongiungere con la propria

famiglia. Il migrante “vecchio stampo”, ovvero colui che emigrava per racimolare una

discreta somma di denaro che, attraverso le rimesse, inoltrava poi nel proprio paese di origine,

al fine di potervi vivere più dignitosamente assieme al proprio nucleo familiare, di fatto è

diventato una rarità. Una nuova figura di migrante è emersa: si tratta di quello straniero che

vuole vivere in Italia lasciando la propria terra senza farvi ritorno, e, come naturale che sia,

vuole portare con se la sua famiglia. Un’esigenza legittima, fonte ulteriore di integrazione e di

armonizzazione dell’immigrato con il paese ospitante.

Il testo unico immigrazione aveva previsto, a tal proposito, un diritto all’unità

familiare più ampio rispetto alle legislazioni precedenti, dove il diritto alla ricongiunzione era

legato alla condizione dell’essere lavoratore. Questo in sintonia con quella logica binaria che

negli ultimi anni ha caratterizzato le scelte in tema di immigrazione: “politiche di integrazione

nel trattamento giuridico degli stranieri regolari e (politiche) di estremo rigore in tema di

ingresso e allontanamento degli irregolari”547

. L’articolo 28 del testo unico immigrazione

garantiva il diritto all’unità familiare come un diritto soggettivo perfetto. Il successivo articolo

545 Per una approfondita lettura sull’aggravante di clandestinità vedi G. L. Gatta, Aggravante della

“clandestinità” (art. 61 n. 11 bis c.p.): uguaglianza calpestata, in Forum di quaderni costituzionali.

546 Sentenza Corte costituzionale n. 186 del 1987.

547 A. Caputo, Espulsione e detenzione amministrativa degli stranieri, in Questione Giustizia, 3/1999, pg. 428.

161

29, disciplinava le modalità di ingresso, la procedura per il conseguimento del visto ed i

requisiti di alloggio e di reddito necessari. La legge n. 189 del 2002, nella sua ottica

restrittiva, ha confermato il diritto dello straniero che sia regolarmente soggiornante, titolare

quindi di un permesso di soggiorno di durata almeno annuale o della carta di soggiorno, a

ricongiungersi con il coniuge non legalmente separato e con i figli minori a carico, anche se

nati fuori dal matrimonio, ma ha stralciato la possibilità, prevista invece dal testo unico, di

ricongiungimento sia con i parenti entro il terzo grado a carico in quanto inabili al lavoro, sia

con il genitore a carico. In quest’ultima ipotesi, il ricongiungimento con il genitore veniva

eccezionalmente consentito qualora questi non avesse altri figli nel paese di origine, ovvero

fosse ultrasessantacinquenne e gli altri figli non avessero la possibilità di mantenerlo per

documentate ragioni di salute.

Si ricorda come la giurisprudenza costituzionale aveva riconosciuto il diritto all’unità

familiare come diritto fondamentale già nel 1995548

, sotto la vigenza della legge n. 943 del

1986. In particolar, la Corte costituzionale rilevava, in riferimento all’articolo 4 della legge n.

943, che “il diritto al ricongiungimento con il figlio minore residente all‟estero riguarda

anche gli stranieri residenti che in Italia svolgano attività lavorativa nell‟ambito della

propria famiglia”. Perciò, anche chi svolgeva l’attività lavorativa nella propria famiglia,

doveva essere ricompreso nel novero dei lavoratori che avevano diritto al ricongiungimento

familiare. Nel 1997, quella stessa Corte549

ampliò, addirittura, la tutela del diritto in questione,

affermando come il ricongiungimento fosse un diritto fondamentale appartenente ad ogni

membro della famiglia550

. Gli orientamenti di questa Corte hanno subito, nel tempo, alcuni

ridimensionamenti. Si pensi a quella giurisprudenza costituzionale che ha confermato la

legittimità dell’articolo 29, comma 1, lett. c del testo unico immigrazione, novellato dalla

legge n. 189 del 2002, giustificando la propria decisione sulla considerazione che “mentre

548 Sentenza della Corte costituzionale n. 28.

549 Sentenza della Corte costituzionale n. 203.

550 Da notare come la Corte costituzionale abbia posto dei punti fermi nei confronti del diritto all’unità familiare

qualora si trattava di famiglia, e non anche quando quella stessa unità doveva essere garantita nelle convivenze

di fatto, in quanto in questa non erano presenti quei “caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e

corrispettività dei diritti e dei doveri […] che nascono solo dal matrimonio e sono propri della famiglia

legittima”. Vedi sentenza n. 313 del 2000. Gli orientamenti di questa Corte sono del resto in linea anche con

quelli della giurisprudenza comunitaria, i quali si sono mossi sostenendo dei modelli ristretti di famiglia,

riferendosi a quella fondata sul matrimonio tra persone di sesso diverso.

162

l‟inviolabilità del diritto all‟unità familiare è certamente invocabile e deve ricevere la più

ampia tutela con riferimento alla famiglia nucleare, eventualmente in formazione […] non

può invece sostenersi che il principio contenuto nell‟articolo 29 della Costituzione abbia una

estensione così ampia da ricomprendere tutte le ipotesi di ricongiungimento di figli

maggiorenni e genitori; infatti nel rapporto tra figli maggiorenni, ormai allontanatisi dal

nucleo familiare di origine, e genitori l‟unità familiare perde la caratteristica di diritto

inviolabile costituzionalmente garantito e contestualmente si aprono margini che consentono

al legislatore di bilanciare l‟interesse all‟affetto con gli altri interessi di rilievo”551

. Le parole

della Corte costituzionale tuonano fortissimamente, soprattutto quando sdoppia il diritto

all’unità familiare, dando pregio al nucleo familiare di nuova generazione e non a quello di

origine, come se il rapporto genitore - figlio avesse una diversa valenza, anche giuridica, nei

due contesti familiari. Non è del resto un orientamento isolato questo della Corte

costituzionale, tanto che anche nella sentenza n. 464 dello stesso anno, affermava che “il

diritto al godimento della vita familiare va garantito senza condizioni a favore dei coniugi e

dei nuclei familiari con figli minori, mentre negli altri casi esso può anche subire restrizioni,

purché nei limiti della ragionevolezza”. E vi è di più. Questi giudici non ravvisarono, nella

prescrizione di cui all’articolo 29, comma 1, lett. c del testo unico immigrazione, alcuna

violazione né dell’articolo 29 della Cost. it., né del principio di uguaglianza di cui all’articolo

3 Cost. it., perché, secondo le parole delle Corte, non si starebbe tutelando un diritto

fondamentale, qual è quello inerente il rapporto del genitore con i figli maggiorenni552

.

A rendere ancora più difficoltosa la disciplina relativa all’unità familiare è stata la sua

rivisitazione ad opera sia del decreto legislativo 8 gennaio del 2007, n. 5, con cui si è

proceduto al recepimento della direttiva comunitaria 2003/86/CE, avente ad oggetto, appunto,

il ricongiungimento familiare, che del decreto legislativo 3 ottobre 2008, n. 160, con cui è

stata recepita la direttiva comunitaria 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini dei paesi

terzi soggiornanti di lungo periodo553

. La legge di riforma, se da un lato ha previsto un

551 Così sentenza Corte costituzionale n. 224 del 2005.

552 Ad analoghe conclusioni sembra essere pervenuta la Corte costituzionale nelle ordinanze nn. 464 e 260,

entrambe del 2005.

553 Si ricorda che ai familiari di cittadini comunitari e italiani si applicano le norme di cui al decreto legislativo

30 del 2007, modificato dal decreto legislativo 32 del 2008, con cui si è proceduto al recepimento della direttiva

2004/38/CE avente ad oggetto la libera circolazione ed il soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari.

163

ampliamento dei titolari del diritto al ricongiungimento, ricomprendendovi anche i detentori

di permesso di soggiorno per motivi familiari (articolo 28, comma 1, del testo unico

immigrazione.), dall’altro, per ciò che attiene invece i beneficiari del diritto, ha stretto le

maglie. La novella del 2007 aveva indicato, tra i destinatari del diritto al ricongiungimento

familiare, il coniuge, ma senza specificare che dovesse essere non legalmente separato, in

linea con la direttiva che aveva recepito. Il decreto legislativo n. 160 del 2008, invece, non

solo ha ripristinato la locuzione di “coniuge non legalmente separato”, ma ha anche limitato

il ricongiungimento al solo coniuge maggiorenne. Per il ricongiungimento con i figli

minorenni, il decreto legislativo del 2007 aveva soppresso la forse non necessaria indicazione

che i figli dovessero essere a carico. Mentre, per i figli maggiorenni, il ricongiungimento era

limitato al caso in cui questi fossero a carico e qualora, per ragioni oggettive, non potessero

provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute. Le

modifiche avviate nel 2008 hanno aggiunto che il grave stato di salute deve comportare

necessariamente l’invalidità totale.

Per ciò che riguarda i genitori, la novella del 2008 ha ristretto i campi che il decreto

del 2007 aveva cercato di ammorbidire. I genitori con età inferiore ai sessantacinque anni

devono essere a carico e non debbono avere altri figli nel paese di origine. Se hanno un’età

superiore ai sessantacinque anni, possono usufruire del ricongiungimento anche se hanno dei

figli nel pese di origine, ma devono documentare che questi non possono mantenerli per gravi

motivi di salute. Anche l’onere di dimostrare che si è in possesso di una assicurazione

sanitaria ovvero dell’iscrizione al SSN a titolo oneroso, posta a carico dei genitori, è un altro

esempio delle restrizioni avviate dalla legge del 2008, cui si accompagna un esame del DNA

nei casi controversi.

I requisiti necessari per richiedere ed ottenere il nulla osta al ricongiungimento

familiare non hanno subito variazioni, restando immutati sia la richiesta dell’alloggio idoneo

che del reddito annuo. Su quest’ultimo solamente, il decreto del 2008 ha apportato delle

modificazioni inerenti il meccanismo di calcolo dell’aumento dell’importo base (importo

annuo dell’assegno sociale) in relazione al numero di familiari per cui si chiede il

ricongiungimento. Infatti, se ante 2008 l’importo base iniziava ad essere raddoppiato dal

secondo familiare da ricongiungere, per cui bastava l’importo base per un solo

ricongiungimento, oggi quell’importo deve essere aumentato della metà per ogni familiare da

ricongiungere, anche se si tratta di uno solo.

164

Perfino legge n. 94 del 2009 ha apportato delle sostanziali modifiche al diritto all’unità

familiare, rendendo, di fatto, più gravoso il ricongiungimento.

Innanzitutto, tale disposto normativo delinea come obbligatoria l’esibizione del titolo

di soggiorno per contrarre matrimonio in Italia, modificando l’articolo 6, comma 2, del testo

unico immigrazione, che obbligava lo straniero all’esibizione della documentazione di

soggiorno, tranne per “i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere

temporaneo e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all‟accesso a pubblici servizi”. Tale

previsione era finalizzata a garantire i diritti fondamentali anche gli stranieri, a prescindere dal

possesso e, dunque, dalla esibizione del titolo di soggiorno, con particolare riguardo al diritto

alla salute e alla assistenza sociale. La legge del 2009 impone, invece, quell’obbligo quando

lo straniero chiede “licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello

straniero comunque denominati”, tranne che per i provvedimenti riguardanti attività sportive

e ricreative a carattere temporaneo e per quelle inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie e

scolastiche obbligatorie554

. In verità, l’intento iniziale di questo legislatore era quello di

vanificare quello del precedente, nel tentativo di destabilizzare la condizione giuridica dello

straniero, già precaria dal punto di vista del godimento dei diritti fondamentali. Si ricorda, a

tal proposito, come ci si sia battuti, non solo in Parlamento, per evitare il pericolo che

l’obbligo di segnalazione della condizione di irregolarità dello straniero, qualora fosse

ammesso alle prestazioni sanitarie, diventasse norma di legge. Se così fosse stato, il diritto

alla salute, come diritto inviolabile, avrebbe avuto delle limitazioni così forti nei confronti

dello straniero, che tutta la giurisprudenza sia di merito che di legittimità, e tutti gli

orientamenti dottrinari sul tema sarebbero diventate carta straccia.

Un altro divieto imposto dalla novella del 2009, è quello che riguarda il

ricongiungimento con un familiare che sia coniugato con un cittadino straniero regolarmente

soggiornante nel territorio nazionale, e che abbia un altro coniuge già presente sul territorio

nazionale: cd. norma anti-bigamia.

Tale legge consente, infine, l’ingresso del genitore naturale di un minore regolarmente

soggiornante, ma questi deve dimostrare il possesso dei requisiti di disponibilità dell’alloggio

e del reddito non più entro un anno, ma nell’immediatezza. Si specifica, ancora, che il minore

554 Per un’interessante lettura sul significato dell’obbligo scolastico nella legge n. 94 del 2009, vedi “I minori

extracomunitari e il diritto all‟istruzione dopo l‟entrata in vigore della legge n. 94/2009”, reperibile su

www.asgi.it.

165

deve soggiornare con l’altro genitore.

Le innovazioni legislative, anche le più recenti, inerenti la sfera familiare degli

immigrati, non stupiscono se si considera che anche in ambito europeo il sistema è pressoché

similare. I processi di comunitarizzazione delle politiche migratorie dovevano interessare,

maggiormente, proprio quegli aspetti legati alla vita familiare dello straniero, anche per la loro

incidenza sulla integrazione dell’immigrato nel tessuto sociale. In verità, è specificamente su

questo fronte che le disposizioni dell’Unione sembrano essere carenti. La direttiva del 2003 su

citata, ad esempio, al di là dei positivi intenti cui essa era ispirata, lascia intravedere una

mancanza di forza delle strutture sovranazionali, incapaci di affermarsi nei confronti degli

Stati nazionali attraverso la previsione di un sistema omogeneo che indicasse i beneficiari del

ricongiungimento e i requisiti ad esso necessari.

Alla luce di quanto esposto, ci si chiede se esiste ancora un diritto all’unità familiare.

Sicuramente esiste un mite diritto all’unità familiare per gli stranieri, e la prova è che

oggi, seppur con i limiti su accennati, è possibile ricongiungersi con la propria famiglia. Ciò

che appare invece fortemente messo in giuoco è il concetto di famiglia, di legami affettivi, di

rapporti genitori - figli. Sembra essere continuamente leso il principio di uguaglianza quando

non solo il legislatore, ma anche la Corte costituzionale, differenzia la famiglia di origine da

quella di nuova costruzione, ovvero afferma una disparità di trattamento, all’interno della

stessa famiglia, tra figli minorenni e maggiorenni. Come se i figli che hanno compiuto i 18

anni fossero in grado di gestire la propria vita indipendentemente dai propri legami

genitoriali, come se le precarie condizioni economiche dei paesi di origine dei migranti non

fossero già un valido deterrente per “autorizzare” una ricongiunzione con i figli che abbiano

compiuto la maggiore età. Come se, agli occhi umani di un genitore, un figlio maggiorenne

abbia meno possibilità di crearsi una vita dignitosa nel nostro Paese rispetto ad un figlio di

minore età. Considerazioni, queste, che non possono portare che ad auspicare un sistema

migliore anche in tema di ricongiunzione familiare, tale da rispettare la condizione di figlio e

di genitore a prescindere dall’età degli uni e degli altri, nella piena armonia con il dettato

costituzionale che preserva i diritti della famiglia, senza distinzioni né tra i componenti, né tra

famiglia di origine e derivata, né, in particolar modo, tra famiglia italiana e famiglia straniera.

166

5. L‟Europea e l‟immigrazione: un cammino tutto da percorrere

La dimensione europea del fenomeno migratorio è emersa con l’Atto unico europeo

del 1986555

. Nei periodi antecedenti, l’Europa non aveva avvertito il bisogno di porre in essere

politiche migratorie comuni, in quanto l’immigrazione ancora era in una fase sostanzialmente

embrionale, lontana da esigenze che necessitavano una sua tutela in senso comunitario.

Nell’analisi di alcune tra le tappe fondamentali che hanno contraddistinto la politica

dell’Unione nella materia dell’immigrazione, emerge sicuramente il passaggio dal metodo

intergovernativo previsto dal Trattato di Maastricht556

a quello comunitario istituito dal

Trattato di Amsterdam, in vigore dal 1 maggio 1999. La comunitarizzazione delle materie

quali l’immigrazione, l’asilo, i visti e le altre procedure connesse alla libera circolazione delle

persone557

, ed il loro inserimento nel settore dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ha

sicuramente contribuito alla realizzazione della politica europea in tema di immigrazione,

sebbene caratterizzata, ancora oggi, da limiti ed incertezze. Così come l’incorporazione

dell’aquis di Schengen558

nel processo di comunitarizzazione dell’Unione559

, ha contribuito

all’evoluzione del diritto europeo dell’immigrazione.

Le politiche europee in tema di immigrazione non si risolvono solamente in discipline

555 Adottato il 17 febbraio 1986, entrato in vigore il 1 luglio 1987.

556 Nel quale, si ricorda, l’unica forma di comunitarizzazione era quella inerente la politica dei visti. Per una

visione completa dell’evoluzione della materia di cui si discute, vedi B. Nascimbene e M. Pastore (a cura di), Da

Schengen a Maastricht, Milano, 1995.

557 Una comunitarizzazione che non è stata esente da deroghe. Alcuni Stati membri come Inghilterra e

Danimarca, hanno imposto, ad esempio, delle limitazioni a quel processo di comunitarizzazione in virtù del cd.

principio di flessibilità, ed hanno sfruttano delle deroghe in materia di libera circolazione, immigrazione ed asilo.

Sulla incompatibilità di queste eccezioni con i principi di cui al Trattato CE, in materia di abbandono degli

interessi nazionali a favore dell’integrazione comunitaria, vedi U. Leanza, Le migrazioni. Una sfida per il diritto

internazionale, comunitario ed interno, Atti del Convegni SIDI, Napoli, 2005.

558 Si specifica come l’aquis di Schengen sia un corpo di norme comprendente la Convenzione stessa di

Schengen ed il relativo accordo di adesione del 1985, nonché tutti i protocolli di adesione. Anche l’aquis si

muove in quella logica binaria dell’Unione, per cui da un lato va a regolamentare la libertà di circolazione e

soggiorno in un’area senza confini, qual è lo spazio europeo, dall’altro va ad introdurre delle misure di sicurezza

interna dei Paesi membri, contro immigrazione clandestina e flussi massicci.

559 Vedi Protocollo sull‟integrazione dell‟aquis di Schengen nell‟ambito dell‟Unione europea, in GUUE C 340

del 10 novembre 1997.

167

rivolte ai cittadini comunitari, la cui massima espressione è rappresentata dagli istituti della

libertà di circolazione e soggiorno e della cittadinanza europea, ma a queste si accompagnano

tutte quelle politiche di immigrazione relative ai cittadini dei paesi terzi che, a qualunque

titolo, si trovano sul territorio europeo560

. Il tutto in un’ottica che considera meritevole di

tutela e di protezione lo straniero come persona umana, a prescindere da quale sia il suo

rapporto con lo Stato membro561

.

In particolare, a partire dal 2004, i confini europei si sono allargati, con l’ingresso di

nuovi 12 Paesi in Europa, e quindi di nuovi cittadini che, in virtù della libera circolazione e

soggiorno, hanno il diritto di spostarsi lungo tutto il territorio dell’Unione562

. Ciò ha portato

all’esigenza di armonizzare le politiche migratorie dei singoli Stati membri, fino ad allora

settoriali e frammentarie, con la consapevolezza che la libertà di circolazione e soggiorno è

parte integrante del processo di integrazione europea che, a fatica, l’Unione sta tentando di

costruire563

. Tale esigenza ha trovato riscontro nella direttiva 2004/38/CE, “relativa al diritto

dei cittadini dell‟Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel

territorio degli Stati membri”, con cui il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno voluto

innovare la disciplina dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari564

, e, più recentemente,

560 Vedi B. Nascimbene, Le politiche migratorie nazionali e il diritto comunitario, in Conferenza nazionale

dell‟Immigrazione, Università Bocconi, Immigrazione e diritti di cittadinanza, Cnel editalia, 1991.

561 Vedi A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Bari, 1999.

562 Si ricorda come i Paesi di nuova adesione, nel 2004, abbiano dovuto rispettare la moratoria della durata di due

anni, tranne Cipro e Malta. Così come gli ultimi due ingressi in Europa, quello della Romania e Bulgaria, hanno

dovuto fare i conti con una moratoria, peraltro prorogata di un ulteriore anno con una Circolare del Ministero

dell’Interno del 2009, che di fatto impedisce ancora l’accesso al lavoro per determinate categorie di lavoratori

subordinati, tranne i dirigenti ed il personale altamente qualificato, lavoratori agricoli, turistici, domestici, edili,

metalmeccanici e stagionali, riservando, per tutte le altre categorie di lavoro, la necessità di un nulla osta al

lavoro rilasciato dal competente Sportello unico per l’Immigrazione.

563 Per una disamina sulle tappe dell’integrazione europea, vedi Panebianco - Pennetta, Unione europea, in Enc.

Giur. XXXII, 2000.

564 Si ricorda che tale direttiva ha avuto dei precedenti, anche abbastanza datati, con cui l’Unione ha iniziato il

percorso di integrazione europea. Vedi, ad esempio, i seguenti atti comunitari: il Regolamento del Consiglio n.

161 del 1968 relativo alla libera circolazione dei lavoratori subordinati della Comunità; sempre dello stesso

anno, la Direttiva n. 68 del 1968 avente ad oggetto la soppressione delle restrizioni al trasferimento e al

soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità; la Direttiva n. 148

del 1973, inerente la soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri

168

nella Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo ed al Consiglio del 2 luglio

2009 recante “Linee guida ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva

2004/38/CE”. Il diverso e più favorevole trattamento dello straniero comunitario è il frutto

della differente posizione che questi ha nei confronti sia dello Stato di appartenenza che

dell’Unione, per i noti motivi legati al tema della cittadinanza, anche europea. Le discipline

meno restrittive che l’Europa riserva ai propri cittadini, si riflettono inevitabilmente in ambito

nazionale, dove il recepimento della direttiva 38/CE, avvenuta con decreto legislativo n.

30/2007565

ed adottato con delega conferita al governo nell’art. 1, commi 1 e 3, della legge

comunitaria 2004 566

, ha dato luogo ad una regolamentazione relativa all’ingresso e al

soggiorno dei cittadini comunitari che si è sostituita alla precedente, contenuta nel testo unico

54 del 2002567

.

Parallelamente alle politiche sui cittadini comunitari, si fa strada la previsione europea

di un diritto dei migranti appartenenti ai cittadini di Stati terzi568

, alla luce di quelle norme di

diritto internazionale generale aventi ad oggetto il trattamento dello straniero, che si

accostano, sempre più, a quei principi universali “attinenti ai diritti umani”569

. Già nel

rapporto dei ministri responsabili per l‟immigrazione al Consiglio europeo di Maastricht

sulla politica di immigrazione e di asilo del 1991, emerse l’esigenza di tutelare lo status

giuridico dello straniero extracomunitario, non solo in ordine al principio di non

discriminazione, ma anche in merito alla tutela dei diritti fondamentali ad esso estensibili.

all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi; la Direttiva n. 365 del 1990

recante norme inerenti il diritto di soggiorno dei soggetti salariati e non salariati che hanno cessato la propria

attività professionale; la Direttiva n. 96 del 1993, relativa al diritto di soggiorno degli studenti, la quale è in

sostituzione della precedente n. 366 del 1993, annullata a seguito dell’intervento della Corte di Giustizia

(sentenza n. C-295/90); infine, la Direttiva n. 364 del 1990 avente ad oggetto il diritto di soggiorno dei soggetti

inattivi.

565 Successivamente modificato dal d.lgs. n. 32 del 2008.

566 Legge 18 aprile 2005, n. 62, “Disposizioni per l‟adempimento di obblighi derivanti dall‟appartenenza

dell‟Italia alla Comunità europea - Legge comunitaria 2004”.

567 Il quale raccoglieva le disposizioni legislative e regolamentari contenute nei d. lgs. nn. 52 e 53 del 2002.

568 Vedi come, attualmente, la tutela dei diritti fondamentali della persona, ancorché non europea, siano

riconosciuti e tutelati dalla stessa Carta di Nizza.

569 M. Migliazza, L‟immigrazione nell‟Unione europea rispetto alla presunta antitesi fra trasparenza e privacy,

in F. Pocar e M. Migliazza (a cura di), Aspetti giuridici dell‟immigrazione in ambito internazionale, comunitario

e nazionale, Milano, ed. Unicopli-Cuesp, 2004, pg. 20 e ss.

169

Con l’articolo 63 del TCE si è, poi, costituito una sorta di contenitore giuridico da cui

poter attingere le disposizioni di quella politica europea sull’immigrazione, come le

condizioni di ingresso e soggiorno del cittadino extracomunitario, le modalità di rimpatrio

delle persone irregolarmente soggiornanti sul territorio dell’Unione, nonché “le misure che

definiscono con quali diritti ed a quali condizioni i cittadini di paesi terzi che soggiornano

legalmente in uno Stato membro possono soggiornare in altri Stati membri”. La politica

comunitaria sull’immigrazione inizia a raggiungere obiettivi rilevanti dopo il Trattato di

Amsterdam, in particolare con il vertice di Vienna e di Tampere, dove hanno giocato un ruolo

preminente i Consigli europei. Se nel primo Consiglio ci si limitava all’approvazione di un

Piano di azione che fosse idoneo ad indicare quali fossero le modalità di attuazione delle

disposizione del TCE570

, con il secondo si è cercato di dare attuazione alle disposizioni

contenute nel Trattato di Amsterdam, attraverso la previsione di quattro principi fondamentali,

tra cui quello inerente l’integrazione degli stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio

degli Stati membri, in cui l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi legalmente residenti

sul territorio dell’Unione deve avere un peso predominante. Tale aspetto è stato studiato,

soprattutto, al fine di un avvicinamento tra la condizione giuridica del cittadino comunitario e

del cittadino extracomunitario, realizzabile solo attraverso politiche di integrazione che

possano garantire stessi diritti agli stranieri che, sebbene regolarmente residenti in Europa,

non sono, per questioni legate alla cittadinanza, equiparati ai comunitari571

.

Nel vertice di Tampere è stata sottolineata l’importanza di una gestione comune dei

flussi migratori, attraverso l’adozione di misure concernenti vari ambiti del fenomeno

migratorio, dagli ingressi per motivi di lavoro a quelli per motivi umanitari, fino alle modalità

per arginare l’immigrazione irregolare o clandestina572

. Anche l’elaborazione e lo sviluppo di

forme di cooperazione con i paesi di origine e di transito è stato oggetto di discussione in seno

al Consiglio del 1999. Tale progetto andrebbe realizzato con una effettiva politica di

partenariato tra l’Unione ed i paesi terzi da cui provengono gli immigrati. Nel vertice di

570 Vedi Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Vienna dell‟11 e 12 dicembre 1998, in

www.europar.eur.int.

571 Sul tema dell’integrazione, con una visione anche critica, vedi Quadri, Le migrazioni internazionali,

Editoriale scientifica, 2004, cap. VII.

572 L’esigenza di una politica comunitaria in questo senso, è risultata anche dai successivi Consigli di Siviglia e

Salonicco, rispettivamente del 2002 e 2003.

170

Tampere viene, altresì, contemplata la realizzazione di un regime europeo in materia di asilo,

per ottenere una reale tutela della Convenzione di Ginevra e dei diritti dell’uomo in generale,

al fine di conseguire risultati più soddisfacenti della stessa Convenzione di Dublino del

1997573

.

Le linee programmatiche emerse nel vertice di Tampere574

sono state poi confermate

dal Consiglio europeo di Bruxelles del 2004, in cui si è approvato il Programma dell‟Aja, con

la finalità di dare maggiore forza allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’ambito

dell’Unione575

. Qui più che altrove, è stato conferito un interesse particolare alle misure di

integrazione, che, sebbene previste in quasi tutti i vertici, non sono state mai oggetto di

specifica attuazione. Gli Stati membri, ma la stessa fortezza Europa, erano impegnati, infatti,

alla lotta all’immigrazione irregolare e clandestina per la salvaguardia del territorio nazionale

od europeo, attraverso il controllo delle frontiere esterne. Le Comunicazioni della

Commissione europea come la COM/2004/0412 (Studio sulle connessioni tra migrazione

legale ed illegale) e COM/2004/0508 (Prima relazione annuale sulla migrazione e

l‟integrazione), sono intervenute per indicare come le forme di integrazione siano necessarie

ed indispensabili ai fini di uno sviluppo economico e sociale dell’Unione, sempre più legato e

condizionato dall’immigrazione. Il contributo, soprattutto economico, che l’immigrazione

riesce ad apportare in tutti gli Stati membri, non può non essere “ripagato” con un sistema di

welfare che sia garantista anche per gli stranieri, cui debbono essere rivolte misure dirette alla

loro partecipazione alla vita locale del paese ospitante.

Il 2004 è anche l’anno della firma del Trattato costituzionale576

. Anche in esso viene

573 Vedi, per approfondimenti, B. Nascimbene e E. M. Mafrolla, Recenti sviluppi della politica comunitaria in

materia di immigrazione e asilo, in Dir. imm.e citt. 1/2002.

574 I cui obiettivi sono stati riproposti e mantenuti anche nel Consiglio di Laeken del 2001, sebbene orientato, in

particolare, sulle politiche attinenti all’immigrazione clandestina e al controllo delle frontiere esterne. Del resto,

il periodo storico in cui si svolgeva tale Consiglio era particolare. Si sta parlando del l dicembre 2001, e gli

eventi dell’11 settembre non potevano non influire su decisioni o interventi anche comunitari.

575 Il programma dell’Aja contiene la strategia politica per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e

giustizia nell’Unione per il periodo 2005/2010.

576 Firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e frutto di quel processo di costituzionalizzazione del diritto europeo

avviato con la Conferenza di Laeken del 2001. Per osservazioni di carattere generale, vedi AA.VV. (a cura di S.

Gambino), Trattato che adotta una Costituzione per l‟Europa, Costituzioni nazionali e diritti fondamentali,

Milano, 2006.

171

disciplinata la materia dell’immigrazione. L’abolizione dei tre pilastri avviata con tale

Trattato, avrebbe dovuto facilitare, da un lato, quella forma di comunitarizzazione che,

sebbene affermata già nel Trattato di Amsterdam, ancora a fatica veniva realizzata, anche per

le resistenze degli Stati membri che volevano gestire in via autonoma le loro politiche

migratorie. Dall’altro lato, tale comunitarizzazione avrebbe dovuto trovare più ampio spazio

di applicazione attraverso la codificazione, in un unico capo del Trattato (capo IV della parte

III), della materia dell’immigrazione.

Controllo alle frontiere, asilo e immigrazione sono state le tre tematiche di cui si è

occupata la “Costituzione europea”. Per ciò che riguarda il controllo alle frontiere, dal dettato

costituzionale emerge come il diritto comunitario non possa sopraffare le competenze degli

Stati membri in merito alla “delimitazione geografica delle frontiere esterne, conformemente

al diritto internazionale”577

. Sul tema dell’asilo, l’articolo 167 del Trattato costituzionale

garantisce “uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di

protezione internazionale” nonché “il rispetto del principio di non refoulement ovvero la

protezione sussidiaria che garantisce uno status uniforme a favore dei predetti cittadini che

pur senza il beneficio dell‟asilo europeo, necessitano, appunto, di protezione internazionale”.

Si ribadisce, in tale sede, la necessità di una legge o legge quadro come strumento giuridico

idoneo alla disciplina di queste delicate materie578

, nell’ottica di una politica comune europea

in materia di immigrazione ed asilo che fosse in linea con le Conclusioni emerse nel vertice di

Tampere. L’impegno assunto dalla Costituzione europea per lo sviluppo di una politica

comune in materia di immigrazione non è stato sufficiente a risolvere alcune problematiche,

già peraltro evidenziate da parte della dottrina579

. Una prima questione attiene alle misure

relative all’integrazione dei cittadini stranieri che, nonostante siano sostenute dall’Unione,

non possono essere oggetto di armonizzazione, in quanto ogni Stato membro disciplina

autonomamente la politica dell’integrazione, su cui il dettato europeo non può agire580

. Un

secondo aspetto riguarda il fatto che l’Europa non può agire sul regime delle quote flussi. Non

577 Articolo 166 parte III

578 In particolare veniva posta l’attenzione sulla gestione dei flussi migratori, sul contrasto all’immigrazione

clandestina, e sulla tratta degli essere umani.

579 B. Nascimbene, Politica di immigrazione e Costituzione europea, in Le Istituzioni del Federalismo, 5.2004.

580 Vedi articoli 168, par. 4 e la norma di natura generale articolo 16, par. 3 parte I del Trattato costituzionale.

172

essendo state previste delle quote comunitarie581

, la competenza della gestione dei flussi di

ingresso è rimasta nelle mani degli Stati membri; ogni nazione europea, pertanto, deciderà

liberamente sul volume degli ingressi dei cittadini che provengono dai paesi terzi. Al di là di

questi elementi di criticità, il progetto di Costituzione europea poteva, comunque,

rappresentare una garanzia ulteriore per adottare concretamente una politica comune in tema

di immigrazione. Purtroppo, quell’ambizioso progetto di dotare l’Europa di una carta

costituzionale si è prima paralizzato, con una fase di riflessione dei parteners europei582

, e poi

è miseramente fallito583

. Frutto della nota reticenza di alcuni Stati membri, come Francia e

Olanda584

, l’opportunità di avere una Costituzione europea è oramai svanita, sfumata585

. Si è

tentato di “rimediare” con il Trattato sull‟Unione Europea ed il Trattato sul funzionamento

dell‟Unione europea, più semplicemente il Trattato di Lisbona586

, che non ha certamente

l’ambizione di essere una Costituzione, sebbene simile, nei suoi aspetti sostanziali, ai

contenuti di quella. Il Trattato di Lisbona, infatti, non essendo frutto di una processo

costituente, non può avere, intrinsecamente, alcun valore giuridico proprio di una

Costituzione, ma avrà, come giusto che sia, il valore giuridico di un Trattato. Anche la Carta

di Nizza587

ha avuto una sorte particolare a seguito della precipitazione della Costituzione

europea. Come previsto dal Trattato costituzionale, la Carta di diritti fondamentali doveva

essere parte integrante dello stesso; invece, è stata di fatto esclusa dal corpo normativo del

Trattato di Lisbona, recentemente entrato in vigore, anche se questo le ha riconosciuto lo

581 Vedi, in proposito, gli orientamenti della Commissione europea, nella COM(2004) 401, Spazio di libertà,

sicurezza e giustizia: bilancio del programma di Tampere e nuovi orientamenti.

582 Vedi M. Pirani, Lo spettro del No si aggira per l‟Europa, in La Repubblica, 3 giugno 2005.

583 Le parole dell’allora Presidente della Commissione Josè Manuel Durao Barroso furono emblematiche “La

costituzione così come è stata firmata da 25 governi non l‟avremo più. La costituzione non si farà. Serve un

trattato, non una costituzione in senso stretto, un trattato più snello e semplificato per ripartire”

584 Si ricorda che, dal referendum popolare francese del 29 maggio 2005 e da quello olandese del primo giugno,

emerse il parere contrario all’adozione di una Costituzione per l’Europa, da parte, rispettivamente, del 55% e del

63% dei cittadini francesi ed olandesi.

585 Vedi A. Manzella, Le fratture dell‟Unione, in La Repubblica, 7 giugno 2005. Per una lettura completa, anche

bibliografica, sul fallimento della Costituzione europea, vedi C. De Fiores, Il fallimento della Costituzione

europea. Note a margine del Trattato di Lisbona, in Costituzionalismo.it , 10 aprile 2008.

586 Per un commento al Trattato di Lisbona, vedi AA.VV. (a cura di F. Bassanini - G. Tiberi), Le nuove

istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, Bologna, 2008.

587 Adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo.

173

stesso valore giuridico dei trattati, stabilendo, nel suo articolo 6, che l’interpretazione relativa

ai diritti e alle libertà in essa accolti, deve avere la stessa portata di quella che viene fissata

nelle disposizioni generali del Titolo VII della Carta medesima588

. Quindi, nonostante esclusa

dal corpo del Trattato, comunque la Carta di Nizza rappresenta una garanzia non solo per la

tutela dei diritti fondamentali, ma anche per una parte di quei diritti che, secondo parte della

dottrina, da diritti di cittadinanza si sono trasformati in diritti di residenza589

. Si ricorda, a tal

proposito, come la Corte di Giustizia delle Comunità europee avesse già parametrato i suoi

giudizi ai principi inseriti in quella Carta, quando questa aveva ancora valore di documento

politico. Oggi, più che mai, il riconoscimento della Carta di Nizza da parte del Trattato di

Lisbona, dovrebbe, dunque, garantire maggiormente la vincolatività dei principi in essa

contenuti.

Il 2004 è stato un anno oltremodo favorevole per l’adozione, da parte della

Commissione europea “Sull‟approccio Ue alla gestione dell‟immigrazione per motivi

economici”590

, del Libro verde sull’immigrazione economica. Questo documento ha aperto un

dialogo sulle possibilità di una gestione europea dell’immigrazione economica, prevedendo

norme di natura comunitaria che si occupassero, insieme alle normative degli Stati membri,

degli ingressi degli stranieri per motivi, appunto, economici. L’assenza, nel Libro verde, di

indicazioni inerenti alle dinamiche degli ingressi e ad una loro regolamentazione a livello

sovrastatale, ha di fatto vanificato il suo stesso spirito, rivolto all’individuazione delle

“principali problematiche ed eventuali opzioni per una disciplina legislativa comunitaria in

materia di migrazione economica”.

Alcune delle lacune esistenti in ambito europeo, come quella dell’assenza di una

politica dei flussi migratori o dell’integrazione degli stranieri, suggeriscono che l’Europa

unita deve ancora lavorare profondamente per raggiungere gli obiettivi che si prefigge su

carta, attraverso un coinvolgimento degli Stati nazionali che dovranno, da un lato, adattarsi ad

una politica comune europea in tema di migrazioni e, dall’altro, rinunciare al loro spazio di

588 S. Gambino, I diritti fondamentali fra trattati e costituzioni, in www. federalsimi.it, 11 febbraio 2009, parla di

una incorporazione a mò di Bill of Rights della Carta dei diritti, nonché dell’adesione dell’Unione Europea alla

CEDU.

589 J. Luther, Le frontiere dei diritti culturali in Europa, in G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione

nell‟Unione Europea, Bari-Roma, 2003.

590 COM (2004) 811.

174

sovranità per un interesse più alto, rappresentato dalla tutela omogenea, non disorganica, e

soprattutto non discriminatoria, dello straniero che vuole fare ingresso sul territorio europeo.

Le discipline degli Stati membri, con riguardo sia agli ingressi che al soggiorno e

all’integrazione, potrebbero infatti essere fonte di trattamenti differenziati a seconda che

l’immigrato richieda un permesso di soggiorno in Italia, piuttosto che in Francia o in Spagna.

Le finalità operative delle politiche comunitarie dovrebbero essere rivolte proprio in tale

direzione, realizzando quelle aspirazioni che avevano portato nel 2005 all’adozione, da parte

del Consiglio europeo del 15-15 dicembre 2005, dell’Approccio globale alla gestione delle

migrazioni, con cui veniva definito un programma di azioni prioritarie, incentrato, in

particolare, sulla cooperazione all’interno dell’UE e con i principali paesi d’origine in Africa e

nell’area mediterranea.

Le ambizioni di una politica comune in materia di immigrazione sono emerse anche

nella Comunicazione 2008/359591

, avente ad oggetto “Una politica d‟immigrazione comune

per l‟Europa: principi, azioni e strumenti”. Tale comunicazione era improntata su tre aspetti

fondamentali, quali la prosperità, la solidarietà e la sicurezza. In merito alla prosperità,

l’Unione dovrebbe muoversi tenendo in considerazione il contributo che l’immigrazione porta

allo sviluppo sociale ed economico dell’intera Europa, predisponendo, perciò, delle misure e

delle regole certe, attraverso le quali poter auspicare anche a degli interventi di assistenza e

sostegno direttamente nei paesi di origine degli immigrati (in linea con il Trattato di Lisbona).

Il principio di solidarietà si fonderebbe, invece, su di un coordinamento tra gli Stati membri e

la cooperazione con i paesi terzi, al fine di combattere l’immigrazione clandestina, attraverso

forme di partenariato realizzabili con accordi anche bilaterali. L’ultimo punto, la sicurezza,

non poteva non essere agganciata a forme di controllo delle frontiere come strumento per la

lotta alla immigrazione illegale, accompagnate da una seria e comune politica dei visi di

ingresso592

.

Tra le più recenti iniziative comunitarie a sostegno della politica comune in materia di

immigrazione ed asilo, è da annoverare la proposta francese di un Patto europeo

591 Presentata dalla Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo

e al Comitato delle regioni il 17 giugno 2008.

592 Per una lettura approfondita della comunicazione de qua, vedi il Dossier “Una politica d‟immigrazione

comune per l‟Europa: principi, azioni e strumenti”, n. 9/DN, 23 settembre 2008, Servizio affari internazionali

del Senato, Ufficio dei rapporti con le Istituzioni dell’Unione europea.

175

sull‟immigrazione ed asilo, adottata dal Consiglio europeo nel 2008. Definito come “il giusto

compromesso di cui l‟Europa ha bisogno”593

, il Patto rifiuta “ogni approccio estremo, di

chiusura totale o di apertura senza limiti”594

, in vista di una strategia comune nella disciplina

delle questioni dell’immigrazione e dell’asilo, che, come emerge dai punti chiave qui di

seguito esposti, non abbandona quella logica binaria tra integrazione e lotta alla clandestinità,

da sempre elemento caratterizzante delle politiche migratorie europea. Le priorità di tale

documento politico si esprimono in cinque obiettivi cruciali: organizzare l’immigrazione

legale tenendo conto delle necessità, delle esigenze e delle capacità di accoglienza definite da

ogni Stato membro a favore dell’integrazione; lottare contro l’immigrazione irregolare, in

particolare rendendo certo ed efficace il ritorno degli stranieri in situazione irregolare nel loro

paese di origine o verso un paese di transito; migliorare l’efficacia dei controlli alle frontiere

esterne; costruire l’Europa dell’asilo; stringere una partnership globale con paese di origine e

di transito favorendo le sinergie tra migrazioni e sviluppo. La realizzazione degli obiettivi

contenuti nel Patto è affidata alle istituzioni sia nazionali che comunitarie, le quali dovranno

intervenire con i propri strumenti legislativi. La speranza è che le misure nazionali ed europee

vengano dirette, effettivamente, ad una concreta e, soprattutto, non discriminatoria disciplina

dell’immigrazione e dell’asilo, che sappia ben bilanciare l’integrazione e la lotta alla

irregolarità, all’insegna di una politica rispettosa dei diritti fondamentali dello straniero, anche

clandestino, presente sul territorio dell’Unione. L’esperienza politica insegna, infatti, come

oggi non siano sufficienti le singole politiche nazionali per far fronte ai fenomeni migratori in

costante crescita, ma appare sempre più necessaria una politica europea comune, che sia in

grado di stabilire, con norme certe e vincolanti, discipline omogenee per la gestione e la

risoluzione delle problematiche inerenti a quelle materie595

.

593 Le parole sono di Brice Hortefeux, Ministro dell’Immigrazione, dell’Integrazione, dell’Identità nazionale e

dello Sviluppo solidale, Presidente del Consiglio ”Giustizia e Affari Interni” dell’Unione europea per le

questioni in materi di asilo e immigrazione.

594 Brice Hortefeux, cit.

595 Espressione di una politica in tal senso può essere stata, ad esempio, l’istituzione del modello uniforme di

permessi di soggiorno che vengono rilasciati ai cittadini extracomunitari, così come previsto dal regolamento

1030/2002, (integrato con il regolamento 415/2003).

176

CAPITOLO TERZO

DIRITTO DI ASILO. RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. L’asilo nella legislazione internazionale - 3. L’asilo nella legislazione europea -

4. L’asilo nella Costituzione e nella legislazione italiana - 5. Direttive comunitarie: come cambia il contesto

normativo italiano. Qualche esempio - 5.1. Accoglienza e lavoro per i richiedenti asilo alla luce della Direttiva

comunitaria 2003/9/CE: verso la tutela dell’articolo 35 della Costituzione anche per chi è in attesa di rifugio -

5.2. La direttiva qualifiche e la direttiva procedure. Alcuni aspetti innovativi - 6. Alcune considerazioni in tema

di asilo

1. Premessa

L’Italia è uno dei Paesi europei in cui il riconoscimento dello status di rifugiato viene

conseguito in pochissimi casi rispetto alle domande presentate. Meno del 10% dei richiedenti

lo status riceve un esito positivo dalle autorità preposte.

La problematica di fondo è che il nostro Paese continua ad essere l’unico Stato

dell’Unione Europea che è privo di una normativa specifica ed organica sul diritto di asilo.

Una realtà che pesa soprattutto da quando la nostra nazione è divenuta, dagli anni Ottanta in

poi, una “terra di asilo” e non più solamente un luogo di transito per rifugiati.

Ciò nonostante, vi sono dettati normativi di riferimento, di stampo internazionale,

comunitario e nazionale. Sembra necessario, a tal riguardo, fare un rapido excursus storico-

legislativo per comprendere come sia l’Italia che l’Europa si siano mosse per disciplinare tale

materia, la quale investe, anche, la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Una tutela che

dovrebbe avere, e che purtroppo non sempre ha, come caposaldo il rispetto dell’individuo in

qualità di persona umana, la cui dignità non può e non deve essere messa in discussione tanto

più se si considera che lo straniero richiedente asilo ha già alle sue spalle una storia che lo ha

privato dei suoi diritti, primo tra tutti il diritto di libertà.

177

2. L‟asilo nella legislazione internazionale

In ambito internazionale, si distingue l’asilo territoriale da quello extraterritoriale.

L’asilo territoriale si riconosce alla persona che, fuggita da una situazione di pericolo

nello Stato di appartenenza, chiede rifugio in altro Stato. L’asilo extraterritoriale considera,

invece, la posizione che viene accordata a colui che fugge da situazioni di pericolo esistenti

nell’ordinamento locale (un esempio potrebbe essere l’asilo diplomatico)596

. In tale breve

paragrafo si presterà attenzione, per attinenza con la materia di cui trattasi, del solo asilo

territoriale. Oltre la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, che riconosce il diritto di

asilo nel suo articolo 14597

, è con la Convenzione di Ginevra598

che si individua, per la prima

volta, una definizione di rifugiato599

, dettata dall’esigenza di far fronte alla disastrosa

situazione che aveva lasciato la seconda guerra mondiale600

. Si badi bene che la Convenzione

pone l’accento sulla condizione di rifugiato legata alle motivazioni della persecuzione che

sono alla base dell’acquisizione dello status stesso di rifugiato, ma non opera un

riconoscimento del diritto di asilo.

Uno degli aspetti essenziali della Convenzione è il principio di non refoulement601

,

cioè il diritto a rimanere sul territorio del Paese ospitante e presso il quale si è avanzata

richiesta di asilo, fino all’esito del riconoscimento (o meno) dello status di rifugiato ad opera

della Commissione competente. Il principio di non respingimento, in realtà, oggi si estende

anche a quei soggetti che, nello specifico, non rientrano nella definizione di rifugiato così

596 Per approfondimenti sull’asilo nel diritto internazionale, vedi M. Udina, Asilo (diritto di),I) Diritto

internazionale in Enc. Giur., Roma, 1988, pg. 1 e ss.

597 “Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni”.

598 Conclusa a Ginevra il 28 dicembre 1951. Approvata dall’Assemblea Federale il 14 dicembre 1954. Entrata in

vigore per la Svizzera il 21 aprile 1955. Ratificata in Italia con legge 722/1954 e modificata con la convenzione

di New York del 31/1/1967.

599 Il rifugiato è definito, dalla Convenzione di Ginevra, come una persona che “temendo a ragione di essere

perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le

sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore,

avvalersi della protezione di questo Paese” (art.33).

600 E. La Penna, Le principali tappe che hanno portato alla creazione degli istituti e alla produzione degli

strumenti che attualmente si occupano dei rifugiati internazionali in Enc. Giur. it. Roma, pg. 3 e ss.

601 Art. 32 Convenzione di Ginevra.

178

risulta dalla Convenzione di Ginevra. Vengono introdotti, a tali fine, regimi complementari di

protezione umanitaria. Questi ultimi tutelano tutte quelle persone che sono fuggite dal loro

Paese, spesso per motivi di guerra, dando loro una protezione c.d. temporanea602

, anche se

non conferisce una posizione definitiva come il riconoscimento dello status di rifugiato.

La Convenzione prevedeva, nella sua formulazione originaria, due riserve: una di

ordine temporale, l’altra geografica. La prima si riferiva a quel limite convenzionale per cui ci

si poteva avvalere della Convezione solamente se gli avvenimenti alla base della richiesta

dello status di rifugiato si fossero verificati prima del 1 gennaio 1951. Tale limite venne

abolito con il Protocollo di New York del 1967. La riserva geografica, invece, si riferiva al

limite per cui gli avvenimenti fondanti lo status dovevano essere avvenuti in Europa: questa

fu soppressa in Italia nel 1990, con la più volte citata legge Martelli.

Come nota di attualità, è interessante la recente adesione dell’Afghanistan alla

Convenzione di Ginevra ed al Protocollo del 1967 (146mo Paese che ratifica la Convenzione),

che è tanto più significativa “se si considera che l‟Afghanistan da decenni è Paese di una

delle più numerose popolazioni di rifugiati e richiedenti asilo nel mondo”.603

Nel 1950 viene creato, dalle Nazioni Unite, l’UNHCR604

, l‟Alto Commissariato delle

Nazioni Unite per i Rifugiati. Un’agenzia che avrebbe avuto la funzione di condurre e

coordinare in tutto il mondo le attività di protezione e di assistenza dei rifugiati. Oggi è

presente con i suoi uffici in 120 Paesi. L’esperienza più che cinquantennale605

ha portato

l’UNHCR ad essere un saldo punto di riferimento a livello mondiale, uno strumento di tutela

della condizione del rifugiato, ed ancor prima del richiedente asilo. In Italia è presente dal

1953 e svolge un ruolo consultivo nella procedura di riconoscimento dello status di rifugiato,

fornendo pareri sull’eleggibilità606

nonché informazioni sul Paese di origine dei richiedenti

602 La Convenzione di Ginevra si basa su un concetto di persecuzione di tipo individualistico e non si applica nel

caso in cui le persone siano fuggite dal proprio Paese per motivi di guerra o conflitti o gravi calamità. Pertanto,

la protezione di tipo temporaneo cerca di tutelare tutte queste persone conferendo loro, a seguito del

riconoscimento della protezione umanitaria, un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari che ha

durata di 1 anno, che può essere rinnovato nel caso in cui la Commissione Territoriale ritenga che, anche

nell'anno successivo, siano ancora esistenti le condizioni che ne hanno determinato il rilascio.

603 UNHCR. Comunicato stampa del 2 settembre 2005.

604 Si ricorda che fu l’UNHCR a promuovere la Convenzione di Ginevra del 1951.

605 Vedi I rifugiati nel mondo, cinquant‟anni di azione umanitaria, UNHCR, 2000.

606 Cioè sulla possibilità di essere ammesso al soggiorno in quello Stato e di beneficiare delle provvidenze

179

asilo. L’UNHCR svolse un ruolo di fondamentale importanza durante la vigenza delle due

limitazioni, temporale e geografica, quando si sviluppò una categoria di rifugiato denominato

“de facto”, contrapposta a quella “de jure”, che riceveva protezione dalla Convenzione di

Ginevra. I rifugiati “de facto”, o sotto mandato, infatti, venivano protetti solamente dall’Alto

Commissariato delle Nazioni Unite, e comprendevano coloro che, non rientrando la loro

situazione nelle fattispecie indicate in Convenzione, erano solo di transito sul territorio

nazionale. A questi veniva concesso un permesso di soggiorno temporaneo in attesa di

emigrare in un altro Stato607

. A sostegno del diritto di asilo non limitato allo stato di rifugiato,

intervenne, nel 1964, la giurisprudenza di merito italiana608

, che tentò di far valere l’articolo

10, comma 3, Cost. it., riconoscendo l’asilo anche ai rifugiati de facto, ogniqualvolta venisse

loro impedito l’esercizio delle libertà democratiche costituzionalmente garantite. L’unica

Corte che, successivamente a questa, ha applicato il diritto di asilo costituzionale è stato il

Tribunale di Roma609

nel famoso caso Abdullah Apo Ocalan610

, nella convinzione che dovesse

spettare al giudice valutare ed accertare la “democraticità dell‟ordinamento giuridico della

patria dell‟asilante”.

Vi sono, infine, alcune norme internazionali non specifiche del diritto di asilo, ma ad

esso applicabili in quanto inerenti il diritto umanitario; tra esse, tanto per fare qualche

esempio, il Patto internazionale sui diritti civili e politici611

ovvero la Convenzione contro la

istituite.

607 L’Italia riconosceva solo i rifugiati provenienti dall’Europa, ai sensi della Convenzione di Ginevra. Pertanto

esistevano due figure di rifugiati: rifugiati riconosciuti (europei), cui si applicava la Convenzione di Ginevra e

rifugiati non riconosciuti (extra europei), cioè coloro che, sotto mandato dell’UNHCR, erano assistiti come i

rifugiati riconosciuti, ma non avevano diritto al lavoro; ottenevano solamente un titolo di viaggio per poter

emigrare in un altro Paese. Con l’abolizione della limitazione, anche i rifugiati non riconosciuti convertirono il

loro status in quello espresso dalla Convenzione di Ginevra, potendo usufruire, in tal modo, della tutela dello

Stato italiano come i rifugiati riconosciuti.

608 Corte di Appello di Milano, 27 novembre 1964.

609 Sentenza del 1/10/1999 in Dir. imm. e citt., 3/1999, pg. 102 e ss.

610 Per approfondimenti, vedi G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L‟esperienza italiana tra storia

costituzionale e prospettive europee, op. cit., pg. 184 e ss.

611 Ratificato con legge 881/1977, il quale impone non solo il divieto di impedire, con atto arbitrario, ad una

persona di fare ingresso nel proprio territorio, ma anche di procedere alla espulsione di uno straniero

regolarmente soggiornante su quel territorio.

180

tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti612

.

3. L‟asilo nella legislazione europea

In ambito europeo, la libertà di circolazione delle persone prevista già dal Trattato di

Roma del 1957, poi concretizzatasi con l’Accordo di Schengen del 1985 e con il Trattato di

Maastricht del 1992613

, ha fatto emergere la problematica dell’asilo e di una sua definizione. Il

Trattato sull’Unione Europea aveva previsto, nel c.d. terzo pilastro dell’U.E, all’interno del

quale si sarebbe sviluppata la cooperazione tra Stati in materia di giustizia ed affari interni,

anche la cooperazione in materia di asilo ed immigrazione, la cui operatività tra gli Stati

membri funzionava con il c.d. metodo intergovernativo614

. È con la Convenzione di Dublino

del 1990 che si inizia a parlare, però, di una “politica comune” in materia di asilo615

. Questa

indica i criteri comuni per la determinazione dello Stato competente a ricevere una domanda

di asilo. Viene sostituita dal Regolamento di Dublino del 2003, con cui si stabilisce che le

regole contenute nella Convenzione di Dublino fanno parte integrante della legislazione

comunitaria. La novità di Dublino II è la cd. one chance rule: la possibilità di fare richiesta di

asilo è limitata ad una sola volta ed esclusivamente nello Stato che, ai sensi delle norme della

Convenzione, si ritiene sia competente. Con il Trattato di Amsterdam del 1997616

, vi è stata

una comunitarizzazione della materia dell’asilo, tanto che l’Unione Europea si è vista

attribuire il compito di legiferare617

direttamente con strumenti vincolanti per gli Stati

membri. Il Trattato aveva previsto un tempo massimo di cinque anni affinché gli Stati

612 Ratificata con legge n. 498/1988, la quale, nel suo articolo 3, vieta l’espulsione, il respingimento ovvero

l’estradizione della persona che potrebbe seriamente essere sottoposto a tortura nel paese verso cui viene espulsa,

estradata o respinta.

613 In particolare, vedi gli articolo K1 e K2.

614 Il trattato di Maastricht con questo metodo attribuiva alle istituzioni comunitarie un ruolo marginale: gli Stati

decidevano di cooperare, ma non erano ancora disposti a delegare completamente le proprie competenze.

615 Prima di tale data, né la Convenzione europea dei diritti dell’uomo più volte citata, né i protocolli ad essa

relativi (come il n. 4 del 1963 o il n. 7 del 1984), avevano mai previsto una disciplina avente ad oggetto il diritto

di asilo o la condizione di rifugiato o il diritto di non respingimento.

616 L’art. 63 del Trattato di Amsterdam stabilisce una serie di norme minime per la definizione dello status di

rifugiato, dell’accoglienza e della procedura relativa al riconoscimento dello status di rifugiato.

617 Direttiva, regolamento e decisione sono ora gli strumenti di cui si avvale l’U.E. in materia di asilo.

181

dell’Unione elaborassero una politica comune in materia di asilo e di immigrazione. Il suo

articolo 63 aveva ad oggetto il diritto di asilo e prevedeva dei criteri comuni relativi alla

determinazione dello Stato membro competente all’esame della domanda di asilo e delle

misure minime inerenti l’accoglienza dei rifugiati. Anche nel vertice di Tampere dell’ottobre

1999 si sono ribaditi i concetti di politica comune nel pieno rispetto della Convenzione di

Ginevra (principio di non refoulement, libertà di accesso al territorio europeo per tutti i

richiedenti asilo, condizioni minime di accoglienza, procedure comuni per il rilascio dello

status di rifugiato). Così come, nei successivi programmi dell’Aja e di Stoccolma, entrambi di

durata quinquennale (2004/2009 il primo e 2009/2014 il secondo), la politica comunitaria si è

proposta dei miglioramenti in materia di asilo, seguendo le linee guida contenute nel Patto

europeo sull’immigrazione e l’asilo. Queste forme di sviluppo dovrebbero concretizzarsi con

l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il quale non dovrà limitarsi solamente alla tutela

delle norme minime così come indicato nell’articolo 61 del Trattato CE, ma dovrà avere,

come obiettivo primario, proprio la messa in pratica di quella politica comune in materia di

immigrazione ed asilo sempre prevista nei trattati, ma mai attuata.

Un brevissimo cenno va fatto, infine, all’ECRE618

. Si tratta di una organizzazione pan-

europea, composta da 76 organizzazioni non governative impegnate, in 30 diversi Paesi

europei, a promuovere la protezione e l’assistenza dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Scopo

del Consiglio è favorire l’integrazione dei rifugiati presenti in Europa nel rispetto della dignità

umana e dei diritti dell’uomo. In particolare, l’ECRE svolge un’attività di monitoraggio delle

politiche e delle iniziative promosse in materia di asilo, sia dalle istituzioni europee che dai

Paesi dove sono presenti le organizzazioni del proprio network, con il fine di orientarle verso

una sempre maggiore efficienza e capacità di rispondere ai bisogni dei richiedenti asilo e dei

rifugiati.

4. L‟asilo nella Costituzione e legislazione italiana

Il diritto di asilo619

viene garantito, in Italia, dall’art. 10, comma 3, della Carta

618 European Council on Refugees and Exiles - Consiglio Europeo per i Rifugiati e gli Esuli.

619 Si ricorda come il primo paese europeo a parlare di asilo è stata la Francia, nella Costituzione del 1793, in cui

si recitava “Le Peuple franzais donne asile aux ètrangers bannis de leur patrie pour cause de la libertè. Il le

refuse aux tirans”.

182

costituzionale. Il concetto di asilo ivi espresso è molto più ampio rispetto alla definizione

restrittiva “scelta” dalla Convenzione di Ginevra620

. Infatti, se questa si limita al

riconoscimento dello status di rifugiato quando si ha fondato timore che vi sia una forma di

persecuzione a suo carico, la Costituzione italiana concede asilo a chi non può esercitare, nel

paese di provenienza, le libertà costituzionalmente garantite621

. I lavori della Costituente

furono particolarmente sensibili a questa tematica, alla luce anche del fatto che molti dei

componenti dell’Assemblea avevano vissuto in prima persona sia gli effetti che le

problematiche di una immigrazione involontaria, legata a situazioni di pericolo cui li aveva

esposti il regime fascista e la seconda guerra mondiale. Nella seduta (plenaria) pomeridiana

dell’11 aprile 1947622

, a seguito di un vivacissimo dibattito tra le forze politiche presenti in

Assemblea, fu emendato il testo di cui all’articolo 10, comma 3. Tra le diverse posizioni

avanzate dai membri della Costituente623

, prevalse quella che esprimeva le ideologie di centro

e di sinistra, improntate alla valorizzazione della persona umana e alla possibilità che questa,

nella figura del richiedente asilo, potesse esercitare, effettivamente, le libertà

costituzionalmente garantite624

. Sulla natura programmatica ovvero precettiva dell’articolo 10,

comma 3, Cost. it., si è espressa la giurisprudenza che, già nel 1964625

, riconosceva al diritto

di asilo il valore di diritto soggettivo, per la cui tutela era competente la magistratura

ordinaria. Purtroppo, il diritto così sancito non ha trovato apposita regolamentazione

normativa, rimanendo pressoché inapplicato626

. Sporadicamente, e solamente negli ultimi

anni, si è parlato del cd. asilo costituzionale in ambito giurisprudenziale, in particolare in una

620 Per una disamina sul diritto di asilo, vedi G. D’Orazio, Condizione dello straniero e società democratica,

Cedam, Padova, 1994.

621 La giurisprudenza amministrativa si è espressa, a volte, con un orientamenti diversi, sostenendo che non

esiste una differenziazione tra asilo e rifugio, ridicendo ad unità le due fattispecie (vedi, ad esempio, Tar del

Lazio, sentenza n. 152 del 12 febbraio 1992).

622 In A.C., I, pg. 804.

623 Vedi A. Cassese, Il diritto di asilo territoriale degli stranieri,artt. 10-12, in G. Branca (a cura di),

Commentario della Costituzione, Zanichelli, Bologna-Roma, 1975, pg. 526 e ss.

624 Vedi ad esempio, in A. C., 2719, l’intervento dell’onorevole Treves, il quale affermava che “Quello che a noi

preme di stabilire è se lo straniero può avere l‟effettivo esercizio di questi diritti, e non che questi diritti siano

astrattamente incorporati nella Carta costituzionale del paese cui lo straniero appartiene”.

625 Sentenza Corte d’Appello di Milano del 27 novembre 1964.

626 Sulle fonti e sul problema dell’attuazione costituzionale di questo istituto vedi G. D’Orazio, Asilo (diritto di)

II) Diritto costituzionale in in Enc. Giur. it, Roma, 1988, pg. 1 e ss.

183

sentenza relativamente recente della Corte di Cassazione627

. Tale giudizio ha evidenziato, da

un lato, la necessità di adottare una normativa che acquisisca il concetto di asilo così come

espresso nel dettato costituzionale, mentre, dall’altro, ha asserito che “il diritto di asilo è un

diritto soggettivo perfetto, ovvero applicabile anche in assenza di una legge specifica”. Dello

stesso parere sembra essere stata anche la successiva sentenza del Tribunale di Catania628

, che

ha definito tale diritto come “un diritto perfetto all‟asilo”.

La giurisprudenza della Corte di cassazione non è stata, però, sempre coerente.

Contrariamente a quanto affermato nel 1997, ha invertito i suoi orientamenti con alcune

successive pronunce, come la n. 18941 e la n. 18549 del 2006, ridimensionando la portata

dell’articolo 10, comma 3, Cost. it., e il suo valore di diritto soggettivo perfetto. Nella prima

sentenza affermava testualmente che “il diritto di asilo come asserito nei precedenti di questa

Corte n. 8323/2004 e n. 25020/2005, deve intendersi come diritto ad accedere nel territorio

dello Stato al fine di esperire la procedura per ottenere lo status di rifugiato, e non ha

contenuto più ampio del diritto ad ottenere il permesso di soggiorno temporaneo ex art. 1

comma 5 del D.L. n. 416/89 convertito nella legge n. 39/89, per la durata della relativa

istruttoria e ciò benché, come si sostiene nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 467/97 detta

disposizione non rappresenti legge di attuazione della norma costituzionale, non elide il

distinguo tra le due categorie considerate - asilo e status di rifugiato - che restano

ontologicamente distinte nella nozione, nel contenuto, nell'onere della prova, non

richiedendosi per l'asilante la prova del presupposto della persecuzione, essendo solo unico

l'iter procedimentale". Anche l’altra decisione abbracciava, sostanzialmente, tale tesi, facendo

degradare il diritto di asilo al rango di interesse legittimo, e, come tale, oggetto di

discrezionalità amministrativa. Ciò era in tendenza con le politiche restrittive cui era ispirata

legislazione nazionale relativa al diritto di asilo. Più recentemente, con la sentenza n. 27310

del 2008, la Corte di Cassazione cambia ancora una volta direzione, in linea con la

legislazione comunitaria e nazionale di recepimento. Le direttive qualifiche e procedure, ed i

rispettivi decreti di recepimento, su cui si argomenterà più avanti, hanno “influenzato” quella

giurisprudenza verso una considerazione del diritto di asilo, nuovamente, come diritto

soggettivo perfetto. La possibilità conferita allo straniero di fare ingresso nel territorio al solo

fine di poter presentare la propria istanza, si accompagna al contestuale esercizio di quel

627

Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 4674/1997.

628 Tribunale di Catania sentenza n. 4010/2004 su www.altalex.it.

184

diritto. L’articolo 10, comma 3, Cost. it., assume direttamente valore precettivo, tanto che

parte della dottrina629

sostiene come non sia necessaria, ai fini dell’esistenza di questo diritto,

“la promulgazione di una legge ordinaria che stabilisca che stabilisce le condizioni per

l‟esercizio di quel diritto”.

La letteratura giuspubblicistica si è espressa con diversi orientamenti in merito alla

definizione giuridica di asilo costituzionale. Vi è chi come Udina630

, Cristopher Hein e Luca

Cappelletti631

che sembrano avallare l’idea che il diritto di asilo costituzionale sia un diritto

soggettivo perfetto, dando alla norma costituzionale “un valore specifico precettivo e non solo

programmatico, in quanto conferisce un diritto soggettivo perfetto allo straniero”. Contra, vi

sono Cassese632

e Biscottini633

che attribuiscono all’asilo costituzionale la natura di interesse

legittimo. In particolare, Biscottini sostiene che “un‟attenta considerazione del problema

impone di concludere che il rifugiato ha soltanto il diritto soggettivo di chiedere asilo, ma che

questo è concesso dopo una valutazione discrezionale della sua posizione, valutazione che ha

per oggetto di stabilire se egli possa o non possa costituire pericolo per la sicurezza e

l‟ordine pubblico. Dal che si deduce che la pretesa accordata dall‟art. 10 della Costituzione

ha la natura di un interesse legittimo ad essere ammesso sul nostro territorio”.

Per ciò che attiene al rapporto tra status di rifugiato e diritto di asilo, sembra che la

dottrina e parte della giurisprudenza siano concordi nel ritenere che la natura di quella

relazione sia da genus a species. La Convenzione di Ginevra e lo status di rifugiato sarebbero

species del genus diritto di asilo, tutelato dalla nostra Carta costituzionale634

.

Il legislatore italiano, solamente con la legge n. 39/90 e con il decreto sulle procedure

per il riconoscimento dello status di rifugiato n. 136/1990, predispone delle norme relative

all’asilo, anche se tutte raggruppate nell’art. 1 della legge n. 39/90. La legge n. 189/200 ha

apportato, poi, delle modifiche a questo articolo 1, introducendo gli artt. 31 e 32 in materia di

629 F. V. Paleologo, Procedure di espulsione e pratiche arbitrarie di respingimento alla frontiera, in

www.altrodiritto.unifi.it.

630 M. Udina, L‟asilo politico territoriale nel diritto internazionale e secondo la Costituzione italiana,in Dir.

intern. 1967, pg. 258 e ss.

631 C. Hein e L. Cappelletti in , Rifugiati politici, in Dig. Disc. Pub. 1998, pg. 461 e ss.

632 Ca A. Cassese, artt. 10-12, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, op. cit., pg.532 e ss

633 G. Biscottini, Rifugiati, in Enc. dir., XL, Giuffrè, Milano 1989, pg. 900 e ss.

634 Così Consiglio di Stato, Sez. IV dell’11 luglio 220, n. 3874, e B. Nascimbene, Lo Straniero nel diritto

italiano, Milano, Giuffrè, 1998.

185

asilo, definitivamente applicati in forza del decreto attuativo 333/2004635

.

Bruno Nascimbene636

pone una riflessione di non poco valore, quando afferma come

vi sia confusione, anche terminologica, nelle norme su indicate. Innanzitutto, la legge si

riferisce alle misure, anche procedurali, necessarie ai fini dell’acquisizione dello status di

rifugiato, anche se formalmente parla di diritto di asilo. Infatti, l’intitolazione della

disposizione recita “Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e di soggiorno dei

cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari già presenti nel

territorio dello Stato”, mentre il suo articolo 1 è dedicato invece ai “rifugiati”. È come se

legislatore avesse voluto riconoscere il diritto di asilo solamente a coloro che potevano

definirsi rifugiati ai sensi della Convenzione di Ginevra. La seconda considerazione verte

sulle norme di quella stessa legge che si riferiscono indifferentemente all’asilo e al rifugiato.

Addirittura, l’articolo 1 (lett. c e d) del suo regolamento definisce il richiedente asilo come lo

straniero che chiede il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di

Ginevra, nonché specifica come la domanda di asilo sia sostanzialmente la domanda di

riconoscimento di tale status637

. L’articolo 10, comma 3, Cost. it. non viene né considerato,

tantomeno nominato. Anche Benvenuti638

, recentemente, ha sottolineato come le norme più

attuali facciano gioco su questa confusione tra rifugio ed asilo, inquadrando tale situazione in

una sorta di “occultamento dell‟asilo nella sua dimensione costituzionale”. Probabilmente,

una delle ragioni per cui il legislatore sembra aver optato per una siffatta disciplina dell’asilo,

va ad inquadrarsi in quel sistema di politiche migratorie nazionali che, da anni, agisce sia per

restringere fortemente i flussi di ingresso, che per porre limitazioni all’accoglienza,

all’integrazione, a volte all’esercizio dei diritti fondamentali, muovendosi con uno spirito di

chiusura verso lo straniero, diventato, oramai, quasi esclusivamente un problema di ordine

pubblico e sicurezza.

La previsione degli articoli 31 e 32 nel testo unico immigrazione ha apportato novità

635 Si ricorda come il disegno di legge 2425/S, che doveva apportare una riforma organica in materia di asilo,

distinta dalla disciplina giuridica dell’immigrato extracomunitario, finì con la sola approvazione in prima lettura

alla Camera dei Deputati il 7 marzo 2001.

636B. Nascimbene, Relazione al Convegno dell'Associazione italiana dei Costituzionalisti - Asilo e statuto di

rifugiato, Cagliari, 16/17 ottobre 2009.

637B. Nascimbene, Lo Straniero nel diritto italiano, op. cit., pg. 44.

638 M. Benvenuti, Il diritto di asilo nell‟ordinamento costituzionale italiano, Cedam, Padova, 2007.

186

di rilievo. La legge di riforma n. 333/2004 ha agito, per prima cosa, sul decentramento della

procedura inerente il riconoscimento dello status di rifugiato. Si è passati dalla Commissione

centrale prevista dalla legge Martelli, che ora si limita ad avere un ruolo di coordinamento e

controllo, a sette Commissioni territoriali639

competenti a decidere sulle istanze di asilo

presentate in Italia. In tal modo dovrebbero ridursi i tempi di attesa del riconoscimento (o

meno) dello status di rifugiato, che sino ad oggi superano i 12 mesi, sfiorando anche i 24

mesi. Tale disposto normativo è poi intervenuto sul trattenimento del richiedente asilo nel

Centri di Identificazione. Il trattenimento diventa facoltativo qualora sia necessario

l’accertamento dell’identità del richiedente asilo; diviene, invece, obbligatorio se il

richiedente asilo è entrato in Italia irregolarmente. Questa norma ha suscitato e suscita ancora

forti polemiche640

, in particolare nelle associazioni e nelle istituzioni a tutela dei rifugiati

come UNHCR, CIR, Amnesty International, che vedono in tali centri dei sostituti dei CPT, in

cui il trattenimento è una sorta di detenzione accompagnata da una sempre più frequente

violazione dei diritti della persona641

. La questura rilascia al richiedente asilo presente nel

639 Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Crotone, Trapani e Siracusa.

640 Una testimonianza forte in tal senso ci è pervenuta qualche anno fa dal giornalista Fabrizio Gatti che,

fingendosi un clandestino curdo - identificato come tale - arrivato a Lampedusa, è stato rinchiuso nel Cpt

vivendo “una settimana con centinaia di immigrati, tra soprusi, umiliazioni e condizioni disumane, poi trasferito

in Sicilia e liberato con un foglio di via” . Ed è proprio Lampedusa, l‟isola della speranza per le migliaia di

stranieri che vi approdano, ad essere al centro delle polemiche, in quanto nel centro di accoglienza non vi

sarebbe il rispetto del diritto e delle convenzioni internazionali. Un’indagine dell’ARCI ha evidenziato che la

situazione di Lampedusa è preoccupante, tanto che attraverso un dossier, l’associazione si è rivolta all’Unione

Europea, in particolare al Parlamento Europeo, affinché prendesse provvedimenti in merito, esprimendosi in tal

senso: “Manca un‟adeguata informazione sulla procedura di accesso al diritto di asilo, non è tutelato il diritto

alla difesa, spessissimo viene negato il diritto alla salute, donne e minori vengono costretti negli stessi spazi

degli adulti, continuano i rimpatri collettivi forzati, vere e proprie espulsioni di massa, realizzati senza

un‟identificazione certa e in violazione del diritto internazionale .Questo diremo anche ai 12 parlamentari

europei a cui domani consegneremo il dossier e a cui chiederemo che il Parlamento europeo intraprenda tutte le

azioni necessarie per ripristinare lo stato di diritto nel nostro paese. Per questo, il primo passo è la chiusura del

centro di detenzione di Lampedusa e la sua sostituzione con un vero centro di accoglienza, dove le porte siano

aperte e gli immigrati ricevano informazione e assistenza” in Dossier ARCI, 14 settembre 2005 sugli sbarchi e le

violazioni dei diritti umani a Lampedusa.

641 Francesco Messineo (responsabile Coordinamento Rifugiati e Migranti, Amnesty International): “la

detenzione è una sanzione sproporzionata per persone che non hanno commesso alcun reato è […] in base al

diritto internazionale i richiedenti asilo dovrebbero essere detenuti soltanto in circostanze eccezionali […]la

187

centro di identificazione oppure nel centro di permanenza temporaneo642

un attestato

nominativo che certifica la sua qualità di richiedente lo status. Allo stesso può essere

rilasciato, in particolari casi643

, un permesso di soggiorno temporaneo, con validità di tre mesi

prorogabili sino a fine procedura. Le nuove norme indicano una doppia procedura di asilo,

una semplificata, da concludersi entro 20 giorni, per i richiedenti asilo trattenuti nei centri di

identificazione, l’altra ordinaria, da concludersi entro 35 giorni, per tutti gli altri. Ciò che

colpisce è che la legge n. 189/2002 non abbia previsto la sospensione dell’espulsione del

richiedente asilo qualora questi abbia proposto ricorso contro il diniego al riconoscimento

dello status di rifugiato644

. Il richiedente asilo ha il diritto di restare sul territorio italiano

durante il contenzioso giudiziario solamente se una decisione unilaterale dell’amministrazione

lo autorizzava. Se si confrontano tali disposizioni con quelle precedenti alla riforma, si nota

come colui che faceva richiesta di rifugio, dopo averla formulata, restava in libertà di

movimento sino all’esito della procedura. Con il decreto attuativo, invece, il richiedente viene

sottoposto, nei casi in cui sia obbligatorio il trattenimento, ad un procedimento e ad una

misura che di fatto comprime e limita la sua libertà personale.

Per ciò che attiene alla competenza giurisdizionale per la tutela del diritto di asilo, è

pacifico in giurisprudenza che questa sia del giudice ordinario645

. Anche il legislatore si è

orientato in questo senso, dapprima con l’abrogazione, ad opera del Testo unico

immigrazione, dell’articolo 5 della legge Martelli che prevedeva, invece, una competenza

amministrativa; in seguito con l’articolo 32 della legge Bossi – Fini, con cui è stata prevista la

tensione nei centri è alta […] numerose sono le denunce secondo cui le persone detenute nei Cpta sarebbero

state sottoposte ad aggressioni fisiche da parte di agenti […]”.

642 Art. 1 bis legge n. 39/90 e successive modifiche (art. 3 Dpr n. 303/04).

643 Alcuni esempi: scadenza dei termini di trattenimento facoltativo in un centro di identificazione e non si è

ancora conclusa la procedura semplificata; scadenza dei giorni venti di trattenimento facoltativo; cessazione

dell’esigenza sulla base della quale il questore ha disposto il trattenimento facoltativo; applicazione della

procedura ordinaria.

644 Laura Boldrini, portavoce dell’Unchr in Italia, afferma, a proposito di una legge organica in materia di asilo,

che “quello che riteniamo essenziale è che includa l‟effetto sospensivo dell‟espulsione in caso di ricorso contro

la negazione dell‟asilo […] basti pensare che in Europa tra il 30 ed il 60 per cento delle richieste di asilo

vengono accolte solo in seconda istanza. Il che dimostra che l‟errore è possibile anzi frequente. Rimandare una

persona nel paese da cui fugge senza consentirle di spiegare le sue ragioni è negarle un diritto fondamentale”

intervista su Kataweb ottobre 2005.

645 Sentenza Corte di Cassazione n. 4674/1997, confermata dalla sentenza Corte di Cassazione n. 907/1999.

188

competenza del giudice ordinario avverso i ricorsi inerenti il diniego della concessione dello

status di rifugiato da parte delle commissione territoriali.

In assenza di una normativa organica a favore dell’asilo e del rifugio, soprattutto con

riguardo alle misure di accoglienza, nel 2001 venne creato il PNA646

, Programma Nazionale

Asilo, con la specifica finalità di attuare una rete territoriale di accoglienza su 150 Comuni, al

fine di fornire, al “richiedente asilo o rifugio”, accoglienza, vitto, alloggio, nonché

informazioni riguardo la procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Un merito che si può riconoscere alla legge del 2002, è quello di avere

istituzionalizzato il PNA, riconoscendo la centralità degli Enti locali nella gestione delle

attività su indicate, e in particolare istituendo il Fondo Nazionale per le politiche ed i servizi

dell’asilo, finalizzato al finanziamento dei servizi necessari all’accoglienza e alla tutela dei

rifugiati. Ma i centri distribuiti sul territorio nazionale non sono sufficienti ad accogliere il

numero dei soggetti che fanno richiesta di rifugio, pertanto queste persone, nella loro

profonda disperazione, si ritrovano, spesso, nelle stesse disagiate condizioni dei senza tetto.

Un ultimissimo cenno, infine, al progetto INTEG.RA (Integrazione Richiedenti Asilo),

avviato nel 2001, che si inserisce nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria EQUAL647

. “Questo

progetto nasce da un partenariato di sviluppo composto da tre soggetti proponenti - Anci,

Unhcr e Censis- da 8 Comuni italiani, da 25 soggetti del mondo del lavoro, della ricerca e del

terzo settore – tra cui il CIR648

- e da 4 analoghi progetti europei in Germania, Francia e

Regno Unito” 649

. Scopo del progetto dovrebbe essere l’integrazione socio-lavorativa e socio-

abitativa dei richiedenti asilo e rifugiati attraverso un accompagnamento, da parte dei Comuni

aderenti, verso un percorso di autonomia che li renda indipendenti ed integrati nel Paese che li

ospita.

5. Direttive comunitarie: come cambia il contesto normativo italiano. Qualche esempio

5.1. Accoglienza e lavoro per i richiedenti asilo alla luce della Direttiva comunitaria

646 Con la partecipazione del Ministero dell’Interno, dell’Unhcr, dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni

Italiani), finanziato con i fondi dell’otto per mille e con il Fondo Europeo Rifugiati.

647 Finanziata dal Fondo Sociale Europeo e gestita dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

648 CIR: Consiglio Italiano Rifugiati- ONLUS.

649 Cir notizie n. 3/2004 Marzo 2004 Anno XIII. Progetto Integ.ra integrazione richiedenti asilo.

189

2003/9/CE: verso la tutela dell‟articolo 35 Costituzione anche per chi è in attesa di rifugio

Il riferimento al progetto INTE.GRA ci introduce a quello che è un tema di forte

interesse, soprattutto sociale, ovvero l’accoglienza ed il lavoro del richiedente asilo. Questo

tema è stato oggetto della direttiva comunitaria 2003/9/CE del 27 gennaio 2003650

, recepita in

Italia con decreto legislativo 140/2005, entrato in vigore il 20 ottobre 2005.

La ratio della direttiva coincide con la politica comune europea in materia di asilo,

così come convenuto durante il Consiglio di Tampere, affinché gli Stati membri possano

garantire un tenore di vita omogeneo ai richiedenti asilo, attraverso strumenti organici ed

armonici. La direttiva ha, come scopo primario, quello di stabilire alcune garanzie, quali

l’accoglienza del presso strutture pubbliche, ovvero il riconoscimento di una serie di diritti,

nella fase provvisoria che porta al riconoscimento dello status di rifugiato. Lo strumento

comunitario obbliga lo Stato membro a fornire, non più tardi di quindici giorni dopo la

presentazione della domanda di asilo, le informazioni relative ai benefici di cui il richiedente

può godere e degli obblighi a lui spettanti, nonché le notizie sulle organizzazioni o gruppi che

forniscono assistenza legale e accoglienza. Il tutto deve avvenire nella lingua d’origine del

richiedente asilo, o che si presume essere comprensibile651

. Entro tre giorni dalla

presentazione della domanda, lo Stato deve rilasciare ai richiedenti un documento nominativo

che certifichi lo status di richiedente ovvero che attesti la possibilità di soggiornare nello Stato

membro. I richiedenti asilo possono circolare liberamente sul territorio ovvero nell’area ad

essi assegnata (per esempio per motivi di ordine pubblico). La permanenza in tale area non

deve però costituire pregiudizio della loro dignità652

. La norma comunitaria predispone,

inoltre, l’adozione, da parte degli Stati membri, di misure idonee a mantenere l’unità del

nucleo familiare (coniuge, convivente, figli) presente nel loro territorio653

. In tema di

accoglienza, la direttiva predispone delle disposizioni generali e alcune modalità relative alle

650 Tale direttiva si applica a tutti gli stranieri ed apolidi che presentano domanda di asilo alla frontiera o nel

territorio dello Stato membro; non si applica, invece, quando si adotta la direttiva comunitaria 2001/55/CE

riguardante norme minime per la concessione della protezione temporanea, in caso di afflusso massiccio di

sfollati stranieri che non possono tornare nel proprio Paese di origine in condizioni sicure e stabili a causa della

situazione del paese stesso.

651 Art 5 direttiva 2003/9/CE.

652 Art 6 e art. 7 direttiva 2003/9/CE.

653 Art 8 direttiva 2003/9/CE.

190

condizioni materiali di accoglienza (assistenza sanitaria, alloggiativa, alimentare, in

particolare per le persone vulnerabili, come minori, disabili, anziani). Le misure di

accoglienza vengono concesse qualora i richiedenti non dispongano di mezzi diversi per poter

condurre da soli una vita dignitosa. L’accesso a dette prestazioni avviene nel momento in cui

vi è la presentazione della domanda di asilo654

. Tali misure hanno termine nel momento della

comunicazione della decisione sulla domanda di asilo. Sempre in tema di accoglienza, si

ricorda come, all’art. 16 della direttiva, si afferma che “uno Stato membro può rifiutare

condizioni di accoglienza qualora un richiedente asilo non abbia dimostrato di aver

presentato la sua domanda non appena ciò fosse ragionevolmente fattibile dopo il suo arrivo

in tale Stato membro”. L’art. 5 del d.lgs. n. 140/2005 ha ripreso tale ipotesi di esclusione

dell’accoglienza, basandola sul termine minimo per presentare la domanda di asilo. Tale

termine è quello di otto giorni655

dall’ingresso in Italia. Generalmente, il richiedente asilo

entra nel paese in cui chiede rifugio o asilo, in maniera irregolare, privo di documenti perché,

ricordiamolo, fugge dal proprio paese di origine. Provare, dunque, l’effettivo ingresso nel

nostro territorio è estremamente difficoltoso: legare l’accoglienza e l’ospitalità ad una rigida

condizione temporale provoca non pochi problemi a tutti quegli aspiranti richiedenti asilo che

non hanno saputo orientarsi e districarsi nel termine di otto giorni! Inoltre, dalla normativa di

recepimento della direttiva comunitaria si evince che i centri di accoglienza dei Comuni e

delle associazioni che lavorano per il sostegno ai richiedenti e rifugiati, sono ora subordinati

alle direttive del Ministero dell’Interno. “Nell‟istituire un sistema di protezione, coordinato

dall‟Anci e composto dai comuni e dagli enti che prestano servizi di accoglienza e

integrazione, la legge già disciplina una relazione articolata tra autonomie locali e autorità

centrale nel rispetto dei ruoli e competenze distinte. In tal senso-sottolineano Anci ed enti di

tutela- è preoccupante la possibile subordinazione degli enti locali agli Uffici Territoriali del

Governo in merito alle modalità di attivazione e cessazione delle misure di accoglienza e

tutela, così emerge con evidenza in diverse disposizioni contenute nello schema di decreto,

nonché il mancato riconoscimento del ruolo e dell‟esperienza maturata dal servizio centrale

che, su incarico dell‟Anci, ha coordinato in questi anni gli interventi di protezione”656

.

654 Art 13 e 14 direttiva 2003/9/CE.

655 Si ricorda come tale termine coincide con quello previsto dall’art. 5, comma 2, del Testo unico immigrazione,

necessario per fare richiesta di permesso di soggiorno.

656 INFORM - N. 116 - 3 giugno 2005 su http://www.mclink.it/com/inform

191

Questa preoccupazione è tanto più reale se si prende in considerazione il fatto che, con

il d.lgs. n. 140/2005, la prefettura ha sostanzialmente “in mano” la stragrande maggioranza

degli oneri relativi all’accoglienza dei richiedenti asilo, come ad esempio la verifica della

disponibilità dei posti all’interno del Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati657

,

ovvero l’invio del richiedente asilo nella struttura individuata658

.

Sempre in materia di accoglienza, si ricorda che il Ministero dell’Interno, il 17 ottobre

2005, emanava una Circolare659

sulle modalità di accertamento dei posti in accoglienza per

richiedenti asilo ai sensi dell’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 140/2005. In tale circolare, il

Ministero formulava istruzioni in merito alla individuazione del posto in cui poteva trovare

accoglienza il richiedente non soggetto al trattenimento di cui all’art. 1 bis del d. l. 30

dicembre 1989, n. 416, introdotto dall’art. 32 della legge 30 luglio 2002, n. 189. “La

disciplina in esame prevede che l‟accoglienza sia disposta preferibilmente presso i servizi

attivati dagli Enti Locali che costituiscono il Sistema di protezione per richiedenti asilo e

rifugiati di cui all‟art.1 sexies del decreto legge n. 416/89 e, in caso di indisponibilità, nei

Centri di Identificazione ovvero nelle strutture allestite ai sensi della legge n. 563/1995

(Legge Puglia)”. Lo stesso Ministero dell’Interno, il 25 ottobre 2005, inviava alle prefetture e

questure una Circolare660

con cui si illustravano gli aggiornamenti più importanti apportati dal

d.lgs. n. 140/2005, in particolare soffermandosi sull’art. 11 che regolamenta l’accesso al

lavoro ed alla formazione professionale. Una delle novità, infatti, introdotte sia nella direttiva

che nel decreto di recepimento, riguarda proprio il lavoro e la formazione professionale661

: è

sancito il diritto del richiedente asilo di poter accedere ad un lavoro subordinato nella fase

provvisoria di attesa del riconoscimento dello status di rifugiato. Il diritto al lavoro tutelato

dagli artt. 1 e 4 Cost. it. è stato finalmente riconosciuto anche per questa categoria di soggetti.

Si sono superate tutte quelle dubbiose manifestazioni di pensiero sulla precarietà dello status

giuridico del richiedente asilo, e dunque, sulla sua inconciliabilità con la razionalizzazione

delle risorse umane che ogni Stato membro cerca di attuare. La legislazione nazionale

657 Art. 6, comma 2, d.lgs. n. 140/2005.

658 Art 6, comma 4, d.lgs. n. 140/2005

659 Circolare del 17/10/2005 prot. DCS/1/2005 su www.asgi.it.

660 Circolare del 22/10/2005 prot. 400/C/1170 su www.asgi.it.

661 Art. 11 direttiva 2003/9/CE e d.lgs. n. 140/2005.

192

conferiva al richiedente la sola somma pari ad € 17,56 (poi elevata ad € 25,00 e ad € 27,00662

)

per un massimo di giorni 45, che rientrava in quel più vasto sistema di accoglienza minimo

atto a garantirne il sostentamento. Non era assolutamente concessa la possibilità di accedere

al mercato del lavoro. A fronte della durata della procedura di riconoscimento, che si può

estendere per oltre 12 mesi, ci si chiede inevitabilmente come poteva vivere il richiedente

asilo fino a termine della procedura, data l’assoluta inadeguatezza del sostentamento! L’unica

strada per la sopravvivenza, che faceva da contrappeso alla negazione del diritto al lavoro, era

rappresentata dal lavoro nero. Il sistema di criminalità che, da sempre, si cela dietro il lavoro

illegale e/o clandestino veniva ad essere rafforzato. L’art. 11 della direttiva 2003/9/CE,

scardinando questo consolidato orientamento legislativo, ha affermato che “gli Stati membri

debbano stabilire un periodo a decorrere dalla data di presentazione della domanda di asilo

in cui i richiedenti non hanno accesso al mercato del lavoro. Se entro un anno dalla

presentazione della domanda di asilo non è stata presa una decisione in primo grado e il

ritardo non può essere attribuito al richiedente asilo, gli Stati membri decidono a quali

condizioni è concesso al richiedente asilo l‟accesso al mercato del lavoro”.

Ferma restando l’importanza di tale norma, vi è da dire che qualche perplessità emerge

in merito al fatto che venga lasciata, allo Stato membro, la facoltà di decidere a quali

condizioni deve essere consentito l’accesso al lavoro. Non è previsto, infatti, alcun obbligo a

carico dello Stato, rispetto al conferimento del diritto al lavoro. Da una attenta lettura della

direttiva comunitaria, si nota che, spesso, questa si riferisce agli Stati membri in termini di

possibilità, lasciando loro un margine di discrezionalità così ampio da renderli liberi di

scegliere, più o meno restrittivamente, sull’accesso al lavoro di quelle persone già altamente

svantaggiate. Il progetto di armonizzazione delle politiche europee, che l’Unione si era

preposta, anche attraverso l’emanazione di tale direttiva, viene ad essere altamente

ridimensionato per effetto del “lasciar fare” troppo permissivo in termini di scelte.

Il corrispondente art. 11 del d.lgs. n. 140/2005 ha, infatti, ridotto da un anno a sei mesi

il tempo necessario che deve trascorrere dalla presentazione della domanda per l’accesso al

lavoro. Al richiedente viene data la possibilità che il suo permesso di soggiorno per richiesta

asilo venga rinnovato per la durata di altri sei mesi663

. Tale titolo di soggiorno consente di

662 Ministero dell’Interno, Decreto 28 Novembre 2005 su www.meltingpot.org.

663 Se il ritardo nell’adozione della decisione sulla domanda non sia dipesa da cause imputabili al richiedente

stesso. Il ritardo gli è attribuito nei seguenti casi (art. 11 comma 3 D.L.140/2005): presentazione di documenti e

193

svolgere attività lavorativa fino alla conclusione della procedura di riconoscimento, ma non

può essere trasformato in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Se, da un lato, tale norma permette che il richiedente acquisisca indipendenza ed

autonomia, dall’altro lato sembra operare una compressione dei suoi diritti, quando al comma

4 dell’articolo 11, si precisa che il richiedente avviato al lavoro non potrà più continuare ad

usufruire delle condizioni di accoglienza, a meno che non contribuisca alle spese, tenendo

conto del reddito del richiedente e dei costi dell’accoglienza erogata. Certamente, è fuori da

ogni logica economica e sociale pensare che il richiedente che abbia appena trovato un lavoro

possa poi trovare un alloggio fuori dal centro di accoglienza. La breve durata del permesso di

soggiorno di cui è in possesso e l’insufficiente consolidamento finanziario, non gli

permetteranno, comunque, di vivere in condizioni di normalità.

Va da se che la durata minima del permesso di soggiorno potrebbe portare a tutta una

serie di problemi in merito alla tipologia di lavoro compatibile con la brevità del permesso

stesso. Per fortuna vi sono tipologie contrattuali che riescono a conciliarsi con tale

disposizione, come ad esempio la legge Biagi n. 30/2003 ed il suo decreto attuativo n.

276/2003, in cui si prevedono forme di lavoro flessibili: i cd. co.co.pro; il lavoro intermittente

che si concretizza con prestazioni lavorative discontinue; il lavoro occasionale che permette di

espletare l’attività lavorativa in trenta giorni da spalmare lungo il corso di un anno; infine,

l’accesso al lavoro come lavoratore svantaggiato, in cui senz’altro si può collocare il

richiedente asilo.

Accanto alla opportunità lavorativa offerta ai richiedenti asilo, la direttiva, sempre

nello stesso art. 11, stabilisce che “coloro che chiedono asilo possono partecipare ai

programmi di formazione professionale svolti dall‟ente locale preposto all‟accoglienza”664

.

Prima di tale disposizione, si faceva riferimento, in tema di formazione professionale, all’art.

42 del testo unico immigrazione. Qui si prevedeva che lo straniero potesse accedere a corsi di

formazione professionale, ma non vi si includeva, esplicitamente, i richiedenti asilo, perché

questi, non potendo svolgere attività lavorativa, non potevano neanche accedere ai tirocini

certificazioni false; rifiuto di fornire le informazioni necessarie per l’accertamento delle sua identità e

nazionalità; mancata presentazione del richiedente asilo all’audizione davanti la Commissione, nonostante la

convocazione sia stata comunicata presso il centro di accoglienza ovvero nel luogo del domicilio eletto, salvo i

motivi di forza maggiore.

664 I rifugiati, a differenza dei richiedenti asilo, già potevano accedere alla formazione professionale.

194

formativi. In verità, per ovviare a tale discriminazione, sul presupposto che il tirocinio

formativo non costituisce un rapporto di lavoro665

, si erano di fatto inclusi nella formazione

professionale anche i richiedenti asilo, conferendo loro la possibilità di effettuare una

esperienza formativa-lavorativa per un periodo massimo di 12 mesi666

. La direttiva ha risolto

ogni problema al riguardo, prevedendo specificatamente la possibilità che i richiedenti asilo

svolgano una formazione professionale. Attraverso la formazione vengono, infatti, poste le

basi per un futuro lavoro; il richiedente asilo, se e quando gli verrà riconosciuto lo status di

rifugiato, si troverà già pronto e capace ad affrontare l’attività lavorativa per cui si è formato

durante il periodo di attesa dell’iter burocratico. Vi è da dire che, però, la breve durata del

permesso di soggiorno per richiesta asilo ( tre mesi o sei mesi) limita fortemente l’accesso ai

corsi di formazione la cui durata si estense oltre tale termine; inoltre, viene negata la

possibilità di accedere ai corsi di formazione professionale da parte di quei richiedenti che

sono trattenuti nei CDI, e dunque privi di permesso di soggiorno. Questa è una evidente forma

di disparità di trattamento tra due soggetti ugualmente svantaggiati, e per questo, ugualmente

meritevoli di tutela.

5.2. La direttiva qualifiche e la direttiva procedure: alcuni aspetti innovativi

La direttiva qualifiche667

- recante norme minime sull’attribuzione, ai cittadini di

paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di

protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta,

e la direttiva procedure668

- recante norme minime per le procedure applicate negli Stati

665 Il tirocinio formativo è regolamentato dal D.M. 25/03/1998 n. 142 che, all’art. 1, comma 2, prevede che “il

tirocinio non costituisce rapporto di lavoro”.

666 Vedi, ad esempio, l’Associazione Centro Astalli per l’Assistenza agli Immigrati di Roma, che ha posto in

essere il primo corso di formazione professionale (per operatori socio-assistenziali):“da utenti ad operatori”,

Quaderni/5 Centro Astalli Giugno 2005.

667 Direttiva n . 2004/83/CE, recepita in Italia con d.lgs. n. 251/2007, in cui viene prevista una serie di diritti di

cui possono beneficiare coloro che rientrano nella qualità di rifugiato o di beneficiario di protezione sussidiaria e

i loro familiari. Esempi di tali diritti sono: il diritto di non respingimento, il diritto al mantenimento dell’unità del

nucleo familiare, il diritto di esercitare una attività dipendente o autonoma; il diritto di accesso all’assistenza

sanitaria e sociale, all’istruzione e agli strumenti di integrazione.

668 Direttiva n. 2005/85/CE, recepita in Italia con d.lgs. 158/2008, le cui finalità sono quelle di stabilire delle

195

membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato - hanno delineato

delle novità che sono poi entrate a far parte dell’ordinamento giuridico nazionale con i

rispettivi decreti di recepimento. Con esse si vanno ad operare delle limature alla legislazione

nazionale che è ancora troppo spesso deludente in termini di rispetto dei diritti fondamentali

della persona umana.

La direttiva qualifiche, in particolare, ha rappresentato uno strumento necessario

attraverso cui delineare e, al tempo stesso armonizzare, quelle forme di protezione cd.

sussidiarie che era impossibile gestire, neanche estensivamente, con la Convenzione di

Ginevra. Si resero conto di ciò, in primis, la Danimarca nel 1997, e poi a seguire l’Olanda e

l’Austria nel 1998, sotto la cui Presidenza venne definita con chiarezza, in sintonia con

l’articolo 3 della CEDU, sia l’istituto della protezione sussidiaria che di quella temporanea, la

prima garantita individualmente, la seconda accordata, invece, in caso di afflusso massiccio di

profughi. Si sottolinea, però, che l’intento iniziale di questa direttiva venne di fatto disatteso,

in quanto, il disposto comunitario, sostanzialmente, finì per organizzare in maniera armonica

le nozioni e i meccanismi legislativi di protezione sussidiaria già vigenti negli ordinamenti

degli Stati membri, senza dare vita ad un sistema che fosse autonomo ed alternativo a quelli

già esistenti negli Stati dell’Unione.

Molti gli aspetti innovativi introdotti dalle due direttive così come recepite

dall’ordinamento italiano. Innanzitutto, come detto, viene prevista una nuova forma di

protezione complementare a quella indicata dalla Convenzione di Ginevra, la “protezione

sussidiaria”. Tale istituto trova applicazione solo quando il richiedente non abbia i requisiti

per richiedere lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra. In maniera

tassativa, il decreto “qualifiche” fissa quali siano i gravi danni alla persona necessari affinché

venga concessa la protezione sussidiaria: la condanna a morte o l’esecuzione della pena di

morte, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, la minaccia grave

e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in

situazioni di conflitto armato interno o internazionale669

.

procedure equivalenti negli Stati membri per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato. Uno degli

elementi di spicco della direttiva procedure, a parte l’indicazione delle tutele previste sia nella fase della

istruttoria della procedura che nella fase decisionale, è il “concetto di paese terzo sicuro”.

669 Vi è, dunque, una estensione a tipologie persecutorie che vanno oltre quelle previste dalla Convenzione di

Ginevra, sebbene previste in altri atti di natura internazionale, come la Convenzione Europea per la salvaguardia

196

Si ricorda come il testo unico per l’immigrazione prevedeva, prima della direttiva de

qua, una forma di protezione cd. umanitaria670

nei casi in cui ricorrevano seri motivi di

carattere, appunto, umanitario o risultanti da obblighi o internazionali dello Stato italiano. La

protezione umanitaria non ha, ad oggi, valore di equipollenza rispetto a quella sussidiaria,

tanto è vero che il decreto qualifiche specifica che il titolare di un permesso di soggiorno per

motivi umanitari concesso prima del d.lgs. del 2007, otterrà, al momento del rinnovo, un

permesso di soggiorno per protezione sussidiaria.

La richiesta di asilo si presenta attualmente con un diverso accento terminologico. Si

chiamerà richiesta di protezione internazionale, che verrà sempre presentata all’ufficio di

polizia di frontiera il quale, a sua volta, indirizzerà il richiedente presso la questura

competente. Ai sensi della direttiva procedure, non rientrerà più tra i compiti della polizia di

frontiera quello di verificare eventuali cause ostative che possano pregiudicare l’ammissibilità

della richiesta di asilo. Tale compito viene affidato alle Commissioni territoriali competenti671

ad accogliere (o meno) la domanda di protezione internazionale, le quali procederanno con

un’unica procedura, essendo stata abolita la differenza tra quella ordinaria e quella

semplificata. Ai richiedenti viene rilasciato un permesso temporaneo, di tre mesi rinnovabile,

per attendere l’esito della procedura, ovvero un attestato nominativo nel caso in cui venga

“ospitato” nei centri di accoglienza. Viene, peraltro, abolito il trattenimento obbligatorio dei

richiedenti asilo nei centri di permanenza, caratteristica che invece permaneva ancora nel

decreto attuativo della legge Bossi-Fini. Tale obbligatorietà permane solo per chi presenta

domanda di protezione internazionale e per chi abbia, a proprio carico, un provvedimento di

espulsione emesso in conseguenza di particolari e gravi illeciti penali672

.

La novità di maggior rilievo introdotta dalle direttive comunitarie, è rappresentata dal

fatto che il ricorso673

avverso il diniego della domanda di asilo ha, finalmente, efficacia

dei Diritti dell’Uomo del 1950, la Convenzione internazionale contro la tortura del 1984, la Convenzione

Europea per la prevenzione della tortura del 1987.

670 Articolo 5 del testo unico immigrazione.

671 Si ricorda come la direttiva procedure abbia ampliato il numero delle Commissioni, che ora sono 10,

includendo Bari, Caserta e Torino. Muta anche il loro nome: Commissioni territoriali per il riconoscimento della

protezione internazionale.

672 Come, ad esempio, traffici illeciti, tratta delle donne, sfruttamento della prostituzione, associazione mafiosa,

crimini contro l’umanità.

673 I termini per la presentazione del ricorso sono di giorni 30 dalla data di notifica del provvedimento di diniego,

197

sospensiva nei confronti del decreto di espulsione per irregolare soggiorno sul territorio

nazionale. Il foro competente è il Tribunale, in composizione monocratica, con sede nel

capoluogo di distretto della Corte d’appello in cui si trova la Commissione territoriale che ha

deciso sulla richiesta di protezione internazionale674

.

Altrettanto importante, è stato il riconoscimento di alcuni diritti legati alla persona che

ha ricevuto una protezione internazionale. Innanzitutto, vengono estesi i termini del permesso

di soggiorno per rifugiati, che passa da tre a cinque anni, mentre quelli che hanno una

protezione sussidiaria avranno diritto ad un permesso triennale. Anche i titolari di un

permesso per protezione sussidiaria avranno la possibilità di ottenere il ricongiungimento

familiare, con le stesse modalità e con le stesse caratteristiche dei cittadini stranieri. Inoltre, la

direttiva qualifiche equipara i rifugiati e i protetti sussidiari ai cittadini italiani per l’accesso

all’assistenza sociale e sanitaria. Purtroppo, i due decreti attuativi degli atti comunitari non

fanno nessun riferimento all’asilo costituzionale di cui all’articolo 10, comma 3, Cost. it. Si

presume che lo si potrà richiedere al Tribunale civile quando vengano violate le libertà

democratiche garantite dalla nostra Costituzione, così come indicato anche nelle sentenze

della Suprema Corte precedentemente citate.

6. Alcune considerazioni in tema di asilo

In uno Stato di diritto vi è la necessità di certezza del diritto, anche nella materia

dell’asilo. In Italia, come già detto, manca una legge organica che tuteli a trecentosessanta

gradi la posizione del richiedente asilo e del rifugiato. Si dispone di tutta una serie di norme

internazionali, comunitarie, nazionali che, però, non sono armonicamente raggruppate. Ciò

crea disagio per la loro eventuale interpretazione ed applicazione, ma soprattutto rappresenta

un problema per quei richiedenti asilo che si vedono una protezione negata.

Vi sono stati, come sopra indicato, degli interventi legislativi, sebbene settoriali, come

il d.lgs. n. 140 del 2005, che ha recepito la direttiva comunitaria 2003/9/CE675

, e i due decreti

ma, nei casi in cui il richiedente sia trattenuto nei centri, i termini scendono inderogabilmente a 15 gg.

674 A tal proposito vedi sentenza 11916 del 2007 della Corte di Cassazione a proposito del foro competente.

675 Molte associazioni come l’Anci, Arci, Caritas, Cir e Ics lamentano che il predetto recepimento sia stata

“un’occasione mancata” per realizzare, in Italia, un sistema di accoglienza in grado di garantire assistenza ai

richiedenti asilo. Lamentano, inoltre, il fatto che nessuna di queste associazioni sia stata consultata durante

198

del 2007 e del 2008 citati. Occorrerà però analizzare quali saranno le prassi adottate e,

soprattutto, se ci sarà una omogeneità nella loro esecuzione.

In Italia, ma anche nel resto d’Europa, appare evidente la necessità di una distinzione,

non solo giuridica, tra la migrazione economico-sociale da un lato, e la condizione di fuga

necessaria e non cercata del richiedente asilo che chiede aiuto a fronte di persecuzioni,

dall’altro676

. A differenza del migrante, l’asilante non ha scelta: non può tornare nel proprio

paese d’origine se non a scapito della propria sicurezza e incolumità. Vi è spesso e volentieri

confusione tra le due realtà. L’esigenza di sicurezza interna dei singoli Stati e dell’Unione

Europea rispetto ai continui flussi migratori, dopo gli avvenimenti terroristici degli ultimi

tempi, di cui la stessa Europa è stata teatro, dovrebbe tener conto di tale differenziazione,

tanto da non collocare il richiedente asilo nel fenomeno migratorio globale, perché ciò

comporta il rischio di una mancata protezione di questa persona. Gli Stati dovrebbero

abbandonare l’idea di considerare l’asilante solo come colui che utilizza la richiesta di asilo o

di rifugio come strumento per aggirare le norme sull’immigrazione, ovvero per sfuggire

all’immigrazione clandestina. Il restringimento che molti Paesi europei stanno attuando alle

frontiere, se può essere condivisibile, seppur nei limiti del rispetto dei diritti fondamentali

della persona umana, al fine di porre un “freno” all’immigrazione clandestina, non può esserlo

altrettanto quando si pregiudica chi alla frontiera giunge per salvare la propria vita.

Questa “protezione dell‟Europa dai rifugiati piuttosto che ai rifugiati in Europa”677

è

preoccupante a tal punto che i richiedenti asilo diminuiscono statisticamente di numero. E qui,

da un punto di vista umano, ci si chiede: se il numero dei richiedenti asilo diminuisce

statisticamente, però a monte non diminuiscono le persecuzioni nel mondo, che fine fa il

perseguitato? Questa è la conseguenza di quando si nega la possibilità di accesso al territorio:

il diritto di chiedere asilo è privo di significato. Emerge, quindi, la necessità concreta ed

attuale, di una politica europea comune che sappia bilanciare le diverse esigenze su indicate,

l’elaborazione del decreto legislativo.

676 C. Hein e L. Cappelletti, Rifugiati politici, in Dig. Disc. Pub. op. cit., pg. 461, sostengono come “è importante

sottolineare la differenza che sussiste tra la nozione di rifugiato e quella di immigrato. Non possono essere

considerati rifugiati coloro che emigrano per migliorare la propria situazione economica o per interesse

personale. A differenza del rifugiato, l‟immigrato non è, infatti, costretto a lasciare il Paese di origine, ma rende

tale decisione per propria scelta”.

677 Christopher Hein, direttore del CIR, comunicato stampa 27 settembre 2005.

199

nel pieno e totale rispetto della dignità dei rifugiati e richiedenti asilo, vittime di violazioni di

diritti fondamentali della persona umana.

200

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La cittadinanza oggi pare non avere più l’accezione di appartenenza ad uno Stato

nazionale peraltro in crisi, poiché sovranità e territorialità non sembrano essere più gli

elementi identificatori di quella statualità oramai considerata entità aperta, “sia in senso

orizzontale, tra gli Stati, per dare vita a forme di integrazione (l‟Unione europea, appunto);

sia in senso verticale, all‟interno del singolo Stato, per dare vita a forme di autonomia

regionale e locale” 678

.

La cittadinanza europea, d’altro canto, è l’espressione di come non sia più necessaria

una contiguità spaziale per esplicare forme di tutela dei diritti che perdono via via il loro

carattere di individualismo nazionale, e protendono sempre più verso forme di universalità.

Questa nuova cittadinanza dell’Unione potrebbe rappresentare il modello per una

evoluzione in senso cosmopolito della cittadinanza nazionale, scollegata dalla statualità, ed

orientata verso forme di appartenenza inclusive, attraverso le quali includere gli esclusi

attraverso il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona. In un periodo storico come

quello attuale, caratterizzato da un diverso rapporto tra diritti e territorio, non sembra si

possano più conciliare universalismo dei diritti fondamentali e particolarismo

dell’appartenenza. Non vi è più spazio per ragionamenti ancorati a concetti rigidi, come

quello della cittadinanza - sinonimo di nazionalità. Emergono invece argomentazioni basate

su categorie flessibili, come la cittadinanza aperta o sociale richiamata nella prima parte del

presente lavoro, capaci di aprire nuove prospettive che siano indirizzate anche ad un

riconoscimento dei diritti fondamentali dell’individuo, ancorché straniero.

Fare riferimento al principio di esclusività o di inclusività impone una riflessione sui

connotati democratici che contraddistinguono le costituzioni del secondo dopoguerra. Bobbio

sosteneva che il discrimine tra regimi democratici e non democratici risiedeva proprio nel

fatto che i primi propendevano per una fruizione piena e paritaria dei diritti fondamentali da

678 Vedi in tal senso L. Moccia, La cittadinanza europea come cittadinanza differenziata a base di un sistema

multilivello di diritto privato, Relazione al Convegno internazionale “Il diritto privato regionale nella

prospettiva europea”, Macerata, 30 settembre -1 ottobre 2005.

201

parte di tutti i soggetti, mentre i secondi tendevano, invece, ad escludere alcuni soggetti da

quel godimento.

Il multiculturalismo, come “sfida alla convivenza tra gli essere umani di portata

globale”679

e la stessa globalizzazione, dal canto loro, sembrano imporre agli Stati di prendere

coscienza dell’inadeguatezza di una tutela dei diritti che non sia multilivello, espressa con

forme di governance ad essa rispondenti, di carattere nazionale, europea, internazionale.

Inadeguatezza che si fa ancor più pregnante di significato se si considera che il

multiculturalismo e la globalizzazione sono diventati gli elementi caratterizzanti le moderne

società, inducendole, sebbene a fatica, a considerare i propri spazi indefiniti ed aperti, senza

differenze tra gli insider e gli outsider, tra l’autoctono e il non autoctono.

Il pluralismo democratico, come tutela delle minoranze680

, d’altro canto, non può, in

una società che si muove e si evolve in senso globale e multiculturale, limitarsi alla tutela

delle minoranze interne, come ad esempio quella linguistica, ma dovrebbe necessariamente

estendersi ad ogni forma di minoranza culturale, dunque anche straniera. La tutela dei diritti

fondamentali della persona, nel quadro di un pluralismo democratico, infatti, non può e non

deve essere sottovalutata, neanche quando si tratta di persona straniera. La consapevolezza

della presenza dell’altro dovrebbe indurre gli Stati democratici alla valorizzazione delle

diversità e delle differenze e alla tutela dei diritti fondamentali della persona.

Le frequenti azioni discriminatorie che il legislatore pone in essere nei riguardi dei

cittadini stranieri, come ad esempio, tanto per ricordarne alcune, la violazione della libertà

personale e del diritto alla difesa, o la violazione del principio di uguaglianza, sembrano

essere i riflessi di un mancato rispetto dei diritti della persona e di quell’insieme di valori che

dei diritti costituiscono il substrato, primo tra tutti il valore supremo della dignità umana.

Quando si parla di straniero è imprescindibile il considerare quei postulati assiologici

quali la dignità umana, sintesi e sostanza di uguaglianza e libertà681

.

Mettere in discussione l’uguaglianza tra uomini liberi, significa andare ad intaccare

non solo l’inviolabilità dei diritti fondamentali della persona, ma anche adoperarsi per

679 G. Zagrebelsky, La virtù del dubbio, Roma-Bari, 2007, pg. 111.

680 Vedi in proposito F. Palermo - J-Woelk, Diritto costituzionale comparato dei gruppi e delle minoranze,

Cedam, Padova, 2008.

681 Nel senso di postulati assiologici, vedi G. Silvestri, Dal potere ai principi. Libertà ed eguaglianza nel

costituzionalismo contemporaneo. Laterza, 2009.

202

demolire tutto quel sistema di valori che, sebbene in una dimensione di etica pubblica,

rappresenta la linea guida dell’agire conforme a quei principi costituzionali che altro non sono

che la concretizzazione di quei valori. Non è certo questa la sede ideale per disquisire intorno

alle tematiche del neocostituzionalismo, peraltro esaustivamente argomentate di recente da

Gaetano Silvestri682

. È comunque interessante soffermarsi su alcuni dei concetti che il

neocostituzionalismo fa propri, in quanto attinenti alla tematica che qui viene trattata. La

teoria dei valori, di cui il costituzionalismo democratico del secondo dopoguerra ne è

espressione, potrebbe permettere, innanzitutto, di interpretare il concetto stesso di

costituzione, senza escludere la prospettiva assiologica683

. I diritti umani sono infatti insiti

nella natura umana, precedono dunque ogni formula normativa, per questa ragione la

Costituzione positiva li riconosce e, positivizzandoli, li tutela.

Tale riconoscimento dei diritti fondamentali della persona dipende dal valore della

dignità umana quale valore supremo ed intangibile, che dovrebbe assumere le vesti di unico

parametro di riferimento anche per il riconoscimento e la tutela dei diritti dello straniero.

La disciplina giuridica dello straniero deve rispettare la norma costituzionale di cui

all’articolo 10, II comma, Cost. it., che ci ricorda come esista una riserva di legge che impone

al legislatore di regolare la condizione giuridica dello straniero, rispettando, sia formalmente

che sostanzialmente, in primo luogo quei principi fondamentali che la Costituzione italiana ha

fatto propri, quali, ad esempio, l’uguaglianza e l’inviolabilità dei diritti fondamentali della

persona. Proprio su tale aspetto sembra registrarsi, in verità, una notevole divergenza tra la

costituzione formale e la costituzione materiale, che risente di un indirizzo politico non

conforme ai principi costituzionali.

A volte è accaduto, infatti, che alcune leggi nazionali in tema di immigrazione abbiano

violato direttamente i principi fondamentali della nostra Costituzione, tanto da richiedere,

spesso, un intervento della Corte costituzionale. Si ricordano, a tal proposito, le più volte

citate sentenze nn. 223 e 224 del 2004, con cui il giudice delle leggi rilevarono profili di

682 G. Sivestri, Dal potere ai principi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo, op. cit, ma

anche G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Leggi, diritti, giustizia, Einaudi, 1992, M. Fioravanti, Il valore della

Costituzione. L‟esperienza della democrazia repubblicana, Laterza, Bari, 2009. Vedi anche l’interessante

dibattito con M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur. cost. 2006.

683 Così G. Silvestri, Dal potere ai principi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo,

Laterza, 2009, ma anche A. Baldassarre, Costituzione e teoria dei valori, in Politica del diritto, XXII, 1991.

203

incostituzionalità degli articoli 13, comma 5 bis, e 14, comma 5 quinques, del testo unico

immigrazione novellato dalla legge n. 189 del 2002, per lesione dei diritti fondamentali quali

il principio di difesa e di uguaglianza684

.

Dall’esame della giurisprudenza costituzionale, dunque, emerge come questa si sia

molte volte adoperata per elevare il grado di protezione dei diritti fondamentali dello

straniero685

. Si rileva, però, come la stessa Corte abbia, in alcuni casi, adottato delle decisioni

il cui evidente favor legis non ha reso facile l’essere straniero in Italia686

.

Altre volte, invece, sembra che i principi costituzionali, la legge di attuazione

dell’articolo 10, II comma, Cost. it., la disciplina dell’immigrazione non vengano rispettati

nell’operare concreto dell’azione di governo. Si pensi, ad esempio ai respingimenti, in

particolare quelli in alto mare. Le norme nazionali in materia di immigrazione parlano di

rispetto dei diritti fondamentali della persona anche per il clandestino687

e tutelano il diritto di

asilo e il rifugio. Ma la lettura della realtà è assolutamente diversa. Proprio quelle forme di

respingimento - non supportate da un previo accertamento della condizione della persona

respinta, confondendo, volutamente ci si permette di dire, i migranti dai richiedenti asilo o

rifugio - costituiscono una violazione della loro dignità e dei diritti loro riconosciuti

684 Vedi, al riguardo, il paragrafo 4.3 del capitolo II.

685 Si ricordano, tanto per citarne alcune, la sentenza n. 33 del 1974 con cui la Corte costituzionale afferma che

l’”articolo 2 proclama l‟inderogabile valore di quei sommi beni che formano il patrimonio pretrattabile della

persona umana”; la sentenza n.102 del 1975, con cui la Corte riconosce a tutti i soggetti, sia cittadini che

stranieri,i diritti inviolabili dell’uomo “che appartengono all‟uomo inteso come essere libero”; la più recente

sentenza n. 252 del 2001, con cui il giudice delle leggi ha affermato che “il nucleo irriducibile di tutela della

salute quale diritto fondamentale della persona deve essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la

loro posizione rispetto alle norme che regolano l‟ingresso ed il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore

prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso”. Per gli interventi della Corte costituzionale sui singoli

diritti fondamentali, ci si riporta al paragrafo 5 del Capitolo I.

686 Vedi sentenza n. 324 del 2006, riportata nel paragrafo 6.1 del capitolo I, in merito alla pensione di inabilità;

vedi anche la sentenza n. 224 e n. 464 del 2005 in merito ai ricongiungimenti familiari, riportata nel paragrafo

4.6 del capitolo II.

687 Si ricorda come l’articolo 2 del testo unico sull’immigrazione prevede, nel suo primo comma, il

riconoscimento, allo straniero presente alla frontiera e nel territorio dello Stato, dei diritti “fondamentali della

persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle Convenzioni internazionali in vigore e dai principi

di diritto internazionale generalmente riconosciuti”.

204

universalmente688

. Il profilo su cui si discorre è evidentemente quello della tutela effettiva dei

diritti, in modo tale che questi non siano diritti di carta689

.

Per questa ragione, la Corte costituzionale è chiamata a svolgere un ruolo più incisivo

a tutela dei diritti fondamentali del non cittadino: da un lato, pronunciandosi sulla

incostituzionalità di specifiche norme in contrasto con i principi costituzionali; dall’altro,

interpretando l’articolo 2 Cost. it. come fattispecie aperta, per il riconoscimento di nuovi

diritti fondamentali estensibili anche allo straniero, in linea con gli orientamenti prevalenti

della dottrina690

.

Anche la Corte di cassazione dovrebbe prestare maggiore attenzione ai diritti dello

straniero. Recentemente, la Cassazione691

ha preso posizione in merito all’interpretazione

dell’articolo 31, comma 3, del testo unico immigrazione, il quale, in deroga alle ordinarie

regole per l’ingresso ed il soggiorno, consente al familiare (privo di permesso di soggiorno)

del minore straniero di ottenere dal Tribunale per i minorenni una speciale autorizzazione

all’ingresso o al soggiorno “per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto

conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano”692

.

Contrariamente a quanto stabilito in altre sue precedenti sentenze693

, la Corte di cassazione

sembra fare un passo indietro. Si afferma, infatti, nella sentenza, che i “gravi motivi connessi

con lo sviluppo psico-fisico del minore” devono essere determinati da situazioni di emergenza

688 Si ricorda come anche il Presidente emerito della Corte costituzionale, in una intervista su Liberal abbia

sollevato dubbi di costituzionalità dei respingimenti, nello specifico di quelli verso la Libia, in contrasto con

l’articolo 10, III comma, Cost. it.. vedi P.A. Capotosti, “Monito non casuale, la Carta è già violata”, in Liberal,

15 maggio 2009, pg. 3.

689 R. Guastini, Diritti, in Analisi e diritto, 1994, Torino.

690 Vedi le tesi sull’articolo 2 Cost. it. come fattispecie aperta sostenute da A. Barbera, Commento all‟art. 2

Cost., in Comm. Cost., Zanichelli-Il Foro Italiano, Bologna-Roma, 1975, P. Perlingeri, La personalità umana

nell‟ordinamento giuridico, Jovene, Napoli, 1972, A. Pizzorusso, Manuale di istituzioni di diritto pubblico,

Jovene, Napoli, 1997, F. Modugno, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale”, Giappichelli, Torino,

1995. 691 Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza 14 gennaio 2010, n. 5856.

692 Se viene concessa tale autorizzazione, la questura rilascia al genitore un permesso di soggiorno “per

assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il

permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per

motivi di lavoro” (art. 29, comma 6, del testo unico immigrazione).

693 Sentenza n. 22080 del 16.10.2009 e n. 823 del 19.1.2010.

205

e non possono, invece, derivare da circostanze di “tendenziale stabilità” come la frequenza

della scuola da parte dei minori e il processo educativo formativo. Queste caratteristiche

rientrano nell’“essenziale normalità”, e non costituiscono, dunque, il presupposto per la tutela

prevista dall'articolo 31 del testo unico sull'immigrazione. Tale orientamento sembra essere in

linea, del resto, con lo spirito del tempi, in cui, nel doveroso bilanciamento degli interessi in

campo, prevalgono, purtroppo, le esigenze di legalità sottese all’espulsione, mentre soccombe

l’interesse superiore del fanciullo694

.

Oltre al ruolo centrale che la giurisdizione dovrebbe assumere in tale delicata materia,

è auspicabile anche un intervento del legislatore, al fine di introdurre alcune modifiche alle

leggi vigenti in materia di immigrazione. In particolare, sarebbe opportuno non ostacolare i

ricongiungimenti familiari e rivedere la recente normativa che ha introdotto il reato di

clandestinità.

Il diritto all’unità familiare, riconosciuto, già nel 1995695

, come diritto fondamentale

dalla Corte costituzionale, ha subito forti ridimensionamenti negli ultimi periodi, sia per

l’introduzione di norme restrittive, sia per alcuni orientamenti giurisprudenziali che hanno

confermato la legittimità costituzionale di quelle norme. Dovrebbe essere rivisitato, nello

specifico, l’articolo 29 del testo unico immigrazione, dando spazio al libero ricongiungimento

familiare anche con il figlio maggiorenne696

, in armonia con le disposizioni costituzionali a

tutela dei diritti di famiglia. Non sembra, infatti, potersi ritenere conforme al principio di

uguaglianza, la previsione di un differente trattamento tra figlio maggiorenne e figlio

minorenne. Così come non sembra potersi ritenere sufficientemente convincente la

giustificazione della Corte costituzionale697

a tal riguardo, secondo la quale non vi sarebbe

alcuna violazione né dell’articolo 29 della Cost. it., né del principio di uguaglianza di cui

694 Le argomentazioni della sentenza de qua sembrano, peraltro, non del tutto rispondenti sia al testo unico

immigrazione (art. 28 comma 3) che alla Convenzione di New York del 1989, nella parte in cui dispongo che

l’interesse superiore del fanciullo deve essere preso in considerazione “con carattere di priorità” rispetto ad altri

interessi che, solo se eccezionalmente superiori a quello, potranno prevalere.

695 Vedi sentenze della Corte costituzionale n. 28 del 1995 e n. 203 del 1997.

696 Si ricorda come oggi l’articolo 29 del testo unico, così come modificato dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5,

prevede che ci si può ricongiungere con il figlio maggiorenne solamente quando questi sia “a carico, qualora

per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro

stato di salute che comporti invalidità totale”.

697 Vedi le più volte citate sentenze n. 224 e n. 464 del 2005.

206

all’articolo 3 Cost. it., perché non si starebbe tutelando un diritto fondamentale, qual è quello

inerente il rapporto del genitore con i figli maggiorenni.

Per ciò che riguarda, invece, il reato di immigrazione clandestina, di cui al nuovo

articolo 10 bis del testo unico immigrazione, si fa presente come questa fattispecie penale

vada ad incidere non solamente sulla condizione di clandestinità dello straniero, ma anche su

quella legata alla irregolarità, confondendo, forse intenzionalmente, le due posizioni

giuridiche in cui potrebbe trovarsi il non cittadino. Si ritiene, pertanto, che il legislatore

dovrebbe intervenire per ridimensionare la portata del reato di clandestinità, almeno nelle

situazioni in cui lo straniero, precedentemente regolare sul territorio, rimanga sprovvisto di

titolo di soggiorno698

. Ancora, dovrebbe essere rivista anche l’aggravante di clandestinità di

cui all’articolo 61 n. 11 bis del codice penale. Tale circostanza sembra essere collegata ad uno

specifico status, quello dell’immigrato clandestino. Questi viene punito in misura maggiore

per la sua condizione personale, in palese violazione del principio di uguaglianza e delle

norme di natura internazionale aventi ad oggetto il divieto di discriminazione699

. La Corte

costituzionale è stata investita di tale questione, pertanto si spera che sia questa

giurisprudenza ad indicare, al legislatore, la giusta via da percorrere.

Una considerazione, infine, sul concetto di cittadinanza e di partecipazione attiva delle

minoranze alla vita del Paese. Occorrerebbe “ripensare la cittadinanza”700

, innanzitutto, con

la previsione di una riforma della legge n. 91 del 1992, che dia più valore allo jus soli

piuttosto che allo jus sanguinis. In secondo luogo, potrebbe essere plausibile il tentativo di

disgiungere i diritti politici dalla cittadinanza ed agganciarli, semmai, al criterio della

residenza stabile sul territorio nazionale. Un criterio della residenza, non sconosciuto peraltro

698 Si ricorda, come già indicato nel paragrafo 4.5. del capitolo II, che nella nuova norma non viene prevista

alcuna esimente circa la permanenza determinata da “giustificato motivo”.

699 Vedi articoli 2 e 7 della Dichiarazione Universale, articolo 14 della CEDU e articolo 36 del Patto

internazionale sui diritti civili e politici.

700 Si prende in prestito l’espressione utilizzata da B. Caravita di Toritto, I diritti politici dei “non cittadini”.

Ripensare la cittadinanza: comunità e diritti politici. Relazione al convegno dell’Associazione Italiana dei

Costituzionalisti “Lo statuto costituzionale del non cittadino”, Cagliari, 16 ottobre 2009, in alcune riflessioni sul

tema della cittadinanza. Una cittadinanza che, secondo l’autore, non si deve fossilizzare sulle categorie

giuridiche classiche, ma si deve muovere, si deve riconoscere e si deve ricostruire attorno ai continui mutamenti

della società, della collettività, e della comunità.

207

in dottrina701

, da cui far discendere i diritti politici, sarebbe, del resto, una ipotesi

perfettamente in linea con le norme relative al fenomeno migratorio comunitario, che fanno

della residenza l’elemento chiave per l’accesso ad ogni tipo di diritto.

In un mondo moderno, auspicare questi aggiustamenti è assolutamente legittimo, così

come sono altrettanto legittime e condivisibili le preoccupazioni avanzate da quella letteratura

citata702

, proprio in merito a tali “processi di ricomposizione delle comunità”, rispetto ai quali

sembra che “l‟Italia non sia né culturalmente, né organizzativamente preparata ad affrontare

il tema dell‟(inevitabile) multiculturalismo e del meltingpot (anch‟esso inevitabile)”. Si

potrebbe aggiungere che il nostro Paese non è soprattutto pronto, da un punto di vista politico,

ad affrontare dei cambiamenti che siano all’insegna dell’inclusione e dell’integrazione,

riflesso delle società multiculturali. Le politiche dell’immigrazione continuano, infatti, a non

funzionare. Le ricorrenti norme, emanate quasi sempre con decretazioni d’urgenza, sulle

espulsioni e sui respingimenti mettono paletti sempre più alti alla tolleranza e alla

accoglienza.

Il legislatore dovrebbe, probabilmente, prendere coscienza del fatto che una

partecipazione attiva degli stranieri alla vita del Paese, darebbe loro la possibilità di assumersi

la responsabilità politica “del buon cittadino” concorrendo, insieme agli autoctoni, al destino

di quella comunità dove anche lui vive e con la quale condivide, oramai, anche le scelte

politiche. Una partecipazione degli stranieri alla gestione, anche politica, della nazione

porrebbe le basi per lo sviluppo di una società multiculturale, in cui le differenze e le diversità

sarebbero elementi di crescita della nostra comunità.

701 Vedi, tra gli interventi più recenti, G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L„esperienza italiana

tra storia costituzionale e prospettive europee, op. cit., e A. Algostino, I diritti politici dello straniero, op. cit.

702 B.Caravita di Toritto, I diritti politici dei “non cittadini”. Ripensare la cittadinanza: comunità e diritti

politici, op. cit.

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