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LA GLOBALIZZAZIONE NELLE ARTI VISIVE Gian Carlo Regalia

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LA GLOBALIZZAZIONE

NELLE ARTI VISIVE

Gian Carlo Regalia

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Prefazione

Quando, nell’estate del 1956, visitai per la prima volta la California, nel “giro tur-

istico” a cui mi ero affidato fui condotto al ranch di Wil Rogers,un eroe dei film

western degli anni venti. Era un grande bungalow in legno, decorato con gli oggetti

del mestiere del cow-boy che egli impersono, finiture per cavalli, selle, speroni, cop-

erte “indiane” ecc. In un angolo, girando, scoprii una piccola biblioteca e curiosando

fra i titoli mi attrasse un libro con una copertina di tela chiara, elegantemente rile-

gato con caratteri in oro: Autore: Wil Rogers; Titolo: Quel che ho capito del Gold

Standard, il sistema cui era legata in quell’epoca la finanza internazionale. Incu-

riosito lo estrassi e lo aprii: era composto di pagine bianche. La trovata mi divertı,

lasciando intravedere un carattere aperto, ironico anche con se stesso, sincero.

A quell’episodio ormai lontano nel tempo (ne il ranch, allora ancora molto vis-

itato richiama oggi stuoli di visitatori, come constatai nella visita che proustiana-

mente gli feci nell’85) mi e venuto istintivamente di pensare quando mi si presento

l’idea di un saggio sulla “Globalizzazione nelle arti visive”: l’onesta intellettuale mi

spingeva a imitare la scelta di Rogers, a confessare la difficolta di costruire un mio

pensiero su di un tema di attualita complesso, dibattuto da personaggi di grosso

calibro in libri, incontri e riviste con una notevole disparita di giudizi.

Ciononostante non ho creduto consono al mio carattere di arrendermi, ho fatto

qualche tentativo, le persone che li lessero – famigliari e amici – reagirono con

osservazioni amichevoli di circostanza o di disinteresse, uno affettuosamente mi disse

che non aveva capito quale obiettivo avessi.

Ho lasciato decantare le mie fantasie, sempre con davanti l’alternativa di Wil

Rogers: poi, sotto l’incalzare del tempo che passando si restringe, nonche del deside-

rio di cercare di chiarire, almeno a me stesso, le ragioni che mi hanno spinto a visitare

mostre, gallerie, leggere libri di critica, storia, filosofia, ho deciso di avventurarmi per

davvero in questa piccola impresa, sperando che il lettore delle pagine che seguono

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non rimpianga troppo Wil Rogers.

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La globalizzazione nelle arti visive 1

I - Introduzione

Nel nono capitolo del libro di J. Clifford – I frutti puri impazziscono1 - l’autore si

dedica all’analisi critica di una famosa esposizione tenuta al Moma nel 1985, con il

titolo Primitivism in 20th century Art: Affinity of the Tribal and the Modern. Il tono

della critica e sarcastico, l’accostamento di tribale e moderno non gli e congeniale:

confesso che, al principio, non ne compresi il perche. Nel quarto capitolo dedicato al

“surreale etnografico” egli infatti descrive, con abbondanza di particolari, come sia

stretto il legame fra il movimento surrealista e l’attivita etnografica che si sviluppo

all’inizio del nostro secolo giungendo a scrivere2 (p. 148): “Il surrealismo e – nel

bene e nel male – il compagno segreto dell’etnografia nella descrizione, analisi ed

estensione delle basi e del senso del XX secolo”.

Questa considerazione non mi sembra peraltro corretta e forse nell’equivoco che

essa secondo me nasconde sta anche la spiegazione dell’incomprensione dimostrata

da Clifford per il significato della mostra di New York. Come lo stesso Clifford

descrive, la coincidenza temporale della nascita del surrealismo con il fiorire di

studi etnografici, il passaggio di artisti all’attivita etnografica puo spiegarsi con una

coincidenza di focalizzazione sul “diverso” delle due attivita, quella artistica e quella

etnografica. Ma gli interessi sono fondamentalmente differenti.

L’etnografia si occupa del “diverso” per allargare la conoscenza dei comporta-

menti umani (accostandosi alla sociologia, che anche nel tempo evocato da Clifford

si dava uno statuto scientifico), spinta da un misto di curiosita e affetto, dai con-

torni “colonialisti” come sostiene Clifford nei primi capitoli del libro. Contorni che

l’etnologo cerchera di superare giungendo prima alla valorizzazione del dialogo e poi

alla sostituzione di se stesso con “il diverso”, cedendo la parola al suo interlocutore e

sforzandosi di limitarsi alla registrazione di quanto ascolta. L’obiettivo e la comuni-

1 J. Clifford, I frutti puri impazziscono, Bollati Boringhieri, 1988\19932 id.id., 1)

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2 La globalizzazione nelle arti visive

cazione il piu possibile asettica della cultura “diversa”, in linea con l’atteggiamento

riduttivo dell’uso della ragione di una parte della filosofia contemporanea.

Questo impegno etnografico puo accordarsi con l’auspicio iniziale di Clifford

per il superamento del relativismo dei valori, con il passaggio al riconoscimento

di una molteplicita di valori, che rendano vive presenze ed esperienze diverse. Alla

mancanza di un criterio oggettivo di giudizio, che cosı ne nasce, l’etnologo in quanto

scienziato si sottrae: il campo si sposta all’etica, che non fa pero parte diretta degli

interessi del mio saggio.

Per il surrealista – l’artista surrealista – la motivazione e profondamente dif-

ferente: egli si muove dalla ribellione contro l’ambiente culturale in cui egli agisce

ed il “diverso” diventa una miniera di sollecitazioni per liberarsi della tradizione in

cui e nato. L’egoismo che pesa spesso sull’origine dell’ispirazione artistica, depu-

rato solo nell’opera che vivra fuori di lui, e ben presente nella curiosita etnografica

dell’artista.

Egli vuole ridurre a se il “diverso”: l’opera di Gauguin e esemplare da questo

punto di vista. I moduli espressivi da lui adottati a Pont Haven sono “adattati” al

mondo figurativo dell’ambiente tahitiano con cui viene in contatto, per una scelta

che fu insieme di vita e di ispirazione artistica. La semplicita (apparente) della

quotidianita tahitiana fu da lui assorbita e plasmata in una interpretazione affasci-

nante del nuovo ambiente: l’utilizzo dei colori “puri” diede forma ad una concezione

dello spazio, in particolare del corpo umano, impregnato di un essenziale spirito

decorativo. I drammi che qua e la vuol rappresentare non escono dall’aneddotica

dell’etnografo dilettante, sottolineata dall’uso della lingua locale per epater les bour-

geois a cui i quadri erano destinati. Fu una felice contaminazione di culture espres-

sive lontane, che trovarono nell’artista un interprete eccezionale: la gioia coloristica

che emana dalle sue opere si giustifica con l’esotico dei temi trattati. Nasce cosı la

prima rappresentazione moderna del “diverso”, tutta pero in chiave occidentale: il

suo valore storico sta nell’immissione di una forte dose di vitalismo nel momento

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artistico complesso in cui si inserı, quando l’impressionismo si stata esaurendo e la

ricerca di Cezanne stava introducendo nuovi sentieri nelle arti figurative.

L’esperienza di Gauguin, ben precedente al surrealismo di cui parla Clifford, ne

fu pero un antefatto significativo: essa infatti traccio una strada, sia come esperienza

personale che come esperienza artistica, che indico la possibilita ai “ribelli” che,

con denominazioni “conventuali” differenti, radicalizzarono la volonta di novita, di

superamento dei limiti della tradizione figurativa dominante (nel cui solco Gauguin

era rimasto).

E storia ben nota, ripresa in piu punti del libro di Clifford, la scoperta di

Picasso delle maschere africane. In varie parti del testo che accompagna il catalogo

della mostra summenzionata e criticata da Clifford, Rubin ricorda il senso di magia

che Picasso provo nel contemplarle: “egli associo il ritorno ai fondamenti dell’arte

alla riscoperta di quella qualita magica di suscitare emozioni che egli sapeva essere

il potere inerente alle arti figurative, capacita con la quale l’arte occidentale aveva

in certo qual modo perso il contatto”. Picasso chiamo le Damoiselles d’Avignon

il suo primo lavoro di esorcista3. Ma come Rubin ricorda diffusamente, la prima

ispirazione per il dipinto venne a Picasso dalle figure iberiche viste al Trocadero un

anno prima dell’incontro con le maschere africane, i “feticci” che gli fecero esclamare

“Capisco ora che questo e cio di cui si occupa la pittura”4.

Nel primo capitolo del catalogo della mostra Rubin peraltro differenzia quanto

di tribale Picasso “utilizzo” per il suo famoso quadro dall’elaborazione cosciente

di un’interpretazione coerente della verita plastica che egli immise nella sua arte:

lo “spunto” ebbe grande valore non tanto per la forma specifica scoperta quanto

per l’apertura verso un modo diverso di “fare arte”, che gli permise il torrentizio

sviluppo che l’ha reso unico nel nostro secolo. E la ricerca di archetipi al di fuori

3 Picasso a Malraux, p. 255 del catalogo della esposizione al MOMA, Primitivism inthe 20th Century Art, New York, 1985

4 id.id. 3), p. 141

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4 La globalizzazione nelle arti visive

della tradizione figurativa occidentale che da alla sua opera l’impronta di una sper-

imentazione continua. Egli era ufficialmente un agnostico: ma il suo temperamento

lo avvicino a una concezione magica dell’arte che rispondeva al carattere di “demi-

urgo” che si era forgiata: fedele peraltro al rigoroso rispetto dello “stile” inteso come

coerenza espressiva in moduli diversi, come si manifesta nelle sue diverse “maniere”.

I surrealisti a cui Clifford si riferisce nacquero dal movimento Dada e dalle sue

diramazioni. Essi operarono in Europa e in America e l’affermazione di Clifford

citata all’inizio dovrebbe, secondo me, essere capovolta: fu l’etnografia il compagno

segreto del surrealismo, a cui fornı immagini, soluzioni plastiche e suggerimenti

espressivi. La mostra del Moma lo prova a mio giudizio al di fuori di ogni dub-

bio: per almeno buona parte degli artisti presentati. Esiste cioe una differenza

sostanziale nello spunto dato a Picasso dalle maschere africane e l’uso che delle

scoperte etnografiche, in termini di rappresentazioni visive, fecero molti surrealisti.

Ritornando all’insofferenza di Clifford per la mostra, scartata l’ipotesi di una

gelosia professionale che la statura dell’etnologo rende assurda, ricordando la sua

insistenza sul significato completamente differente per l’etnologo e, soprattutto, per

il “diverso” interessato, mi pare di intravedere una ragione su cui Clifford non si

sofferma piu di tanto. Le opere tribali hanno quasi sempre un’origine religiosa, per

cui “l’affinita” a cui la mostra si riferiva trascurava, in modo direi sacrilego per

l’etnologo, quella ragion d’essere che stava alle loro spalle e diventava una maniera

superficiale, per di piu “imperialista” (cioe calpestatrice delle individualita “diverse”

per proprio uso e consumo) di appropriarsi in modo surrettizio di “culture diverse”.

Il collegamento moderno-primitivo che la mostra voleva illustrare, visto da questa

angolatura diventa velleitario ed irritante per la coscienza etnografica. L’equivoco di

cui ho parlato all’inizio sta allora, secondo me, in un possibile doppio travisamento.

Da parte degli ordinatori della mostra nel non aver chiaramente definito che cosa

intendessero per “affinita”, la sua possibile causa e natura, al di la dell’aspetto

formale; da parte dell’etnologo in una approssimata conoscenza delle motivazioni e

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dello sviluppo, storico e formale, dell’arte moderna.

Sono cioe “discorsi” in prima battuta incommensurabili: anche se io sono con-

vinto che un’affinita in verita ci sia. Perche l’interesse per l’etnologia nello sforzo

di rinnovamento delle arti plastiche si sviluppo in concomitanza con lo sviluppo

tecnologico che dalla fine dell’Ottocento prese un andamento esponenziale. La “su-

percomunicazione”, ossia la velocita di trasmissione delle notizie, ha rotto le bar-

riere dello spazio e del tempo: il “diverso” che l’etnologia aveva considerato con le

prospettive di una separazione fisica e temporale che le permettevano di discettarne

con distacco, e diventato la presenza costante e immediata nella vita di tutti i giorni,

obbligandoci ad inserirlo nel nostro modo di essere. Da una parte siamo portati ad

assimilarlo, in un certo senso a volerlo possedere come ai tempo del colonialismo piu

spinto; dall’altra a rifiutarlo, con il rinascere di un tribalismo, che puo sfociare nelle

infauste “pulizie etniche”. Se osserviamo il fenomeno nella piu potente democrazia

del nostro tempo, vediamo come il sogno di Martin Luther King sia ancora lontano

dall’avverarsi. La valutazione delle nostre azioni in questo contesto di “villaggio

globale” ha preso il nome di “globalizzazione”, su cui esprimero in una nota a parte

le mie opinioni. E evidente pero che la dialettica sull’effetto di questa nuova situ-

azione sull’arte deve ripartire dalle considerazioni con cui ho iniziato questo saggio,

che ne costituiscono una premessa “storica” per quanto vicine nel tempo. E questa

accelerazione temporale, che fa dello ieri un passato remoto, una delle piu pregnanti

caratteristiche della nostra epoca, che nel mondo dell’arte ha significato una ricerca

convulsa di legittimazione, obbligando a un ripensamento radicale della stessa at-

tivita artistica. E all’analisi di questo ripensamento che ho dedicato il mio saggio,

conscio dell’incertezza che il sentirsi proiettati in un futuro tutto da inventare genera

in noi, che portiamo dentro il segno di un passato a cui non rinunciamo per quanto

tanto diverso nella struttura dei valori. Peraltro il diverso, entrando in noi, esalta

la fissione esistenziale che e in noi dalla nascita: aprendoci a visioni del mondo

inaspettate, ma codificate da altre culture, accentua il dibattito fra razionale ed

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irrazionale-emotivo, che presiede alle nostre scelte, di fatto facilitando quelle “deci-

sioni incontinenti” citate da Davidson5. Vorremmo allora che l’artista, con la sua

capacita di scegliere e tramandare la scelta, ci aiutasse a superare l’odierno punto

morto nella attualizzazione dei valori.

5 D. Davidson, Azioni ed Eventi, p. 63, Il Mulino 1992

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II L’effetto della “globalizzazione” sull’arte: suo rapporto con la “modernita”

A) L’anima a quota 50.000

Questa affermazione, a caratteri di forte rilievo, e apparsa di recente su di un

noto quotidiano6. Al primo momento lo credetti un riferimento borsistico, poi

un’indagine sociologica sul degrado dei costumi. Infine leggendo il testo compresi

che si trattava del numero, alla data, dei visitatori della mostra allora in corso a

Milano, L’anima e il volto.

La presentazione del giornale mi e parsa sintomatica del modo con cui il “fatto

artistico” viene usato dai “media”: l’arte come spettacolo, il cui successo si misura

nel numero degli spettatori, ipotizzando una relazione fra l’interesse del pubblico ed

il valore del “prodotto”. Se e vero che quando nel 1962 andai a visitare i monumenti

del “Barocco indiano” – ad Halebid e Belur – ero l’unico visitatore, mentre la stessa

visita nel 1982 trovo le localita colme di indiani e non, mi pare difficile senten-

ziare una modifica sostanziale nella diffusione del “piacere estetico”: mi pare invece

giusto indicare un confuso ma impellente desiderio di confrontarsi con un mondo,

quello dell’arte, che nel suo contenuto di virtualita offre spazio all’uscita del reale

quotidiano e lascia sperare nella presenza di un valore assoluto. Per i turisti indiani

la componente religiosa della visita era forse preponderante: cosı come l’orgoglio

nazionalista guidava, nel ’90, i visitatori messicani di Teotihuacan e di Montal-

ban, localita da me visitare in solitario nel ’56... L’attuale numerosa presenza di

stranieri in entrambi i casi si affianca alla sempre piu ampia presenza di artisti

extra-europei nelle mostre europee. L’allargamento dei confini culturali che accom-

pagna la globalizzazione, oltre che pellegrinaggi verso il passato sta dando vita a una

rigogliosa babele di modi espressivi, dove la mercificazione del “prodotto artistico”

si alimenta con la varieta dell’offerta, di fatto libera da condizionamenti critici7,

6 Il Giornale, p. 47, 5\12\987 E il tema sviluppato da H. Belten in La fine della storia dell’Arte, p. 51 sgg.,

Einaudi, 1990

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8 La globalizzazione nelle arti visive

per effetto dell’eliminazione di canoni per l’arte contemporanea, in cui e sfociata

la “modernita”, nata nell’Europa dei Lumi e consolidatasi nei movimenti culturali

dell’Ottocento. La sua radicalizzazione caratterizzo il nostro secolo, quando le in-

quadrature razionali a noi giunte si infransero contro la terribile realta delle due

guerre mondiali. Rottura che peraltro coincise da una parte con la secolarizzazione

del pensiero razionale, e il suo rifiuto, dall’altra ,di tener fede all’impulso rinnovatore

– centrato sull’uomo – che la ormai lontana Rivoluzione francese aveva generato.

Situazione spirituale che e caduta nel vuoto aperto dall’allargamento imprevisto

ed eccezionale dei confini del vivere, reso instabile dallo sviluppo tecnologico che e

sfociato appunto nella “globalizzazione”.

Il pensiero occidentale si trova davanti ad altre diverse e profonde concezioni

filosofiche, che aveva trattato – con pochissime eccezioni – con curiosita non dis-

giunta a sufficienza. Si “scopre” che all’incirca quando Parmenide scrive il suo po-

ema, Buddha aveva sviluppato un sistema filosofico originale ed incompatibile con i

nostri dogmi; Confucio aveva presentato la sua concezione di un pragmatismo social-

mente illuminato. Piu, che queste “teorie” guidano la vita di centinaia di milioni di

persone – mentre la razionalita occidentale annaspa in un nichilismo -esistenzialista

di variegata fattura, incapace di offrire valori certi alla nostra vita. Contro la nostra

“incertezza”8 si ergono certezze filosofiche e/o religiose, che riducono a esercizi fine

a se stessi molte preziose analisi del significato della vita e dell’arte. Si puo parlare

di “provincializzazione” della nostra attivita artistica, ripresentando in certo modo

la drammatica presa di coscienza del XVI e del XVII secolo, quando fu distrutta

la fede nella struttura geocentrica dell’universo. Forse allora ebbe veramente in-

izio il processo di “modernizzazione” che nel binario della razionalita ereditata dai

greci-latini , ci ha portato all’incertezza di oggi. Allora fu uno choc che colpı soprat-

tutto le classi colte, mentre oggi – con la globalizzazione – e diventata esperienza

8 S. Veca, Dell’incertezza, Su cio che vi e, su cio che vale,su cio che noi siamo,Feltrinelli, 1997

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La globalizzazione nelle arti visive 9

di tutti. Ho letto con interesse e passione molti dei filosofi occidentali che hanno

discettato sulla salute della nostra modernita: mi ha colpito pero come nella vita

culturale si continui a discutere senza approfondire, criticamente, la conoscenza del

mondo culturale “altro” che quotidianamente ci troviamo dinnanzi. La globaliz-

zazione dei contatti sembra vista come occasione per viaggi interessanti, oppure

per conversazione da tabloid. E anche vero che non e ancora chiaro quale sara

l’impatto di questa globalizzazione – ad esempio – sul pensiero indu o cinese, sulle

religioni relative, sull’islamismo, su quest’“altro” da noi occidentali. Ma non posso

nascondere la mia convinzione – basata sulle esperienze mie di vagabondo costrut-

tore di industrie – che l’effetto su queste civilta sara meno profondo nell’immediato

di quel che dovremo subire noi. Perche esse lo incontrano con una solidita di con-

vinzioni che noi non possediamo piu: mentre la struttura del loro pensiero – che

non si e mai basata sul principio di non contraddizione ed ha sempre mantenuto

vivo il legame spirito-corpo – li rende capaci di assorbire il “moderno” che arriva

da noi, trasformandolo secondo le esigenze culturali proprie e mantenendo la pro-

pria impronta particolare. Mi viene naturale ricordare come Gandhi seppe gestire

l’orgoglio indiano, appoggiandosi peraltro ai principi della nostra cultura politica e

realizzando la piu straordinaria rivoluzione del nostro tempo. Mentre, malgrado le

premesse marxisticamente favorevoli, il comunismo non ha scalfito che localmente

la struttura sociale dell’India.

L’esperienza cinese poi, se vista nella prospettiva storica di quelle popolazioni,

non e contraddittoria con la tradizione confuciana del buon governo centralizzante,

che aggiorna l’interpretazione dei principi e ne guida l’applicazione. Se in termini

economici e evidente l’incognita che questa immensa risorsa umana pone nei futuri

rapporti di forza, non meno alto e il potenziale peso che l’interpretazione cinese

della modernita puo avere sulla cultura mondiale. “La Cina e vicina”: anche oggi

lo slogan studentesco di trent’anni fa esprime, con un tono meno escatologico e

piu minaccioso, questa realta. Quanto al Giappone il suo balzo, in poco piu di un

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10 La globalizzazione nelle arti visive

secolo, a grande potenza economica con una struttura sociale tuttora impregnata

dei canoni della sua storia, ne fa un paradigma di una modernizzazione che ha

assorbito i metodi occidentali ma non ha ceduto finora piu di tanto alle sue lusinghe

culturali: anzi ha gradualmente affermata la sua visione estetica in occidente. Potrei

continuare con la resistenza prima e la prepotenza poi tipica dell’islamismo, la civilta

piu ferocemente attaccata ai suoi ideali religiosi, supportati da una filosofia mistica

che sta penetrando nel nostro occidente.

Quel che mi premeva era ricordare,in sintesi grandissima, quale sia lo scenario

che la globalizzazione - caratterizzata dalla trasmissione e diffusione in tempo reale

delle notizie – ha aperto all’uomo occidentale, ancora di fatto legato ai ritmi di

Ritorno dall’India di Foster. A queste considerazioni, che pongono un problema

ma non tentano di risolverlo, posso aggiungere un ulteriore dilemma. La velocita di

comunicazione ha reso piu credibile il detto Se un cane abbaia a New York, qualcosa

e cambiato a Milano. Ossia l’olismo implicito in questa battuta trova conferma o,

meglio, supporto dalla tendenza al “villaggio globale” che appare una possibile

realta. Questo olismo corrisponde ad una concezione “chiusa” dell’universo, in

cui il secondo principio della termodinamica non da speranza di durata infinita.

All’opposto, le concezioni moderne dell’espansione dell’universo rompono questa

“chiusura” e nella misura in cui il destino dell’universo si riflette in quello dell’uomo,

l’olismo, gia in crisi filosofica, viene battuto in sede “scientifica”. Al limite, se la

coscienza della coesistenza, in tempo reale, delle esistenze di milioni di uomini crea

legami incredibilmente complessi, questi non sarebbero necessariamente destinati

a risolversi in autodistruzione, ma daranno luogo ad una certa qual “coesistenza

espansiva” in cui si cerchera di allargare i confini dell’habitat e le regole del suo

utilizzo, privilegiando la conservazione della vita9.

9 Si potrebbe obbiettare “e la fine dei dinosauri? etc.”. Si puo rispondere che se un

cataclisma li ha distrutti, l’evoluzione ci ha dotati di una resilienza al destino cosmico ben

diversa (prescindendo da considerazioni religiose, che in ogni caso prevedono una “fine del

mondo”.

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La globalizzazione nelle arti visive 11

La mia tesi, insomma, e che filosoficamente parlando saremo obbligati – noi

occidentali – ad un ripensamento delle nostre risposte alle domande fondamentali

ben note10.

B)

Il ritorno di interesse per la mitologia – di cui leggo un po’ dovunque – va inquadrato

anche nell’allargamento del contesto culturale (e cultuale) in cui viviamo, a civilta in

cui il mito e ancora parte attiva della quotidianita. Ma non solo, Perche l’attuale im-

pegno filosofico decostruttivo ha lasciato scoperto il nocciolo del problema filosofico,

quelle domande fondamentali sopra ricordate. Il rifiuto della metafisica si e trasfor-

mato nell’aporia di una metafisica “implicita”11 che si estende sia al “relativismo”

sia al “buonismo sociale”12. Non essendo filosofo ma solo curioso, tenendo presenti i

limiti del mio saggio, mi sento di poter egualmente affermare, prendendo a prestito

Derrida, che la differance ci spinge ad andare indietro nel tempo, quando fra parola

e verita non c’era distacco e la verita sembrava forte, inalienabile il legame con il

mistero della vita, la sua continuita come la sua limitatezza. La morte, che noi

esorcizziamo con mezzi sempre piu (apparentemente) raffinati, era la verita nuda,

legata al linguaggio13 come ci ricorda la sillaba aum, che racchiude in se l’alito vitale.

La nascita del mito – “la parola che dice” di Heidegger – avviene intorno al seme

della volonta di superamento della morte, che animo eroi (in alcuni esempi storica-

mente esistiti), le cui gesta, secondo il processo discorsivo – analizzato per esempio

da Gadamer14- tramandato a voce e poi per scritto si coagulo in “esempi” che la

10 Vedi 8)11 R. Rorty, La filosofia dopo la filosofia, prefazione di A. Galgani, p.XXXIII,

Laterza, 198912 J. Habermas, Il discorso filosofico della modernita p. 297 sgg. (L’agire comunica-

tivo presuppone una comune volonta di accordo: il “buono” sostituisce l’egoismo)13 G. Agamben, Il linguaggio e la morte14 H.G. Gadamer, Mito e ragione, 1954 p. 163, vol.8, Gesammelte Werke, J. C. B.

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12 La globalizzazione nelle arti visive

natura speculativa dell’uomo trasformo in divinita15. E evidente d’altra parte come

l’attuale velocita di comunicazione possa rendere completamente diverso il processo

discorsivo, sia per la rapidita nella creazione di miti (vedi la vita breve degli “eroi”

dei nostri giorni) sia nella sua totale secolarizzazione, che ben si armonizza con la

decostruzione moderna. Ma il problema del mistero resta e nascono le “statue che

piangono sangue”, le visioni mistiche, per citare esempi nell’ambito cristiano: in

India ne ho ascoltate e viste altre. E la New Age16...

In altri termini, l’uomo non ha soltanto bisogno di verita razionali la cui utilita

pratica accetta, ma anche di illusioni che lo aiutino a vivere questo “esser gettato”

senza complimenti e spiegazioni. Non e l’irrazionale, ma il sentimentale che oggi fa

Mohr, Tubinga.15 Personalmente credo nella Rivelazione Divina: ma ho ritenuto giusto accettare una

logica puramente umana.16 Mi pare indubbio che la cosı detta New Age - in cui la religiosita prevale sulla

religione (New Age, E. Cheli, p. 30, Laterza, 1999) sia un terreno propizio alladiffusione dell’arte contemporanea, data la prevalenza che la caratterizza di un in-dividualismo ottimista e sostanzialmente egoista. Nell’intervento di A. N. Terrin(id.id. p. 137) egli afferma: “La New Age e figlia naturale del post-moderno e diesso porta tutti i segni ed i difetti... In questo senso la N.A. nasce da un “pastiche”culturale e religioso simile a quello che risulta dall’arte in chiave postmoderna sec-ondo Jameson, e come l’arte postmoderna e capace di creare una nuova visionepoetica e “mitopoietica” della vita attraverso un insieme di frammenti dei mondiculturali e religiosi tradizionali e dei mondi religiosi possibili, compiendo un’operadi “bricolage”, di “fai da te”. . . ”. Nella stessa raccolta di opinioni, J. Jacobelliricorda “un saggio del primo novecento in cui A. Von Gennep descrive i riti di pas-saggio come “la mossa del cavallo”, in funzione di quella condizione di “margine”che comporta uno scantonamento, una rinuncia a come si era, per prepararsi ad as-sumere una nuova identita”. Acuto infine, secondo me, il giudizio di Baccani (p.19)“. . . il riscatto dell’io e la sua elevazione non possono non suscitare comprensione einteresse a patto che non generino implicitamente una forma di auto-onnipotenzao di panacea dei mali della societa di oggi e questo l’artista contemporaneo l’hacapito molto bene sperimentadolo su se stesso. . . ”. Francamente la conclusione mipare ottimista.

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La globalizzazione nelle arti visive 13

difetto: torno cosı all”’anima a 50.000”. Ossia al bisogno di una vita emozionale

che in qualche modo soddisfi questa nostra radicata volonta di uscire dai limiti della

mortalita.

La comunicazione globale non porta a una mitologia unificata: se mai ad una

mitologia “comparata”. Proprio perche il mito ci riporta ad origini lontane che si

sentono (e si sanno) diverse, la conoscenza in tempo reale del vivere quotidiano in

realta e con modalita non unificabili, provoca sı un desiderio di un riferimento co-

mune, ma mette in piu palpabile evidenza le difficolta da affrontare se l’unificazione

dovra giungere da una libera scelta. Un compromesso certo contribuirebbe a ri-

solvere il problema: se fosse un problema dialettico, da affrontare razionalmente -

“politicamente”. Ma la diversita si manifesta come un nodo originario, legata alla

stessa struttura dell’io individuale e privato, basata su una propria storia, fatta di

esperienze personali e tradizioni acquisite. E questa barriera o, meglio, marchio che

di fatto ci portiamo dalla nascita e dall’educazione, che secondo me rende alla fine

sterile, in senso comunitario, l’azione “scientifica” della psicoanalisi, che tenta di

scioglierne il nodo ma puo solo riordinarne i capi senza cambiarne la natura. Se poi

accettassimo la inconsistenza dell’io, sostenuta da molti filosofi non solo occidentali,

sarebbe piu che mai assurdo un tentativo di unificazione di quest’inconsistenza.

Del resto restando nel campo della “mitologia” cristiana, ogni sforzo di su-

perare, per libero accordo, le divisioni che l’affliggono cozza regolarmente contro i

nuclei di credenze irrinunciabili che neppure la comune origine e riferimento riesce

ad accantonare.

In altre parole io dubito che la globalizzazione aiuti a risolvere il problema di

un riferimento morale comune: la aggiornata ed ampia reciproca conoscenza potra

facilitare l’incontro, ma anche lo scontro, perche si confronteranno le infinite ricette

dell’uso del libero arbitrio.

Ho detto riferimento morale: perche il passaggio da mitologia a religione, da questa

a morale – intesa come osservanza di regole e credenze condivise per una vita rispet-

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14 La globalizzazione nelle arti visive

tosa di se e dell’altro – lo considero un passaggio di natura consequenziale che non

fa pero parte degli interessi di questo saggio: mi limito solo a ricordarlo.

C)

La confluenza nel nostro secolo, che non porta ad una sintesi, delle esperienze

filosofiche e mitologiche prima descritte ha avuto un peso notevole nel periodo

che chiamero “Moderno delle Avanguardie”, per seguire la dizione di Danto17 che

chiamo cosı il periodo finito con il sorgere della Pop Art, seguito secondo lui

dall”’arte contemporanea”. Egli distingue il primo dal secondo perche ritiene che

le avanguardie nascano per reazione al modo di concepire l’arte nel passato (come

dissi nell’introduzione) mentre il secondo sarebbe indifferente al passato. L’effetto

dell’odierna globalizzazione sarebbe la fine delle “avanguardie”, sommerse dalla

piena di espressioni artistiche di difficile caratterizzazione. Egli la chiama “la fine

dell’arte” precisando che si tratta della fine di un certo modo di concepire e , so-

prattutto, di interpretare l’arte.

In questo paragrafo comincero ad esaminare come l’allargamento rapido e di

ampie dimensioni delle aree interessate dell’arte occidentale (che ho presentato

nell’introduzione) abbia influito sulla situazione delle arti visive a partire dalla

fine della seconda guerra mondiale. Tre movimenti principali si presentano, a mio

giudizio, nella seconda meta degli anni quaranta: l’impegno alla modifica dei mod-

elli di rappresentazione della realta; il consolidamento della visione astratta, che in

Kandinskij aveva avuto la sua piu coerente espressione; ed infine il surrealismo, in

cui erano confluiti Dada e pittura metafisica. Ho accennato nell’introduzione come

il surrealismo e (almeno) Picasso furono legati all’allargamento delle conoscenze

etnografiche. Mi pare a questo punto ricordare come Kandinskij si inserı con nat-

uralezza in questo processo. Lo studio magnifico e completo della Weiss18 spiega

17 A. Danto, After the end of Art p. 28 sgg., Princeton University Press, 199518 Peg. Weiss, Kandinsky and old Russia, Yale University Press, 1995

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La globalizzazione nelle arti visive 15

infatti come Kandinskij sia partito dalle sue esperienze di giovane etnologo di suc-

cesso e gradualmente abbia trasformata questa esperienza di un linguaggio astratto,

che ricorre nelle sue opere e come una “lingua naturale”, si modifichi figurativamente

nel tempo, mantenendo pero intatta l’impronta sciamanica che egli sentiva essere

la cifra del suo destino. Secondo me la natura di questa esperienza e fondamen-

tale per comprendere come l’evoluzione dell’Espressionismo astratto americano, che

domino gli anni cinquanta, ne fu in realta la continuazione dissacrante. Il dripping

di Pollock fu certo anche una rivolta contro la tradizione, che trovo in New York,

nel “nuovo mondo” il suo habitat culturale (e mercantile) piu adatto. Fu la prima

vittoria dell”’altro” sul nostro mondo europeo: fece diventare l’arte “occidentale”,

non piu “europea”.

Esso pero proprio per la sua dissacrazione, che distrusse una tradizione senza

possedere il retroterra spirituale che aveva, per esempio, animato Kandinskij, pose

le basi di quella confusione espressiva, legata al capriccio o fantasia del singolo senza

storia e senza tecnica, che gradualmente prese il sopravvento nel mondo attuale delle

arti visive. Accettando le definizioni di Danto, finı allora l”’arte moderna” legata

in modo “discorsivo” all’arte europea, e comincio l”’arte contemporanea”, dove

la gestualita dell’artista divenne gradualmente la cifra da cui riconoscere l”’arte”.

L’allargamento agli USA del mondo creativo dell’arte fu la premessa di quella glob-

alizzazione che ha creato il neo-manierismo attuale. Pollock non “pensava allo scia-

mano”, come Kandinskij19 ma certo agiva “da sciamano”, affascinando personaggi

come Rothko, che dopo una vita da artista “normale” divenne profeta di un rinno-

vato elementare “fauvismo”. Non e mio interesse attuale descrivere i tanti rivoli che

nacquero dalle tre esperienze sopra citate. Mi sembra pero che se l’avanguardia che

chiamero storica, nel rompere con il passato cerco di mantenere viva e attiva una

separazione fra arte e non arte, nel rispetto di se e dei fruitori, con Pollock (ed i

19 A. Danto, op.cit., p. 130

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16 La globalizzazione nelle arti visive

suoi compagni di viaggio europei20), si affermo un decisionismo estetico in cui basta

il gesto – la trovata dell’artista – per stabilire una “realta artistica”. L’opera d’arte

e il prodotto quasi di un Lucky Strike, ricordando la nascita casuale di un prodotto

famoso. Processo che trova nel “palto” di Beuys il suo triste trionfo.

Ora e interessante notare che quest’atteggiamento dell’artista trovasse nella

critica militante un supporto appassionato. L”estetica” si diffuse nelle riviste,

nei manifesti delle esposizioni, negli infiniti accompagnamenti-presentazioni delle

opere. Fino a dar vita a nuove sigle: La Pop Art dell’Art News, la Transavan-

guardia di Bonito Oliva ecc.21. Non era certo una novita, ma nuovo, secondo me,

e l’impossessamento che dell’arte fu fatto, fino a decidere che l’arte e morta, non

riuscendo a trovare un criterio “razionale” per distinguere cio che e arte da cio che

non lo e, specie quando gli oggetti appaiono eguali22. L”’aura” di Benjamin e con-

cetto troppo elastico per diventare un criterio. Esso pero indica tuttora una strada

per stabilire un orientamento: non si tratta cioe di “estetica”, che io considero un

metodo interpretativo e non fondativo, ma di retrocedere all’emozione estetica23 da

20 Ad esempio, sotto certi aspetti, Fontana21 A. Danto, op. cit., p. 12322 id.id. p.125. Da ricordare anche: N. Goodman, I linguaggi dell’arte, cap III, Il

Saggiatore, 196823 L’Emozione estetica, “Quando l’arte, gettando luce negli abissi e nei timori dell’es-

serci, lo trasfigura nella chiarezza della coscienza, che qui si accerta ad un livello di

trasparenza che non si raggiunge neppure nei piu chiari pensieri dell’essere, l’uomo, sot-

tratto all’ebbrezza della passione, ha l’impressione non solo di scorgere l’eternita in cui

tutto e annullato, ma, in essa, di essere se stesso”, Jaspers, Filosofia, p. 457, ClassiciUtet, 1978. La descrizione di Jaspers del fenomeno e letterariamente perfetta. Per-altro, le analisi filosofiche e psicologiche condotte su questo tipo di emozioni non sonoconcordi. L’ultima che conosco e il contributo di R. Bodei “Le patrie sconosciute,Emozioni ed esperienza estetica”, pp. 167-195 in Filosofia ed emozioni a cura diT. Magri, Feltrinelli, 1999. La sua e un’analisi di natura filosofica: citando Schope-nauer, afferma (p. 171): “i concetti sono gli “universalia” del post-rem, mentre lamusica (scelta come somma espressione dell’emozione estetica) da gli “universaliain re“. Bodei continua: “ammesso che vi sia del vero in questa prospettiva, come

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La globalizzazione nelle arti visive 17

cui e partito l’artista, che l’opera deve saper esprimere, toccando la sensibilita del

fruitore. Non ci sono “regole”, il critico svolge la sua funzione nell’individuare e

descrivere questa emozione, razionalizzando a posteriori, in certo modo, con la sua

particolare sensibilita il fenomeno puramente emotivo che l’ha colpito24. Tornando

alla Pop Art, Danto ne lega il successo “al decidere della gente di godersi la vita

renderla plausibile senza fare ricorso al presupposto della musica come espressionediretta della “volonta di vivere”, misteriosa essenza di tutte le cose?”. Piu avanti(p. 182) egli scrive: “L’arte e l’emozione estetica aiutano - come funzione sociale - ascontare l’importo traumatico o di eccedenza di senso che ogni vita ed ogni culturacomporta, ponendola a contatto diretto con il perturbante”, ed aggiunge (p. 186):“la bellezza e l’arte hanno mirabilmente svolto il compito di far tralucere attraversoil sensibile percezioni, emoziomi, desideri, idee e immagini dell’ulteriorita intra-mondana, rimovendo le forme fruste, smuovendo, disincagliando e decomponendo iconglomerati del quotidiano con l’introdurre un cuneo tra la familiarita acquisita eil linguaggio ancora da articolare”. A me pare che Bodei si avvicini, senza entrare,al territorio che e proprio dell’arte, in cui nasce l’emozione che puo identificarsicon l’ispirazione dell’artista. “La volonta di vivere” e infatti l’omologo contrariodel rifiuto della morte ed il processo che porta all’emozione estetica nasce da quel“Traslucere attraverso il sensibile dell’ulteriorita intramondana. . . con l’introduzionedi un cuneo tra familiarita acquisite e il linguaggio ancora da articolare”.L’emozionenon nasce “estetica”, ma lo diventa per “il surplus di senso” che l’artista le impone,sotto la spinta della volonta di superamento della finitezza umana, testimoniatodall’opera. Sotto l’impulso della emozione provata, di fronte alla realta od allespeculazioni della fantasia - che sono di tutti - l’artista va oltre e vuol trasformarlacosı da darla durare, secondo la sua capacita estetica, cioe appoggiata al sensibile,sia esso un quadro, una scultura, una scrittura.

24 Mi pare utile citare le definizioni che la Dott.ssa Pinto - sopraintendente speciale arte

contemporanea – Roma - ha scritto nell’articolo Dossier N◦ 1. Cinque chiavi per custodire

l’attualita, nella rivista L’Indice, 3\99: “la disciplina del critico dovra riacquistarequel senso di traduzione in simultanea, che sviluppa in discorso cio che nasce comeimmagine senza tradirne il senso con aggiunte improprie, ma rendendolo intelligibileanche quando l’immagine non e decifrabile senza l’aiuto di un decodificatore. Lostorico invece e colui che sistematizza l’insieme dei fenomeni e li rappresenta e lispiega nel grande quadro museale, colui che aggiorna ed arricchisce tale quadro neltempo”.

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18 La globalizzazione nelle arti visive

“ora” e non su piani diversi o in mondi diversi, in un successivo periodo storico

di cui il presente e la preparazione”. E evidente l’allusione alla fine dell’utopia co-

munista (storicamente inesatta), con il tentativo di contestualizzazione dell’arte al

modo di vivere nordamericano. Ed e questo tentativo che mi riporta alla domanda

da cui sono partito. Perche la globalizzazione e un allargamento ulteriore e ben piu

problematico al mondo intero della domanda di Heidegger citata da Danto25 “...e

l’arte ancora un modo essenziale e necessario con cui si manifesta la verita che e

decisiva per la nostra esistenza storica, o non e piu l’arte di tale natura?” Il dis-

tacco nel mondo occidentale da questo quesito si fa ancora piu profondo quando il

riferimento si allarga all’esistenza storica dei popoli che non godono – nella grande

maggioranza – di quel tenore di vita in cui l’arte puo essere un piacevole diversivo.

C’e un’ultima considerazione da aggiungere alle precedenti da me presentate,

valida soprattutto per le arti visive. Essa consiste nel ricordare la natura puramente

virtuale del loro mondo espressivo26. La rottura con l’elemento rappresentativo, che

fu la costante del passato, ha staccato da terra la visione, come fosse ora legata ad

un pallone lasciato andare a vagabondare in cielo. La ricerca – a volte scientifica –

delle motivazioni dell’espressione non legata ad imitazione od interpretazione della

Natura, del Reale, ma centrata sulla pura speculazione fantastica, che pur non puo

prescindere da elementi in qualche modo presenti nel nostro mondo,lega il suo suc-

25 A.Danto, op.cit., p. 3226 Chiarisco che questa virtualita ha un significato diverso dal “mondo virtuale” creato

dall’elettronica. In questo la virtualita e l’essenza della rappresentazione che tecnologi-

camente riproduce la visione del reale, al solo scopo di farci credere d’essere di fronte al

mondo come lo vediamo normalmente. L’oggetto che vediamo “e” per me l’oggetto reale.

Mentre la virtualita dell’opera d’arte e la dote che essa possiede di ridarci un oggetto

della visione, come sostanza dell’emozione estetica che l’ha generato. Entrambe sono “ap-

parenze”, l’una di una ricostruzione meticolosa (con mezzi elettronici) della realta; l’altra

una rielaborazione personale, in termini visivi, dell’emozione provocata dall’oggetto o sol-

lecitata dalla fantasia. Che poi la tecnologia elettronica possa diventare un “mezzo” di

espressione artistica e certo possibile (musica elettronica), anche se finora, a mio giudizio,

ancora in fase sperimentale.

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La globalizzazione nelle arti visive 19

cesso ad una ridefinizione del fenomeno “arte”: deve cioe trovare nelle sole costanti

della psiche umana la sua ragione d’essere. Le formule in voga “Tutto e arte”,

“Ogni uomo e artista” denunciano implicitamente l’incertezza nel stabilirne l’Ubi

consistam. La globalizzazione – la Supercomunicazione – ha permesso da un lato di

conoscere modi espressivi nuovi, originali rispetto a quelli “occidentali”; dall’altro

ha accentuato quella che ho chiamato la babele espressiva, iniziata, come dissi, con

il secolo quando la cultura occidentale mise in crisi la valutazione del suo passato

artistico. Senza peraltro rinunciare ad una concezione che chiamero bifronte – di

qua noi, di la gli “altri”. Il tentativo di legare il rinnovamento espressivo alla cultura

di questi “altri” – di cui ho fatto cenno nell’introduzione – ha avuto successo finche

“l’immagine” che regnava nelle arti visuali e rimasta legata ai principi rappresen-

tativi, pur acquisendo fattezze diverse dalle nostre. Ora predomina la volonta di

esprimersi senza quell’antico riferimento, sostituendo la funzione di ancoraggio alle

esperienze di tutti con la prepotenza di asserzioni assolutamente personali, accen-

tuandone la natura virtuale – di pura apparenza – simbolo di misteriose personali

verita.

In esse poi il riferimento che per me e il problema cardine dell’uomo – la risposta

al mistero della morte – pare assente o viene personalizzato fino all’incomprensione.

Le soluzioni che vengono presentate sono come parole di un linguaggio sconosci-

uto – “privato” – a cui possiamo dar credito per cortesia di spettatore, ma senza

partecipare alle emozioni che pure debbono averle generate. Il “silenzio” ricordato

da Gadamer27 che accompagna chi visita queste opere e reale ed opprimente. Ad

esso si aggiunge il linguaggio ermetico di chi tenta di aprirci alla loro visione28. La

27 H. Gadamer, op.cit. p. 305 sgg.28 Mi permetto di citare qualche descrizione - fra le tante – che richiede uno sforzo par-

ticolare per essere capita: N. Gramaccini I Catalogo Biennale 1999, p. 6, a propositodi un ritratto (molto bello) Silvia di F. Gertsch: “Spesso si e fatto riferimento allaqualita meditativa dei quadri di G. I grandi formati, la compattezza delle com-posizioni, la sospensione auratica dei motivi il silenzioso luogo medio fra arte e

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20 La globalizzazione nelle arti visive

supercomunicazione - che ha allargato il vivaio delle nostre emozioni – si e dispersa

in modi di esprimersi che possono essere compresi solo da iniziati: la funzione so-

ciale dell’arte, magnificata negli anni del comunismo trionfante (dagli esiti artistici

peraltro modesti) ha perso significato: dopo l’euforia della Pop Art29 siamo arrivati

al “decisionismo artistico”30 sopra citato, dove l’immagine non ha una propria au-

torevolezza ma e schiava dell’egocentrismo dell’artista.

natura, tutto cio suscita nel pubblico una tensione chiaramente psicosomatica etc.Meglio: I. Tomassoni, id. p. 66, a proposito di De Dominicis “Alleggerita la portatadell’antinomia tra volonta e necessita, intuizione e realizzazione, predestinazione edalea; ritenuto fatuo ogni esercizio ermeneutico sull’arte, l’opera di D. D. trascendela filosofia e il libro, cresce prodigiosamente su se stessa avvitandosi sulla condizionefataledella sua ontologia”.

29 Secondo me la Pop Art di Wahrol, Morris ecc. rappresenta una ripresa deltema “Natura Morta”, con l’uso di un diverso linguaggio visivo, in un ben diversoambiente culturale. La Supercomunicazione ha la sua parte nell’imporre all’artistala scelta di un modo espressivo diretto, senza le finezze psicologiche delle “naturemorte” del passato. Gli Europei Pop si distinguono perche inseriscono talvolta unelemento di giudizio morale, come era sottinteso nelle piu significative opere delpassato. Per esempio, Hamilton in un suo quadro riferito alla guerra del Golfo,assieme a libri di guerra domina una grande televisione accesa sul paesaggio delKuwait, con presenza di carri armati e bandiere: ma dal fondo apparecchio televisivogocciola un sottile strato di sangue. D’altronde la espressione inglese Still Life, adifferenza di quella italiana “natura morta”, indica uno stato di contemplazione, diarresto momentaneo per farsi osservare, pur mantenendo intatta la propria implicitavitalita. Tali sono gli oggetti della Pop Art: la dissacrazione dello sguardo rispettoagli antichi modelli fiamminghi, ne aumenta la presa visiva, li inserisce nella vitacomune di tutti i giorni, con uno stacco che non li isola ma ne fa un riferimentoimmediato e senza problemi.

30 “Decisionismo artistico”: ho usata questa espressione per indicare il comportamento

di un artista, a cui in ogni caso compete la scelta fra tante opzioni di azione possibile,

che opera questa scelta “solamente” al fine di evidenziare la propria personalita. L’opera

diventa cioe non una proposta di avvicinamento al suo mondo offerta alla contemplazione

degli altri, ma una sottolineatura soltanto del suo egocentrismo, una pretesa di assoluto

basata su se stesso.

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La globalizzazione nelle arti visive 21

D)

Ho cercato di presentare nei paragrafi precedenti un sintetico panorama della tem-

perie artistica e culturale in cui oggi si muove, secondo me, l’arte, quella visiva in

particolare; nonche dei fermenti nuovi che la globalizzazione ha introdotto. Peral-

tro nel suo bello studio sulla crisi dell’architettura europea31 Gregotti distingue fra

cosmopolitismo e globalizzazione. “il primo presuppone la conoscenza e lo scam-

bio, il secondo l’omogeneizzazione fra le culture: cioe la fine dello scambio. Il

cosmopolitismo richiede l’esistenza di tradizioni e la necessita della loro interco-

municazione, il secondo il loro annullamento”. E chiaro che queste definizioni, se

accettate, imprimono sulla globalizzazione un marchio che chiamerei “colonialista”,

essendo inevitabile che cosı concepita la globalizzazione assuma l’aspetto di una

nuova ideologia, nata dalle ceneri della vecchia, e come ogni ideologia insofferente

degli ostacoli che si frappongono al suo affermarsi, in vista (al solito) di un futuro

migliore.

L’elemento che la guida e un liberalismo di tipo economico, che puo essere a livello

planetario una rivisitazione della “mano invisibile” di A. Smith, che la supercomu-

nicazione – la possibilita cioe di vivere in tempo reale gli avvenimenti del villaggio

globale (a cui si pensa sia destinato il nostro mondo) – ha reso immaginabile: nonche

realizzabile, finora in misura modesta. Ritornando alla domanda di Heidegger, essa

dovra riferirsi quindi al quesito se la globalizzazione avra buon gioco anche nel

campo delle arti, di quelle visive in particolare, nonche in quello della cultura in

generale. Ossia se il fenomeno globalizzazione portera a una omogeneizzazione delle

manifestazioni artistiche a livello mondiale, trasformando gradualmente il linguag-

gio visivo – le immagini – in un idioma artistico universale, offrendo cosı uno sbocco

riordinatore alla confusione che ho prima illustrata.

31 V. Gregotti, L’identita dell’architettura europea e la sua crisi, Premessa, Ein-audi, 1999

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22 La globalizzazione nelle arti visive

Che l’ immagine possa avere questo ruolo, in linea di principio e certo pos-

sibile. La psicologia junghiana ha dato una base “scientifica” a questa possi-

bilita. Gli archetipi sono di fatto immagini che accomunano le origini psicologiche

dell’umanita32. Non occorre un vocabolario per comprendere una immagine, almeno

in prima lettura, lo sviluppo clamoroso del visivo nelle arti occidentali dal Rinasci-

mento in poi ha accompagnato la formazione della coscienza europea moderna.

Gli scambi di modi figurativi, dopo l’omogeneizzazione di Bisanzio, hanno dato

sostanza e forza allo sviluppo delle varie “scuole”: accentuando pero, nel pluralismo

delle soluzioni adottate, un cosmopolitismo dell’immagine che non ha cancellato

le differenze. E anche vero che la storia dell’arte ha definiti periodi in cui queste

differenze si sono attenuate: i termini “arte romanica – gotica – rinascimentale

– barocca ecc.” sono espressioni di una omologazione europea a canoni general-

mente accettati. L’omogeneizzazione non ha precluso lo sviluppo di modi diversi di

concepire e rappresentare l’espressione artistica: ed e la ricchezza di questa storia

che oggi subisce una crisi di identita, nel passaggio che si e verificato dall’europeo

all’occidentale al mondiale, passaggio che la globalizzazione ha riassunto in se per

definizione. Il grande fiume dell’arte europea, formatosi dai tanti affluenti delle sue

etnie, e sfociato nell’oceano delle culture artistiche mondiali, che copre e lega tante

aree diverse della terra. La sua particolare ricchezza espressiva si stempera e diluisce

in una massa ancora indefinita di idiomi linguistici che ne disperdono le origini e

la forza. L’arcipelago europeo – secondo la definizione di Cacciari – ha preso co-

scienza dell’esistenza di grandi continenti che ne avevano alimentata la vitalita, fino

ad un passato recente, e che ora giocano per proprio conto. Almeno nelle inten-

zioni: perche e indubbio che le connotazioni europee delle arti visive sono sempre

fortissime a livello mondiale. Ma la domanda su di una futura omologazione che si

caratterizzi al di fuori di queste impronte europee e diventata lecita. L’esperanto

32 C.G.Jung, L’homme et ses symboles, p. 67, The Senefelder Printing Co., Ams-terdam, 1964

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La globalizzazione nelle arti visive 23

dell’immagine e l’anonimicita del denaro paiono destinati ad aiutarsi e compren-

dersi a vicenda. La formazione di un mercato mondiale dell’arte e supportata poi

dallo sviluppo esponenziale delle attivita museali33 che hanno ridotta l’importanza

della committenza privata, che non incarica piu ma compra rifacendosi alle indi-

cazioni ed alle valutazioni offerte dalle innumerevoli esposizioni di ogni genere. La

formazione del “gusto” di kantiana memoria punta alla moltiplicazione dei fruitori,

potenziali acquirenti, non alla loro educazione e selezione. La riproduzione mecca-

nica dell’opera d’arte ha offerto un mezzo potenzialmente economico di diffusione,

dando spazio crescente all’arte fotografica, alla stampa, ai “multipli”. Le vecchie

corporazioni degli artisti sono sostituite dall’artista singolo, piu o meno patrocinato

da gallerie e musei. O le botteghe sono diventate “fabbriche alla Wahrol”, l’opera

d’arte si svilisce in “prodotto”, gestita con il marketing degli articoli di moda, por-

tato a premiare la novita sulla serieta professionale. L’oceano della mia fantasia

precedente e sempre agitato, la decantazione di una “maniera” e disturbata dal

pullulare di opzioni espressive inaspettate. Ci si puo quindi domandare quale sara

il risultato di questo ribollire di attivita artistiche o catalogate tali, se i fermenti

che le producono si acquieteranno in un’unica cultura, se la definizione di Gregotti

citata all’inizio di questo paragrafo sara confermata dai fatti.

E)

Ho descritto nell’Appendice i tre momenti da me scelti per illustrare con le opere

il percorso verso questo “decisionismo” nella sua versione contemporanea La mia

33 Mi pare interessare ricordare la proliferazione irresistibile, secondo forme diverse, della

costruzione di Musei. Essi nacquero dalla spinta di esigenze che anticipavano l’odierna feb-

bre di acculturazione dall’altro. Dai severi monumenti voluti dalla mentalita positivista

(vedi articolo di M. Haerdter nell’Introduzione alla mostra di Berlino Die alteren Moder-nen, in Appendice I) si e giunti alle costruzioni moderne intese sopratutto a renderleavvicinabili e vivibili, con soluzioni architettoniche a volte straordinarie, Beaubourg,Guggheneim Museum di Bilbao ecc)

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24 La globalizzazione nelle arti visive

analisi pero si e finora posta sostanzialmente dal punto di vista del fruitore e, parzial-

mente, del critico. Ma ho trascurato quello dell’artista: o meglio, lo “presume” a

partire dalle mie valutazioni e dalle interpretazioni dei critici. La vastita delle “of-

ferte”, la loro urgenza nel proporsi con ogni mezzo, usando le opportunita tecnico-

mediatiche consoni alla singola volonta espressiva, la serieta dell’impegno di fantasia

ed intelligenza che traspare dalle opere presentate, apre un dibattito fra la loro pre-

senza e la ricezione difficile che trovano. Perche il silenzio di Gadamer o il rifiuto di

J. Clair34 l’ironia di R. De Grada35, citando i primi “rifiuti titolati” che mi vengono

in mente? Perche non appare un indirizzo espressivo che, a grandi linee, riassuma

e guidi questa grande kermesse artistica?

Ritengo necessario a questo punto rifarmi a quelle che considero le origini delle

opere d’arte, cercandovi una spiegazione che si basi sulla realta e sulla natura di

queste innumerevoli presenze di volonta estetica.

a) Nel saggio di A. Larcati36 su “F. Schegel e il postmoderno” l’autore esamina

le idee espresse da E. Behler sulla teoria della modernita rintracciabile in Schlegel.

L’idea della “perfettibilita infinita” consente di “valutare ogni opera d’arte ed ogni

epoca nella sua individualita e storicita”. Behler evidenzia la presenza nell’opera di

Schlegel della crisi dei tradizionali “recits estetici e filosofici” nonche il suo trovarsi

all’interno di un movimento “decentrato, aperto, il cui futuro non e determinabile...”

Inoltre i testi che noi sottoponiamo a interpretazione, le opere d’arte, sono ermeneu-

ticamente inesauribili, ma non per la difficolta di rendere consci gli elementi inconsci

della produzione artistica, bensı perche noi alla verita siamo destinati a non arrivare

mai. Nella conclusione Behler accetta la radicalizzazione dell’autonomia della sfera

estetica e “l’istituzionalizzazione della fantasia” nel senso dell’Art pour l’Art.

34 J. Clair, Critica della modernita, Allemandi 198335 R. De Grada, “Adesso e l’elefante che dipinge”, Corriere della Sera 14/6/99, p. 3336 A.Larcati,”F.Schlegel e il postmoderno”, in Studi di Estetica, 6, 1992, pp. 99\106,

Mucchi.

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La globalizzazione nelle arti visive 25

Larcati si rifa in questo punto a Franck37, che difende il progetto “romantico”

di Schlegel, le implicazioni sociali che comporta il privilegiare la dimensione mitolog-

ica e religiosa dell’arte, perche essa rappresenta un modo affrontare l’esperienza “di

alienazione e di isolamento del singolo in una societa disgregata, dominata dal prin-

cipio dell’interesse: cosı come cerca, attraverso la funzione comunicativa, coesiva

e fondante dell’opera d’arte di compensare il deficit di legittimazione che grava, a

tutti i livelli, sull’intelletto analitico e razionalista”.

Ho scelto questa citazione per stabilire il percorso che intendo seguire per cer-

care una risposta agli interrogativi sollevati prima. Accettata l’impossibilita di

giungere alla Verita, constatata la forte natura di Art pour l’Art di tante opere con-

temporanee, resta da valutare la “dimensione mitologica e religiosa dell’arte visuale

moderna (con le conseguenze indicate da Frank)” inserendola nel mio tentativo di

ermeneutica del contemporaneo. Ho gia accennato all’odierno rinnovato interesse

per il mito, che puo vedersi come un “imbarbarimento della nostra societa38“ oppure

come una rappresentazione – fuori del tempo – della struttura psichica umana.

Cerchero allora di individuare gli elementi “mitopoietici” che penso presenti nella

attivita artistica moderna. Innanzi tutto una pervicace volonta di “nuovo”. Il

rifiuto del passato delle “avanguardie” non e lo stimolo di questa volonta: ma la

spinta forte e costante dell’innovazione tecnologica, che ha rinverdite le speranze nel

“Progresso”, sotto l’eccitazione provocata dalle dimensioni del mercato veramente

globale anche in questo campo dell’attivita umana. Questa volonta si concentra sui

mezzi nuovi a disposizione, che permettono di soddisfare questa volonta in modo

semplice, trasferendo al mezzo molto del compito di realizzare la propria ispirazione.

Siamo grossolanamente e paradossalmente nello spirito aristotelico dell’arte come

scoperta del meraviglioso, offerto dalla dinamica espansiva delle tecnologie.

Il secondo elemento e la convinzione di un diverso valore del tempo, sotto l’influsso

37 id id., M. Frank, p.10538 id id. J. Habermas.p. 104, op.cit., nota 12

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26 La globalizzazione nelle arti visive

della velocita che e l’essenza della supercomunicazione. L’effimero e diventato un

modo di essere giustificato dall’incertezza dell’esistere moderno: il trionfo della

“Moda” nell’abbigliamento ne e un sintomo indicativo, che la porta nel sancta

santorum dei musei d’arte moderna. Installazioni ed happening ne esprimono in

modo esemplare le esigenze.

Un terzo elemento – legato al secondo – e la nuova concezione dello spazio, che

tende a sovrapposizioni giustificate dall’illusione di ubiquita che la supercomuni-

cazione produce. E una sensazione di potenza, il poter concentrare in un solo punto

l’universo: essa di fatto rende arbitrari i contorni delle cose39 “apre” verso una

illimitatezza che puo passare per infinito, autorizza l’impegno a presentare realta

diverse e concomitanti (mi pare sia l’uso piu diffuso dei Video).

Un quarto elemento infine e la gia citata formula “tutti sono o possono es-

sere artisti”, conseguenza sottile dei primi due elementi citati. Il nuovo-effimero

ha nell’individuo in quanto tale il suo supporto ideale, per la transitorieta del suo

essere e la sua contemporanea unicita, che si trasmette nella sua azione. Nonche per

il naturale rifiuto del destino uniformizzante che la globalizzazione minaccia. Ri-

fiuto del comunitario, esaltazione dell’agire immediato, immersione nel tecnologico

guidano questa nuova mitologia, che accettando le definizioni di L. Coupe40 io vedo

come l’unione dei miti della creazione e dell’Eroe: la chiamero “Mitologia del Super-

moderno”, per darle un nome che non la confonda con i tanti miti della modernita

nati negli ultimi due secoli.

Ma se e vero che questo mito della Supermodernita – con gli ingredienti schizzati

– anima oggi l’attivita degli artisti, dov’e l’arte? Quando De Maria copre di paletti

il deserto per attirare i fulmini ed obbliga lo spettatore ad una lunga permanenza

per immedesimarlo nel suo gioco (che mi permetto di chiamare perverso), non fa

arte, ma realizza una moderna stregoneria. La “magia dell’arte” non va confusa

39 Il futurismo italiano, specie Boccioni, anticipo questi temi.40 L.Coupe,Il Mito, Donzelli, Roma 1999

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La globalizzazione nelle arti visive 27

con la “magia tout court”. Kandinskij si ispira alla prassi degli sciamani siberiani,

ma trasforma il loro “linguaggio” in segni che ne esprimono l’implicita volonta

di superamento del proprio limitato orizzonte: l’impronta sciamanica resta un’eco

lontana, come un tema su cui innestare innumerevoli variazioni, sgorgate dalla sua

capacita emotiva, annullando nell’opera le particolarita dei riferimenti “magici”.

Nel suo colloquio con Balthazar sulla demitizzazione - applicata da Balthazar

ai “miti” del Cristianesimo – Jaspers ridefinisce il mito “come un linguaggio fatto di

immagini di intenzioni, di rappresentazioni, in figure ed eventi che hanno un signi-

ficato sovrasensibile”41. Egli continua precisando che “nel mito non si ha a che fare

con una realta empirica, nel senso di una realta investigabile nel mondo. Si tratta

piuttosto di una realta nella cui rappresentazione non sussiste originariamente la

coscienza della divisione fra realta empirica e sovrasensibile”. L’arte diventa allora

tale quando questa divisione si compie, quando l’artista la stacca dal rito, dalla

funzione di ricordo sacrale dei fatti oggetto del mito, sotto la spinta dell’emozione

che ho chiamata estetica42. L’artista non e ne lo stregone ne il sacerdote: la con-

fusione dei ruoli e secondo me la ragione dell’odierno caos espressivo. Quando

“l’artista” ci presenta un happening, in realta esegue un rito della modernita, non

da alla luce un’opera d’arte. Quando il suo impegno e creare “oggetti interattivi”,

attirando lo spettatore “nell’opera”, non fa arte ma celebra un rito gioioso della

modernita. Quando lo spettatore calpesta i fili dell’impianto di Perry Hoberman

(vedi l’appendice) non diventa artista, ma solo gioca con il rito della modernita.

Con buona pace dell’assessore Verga (vedi sempre l’appendice), lo spettatore puo

uscire dalla contemplazione e distrarsi con i giochi eleganti preparati dagli “artisti”

di Techne: ma tutto questo non ha a che fare con l’arte. Almeno fino a quando

l’arte restera quell’attivita umana capace di creare lo speciale tipo di emozioni de-

41 K. Jaspers, R. Bultman, Il problema della demitizzazione, p. 167, Morcelliana1995

42 Vedi nota 23

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28 La globalizzazione nelle arti visive

scritte in modo esemplare da Jaspers42 rispondendo in modo positivo alla domanda

di Heidegger ricordata prima.

Citando ancora Jaspers43 “Oggetto e soggetto si coappartengono. Io chiamo

questo fenomeno fondamentale del nostro essere, della nostra coscienza e della nostra

esistenza possibile reciproco abbraccio”44. Alla coscienza in generale, a questo “io

penso”, appartiene l’oggettivita valida della conoscenza scientifica, di cui si alimenta

il punto di vista collettivo della coscienza dell”’io penso”, all’esserci appartiene

l’ambiente, alla liberta dell’esistenza la Trascendenza”.

A me pare che molta dell’attivita artistica prima descritta si svolga sotto l’egida

del “reciproco abbraccio” di Jaspers. Di qui l’invito ad immedesimarsi nell’opera,

fatta capace di fisica interazione, che da sola dovrebbe produrre l’emozione artis-

tica (e la nota empatia fra soggetto contemplante ed oggetto contemplato): ad esso

tende “il rito” eseguito dall’artista. Ma si confonde l’effetto con la causa. Perche

l’emozione artistica e una emozione capace di tradursi in opera d’arte per virtu

dell’artista: e trasmettersi al fruitore. L’artista vuole che l’emozione da lui provata

– quella che viene chiamata “ispirazione” – superi la limitatezza del tempo che le e

propria, possa durare nell’opera, che a sua volta rinascera nel fruitore, secondo la

di lui particolare natura psichica. In questo processo, la “liberta dell’esistenza” –

la libera scelta dell’artista – “si traduce in Trascendenza”, destinata a durare nel

tempo, rinnovandosi nella contemplazione del fruitore. Il comprendere originario

dell’artista diventera “il comprendere il compreso del fruitore” (o del critico). Ma

l’arte non e una comprensione razionale, ne una immedesimazione di tipo mistico.

Nel suo saggio Il sacro selvaggio R. Bastide45 descrive “l’intuizione mistica come...

una esaltazione magnifica dell’essere, il sentimento di una pienezza di vita che vi

43 Vedi nota 41, pag.18244 La parola tedesca, rimasta tale nella traduzione di R. Ballanti, e Umgreifende:

ho preferito tentare una traduzione che permetta la lettura senza peraltro tradire“troppo” il pensiero di Jaspers.

45 R. Bastide, Il Sacro selvaggio, p.14, Jaca Book, 1977

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La globalizzazione nelle arti visive 29

solleva al di sopra del mondo terra terra... percio essa non e, nei santi del Cris-

tianesimo, differente dall’intuizione degli artisti o da quella dei saggi “che un giorno

hanno sentito scorrere in se la vita universale”. Ora se l’emozione artistica e assim-

ilabile a quanto descritto da Bastide, essa produce pero la volonta di fissare questo

“scorrere in se della vita universale” nell’opera d’arte, per superare quella coscienza

di limitatezza esistenziale che e l’angoscia dell’artista. E la cosiddetta “sindrome

di Sthendal” consiste46 nella perdita dei riferimenti normali per effetto della con-

templazione prolungata o d intensa dell’opera d’arte. Perdita che generalmente ha

durata limitata: fin quando si dissolve la sensazione di potenza che l’aver sentito

superati i limiti della nostra mortalita ha generato in noi.

Perche il sacerdote diventi artista occorre che egli scenda dall’altare e la ripe-

tizione del rito – che si serve di oggetti per la sua realizzazione – si distanzi dal suo

significato religioso – rivelato – originario – ricrei un riferimento terreno alla volonta

di stabilire un rapporto duraturo con lo scorrere eterno della vita universale citato

prima47. E la durata, non la transitorieta il segno dell’opera d’arte. Il rapporto

di empatia non confonde le individualita, ma offre la base per ritrovare nell’opera

d’arte l’originaria emozione dell’artista, in tutta la sua virtualita. Ed e la verita di

cui parla Heidegger che da un valore ontologico all’opera. Una verita con la v minus-

cola rispetto a quella irraggiungibile con la V maiuscola, frutto della relativita del

46 G. Magherini, La sindrome di Stendhal, p. 139 sgg., Feltrinelli 199247 La stragrande maggioranza delle opere d’arte antiche, fino almeno al Rinascimento,

erano nate da esigenze rituali: la commissione veniva all’artista dall’ambiente legato alla

religione ed egli agiva con attenzione alle regole imposte dal comittente, religioso in senso

lato. Esse divennero gradualmene solo un riferimento per la fantasia dell’artista, che

seguiva il suo istinto creativo affidandosi alla sua sensibilita per la ricerca di una originalita,

che staccava chiaramente l’opera dalla pura funzione rituale e trasformava l’emozione da cui

era stata ispirata in opera capace di durare indipendentemente dal suo significato religioso.

Quando ad esempio ammiriamo le Madonne di Raffaello, la loro funzione rituale e per lo

meno in sordina: e l’elegante raffinata originalita delle soluzioni formali e coloristiche che

ci avvince.

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30 La globalizzazione nelle arti visive

“nostro” mondo. Essa non ci impedisce di tentare la trasfigurazione del reale o delle

nostre fantasie, nel tentativo di uscire dai vincoli dei limiti mortali dell’esistenza,

per cercare di raggiungere o almeno raffigurare un assoluto. Nel suo libro Vita e

morte dell’immagine48 R. Debray apre il primo capitolo con una affermazione che

ne costituisce il programma: “la nascita dell’immagine e strettamente connessa alla

morte. Ma se l’immagine arcaica scaturisce dalle tombe e per un rifiuto del nulla

e per prolungare la vita. La plastica e terrore addomesticato. Ne consegue che

piu si cancella la morte dalla vita sociale, meno viva e l’immagine e meno vitale

risulta il nostro bisogno di immagini”. La mia tesi e appunto che la crisi odierna

dell’immagine, il suo disperdersi in effimere rappresentazioni, in giochi di fantasia,

sia legata alla confusione dei ruoli fra sacerdote ed artista, inconscia reazione alla es-

orcizzazione della morte cui si dedica la maggior parte dell’attivita umana odierna.

Sotto questa luce puo essere anche visto il discusso aspetto artistico delle “opere

primitive”49 che la morte hanno sempre dentro di se, come volevano i rituali per

cui sono state create, da cui le distacca la nostra disincantata contemplazione.

L’arte ha bisogno di essere liberata dalle sovrastrutture rituali che ora l’impri-

gionano. La “nuova estetica” di cui si parla come di una guida per uscire dal caos

odierno non puo indicare la strada per questa liberazione. Essa la codifichera -

temporaneamente – solo dopo che gli artisti l’avranno trovata, com’e sempre suc-

cesso. Deve quindi cessare quell’idolatria dell’artista50 che ha oggi quasi sostituito

l’ammirazione per l’opera d’arte. Fra la “magia dell’arte” di Goya ed il “decision-

ismo idolatra” di oggi c’e la differenza fra uno sguardo aperto sul mondo - guidato

dalla coscienza delle proprie origini e dalla capacita di trarne l’elemento necessario a

proporre la propria visione, con una implosione sentimentale che sappia frugare nella

propria sensibilita per estrarne le vibrazioni essenziali, il palpito vitale che reagisce

48 R. Debray, Vita e morte dell’immagine, p.54, Ed. Il Castoro 199949 Vedi Introduzione50 A. Danto, op.cit., cap. 11

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La globalizzazione nelle arti visive 31

al proprio destino – e l’autoelevazione, sulla propria presenza storica, a paradigma,

per fare delle proprie azioni il monumento a se stesso, nel rifiuto sostanziale degli

“Altri”. E un travisamento comodo del “superuomo” di Nietzsche, lontano ad es-

empio da una sua recente lettura51 come ermeneutica della vita: non vedo come

la globalizzazione possa accettare questo artista superegoista con la presunzione –

forma inconscia di quella ritualita da me descritta. Esso sara disintegrato dall’urto

con la diversa realta con cui dovra confrontarsi.

51 G. Figal, Fur eine philosophie von freiheit und streit, p. 158, J. B. Metzler,Stoccarda 1994

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32 La globalizzazione nelle arti visive

Conclusione

Le descrizioni e le analisi da me fatte mi pare portino a pensare che nell’epoca

della globalizzazione nel campo delle arti visuali si vada verso un cosmopolitismo –

come descritto da Gregotti – piuttosto che verso la globalizzazione da lui indicata.

La stessa insofferenza che si va manifestando verso questa nuova ideologia dice che

l’omologazione culturale e lontana, se non impossibile. Come del resto io ritengo

auspicabile, per rispetto verso il destino insopprimibilmente singolare dell’uomo.

Credo sia allora interessante ricordare una presa di posizione di Clifford – da me

criticato nell’introduzione – che mi pare riassuma la situazione del mondo culturale

contemporaneo, di cui l’arte e elemento essenziale52

“E troppo presto per dire se questi processi di cambiamento sfoceranno in una

omogeneizzazione culturale globale o in un nuovo ordine della diversita. Il nuovo

puo sempre sembrare monolitico rispetto al vecchio... Inoltre, se vanno tenuti in

sospeso tutti i modi di pensiero essenzializzanti, allora dovremmo cercare di pensare

le culture non come processi organicamente unificati o tradizionalmente continui ma

piuttosto come processi negoziali in atto”. Nel seguito del saggio egli esprime per-

altro un dubbio palese sulla categoria “cultura” come caratterizzazione di “gruppi

comuni” differenziati fra loro nel modo di concepire le costanti principali del vivere...

Qualsiasi fede residua nella cultura – cioe nella persistente capacita dei gruppi di

produrre una differenza reale – e essenzialmente una scelta idealistica, una risposta

politica all’eta presente in cui, come scrisse Conrad: “ci troviamo accampati come

trasecolati viaggiatori in un albergo sfarzoso, sempre insonne”53. Nella conclusione

del saggio si domanda:” Che cosa significa, sul finire del XX secolo, parlare come fa

Aime Cesaire di un “paese natale”? Quali processi, anziche essenze, sono implicati

nelle esperienze attuali di identita culturale? Che cosa significa scrivere “come”

un palestinese?... “come europeo”?... A partire da quali distinti insiemi di risorse52 J. Clifford, op.cit., p. 31353 id.id., p. 315

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La globalizzazione nelle arti visive 33

culturali un qualsiasi scrittore o una qualsiasi scrittrice moderni costruiscono il loro

discorso? A quale pubblico mondiale (e in che lingua) sono nella maggior parte

dei casi indirizzati questi discorsi? Deve almeno l’intellettuale, in un panorama

di alfabetizzazione planetaria, costruire un paese natale scrivendo come Cesaire il

taccuino di un ritorno?”54.

Sembrerebbe che Clifford esorcizzi l’origine stessa del pensiero etnologico, che

delle diversita delle culture fece la sua ragion d’essere: trasformandolo in una “nos-

talgia del passato”, con l’implicito abbandono della speranza di un futuro definibile.

Personalmente, proprio per il riferimento al passato, credo che queste differenze

di gruppo continueranno ad esistere. La radicalizzazione eccessiva odierna, che vuol

costruire una diga contro la globalizzazione come ideologia, esaltando il “decision-

ismo artistico”, staccato dal passato, finira per esaurirsi sotto la pressione critica

dell”’Altro”, che non puo dare spazio alle “Torri eburnee”. La “cultura di Internet”

come dice il suo stesso nome55 dara nuovo lustro alle individualita artistiche che

accetteranno l”’altro” con le sue idiosincrasie culturali, vivendo il comune legame

di umanita mortale “raminga sulla terra”. La supercomunicazione, nell’offrire la

conoscenza della vita di persone diverse, lontane da noi in ogni senso, ci indica nella

tolleranza il modo di affrontare, senza distruggerci, questa diversita: in termini

artistici essa puo diventare una comune pietas, nel rispetto della propria identita,

costruendo una risposta positiva alle domande di Heidegger da cui sono partito. La

differenza veramente determinante fra la nostra epoca e le precedenti e l’ampiezza

su cui si muove l”’offerta artistica”. Se l’opera d’arte contiene in se una briciola di

potenziale eternita, credo che tocchi all’artista, nel tener fede alla propria identita,

esprimersi cosı da aprire la strada alla contemplazione partecipe dell’altro56.

54 id.id., p. 31655 Inter-Net: rete di collegamento.56 Mi pare interessante il caso descritto da Danto, op.cit., p.212, del Most Wanted

Painting: due pittori russi, fuggiti negli U.S.A. prima della perestroika, ebberol’idea di fare “una ricerca di mercato” su quale fossero il soggetto ed il modo di

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34 La globalizzazione nelle arti visive

Appendice I

Ho pensato possa essere utile indicare un riferimento alle mie considerazioni sull’arte

visiva contemporanea: ho scelto allora tre esposizioni, fra le innumerevoli dedicate

all’argomento, che mi pare possano sintetizzare l’evoluzione recente dell’attenzione

dedicata al soggetto da me scelto. Non si tratta di un’operazione di critica puntuale,

ma del tentativo di offrire un panorama di tre momenti successivi del processo di

“globalizzazione nell’arte”.

1) La prima esposizione considerata e quella denominata Die Anderen Modernen che

si tenne a Berlino nel 1997, alla “Casa della Cultura del mondo”. Essa aveva come

sottotitolo “Arte contemporanea dell’Africa. Asia ed America Latina” e presentava

una trentina di artisti che avevano gia esposto nei loro paesi d’origine, da soli o

partecipando ad esposizioni di gruppo. In alcuni casi anche in Europa o negli USA.

Nelle intenzioni dei curatori essa aveva un chiaro intento polemico. A. Hug infatti,

dopo aver ricordato, nell’introduzione, il “debito” dell’arte occidentale nei confronti

delle arti extra-occidentali, lamenta che questo debito non abbia permesso alle arti

extra-occidentali di godere di una parita sulla scena internazionale. Egli ritiene che i

motivi siano ideologici e commerciali. Critica i mercanti, che egli vede inseriti come

mosche cocchiere fra artisti e pubblico: per i propri interessi culturali e commerciali

essi non hanno dato spazio in Occidente alle manifestazioni extra-occidentali, mal-

grado oramai siano piu numerose le iniziative di largo raggio fuori dell’Occidente

che “sulle due sponde dell’Atlantico settentrionale”.

Piu articolata e la posizione che illustra M. Haerdter. Egli si rifa dapprima alle

opinioni esposte da W. Worringer nel 1948. Questi aveva cercato di distinguere

fra “arte del pubblico” ed “arte dell’artista” e si era domandato: “C’e di fronte

ad una manifestazione della vita come quella dell’arte soltanto una coscienza che si

dipingere piu apprezzati dagli americani In base ai risultati della ricerca (il colorepiu richiesto, ad esempio, e il Blu) dipinsero una serie di quadri, che esposero aBroadway, al “Museo dell’arte alternativa”. Non ne vendettero neanche uno.

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La globalizzazione nelle arti visive 35

basa sul suo stesso contesto? Non c’e proprio mai un’area delle attivita vitali in cui

giochi anche la coscienza sociale?” che, secondo lui, porta alla conclusione: “Dimmi

quanto mondo hai in te ed io ti diro quanto artista tu sei”.

Dopo essersi (al solito) rifatto a Kant ed alla sua teoria del Genio, che ha

oggi nel comportamento di molti artisti seguaci convinti, analizzato lo sviluppo

abnorme dei musei, ricorda il saggio di Kandinskij del 1927 “E...”, che distingue

fra l’Ottocento, dominato da “O... oppure...” ed il Novecento dominato da “E...”,

ossia da una coesistenza di espressioni diverse, che “possono tendere ad una sintesi”.

Egli la interpreta come la fine di posizioni egemoniche nelle arti e nella conclusione

auspica una avventura affascinante nella ridefinizione globale dell’arte. Entrambi

citano a loro supporto le esposizioni di Kassel, almeno fino al 1997: nonche la quasi

contemporanea (e spazialmente vicina) L’arte del Modernismo in cui la presenza

degli artisti extra-occidentali era minima.

Passando ad esaminare le opere, con l’inevitabile approssimazione che viene

dall’averle viste solo in catalogo, appare evidente che in molti dei casi si tratta di

epigoni della moderna arte occidentale (come ammettevano gli stessi curatori della

mostra). Qua e la qualche spunto a me parso originale. Cito:

- La foto della mano e dei piedi del marocchino T. Ennadre, che ricorda la videoin-

stallazione di Nauman alla ultima biennale, ma capace di trasmettere un’emozione

di umana fratellanza.

- I “Dipinti profondi” di M. Boonma – grandi lastre monocromatiche esaltano la

tessitura ricavata dall’essicamento del papier-mache, evocando ora un’esplosione,

ora una mareggiata.

- Le foto di S. Neshat – Iran – con l’inserimento della scrittura sulla pelle di mani

e piedi che brandiscono armi, oppure sul velo di una donna in preghiera. Titolo:

Donne di Allah; presumendo che le scritte inneggino ad Allah, seguendo in modo

non proprio rispettoso il fondamentalismo del Paese.

- Infine molto elegante nell’allusione, la “scultura minimale” dell’indiano N. N.

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36 La globalizzazione nelle arti visive

Rimzon Il vaso della vergine, un gran vaso arancione di gres, con una barretta

pure di gres attraverso la “bocca”: o le sculture in legno di P. Vilare – Haiti – che

pur arieggiando temi e modi della tradizione africana ne rafforzano e modernizzano

l’espressione (ad esempio Tavola che dialoga con la morte).

Deludenti, per me, i cinesi, sostanzialmente legati a modi occidentali.

Nel complesso una varieta ben lontana dalla ricerca di significato universal-

izzante proposto dalla mostra: salvo i pochi casi indicati, non mi pare ci fossero

opere capaci di autentica commozione. Peraltro l’operazione culturale berlinese ha

prodotto anche effetti commerciali. Il Sole-24 Ore di domenica 7 settembre 1997

sotto la voce “Beni di rifugio” della pagina “Risparmio e Famiglia”, presentava

gli artisti “dell’altro mondo”, con riferimenti anche alla mostra di Berlino ed in-

dicava i top ten della nuova arte, con quotazioni ed indirizzi (anche italiani). La

globalizzazione ha espresso i suoi diritti, nella forma che piu le e congeniale, quella

economica. Gli obiettivi di “rottura” della mostra si sono cosı dimostrati pien-

amente raggiunti, perche il “ghetto” lamentato dai curatori – se mai e esistito – non

c’e piu57.

2) Stiamo oramai osservando il fenomeno contrario – gia accennato piu sopra –

di un capovolgimento della situazione in fatto di presenze extra-occidentali, con

i loro effetti culturali e commerciali. Anche a Milano le gallerie che espongono

i non-occidentali sono in continua crescita: fino alla consacrazione ufficiale alla

Biennale di Venezia del 1999 – Dappertutto -, oggetto delle considerazioni del sec-

ondo momento da me scelto come riferimento. Significativo e il nome stesso dato

dal curatore. H. Szeemann, giocando sul doppio significato dell’ubicazione e della

nazionalita dei partecipanti. L’impatto prodotto nella psiche del visitatore dalle

scelte del curatore e certamente forte. Nelle prime pagine dei poderosi cataloghi

Szeemann elenca, a mo’ di introduzione quelle che chiama le “autorealizzazioni”

57 E secondo me esemplare il caso di S. Neshat, iraniana che in realta vive ed opera, con

successo, a New York.

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della mostra. Ne scelgo alcune che piu si adattano al mio pensiero. par Innanzi

tutto e “propaganda raggirata”, il che parla da se, soprattutto se si ascoltano alcune

osservazioni critiche58 che mettono in evidenza la presenza di artisti extra-europei

che in realta vivono e lavorano negli USA: o che appartengono al privilegiato asse

tedesco-svizzero-nord Europa. Nonche la presa di posizione di C. C. Rakargiev58

che contesta la internazionalita della mostra “in cui emerge l’aspetto fortemente

“coloniale” e “nazionalista”.

E “litania” prosegue Szeemann: il che, abbandonato il tono megalomane origi-

nale, da un tono piu domestico alla sfilata dei 104 artisti. E “passaggio da bambino

a uomo”, battuta icastica per le tante ingenuita presenti. “E la parrucca neces-

saria alla vita” riduttivo del ruolo che l’arte moderna – secondo me – dovrebbe

svolgere; anche se A. Vettese58 lo giustifica con l’asserzione che questo rappresenta

“l’accettazione del fatto che un’“opera d’arte” e sempre transitoria, che duri secoli

o secondi, e non eterna come ha cercato di insegnarci la filosofia idealistica”. “E

Oriente gioioso”, il che non rende giustizia alle presenze orientali che, con l’eccezione

di Ying Ba, hanno un tono polemicamente sarcastico nei confronti dell’occidente,

con pochi esiti per la verita convincenti. Infine “E sumerico d’oggi”, frase ad effetto

che nella sua non facile interpretazione puo essere un commento di un Benigni sulla

mostra.

Per parte mia ho soprattutto ammirato un grande vetro illuminato in tra-

sparenza di De Dominicis, “lo studio dell’artista” che mi pare indichi un “ammod-

ernamento” della espressione pittorica. Yue Minjum, che vie e lavora a Pechino,

presenta due quadri: Vita e Tutti si collegano a tutti una visione autoironica che puo

collegarsi alle foto di Zhung Huan, entrambi alla ricerca di un simbolo dell’artista

nella moltitudine cinese.

Non essendo mia intenzione, come spiegato, esaminare in dettaglio gli esposi-

tori, osservo che la globalizzazione non ha qui generato alcuna manifestazione ar-

58 Articoli da: Il Sole-24 Ore 13/6/1999, Corriere della Sera 12/6/1999

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tistica che possa interpretarsi come la nascita di una sintesi espressiva. L’epoca di

transizione che anche la Vettese mette a conclusione del suo articolo prima citato,

non pare destinata ad un linguaggio sopranazionale, come fu in Occidente il gotico

od il barocco, citati sopra.

E la provvisorieta di tante opere puo solo sottolineare la concezione “slegata dal

tempo” della stessa Vettese. Inoltre le opere “permanenti” non sono, a mio giudizio,

commerciabili sul “mercato privato” al piu possono inserirsi in musei o istituzioni

similari. Ossia tornando a Worringer l’arte presentata – ammesso che sia tale – e

arte degli artisti e non del “popolo”, che puo anche divertirsi alle bolle di Pipilotti

Rist o con i “tamburi” di Chen Zen, ma certo non emozionarsi. Ne saprebbe come

ambientare nei propri privati spazi la stragrande maggioranza dei lavori esposti.

La presenza – a volte veramente ingombrante (come ad esempio P. Mc Carthy-

Roads) di molte installazioni non puo trasferirsi che in musei tipo il Reina Sophia

di Madrid (senza maligni riferimenti alla sua originale destinazione), escludendo di

fatto molti potenziali fruitori dalla loro contemplazione. Ne ho notato molte opere

adatte all’esposizione all’aperto59. L’artista non punta all’interesse del possibile

singolo visitatore, si considera destinato a priori ad una protezione-interesse solo

museale. Anche i murales messicani, gli affreschi di natura religiosa erano dedicati

solo a palazzi o chiese: ma la loro funzione di comunicazione di massa era resa

evidente dalla loro diretta figurazione. Il che francamente non mi pare sia il nostro

caso.

Le numerose ed in alcuni casi molto belle fotografie ci riportano ad un campo

tradizionale, sia pure recente. Nel commentare le opere di Dieter Appel – scul-

ture e foto – Carl Aigner ricorda – secondo Barthes – che “la fotografia e il primo

medium nella storia dell’immagine in grado di attestare che cio che esso mostra e

effettivamente esistito”. Il critico nello sviluppo di questa constatazione “si dirige

59 Nel suo libro sulla storia delle immagini, Debray nota come siano rare oggi le opere

funerarie: in linea con l’odierna esorcizzazione della morte.

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pero verso una interpretazione meno empirica: perche procedimenti tecnici come

sovra o sottoesposizione, esposizione doppia, prolungata o ripetuta, ma anche dis-

solvenze incrociate, sono modi di sondare immanenze fotografiche che nella loro

trasposizione in immagini intendono il mondo (come Schopenauer) come volonta e

rappresentazione, come fondamentale possibilita di sviluppare un rapporto esisten-

ziale fra l’oggetto, l’immagine, il mondo”.

L”’attestazione assoluta di esistenza” sfuma cioe, secondo me, in una interpre-

tazione fenomenologica, che nelle opere piu emozionanti riplasma il mondo stesso,

con i mezzi di una nuova tecnica. Non siamo cioe di fronte a un passaggio, sia pure

di grande effetto sulla natura della superficie pittorica, come quello della tempera

alla pittura ad olio e poi all’acrilico. L’artista lavora come se la fisicita stessa della

natura, trasmessa nella rappresentazione con fedelta (apparente) assoluta, nata da

una operazione indipendente dalla manualita tradizionale, fosse a piacimento a sua

disposizione. Io penso che questa possibilita di “entrare” di fatto nella realta ogget-

tuale spieghi anche il successivo attuale atteggiamento di estendere ad altri modi

espressivi la partecipazione fisica alla realta dell’opera, dalla Land Art ai “giochi

elettronici” ecc. Indirettamente poi la fotografia ha dato una spinta poderosa alla

accettazione della riproducibilita meccanica dell’opera d’arte, data l’alta perfezione

raggiungibile nelle copie, praticamente indistinguibili dagli “originali”60.

Questo spiega la popolarita odierna di questa nuova modalita artistica, nonche

il suo successo commerciale, inficiato secondo me dalla apparente facilita del suo

uso, che rende problematico individuare il vero artista nell’esercito di dilettanti

che la pratica. Citero due esempi nella Biennale, entrambi cinesi, operanti in Cina:

Wang Jin, che manipola la realta immettendo colore (rosso) nel canale oggetto della

sua foto, o dissacra un’istituzione sociale con la foto della “sposalizio della mula”

agghindando l’animale come una sposa tradizionale, con accanto l’artista in com-

pleto scuro; Zhuang Hui – citato prima – con le sue foto di gruppo di 18,5 cm di

60 S. Veca, Cittadinanza, Feltrinelli, 1990

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altezza e 1,50 metri di lunghezza, di soldati, infermieri, studenti – tutti nella cor-

rispondente uniforme, dove la “cronaca” e volutamente contestata con l’inserimento

dell’artista nel centro, con abito “casual”; dove l’iperrealismo usato e chiaro indice

dell’immensita dell’orizzonte cinese nonche della contigua solitudine dell’artista.

Quindi i numerosi-troppi video, che rendono facile e superficiale (secondo me)

l’avvicinamento alle loro immagini, presentate in un mezzo “domestico” come la

televisione. La varieta dei soggetti e della loro manipolazione mi sembra non offrano

nulla di particolarmente diverso da un clip di musica rock, una trasmissione MTV

e, nei casi meno ossessionanti, di un film amatoriale.

Puo darsi che la mia eta e la mia cultura visiva mi condizionino nel giudizio e

mi impediscano di capire ma il loro “messaggio” mi sembra il balbettio di un uomo

ebbro, con un effetto di stordimento che non ha niente a che fare con il male di

Sthendal.

Infine pittura “vera” (e scultura) presenti in modo ridotto per lo sforzo di

Szeemann di indicare nuove strade espressive piuttosto che di segnalare la situazione

di quelle tradizionali. In questo senso l’opera di De Domincis segnalata prima, mi

sembra la piu interessante nell’ambito “pittura”61: “la pelle di elefante” di Perino e

Vela (in cartapesta, ferro e vetroresina) struttura calpestabile, con le due poltrone

in legno a simulare un salotto mi e sembrata la piu originale nell’ambito “scultura”,

unendo l’uso di un antico “povero” materiale con la fantasia di un Pop rivissuto

criticamente.

Un cenno a parte, con la loro poesia a sfondo dolcemente erotico, per i ricami di

Ghada Amer, che solleva la sostanza piuttosto pesante della mostra con la leggera

eleganza di una femminilita fantasticamente vissuta.

In sintesi, accantonate le critiche sulla megalomania e sulle assenze, a me la Bi-

ennale e sembrata coerente ai suoi scopi di divulgazione-aggiornamento al momento

61 Anche se essa non e ascrivibile alla pittura tradizionale.

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attuale di quella che viene chiamata Arte visuale. Gli eccessi che qua e la possono

vedersi, mi portano al terzo momento della mia schematica, rapida ricognizione.

3) La mostra Techne tenutasi a Milano nel 1999 allo Spazio Oberdan, sottotito-

lata “Viaggi nel mondo delle videoinstallazioni”. Nella breve introduzione G. Verga

(dell’assessorato alla cultura) rivendica l’originalita delle proposte presentate “svin-

colare dal grande mercato dell’arte e dalla cassa di risonanza dei media”... “Ed e

ormai chiaro” egli continua – “che alla chiusura del secolo delle avanguardie l’arte

si e affrancata dalla necessita di riprodurre il reale con tecniche tradizionali: e

l’arte delle “situazioni”, delle installazioni, l’arte che invita lo spettatore ad uscire

dalla pura contemplazione, a entrare nell’esperienza dell’opera e del processo di

costruzione del senso, questa arte ha scelto di usare anche le tecniche piu moderne,

da quelle ormai acquisite del video a quelle piu sofisticate come il computer, In-

ternet, la sensorialita biomedica”. Ed i sette “artisti” presentati tengono fede alle

intenzioni descritte:

- R Cahen, con i diciotto schermi televisivi che rappresentano paesaggi che possono

essere visti dal treno, vuol “restituire un tempo che e anche pausa, sfumature,

esitazioni e silenzio.

- M. Canali “lascia all’utente (!!!) esplorare toccare accarezzare l’aria... lo spazio

leggera il sensore di posizione sulla mano e reagira come un corpo virtuale immate-

riale, con luci e voci, esprimendo piacere o fastidio, divertimento o tristezza”.

- P. Gilardi sintonizza la danza di fossili sintetici su di un tappeto rosso al battito

del cuore dello spettatore.

- P. Hoberman ha raccolto proiettori di diapositive, radio, fonografi, intrichi di

fili elettrici calpestando i quali nel passare attraverso la stanza, vengono attivati

“questi strumenti di comunicazione”.

- S. Vasulka vuol liberare l’occhio “dalla responsabilita di occupare il centro dell’u-

niverso”; le sue telecamere – ognuna con i suoi effetti e dispositivi meccanici come

la sfera riflettente che ruota – ristrutturano lo spazio e lo restituiscono scomposto,

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analizzato, agito”.

- G. Verde offre la possibilita di interazione con telecamere e monitor “le cui im-

magini si mescolano ad altre generate dal computer ed a quelle di un sito web in cui

le riflessioni sull’arte e la tecnologia si accompagnano ad informazioni sulle attivita

di organizzazioni non governative (sic)”.

- Infine Studio Azzurro, con l’installazione interattiva Totale della Battaglia –

ispirata alla Battaglia di San Romano di P. Uccello. “Buchi scavati nella terra da

cui affiorano, attivati dalla voce del visitatore, immagini di corpi immateriali in

lotta, che sono il luogo di un transfer percettivo che unisce emozioni, narrazioni ed

una lacerante comprensione dell’insensatezza della guerra”.

Un po’ irrispettosamente concluderei: “vedere per credere”.

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Appendice II

Nota sulla globalizzazione

La Globalizzazione e in primo luogo una questione psicologica, non di economia

De Keerkhove, Il mercato globale

I)

Nel suo Il racconto dell’uomo A. J. Toynbee osserva (cap. 5, “La rivoluzione tec-

nologica 7000/3000 a.C., p 48) come nel Paleolitico inferiore l’homo sapiens fosse

riluttante ad adottare una innovazione; per cui essendo queste poche e la trasmis-

sione lenta, la diffusione dei nuovi utensili nell’Ecumene fu uniforme. Nel periodo

3000/1000 a.C. la velocita di creazione di nuovi utensili fu piu rapida della velocita

della loro diffusione e quell’uniformita ando in crisi e nacquero profonde differenze

nell’Ecumene. Con l’aumento della velocita di comunicazione dal XV secolo d.C.,

la possibilita di diffusione aumento rapidamente, fin alla situazione odierna in cui,

come nel paleolitico inferiore, la velocita di invenzione non ha tenuto il passo con

la velocita di diffusione e, quindi, nel solo piano tecnologico, ne e derivato un alto

grado di uniformita ecumenica. E nato cosı il fenomeno chiamato “globalizzazione”

che partito dalle sue immediate conseguenze nell’economia, sta toccando tutti gli

aspetti della vita umana.

Seguendo questa traccia e sintetizzando un dibattito molto ampio, il fenomeno

si presenta come l’interazione dell’economico con lo spirituale, dove il primo e tale

da imporre una revisione del secondo. Questa utopia di fine millennio (che affascina

l’uomo dopo la devastazione subita dall’altra utopia – il comunismo – che ha segnato

il nostro secolo), partendo dalle speranze escatologiche che la supercomunicazione

ha aperto, vede nello scambio guidato dalla conoscenza globale delle possibilita

economiche, una via per una nuova eta dell’oro, che l’umanita puo raggiungere, pur

negli inevitabili aggiustamenti per le diverse condizioni di partenza. Nel suo noto

studio del “Post-moderno”, Lyotard auspica questa societa della conoscenza, in cui

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le scelte operative vengono guidate dall’utilizzo delle ampie informazioni attualizzate

dai sistemi di comunicazione moderni: una grande Banca Dati, sempre aggiornata in

tempo reale ed a disposizione di tutti permettera di tracciare la strada di massimo

rendimento sociale ed economico: la “performativita” del sistema puo trovare la

sua legittimazione nella certezza dell’ottimizzazione che esso puo garantire. La

biforcazione fra “terrore per imporre le scelte necessarie per ottenerla” e la scelta

libera con cognizione di causa puo risolversi a favore di quest’ultima, attraverso il

libero accesso del pubblico alla memoria ed alle informazioni della Banca Dati.

Questa utopia sta rapidamente svanendo, a mio giudizio per diversi motivi.

Il primo – economico – perche la diversita di fatto dei punti di partenza mette in

crisi il sistema: le economie “deboli” tenderanno per difendersi a “scacciare” quelle

“forti”, creando un’involuzione anziche uno sviluppo, per la resistenza delle seconde

ad essere “scacciate”. E il problema noto del “Nord/Sud”, che la globalizzazione

della informazione ha reso ancora piu evidente senza indicare soluzioni “performa-

tive”: esse implicherebbero un abbassamento volontario del tenore di vita del Nord

per disporre dei mezzi necessari allo sviluppo del Sud. Piu evidente, nella quotid-

ianita dei mercati finanziari mondiali, e l’instabilita che la rapidita di diffusione

dell’informazione provoca in mancanza di un organo regolatore di autorita mon-

diale.Il gioco si svolge sotto la regola del profitto del singolo: mentre la massa di

mezzi finanziari e cresciuta, nel bene e nel male, in modo esponenziale, rendendo

inefficiente o insufficiente la politica monetaria dei Governi. D’altro canto si fa

sentire la rapida obsolescenza dei sistemi produttivi, che lo sviluppo tecnologico

rende inevitabile: il flusso di mezzi finanziari per gli aggiustamenti automatici di

questi sistemi – che ne irrigidisce la natura – resta inferiore alle necessita di quella

“performativita” ideale che e la speranza della globalizzazione.

Questi tre punti, grossolanamente ma penso con sufficiente chiarezza, ren-

dono conto del destino incerto della globalizzazione come panacea sociale-politica-

economica che e il vanto dei suoi sostenitori. Non si potra certo evitare di farsi

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trascinare dall’impetuosa corrente che ha colpitole economie e le societa: ma non si

puo neanche credere che porti di per se ad un mondo migliore.

Mi sembra cioe inevitabile il pessimismo nel prospettare i tempi che ci stanno

davanti, se ci liberiamo dall’accecamento provocato dai trionfi tecnologici: pur affi-

dandoci alla appassionata fiducia nel principio di sopravvivenza dell’umanita.

II

La descrizione che ho rapidamente fatta sopra delle prospettive macroecomiche della

globalizzazione, rende a mio giudizio precarie le descrizioni ottimistiche della sua

possibile influenza positiva sul mondo spirituale dell’uomo. Non ci siamo ancora

liberati da quel condizionamento pragmatico-materialistico che ha condizionato da

oltre un secolo la scala dei valori dell’uomo – come individuo e come societa –

creando “l’uomo ad una dimensione” di marcusiana memoria. A richiamarci alla

realta sta l’esaltazione dei particolarismi storici e sociali che hanno ottenuto – in

molti casi – un inaspettato e traumatico successo politico. All’utopia globalizzante

si e contrapposta una difesa, senza esclusione di colpi, delle “differenze”, presentate

come validi anticorpi al virus del livellamento globalizzante. Capaci inoltre di dar

vita a sistemi produttivi autonomi ed a prima vista autosufficienti, creando una

barriera di interessi precostituiti che della globalizzazione vorrebbero solo i vantaggio

dell’ampiezza del mercato, senza pagare il dazio della loro “chiusura” agli interessi

degli “altri”.

A monte di queste manifestazioni, nella parte “nobile” della loro natura, sta il

rifiuto istintivo al livellamento spirituale che la globalizzazione di fatto introduce,

tendenzialmente verso il basso per la preminenza dei fattori normalizzanti rispetto a

quelli evolutivi. Contrastando quel “diritto di cittadinanza” 1 che resta l’aspirazione

sociale piu sentita dalla maggioranza degli uomini. La performativita tende a rib-

adire un solo valore – quello economico – nella vita degli individui, trascurando

la varieta degli interessi che costituiscono la natura dell’uomo. Fra globalizzazione

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come sopra descritta62 e “societa giusta” alla Rawls “c’e una incompatibilita di

fondo: le opportunita che la globalizzazione offre hanno un prezzo che l’uomo di

Rawls non puo accettare ne i suoi interessi sono quelli di Lyotard”63. In partico-

lare mi pare pertinente l’osservazione di Steiner64 sulla “falsa” presenza dell”’altro”

nell’elettronica moderna. Ossia la “Banca dati” e altro da me, certo: ma non ha

il mistero dell’altro da me che e il problema serio dell’uomo. Si puo anzi cosı spie-

gare con questa diversita l’irrazionalita di molte decisioni, che generano poi nuovi

orientamenti, sia culturali che politici.

Giungo cosı a quello che e per me il nocciolo del problema: la definizione di

che cosa sia oggi l’individuo – la personalita – l’ “in se” dei filosofi. Se il sistema or-

ganizzato mondiale deve realizzarsi, come puo prescindere da una risposta a queste

domande soddisfacente per gli attori del processo? Le mie conoscenze non sono tali

da permettermi di esprimere un giudizio filosoficamente ben costruito. Pero credo

di poter affermare che lo sviluppo filosofico del nostro secolo abbia inizialmente

facilitata l’accettazione di questo processo globalizzante. La fede nel “moderno”,

tracimata nella “modernizzazione”, ha un’origine prettamente “laica”. La secolar-

izzazione iniziata nel XVII secolo, si e radicalizzata nel nostro, sia come espressione

politica che come lettura del sociale.

L’individuo ha subito una mutilazione spirituale: il materialismo dialettico da

una parte, il nichilismo esistenziale fino alla decostruzione dall’altra, suffragata delle

ricerche sulla psiche – considerata a se – hanno presentato un uomo sostanzialmente

manipolabile ai fini di quella nuova edizione dell’utopia platonica della “Repubblica

dei sapienti” che lo studio di Lyotard scimmiotta. Dove pero l’alta consapevolezza

dell’origine mitica, divina dell’uomo, e assente.

D’altra parte, come ho accennato nell’introduzione a questo saggio, si e ver-

62 J. F. Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, 1979/198163 S.Veca, Etica e Politica, Garzanti, 198964 G. Steiner, Intervista sul Corriere della sera, 15/11/96

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ificata quella che chiamero “la globalizzazione al contrario”: ossia la rapidita e

l’abbondanza dei mezzi di comunicazione ha messo in evidenza la varieta sconfinata

delle soluzioni morali, sociali ed economiche che caratterizzano il nostro Ecumene,

il cui sviluppo storico e profondamente segnato – tornando a Toynbee – da quelle

grandi differenze del periodo 3000/1500 a.C., in cui nacquero le varie civilta che

ancor oggi vivono. Di qui il relativismo che negli studiosi piu aperti al contesto

odierno diventa incertezza programmatica.

Nasce cosı il paradosso di un uomo dalle capacita operative immense, ma im-

preparato ad utilizzarle per un progetto capace di quella universalita di accettazione

che la globalizzazione include nelle sue prospettive. E si rafforza allora la tendenza

all’ecumenismo religioso che vorrebbe rispondere alle esigenze globalizzanti, ma non

sa trovare supporto nella differenziazione – crescente – delle fedi personali. Resta

aperta la frattura di cui parlai nel mio saggio: urge un ripensamento filosofico

dell’uomo nella sua totalita – che sappia dare indicazioni operative, cioe morali –

a chi deve impegnarsi con le trasformazioni della vita civile. In un breve saggio

su “Miti e Logos”65 Gadamer osserva come sia singolare che i Greci seppero far

convivere mito e ragione, pur nella loro contrapposizione dialettica, in una sintesi

fatta di vita vissuta e non di concetti: mentre con il Cristianesimo e l’Illuminismo

questa convivenza non si sia raggiunta. Ed e allora comprensibile e significativo che

Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica analizzi appunto questa convivenza fra

fede e ragione: solo trovando le strade per questa convivenza potra l’uomo affrontare

le grandi incerte sfide della globalizzazione.

65 H.Gadamer, Gesamte Werke, 8, p. 163, J. B. Mohr, Tubinga, 1993