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Centro Militare di Studi Strategici
MILSOC AF-S-10
Dott.sa Annamaria FEOLA
Dott.ssa Annamaria FEOLA
2103
LA LOTTA AL TERRORISMO: MISURE DI
CONTRASTO IN AMBITO NAZIONALE ED
INTERNAZIONALE
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
i
INDICE
LA LOTTA AL TERRORISMO: MISURE DI CONTRASTO IN AMBITO NAZIONALE ED INTERNAZIONALE Premessa ………………………………………………………………………………………..p.1
Cap. I - Evoluzione degli studi sul terrorismo: quale profilo, organizzazione, diffusione
geografica?........................................................................................................................p.3
Cap. II - Le misure adottate dall’Italia: l’adeguamento sul piano legislativo ed
istituzionale……………………………………………………………………………………...p.9
Cap. III - La politica dell’Unione Europea di contrasto al terrorismo…….………………..p.27
Cap. IV - Le dinamiche evolutive dell’idea di sicurezza: da interesse diffuso a diritto
individuale……………………………………………………………………………………...p.46
Cap. V - Le limitazioni della libertà personale imposte a tutela della sicurezza collettiva………………………………………………………………………………………….p.50 Cap. VI - La cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo…………..…………..p.54
Sviluppi futuri………………………………...………………………………………………….p.57
Bibliografia………………………………………..…………
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
1
LA LOTTA AL TERRORISMO: MISURE DI CONTRASTO IN AMBITO NAZIONALE ED INTERNAZIONALE
Annamaria Feola
PREMESSA
La destabilizzante minatoria continuatività, che caratterizza le manifestazioni di matrice
terroristica, induce a ritenere che esse, ormai, non debbano più essere qualificate come
un fenomeno congiunturale ma vadano considerate e, conseguentemente, disciplinate
come un fenomeno di natura strutturale.
La minaccia terroristica non è riconducibile ad un’entità statale definita e, pertanto, il
mancato collegamento con una realtà territoriale circoscritta vanifica la possibilità di
adottare soluzioni finalizzate a relegare il “nemico” in confini ben delimitati.
L’attività di “jihadismo” internazionale costituisce un grave pericolo per il mondo
occidentale anche in ragione di un accentuato processo di decentralizzazione che
valorizza ed assegna completa autonomia alle singole cellule. Difatti, il mutamento degli
assetti strutturali e la centralità assunta da singoli individui fondamentalisti, spesso radicati
in contesti occidentali, rafforza, per certi aspetti, le capacità operative delle varie
organizzazioni terroristiche.
Il carattere aperto, tipico delle società occidentali contemporanee, garanti di un amplissimo
livello di tutela dei diritti individuali costituzionalmente previsti, se, per un verso,
contribuisce a farne bersaglio ideale per il terrorismo, per altro verso, rende più
problematica la predisposizione di legittimi strumenti di difesa e prevenzione. Difatti
assume rilievo la ricerca di un equilibrio tra la duplice necessità di tutelare i principi
fondamentali e, al contempo, di garantire la minacciata sicurezza collettiva.
Le manifestazioni di violenza incidenti sia all’esterno che all’interno dell’ordinamento, ad
opera di organismi non statali, quali quelli di matrice terroristica, pongono gli Stati dinanzi
ad inedite congiunture per la cui gestione si rende necessario il ricorso a misure che siano
efficaci ed incisive ma che, in ogni caso, non trascendano l’ordine legale a tutela del quale
sono adottate.
Il profilo più problematico è costituito dall’individuazione dei limiti entro i quali possano
ritenersi legittime misure che, a tutela della sicurezza, inevitabilmente incidono sulle libertà
individuali. In questa prospettiva assumono rilievo essenziale e centrale i criteri di
proporzionalità e ragionevolezza.
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Risulta, poi, ineludibile il ricorso a strumenti di coordinamento internazionale. Il terrorismo,
infatti, opera su scala globale. Tale circostanza rende necessario promuovere ed
incentivare forme di cooperazione transfrontaliera al fine di approntare strumenti di
contrasto efficaci. L’implementazione dei canali di scambio di informazioni tra i vari Stati, il
rafforzamento della cooperazione giudiziaria ed investigativa assurgono al rango di
strumenti assolutamente indispensabili.
In tale prospettiva riveste un ruolo centrale la politica europea di contrasto al terrorismo
che si articola in quattro principali settori d’azione: la prevenzione dei rischi, la protezione
di cittadini e potenziali obiettivi di attentati, il perseguimento dei reati e dei loro autori e le
possibili risposte agli attacchi terroristici.
I vari piani d’azione approvati in ambito comunitario prevedono una serie di strumenti e di
dispositivi di coordinamento.
Gli sviluppi futuri non possono che essere orientati ad incrementare ulteriormente la
cooperazione con le organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite e con i Paesi
terzi, in particolare gli Stati Uniti.
Tuttavia, al di là di un imprescindibile approccio repressivo non si può non riconoscere la
necessità di implementare una sinergica azione preventiva sociale al fine di contrastare i
fattori che rendono possibile il successo della propaganda fondamentalista. Tale obiettivo,
ambizioso e di difficile conseguimento, può essere perseguito favorendo il dialogo e
l’integrazione tra le culture e le religioni. In quest’ottica occorrerebbe vigilare, nel rispetto
della libertà religiosa e di culto, sull’attività che viene svolta in contesti vicini alle moschee.
In tale prospettiva è necessaria l’azione condivisa a livello internazionale con il
coinvolgimento particolare di quegli Stati islamici che si trovano essi stessi ad essere
vittime del fondamentalismo.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
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Cap. I - Evoluzione degli studi sul terrorismo: quale profilo, organizzazione,
diffusione geografica?
Le drammatiche vicende legate al fenomeno del terrorismo internazionale, fideisticamente
orientato all’annientamento dei simboli della potenza occidentale anche attraverso il
ricorso ad operazioni suicide, hanno sempre più determinato il diffondersi di una comune
sensazione di costante esposizione ad un pericolo tanto imminente quanto imprevedibile1.
Dall’undici settembre del 2001 l’Occidente si è tragicamente reso conto di essere
minacciato da una nuova forma di terrorismo universalistico dalla forza devastante, occulta
e proteiforme, non riconducibile ad un’entità statale definita. Proprio il mancato
collegamento con una realtà territoriale circoscritta impedisce di adottare soluzioni
compromissorie volte a relegare il nemico nei propri confini2.
Nel primo discorso sullo stato dell’Unione pronunciato dopo l’attentato alle torri gemelle, il
Presidente degli Stati Uniti affermò l’esistenza di un “axis of evil” formato dai regimi
accusati di “sponsorizzare il terrore” e di minacciare l’America ed i suoi alleati con armi di
distruzione di massa3. Aver avviato un’operazione militare sul territorio afghano contro il
regime talebano, come rappresaglia immediata all’attentato dell’undici settembre, non è
stata un’azione sufficiente a rendere immune l’Occidente dagli attacchi terroristici.
1 Si assiste alla dif fusione “di una destabi l izzazione endemica, di una messa in
questione permanente del nostro senso di sicurezza”( cfr . A. FERRARA , Prefazione a
B. ACKERMAN , La Costi tuzione di emergenza , Meltemi, Roma, 2005, p. 11).
2 «L’effetto strategico del tentativo di r idurre i l confronto ad un conf l i t to
convenzionale è la prol i ferazione del la minaccia, non la sua estinzione.
In parole povere, combattere i terrorist i in Afghanistan non l i t iene lontani dal le
nostre case.
La guerra del terrore non ha fronte. I fanatici islamisti possono colpire chiunque,
dovunque, in qualsiasi momento e con qualsiasi mezzo. Non devono venire da noi .
Sono già fra noi»(L. CARACCIOLO , I terrorist i di casa nostra , ar t icolo pubbl icato su la
Repubbl ica del 13.12.2010)
3 “Parlando di asse del male, l ’anal isi non può essere l imitata agl i stati . E’ stato
un attore non statuale a iniziare la guerra con l ’attacco del l ’11 settembre. E, da Al
Quaeda a Hezbol lah, sono tuttora attori non statual i a condurre concretamente la
grande offensiva contro l ’Occidente rispetto al la quale i l ruolo dei vari stati outsider è
ancora piuttosto quel lo del la minaccia eventuale o al massimo del complemento”( M.
STEFANINI , L’ordine mondiale made in USA , Limes onl ine, 15.03.2011)
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Le indagini effettuate dall’intelligence americana hanno rilevato che i superstiti del gruppo
storico radicato in Afghanistan, facente capo prima ad Osama bin Laden ed ora a Ayman
al- Zawahiri, non raggiungono le duecento unità e sono ormai rintanati nella frontiera
afghano-pakistana. Tuttavia ciò non determina l’affievolirsi della minaccia terroristica che
non può essere sottovalutata malgrado l’eliminazione di Bin Laden4.
La jihad intesa come missione volta alla cacciata degli infedeli dai territori islamici e come
opposizione all’affermarsi della cultura occidentale è il principio ispiratore del manifesto
ideologico di Al Quaeda. Lo scopo perseguito è la purificazione del mondo islamico dalle
influenze dell’occidente, ritenute contrarie ai principi religiosi del’Islam. In particolare nel
mirino della contestazione c’è l’ asserito disdicevole individualismo che viene obiettato alla
cultura occidentale nonché la forma democratica5 tipica degli stati occidentali che
determinerebbe l’invisa sostituzione del potere umano a quello divino. La prospettiva di
azione è orientata verso la dimensione globale dell’opera di contrasto, da porre in essere
in ogni luogo e con ogni mezzo.
La struttura di Al Quaeda si è sempre contraddistinta per la forte propensione all’
adattamento e per la capacità di riorganizzarsi a seconda dell’evoluzione dei tempi e delle
misure di contrasto poste in essere da quello che viene percepito come il “nemico”.
Da un’iniziale fase improntata ad una strutturazione centralizzata, fanaticamente ispirata
all’obiettivo dell’instaurazione di un Califfato universale, Al Quaeda è passata,
successivamente agli attentati di Madrid e di Londra, ad una forma di “reticolarizzazione”
in vari gruppi diffusi nel mondo, accomunati dall’imprinting ideologico jihadista e
contraddistinti da una rilevante parcellizzazione geografica.
Si è diffusa la nascita di sigle riconducibili ad Al Quaeda, come AQMI(Al Quaeda nel
Magreb islamico), ADAO (Al Quaeda in Africa orientale), AQI(Al Quaeda in Irak), AQAP(Al
4 “La fatwa lanciata da Osama Bin Laden contro l ’occidente è in grado di
sopravvivere al la scomparsa di chi l ’ha lanciata. Anzi la sua morte potrebbe
risvegl iare nuovi furori pseudo-rel igiosi . E’ per questo che l ’al lerta deve restare al ta,
anzi deve essere rafforzata” , in A. PICARIELLO “Ora i l pericolo è l ’at tentatore fai da
te” , art icolo pubbl icato su L’Avvenire del 3.05.2011.
5 L’ islamismo radicale arriva ad identi f icare la rel igione con l ’ ideologia pol i t ica
e mira ad instaurare nel lo stato la Sharia, legge islamica che discipl ina tutt i gl i
aspett i del la vi ta rel igiosa, sociale, civi le ed economica.
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Quaeda nella penisola arabica), al punto che è stata utilizzata un’espressione di icastica
evocatività nel definire Al Quaeda “una compagnia di franchising”6.
Geograficamente la zona afghano/pakistana resta ancora il fronte più rilevante dell’ azione
jihadista, meta prescelta dai volontari mujahidin provenienti da paesi islamici ed
occidentali che vi si recano per essere addestrati alla jihad sia al fine di apprendere le
tecniche di preparazione di ordigni esplosivi sia per acquisire competenze in materia di
comunicazione e di propaganda da utilizzare a scopo di proselitismo. L’area
afghano/pakistana resta poi teatro della guerriglia talebana e di attacchi ai contingenti
militari internazionali impegnati nelle missioni ISAF, NATO.
Il fronte irakeno continua ad avere un ruolo importante per la jihad mentre sempre più
rilevanza va assumendo il fenomeno jihadista sul fronte magrebino dove, accanto agli
attacchi a obiettivi militari, si registrano sequestri di turisti e lavoratori occidentali.
L’India ed il Bangladesh rappresentano realtà territoriali nell’ambito delle quali le
organizzazioni estremiste rinvengono nelle endemiche conflittualità interne humus fertile
per fare opera di propaganda e proselitismo.
La zona libano palestinese è teatro di attività di gruppi salafiti-jihadisti. Il Golfo Persico ed
in particolare l’Iran offre accoglienza ai mujahidin che dall’Europa transitano verso l’area
afghano/pakistana.
La fascia balcanica, la fascia nord-occidentale della Cina e l’area del sud est asiatico sono
zone suscettibili di offrire le condizioni per il radicamento di organizzazioni terroristiche.
L’Europa è fortemente interessata dal fenomeno dello jihadismo7 in quanto nel territorio
del vecchio continente non solo sono radicate organizzazioni che offrono alla jihad
l’appoggio logistico- finanziario ma sono presenti piccole cellule auto radicalizzate che, pur
essendo di provenienza occidentale, si ispirano ai dettami ideologici della jihad
6 L’espressione è contenuta ne “ I nuovi scenari del terrorismo internazionale di
matrice j ihadista” , a cura del la Fondazione ICSA.(www.fondazioneicsa.i t) .
7 «La minaccia terroristica di matrice jihadista resta, per l’Europa e per l’Italia, la più significativa
proiezione delle criticità del versante estero e, allo stesso tempo, sta assumendo una connotazione
“endogena”.Il territorio rappresenta infatti area di transito, retrovia logistico e potenziale obiettivo di
formazioni filoquaidiste attive nei teatri di crisi, ma assume crescente rilievo anche l’incognita
rappresentata dal fenomeno dei cd. self starters, soggetti la cui imprevedibile attivazione, al culmine di
percorsi solitari e “invisibili” di radicalizzazione costituisce una crescente sfida per l’intelligence»
(Relazione annuale al Parlamento sulla politica dell’informazione sulla sicurezza relativa al 2010 –
Dipartimento delle informazioni per la sicurezza)
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
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condividendone e facendone propria la missione. In tale ottica assume rilievo essenziale
l’addestramento online, la cosiddetta cyber jihad.
Le dinamiche evolutive degli assetti di Al Quaeda si sono poi orientate verso l’assoluto
decentramento fino ad arrivare ad una vera e propria personalizzazione. Infatti l'attività di
“jihadismo”8 internazionale, ormai, non si avvale del supporto solo di organizzazioni
strutturate ma vede, come primi attori, singoli individui fondamentalisti, spesso radicati in
contesti territoriali occidentali, che pongono in essere azioni isolate9 spinti da un’idea
particolare del martirio.
L’accentuato processo di decentralizzazione, che assegna completa autonomia alle
singole cellule, ha rafforzato le capacità operative delle varie organizzazioni terroristiche,
moltiplicando le difficoltà di individuazione dei militanti.
Difatti, se, per un verso, tale evoluzione ha portato a registrare una minore portata
devastante derivante da una maggiore approssimazione delle tecniche e delle modalità di
esecuzione degli attentati10, per altro verso ha fatto sì che la centralità del ruolo dei singoli
rendesse più subdola la minaccia terroristica in quanto gli attacchi sono più difficilmente
prevedibili11 così come è più complicata l’attività di contrasto.
Del resto la stessa qualificazione degli atti di violenza sussumibili nel novero delle azioni
terroristiche è un’operazione non facile.
8 I l termine Jihad indica l ’ ”esercizio del massimo sforzo” e s i presta a varie
interpretazioni. Lo stesso può essere decl inato sia in termini meramente intimistici ,
individuando la tensione verso i l raggiungimento del la perfezione spir i tuale e, quindi,
l ’ impegno di ogni musulmano a migliorare se stesso e la comunità in cui vive, sia in
termini “combattivo -difensivi” per motivare lo scontro pol i t ico e sociale vol to a
tutelare la società musulmana da governanti ingiusti o da minacce cultural i
provenienti dal mondo occidentale.
9 Basti pensare al l ’attentato terrorist ico real izzato nel dicembre del 2010 a
Stoccolma da un immigrato i racheno laureatosi in Gran Bretagna.
10 Si pensi al l ’episodio del volo Amsterdam-Detroi t del dicembre 2009 o
al l ’autobomba a Times Square scoperta a maggio 2010.
11 “Si trat ta di una guerra nuova…E’ una guerra contro obiett ivi che non si
conoscono e non si possono prevedere e che si manifesta nel le sue azioni distrut t ive
in momenti che non sono noti” , F. PERFETTi , L’Europa di fronte al terrorismo
internazionale , in S.FAGIOLO e G. RAVASI (a cura di) I l futuro del l ’Europa e l ’attual i tà
di Alt iero Spinel l i , Mi lano, 2008, p.128.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
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La poliedrica varietà delle forme e delle modalità in cui si estrinseca il terrorismo ha
comportato la difficoltà di darne una definizione unitaria esaustiva e universalmente
condivisa. Tuttavia la necessità di individuare una definizione unitaria non ha rilevanza
meramente tassonomica ma rappresenta un fulcro nodale per l’elaborazione di soluzioni di
contrasto su scala internazionale comuni e, quindi, più efficaci.
La prima definizione di atti di terrorismo internazionale è delineata nell’art. 1, n°2 della
Convenzione di Ginevra del 16 novembre 193712 che parla di “ faits criminels contre un
Etat et dont le but ou la nature est de provoquer la terreur chez des personnalités
détermineés, des groupes de personnes ou dans le pubblic”. Malgrado la sua mancata
entrata in vigore, conseguenza del difetto del numero di ratifiche necessario, la
Convenzione di Ginevra del 1937 costituisce il primo tentativo di disciplina internazionale
del fenomeno terroristico al quale si ispirerà la normativa successiva. Difatti, la Comunità
internazionale si è trovata a dover fronteggiare fenomeni terroristici manifestatisi in forme
sempre più varie e cruente - basti pensare al dirottamento violento di aeromobili, ai
sequestri di agenti diplomatici - finalizzati a minare l’equilibrio delle istituzioni statali e a
diffondere un generale e comune senso di insicurezza e terrore tra la popolazione.
La Convenzione di New York del 9 dicembre 1999(Convenzione Financing), ratificata
dall’Italia con L. 7/2003, nel definire le condotte sussumibili nel novero di offences di
natura terroristica, vi riconduce la raccolta di fondi destinati al compimento di “qualsiasi
altro atto diretto a causare la morte o gravi lesioni fisiche ad un civile, o a qualsiasi altra
persona che non ha parte attiva in situazioni di conflitto armato, quando la finalità di tale
atto, per la sua natura o contesto, è di intimidire una popolazione, o obbligare un Governo
o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere qualcosa”. Tale
disposizione introduce una linea di demarcazione tra crimine terroristico e guerra,
“considerando lecito per il diritto internazionale il finanziamento diretto a forze belligeranti
ma non quello a forze terroristiche”13.
12
Adottata per la prevenzione e la repressione del terrorismo in seguito
al l ’attentato di Marsig l ia del 9 ottobre 1934 ad opera del terrorista croato Gueroguiev
che assassinò i l re Alessandro di Jugoslavia ed i l Ministro degl i Esteri f rancese
Barthou.
13 Cfr. A. MARTINI , Difendere la democrazia da un nemico sconosciuto: i l
terrorismo , in T. Groppi (a cura di), Democrazia e terrorismo , Napol i , Editoriale
scienti f ica, 2006, p. 58.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
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Con la risoluzione 1373 (2001) del 28 settembre 2001, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU
ha stabilito una serie di misure finalizzate a creare fra gli Stati membri una rete di
cooperazione per combattere il terrorismo. In primis, la risoluzione ha statuito che tutti gli
Stati devono impegnarsi ad impedire e sanzionare il finanziamento di atti terroristici, anche
tramite il congelamento dei beni di persone facenti parte di gruppi riconducibili al
terrorismo. Inoltre, gli Stati devono impedire con ogni mezzo il compimento di atti
terroristici, negando qualsiasi forma di asilo e sostegno ai soggetti coinvolti in attività di
matrice terroristica e intensificando l'attività investigativa e i controlli alle frontiere in un
contesto che favorisca la cooperazione e lo scambio di informazioni. Tale risoluzione
costituisce il nucleo centrale del corpus elaborato dall’ONU ma non contiene una
definizione vera e propria di terrorismo, limitandosi nel preambolo ad affermare che gli
attacchi dell’11 settembre “such acts, like any act of International terrorism, constitute a
threat to international peace and security”. Siffatta omissione volontaria è dettata proprio
dalla difficoltà di concordare un’opzione condivisa.
Con la decisione quadro del 13 giugno 2002, 2002/475/GAI (GUCE L 164 del 22.6.2002,
p.3) il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato una definizione comune di terrorismo.
L’articolo 1 della decisione in esame elenca una serie di atti illeciti (tra i quali, attentati alla
vita e all'incolumità delle persone, distruzioni di strutture pubbliche o governative, sequestri
di mezzi di trasporto, ecc.), “che possono arrecare grave danno a un Paese o a
un'organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di intimidire la
popolazione, costringere i poteri pubblici a compiere o ad astenersi dal compiere un atto o
destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politico-economico-sociali di un Paese
o organizzazione”. Per organizzazione terroristica si intende “l'associazione strutturata di
più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di
commettere atti terroristici”.
Nell’ ordinamento italiano il primo intervento posto in essere successivamente ai tragici
fatti dell’ 11 settembre 2001 (il decreto legge 374/2001 convertito nella legge 438/2001) ha
offerto un contributo anche sul piano definitorio statuendo che “ la finalità di terrorismo
ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione
o un organismo internazionale”14.
Ebbene, malgrado l’indiscutibile comune condivisione dell’opportunità di introdurre una
norma atta ad estendere la tutela anti-terrorismo anche nei confronti degli stati esteri, non
14
E’ la def inizione espressa nel comma 3 del l ’art. 270 bis del novel lato codice
penale.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
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sono mancati dubbi in merito all’eccessiva vaghezza terminologica che contraddistingue la
disposizione in esame, specie alla luce delle molteplici ed eterogenee manifestazioni dei
fenomeni conflittuali che interessano le vicende mondiali. Particolarmente rilevante risulta
il mancato coordinamento con il quadro normativo internazionale che ha creato non poche
difficoltà in campo applicativo.
Ai profili problematici connessi alla scarsa determinatezza definitoria caratterizzante l’art.
270 bis c.p., il Legislatore del 2005 ha inteso porre rimedio tramite l’introduzione dell’art.
270 sexies c.p.. La testè riferita norma qualifica come contrassegnate da finalità di
terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad
un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la
popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o
astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o destabilizzare o distruggere le strutture politiche
fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione
internazionale.
Cap. II - Le misure adottate dall’Italia: l’adeguamento sul piano legislativo ed
istituzionale
Il decreto legge 18 ottobre 2001 n° 374 convertito con legge n° 438 del 15 dicembre 2001.
L’Italia si è orientata verso la riformulazione di istituti già consolidati nell’ordinamento
nazionale, riadattando ed aggiornando previsioni normative già predisposte per
fronteggiare altre forme di manifestazioni criminali15.
All’indomani degli attentati di New York dell’11 settembre 2001, il Governo italiano ha
adottato il decreto legge n° 374 del 2001( convertito con legge n° 438 del 2001) recante
“disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale”. I principi ispiratori
dell’intervento governativo richiamano, per molti aspetti, le istanze poste a fondamento
della legislazione varata per fronteggiare l’emergenza degli anni di piombo. Anche in
questa occasione si è ricorso, infatti, all’introduzione di nuove fattispecie delittuose,
15
La dottr ina ha par lato di un approccio “ ibrido”, diverso da quel lo americano e
“caratterizzato da vistose deviazioni - in un’ott ica di doppio binario o se si preferisce
di sottosistema o di sottosistemi - r ispetto al le ordinarie modal ità di contrasto contro
la criminali tà comune”, cfr . F. V IGANÒ , Terrorismo, guerra e sistema penale , in
Rivista di dir i t to e procedura penale , 2006 p. 648
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
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all’ampliamento dell’ambito di operatività dell’arresto obbligatorio in flagranza nell’ipotesi di
delitti connotati dalla finalità di terrorismo, all’estensione del fermo di polizia giudiziaria.
Segnatamente, l’articolo 1 della legge di conversione n° 438 del 2001 ha introdotto nel
codice penale una nuova fattispecie di reato rubricata sotto l’art. 270 bis come
“associazione con finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell’ordine
democratico”. La neointrodotta fattispecie delittuosa punisce la condotta di chiunque
promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il
compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine
democratico. La finalità di terrorismo internazionale ricorre anche quando gli atti di
violenza sono rivolti contro uno stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale.
Si tratta dunque di un reato a fattispecie plurisoggettiva necessaria, riconducibile all’ambito
dei reati di pericolo. Il Legislatore ha inteso seguire un’impostazione fortemente
repressiva, anticipando notevolmente la soglia di punibilità e ritenendo che la mera
integrazione della condotta tipica, per il solo fatto di esporre al pericolo beni supremi quali
le istituzioni e l’ordine democratico, è punibile indipendentemente dal realizzarsi di
un’effettiva lesione.
La Corte di Cassazione con le sentenze n° 24994 e 24995 del 19 luglio 2006 ha statuito
che “ in presenza di una struttura organizzata, pur se in modo rudimentale, cui l’indagato
partecipi, è sufficiente per configurare il delitto in esame che l’adesione ideologica si
sostanzi in seri propositi criminali volti a realizzare una delle indicate finalità, pur senza la
loro materiale iniziale esecuzione, che supererebbe il limite tipico del pericolo presunto”.
Nella specificazione dell’elemento soggettivo del reato, il Supremo Collegio ha affermato
che “ sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per loro natura o
contesto, possono arrecare grave danno ad un paese o ad un’organizzazione
internazionale tramite il compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o
destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche
e sociali di un paese o un’organizzazione internazionale”.
Anche alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali16 è dato dunque rilevare una
garanzia rafforzata del bene-interesse tutelato dalla neointrodotta fattispecie delittuosa.
16
Si r iportano le massime di alcune sentenze particolarmente signif icative
pronunciate dal la Corte di Cassazione.
“L'aggravante di terrorismo di cui all'art. 1 L. n. 15 del 1980 è incompatibile con il delitto di cui all'art.
270 bis cod. pen., in quanto la finalità terroristica è divenuta a seguito delle modifiche apportate dalla l.
n. 438 del 2001 elemento costitutivo della fattispecie, ma altresì con quello di cui all'art. 270 dello
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
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stesso codice, atteso che, qualora la violenza caratterizzante l'intento sovversivo del sodalizio assuma
connotazione terroristica, il fatto sarebbe inevitabilmente sussumibile nella prima norma incriminatrice
menzionata. (Sez. V, sent. n. 12252 del 23-02-2012 (ud. del 23-02-2012), (rv. 251921)
“L'art. 270 sexies c.p. rinvia, quanto alla definizione delle condotte terroristiche o commesse con finalità
di terrorismo, agli strumenti internazionali vincolanti per l'Italia, e, in tal modo, introduce un meccanismo
idoneo ad assicurare automaticamente l'armonizzazione degli ordinamenti degli Stati facenti parte della
comunità internazionale in vista di una comune azione di repressione del fenomeno del terrorismo
transnazionale. Ne consegue che, a seguito della integrazione della citata norma da parte della
Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, fatta a New York l'8
dicembre 1999 e ratificata dall'Italia con la legge 14 gennaio 2003, n. 7, costituiscono atto terroristico
anche gli atti di violenza compiuti nel contesto di conflitti armati rivolti contro un obiettivo militare,
quando le peculiari e concrete situazioni fattuali facciano apparire certe ed inevitabili le gravi
conseguenze in danno della vita e dell'incolumità fisica della popolazione civile, contribuendo a
diffondere nella collettività paura e panico. (In applicazione di tale principio, la Corte ha affermato che,
in base all'art. 270 sexies, che contiene una norma definitoria incidente sulla portata della disposizione
incriminatrice di cui all'art. 270 bis c.p., sono qualificabili come atti terroristici anche le azioni suicide
commesse da c.d. "kamikaze" nel contesto di un conflitto armato). (Sez. I, sent. n. 1072 del 11-10-2006
(ud. del 11-10-2006),
“In tema di associazione con finalità di terrorismo internazionale, riveste natura di atto terroristico l'atto
di violenza che, ancorché rivolto contro il nemico armato, abbia come conseguenza "collaterale"
inevitabile e prevista la morte o la causazione di gravi lesioni a civili, terzi rispetto ai soggetti attivi e non
identificabili come avversari di questi; in mancanza di reati - fine effettivamente portati ad esecuzione o
non ancora portati ad esecuzione, la natura terroristica dell'associazione deve essere dedotta dalle
condotte preparatorie e dalla concreta predisposizione dei mezzi utilizzati per metterle in atto”(Sez. V,
Sent. n. 31389 del 11-06-2008 (ud. del 11-06-2008), B.M.B.A. (rv. 241174)
“L'atto terroristico è compatibile - alla luce della normativa internazionale ed in particolare dell'art. 2
della Convenzione di New York del 1999, recepita dalla L. n. 7 del 2003 - con un contesto bellico,
considerato che riveste natura terroristica anche l'atto diretto contro un obiettivo militare, quando le
peculiari e concrete situazioni di fatto facciano apparire certe ed inevitabili le gravi conseguenze per la
vita e l'incolumità fisica della popolazione civile, contribuendo a diffondere paura e panico nella
collettività. Ne deriva che, ai fini dell'individuazione della natura dell'atto incriminato, l'elemento
discretivo, in un contesto bellico o di occupazione militare, non è tanto lo strumento adoperato quanto
l'obiettivo avuto di mira, di guisa che costituisce atto terroristico quello che sia in tempo di pace, sia nel
corso di un conflitto armato, si diriga contro un civile o una persona che non partecipi o non partecipi
più attivamente alle ostilità. (Fattispecie relativa alla configurazione del delitto di cui all'art. 270 bis cod.
pen. nei confronti di alcuni appartenenti all'organizzazione "Ansar al Islam", che nel quadro della jihad
islamica, avevano provveduto al proselitismo, al reclutamento e alla raccolta di finanziamenti
preordinati a preparare e ad eseguire azioni terroristiche contro governi cosiddetti 'infedelì, ritenendo la
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
12
Tuttavia non può non evidenziarsi che l’anticipazione della soglia di punibilità, interpretata
in un contesto di forte ispirazione securitaria, si presta a generare non pochi problemi di
natura applicativa17.
Il Legislatore italiano si è poi impegnato nel recepimento degli atti normativi internazionali.
Con la legge 14 gennaio 2003 n. 7 è stata ratificata la Convenzione internazionale per la
repressione del finanziamento del terrorismo del 9 dicembre 1999 mentre con la legge 14
febbraio 2003 n. 34 è stata ratificata la Convenzione per la repressione degli attentati
terroristici mediante esplosivi adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 15 dicembre
1997.
In particolare la legge 34/2003 ha introdotto nel codice penale l’art. 280 bis che punisce
“l’atto di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi”. Tale fattispecie delittuosa è
sussumibile nel novero dei reati di attentato a consumazione anticipata in quanto
considera consumata la condotta anche con la semplice messa a rischio del bene
tutelato18.
Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 marzo 2003. Dichiarazione dello
stato di emergenza in relazione alla tutela della pubblica incolumità nella contestuale
situazione internazionale.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 marzo 2003, adottato ai sensi
dell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992 n. 225, è stato dichiarato “lo stato di emergenza nel
territorio nazionale in relazione alla tutela della pubblica incolumità nella attuale situazione
internazionale; il capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, svolge le funzioni di commissario delegato del Presidente del
Consiglio dei Ministri, fatti salvi i poteri del Ministro dell'interno”. L’adozione di questo
peculiare provvedimento è stata giustificata dall’acuirsi del pericolo derivante dal
terrorismo internazionale “che impone l'assunzione immediata di iniziative di carattere
natura terroristica degli attentati dinamitardi e delle azioni dei cosiddetti "kamikaze" compiuti in luoghi
affollati dalla popolazione civile, pur se indirizzati contro obiettivi militari, nel corso di un conflitto
armato)”. (Sez. V, sent. n. 39545 del 04-07-2008 (ud. del 04-07-2008), C.M.C. (rv. 241730)
17 Cfr. A. CERABONA , Terrorismo, conta i l pericolo presunto . Quella sogl ia di
punibi l i tà anticipata , in Diri tto e Giustizia , 26, 2005, p.110 ss.
18 Sul tema è interessante la r icostruzione proposta da A. PECCIOLI , Lotta agl i
attentati terrorist ici mediante ordigni esplosivi : le modif iche al codice penale , in DPP,
n. 3, p. 934.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
13
straordinario ed urgente, volte sia ad acquisire la disponibilità di beni e servizi che a
definire procedure amministrative di carattere informativo e di intervento immediato
nell'ambito della definizione di un quadro organico di idonei dispositivi operativi e di misure
di carattere preparatorio adeguati a fronteggiare possibili situazioni di pregiudizio per la
collettività”. La dichiarazione di stato di emergenza in esame ha riproposto alcune
questioni relative alla legittimità del potere di ordinanza necessitato, specie in
considerazione della mancata previsione casistica, specificamente dettagliata, dei
provvedimenti adottabili in forza dell’esercizio del potere di ordinanza.
La legge n° 225 del 1992, istitutiva del servizio nazionale della protezione civile, ha dettato
una organica disciplina finalizzata a fronteggiare e prevenire gli eventi calamitosi e le
situazioni emergenziali ad essi connesse. La legge in esame prevede l’instaurazione di
uno stato d’eccezione al verificarsi di calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per
intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.
Dunque, il criterio legittimante il regime derogatorio è individuato nella necessità di dover
ricorrere a poteri straordinari, non essendo sufficiente il ricorso a strumenti ordinari.
L’articolo 5 della legge 225/92 prevede che “il Consiglio dei ministri, su proposta del
Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1, comma
2, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, delibera lo stato di emergenza,
determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla
natura degli eventi”.
Alla formale deliberazione dello stato di emergenza consegue la possibilità di esercizio del
potere necessitato di ordinanza mediante: a) l’adozione di ordinanze in deroga ad ogni
disposizione vigente, e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico; b)
l’adozione di ordinanze finalizzate ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a
persone o a cose. L’espressa previsione che le ordinanze di necessità possano derogare
la legislazione primaria vigente solleva dubbi in merito alla legittimità costituzionale di una
tale interferenza nella gerarchia delle fonti. La Consulta già con la sentenza n° 8 del 2
luglio 1956, ha riconosciuto la legittimità costituzionale delle ordinanze necessitate, a
condizione che le stesse siano connotate da “efficacia limitata nel tempo in relazione ai
dettami della necessità e dell’urgenza, adeguata motivazione, efficace pubblicazione nei
casi in cui il provvedimento non abbia carattere individuale, conformità del provvedimento
stesso ai principi dell’ordinamento giuridico”. La centralità del rispetto ineludibile dei
principi dell’ordinamento giuridico viene ribadita dalla Consulta nella sentenza n° 26 del 23
maggio 1961 che ritiene imprescindibili “quei precetti della costituzione che,
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
14
rappresentando gli elementi cardinali dell’ordinamento, non consentono alcuna possibilità
di deroga nemmeno ad opera della legge ordinaria”. Quanto alla natura delle ordinanze
necessitate, la Corte ( sentenza n° 4 del 4 gennaio 1977) giunge a ritenere che esse
possano avere natura normativa ma le esclude dal novero delle fonti in quanto “non
innovano al diritto oggettivo, né, tanto meno, sono equiparabili ad atti con forza di legge
per il sol fatto di essere autorizzate a provvedere in deroga alla legge”. Con la sentenza n°
201 del 3 maggio 1987, la Corte Costituzionale individua una serie di ulteriori condizioni
che costituiscono il presupposto legittimante del potere di ordinanza di necessità. Tali
condizioni sono rappresentate dalla sussistenza di una specifica autorizzazione legislativa
che “anche senza disciplinare il contenuto dell’atto, indichi il presupposto, la materia, le
finalità dell’intervento e l’autorità legittimata”; dall’efficacia meramente derogatoria rispetto
alla normativa primaria; dal rispetto delle riserve di legge e dall’adeguatezza al fatto.
Con la sentenza n° 127 del 1995, la Consulta ritorna sull’argomento ribadendo la
necessità che il potere derogatorio rispetto alla normativa primaria sia esercitato
dall’autorità amministrativa attraverso la previsione di deroghe temporalmente limitate
(carattere della provvisorietà) e con la garanzia di una ragionevole proporzione tra le
misure adottate e l’evento emergenziale(carattere della strumentalità).
Malgrado la Corte abbia sostanzialmente legittimato l’esercizio del potere di ordinanza
necessitata, pur nel rispetto di talune e ben specificate condizioni19, non possono ritenersi
completamente dissipati tutti i dubbi di legittimità costituzionale20. Difatti, parte della
dottrina21 ritiene che le ordinanze necessitate siano incostituzionali in quanto violative della
19
“Ha carattere eccezionale i l potere di deroga al la normativa primaria, conferi to
ad autori tà amministrative munite di poteri di ordinanza, sul la base di specif ica
autorizzazione legislativa. Si trat ta di deroghe temporalmen te del imitate, non anche
di abrogazione o di modif ica di norme vigenti”( cfr . la sentenza del la Corte
Costi tuzionale n° 127 del 14 apri le 1995).
20 Con una interessante pronuncia, la Corte dei Conti ha definito i l potere di
ordinanza “ un’anomalia ist i tuzionale che introduce al terazioni nel le normali
competenze di enti e organi pubblici , neutral izza sostanzialmente la forza del
control lo giuridico, attraverso i l r iconoscimento di poteri di deroga normativa,
contribuendo al tresì a radicare i l convincimento ch e interventi straordinari sanino le
ineff icienze e cancel l ino le responsabi l i tà”( cfr . la sentenza del la Corte dei Conti n°
151 del 19.11.1986).
21 Cfr . G. MARAZZITA , L’emergenza costi tuzionale. Definizione e model l i , Giuffrè,
Mi lano, 2003.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
15
riserva di decreto legge in tema di emergenza e lesive della forza di legge. L’iter
argomentativo seguito a tale fine ravvisa nell’articolo 77 della Costituzione una vera e
propria riserva in base alla quale la sussistenza di situazioni di necessità ed urgenza
legittimerebbe esclusivamente il Governo ad adottare provvedimenti provvisori con forza di
legge al fine di garantire che, in ogni caso, non venga sovvertito il sistema delle fonti e,
quindi non venga messa in discussione la forma di governo. Il meccanismo di produzione
normativa predisposto dall’articolo 77 della Costituzione, infatti, mantiene comunque
integra la centralità nel procedimento normogenetico del ruolo del Parlamento, chiamato a
convertire il provvedimento governativo ed, eventualmente, a regolare i rapporti sorti sulla
base di decreti non convertiti. La norma costituzionale tutela e garantisce, altresì, l’
ineludibilità del controllo di costituzionalità da parte della Consulta. Tali garanzie non
possono essere ricondotte a provvedimenti amministrativi diversi dal decreto legge, nella
cui adozione l’assemblea elettiva non ha alcun ruolo né di partecipazione né di controllo.
In tale ottica, si dovrebbe ritenere non ammissibile qualsivoglia provvedimento
amministrativo necessitato che tenda a derogare a normativa di rango primario22.
Diversamente opinando, si sovvertirebbe “ la centralità decisionale dell’organo
direttamente rappresentativo della sovranità popolare”23 che, attraverso i procedimenti
previsti dagli articoli 77 e 78 della Carta Fondamentale, risulta essere imprescindibile
anche in situazioni di emergenza.
Un’altra argomentazione utilizzata a sostegno della tesi dell’incostituzionalità delle
ordinanze necessitate è quella della lesione della forza di legge. In un ordinamento ispirato
al principio di legalità, tutti i poteri amministrativi devono trovare nella legge il presupposto
legittimante nonché il vincolo ineludibile. Orbene, fino a quando le ordinanze necessitate
permangono nell’ambito delle fonti secondarie, non v’è alcun particolare problema. A
22
Sul punto “l ’articolo 77 del la Costi tuzione non esclude solo che ad al tre
autori tà possa spettare di provvedere in genere, in caso di necessità, secondo
necessità ed urgenza, ma anche che autori tà diverse dal Governo possano
provvedere, secondo necessità e senza al tro l imite che la necessità, a qualsiasi
s ingolo ed individuato bisogno”(C. ESPOSITO , Decreto-legge , cit . p. 866). Anche
Paladin ri t iene che per i l fatto che “ la legi tt imazione del l ’art . 77, 2° comma, riguardi
unicamente i l Governo” si può affermare “l ’attuale incosti tuzional i tà o, addiri t tura,
l ’avvenuta abrogazione del le disposizioni di legge attr ibutive del potere derogatorio
di ordinanza ai sindaci, ai prefett i e ad ogni al tro organo diverso dal Governo”( cfr .
L.PALADIN , Decreto-legge , op ci t . p. 288)
23 G. MARAZZITA , L’emergenza costi tuzionale, ci t, p. 448.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
16
conclusioni diverse si giunge quando tali provvedimenti emergenziali si pongano in
contrasto con fonti primarie, derogando ad esse. L’affermazione secondo cui le ordinanze
necessitate non avrebbero natura normativa e, pertanto, sarebbero prive di forza di legge
e quindi ammissibili perché non contrastanti con il sistema delle fonti, appare in realtà
poco rispondente al vero24. Difatti, nel momento in cui un atto amministrativo introduce una
deroga alla disciplina legislativa previgente, sebbene provvisoriamente limitata nel tempo,
è evidente che si realizza un’incidenza sull’efficacia della legge che, non solo, non sarà più
generalmente applicabile, ma non potrà essere sottoposta al vaglio di costituzionalità,
atteso che la sua non applicabilità escluderà la rilevanza ai fini della proposizione della
questione.
Dunque, il potere straordinario di ordinanza rimane ancora oggi una fattispecie quanto
meno controversa laddove i provvedimenti adottati trascendano l’ambito sub-legislativo e
si pongano in diretto contrasto con normative primarie. In tale contesto risultano
sicuramente meno problematiche le ordinanze a presupposto speciale e a contenuto
vincolato25 la cui adottabilità ed il cui ambito di operatività è espressamente e
specificamente individuato dalla norma legislativa che le prevede. In tale contesto i margini
di esercizio di discrezionalità amministrativa sono estremamente limitati e non sorgono
particolari problemi in relazione al sistema delle fonti in quanto l’eventuale deroga a norme
primarie è disposta dalla stessa legge di autorizzazione.
Contrariamente invece accade quando la legge si limiti meramente e genericamente a
prevedere la possibilità di esercizio del potere straordinario di ordinanza. In tale caso,
sarebbe auspicabile, pertanto, che, in situazioni di emergenza, nel rispetto del sistema
delle fonti e dei poteri straordinari previsti dall’art. 77 della Costituzione, il Governo, con
atto avente forza di legge, conferisse ad organi amministrativi la potestà di adottare
singole misure derogatorie rispetto a norme legislative specificamente individuate dallo
24
“E’ evidente che una vol ta attr ibui ta al le ordinanze la forza di legge, avremmo
def ini t ivamente sancito la loro incosti tuzional i tà stante la tassativi tà del le fonti
primarie; specularmente, una vol ta affermata la loro incosti tuzional i tà potremmo
argomentarla sul la base del la loro sostanziale forza di legge” ( G. MARAZZITA ,
L’emergenza costi tuzionale, ci t, p. 451)
25 L’art . 139 del R.D. 27 lugl io 1934 n° 1265 prevede nel caso di sospensione o
interruzione di un servizio farmaceutico, un potere condizionato e a contenuto
vincolato eserci tab i le solo attraverso l ’adozione di misure idonee al r iprist ino del
servizio ( qual i , ad esempio, le sosti tuzioni o le precettazioni del personale).
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
17
stesso decreto legge. Siffatto procedimento consentirebbe alle ordinanze in esame di
rimanere nell’ambito delle fonti sub-legislative meramente esecutive di precetti normativi
primari.
Il decreto legge 27 luglio 2005 n° 144 convertito con legge n° 155 del 31 luglio 2005.
Prospetto sintetico delle modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale.
Con decreto legge 27 luglio 2005 n. 144, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio
2005, n. 155, sono state approvate le "Misure urgenti per il contrasto del terrorismo
internazionale". Ancora una volta lo Stato italiano si è trovato a dover fronteggiare una
situazione decisamente straordinaria, quale l’emergenza terroristica internazionale,
tentando di operare un equo bilanciamento tra l’esigenza di sicurezza e la tutela dei diritti
individuali. Con il provvedimento in esame sono state introdotte alcune modifiche al codice
penale ed al codice di procedura penale incentrate su una duplice configurazione
dell’oggetto della tutela penale che riguarda sia l’interesse relativo alla personalità dello
Stato sia l’ordine pubblico.
Segnatamente:
a) è stata estesa ai responsabili di livello almeno provinciale degli uffici o reparti della
Polizia di Stato o dell'Arma dei Carabinieri competenti per lo svolgimento di indagini in
materia di terrorismo la facoltà di avere colloqui personali a fini investigativi con detenuti
ed internati;
b) è stato previsto l'obbligo per il Questore, "autonomamente o su segnalazione dei
responsabili di livello almeno provinciale delle Forze di Polizia, ovvero dei direttori dei
Servizi informativi e di sicurezza, ovvero quando è richiesto dal Procuratore della
Repubblica, di rilasciare allo straniero uno speciale permesso di soggiorno a fini
investigativi, di durata annuale e rinnovabile per uguali periodi";
c) è stata riconosciuta al Ministro dell’interno, o, su sua delega, al Prefetto la facoltà di
disporre l'espulsione dello straniero a determinate condizioni;
d) è stata sospesa fino al 31 dicembre 2007, l'applicazione delle disposizioni di legge,
di regolamento o dell'autorità amministrativa che prescrivono o consentono la
cancellazione dei dati del traffico telefonico o telematico;
e) è stato prescritto l'obbligo, fino al 31 dicembre 2007, di munirsi di licenza del
Questore a carico di chiunque abbia intenzione di aprire un pubblico esercizio o un circolo
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
18
privato di qualsiasi tipo, nel quale sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei
soci apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni anche telematiche;
f) per specifiche esigenze di pubblica sicurezza o per la prevenzione di gravi reati, è
stata riconosciuta al Ministro dell'Interno la facoltà di disporre speciali limiti o condizioni
all'importazione, commercializzazione, trasporto e impiego di detonatori ad accensione
elettrica a bassa e media intensità e di altri esplosivi di 2a e 3a categoria;
g) è stato disposto il divieto di addestramento o di istruzione, in qualsiasi forma, anche
anonima, o per via telematica, sulla preparazione o sull'uso di materiali esplosivi, di armi
da guerra, di aggressivi chimici o di sostanze batteriologiche nocive o pericolose o di altri
congegni micidiali;
h) è stata riconosciuta al Ministro dell'Interno la facoltà di disporre - per ragioni di
sicurezza - che il rilascio dei titoli abilitativi civili comunque denominati e l'ammissione alle
attività di addestramento al volo per un periodo determinato, non inferiore a sei mesi e non
superiore a due anni, sia subordinato al nulla osta preventivo del Questore;
i) è stata modificata la disciplina processualpenalistica in tema di identificazione
personale. In particolare è stato integrato l’art. 349 del codice di procedura penale con
l’introduzione del comma 2 bis, che prevede che se gli accertamenti finalizzati
all’identificazione dell’indagato o delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti
per la ricostruzione dei fatti “comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso
dell'interessato, la Polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità
personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata
per iscritto, del pubblico ministero". E’ stato altresì disposto l'allungamento a non oltre le
24 ore - previo avviso anche orale al Pubblico Ministero - del fermo di identificazione di
persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, quando l'identificazione stessa risulti
particolarmente complessa oppure occorra l'assistenza dell'autorità consolare o di un
interprete, e in tal caso con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un
convivente;
j) è stata introdotta una nuova fattispecie di reato prevista dall’art. 497 bis del codice
penale e rubricata come “ possesso e fabbricazione di documento di identificazione falsi”
che punisce con la reclusione la condotta di chiunque venga trovato in possesso di un
documento falso valido per l’espatrio;
k) è stata disposta l’introduzione del permesso di soggiorno elettronico;
l) sono state introdotte numerose modifiche in tema di arresto e di fermo.
Segnatamente, è stato previsto : 1) l’obbligo per gli ufficiali e gli agenti di Polizia giudiziaria
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
19
di procedere all'arresto di chiunque venga colto in flagranza di "delitti commessi per finalità
di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena
della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni"; 2) la
facoltà di arresto (art. 381, comma 2, lettera m bis del Codice di Procedura Penale) da
parte degli ufficiali ed agenti di Polizia giudiziaria di chiunque venga colto in flagranza del
delitto di "fabbricazione, detenzione o uso di documento di identificazione falso", previsto
dall'art. 497 bis del Codice Penale; 3) l’obbligo del fermo di propria iniziativa di indiziato di
delitto da parte della Polizia giudiziaria, qualora sia successivamente individuato l'indiziato
ovvero sopravvengano specifici elementi, quali il possesso di documenti falsi, che rendano
fondato il pericolo che l'indiziato stia per darsi alla fuga;
m) sono state introdotte modifiche in tema di misure di prevenzione. Segnatamente è
stato stabilito che: 1) "se l'inosservanza riguarda gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla
sorveglianza speciale con l'obbligo o il divieto di soggiorno, si applica la pena della
reclusione da uno a cinque anni ed è consentito l'arresto anche fuori dei casi di flagranza"
; 2) il Questore abbia la facoltà di imporre alla persona condannata per un delitto non
colposo, ancorché non "avvisata oralmente", il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in
parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar, e visori notturni,
indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o
modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque
predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, nonché programmi informatici e altri
strumenti di cifratura o criptazione di conversazioni e messaggi; 3) "quando i delitti di
mafia, per i quali è consentito l'arresto in flagranza, sono commessi da persone sottoposte
ad una misura di prevenzione, la Polizia giudiziaria può procedere all'arresto anche fuori
dei casi di flagranza";
n) è stato disposto il congelamento dei beni, quando sussiste il rischio che i fondi e le
risorse siano utilizzati per il finanziamento di attività terroristiche;
o) sono state introdotte nuove fattispecie di reato: 1) arruolamento con finalità di
terrorismo, anche internazionale; 2) addestramento ad attività con finalità di terrorismo
anche internazionale (art. 270 quinquies del Codice Penale); 3) condotte con finalità di
terrorismo: quelle che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un
Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la
popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o
astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o destabilizzare o distruggere le strutture politiche
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
20
fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione
internazionale (art. 270 sexies del Codice Penale);
p) è stato sostituito il secondo comma dell’art. 148 del Codice di Procedura Penale,
che, nella sua novellata formulazione prevede ora che : "nei procedimenti con detenuti ed
in quelli davanti al tribunale del riesame il giudice può disporre che, in caso di urgenza, le
notificazioni siano eseguite dalla Polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono
detenuti”;
q) è stata elaborata l’elencazione dei servizi di vigilanza che non richiedono l'impiego
di personale delle Forze di Polizia e che possono essere affidati a guardie giurate
dipendenti o ad istituti di vigilanza privata (servizi di sicurezza sussidiaria nell'ambito dei
porti, delle stazioni ferroviarie e dei relativi mezzi di trasporto e depositi, delle stazioni delle
metropolitane, etc).
Dal mero scorrer in lettura le previsioni normative appena elencate, è agevole rilevare
come l’esigenza di fronteggiare tempestivamente l’emergenza terroristica internazionale
abbia indotto il Legislatore ad operare scelte e ad adottare misure che, per certi versi,
paiono “sacrificare” la libertà individuale sull’ “altare” della sicurezza collettiva.
In altri provvedimenti normativi l’attenzione si è incentrata sul fenomeno migratorio
irregolare nella convinzione che esso, per un verso, rappresenti una fonte di grande
insicurezza per i cittadini e, per altro verso, renda possibile il proliferare di tentativi di
proselitismo da parte delle organizzazioni terroristiche. In tale prospettiva è stata
approvata la legge 15 luglio 2009 n. 9426 che ha ulteriormente inasprito le misure di
repressione nei confronti dell’immigrazione irregolare, nel solco già tracciato dalla L.
125/2008.
L’altro versante su cui si è attestato l’intervento legislativo è quello della lotta al
finanziamento alle attività di terrorismo in esecuzione delle relative risoluzioni adottate
dall’ONU e dei provvedimenti dell’Unione Europea. In tal senso è molto significativo il
sistema introdotto dal Decreto legislativo 109/2007 che affronta il tema delle blacklist dei
soggetti sospettati di finanziare azioni terroristiche. Parimenti rilevanti sono le modifiche
alla normativa antiriciclaggio introdotte dal D.L. 21 novembre 2007 n. 231 che, nel dare
attuazione alla Direttiva 2005/69/CE27 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema
26
Sul tema cfr. P. MAROZZO DELLA ROCCA “Immigrazione e ci t tadinanza. Profi l i
normativi e orientamenti giurisprudenzial i . Aggiornamento al la legge 15 lugl io 2009 n.
9° recante disposizioni in materia di pubbl ica sicurezza ”, Torino, 2009.
27 Cfr. G. STUMPO – T. VALLONE , I l contrasto al r iciclaggio di capital i ed al
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
21
finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del
terrorismo, ha imposto una serie di obblighi agli operatori economici per contrastare il
“money laundering”.
Ad un esame complessivo della normazione adottata si rileva che numerose disposizioni
lasciano sorgere non poco rilevanti dubbi di legittimità costituzionale. In questa prospettiva
d’indagine, ex multis, risulta particolarmente significativa la novella introdotta nel codice di
rito penale in tema di accertamenti di natura genetica.
L’art. 10 del decreto legge in esame, nel novellare l’art. 349 del codice di rito penale, ha
dato ingresso a nuove modalità di accertamento finalizzate all’ identificazione della
persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su
circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti28.
Segnatamente, il neointrodotto comma 2 bis dell’art. 349 c.p.p. prevede che, se gli
accertamenti per l’identificazione della persona indagata «comportano il prelievo di capelli
o saliva e manca il consenso dell’interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo
coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta,
oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del pubblico ministero». La norma in
esame ha espressamente previsto nei confronti dell’indagato di reato l’ammissibilità del
prelievo coattivo del DNA, disposto quindi in assenza del consenso da parte
dell’interessato. La formulazione della norma in esame ha sollevato non pochi dubbi in
riferimento alla compatibilità con la garanzia costituzionale della libertà personale
f inanziamento i l leci to. Normative internazional i ed attuazione del la II I Dirett iva
comuni taria in Ital ia , Franco angel i , 2008.
28 Nel la relazione al disegno di legge governativo è dato scorrere in lettura: « i l
prof i lo del D.N.A. è attualmente riconosciuto in ambito mondiale come la migl ior
tecnica di identi f icazione personale disponibi le in termini di sicurezza, aff idabi l i tà,
ef f icacia ed economici tà. Le tecniche di determinazione del prof i lo del D.N.A. di un
soggetto sono ormai talmente raff inate e sensibi l i che per ottenere un risul tato sicuro
sono suff icienti poche cel lule del la mucosa boccale rintracciabi l i in una piccola
quanti tà di sal iva che si preleva con uno stick dal la bocca, senza manovre invasive,
né sofferenza f isica o psicologica. Peraltro, trattandosi di una tecnica che uti l izza
metodologie e standards r iconosciuti e di f fusi in ambito mondiale, essa consente di
scambiare agevolmente i dati tra gl i organismi investigativi di Stati diversi e c iò
rappresenta, nel l ’at tuale fase di di ffusione del crimine transnazionale, una risposta
adeguata e proporzionata al la minaccia, anche terrorist ica, al la sicurezza pubbl ica e
privata»(www.giustizia.i t ).
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
22
cristallizzata nell’articolo 13 della Carta Fondamentale, specie alla luce della sentenza
della Corte Costituzionale n. 238/96.
Difatti, non può non ammettersi che la portata della pronuncia della Consulta de qua
travalica il prelievo ematico coattivo ed investa ogni analisi di tipo soggettivo che consenta
di identificare l'individuo al quale è riferibile la traccia biologica, tramite accertamenti di
carattere più o meno invasivo della sfera corporale della persona. Del resto, non può
sussistere alcuna incertezza in merito alla configurabilità del prelievo coattivo di DNA
quale restrizione della libertà personale nè appare decisiva la differenziazione tra i vari tipi
di test del DNA operata sulla base del diverso grado di invasività. L’evoluzione delle
tecniche scientifiche e mediche ha, di fatto, reso il prelievo ematico oltre che pratica
routinaria, anche operazione incapace di incidere sulla sensibilità al dolore del soggetto e
di arrecare qualsivoglia pregiudizio. Tale circostanza rende sostanzialmente equiparabile il
prelievo ematico al prelievo di capelli o di saliva. Ebbene, il novellato art. 349 del codice di
rito penale, nella sua formulazione testuale, appare integrare violazione della riserva di
legge prevista dall’art. 13 della Costituzione, in quanto non tipizza espressamente e
specificamente i casi ed i modi nei quali può avvenire il prelievo coattivo del DNA.
Il legislatore ha introdotto una norma di portata generale, astrattamente applicabile a tutti
gli indagati di qualsiasi reato e non soggetta ad alcun vincolo temporale di efficacia29.
29
Difatt i , nessuna previsione in meri to al l ’ambito di appl icabi l i tà e d al l ’eff icacia
nel tempo assiste l ’ introduzione del la modal i tà di accertamento in esame che,
comunque, si inserisce in un atto recante misure straordinarie. Ciò malgrado
l ’espresso richiamo al la giurisp rudenza costi tuzionale che, peral tro, ha indotto lo
stesso legislatore a sancire la temporaneità di alcune misure introdotte con i primi
quattro art icol i del la legge de qua , relativamente ai qual i è dato leggere nel la
relazione al d.d.l . governativo: « in relazione ai prof i l i di costi tuzional i tà, con
specif ico ri ferimento ai possibi l i r i l ievi di indeterminatezza del le fatt ispecie,
al l ’ incidenza del le nuove norme sul processo penale e amministrativo e sul le
garanzie del la l ibertà personale, si è fatto r i ferimento al la giurisprudenza del la Corte
costi tuzionale che, con specif ico riguardo al la minaccia terrorist ica, ha più vol te
evidenziato: l ’ammissibi l i tà di norme indeterminate al lorché si verte su si tuazioni
prel iminari al la commissione di reati di terrorismo o di eversione;la prevalenza del
«preciso ed indecl inabi le dovere» del l ’ordinamento al la tutela del l ’ordine democratico
e del la sicurezza pubbl ica contro i l terror ismo e l ’eversione, anche rispetto ad al tr i
princìpî costi tuzional i ; l ’ammissibi l i tà di «misure insol i te» l imitate nel tempo. Per
questo motivo le disposizioni sopra ci tate hanno un circoscri t to ambito temporale di
appl icazione f ino al 31 dicembre 2007»( www.giustizia.i t ) .
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
23
Nessun riferimento è stato fatto all’indispensabilità del prelievo di DNA ai fini della
prosecuzione delle indagini, né alcuna indicazione è volta all’ esclusione della possibilità di
esecuzione del prelievo coattivo del DNA in caso di reati caratterizzati da un disvalore
penale non particolarmente accentuato, con conseguente possibilità per il giudice di trarre
argomenti di prova in caso di rifiuto del soggetto. Quest’ultima circostanza rende la norma
in esame censurabile anche sotto il profilo della ragionevolezza. Se, infatti, si può ritenere
ragionevole ammettere il prelievo coattivo per gli indagati di reati particolarmente gravi,
alla medesima conclusione non può giungersi per reati di scarso rilievo, ai quali pure si
applica il precetto normativo de quo. Parimenti non si è dato alcun rilievo alla natura della
fattispecie delittuosa per la quale si procede. Dunque, non solo non sono stati determinati i
modi ed i casi, ma l’ambito di applicabilità della norma è del tutto indifferenziato. Quanto ai
casi, e’ sufficiente la mera sottoposizione ad indagini, pur in assenza di formulazione
dell’imputazione, per legittimare la praticabilità dell’ accertamento personale coattivo. I
modi di accertamento peritale poi non sono oggetto di puntuale e specifica descrizione
procedurale, essendosi il legislatore limitato a prevedere genericamente il prelievo di
saliva e capelli. Sul piano dei limiti negativi, il comma 2 bis dell’art. 349 del codice di rito
penale contiene un, tanto suggestivo quanto scevro di connotazione concretamente
incisiva, riferimento al rispetto della dignità umana della persona. Ebbene, appare
difficilmente immaginabile che un individuo il quale, sebbene senza giustificato motivo,
non acconsenta a sottoporsi al test del DNA, possa essere coattivamente assoggettato
all’accertamento personale con modalità effettivamente idonee a non ledere la sua dignità
personale30.
Né sembra che la norma in esame abbia pienamente rispettato la riserva di giurisdizione,
atteso che l’intervento dell’autorità giudiziaria è subordinato all’iniziativa della polizia
30
«L’esercizio coatt ivo di tale model lo di veri f ica, a fronte del la ferma
opposizione del la persona indagata, non potrà che imp l icare i l r icorso al la forza
f isica nei confronti del la stessa – per costringerla ad aprire la cavità orale per
effettuare i l prel ievo di sal iva, o per strappare i capel l i che l ’ indagato non intende
cedere – secondo dei model l i procedimental i che, seppure appartengono al la prassi
pol iziesca sono in l inea di principio proibi t i in un ordinamento giuridico che tutela sia
la propria identi tà genetica che la integri tà e disponibi l i tà del proprio corpo»( cfr . A.
MARTINI , Difendere la democrazia da un nemico sconosciuto: i l terrorismo , in T.
GROPPI (a cura di ), Democrazia e terrorismo , Napol i , 2006, 76).
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
24
giudiziaria ed assume la veste di autorizzazione non espressamente contenuta in un atto
motivato31.
Dunque, non solo il legislatore del 2005 ha nuovamente reiterato l’indeterminatezza dei
casi ma ha anche accentuato il ruolo della polizia giudiziaria in linea con un’ impostazione
di ispirazione preventiva che permea tutto l’impianto del decreto legge in esame. Ciò,
malgrado la Corte Costituzionale nella sentenza 238/96 abbia espressamente statuito che
in materia di restrizioni della libertà personale, quale è il prelievo del DNA, è operante «la
garanzia della riserva assoluta di legge, che implica l’esigenza di tipizzazione dei casi e
modi in cui la libertà personale può essere legittimamente compressa e ristretta».
Inoltre la stessa circostanza per cui il legislatore del 2005 ha introdotto nel sistema penale
il prelievo coattivo di DNA, prevedendo una disposizione integrativa dell’articolo 349 c.p.p.,
merita qualche considerazione critica. Difatti, la novellata norma del codice di rito è
rubricata come identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e
di altre persone. Ebbene se i rilievi dattiloscopici, fotografici ed antropometrici risultano
direttamente finalizzati all’identificazione di persone non conosciute, il test del DNA
assume, in realtà, una portata che va al di là della mera identificazione. L’accertamento
del DNA consente, infatti, di operare una comparazione tra i dati risultanti dal prelievo
effettuato e le tracce biologiche rinvenute sulla scena di un delitto. Dunque, «la sua
funzione primaria è cercare autori di reati, non identificare soggetti che sono fisicamente
presenti»32.
In tema di prelievo coattivo di campioni biologici per fini di accertamento della verità è
successivamente intervenuto il Legislatore con la legge n. 85 del 2009 che, pur facendo
salvo l’art. 349 c.p.p., ha introdotto l’art. 359 bis c.p.p, a norma del quale il prelievo
coattivo di materiale organico tratto dalla mucosa del cavo orale o di capelli in assenza del
consenso della persona interessata può essere disposto dal pubblico ministero solo previa
autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, in presenza dei presupposti stabiliti
dall’art. 224 bis c.p.p.(delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge
stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni e negli
altri casi espressamente previsti dalla legge). La citata novella normativa, introdotta in
31
Sul punto la relazione al disegno di legge governativo afferma che la
necessità di un provvedimento motivato del l ’autori tà giudiziaria ai f ini
del l ’autorizzazione al prel ievo coatt ivo del DNA è da ri tenersi impl ici ta.
32 F. DE LEO , Terrorismo: le scappatoie per uscire dal l ’ incosti tuzional i tà sul
prel ievo del DNA , in Guida al Diri t to , 2005, 37, 11.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
25
attuazione del Trattato di Prum33, ha circoscritto ed individuato la tipologia di persone
passibili di sottoposizione al prelievo coattivo di campioni biologici, al contempo limitando
le ipotesi di operatività a talune e ben specificate fattispecie di reato caratterizzate da
particolare disvalore sociale.
Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare
grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero può disporre con proprio
decreto motivato l’effettuazione coattiva del prelievo biologico sulla persona interessata.
Tale decreto deve essere convalidato dal giudice per le indagini preliminari entro le 48 ore
successive.
La novella del 2009 risulta essere maggiormente in linea con il dettato costituzionale ed, in
particolare, con la riserva di legge assoluta contenuta nell’articolo 13 della Carta
Fondamentale, ma lascia comunque aperti non pochi spiragli di criticità34.
Uno degli aspetti di maggiore rilevanza in tema di accertamenti genetici è costituito dalla
creazione di apposite banche dati.
Ebbene, malgrado non si possa non concordare sull’utilità dell’ istituzione di un archivio
genetico informativo35 per il contrasto contro qualsiasi forma di criminalità36, non solo
33
Il Trattato di Prum è stato sottoscritto il 27 maggio 2005 tra Belgio, Germania, Spagna, Francia,
Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria ed ha ad oggetto“l’approfondimento della cooperazione
transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la
migrazione illegale”. Per riaffermare l’esigenza di rafforzare la cooperazione tra tutti gli Stati membri in
materia di scambio delle informazioni genetiche utili alle indagini e alla prevenzione dei reati, è stata
anche adottata la Decisione 2008/615/GAI del Consiglio del 23 giugno 2008, in G.U.U.E. del 6 agosto
2008, L 210/1.
34 “Anche se, fatta salva la specificità delle singole fattispecie e la difficoltà per una qualunque
disciplina legislativa di regolamentare tutte le possibili applicazioni della biomedicina, la persistenza
delle contraddizioni sopra segnalate – di tipo prettamente procedurale, in relazione all’autorità (pubblico
ministero o giudice) abilitata, secondo i casi, a disporre il prelievo coattivo, ovvero contenutistico, per la
particolare indeterminatezza di una parte del tessuto dispositivo -, nel depotenziare il portato
garantistico introdotto dal 2° comma dell’art. 13 Cost., a tutela della libertà personale del soggetto
sottoposto a prelievo del DNA, potrebbe, in una certa misura, determinare, nella stessa collettività, una
qualche diffidenza e giusta inquietudine nei riguardi di questa importante risorsa investigativa,
funzionale all’accertamento dell’identità della vittima e del responsabile di un grave reato”, L. Chieffi,
“Analisi genetica e tutela del diritto alla riservatezza. Il bilanciamento tra il diritto di conoscere e quello
di ignorare le proprie informazioni biologiche” in Studi in onore di Vincenzo Atripaldi, Napoli, 2009.
35 In Europa nel 1995 l ’ Inghi l terra è stata la prima ad ist i tuire una banca dat i
genetica.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
26
quella legata al terrorismo internazionale, si deve rilevare che l’organizzazione e la
gestione di una banca dati genetica non può prescindere dal rispetto dei valori e principi
costituzionalmente garantiti37. La banca dati genetica dovrebbe archiviare i profili genetici
ricavati da tracce reperite sui luoghi del reato, i campioni biologici delle persone offese dal
reato, degli indagati, degli imputati e dei condannati. La gestione di tale tipo di archivio
comporta numerosi problemi anche di natura etica. È necessario individuare gli organi
deputati alla raccolta dei campioni nonché l’Autorità competente alla gestione del sistema
e dei dati, con particolare attenzione alla disciplina degli accessi per la consultazione,
nell’indefettibile contemperamento delle esigenze di giustizia con la tutela dei diritti
individuali. Occorre poi definire i criteri per la protezione dei dati, i limiti temporali di
conservazione, gli strumenti di rettifica.
Il nostro Paese, nonostante la continua evoluzione scientifica e, soprattutto, le istanze
emergenti anche a livello comunitario ha mostrato una certa lentezza nell’istituzione di un
archivio genetico38.
36
In particolare l ’ ist i tuzione di una banca dati genetica consentirebbe: di
scoprire l ’autore di un reato comparando con i l suo prof i lo genetico le tracce
biologiche rinvenute sul la scena del deli t to; di identi f icare persone scomparse o
ignote; di ef fet tuare scambi di dati tra paesi diversi .
37 Tale circostanza è stata sottol ineata dal Garante per la protezione dei dati
personal i nel la segnalazione indir izzata al Parlamento ed al Governo in data 21
settembre 2007. Nel documento de quo , nel l ’evidenziare l ’esigenza di «un opportuno
intervento normativo» si r i leva che «se da un lato, ad avviso del Garante, è urgente
discipl inare organicamente la materia e potenziare le tecniche di indagine, anche per
scopi di cooperazione internazionale, dal l ’al tro vi sono ri levant i ef fett i sui dir i t t i e le
l ibertà fondamental i del le persone che vanno tutelati con pari ef f icacia» (i l
documento è consul tabi le sul si to www.garanteprivacy.i t ).
Segnatamente, con ri ferimento al l ’ ist i tuzione del la banca dati , le questioni
fondamental i sono: «a) stabi l i re f ino a che punto(per occorrenze att inenti al la
sicurezza pubbl ica o al la prevenzione dei reati) l ’autori tà pubbl ica possa essere
autorizzata a l imitare i l dir i t to al la r iservatezza; b) assicurare che ciò possa avvenire
davvero solo per f ini giudiziari» (cfr . C. FANUELE , Un archivio centrale per i profi l i del
DNA nel la prospett iva di un “di r i t to comune” europeo , in Diri tto penale e processo ,
3/2007, 393).
38 «L’Ital ia è ancora in r i tardo rispetto al le al tre nazioni ; non sono mancati
dibatt i t i pubbl ici e solo negl i ul t imi mesi organi uf f icial i (Ministeri , Regioni,
Associazioni scienti f iche) se ne sono occupati . Ma i l problema è maturo, la maggior
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
27
Il 18 aprile 2006 è stato pubblicato un documento approvato dal Comitato per le
biotecnologie e la biosicurezza39 volto a regolamentare l’istituzione di una banca dati
genetica. Il documento in esame prevede l’obbligatorietà del prelievo di un campione di
saliva per tutti i soggetti arrestati con l’accusa di aver commesso un reato per il quale la
pena edittale sia superiore ai tre anni. Qualora il soggetto in questione, all’esito
dell’esperimento di tutti le fasi processuali, risulti colpevole, i suoi dati genetici rimarranno
archiviati nella banca dati genetica per un periodo di 40 anni. In caso, invece, di
accertamento di innocenza, il soggetto potrà richiedere la cancellazione del suo profilo
genetico. La banca dati genetica, gestita da un’Autorità indipendente, è sottoposta alla
vigilanza del garante per la privacy e di un comitato tecnico. Tale documento ha sollevato,
tuttavia, non poche perplessità. Non chiarisce infatti se i campioni biologici debbano
essere utilizzati solo per trarne la sequenza alfanumerica a fini identificativi e poi distrutti,
ovvero per trarre altre informazioni relative alla vita ed alla salute della persona. Né la
previsione di un limite di pena per individuare i soggetti da schedare appare rispondere ai
criteri di proporzionalità e ragionevolezza.
Ad oggi il nostro Paese ha avuto grandi difficoltà a dotarsi di una banca dati genetica, ma
l’evoluzione scientifica e, soprattutto, le istanze emergenti anche a livello comunitario
rendono ormai necessaria l’istituzione di un archivio genetico.
Cap. III - La politica dell’Unione Europea di contrasto al terrorismo
I tragici eventi del marzo 2004 e del luglio 2005 hanno dimostrato che le democrazie
europee rappresentano uno degli obiettivi presi di mira dal terrorismo internazionale.
L’Unione europea si è trovata a dover fronteggiare la minaccia del terzo millennio ed ha
adottato una copiosa serie di provvedimenti, sostanzialmente ispirati all’esigenza di
coordinamento ed armonizzazione dei sistemi nazionali di lotta alla criminalità40.
parte dei paesi hanno del le diret t ive sul l ’argomento, con particolare ri ferimento al
diri t to di r icevere informazioni sul l ’ut i l izzo del le biobanche, al le condizioni per i l r i t i ro
dal la banca stessa e al l ’uso di campioni anonimizzati , a l la gestione dei dati
personal i» (cfr. A. P IAZZA , Le biobanche: tra genetica e biodir i t to , in Iusti t ia – Rivista
tr imestrale di cul tura giuridica , gennaio-marzo 2006, 42).
39 I l documento è consultabi le sul si to www.governo.i t.
40 Già nel 1977 era stata f i rmata a Strasburgo la Convenzione europea per la
repressione del terror ismo.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
28
Ripercorrere, sia pur summa capita, le principali misure adottate dall’Unione risulta utile al
fine di enucleare i principi e la ratio ispiratrice dell’attività comunitaria.
La politica comunitaria di contrasto del terrorismo rinviene il proprio fondamento
convenzionale nell’art. 29 del Trattato sull’Unione europea, secondo il cui disposto :“
l’obiettivo che l’Unione si prefigge è fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno
spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione in
comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e
prevenendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia. Tale obiettivo è perseguito
prevenendo e reprimendo la criminalità, organizzata o di altro tipo, in particolare il
terrorismo”. L’azione comune da sviluppare per la cooperazione di polizia prevede un
intenso e continuo scambio di informazioni nonché la promozione di iniziative comuni nei
settori della formazione e della ricerca in campo criminologico e l’istituzione dell’Europol
quale strumento centrale di collaborazione operativa.
La cooperazione giudiziaria in materia penale mira ad agevolare la collaborazione tra gli
organi dicasteriali e le autorità giudiziarie anche in merito allo snellimento delle procedure
di estradizione nonché ad uniformare i sistemi normativi in una prospettiva di generale
armonizzazione. In ogni caso non v’è alcuna interferenza con il sistema di responsabilità
degli Stati membri per la conservazione dell’ordine pubblico e della sicurezza interna.
All’indomani dei noti eventi americani dell’11 settembre 2001, il Consiglio europeo
straordinario riunitosi il 21 settembre 2001 per “ analizzare la situazione internazionale in
seguito agli attacchi terroristici sferrati negli Stati Uniti e imprimere l’impulso necessario
all’azione dell’Unione Europea”, definì la lotta al terrorismo una delle principali “sfide
mondiali”, qualificandola come obiettivo prioritario per l’Unione europea, ed approvò un
Piano d’azione41. Il documento programmatico testè menzionato, destinato all’attuazione
41
I l Piano d’azione in esame specif icamente prevedeva:
a) i l raf forzamento del la cooperazione giudiziaria e di pol izia attraverso
l ’ ist i tuzione del l ’ordine di arresto europeo e l ’elaborazione di una def inizione comune
di terrorismo. I l Consigl io europeo delegava i l Consigl io “Giusti zia e affari interni ”
al la compilazione di un elenco dei presunti terrorist i in Europa ed al la cura del la
def inizione del l ’accordo in materia di mandato di arresto europeo;
b) lo svi luppo degl i strumenti giuridici internazional i , at traverso l ’attuazione di
tut te le convenzioni internazional i in mater ia di terrorismo;
c) i l contrasto e la conseguente el iminazione del f inanziamento del terrorismo.
Segnatamente i l Consigl io europeo incaricava i l Consigl io Ecofin ed i l Consiglio
“Giustizia affari e interni” “di adottare le misure necessarie a combattere qualsiasi
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
29
tramite successivi atti normativi, prevedeva il rafforzamento della cooperazione giudiziaria
e di polizia, lo sviluppo di accordi internazionali, la repressione del finanziamento alle
associazioni terroristiche, il rafforzamento della sicurezza aerea ed il coordinamento
dell’azione complessiva dell’Unione anche in politica estera.
Ebbene, l’attività normativa dell’Unione europea in materia di lotta al terrorismo è stata
piuttosto copiosa e decisamente trasversale, in quanto ha assunto le forme
provvedimentali riconducibili ai vari Pilastri dell’azione comunitaria. In un’ottica di generale
unicità del quadro istituzionale dell’Unione, delineata dall’art. 3 del T.U.E.(Trattato
sull’Unione Europea), si è fatto ricorso a basi giuridiche appartenenti ai vari “Pilastri”, in
ragione della peculiare proteiforme incidenza del fenomeno terroristico nei vari settori
dell’attività comunitaria. La peculiare delicatezza della materia in esame ha indotto a
ricorrere, con maggiore frequenza, all’adozione di posizioni comuni (per indicare gli scopi
e lasciare ampia discrezionalità agli Stati membri sui mezzi e sui tempi di attuazione),
proprio in ragione dell’ opportunità di adottare strumenti con portata precettiva più elastica.
Con la posizione comune 2001/931/PESC adottata il 27 dicembre 2001, il Consiglio
dell’Unione, uniformandosi alla risoluzione ONU n. 1373, disponeva il congelamento dei
capitali e delle risorse finanziarie di particolari persone e gruppi coinvolti in attività
terroristiche. In diretta attuazione della posizione comune in esame fu adottato il
regolamento n. 2580 del 2001 che, in base agli articoli 60, 30142 e 308 T.C.E (Trattato che
forma di f inanziamento del le att ivi tà terrorist iche, segnatamente adottando un
ampliamento del la diret t iva sul r iciclaggio di denaro e la decisione quadro sul
sequestro dei beni ”;
d) i l raf forzamento de l la sicurezza aerea attraverso la delega al Consigl io
“Trasporti ” del compito di adottare le misure necessarie ad intensif icare la sicurezza
dei trasporti aerei tramite la formazione tecnica degl i equipaggi, i l control lo dei
bagagl i e la protezione del l ’accesso al la cabina di pi lotaggio;
e) i l coordinamento del l ’azione globale del l ’Unione europea.
42 L’art . 301 TCE prevede che: “quando una posizione comune o un’azione
comune adottata in virtù del le disposizioni del Trattato sul l ’Unione europea relative
al la pol i t ica estera e di sicurezza comune prevedano un’azione del la Comunità per
interrompere o ridurre parzialmente o tota lmente le relazioni economiche con uno o
più Paesi Terzi , i l Consigl io, del iberando a maggioranza qual i f icata su proposta del la
Commissione, prende le misure urgenti necessarie”. Atteso che la posizione comune
non prevedeva l ’ interruzione del le relazioni economiche con uno Stato terzo, ma solo
misure restri t t ive rivol te a determinate persone, è stato necessario l ’espresso
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
30
istituisce la Comunità Europea) specificamente disponeva, con efficacia cogente e diretta,
il congelamento delle risorse economiche dei soggetti individuati in un apposito elenco
elaborato dal Consiglio43.
Uno degli strumenti più incisivi di attuazione del Piano d’azione del Consiglio straordinario
di Bruxelles è costituito dalla decisione quadro del Consiglio44 del 13 giugno 2002(n.
2002/475/GAI), con la quale è stata individuata la definizione di reati terroristici, di reati
connessi alle attività terroristiche e di organizzazione terroristica. La decisione in esame
assume rilievo primario in considerazione del fatto che la netta identificazione dei profili
definitori risulta essenziale e indefettibilmente prodromica all’ attuazione di una comune
strategia di contrasto. Pertanto, in una prospettiva teleologica, sono ritenuti sussumibili
nella categoria dei reati terroristici alcuni specifici reati comuni45 posti in essere con la
finalità di “intimidire gravemente la popolazione o costringere indebitamente i poteri
pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un
qualsiasi atto o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali,
costituzionali, economiche o sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale”.
Per organizzazione terroristica deve intendersi l’associazione composta da più di due
persone stabilmente orientata alla commissione di reati aventi matrice terroristica. Infine
sono reati connessi alle attività terroristiche reati quali il furto, l’estorsione, la produzione di
documenti amministrativi falsi volti a favorire la commissione di reati più specificamente
terroristici. La decisione quadro in esame impegna tutti gli Stati membri ad adottare tutte le
misure necessarie al fine di garantire l’irrogazione di sanzioni penali effettive,
proporzionate e dissuasive. La responsabilità penale per le attività appena descritte è
imputabile non solo alle persone fisiche ma anche alle persone giuridiche che con la
omissione di controlli e sorveglianza abbiano reso possibile la commissione di reati di
matrice terroristica.
r ichiamo ai poteri impl ici t i ex art . 308 TCE.
43 L’elenco in esame è stato elaborato con la decisione 2001/927/CE del 27
dicembre 2001 ed è stato successivamente oggetto di aggiornamento periodico.
44 Tale decisione è stata adottata nel l ’ambito del Terzo Pi lastro, in base agl i
art t. 29, 31 let t . e) e 34 par.2, let t b).
45 Attentati al la vi ta e al l ’ integri tà del le persone, distruzioni di strutture
pubbl iche o governat ive, sequestri di mezzi di trasporto, omicidi , lesioni personal i ,
cattura di ostaggi, r icatt i , fabbricazione d’armi, minacce.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
31
Con la decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 è stato istituito Eurojust, un organo
con personalità giuridica composto da un componente nazionale di ciascuno Stato
membro con la funzione di pubblico ministero, giudice o funzionario di polizia. Scopo
istituzionale di Eurojust, organo di ausilio alle competenti autorità nazionali, è
l’implementazione ed il miglioramento del coordinamento tra le autorità nazionali
competenti nelle indagini, nelle azioni penali e nell’esecuzione delle sentenze relative a
gravi forme di criminalità ( tra le quali quelle di stampo terroristico) attinenti ad almeno due
Stati membri. Ai sensi dell’art. 5 della decisione 2002/187/GAI l’Eurojust è legittimata ad
agire sia in composizione collegiale che tramite uno o più componenti essenzialmente per
richiedere agli Stati membri l’avvio di un’indagine o di un’azione penale per fatti specifici,
l’istituzione di un pool investigativo comune o lo scambio di informazioni.
Le competenze operative di Eurojust sono state ulteriormente ampliate dal Trattato di
Lisbona. Difatti l’articolo 85 del Trattato sul funzionamento dell’U.E. prevede che “Eurojust
ha il compito di sostenere e potenziare il coordinamento e la cooperazione tra le autorità
nazionali responsabili delle indagini e dell'azione penale contro la criminalità grave che
interessa due o più Stati membri o che richiede un'azione penale su basi comuni, sulla
scorta delle operazioni effettuate e delle informazioni fornite dalle autorità degli Stati
membri e da Europol”…. Eurojust ha competenza in materia di “avvio di indagini penali,
nonché proposta di avvio di azioni penali esercitate dalle autorità nazionali competenti, in
particolare quelle relative a reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione;
coordinamento di indagini ed azioni penali; potenziamento della cooperazione giudiziaria,
anche attraverso la composizione dei conflitti di competenza e tramite una stretta
cooperazione con la Rete giudiziaria europea”.
A seguito dell’attentato dell’ 11 marzo 2004, l’Unione europea ha tragicamente preso atto
di essere uno dei principali obiettivi del terrorismo internazionale. La dichiarazione del
Consiglio europeo del 25 marzo 2004 ha istituito la figura del coordinatore antiterrorismo,
ha fatto espresso riferimento alla clausola di solidarietà ed ha posto l’attenzione
sull’assistenza alle vittime.
Il 26 maggio 2005 il Parlamento europeo ha approvato una proposta di raccomandazione
indirizzata al Consiglio sul Piano d’azione dell’Unione per la lotta contro il terrorismo.
L’assemblea elettiva sostanzialmente ha posto l’accento su :
a) necessità di un’autentica politica comune globale di lotta al terrorismo contro tutti
gli elementi;
b) assoluto rigore degli Stati membri nell’applicazione efficace delle misure adottate
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
32
dal Consiglio;
c) garanzia di effettività della cooperazione tra le forze ed i corpi di sicurezza;
d) impegno, in caso di attacchi terroristici, ad applicare la clausola di solidarietà
prevista dall’articolo 42 del progetto di trattato che adotta una Costituzione per
l’Europa;
e) assegnazione nei bilanci annuali comunitari di fondi necessari a garantire aiuti ed
indennizzi congrui alle vittime degli attentati.
La direttiva 2005/60/CE del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’utilizzo del
sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di
finanziamento del terrorismo, esprime una chiara definizione di finanziamento al
terrorismo, riconducendo ad essa tutte le attività di fornitura e di raccolta di fondi
direttamente o indirettamente finalizzate al compimento di azioni criminose di matrice
terroristica.
Il primo dicembre 2005 la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, in cooperazione
con l’ufficio del Coordinatore Antiterrorismo, ha approvato un Final report avente ad
oggetto “the evaluetion of national Anti-terrorism arrangements: improving national
machinery and capability for the fight against terrorism”. L’analisi svolta sull’attività
realizzata dalle autorità nazionali preposte alla lotta al terrorismo internazionale ha
evidenziato una sempre maggiore efficacia degli strumenti predisposti, implementata
anche dal coordinamento con le strutture sopranazionali. Particolarmente significativa è
risultata l’azione di supporto del neoistituito Counter-Terrorism Task force(Cttf) nell’ambito
dell’Europol46. Nelle raccomandazioni 1 e 2 è formulato l’invito ad istituire a livello
46
L’articolo 88 del vigente Trattato sul funzionamento dell’U.E. prevede che “ Europol ha il compito di
sostenere e potenziare l'azione delle autorità di polizia e degli altri servizi incaricati dell'applicazione
della legge degli Stati membri e la reciproca collaborazione nella prevenzione e lotta contro la
criminalità grave che interessa due o più Stati membri, il terrorismo e le forme di criminalità che ledono
un interesse comune oggetto di una politica dell'Unione.
2. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura
legislativa ordinaria, determinano la struttura, il funzionamento, la sfera d'azione e i compiti di Europol.
Tali compiti possono comprendere:
a) la raccolta, l'archiviazione, il trattamento, l'analisi e lo scambio delle informazioni trasmesse, in
particolare dalle autorità degli Stati membri o di paesi o organismi terzi;
b) il coordinamento, l'organizzazione e lo svolgimento di indagini e di azioni operative, condotte
congiuntamente con le autorità competenti degli Stati membri o nel quadro di squadre investigative
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
33
nazionale una struttura unica centralizzata47 responsabile della strategia politica nazionale
sulla prevenzione, sull’attività investigativa e degli apparati di sicurezza, sulla protezione
delle infrastrutture sensibili.
Il Consiglio dell’Unione ha sollecitato poi l’istituzione di un’autorità centrale investigativa
nazionale con il compito di coordinare tutte le investigazioni giudiziarie48 e la creazione di
banche dati efficienti per la raccolta delle informazioni utili alla prevenzione ed al contrasto
al terrorismo.
La lotta al terrorismo costituisce uno degli obiettivi dell’Unione e lo stesso Trattato sul
funzionamento dell’U.E., nella versione consolidata a seguito dell’entrata in vigore del
Trattato di Lisbona, all’articolo 75 prevede che “per quanto riguarda la prevenzione e la
lotta contro il terrorismo e le attività connesse, il Parlamento europeo e il Consiglio,
deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, definiscono
un insieme di misure amministrative concernenti i movimenti di capitali e i pagamenti, quali
il congelamento dei capitali, dei beni finanziari o dei proventi economici appartenenti,
posseduti o detenuti da persone fisiche o giuridiche, da gruppi o da entità non statali.
Il Consiglio, su proposta della Commissione, adotta misure per attuare l'insieme di misure
di cui al primo comma”.
comuni, eventualmente in collegamento con Eurojust. Tali regolamenti fissano inoltre le modalità di
controllo delle attività di Europol da parte del Parlamento europeo, controllo cui sono associati i
parlamenti nazionali. 3. Qualsiasi azione operativa di Europol deve essere condotta in collegamento e
d'intesa con le autorità dello Stato membro o degli Stati membri di cui interessa il territorio.
L'applicazione di misure coercitive è di competenza esclusiva delle pertinenti autorità nazionali”.
47 Tale Authori ty dovrebbe elaborare la strategia nazionale di lotta al terrorismo,
favorire i l coordinamento tra pol izie e magistratura, incentivare i l raccordo con i
servizi segreti , e laborare pol i t iche di sicurezza degl i obiett ivi sensibi l i nonché
occuparsi del la gestione del le conseguenze degl i at t i di terrorismo.
48 Tale raccomandazione assume ri l ievo pecul iare nel nostro ordinamento
laddove “esistono att ivi tà central izzate del le vari e forze di pol izia giudiziaria, ma non
sempre sono interagenti e in cooperazione tra loro contestualmente, a causa di
resistenze cultural i nel l ’approccio investigativo che mirano a volte a valorizzare più
la visibi l i tà del la divisa che la maggiore eff icaci a del l ’att ivi tà operativa posta in
essere” ( cfr . S. DAMBRUSO , Terrorismo: nel rapporto del Consigl io le l inee guida per
un’azione eff icace , in Diri tto Comunitario e Internazionale , n.1/2006, p.104).
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
34
Il mandato di arresto europeo.
L’evoluzione delle dinamiche dei rapporti tra i vari Stati membri dell’Unione ha evidenziato
l’obsolescenza dei meccanismi predisposti dalle disposizioni della convenzione europea di
estradizione del 13 dicembre 1957 (con i relativi protocolli del 1975 e 1978) e della
convenzione europea del 27 gennaio 1977 per la repressione del terrorismo, al punto da
rendere necessaria la rimodulazione di alcuni istituti. La convenzione relativa alla
procedura semplificata d'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea del 10
marzo 1995 e la convenzione relativa all'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione
europea del 27 settembre 1996, costituirono un primo passo, sebbene non risolutivo,
verso la semplificazione dei meccanismi della convenzione del 1957. Più
significativamente, all’esito del Consiglio di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 si concordò,
nel contesto della cooperazione giudiziaria, al fine di rendere più spedite e meno gravose
le procedure operative, di dar corso all’abolizione, nell’ambito degli Stati membri, della
procedura formale di estradizione per le persone che si sottraggono alla giustizia, pur
essendo state condannate definitivamente. Si stabilì, altresì, di favorire l’accelerazione
delle procedure di estradizione relative alle persone sospettate di aver commesso un
reato. Il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni delle autorità giudiziarie assurse
al rango di fulcro basale della cooperazione giudiziaria, tanto in materia civile, quanto in
materia penale. Conseguentemente, in applicazione di tale principio, nell’ambito del
procedimento di estradizione ogni autorità giudiziaria nazionale, all’esito di controlli dalla
portata decisamente minima, può riconoscere, in via automatica, la legittimità della
richiesta di consegna di una persona formulata dall'autorità giudiziaria di un altro Stato
membro. La decisione quadro 2002/584/GAI (GUCE L 190 del 18.7.2002, p. 1), adottata il
13 giugno 2002, nel prevedere l’istituto del mandato di arresto europeo (quale sostituto di
tutti gli strumenti previgenti in tema di estradizione), rappresenta la prima applicazione del
principio di mutuo riconoscimento nell’ambito del diritto penale. L’ambito di operatività del
mandato è limitato ai reati previsti nella decisione stessa tra i quali sono ricompresi quelli
di matrice terroristica. La nuova disciplina prevede l’intervento esclusivo delle autorità
giudiziarie degli Stati membri49. Difatti, ai sensi dell’articolo 8 della sopra menzionata
decisione quadro, l’autorità emittente trasmette il mandato redatto secondo uno schema
49
I l mandato di arresto mira a superare “i l f i l tro del control lo pol i t ico
amministrativo introducendo rapporti dirett i t ra le autori tà giudiziarie degl i stati
membri” ( G. FRIGO , Uno strumento senza eff icacia di retta , in Guida al Diri tto , n.
19/05, p. 69).
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
35
prestabilito all’autorità di esecuzione, che provvede alla cattura e alla riconsegna. In ogni
caso, sono assicurate all'arrestato una serie di garanzie, ed, in primis, è prevista la sua
audizione per manifestare il proprio consenso alla consegna all'autorità emittente. La
decisione sulla consegna è adottata dall'autorità che ha effettuato l'arresto, sulla base
delle informazioni acquisite dall'autorità emittente. Il procedimento in esame deve svolgersi
con la massima urgenza e costituisce, senza dubbio, un notevole passo in avanti in termini
di snellezza e celerità.
La concreta attuazione nel contesto nazionale del mandato di arresto europeo ha posto
non pochi problemi in merito all’individuazione dei mezzi e delle forme compatibili con i
vari ordinamenti costituzionali. L’ambito di operatività dell’istituto in esame, infatti, incide
direttamente sul sistema della tutela dei diritti fondamentali della persona.
Con la legge n. 69 del 22 aprile 2005 l’Italia ha approvato le disposizioni per conformare il
diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002,
relativa al mandato d’arresto europeo ed alle procedure di consegna tra Stati membri. Il
mandato di arresto è definito dall’art. 1 della L. 69/05 come “una decisione giudiziaria
emessa da uno Stato membro dell'Unione europea, di seguito denominato «Stato membro
di emissione», in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro, di
seguito denominato «Stato membro di esecuzione», di una persona, al fine dell'esercizio
di azioni giudiziarie in materia penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di
sicurezza privative della libertà personale”. Per procedere all’esecuzione del mandato
d’arresto europeo è necessario che “ il provvedimento cautelare in base al quale il
mandato è stato emesso sia stato sottoscritto da un giudice, sia motivato, ovvero che la
sentenza da eseguire sia irrevocabile”. Nella legge in esame si fa espresso riferimento
all’attuazione della cooperazione giudiziaria penale delineata dagli articoli 31, paragrafo 1,
lettere a) e b), e 34, paragrafo 2, lettera b) del Trattato sull’U.E. quasi a voler
esplicitamente affermare la condivisione e l’impegno nel perseguimento degli scopi
comuni ma, in ogni caso, nel rispetto degli spazi di autonomia nazionale. E, difatti, lo
stesso articolo 1 della legge 69/05 statuisce che l’attuazione dell’istituto in esame è
garantita “nei limiti in cui tali disposizioni non sono incompatibili con i princìpi supremi
dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di
libertà e del giusto processo”.
A ben vedere, al di là di questioni relative ai profili meramente procedurali, non può non
rilevarsi come l’applicazione del mandato di arresto europeo ponga non pochi problemi in
tema di compatibilità con alcuni principi costituzionali, in ragione della diversità che
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
36
caratterizza i sistemi penali dei vari Stati membri. Potrebbe infatti verificarsi il caso in cui
un individuo sia oggetto di un provvedimento restrittivo della libertà personale adottato da
uno Stato comunitario che applica una procedura meno garantista rispetto a quella
applicata dal Paese in cui il soggetto si trova. Si potrebbe ritenere,quindi, che l’unica
soluzione alle potenziali violazioni del principio di uguaglianza50 sarebbe costituita
dall’omogeneizzazione di tutte le procedure penali degli Stati membri, ovvero dalla
creazione di una procedura penale europea.
L’articolo 3 della L. 69/0551 prevede la riserva parlamentare per le modifiche delle
fattispecie di reato indicate nella decisione quadro. Tale norma ha ispirazione fortemente
garantista, in quanto riserva alle singole assemblee elettive il potere di non aderire alle
modifiche eventualmente introdotte a livello comunitario nell’ambito della classificazione
dei reati per i quali si applica il mandato di arresto europeo.
Uno degli articoli più controversi della legge 69/05 è rappresentato dall’art. 7 che afferma il
principio della doppia incriminabilità secondo cui “l'Italia darà esecuzione al mandato
d'arresto europeo solo nel caso in cui il fatto sia previsto come reato anche dalla legge
nazionale”. In effetti, l’art. 2, paragrafo 2, della decisione quadro prevede una nutrita lista
di reati di una certa gravità per i quali lo stato di esecuzione non può opporre rifiuto in
ragione della circostanza per cui il fatto non è previsto come reato anche dalla legge
50
Qualche Autore, invece, r i t iene insussistente la vi olazione del principio di
uguagl ianza in ragione del la considerazione secondo cui: “ quando i l ci ttadino
commette uno dei 32 reati in un al tro paese europeo membro del l ’Unione, egl i viola
l ’ordine pubbl ico di quel Paese…e quindi va incontro al le conseguenz e penal i
previste da quel l ’ordinamento….diversa è la posizione del lo straniero che commette
lo stesso reato in I tal ia; esso va incontro al le consegu enze penal i e repressive
proprie del nostro ordinamento. La disuguagl ianza, dunque, anche se si veri f ica,
appare oggettivamente giusti f icata”( la tesi è r iportata da T.E. FROSINI , Subito una
procedura penale comune , in Guida al Dir i t to,n. 19/2005, p. 75 ) .
51 Ex art . 3 del la L. 69/05: “Le modif iche del l 'art icolo 2, paragrafo 2, del la
decisione quadro sono sottopos te dal Governo a riserva parlamentare”.
2. I l Presidente del Consigl io dei Ministr i trasmette al le Camere i relativi
progett i di modif ica, unitamente ad una relazione con la quale i l lustra lo stato dei
negoziati e l ' impatto del le disposizioni sul l 'ordiname nto i tal iano, chiedendo di
esprimersi al r iguardo.
3. La pronuncia non favorevole del la Camera dei deputati o del Senato del la
Repubbl ica è vincolante e non consente l 'adesione del lo Stato i tal iano al le modif iche
proposte.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
37
nazionale. Tuttavia, il Legislatore italiano ha tenuto conto dei rilievi mossi da più parti in
merito al contrasto tra la normativa comunitaria ed i principi di legalità e di tassatività52 e
ha riaffermato la doppia incriminabilità, seppur mitigata per alcune ipotesi tassativamente
previste.
In effetti, proprio l’immediata incidenza sulla garanzia dei diritti della persona - costituenti il
nucleo fondamentale di ogni ordinamento costituzionale – fa sì che il mandato d’arresto
europeo sia uno strumento di controversa attuazione, destinato a sollevare non poche
questioni di illegittimità. Tale considerazione rende ancor più evidente la difficoltà di
elaborare una via europea comune di lotta al terrorismo.
Già il Tribunale costituzionale polacco il 27 aprile 2006 ha dichiarato l’incostituzionalità del
comma 1 dell’art. 607t del Codice di procedura penale del 1977 ( novellato nel 2004 per
consentire l’attuazione del mandato d’arresto europeo), in quanto contrastante con l’art. 55
della Carta fondamentale della Polonia che vieta l’estradizione dei cittadini polacchi. Pur
espressamente riconoscendole differenze procedurali tra l’estradizione e il mandato
d’arresto europeo, il Tribunale costituzionale polacco ha evidenziato che la finalità dei due
istituti è la medesima, ossia il deferimento ad altra giurisdizione straniera. Alla luce di tale
considerazione i giudici polacchi hanno,altresì, ritenuto che il diniego del diritto ad essere
giudicati dalla giurisdizione nazionale debba considerarsi direttamente violativo
dell’essenza dei diritti fondamentali la cui tutela è resa ineludibile dall’art. 31 Cost. anche
in stato di emergenza.
Anche il Tribunale Costituzionale tedesco ha dichiarato l’illegittimità della legge di ratifica
del mandato d’arresto europeo in quanto contrastante con l’art. 16, comma 2,
G.G.(Grundgesetz) che ammette deroghe al divieto di estradizione di cittadini tedeschi
solo tramite una legge ordinaria espressione di un bilanciamento di valori che giustifichi la
sospensione della garanzia in esame e faccia salva la possibilità di appello innanzi
all’autorità giudiziaria. Considerato che la legge di recepimento del mandato di arresto
europeo non ossequia queste condizioni, ne è derivata la declaratoria di incostituzionalità.
52
“ In base al ci tato art icolo 2, paragrafo 2 del la decisione quadro, el iminata la
cautela del la doppia incriminabi l i tà, la consegna veniva a correlarsi a fatt i che, pur
previsti come reato nel l ’ordinamento del lo stato emittente, si presentavano del tut to
neutri e inapprezzabi l i penalmente nel l ’ordinamento del lo stato r ichiesto ponendo
così punti di contrasto rispetto al principio di legal i tà”( cfr . E. CALVANESE -G. DE
AMICIS , Riaffermata la doppia incriminabi i tà , in Guida al Diri t to , n. 19/05, p. 79).
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
38
Particolarmente interessanti sono le argomentazioni addotte dai giudici tedeschi per
giustificare il divieto di estradizione dei cittadini. L’estradizione, infatti, sottoporrebbe i
cittadini ad un diritto penale straniero alla cui genesi essi non hanno democraticamente
preso parte e che probabilmente è ad essi sconosciuto. Solo qualora sussista un
collegamento esterno, ossia quando il cittadino tedesco abbia compiuto un crimine in
territorio straniero, può essere valutata la sussistenza dei presupposti di operatività
dell’estradizione. Il Tribunale costituzionale tedesco individua, poi, due principi ineludibili
per ammettere deroghe al divieto di estradizione. In primis il principio di sussidiarietà(deve
ammettersi estradizione solo se ritenuta la misura più efficace), poi il principio di rispetto
delle garanzie giurisdizionali tipiche dello stato di diritto.
Il bilanciamento tra libertà e sicurezza nel contesto comunitario. Il nucleo inviolabile dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e l’art. 15 della CEDU.
Le dinamiche evolutive delle manifestazioni degli inediti fenomeni emergenziali del terzo
millennio rendono sempre più evidente la necessità di incentivare e potenziare strumenti di
collaborazione e cooperazione interstatali. Parimenti, l’azione interna posta in essere dai
singoli stati a fini di tutela della sicurezza pubblica non può esimersi dal rispetto di quelle
disposizioni ineludibili che, a livello sopranazionale, individuano il nucleo essenziale di
principi e diritti fondamentali, universalmente ritenuto intangibile anche in situazioni
d’eccezione. In questa prospettiva, nel contesto dell’Unione europea, assume rilievo
centrale la Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali.
Difatti, la stessa Decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002 - ispirata al precipuo
fine di definire regole per l’omogeneizzazione degli strumenti nazionali di prevenzione e
repressione dei reati di matrice terroristica - espressamente ribadisce l’ineludibilità del
rispetto, in ogni caso, dei diritti fondamentali tutelati dalla CEDU53.
53
Il decimo considerando della decisione 2002/475/GAI del 13 giugno 2002 (Decisione quadro del
Consiglio sulla lotta contro il terrorismo) testualmente afferma:“la presente decisione quadro rispetta i
diritti fondamentali quali sono garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati
membri, in quanto principi del diritto comunitario. L'Unione rispetta i principi riconosciuti dall'articolo 6,
paragrafo 2, del trattato sull'Unione europea e rispecchiati nella Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, ed in particolare nel suo capo VI. Nella presente decisione quadro nulla può
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
39
L’articolo 15 della Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali riconosce agli Stati aderenti la facoltà - in costanza di situazioni
peculiari derivanti da ragioni di guerra o di altro pericolo pubblico che rechi minaccia alla
vita della nazione – di adottare misure anche derogatorie rispetto ad alcuni obblighi
imposti dalla Convenzione stessa54.
La previsione dell’articolo 15 della CEDU, nell’introdurre una peculiare clausola di
limitabilità dell’ossequio delle disposizioni della Convenzione, in sostanza assolve ad un
duplice ordine di funzioni. Infatti, per un verso, essa è stata dettata dall’intenzione di
evitare il rischio che gli Stati aderenti, al verificarsi di particolari emergenze, si vedessero
costretti a ritirarsi dalla Convenzione, non potendone garantire il pieno rispetto. Per altro
verso, la norma in esame positivizza espressamente l’ipotesi di deroga per ragioni di
urgenza, al fine di arginare la tendenza a rinvenire nello stato di necessità un limite
generale incidente sull’efficacia cogente degli obblighi internazionali55.
La portata dell’articolo 15 della CEDU è tale da potersi affermare che essa non è atta ad
autorizzare deroghe a norme interne di rango costituzionale, al di fuori dei limiti previsti
dalle Carte fondamentali nazionali. Del resto, in sede di ratifica, non sono mancati casi di
apposizione di riserva. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ espressa riserva apposta dalla
Francia, all’atto del deposito della sua ratifica, a salvaguardia, in ogni caso, del modello
essere interpretato come una misura intesa a limitare od ostacolare diritti o libertà fondamentali quali il
diritto di sciopero, le libertà di riunione, di associazione o di espressione, compreso il diritto di fondare
un sindacato insieme con altre persone ovvero di affiliarsi ad un sindacato per difendere i propri
interessi, e il conseguente diritto a manifestare”.
54 L’articolo 15 della CEDU, rubricato sotto la voce “Deroga in caso di stato d'urgenza”, testualmente
prevede che: “In caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta
Parte Contraente può prendere misure in deroga agli obblighi previsti nella presente Convenzione nella
stretta misura in cui la situazione lo esiga e a condizione che tali misure non siano in contrasto con altri
obblighi derivanti dal diritto internazionale.
2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all'articolo 2, salvo che per il caso di morte
risultante da atti di guerra conformi alle Convenzioni internazionali, e agli articoli 3, 4 (paragrafo 1) e 7.
3. Ogni Alta Parte Contraente che eserciti tale diritto di deroga comunica al Segretario Generale del
Consiglio d'Europa delle misure prese e dei motivi che le hanno determinate. Essa deve parimenti
informare il Segretario Generale del Consiglio d'Europa della data in cui queste misure sono revocate e
la data in cui le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione”.
55 Cfr. G. CATALDI , Art. 15. deroga in caso di stato d ’urgenza , in S.Bartole -
B.Confort i - G.Raimondi, Commentario al la Convenzione europea per la tutela dei
diri t t i del l ’uomo e del le l ibertà fondamental i , Cedam, Padova, 2001.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
40
interno di gestione degli stati d’emergenza e della disciplina costituzionale dei poteri
d’eccezione.
La facoltà di deroga alla CEDU in caso di urgenza è stata esercitata da vari Stati. Nel
giugno del 1985, ad esempio, la Francia ha dato comunicazione dell’instaurazione dell’etat
d’urgence in Nuova Caledonia. La Gran Bretagna si è avvalsa della procedura prevista
dalla norma convenzionale in esame in numerose occasioni afferenti all’emergenza del
terrorismo nell’Irlanda del nord. Anche dopo l’11 settembre 2001, il Regno Unito si è
avvalso della derogabilità alla CEDU relativamente all’irrigidimento delle condizioni di
arresto e di detenzione degli stranieri sospettati di terrorismo in applicazione dell’Anti-
Terrorism, Crime and Security Act 200156.
La Corte europea di Strasburgo, più volte adìta da parte di soggetti lesi nei loro diritti
fondamentali, in ragione dell’applicazione di norme nazionali derogatorie, si è pronunciata,
spesso in merito a fattispecie relative al terrorismo, individuando e fissando principi e limiti
ineludibili in tema di sospensione dei diritti. La Corte ha conseguentemente individuato un
nucleo essenziale di principi fondamentali e di libertà costituzionalmente garantite che
devono comunque essere tutelati anche in stati d’eccezione.
Innanzitutto, quanto al presupposto di operatività del procedimento derogatorio previsto
dall’art. 15 CEDU, la Corte europea ha affermato che l’esistenza di guerra o di pericolo
pubblico che minacci la vita della nazione può ritenersi effettiva solo allorquando si
verifichino situazioni di una gravità tale da rendere insufficiente l’operatività delle
specifiche limitazioni di taluni diritti fondamentali tutelati dalla CEDU, già previste in caso di
pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza. Gli Stati possono legittimamente ricorrere a
misure derogatorie che trascendano la mera limitazione e arrivino anche alla sospensione
di taluni diritti fondamentali, solo in presenza di “una situazione di crisi e di pericolo
eccezionale ed imminente che sovrasta l’insieme della popolazione e costituisce una
minaccia per la vita organizzata della comunità che compone lo Stato”.57 La dottrina
internazionalistica maggioritaria ritiene che i provvedimenti adottati secondo il
procedimento previsto dall’art. 15 CEDU non debbano avere finalità meramente
56
Sul punto, cfr . F. DE SANCTIS , La deroga del Regno Unito alla Convenzione
europea nel l ’ot t ica del la giurisprudenza di Strasburgo , in Diri tto penale e processo ,
2003, n° 5, p. 641 ss.
57 Cfr . Commissione europea dir i t t i umani, rapporto del 19 dicembre 1959,
Lawless v. I reland , par. 28.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
41
preventive, ma debbano limitarsi a fronteggiare pericoli attuali o imminenti, comunque
gravi e concreti58.
In ogni caso, la valutazione relativa all’esistenza di un pericolo pubblico che minacci la
vita della nazione è rimessa, con un certo margine, all’ apprezzamento degli Stati i quali,
quando ritengono di doversi avvalere del procedimento previsto dall’art. 15 CEDU, hanno
l’obbligo solo di attenersi ad una specifica procedura di comunicazione preventiva ed
espressa delle misure adottate in deroga. Difatti, non è ammissibile né un’applicazione
implicita della norma in esame, né la possibilità di comunicazione successiva di misure già
operative.
Lo Stato è “ l’unico soggetto capace di valutare davvero non tanto la portata astratta del
pericolo, quanto piuttosto l’impatto concreto nell’ordinamento giuridico interno alla luce del
modo di essere di quest’ultimo e del grado di assorbimento del pericolo garantito dagli
strumenti ordinari”59.
Nell’ipotesi in cui l’esercizio del potere di deroga sia contestato, la Corte europea è
chiamata a verificare il rispetto di tutti gli obblighi internazionali da parte dello Stato
interessato, il quale ultimo è onerato di dar prova della sussistenza delle condizioni
previste dall’art. 15 CEDU. Difatti, la norma convenzionale in esame, se, da un lato,
individua espressamente il minimum comunitario essenziale di tutela dei diritti da garantire
in ogni caso, d’altro lato, in via implicita, rende possibile per la Corte operare un controllo
sul rispetto degli obblighi internazionali al cui rispetto sono tenuti i singoli Stati. Ferma
restando l’inderogabilità dei diritti menzionati nello stesso art. 15 della CEDU60, vi sono
altri principi e diritti fondamentali che assumono il carattere dell’inderogabilità, in ragione
dell’adesione di singoli stati a convenzioni internazionali.
Sotto il profilo più strettamente operativo, la Corte di Strasburgo ha elaborato alcuni
principi generali per valutare la legittimità delle misure derogatorie adottate dagli stati. In
primis, la Corte ha affermato il principio di necessità, in base al quale le misure derogatorie
possono essere ritenute legittime solo laddove sussista e sia dimostrabile un nesso di
diretta necessità tra le misure stesse e la situazione emergenziale da fronteggiare.
Dunque, la Corte valuta se, nel caso esaminato, la situazione d’urgenza possa essere
58
Cfr. G.CATALDI , op.ci t . , p. 429.
59 Cfr. P.BONELLI , Terrorismo, emergenza e costi tuzioni democratiche , I l Mul ino,
Bologna, 2006, p. 233.
60 I l dir i t to al la vi ta, i l divieto di tortura, i l divieto di schiavi tù e i principi di
tassativi tà ed ir retroatt ivi tà del la legge penale.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
42
efficacemente fronteggiata solo con il ricorso a strumenti eccezionali, stante
l’inadeguatezza delle procedure ordinarie. In materia di terrorismo, la Corte europea ha
affermato che, senza dubbio, gli stati si trovano dinanzi a situazioni particolarmente difficili
da gestire, pertanto, deve essere riconosciuto un più elastico margine di apprezzamento
riguardo all’ammissibilità dell’adozione di misure ordinarie61.
In secundis, la Corte Europea ha elaborato il principio di proporzionalità in base al quale
le modalità concrete di esercizio dei poteri derogatori devono essere proporzionali rispetto
alle esigenze concrete connesse alle singole situazioni emergenziali. Il giudizio di
proporzionalità si basa sul bilanciamento degli interessi contrastanti in rilievo. Esso è
strettamente connesso anche al profilo temporale, in quanto la provvisorietà deve essere
ritenuta ontologicamente connaturata all’eccezionalità. In ragione di tali considerazioni, gli
Stati sono chiamati sia a prevedere la durata limitata nel tempo delle misure derogatorie,
sia ad operare un controllo continuo62 sulla loro operatività al fine di disporne la tempestiva
abrogazione in caso di mutamento delle condizioni di fatto. Nell’individuare i criteri di
giudizio in merito al rispetto del principio di proporzionalità, la Corte ha affermato
l’indefettibile centralità della previsione, nell’ambito delle misure derogatorie, di un
costante controllo parlamentare e di effettive garanzie giurisdizionali. Dunque, per potersi
ritenere ossequiato il principio di proporzionalità è necessario che le misure derogatorie
siano sottoposte a costante monitoraggio parlamentare e che siano predisposte adeguate
garanzie al fine di evitare possibili abusi nell’applicazione degli strumenti eccezionali.
Nel novero dei diritti assolutamente intangibili espressamente previsti dall’art. 15 CEDU
merita particolare menzione il diritto all’integrità fisica connesso all’affermazione del divieto
della tortura63. La Corte Europea ha sempre icasticamente affermato il divieto assoluto e
61
Cfr. Counci l of Europe, Office of the Commissioner for Human Rights, Opinion
1/2002 of the Commissioner for Human Rights, Mr. Alvaro Gi l -Robles, on certain
aspects of the United Kingdom 2001 derogation from article 5, par. 1 of the European
Conventio on Human Rights, 28 august 2002, CommDH( 2002) 7, par. 35.
62 Sul punto cfr . G.CATALDI , Le deroghe ai d ir i t t i umani in stato di emergenza, in
La tutela internazionale dei dir i t t i umani. Norme, garanzie, prassi , a cura di L.
Pineschi, Giuffrè, Mi lano, 2006, p. 766.
63 L’art. 3 del la CEDU prevede che: “ nessuno può essere sottoposto a tortura
né a pene o trat tamenti inumani o degradanti” .
L’art icolo 2 del la Convenzione inte rnazionale contro la tortura prevede che: “
nessuna circostanza eccezionale, quale che essa sia, che si trat t i di stato di guerra o
di minaccia di guerra, di instabi l i tà pol i t ica interna o di qualsiasi al tro stato
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
43
mai derogabile della tortura anche in presenza di terroristi riconosciuti da tutti gli stati64.
Sotto il profilo definitorio, la Corte Europea ha sostanzialmente fatto proprie le definizioni
formulate nella Convenzione ONU del 10 dicembre 1984, in base alle quali devono
ritenersi trattamenti crudeli, disumani e degradanti: gli atti che infliggono alla persona
dolore e sofferenza acuta, fisica o psichica, precipuamente al fine di ottenere informazioni
o confessioni, di intimidire o esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque
altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali
sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o sotto sua istigazione, oppure con il
suo consenso. Tale definizione non attiene al dolore o alle sofferenze derivanti
esclusivamente da sanzioni legittime.
La Corte Europea65 ha affermato che, per essere ritenuti in contrasto con il divieto
espresso nell’art. 3 CEDU, i trattamenti esaminati devono superare una soglia minima di
gravità che deve essere contestualizzata e valutata in relazione alle concrete situazioni
oggettive e soggettive della vittima. In tale giudizio, rilevano la durata e la premeditazione.
La Corte ha considerato trattamenti inumani e degradanti quelli derivanti dall’applicazione
di alcune tecniche adottate dalla polizia inglese e francese nell’attività di lotta al terrorismo.
L’ incontestabile complessità e difficoltà dell’attività di investigazione mirata alla
repressione del terrorismo, in ogni caso non può mai arrivare a compromettere la tutela
dell’integrità fisica garantita a tutte le persone66.
Direttamente connesso al divieto della tortura è il divieto di espulsione, allontanamento o
estradizione di un soggetto, cittadino o straniero, verso un paese in cui la persona
potrebbe essere sottoposta a pratiche di tortura. La Corte ha ritenuto che l’allontanamento
o l’espulsione debba essere vietata se sussista per il soggetto interessato il rischio reale di
sottoposizione a tortura sia da parte di organi pubblici che da parte di organizzazioni
criminali. In quest’ultimo caso deve essere effettivamente provata l’impossibilità per il
paese di destinazione di garantire adeguata tutela al soggetto67. Il giudizio prognostico
d’emergenza pubbl ica, può essere invocata per giusti f icare la tortura”.
64 Cfr. la sentenza CEDU del l ’11 maggio 2001( Jordan e Kel ly c. Regno Unito )
pronunciata pochi mesi prima del l ’11 settembre 2001 proprio in tema di trat tamento
dei terrorist i .
65 Cfr. sentenza CEDU 6 apri le 2000, Labita c. I tal ia .
66 Cfr. CEDU, sentenza 18 gennaio 1978, Ir landa c. Regno Unito e sentenza 27
agosto 1992, Tomasi c. Francia .
67 Cfr . sentenza CEDU del 20 febbraio 1991, Cruz Varas and others v. Sweden (
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
44
deve basarsi su substantial grounds e spesso si fonda, sebbene non in via esclusiva, sulle
risultanze emergenti dai rapporti sul rispetto dei diritti umani redatti da organismi
internazionali. Pertanto ogniqualvolta sia provata la sussistenza di elementi effettivi che
inducono a ritenere che dall’espulsione o dall’allontanamento di una persona possa
derivare a quest’ultima la conseguenza della sottoposizione a trattamenti di tortura, lo
Stato “disponente” viola un obbligo della Convenzione.
La tutela della dignità e dell’integrità fisica di ogni persona umana, nucleo del principio
personalista alla base dello stato di diritto, rende le pratiche di tortura, oltre che eticamente
riprovevoli, anche giuridicamente illegittime. Malgrado tale incontroversa affermazione di
principio, non può affermarsi che gli stati europei abbiano fermamente ripudiato le pratiche
della tortura. Particolarmente significativo è il caso del Regno Unito che, dopo aver
ratificato la CEDU, reintrodusse lo Special Power Act del 1921 che autorizzava le forze
dell’ordine a porre in essere pratiche vessatorie a fini investigativi nell’ambito della lotta al
terrorismo in Irlanda del Nord. Più recentemente, con la sentenza dell’ 8 dicembre 2005, i
Lords giudiziari della House of Lords hanno confermato la legittimità di una decisione della
Commissione speciale per i ricorsi in materia di immigrazione, secondo la quale sono
utilizzabili le prove provenienti da paesi terzi anche se acquisite con il ricorso a pratiche di
tortura, purchè sia accertata l’assoluta estraneità delle autorità britanniche alle procedure
di coercizione fisica.
In ogni caso deve affermarsi che la tradizione culturale e giuridica europea rende,
dunque, del tutto inaccettabili le pratiche di tortura. Assolutamente non condivisibili
risultano i tentativi di ritenere ammissibile il ricorso a fini investigativi a strumenti di
coercizione, seppur minima. Difatti, non ci si può esimere dal manifestare forti perplessità
in merito all’ipotizzabilità di una forma di graduazione della coercizione in merito ad attività
che, proprio in quanto mirate a ledere la dignità umana, devono essere decisamente
ripudiate.
Qualche Autore68 ha ritenuto che, nell’ambito della lotta al terrorismo, dovendo operare un
bilanciamento tra l’incolumità della nazione e il rispetto dell’integrità fisica dei terroristi, si
debba necessariamente sacrificare quest’ultima, in quanto, infliggere un male non letale
ad un terrorista, per ottenere informazioni importanti, è meno grave che provocare la
morte di una molteplicità di persone. Pertanto, si ritiene ammissibile il ricorso a pratiche di
Appl ication n. 46/1990/237/307)
68 A.M. DERSHOW ITZ , Why terrorism works. Understandig the Threat, Responding
to the Chal lenge ( 202), t rad. i t . Terrorismo , Carocci, Roma, 2003.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
45
tortura a fini investigativi, ma se ne auspica l’ espressa legalizzazione proprio per evitare
abusi.
Questa tesi non può essere condivisa anche per ragioni attinenti all’ impropria efficacia
degli strumenti di coercizione fisica e psichica. Al di là, infatti, dell’inammissibilità sotto il
profilo etico e giuridico, non può non rilevarsi come, per un verso, il ricorso alla tortura non
garantisce l’acquisizione di informazioni attendibili, per altro verso, le dichiarazioni estorte
con la violenza potrebbero portare alla chiamata in correità di persone assolutamente
estranee ai fatti che si troverebbero a loro volta a poter essere sottoposte a tortura.
Il rispetto dell’integrità fisica ed il conseguente divieto espresso della tortura costituiscono
un elemento essenziale del nucleo intangibile dei diritti individuali che non può essere
scalfito neanche in costanza di uno stato d’eccezione.
Lo stato di diritto, minacciato dal terrorismo non può ammettere che, in nome della
necessità di arginare l’emergenza, si adottino misure lesive di quegli stessi principi che
intende preservare.
Il programma specifico: prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze del
terrorismo (2007-2013)
Nel contesto del programma generale “Sicurezza e tutela della libertà” il Consiglio, con
decisione 2007/124/CE del 12 febbraio 2007, ha istituito il programma specifico
“prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo e di altri
rischi correlati alla sicurezza”. Tale programma ha la finalità di promuovere la valutazione
delle minacce per le infrastrutture tecniche nonché di sviluppare metodologie di protezione
e sistemi di sicurezza; di implementare la salvaguardia delle catene di fornitura
transfrontaliere e di favorire la cooperazione e lo scambio di informazioni nel settore della
protezione delle infrastrutture. In ambito di gestione delle conseguenze il programma
promuove lo scambio di competenze e buone prassi anche tramite la predisposizione di
esercitazioni comuni per implementare il coordinamento tra i vari attori. Sono previste
specifiche sovvenzioni per il finanziamento di progetti europei promossi e gestiti dalla
Commissione, progetti transnazionali tra Stati membri o candidati all’adesione e progetti
nazionali che sperimentino nuove tecnologie.
Le azioni ammissibili si concretizzano in attività di analisi, monitoraggio, controllo, scambio
di informazioni e coordinamento operativo.
Il programma di Stoccolma: un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
46
Il programma di Stoccolma delinea una nuova agenda per l’Unione Europea per il periodo
2010-2014 individuando le priorità da perseguire nello spazio di libertà, sicurezza e
giustizia. Le azioni primarie sono orientate a garantire la piena tutela dei diritti,
promuovendo la partecipazione dei cittadini alla vita democratica dell’Unione ed
assicurando il rispetto delle diversità e specificità dei singoli al fine di contrastare
manifestazioni di intolleranza. Il programma pone l’attenzione sulla necessità di tutelare i
diritti degli indagati e degli imputati nei processi penali ed afferma la esigenza di realizzare
uno spazio giudiziario europeo in cui sia rafforzata la cooperazione tra i vari attori
istituzionali attraverso l’armonizzazione delle legislazioni interne e l’implementazione
dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in ambito giudiziario.
Viene altresì promossa l’adozione di una politica dell’immigrazione69 che, pur tutelando la
sicurezza dei cittadini, sia ispirata a principio di solidarietà.
Cap. IV - Le dinamiche evolutive dell’idea di sicurezza: da interesse diffuso a diritto
individuale
Il carattere aperto, tipico delle società occidentali contemporanee, garanti di un amplissimo
livello di tutela dei diritti individuali costituzionalmente previsti, se, per un verso,
contribuisce a farne un bersaglio ideale per il terrorismo70, per altro verso, rende più
problematica la predisposizione di legittimi strumenti di difesa e prevenzione. In questo
contesto di diffuso disorientamento, l’antinomica polarità tra libertà individuale e sicurezza
collettiva assume un ruolo cruciale e si connota di caratteri inediti.
Sotto il profilo definitorio, la nozione di sicurezza pubblica è stata tradizionalmente
descritta come la “finalità di conservazione dello Stato e di mantenimento dell’ordine
69
Nell ’Unione Europea è att ivo i l Sistema di informazione Schengen di II
generazione(SIS I I ) ed i l sistema di informazione visti (VIS)
70 Particolarmente signif icativa è la vicenda di Zacarias Moussaoui, uno degl i
attentatori del l ’11 settembre 2001, per i l quale l ’ FBI dispose lo stato di fermo,
giudicando sospett i i suoi tentativi di ottenere lezioni di volo, ma non formulò
neppure la r ichiesta di autorizzazione al l ’ ispezione del computer portati le, r i tenendo
che nessun giudice avrebbe pronunciato la relativa ordinanza sul la base di meri e
non oggettivamente suffragati sospett i ( cfr . “Moussaoui Probe Pushed US Limits: FBI
Wanted to deport suspect to France to access his computer ” , Washington Post , 31
gennaio 2002).
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
47
interno”71. Non di rado si è operata una sorta di sostanziale identificazione tra funzione
amministrativa di tutela e interesse pubblico tutelato.
Originariamente, la sicurezza pubblica veniva intesa quale funzione statale finalizzata alla
prevenzione dei reati ed alla garanzia dei diritti individuali allo scopo di “ assicurare la
tranquillità di ciascuno e l’ordine pubblico”72. In tale prospettiva, la sicurezza assumeva un
ruolo strumentale al perseguimento dell’ordine pubblico che, in un’accezione ideale,
diveniva scopo essenziale e principale.
La finalità della conservazione e della prosperità dello Stato perse rilievo nella definizione
del Ranelletti, che, all’inizio del secolo scorso, identificò la sicurezza pubblica nella
garanzia del “tutto sociale e delle sue parti contro i danni che possono provenire
dall’attività umana”73.
In ogni caso, la definizione dei caratteri tipici della sicurezza pubblica, direttamente o
indirettamente, è sempre stata influenzata dalla delineazione dei tratti tipici dell’ ordine
pubblico, rispetto al quale ha assunto ruolo spesso ancillare. Segnatamente, accanto ad
un’ipotesi di lettura secondo cui la sicurezza materiale costituirebbe un presupposto
ineludibile per l’affermazione dell’ordine pubblico ideale, ha assunto rilievo anche una
diversa opzione interpretativa secondo la quale l’ordine pubblico (condizione necessaria
ed indefettibile per l’esistenza stessa dello Stato) risulterebbe essere il presupposto per
l’affermazione della sicurezza pubblica, che ne costituirebbe ulteriore specificazione.
Con l’approvazione del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, R.D. n° 773 del
18.06.1931, nell’ambito dei compiti dell’autorità di pubblica sicurezza assunse rilievo
precipuo ed autonomo, accanto alla tutela dell’ordine pubblico, anche la garanzia della
sicurezza dei cittadini.
La Carta costituzionale, profondamente ispirata al principio personalista, ha posto in
evidenza la centralità della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, sancendone l’ intangibilità
nel nucleo essenziale, ma non ha espressamente positivizzato il diritto individuale alla
sicurezza.
71
S. FOÀ , “Sicurezza pubbl ica ”, in Digesto del le discipl ine pubbl icist iche , XIV,
UTET, 1999, p. 128.
72 G DE ROSA . , Sicurezza pubbl ica , in Digesto I tal iano , XXI, parte I I I, Sez. I ,
Torino, 1895-1902, p. 360.
73 V. RANELLETTI , La pol izia di sicurezza , in Trattato di di r i t to amministrativo ,
diret to da V.E. Orlando, 1904, p. 276.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
48
A far data dall’11 settembre 2001, pare essersi ormai completamente dissolta nell’opinione
pubblica la percezione della distinzione tra sicurezza interna e sicurezza esterna74. I
drammatici attentati terroristici di Madrid e Londra hanno dimostrato che il pericolo è
costantemente presente ed è potenzialmente atto a concretizzarsi in una proteiforme
molteplicità di manifestazioni di violenza. Da tale circostanza deriva che l’aspirazione
collettiva alla sicurezza non è esaurientemente soddisfatta dalla mera garanzia
dell’assenza di minacce provenienti dall’esterno, ma si sostanzia sempre più nell’esigenza
di stabilità interna e di conseguente equilibrio tra tutti i fattori sociali. E’ questa la ragione
per cui si assiste ad un mutamento di prospettiva nell’individuazione dei caratteri salienti
dell’ordine pubblico, la cui accezione primaria non va più interpretata in un’ottica di statica
“difensività” ma, con sempre maggiore incidenza, assume connotati di dinamicità,
evolvendo verso declinazioni preventive di sicurezza.
Questa evoluzione può trovare un proprio riferimento costituzionale nello stesso articolo
11 della Carta fondamentale laddove i Costituenti, nel cristallizzare quale principio
supremo l’istanza pacifista, ne hanno individuato riflessi non solo staticamente negativi(
attraverso il ripudio della guerra) ma anche dinamicamente preventivi(attraverso la
promozione delle organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia
tra le nazioni).
La sicurezza diviene non soltanto necessaria condizione generale strumentale alla
preservazione dello Stato e, quindi, dell’intera collettività, ma anche precondizione
ineludibile per l’esercizio delle libertà individuali. Non può, difatti, ritenersi realizzabile la
garanzia di certezza dei diritti in assenza di sicurezza. Ed è proprio in ragione di tali
considerazioni che la sicurezza si sta sempre più evolvendo verso la dimensione della
conservazione dei beni e della prevenzione dei rischi. Il diffuso timore di sconvolgimenti
dell’equilibrio statale interno, nonché il profondo e comune sentimento di incertezza che
accompagna la vita quotidiana di ogni cittadino occidentale dall’11 settembre 2001, induce
a ritenere che l’esigenza di sicurezza sia avvertita come diritto individuale. In questa
prospettiva il ruolo di garanzia dello Stato assume rilievo sempre più centrale.
74
Le vicende legate ai recenti fenomeni terrorist ici hanno contribuito ad
intensif icare nel comune sentire l ’ “appercez ione reale del valore del la sicurezza”( V.
BALDINI , L’incosti tuzional i tà del la Rasterfahndung, ovverosia, al la perenne ricerca di
un (di ff ici le…) equi l ibrio tra stato di dir i t to e stato di prevenzione ,
www.associazionedeicosti tuzional ist i . i t )
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
49
Da tale circostanza deriva che pare affermarsi un’ ineludibile tendenza al rafforzamento
dello stato di prevenzione75. Denninger ha asserito che “sicurezza significa non più in
primo luogo la coscienza della libertà garantita all’individuo, ma l’affermazione di un’attività
statale e, in via di principio, illimitata per tutelare il cittadino da rischi e pericoli sociali
causati dalla tecnica o dall’ambiente o anche dal crimine”76. Alla luce di tali considerazioni
emerge con evidenza che la sicurezza non è più configurabile come un interesse
meramente pubblico, ma ha assunto il rango di diritto individuale, per certi versi
strumentale all’esercizio della libertà personale77.
Una volta ritenuto ammissibile e, quindi tutelabile, un diritto individuale alla sicurezza,
sorge il problema di definirne i contenuti ed i limiti. Difatti, se la garanzia di sicurezza non
può non attualizzarsi in una risposta anche preventiva alla minaccia, è evidente che la
notevole ed imprevedibile molteplicità delle potenziali minacce ai diritti individuali rende
oltremodo indefinito il profilo delimitativo della sicurezza. Tale difficoltà non può, tuttavia,
esimere dal cercare, comunque, di ben individuare i poteri dello Stato, onde scongiurare il
rischio, da taluni paventato, che la mera identificazione della sicurezza come diritto
fondamentale sostanzialmente divenga “più una procura in bianco affidata allo stato per
ogni possibile intervento sulla libertà che non un autentico diritto fondamentale”78. Non è
assolutamente secondario, poi, il rischio che, in nome di un’assoluta ed oltranzistica difesa
della sicurezza possano essere compromessi i diritti individuali costituzionalmente
riconosciuti in una sorta di collettiva “ansia che cancella i diritti”79.
Mai come nell’epoca contemporanea è evidente che l’antinomica polarità libertà
individuale/sicurezza collettiva può essere ricomposta solo in una condizione di equilibrio
che, pur ispirandosi e compiutamente informandosi ai valori fondanti la Carta
75
“Lo stato di prevenzione è lo stato del l ’aspirazione al la massima sicurezza.
Sembra paradossale ma è così: le strategie di prevenzione intese a produrre e
garantire questa sicurezza f iniscono per distruggere la certezza del dir i t to”( cfr .
E.DENNINGER , Diri t t i del l ’uomo e Legge Fondamentale , ed.i t . a cura di C. Amirante,
Giappichel l i , Torino, 1998, p. 29).
76 E. DENNINGER , Diri tt i del l ’uomo e Legge Fondamentale, op.ci t ., p. 38.
77 “ La l ibertà pol i t ica consiste nel la sicurezza, o almeno nel l ’opinione che si ha
del la prop r ia sicurezza” (MONTESQUIEU , De l ’espri t des lois , l ibro XII, cap.2)
78 E. DENNINGER , Diri tt i del l ’uomo e Legge Fondamentale, op.ci t . p. 38.
79 E’ i l t i tolo di un art icolo di S.RODOTÀ pubbl icato su La Repubbl ica del l ’11
ottobre 2001.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
50
Costituzionale, deve necessariamente tener conto delle peculiari contingenze storiche di
riferimento.
Cap. V - Le limitazioni della libertà personale imposte a tutela della sicurezza
collettiva
L’esatta definizione dei tratti essenziali e dei limiti della libertà personale80 è stata oggetto
di un iter interpretativo che ha visto i Giudici delle leggi optare per soluzioni non sempre
uniformi. Sin dalle prime pronunce della Consulta sul tema, è dato rinvenire la coesistenza
di due direttrici interpretative fondamentali, destinate a costituire gli argini di un dibattito
sempre vivo ed attuale. Nella prima sentenza con la quale la Corte Costituzionale ebbe ad
occuparsi di libertà personale( n° 2/56) ne emerse una nozione fortemente incentrata
sull’aspetto strettamente “fisico”. Difatti, trovandosi a dover decidere sulla legittimità
dell’art. 157 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, i Giudici delle leggi statuirono
che le norme attinenti ai provvedimenti di rimpatrio con foglio di via obbligatorio non
fossero in contrasto con l’art. 13 della Carta Fondamentale, se non limitatamente alla
previsione della fattispecie di rimpatrio per traduzione o di obbligo di rimpatrio motivato
sulla base di meri sospetti relativi alla pericolosità sociale. Orbene, il sancire l’illegittimità
del rimpatrio per traduzione poneva l’accento sull’inammissibilità di una pratica che,
comunque, si concretizzava in una coazione fisica, incidente essenzialmente sulla libertà
personale nel suo profilo strettamente correlato alla dimensione corporea81.
Tale impostazione subì un’evoluzione nella sentenza n° 11 del 1956 con la quale la Corte
Costituzionale, nel pronunciarsi sulla legittimità dell’istituto dell’ammonizione previsto e
disciplinato dagli articoli 164-176 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, ne
evidenziò la profonda incidenza sulla libertà personale in quanto “si risolve in una sorta di
degradazione giuridica in cui taluni individui, appartenenti a categorie di persone che la
80
I l nucleo essenziale del la l ibertà personale è tradizionalmente ricondotto
al l ’habeas corpus cristal l izzato nel la Magna Charta del 1215: “ nul lus homo capiatur
vel imprisonetur aut exuletur nisi per legale judicium parium suorum vel per legem
terrae”
81 “Nel divieto di t raduzione era impl ici to un concetto strettamente <f isico> del la
l ibertà personale, identi f icandosi la sua restrizione in una forma di assoggettamento
materiale da parte del la forza pubbl ica” (cfr . L. ELIA , Libertà personale e misure di
prevenzione , Mi lano, 1962 p. 3)
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
51
legge presume socialmente pericolose, magari designati come tali dalla pubblica voce,
vengono a trovarsi per effetto di una pronuncia della pubblica autorità”. Nella sentenza in
esame, tuttavia, i Giudici delle leggi proposero un’interpretazione più ampia della libertà
personale ritenendo che essa potesse essere lesa non soltanto da atti che determinassero
una stretta coazione fisica, ma anche da “ tutta una serie di obblighi di fare e di non fare”.
Dunque, accanto ad una prospettiva meramente empirica, incentrata sull’esclusiva
centralità della dimensione fisica della libertà personale, si affianca una concezione più
ampia che arriva a ricomprendere nella libertà personale profili di carattere morale che
risulterebbero lesi dall’imposizione di obblighi di fare e di non fare anche non direttamente
concretizzatisi in forme di coazione corporea. Si rileva dunque la coesistenza, nell’ambito
della giurisprudenza costituzionale in tema di libertà personale, di due diverse prospettive
ermeneutiche: quella “fisico-coercitiva” e quella “obbligatoria-degradante”82 destinate a
divenire gli estremi di sviluppo di un iter evolutivo spesso caratterizzato dall’adozione di
criteri interpretativi, per così dire, “originali”.
In effetti, la definizione dei caratteri della libertà personale tutelata dal vigente Testo
costituzionale è stata oggetto anche di un articolato dibattito dottrinario fortemente
influenzato dall’evoluzione giurisprudenziale. Nel tentativo di individuare sinteticamente gli
orientamenti dottrinari e giurisprudenziali in tema di libertà personale è possibile enucleare
quattro principali opzioni ermeneutiche.
La prima tesi, sulla scia della sentenza della Corte Costituzionale n° 2/56, identifica la
libertà personale con la libertà dagli arresti, traducendola essenzialmente nel diritto
all’esclusione di ingiustificate restrizioni coattive sul proprio corpo. Tale impostazione
rende praticabile la distinzione tra libertà personale, tutelata dall’articolo 13 della
Costituzione e libertà individuale garantita dall’articolo 2383. Solo le coercizioni fisiche
82
Sul punto cfr . M. RUOTOLO , Gli i t inerari del la giurisprudenza costi tuzionale in
tema di l ibertà personale , in Questione Giustizia , 2004 p. 237.
83 “ A di f ferenza del la l ibertà personale … imperniata sul l ’esclusiva pretesa di
non vedere i l legi tt imamente eserci tata alcuna <potestà coerci t iva>, la l ibertà
garanti ta dal l ’art . 23 presuppone, per converso, i l consenso e la compartecipazione
individuale… Il congegno normativo del l ’art .13 non può ri tenersi appl icabi le in tutte
le ipotesi in cui i l soggetto si sottoponga spontaneamente a del le perquisizioni
personal i( in aeroporto, per prendere parte a manifestazioni particolari o per entrare
in determinati edif ici) trattandosi in questi casi di oneri volontar iamente assunti”( cfr .
C. DE F IORES , Libertà personale , in Dizionario di Dir i t to Pubbl ico , vol . IV, Giuffrè,
Mi lano, 2006, p. 3526).
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
52
ricadrebbero nell’ambito di operatività dell’articolo 13 Cost.84, mentre l’eventuale
imposizione di obblighi e divieti risulterebbe assoggettata alla disciplina dettata da altre
disposizioni costituzionali meno rigorose perché non direttamente incidenti sulla libertà
fisica. Nel caso, ad esempio, della limitazione della libertà di circolazione ammessa
dall’art.16 della Costituzione, con un procedimento indubbiamente meno garantista
rispetto a quello previsto dall’art. 13 per le restrizioni della libertà personale, non sarebbe
ravvisabile il carattere di immediata coercizione fisica, in quanto le limitazioni imposte
atterrebbero essenzialmente al luogo e ciò giustificherebbe l’applicazione di una diversa
disciplina. A tale orientamento pare aver aderito la sentenza n° 105 del 200185 con la
quale la Corte Costituzionale ha affermato che “ il carattere di immediata coercizione
qualifica le restrizioni della libertà personale e vale a differenziarle dalle misure incidenti
solo sulla libertà di circolazione”.
Una seconda opzione ermeneutica86 ravvisa restrizioni della libertà personale, da
assoggettare alla disciplina dettata dall’art. 13 della Carta Costituzionale, in ogni atto volto
ad arrecare pregiudizio alla dignità o al prestigio della persona, determinando
l’assoggettamento all’altrui potere. Tale ultima circostanza costituisce di per sé violazione
dell’habeas corpus. Questa impostazione è stata fatta propria dalla Corte Costituzionale
sia nella sentenza 11/56, che ha introdotto il concetto di degradazione giuridica, sia dalla
sentenza 105 del 2001 con la quale la Corte ha affermato che “ la mortificazione della
dignità dell’uomo che si verifica in ogni assoggettamento fisico all’altrui potere…è indice
sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale”.
Un altro orientamento, che, per la verità, ha registrato scarsa adesione, risultando
sostanzialmente relegato ad alcune pronunce del Giudice costituzionale, ha ampliato i
limiti della libertà personale arrivando a ricomprendervi anche la libertà morale.
Segnatamente, con la sentenza n° 30 del 1962, la Corte sostenne che “ la garanzia
dell’habeas corpus non deve essere intesa soltanto in rapporto alla coercizione fisica della
84
“ L’art icolo 13 Cost. garantisce la persona f isica contro le si tuazioni
temporanee o durature di assoggettamento al l ’al trui volere conseguenti ad una
situaz ione di coazione f isica”( cfr . A.PACE , Problematica del le l ibertà costi tuzional i ,
parte speciale , Padova, 1992, p. 169).
85 Tale sentenza è stata pronunciata dal la Corte Costi tuzionale in tema di
trattenimento del lo straniero presso i centri di permanenza t emporanea ed
assistenza.
86 C. MORTATI , Rimpatrio obbl igatorio e Costi tuzione , Mi lano, 1962, p. 689.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
53
persona, ma anche alla menomazione della libertà morale, quando tale menomazione
implichi un assoggettamento totale della persona all’altrui potere”. La concezione di libertà
morale quale intrinseco profilo della libertà personale fu riproposta dalla Corte nella
sentenza n° 32 del 1965, ma non ebbe ulteriori affermazioni anche in ragione della forte
critica proveniente da illustri esponenti della dottrina87.
Un’altra tesi, prendendo spunto dalla centralità assoluta del pieno sviluppo della
personalità enunciato dal secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, arriva ad
elaborare una concezione estremamente estensiva della libertà personale fondata non
solo sull’articolo 13 della Costituzione ma anche sulla interpretazione sinottica e
sistematica degli articoli 2 e 3 . Alla luce di tali premesse metodologiche, la dottrina ha
enucleato una concezione onnicomprensiva della libertà personale intesa come libertà
psicofisica ovvero come libertà della mente e del corpo nella loro indissolubile unità88.
Dunque la libertà personale diviene archetipo ed origine fondante di tutta una serie di
ulteriori e specifici diritti( quali il diritto all’immagine, il diritto al nome, il diritto all’identità
sessuale) che costituiscono estrinsecazione del pieno sviluppo della persona umana e che
sono strettamente correlati alla dignità umana. “La nozione di libertà personale assume
dunque confini più ampi ed è intesa come “<libertà-situazione>, suscettibile cioè di
assumere contenuti diversi e ulteriori(ancorché in ogni caso legati alla posizione della
persona, in sé, nei confronti dei pubblici poteri e dei privati) rispetto al suo nucleo
fondamentale, rappresentato dalla c.d. <libertà dagli arresti>”89.
Le opzioni dottrinarie appena sintetizzate hanno trovato solo parziale adesione da parte
della giurisprudenza costituzionale che non si è assestata su una posizione unitaria ed
univoca. Ad un’attenta lettura delle varie decisioni pronunciate dalla Corte, può rilevarsi
che l’individuazione della soglia di legittimità della restrizione alla libertà personale con lo
stato di degradazione giuridica tale da incidere sulla dignità sociale della persona, può
87
Tra gl i al tr i , El ia evidenziò come l ’ampl iamento del la nozione di l ibertà
personale, f ino al punto di r i tenere ricompresa in essa la l ibertà morale, non
r iscontrasse alcun fondamento costi tuzionale. L’autore ri tenne al tresì inappropriato i l
r ichiamo all ’habeas corpus, def inendo addiri t tura falsante i l tentativo di porre la
menomazione del la l ibertà morale “sotto l ’usbergo del l ’ habeas corpus ”( L. ELIA ,
Libertà personale e misure di prevenzione , Mi lano, 1962, p. 6).
88 Cfr. F. MODUGNO , I nuovi dir i t t i nel la giurisprudenza costi tuzionale , Torino,
1995, p. 11 ss. L’Autore individua qual i elementi del l ’uni tà psicof isica del la persona
umana l ’ identi tà, l ’ integr i tà, l ’ interiori tà o intimità o coscienza.
89 P. CARETTI , I dir i t t i fondamental i , Giappichel l i , Torino, 2002, p. 229.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
54
essere considerata un criterio ermeneutico che si pone come sostanzialmente mediano
rispetto alle varie opzioni analizzate. Con l’adozione di tale criterio risulta certamente
soddisfatta l’esigenza di non circoscrivere la nozione di libertà personale entro confini
meramente fisici, consentendo un’interpretazione dinamicamente orientata alla
valorizzazione della dignità umana nell’interezza delle sue manifestazioni evolutive.
Cap. VI - La cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo
La strategia elaborata a livello internazionale per prevenire e reprimere gli episodi
criminosi di matrice terroristica si è sempre orientata nella prospettiva di dare centralità
agli strumenti di cooperazione interstatuale, tramite la sottoscrizione di accordi pattizi
aventi portata settoriale e miranti ad approntare misure di volta in volta idonee a
fronteggiare le singole fattispecie criminose riconducibili al terrorismo90.Tuttavia i recenti
episodi connessi alle manifestazioni terroristiche, per la loro complessità e devastante
portata, hanno posto in evidenza la difficoltà di trasfondere l’asserita necessità di
rafforzamento della cooperazione internazionale dal piano della dichiarazione di intenti a
quello più concreto della effettiva predisposizione di strumenti condivisi. In particolare è
emersa la differenza, che talvolta è divenuta distanza, tra l’approccio adottato dagli Stati
Uniti e quello invece fatto proprio dall’Unione Europea91. Quest’ultima ha mostrato una
certa incapacità di dare forma al suo interno ad una strategia unitaria, tant’è vero che le
reazioni degli stati membri rispetto alle misure americane adottate all’indomani dell’11
settembre sono state abbastanza eterogenee. Gli Stati Uniti, dal loro canto, in principio
90
La Convenzione de L’Aja del 1970 e quel la di Montreal del 1971 furono
promosse dal l ’Organizzazione internazionale per i l t raf f ico civi le aereo; la
Convenzione di New York del 1973 aveva ad oggetto i l sequestro a scopo terrorist ico
di ostaggi diplomatici e di coloro che svolgevano funzioni per conto di uno Stato; la
Convezione di New York del 1979 si occupò del sequestro di ostaggi civi l i . L a
Convenzione di Roma del 1988, a seguito del le tragiche vicende del dirottamento
del la nave Achi l le Lauro, ebbe ad oggetto la pirateria mari tt ima; le Convenzioni di
New York del 1997 e del 1999 si occuparono, r ispett ivamente, di attentati terrorist ici
med iante l ’uso di esplosivi e di repressione del f inanziamento del terrorismo.
91 I l 20 settembre 2001 le autori tà europee ed americane hanno sottoscri t to una
dichiarazione ministeriale congiunta Usa -UE in cui hanno assunto l ’ impegno di
intraprendere “uno sforzo col lett ivo, costante e sistematico per el iminare i l terrorismo
internazionale”
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
55
hanno manifestato un atteggiamento fortemente accentratore e poco incline a dare
eccessivo rilievo al consenso internazionale ed hanno incentrato inizialmente la loro
azione solo sul piano militare, promuovendo una vera e propria global war on terror.
Con il passare del tempo, la necessità di predisporre strumenti di cooperazione concreta è
stata più fortemente condivisa in quanto si è fatta strada la convinzione che una minaccia
globale deve essere contrastata definendo a livello interstatuale principi fondanti, criteri e
strumenti operativi comuni.
In questa prospettiva il ruolo centrale è rivestito dall’ONU nel cui ambito è stato elaborato
un vero e proprio corpus iuris di settore.
Con la risoluzione 1373 (2001) del 28 settembre 2001, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ,
ispirandosi implicitamente alla Convenzione sul finanziamento del terrorismo del 1999,
non ancora entrata in vigore all’epoca, impone agli Stati di sancire negli ordinamenti
interni l’illiceità della raccolta e del possesso di fondi per finanziare il terrorismo,
disponendo il blocco dei conti e delle risorse finanziarie appartenenti a persone od
organizzazioni coinvolte in attività di natura terroristica.
Il paragrafo II della Risoluzione impone agli Stati l’obbligo di astensione da qualsivoglia
forma di supporto ad attività terroristiche e di vigilanza sul territorio al fine di evitare il
radicamento di organizzazioni criminali. Il Consiglio delle Nazioni Unite chiede agli Stati di
adottare provvedimenti interni volti a vietare il reclutamento di terroristi e la fornitura di
armi e sollecita l’istituzione di meccanismi per lo scambio di informazioni92 e l’assistenza
con gli altri Stati.
Il paragrafo VI della Risoluzione in esame istituisce il “Counter Terrorism
Committee”(C.T.C.), composto da membri del Consiglio di sicurezza e presieduto dal
rappresentante permanente alle Nazioni Unite di uno di essi. Il Comitato si avvale di un
organismo tecnico di esperti, il Counter Terrorism Executive Directorate(istituito con
Risoluzione 1535 del 2004) e ha compiti di monitoraggio e di impulso dell’azione
antiterrorismo nonché di promozione dell’assistenza istituzionale agli Stati membri che ne
92
In effetti proprio il settore dello scambio di informazioni è quello più delicato. Sul punto Sergio
Romano ha sottolineato che “ i servizi di informazione sono organismi molto delicati, costruiti con una
lunga pazienza, fondati sulla reciproca fiducia dei membri della famiglia, arricchiti da un capitale
facilmente deperibile e difficilmente ricostruibile. Il capitale è costituito dagli informatori. Ve ne sono
alcuni a cui si può credere interamente ed altri per i quali si deve continuamente o pazientemente
separare la verità dalla menzogna, dalla millanteria, dalla fantasia e dalle motivazioni personali”.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
56
abbiano necessità. Da gennaio 2002 il Comitato ha iniziato l’esame dei rapporti periodici
prodotti dai singoli Stati, con l’obiettivo di incentivare la ratifica delle convenzioni e
l’adeguamento normativo93. Proprio per favorire quest’ultimo aspetto il Comitato ha svolto
un ruolo di forte supporto per gli Stati. E’ stata istituita la “Directory of Counter –terrorism
information and sources of assistance”, un data base consultabile on line nel quale sono
raccolti modelli di legislazione interna e di provvedimenti di applicazione.
La Risoluzione 1373 del 2001 rappresenta senza dubbio il fulcro nodale del corpus
elaborato dall’ONU e ad essa si sono ispirati tutti i provvedimenti successivi.
A giugno del 2004, nell’ambito del meeting semestrale USA-UE è stata resa pubblica una
importante dichiarazione euro-americana sulla lotta al terrorismo in cui sono stati
evidenziati i punti essenziali dell’azione comune: attuazione delle risoluzioni dell’ONU,
lotta al finanziamento del terrorismo, rafforzamento della protezione delle infrastrutture,
sicurezza delle frontiere, implementazione della cooperazione giudiziaria e di polizia. Nel
giugno del 2003 gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno sottoscritto i trattati sulla mutua
assistenza legale e sull’estradizione.
L’ambito di cooperazione più efficace ma anche più problematico è rappresentato dallo
scambio di informazioni. In tale settore, infatti, attesa la particolare natura delle attività e la
delicatezza dei contenuti, risulta più difficile contemperare le varie attività comuni specie
alla luce della necessità di garantire il rispetto della privacy. Il nodo cruciale è trovare una
soluzione che garantisca la compatibilità giuridica e tecnologica dei sistemi di condivisione
di informazioni e di protezione della riservatezza. Sul tema è particolarmente significativa
la vicenda del Passenger Name Record(PNR) richiesto dalle autorità americane in forza
dell’Aviation and Transportation Security Act del 2001.
L’8 settembre 2006 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato per consenso la
“Strategia globale per la lotta al terrorismo” , integrata da un Piano d’azione, che delinea i
principi comuni e le linee orientative d’azione. ll programma dell’ONU, partendo dalla
necessità di garantire la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, evidenzia
l’importanza di incentivare le iniziative di capacity-building degli Stati e pone l’accento
sull’opportunità di elaborare soluzioni mirate a rimuovere le condizioni che consentono la
diffusione del terrorismo e quindi a contrastare l’attività di propaganda e reclutamento tra
93
I l Comitato ha suddiviso le att ivi tà anti terrorismo degl i Stati in tre fasi
consequenzial i : la fase A di approvazione di misure legislative, la fase B di
predisposizioni di misure esecutive, specie in tema di reclutamento e traf f ico di armi,
la fase C di contrasto di fenomeni criminal i indirettamente legati al terrorismo .
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
57
le giovani leve. L’ottica privilegiata dall’ONU non è di ispirazione meramente repressiva
ma si declina in prospettiva preventiva, evidenziando la necessità di un approccio di più
ampio respiro che miri a individuare le “conditions conducive to the spread of terrorism”94.
Sviluppi futuri
La nozione di emergenza, ontologicamente caratterizzata dalla proteiforme attitudine ad
inverarsi in manifestazioni multiformi ed imprevedibili, soggiace, nel contemporaneo
contesto storico, a dinamiche evolutive particolarmente complesse. Le manifestazioni di
violenza incidenti sia all’esterno che all’interno dell’ordinamento, ad opera di organismi
non statali, quali quelli di matrice terroristica, pongono gli Stati dinanzi ad inedite
congiunture emergenziali, per la cui gestione si rende necessario il ricorso a misure che
siano, sì, immediatamente efficaci ed incisive, ma che, in ogni caso, non trascendano
l’ordine legale a tutela del quale sono adottate.
In questa prospettiva, la categoria della “democrazia che si difende” e la schmittiana
dialettica amico-nemico soggiacciono ad inedite dinamiche evolutive. Lo stato democratico
si trova a dover affrontare la minaccia derivante da minoranze violente, non appartenenti
ad entità di natura statale. In siffatto contesto, rileva la ricerca costante di equilibrio tra la
duplice dilemmatica necessità di tutelare i principi fondamentali e, al contempo, di
garantire la minacciata sicurezza collettiva.
Malgrado l’indubbia problematicità dell’applicabilità delle categorie costituzionali
tradizionali, l’opzione risolutiva di questa peculiare esigenza non sembra essere
validamente rinvenibile nell’introduzione di una specifica e puntuale Norma Fondamentale
di riferimento. Tale conclusione si fonda su un duplice ordine di motivazioni. Difatti, da un
lato, la codificazione casistica, per sua stessa natura, mal si presta a disciplinare fenomeni
potenzialmente idonei a manifestarsi in forme che difficilmente possono essere oggetto di
esaustiva previsione analitica. D’altro lato, la destabilizzante minatoria continuatività che
caratterizza le manifestazioni di matrice terroristica induce a ritenere che esse, ormai, non
debbano più essere qualificate come un fenomeno congiunturale, ma vadano considerate
e, conseguentemente, disciplinate, come un fenomeno di natura strutturale.
Risulta essenziale il ricorso a strumenti di coordinamento internazionale. Il terrorismo,
infatti, opera, purtroppo, su scala globale. Tale circostanza rende ormai opportuno e
necessario promuovere ed incentivare forme di cooperazione transfrontaliera al fine di
94
Cfr . Piano d’azione, t i tolo I .
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
58
approntare strumenti di contrasto più efficaci. L’implementazione dei canali di scambio di
informazioni tra i vari Stati, il rafforzamento della cooperazione giudiziaria ed investigativa
assurgono, oggi, al rango di strumenti assolutamente indispensabili.
Lo Stato democratico deve opporsi ai tentativi fideistici di eversione, attraverso la
stentorea affermazione di quei valori e di quei principi fondanti, direttamente messi in
discussione dalle organizzazioni terroristiche. Parimenti, però, le moderne democrazie
occidentali si trovano a dover fare i conti con il paradosso della tolleranza. “La tolleranza
illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche
a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante
contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con
essi. In questa formulazione, io non implico, per esempio, che si debbano sempre
sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle con
argomentazioni razionali e farle tenere sotto controllo dall’opinione pubblica, la
soppressione sarebbe certamente la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo
proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza; perché può
facilmente avvenire che esse non siano disposte ad incontrarci a livello
dell’argomentazione razionale…… Dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza,
il diritto di non tollerare gli intolleranti”95.
Il quotidiano e comunemente diffuso senso di insicurezza che accompagna ogni cittadino
occidentale dopo l’11 settembre 2001 determina un istintivo favore rispetto al
rafforzamento di talune misure preventive.
Il profilo più problematico è costituito dall’individuazione dei limiti entro i quali possano
ritenersi legittime misure che, a tutela della sicurezza, inevitabilmente incidono sulle libertà
individuali. In questa prospettiva, assumono rilievo essenziale e centrale i criteri di
proporzionalità e ragionevolezza.
La vera sfida delle democrazie occidentali è costituita, dunque, dalla ricerca dell’equilibrio
tra tolleranza e sorveglianza, attraverso l’affermazione stentorea dei valori e principi
fondamentali.
Sul piano istituzionale si è auspicata la creazione di un’organizzazione internazionale di
settore di tipo classico fondata su un trattato ed avente una propria autonoma fisionomia.
In essa dovrebbe essere convogliato il coordinamento dell’attività internazionale di
contrasto al terrorismo. Tuttavia sono ben note le difficoltà oggettive di dar vita ad un
95
K. POPPER , La società aperta e i suoi nemici , Armando editore, Roma, 1996 p.
304.
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
59
nuovo ente e parimenti elevati sono i dubbi circa l’effettiva portata del contributo concreto
che tale ente potrebbe fornire sul piano operativo.
Alla luce dell’evoluzione dell’organizzazione del terrorismo che, come già evidenziato, ha
visto emergere una forte preponderanza della componente individualista rispetto a quella
associativa(il riferimento è al fenomeno dei cosiddetti lupi solitari) si rende necessario
rimodulare le misure di contrasto.
Il piano su cui portare l’analisi, al fine di formulare una strategia efficace, non può che
essere quello sociale in un’ottica multidisciplinare. Se, da un lato, è necessario fermare il
finanziamento, colpendo i promotori economici del terrorismo, d’altro lato è indifferibile
attuare un’attività di ostacolo alla radicalizzazione di cellule self starters.
Le recenti vicende hanno di fatto dimostrato che si stanno diffondendo “homegrown
mujaheddin”, che vivono in contesti occidentali e conducono una sorta di jihad personale,
si addestrano grazie ad internet ed al proselitismo realizzato nelle moschee e
costituiscono una vera e propria minaccia imprevedibile.
La minaccia è decisamente asimmetrica e gli obiettivi potenziali sono i più vari di natura
sia militare che civile(si pensi, tra l’altro, alla rete delle infrastrutture e dei trasporti,ai
sistemi informatici). Sul piano del contrasto operativo rileva il ruolo essenziale
dell’intelligence che deve essere informato sempre più ad una logica di coordinamento e di
scambio di informazioni interstatuale.
Si rende però necessario porre in essere un’azione preventiva sociale al fine di
contrastare i fattori che rendono possibile il successo della propaganda fondamentalista.
Tale obiettivo, ambizioso e di difficile conseguimento, può essere perseguito favorendo il
dialogo e l’integrazione tra le culture e le religioni. In quest’ottica occorrerebbe vigilare, nel
rispetto della libertà religiosa e di culto, sull’attività che viene svolta in contesti vicini alle
moschee. In tale prospettiva è necessaria l’azione condivisa a livello internazionale con il
coinvolgimento particolare di quegli Stati islamici che si trovano essi stessi ad essere
vittime del fondamentalismo.
L’integrazione è senza dubbio il punto cardine su cui fondare una nuova strategia comune,
nel rispetto delle reciproche differenze. La tutela dei diritti fondamentali è una condizione
imprescindibile, nella consapevolezza che “chi ammette la libertà di negare la libertà
La lotta al terrorismo: misure di contrasto in ambito nazionale ed internazionale A. Feola
60
rischia di contribuire a distruggere proprio il valore che vorrebbe difendere, chi nega
questa libertà nega il valore stesso che dichiara di voler sostenere”96.
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