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La nostra energia per la cultura È con queste poche e semplici parole che vogliamo dare il nostro benvenuto a questo concerto dell'Orchestra Mozart, diretta dal Maestro Claudio Abbado. Poche parole per dar luce a uno dei nostri progetti più importanti: concorrere al miglioramento della qualità della vita delle persone attraverso la nostra capacità di fornire servizi a famiglie e imprese. Crediamo che i soli servizi non bastino. La qualità della vita passa attraverso anche altre cose. La cultura è una di queste. Ecco spiegata la nostra presenza a un evento come quello di questa sera. Investiamo nella cultura perché crediamo che sia un modo di investire per il nostro futuro. Un mondo sostenibile si svilupperà attraverso la cultura e le mille bellezze che essa racchiude, la forza della conoscenza e l'energia della fantasia e della creatività.

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La nostra energia per la cultura

È con queste poche e semplici parole che vogliamo dare il nostro benvenuto a questo concerto dell'Orchestra Mozart, diretta dal Maestro Claudio Abbado.Poche parole per dar luce a uno dei nostri progetti più importanti: concorrere al miglioramento della qualità della vita delle persone attraverso la nostra capacità di fornire servizi a famiglie e imprese.Crediamo che i soli servizi non bastino.La qualità della vita passa attraverso anche altre cose.La cultura è una di queste.Ecco spiegata la nostra presenza a un evento come quello di questa sera.Investiamo nella cultura perché crediamo che sia un modo di investire per il nostro futuro. Un mondo sostenibile si svilupperà attraverso la cultura e le mille bellezze che essa racchiude, la forza della conoscenza e l'energia della fantasia e della creatività.

Teatro Municipale ValliLunedì 20 novembre 2006, ore 20

Orchestra MozartClaudio Abbado direttore

Radu Lupu pianoforte

Wolfgang Amadeus Mozart

Concerto per pianoforte e orchestra n. 24 in do minore K 491

Sinfonia n. 41 in do maggiore K 551 "Jupiter"

Edizioni del Teatro Municipale Valli

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Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2006Uffi cio stampa, comunicazione e promozione

Programma di sala a cura di Roberto Fabbi e Mario Vighi

L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spet tan ze re la ti ve a diritti di ri pro du zio ne per le immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.

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Indice

Programma 9

Note biografi che Claudio Abbado 13Radu Lupu 17L'Orchestra Mozart 21

Wolfgang Amadeus Mozart 25

Note di salaGiorgio Pagannone: Il Concerto per pianoforte e orchestra K 491 di Mozart 31Anna Quaranta: La Sinfonia K 551 di Mozart 37Roberto Favaro: Concerto e Sinfonia come opere-mondi 43

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Wolfgang Amadeus Mozart

Concerto per pianoforte e orchestra n. 24 in do minore K 491AllegroLarghettoAllegretto

Sinfonia n. 41 in do maggiore K 551 "Jupiter"Allgro vivaceAndante cantabileMinuetto: AllegrettoMolto allegro

Orchestra Mozart

Claudio Abbado direttore

Radu Lupu pianista

Programma

Note biografi che

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Joseph Lange, Ritratto di Mozart (1872)

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WOLFGANG AMADEUS MOZART

Johannes Chrysostomus Wolfgang Gottlieb Mozart nasce, quale set ti mo fi glio, il 27 gen na io 1756 a Salisburgo. Amadeus è un nome aggiunto nel corso della sua vita. Ab boz za le prime com po si zio ni all’età di quattro anni.1762-66. Primo viaggio col padre e la sorella a Monaco. Poi è a Vienna, in Fran cia, Inghilterra, Olanda e Svizzera. Scrive le prime sin fo nie e ha con tat ti con Johann Christian Bach, fi glio di Johann Sebastian.1767. La famiglia Mozart si trasferisce a Vienna, dove Wolfgang scrive il Singspiel Bastien und Bastienne.1769. Ritorno a Salisburgo e primo viaggio in Italia, sino a Napoli, durante il quale ha modo di confrontarsi con gli stilemi compositivi tipici italiani. I suoi con cer ti nelle città italiane sono trion fa li. 1770. A Bologna conosce padre Martini, il grande teorico e didatta, che lo in tro du ce al contrappunto. A Roma riceve il titolo di Cavaliere, e l’Ordine dello Spe ro ne d’Oro dal Papa.1771. Secondo viaggio in Italia.1772. Per il nuovo insediamento del principe-vescovo salisburghese Hieronymus Conte di Colloredo, Mozart compone la cantata Il sogno di Scipione; diviene Konzertmeister della Cappella di corte e, col padre, compie il terzo e ultimo viag gio in Italia.1777. Viaggio a Mannheim. Mozart si in na mo ra di Aloysia Weber, sorella della sua futura fi danzata. A Mannheim conosce Johann Christian Can-nabich ed entra in contatto con gli ambienti della famosa Mannheimer Orchester, un fatto molto importante per la sua successiva evoluzione

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compositiva.1778-79. Da Mannheim si sposta a Parigi, dove muore la madre. Al ritorno a Sa li sbur go, viene nominato Organista di corte e del duomo.1781. Il nuovo Kaiser Joseph II richiede i suoi servigi quale Kapellmeister a Vienna. Poco tempo dopo, però, Mozart inizia a vivere quale artista libero da ogni legame. Si reca da Konstanze Weber, sorella di Aloysia.1782. Prima esecuzione del Singspiel Die Entführung aus dem Serail e matrimonio con Konstanze.1783-85. Prosegue la libera attività, ma è costretto a dare le zio ni di pia no for te e a tenere concerti in sale pubbliche e nelle case dei nobili per sbarcare il lunario. Stringe amicizia con Joseph Haydn, al quale dedicherà la celebre serie dei Quar tet ti d’ar chi.1786. Prima esecuzione de Le nozze de Figaro, l’1 maggio, a Vienna.1787. Si reca a Praga, dove Le nozze riscuote grande successo. Il padre muo re a Salisburgo. Sostituisce Christoph Willibald Gluck quale Kaiserli-chen Kammermusikus. Il 29 ottobre viene rappresentato il Don Giovanni a Praga.1788. La rappresentazione viennese del Don Giovanni non ottiene lo stesso suc ces so di Praga. Compone in poche settimane le tre ultime ce-leberrime sin fo nie.1789-90. La situazione fi nanziaria di Mozart peggiora ulteriormente; scrive al cu ne lettere ad amici chiedendo aiuto. Così fan tutte sortisce male, per mo ti vi con tin gen ti. Contatta Emanuel Schikaneder, attore, cantante e or ga niz za to re teatrale.1791. Schikaneder gli commissiona la Zauberfl öte. In luglio il conte Franz Walsegg zu Stuppach gli commissiona un Requiem. Sarà la sua ultima com po si zio ne, in com piu ta. In settembre viene rappresentata la Zauber-fl öte al Theater auf der Wieden (uno dei teatri di Schikaneder). Muore il 5 di cem bre. Pochi intimi ac com pa gna no il feretro sino alla Chiesa di S. Stefano; nessuno presenzia al tra sfe ri men to della salma al cimitero di St. Marxer Friedhof, dove viene sepolto in una fossa comune.

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CLAUDIO ABBADO

Claudio Abbado ha debuttato nel 1960 al Teatro alla Scala di Milano, di cui è stato direttore musicale dal 1968 al 1986. Dal 1986 al 1991 è stato direttore musicale della Staatsoper di Vienna e dal 1987 Generalmu-sikdirektor della città di Vienna.Nel 1988 ha fondato il Festival Wien Modern, manifestazione di musica con-temporanea, ampliatasi nel tempo fi no a includere diversi aspetti dell’arte e dal 1991 anche un concorso internazionale per giovani compositori.Ha diretto la Berliner Philharmonisches Orchester per la prima volta nel 1966. Nel 1989 l’Orchestra lo ha eletto direttore artistico. Nel 1994 Clau-dio Abbado è stato nominato direttore artistico del Festival di Pasqua di Salisburgo. A completamento delle produzioni liriche e dei concerti sin-fonici, ha inserito un ciclo di musica da camera contemporanea, un pre-mio per una composizione musicale e un premio per un’opera letteraria.Claudio Abbado ha sempre sostenuto i giovani talenti. Nel 1978 ha fondato la European Community Youth Orchestra, nel 1981 la Chamber Orchestra of Europe e nel 1986 la Gustav Mahler Jugendorchester dalla quale si è costituita la Mahler Chamber Orchestra.Dal 2003 è impegnato con la nuova Orchestra del Festival di Lucerna, complesso appositamente creato per Arturo Toscanini prima della guerra, e ha tenuto la prima serie di concerti alla guida della nuova Orchestra nell’agosto 2003; la formazione è composta dalla Mahler Chamber Orche-stra, da alcune prime parti dei Berliner e dei Wiener Philharmoniker, da solisti di fama internazionale, dall’Ensemble Sabine Meyer, dall’Hagen Quartett e da elementi dell’Alban Berg Quartett.

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Nasce poi a Bologna nel 2004 l’Orchestra Mozart, di cui è direttore musi-cale ed artistico. Nel novembre di quell’anno, presso l’Accademia Filar-monica di Bologna, è stato insignito del Premio Kythera, che ha devoluto in borse di studio a due giovani musicisti della nuova orchestra.A Caracas e a l’Havana, nel gennaio 2005, Abbado inizia a fare musica con l’orchestra Simon Bolivar alla quale si sono aggiunti giovani di tutti i paesi del Sudamerica, per dare vita all’Orquesta de Jovenes Lanitoame-ricanos, una formazione multiculturale di ben 285 elementi tra i 15 e i 24 anni. Questa esperienza si inserisce nella mastodontica iniziativa portata avanti da trent’anni da José Antonio Abreu, che coinvolge duecentoqua-rantamila (240.000!) giovani musicisti, molti dei quali tolti dal mondo poverissimo dei barrios e delle favelas, a cui è stata data la possibilità di ricevere degli strumenti e un’adeguata educazione.Fra le incisioni discografi che di Claudio Abbado ricordiamo l’integrale delle opere sinfoniche di Beethoven, Mahler, Mendelssohn, Schubert, Ravel, Ciajkovskij, Prokof’ev, opere di Verdi, Rossini, Mozart e Wagner. Nel 2000 è uscita l’edizione integrale delle Sinfonie di Beethoven con i Berliner Philharmoniker, acclamata quanto la serie di esecuzioni dal vivo delle Sinfonie e dei Concerti per pianoforte di Beethoven tenutasi a Roma e a Vienna nel febbraio 2001, realizzate in DVD. Le sue incisioni hanno ricevuto i premi più prestigiosi: International Grammy Award, Grand Prix International du Disque, Diapason d’Or, Record Academy Prize, Stella d’oro, Orphée d’Or e Grand Prix de la Nouvelle Académie.Claudio Abbado ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Pre-mio Freud, la Gold Medal of the International Gustav Mahler Society, l’Ehrenring (1973), la Medaglia d’Oro Nicolai (1980) dei Wiener Philhar-moniker, la Mozart Medaille, la Mahler Medaille, la Schubert Medaille, l’Ehrenring der Stadt Wien, il Premio Nonino (1999). La Repubblica Ita-liana lo ha insignito della Gran Croce Ordine al Merito e della Medaglia d’oro ai Benemeriti della cultura e dell’arte, quella francese della Grand Croix de la Légion d’Honneur, la Repubblica austriaca della Grosse Gol-denes Ehrenzeichen. In Germania ha ricevuto la Grosse Verdienstkreuz e l’Ernst-von-Siemens-Musikpreis, è stato eletto “direttore dell’anno”

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dalla stampa tedesca (2001), gli è stato consegnato il Würth-Preis della Jeunesses Musicales e il premio della critica “Kritikerpreis des Verban-des der deutschen Kritiker” (2002). Nello stesso anno il Presidente della Repubblica Federale Tedesca, per l’alto valore del lavoro artistico svolto a Berlino, lo ha insignito del massimo riconoscimento dello stato: Das Grosse Verdienstkreuz mit Stern. Nel maggio 2004 gli è stato conferito la “Ernst Reutter Plakette” della Città di Berlino. Nel 2003 ha ricevuto la Medaglia d’Oro della Royal Philharmonic Society London, il presti-gioso Praemium Imperiale della Japan Arts Association e il premio della critica musicale italiana “Franco Abbiati”. Le Università di Cambridge, Aberdeen, Ferrara e della Basilicata gli hanno conferito la laurea honoris causa.

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RADU LUPU

Radu Lupu è nato in Romania e ha iniziato gli studi di pianoforte all’età di 6 anni, con Lia Busuioceanu, debuttando in pubblico a soli 12 anni con un programma completo di musiche da lui stesso composte. Per di-versi anni continuò gli studi con Florica Muzicescu e Cella Delavranca fi nché, nel 1961, vinse una borsa di studio per il Conservatorio di Mosca, dove studiò con Galina Eghyazarova, Heinrich Neuhaus e, più tardi, con Stanisalv Neuhaus.Vincitore di tre importanti concorsi, il Van Cliburn 1966, l’Enescu Interna-tional 1967 ed il Concorso di Leeds 1969, riceveva nel 1989 il prestigioso Premio Abbiati, assegnato dall’Associazione dei Critici italiani.Radu Lupu suona regolarmente con le più importanti orchestre interna-zionali, inclusi i Berliner Philharmoniker, con cui, nel 1978, fece il suo debutto al Festival di Salisburgo, sotto la direzione di Herber von Karajan, i Filarmonici di Vienna, con cui inaugurò il Festival di Salisburgo 1986 sotto la direzione di Riccardo Muti, la Royal Concertgebouw Orchestra, le maggiori orchestre londinesi e tutte le grandi orchestre americane. I suoi primi importanti concerti negli Stati Uniti ebbero luogo nel 1972 con la Cleveland Orchestra diretta da Daniel Barenboim a New York e con la Chicago Symphony Orchestra diretta da Carlo Maria Giulini. È stato ospite di tutti i più importanti festival musicali ed ospite regolare dei festival di Salisburgo e di Lucerna.Tra le sue incisioni discografi che, i Concerti per pianoforte di Beethoven con la Filarmonica di Israele diretta da Zubin Mehta; numerosi concerti di Mozart; il Concerto n. 1 di Brahms, i Concerti di Grieg e di Schumann;

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l’integrale delle Sonate per violino e pianoforte di Mozart con Szymon Goldberg, Le Sonate per violino e pianoforte di Debussy e Franck con Kyung Wha Chung; opere di Beethoven, Brahms, Schumann e Schubert con Daniel Barenboim. Nel 1995 ha vinto due premi nella categoria “Best Instrumental Record of the Year”: un Grammy per le Sonate D 664 e D 960 di Schubert e un Edison per Kinderszenen, Kreisleriana e Humoresque di Schumann.Ha inciso due dischi con Murray Perahia (CBS), due album di Lieder di Schubert con Barbara Hendricks (EMI) e un disco di brani di Schubert a quattro mani con Daniel Barenboim (Teldec).Nel 2006 Radu Lupu ha ricevuto il Premio Arturo Bendetti Michelangeli e, per la seconda volta, il Premio Abbiati, per le sue interpretazioni di Schumann.

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L'Orchestra Mozart al Valli, l'anno scorso

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ORCHESTRA MOZART

L’Orchestra Mozart nasce da un’idea di Carlo Maria Badini, grazie all’ap-porto determinante della Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna, che ha contribuito con entusiasmo per iniziativa del suo Presidente Fabio Roversi-Monaco.L’Orchestra è al centro di un progetto speciale dell’Accademia Filarmo-nica di Bologna, la gloriosa istituzione musicale sede da quattro secoli di iniziative destinate soprattutto alla formazione dei giovani. Fu qui che Wolfgang Amadeus, quattordicenne, studiò composizione sotto la guida del celebre Padre Martini. Claudio Abbado, al quale è stata affi data la Direzione artistica della nuova orchestra, ne ha delineato il profi lo, invitando alcuni strumentisti e com-plessi cameristici di rilievo internazionale (Giuliano Carmignola, Daniel Gaede, Danusha Waskiewicz, Enrico Bronzi, Mario Brunello, Alois Posch, Jacques Zoon, Andrea Oliva, Alessandro Carbonare, Alessio Allegrini, il Trio di Parma) ad alternarsi nell’assumere sia il ruolo di prime parti, sia la funzione di docenti dei musicisti giovani chiamati a farne parte. Si tratta di una quarantina di elementi tra i 18 e i 26 anni, ventuno dei quali (tutti italiani selezionati da Claire Gibault attraverso audizioni a Bologna, Roma e Bolzano) hanno benefi ciato nel 2005 di una borsa di studio del Fondo Sociale Europeo e della Regione Emilia Romagna per l’Alta formazione professionale. Con loro una quindicina di musicisti provenienti da tutta l’Europa (Francia, Spagna, Austria, Germania, Olanda, Ungheria, Norvegia e Finlandia).Il carattere e lo spirito dell’Orchestra Mozart la rendono unica nel panora-

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ma italiano. Andando oltre l’idea di orchestra di formazione, che affi anca giovani musicisti ad affermati solisti, essa vive della gioia del piccolo gruppo che si ritrova da tutte le parti del mondo per il piacere di suonare insieme, nel più intimo spirito del gruppo da camera, elastico e variabile, in cui gli elementi si alternano in varie formazioni, dal trio all’ottetto al gruppo da camera all’ensemble mozartiano. In una città, Bologna, che vive una intensa stagione culturale, l’Orche-stra Mozart vuole essere una realtà nuova, ma non di rottura, inserendosi e promuovendo sinergie nel tessuto musicale e sociale del territorio. In quest’ottica si inquadrano le collaborazioni con le più importanti realtà musicali (Teatro Comunale, Bologna Festival e Musica Insieme) e con la Provincia di Bologna. Nel settembre 2005 è stato infatti fi rmato un accor-do, grazie al quale l’Orchestra suonerà nei teatri di molti Comuni della Provincia. Concerti speciali sono poi riservati in ogni ciclo alle scuole, al Conservatorio di Musica, alle istituzioni culturali e a realtà quali la Caritas, l’Istituto Penale Minorile e la Casa Circondariale. La redazione delle note musicologiche per i programmi di sala è affi data al Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna. Da quest’anno, in collaborazione con le Associazioni Unite Gozzadini (AUG), l’Orchestra Mozart ha dato vita al Progetto TAMINO, Terapie e Attività Musicali IN Ospedale, rivolto ai piccoli pazienti della Clinica Pediatrica Gozzadini del Policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna.La dedica a Mozart si lega a un grande progetto internazionale, l’European Mozart Ways, promosso in vista del 250° anniversario della nascita del Salisburghese, che cade quest’anno. Progetto che comprende una serie di manifestazioni, realizzate nelle città europee che con lui ebbero rapporti speciali. Fra queste — con Salisburgo, Vienna, Praga, Milano, Londra — Bologna è in primo piano, grazie anche alla tradizione che l’Accademia Filarmonica ha sempre coltivato, come sede di concerti nella sua bellis-sima Sala Mozart e di memorie mozartiane conservate nel suo museo, tra cui il manoscritto autografo per l’esame d’ammissione del quattordicenne Wolfgang Amadeus, datato 1770.

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Orchestra MozartDirettore Claudio Abbado

Violini primi Giuliano Carmignola, Daniel Gaede, Raphael Christ, Lorenza Borrani, Diego Matheuz, Franz Markus Siegert, Timoti Fregni, Jana Kuhlmann, Carolina Ku-rkowski, Emilie Belaud.

Violini secondi Gisella Curtolo, Maartje Kraan, Francesco Senese, Giacomo Tesini, Nicola Bignami, Paolo Lambardi, Gian Maria Lodigiani, Mattea Saladino, Valentina Bernardone.

Viole Danusha Waskiewicz, Massimo Piva, Simone Jandl, Ada Meinich, Behrang Rassekhi, Luca Improta.

Violoncelli Benoît Grenet, Iseut Chuat, Antonio Amadei, Andrea Landi, Alberto Casa-dei, Marco Ariani.

Contrabbassi Johanee Gonzalez, Matteo Burci, Daniele Carnio.

Flauti Jacques Zoon.

Oboi Victor Aviat, Guido Gualandi.

Clarinetti Miriam Caldarini, Maria Francesca Latella.

Fagotti Guilhaume Santana, Luca Franceschelli.

Corni Alessio Allegrini, Geremia Iezzi.

Note di sala

Giorgio PagannoneAnna QuarantaRoberto Favaro

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Mozart fi nì di comporre il Concerto K 491 il 24 marzo 1786, appena tre settimane dopo il concerto K 488 in La maggiore, che è di carattere oppo-sto. È l’ultimo del gruppo di concerti scritti per le Akademien dell’inverno 1785-1786, gruppo che comprende, oltre ai due citati, anche il K 482 in Mi bemolle maggiore. L’alto numero di concerti per pianoforte scritti da Mozart nel triennio 1784-1786 (ben dodici) si spiega con la richiesta di novità da parte del pubblico viennese. Il concerto solistico era un genere molto desiderato, perché permetteva di ammirare l’esibizione del virtuoso — un virtuoso d’eccezione, nel caso di Mozart — entro una variopinta cornice orchestrale, che esaltava il dialogo strumentale; si poteva insom-ma apprezzare Mozart sia come solista sia come compositore. Il Concerto K 491 è, sotto quest’ottica, il punto più alto raggiunto da Mozart, perché il ricco organico — il più ampio mai usato da Mozart, comprendente la sezione completa dei legni (fl auto, oboi, clarinetti e fagotti) più trombe, tromboni e timpani — gli consente un raffi nato dialogo tra le varie sezioni strumentali e il solista. Se è vero che il concerto solistico è una sorta di «conversazione appassionata tra il solista e l’orchestra che lo affi anca» (H. Chr. Koch, 1793), qui abbiamo non tanto due interlocutori (solista e orchestra), ma quattro gruppi di interlocutori distinti: il solista, gli archi, i legni, il “tutti” (ossia l’orchestra al completo con l’eventuale rinforzo del pianoforte, che a quell’epoca aveva ancora il doppio ruolo di ripienista e solista).Il respiro sinfonico di questo concerto, tanto ammirato da Beethoven e da Brahms, è legato in parte alla scelta della tonalità: il Do minore, tonalità tra le più maestose e “terribili”, insieme a Re e a Sol minore. Il Do mi-nore si avvicina molto all’idea, ricorrente nell’estetica del Settecento, del

Il Concerto per pianoforte e orchestra K 491 di Mozartdi Giorgio Pagannone

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“sublime” inteso come sentimento di orrore suscitato da oggetti o eventi formidabili (la natura nei suoi aspetti sgomentevoli, il vuoto, la tenebra, e quant’altro). Non a caso questa tonalità fi gura spesso, in àmbito operistico, nelle scene sovrannaturali, di tempesta, e simili (si veda ad esempio l’inizio del Flauto magico, con Tamino rincorso dal serpente).Nel primo movimento (Allegro) questo sentimento di profondo terrore è suscitato dall’ampia esposizione orchestrale (ben 99 battute), dominata da un tema tortuoso, quasi demoniaco nel suo serpeggiante cromatismo. Esso viene esposto prima piano all’unisono, quindi esplode in tutta la sua potenza, sprigionando un’energia inaudita. Di fronte a questo “mostro” te-matico, dai mille tentacoli, non c’è possibilità di dialogo o di conversazione. Ed infatti il pianoforte risponde con un nuovo tema, quasi implorante (in modo analogo al K 466 in Re minore). La continua ricomparsa del tema demoniaco rende sempre tesi i rapporti, ma il solista trova interlocutori cordiali nei legni, con i quali ingaggia un dialogo su due nuovi temi — spi-ritosi e spensierati, questi — nel più rassicurante territorio del Mi bemolle maggiore (il dialogo con i legni sarà uno degli assi portanti dell’intero concerto). Il “tutti” però è sempre in agguato; il momento culminante del confl itto si ha nello sviluppo, quando l’orchestra reagisce rabbiosa ad alcuni passaggi solistici del pianoforte: a ragione questo punto è stato defi nito «il più colossale nubifragio nei concerti mozartiani» (Eva Badura-Skoda). Da quest’esplosione ha origine un tesissimo botta e risposta, che vede i ruggiti dell’orchestra contrapposti ai rapidi arpeggi del pianoforte. Questo drammatico episodio segna profondamente il solista e il prosieguo del pezzo. Nella ripresa il solista ci appare infatti prostrato; ben poco spazio d’altronde gli viene concesso per libere fi gurazioni, e gli stessi temi dia-logati con i legni assumono, vuoi per l’obbligato passaggio dal maggiore al minore, vuoi per alcune piccole varianti melodiche, un carattere cupo. La cadenza del solista, che per sua natura dovrebbe essere improvvisata, o comunque sempre rinnovata, potrebbe dunque essere l’occasione per una sorta di rivalsa, di sfogo. (Dato che Mozart non ha lasciato cadenze scritte per questo concerto, è interessante ascoltare di volta in volta l’approccio del pianista di turno alla cadenza, che non è solo — si badi — una vetrina virtuosistica, ma anche una rifl essione a caldo, una meditazione sintetica

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e bruciante sull’intero primo movimento.) Dopo la cadenza di norma l’or-chestra chiude il sipario con un ritornello breve ed energico; qui invece — ed è una piccola rivoluzione, che Beethoven farà propria — Mozart aggiunge una coda, nella quale il solista rientra inopinatamente con degli arpeggi mentre in orchestra riecheggia uno dei motivi ricorrenti del tema demoniaco. Il primo movimento, più che chiudersi, si dissolve in una bruma inquietante, che lascia aperti i confl itti.Il secondo movimento di concerto è, per sua natura, un «interludio pacato e queto» (Joseph Kerman); a maggior ragione lo è il Larghetto del K 491, che allenta le forti tensioni del primo movimento. Affi ne al genere della “romanza” — un genere caratterizzato da piana e distesa cantabilità (vedi anche gli Adagi dei concerti K 466, 537, 595) — questo brano inizia con un tema quasi infantile al pianoforte, che funge da ritornello; la forma generale ricalca infatti lo schema del rondò (ABACA), con tre ritornelli inframmezzati da due episodi contrastanti. La staticità del rondò e della formula canto/accompagnamento è tuttavia ravvivata da una fi tta trama dialogica, che coinvolge, come nel primo movimento, soprattutto il solista e i legni. Già il tema iniziale è costruito a mo’ di dialogo, con i singoli membri che si rispondono l’un l’altro. Ragionando in termini di dramma e di relazioni, questo brano, impiantato nella tonalità relativa di Mi bemolle maggiore, è il proseguimento ideale di quel dialogo solidale, del fair play instauratosi tra solista e legni nel primo movimento. Si tratta di un mi-crocosmo geometricamente ordinato e conchiuso; le singole sezioni sono omogenee nella forma e nell’estensione, e c’è un’equa distribuzione delle frasi tra i gruppi strumentali, in particolare tra il solista e i legni (gli archi hanno perlopiù funzione di sostegno). I due episodi centrali sono però molto diversi tra loro: il primo in Do minore è una zona d’ombra che richiama, come in un fl ashback, le tensioni e i cromatismi del primo movimento, ed è caratterizzato dalle fi gurazioni ardite del fl auto. Di tutt’altro segno è il secondo episodio in La bemolle maggiore: la placida andatura della melodia, lievemente condita da elementi tipicamente “popolari” come le terze parallele e i bordoni (le note basse tenute), evoca scenari bucolici. L’episodio termina con un passaparola solidale tra i vari strumenti, con-dotto su un inciso brevissimo. Questo inciso torna nella coda conclusiva,

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e sancisce la perfetta concordia tra le parti. In sintesi, il Larghetto op-pone lo spirito razionale, apollineo allo sconquasso dionisiaco del primo movimento, e combina sapientemente cantabilità e dialogo, piacevolezza melodica e raffi natezza di strumentazione.L’ultimo movimento (Allegretto) è un tema con variazioni. Questa forma piuttosto insolita — Mozart la usa solo in un altro concerto, il K 453 — soppianta il consueto rondò fi nale, che qui passa invece al Larghetto. Quanto al rapporto tra il solista e i diversi gruppi orchestrali, se nel rondò il pianoforte è in posizione preminente — conduce il gioco, enuncia quasi sempre i temi —, nel tema con variazioni è invece l’orchestra a proporre, a porre a cimento il solista. Questo fi nale allinea un tema e ben otto variazioni, più una coda indiavolata, che tanto appassionò Beethoven. Il tema, enun-ciato dall’orchestra, è ben squadrato ed ha un andamento di marcia: una marcia solenne ed austera che ristabilisce l’atmosfera grave del Do minore dopo la parentesi del Larghetto. Le prime due variazioni sono ornamentali, mentre la terza, che ha un piglio eroico, sovverte l’ordine d’entrata: il solista enuncia impettito la variazione, e l’orchestra risponde rabbiosa; è il punto di maggior confl itto del fi nale (a parte la coda). La quarta alleggerisce la tensione con una marcetta in La bemolle maggiore che sembra una cari-catura del tema; enunciata prima dai legni, viene replicata di buon grado dal pianoforte. La quinta variazione ha un carattere fugato ed è affi data interamente al solista; la parte fugata, meditativa, si alterna invero con la ripresa inopinata del motivo eroico della terza variazione, che irrompe a mo’ di fl ashback. La sesta variazione, in Do maggiore, speculare a quella in La bemolle (la quarta), riporta un clima sereno, vagamente pastorale, con un nuovo motivo che si distacca nettamente dal tema di base, quasi volesse evocare un mondo distante e incontaminato. La settima variazione, l’ottava e la coda conclusiva sono mirabilmente legate da un breve inciso staccato, quasi beffardo, che s’insinua dapprima tra le pieghe del tema nella settima variazione, quindi viene reiterato dal pianoforte nell’ottava; esso resta ben riconoscibile nonostante il cambio di ritmo (dal 4/4 di base si passa, nell’ultima variazione, al 6/8, che determina un passo più svelto affi ne alla contraddanza o alla giga). La reiterazione vieppiù frequente e ossessiva di questo inciso ne fa una sorta di ticchio o di ghigno sarcastico

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e conferisce alla già tesissima coda un carattere grottesco e spaventevole al tempo stesso. Il pianoforte tiene testa all’orchestra fi no alla fi ne, ma molla la presa nelle ultime battute, sopraffatto dal tremendo unisono orchestrale conclusivo.Questo fi nale a dir poco “sconcertante” segna il punto di maggior distacco dall’altro concerto in minore di Mozart, il celeberrimo K 466, che pure ha indubbie affi nità con il K 491. Se nel K 466 Mozart — così come Beethoven nel Terzo concerto — si avvale del lieto fi ne, ossia di una coda in maggiore che allenta, seppure in extremis, la tensione e ironicamente dissolve con un coup de théâtre la tragedia, nel K 491 Mozart non fa sconti, e perpetua l’orrore fi no alla fi ne. «È diffi cile immaginare quale faccia fecero i vien-nesi», osserva compunto Alfred Einstein. Di certo si può convenire con Joseph Kerman: se qualche ascoltatore «si fosse sentito urtato e straniato da questo concerto, così profondamente sovversivo, sarebbe ingiusto rim-proverarglielo».

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Lo straordinario trittico conclusivo della produzione sinfonica di Mozart (K 543, 550, 551) vede la luce in meno di due mesi, nell’estate del 1788 (26 giugno, 25 luglio, 10 agosto). Dal promettente esordio londinese allo sconfortato quadro viennese di quello scorcio di decennio: la capitale asburgica vive un periodo di recessione, la vita culturale avvizzisce e il mecenatismo artistico declina, tanto che Mozart, affl itto da crescenti diffi -coltà fi nanziarie, fatica a trovare sottoscrizioni per le sue accademie. Alcuni vorrebbero quelle tre sinfonie concepite proprio per un’accademia da tenersi a Vienna, sempre rinviata e mai tenuta; altri sottolinea, invece, il fatto che fossero svincolate da occasioni e committenze precise. Non da ultima, la pubblicazione viennese, per Artaria, delle Sinfonie Parigine di Franz Joseph Haydn nel 1787 può aver contribuito a spingere Mozart alla nuova fatica. Una serie di tre numeri era consuetudine editoriale dell’epoca, ma al di là della contiguità temporale e della pratica d’editoria, c’è chi legge le tre opere come l’articolarsi di un unico progetto, un’idea ben precisa sottesa a quel lavoro compositivo così regolare e spedito. Una trilogia, insomma, basata su strette relazioni tonali, un unico percorso in tre tappe dalle diverse soluzioni formali e strumentali: ouverture solenne (K 543), ripiegamento intimistico (K 550), approdo risolutivo (K 551), leggibile anche in chiave massonica come terna di iniziazione-introspezione-ritorno alla luce.Non fu certo Mozart a chiamare “Jupiter” la sua ultima sinfonia. Dalle notizie circolate tra Franz Xaver (fi glio di Mozart), i coniugi Vincent e Mary Novello e la vedova Constanze sappiamo che il soprannome fu coniato dal ben noto impresario londinese Johann Peter Salomon, e britannica è la sua prima dif-fusione: il sottotitolo compare nei programmi di un concerto a Edimburgo il 20 ottobre 1819, poi alla London Philharmonic Society il 26 marzo 1821. Per

La Sinfonia K 551 di Mozartdi Anna Quaranta

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buona parte dell’Ottocento, nei paesi di lingua tedesca la sinfonia fu conosciuta meglio come «Sinfonia dal fi nale fugato» o «con la fuga in chiusura».Di fronte alla “Jupiter” verrebbe ancora da porsi l’ozioso interrogativo di cosa avrebbe potuto essere una successiva sinfonia: tanto questa, rompendo con ogni precedente schema, si impone come maestoso compimento degli ideali che urgono nel Mozart degli anni estremi, quella commistione di stili e registri emotivi trasversale a tutta la produzione ultima e che teatralizza ogni forma. La “Jupiter”, spazzata via ogni compiacenza verso la musica da società (aristocratica), si apre a dimensioni inusitate, nutrendosi della bruciante passione per il contrappunto bachiano — e anche händeliano — cominciata anni prima in casa van Swieten; summa del sinfonismo mozartiano, inaugura la stagione della Finalsymphonie romantica.Della sontuosa veste strumentale utilizzata per la K 543, Mozart conserva trombe e timpani, dismessi nella K 550, accanto a fl auti oboi fagotti cor-ni, ma rinuncia alle ombreggiate morbidezze dei clarinetti, a rendere più smagliante e trasparente la tonalità prescelta, Do maggiore, solitamente indicata come quella che in Mozart si associa a toni affermativi e vigorosi. E vigoroso è il gesto d’apertura, con la triplice affermazione della tonica dopo le terzine di semicrome, che in tal guisa abbiamo sentito altre volte in Mozart. All’inciso perentorio fa eco una risposta sommessa, dei soli archi in piano, su un ritmo puntato; quindi l’orchestra si impenna di nuovo con una fanfara dei fi ati sulle decise interpunzioni degli archi. Tre brevi sequenze ben separate da pause, senza dissolvenza, quasi a scandire l’incedere solenne di un discorso musicale non precipitoso pur nell’Allegro vivace, che ha un passo nobilmente misurato. Di più, fermate ben percepibili sono presenti in tutti gli snodi di questa esposizione: una corona separa la presentazione del primo tema dalla sua riproposizione — mutati i piani dinamici e il gioco dialogico fra le parti strumentali; una sostanziosa pausa precede la comparsa della seconda area tematica, e un’altra ancora più lunga interrompe il suo esile dipanarsi, per far spazio ad un inatteso Do minore, brusca sferzata al discorso che, ripresi i toni del primo tema, si avvia a quella che parrebbe la conclusione dell’esposizione. A una nuova pausa, invece, fa seguito un terzo tema, questo sì conclusivo. Non una volta ascoltiamo quei passaggi di transizione — moduli di scale arpeggi

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accordi sciolti, insomma tirate di semicrome – che innumerevoli volte si erano incaricati di propellere la costruzione formale. La monumentalità dell’insieme si coniuga alla snellezza dei raccordi, all’energica concisione della scrittura. Torniamo al terzo tema. Al suo apparire si può, a ragione,considerare la propensione di Mozart per il pluritematismo, oltre la prolifi ca facilità dell’inventiva. Il tema non è che la citazione dell’arietta buffa «Un bacio di mano» K 541, scritta per Le gelosie fortunate di Anfossi, rappre-sentata a Vienna il 2 giugno del 1788, in cui l’arguto Monsieur Girò mette in guardia l’inesperto Don Pompeo dai pericoli dell’universo femminile («Voi siete un po’ tondo, mio caro Pompeo, | L’usanze del mondo andate a studiar»). Il primo tema risuona aulico, distaccato ossequio all’ancien régime, con le sue movenze da ouverture francese, specie nell’uso del ritmo puntato che circola un po’ ovunque (l’inciso d’apertura rispunta nella linea del basso sottesa al secondo tema; lo stesso frammento guida l’accrescersi della tensione poco prima del secondo tema e ancora, con valori dimezzati, la stretta che precede il terzo). Nel secondo tema rivive lo spirito galante di metà secolo; il terzo esibisce una spigliata semplicità popolana.Nella produzione del Mozart di quegli anni la “Jupiter”, per dirla con Stanley Sadie, sta al genere sinfonico come l’opera semiseria al genere teatrale: qui come in quello, personaggi di alta-media-bassa classe sociale condividono la stessa scena, cadute le separazioni fra opera seria, opéra-comique, opera buffa. Il che consente una lettura “rivoluzionaria” della sinfonia, in cui l’as-setto formale subisce spinte e scossoni, proprio come sta accadendo a quella società per il cui intrattenimento era nata. Certo, nel caso della sinfonia, non cadranno teste: la rivoluzione è condotta con mezzi tanto profondi quanto sottili, arditezze armoniche ed elaborazioni contrappuntistiche irrobustitesi nelle recenti esperienze cameristiche, in specie nei quartetti.Anche nell’Andante cantabile toni e stili risultano mescolati. L’esordio procede a sbalzi (quieta proposta dei violini/secca risposta della piena orchestra) e si scioglie nell’ampia perorazione successiva. Aulico e ga-lante di nuovo giustapposti: nelle prime battute è ravvisabile il tema (già utilizzato nella scena solistica per soprano K 374) derivato dalla melodia dell’oboe nell’Orfeo di Gluck («Che puro ciel! che chiaro sol!»); nella frase successiva, l’infallibile gusto dell’ornamentazione, decantata ogni

leziosità, acquista in forza espressiva. La calma distaccata che si vorreb-be raggiungere, già minata nel profi lo cromatico del basso, è sopraffatta dalla seconda idea tematica, inquieta e tesa, intessuta di sincopi, cro-matismi, contrasti dinamici, sfasature ritmiche e contrazioni metriche (a contrappeso dell’espansione realizzata nella lunga frase di apertura), e più si allontana nella sezione centrale di sviluppo, intrisa del medesimo pathos. Né è ristabilita dalla ripresa: la lunga frase di risposta al primo tema, inizialmente omessa, ricompare inattesa al termine di una nuova elaborazione e, sebbene, chiuda formalmente l’architettura non basta a placare l’irrequietezza fi n qui accumulatasi.Tanto più le innovazioni colpiscono nel luogo emblematico della musica da ancien régime, il minuetto. La lontananza dalle aristocratiche sale da ballo si avverte persino nella scrittura strumentale (unica volta che in un minuetto violoncelli e contrabbassi sono divisi, senza più marcare il passo di danza) e più ancora nel cromatismo, nei procedimenti a canone, nell’espansione della forma che investono sia il minuetto che il trio, ove risuona l’anticipazione del tema fi nale. Sull’innocente attacco dei soli violini prende avvio la grandiosa costruzione del movimento fi nale, in cui la fusione di architettura sonatistica con la più robusta lezione contrap-puntistica apre uno scenario di tale complessità da spostare, appunto, il baricentro dell’intera costruzione sinfonica nel fi nale, ideale punto di arrivo di una costruzione scalare. È quel che farà Beethoven nella Quinta, e più ancora nella Nona; quello che accadrà nella Quarta di Brahms. È quella che, a posteriori, la musicologia ha defi nito Finalsymphonie.Il tema iniziale (le quattro note lunghe Do-Re-Fa-Mi) è di provenienza litur-gica (Magnifi cat tertii toni), giunto dall’epoca fi amminga fi no al Settecento che meglio lo conosce come l’inizio dell’inno “Lucis creator”, ma che lo vede circolare anche in àmbito profano e lo consegnerà alle generazioni future allevate alla scuola contrappuntistica di Fux. Anche Mozart lo uti-lizza più volte, fra l’altro per il “Credo” della Missa brevis in Fa maggiore K 192 (potremo allora considerare il fi nale della “Jupiter”, ci suggerisce Neal Zaslaw, come il “Credo” di Mozart?). Il tema, geneticamente predi-sposto agli incastri contrappuntistici, viene presto riesposto in uno stretto a cinque parti, prima tappa di una elaborazione inesauribile che investe i

luoghi sempre ravvisabili della scacchiera sonatistica. Cinque gli spunti tematici dell’esposizione (Zaslaw ne conta sei), allineati, intrecciati a ca-none, sovrapposti, combinati senza posa, non senza ingegnose inversioni, rovesciamenti, permutazioni. Un lavorio continuo che, prevedibilmente, continua nello sviluppo, mentre esplora sempre nuove regioni armoniche raggiunte con passi di geniale brevità, provoca slittamenti metrici, accoglie accenti più personali di pensosa intimità. Ma non basta più la sezione di sviluppo ad esaurire tutte le energie, né la ricapitolazione, tanto che Mo-zart sente il bisogno di chiamare a raccolta tutto il materiale dispiegato per costruire il superbo fugato fi nale. Il congegno è avviato nuovamente col tema liturgico — stavolta presentato in inversione — e svolto in un contrappunto multiplo che eguaglia le vette bachiane. La complessità della trama non perde in nitidezza: tutti udibili e ben individuati, come ricorda Charles Rosen, questi temi. E se nel primo movimento maestosità si coniugava a snellezza, qui la dottrina alla trasparenza.Cosa può aver spinto Mozart, si chiedono a più riprese gli studiosi, a scrivere un fi nale così inusuale per una sinfonia? Di certo, nella seconda metà del Settecento e fi no al primo decennio del secolo successivo, l’interesse per la musica combi-natoria era andato crescendo, e decine di compositori si cimentavano nel gioco di combinazione e manipolazione del materiale, nelle più diverse elaborazioni formali. Ma Mozart guardava altrove: il suo contrappunto discendeva proprio da quello stile antico di cui il genere sacro era geloso custode. Il ritrovamento di frammenti autografi che recenti studi musicologici datano alla stessa epoca della “Jupiter”, dimostra che Mozart stava anche lavorando alla composizione di una Messa (un orientamento che gli sarebbe valso, ma solo nella primavera del 1791, l’incarico di assistente Kapellmeister nella cattedrale di Santo Stefano). Un modo per consentire anche al genere “laico” della sinfonia di attingere la dimensione del sacro, esaltando il suo legame, riconosciuto dagli estetologi del tardo Settecento, con la sfera del sublime? Quando non sacra (in qualche caso eseguita in chiesa già ai primi dell’Ottocento), la Sinfonia fu di certo percepita da subito come qualcosa di straordinario, conquista di olimpica bellezza, non a caso Jupiter. Tanto cimento compositivo doveva senz’altro custodire la legittima aspirazione a un futuro migliore, che Mozart non poté abitare, ma nel quale si proiettò con forza la sua ultima sinfonia.

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Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 24 in do minore KV 491 e la Sinfo-nia n. 41 in do maggiore K 551 rappresentano due pagine fondamentali non solo nel processo denso e complesso (ricco, emozionante) della produzione mozartiana, ma in linea più estesa per lo sviluppo generale della storia della musica occidentale. Senza voler con questo caricare di eccessiva esclusività due opere che naturalmente nascono e maturano nella stretta relazione con le altre produzioni coeve del maestro salisburghese e nel pieno radicamento in un tessuto per così dire organico di cultura, di storia, di società, di arte, di attese emozionali e di strategie linguistico-musicali che tanto più, però, ribadiscono il senso di conquista rappresentato da queste due pagine somme. Perché due sono in sostanza i piani di orienta-mento cui queste musiche inducono, una sorta di ambivalenza eterogenea che apre da un lato al senso di una strategia estetica in grado di restituire, attraverso i suoni, una stringente, fedele rappresentazione dell’universo umano, psicologico, emozionale a questa altezza della storia dell’umanità occidentale comprese le premonitrici avvisaglie di ciò che di lì a poco di-venterà nel pre e nel pieno Romanticismo. E apre al tempo stesso, d’altro lato, al senso del processo evolutivo della forma musicale — delle forme qui implicate, concerto e sinfonia — in un punto a sua volta di vertice, di arrivo, di svolta, di annuncio epifanico del futuro prossimo venturo. Il concerto, questo Concerto K 491, nella tonalità di Do minore, mostra in controluce la storia della forma, il suo sviluppo, il suo traguardo eccezio-nale nella capacità di rendere attraverso dispositivi sintattici e strutturali perfettissimi il quadro complessivo del concertismo settecentesco, i suoi passi, le sue maturazioni, il suo pervenire a un modo di relazionare stru-mento solista e orchestra che sembra convergere e attirare su di sé piani

Concerto e Sinfonia come opere-mondidi Roberto Favaro

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di progettazione eterogenei, quasi che qui ricadessero, perfezionate e ap-plicate alla strumentalità, strategie drammaturgiche di varia provenienza (teatro, letteratura, melodramma, pittura) in grado di condensare una nuova visione dell’arte dei suoni, una capacità di gestire la forma in un modo tale da poterla poi innervare di contenuti (piani emotivi, gradazioni di sentimentalità, livelli di tensione) inediti per l’epoca, per i compiti stessi attribuiti fi n lì a generi che propendevano soprattutto per il lato ricreativo, d’intrattenimento, di piacevole e spensierato godimento in società. Questo è dunque il primo aspetto saliente, non solo rilevabile dall’ascolto del Concerto in Do minore, ma dalla stessa, grandiosa Sinfonia conclusiva del catalogo mozartiano (la K 551, infatti, scritta nel 1788 a brevissima distanza dalle n. 40 e n. 39, chiude l’esperienza di Mozart in questo set-tore, a tre anni dalla sua morte). Il particolare e il generale si illuminano a vicenda. L’ascolto dei suoni, la ricezione dei modi scelti da Mozart di organizzarli nella durata dei tre movimenti (quattro per la Sinfonia), aiuta a comprendere un insieme di percorsi in via di rapida, intensa maturazione sul piano delle arti e della cultura oltre che della stessa società (estetiche del sentimento, rivoluzione sociale e politica dalla Francia, egemonia di lì a breve della classe borghese). Così, invertendo l’orientamento, solo collocando questi suoni nel giusto àmbito di storia e di sviluppo delle vicende umane, se ne possono cogliere le infi nite rifrazioni e sfumature che sono un valore aggiunto per la conoscenza di un’epoca, oltre che per la chiarifi cazione del nostro oggi rispetto a un passato che ci riguarda intimamente. Ancora di più, per rimanere all’ambito del progetto com-positivo mozartiano, il Concerto K 491 è indispensabile premessa per la comprensione delle ultime magistrali Sinfonie oltre che delle più mature produzioni strumentali e soprattutto teatrali di Mozart.Sappiamo che il Concerto in Do minore, composto nel marzo del 1786 ed eseguito per la prima volta a Vienna il 3 aprile dello stesso anno, fa parte di un gruppo felicissimo di composizioni appartenenti allo stesso genere che impegna Mozart a partire dal 1784. Si può dire, riascoltando tutti i concerti per pianoforte e orchestra del maestro salisbusrghese, intendo anche quelli che precedono questo gruppo collocato alla metà degli anni Ottanta, che qui avviene una di quelle svolte che portano il linguaggio

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musicale a compiere un salto, uno scatto verso altri obiettivi e soluzioni compositive. E se la motivazione che muove il concertismo di questi anni Ottanta è naturalmente l’apprezzamento e la richiesta di un pubblico che gradisce vedere (sentire) in questa rifl essa interazione la maestria solistica e l’energia orchestrale, Mozart usa questo orientamento di gusto per prati-care e perfezionare il suo progetto di sperimentazione. Ma questo avviene senza mai perdere di vista la gratifi cazione di un vasto strato di pubblico. Conviene aggiungere poi che sul piano generale del linguaggio, questo gruppo di concerti — di cui probabilmente il K 491 è il punto culminan-te — mostra un eclettismo, una multiformità di strategie espressive, una varietà di soluzioni tecniche che superano di volta in volta il piano delle convenzioni e delle abitudini dell’epoca: perché ciò che in ogni caso si rileva e percepisce massimamente è la capacità di aprire, attraverso un nuovo rapporto costruito tra solista e orchestra, una gamma illimitata di soluzioni che sono sempre moderne per concezione fonica e psicologica. Suono inedito e nuovo scavo nelle zone d’ombra della coscienza derivano insomma da un atteggiamento architettonico prima ancora che poetico: le due polarità della scena concertistica, questi due personaggi (pianoforte, orchestra) vivifi cati da un trattamento altamente drammaturgico (poiché di personaggi, di fatto, si tratta), si relazionano secondo meccanismi dialogici e non più meccanicamente alternati, così da portare ogni singolo materiale tematico a diventare elemento di forte caratterizzazione individuale e di-spositivo generativo oltre che dello sviluppo discorsivo stesso, anche di una ambientazione più complessa. Quando un’idea, rimarcata dall’orchestra, poi ripresa dal pianoforte, infi ne ancora fatta aleggiare nelle riverberazioni di qualche famiglia strumentale o singolo interlocutore, viene mobilitata nel processo temporale secondo questo denso quadro di rappresentazione, l’ascolto è orientato a ricevere una molteplicità di informazioni: su zone intime dell’individualità, del soggetto, dei diretti interlocutori, e insieme su una più vasta ambientazione paesaggistico sonora, come se si mettesse in scena il dentro e il fuori (e l’intercomunicazione reciproca) dell’azione sonora. A parte l’opportunità di allargare questo discorso al maturare coevo del linguaggio quartettistico e allo stesso settore compositivo della sinfonia, bisogna dire che da ciò derivano numerose conseguenze: sul piano dello

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sfruttamento timbrico dell’orchestra, per esempio, ovvero delle opzioni di impasto, dialogo, contrapposizione dei singoli strumenti, delle singole famiglie, degli strumenti e delle famiglie in rapporto al pianoforte; sul piano delle potenzialità espressive e affettive esplicate dal pianoforte in sé, e al tempo stesso dal suo relazionarsi con altri colori e altre espressività; sul piano dello sviluppo dell’azione drammaturgica in termini di scena sonora agita all’interno del dispositivo specialissimo della forma-sonata. Il con-certo (insieme alla sinfonia) diventa allora uno spazio ampio, un mondo, un’opera-mondo si può dire, in cui si delineano morfologie diversifi cate in soggetti e ambiente, dove quest’ultimo, a sua volta, sembra frammentarsi in luoghi prospettici, aperti e chiusi, di dentro e di fuori. Così che viene in mente, per questa pagina mozartiana, per la sua inesauribile disponi-bilità a raccontare, l’immagine della “contemporaneità di una osmosi tra lo spazio intimo e lo spazio indeterminato” avanzata da Gaston Bachelard nella sua Poetica dello spazio. Allora, il salto del concerto e della sinfonia mozartiani oltre il limite della meccanicità seriale della concertazione barocca o proto-classica, consi-ste evidentemente come detto in una nuovissima strategia di relazione. Ma dentro a questo agisce poi l’altra grande novità introdotta da Mozart in tutta la produzione ultima, del decennio viennese, poi in particolare dell’ultimo quinquennio di vita e composizione. È l’acquisizione di un linguaggio di fl uida, reciproca permeabilità (travaso, esondazione continua) tra musica strumentale e melodramma. È, per usare una formula cara a Georg Knepler, la “drammatizzazione dell’opera per mezzo della tecnica sinfonica” rifl essa nella “semantizzazione della musica strumentale per mezzo della musica vocale”. Non è prioritario stabilire se qui, in questo Concerto, in queste densità talvolta scure e drammatiche, perfi no tenebrose, appassionate, intense, solo per pochi momenti alleggerite dalla soavità di un canto più sereno, sia già prefi gurato e annunciato lo spazio poetico del Romanticismo. È semmai inevitabile prendere atto di questi margini ampi di drammaticità nuovissima, di musica strumentale che supera (ca-povolge) il limite “asemantico” dello statuto estetico musicale, facendolo divenire fi n da ora valore aggiunto per un arricchimento informativo e di più profonda espressività.

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Se questo Concerto in Do minore può rappresentare ai nostri occhi, pur se seguito da altri lavori dello stesso genere, un punto di arrivo e di inizio, con la Sinfonia n. 41 in Do maggiore K 551 siamo realmente al punto terminale della produzione sinfonica mozartiana. E siamo altresì (o tan-to più) al traguardo, al coronamento, alla massima esplicazione di una poetica sinfonica che tuttavia non va disgiunta dalle due Sinfonie n. 39 e n. 40 che di poche settimane precedono la gestazione della cosiddetta “Jupiter”. Dunque, per ribadire la signifi canza forte dei due capolavori qui affi ancati (Concerto e Sinfonia), vale tutto quanto suggerito fi no a ora per l’opera K 491. Salvo poi delineare le opportune differenze sia per quanto attiene alla sostanza e alla materia specifi ca della composizione, del linguaggio, della forma, del contenuto, sia per quanto invece emerge come segno estendibile di un processo creativo inevitabilmente immerso nel suo tempo e in modo altrettanto ineludibile proiettato a dar luce agli altri campi del sapere, della vita, della realtà tutta, comprese le ricadute sul futuro musicale e non solo. La “Jupiter” mostra innanzitutto una grandiosità d’insieme. Strutturale, per esempio, con ampiezze d’estensione (il primo movimento, tra l’altro) poco ricorrenti. Nell’espressione, anche, virata verso le sfumature del gesto solenne e maestoso. Nella complessità del discorso, con quelle ricorrenti espansioni verso un contrappunto di sapore antico ma di fattura e mo-tivazione del tutto moderne, che si installa nel linguaggio più completo e articolato della sinfonia mostrandoci una visione davvero sovrastorica (o di superamento dell’orizzonte gergale contemporaneo) del processo di sviluppo della sintassi sinfonica. E poi ci sono, soprattutto nel primo movimento, quali fossero veri e propri vocaboli musicali in grado di se-mantizzare il percorso articolato della rappresentazione, delle impronte stilistiche di cui i temi si fanno portatori di intensa espansione comuni-cativa, in grado di esaltare il principio di abbattimento o ricomposizione dei generi, o forse, di più, attraverso contrasti stilistici, di realizzare il superamento della prospettiva contemporanea per mezzo di una fusione (o della raffi gurazione sincretica della stessa molteplicità) dei generi. Così un tema iniziale di sapore aulico precede quello dall’andamento galante e questi il terzo elemento tematico riconducibile a una sfera di popolarità

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operistica (questo tema deriva peraltro da un’idea mozartiana preesistente, impiegata in un’aria di basso — “Un bacio di mano”, K 541 — scritta due o tre mesi prima per Francesco Albertarelli, interprete dell’edizio-ne viennese del Don Giovanni, poi inserita nell’opera buffa di Anfossi Le gelosie fortunate). È la rappresentazione del mondo contemporaneo, l’incipiente sgretolamento e ricomposizione delle divisioni di classe, che porta Mozart a stabilire questo progetto associativo e trasversale alle pro-nunce stilistiche? Certo, una lettura sociologica va considerata. Insieme però a una più vasta rifl essione sul senso di apertura cui viene spinto il genere sinfonico e il linguaggio musicale in senso lato, fi no a realizzare quel superamento che è, certo, indizio di vasti, prossimi stravolgimenti socio-politici, ma anche di una nuova via di elaborazione compositiva e architettonica. Così, senza eccedere nelle forzature, si deve però ricordare e tener presente nell’ascolto di questa Sinfonia, la mirabile coniugazione di stili (opera buffa, Volkslied, opera seria, Kunst Lied, musica sacra) che Mozart offrirà di lì a poco nel Flauto magico (1791). Coniugazione, sin-cretismo, superamento dei generi.In realtà questo è un processo che coinvolge l’intera produzione ultima di Mozart e che va letto sotto il segno di una straordinaria tendenza verso la libertà dell’agire compositivo sulla base di un riconquistato radicamento nella natura stessa dell’artigianato musicale, depurato, portato oltre il limite della convenzione e spinto ora a valutare le molteplici, possibili soluzioni estetiche. Converrebbe allora mettere questo quadro di riferimento (il lavoro del compositore, le scelte di apertura e avanzamento sulla base di un più esteso — antico, moderno, colto, popolare — concetto di artigianato) in rap-porto con altre produzioni di questo stesso periodo (l’ascolto della “Jupiter” ne verrebbe credo illuminato e approfondito). I Quartetti per archi dedicati ad Haydn, per esempio, di pochi anni precedenti, comunque appartenenti alla stessa stagione di scoperte e innalzamenti, riportano già questo stimolo alla liberazione strutturale attraverso una riconquista dell’antico sapere polifonico, che fanno intendere meglio gli interessi di Mozart, proprio nel momento della stesura della Sinfonia in Do maggiore, per esempio per gli Oratori di Händel. Ma poi la Sinfonia inizia e subito mostra, nella sua trasparenza comunicativa, che il lavorio intenso e gli sguardi aperti

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verso orizzonti altri o presenti, non bloccano la luminosità dell’opera, ma semmai la vivifi cano di una estensione paragonabile a un universo sonoro o a un vero e proprio paesaggio acustico innervato di diverse impronte: popolare, antico, solenne, maestoso, attuale nel senso della classicità, poi modernissimo per la capacità di portare temi e sviluppi a interagire, anche qui come nel Concerto per pianoforte e orchestra, secondo le dinamiche di una rappresentazione, di una drammaturgia che conduce la sinfonia a essere opera-mondo. Anche qui, per altro, il lavoro di “semantizzazione” porta l’intero apparato linguistico a integrarsi in una rete fi tta di rimandi interni all’opera mozartiana, oltre che di riferimento allo stile dell’epoca. E se vale, come crediamo che valga, il senso di collegamento tra questa Sinfonia e le due che di poco la precedono, allora si mostra tanto più il valore altamente rappresentativo e terminale di un messaggio che è già un lascito verso la musica del futuro. Così che se la Sinfonia n. 39 pro-tende verso una sapiente fusione e metabolizzazione sul piano orchestrale della pronuncia cameristica, e se la Sinfonia n. 40 in sol minore, con la sua selezione di colori meno luminosi e tersi, con la sua propensione alla rifl essiva intimizzazione psicologica del discorso valorizza quel senso di “semantizzazione della musica strumentale per mezzo della musica vocale” (e in particolare dell’opera), allora la Sinfonia ultima compendia (completa) il trittico con questa sua riscoperta dell’ouverture, della fuga, del concerto barocchi, immessi però in una trama di espressività e di sviluppo melodico fortemente avanzati verso altri moduli compositivi. La lucentezza che attraversa questa Sinfonia sul piano timbrico e sulla modellazione dei temi, poi, sembra la conclusione ideale del percorso, dove quella fuga (ma è una forma-sonata, ben inteso, con incedere fugato e imitativo) del Finale appare come una complessa e sovrastorica, avanza-tissima strategia di sviluppo formale del materiale tematico mostrato lungo tutto il corso del brano. Non si può certo spingere questo linguaggio oltre i limiti del proprio orizzonte, forzandolo a rimandi inopportuni. Però, questo livello di elaborazione formale innestato in un tessuto espressivo forte, tematicamente evoluto, ovvero questa capacità di elaborare e sfruttare le idee melodiche su un piano più denso di formalizzazione e strutturazione, facendo nascere la struttura dal germe stesso del motivo, ci fa guardare

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molto in avanti. Senza per questo voler dire che si prefi gura chissà che di un futuro lontano. Ma volendo certo dire che qui, in queste pagine somme, si possono trovare le radici di autori anche del secondo e ultimo Ottocento (Brahms, forse) che su questa valenza sviluppante e strutturante del tema, fonderanno un’intera poetica.

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PresidenteElio Canova

Direttore artisticoDaniele Abbado

Consiglio di amministrazioneParide Bonetta vice presidente

Emerenzio BarbieriAlberto Bigi

Umberto Bonafi niBruno Franchi

Paola Silvi

Revisori dei contiCarlo Reverberi presidente

Gianni Boni Fabio Mazzali

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Direttore artisticoDaniele Abbado

Direzione artisticaCesare Mazzonis Consulente musicale

Paola Bagni Promozione . Costanza Casula Segreteria artistica e organizzativa . Susi Davoli Attività collateraliRoberto Fabbi Musica e REC . Andrea Gabbi Allestimenti scenici . Lorella Govi Segreteria artistica e di produzione

Giovanni Ottolini Danza . Mario Vighi Informazione

Segreteria della PresidenzaElisa Sologni

Segreteria artistica e organizzativaCostanza Casula

Lorella Govi

Dirigente AmministrativoDaniela Spallanzani

AmministrazionePaola AzzimondiSandra FerrariniMaurizio GhirriWilma Meglioli

Elisabetta Miselli

PersonaleG. Paolo Fontana capo settore

Luisa Simonazzi

Copia e protocolloSabrina BurlamacchiFederica MantovaniMaria Carla Sassi

DanzaGiovanni Ottolini capo settore

Marina Basso

Archivio Biblioteca EditoriaSusi Davoli capo settore

Liliana CappuccinoLorenzo Parmiggiani

Stampa, comunicazione e promozione

Mario Vighi capo uffi cio stampa Paola Bagni

Veronica CarobbiRoberto FabbiAngelo Martini

Francesca Severini

BiglietteriaCinzia TrombiniElena Bervini

Nadia GualerziPatrizia Zanon

Concorso “Premio Paolo Borciani”

Guido A. Borciani direttore artisticoFrancesca Zini

Servizi tecnici di palcoscenicoAndrea Gabbi direttore tecnico

Federico BianchiMauro Farina

Brunella Spaggiari

Tecnici elettricistiLuciano Togninelli

Gianluca Antolini cabinistaMarino Borghi

Luca Cattini fonicoOusmane DiawaraFabio Festinese

Guido PrampoliniRoberto Predieri

Tecnici macchinistiGiuseppe BotossoGianluca BaroniCarmine Festa

Massimo ForoniGianluca FoscatoRenzo GrasselliLuca PrandiniAndrea Testa

SartoriaAlessio Rosati

Maria Grazia Landini

Servizi generaliEttorina Brighenti

Maria Grazia ConforteCristina Gabbi

Mariella GeraceLorena Incerti

Claudio MurgiaSergio Petretich

The Rake’s Progress di Igor Stravinskij, a cura del l’Uf fi cio Stampa del Teatro Mu ni ci pa le Valli, Reggio Emi-lia, Edi zio ni del Te a tro Municipale Valli, 1999, pp. 120 (contiene: li bret to bilingue in gle se-ita lia no; saggio e de scri zio ne del la strut tu ra del l’ope ra di Raf fa e le Pozzi).

Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura del l’Uf fi cio Stampa del Teatro Valli, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Mu ni ci pa le Valli, 1999, pp. 113 (con tie ne: li bret to; ar ti co li e sag gi di Gior gio Strehler, Maria Gra zia Gregori, Gio van na Gronda, Frits Noske). ESAURITO

Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura del l’Uf fi cio Stampa del Teatro Valli, edi zio ne espres sa men te realizzata per il Te a tro Comunale di Modena, 1999. ESAURITO

Werther di Jules Massenet, a cura del l’Uf fi cio Stam pa del Teatro Mu ni ci pa le Valli, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Mu ni ci pa le Valli, 1999, pp. 100 (con tie ne: li bret to bilingue fran ce se italiano; articoli e sag gi di Mar co Beghelli, Gior gio Cusatelli, Umberto Bonafi ni).

Andrea Chénier di Umberto Giordano, a cura del l’Uf fi cio Stampa del Teatro Mu ni ci pa le Valli, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Mu ni ci pa le Valli, 1999, pp. 98 (con tie ne: libretto; saggi di Marcello Co na ti, Guido Salvetti, Ugo Bedeschi.

Falstaff di Giuseppe Verdi, a cura di Ro ber to Fabbi e Ma rio Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Mu ni -ci pa le Valli, 2000, pp. 106 (con tie ne: li bret to; saggio di An ge lo Foletto; te sti mo nian ze di Hanslick, Bonaventura, Monaldi, Celli, Mila, De Van, Mula; estrat ti dal car teg gio Ver di-Boito).

Otello di Giuseppe Verdi, a cura di Ro ber to Fabbi e Mario Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Mu ni -ci pa le Valli, 2000, pp. 100 (contiene: li bret to; saggio di Frits Noske; estrat ti dal car teg gio Ver di-Boito; ser vi zio fo to gra fi co di Stefano Camellini).

Idomeneo di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2000, pp. 72 (con tie ne: libretto; ar ti co li e sag gi di Donald Sulzen, Harald Braun, Charles Osborne; foto di Alda Tacca). ESAU RI TO

Der fl iegende Holländer (L’Olandese vo lan te) di Richard Wagner, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2001, pp. 83 (con tie ne: libretto bi lin gue; ar ti co li e sag gi di Carl Dahlhaus, Alberto Mari e Luisa Ru bi ni; estratti da scritti di Wagner e Friedrich Nietzsche).

L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti, a cura di Ro ber to Fabbi e Ma rio Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Mu ni ci pa le Val li, 2001, pp. 72 (con tie ne: libretto; ar ti co li e saggi di Rubens Te de schi, Giorgio Pestelli, Francesco Bellotto).

Libri all’operaLe pubblicazioni delle Edizioni del Teatro Municipale Valli

Il trovatore di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Mu ni ci pa le Val li, 2001, pp. 94 (con tie ne: li bret to; ar ti co li e sag gi di Al ber to Arbasino, Pierluigi Petrobelli, Ser gio Cofferati, Ugo Be de schi).

Tout Rossini, gli atti unici di Gioachino Rossini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Mu ni ci pa le Val li, 2001, pp. 140 (con tie ne: cinque li bret ti; saggi di Alessandro Ba ric co, Pie ro Mioli; diverse ricette del Maestro).

Luciano Pavarotti. 40 anni di canto da Reggio al mon do, vol. rilegato + programma, a cura del l’Uf fi cio stam pa del Te a tro Val li, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Val li, 2001, pp. 90 (contiene: te sti; ar ti co li di Umberto Bo na fi ni, Giorgio Gualerzi, Fran ce sco Sanvitale). ESAU RI TO

Maria Stuarda di Gaetano Donizetti, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Mu ni ci pa le Val li, 2002, pp. 82 (con tie ne: sag gi di Luca Zoppelli, Pa o lo Cecchi; estrat ti da La reina di Sco zia di Fe de ri co Della Valle; Sonetto 94 di Sha ke spe a re; fumetto di Casali e Mi che le Petrucci).

L’incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi, a cura di Ro ber to Fabbi e Ma rio Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Mu ni ci pa le Val li, 2002, pp. 113 (con tie ne: libretto; saggi di Clau dio Gallico, Fran ce sco Degrada; un fumetto di Matteo Casali e Gra zia Lobaccaro).

Il processo di Alberto Colla (prima assoluta), a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2002, pp. 132 (con tie ne: li bret to; note del Com po si to re; sag gi di Quirino Principe, Gio van ni Guan ti; un fu met to di Casali e Giuseppe Camuncoli; ci ta zio ni e di se gni di Kafka).

Manon Lescaut di Giacomo Puccini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2002, pp. 123 (con tie ne: libretto; sag gi di Jürgen Maehder, Ugo Be de schi, Umberto Bo na fi ni; estrat ti dal ro man zo Manon Lescaut di Prévost; fu met to di Casali e Werther Dell’Edera).

Tancredi di Gioachino Rossini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2003, pp. 106 (con tie ne: libretto; sag gi di Philip Gossett, Marco Beghelli; estrat ti da Le Rossiniane di Giuseppe Carpani; fu met to di Matteo Casali e Michele Petrucci).

L’Olimpiade di Giovanni Battista Pergolesi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2003, pp. 106 (con tie ne: libretto; un sag gio di Fran ce sco Degrada; la Lettera I su Me ta sta sio di Stendhal; fu met to di Giuseppe Zironi e Yoshiko Kubota).

Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Viaghi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2003, pp. 112 (contiene: li bret to; saggi di Paolo Cecchi, Gianandrea Gavazzeni, Ugo Be de schi; estratti da ro man zi e scritti di James Ellroy, Augusto Illuminati, Jim Gar ri son; fu met to di Giu sep pe Zironi e Antonio Pepe).

Claudio Abbado. Anna Larrson, Mahler Chamber Or che stra. Concerto con mu si che di Mahler, Be etho ven, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2003, pp. 82 (contiene: te sti; sag gi di Arrigo Quattrocchi, Lidia Bramani; un racconto di Achille Giovanni Cagna). ESAURITO

Les pêcheurs de perles di Georges Bizet, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2003, pp. 120 (contiene: li bret to; un saggio di Marco Beghelli; estratti da Angelo Arioli, Le Isole Mirabili. Periplo arabo medievale; fu met to di Matteo Casali e Giu sep pe Camuncoli).

The Rape of Lucretia di Benjamin Britten, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2004, pp. 122 (con tie ne: libretto bilingue; prefazione all’opera di Benjamin Britten; un saggio di Lidia Bramani; otto illustrazioni di Ni co la Carrù).

Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2004, pp. 154 (con tie ne: libretto; un saggio di Diego Bertocchi).

Orlando di Georg Friedrich Händel, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2004, pp. 94 (con tie ne: libretto; un saggio di Lorenzo Bianconi; estratti dal Furioso di Ludovico Ariosto).

Le comte Ory di Gioachino Rossini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2004, pp. 108 (con tie ne: libretto; due saggi di Mario Marica; la ballata popolare Le comte Ory et les nonnes de Formoutiers).

Claudio Abbado. Gustav Mahler Jugendor che ster. Nona Sinfonia di Mahler. A cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2004, pp. 55 (contiene: sag gi di Peter Franklin, Arrigo Quattrocchi; antologia di scritti di Claudio Abbado, Theodor W. Adorno, Alban Berg, Pierre Boulez, Luigi Rognoni, Arnold Schönberg, Ulrich Schreiber, Bruno Walter). ESAURITO

Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2005, pp. 96 (con tie ne: libretto; saggi di Franco Bezza, Claudio Gallico; estratto dall’Odissea).

Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny [Ascesa e caduta della città di Mahagonny] di Kurt Weill e Bertolt Brecht, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2005, pp. 207, tavole a colori (con tie ne: libretto bilingue; saggio di Hartmut Kahnt; contributi di Abbado, Adorno, Benjamin, Berio, Bossini, Brecht, Fabbri, Ferrari, Pestalozza, Sanguineti, Weill). ESAURITO

Peter Grimes di Benjamin Britten, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2005, pp. 135 (con tie ne: libretto; scritti di Benjamin Britten, Peter Pears; saggi di Michele Girardi, Gilles Couderc, Edward Lockspeiser).

Die Zaubefl öte (Il fl auto magico) di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2005, pp. 207 (con tie ne: libretto bilingue; saggi di Lidia Bramani, Giorgio Agamben; contributi di Luigi Pestalozza, Pier Cesare Bori, Salvatore Natoli, Adriana Cavarero, Francesco Micheli, Fulvio Papi, Marco Beghelli).

Orchestra Mozart. Claudio Abbado. Giuliano Carmignola, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2005, pp. 55 (contiene: sag gio di Marco Beghelli; contributi di Francesca Arati, Giulia Bassi).

La traviata di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2005, pp. 90 (con tie ne: libretto; note di regia di Irina Brook; saggi di Roberto Verti, Gilles de Van, Catherine Clément, Rodolfo Celletti, Bruno Barilli).

West Side Story di Leonard Bernstein - SAGGI, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2006, pp. 49 (con tie ne: saggi di Giordano Montecchi, Silvia Poletti).

West Side Story di Leonard Bernsyein - LIBRETTO, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edi zio ni del Te a tro Valli, 2006, pp. 68.

The Flood di Igor Stravinskij / L'Enfant et les Sortilèges di Maurice Ravel, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2006, pp. 80 (con tie ne: libretti bilingui; saggio di Enrico Girardi)..

€ 5,00Questa pubblicazione, sprovvista del talloncino a fi anco, è da con si de rar si copia omaggio.

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