la questione di ario

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  • 7/23/2019 La questione di Ario

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    Lezione crisi ariana

    Anna Montebugnoli

    Durante questo corso si indagato cosa il cristianesimo, alle sue origini, abbia

    significato di nuovo e addirittura di rivoluzionario rispetto al mondo classico edellenistico-romano. In particolare, ci si soffermati su quella prospettiva tipologica

    che forse pi di ogni altro aspetto del cristianesimo d la misura della sua distanza

    dal pensiero antico, una distanza che ha la sua ragione profonda nell'evento storico

    dell'incarnazione. L'ermeneutica tipologica si muove infatti interamente sul piano

    orizzontale della storia, e indica i personaggi e gli eventi del passato come "profezie

    reali" (secondo la nota espressione di Auerbach). Anche il terzo momento, quello di

    l da venire, che sempre presente nella prospettiva tipologica (e dunque

    messianica) del cristianesimo, si articola sullo stesso piano orizzontale della storia e

    della resurrezione della carne.

    Ora, il cristianesimo delle origini costruisce la propria dottrina attorno al paradossodella compresenza da una parte di questa dimensione messianica e tipologica del

    tempo, vale a dire il tempo storico della carne, della materia, della generazione di

    Ges Cristo dalla madre, e dall'altra dell'atemporalit del Logos trascendente, della

    generazione divina del Figlio dal Padre, dell'eternit e dell'atemporalit di questa

    generazione. Fino ancora a Origene queste due prospettive continuano a lavorare

    insieme e parallelamente alla costruzione della dottrina cristiana. bene tenere a

    mente che si tratta di due prospettive temporali differenti, opposte: immanenza e

    trascendenza, umano e divino: due logiche differenti che intrecciano insieme il

    discorso del cristianesimo delle origini.

    Fino a Origene abbiamo detto. Si tratter ora di soffermarsi su ci che avviene a

    partire dalle dispute che si accendono attorno al suo pensiero gi alla fine del III e poi

    per tutto il IV secolo, perch esse hanno ricadute non solo teologiche ma anche

    politiche e storiche.

    La riflessione di Origene rappresenta in questo senso un punto cruciale nella storia

    della dottrina cristiana. Il suo pensiero forse l ultima espressione dellequilibrio e

    insieme del conflitto tra le due logiche della carne e del logos. E tuttavia in questo

    equilibrio gi si intravede lo sbilanciamento che segner i secoli successivi del

    cristianesimo, uno sbilanciamento conviene notarlo fin da ora che andr nella

    direzione della prevalenza della teologia del logos sulla prospettiva tipologica emessianica che abbiamo visto essere il tratto dominante del primo cristianesimo.

    Origene infatti l'autore cristiano che pi ha contaminato la dottrina cattolica con le

    categorie della filosofia classica, platonica in particolare. Ora, la parte della sua

    riflessione in cui ci pi evidente (e che tra l'altro qui interessa particolarmente

    perch quella che pi influenzer la dottrina ariana) quella che si interroga sul

    problema della Trinit.

    E proprio alla questione della Trinit, pochi anni prima, Tertulliano aveva dedicato il

    suo Adversus Praxean. Conviene soffermarsi brevemente sul suo pensiero per

    rilevare meglio, una volta esaminata rapidamente anche la dottrina trinitaria di

    Origene, i profondi mutamenti che segnano, in quel giro d'anni, l'ortodossia cristiana.

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    Tertulliano l'autore che ha portato all'esasperazione il paradosso, a cui abbiamo gi

    accennato, che si trova alla radice del cristianesimo delle origini, vale a dire la

    compresenza delle due logiche contrapposte della carne e del logos: Credo quia

    absurdum la formula con cui si esprime comunemente lirrazionalit della

    riflessione del De carne Christisulla doppia natura di Cristo, umana e divina insieme.

    Riportiamo qui uno dei tanti passi che si potrebbero citare a esempio della dottrina

    tertullianea della generazione del Figlio dalla madre in quanto uomo, senza lapporto

    del padre:

    Ma ha rifiutato solamente la materia del seme che risulta essere il calore del sangue,

    in quanto in seguito alla sua schiuma si mutato a formare il coagulo del sangue

    della donna (...). intendiamo quindi, che con queste parole stata negata la nascita

    del signore da un rapporto carnale e questo inteso nelle parole "non dalla volont

    dell'uomo e della carne". Non in quanto derivata dalla sua partecipazione al grembo

    di una donna. Vi prego di dirmi perch lo Spirito di Dio sia disceso nel grembo di unadonna, se non disceso per partecipare alla carne derivata dal grembo di una donna

    (...) ma non disceso nel grembo senza motivo. ricevette dunque qualcosa da esso1.

    Ora, questo testo esprime in modo paradigmatico la centralit della carne e

    dell'umanit di Cristo che fanno da contrappunto alla sua natura divina. E la natura

    umana e corporea di Cristo passa per la generazione dalla madre, cos come la sua

    natura divina passa per la generazione del Padre.

    Dunque da una parte sta il De carne Christi, l'opera che contro gli gnostici rivendica

    l'umanit di Cristo, la sua generazione da Maria come uomo; dall'altra si trova

    l'Adversus Praxean che Tertulliano scrive contro il monarchianismo (l'eresia che

    esasperava l'unicit di Dio al punto da negare lesistenza del Figlio e dello Spirito

    Santo accanto al Padre) e in cui elabora larticolazione in tre persone della divinit.

    Qui, nel cuore della prima formulazione della dottrina trinitaria, la questione

    cristologica scompare, e tutto il discorso costruito attorno alla figura e al ruolo del

    Figlio-Logos generato dal Padre, sua causa efficiente nella creazione e sua

    manifestazione visibile ai profeti dell'Antico Testamento.

    Se il De carne Christipu essere considerato una sorta di manifesto dell'ermeneutica

    tipologica che parte dall'evento storico dell'incarnazione e a partire da questo eventorilegge il passato e prefigura il futuro, l'Adversus Praxeanmuove invece dall'origine,

    da prima della creazione del mondo, con la generazione del Logos preesistente dal

    Padre, e da l procede in avanti indagando il ruolo del Figlio nella creazione e poi

    nelle storie dell'Antico Testamento, fino ad arrivare al tempo storico

    dell'incarnazione.

    Scrive Tertulliano inAdversus Praxean5, 4-7:

    Anche se Dio non aveva ancora prodotto il suo Verbo, lo possedeva comunque dentro

    1 Tertulliano,De carne Christi, 19, 3-5.

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    di s con la ragione e nella ragione stessa, tacitamente pensando e disponendo

    dentro di s quello che poi avrebbe detto per mezzo del Verbo. Pensando infatti e

    disponendo il suo Verbo con la ragione sua, Dio mutava in Verbo quella ragione di cui

    si serviva nel Verbo (...). Posso quindi non essere azzardato quando concludo che

    anche allora cio prima della creazione dell'universo Dio non era solo poich

    analogamente aveva dentro di s la ragione e, nella ragione, il discorso, che aveva

    fatto come secondo da s, muovendolo dentro di s.

    Il passo segue un'argomentazione molto diversa da quella tipica del De carne Christi,

    vale a dire lontana dalla logica del Credo quia absurdum. NellAdversus Praxean

    Tertulliano molto pi vicino al pensiero classico del logos.

    Dal confronto tra queste due opere si vede bene come funzionino le due logiche e le

    due concezioni del tempo che lavorano dietro la dottrina cristiana tra II e III secolo.

    La prima quella del tempo messianico, dell'attesa della fine prossima, del Dioumano che ha sofferto per gli uomini, radicata nellesistenza umana e terrena di Ges

    Cristo, fino alla sua morte e resurrezione. La seconda invece lo si vede gi

    nell'opera di Tertulliano pi vicina alla filosofia greca dell'arche dell'origine da

    cui poi si dispiega il tempo della storia, un tempo dunque che il cristianesimo

    trinitario intende come lineare. Il pensiero classico si affaccia ovunque gi nell'opera

    trinitaria di Tertulliano: il Figlio identificato dall'esegesi biblica con la Sapienza di Dio

    diviene ora, nel linguaggio della filosofia classica, sua razionalit, Logos e causa

    efficiente della creazione.

    Ma Tertulliano di formazione stoica e non platonica ed di cultura romana e non

    alessandrina. Dunque la sua dottrina, anche quando sembra avvicinarsi di pi alle

    categorie del pensiero classico, non arriva mai a tradursi nel linguaggio della filosofia

    platonica, radicata com, sotto l'influenza dello stoicismo, in un materialismo che si

    affaccia in tutte le sue riflessioni, anche in quella trinitaria.

    Con Origine, invece, il platonismo fa irruzione nella teologia cristiana: quelle che per

    Tertulliano erano persone che condividevano un'unica sostanza, per lapologeta

    alessandrino diventano ipostasi di Dio, secondo una terminologia chiaramente medio

    platonica, in cui implicito, dunque, un indebolimento del divino da un'ipostasi

    all'altra. Insomma con Origene il platonismo entra nella dottrina cristiana, e vi entra a

    sostegno della dottrina del Logos preesistente.Scrive Origene in DePrincipiis2,1:

    In primo luogo, bisogna notare che la natura di quella divinit che in Cristo in

    relazione al suo essere Figlio unigenito di Dio una cosa, mentre la natura umana

    che egli ha assunto in questi ultimi tempi per portare la grazia, un'altra. Perci

    dobbiamo prima determinare cosa sia il Figlio unigenito di Dio dato che egli

    chiamato con molti nomi differenti, a seconda delle circostanze e delle opinioni degli

    individui. (...) se dunque stato una volta giustamente compreso che l'unigenito

    Figlio di Dio la sua sapienza esistente ipostaticamente, mi chiedo se la nostra

    curiosit debba avanzare oltre questo punto o sospettare che la ypostasis o

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    substantia contenga qualcosa di natura corporea poich tutto ci che corporeo

    distinto o per forma o per colore o per grandezza.

    Origene continua chiarendo quale sia il significato tradizionale di sostanza e perch

    non si possa applicare questo termine alla natura divina del Figlio di Dio. Ma pi che

    questo aspetto della questione, interessa qui la prima parte della citazione, in cui

    Origene chiarisce come la natura divina del Figlio vale a dire la sua generazione dal

    Padre sia radicalmente differente dalla sua natura umana vale a dire la sua

    generazione dalla madre. Si tratta della classica divisione delle due nature di Cristo,

    che abbiamo gi visto nel De carne Christidi Tertulliano, e che la dottrina centrale

    delle prime riflessioni teologiche del cristianesimo. Ma a Origene non interessa pi la

    natura umana del Figlio: al centro della sua riflessione la sua natura divina e la sua

    relazione ipostatica con il Padre. E infatti il testo prosegue indagando questa

    relazione, cercando di piegare la terminologia platonica alla necessit di dire la

    divinit del Figlio e i modi della sua derivazione dal Padre. La questione cristologica pressoch abbandonata da Origene; la sua dottrina si concentra interamente sulla

    comprensione del Figlio come Logos e Sapienza del Padre, nel quadro filosofico

    medio-platonico della dottrina delle ipostasi.

    con Origene dunque, e con e la sua riflessione trinitaria, che comincia a imporsi la

    teologia del Logos preesistente sulla storicit dell'incarnazione quale evento

    messianico. Ed importante notare che da questa prevalenza della Logosheologie

    nella dottrina della Chiesa cattolica non si torner pi indietro: infatti, sebbene

    l'arianesimo che molto deve a Origene e che elabora la propria dottrina a partire

    dalla sua articolazione delle persone divine in ipostasie pi in generale lorigenismo

    usciranno sconfitti da Nicea e da Costantinopoli, tuttavia essi avranno gi imposto

    alla teologia cattolica un cambio di segno pressoch definitivo, in direzione opposta a

    quella dimensione tipologica e messianica che abbiamo visto caratterizzare il

    cristianesimo delle origini, verso una prospettiva che vede in Dio e nel Figlio il

    principio e l'origine della storia. Dunque, a prescindere dalla specifica formulazione

    del dogma trinitario, la dottrina di Origene e le sue successive elaborazioni ariane

    ma anche antiariane segneranno un momento fondamentale nello spostamento

    dell'asse temporale e teologico del cristianesimo: non pi il Dio cristiano come Dio

    nella storia, ma il Dio cristiano come principio della storia.

    Ora, abbiamo accennato a come l'arianesimo elabori la propria dottrina proprio a

    partire dalle riflessioni di Origene.

    Si pu provare a spiegare la crisi arianasulla scorta della riflessione di Simonetti nel

    suo testo La crisi ariana del IV secolo come lo scontro tra tendenze differenti

    all'interno dell'interpretazione della dottrina origeniana da una parte, e come

    lirrompere del conflittotra l'impostazione trinitaria di derivazione alessandrina e il

    monoteismo radicale dei monarchiani dallaltra. Vedremo poco piavanti i problemi

    interni all'origenismo. Per quanto riguarda lo scontro tra arianesimo e

    monarchianismo, si pu dire (seguendo ancora linterpretazione di Simonetti)che il

    problema da cui prendono le mosse le due eresie in realt lo stesso, vale a dire il

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    problema del Logos e della sua relazione con il Padre. I monarchiani lo intenderanno

    come facolt operativa del Padre, mentre Ario continuer a considerarlo come una

    persona distinta, ma lo subordiner a tal punto al Padre da arrivare a escluderlo

    dall'ambito della divinit. Per Ario infatti non esiste nulla che sia consustanziale al

    Padre: dunque Padre e Figlio, Dio e Logos, non condividono la stessa essenza.

    chiaracome sottolinea Simonettila derivazione origeniana di questa dottrina e la

    sua estremizzazione a partire dalle ipostasi della Trinit.

    Ma bisogna notare, per comprendere veramente la relazione che passa tra la teologia

    del Logos e il pensiero classico, come il problema che si nasconde dietro la

    comunanza o meno dell'essenza Divina tra Padre e Figlio non sia altro, in realt, che il

    problema della generazione. Questo un punto fondamentale per comprendere lo

    slittamento dottrinale che gi in atto con Origene. Prima, con Giustino, Tertulliano e

    gli altri autori cristiani che hanno dovuto confrontarsi con lo gnosticismo, la

    preoccupazione principale era di difendere la natura umana di Cristo contro le varie

    eresie gnostiche che la negavano e che con essa negavano anche la realt della suamorte sulla croce. La dottrina cristiana era articolata sulla paradossalit delle due

    nature di Cristo a partire dall'incarnazione, ovvero a partire dalla generazione di Ges

    Cristo da Maria e si interrogava ancora sui modi della compresenza della natura

    divina e umana in Cristo.

    Ora, con l'introduzione del platonismo che comincia a lavorare in ambito trinitario, il

    problema diventa quello della generazione, del rapporto che lega il Padre al

    Figlio-Logos. Ed un problema che si dispiega ormai in termini platonici e pi in

    generale classici: i l problemaclassico appuntodell'eternit del principio.

    Per Ario il Figlio non pu condividere la stessa essenza del Padre perch ha un inizio,

    un'origine nel senso proprio della generazione (o meglio ancora della creazione),

    mentre il Padre senza principio, esiste da sempre e per sempre.

    qui che Ario si distacca da Origene, che aveva invece preservato la divinit del Figlio

    intendendo la sua generazione abaeternoe il Padre come sua archontologica ma

    non cronologica (Simonetti). Per Ario Invece il Figlio non coeterno al Padre ma

    generato da lui, vale a dire creatosecondo unidentificazione propria della dottrina

    ariana di generazione e creazione.

    Si vede bene come la questione sia ormai tutta interna alla dialettica Padre-Figlio,

    all'articolazione del divino e delle sue ipostasi, e non pi di umano e divino insieme.

    Si comprende insomma come tutto riguardi ormai l'ordine del logos inteso comeordine del Padre; e questo vero sia per larianesimo che pi in generale per

    lorigenismo. La Logostheologie occupa ormai tutto lo spazio di un dibattito interno

    alla Chiesa. questa, daltra parte, unaltra novit che lo scontro tra Ario e i suoi

    avversari porta nel cuore del cattolicesimo: si tratta ormai, a differenza di quanto

    avveniva nella polemica contro gli gnostici, di un conflitto che si colloca al centro del

    mondo ecclesiastico. Non solo: esso aprir la strada al primo grande conflitto tra

    Chiesa d'Occidente e Chiesa d'Oriente. Non un caso che la citt da cui divamper la

    polemica ariana sia proprio Alessandria: qui infatti, nella citt di Origene e della sua

    scuola, e tra personaggi che si sono formati sul suo pensiero, che si svolge la prima

    fase del confitto.

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    [Per la ricostruzione storica della crisi ariana fino a Nicea ci appoggeremo allopera di

    Simonetti, La crisi ariana del IV secolo]

    Ario studi alla scuola di Luciano d'Antiochia, di cui in verit sappiamo molto poco.

    Quello che conta per noi il periodo che egli trascorse ad Alessandria come prete.

    Attorno al 320 era divenuto ormai una figura molto influente in Egitto. Ma con il

    diffondersi della dottrina di Ario cominciarono ad accendersi anche le polemiche,

    soprattutto per quanto riguardava la sua esasperazione del subordinazionismo

    origeniano. Le chiese di Alessandria si rivolsero al vescovo della citt, Alessandro. La

    crisi ariana, fino al concilio di Nicea, si profiler come scontro tra questi due

    personaggi, esponenti di due modi differenti di intendere la dottrina origeniana delle

    ipostasi ma che si muovono entrambi in seno alla Logostheologie dalla quale, come si

    diceva prima, non si torner pi indietro.

    Gli accusatori di Ario erano probabilmente (come nota Simonetti) di impostazione

    moderatamente monarchiana. questa forse la ragione delle esitazioni iniziali di

    Alessandro sicuramente pi vicino al pensiero di Origene che a quello deimonarchiani nel prendere posizione contro Ario. Alla fine fu proprio leccesso del

    suo subordinazionismo che lo spinse a condannarlo e a ordinargli di ritrattare. Il

    rifiuto oppostogli convinse Alessandro a convocare un concilio di vescovi libici ed

    egiziani che decisero per la scomunica di Ario. Costretto a questo punto ad

    abbandonare Alessandria, Ario si rifugi presso Eusebio di Cesarea (che giocher un

    ruolo fondamentale nelle vicende alterne dellarianesimo insieme a Eusebio di

    Nicomedia, l'altro grande teologo che appogger Ario e che diventer, dopo la sua

    morte, la figura di riferimento dell'arianesimo).

    Cominci a questo punto una sorta di guerra epistolare per portare dalla propria

    parte quanti pi vescovi possibile. Sul versante ariano la campagna fu portata avanti

    da Eusebio di Nicomedia, mentre sul versante origeniano contrario da Alessandro.

    Come nota ancora Simonetti, ormai la questione, da che era cominciata come affare

    interno alla Chiesa d'Egitto, con l'intervento di Eusebio di Nicomedia invest la Chiesa

    universale. in questo contesto che intervenne Costantino e sotto la sua guida si

    tenne il concilio di Nicea nel maggio del 325, in cui venne decisa la formula di fede

    che, confermata con poche varianti al concilio di Costantinpoli, rimarr inalterata fino

    a oggi.

    Si tratta di un momento fondamentale nella storia del cristianesimo, in cui vengono a

    intrecciarsi ragioni teologiche e politiche, ecclesiastiche e dottrinali, e con cuicomincia una nuova fase del cattolicesimo che in una certa misura ancora aperta,

    non fosse altro per il ruolo che tuttora riveste nella dottrina cattolica il Credo. Ma

    prima di leggere la sua prima formulazione a Nicea, conviene soffermarsi brevemente

    sugli autori che con le loro riflessioni hanno aperto la strada alla formulazione

    definitiva del dogma trinitario.

    Pi che ad Ario e agli ariani allora, conviene volgersi alla reazione della Chiesa

    ufficiale. al mutamento interno al cattolicesimo e alla sua dottrina che bisogna

    guardare per comprendere la radice teologica e politica delle immagini che andranno

    di l a poco diffondendosi e che saranno cos diverse da quelle che abbiamo visto

    dominare la prima fase della produzione iconopoietica cristiana. Conviene dunque

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    esaminare pi nel dettaglio la posizione teorica di Alessandro che sar quella che, in

    un certo senso e in alcuni suoi aspetti, trionfer a Nicea.

    Due sono gli insegnamenti di Ario su cui polemizza Alessandro e a cui abbiamo gi

    accennato: la dottrina secondo cui non ci sarebbe coeternit del Figlio e del Padre,

    e quella che professa la creaturalit del Figlio, secondo la distinzione ariana tra il

    Logos immanente al Dio sommo (ovvero la sua ragione, sapienza, razionalit, volont,

    o comunque lo si voglia chiamare) e il Logos Cristo che egli avrebbe generato per la

    creazione del mondo (Simonetti). La risposta di Alessandro alla prima questione

    sollevata da Ario quella, di matrice origeniana, della generazione ab aeterno del

    Figlio.

    qui che viene sancito quel fondamentale slittamento nella concezione del tempo

    rispetto al cristianesimo precedente di cui abbiamo detto, e che abbiamo gi visto in

    atto con Origene: se prima l'evento dell'incarnazione tagliava e interrompeva la

    continuit con il passato risignificandolo in senso tipologico, ora il Figlio esiste da

    sempre, e la sua incarnazione un momento (per quanto fondamentale) di unastoria che procede ormai linearmente. Questa differenza tra due concezioni del

    tempogenealogico-figurale da una parte e archeologica (nel senso etimologico del

    termine, di discorso sullarch) dallaltra emerge anche nell'interpretazione

    dell'Antico Testamento: non si tratta pi di rintracciare le figure, i typoie le profezie

    reali della croce, ma di intendere piuttosto le teofanie come manifestazioni del Figlio

    in quanto Logos del Padre.Non che questa interpretazione non fosse gi diffusa; ma

    era presente accanto a quella tipologica, ovvero accanto alla concezione del tempo

    che aveva al suo centroe come centro di irradiazione di significatolincarnazione.

    Ora invece il problema della Chiesa ufficiale diviene, sulla strada aperta dalla

    controversia ariana, quello di preservare la separatezza del Figlio dal tempo. Come

    scrive Simonetti, "lo iato incommensurabile che divide il Figlio dal mondo della

    creazione e perci dal tempo, garanzia che non pu esserci stato un momento in

    cui egli non esisteva.

    Tutto ci dovuto a due fattori a cui abbiamo gi accennato: da una parte l'imporsi

    della Logostheologie di Origene, dall'altra la radicalizzazione del suo

    subordinazionismo da parte di Ario. Ma c' unaltra ragione di cui bisogna tener

    conto: Ario pu sostenere l'inferiorit del Figlio perch dietro questa sua dottrina

    lavora ancora la cristologia del logos e della carne e il paradosso che la informava e

    che fino ad allora aveva costituito il fulcro della dottrina cristiana. Loperazione di Arioconsiste nel volgere l'incarnazione a vantaggio della propria dottrina dell'inferiorit

    del Figlio: se il Figlio si potuto incarnare, farsi uomo e morire sulla croce, solo

    perch egli inferiore al Padre.

    Simonetti nota come nelle due lettere superstiti e nei frammenti dellopera di

    Alessandro non si trovi alcuna trattazione del rapporto tra umanit e divinit in Cristo.

    Questo per non deve stupire: non pi la questione cristiologica che preme nella

    disputa contro gli ariani, ma l'articolazione delle relazioni tra il Padre e il Figlio.

    Quelle due logiche opposte, che fino ad allora erano riuscite a procedere insieme,

    entrano adesso in conflitto in modo drammatico. E questo conflitto si risolver a

    Nicea, con il prevalere della temporalit e della teologia del Logos preesistente sulla

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    temporalit e sulla cristologia dell'incarnazione. La prima diventer la ragione e la

    causa della seconda che ne diventer un momento, l'evento conclusivo del Logos

    assunto a principio e origine della storia accanto al Padre. Il Figlio, dunque, come

    ragione e causa efficiente di quella storia.

    La replica di Alessandro alla dottrina ariana che faceva di Cristo una creatura, si

    appoggia, ancora una volta, alla dottrina di Origene: quella del Figlio dal Padre una

    generazione vera e reale anche se ineffabile. Dunque Cristo non si differenzia per

    ousia dal Padre e partecipa per natura della sua divinit e dei suoi attributi

    (Simonetti).

    Se prima, nelle dispute contro lo gnosticismo e nelle prime elaborazioni teoriche del

    cristianesimo, il problema era quello della natura umana di Cristo, della sua realt,

    del modo in cui essa convive paradossalmente con quella divina (si pensi ancora al De

    carne Christidi Tertulliano), ora la questione si sposta: dalla generazione di Maria alla

    generazione del Padre. Il problema centrale del cattolicesimo, ereditato dal pensiero

    di Origene che media la dottrina cristiana con la filosofia greca, diventa adesso quellodella sostanza del Figlio. Non pi la natura umana di Ges Cristo ma la sostanza

    divina che egli deriva dal Padre, o meglio, che condivide ab aeterno con il Padre.

    Quello che avviene a partire dalla riflessione di Origene e poi lungo tutto l arco della

    crisi ariana, un passaggio, un mutamento di prospettiva, dalla materia all'ousia. Se

    la materia, e pi nello specifico il corpo, calato nella storia, l'ousia in generale, e

    quella divina in particolare, eterna, nel senso che posta fuori dal tempo. Un

    ritorno allousia dunque, intesa come sostanza trascendente. Ancora una volta il

    paradosso che aveva retto fino ad allora la doppia generazione di Cristo, da Dio,

    eterna e divina, e dalla madre, umana e dunque storica e mortale, ora assorbito nel

    prevalere della generazione dal Padre.

    Ario vede molto bene quale sia il problema della generazione che il mondo greco

    aveva risolto schiacciandolo interamente sulla natura ambigua e debole della materia,

    preservando cos dal divenire i principi dell'essere. Contaminare il pensiero cristiano

    con quello greco (come ha fatto Origene) significa porre il problema della

    generazione nell'essere divino. questo il paradosso che rileva Ario: se c'

    generazione non pu esserci eternit del principio generato.

    Abbiamo visto sempre sulla scorta di Simonetti le risposte di Alessandro agli

    interrogativi pi gravi che la dottrina ariana poneva al cattolicesimo. Ma uno deipunti per noi pi interessanti della sua teologia e che conseguenza di queste

    risposte quello che riguarda leternit del Figlio come Logos, Sapienza e

    soprattutto Immaginedi Dio.

    Largomento usato da Alessandro per provare ancora una volta la coeternit del

    Figlio e del Padre. Gi Origene aveva parlato di Cristo come immagine del Padre, ma

    lo aveva fatto in senso subordinazionista. Alessandro invece usa questo argomento

    per rilevare la prossimit tra il Padre e il Figlio e lindissociabilit del rapporto che li

    lega. in questo senso che egli insiste moltissimo sulla fedelt dellimmagine rispetto

    al modello: scrive Simonetti, citando i testi di Alessandro, che Cristo immagine del

    Padre perfetta, esattissima e priva di differenze. L'Unica differenza nella

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    generazione che separa il Figlio dal Padre che invece ingenerato. Per il resto Cristo

    impronta e immagine perfettissima del Padre, simile a lui in tutto, e riproduce

    rispetto al modello una somiglianza totale.

    Ora, questa prospettiva molto pi vicina al paradigma mimetico classico di quanto

    non fosse quella tipologica, la cui ermeneutica lavorava anche nelle prime immagini

    cristiane.

    Ed una prospettiva mimetica che deriva dallelaborazione teologica che abbiamo

    visto contraddistinguere il pensiero di Origene prima, e il dibattito dei primi anni del

    IV secolo aperto dalla crisi ariana poi. Unimpostazione che recupera, anche se

    invertendola di segno, la teoria platonica delle immagini, del rapporto tra il modello e

    la sua copia. Certo, qui limmagine a sua volta divina ed perfetta, ma il rapporto

    di nuovo di somiglianza tra un paradigma eterno e la copia che ha in esso il suo

    principio. Lo scarto rispetto alla prospettiva tipologica enorme: ora il Figlio da

    sempre immagine del Padre (si pensi ancora allinterpretazione delle teofanie

    dellAntico Testamento) e sua causa efficiente nella creazione. Immagine perfettadel modello, espressione compiuta della sua volont, rappresentazione in tutto e per

    tutto simile al Padre Principio di tutto. una teoria dellimmagine, per cos dire, che

    si inscrive perfettamente nella prospettiva temporale della Logostheolgie e del suo

    sopravvento sulla temporalit messianica. Si apre cos la strada a un altro tipo di

    immagini, quelle teofaniche e del Cristo pantocratore, creatore del mondo e del

    tempo per volont del Padre, sua ragione logica, che dispiega e scandisce, con le sue

    apparizioni, il tempo ormai lineare della storia umana.

    E tuttavia bisogna interrogarsi sulle ragioni profonde dellimporsi della

    Logostheologie sullermeneutica tipologica e delle sue immagini su quelle che

    abbiamo definito, con espressione paolina, sine cura, e che contraddistinguono la

    prima produzione iconopoietica cristiana. C un motivo diverso e ulteriore rispetto

    alle dispute teologiche che ha fatto s che la dottrina cristiana si riordinasse sotto il

    segno del logos, che riorganizzasse il tempo in modo tale da poter garantire la

    correttezza del suo svolgersi fino al tempo presente,compreso il tempo presente. E

    questo motivo va ricercato nel mutamento del rapporto tra cristianesimo e potere

    imperiale, di cui il concilio di Nicea rappresenter un momento fondamentale e che

    segner la storia del cattolicesimo successivo in tutti i sensi: teologico, politico, e

    anche iconopoietico.

    Bisogna ora vedere pi nel dettaglio cosa sia avvenuto effettivamente a Nicea percomprendere in che senso questo concilio debba essere considerato come un

    momento cruciale nella storia del cattolicesimo. La presenza dell'imperatore forse il

    tratto che pi colpisce e pi d la misura di quale fosse davvero la posta in gioco a

    Nicea. Fu Costantino a tenere il discorso di apertura del concilio e tutto il suo

    svolgimento si pose sotto il segno della sua autorit. Alla scomunica di Ario da parte

    della Chiesa si aggiunse, come a suggellare il valore politico di una decisione che

    apparentemente solo dottrinale, la condanna imperiale allesilio. Anche la formula di

    fede che usc da Nicea, dunque, va letta tenendo a mente la portata

    teologico-politica del concilio.

    Per comprendere leffettiva portata dei mutamentiinterni alla Chiesa e allortodossia

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    cattolica rispetto al cristianesimo delle origini bisogna osservare pi dappresso la

    formula del Credo niceno:

    Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente creatore di tutte le cose visibili e invisibili.

    E in un solo signore Ges Cristo il Figlio di Dio, generato dal Padre unigenito, cio

    dallessenza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non

    creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state create tutte le cose,

    quelle nel cielo e quelle nella terra. Egli per noi uomini e per la nostra salvezza

    disceso e si incarnato, si fatto uomo, ha patito ed risorto il terzo giorno, salito

    nei cieli e verr a giudicare i vivi e i morti. E nello Spirito Santo. Quelli che affermano:

    c stato un tempo in cui non esisteva, e: prima di essere stato generato non esisteva,

    e quelli che affermano che il Figlio di Dio stato fatto dal nulla, o deriva da altra

    ipostasi o essenza, o che mutabile o alterabile, costoro condanna la chiesa cattolica

    e apostolica.

    Come nota Simonetti, le espressioni pi caratterizzanti della formula sono quelle di

    impronta fortemente antiariana: generatodaPadre unigenito, cio dalla essenza del

    Padre,con cui si ribadisce e specifica il concetto di generazione che era stato respinto

    dagli ariani; Dio vero da Dio vero, con cui si afferma la piena divinit del Figlio contro

    il subordinazionismo ariano; generato, non creato, con cui si sottolinea la distanza

    che separa la generazione del Figlio da quella delle creature contro lidentificazione

    ariana di generazione e creazione; consustanziale al Padre, che, come rileva

    Simonetti, lespressione pi connotata in senso antiariano. Scrive giustamente

    Simonetti che, al di l dei problemi legati allespressione omousios, e dunque alla

    questione della sostanza del Padre e del Figlio (che diventer invece il problema

    principale nel periodo tra Nicea e Costantinopoli, ovvero il concilio che chiude questa

    fase storica e dottrinale), senza dubbio limpostazione trinitaria sottesa

    dallespressione pi qualificante contenuta nel simbolo niceno si rivela, pur nella sua

    equivocit, di stampo piuttosto monarchiano, cio asiatico e occidentale, ed estranea

    ai fondamentali principi della teologia trinitaria alessandrina.

    E ancora Simonetti nota come lesito di Nicea non colpisca solo larianesimo ma

    anche limpostazione trinitaria insistente sulla distinzione di tre ipostasi, cio una

    dottrina antimonarchiana da quasi un secolo tradizionale nella scuola e

    nellepiscopato di Alessandria e che contava larghe aderenze anche in buona partedellepiscopato orientale. Nicea dunque, sul piano dottrinale, segnerebbe una

    rivincita momentanea della tradizione asiatica, che aveva sfruttato le divisioni interne

    allimpostazione alessandrina(ovvero origeniana) per affermare la propria dottrina

    nella Chiesa universale.

    Ora, questo indubbiamente vero. La dottrina delle ipostasi non compare qui e non

    comparir nella formulazione costantinopolitana del Credo. E tuttavia, se si rilegge la

    formula del Credo niceno alla luce delle considerazioni svolte finora, si comprende

    come ci che veramente vi consacrato sia la vittoria della Logostheolgie, che

    sempre a Origene risaliva. E lo si comprende dal modo stesso in cui formulata,

    nell'ordine della sua esposizione: prima affermata la fede nel Padre creatore di

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    tutto, poi nel Figlio generato dal Padre e a lui consustanziale, causa efficiente della

    sua creazione. Ed lui, il Figlio coeterno al Padre partecipe della creazione, che alla

    fine si incarnato. Come se, sulla strada aperta dalla crisi ariana, la priorit fosse

    ormai quella della dialettica Padre-Figlio, dell'affermazione della divinit del Logos, e

    non pi l'incarnazione come centro della significazione, come evento in cui irrompe

    una logica tanto rivoluzionaria da fare concorrenza a quella del logos. Non che dopo

    Nicea questa logica scompaia; ma come addomesticata alla temporalit che dal

    principio procede in avanti in un continuum temporale che anche garanzia di ordine.

    Questo ci porta all'ultimo punto che bene affrontare: le ragioni storiche e politiche

    che hanno determinato l'affermarsi della teologia del logos.

    Nei primissimi secoli della sua vita il cristianesimo, nella sua prospettiva messianica e

    tipologica, attendeva la revoca del mondo cos come era conosciuto. Nel tempo della

    fine attendeva la fine dell'ordine, degli ordini logici, politici e sociali che avevano

    dominato fino ad allora, in primisquello dell'Impero romano. Ma con Costantino le

    cose cambiano: l'ordine politico non pi un ostacolo per la Chiesa e i l cattolicesimoe non rappresenta pi un pericolo per il potere imperiale. Anzi, con Costantino prima

    e con Teodosio poi, il legame tra Chiesa e Impero diventa sempre pi stretto, fino alla

    proclamazione del cattolicesimo come religione dell'Impero, con leditto di

    Tessalonica del 380. Quel mondo di cui si attendeva la fine, ora, sotto il segno dei

    nuovi rapporti che legano la Chiesa al potere imperiale, deve essere conservato e

    legittimato. E quale legittimazione migliore di quella divina, di quella del Dio che ha

    creato il mondo, l'ha ordinato in modo razionale e ne ha guidato la storia con le sue

    teofanie fino all'incarnazione? Lo spostamento di prospettiva ormai completo.

    Ci sono tutte le premesse storiche, teologiche e politiche perch le immagini

    cristiane diventino manifestazione dell'ordine e del potere divino sulla creazione e sul

    mondo e perch limperatore divenga il rappresentante di questo ordine in terra.

    Siamo ormai a un passo dalle raffigurazioni del Cristo pantocratore, copia perfetta del

    modello divino del Padre, garante dell'ordine della storia e della natura.

    Questo non significa che la prospettiva messianica e tipologica che abbiamo visto

    connotare cos fortemente il cristianesimo dei primi secoli scompaia; rimarr a fare

    da basso continuo alla teologia del logos e ritorner in tutta la sua portata

    rivoluzionaria nei tempi di maggiore crisi dell'ordine sociale e politico. Ma la sua

    forza dirompente arrestata: ormai, al tempo abbreviato della fine la cui forma passa,

    si sostituito l'ordine in terra del logos divino che garantisce la durata del mondo edel tempo.

    Due sono le immagini che meglio di altre danno conto di questo mutamento di

    prospettiva, della differenza tra la tipologia e il tempo messianico da una parte, e la

    trascendenza del logos e il suo ruolo nella creazione come principio razionale

    ordinatore dall'altra. Una quella del Cristo Orfeo della catacomba di Pietro e

    Marcellino, rappresentazione paradigmatica del modo in cui la tipologia lavora non

    solo nell'ermeneutica delle scritture ma anche nella produzione iconopoietica del

    primo cristianesimo. L'altra licona del monastero di santa Canterina del monte

    Sinai che raffigura il Cristo pantocratore, ordinatore del cielo e della terra, causa

    efficiente e causa razionale dell'ordine del Padre. Da una parte Cristo come figura

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    Cristo Pantocratore, icona. Monastero di Santa Caterina, Monte Sinai, V secolo.