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Blumenberg aveva familiarità con l’ordine simbolico del Cristianesimo: l’ha evocato nella sua opera con maestria e ironia poco comuni. Insieme al rifiuto della filosofia di Heidegger e alla costante reinterpretazione della fenomenologia di Husserl, il Cristianesimo costituisce l’atmosfera intellettuale di buona parte della sua opera. Tuttavia, a eccezione di Matthäuspassion [1988], nella quale Blumenberg offre una trattazione più sistematica, il Cristianesimo conserva comunque una posizione sussidiaria. In questo senso, Blumenberg è stato molto selettivo nella scelta degli argomenti, e questo vale tanto per il paradiso quanto per il purgatorio e l’inferno. Riguardo al primo, per esempio, ha scritto in uno straordinario passaggio di Schiffbruch mit Zuschauer [1979] che “tra le promesse dell'Apocalisse di Giovanni c’è anche quella che nello stato messianico non ci sarà più il mare”. In un altro passaggio di Lebenszeit und Weltzeit [1986] affermava che “il paradiso poté essere un paradiso, tanto paradisiaco quanto vorremmo credere che lo fosse, perché in esso non mancava il tempo”. Allo stesso modo, anche in Arbeit am Mythos [1979] sosteneva che “il paradiso è la negazione della storia, la quintessenza della noia di un dio”. Sembra che il mare, il tempo, la storia o la noia abbiano avuto più spazio che lo stesso luogo biblico.Alcuni degli elementi del suo pensiero trovano però nella tradizione del Cristianesimo una formulazione piena: l'assolutismo della realtà, la produzione di metafore, la teoria della Unbegrifflichkeit, ecc. In questo articolo avremo l’occasione di analizzare brevemente Il Giardino delle Delizie (figure 1-4), un famoso quadro di Bosch ricco d’iconologia cristiana, che fornisce un'immagine per illustrare una buona parte dell’opera di Blumenberg, e in particolare la sua concezione della scienza moderna. Ci si riferirà soprattutto a un motivo pittorico che appare nel quadro di Bosch, il cosiddetto “uomo-albero”, nella versione di uno dei suoi imitatori anonimi. La ragione di un tale procedimento deriva dall’intento di mostrare in una nuova prospettiva le opere di Blumenberg, già tante volte oggetto di esposizione e commento da parte di diversi studiosi. Inoltre ciò dovrebbe anche facilitare un’analisi più attenta della storia e della filosofia della scienza di Blumenberg, che non faccia violenza all’intenzione o al contenuto originale del suo lavoro, sempre riluttante ai severi corsetti accademici e ai codici narrativi comuni.

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LA SCIENZA NELL’INFERNO:BLUMENBERG E L’UOMO-ALBERO DEL‘GIARDINO DELLE DELIZIE’�

Alberto Fragio(Scuola Internazionale di Alti Studi Scienze della Cultura - Fondazione Collegio San Carlo di Modena)

AbstractQuesto articolo intende esplorare le relazioni tra il quadro di Hieronymus Bosch Il Giardino delle Delizie e l’opera di Hans Blumenberg. Si propone che l’uomo-albero dell’Inferno musicale, nella versione di un imitatore anonimo di Bosch, può servire per illustrare il pensiero storico-filosofico di Blumenberg, e specialmente l’origine culturale della scienza moderna così come presentata dallo stesso Blumenberg in Die Legitimität der Neuzeit [�966] e in Die Genesis der kopernikanischen Welt [�975]. Il nostro percorso si concentra sulla tradizione iconico-allegorica cristiana, rappresentata nel trittico di Bosch e nella Divina commedia di Dante.

Parole-chiave: Hans Blumenberg, Bosch, uomo-albero, Dante, Ulisse, scienza moderna.

AbstractThis paper aims to explore the relations between Bosch’s The Garden of Earthly Delights and Hans Blumenberg’s work. I propose a detail that belongs to the section of the Hell, the treeman, in the version produced by an anonymous follower of the Bosch, as a key to understand Blumenberg’s history and

� Questo testo fa parte di una ricerca sulla storia e filosofia della scienza di Hans Blumenberg che sto svolgendo presso la Fondazione Collegio San Carlo di Modena (Italia), grazie a una borsa di perfezionamento triennale. Il testo ha anche beneficiato del progetto di ricerca “Epistemologia storica: stili di ragionamento scientifico e modelli culturali nel mondo moderno. Il dolore e la guerra” (HUM2007-63267) finanziato dal Ministerio de Educación y Ciencia spagnolo. Vorrei ringraziare Francisco Jarauta e Javier Moscoso per il generoso sostegno che mi hanno dato durante questi ultimi anni, e anche i miei amici del Collegio di Modena per il tempo che abbiamo vissuto insieme. Le giuste e amabili critiche di Massimo Cerulo, Abelardo Gil-Fournier, Diego Giordano, Tessa Marzotto, Francesca Procacci, Federica Risigo, Sandra Santana e Juan Manuel Zaragoza hanno migliorato sostanzialmente questo saggio, che è peraltro dedicato a Enrico Lucca e Carlamaria Lucci.

philosophy but also his view on the cultural origins of modern science, developed in Die Legitimität der Neuzeit [�966] and Die Genesis der kopernikanischen Welt [�975]. I focuse on Christian iconological but also allegorical tradition, represented in Bosch’ triptych and Dante’s Divine Comedy.

Keywords: Hans Blumenberg, Bosch, treeman, Dante, Ulysses, modern science.

“Ulisse tu?” così Laerte tosto,“Tu il figlio mio? Dammene un segno, e tale,Che in forse io non rimanga un solo istante”.

E Ulisse: “Pria la cicatrice miraDella ferita che cinghial sannuto

M’aperse un dì sovra il Parnaso, quandoAd Autolico io fui per quei che in Itaca

M’avea doni promessi, accompagnandoCol moto della testa i detti suoi.

Gli arbori inoltre io ti dirò, di cuiNell’ameno verzier dono mi festi.Fanciullo io ti seguìa con ineguali

Passi per l’orto, e or questo árbore, or quelloChiedeati; e tu, come andavam tra loro,

Mi dicevi di lor l’indole e il nome.Tredici peri a me donasti e dieci

Meli e fichi quaranta, e promettestiBen cinquanta filari anco di viti,

Che di bella vendemmia eran già carche: Poiché vi fan d’ogni sorta uve, e l’Ore,

Del gran Giove ministre, i lor tesoriVersano in copia su i fecondi tralci”.

(Omero, Odissea, Libro XXIV)

“D’un tratto, le sembra che non si può parlare della morte, che in intorno a questo buio c’è certa ingenuità, certa ansia di contenere la

tempesta con le mani”.(Chus Fernández, Saggio sulla rottura)

Introduzione

Blumenberg aveva familiarità con l’ordine simbolico del Cristianesimo: l’ha evocato nella

sua opera con maestria e ironia poco comuni. Insieme al rifiuto della filosofia di Heidegger e alla costante reinterpretazione della fenomenologia di Husserl, il Cristianesimo costituisce l’atmosfera intellettuale di buona parte della sua opera. Tuttavia, a eccezione di Matthäuspassion [�988], nella quale Blumenberg offre una trattazione più sistematica, il Cristianesimo conserva comunque una posizione sussidiaria. In questo senso, Blumenberg è stato molto selettivo nella scelta degli argomenti, e questo vale tanto per il paradiso quanto per il purgatorio e l’inferno. Riguardo

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al primo, per esempio, ha scritto in uno straordinario passaggio di Schiffbruch mit Zuschauer [�979] che “tra le promesse dell’Apocalisse di Giovanni c’è anche quella che nello stato messianico non ci sarà più il mare”.2 In un altro passaggio di Lebenszeit und Weltzeit [�986] affermava che “il paradiso poté essere un paradiso, tanto paradisiaco quanto vorremmo credere che lo fosse, perché in esso non mancava il tempo”.3 Allo stesso modo, anche in Arbeit am Mythos [�979] sosteneva che “il paradiso è la negazione della storia, la quintessenza della noia di un dio”.� Sembra che il mare, il tempo, la storia o la noia abbiano avuto più spazio che lo stesso luogo biblico.

Alcuni degli elementi del suo pensiero trovano però nella tradizione del Cristianesimo una formulazione piena: l’assolutismo della realtà, la produzione di metafore, la teoria della Unbegrifflichkeit, ecc. In questo articolo avremo l’occasione di analizzare brevemente Il Giardino delle Delizie (figure �-�), un famoso quadro di Bosch ricco d’iconologia cristiana, che fornisce un’immagine per illustrare una buona parte dell’opera di Blumenberg, e in particolare la sua concezione della scienza moderna. Ci si riferirà soprattutto a un motivo pittorico che appare nel quadro di Bosch, il cosiddetto “uomo-albero”, nella versione di uno dei suoi imitatori anonimi.

La ragione di un tale procedimento deriva dall’intento di mostrare in una nuova prospettiva le opere di Blumenberg, già tante volte oggetto di esposizione e commento da parte di diversi studiosi. Inoltre ciò dovrebbe anche facilitare un’analisi più attenta della storia e della filosofia della scienza di Blumenberg, che non faccia violenza all’intenzione o al contenuto originale del suo lavoro, sempre riluttante ai severi corsetti accademici e ai codici narrativi comuni.

Il giardino delle delizie

Gli studi accademici su Bosch [��50?-�5�6] e i suoi quadri sono molto numerosi.5

2 Blumenberg, H., Naufragio con spettatore. Paradigma di una metafora dell’esistenza [�979], traduzione di Francesca Rigotti, revisione di Bruno Argenton, Il Mulino, Bologna, �985, p. 28.3 H. Blumenberg, Tempo della vita e tempo del mondo [�986], traduzione di Bruno Argenton, edizione italiana a cura di Gianni Carchia, il Mulino, Bologna, �996, pp. 90-�.� H. Blumenberg, Elaborazione del mito [�979], edizione italiana a cura di Bruno Argenton, il Mulino, Bologna, �99�, p. 222.5 Citiamo di seguito una piccola selezione: L. Dixos, Bosh,

Sarebbe pretenzioso descriverli tutti anche solo sommariamente, soprattutto se consideriamo l’enorme quantità di controversie che questi quadri hanno suscitato tra gli storici dell’arte. Balza all’occhio, infatti, l’assenza di un giudizio unanime anche per i dettagli più insignificanti. Sul Giardino delle Delizie, per esempio, si dibatte animatamente se si tratti di un quadro eretico o, al contrario, di uno dei quadri più pii e moralizzanti del tempo. Che Felipe II avesse deciso di tenerlo nel Real Monasterio del Escorial tra la sua selezione personale di quadri è per alcuni un’indicazione della sua ortodossia. Altri, però, non sono affatto d’accordo. Questa citazione della storica Isabel Mateo Gómez può essere emblematica della problematica ricezione di questo quadro attraverso i secoli:

Alla metà del secolo XVII le interpretazioni delle creazioni del Bosch cambiano di segno. Butrón e Pacheco qualificano il Bosch come un pittore di ‘capricci lussuriosi’, e Quevedo, nel suo Alguacil endemoniado, come un ‘incredulo che nasconde in scherzi la sua assenza di fede’. Nella seconda metà del secolo XVIII , con l’apparizione del razionalismo, si perde l’interesse per le allegorie e i simboli e, conseguentemente, per l’interpretazione dei quadri di Bosch. Orellana e Ponz si limitano a nominare i suoi quadri senza impostare nessun problema sul loro significato.6

Certo è tuttavia che le interpretazioni non hanno cessato di susseguirsi. Ne esistono anche alcune di tendenza psicoanalitica, come quelle di Friedländer oppure di De Tolnay.7 Gli studi iconologici di Wilhelm Fränger, molto discussi, hanno avuto grande fortuna, e sono quelli che ci faranno parzialmente da guida per l’analisi della rappresentazione dell’inferno.8 Per prima cosa si offrirà una breve descrizione del trittico, per esaminare poi in dettaglio l’uomo-albero

Phaidon Press, 2003, il capitolo otto (pp. 225-278) è dedicato alla questione della scienza e della salvezza nel Giardino delle Delizie; H. Belting, Hieronymus Bosch. Garden of Earthly Delights, Prestel, Munich, 2002; J. Koldeweij, B. Vermet e B. Kooij, Hieronymus Bosch. New Insights into His Life and Work, Nai Publishers, Ludion, 200�; AAVV, El Bosco y la tradición pictórica de lo fantástico, Fundación Amigos del Museo del Prado y Galaxia Gutenberg, Madrid, 2006.6 I. Mateo Gómez, El Bosco en España, Instituto Diego Velázquez, CSIC, Madrid, �965, p. �3.7 Ibidem, pp. �3 y ss.8 W. Fränger, The Millennium of Hieronymus Bosch. Outlines of a New Interpretation, trad. ingl. di Eithne Wilkins e Ernst Kaiser, New York, Hacker Art Books, �976, pp. 68-�02.

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del terzo panello.

Il piacere, il dolore, il tempo

L’immagine esterna del trittico chiuso corrisponde al mondo nel momento della sua creazione

nel terzo giorno (figura �). Appare la terra avvolta nella nebbia, chiusa da una volta celeste cristallina. In assenza del Sole e della Luna, la luce proviene dall’angolo sinistro, dove è raffigurato Dio con una tiara e con la Bibbia. Vicino a Dio possiamo leggere un’iscrizione in latino: ipse dixit, et facta sunt / ipse mandavit, et creata sunt (“perché egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste”). Nell’immagine compare il disco disabitato della superficie terrestre, sul quale troviamo l’ordine minerale inanimato e le prime forme vegetali. Joseph Leo Koerner ha richiamato l’attenzione sullo stato di desolazione di questa terra, come se fosse piuttosto “la sfera vuota di un mondo rovinato”9, un’immagine della fine dei tempi e non dell’inizio.�0

9 J. L. Koerner, “Bosch’s Equipment” in Daston, L., (ed.), Thing that Talk, New York, Zone Books, 200�, p. 60.�0 Questa valutazione è in contrasto con le interpretazioni più comuni, come ad esempio quella di Luis Peñalver Alhambra: “el verdadero protagonista del tríptico, anunciado ya por este tan grande como quebradizo globo terráqueo, es el mundo, el cual, separado de su Creador, parece haber adquirido autonomía y, suspendido sobre la nada, comienza su andadura temporal”, cfr. Los monstruos de El Bosco, Junta de Castilla y León, Consejería de Educación y Cultura, �999, p. �22. A questo proposito è interessante citare l’aforima di Blumenberg intitolato “visibilità”: “Nel 1930 un filosofo esordiente scrive, nella sua dissertazione per la libera docenza: ‘Forse nessuno ha capito esattamente quello che mi propongo se non si è reso conto che la visibilità delle cose può essere sperimentata solo contro lo sfondo dell’assolutamente negativo’. Può darsi che nel 1930 non si potesse pretendere dai propri lettori chiaroveggenza. A cosa si alludeva, mezzo secolo dopo lo sa chiunque abbia avuto notizia anche solo di sfuggita di come si presenta la terra guardata dallo spazio. Per i suoi abitanti essa fu sempre l’invisibile per eccellenza. Ce l’avevano sotto i piedi, non davanti agli occhi, ovvia e innavvertita. Mancava appunto la negazione come condizione dell’appariscenza. Guardata dallo spazio la terra si mostra, se così si può dire, in un oceano di negatività: un’isola in mezzo al nulla. Ciò la rende visibile in un senso eminente: dolorosamente chiara”. H. Blumenberg, L’ansia si specchia sul fondo [�987], traduzione di Bruno Argenton, il Mulino, Bologna, 2005, p. �30.

Figura �. Hieronymus Bosch, Il Giardino delle Delizie. Trittico chiuso.

Museo Nacional del Prado, Madrid

Ad aprire il trittico troviamo tre pannelli (figure 2, 3 e �), corrispondenti al paradiso (pannello sinistro), al giardino delle delizie propriamente detto (pannello centrale) e all’inferno (pannello destro).

Alla crosta vuota e inospitale della creazione del terzo giorno segue una ricostruzione anomala del paradiso. L’immagine non consiste in una riproduzione fedele della creazione di Eva a partire dalla costola di Adamo,�� della spensierata vita nel giardino dell’Eden o delle cause della sucessiva espulsione. Troviamo invece immagini del tutto singolari. Nella parte inferiore del pannello, ad esempio, regna il conflitto in tutto il suo splendore. Strani animali combattono fra loro; alcuni vagano in solitudine, altri sono inseguiti e ce ne sono alcuni che vengono uccisi. La lotta tra le piccole bestie mitologiche, senza analogo nel racconto biblico, supera il limite del laghetto e si estende fino ai piedi di Adamo.

�� Non siamo d’accordo con l’interpretazione offerta da Luis Peñalver nel suo libro Los monstruos de El Bosco, secondo la quale in questo portello si “rappresenta la creazione di Eva […]. Ingravita, sembra galleggiare davanti alla Parola che appena la soffiò il primo alito di vita […]”: op. cit., p. �22.

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Quest’ultimo è seduto con le gambe distese, sotto Dio e Eva. Il suo viso riflette innocenza, ingenuità e forse stupidità, ma anche un sentimento d’attesa. Osserva con attenzione e senza intervenire nel processo la donazione di Eva da parte di Dio. Eva, a sua volta, è completamente abbandonata. Le sue ginocchia sono piegate senza resistenza, a sostenere appena il peso del corpo, in una posizione di completo abbandono. Senza volontà, e concentrata su se stessa, si precipita per terra mentre Dio la prende con fermezza per il polso, come se fosse la preda di una caccia.

In una composizione straordinariamente sottile, la violenza che si sprigiona tra gli animali cresce e diventa sublime‚ assurge al rango celestiale, è interiorizzata quando raggiunge i genitori dell’umanità, e si proietta verso l’alto, al di là, fino all’acqua della fontana della vita. Anche lì gli animali perseguitano o sono perseguitati, divorano o sono divorati, benché ce ne siano alcuni che riposano in pace, noncuranti del pericolo e della crudeltà che regna nel paradiso. Tutti gli elementi biblici sono trasformati: l’albero del bene e del male è una palma, l’albero della vita è l’albero del drago, Dio è Gesù… Ma anche il significato della scena è alterato: la morte e la vita non sono tutelate; la concordia tra le specie è rotta; il fatto stesso che ci siano nascondigli mostra che l’unità dello spazio, propria del paradiso, è frammentata;�2 la distribuzione del potere, come quella del privilegio, non ha legittimità. L’armonia è molto precaria.

�2 Il nascondiglio permette la dialettica amico-nemico, cioè il naturale dilemma tra attaccare o fuggire (e nascondersi). John Berger ha dato un’adeguata espressione a questo problema, che ci serve per caratterizzare questa versione del paradiso: “Per entrambi i cacciatori e le loro prede, sapere nascondersi è la precondizione della loro esistenza. La vita dipende dall’imparare a nascondersi”: John Berger, Aquí nos vemos, Madrid, Alfaguara, 2005, p. 29. Naturalmente un paradiso con nascondigli, dove cioè si presuppone che uno abbia bisogno di nascondersi, non corrisponde all’immagine più comune del paradiso. Ringrazio il mio caro amico Chus Fernández per avere richiamato la mia attenzione su questo passaggio.

Figura 2. Hieronymus Bosch, Il Giardino delle Delizie. Pannello sinistro: paradiso

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Nel pannello centrale, più grande degli altri due, viene presentata una degenerazione del paradiso, nella quale la sensualità e il piacere svolgono un ruolo di primo piano. Si tratta, in senso stretto, del Giardino delle Delizie. È una vistosa raffigurazione del peccato terreno, grazie alla variazione sul tema della esperienza sessuale, rappresentata con grande creatività in tutte le sue manifestazioni: eterosessuale, omosessuale, interrazziale, onanista, zoofila, teratologica… La violenza del paradiso è trasformata in violenza anatomica, vi si trovano mescolati la lussuria con la malformazione fisica, il piacere con la mostruosità. La ricchezza di dettagli è smisurata, e la sua descrizione e interpretazione ha riempito libri interi.�3

Qui interessa soltanto di sottolineare la rielaborazione che fa Bosch della sua visione propria e particolare del paradiso. La relativa semplicità del giardino dell’Eden diventa un caos variopinto di figure, che si estendono senza nessun controllo nello spazio. Si moltiplicano le fontane della vita e i laghetti, dalle cui acque emergono decine d’insolite creature; alcune di queste sono premature e non hanno ancora il corpo completamente formato. Gli animali non si inseguono tra di loro e neanche si divorano, piuttosto si alimentano e sono alimentati

�3 Una vasta bibliografia può essere trovata nell’articolo di Joseph Leo Koerner, “Bosch’s Equipment”, Things that Talk, op. cit., pp. 376-85.

con la frutta che gli alberi del giardino (ciliegie, lamponi, fragole, uva, eccetera) danno spontaneamente, con chiara allusione al divieto divino di non mangiare le mele dell’albero del bene e del male. A questo proposito, è notevole una figura che potremmo identificare con un precedente dell’uomo-albero della sezione dell’inferno. Parliamo dello strano arbusto costituito di arti umani, che appare nella parte inferiore destra del pannello. Possiamo osservare la fusione di forme vegetali con forme antropomorfe, che definiscono un singolare albero danzante, dalle cui mani e dai piedi pendono frutti esotici. Sulla cima dell’albero, una civetta gigante fissa imperterrita l’osservatore.

Figura 3. Hieronymus Bosch, Il Giardino delle Delizie. Pannello central: il giardino

Il pannello destro corrisponde all’inferno (figure �), detto anche “l’inferno musicale”. Esso implica in parte una rottura tematica ed espressiva rispetto ai pannelli precedenti. Per esempio, il difficile rapporto con l’esperienza dell’innominabile sembra più centrale,

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emergono nuovi elementi irriconoscibili, assenti dalle prime rappresentazioni. Spicca specialmente il legame che il peccato e il tormento della condanna instaurano con la musica.

Figura �. Hieronymus Bosch, Il Giardino delle Delizie. Pannello destro: l’inferno

Per Wilhelm Fränger, invece, ciò che troviamo di più significativo in questa sezione non sono gli strumenti musicali usati come mezzi di castigo. Secondo la sua opinione, la figura chiave è l’uomo-albero (figura 5), tanto per la sua dimensione e centralità nel pannello quanto per la sua posizione nello spazio: “Il primo

contrasto sta nel fatto che tutte le figure si presentano di fronte, mentre questo fantasma lo vediamo da dietro”.�� Così descrive Fränger questo mostro che “fino oggi è rimasto inspiegabile”:�5

I suoi piedi sono contenuti in due grandi canotti [...], e le sue gambe sono due tronchi marci. Una giuntura ibrida, per metà gomito per metà ginocchio, conduce alle spalle, da cui si forma un gigantesco guscio di uovo rotto, la groppa del mostro. Il guscio dell’uovo, pallido come un cadavere, è perforato dai rami appassiti cresciuti dai talloni delle gambe. La testa è girata, guarda indietro, sopra la spalla. La malinconia riempe gli occhi, che non cercano il nostro sguardo, ma guardano nella notte dell’Inferno. Il mostro porta un disco su cui sta una cornamusa, intorno alla quale alcune coppie danzano cerimoniosamente e con lussuria. Una versione più piccola della stessa cornamusa si presenta nella bandierina sollevata sopra il guscio di uovo. L’interno dell’uovo è un Nobiskrug:�6 una taverna fantastica illuminata da fiamme tremule, nella quale tre avventori sono seduti davanti ad una brocca attorno a una tavola nuda, mentre una ostessa infernale riempie un altro bicchiere dal barilotto. Un uomo che sembra stanco di questa ospitalità spettrale sale sul bordo del guscio d’uovo, e guarda l’acqua gelata in cui i due canotti, cioè i piedi del mostro, stano congelando velocemente. Nel complesso, la curiosa mostruosità dell’uomo-albero può essere confrontata con il corpo, goffo nei movimenti, di un’anatra. L’immaginazione tardo-gotica potrebbe modellare così la figura mitica di Nemesis, la dea del primo mondo, a forma di oca, che, secondo Eratostene, aveva deposto l’uovo fatidico del mondo.�7

�� Wilhelm Fränger, The Millennium of Hieronymus Bosch, op. cit., p. 69.�5 Ivi, p. 68.�6 Secondo una nota a piè pagina della versione inglese del libro di Fränger, il Nobiskrug è una locanda per le anime che stano aspettando di entrare all’inferno: Ibidem.�7 Ibidem.

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Figura 5. Dettaglio del Giardino delle Delizie. L’uomo-albero

La sconcertante novità dell’uomo-albero e della sua rappresentazione ha portato molti studiosi a domandarsi quale sia la sua possibile origine, o almeno, a congetturare sulle influenze che poterono aiutare Bosch a concepire questa creatura fantastica. L’unico equivalente remoto, tanto per l’ambizione figurativa quanto per il carattere trascendente del suo contenuto, è la Divina Commedia di Dante Alighieri [�265-�32�]. Nel suo lungo viaggio, in compagnia di Virgilio, dall’inferno al paradiso, passando per il purgatorio, possiamo trovare alcuni passaggi e descrizioni analoghe a quelle dell’iconografia di Bosch. Nel canto trentaduesimo dell’inferno viene descritta una scena infernale molto somigliante a quella del pittore fiammingo:

Come noi fummo giú nel pozzo scurosotto i piè del gigante assai più bassi,

e io mirava ancora a l’alto muro,

dicere udi’mi: «Guarda come passi:va sì, che tu non calchi con le piante

le teste de’ fratei miseri lassi».

Per ch’io mi volsi, e vidimi davantee sotto i piedi un lago che per gelo

avea di vetro e non d’acqua sembiante.

[...]

E come a gracidar si sta la ranacol muso fuor de l’acqua, quando sogna

di spigolar sovente la villana;

livide, insin là dove appar vergognaeran l’ombre dolenti ne la ghiaccia,

mettendo i denti in nota di cicogna.�8

In questo caso, però, il gigante aveva forma di torre, e non di albero. Tuttavia, un po’ più indietro, l’autore dell’Eneide si erano imbattuti in un bosco di uomini-tronco:

[...] Non era ancor di là Nesso arrivato,quando noi ci mettemmo per un bosco

che da neun sentiero era segnato.

Non fronda verde, ma di color fosco;non rami schietti, ma nodosi e’nvolti;

non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco [...].

Io sentia d’ogne parte trarre guai,e non vedea persona che ’l facesse [...]

Allor porsi la mano un poco avante,e colsi un ramicel da un gran pruno;

e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».

Da che fatto fu poi di sangue bruno,ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?non hai tu spirto di pietade alcuno?

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:ben dovrebb’esser la tua man più pia,

�8 Inferno, canto XXXII, vv. �6-2� e 3�-36. È pertinente a questo punto citare il commento che fa Blumenberg sulla navigazione come una violazione delle frontiere: “Il fenomeno metaforico e il fenomeno reale dell’attraversamento del limite della terraferma alla volta del mare si sovrappongono uno all’altro, come il rischio metaforico e il rischio reale del naufragio. Ciò che spinge l’uomo sul mare aperto è anche la trasgresione del limite dei propri bisogni naturali”, H. Blumenberg, Naufragio con spettatore, op. cit. p. 53. Un mare congelato è impossibile da navigare e apre la metafora del ghiaccio come falsa terra, che non sopporta il peso del proprio corpo, che si rompe sotto i piedi di coloro che hanno l’audacia di passare su di lui.

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se state fossimo anime di serpi».

Come d’un stizzo verde ch’arso siada l’un de’capi, che da l’altro geme

e cigola per vento che va via,

sí de la scheggia rotta usciva insiemeparole e sangue; ond’io lasciai la cimacadere, e stetti come l’uom che teme.�9

Dopo le reiterate preghiere di Dante, Virgilio domanda a uno dei condannati:

[...] spirito incarcerato, ancor ti piaccia

di dirne come l’anima si legain questi nocchi; e dinne, se tu puoi,

s’alcuna mai di tai membra si spiega.20

I pochi antecedenti sono costituiti dal Poema infernalis di Ludolfo di Saxe, dallo Specchio della vita e della morte di Robert de l’Omme e dai sermoni di Geiler di Kaiserberg. Nel libro sui mostri di Bosch, Luis Peñalver dà notizia di exempla relativi a scene infernali nei quali si racconta come “dal corpo di un uomo morto […] era cresciuto un albero immensamente grande”.2� Ma al di là dei Remediis utriusque fortunae di Petrarca, dove viene mostrato un uomo che cerca di togliersi un ramo nato dal suo petto, il più comune è il caso opposto: “le immagini si moltiplicano quando si tratta di illustrare il processo inverso […], l’albero che produce animali o teste umane, motivo molto conosciuto nell’arte e nella letteratura di viaggi del medioevo”.22 A questo proposito, infatti, gli esempi sono numerosi:

Come indica Baltrusaitis, l’albero con teste umane ebbe tanti significati, ‘dalla alchimia fino agli emblemi morali’, ma forse il principale era quello di ‘albero araldico del male’. Baltrusaitis cita esempi nei quali dal tronco di quest’albero, chiamato del ‘Vecchio Adamo’ da Ugo da San Vittore nel suo De fructibus carnis et spiritus, sorgono come teste della Bestia dell’Apocalisse sette rami o radici con forme di testa che personificano i sette vizi o peccati mortali.23

�9 Canto XIII, vv. �-6, 22-23, 3�-�5.20 Ivi, vv. 87-902� Citato da Luis Peñalver, Los monstruos de El Bosco, op. cit., p. ��3.22 Ibidem. 23 Ibidem. Per più dettagli su questi temi si rimanda ai riferimenti citati in questa monografia.

Senza allontanarsi tanto dal quadro di Bosch, Fränger ha richiamato l’attenzione sulla somiglianza tra il disco, posto sulla testa dell’uomo-albero, e l’immagine iniziale del trittico chiuso, nella quale si mostrava una terra piana e inospitabile, il piccolo mondo abitato sostenuto nel nulla infinito. La decontestualizzazione dell’uomo-albero, praticata dallo stesso Bosch nella sua incisione di Albertina (figura 6), assieme alla trasformazione di questo elemento, renderebbe verosimile l’interpretazione metafisico-teologica attribuita da Fränger allo sguardo del mostro, nel quale sarebbe possibile trovare riflesso “un giudizio cosmico”.2�

Nell’incisione di Albertina, riprodotta qui sotto, tanto la bandiera come le persone e gli oggetti sostenuti sono diversi da quelli dell’inferno musicale, così come diverso è l’ambiente calmo, se non addirittura idilliaco, della scena.

Figura 6. Hieronymus Bosch, Uomo-albero, disegno, Albertina, Vienna

Tuttavia, per Fränger il giudizio cosmico è rintracciabile anche nell’incisione di Albertina, forse non nell’uomo-albero in sé, ma nella civetta, posata sul più vigoroso dei rami che spuntano dal mostro.

2� W. Fränger, The Millennium of Hieronymus Bosch, op. cit., p. 7�.

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Abbiamo già trovato questo uccello sia nel paradiso (in agguato dalla fontana della vita) sia nel giardino delle delizie (sulla cima del piccolo albero danzante). Lo vedremo ancora in una variazione dell’incisione di Albertina, il cosiddetto “uomo-albero di Dresda”, realizzato da un imitatore anonimo di Bosch, che ci servirà per proporre un’immagine riassuntiva dell’opera di Blumenberg e, in particolare, della sua concezione della scienza moderna.

Blumenberg e l’ordine cristiano dei mondi

Prima di descrivere l’uomo-albero di Dresda soffermiamoci brevemente sulla posizione

di Blumenberg in merito a questa problematica. Benché siano numerosi i luoghi in cui Blumenberg si riferisce a scene bibliche, e anche alla loro ricezione e metamorfosi (o pseudomorfosi, come direbbe Erwin Panofsky), non esiste alcun commento al quadro di Bosch e neppure una remota allusione all’uomo-albero.

Dante secondo Blumenberg

Per quanto riguarda a Dante, in “Sistematica del destino”, contenuto in Die Sorge geht über den

Fluss [�987], Blumenberg parla del poeta toscano in questi termini:

Quando nel suo grande poema Dante descrive l’esecuzione divina del castigo e della ricompensa nell’aldilà tripartito come una corrispondenza di sorprendente varietà tra la vita terrena conclusa da un lato e, dall’altro, la sistemazione e il trattamento provvisori o definitivi a seconda della stessa, fu sì costretto, mancando di notizie attendibili, a valersi della propria fantasia; ma non lasciò quasi quell’impressione di arbitrarietà che di solito è associata a quest’organo per colmare le lacune dell’esperienza. Il principio del contrappasso, dell’esatta simmetria tra azione e trattamento, fatto e giudizio, storia e destino gli consentì di far partecipare i suoi contemporanei e lettori, con sempre rinnovato stupore, allo spettacolo immaginario di ciò che è conveniente, la cui evidenza soddisfa lo ius talionis. Questo è un po’ come il rappresentante giuridico-morale di quell’arcaica spiegazione di ogni sapere secondo la quale il simile si afferra solo col simile, cosicché bisogna già essere ciò che ci si propone di comprendere.25

L’analisi principale della Divina commedia è però

25 H. Blumenberg, L’ansia si specchia sul fondo, op. cit., pp. �33-�.

quella che Blumenberg sviluppa in rapporto con la figura dello spettatore. È questa l’analisi più rilevante per la comprensione dell’opera di Blumenberg, dell’argomento del presente articolo e dell’uomo-albero di Dresda. La troviamo in Ein Mögliches Selbstverständnis [�996]:

[…] Il poeta della Divina commedia, che anticipa una buona parte del Giudizio Finale e vaga assistendo alle condanne e ai alle beatitudini, vieta qualsiasi emozione; sarebbe già una ribellione. L’indifferenza dello spettatore non è il risultato di una katharsis, ma il risultato della sua fede assoluta in un Dio giusto e misericordioso, che, tuttavia, per i suoi attributi di ‘purezza’ provenienti dalla metafisica, continua ad essere un deus absconditus, il Dio nascosto delle ‘decisioni’ imperscrutabili.26

Un po’ più avanti, a margine di un commento ad un testo di Hans Carossa27, sorge la questione se Dante sia stato nell’inferno, e cioè di quali siano le condizioni necessarie per una testimonianza di tal genere:

Così, alla vista di questo ‘scandalo teologico’ già respinto, lo spettatore diventa una fonte di scandalo per coloro che sono esclusi da tale posizione al di fuori del mondo [...]. Nelle Note di Angermann del �936, in un passaggio molto delicato in cui [Hans Carossa] parla di ‘confusione’ dopo la rottura di una tazza ‘azzurra reale’ –cioè dell’ate della tragedia antica– Hans Carossa inserisce alcune righe su Dante che non ci si sarebbe aspettati in Segreti della vita matura: ‘È possibile dire che Dante sia stato nell’inferno?’. Non è una domanda sulla punizione, ma sulla sofferenza della colpa, che si presenta alla vita come la sua realizzazione, come la sua felicità. No, Dante non ha sperimentato nulla della paura che solo il colpevole prova, perché Dante era certo della sua salvezza ultima come lo sarà lo spettatore moderno della Storia che conosce il futuro di questa. Dante fu ‘ospite impassibile

26 H. Blumenberg, La posibilidad de comprenderse [�997], trad. spagnola di César González Cantón e Daniel Innerarity, Madrid, Síntesis, 2002, p. 85 (la traduzione italiana è nostra).27 Hans Carossa è stato un poeta molto apprezzato da Blumenberg, dal quale viene citato spesso. Uno dei più belli libri di Blumenberg, Die Vollzähligkeit der Sterne, pubblicato postumo, prende il titolo da una poesia di Carossa: “[…] dann musst du nicht erschrecken! / Die Sterne stehn vollzählig überm Land”: Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, �997, p. �6. Per più dettagli cfr. Jürgen Busche, “Warum Carossa? Hans Blumenbergs Hommage an einen fast vergessenen Dichter”, Neue Rundschau �09, (�998), pp. 9�-8.

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nel paesaggio del dolore, fu solo spettatore delle torture che erano inflitte agli altri, convinto del suo futuro posto tra i santi’. Anche dalla compassione lo libera la sua guida Virgilio: ‘Qui vive la pietà quand’è ben morta’, questo dice Virgilio quando a Dante vengono le lacrime agli occhi al momento di contemplare la terribile punizione di Tiresia. La certezza della salvezza dello spettatore crea una differenza assoluta; né il mondo, né i suoi contemporanei, solo lui stesso può essere interrogato. [...] Proprio per questo motivo diventa, come teorico, uno specialista di imprecisioni, che non hanno nulla a che vedere con la qualità del mondo, che è diventato tecnica di misurazione. Come soggetto deve astenersi dal ‘prendere parte’, in qualsiasi forma: questo è la sua katharsis.28

Tanto in Die Lesbarkeit der Welt [�98�] quanto in Die Legitimität der Neuzeit [�973] si fa un breve cenno ai viaggi di Dante. Nei prossimi paragrafi vedremo il caso di Die Legitimität. In Lesbarkeit der Welt il poema di Dante servirà come esempio della corrispondenza tra “il cielo come libro, il libro come cielo”.29 La metafora del libro, “una metafora per il tutto della sperimentabilità”30, trova nella Divina commedia un episodio di apparente rottura dell’unità testuale dell’ordine celeste: “[Dante] ci fa vedere diviso nel mondo in volumi e quaderni ciò che in Dio è unito: ‘legato con amore in un volume’”.3�

Quest’unione amorosa di Dio con la sua creazione, testimoniata nel canto trentatreesimo, l’ultimo della Divina commedia, corrisponde al parossismo della ineffabilità, nella quale il poeta toscano perde la sua eloquenza quando raggiunge la visione della divinità e così la fine di ogni desiderio:32

28 H. Blumenberg, La posibilidad de comprenderse, op. cit., pp. 85-6. 29 H. Blumenberg, La leggibilità del mondo [�979], traduzione di Bruno Argenton, edizione a cura di Remo Bodei, il Mulino, Bologna, �98�, pp. ��-3�30 Ivi, p. 3.3� Ivi, p. 30. In una nota a piè di pagina Blumenberg continua così: “Il poeta si trova nella sfera delle stelle fisse e guarda in basso verso le sfere dei pianeti e attraverso queste verso la terra, che nel libro dell’universo è solo il ‘quaderno’ (Paradiso, canto XVII, vv. 37-39)”. Nella stessa pagina continua con la tesi della frammentazione dell’unità del mondo: “L’un libro è anche qui un libro celeste che spetta all’altro lato, come una volta il ‘libro della vita’. La forza della sua unità ideale non è abbastanza grande da lasciare per il mondo un’altra immagine che quella di una biblioteca” (p. 30).32 A tal riguardo, è molto notevole il rapporto tra Dante e Ulisse, esplorata da Blumenberg in “Der Prozeβ der theoretischen

Da quinci innanzi il mio veder fu maggioche ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,

e cede la memoria a tanto oltraggio.

Qual è colui che sognando vede,che dopo ’l sogno la passione impressarimane, e l’altro a la mente non riede,

cotal son io, ché quasi tutta cessamia visione, e ancor mi distilla

nel core il dolce che nacque da essa.

Cosí la neve al sol si disigilla;cosí al vento ne le foglie levi

si perdea la sentenza di Sibilla.33

L’uomo-albero di Dresda

Osserviamo ora l’incisione di un imitatore anonimo di Bosch, che è una versione stilizzata

del disegno di Albertina.

Figura 7. Imitatore anonimo di Bosch, Scene infernale con gli elementi del Giardino delle Delizie, Staatliche

Kunstsammlungen, Kupferstichkabinett, Dresda.

Nella parte centrale dell’incisione appare l’uomo-albero confinato nel limite naturale della spiaggia.

Neugierde”, Die Legitimität der Neuzeit, Frankfurt am Main, Suhrkamp, �973, pp. �38-��2. Cfr. anche Elaborazione del mito, op. cit., p. ��0: “In Dante [Ulisse] diventa una figura dell’insensatezza, preda della curiosità per il mondo”. Come abbiamo già indicato, nei prossimi paragrafi avremo l’opportunità di vederlo più in dettaglio.33 Paradiso, canto XXXIII, vv. 55-66.

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In primo piano, e su differenti livelli, compaiono diversi gruppi eterogenei di spettatori. Il primo di questi gruppi, come l’uomo-albero, sta allo stesso tempo guardando verso di noi, con un’attitudine di richiesta, come se aspettasse la nostra reazione di sorpresa o di paura, o forse il nostro commento. Dietro, molto lontano, è possibile vedere i dirupi e un piccolo imbarco.

La posizione centrale dell’uomo-albero divide il disegno in due parti molto differenti. La parte sinistra è caratterizzata dalla presenza di un cielo chiaro e di una spiaggia transitabile, senza sottobosco. In contrapposizione, la parte destra, più agreste e scoscesa, è piena di elementi che impediscono la visibilità, e che sottolineano la centralità del mostro.

Come nelle incisioni precedenti, due canotti sostengono la solida e pesante figura del mostro, evitando che si immerga nell’acqua calma (e probabilmente poco profonda), ma anche impedendo che le radici penetrino nella terra. Da uno dei suoi piedi, un buco rivela che il mostro è vuoto ed è abitato al suo interno. Da questo escono due persone che sembrano occuparsi di pilotare due piccoli canotti che servono per sostenere il mostro. È possibile identificare nel suo corpo l’abituale guscio aperto dietro, il cui spazio interno è non già un Nobiskrug, ma piuttosto un luogo di permanenza, dove diverse persone siedono attorno ad un tavolo, intente nelle loro occupazioni. Da questa stanza si eleva l’abituale palo con la bandierina.

Al lato opposto del guscio c’è la testa dell’uomo-albero. La sua espressione è più dura che nei disegni precedenti, e sembra tradire lunga sofferenza per la sua natura non desiderata. Il suo ambiguo viso suggerisce non curiosità ma la volontà di commuoverci, di suscitare la nostra pietà o di reclamare la sua salvezza, come se fosse in nostro potere di mettere fine al suo tormento.

La struttura sostenuta dalla testa, simile all’incisione di Albertina, fa pensare che il mostro non abbia capacità di movimento, oppure, che il suo movimento sia lento e limitato, che non ci sia il pericolo che gli oggetti appoggiati su di esso cadano. Sembra anche che sia obbligato a guardare sempre rivolto indietro, come l’angelo della storia3� di Walter Benjamin, ispirato all’Angelus novus di Paul Klee (figura 7).

3� Questa è la famosa descrizione di Benjamin: “C’è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere quest’aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera”. Walter Benjamin, Tesi sul concetto di storia [�9�0], Einaudi, Torino �997, pp. 35-7. Juan José Carreras Ares recupera un passaggio di Paul Valéry che ritengo opportuno citare: “Abiamo sentito parlare di mondi spariti, immersi nel fondo inesplorabile dei secoli con i suoi dei e le sue leggi [...], attraverso lo spessore della storia percepivamo i fantasmi di immensi vascelli, che furono pieni di ricchezza e spiriti. Non li potevamo contare. Dopotutto, questi naufragi non erano affar nostro, [ma dopo il �9�8] noi ci rendiamo conto che l’abisso della storia è sufficientemente grande per inghiottire tutti. Sentiamo che una civiltà ha la stessa fragilità di una vita”, Seis lecciones sobre historia, Zaragoza, Institución “Fernando el Católico”, 2007, pp. 87. Un buon commento delle tesi di filosofia della storia di Benjamin si trova nel libro di Reyes Mate, Medianoche en la historia. Comentarios a las tesis de Walter Benjamin “Sobre el concepto de historia”, Madrid, Trotta, 2006. Si veda anche Stéphane Mosès, La storia e il suo angelo. Rosenzweig, Benjamin, Scholem [�992], Anabasi, Milano, �993, pp. �59-�85. L’angelo della storia, come l’uomo-albero, offre rifugio. José Luis Villacañas ce lo ha ricordato nel suo articolo “Otro final para Wallenstein”, Ideas y valores, n. �33, aprile 2007, p. ��7: “Sotto le ali dell’ angelus novus era possibile trovare un riparo, disponibile solo per i morti”. Ringrazio il mio caro amico Diego Cucalón che mi ha regalato il libro di J. J. Carreras, e che mi ha insegnato a guardare Zaragoza con occhi diversi.

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Figura 8. Paul Klee, Angelus novus, Israel Museum, Jerusalem

La struttura che corona l’uomo-albero consiste in una piattaforma circolare, dal bordo frastagliato, sulla quale sta un grande contenitore utilizzato probabilmente come deposito per accumulare l’acqua piovana. Al suo interno ci sono una scala e un bastone che potrebbero essere utilizzati per misurare la quantità di acqua immagazzinata. È incerto se una delle due persone stia reggendo il bastone o scendendo dalla scala verso l’interno del contenitore. L’altra, sulla cima della scala, tiene una pertica con cui tenta di raggiungere la bandiera dell’uomo-albero, forse con l’obiettivo di raddrizzarla, oppure di raccoglierla e nasconderla. L’attività complessiva delle persone mostrate nella parte superiore del mostro e ai suoi piedi ci fa pensare che siano intente a preparativi per un lungo viaggio, come se stessero salpando.

Dal guscio e dalle gambe emergono diversi rami. Quello principale ha origine da un lato del guscio. Alla fine di questo ramo una civetta –così come il cervo e diverse persone sulla costa– osserva attentamente una scena al di fuori dell’incisione. Congiuntamente, la pluralità e complessità degli osservatori suggerise la presenza di fenomeni insoliti al di là dell’uomo-albero e dei suoi abitanti. Forse altri mostri si ergono ai margini della scena.

Blumenberg: la scienza nell’inferno

Questa breve descrizione è sufficiente per i nostri propositi. Non si vuole qui fare un’analisi storica

dettagliata dell’iconologia dell’incisione –veramente difficile, d’altra parte, a causa della mancanza d’informazioni affidabili– né una ricostruzione completa della tradizione pittorica di cui fa parte. In questo contesto ci interessa più la sua efficacia per illustrare intuitivamente alcune delle principali idee del lavoro di Blumenberg, e soprattutto la sua concezione della scienza moderna. Dobbiamo premettere che Blumenberg, nella sua vasta opera, non è stato certo ispirato da questa incisione o da un’altra simile. E tuttavia molte delle sue idee più elaborate trovano una chiara e diretta raffigurazione in questa incisione.

In essa possiamo trovare infatti una sintesi di alcune opere emblematiche di Blumenberg come Höhlenausgänge (nella abitabilità del guscio), Schiffbruch mit Zuschauer (nella possibilità di naufragare davanti allo sguardo degli altri), Lebenswelt und Weltzeit (nella doppia temporalità tra il vecchio uomo-albero e i personaggi che lo circondano e lo abitano), Arbeit am Mythos (nella teratologia mitologica della scena, e anche nella storia della ricezione del motivo), Die Sorge geht über den Fluss (nelle attività svolte sull’elemento liquido), Die Vollzähligkeit der Sterne (nell’immensità del cielo appena scrutabile). Come vedremo, specialmente Die Legitimität der Neuzeit e Die Genesis der kopernikanischen Welt sono maggiormente presenti, soprattutto nell’autoaffermazione umana e tecnica, in un ambiente naturale apertamente ostile e in assenza di un Dio che fornisce aiuto.

Tra le questioni legate al lavoro di Blumenberg, questa incisione suggerisce la seguente: come può esservi scienza in un luogo come questo? In altre parole: com’è la scienza praticata nell’inferno? Alcuni studiosi del pensiero35 blumenberghiano, hanno individuato come elemento critico il cosiddetto “assolutismo della realtà”, cioè l’inclusione dell’uomo

35 Specialmente Odo Marquard e Franz J. Wetz. Si veda in particolare l’articolo di Marquard, “Hans Blumenberg. Entlastung vom Absoluten” in F. J. Wetz e H. Timm, (eds), Die Kunst des Überlebens, Frankfurt, Suhrkamp, �999, pp. 7-�6. Cfr. anche la monografia di F. J. Wetz, Hans Blumenberg zur Einführung, Hamburg, Junius, �993. In parte seguiremo quest’ultimo testo per le prossime sezioni.

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in un ambiente primigenio estremamente pericoloso, in uno status naturalis nel quale “[…] l’uomo quasi non controllava le condizioni della propria esistenza”.36 Possiamo tradurre questo concetto in maniera semplice ma ancora imprecisa tenendo presente il mostro di Dresda: anche il mondo per alcuni aspetti somiglia a una scena infernale. Lo sfondo più appropriato per discutere di questo problema è la nascita della scienza moderna. Sull’argomento si segnalano soprattutto i libri che abbiamo appena ricordato, Die Legitimität der Neuzeit [�966] e Die Genesis der kopernikanischen Welt [�975]:

Nella Legittimità dell’età moderna, Blumenberg aveva considerato la moderna scienza naturale un’istanza con cui siamo in grado di mantenere a distanza e sotto controllo la natura spietata, arrogante e indomita. La scienza rende governabile la natura che ci circonda e dona alla nostra esistenza minacciata dall’insicurezza una certa sicurezza e, in alcuni casi, una completa soddisfazione. Per questo motivo, le moderne scienze naturali costituiscono parte integrante dei mezzi di auto-affermazione umana contro la natura ostile e affascinante. Nella Genesi dell’universo copernicano, invece, Blumenberg ci presenta la scienza naturale moderna a partire da un approccio diametralmente opposto. Appare non solo come un mezzo per domare la natura spietata e arrogante, ma anche come una forza che, a sua volta, svela tutte queste caratteristiche: le moderna scienza naturale ha rubato la nostra illusione di avere un posto privilegiato e centrale nell’universo, il quale era costituito da un plesso di relazioni comprensibili e orientate a valori che rispettino i nostri interessi e il nostro senso di sopravvivenza.37

Qui ci interessa sottolineare che lo sfondo dell’approccio di Blumenberg è eminentemente teologico. La modernità trova la sua legittimità come risposta specifica al tardo cristianesimo (collegato alla gnosi antica), degenerato fino a risultare insopportabile, disumanizzatosi fino a diventare “assolutismo teologico”. Quest’assolutismo teologico raggiunge la sua massima espressione nel cosiddetto “Dio del nominalismo”, un Dio caratterizzato dal suo essere absconditus, che concorda pienamente con il Dio di Bosch: “[…] l’amore di Dio, nell’opera di Bosch, non è accompagnato da dolcezza, ma dalla sofferenza, dalla lotta, dalle dure punizioni, il suo

36 Hans Blumenberg, Elaborazione del mito, op. cit., p. 25.37 F. J. Wetz, Hans Blumenberg. La modernidad y sus metáforas, op. cit., p. 58.

Dio non conosce pietà o misericordia, è un Dio che affonderà questo mondo peccatore nelle tenebre”.38 Insomma, un Dio che, per il suo comportamento negligente, la sua assenza o la sua severità, rende la vita un inferno.

Sia come segno di assolutismo teologico, sia come comportamento di una natura arbitraria, nella scena infernale dell’uomo-albero sono riflessi l’essenziale ostilità della realtà e l’esigenza di ottenere una sistemazione al suo interno, umanizzandola, rendendo abitabile i suoi luoghi più inospitali. Si tratta, in ultima analisi, dell’avvio di un processo di auto-affermazione dell’uomo medievale, nella misura in cui lui stesso si è fornito da sé la legge e crea i propri miracoli concettuali e tecnologici. In altre parole, il mondo, come opera di Dio o come risultato naturale, è nel suo status naturalis un’incarnazione del male, piena di minacce e di possibili tormenti. Questa situazione sarà complicata dall’emergere dell’astronomia copernicana.

Soffermarci ancora sull’uomo-albero: nella bandiera issata sul suo guscio non appare più una cornamusa, simbolo, secondo il parere di Fränger, della banalità delle imprese umane.39 Si mostra invece una figura diversa: la mezzaluna “simbolo ricorrente della vita sublunare”.�0

Joseph Leo Koerner ha identificato, tra la gente che sta guardando dalla costa, un pittore e un astrologo: “L’incisore anonimo ha aggiunto un’udienza alla destra e un gruppo di produttori sotto: un pittore con tavolozza e pennelli, un astrologo con un almanacco e vari gadget, e tra loro una terza figura che sostiene un lupo. Ciò che l’artista consegna, l’astrologo interpreta e prevede […]”.�� Siamo dunque ancora di fronte a un’immagine medievale dell’universo. Con Copernico, tuttavia, l’astrologo diventerà presto un astronomo:

Da un lato, l’opera di Copernico si muove ancora in un quadro di riferimento chiaramente medievale, dall’altro non è meno ovvio che vada al di là.

38 M. Gauffreteau-Sévy, Hieronymus Bosch “El Bosco”, traduzione, prologo e appendice di Juan-Eduardo Cirlot, Barcelona, Editorial Labor, �969, p. �36.39 W. Fränger, The Millennium of Hieronymus Bosch, op. cit., p. 69.�0 Ibidem.�� Joseph Leo Koerner, “Bosch’s Equipment”, art. cit., p. 63.

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Copernico appartiene tanto al medioevo quanto all’età moderna. Questa stessa appartenenza all’età moderna è, a sua volta, ambigua. Nella sua opera si riflette l’ambiguità della scienza moderna: il suo contributo è costituito da una parte dall’addomesticamento e dall’altra dal distanziamento della natura indifferente e onnipotente. Nel primo caso l’uomo trionfa sulla natura, nel secondo caso scopre la sua futilità nel rapporto con essa. Nasce dalle scoperte copernicane una ‘umiliazione specificamente moderna, che è allo stesso tempo un’elevazione dell’uomo (Blumenberg)’.�2

Franz Josef Wetz, da cui abbiamo citato per rendere conto della complessità di questi libri di Blumenberg, a buon diritto invoca Nietzsche: “L’uomo sembra essere posto da Copernico su una rampa inclinata: ruota sempre più veloce fuori dal centro, verso dove? Verso il nulla? Verso l’acuto senso del suo vuoto?”.�3

Se però il pittore ha il compito di offrire una rappresentazione mitica di un mondo di dimensioni enormi o incerte (tema quest’ultimo di Arbeit am Mythos [�979]) è responsabilità degli osservatori, per la loro ansia di conoscere, produrre una sapienza vincolante e trasmissibile. A questo proposito, come ha mostrato Blumenberg, è stato Dante che ha fatto dell’osservatore troppo curioso una figura patologica, vittima di una volontà di sapere, indirizzata alla scienza, priva della supervisione di un tutore legittimo. Dante ha visto nella brama di sapere una passione morbosa che distrugge la vita intera�� e strappa irrimediabilmente l’uomo da ciò che è davvero importante.

La curiosità nell’inferno

Nel canto ventiseiesimo della Divina Commedia si racconta la condanna di Ulisse e Diomede

nelle fiamme dell’ottavo girone dell’ottavo cerchio: “dentro dai fuochi son li spirti; catun si fascia di quel

�2 F. J. Wetz, op. cit., pp. 70-�.�3 Nietzsche, F., Sämtliche Werke, vol. 5, Munich, �980, p. �0�, citato da F. J. Wetz, op. cit., p. 70. Il dispiacere causato per nuove scoperte può essere espresso con le inspirate parole di Erwin Panofsky: “L’uomo si trovò confrontato con l’infinito, come qualità dell’universo, piuttosto che una prerogativa di Dio”: E. Panofsky, “El padre tiempo”, in Estudios sobre iconología [�962], Madrid, Alianza Universidad, 200�, pp. ��5-6.�� Dell’esigenza temporale eccessiva che coinvolge la scienza si è occupato Blumenberg in Tempo della vita e tempo del mondo, op. cit., pp. �05-�8 e �97-20�.

ch’elli è inceso”.�5 Nel caso di Ulisse la fiamma che lo avvolge è il simbolo della sua indomabile volontà di sapere. In una vistosa rielaborazione dell’Odissea, il poeta fiorentino fa dire all’eroe greco:

Quando mi diparti’ da Circe, che sottrasseme più d’un anno là presso a Gaeta,

prima che sí Enea la nomasse,

né dolcezza di figlio, né la pietadel vecchio padre, né ’l debito amore

lo qual dovea Penelopé far lieta,

vincer potero dentro a me l’ardorech’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,

e de li vizi umani e del valore;

ma misi me per l’alto mare apertosol con un legno e con quella compagna

picciola da la qual non fui diserto.

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,

e l’altre che quel mare intorno bagna.

Io e’ compagni eravam vecchi e tardiquando venimmo a quella foce stretta

dov’ Ercule segnò li suoi riguardi,

acciò che l’uom più oltre non si metta:da la man destra mi lasciai Sibilia,da l’altra già m’avea lasciata Setta.

‘O frati’, dissi ‘che per cento miliaperigli siete giunti a l’occidente,

a questa tanto picciola vigilia

de’ nostri sensi ch’è del rimanente,non vogliate negar l’esperienza,

di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza’’.�6

Così, la scienza non è esclusivamente una conoscenza dell’inferno, piuttosto è motivo di condanna e, alla fine, come per il Faust di Goethe, malefica per se stessa e nel suo esercizio.�7

�5 Inferno, canto XXVI, vv. �7-8.�6 Ivi, vv. 90-��2.�7 Non possiamo fare a meno di ricordare lo straordinario soliloquio di Faust, con cui inizia la prima parte della tragedia: “Ahimè!, ho studiato, a fondo e con ardente zelo [...] eccomi qua, povero pazzo, e ne so quanto prima! [...]. Se mai il potere o la parola dello spirito mi rivelassero qualche segreto. Per non dover dire, dopo così amare, sudate fatiche, quello che

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Blumenberg ha insistito sul fatto che questo Ulisse

non so, per poter scoprire ciò che, nel profondo, tiene insieme l’universo e contemplare ogni attiva energia ed ogni primitiva sostanza smetterla di rovistare nelle parole. O potessi tu, o piena luna, contemplare per l’ultima volta il mio dolore, tu che io ho atteso, sovente, sino a mezzanotte, vegliando al mio leggio. Poi su libri, e carte, o mesta amica, mi apparisti. Oh!, potessi aggirarmi su cime di monti, andar errando nella tua cara luce, aleggiare cogli spiriti intorno a caverne montane, vagare sui prati al tuo crepuscolo, e, liberato da tutti i tormenti del sapere, riposarmi nel bagno della tua rugiada! Ahimè! Ancora chiuso in questo carcere? Un maledetto buco muffito, dove persino l’amabile luce del cielo s’intorbida, attraverso i vetri variopinti. Un buco rimpicciolito da questo mucchio di libri che i tarli forano e la polvere ricopre, rivestito di carta, nera per il fumo, fin su all’alta volta, con sparsi, tutto intorno, vasi ed ampolle, zeppo di istrumenti ed ingombro delle avite masserizie –questo è il tuo mondo, e questo si chiama un mondo! E domandi ancora perché il tuo cuore ti si stringa, pieno d’angoscia, in petto? Perché frena, con inspiegato dolore, ogni impeto di vita? Invece della vivente natura entro la quale Dio creò gli uomini, ti circondano, fra fumo e muffa, carcasse d’animali ed ossa di morti”. Johann Wolfgang von Goethe, Faust e Urfaust, traduzione e cura di Giovanni V. Amoretti, Feltrinelli, Torino, 2000, pp. 2�-3. La sfida che Faust lancia a Mefistofele un po’ prima di stringere il patto è anche un’evocazione del frutto appassito e dell’albero che rinverdì: “Che cosa mi vuoi dare, tu, povero diavolo! Fu mai compreso, da un tuo pari, lo spirito di un uomo nel suo alto tendere? Ma hai, forse, cibo che non sazia? Hai rosso oro che, senza posa, simile all’argento vivo, ti scorre via fra le dita? Un gioco al quale non si vinca mai ? Una ragazza che, stretta al mio seno, se l’intenda, cogli occhi, col vicino? E l’onore, la bella gioia degli dei, che svanisce come una meteora? Mostrami il frutto che marcisce prima ancor che lo si colga e gli alberi che, giornalmente, rinverdiscono!” Ivi, p. 83. Il lettore troverà più dettagli sul patto con il diavolo nell’opera di Goethe e anche sulla ricezione posteriore in José María González García, Las huellas de Fausto. La herencia de Goethe en la sociología de Max Weber, Madrid, Tecnos, �992, capitolo �, pp. ��3-2�2. Le brevi note del prof. José Luis Villacañas sul mondo borghese dal punto di vista del Faust sono di grande interesse: Historia de la filosofía contemporánea, Madrid, Akal, 200�, pp. �5-26. Anche Blumenberg si è occupato di Goethe in molte parti della sua opera, un personaggio che senza dubbio l’ha affascinato “[…] l’autodivinazzazione del creatore dello Sturm und Drang, il superamento della catastrofe storica del 1789, il suo innalzamento ad opera e per mezzo di Napoleone [e] la sua soluzione del ‘compito di un mondo intero’ (Weltaufgabe) del Faust. Quale fatica, quali illusioni! E quale trasparenza di ambedue nel loro intrecciarsi davanti agli occhi dell’osservatore” in Elaborazione del mito, op. cit., p. �80. È stato anche pubblicato postumo un libro di Blumenberg dedicato esclusivamente a Goethe: Goethe zum Beispiel, Frankfurt am Main und Leipzig, Insel Verlag, �999.

non è l’eroe leggendario sopravvissuto incolume alla prova delle sirene, ma quello che Dante ha reinventato liberamente, ponendo come pulsione dominante la sua curiosità insaziabile di conoscere il mondo.�8 Invece di farlo ritornare a Itaca, lo imagina ancora una volta proiettato verso l’erranza nella sua ultima e fatale avventura: oltrepassare le frontiere del mondo conosciuto, segnate da due grandi colonne disposte secondo la leggenda da Ercole. Le colonne d’Ercole segnano i limiti di ogni esperienza legittima, perché al di là di queste non c’è più la tutela e il beneplacito della divinità. Di per sé, “[il mare] cade sotto la giurisdizione di poteri e di dei che tenacemente si sottraggono alla sfera delle potenze classificabili. Dall’oceano che cinge i bordi del mondo abitabile vengono i mostri mitici che sono più lontani dalle familiari figure della natura e che paiono non sapere più nulla del mondo come cosmo”.�9

Lasciare dietro di sé le colonne d’Ercole indica anche abbandonare lo spazio di familiarità minima, garantito dalla presenza degli dei, nonostante questi siano ostili per il fatto di appartenere al mare. Stando così le cose, non è sorprendente il tragico finale che segue tanta audacia:

Cinque volte racceso e tante cassolo lume era di sotto da la luna,

poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,

quando n’apparve una montagna, brunaper la distanza, e parvemi alta tanto

quanto veduta non avea alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,ché de la nova terra un turbo nacque,e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;a la quarta levar la poppa in suso

e la prora ire in giú, com’altrui piacque,

48 H. Blumenberg, “Der Prozeβ der theoretischen Neugierde”, Die Legitimität der Neuzeit, Frankfurt am Main, Suhrkamp, �973, pp. �38-��2 ; trad. it. di Cesare Marelli, La legittimità dell’età moderna [�966], Marietti, Genova, �992, pp. 363-369. Di questo stesso argomento si occupa, inoltre, Piero Boitani nel suo splendido libro La sombra de Ulises. Imágenes de un mito en la literatura occidental [�992], Barcelona, Ediciones Península, 200�, in particolare, cap. II, pp. ��-60.�9 H. Blumenberg, Naufragio con spettatore, op. cit., p. 27. Il passaggio continua così: “In questa estraneità allarmante va incluso anche il fatto che il fenomeno naturale che da sempre e invincibilmente atterrisce l’uomo, il terremoto, rientra nella competenza mitica del dio del mare Posidone”.

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infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.50

Il doppio processo della curiosità

Alla luce di tutto ciò, non è forse l’uomo-albero un mostro mitico proveniente dall’oceano, il

risultato dell’ira incontenibile di un Dio che risponde a un affronto umano di proporzioni colossali? È spinto, come l’imbarcazione di Ulisse o l’angelo della storia di Benjamin, dalla violenza di una tromba d’aria controllata dalla divinità o originata nel paradiso? È la metamorfosi dello stesso Ulisse vista dal lontano dirupo, attraverso le cime e le rocce dello scoglio,5� dopo aver fatto naufragio e prima di essere inghiottito dalle fiamme? Ci sono Dante e Virgilio tra gli osservatori contenuti nell’incisione di Dresda (figura 7) A chi è rivolto lo sguardo del nuovo mostro? Certamente, possiamo estendere agli spettatori il dubbio che Blumenberg si domanda in relazione alla curiosità dell’Ulisse dantesco: “Si tratta ancora di quella figura, perfettamente medievale, della curiosità abietta, oppure del primo presentimento del suo rovesciamento di valore alla soglia dell’età moderna?”.52

Secondo Blumenberg, la condanna di Ulisse non ha tanto a che fare con la curiosità mondana, con l’ansia di avventura o con il suo ultimo viaggio, quanto con il fatto di aver dato consigli disonesti che hanno portato alla morte di Achille a Troia e alla caduta della città grazie allo stratagemma del cavallo di legno. L’uomo “dal multiforme ingegno” avrebbe superato le soglie dell’ammissibile con la sua inventiva, ovvero con la malvagità dei suoi artefatti e macchinazioni, ma anche con la seduzione delle sue parole che portarono in disgrazia i suoi compatrioti. La straordinaria quantità dei suoi trucchi ha definito per contrappasso la misura della sua pena: bruciare in un fuoco eterno come un nuovo Prometeo punito per avere rubato agli dei quello che di diritto non gli spettava:53

50 Inferno, canto XXVI, vv. �30-��2. 5� Ivi, vv. �3-�5.52 H. Blumenberg, La legittimità, op. cit. p. 36�.53 Su Prometeio cfr. lo studio di Blumenberg contenuto in Elaborazione del mito, op. cit., pp. 367-�82. Per il rapporto tra Adamo e Prometeo, si veda ivi, pp. �35 e seguenti; e su Goethe e Prometeo, ivi, pp. �83-556. Per la triade Goethe-Prometeo-Napoleone, ivi i capitoli III e IV della quarta parte, pp. �83-5�5. Sull’evoluzione finale e la dissoluzione del mito di Prometeo nella quinta parte, ivi, pp. 673-76�.

L’uomo che aveva suscitato la curiosità dei Troiani con il cavallo di legno e che aveva così provocato astutamente la loro rovina è vittima egli stesso di una rovina nella quale lo attira la sua curiosità alla vista di una meta fatale, del monte oscuro che si erge dall’oceano. Dante dà alla grandezza di questa figura, che manifestamente lo affascina, uno scenario cosmico che non si arresta alle colonne d’Ercole e quindi al mondo conosciuto. Ulisse può solcare l’oceano ancora per cinque mesi per raggiungere –come egli promette con un’eloquenza irresistibile ai suoi compagni– la virtù e la conoscenza (per seguir virtute e canoscenza). Anche questo discorso di Ulisse è un consiglio ingannevole che egli deve espiare nell’Inferno?5�

Come dice Blumenberg, Dante ha fatto una distinzione molto chiara tra una curiosità insensata e peccatrice, che si muove per una terra sconosciuta temerariamente violata, e un’altra curiosità giusta, pia, che ha il permesso e la supervisione di un’autorità adeguata. La prima ha portato Ulisse alla distruzione e alla condanna, la seconda ha fatto sì che Dante abbia potuto meravigliarsi alla vista del regno dei cieli, l’accesso al quale gli è stato consentito e garantito da una “guida benigna”.55 L’una si fonda sull’arroganza, sull’esaltazione carismatica del singolo, l’altra sulla modestia, su un senso trascendente della comunità. Ulisse si è lasciato sedurre da una “impresa temeraria”, Dante, invece, “si guarda bene dal mostrarsi indegno di un tale decreto divino”56, quello cioè di poter testimoniare l’opera di “colui che tutto muove”, benché debba riconoscere che la gloria di Dio brilli in alcune parti di più e in alcune di meno. Dante ascende alla montagna di fronte alla quale Ulisse soccombe. La differenza fondamentale tra i due è che Dante “in ogni nuova regione che si schiude ai suoi occhi […] non percepisce primariamente la qualità teoretica di ciò che non è mai stato visto prima, ma il contenuto morale della giustizia realizzata, il contrapasso tra l’aldiqua e l’aldilà”.57 Una moralità fática che distribuisce i suoi segni in modo chiaramente visibile:

Nel Paradiso Dante può interrogare Adamo sull’essenza del peccato originale che gli viene interpretata come travalicamento del segno (il trapassar del segno). Ulisse è l’erede non ancora

5� H. Blumenberg, La legittimità, op. cit., p. 36�.55 Ivi, p. 365.56 Ibidem.57 Blumenberg, La legittimità, op. cit., p. 365.

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redento di quel peccato originale che era stato il travalicamento dei limiti imposti all’uomo. Da ultimo egli oltrepassa i segni imposti al mondo abitabile assegnato all’uomo, per penetrare nell’inabitabile. Egli disprezza la provvidenza parziale del mondo per l’uomo.58

Quando Cristoforo Colombo si sostituirà a Ulisse, e Francis Bacon a Dante59, la modernità emergerà dall’inferno, come l’uomo-albero di Dresda, e comincerà il suo viaggio in un mondo privo di segni, dove la volontà divina non sarà più incarnata. Così il vecchio viso dei mostri rifletterà la conoscenza della sapienza antica dell’antropologia filosofica, la solitudine dell’uomo in seguito alla scomparsa di Dio.

58 Ibidem.59 Ivi, pp. 365-9. Di questo argomento si è occupato P. Boitani, La sombra de Ulises, op. cit., cap. III, pp. 6�-86.

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