la sinistra spacca napoli - merqurio.org filevalente non va al ballottaggio e de magistris fa il...

32
ANNO XIV - NUMERO 1 • GIUGNO 2016 • PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE MERQURIO • WWW.MERQURIO.ORG – FACEBOOK.COM/MERQURIO – @MERQURIO1 Valente non va al ballottaggio e de Magistris fa il pieno anche tra gli elettori del Pd, in una città in cui storicamente la sinistra è forte e che, ancora una volta, si vede mortificata da scelte nazionali sbagliate e da una classe dirigente cittadina che continua a calare la testa La sinistra spacca Napoli Giugno 2016 L’INIZIATIVA Mafia e politica, dibattito di Merqurio sul libro dello storico Isaia Sales IL REPORTAGE Speranza Khan e incubo Brexit Londra bivio dell’Europa L’APPROFONDIMENTO Reddito minimo, il fai da te italiano che ci sta allontanando dall’Europa

Upload: buituong

Post on 15-Feb-2019

216 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

ANNO XIV - NUMERO 1 • GIUGNO 2016 • PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE MERQURIO • WWW.MERQURIO.ORG – FACEBOOK.COM/MERQURIO – @MERQURIO1

Valente non va al ballottaggio e de Magistris fa il pieno anche tra glielettori del Pd, in una città in cui storicamente la sinistra è forte e che,ancora una volta, si vede mortificata da scelte nazionali sbagliate e dauna classe dirigente cittadina che continua a calare la testa

La sinistraspacca Napoli

Giugno 2016

L’INIZIATIVAMafia e politica, dibattito di Merquriosul libro dello storico Isaia Sales

IL REPORTAGESperanza Khan e incubo BrexitLondra bivio dell’Europa

L’APPROFONDIMENTOReddito minimo, il fai da te italianoche ci sta allontanando dall’Europa

AIUTACIA TRASFORMARELA POLITICAPARTECIPANDOIN PRIMA LINEA

L’Associazione Merqurio continua ad animare e a dare nuovoimpulso al dibattito culturale, politico e sociale della regione, e inparticolare dell’area metropolitana di Napoli, con incontri, dibattitied iniziative con le quali si sono voluti approfondire, in particolare, itemi legati al lavoro, alla cultura della legalità e ai diritti dicittadinanza. Tra le numerose iniziative promosse negli ultimi 12mesi, ne ricordiamo solo tre per dare il senso dell’attività svolta.A luglio 2015, abbiamo presentato il libro “Rapido 904. La stragedimenticata” di Giuliana Covella alla presenza di Maria Leone del-l’associazione familiari vittime Rapido 904. A novembre 2015, poi,abbiamo promosso il dibattito “Idee per il PD e per la Sinistra aNapoli” con Fabrizio Barca, Gennaro Migliore, Gianluca Daniele,Eugenio Mazzarella, Antonio Vastarelli, Venanzio Carpentieri ePiergiorgio De Geronimo, che si è tenuto all’Istituto Italiano per gliStudi Filosofici. Poche settimane fa, infine, il 24 maggio 2016,abbiamo presentato il libro di Isaia Sales “Storia dell’Italia mafiosa”nel corso del dibattito “Mafia e politica, le ragioni di un’intesadi successo”, che si è tenuto alla Fondazione Banco di Napoli, e alquale hanno partecipato, oltre all’autore, Gianluca Daniele, PaoloMancuso, Daniele Marrama e Antonio Vastarelli.La ricca partecipazione alle nostre iniziative, così come il dibattitoche si anima costantemente attraverso il nostro sito, il blog, i social-networks e il periodico Merqurio, ci confortano sulla bontà delnostro progetto di azione civile. Ai nostri lettori ricordiamo cheiscriversi a Merqurio, versando 25 euro come socio ordinario o 100euro come socio sostenitore, è un gesto concreto per dirci di andareavanti! Info: 329 1721778

[email protected]/merqurioTwitter: @Merqurio1

Salvatore Lange Consigliopresidente dell’Associazione culturale Merqurio

Magma Inc.

CAMPAGNA DI ADESIONE

2016

4 merQurio numero 1 • Giugno 2016

PERIODICO BIMESTRALEAut. Trib. Napolin. 29 dell’11 marzo 2003

Edito daAssociazione culturale Merqurio

Direttore responsabileAntonio Vastarelli

Progetto grafico, illustrazioniMagma Inc. [email protected]

Hanno collaborato a questo numeroAmianto, Osvaldo Cammarota,Vincenzo Cuomo, GianlucaDaniele, Guglielmo Epifani, DinoFalconio, Pasquale Incarnato,Eugenio Mazzarella, ErmenegildaLangella, Vincenzo Pugliese

Giugno 2016Anno XIV - Numero 1

Direzione/Amministrazione / Redazionevia A. Caccavello 10, 80129 Napolitel. 3389931208 - [email protected]

Stampatore Arti Grafiche Italo Cernia Srlvia Capri 60, 80026 Casoria (Na)

IN QUESTO NUMERO

18L’INIZIATIVA

Alla Fondazione del Banco di Napoli il dibattitoorganizzatso da Merqurio sul libro di Sales «Storia dell’Italia mafiosa»

8L’ANALISI

Gli elettoriabbandonano il Pdde Magistris verso la riconferma

5

6

7

8

10

11

12

14

16

18

20

22

24

29

30

L’EDITORIALESpacca Napoli

LA POESIARegeni

IL PUNTOE ora si faccia il congresso

L’ANALISIElettori democratici in fugail flop Valente peggiodi Morcone

Il Pd unica speranza per Napoli ma ora deve aprirsi alla città

Commissari spessoimproduttivi: meglio azzerareil tesseramento e ricominciareda un congresso

L’INTERVISTA«Indifferenza tra destrae sinistra: così ragiona un partito socialista?»

IL FORUMLegalità e lavoro le prioritàper rilanciare la città di Napoli

IL REPORTAGESperanza Khan e incubo BrexitLondra bivio dell’Europa

LA PROPOSTATre idee per il programma diuna sinistra davvero riformista

LA DENUNCIARc auto, no al “fuoco amico” di chi vuol affossare TariffaItalia danneggiando i napoletani onesti

L’APPROFONDIMENTOReddito minimo, il fai da teche ci allontana dall’Europa

L’INIZIATIVALe relazioni e non la violenzasegreto del successo delle mafie

IL LIBRODisuguaglianze e diritti negatialimentano terrorismo e mafie

RITORNO DI FIAMMAMarco arriva in Paradiso

La sinistra Spacca Napoli è un gioco diparole, ma anche un titolo emblematicodella follia autodistruttiva del Partitodemocratico, così come una didascalia

alla cavalcata vincente di de Magistris che, senel 2011 aveva “scassato” a sorpresa, anchecon molta fortuna, oggi si conferma “spaccan-do” l’elettorato del Pd con una precisa strategia.È dal primo Bassolino, 1993, cioè da quasi unquarto di secolo, che la sinistra – intera o apezzi – è ininterrottamente al governo dellacittà (passando per la Iervolino). Ovvio in uncapoluogo che, a differenza della sua provincia,ha da sempre un elettorato di sinistra moltoconsolidato e un imprevedibile voto d’opinione.La vittoria dell’ex pm di 5 anni fa, però, sembranon aver insegnato niente al Pd che, oltre anon aver svolto in 5 anni in consiglio comunaleun’azione programmatica che rendesse naturalearrivare ad una candidatura alternativa nel2016, non è riuscito neanche a darsi una diri-genza di partito capace di esprimere unapolitica riconoscibile dal suo elettorato. SAREBBE BASTATO UN SUSSULTO nella scelta

del candidato sindaco, se non per vincere, al-meno per centrare dignitosamente il ballot-taggio. L’ideale, per rubare voti da un lato ade Magistris e dall’altro al M5s, sarebbe statocandidare un politico innovativo, giovane echiaramente di sinistra o, almeno, un uomodella cosiddetta società civile da contrapporrealle primarie a Bassolino (accettato da renzianie minoranza, quindi con la sicurezza di stravin-cere contro l’ex governatore). Su questa secondaipotesi c’era un’intesa, affondata però da Roma,che ha calato una candidata dall’alto, frutto diaccordi che non guardavano al bene dellacittà, ma a salvaguardare equilibri di correntenazionali. A cosa ha portato questa imposizione?Ad una vittoria della Valente alle primarie per ilrotto della cuffia, con tanto di polemiche sulvoto inquinato, e ad una rovinosa – e ampia-mente prevista – sconfitta alle elezioni. La colpaè sì dei dirigenti locali del Pd che hanno chinatola testa obbedendo, ma quanta colpa ha chiquel nome ha voluto imporre da Roma, non

ascoltando il territorio, non valorizzando ilmerito, di cui tanto ci si riempie la bocca?OGGI, CHI HA SBAGLIATO chiede la testa dei

dirigenti locali che gli hanno obbedito, senzaassumersi le sue responsabilità. Anzi, si prefiguraun commissariamento del Pd di Napoli: cioèun nuovo uomo calato dall’alto che verrebbequi a riprodurre, al quadrato, le logiche sbagliateadottate dalla segreteria nazionale fino ad oggi.Ma i napoletani non hanno bisogno di balie, silasci decidere a loro quale segretario del Pdvogliono, e quale linea politica preferiscono.Nel frattempo, si faccia la scelta giusta per ilballottaggio.RICORDANDO MARCO PANNELLA nel giorno

della sua morte, il vecchio dirigente comunistaEmanuele Macaluso ha detto: «Per la sinistraitaliana Pannella è stato un cugino. Un cuginoche ci dava calci, che non ci accarezzava. Masempre un interlocutore, mai un nemico. E delresto l’utilizzo della parola ‘compagni’ non ècasuale: Marco si è sempre riconosciuto nellasinistra, a modo suo». Non c’è dubbio cheanche de Magistris appartenga alla famigliadella sinistra, almeno così la pensa la metàdegli elettori democratici che, lo scorso 5giugno, ha deciso di votare per lui e non per laValente. A volte tira calci (sbaglia, ad esempio,a non partecipare alla cabina di regia per Ba-gnoli), ma è sempre un cugino, con il qualesarebbe ora di praticare quel dialogo nel qualeera maestro proprio l’ex leader radicale. Ancheperché la sinistra deve essere un luogo di spe-rimentazione di nuove politiche che possanoredistribuire la ricchezza, rendendo le nostresocietà più giuste ed eque, quindi non puòche essere plurale e non può non fare i conticon le contraddizioni di questa sua natura. LE FOTO A BRACCETTO CON VERDINI hanno

contribuito alla rovina elettorale del Pd, l’haammesso la stessa Valente. Ora non è possibileessere equidistanti. In campo per il ballottaggioa Napoli ci sono due candidati: solo uno è disinistra. Se il Pd decide di non appoggiarlo de-creta il divorzio dalla sua base, e Spacca Napoliin maniera pericolosa.//

L’EDITORIALE

5merQurio numero 1 • Giugno 2016

Spacca NapoliIn città la sinistra va al ballottaggio

ma con una coalizione in cui non c’è il Pd che rischia l’estinzione se non fa pace

con la sua base che ha già scelto de Magistris

Antonio Vastarelli

6 merQurio numero 1 • Giugno 2016

Eugenio Mazzarella

Anima Madre

“Anima Madre” contiene poesie scritte tra il 2004 e il 2013, dal filosofo Euge-nio Mazzarella, tra i maggiori interpreti di Heidegger e Nietzsche, in cuil’autore propone una riflessione in versi sulla relazione madre-figlio. Mazzarella,che ha già pubblicato tre opere di poesia “Il singolare tenace” (I quaderni delbattello ebbro, 1993), “Un mondo ordinato” (Palomar, 1999) e “Opera me-dia” (Il melangolo, 2004), in quest’opera accosta i propri testi agli scatti delfotografo napoletano Mimmo Jodice, nei quali sono ritratti volti e busti fem-minili di statue antiche che, erose dal tempo, hanno perso la loro armonia. Lapoesia “Regeni” pubblicata in pagina è inedita, non presente nel libro.

Artspudiopaparo Editore • Prezzo: 14 euro

Regeni

Non c’e stata

la gentilezza delle domande,

dal lato giusto –

Volevano sapere

L’inosata ragione del male

Sarebbe bastato uno specchio

Ma io non ero in quello specchio,

Ora sono in frantumi –

Io o loro?

O questo mondo stupido?

LA POESIA

7merQurio numero 1 • Giugno 2016

IL PUNTO

La sconfitta elettorale che si è ap-pena consumata ha segnato du-ramente il Partito democratico ela sua classe dirigente, ma credo

possa anche essere un’occasione di rina-scita se sapremo trasformare i tanti erroricommessi in occasioni di confronto de-mocratico.È STATA UNA BATTAGLIA MOLTO DIFFICILE,

che spesso abbiamo combattuto in condi-zioni di grande difficoltà, con la forza deisingoli candidati sia al Comune che nelleMunicipalità, pagando in modo inequivoca-bile lo scollamento in città con l’opinionepubblica. E’ giunto il momento di guardarsiin faccia e dirsi la verità sui motivi di unamorte annunciata. UNA TALE DISFATTA, infatti, è sintomo di

una malattia ben più grave e ahimè concla-matasi da tempo, ma che in troppi hannofinto di non vedere, voltando lo sguardodall’altra parte. In questi ultimi cinque anniabbiamo fatto l’errore, tra gli altri, di nonrappresentare chiaramente la nostra posi-zione in consiglio comunale e, soprattutto,di non preparare una candidatura alterna-tiva, riconosciuta dalla nostra gente. Tutti glierrori di questi ultimi mesi, dunque, a par-tire dalle modalità di scelta del candidato Pdalle primarie alla composizione delle liste,dalla scelta delle alleanze alla mancanza diun chiaro programma di governo della cittàda parte del nostro partito, hanno determi-nato questa pesante sconfitta.PAGHIAMO, SENZA DUBBIO, LA DEBOLEZZA

del Pd napoletano e la poca autonomia diquesto gruppo dirigente rispetto a sceltefatte altrove e subite senza fiatare. Ma so-prattutto si è dimostrata una scelta disa-strosa il decidere, da parte del candidato asindaco e del gruppo dirigente, di allargarela coalizione a destra, perdendo il sostegnodi una parte rilevante del nostro elettorato.Quanti voti ci ha portato stringere un pattocon Verdini e D’Anna, che hanno fatto ditutto per isolarci con una buona fetta della

nostra base? E dove si è deciso di stipularequeste nefaste alleanze? ORA È IL MOMENTO DI FARE una seria ana-

lisi critica e di aprire una discussione largaall’interno del nostro partito, coinvolgendoi nostri iscritti, cercando di capire cosa nonha funzionato, dicendosi con chiarezza lecose in faccia e studiando una soluzione cheparta dal territorio. Per questi motivi è ne-cessario convocare al più presto un con-gresso straordinario in grado di ridiscuterela linea del partito a Napoli senza ingerenze.A MIO AVVISO LA SOLUZIONE ai nostri pro-

blemi non è un commissariamento decisodall’alto, bensì un’assunzione di responsabi-lità dell’intero gruppo dirigente del partitoche rimetta al centro della discussione lalinea politica, il programma e le alleanze perfar sì che il Partito democratico napoletanotorni ad essere in città il punto di riferimentodella sinistra di governo. I NOSTRI MILITANTI ED ELETTORI ci chie-

dono di poter avere voce in capitolo, di di-scutere la linea del partito che deve tornaread essere di tutti e per far ciò ogni decisionedeve essere discussa e condivisa, non impo-sta. Dovremmo far tesoro di questa sconfittae lavorare perché possa significare una rina-scita e non la fine del Pd. Per questo dob-biamo lavorare affinché si faccia al piùpresto un congresso, che è l’unico modoper evitare l’estinzione del Pd, pericolo con-creto, considerato quanta parte del nostroelettorato ci ha già abbandonato.INFINE, VOGLIO DIRLO CON CHIAREZZA,

senza tatticismi e tentennamenti: io al bal-lottaggio sosterrò il candidato di sinistraLuigi de Magistris e metteremo tutte le no-stre forze per impedire che la destra possagovernare la città di Napoli. E lo faremo,come al nostro solito, con forza e convin-zione senza risparmiarci e impegnandoci di-rettamente, mettendoci la faccia.//

*Consigliere regionale Pd in Campania

E ora si faccia il congresso Troppi gli errori per una sconfitta annunciata

i nostri elettori e militanti ci chiedono di discutere la linea del partito dal basso

Al ballottaggio, tutti con il candidato di sinistra

Gianluca Daniele*

Il più contento, almeno intima-mente, sul piano personale, del-l’esito delle elezioni comunali aNapoli forse è stato il prefettoMario Morcone. Il suo nome, dal

2011 a domenica 5 giugno 2016, èstato sinonimo di flop elettorale, unesempio così spesso utilizzato che si èrischiato l’inserimento del verbo “mor-conare” nei dizionari, con il significatodi “perdere rovinosamente”.

Vittima di colpe non sue (fu chiamatoa governare una barca che faceva acquada tutte le parti), oggi può uscire discena perché il Pd gli ha restituito la“dignità” che gli aveva sottratto 5 annifa, collezionando un risultato ancorapeggiore. Se è vero, infatti, che il pre-fetto, come candidato a sindaco di Na-poli, prese il 19,15%, contro il 21,13%

della Valente, è altrettanto vero che invoti assoluti Morcone ne raccolse oltre4mila in più. Nel 2011, inoltre, il Pd –

che a livello nazionale viaggiava su nu-meri più bassi di quelli di oggi – preseil 16,59% (pari a 68.018 voti assoluti),mentre oggi solo l’11,63% (pari a43.790, più di un terzo dei voti inmeno).

Bisogna, inoltre, ricordare che Mor-cone non è un politico, e la Valente èuna deputata, coordinatrice in Cam-pania della corrente Rifare l’Italia chefa capo al ministro Orlando e al presi-dente del partito Orfini, e che Morcone –dopo gli strascichi delle cruente primarieCozzolino-Ranieri – fu sostanzialmenteabbandonato da tutti in campagna elet-torale, mentre la Valente è stata con-fortata dalla presenza in città di nume-rosi ministri, e dal presidente del Con-siglio in persona, che è venuto a Napolipiù volte, sia in manifestazioni elettorali,

8

Elettori democratici in fugail flop Valente peggio di MorconeA de Magistris un terzo dei voti in più di cinque anni fanonostante una bassa affluenza e un M5s in ascesa sul 2011

Antonio Vastarelli

merQurio numero 1 • Giugno 2016

Valeria Valente

sia per annunciare finanziamenti perquesto o quel progetto a favore del ca-poluogo campano. Un traino di cuiMorcone non poté godere, visto chenel 2011 al governo c’era il centrodestracon Berlusconi, che spinse in alto Lettieriil quale si aggiudicò infatti il primoturno conquistando il 38,52%, pari a179.575 voti.

Domenica 5 giugno Lettieri, pur ac-cedendo al ballottaggio, ha raccoltosolo 96.961 voti (il 24,04%), quasi lametà di 5 anni fa, ma la Valente, nono-stante l’inserimento nella sua coalizionedi liste e nomi provenienti dalla destra(in particolare di Ala, ma anche di tanticandidati nelle civiche), non riesce aintercettare il voto moderato in fugada Forza Italia. La lista di Verdini porta,infatti, in dote poco più di 5mila voti(l’1,41%), l’Udc circa 4mila (1,09). E sipuò continuare a scendere, coriandoloper coriandolo, fino ad arrivare allalista che univa liberali e repubblicani,che raccoglie “ben” 701 voti (lo 0,18).

E’ la sconfitta dello schema Renzi, se-condo il quale per vincere bisogna ta-gliare a sinistra per recuperare a destra.Uno schema che sembra non aver fun-zionato nemmeno a Milano, dove avevapiù chance. Figurarsi se poteva darefrutti in una città come Napoli che sto-ricamente ha un forte e nutrito elettoratodi sinistra e un consistente voto di opi-nione, che spesso stupisce per le suescelte. Una sconfitta certificata dai dati,che vedono de Magistris largamenteavanti al primo turno e favoritissimoper il ballottaggio. In pratica, nella rin-corsa ai moderati, il Pd si è perso unafetta enorme del suo elettorato.

A chi eroicamente sostiene che ilcalo del numero dei voti assoluti con-quistati dalla Valente e dal Pd rispetto

a 5 anni fa dipenda non tanto dallafuga degli elettori verso de Magistrisquanto dall’astensionismo, sono semprei numeri a rispondere. Innanzitutto,l’affluenza al voto, sebbene in calo,non è così differente rispetto al 2011: aNapoli si è passati infatti dal 60,32% al54,11%, ma 6 punti in meno sembranofisiologici se si tiene conto del fattoche 5 anni fa si votava in due giorni,che le elezioni erano a maggio e non agiugno (mese in cui è più facile cederealla tentazione del weekend a mare) eche la giornata elettorale appena tra-scorsa era incapsulata in un lungoponte festivo. Inoltre, nonostante ilcalo degli elettori, c’è chi, come de Ma-gistris e come lo stesso Movimento 5stelle, guadagna molti voti rispetto allaprecedente tornata.

Il pentastellato Matteo Brambilla,ad esempio, conquista il 9,63%: un ri-sultato modesto se confrontato conquello del M5s delle politiche e con gliattuali sondaggi, in cui il movimentodi Grillo intercetta il gradimento di unquarto degli italiani, ma molto superiorerispetto alle comunali del 2011 quandoil candidato a sindaco Roberto Fico sifermò all’1,38%. In 5 anni, quindi, incittà il M5s passa da 6.441 preferenze aquasi 39mila: in voti assoluti è più disei volte tanto. Voti anti-sistema che,teoricamente, avrebbero dovuto arrivaredal bacino di de Magistris. Eppure, ilsindaco uscente, rispetto a 5 anni fa,malgrado l’inferiore affluenza al voto eun Movimento 5 stelle di gran lungapiù forte, non cala in numero di votiassoluti, anzi ne raccoglie oltre un terzoin più passando da 128.303 a 172.710.Appare, quindi, ancora una volta evi-

dente che una larga fetta dell’elettoratodel Partito democratico ha scelto divotare non per la Valente ma per deMagistris, non ritenendo adeguata laproposta elettorale del proprio partito.

Non è un caso, infatti, che il primopartito a Napoli sia una lista civica,quella “de Magistris sindaco” che tota-lizza il 13,79% (pari a quasi 52milavoti), triplicando il risultato della listacivica che supportò lo stesso ex pm nel2011 (allora si chiamava “Napoli ètua”), che si fermò al 4,61% (poco piùdi 18mila voti). Il fenomeno delle listeciviche, tradizionalmente presente so-prattutto nei piccoli comuni, è moltointeressante nella dinamica napoletanaperché è stato lo strumento che haconsentito al sindaco uscente di tra-ghettare il voto dei delusi del centrosi-nistra, e del Pd in particolare, su di sé,senza obbligare questi elettori a soste-nere un partito tradizionale, cosa cheavrebbe reso più difficile spostare voti.

D’altronde, quella della centralità

delle liste civiche è la tecnica che il go-vernatore De Luca ha adottato da sem-pre a Salerno, costruendo il suo con-senso plebiscitario che oggi è addiritturain grado di spostare su un altro candi-dato. Vincenzo Napoli è stato infattieletto sindaco di Salerno al primo turnocon il 70% dei voti in una coalizionein cui, è bene ricordarlo, il simbolo delPartito democratico non c’era.

Un altro dato interessante, infine, èquello dei quartieri: a Napoli, così comea Milano, e soprattutto a Roma, il Pdha un tracollo soprattutto nelle periferie,mentre cala meno al centro e nellezone più agiate: un dato preoccupanteper un partito di sinistra. Un dato chedovrebbe consigliare una veloce e nettacorrezione della rotta.//

L’ANALISI

9merQurio numero 1 • Giugno 2016

Il primo partitoè una lista civicae il tracollo del Pdè più fortenelle periferie:un fenomenopreoccupanteche accomuna Napoli a Milanoe soprattutto a Roma

Gianni Lettieri Matteo Brambilla

Le elezioni amministrative nonsono andate bene per il Pd.Sia pure con dati diversi perterritori e candidati, le listedel Pd hanno perso voti. Una

parte di questi voti è finita nell’asten-sionismo, un’altra nel voto di protesta.Gli stessi ballottaggi nelle grandi cittàappaiono problematici. Perfino Milanoè tornata in bilico. Una riflessione seriaandrà fatta dopo i ballottaggi quandotutto sarà chiaro, ma è evidente find’ora che il segnale di allarme è statodato e che bisogna tenerne conto.

A Napoli le cose sono andate male,molto male. In numeri assoluti di votiespressi, mai il Pd era sceso a questi li-velli: siamo fuori dal ballottaggio e ap-paiamo i veri sconfitti del voto.

L’unica cosa che non si può fare aquesto punto è sottovalutare il dato,pena la stessa prospettiva del Pd incittà. Pensare che tutto sia riconducibilesolo agli errori fatti negli ultimi sei

mesi non va bene. Sicuramente pesanoaltrettanto gli errori degli ultimi 5 anni.Ma il dato resta.

Bisogna dunque voltare pagina. Maper farlo davvero occorre evitare im-posizioni dall’alto. Bisogna ripartire dauna discussione e da un confronto dafare con rigore e aprendosi alla città:non per una resa dei conti senza senso,visto il punto a cui siamo arrivati, maper cambiare linea politica e ricostruireil partito del centrosinistra a Napoli. Apartire dalle persone, dai votanti, daisimpatizzanti, dai nostri militanti.

Per questo penso che non sia utile lanomina di un commissario. In questecondizioni non so proprio a che cosapotrebbe servire. Senza contare che,come dimostra anche il caso di Roma,non sempre un commissario riesce arisolvere problemi di questa profondità.

Piuttosto, sarebbe utile dare il vialibera nel più breve tempo possibile aun vero congresso del Pd a Napoli. Un

processo da avviare aprendosi alla città,un percorso in cui ridare la parola aicittadini ed evitare che i prossimi mesie anni siano segnati da modesti posi-zionamenti di potere che sono l’effettodi un partito che ha smarrito una pro-spettiva comune ed una comune soli-darietà.

Da qui bisogna ripartire: dalla rico-struzione di una comunità progressista,che sappia trovare in se stessa la forzae la volontà per riprendere il camminodi risanamento e rilancio di quellastraordinaria città che è Napoli. Nonfarlo significherebbe cancellare un pun-to basilare di riferimento per coloroche intendono impegnarsi nel campodemocratico e lasciar morire d’asfissiail Pd, l’unica forza politica in grado dirimettere davvero in moto la speranzaa Napoli.//

*Presidente commissione Attività produttivedella Camera dei deputati

10

Il Pd unica speranza per Napoli ma ora deve aprirsi alla cittàEvitare imposizioni dall’alto: un commissario non servediscutiamo con i cittadini per ricostruire una comunità

Guglielmo Epifani*

merQurio numero 1 • Giugno 2016

11merQurio numero 1 • Giugno 2016

L e esperienze di commissaria-mento politico a Napoli sonostate storicamente improdut-tive di effetti e, in parte, sono

all’origine stessa dell’attuale crisi delPd napoletano.

Quella del 1993 fu una violenta“discontinuità” con le prime espe-rienze di governo del Pci (altro che“rottamazione”). Negli anni succes-sivi è prevalso un modelloleaderista-dirigista del tutto estraneoalle culture democratiche. In queglianni si è radicata l’infelice prassi diconfondere la Politica con l’Ammini-strazione. E’ vero, si è trattato di starein campo in un’epoca difficile in cuiha dominato il modello craxian-ber-lusconiano, ma quel modello è inpalese crisi di efficacia, serve andareoltre.

Nelle esperienze più recenti mi èparso che l’opera dei Commissari sisia limitata a cercare di mettere“ordine in un condominio litigioso”e, forse, nel peggiore dei modi:accontentando ogni piccolo interesseparticolaristico. Col timore di “per-dere i voti” si è finiti con il perdere lafaccia.

Il ventilato commissariamento delPd napoletano è uno schiaffo chebrucia persino a me che non sonoiscritto. Se proprio si vuole aiutare ilPartito democratico in difficoltà, siprovi almeno a mettere alcuni palettiutili ad avviare un processo di radi-cale e profondo cambiamento diquelle prassi che ne hanno causato ildisastro. Ne propongo alcuni, almenoper ragionare su COSA fare e COMEsi potrebbe fare.

1. Azzerare il tesseramento. Rige-nerare una base associativa meno“militarizzata” e litigiosa; più pro-pensa a costruire coesione intorno aprincipi, valori e AZIONI di cambia-mento che il Partito democratico nonriesce a sviluppare a Napoli, sempli-cemente perché non ne discute.2. Mobilitare e rendere protagoni-

sti, in tale processo, la passione el’entusiasmo dei Giovani democra-tici, liberandoli da opprimenticondizionamenti di metodi faziosi,conflittuali e dispersivi che ostaco-lano le loro opportunità di crescita ebruciano energie vitali.3. Convocare un Congresso straor-

dinario della nuova base associativa,aperto ai “cittadini operosi” chevogliano contribuire a rigenerare ilPartito democratico nel solco dellemigliori culture riformatrici alle qualisi riferisce l’ambizioso progetto origi-nario del Pd.4. Stabilire un tempo certo entro

cui fare tutto ciò, potrebbero bastaretre mesi di lavoro dedicato esclusiva-mente a questo.

Sono testimone diretto che aNapoli c’è una forte “domanda” diPartito democratico, è una domandaa tratti disperata di tanti elettori emilitanti che continuano seminarefiducia e a raccogliere delusioni.

Se proprio si ritiene necessario,ben venga il Commissario, ma che siauno capace di stimolare un moto diintelligenza collettiva. L’intelligenzaè una risorsa che a Napoli nonmanca, bisogna solo smetterla disprecarla in conflitti tra fazioni,dispute verbali interminabili e incon-cludenti.

Diversamente il Pd muore dientropia, distrugge le speranze ditanti che, suo malgrado, continuanoa sperare di poter appartenere ungiorno ad una solida e affidabilecomunità di riformatori. //

Commissari spesso improduttivimeglio azzerare il tesseramentoe ricominciare da un congresso

C’è voglia di Pd, ma manca la fiduciasi rendano protagonisti i giovaniOsvaldo Cammarota

L’ANALISI

Bisogna aprirsicon nuove iscrizioniai “cittadini operosi”che voglionocontribuire a rigenerareil Partito democraticonel solco delle miglioriculture riformatrici

Possibile che non si possa ria-prire, su alcune proposte pro-grammatiche nell’interesse diNapoli, un filo di dialogo trail Pd e de Magistris?» A chie-

derselo, commentando l’esito del primoturno delle elezioni comunali, è NinoDaniele, tra i maggiori esponenti napo-letani del Pci-Pds-Ds e poi dell’Ulivo,oggi assessore alla Cultura della giuntade Magistris. «La scheda bianca – ag-giunge – sembra davvero una bandierabianca.�Così come alcune spinte a soste-nere Lettieri. Indifferenza tra destra e si-nistra?�Così ragiona un partito del So-cialismo europeo a Napoli, la città diFrancesco De Martino e Gerardo Chia-romonte?», si chiede.

Daniele, il sindaco de Magistris ot-tiene un ottimo risultato al primo tur-no: è solo frutto di un giudizio positivosull’azione della giunta (di cui lei faparte) o c’è anche un dato politicoche andrebbe analizzato?

«Il risultato di de Magistris al primoturno è straordinario, se pensiamo allecondizioni in cui è stato conseguito.Come giustamente lo stesso sindaco af-ferma, però, non abbiamo ancora vintonulla ed il ballottaggio è un’altra elezione.Nel contempo, meglio possiamo com-prendere la portata di quello che è giàaccaduto, se guardiamo al principalesconfitto: il Pd.�È la natura della campagnaelettorale condotta dal Partito democraticoche dà rilievo nazionale al risultato di deMagistris. Il Pd ha provato a colmare losradicamento e l’estraneità dalla cittàche lo segnano da molti anni con lascorciatoia della funzione di governo na-zionale e l’impegno elettorale diretto di

Renzi e dei ministri, a cui si è dovutoadattare anche De Luca. C’era un discorsoumiliante per Napoli, ma soprattutto peri dirigenti locali del Pd, in questo brutalemessaggio. Se volete le risorse, allineatevialla maggioranza di governo. Noi siamole interposte persone che possono ga-rantire questo, quindi ci dovete sceglierecome governo della città. Sceglierci nonperché siamo portatori di un progetto edi una visione di Napoli e del suo ruolo,una classe dirigente credibile ed autono-ma, ma perché siamo i nuovi garanti eprotettori. Qualcosa di molto vecchio.Da vecchio pentapartito. Altro che Valenzio i primi anni di Bassolino. La negazionedel dettato e di fondamentali principicostituzionali, che fanno obbligo alleistituzioni di una leale cooperazione.Altro che visione proprietaria delle isti-tuzioni stesse e delle risorse pubbliche,

altro che una sorta di condanna ad unaservitù volontaria. Un destino minore eprovinciale, ma anche irrealistico».Il Pd sembra barcollare soprat-

tutto nelle regioni del Sud: comese lo spiega?

«Fino ad ora, le politiche del governohanno penalizzato il Sud in maniera in-sostenibile. In questioni vitali come l’istru-zione, la formazione, l’università e la ri-cerca. La Svimez ci ha tragicamente ri-cordato che il Pil del Mezzogiorno è in-feriore a quello della Grecia. Niente diadeguato è intervenuto di fronte ad uncosì angosciante scenario, e la migrazioneintellettuale, sempre più, ci impoveriscenel patrimonio più prezioso: quello deltalento dei nostri giovani. De Magistrisha travolto questa narrazione suscitandoidentità e fierezza.�Ha stimolato e fattovivere in modi originali ed innovativi

12

«Indifferenza tra destra e sinistra:così ragiona un partito socialista?»L’assessore Daniele: riaprire il dialogo su alcune propostetante personalità vicine al Pd ora guardano a de Magistris

Antonio Vastarelli

merQurio numero 1 • Giugno 2016

una consapevolezza del ruolo che Napolipoteva riprendersi nel Mediterraneo edin Europa, facendo forza dei punti piùalti del suo retaggio culturale. Napolinon più come un problema per il Paesema come una grande opportunità perl’Italia.�Il valore delle differenze e millecomunità creative, soprattutto giovanili,oltre le passioni tristi. Un discorso an-tiautoritario ma anche responsabile. Unmetodo nuovo di cui “il sindaco distrada” è stata l’esemplificazione. Schemimentali ed interpretativi e barriere erecinti scardinati. Nella pars destruens c’èsicuramente una lettura critica e opposi-tiva alla globalizzazione guidata dalla fi-nanziarizzazione dell’economia ed allatenebrosa ideologia neoliberista. Ma nellapars costruens c’è stata forte e determinatala convinzione a suscitare germi di unneoumanesimo ricostruttivo del sensodi comunità e socialmente operoso. Itanto irrisi e deprecati, da alcuni circoliintellettuali o dai benpensanti arroccatialle loro commodities tranquillizzanti,“beni comuni”. Tumultuosamente, cao-ticamente a volte? Certo. Ma più frut-tuosamente di pigrizie e conservatorismisterili e retrivi».Il candidato del Pd a Napoli, Valente,

non va al ballottaggio e la lista prendemeno del 12%. Lei è stato un autorevoleesponente del Pci e poi ulivista: a cosaattribuisce questo crollo del Partitodemocratico in una città che ha unalunghissima tradizione di giunte dicentrosinistra?

«In parte credo di avere già risposto aquesto interrogativo. Il Pd ha governatoNapoli per un ventennio. Dai primi anni’90 al 2011. Altre città europee neglistessi lunghi anni hanno conosciuto unoo anche due cicli di profonde trasforma-zioni urbanistiche e produttive, ritaglian-dosi nuove funzioni nella competizionetra territori. Napoli è stata immobile esegni evidenti di un lungo declino e pro-gressiva marginalizzazione sono poi sfo-ciati nella emergenza rifiuti che avevafiaccato e avvilito ogni residua energia evolontà. Derisi nel mondo e disperati. Iprodotti della filiera enogastronomicanostro vanto e peculiarità evitati comela peste. La città cancellata dalle rotte tu-ristiche. La camorra imprenditrice e deicolletti bianchi dilagante e condizionantesfere dell’economia e della politica. Trovofrustrante il fatto che vorrebbero con-vincerci che dovremmo essere felici checi tolgono le ecoballe. Con i soldi ditutti i cittadini. Il Pd non ha mai fattoveramente i conti con questa vicenda.Non è stata certo solo una lunga e buia

notte. Non sarebbe serio raccontarla così.Ma neanche archiviarla, come è statofatto, con disinvoltura. Il Pd ha scelto lavia più semplice. Autoassolversi, scaricarelo stato difficile della città, su cui si ab-battevano anche le conseguenze dellacrisi globale, la più dura e drammaticadel dopoguerra, su de Magistris e sperare

di salvarsi la reputazione e riguadagnareconsensi arroccandosi all’opposizione.Ciò ha prodotto un rinsecchimento idealea cui non poteva supplire una meccanicaapplicazione ed un generico richiamo al“renzismo” come fonte di legittimazionee cooptazione. Si è pensato solo di bana-lizzare la spinta e l’urto che de Magistrisprovava a rappresentare. Un sempliceincidente dovuto ad errori momentanei.L’aspetto più preoccupante che segna ilPd napoletano è la sua abissale lontananzada ciò che si agita e vive tra le nuove ge-nerazioni. Non sembra più possedere ipensieri ed i linguaggi necessari per in-terrogarsi ed interrogare.�Solo così possospiegarmi una lettura della vicenda diNapoli tutta chiusa nei confini cittadini». La minoranza del Pd ha già esplici-

tamente dato indicazione di voto perde Magistris, altre componenti del par-tito sembrano, invece, tentate dall’ap-poggio a Lettieri. In che modo pensache il sindaco possa parlare al Pd e aisuoi elettori, per allargare il suo con-senso e rafforzare l’azione di governonel suo secondo mandato?

«In quest’ottica, stupiscono le reazionidi queste ore dopo lo scrutinio.�Possibileche non si possa conservare un nucleodi autonomia attiva?�Riaprire, solo su al-cune proposte programmatiche nell’in-teresse di Napoli, un filo di dialogo fermo

nelle differenze e netto nei contenuti,con il sindaco a cui pure fanno riferimentoraggruppamenti e personalità tradizio-nalmente o in altri contesti vicine al Pd?La scheda bianca sembra davvero unabandiera bianca.�Così come alcune spintea sostenere Lettieri. Davvero non ci sonopiù differenze ideali e di valori che deb-bano guidare le opzioni nelle alleanze?Indifferenza tra destra e sinistra? Cosìragiona a Napoli un partito del Socialismoeuropeo, che una volta aveva l’ambizionedi rinnovare la sinistra europea immiseritadi slanci ideali e subalterna al pensierounico? A Napoli, la città di Francesco DeMartino e Gerardo Chiaromonte?»Guardando anche ad altre città, da

queste elezioni emerge una crescentefragilità dei partiti, la cui centralità èsempre più insidiata da movimenti,liste civiche e leadership personalisti-che: quale prospettiva intravede, a me-dio termine, per la sinistra in Italia ein Europa?

«È evidente che dopo i ballottaggi siapre una discussione di fondo sull’Italia.E su una sinistra del tutto nuova. Se deMagistris sarà rieletto al ballottaggio, Na-poli sarà un caso di studio a livello euro-peo. Non un’anomalia né un laboratorio.Un punto di partenza per ricostruire lo“spirito italiano” delle cento città e deinuovi diritti. Napoli torna ad attrarre eparlare un linguaggio universale. Napoliè una città che ha immensi giacimentidi creatività. Non ha nulla da guadagnarein un sistema statuale piramidale e neo-centralistico, ma può ritrovare una fun-zione nell’essere uno snodo di reti dicittà in primo luogo regionale. C’è qual-cosa di attuale per un’Europa che nonvoglia disintegrarsi nelle spire della crisidello Stato- Nazione. Le città come spazioespressivo comune per le autonomie e lelibertà soggettive. Generazioni di giovanieuropei si stanno consumando senza undestino. La crisi drammatica della natalitàè segno che il modello di sviluppo è alsuo capolinea. La precarietà del lavorosegna una mutazione insostenibile. Ses-sualità e procreazione sono diacroniche.I giovani amano ma non possono co-struirsi una famiglia, avere una casa,mettere al mondo dei figli.�La civiltànasce per prendersi cura degli uomini esottrarli alla precarietà del tempo e deglispazi. Per rendere possibile organizzarela vita e dargli uno stabile ancoraggionella durata. E radici. E popoli. E nazioni.E culture. Da scambiare. Che è ciò cherende felici. La precarietà è anti umana.È una bestemmia. Cosa deve fare la sini-stra? Tantissimi bambini».//

L’INTERVISTA

13merQurio numero 1 • Giugno 2016

Nella cittàdi De Martinoe Chiaromonteil Partito democraticonon può alzarebandiera biancaastenendosial balllottaggioo addiritturasostenere Lettieri

14 merQurio numero 1 • Giugno 2016

uattro domande su Napolia tre sindacalisti: rispon-dono il segretario confede-rale Cgil Fabrizio Solari(commissario della Cameradel Lavoro metropolitanadi Napoli), il segretario Cisl

Campania Giampiero Tipaldi (coordinatorearea metropolitana) e il Responsabile UilCampania, Pier Paolo Bombardieri.

Quali priorità segnala al prossimo sin-daco di Napoli?Solari: «La priorità delle priorità resta il

lavoro: in particolare nel Mezzogiorno e aNapoli dove la creazione di posti di lavoroè la precondizione per poter pianificare ilfuturo. Certo servono scelte che riguardanoil governo centrale e l’Europa, ma ancheun’amministrazione locale può dare uncontributo importante assumendo questovincolo politico come baricentro dellapropria azione. I principali settori di inter-vento riguardano l’efficienza dei trasportipubblici, una corretta pianificazione delterritorio per aiutare gli insediamenti pro-duttivi e la difesa delle aree agricole rimaste,una rinnovata attenzione al sistema portualecome primaria infrastruttura strategica, ilmiglioramento dei servizi locali a partiredalla gestione differenziata dei rifiuti. Serveinoltre grande attenzione sul terreno delcontrasto alla camorra: la “cultura della le-galità” deve segnare tutte le azioni quotidianedel Comune, che potrebbe sostenere e sti-molare la rete dell’impegno civico, le infra-strutture scolastiche e la cultura. Infine,penso sia utile che la nuova amministrazionerientri nella Cabina di regia per Bagnoli pergarantire che la destinazione dell’area rispettile decisioni urbanistiche assunte». Tipaldi: «Le priorità sono: messa in si-

curezza dei conti del Comune e verifica delpiano di rientro per abbassare le tasse co-munali a carico dei cittadini, anche raffor-zando la lotta all’evasione fiscale; riforma

della macchina comunale per risponderemeglio alle esigenze dei cittadini, efficien-tandola; progetto per le periferie di recuperourbano, promozione della vivibilità delleperiferie passando per trasporti, evasionescolastica, pulizia del territorio; tavolo isti-tuzionale per la sicurezza del territorio».Bombardieri: «Napoli sta vivendo un

periodo favorevole dal punto di vista dellepresenze turistiche, nonostante servizi epulizia non siano ai massimi livelli. Pulizia,decoro urbano e accoglienza di qualità do-vrebbero essere le prime azioni da mettere

in campo in una città ad alta vocazione tu-ristica. Le persone scelgono questa straordi-naria città e, allora, mettiamole nella con-dizione di restarci a lungo e con piacere,creando le condizioni per farle ritornare.Napoli ha tutte le potenzialità e le premesseper diventare epicentro di una industria delturismo».

Un sindaco non può creare lavoro,ma può favorire la nascita di insediamentiproduttivi?Solari: “Il Comune può contribuire alla

ricostruzione di un clima di legalità cheaiuti a guardare avanti con fiducia, può or-ganizzare al meglio i servizi locali, digitalizzaree riorganizzare la pubblica amministrazione,adottare una politica della pianificazionedel territorio orientata allo sviluppo, investiresul turismo che, pur frenato dalla cattivastampa degli anni scorsi, può contare sutesori architettonici e naturali di bellezzainarrivabile. A Napoli non basta ammini-strare bene, requisito minimo che nonsempre è stato raggiunto, ma serve ancheavere l’ambizione e la capacità di far ri-nascere l’intera area”.Tipaldi: «Il sindaco deve favorire la co-

stituzione di un tavolo concertativo serio,dove tutti i soggetti coinvolti, tra cui sindacatoe mondo delle imprese, producano propostefattibili per creare le condizioni di appetibilitàper investimenti privati sul territorio. Co-struire anche percorsi virtuosi istituzionaliper attrarre finanziamenti e soprattutto farspendere realmente le risorse già stanziate,possibilmente in progetti concreti e non inopere virtuali ed inutili».Bombardieri: «Per rendere un territorio

attrattivo servono prima di tutto la sicurezzae le infrastrutture. Sono requisiti indispensabiliaffinché un’azienda, locale o straniera,decida di investire. Le persone, le merci, leidee e, quindi, la crescita di un territoriopassano per le sue strade, autostrade, per gliaeroporti, i porti, le ferrovie, le metropolitanefino alla banda larga. Chi investe, poi, vuoleche la propria attività venga tutelata perpoter crescere, quindi la sicurezza e ilcontrollo del territorio completano il binomionecessario per lo sviluppo. Napoli e il suohinterland da questo punto di vista hannoancora tanto da fare. La Uil Campania hacondotto diverse battaglie a favore della si-curezza dei territori, contro la camorra e

Legalità e lavoro le prioritàper rilanciare la città di NapoliI sindacalisti Solari (Cgil), Tipaldi (Cisl) e Bombardieri (Uil)presentano al prossimo sindaco la “lista dei desideri”

Ermenegilda Langella

Creare posti di lavoro precondizione perpianificare il futuro

”“

Q

Fabrizio Solari

IL FORUM

15merQurio numero 1 • Giugno 2016

ogni forma di sopruso e sopraffazioneche limitano la crescita di un tessuto ur-bano, sociale e culturale. Ci auguriamoche chiunque governi Napoli si rimbocchile maniche e guardi alle esigenze reali diquella che resta, tra luci ed ombre, laprima città del Sud».

Napoli ha un triste primato nazionalerispetto alla povertà. Come pensa che ilComune possa rafforzare il sistema diwelfare?Solari: “Le istituzioni locali, attraverso le

proprie associazioni di rappresentanza, do-vrebbero presentare un proprio progettoorganico di contrasto alla povertà e al-l’emarginazione, cercando di condizionarele scelte sul welfare che si vanno concretiz-zando a livello nazionale, che tendono adaccentuare la dimensione assicurativa inluogo di quella universale e solidaristica.Questo non aiuta a risolvere la situazionedi particolare sofferenza a cui facevo riferi-mento. Bisogna, in ogni caso, investire suldialogo istituzionale con la Regione e il go-verno, visto che la situazione locale nonpotrà essere affrontata con successo senzaun rilancio del ruolo del welfare anchecome elemento di redistribuzione equadella ricchezza”.Tipaldi: «Se il livello di povertà cresce

non è certo colpa dei sindaci. Certamente isindaci devono provare a spendere tutte lerisorse disponibili e possibilmente costruireun sistema virtuoso nel quale quelle pocherisorse possano attrarne altre. Purtroppo sideve anche scegliere quali sono le prioritànel welfare e per deciderlo si deve parlarecon le associazioni e le istituzioni che co-noscono bene il problema e non rincorrereesperienze non sempre positive dei decenni

precedenti. Coinvolgere seriamente il mondodel volontariato a partire da quello cattolico,molto presente in città, potrebbe moltiplicarel’effetto positivo di un intervento comunalesui problemi del welfare. Coinvolgere almenole strutture sanitarie, pibbliche e conven-zionate, per offrire servizi concreti, accessibili,funzionali ed aiutare anche ad abbattere leliste di attesa».Bombardieri: «La povertà è un fenomeno

complesso che investe la responsabilità dipiù soggetti, a partire dal governo, al qualela Uil ha chiesto interventi mirati. Spesso siparla di reddito di cittadinanza ma, innan-zitutto, alle famiglie povere servono serviziche rendano la loro vita migliore, la lorocondizione più dignitosa. Penso agli asili ealle scuole primarie per i bambini, magaripiù diffuse proprio in quei quartieri popolari,dove più numerose sono le famiglie conredditi bassi, dove è più diffuso un malesseresociale ed economico. Penso alle personeanziane che non sempre ricevono le cure el’assistenza adeguate, che spesso vivono insolitudine o in famiglie che non sono nellecondizioni di poterli aiutare. Ecco, qui do-vrebbe intervenire il Comune. Il sindacodovrà rendere migliore la qualità dellavita di tutti, ma in particolare di questisoggetti deboli».

Napoli vive una crisi della rappresen-tanza sia politica che sociale. In chemodo partiti e corpi intermedi possonorecuperare la fiducia dei cittadini?Solari: “La rappresentanza sociale deve

riprendere una capacità di dialogo con l’in-sieme dei cittadini napoletani. Questo com-porta una profonda riforma al suo internoche vale sul piano nazionale, ma che ètanto più necessaria in una città comeNapoli, dove la dimensione di “popolo” haavuto una sua peculiare espressione storicae non sempre in senso progressivo. La crisidei partiti è più complessa e difficile da ri-solvere in quanto la loro trasformazione incomitati elettorali ha determinato un vuotodi azione quotidiana di dimensione collettivache li espone fatalmente ad un eccesso dipersonalismo che qualche volta degenerasino alla corruzione. Questo allontana ulte-riormente la partecipazione dei cittadinialla costruzione delle scelte e così spesso cisi dimentica dell’interesse generale. La rap-presentanza sociale può contribuire a co-struire nuove risposte sul piano della rap-presentanza politica, innanzitutto facendobene il proprio lavoro, radicandosi di più,aprendosi sul piano della trasparenza dellapropria vita interna, rafforzando la rappre-sentanza sui luoghi di lavoro, includendo ipiù deboli attraverso l’azione contrattuale.In questo modo si può contribuire a rin-

novare la politica, il personale politico,le classi dirigenti». Tipaldi: «Non ho una soluzione al pro-

blema. Si dovrebbe partire dalla miglioreconoscenza dei problemi: scarsezza di risorsedisponibili, altissimo tasso di disoccupazionefemminile e giovanile, basso tasso di occu-pazione, un territorio con seri problemiambientali ed urbanistici, una sanità cheva male, un sistema trasporti sull’orlo delfallimento, e tanto altro. Se questi probleminon li conosci bene non li affronti conserietà e competenza. Se istituzioni, partiti,sindacati riusciranno a parlare di questo,invece di litigare, riusciranno a stare insiemeper affrontare il merito delle questioni,condividendo le priorità, allora potremoseriamente guardare con più fiducia edottimismo al futuro».Bombardieri: “È da tempo che i rapporti

tra politica ed istituzioni da un lato e citta-

dinanza dall’altra si sono incrinati, deter-minando la mancanza, sempre più marcata,di fiducia nei confronti di chi doveva rap-presentare le esigenze della popolazione.La crisi economica ed occupazionale hadato, poi, il colpo di grazia, perché vecchimodelli sono stati sradicati, si sono mostratifragili e inadeguati, di fronte alle nuoveproblematiche. Ricucire non è semplice,ma nemmeno impossibile. Si dovrebbe co-minciare ascoltando di più la cittadinanzae, soprattutto, facendo poca propaganda epiù fatti, in un’ottica più ampia di parteci-pazione e condivisione con tutti gli attoriinteressati alla crescita di Napoli. In talsenso, ci auguriamo che il nuovo sindacoabbia sempre il tempo e il buon senso diascoltare il mondo del lavoro».//

Scelte concertate conle parti sociali perattrarre investimenti

”“

Per far arrivare risorseservono sicurezzaed infrastrutture

”“

Giampiero Tipaldi

Pier Paolo Bombardieri

Nella storia dell’umanità cisono delle situazioni chefungono da discriminante,segno di un transito da unperiodo all’altro. Nell’era

in cui le trasformazioni sociali, economi-che, quindi politiche provocate da inte-razioni globali sconosciute, ma di straor-dinario interesse, sembrano contraddi-stinte da un’ineludibile complessità ana-litica, si verificano dei momenti capacidi assumere una valenza così paradigma-tica da consentire una comprensionetotale di alcune trasformazioni in atto. ALondra è avvenuto qualcosa di simile. Loscorso 5 maggio, Sadiq Khan diventa sin-daco. “Mayor for all Londoners” è lo slo-gan che ha caratterizzato la sua campagnaelettorale sin dalle primarie del 2015, chelo vedono stravincere contro personalitàfortissime appartenenti alla tradizione la-

burista, del calibro di David Lammy eTessa Jowell (ex ministra dei governi Blaire Brown). Un motto che sa tanto di “frasefatta” da campagna elettorale, ma che,in realtà, sintetizza benissimo la suacultura politica e la sua storia personale.Khan è figlio di immigrati pakistani, cre-sciuto nella periferia di Londra e di fedemusulmana. Una persona che da ultimodegli ultimi, diventa primo cittadino, fa-cendo soccombere alle elezioni comunaliZac Goldismith, conservatore, figlio disir James, finanziere ed ebreo. Un’impresastorica.

Solo a Londra può andare in scenauno show del genere. Una città storica-mente divisa in classi sociali, ma capacedi sviluppare, nello stesso tempo, un mo-dello di coesione sociale invidiabile nelmondo. La Old London che accetta senzariserve il melting pot cosmopolita. La ca-

pitale UK sperimenta da anni la convi-venza culturale. Da questo punto di vista,a differenza del resto del Paese, la Cityrappresenta un luogo a sé stante. E conquesta chiave di lettura può essere inter-pretato il “we hung on” di Corbyn, com-mentando i risultati elettorali di Scozia,Galles ed Irlanda del Nord. Oltre il Tamigigli elettori si sarebbero lasciati condizio-nare, o addirittura spaventare, da candidaticon le caratteristiche di Khan. Mentre aLondra tutto scorre normalmente, nelresto d’Europa si parla di “snaturamento”o “estremismo”. In Italia, c’è chi addiritturaè caduto nel banale parodosso-Houelle-becq. Lo scrittore francese, nel suo libro“Sottomissione”, immagina un musul-mano all’Eliseo, sostenuto dalle forze re-pubblicane al fine di bloccare l’avanzatadei partiti nazionalisti e xenofobi. Pas-saggio che precede una conversione elet-

16

Speranza Khan e incubo BrexitLondra bivio dell’EuropaGli inglesi scommettono su un sindaco islamico di sinistra ma la destra populista brandisce il referendum anti-Ue

Vincenzo Pugliese

merQurio numero 1 • Giugno 2016

torale alla “fratellanza musulmana” ed unaislamizzazione della società per comoditàindividuale o omologazione sociale. Unarealtà romanzata, appunto. Ed improponibileè ogni accostamento, seppur parziale, allastraordinaria esperienza londinese.

Che storia è quella di Sadiq Khan? È lastoria di ciò che la capitale d’Europa,Londra, è stata e sarà: multicolore, tolle-rante, laica, liberale, democratica votataal progresso ed all’incrocio di razze, inmaniera molto più intensa rispetto adaltre città nel mondo. Da queste basi sisviluppa un concetto straordinariamentepiù importante rispetto a quello politico-partitico. È un messaggio di speranza peri musulmani d’Europa: l’islam occidentaleè possibile. La tragedia di Molenbeek èl’ennesima prova del fatto che una largaparte del mondo islamico europeo non èintegrato. Né un italiano, né un franceseo un belga, permetterebbe mai la costru-zione di una moschea con fondi pubblici.Questo scontro tra ostilità produce terro-rismo e xenofobia. L’elezione del primosindaco musulmano d’Europa rappresentauna risposta importante al propagarsidegli estremismi ed un passo in avantiverso il concepimento di un islam mo-derato e antifondamentalista.

Il voto alle amministrative segna ancheil trapasso dall’era di Boris Johnson. L’ultraconservatore però non è uscito ancora discena: si è intestato la battaglia per laBrexit, diventando capo in pectore deglieuroscettici. Il cambio di casacca è statosegnato da un civilissimo scambio di au-guri. Si è passati dalle accuse di integrali-smo islamico della vigilia elettorale aimigliori auspici di “ogni possibile suc-cesso”. Battute di un copione che siripete da secoli a dimostrazione dellostorico primato della stabilità politica. Lasolidità di un Paese si misura anche dallastabilità del proprio sistema politico.Votare a Londra, innanzitutto, è semplice.Mentre uno studente fuorisede italianoin Italia incontra difficoltà a votare adun referendum, nella City può scegliereil proprio rappresentante nella LondonAssembly. O addirittura essere candidatoin uno dei 14 collegi dell’Assemblea dellaGreater London Authority, come è acca-duto ad Ivana Bartoletti, scelta dal LabourParty, che per un pugno di voti non si èaggiudicata il seggio di Havering andRedbridge. La stabilità politica si vedeanche dalla sobrietà della campagna elet-torale. In questi giorni, nelle città italianechiamate al voto per scegliere i proprisindaci, campeggiano ad ogni angolo distrada manifesti giganti con i volti deicandidati o slogan ad effetto. A Londra,

girando la città, non si vedono attacchinifuorilegge, né manifesti “azzeccati” neiposti più improbabili, ma semplici lo-candine colorate, prodotte dall’ammini-strazione pubblica, apposte nelle edicoledella Tube che invitano a “have yoursay”. Mentre i candidati si dedicano adincontrare gli elettori attraverso l’infallibile

metodo del “porta a porta” o contattotelefonico. Modalità, queste ultime, efficacianche nell’osservazione degli orientamentipolitici delle persone. Infatti, i sondaggiinglesi non vengono quasi mai smentiti.

Questo corollario include anche quelfenomeno di contrasto di idee ed interessi,tout court, definibile con l’espressione“battaglia politica”. Da questo punto divista, la lezione che proviene dal RegnoUnito, non è delle migliori. Alle elezioniamministrative l’ennesimo allarme chepreoccupa le cancellerie di mezzo mondo,rappresentato dalla Brexit, non è risultatoun argomento decisivo. Infatti la propa-ganda del candidato conservatore Goldi-smith, incentrata per lo più sul “leave” èrisultata soccombente. Per fortuna glielettori londinesi non hanno inteso fal-sificare la campagna elettorale, parteci-pando allo scontro interno al partito con-servatore tra David Cameron e Boris Joh-nson. Il referendum sull’uscita della GranBretagna dall’Unione Europea è il risultatodi una vera e propria “battaglia politica”interna ai conservatori, sussunta in unoschema politico internazionale, sulla qualeaddirittura il Presidente degli Stati Unitid’America si è dovuto pronunciare. Lamiccia Brexit, infatti, è stata accesa primadelle elezioni parlamentari, nel 2013, daCameron per convincere il suo elettoratoe parte del suo partito ad affidargli un

mandato pieno, quindi liberarlo dalla fa-ticosa coabitazione con i lib dem. Aseguito di quella consultazione, nel 2015il plenipotenziario premier mantiene l’im-pegno, indicendo il referendum, convintodi poterne orientare l’esito.

Quali sono le conseguenze di questa in-sensata drammatizzazione politica? Circa iltema della sicurezza, lo stesso Cameron,schierato per l’“IN”, parla di pace a rischio.Sostiene questa tesi anche Peter Carrington,l’ultimo esponente in vita del governoChurcill, affermando che “la Brexit inde-bolirebbe la Nato ed aiuterebbe i nemicidell’Occidente”. Per quanto riguarda gli sce-nari economici futuri, secondo un sondaggiodel Financial Times su cento economistiintervistati, oltre tre quarti crede che l’uscitadalla Ue avrà conseguenze negative sulleprospettive economiche del Regno Unitonel breve termine. E, allargando l’orizzonteagli altri Paesi europei, in molti sostengonoche a farne per primi le spese maggiori sa-rebbero proprio gli Stati meridionali. E poic’è l’aspetto politico. L’uscita britannica,stimolerebbe gli euroscettici in tutto il con-tinente ad elaborare altre “exit options”.Contemporaneamente, i capi di governoeuropei sarebbero più restii ad attuare poli-tiche impopolari che assicurano benefici alungo termine. Gli ultimi disordini andatiin scena in Francia, riguardo a tali politiche,per le riforme del mercato del lavoro, si ri-produrrebbero ovunque.

Cameron verrà ricordato come l’em-blema dei leader del nostro tempo. Politiciincapaci di misurare in maniera prevedibilegli effetti delle loro scelte. Capipopoloconcentrati al calcolo del consenso elet-torale nel breve periodo, giustificabilecon l’idea machiavellica del potere. Il pa-radosso storico che spiega l’ascesa dellaprotesta populista e la perdita di fiducianelle istituzioni europee è proprio questo.All’apparenza il teatrino della politica ab-bonda di personalità capaci di comunicarei sentimenti dei cittadini, in maniera im-mediata e con messaggi alla portata ditutti. Ma in realtà non sono altro chepersone dotate di grande presenza scenicaed evidente incapacità dialettica.

I padri fondatori dell’Europa avevanotratti personali e caratteristiche politicheche sembrano mancare alla maggior partedegli attuali governanti. Proprio coloroche stanno assumendosi la responsabilitàdi far morire l’Europa. Sadiq Khan ha di-mostrato di avere il giusto coraggio per-sonale per sfidare i nazionalismi e ritrovarela fiducia nella democrazia europea. In-gredienti utili a far fermentare quel co-raggio collettivo necessario per cambiareverso alla storia.//

IL REPORTAGE

17merQurio numero 1 • Giugno 2016

Un primo cittadinomusulmano: poteva succedere soloin questa città storicamente divisa in classi sociali macapace di sviluppareun modellodi coesione socialeinvidiabile nel mondo

merQurio numero 1 • Giugno 2016

Dino Falconio

Contro il pan-penalismo imperante servono ricette nuoveper rendere più equo ed efficiente l’ordinamento giuridico

Tre idee per il programmadi una sinistra davvero riformista

18

Al seminario della SinistraRiformista, la componentedel Pd che ha come leaderl’ex capogruppo della Ca-mera Roberto Speranza, ho

partecipato ai lavori del tavolo tematicodedicato alla “legalità”, coordinato dallaSenatrice Lucrezia Ricchiuti. In quellaoccasione ho espresso alcune idee sul-l’impostazione data al seminario nelquale erano state poste al centro trequestioni: corruzione, beni confiscatialle mafie e prescrizione penale. Riportoqui alcune proposte che ho avanzato,sperando possano stimolare il dibattitoall’interno del partito.

È ORA DI ANDARE OLTREIL PAN-PENALISMO IMPERANTE

Mi è bastata questa introduzione perveicolare un concetto che vado sostenendoda anni e che fatica a entrare nel lessicopolitico e - probabilmente - anche nel-l’immaginario collettivo: la legalità nonpuò e non deve essere una condizionedettata prioritariamente dal diritto penalee dalla sua dimensione giudiziaria delprocesso penale. Un tempo coniai l’espres-sione “pan-penalismo imperante” per se-gnalare la disattenzione verso altri settoridell’ordinamento giuridico che dovrebberoconcorrere ben prima dell’espressione cri-minale a fondare il corretto andamentodell’ordinamento giuridico.

Se fossero forti le istituzioni di dirittocivile, amministrativo, bancario, societarioe oggi più che mai di di diritto interna-zionale (pubblico e privato), l’incidenzadel diritto penale si restringerebbe e iltasso di delinquenza sarebbe inferiore.Invece sono anni che assistiamo a unaipertrofia del diritto penale, che appare

la soluzione più comoda e altisonante dadare in pasto all’opinione pubblica pertacitare i suoi istinti – si badi, dico “istinti”nel senso primordiale – di giustizia davantia fenomeni eclatanti di allarme sociale.Non c’è nessuna scorciatoia più facile delgridare: “Occorono sanzioni più aspre,pene esemplari”. Un esempio di pessimaqualità legislativa è provenuto di recenteda questo Parlamento che ha licenziatoil reato di omicidio stradale, senz’altroispirandosi più alla pressione delle asso-ciazioni delle vittime degli incidenti au-tomobilistici piuttosto che ai principi delgarantismo.

Ciò di cui la legalità ha bisogno è l’os-sigeno per le regole in generale e, soprat-tutto, per le regole che governano la con-vivenza civile nella sua quotidianità estraordinarietà degli affari e dei rapportiche i cittadini devono svolgere fra loro econ lo Stato.

TROPPE LEGGI, STATO CORROTTO«Corruptissima re publica plurimaele-

ges» scriveva lo storico latino Tacito (An-nales, Libro III, 27), per insegnare che«moltissime sono le leggi quando lo Statoè corrotto». Più vi sono intrighi complicatidi normative, più vi sono previsioni dimolteplici reati, più significa che lo Statonon riesce a perseguirli e si sconfina nellacarenza di effettività tipica delle “grida”di manzoniana memoria.

Il diritto penale deve essere per defini-zione l’extrema ratio: quando non ci sonopiù possibilità di contrastare una deter-minata condotta (o insieme di condotte)con mezzi al di qua della sfera penale, al-lora bisogna impugnare quest’ultima armadel diritto e far funzionare il codicepenale.

Per questo continuo a credere che dif-fondere la “cultura della legalità” partada molto prima e abbia a che fare con il

senso civico e i tre principi fondativi diuna società giuridicamente organizzata:honeste vivere (vivere onestamente), nae-minem laedere (non ledere altri), unicuiquesuum (a ciascuno il suo). Lotta alla corru-zione, contrasto alle mafie e condannadei reati sono tutti obiettivi di legalitàcondivisibili al 100%, ma se non si affermaa livello più complessivo il primato deldiritto, non serve concentrarsi su questitemi, magari elaborando i tecnicismi piùsofisticati e scientificamente approfonditi,se non si estirpano a monte le cause deldelinquere.

Se prendiamo ad esempio quello cheè successo pochi mesi fa nel corso delleprimarie per il sindaco di Napoli, con ivideo di Fanpage che documentavano ilmalcostume del mercato dei voti, ci ren-diamo conto che il problema suscitatoda quei filmati non è stato di caratteresquisitamente penale: è inutile invocarefattispecie di reati per uno o dieci euroche potrebbero non avere alcuna capacitàcorrettiva per la parvitá della loro entità.Ma non v’è dubbio che il caso configuriuna palese illegalità, intesa come distaccoda una buona regola e cioè rimandi atutto il marcio che risiede dietro il cosid-detto voto di scambio: un tessuto malatodi aspettative e promesse, di bisogni eapprofittamenti, di ignoranza e strumen-talizzazione dove, nella migliore delleipotesi, un diritto viene degradato a unfavore e dove, spingendosi oltre, la libertàviene privata di coscienza e domina l’in-timidazione.

Le regole non sono una gabbia, maun’opportunità. Questa è la cultura dainstillare. Ecco perché a Perugia sono an-dato controcorrente e ho fatto tre propostetotalmente eccentriche rispetto al climagenerale, a dire il vero un po’ troppo sen-sibile alla fascinazione del diritto penale,che d’altra parte è il ramo dell’ordina-mento più esposto al contatto con l’au-dience mediatica che naturalmente ri-scuote: peraltro, la gente comune haspesso più occhi e orecchie per interessarsidi Foffo e Varani (come in passato diErika e Omar) che per comprendere qualiinteressi economici reali si nascondanodietro la nuova legge sul leasing abitativo.

BISOGNA DEPENALIZZAREIL REATO DI CLANDESTINITÀ

La prima idea che ho lanciato è statadepenalizzare il reato di clandestinità. Èun tasto sul quale ha battuto molto unoche di contrasto al crimine se ne intendeed è al di sopra di ogni sospetto: il Procu-ratore Nazionale Antimafia Franco Robertiche ne chiede da tempo l’abrogazione. Si

tratta di un reato che finisce solo per in-tasare il lavoro delle procure senza addi-venire mai a una soluzione concreta, poi-ché condanna i migranti a pagamentiinevasi per la loro condizione di nullate-nenti. Soprattutto non è minimamenteservito come deterrente alla abominevole

tratta degli esseri umani. Depenalizzarequesto reato inutile deve servire a costruireuna legalità dell’integrazione fondata sualtri presupposti che non siano le peneper i migranti.

LEGALIZZARE LE DROGHE LEGGERELa seconda idea che ho voluto espri-

mere in quella sede è stata ripresa da unaltro magistrato del pubblico ministero,Henry Woodcock, appena due settimanedopo Perugia, con motivazioni molto si-mili a quelle da me esposte in quellasede: liberalizzare o legalizzare (che dir sivoglia) le droghe leggere. E’ dimostratoche esistono traffici di beni e servizi moltopiù nocivi delle droghe leggere: alcool,tabacchi, slot machine, scommesse, cheproducono vere e proprie dipendenzepatologiche e riducono sul lastrico coloroche ne fanno uso e sovente le loro famiglie.Eppure si tratta di settori merceologiciampiamente legali. Se le mafie basano laloro ricchezza sul narcotraffico e, per unapercentuale significativa, sul cosiddetto“fumo” (cannabis, marijuana, hascish esimili), basta fare loro franare il terrenosotto i piedi, segando all’origine il com-mercio illecito su questi prodotti e difatto chiudendo così i rubinetti di unacopiosa ondata di introiti nelle casse dellacriminalità. D’altronde, uno dei più efficacistrumenti in grado di mettere in ginocchiola malavita organizzata è stato quello

delle misure patrimoniali preventive, di-mostrando che quando si tocca il fun-zionamento della sua macchina econo-mica il sistema mafioso va in tilt. Anchequi, uscire dal diritto penale può provocareuna più agevole gestione giuridica dei ri-schi e delle conseguenze, a ulteriore te-stimonianza del fatto che l’ordinamentova fortificato prima che un fenomenodiventi emergenziale o semplicementeesponenziale. La stessa Direzione Nazio-nale Antimafia nella relazione annualedella scorsa stagione ha adombrato unaipotesi del genere.

ABOLIRE IL TARLa terza questione che ho posto a Pe-

rugia è stata di ordine giurisdizionale: sa-rebbe ora di abolire i TAR e il Consigliodi Stato quale organo di secondo gradodella giustizia amministrativa. Non tuttisanno che la giurisdizione amministrativaè una delle invenzioni ordinamentalipensate in opposizione ai principi dieguaglianza e legalità. Se è vero che loStato di Diritto si caratterizza per la sot-toposizione alla legge di ciascun soggetto(ivi compreso lo Stato stesso), si comprendecome l’esistenza di una giurisdizione spe-ciale non composta da magistrati ordinari(autonomi e indipendenti) sia stata volutanella sua genesi dal Potere Esecutivo persottrarsi al giudizio imparziale della Giu-stizia ordinaria e godere di una sacca dispecialità ovvero di esenzione dal controllodel Potere Giudiziario. I maligni vedonoanche una maggior controllabilità deigiudici amministrativi, ma non è questoil discorso: qui c’è un peccato originaleche va emendato, allo scopo di spezzarel’immunità dalla magistratura ordinariadella Pubblica Amministrazione, e attra-verso di essa dei politici che siedono nellestanze dei bottoni degli enti locali. Com-battere la corruzione ancora una voltanon è solo una questione di diritto penale,ma una riforma epocale del genere, diunitarietà della giurisdizione, rappresen-terebbe sul piano ideale un avanzamentodel principio di eguaglianza e sul pianopragmatico una frattura fra le possibiliconnivenze della politica con il momentogiudicante.

Queste sono state le idee che un giuristanapoletano, non ammalato di sindromepan-penalista, ha lasciato alla sinistra ri-formista riunita a Perugia come un mes-saggio nascosto nella bottiglia, a mo’ dinaufrago che lancia l’SOS dall’isolettadell’oceano in cui è fortunosamente ap-prodato. Tutto ciò con la convinzioneche il Pd non sia incappato in alcun nau-fragio. Almeno per il momento.//

Se si eliminassela giustiziaamministratival’unitarietàdella giurisdizionerappresenterebbesul piano ideale un avanzamentodel principiodi eguaglianza

merQurio numero 1 • Giugno 2016 19

LA PROPOSTA

Mentre la politica italiana èimpegnata a discuteredelle elezioni amministra-tive, piuttosto che del re-

ferendum costituzionale, argomenticerto importanti, non tutti sanno chein Parlamento si sta per ordire, nell’in-differenza generale, l’ennesimo scippoai napoletani.

Nella commissione Industria di Pa-lazzo Madama, dove è in discussione ildisegno di legge cosiddetto “Concor-renza”, è stato presentato un emenda-mento del relatore che di fatto cancellala “Tariffa Italia”, che era stata inseritanel testo alla Camera per eliminare

qualsivoglia discriminazione di carat-tere territoriale sulle tariffe RC Autoche, come tutti sanno, attualmente pe-nalizzano in maniera enorme e ingiu-stificata i residenti in Campania, anchequelli virtuosi che non fanno mai inci-denti, costretti a subire tariffe moltopiù care rispetto a quelle praticate inaltre aree del Paese. In pratica, con unsol tratto di penna si intende cancel-lare, cedendo alla lobby delle assicura-zioni, le battaglie congiunte portateavanti, dall’inizio della legislatura, damolti parlamentari napoletani di Ca-mera e Senato del Partito democratico.

Nonostante le proteste avanzate, in

sede istituzionale e a mezzo stampa, in-sieme ai senatori Angelica Saggese, Pa-squale Sollo e Rosaria Capacchione,allo stato l’emendamento non è statoritirato. La cosa che più sorprende,inoltre, è che questo emendamento siastato presentato da un collega del Par-tito democratico. Ci auguriamo che lacommissione consenta un approfondi-mento ulteriore sull’intera vicenda, apartire dal ritiro dell’emendamento ci-tato che ripropone elementi di discri-minazione inaccettabili e che, inmaniera fin troppo evidente, penalizzaesclusivamente gli automobilisti onestie rispettosi della legge i quali finisconoper pagare, in via esclusiva, e per il solofatto di risiedere in Campania, il prezzodi condotte criminali imputabili adaltri. Condotte che tocca allo Stato ealle compagnie assicurative reprimere.

In una fase in cui bisognerebbe, in-vece, porre molta attenzione al temadelle lobby e del loro ruolo nella for-mazione delle leggi, una misura comequella contenuta nel DDL pare esserecostruita ad hoc per favorire le impreseassicurative, che godono di enormi be-nefici, mantenendo tariffe differenziatefra Nord e Sud del Paese. Continue-remo a esprimere il nostro totale dis-senso per questa modifica al DDLall’esame della commissione Industriae siamo convinti che mai come in que-sta fase politica sia necessaria molta piùtrasparenza e coerenza nell’assunzionedi scelte che ledono la dignità e l’egua-glianza dei cittadini.

Ci auguriamo, inoltre, che il neo-mi-nistro dello Sviluppo economico CarloCalenda, che conosce bene Napoli e laCampania per avervi trascorso parteimportante della sua carriera manage-riale, possa dare una mano a far sì chenon venga prolungata oltre un’evi-dente ingiustizia che dura ormai datroppo tempo.//

*Senatore del Partito democratico

Rc auto, no al “fuoco amico” di chi vuol affossare Tariffa Italiadanneggiando i napoletani onesti

Un emendamento di un senatore Pdripropone l’attuale sistema iniquo

Vincenzo Cuomo*

merQurio numero 1 • Giugno 201620

INVIA COMMENTI, ARTICOLI E CONTRIBUTI A

[email protected]

In uno straordinario momento sto-rico di crisi economico-finanziaria,come quello che viviamo in Oc-cidente, l’intervento da parte delloStato in politiche aggressive di

welfare contro la povertà risulta essenziale.In molti paesi d’Europa, con denomina-zioni e modalità differenti, esistono giàda diversi anni, se non da decenni, varieforme di reddito di base che si accompa-gnano ad altri interventi di sostegno alreddito dei cittadini. Tutto ciò in lineacon i princìpi sanciti dalla Carta dei dirittifondamentali dell’Unione europea sul di-ritto di ciascun essere umano ad un’esi-stenza libera ed incondizionata, svincolatada ogni forma di costrizione o di necessità.Princìpi sanciti anche dalla Carta costi-tuzionale italiana ma che non hannoancora portato, se si eccettuano speri-mentazioni avanzate da amministrazionilocali, all’adozione di uno strumento na-zionale che affronti il problema della po-vertà in maniera strutturale.

Il ritardo è dovuto, tra le altre cose, allatendenza della politica italiana a ridurre adicotomia pura ogni cosa, senza troppo ba-dare al merito. La discussione su questo ar-gomento, infatti, si trasforma spesso in unduello ideologico tra chi considera lo stru-mento del reddito minimo (o di base, o diinserimento, etc., a seconda delle varie de-clinazioni che assume nelle diverse proposte)come mero assistenzialismo e chi lo ritiene,invece, la soluzione di tutti i mali. Nelmezzo, c’è il premier Renzi che, pochi mesifa, ha dichiarato di voler “combattere lapovertà con l’occupazione. Il reddito di cuiabbiamo bisogno – ha detto – non è quellodi cittadinanza: se riportiamo al segno piùla crescita e gli occupati, giocoforza lapovertà diminuirà”. Un’affermazione con-

divisibile, ovviamente, in linea di principio.Ma, nella pratica, cosa diciamo agli indi-vidui che sono fuori dal mercato occupa-zionale, magari per l’età avanzata o perchéla ripresa tanto annunciata stenta a raf-forzarsi, soprattutto nel Mezzogiorno cheha il primato delle famiglie sotto la sogliadi povertà? Per queste persone la rispostasembra non esserci.

COSA SUCCEDE IN EUROPAPer capire cosa fare in Italia, forse è

utile iniziare a vedere, brevemente, cosasuccede negli altri paesi dell’Ue, ricordandoche, già nel 1992, l’Unione europea avevainvitato gli stati membri ad adeguarsi achi aveva già introdotto il reddito di basetra le proprie politiche di welfare. Co-minciamo dal Belgio, dove esiste il “Mi-nimax”, una rendita mensile di 650 €,rilasciata a titolo individuale, a cui puòavere accesso chiunque. Nel vicino Lus-semburgo abbiamo, invece, il “Revenu

Minimum Guaranti”, un reddito indivi-duale che si aggira intorno ai 1.100 € eche si ottiene fino al raggiungimento diuna migliore condizione economica. InOlanda esiste, poi, il “Beinstand”, elargitosempre a titolo individuale, e che si ac-compagna ad altri tipi di sostegno per af-fitti, trasporti e accesso alla cultura. Vi è,inoltre, un’altra forma di reddito minimospeciale di 500 €, il “Wik”, garantito agliartisti per poter permettere loro di crearein libertà senza troppi oneri economici.In Austria c’è il Sozialhilfe (letteralmente“aiuto sociale”) affiancato a diverse co-perture relative alle utenze quali elettricitàe gas, all’affitto e ad altri aiuti economiciper il cibo. Anche in Norvegia troviamoun “reddito di esistenza”: si tratta di unversamento mensile di 500 €, elargitoindividualmente, che si integra a copertureper l’affitto e i consumi elettrici.

Un sostegno al reddito dei poveri –sebbene più complesso e articolato - esiste,

22

Reddito minimo, il fai da teche ci allontana dall’EuropaNei grandi paesi Ue esiste una misura contro le povertàIn Italia ci pensano le Regioni, ma vanno in ordine sparso

Pasquale Incarnato

merQurio numero 1 • Giugno 2016

però, anche in paesi di grandezza equi-parabile all’Italia. In Germania, ad esempio,c’è l’“Arbeitslosengeld II”, rilasciato a tutticoloro, di età compresa tra i 16 e i 65anni, che non hanno un lavoro o appar-tengono a fasce di basso reddito. Si trattadi una rendita mensile di 345€ che si in-tegra alle coperture dei costi di affitto eriscaldamento. Si tratta di un sostegno il-limitato nel tempo e viene garantito nonsolo ai cittadini tedeschi, ma anche aglistranieri con regolare permesso di sog-giorno. In Gran Bretagna, invece, sonogarantiti diversi interventi, tra cui l’“In-come Based Jobseeker’s Allowance”, ov-vero una rendita individuale illimitatanel tempo, che varia dai 300 ai 500 €, ri-volta ai cittadini di almeno 18 anni i cuirisparmi non raggiungono i 12.775 €.Viene inoltre garantita la copertura del-l’affitto con l’“Housing benefit”, insiemead assegni familiari per il mantenimentodei figli. Esiste, poi, l’“Education Mainte-nance Allowance”, un sussidio per iragazzi per coprire le spese dei loro studi.Infine c’è l’“Income Support”, un sussidiodi durata illimitata, garantito a chi ha unlavoro che ammonta a meno di 16 oresettimanali. In Francia, infine, c’è il “Re-venu Minimum d’Insertion” o Rmi, adot-tato nel lontano 1988. Si tratta di unaintegrazione al reddito di circa 425 Europer gli over 25 single, 638,10 € se si è incoppia, 765,72 € se la coppia ha unfiglio, 893,34 € se ne ha due, più 170 €per ogni altro figlio. Le coppie con almenoun figlio hanno diritto poi alle “AllocationsFamiliales”, valide fino al compimentodel 21° anno di età del figlio. Per ogninato, bimbo adottato o in affido, c’è la“Prestation d’Accueil du Jeune Enfant”,che varia dai 138 ai 211 € mensili.

LA SITUAZIONE IN ITALIAAnche in Italia esistono, e sono esistite

nel tempo, alcune misure che cercano didare un aiuto alle famiglie più povere e nu-merose (bonus bebé, social card, etc.), manon c’è una normativa universale cheaffronti il problema in maniera unitaria.Questo nonostante nel nostro Paese, ed inparticolare nel Sud, il tasso di povertà sia aldi sopra della media europea e, negli ultimianni, sia cresciuto a dismisura. Solo inalcune regioni, amministratori locali hannointrodotto strumenti di lotta alla povertà.La Basilicata, ad esempio, stanzia 7,7 milionidi euro l’anno per sostenere circa 8mila be-neficiari grazie ad uno strumento introdottodalla legge regionale 26/2014. I bandi sonostati rivolti a due categorie di persone: di-soccupati e/o inoccupati da oltre 24 mesi oda 12 mesi (se over 50 o senza diploma di

scuola media o in un nucleo monoreddito)con Isee fino a 9mila euro, oppure lavoratoriusciti dalla mobilità in deroga con Isee finoa 15.500 €. L’aiuto vale in media 450 €mensili per tre mesi, prorogabili. La Provinciadi Bolzano stanzia, invece, 10,8 milioni dieuro l’anno per un reddito minimo di inse-rimento che è pari alla differenza tra le di-

sponibilità della famiglia e un determinatoimporto: l’integrazione è fino a 600 € peruna persona sola, a 785 € per due, a 1.020per tre, 1.100 per quattro, 1.300 per cinqueo sei componenti.

In Friuli Venezia Giulia la misura attivadi sostegno al reddito è stata introdottadalla legge regionale 15/2015 ed è stato ap-provato il regolamento attuativo. L’importomassimo sarà di 550 € al mese per 12 mesi,rinnovabili dopo una pausa di 2 mesi. Il be-neficiario dovrà avere un Isee fino a 6milaeuro e aderire a percorsi formativi o di avvi-cinamento al lavoro. Da ottobre, anche inLombardia, è partito il reddito di autonomiaper i beneficiari della dote unica lavoro chesiano disoccupati da oltre 36 mesi, abbianoIsee familiare non superiore a 18mila euroe non fruiscano di alcuna integrazione alreddito. Il contributo massimo è di 1.800 €in sei mesi, per favorire l’inserimento lavo-rativo.

In Molise il reddito minimo di cittadi-nanza, destinato a residenti in Molise conIsee fino a 3mila €, fornisce un aiuto di 300€ mensili, per un periodo che va da seimesi a un anno. La selezione dei beneficiarideve ancora partire: sarà data priorità allefamiglie numerose, ai nuclei monogenitorialie a quelli con persone disabili e/o anziani.Poi c’è la Puglia, dove lo strumento di lottaalla povertà assiste i soggetti interessati perun credito che va dai 210 a 600 € mensili

in base al numero di componenti della fa-miglia, per chi ha un Isee fino a 3mila euro.La durata massima è di 12 mesi.

Anche nella piccola Valle d’Aosta, il 4novembre scorso è stata approvata unalegge regionale per un aiuto fino a 4.400 €versati in rate mensili. Si tratta di di un’in-dennità che viene definita “di partecipazione”perché legata alla partecipazione a tirociniformativi. Nella provincia di Trento, infine,il reddito di garanzia esiste dal 2009. La mi-sura varia in base all’Isee e al numero dicomponenti del nucleo familiare: l’integra-zione non può superare 950 € mensili. Ladurata è di 4 mesi.

LE ESPERIENZE IN CAMPANIALa Campania nel 2004, con l’allora

giunta regionale Bassolino, fu tra le primeregioni a sperimentare una forma di red-dito di cittadinanza. La misura garantiva350 € al mese alle famiglie il cui redditofosse inferiore ai 5mila € annui. I soggettidestinatari individuati furono tantissimi,le somme andarono però a pochi e, allafine, il sostegno fu accantonato. Oggi,qualcosa si muove: nel settembre 2015,il consigliere regionale del Pd GianlucaDaniele ha presentato una proposta dilegge denominata “Misure, dirette e in-dirette, di sostegno al reddito e di attiva-zione sociale”. L’idea è quella di introdurre,più che un vero e proprio reddito di cit-tadinanza, un reddito minimo garantitoper le fasce sociali più deboli, a cominciaredai lavoratori usciti dal ciclo produttivoche hanno un’età compresa tra i 55 e i65 anni, ad esempio. Persone che nonpossono andare in pensione ma – comedimostrano i dati Istat – hanno solo 10possibilità su 100 di rioccuparsi. A queste,secondo la proposta di legge regionale,va garantito un reddito. Così come allefamiglie più povere, soprattutto se nu-merose e in presenza di minori o disabili(per i quali la legge prevede anche unrafforzamento della rete di assistenza).L’obiettivo dell’iniziativa legislativa èquello di adeguare la Campania agli stan-dard europei, legando però il diritto in-dividuale al reddito, attraverso il qualeridefinire il sistema di welfare esistente, apercorsi di politiche attive del lavoro,evitando così di far diventare lo strumentoche si intende introdurre l’ennesimo ar-mamentario dell’assistenzialismo.

“Punto fondamentale della nostra pro-posta – ha sottolineato Daniele nella re-lazione introduttiva al disegno di legge –è, infatti, il reinserimento sociale attraversola formazione continua, l’attivazione dipercorsi sociali, la valorizzazione delleprofessionalità”.//

L’APPROFONDIMENTO

23merQurio numero 1 • Giugno 2016

Non abbiamouna ricetta nazionalenonostante nel nostro Paese in particolare nel Sudcresca il numerodelle famiglie indigentiche era già al di sopra della media europea

24 merQurio numero 1 • Giugno 2016

Di seguito riportiamo alcunipassaggi del dibattito orga-nizzato dall’AssociazioneMerqurio, in collaborazionecon la Fondazione Banco di

Napoli, sul tema “Mafia e politica, le ragionidi un’intesa di successo”, che si è tenuto loscorso 24 maggio, nella Sala Marrama dellaFondazione Banco di Napoli, in occasionedella presentazione del libro di Isaia Sales“Storia dell’Italia mafiosa”. Al dibattito, mo-derato dal direttore del periodico Merqurio,Antonio Vastarelli, hanno partecipato, oltreall’autore, il procuratore capo della Repubblicapresso il Tribunale di Nola, Paolo Mancuso,il consigliere regionale del Pd Gianluca Da-niele e il presidente della Fondazione Bancodi Napoli, Daniele Marrama.

PAOLO MANCUSOLa situazione che stiamo vivendo ci

porta diretti a un aspetto del libro di Isaiaparticolarmente importante. Laddove in-quadra il fenomeno della mafia come mafiad’ordine, elemento che cioè poteva garantirela sicurezza dei limiti che le organizzazionicriminali o i singoli gruppi, banditi, brigantiche fossero, non superassero certi momenticritici oltre i quali era indispensabile l’usodella forza. Il monopolio della forza cheavrebbe dovuto essere esercitato dallo Stato,nei secoli scorsi, è stato delegato alle orga-nizzazioni di mafia: è questo il raccontostraordinariamente documentato che vienefatto nel libro. E gli effetti sono tanti: LiborioRomano qui a Napoli, Salvatore Giulianoin Sicilia, e così via. Questo è un elemento

che ci portiamo dietro anche ai giorninostri: se pensiamo alla cattura di SalvatoreRiina e a come è maturata, ci rendiamoconto che quei limiti erano stati superati eche non conveniva all’organizzazione ma-fiosa stessa che lo scontro con lo Stato arri-vasse a quei vertici, anche perché la mafia –e cito ancora Sales – lavora per intrusione enon per contrapposizione. Evita lo scontrofinché è possibile, ed è quasi sempre possibile.

Il problema è che la mafia che agiscecome sistema di giustizia, alternativo aquello dello Stato, in qualche maniera on-tologicamente finisce col contrapporsi alsistema statuale. Anche quando si vuolerappresentare essa stessa all’esterno comemafia d’ordine e come sistema di giustizia.Se noi cerchiamo di trasporre questo ragio-

Le relazioni e non la violenzasegreto del successo delle mafieFondazione Banco Napoli, dibattito promosso da Merquriosul libro “Storia dell’Italia mafiosa” di Isaia Sales

Redazione

25merQurio numero 1 • Giugno 2016

namento all’interno di quello che sono leorganizzazioni che operano sul territorio,ci troviamo davanti a realtà disparate: orga-nizzazioni casalesi, dell’area vesuviana, sonoancora organizzazioni che tentano, e a volteci riescono, di rappresentare un potere al-ternativo a quello dello Stato. Un potereche ha le sue regole, le sue fonti di approv-vigionamento, i suoi tesorieri. Il governodella propria economia interna e così via. Eha regole per andare a rapportarsi con ilmondo legale, naturalmente.

Se, invece, ragioniamo su quelle chesono le organizzazioni metropolitane, il di-scorso diventa un po’ diverso. Di recente,ho letto il titolo di un giornale che designavacome padrino un personaggio che forseaveva un anno, un anno e mezzo di espe-rienza criminale. Cioè stiamo sbagliandoquando concediamo a questi gruppi di cri-minalità urbana le caratteristiche che sonoquelle delle organizzazioni mafiose. Mentrela camorra qualche volta determina trafficiillegali, qualche volta opera sul mercato il-legale ma con beni legali, queste organizza-zioni, che fondano la loro struttura su alcunielementi che sono sostanzialmente l’inti-midazione e l’accaparramento di ricchezzeattraverso traffici illegali, vivono esclusiva-mente nell’illegalità, hanno tutti e due i

piedi nella illegalità. E, a differenza delle or-ganizzazioni mafiose, non tentano nem-meno di rappresentarsi come sistema checerca di accaparrare consenso, di determinaresviluppo, di assicurare che, in qualche ma-niera, il contesto sociale che le esprimeabbia un vantaggio dalla loro.

Dobbiamo, quindi, avere una capacitàdi analisi che, su quello che sta avvenendonella nostra città metropolitana, ancoranon c’è: forse sono ancora troppo bruciantii tempi, ma credo che serva un tentativo dianalisi, che in qualche maniera riconducaquesto fenomeno a una sfera lontana daquella delle organizzazioni mafiose, piùlontana che vicina, perché sono più gli ele-menti di differenza che quelli che possonounire i due fenomeni: oltre al ricorso allaviolenza, c’è poco altro. La fame di ricchezzasì, ma ci sarebbe bisogno di una serie altriconnotati per considerare mafia queste or-ganizzazioni criminali metropolitane. Inquesto caso siamo davanti a un discorso si-curamente più brutale e meno raffinato.Credo che un tentativo di ricucitura diquelli che sono i fenomeni su cui stannolavorando i colleghi della Procura di Napoliin questo momento sarebbe estremamenteutile e attuale.

GIANLUCA DANIELEIl libro offre spunti che mi hanno parti-

colarmente colpito. Al di là della ricostruzionedi una tesi, che io condivido pienamente,che ovviamente i fenomeni mafiosi sonostrettamente connessi alla storia del Paese enon è possibile analizzare la storia dellamafia se non si parte da questo. Un’impo-stazione che ci consente anche di confutarealcuni luoghi comuni che sono abbastanzaacquisiti, che si danno per scontati, secondoi quali i costumi, la mentalità, la cultura delMezzogiorno avrebbero favorito e datoluogo ai fenomeni criminali (quello chenel libro viene definita teoria culturalista).E’ un po’ la stessa tesi – e Isaia lo dice nellibro – che è stata portata avanti sulla que-stione meridionale e che ha – come abbianopotuto vedere in politica con l’affermazionedi movimenti come la Lega – un connotatodi vero e proprio razzismo. Perché se siparte dal fatto che la mafia in Sicilia, la ca-morra in Campania e la ’ndrangheta in Ca-labria non sono tanto dovute alla storia maalla cultura, questi fenomeni criminali sem-brano dipendere da un dato quasi geneticodelle società meridionali. Un argomentoche è stato usato per spiegare anche leragioni del divario economico e culturaletra Nord e Sud del Paese.

Nel libro è spiegato come la principalemotivazione per cui le mafie si sono affermateè l’impunità: e questo chiama in causa si-

curamente la politica, ma anche le altreistituzioni, la magistratura, l’informazione.Il fatto che i mafiosi, per tanti decenni,siano rimasti sostanzialmente impuniti, hacreato quel mito della invincibilità di questotipo di criminalità organizzata. Nella rico-struzione storica viene ricordato come siastato sgominato in pochi anni il fenomenodel terrorismo in Italia, un fenomeno forte-mente eversivo, gravissimo dal punto divista politico e sociale, che metteva in fortecrisi le classi dirigenti politiche di quel mo-mento ma che, ad esempio, ha causato unnumero di morti di gran lunga inferiore ri-spetto alle mafie. Eppure, il terrorismo inpochi anni è stato sgominato con leggispeciali, con un intervento dell’esercito econ un impegno preciso dello Stato. Cosache con la criminalità organizzata, in duesecoli, non è stata fatta. E questo penso siail principale elemento che rafforza nell’ideacollettiva l’immagine di invincibilità dellacriminalità mafiosa. Il libro ricorda comequesto avvenga fino agli anni Settanta-Ot-

tanta e poi, per fortuna, ci sia un inversionedi tendenza profonda nel Paese, anche dalpunto di vista culturale.

Il ruolo della politica, in queste dinamiche,è stato fondamentale, in particolare sugli

L’INIZIATIVA

Dire che i partitinon servivanoè stato un erroreLa verità è che cosìnon c’è più selezione:i partiti oggi purtropponon sanno chi entranelle loro listee non conoscononemmeno gli iscritti

Paolo Mancuso

Gianluca Daniele

I gruppi criminaliche si affermanoa Napoli cittàa parte la violenzanon hanno moltoin comune con le mafieServe uno sforzodi analisiper comprenderequesto fenomeno

aspetti dell’impunità e della connivenzanei quali emerge una responsabilità enormedelle classi dirigenti. Sia nella storia borbonicache post-unitaria (e in questo caso chiamoovviamente in causa la Democrazia cristianache ha governato per tanti anni Paese) sivede come il sistema politico clientelare fa-vorisca la mafia. Spesso si è sostenuto ilcontrario, e cioè che il clientelismo – il rap-porto che la politica aveva creato con il cit-tadino, attraverso il pubblico – servisse inqualche modo ad ostacolare i fenomeni dicriminalità organizzata. Si è visto, però, chenon è così. Anzi, anche dove il rapporto tracittadino e lo Stato è cambiato (e non c’èdubbio sia cambiato in meglio, anche nelMezzogiorno, nel periodo post-unitario, an-che grazie all’assistenzialismo) i fenomenimafiosi, camorristici sono proliferati, e spessosi sono rafforzati. Da questo punto vista c’èuna responsabilità molto forte della politica.Se parliamo degli ultimi 30 anni (la primavera legislazione antimafia è dell’82, poi as-sistiamo all’escalation da parte della crimi-nalità organizzata, ma anche ad una rispostadello Stato diversa) è ovvio che il rapportodella politica con questo mondo sia ancorada indagare fortemente.

A Napoli, nelle ultime settimane, ci sonostate molte polemiche su alcuni candidatinelle liste di Verdini per le amministrative,casi ovviamente che fanno riflettere, eppureserve andare oltre l’attualità politica. Il pro-blema vero non è Verdini in sé ma il fattoche l’indebolimento di tutti i corpi intermedi,vale per la politica ma anche per i sindacatie le associazioni datoriali, porta un rischiodi infiltrazione molto maggiore e porta so-prattutto ad un controllo che è moltominore. La cosa grave, quindi, è il fatto chenoi non sappiamo effettivamente chi c’ènelle liste elettorali. Lo dico anche in manieraautocritica, da dirigente di partito, essendomembro della segreteria regionale del Pd.Ci sono liste collegate al Pd, vale per Verdinima anche per altre liste, delle quali non co-nosciamo niente e che sono frutto di alleanzefatte in maniera raffazzonata all’ultimo mi-nuto. Ma perché: il Movimento 5 stelle sachi ha nelle liste? E Forza Italia lo sa? Prima,era impossibile entrare in una lista di partitoed essere candidato ad un consiglio comunaleo regionale, se non ti iscrivevi a quel partitoqualche anno prima, se non frequentaviquel circolo o quella sezione, se non ti co-noscevano e non sapevano chi eri. Adessoai partiti ci si iscrive online, io spesso vengoa sapere che qualcuno si è iscritto perchéc’è il tabulato degli iscritti.

Questo è un tema che coinvolge sicura-mente il Pd, ma penso che coinvolga l’interosistema politico. Dobbiamo chiamare incausa anche qui un fenomeno culturale. Li

abbiamo massacrati i partiti: per anni ab-biamo detto che i partiti non servivano,che erano un intralcio (e in questi anni sidice la stessa cosa dei sindacati). In realtà, ipartiti servivano eccome. Servivano, e ser-virebbero, a svolgere una funzione di con-trollo che è determinante, che deve precederel’eventuale azione della magistratura. Ma,per far sì che i partiti possano esercitarequesto tipo di filtro, si deve ridare dignità aqueste organizzazioni. Si è anche tanto iro-nizzato sul professionismo della politica,ma quel professionismo comportava ancheche non ci si poteva improvvisare segretariopartito: per svolgere quel ruolo si richiedevauna professionalità, ma anche del tempo,perché spesso è anche una questione ditempo. Serve, quindi, rifare una riflessionedifferente con l’opinione pubblica per capirein che modo, al di là dell’ideologia e delle

alleanze, i partiti si possano riappropriare diuna funzione di controllo e di governo ri-spetto alla società.

DANIELE MARRAMALa Fondazione Banco Napoli, come tutte

le Fondazione di matrice bancaria, ha unpatrimonio che investe e, grazie ai rendi-menti, interviene con contributi a sostegno

di realtà del terzo settore. Da quando sonopresidente della Fondazione, c’è un datoche mi ha colpito in maniera forte, e chepoi ha ispirato anche la mia azione: c’è unimpoverimento fortissimo del tessuto socialenel nostro contesto, un impoverimentoche deriva da un processo di brutalizzazionedelle relazioni umane, che ha anche unaforte matrice economica oltre che ideologica.Economica legata al fatto che c’è tutto unsistema di vita fondato sull’individualismo,secondo il quale l’altro è un nemico, nonuna risorsa per me. Ciascuno di noi, se faun rapidissimo esame di coscienza, vede ilmodo in cui imposta le sue relazioni: senell’ottica di scavalcare l’interlocutore o inquella di costruire qualcosa di più alto grazieall’ausilio dell’interlocutore. Noi che rap-presentiamo, bene o male, la classe dirigentesiamo profondamente condizionati daquesta cultura dominante, figuriamoci quan-to sono condizionate le classi più deboli,che sono più permeabili ai messaggi negativie distorsivi.

Dal mio angolo visuale vedo anche unafortissima sterilizzazione della capacità dellasocietà di creare risposte al suo interno aibisogni della società stessa. La mission chemi sono dato dal 2013 è stata quella diconcepire i contributi che la Fondazione dàalle realtà del terzo settore come volano dicittadinanza attiva. Noi non diamo contributia pioggia, sulla base delle richieste che ci ar-rivano, ma cerchiamo di capire quanto ilnostro contributo può essere di sostegno arealtà che si mettono in prima linea e chetentano di essere protagoniste nella soluzionea problemi concreti. Dico questo perchépenso che, a livello di lotta alla criminalitàorganizzata, la repressione abbia un ruolofondamentale, indispensabile e centrale. Epenso anche che la magistratura inquirentestia dimostrando una grandissima capacitàdi reagire al fenomeno. Al tempo stesso,però, credo che questo ruolo non sia suffi-ciente perché c’è un clima culturale, un hu-mus nel quale attecchisce in maniera radicataun modello brutale di esistenza.

Io rimango sempre colpito quando fannovedere le immagini dei covi nei quali vivonoi boss, i grandi boss: sono tuguri, sono delletopaie. Eppure, c’è tutta una sfera di ragazziche aspirano a vivere in quel modo, a viverecome topi, senza vedere mai la luce delgiorno. Evidentemente questo è un discorsoculturale: non trovano alternative attraential di fuori di quel contesto, o forse nonsiamo bravi noi a veicolarle come realtà at-traenti. Ciò nondimeno penso che il discorsoculturale sia fondamentale perché è neces-sario fornire anche degli esempi alternativi.Per fortuna ci sono tante, tante realtà –perché poi la stragrande maggioranza della

26 merQurio numero 1 • Giugno 2016

Mi fa un po’ ridereed è demagogicoil discorso delle scuoleaperte d’estate:ma a che servono?Meglio affidarlea realtà giovaniliin grado di coinvolgerei ragazzi dando loroun messaggio positivo

“Daniele Marrama

popolazione è fatta di persone oneste – chesi rimboccano le maniche e fanno attivitàdi grande pregio in queste realtà degradate.Però c’è uno scalino che non si supera,perché c’è tale radicamento della culturamafiosa e delinquenziale che, paradossal-mente, fa comodo anche alle organizzazionicamorristiche che ci siano realtà che fannoil doposcuola ai figli. Tanto c’è una totalecertezza del fatto che anche queste realtà,da sole, non cambieranno il contesto.

C’è bisogno di un’azione integrata, evi-dentemente. La scuola, che spesso è fattada martiri di frontiera, che lavorano in con-dizioni veramente difficili, ha un ruolo fon-damentale. E mi fa un po’ ridere il discorso,avanzato dal governo, delle scuole aperted’estate: ma che cosa ci metti nelle scuoleaperte d’estate? Se vai a fargli un’altra voltala lezione di italiano, di storia o di geografiache già non hanno voluto sentire durantel’anno scolastico, ma che cosa ci fai d’estatecon le scuole aperte? E’ una demagogia ap-piccicosa, veramente fastidiosa. Allora forsebisognerebbe coinvolgere quelle realtà gio-vanili che sono in grado anche di animare,di dare un messaggio positivo. Mettere lescuole a disposizione di queste realtà emettere a disposizione anche risorse perstrutturare queste realtà. Quindi i discorsivanno legati uno con l’altro e le forze saneche si sono, e sono tante, vanno messe incondizione di interagire, di collaborare. Nonsi può demandare tutto alle forze dell’ordinee alla magistratura.

ISAIA SALESIl mio libro, in gran parte, è il lavoro di

una vita. E io sono arrivato a capire quelloche in gioventù volevo capire. Io volevocapire semplicemente perché nel mio paese,quando era morto il boss del paese, c’erastato un manifesto di lutto del parlamentare,poi diventato ministro, e la messa l’avevadetta il vescovo. Da allora mi sono chiestoma com’è che si può dare tanto onore poli-tico e morale ad un assassino: perché si

diceva che aveva commesso almeno duedelitti, il paese era sicuro di questo, maaveva avuto elogi funebri che altri non ave-vano meritato. Poi li ho visti in azione, liho conosciuti, con alcuni di loro sonoandato a scuola insieme: non mi sembravanoquesti scienziati, non mi sembravano furbiin maniera particolare, non mi sembravanoparticolarmente intelligenti, né particolar-mente stimolanti dal punto di vista im-prenditoriale. In altri contesti, quei violentisarebbero finiti dentro, con qualche chancedi recupero, ma sarebbero finiti dentro,senza nessun problema. Com’è che, invece,hanno avuto successo?

Poi ho deciso di studiare storia, e sonoandato alla ricerca di una spiegazione. Hodetto: ma fa che nei libri, qualcuno mispiega. Perché mi avevano raccontato chenel mio paese il fenomeno mafioso avevaalmeno un secolo alle spalle, e in altricontesti almeno un paio di secoli di storia.Sicuramente troverò qualche esame in cui,parlando di storia, capirò cosa è successo,pensai. Ma io ho studiato storia seriamente:al liceo, all’università. Non ho mai incrociatola parola mafia nei miei studi. Poi ho co-minciato a frequentare la politica a Napoli.E i dirigenti più prestigiosi del partito in cuimilitavo non sapevano neanche che cos’erala mafia e ne parlavano con disprezzo,come qualcosa che, bene o male, sarebbestata superata: era un fenomeno plebeo dicui non era il caso di interessarsi perchéquesti criminali non facevano storia. E poimi sono accorto che la storia l’avevanofatta, l’avevano determinata, ma io nonavevo avuto gli strumenti, né politici, néculturali, per capire: insomma, ho dovutoapprendere da me. E mi sono posto la do-manda: perché i violenti hanno successo?

Bene o male, nel libro ho dato la mia ri-sposta: si può esser d’accordo o meno, maalmeno è una risposta in cui ho unito lamia storia personale con i miei studi. Lamia risposta è molto banale e questo significache non era stata data da altri non perché

io sia più intelligente o più studioso maperché, evidentemente, non c’era la volontàdi darla. La violenza popolare è sempre esi-stita, in maniera semplice o organizzata,ma non ha mai vinto, non ha mai deter-minato seriamente la storia. Tutti i violentiche venivano dal popolo sono stati sconfittiperché, quando erano funzionali alle classidirigenti sopravvivevano, quando si mette-vano in contrapposizione con le classi diri-genti, perdevano. Da Spartaco i poi questaè la storia. C’è un’unica forma di violenzache viene dal popolo e che finora non èstata sconfitta ed è quella che invece dicontrapporsi alle classi dirigenti ha stabilitouna relazione con esse. Questa è la miasemplice spiegazione. La forza dei mafiosinon sta nella violenza, ma in una particolareforma di violenza, nella violenza che stabiliscerelazioni: quindi, una violenza relazionale.La relazione, ovviamente, avviene tra duesoggetti: ci deve essere chi offre la relazionee chi la chiede. Negli altri casi, quando leclassi dirigenti avevano usato i violenti delpopolo e decidevano poi di abbandonarli,ci riuscivano, perché avevano tutto in manoloro. Con i mafiosi, invece, non ci sono riu-sciti anche quando hanno cercato, perchéla struttura e il contesto in cui operano imafiosi non si prestano a questo scaricare.

L’INIZIATIVA

27merQurio numero 1 • Giugno 2016

Storia dell’Italia mafiosaStoria dell’Italia mafiosa, dello storico Isaia Sales, rappre-senta un’importante innovazione nello studio e nell’ana-lisi dei fenomeni mafiosi in Italia. Per la prima volta vienericostruita in maniera unitaria la storia della mafia, della‘ndrangheta e della camorra dalla nascita nel Mezzo-giorno borbonico, allo sviluppo nell’Italia post unitaria,al definitivo affermarsi in età repubblicana, fino ai nostrigiorni. Si è dinanzi ad un grande affresco storico che in-dividua le ragioni di fondo di un modello criminale il cuisuccesso dura ininterrottamente da duecento anni.

Rubbettino Editore • Prezzo: 19,50 euro

La forza della mafianon sta nella violenzama in una suaparticolare forma:la violenza che stabilisce relazioni.Per questo ha ancorasuccesso a differenzadel terrorismoe del brigantaggio

“Isaia Sales

Per dirlo in maniera banale, il sistemaclientelare non è in grado di contrastare lacriminalità organizzato di tipo mafioso:non è possibile contemporaneamente di-fendere il sistema clientelare e contrastarela criminalità, perché operano entrambi isistemi su qualcosa di molto simile, sull’ideache il pubblico è privatizzabile e che ciòche è pubblico può essere reso privato, at-traverso relazioni, attraverso il potere.

Chi fa parte del sistema clientelare nonama condividere il potere con altri. Perchéin genere il politico ha un’idea monopoli-stica del potere, divide con altri con soffe-renza il potere. E anche con i criminalinon ha piacere a condividere: vorrebbepoterli utilizzare e poi scaricare. Ecco: inquesto momento storico, chi utilizza, perragioni di diverso tipo, il potere criminale,non è in condizione di scaricarlo. Il poterecriminale non si fa scaricare una volta cheha stabilito relazioni. Io penso di avertrovato la mia risposta perché, dal puntodi vista militare, non vedo una grandeforza delle mafie. Storicamente, almenoper l’epoca, i briganti avevano più armidei mafiosi. Se dovessimo parlare di con-senso, anche in questo caso i briganti neavevano di più perché il loro consenso an-dava al di là del circuito economico in cuioperavano i briganti (che in quel circuito,in genere, si limitavano a comprare coseda mangiare). Quindi, la loro forza non ènel consenso, non è nell’attrezzatura mili-tare, non è in straordinari geni dell’impresache improvvisamente sono usciti dal po-polo. Allora la loro forza sono le relazioni.Le relazioni consentono a dei criminali didiventare potere riconosciuto. Perché unpotere è tale a due condizioni: la prima èche deve essere riconosciuto da un potereistituzionale, il secondo se trova la forza insé, cioè se alimenta il culto del suo potere.E la mafia è un potere ideologico, ideologizzala violenza e la fa diventare una cosanobile: le toglie il carattere delinquenziale

e prova a darle un altro carattere, dinecessità, di forza culturale, di forza tradi-zionale, e quant’altro. Dal punto di vistaideologico, i mafiosi hanno molte affinitàcon i nazisti, con i sistemi totalitari: lamafia è un regime razzista, tanto è veroche, per ammazzare un altro, i mafiosi de-vono definirlo un non-uomo che nonmerita, quindi, di vivere perché non è unuomo. Queste sono tutte cose che servonoper poter accedere al delitto i manieraseriale. I mafiosi sono, inoltre, moltoreligiosi, hanno creato una loro religione:il dio dei mafiosi ha delle caratteristichediverse dal dio nostro. Ma in ogni caso lachiesa ufficiale per secoli gli ha consentitodi adorare un dio che era molto diversodal dio cristiano e di seguire una religioneche praticavano negli stessi tempi in cuiandavano le vittime dei loro delitti. Quindi,i mafiosi hanno ideologizzato il crimine ehanno dato una dignità a quel potere.Ecco: in sé dunque non abbiamo a chefare con un potere imbattibile.

E a me fanno rabbia le spiegazioni cheio definisco culturaliste. In genere, le classidirigenti, quando non riescono a venire acapo di un problema, o quando non vo-gliono venire a capo di un problema, de-vono anch’esse ideologizzare la non vittoria.E come lo fanno, in questo caso? Diconoche la responsabilità è delle vittime: cioè,se voi sopportate i mafiosi è perché voi,nella vostra testa, siete abbastanza simili aimafiosi. Cioè voi non parlate, non ci ditechi ha ammazzato, per quale motivo losapete e non ce lo dite? Uno potrebbe ri-spondere: lo sai anche tu, carabiniere delposto. Ho elaborato una storia della reazionealla mafia dalla quale si capisce che l’omertàè causata, invece, dall’impunità. A comin-ciare dal fatto che per due secoli, fino aglianni Ottanta del secolo scorso, la magi-stratura e le forze dell’ordine non hannofatto della repressione una loro attivitànon dico quotidiana ma normale.

Nel libro porto l’esempio, del 1955, del-l’elogio funebre del capo della mafia Calo-gero Vizzini da parte del più alto magistratoitaliano dell’epoca il quale dice che Vizziniè stato uno che ha aiutato la magistraturae si augura che il suo successore, di cui giàsi conosce il nome (e ti chiedi: perché nonlo va arrestare, visto che conosce il nomedel successore del capo della mafia?) possacontinuare nell’opera di affiancamentodella magistratura di cui è stato protagonistaVizzini. Quando a Caltanissetta il lunedìVizzini va a sedersi al bar a ricevere lepersone e il capo della Procura si alza ilcappello davanti a tutti, che messaggio è?E quando il prete sull’altare gli dà inmaniera particolare un’attenzione e lo facapo della festa rionale? E quando ti am-mazzano più di cento persone durante ifasci siciliani, più di dieci capi sindacalinel primo dopoguerra, più di cinquantanel secondo dopoguerra, da Placido Rizzottoa Salvatore Carnevale, e nessuno finisce ingalera, nessuno? E se qualcuno, sbadata-mente, viene preso, non viene processato,e se viene processato se la cava con l’insuf-ficienza di prove? Voglio capire chi è ingrado di fronteggiare un fenomeno di que-sto tipo. Quindi, io dico che l’omertà ècausata dall’impunità, non il contrario.

Negli Stati Uniti, quando hanno decisodi attaccare Al Capone, mica qualcuno èandato a testimoniare? Oppure, quandohanno sbaragliato i corso-marsigliesi, micac’è stato qualcuno che è andato a testimo-niare? E nei sequestri di persona al Nordavete trovato un caso risolto perché uncittadino ha collaborato? I cittadini devonocollaborare, certo. Ma il meccanismo di fi-ducia si mette in moto quando c’è l’esempio.Quando c’è, da parte delle istituzioni, unatteggiamento che genera fiducia. Quando,dopo Falcone e Borsellino, si è cominciatoa dare le colpe alla mafia, sono venuti ipentiti di massa e le famiglie hanno testi-moniato, la gente ha reagito: il coraggio èuna organizzazione collettiva sociale, nonè un fatto individuale. E una società, persbarazzarsi del male, ha bisogno dellafiducia nelle istituzioni, non di singoli eroi.

[…] Ci hanno raccontato una storia diquesto tipo: siete voi la causa del successodelle mafie. E ce l’hanno raccontata pernascondere il fatto che le mafie avevanosuccesso per le relazioni con le classi diri-genti, non con tutte le classi dirigenti, cimancherebbe, ma con le classi dirigenti.Quando una parte del popolo riesce astabilire relazioni con le classi dirigenti,tendenzialmente vince la partita dellastoria, quando c’è contrapposizione, ten-denzialmente perde. Ecco: questa è lamia spiegazione.//

28 merQurio numero 1 • Giugno 2016

C’è un alfabeto per comprenderela vita italiana degli ultimi cin-quant'anni nel libro “Il con-trario della paura” scritto per

la collana “Strade Blu” di Mondadori (176pagine) dal Procuratore Nazionale Antimafiae Antiterrorismo Franco Roberti con il gior-nalista di Repubblica Giuliano Foschini. Sututte le concause che alimentano mafia eterrorismo, esiste una comune origine nellediseguaglianze sociali, negli interstizi dellequali nascono povertà, ignoranza e violenza.L’autore ricorda le parole del ColonnelloAnceschi che chiosarono un trionfalisticodiscorso di Mussolini per aver debellato nel1926 con arresti, pene e condanne esemplari,la camorra dei Mazzoni in Terra di Lavoro:“… bisogna costruire strade, scuole, unarete idrica, dare occupazione alla gente,perché sennò il fenomeno si riprodurrà”.Parole di scottante attualità a quasi unsecolo di distanza.

La tesi di fondo del libro è che le mafienon sono una realtà da fronteggiare solo intermini repressivi, ma soprattutto con poli-tiche di prevenzione a tutti i livelli. Perquesto si parla della necessità di nuovi“maestri della cultura dei diritti” e non è uncaso che, pescando nel passato per additareesempi di questo genere, Franco Roberti ri-proponga una lettera di Giuseppe Di Vittorio,fondatore della CGIL, che resistette alla cor-ruzione restituendo al mittente l’omaggiodi un cesto natalizio inviatogli dal latifondistaConte Pavoncelli: “Non basta l’intima co-scienza della propria onestà. Serve anchel’onestá esteriore”. Non è un caso, dice-vamo, questa citazione del padre dellelotte dei lavoratori: solo il lavoro puòeradicare la mafia.

Nel libro si rivela tutta la competenzaspecialistica del Procuratore, che però parla

un linguaggio semplice ed efficace, chearriva a tutti: la mafia è un delitto contro lademocrazia, è un fenomeno di relazione,esiste in quanto esiste il suo rapporto con leistituzioni, in una logica parassitaria; la cor-ruzione è un reato contro l’economia, alterala concorrenza; per vincere il terrorismoislamico occorre una “deradicalizzazione”

dei mussulmani che vivono in Europa; ilnarcotraffico ha prodotto il riciclaggio dicirca 9.200 miliardi di euro in vent’anni(quasi il PIL della Cina nel 2013 e sei volteil PIL italiano).

C'è una frase, detta en passant, che rivelail carattere dell’autore sotto questo profilo:“Vivo sotto scorta”. Da trent’anni. È scrittasenza enfasi, senza ostentazione, senza quelretropensiero di chi lo dice in uno per la-mentarsi, farsi compatire e ammirare. E’scritta con la coscienza del dovere. Ma l’in-venzione letteraria di questo libro è la “Sin-drome di Grimilde” alla quale è dedicato

un intero capitolo dei ventuno che lo com-pongono. A ben guardare, la Sindrome per-vade tutto il volume nell’esigenza etico-sociale di “sgonfiare la bolla dell’omertà” difronte a un certo tipo di criminalità allaquale, grazie alla “spendita della fama”,non serve sparare, ma basta esistere. Grimildeè la strega della favola di Biancaneve: alcunedonne che non si piacciono (spesso ancheper piccole imperfezioni del loro corpo)non si guardano allo specchio, per nonessere messe di fronte alla realtà. Si tratta di“uno strumento di difesa che però impedisceuna risoluzione del problema: se non tiguardi, non sai. E se non sai, non puoiprendere le contromisure per apparire mi-gliore”. È quello che è accaduto lo scorsoanno quando hanno dato addosso alla pre-sidente della commissione antimafia RosiBindi la quale ha aderito alla tesi, cheRoberti sostiene da molto prima di quelledichiarazioni, secondo cui “le mafie sonoun elemento costitutivo, una componenteendemica della società meridionale”. Èquello che sta accadendo anche in questiultimi giorni a proposito delle critiche allafiction di Gomorra (definita da alcuni criticiun “errore narrativo”) e che invece l’autoredi questo libro difende: “E’ un altro pezzodella Sindrome di Grimilde: non vogliamoguardarci allo specchio? Gomorra fornisceun contributo di conoscenza reale del pro-blema. E fa più paura proprio per questo”.

Se non si comprende la Sindrome diGrimilde non si capisce nemmeno il titolodell'opera: qual è il contrario della paura?“Amo particolarmente – scrive Roberti –una frase di Albert Camus, che scrisse neiTaccuini: l’unica libertà per la quale sareidisposto a battermi veramente è la libertàdi non mentire mai”. E nell’ultima rigadel libro svela la sua risposta.//

29merQurio numero 1 • Giugno 2016

Disuguaglianze e diritti negatialimentano terrorismo e mafieCon “Il contrario della paura” il Procuratore Antimafia Robertiinvita a guardare in faccia alla realtà per battere la violenza

Dino Falconio

Il contrario della pauradi Franco Roberti con Giuliano FoschiniMondadori 2016, pag. 176

IL LIBRO

30 merQurio numero 1 • Giugno 2016

– Buongiorno!– Anche a te.– Mica male ’st’Inferno… pensavo peggio.– Ma non è l’Inferno, Giacinto, siamo in Pa-radiso.– Me stai a cojona’?– No, dico sul serio.– E tu chi saresti: Pietro?– Esatto.– A me chiamami Marco, preferisco.– Come vuoi.– E come ci so’ arrivato qui? Non sarà chePapa Francesco ci ha messo una buona pa-rola: sai, gli ho mandato una lettera prima dimorire.– No, non si accettano raccomandazioni, qui.- Uhm. Che mi posso accendere uno spi-nello?– Marco…– E vabbe’: almeno una sigaretta ce l’hai?– Non ne facciamo uso, in Paradiso.– Peccato... Che ora è?– Quella che preferisci: il tempo non esiste.– Allora sarà mezzogiorno passato perché houn certo appetito.– Ma qui da noi non si mangia.– Neanche qui? Annamo bene. Siete in scio-pero?– In che senso?– Lascia perdere, Pie’: scherzavo. Senti, piut-tosto, ma il principale si può incontrare?– Dipende…– Da che?– Da lui. Se vuole, si fa vedere… diciamocosì.– E mo’ che faccio qui?– Godi la beatitudine di questo luogo, ineterno.– Sai che palle…– Dicevi, scusa?– Che bello, dicevo. – Già…– Senti, Pietro: ma tu sei proprio sicuro, sicuroche io devo stare qua? Io so’ quello del-

l’aborto, del divorzio… dell’eutanasia.– Ti dirò un segreto, Marco: l’Inferno e il Pur-gatorio non esistono. Tutti quelli che muo-iono vengono qui: buoni o cattivi. Anzi, pernoi non esistono buoni o cattivi: siamo tuttiuguali. Siamo anime, nient’altro.– E tu conservi le chiavi per tenerci chiusidentro: sei un po’ come una guardia carce-raria, insomma. E questa è come una pri-gione, tra l’altro sovraffollata, visto che cistanno tutti quelli che so’ morti da Adamoed Eva a oggi.- Ma in Paradiso lo spazio è infinito, puoi an-dare dove vuoi.– Tranne che fuori.– Fuori non c’è niente.– C’è il mondo, Pie’… c’è il mondo... Senti,Pietro, ma c’è una legge che dice che nonpossiamo uscire dal Paradiso?– Questa è la regola, da sempre.– E sta scritta da qualche parte?– Se ti fa piacere, te la scrivo su questo foglio.Eccola, contento?– Grazie, Pietro.

***– Scusa Marco, ma che fai con quel ban-chetto?– Raccolgo firme.– Per cosa?– Per abrogare la legge che dice che non sipuò uscire dal Paradiso.– Ma sei matto? Smettila subito: è una cosainsensata.– Ha appena firmato anche la Madonna. Diceche si rompe, sempre chiusa in casa. Chedici: il principale si incazza?– Non credo: questo referendum, anche sepassasse, non avrebbe alcun effetto reale.– AMNISTIA! AMNISTIA! AMNISTIA! AMNI-STIA!– Vabbe’, Marco, dove devo firmare?– Mettiti in fila dietro a Fanfani: altri 2 miliardidi firme, Pie’, e parte la battaglia contro lapartiteocrazia... AMNISTIA! AMNISTIA!

RITORNO DI FIAMMA

Marco arriva in Paradiso

Amianto

LEGGI

SUL TUO PC, TABLET O SMARTPHONE

www.merqurio.org