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Restaurare, recuperare, ricordare, archiviare. Prima il cantiere, le indagini preliminari, lo studio filologico sul monumento, la ricerca sui materiali, l’intervento concreto nel sito. Poi, in una sorta di viaggio a ritroso, il documento che resta è la testimonianza del lavoro concluso e dei suoi esiti, la felicità di un risultato che diventa bene comune, un pezzo del patrimonio artistico che rivive negli occhi di chi torna ad ammirarlo dal vivo e sulle pagine di una monografia illustrata. Non è certo un caso che questa breve presentazione sia uno dei primissimi atti della nuova amministrazione: essa è testimonianza da un lato dell’enorme mole di lavoro prodotta in dieci anni di attività dal team tecnico-amministrativo della Sovrintendenza Beni Culturali, Monumentali ed Artistici di questa Provincia, diretto da Maurizio Rotolo e dall’altro è occasione per ribadire la volontà della nuova amministrazione di proseguire su questo percorso che ha dato così preziosi frutti. Il recupero della Torre di Gangi, roccaforte del governo dei Ventimiglia e prezioso avamposto della storia sociale del territorio nella prima metà del Trecento ha visto passione, entusiasmo, rigore filologico, l’uso sapiente delle tecnologie più avanzate dare origine ad una sinergia virtuosa, possibile solo quando il fattore umano incontra la tecnica e le aspettative dell’esperto finiscono per coincidere con la cura dell’interesse della comunità. La Torre dei Ventimiglia come simbolo dell’identità che si conserva e si rinnova, come spazio per evocare il passato e gettare nuove luci sul presente, come spazio fisico e virtuale per incrociare suggestioni e prospettive. Un monumento che riapre idealmente le sue porte e consegna le chiavi di altre, altrettanto antiche serrature della memoria. Restaurare è sempre una conquista, un impegno importante che merita un posto di primissimo piano tra le priorità delle pubbliche amministrazioni e della politica. Ma non può esistere restauro efficace se non viene valorizzata al massimo la dimensione collettiva dell’intervento, non solo esercizio di perizia ma punto di partenza di un nuovo cammino. Per informare, spiegare, ribadire che l’arte e la storia non sono un privilegio per pochi, ma un diritto di tutti, senza preclusioni. Oggi più di ieri. Giovanni Avanti Presidente della Provincia Regionale di Palermo 13

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Page 1: La torre Ventimiglia della città di Gangi3 · 2010. 11. 9. · filologico sul monumento, la ricerca sui materiali, l’intervento concreto nel sito. Poi, in una sorta di ... Il

Restaurare, recuperare, ricordare, archiviare. Prima il cantiere, le indagini preliminari, lo studio

filologico sul monumento, la ricerca sui materiali, l’intervento concreto nel sito. Poi, in una sorta di

viaggio a ritroso, il documento che resta è la testimonianza del lavoro concluso e dei suoi esiti, la

felicità di un risultato che diventa bene comune, un pezzo del patrimonio artistico che rivive negli

occhi di chi torna ad ammirarlo dal vivo e sulle pagine di una monografia illustrata.

Non è certo un caso che questa breve presentazione sia uno dei primissimi atti della nuova

amministrazione: essa è testimonianza da un lato dell’enorme mole di lavoro prodotta in dieci anni di

attività dal team tecnico-amministrativo della Sovrintendenza Beni Culturali, Monumentali ed Artistici

di questa Provincia, diretto da Maurizio Rotolo e dall’altro è occasione per ribadire la volontà della

nuova amministrazione di proseguire su questo percorso che ha dato così preziosi frutti.

Il recupero della Torre di Gangi, roccaforte del governo dei Ventimiglia e prezioso avamposto della

storia sociale del territorio nella prima metà del Trecento ha visto passione, entusiasmo, rigore

filologico, l’uso sapiente delle tecnologie più avanzate dare origine ad una sinergia virtuosa, possibile

solo quando il fattore umano incontra la tecnica e le aspettative dell’esperto finiscono per coincidere

con la cura dell’interesse della comunità.

La Torre dei Ventimiglia come simbolo dell’identità che si conserva e si rinnova, come spazio per

evocare il passato e gettare nuove luci sul presente, come spazio fisico e virtuale per incrociare

suggestioni e prospettive. Un monumento che riapre idealmente le sue porte e consegna le chiavi di

altre, altrettanto antiche serrature della memoria.

Restaurare è sempre una conquista, un impegno importante che merita un posto di primissimo piano

tra le priorità delle pubbliche amministrazioni e della politica. Ma non può esistere restauro efficace se

non viene valorizzata al massimo la dimensione collettiva dell’intervento, non solo esercizio di perizia

ma punto di partenza di un nuovo cammino. Per informare, spiegare, ribadire che l’arte e la storia non

sono un privilegio per pochi, ma un diritto di tutti, senza preclusioni. Oggi più di ieri.

Giovanni AvantiPresidente della Provincia Regionale di Palermo

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Giuseppe FerrarelloSindaco di Gangi

Importante centro abitato del versante meridionale delle Madonie, a 1011 m di quota, sul monte

Marone, Gangi domina un vastissimo orizzonte di seminativi della valle dell’Imera meridionale e un

altrettanto vasto territorio di pascoli d’alta quota.

Sorta sui resti di un’importante città di età classica, (Engion) secondo Diodorio Siculo fondata dai

Cretesi, venne distrutta nel 1299 durante la guerra del Vespro e ricostruita successivamente nel sito

attuale. Probabilmente inclusa fra i domini ereditati da Enrico Ventimiglia, nel XIV secolo risulta

appartenere alla contea di Geraci.

Sotto la signoria dei Ventimiglia rimane fino al XVII secolo, quando viene ceduta ai Graffeo che,

per volere di Filippo IV re di Spagna nel 1629, acquistano il titolo di principi di Gangi e marchesi

di Regiovanni. Nel 1677 il titolo passa ai Valguarnera.

Gangi è uno dei più singolari paesi dell’entroterra siciliano non solo per la sua antica storia che la

vede crogiolo in cui si fondono la cultura greca e romana ma perché mostra ancora il suo fascino

spiccatamente medievale caratterizzato da pittoreschi vicoli fiancheggiati da case in pietra.

La cittadina è stata protagonista delle più importanti vicende siciliane: dalla partecipazione attiva

alla guerra del Vespro Siciliano, alla ribellione contro Federico III di Aragona seguendo sempre le

vicissitudine dei Ventimiglia.

Ancora Gangi è patria di alcuni fra i più importanti protagonisti della cultura artistica siciliana:

Figli di Gangi sono infatti i due grandi pittori, Gaspare Vazzano e Giuseppe Salerno, noti entrambi

come lo Zoppo di Gangi, avvinti da un rapporto tormentato caratterizzato da un muto antagonismo

creativo sfociato in una mirabile produzione artistica. Figlio di Gangi è pure Filippo Quattrocchi uno

dei più apprezzati scultori lignei siciliani tardo settecenteschi. La cittadina seppe inserirsi nel filone

della cultura tardo barocco che vide il fiorire di numerose Accademie poetico-culturali in tutta Italia.

Dapprima l’Accademia dei Curiosi a seguire quella degli “Incogniti” e poi nel 1743 quella degli

Sfaccendati per finire con la Accademia degli Industriosi fondata nel 1758 dai fratelli Bongiorno,

Baroni del Cacchiamo e di Capuano, uomini colti, ricchi e munifici.

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In questa Accademia oltre alla poesia venne coltivata l’eloquenza, la storia sacra e profana ed ogni

ramo delle scienze. Le riunioni avevano luogo due volte al mese nelle magnifiche sale di palazzo

Bongiorno affrescate da Gaspare Fumagalli e Pietro Martorana.

Orgoglio della dignità civica, oggi torre campanaria della chiesa madre, la torre Ventimiglia

rappresenta per Gangi il segno più distintivo, il punto di riferimento per ogni generazione; sotto

il suo portico forse residuo di una antica porta, si sono svolte tutte le vicende più importanti della

vita cittadina, innumerevoli contrattazioni sono state suggellate con una stretta di mano, matrimoni

sono stati combinati, i destini di migliaia di uomini, donne e bambini, in quel luogo, per secoli si

sono intrecciati ed ancora oggi si intrecciano.

Dopo sette secoli la il simbolo della nostra cittadina, questa Torre il cui restauro è stato realizzato

dalla Provincia Regionale di Palermo nell’ambito di un intelligente programma mirato al recupero

dei simboli architettonici più peculiari del territorio entrati in un modo o nell’altro a far parte

dell’immaginario collettivo della popolazione, continua ad essere, tornata alla sua primitiva

magnificenza, un centro privilegiato di aggregazione sociale.

Gangi è uno stato d’animo. I suoi monumenti, le sue Chiese, le sue mille opere d’arte, i suoi luoghi

caratteristici, le sue antiche pietre grondanti di storia e di cultura racchiudono la bellezza spirituale

e i valori della sua gente.

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INTRODUZIONE

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Con il Vespro Siciliano del 1282 inizia la cosiddetta guerra dei novant’anni - una lunga e continua serie di lotte tra Aragonesi ed Angioini – che vede la Sicilia vivere uno dei suoi periodi più turbolenti. I grandi feudatari ne approfittano per combattersi senza tregua, le alleanze si creano e si distruggono nello spazio di pochi giorni, agli atti di piena sottomissione al potere regio seguono improvvise e violente ribellioni. Francesco I Ventimiglia viene investito nel 1330 di tutti i possedimenti di famiglia, a lui toccano i titoli di Conte di Ventimiglia, di Geraci, di Ischia Maggiore e di Collesano, Signore di Gangi, di Regiovanni, delle Petralie, di Tusa, di San Mauro, di Pollina, di Caronia e di Castelbuono, Barone di Gratteri e di Pettineo. Viene inviato come ambasciatore da Federico III d’Aragona presso il Papa Giovanni XXII ad Avignone. Sposa prima Costanza Chiaramonte e quindi, ripudiata la prima per non avergli dati figli, sposa Margherita d’Antiochia. Vittima di una congiura organizzata dalla fazione chiaramontana con la complicità dei Palizzi, viene, nel 1338, dichiarato traditore e privato dei feudi. Lo storico e genealogista Villabianca ne racconta

la vita e soprattutto la tragica morte: “infine caduto in disgrazia per aver ripudiata la moglie Costanza Chiaramonte, ribellossi al suo rè inalberando nella sua rocca di Geraci la bandiera di rè Carlo d’Angiò, ma vinto, perde la vita precipitandosi col suo cavallo da una enorme altezza, e raggiunto dai suoi nemici venne barbaramente trafitto dà colpi di spada di Francesco Valguarnera”. Proprio a Francesco I si deve la costruzione della Torre, che secondo fonti di archivio, risalirebbe al 1337. Molto si è discusso sulle funzioni della Torre: punto di avvistamento, difesa fortificata, mansio nobilis, simbolo di potere feudale ed altro ancora. Pur rimandando, per un approfondimento sulle origini e natura della Torre, all’interessante saggio di Fausto Randazzo e Silvia Mandria che potrete leggere più avanti, ricordo con chiarezza il mio primo incontro con la Torre avvenuto tanti anni fa nel corso di una gita, quando apparve alla mia vista, avvolta tra le brume di un grigio mattino di autunno. A quei tempi avevo il vezzo di dare un nome particolare ad ogni edificio che colpiva la mia immaginazione – forse un segno del mio futuro destino di architetto.

La sentinella di pietraMaurizio Rotolo

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Enigmatica e possente, la Torre, a torto o a ragione, mi sembrò una sorta di “sentinella di pietra”, pronta a vegliare sui destini presenti e futuri della cittadina di Gangi. Se dal punto di vista ideologico il medioevo è la culla di tutte quelle creature che il razionalismo illuminista e contemporaneo rifiutano, dal punto di vista del topos é il simbolo di ciò che con l’industrializzazione si è perduto: il rapporto con la natura e la pietra e l’accurata scelta dei luoghi. Esiste una sorprendente continuità nella scelta dei luoghi: per millenni l’uomo ha saputo selezionarli con estrema attenzione di modo che città, templi, edifici di rilievo rappresentassero punti focali del territorio. In un certo senso sembra che gli antichi architetti e i padri fondatori delle varie comunità intuissero in qualche modo la stretta relazione tra geografia, topografia e cosmogonia. L’idea originaria d’identificare uno spazio in quanto luogo sacro o punto focale e quindi, in qualche modo circoscriverlo è propria d’ogni cultura: porre un limite all’infinità del mondo sconosciuto significava, per gli antichi, definire uno spazio quale simbolo di sicurezza o di fede. In ogni caso, questi topos sono l’archetipo della relazione che intercorre tra l’essere umano e le forze cosmiche identificate con la natura. Occorre isolare un’area per darle significato, per notarla, per conferirle un’aura; per separarla dalla natura selvaggia e farla diventare natura costruita, in definitiva architettura. Va da sé che le antiche torri oltre a rappresentare e mostrare la forza militare e la ricchezza del feudatario diventano luogo elettivo di decisioni politiche, ovvero di relazioni tra i membri della comunità allo scopo di preservarla e mantenerla integra. Questi tipi di monumenti vanno quindi visti come elementi prominenti sul piano del paesaggio culturale (relazioni socio-economiche) che più strettamente naturale (relazioni morfologiche). Le torri devono essere considerate in altri termini non solo come costruzioni funzionali bensì come strutture architettoniche complesse che ri ettono le specifiche idee politiche, artistiche e cosmologiche esistenti all’interno di una data società. Perciò, nel mio lavoro, è importante

conoscere quali scelte politiche e quali condizioni sociali ed economiche hanno accompagnato la vita di una città o di un edificio in particolare, qual era lo strato fisico e morfologico su cui si è costruito, quali erano i modelli insediativi di riferimento, quali le misure, le dimensioni, i rapporti utilizzati nell’edificazione. E ancora, come è stato scelto il terreno, quale direzione hanno seguito gli assi ordinatori, quale struttura si voleva realizzare, quale forma si voleva raggiungere, quali materiali e quali tecniche sono state impiegate, etc. Appare evidente l’inserimento della torre in un preordinato progetto di pianificazione e riorganizzazione territoriale, attuato dai Ventimiglia sin dagli inizi del XIV secolo. Questo processo si inquadra nel radicamento del controllo signorile su un territorio, dove si concentravano gli interessi patrimoniali dei Ventimiglia. Una visuale limitata alla sola prospettiva del controllo del territorio non appare esprimere completamente un fenomeno alquanto più complesso. I reali connotati di questo processo, relativamente limitato nel tempo, possono essere meglio colti se esso viene proiettato nell’ambito di una radicale riorganizzazione degli assetti territoriali, quale presupposto del mantenimento e rafforzamento dell’esercizio di poteri amministrativi, fiscali e giudiziari, al culmine di quel processo di trasformazione e riqualificazione del dominio sulle aree rurali iniziato ai primi del Trecento. Ma questo assai interessante argomento potrà essere approfondito leggendo, più avanti, il pregevole saggio di Pietro Corrao.

Lineamenti sul restauro lapideoSulla filosofia del restauro e sui dettagli degli interventi conservativi effettuati sulla torre si rimanda più avanti al preciso ed esauriente capitolo prediposto da Paolo Mattina. Quello che qui più mi interessa è dare uno sguardo di insieme sulla tematica della conservazione dei materiali dell’architettura. Quando si decide di effettuare un intervento conservativo su di un manufatto architettonico occorre innanzi tutto acquisire una buona conoscenza

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dei termini del problema da affrontare facendo ricorso alle discipline delle scienze fisiche e naturali e in particolare della biologia, chimica, fisica e geologia.La scelta dell’intervento conservativo più adatto dipende dalle caratteristiche del materiale e dalle cause che hanno prodotto il deterioramento cui si cerca di porre rimedio. Pertanto è necessario porre la più grande attenzione nello svolgimento degli studi diagnostici propedeutici ad ogni seria attività di restauro. Tali studi diagnostici possono essere raggruppati in tre categorie:Conoscenza e caratterizzazione del materiale lapideo- definizione petrografica;- individuazione delle cave da cui proviene il materiale della costruzione;- misura delle caratteristiche chimiche, fisiche e meccaniche del materiale.

Conoscenza dell’ambiente a cui il materiale è esposto- raccolta ed esame dei dati di temperatura, piovosità, direzione dei venti prevalenti;- raccolta dei dati relativi alle concentrazioni degli inquinanti atmosferici;- raccolta dei parametri fisici dell’aria.Conoscenza dello stato attuale di conservazione ovvero come il materiale si è trasformato per effetto delle sue interazioni con l’ambiente- raccolta di dati bibliografi e di archivio sulla storia conservativa del manufatto;- osservazione e mappatura dei materiali impiegati e sulle tecniche di lavorazione;- analisi di campioni per ognuna delle forme di alterazione osservate;- confronto con dati relativi a materiale non alterato.

Il centro urbano visto dall’alto della torre

pagina precedenteLa torre dalla scalinata della via Matrice

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É importante sottolineare che lo studio diagnostico è una attività prettamente interdisciplinare che vede collaborare gli specialisti dei materiali e dell’ambiente (fisici, chimici, biologi, geologi, ingegneri), con coloro che si occupano degli aspetti storici e delle tecniche costruttive (architetti, archeologi, storici dell’arte) e con i restauratori. Attraverso questa collaborazione e al feedback che ne deriva non solo i problemi diagnostici vengono meglio individuati ma i risultati delle varie indagini trovano una interpretazione unitaria.É abbastanza ovvio che la scelta degli specifici trattamenti conservativi si basa esclusivamente sulla base del processo diagnostico esperito così che più profondo è stato questo studio tanto più sono elevate le possibilità di successo. I tipi principali di trattamenti conservativi su materiale lapideo possono essere raggruppati in tre categorie:

Pulitura Asportazione, dalla superficie lapidea, di materiali nocivi alla sua conservazione e restituzione dei valori formali originari del manufatto. Si va dalla polvere di varia natura, alla micro ora (alghe e licheni), vegetazione infestante, nidi e deiezioni di uccelli, incrostazioni varie, residui di vecchi trattamenti, etc.Questa operazione è, per definizione, un trattamento irreversibile per cui occorre porre la massima attenzione che l’azione pulente sia sufficientemente lenta da permettere la sua sospensione raggiunto il grado di pulizia desiderato, che non vi sia formazione di sottoprodotti dannosi e, importantissimo, che l’effetto abrasivo sul materiale lapideo sia minimo.

ConsolidamentoScopo di questo trattamento è quello di migliorare la resistenza del materiale agli sforzi meccanici. L’intervento consiste nell’impregnare in profondità il materiale poroso con un prodotto in grado di migliorare la coesione e adesione tra i componenti minerali del materiale lapideo dando continuità tra le parti superficiali deteriorate e quelle più profonde

meglio conservate. La moltitudine di prodotti offerti dal mercato connessa alla grande diversità di problematiche conservative che possono evidenziarsi rende la scelta adatta per il singolo caso alquanto problematica per cui è sempre opportuno effettuare una serie di prove preliminari.

Protezione delle superficiCon questo trattamento si interviene al fine di rallentare la velocità dei processi di deterioramento che derivano dalle interazioni tra materiale ed ambiente. Posto che, in genere, è difficile, se non impossibile, agire sull’ambiente l’intervento sarà diretto sul materiale. Un trattamento di protezione prevede l’applicazione sulla superficie esterna di un prodotto in grado di rendere il materiale più resistente all’attacco di agenti chimici, fisici e biologici causa del deterioramento.Poiché il trattamento deve essere effettuato su superfici pulite e coerenti è evidente che lo stesso deve essere preceduto dalle fasi di pulitura e consolidamento.L’esperienza degli ultimi decenni ha dimostrato che nessun intervento conservativo, per quanto ottimo, ha una durata indefinita nel tempo. Subito dopo l’intervento, sia pure a velocità molto ridotta, il processo di invecchiamento e decadimento del materiale riprende a verificarsi.L’unico strumento a nostra disposizione per prolungare la vita dei manufatti è quello di adottare un programma regolare di manutenzione affiancandolo ad un monitoraggio frequente ed accurato delle opere trattate in modo da intervenire prontamente nel caso si manifestassero nuovi segni di degrado.Non sempre si realizzano le condizioni tecniche, amministrative e finanziarie per realizzare programmi di questo tipo ma è proprio questa la sfida maggiore per gli anni a venire.

ConclusioniÉ abbastanza intuitivo che qualsiasi filosofia, qualsiasi protocollo operativo, anche il più perfetto, il ricorso alle più avanzate tecnologie, dipendono sempre dal fattore umano ovvero dalla capacità di saper creare e mantenere una equipe formata da soggetti con

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professionalità assai diverse che, avendo in comune il medesimo obiettivo, riescano ad operare tra di loro con la massima sinergia. Quando alla professionalità si aggiunge come valore aggiunto l’entusiasmo, la passione per il proprio lavoro, l’orgoglio, certamente i buoni risultati si evidenziano da soli. É questo quanto accaduto con il restauro della Torre di Gangi.

BibliografiaFrancesco Maria Emanuele e Gaetani, Marchese di Villa Bianca, Della Sicilia Nobile, Stamperia dei Santi Apostoli, Palermo, 1759 Antonio Mogavero Fina, I Ventimiglia, Conti di Geraci e Conti di Collesano, baroni di Gratteri e principi di Belmonte: correlazione storico-genealogica, Arti Grafiche Siciliane, Palermo, 1980Antonio Mogavero Fina, Profilo storico dei Ventimiglia, signori delle Madonie, Principi di Belmonte, Primavera, Palermo, 1973Vincenzo Palizzolo Gravina, Il Blasone in Sicilia, ossia raccolta araldica, Tipografia Ignazio Mirto, 1871-75 (due volumi)

Lo stemma dei VentimigliaArma: inquartato: nel primo e quarto di rosso, col capo d’oro (ch’è di Ventimiglia); nel secondo e terzo d’azzurro, alla banda scaccata di due file d’argento e di rosso (che è dei Normanni).Cimiero: un leone coronato d’oro, impugnante con la destra una spada d’argento.Sostegni: due leoni d’oro, coronati all’antica dello stesso, lampas-sati di rosso.Divisa o motto: Dextera Domini Fecit Virtutem, Dextera Domini Exaltavit Me (Salmo 117: la destra del Signore ha fatto meraviglie, la destra del Signore si è innalzata), utilizzato in precedenza dal Gran Conte Ruggero come suo motto, affiancato spesso all’immagine della Vergine Maria presa come personale Protettrice.

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Interno del livello delle campane

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PROGETTO E RESTAURO

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A.

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Quadro critico delle conoscenze

Paolo Mattina

L’analisi critica dei monumenti è un insieme di studi e di operazioni interdisciplinari che costituiscono la fonte di conoscenza primaria per il progetto di re-stauro. Essa è la base per il lavoro progettuale, ma è necessario che una tale attività faccia sì che le sin-gole competenze si fondano insieme a sublimazione di ogni sapere per costituirne uno nuovo sul quale costruire il progetto. Quello che in realtà sembrereb-be scontato è invece il prodotto di più di un secolo di dibattito teorico e di esperienze sul campo. Anche perché, come osservava Boscarino, spesso è diffici-le far dialogare specialisti di discipline tanto diverse, ognuno con la tendenza a far prevalere le specifiche competenze.Ancora oggi si dibatte sul ruolo della storia anche se va da se che le soluzioni progettuali nascono da in-dagini e valutazioni storico-critiche approfondite. Ma la storia non è totalmente esente da dubbi e incertez-ze e forse spesso è più corretto parlare di valutazio-ni storiche piuttosto che di storia come certezza del dato storico. Anche la storia, così come qualsiasi altro prodotto del pensiero umano dal quale è impossibi-

le escludere “ogni interesse o intervento soggettivo”, non è solo compendio o ricapitolazione di fatti a ca-rattere oggettivo. Autorevoli cultori concordano che le maniere di scrivere la storia sono molteplici e che sono le stesse memorie storiche a dettare nuovi modi di fare storia. Già era Brandi a richiamare il “ricono-scimento” come premessa al restauro1. Fancelli inoltre rilevava le negative “conseguenze [...] di una pervasi-va, quanto indifferenziata, preminenza dell’impronta storica” – tuttavia anche del fattore estetico per la verità - nel restauro aggiungendo poi che “conservare significa soprattutto riconoscere e tramandare i valori del passato”2. L’analisi storica “non serve a fornire il tipo stilisti-co dentro cui far rientrare il monumento ai fini di riproposizioni filologiche o in stile di lacune picco-le o grandi...essa dando coscienza dei valori storici...individua la sua struttura logica, la problematica lin-guistica...i meccanismi statici, i materiali, le tecniche d’impiego”3. Viene da sé la caratteristica multidisci-plinare del progetto di restauro. La conoscenza storica consente la ricostruzione mentale dell’oggetto nelle

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condizioni primitive, l’origine, le successive addizio-ni, i rimaneggiamenti avvenuti nel tempo, fino alle condizioni attuali. Ma l’analisi critica è altrettanto sostanziale e va con-dotta conseguenzialmente. Essa va rivolta all’iden-tificazione della qualità del monumento e consente l’esercizio del giudizio di “riconoscimento” della com-plessità dei valori del testo architettonico da riferire anche all’uso contemporaneo o a quello eventual-mente futuro.Con tutte le contraddizioni e le incertezze del nostro tempo, il restauro è comunque un ulteriore espressio-ne del fare umano ed esso stesso un evento storico nella vita del testo architettonico ed è pressoché im-possibile che passi imperturbabilmente sul monumen-to lasciandolo del tutto indisturbato. Però il richiamo alla volontà di praticare il giudizio critico può essere a volte malintesa. I progressi nel campo della cono-scenza dei materiali costitutivi delle cause di dete-rioramento e di degrado e della loro gravità, fanno correre il rischio di un eccesso di progettazione. La tentazione di “cristallizzare” l’oggetto per un tempo indefinito, può allontanare l’opportunità più auspica-bile di interferire minimamente col manufatto. È infatti convinzione di chi scrive che sia quanto mai opportuno in tema di conservazione che l’azione del restauratore venga ispirata a modelli che richiamino il minimo intervento, sebbene in un contesto di scel-ta critica delle soluzioni, che si contempera in quel “riconoscimento” dei valori da tramandare contenuti nella materia originale. Il restauro, per la difficoltà di ri ettersi in un pro-cedimento scientifico ripetibile, è pertanto lontano dall’esitare risultati definitivi e validi sempre e co-munque. Brandi aveva notato che “sia per il concetto stesso dell’opera d’arte come di un unicum, sia per la singolarità irripetibile della vicenda storica, ogni caso di restauro sarà un caso a parte e non un elemento di una serie paritetica”4. Lo sviluppo degli studi scien-tifici, degli strumenti di rilievo e di ricerca, l’intro-duzione di sistemi informatici innovativi consentono la rappresentazione del manufatto a scale sempre più dettagliate e forniscono gli elementi indispensabili

alla conoscenza scientifica del monumento relativi alla sua consistenza fisica, ai materiali, alla statica, alla forma scultorea, allo stato di conservazione degli stessi, o più sovente al loro stato di degrado se non di deterioramento. La conoscenza del testo antico deve comprendere quella del suo stato di deterioramen-to in ordine agli aspetti relativi ai materiali, a quelli costruttivi e tecnologici e dell’equilibrio statico delle strutture. Il processo di degenerazione dei manufatti è un pro-cesso naturale certamente irreversibile e incessante che si concluderà solo con la perdita del manufatto, ma è certo compito del restauratore allontanare quan-to più possibile questo momento. È dunque necessario conoscere le cause della rovina dei materiali a partire da quelle naturali, a quelle biologiche, a quelle an-tropiche, bisogna realizzare la conoscenza dei terreni su cui poggiano le fondazioni e delle loro capacità portanti. È comunque difficile affermare che possa-no esistere a sostegno del progetto di restauro regole scientifiche valide sempre e in ogni caso, per l’essere in uenzato com’è da giudizi inevitabilmente sogget-tivi e per avere come oggetto di studio manufatti in costante trasformazione; ma la scienza non può esse-re invisa al riconoscimento di valore, ai giudizi e alle scelte che il restauro impone. La pluralità degli studi sui manufatti, quindi, non po-trà che essere stabilita in rapporto al caso da domina-re. Questo quadro finale di conoscenze composto da comprensioni storiche e scientifiche, costituisce il fon-damentale background su cui intraprendere ogni atti-vità di progettazione per il restauro dei monumenti.

pagina precedenteA. Prospetto Sud della torre

a destra, dall’alto in bassoB. Pianta del porticato, rilievoPianta primo livello, rilievoPianta secondo livello, rilievoPianta terzo livello, rilievoRilievo eseguito da Silvia Dandria e Fausto Randazzo

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Quadro critico delle conoscenze

Analisi dimensionale

Paolo Mattina

Tra i vari aspetti che concorrono alla conoscenza dell’edificio storico un ruolo importante si riconosce nell’analisi dello stato di fatto. Esso va valutato nella sua consistenza attuale e letto ed interpretato poi in maniera critica in relazione alle trasformazioni del-l’organismo nel tempo. L’analisi dimensionale viene trattata attraverso il rilievo della struttura geome-trica, costruttiva, materica, architettonica e spazia-le dell’edifico. La restituzione grafica dell’edificio è l’esordio che consente ogni successiva interpretazione critica. In questo caso il rilievo che costituisce la base delle tavole presentate nel seguito è stato realizzato con la tecnica fotogrammetrica che ha consentito di avere una rappresentazione sufficientemente detta-gliata sia degli esterni che anche delle pareti interne della torre. Parallelamente ed a integrazione, è stato eseguito un rilievo tradizionale con misurazioni di-rette, necessario anche per la restituzione delle pian-te e l’individuazione degli strapiombi delle pareti. Il rilievo fotogrammetrico è consistito nella ripresa di fotogrammi digitalizzati e raddrizzati, con l’impiego di un software adeguato, per correggere le distorsioni prospettiche. Il rilievo è stato realizzato con l’apporto determinante del laboratorio di fotogrammetria CIR-CE dello IUAV di Venezia. Successivamente l’elabora-zione CAD dei fotogrammi, raddrizzati e ricomposti in fotopiano, e delle misurazioni effettuate direttamente, ha permesso di ottenere la restituzione grafica dell’in-tero monumento.Lo stesso rilievo, per gentile concessione degli autori, è stato successivamente integrato e elaborato grafica-mente dalla Direzione Beni Culturali della Provincia Regionale di Palermo ed è servito da base per le tavole pubblicate in questo volume. (fig. B)

B.

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Quadro critico delle conoscenze

Analisi storica

Fausto Randazzo, Silvia Dandria

La costruzione Gli storici locali (ci riferiamo in particolare a Fran-cesco Alajmo Passalacqua, Santo Naselli e Salvatore Farinella, vedi bibliografia) che hanno parlato della torre ne fanno risalire la fondazione al XIV secolo, sulla scorta di raffronti stilistici con edifici coevi e notizie riportate da storici dei secoli precedenti. La torre sarebbe così stata costruita per volere del con-te Francesco I Ventimiglia (fondazione nel 1337, se-condo Alajmo Passalacqua da documenti di archivio) come segno feudale di potere e possesso sulla città e come luogo privilegiato per assistere a cerimonie o altri eventi che si sarebbero svolte nella piazza sot-tostante, oltre che come luogo per adunanze a vario titolo. Edifici simili, non rari nei centri medievali della Sicilia, erano chiamati “tocco”; alcuni esempi dello stesso periodo sono a Nicosia (duomo), a Enna (chiesa di S. Giovanni), a Erice e nei vicini paesi di Asso-ro, Isnello, San Mauro Castelverde, come ci ricorda Salvatore Farinella. A questa fase dei lavori vengono ascritti i primi tre livelli completi (il quadriportico e i due piani con le bifore). L’ipotesi dominante riguardo alla terminazione superiore propone una merlatura, poi distrutta, in accordo con altri edifici coevi di ca-rattere feudale, sparsi per la Sicilia. Le funzioni a cui la torre fu deputata dovettero essere varie, nel corso dei secoli, tra cui l’amministrazione della giustizia. A tal proposito l’Alajmo Passalacqua la indica, per un periodo non meglio precisato, come carcere del Santo Uffizio.

La torre campanariaDal 1560 la torre diventa proprietà della parrocchia di San Nicolò, di nuova fondazione, e viene usata come torre campanaria. Durante il ‘600 e fino alla metà del ‘700 la chiesa viene allungata e allargata fino ad ap-poggiarsi alla torre, coprendone quasi per intero la facciata orientale. Si può dedurre che le aperture che

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si affacciano nel sottotetto della chiesa siano state chiuse nel momento in cui la chiesa venne ingrandita nella seconda metà del ‘600 secondo l’Alaimo Passa-lacqua e il Naselli. Oppure la chiusura è avvenuta in concomitanza con la realizzazione della volta che copre la navata centrale della chiesa e cioè, sempre secondo gli stessi autori, entro i primi quattro decen-ni del ‘700, allorquando vennero realizzate le navate laterali, inserite le colonne, ingrandita la cupola. L’ac-cesso alla torre fu spostato e divenne l’attuale, con la scala che sale dentro il muro di fondo della chiesa, passa nel casottino pensile all’angolo sud-est e sfocia nella torre dal vano della finestra più orientale, appo-sitamente adattato.Secondo alcune fonti, nel 1665 fu realizzato il portale dell’ingresso occidentale alla chiesa, per il cui inseri-mento fu necessario demolire buona parte dell’arco-ne perimetrale della crociera essendo, evidentemente, l’apertura precedente di dimensioni minori. La deci-sione di inserire un portale troppo grande per lo spazio a disposizione, tanto da costringere alla demolizione di parti strutturali, fu dovuta, con ogni probabilità,

alla necessità di dotare la chiesa di un ingresso prin-cipale adeguato e proporzionato alle dimensioni e al linguaggio della costruenda basilica. L’Alajmo Passa-lacqua scrive che nella prima metà del ‘700 il parroco consentì all’amministrazione comunale di sopraeleva-re la torre per porvi un orologio pubblico. I lavori non furono mai portati a termine a causa di una minaccia di crollo che si era manifestata; tuttavia, cessato il pericolo, un orologio sarebbe comunque stato collo-cato, nel 1758, senza quadranti ma con delle campane segnatempo. In seguito a questi cedimenti venne rea-lizzato il contrafforte affiancato al pilastro sud-ovest verso sud, tuttora esistente. Da testimonianze visive riferiteci, risulta che detto contrafforte si imposti a partire da una quota decisa-mente inferiore rispetto a quella dell’odierno belvede-re, coincidente circa con quella di piazzetta Bongior-no, quindi quasi tre metri più in basso.Da allora, e per due secoli, la torre rimase probabil-mente priva di copertura e vuota fino al solaio del secondo piano (quello sotto la serie da tre aperture) che, debitamente inclinato, aveva la funzione di rac-

pagina precedente1. Sorcio della torre

2. Facciata nord dei primi ‘60 3. Facciata ovest dei primi ‘60

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cogliere le acque piovane e convogliarle al doccione posto sotto la finestra più a ovest del lato sud. Da qui l’acqua cadeva sul contrafforte dove, fino a pochi anni fa, era evidente la buca formatasi per ef-fetto dell’erosione. Tracce del pavimento inclinato erano ben visibili sulle pareti del secondo piano e ben chiare nei ricordi di chi frequentò la torre fino agli anni ‘50 del secolo scorso. Non sono segnalate altre modifiche significative fino alla fine dell’Ottocento, quando un fulmine colpì la facciata verso la piazza (1889), danneggiandola visibilmente, e due quadran-ti di orologio furono posti nelle finestre dell’angolo nord-ovest, al secondo piano. Grazie a testimonianze orali e ad osservazioni in situ si è potuto capire che all’interno era stata creata una stanzetta per gli in-granaggi coperta da una voltina che impostava su un arcone trasversale, probabilmente una delle strutture di rinforzo realizzate dopo il cedimento di metà ‘700, di cui oggi rimangono solo poche tracce (il loro anda-mento si può vedere sulle tavole di rilievo del 1953). Questi orologi funzionarono assieme alle campane fino alla metà del ‘900. Sopra la stanzetta al secondo piano c’era un altro locale, qui stavano gli ingranag-gi dell’orologio che erano collegati ad un albero che veniva fatto girare all’estremità da corde a cui era-no legati dei pesi in pietra (in siciliano “mazzere”). Questi pesi scendevano fino al primo piano; la carica dell’orologio durava ventiquattro ore. (figg. 2-3)

Facciata nord e ovest dei primi anni ‘60La ricerca di fonti iconografiche non è stata ricca di risultati e non fornisce elementi aggiuntivi all’analisi fin qui svolta, basata su osservazioni di tipo strati-grafico, ricerche archivistiche e storiografiche; le due immagini che inseriamo nel testo, riproduzioni di un dipinto dei primi del ‘600 e di un affresco del secondo ‘800, sono l’uno troppo generico per risultare utile, l’altro troppo tardo per far luce sui punti oscuri della storia dell’edificio. (figg. 4-5) Nei primi anni del ‘900 viene posizionata all’interno della chiesa, in contro-facciata, la balconata in legno per mettere l’organo (datato 1903) e perciò nel muro est in comune con la torre si ricava un corridoio voltato di passaggio.

Gli interventi durante il ‘900 Nel XX secolo, per effetto dell’attenzione nuova del-le istituzioni di tutela verso il patrimonio architetto-nico medievale, la torre fu interessata da tre diverse campagne di lavori. Diverse come appalto ma tutte riconducibili all’analisi e alla proposta di intervento fatta dal Soprintendente della Regia Soprintendenza ai Monumenti di Palermo Francesco Valenti. In una relazione del 27 dicembre 1921 il Soprintendente de-scrive e disegna lo stato in cui si trova la torre e tra le altre informazioni riporta che è “priva di copertu-ra”. La Soprintendenza ai Monumenti di Palermo, in seguito a questo sopralluogo, decise di finanziare dei lavori che, per difficoltà economiche del Ministero, iniziarono alla metà del 1925. Oltre alla succitata re-lazione del Soprintendente abbiamo trovato, presso l’attuale Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambien-tali di Palermo, un resoconto dei lavori eseguiti datato 23 febbraio 1926, e alcune lettere inviate, durante e dopo i lavori, dal parroco della Chiesa Madre.

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I lavori effettivamente portati a termine furono deci-samente meno consistenti di quelli auspicati dal Va-lenti nella sua relazione. Vennero inserite quattro ca-tene in acciaio, cilindriche all’ultimo livello e furono risarcite diverse fessure su tutti i lati e in particolare quelle del prospetto sud, “con beveroni di cemento a lenta presa e sabbia”.Una parte dei lavori si concentrano sugli archi, interni

ed esterni, delle finestre del lato sud, secondo piano, con diverse riparazioni e sostituzioni. Diversi furono pure gli interventi sull’ambiente che ospitava l’oro-logio, dimostrando che l’idea del Valenti di spostare tutto il meccanismo all’ultimo piano, per riaprire le bifore dell’angolo nord-ovest, era stata abbandonata.All’ultimo livello vennero chiuse tutte le finestre e fu costruita una copertura a terrazzo che, già nel ‘33, dava problemi di infiltrazioni e venne sostituita nel ‘34. Nel 1951 i pilastri che sorreggono la crociera ven-nero rivestiti, sostituendo i conci più esterni, con pie-tra di Troina. Le lamentele per i pezzi di pietra che si staccavano dai pilastri e le richieste di fondi per le riparazioni erano iniziate nel ’39. Nel 1953 viene redatto, sempre dalla Soprintendenza, un nuovo progetto (di cui ab-biamo trovato alcune tavole) che, in pratica, riprende e ripropone le opere non realizzate già proposte dal Valenti. Nel 1964 viene appaltato il restauro della tor-re, su progetto e direzione della Soprintendenza, con lavori eseguiti in due lotti (non è spiegato il motivo) nel ‘65 e nel ‘69.

4. Dipinto di inizio ‘600, Chiesa Madre di Gangi5. Affresco del secondo ‘800, Palazzo Mocciaro, Gangi

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L’elenco delle demolizioni è lungo: tutti i muri interni, la volta tra secondo e terzo livello, la scala, l’ambiente che ospitava l’orologio, la copertura, tutte le tampo-nature esistenti al terzo e al quarto livello, quelle a ovest del secondo. Il riempimento fino al davanzale del vano coi sedili in alcune bifore. I due solai vennero costruiti in latero-cemento a orditura monodirezionale. Stessa struttura per la copertura piana, impermeabi-lizzata con fogli di guaina catramata. Come collega-menti verticali furono inserite due scale a chiocciola in acciaio. Tutti questi lavori hanno lasciato un corol-lario di piccole risarciture, stilature di giunti e ricopri-menti con malta cementizia, diffusi su tutte le pareti interne. All’esterno, sulla facciata ovest, un’ampia area di muratura sopra l’arcone venne sostituita, co-m’è evidente, con una pietra diversa. Con la stessa pietra fu quasi del tutto sostituita la pri-ma cornice marcapiano e ampi brani della seconda e della terza. Sulla facciata nord vennero eseguiti lavori analoghi sulle finestre dei primi due piani, venne ri-parato il parapetto di una bifora del primo piano (che

era crollato a causa di un fulmine) e tutta la muratura sottostante, fino ai 3 4 dell’edicoletta sopra la chiave dell’arcone della crociera. Le parti scolpite interne agli archi delle bifore furono sostituite anche quando, come risulta dalle foto, era-no in discreto stato di conservazione, tanto da essere prese a modello per le copie. L’unico rosone che ri-mane, preesistente al XX secolo, è quello della bifora del primo piano più vicina alla chiesa. Ci ha colpiti la quasi totale assenza di documentazione a corre-do degli interventi più recenti: poche fotografie degli esterni e tutte con inquadrature larghe, nessuna degli interni, nessun rilievo né tavole di analisi, nessuna relazione descrittiva. Il cantiere si percepisce solo come fatto amministra-tivo, non anche come occasione conoscitiva o di stu-dio. Soprattutto riguardo alle vaste demolizioni ci pare grave la mancanza di dati sull’esistente. Ecco perchè accogliamo con favore la presente pubblica-zione che, benché realizzata per scopi divulgativi, pone l’accento sulla necessità e sull’importanza della documentazione degli interventi di restauro.

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Quadro critico delle conoscenze

Morfologia, caratteri decorativi, tipologici e costruttivi

Paolo Mattina, Fausto Randazzo, Silvia Dandria

Il periodo storico dell’architettura isolana tra XIII e XV secolo rimane ancora non sufficientemente codi-ficato in senso esegetico.Gli scarsi studi fanno prevalentemente riferimento ai caratteri stilistici dei monumenti più importanti, rara-mente agli aspetti architettonici e tipologici, mentre quasi ignorati restano i monumenti minori soprattut-to quelli di architettura religiosa.La difficoltà del reperimento di atti e documenti ori-ginali accrescono le incertezze riguardo alla datazio-ne dei medesimi edifici che risulta spesso complicata dalle condizioni di conservazione dei manufatti. In generale si può affermare che i caratteri dell’archi-tettura del trecento siciliano sono connessi alla risor-genza di coscienze autonomistiche come reazione alle tendenze inclini al ristabilimento di una dominazione straniera dopo i fatti del Vespro.La predilezione di Federico II per il gotico, innalzato ad espressione materica della grandiosità imperiale, aveva interrotto lo sviluppo delle idee antiche inter-pretate straordinariamente dal fine senso artistico che in epoca normanna fuse l’esperienza e le culture delle precedenti dominazioni. Tuttavia la visione federicia-na non riuscì mai a permeare i sentimenti locali rima-nendo estranea alla sensibilità isolana, tanto che già nel XIII secolo gli artisti ritornano alle suggestioni di quel lessico originalissimo dei magnifici monumen-ti rimasti, finalmente spinti dallo spirito di autono-ma affermazione dopo tante dominazioni. Le muta-te condizioni politiche del secolo successivo, l’ormai potente società feudale dei Chiaramonte dei Ventimi-glia e degli Alagona radicata ma internamente frasta-gliata, contribuiscono a configurare definitivamente una coscienza artistica che si arricchisce di contrasti espressivi coerenti al clima epocale. Nell’architettura l’elaborazione di forme di ascendenza gotica si con-tamina con il repertorio linguistico tradizionale di

origine orientale e romanica, depurandosi comunque dall’essenza dello spirito gotico tanto che i grandiosi edifici costruiti in questo periodo si affermano come elementi autonomi assumendo una sorta di “compiuta serenità classica”5. Da notizie tramandate e da confronti con edifici analoghi si ritiene che la torre Ventimiglia sia stata costruita nel XIV secolo da Francesco I Ventimiglia. Secondo l’interpretazione più accreditata dagli stori-ci solo a partire dal XVI secolo è stata trasformata nel campanile della Chiesa Madre. L’accentuarsi del-l’urbanesimo soprattutto nei centri minori assieme al desiderio feudale riequilibrato, ma ancora per poco tempo, dagli ideali artistici di autonomia, contribui-rono alla costruzione di edifici di questo genere che di norma affermavano il potere del feudatario sul ter-ritorio. Si può ipotizzare che potesse essere un punto di vista privilegiato in occasione di cerimonie civi-

6. Vista della torre dall’angolo meridionale 7. Crociera della volta del porticato

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li o religiose, che fosse un luogo dove amministra-re giustizia in analogia ad altri esempi. L’apparente coerenza architettonica che sembra informare i par-titi decorativi della Torre dei Ventimiglia viene con-traddetta da un esame più attento che rivela la lunga storia delle trasformazioni che hanno interessato la fabbrica nel corso dei secoli. La torre ha pianta qua-drilatera pseudorettangolare. Si sviluppa su tre piani impostati su quattro robusti piloni (fig. 6) che reggo-no le ampie archeggiature di un portico ad archi ogi-vali coperto da una volta a crociera anch’essa ogivale e costolonata. (fig. 7) Da uno dei fornici si accede alla Chiesa Madre dedicata a San Nicolò. L’arco in-quadra il settecentesco portale principale della chiesa, pertanto costretto ad adattarsi alla volta a crociera costolonata in corrispondenza del suo frontone. Inol-tre, gli archi diagonali della copertura terminano su peducci in corrispondenza del muro d’ingresso della chiesa mentre dal lato opposto scaricano direttamente sui piloni. Tali piloni sono completamente rivestiti da una recente fodera muraria in calcarenite grigia di modesto spessore il cui limite superiore è segnato da

una cornice in leggero aggetto. Una robusta scarpa approntata quale rinforzo di uno dei piloni ha dovuto contrastare significativi cedimenti del manufatto.Al di sopra del basamento, la torre raggiunge 21 m d’altezza sviluppandosi su due livelli ed un piano d’attico che, con ogni probabilità, ha preso il posto dell’originaria merlatura della torre ormai distrutta. Questo nuovo ordine, edificato anch’esso nel XVIII secolo, prima del presente restauro era coperto da un solaio in laterocemento di recente costruzione. Posta in fondo al principale percorso d’accesso, la torre ha fatto ipotizzare più volte anche una funzione difensiva come porta fortificata inserita nel circuito delle mura.Essa è appoggiata con il suo lato orientale al muro della chiesa retrostante che così deve essere preesi-stente fino al livello delle prime bifore. Essa è infatti addossata a questo muro senza particola-ri ammorsature e più in alto la sua facciata orientale si poggia sul muro stesso per tutto il suo spessore. Questo può aver ulteriormente accreditato l’ipotesi secondo la quale in origine la torre appartenesse a un sistema for-tificato di mura difensive e torri d’avvistamento.

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8. Muratura informe nella sezione intermedia del prospetto meridionale 9. L’arcone senza ghiere del prospetto meridionale10. Superficie interna della parete orientale del primo livello11. Tracce dei gradini della scala in pietra originaria

8.

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L’argomento resta comunque di difficile valutazione dal momento che non vi sono resti della cinta difen-siva, né tanto meno esistono edifici limitrofi che si possano far risalire alla medesima epoca. A giudicare dall’andamento delle strade la torre avreb-be avuto una disposizione planimetrica non ideale, leggermente ruotata, con nessuno dei suoi fronti in asse con una strada. Tuttavia, potrebbe esserci stata una preesistenza e qualche traccia e l’interpretazione di alcuni segni potrebbero esserne un indizio. Ma è pur certo che se fosse mai esistito un edificio a torre pree-sistente questo dovrebbe aver avuto ben altro aspetto per essere stato concepito quale elemento difensivo. I fornici mal si adattano alla difesa, ma al contrario invitano ad essere attraversati, le bucature sui pro-spetti avrebbero dovuto essere più rare e di dimen-sioni molto ridotte. In realtà la torre ha alte bifore ogivali nei prospetti settentrionale e occidentale ri-spettivamente al primo e secondo ordine, mentre al secondo ordine ha monofore sia nel lato occidentale che in quello meridionale con archi ribassati. Le sue murature, così traforate, non si sarebbero pre-state alla difesa durante un attacco o un assedio; inol-tre non si vedono segni di muri incidenti in qualche modo sulle sue facciate.Il quadriportico sembra aver avuto una funzione im-portante sia come luogo di ritrovo che come snodo viario verso un’area, usata sia come mercato che per adunanze cittadine, che occupava l’area a sud dell’at-tuale navata centrale della Chiesa Madre ed era chia-mata “a pinnata”, cioè tettoia o portico. Al suo posto oggi si trovano gli edifici della sagrestia, gli oratori, la sepoltura dei preti, l’archivio storico, il vecchio carce-re e la navata destra della chiesa.L’accesso alla torre avveniva pertanto dall’edificio sul retro ad est a cui la torre era stata addossata, pro-babilmente mediante l’apertura ad arco visibile nella prima sala sulla sinistra della parete est. Qualunque fosse l’uso della fabbrica retrostante, esso doveva essere sufficientemente importante da giustifi-care la sottolineatura del suo ingresso realizzata, con i costoloni della crociera. Questo edificio preesistente doveva arrivare all’incirca alla seconda cornice marca-

piano, data l’esistenza sulla torre di due finestre al pri-mo ordine, complete di modanature rimesse in eviden-za con i relativi sedili in pietra dai restauri odierni.Le differenti tessiture murarie con l’impiego di sva-riati litotipi, la varietà formale e decorativa che carat-terizza le finestre della torre spinge a pensare ad una pluristratificazione degli interventi.Purtroppo ai vari piani sono state rimossi ogni sorta di divisori, scale, volte o altro tipo di orizzontamenti originari o anche frutto di successive modificazioni, e con le scarse documentazioni dei lavori precedenti non è possibile ipotizzare una credibile sistemazione planimetrica originaria dei vari livelli. I lavori suc-cedutisi, spesso inspiegabilmente distruttivi e mal documentati, hanno cancellato tracce preziose per la lettura del manufatto. Si ritrovano segni di gradini nei muri e delle imposte di volte intermedie, ma insufficienti a dare lettura ine-quivocabile degli elementi di fabbrica. La costruzione della torre è avvenuta quindi per fasi successive e tal-volta stratificate, pertanto i partiti murari si presen-tano differenti nei materiali e nelle tessiture (fig. 11). Tutte le murature sembrano essere presumibilmente a sacco o perlomeno in due strati con paramenti esterni a vista in blocchetti squadrati. Fino al secondo ordine il paramento esterno è omo-geneo e connesso con un sottile strato di malta di calce generalmente di colore biancastro. Tuttavia il

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basamento, ad eccezione del solo lato a mezzogior-no che è costruito con una muratura informe, è fatto di un’arenaria grigiastra, rispetto agli ordini superiori laddove l’arenaria ha il più consueto colore ocra. Tali considerazioni sono essenziali per ipotizzare, se non proprio una datazione precisa, almeno il riconosci-mento delle varie fasi costruttive. A questo proposito è interessante sottolineare la singolarità della muratura sopra l’arcone meridionale fino al marcapiano ancora da valutare circa la sincronia e la coerenza con gli altri elementi. (fig. 8) Anche il fatto che l’arcone non presenti la stessa decorazione degli altri due (fig. 9) è fatto abbastanza rilevante anche perché non vi sa-rebbe stata la possibilità di inserimento successivo di conci d’arco modanati, così come poteva anche essere previsto da un programma costruttivo articolato6. L’ultimo livello, il più recente, ha anch’esso una mu-ratura con blocchi di arenaria, ma di origine diversa e in blocchi di dimensioni più importanti. All’interno la facies è più eterogenea a causa delle demolizioni degli elementi originari e dei lavori successivi, anche se i materiali sono quelli usati per gli esterni. La parete est

in comune con la chiesa è certamente preesistente e presenta una muratura informe più volte rimaneggia-ta. (fig. 10) L’accesso alla torre doveva effettivamente, avvenire da questa parete anche se non si sa bene a quale livello. Il percorso d’ingresso avrebbe potu-to iniziare da un livello più basso rispetto al primo piano della torre, e doveva svilupparsi mediante una scala o una rampa che seguiva l’andamento estrados-sale della crociera. Le uniche tracce di scale trovate all’interno, che portavano al livello superiore, sono localizzate sulle pareti nord ed est a partire dalla fi-nestra di destra del prospetto nord, con un ballatoio al di sopra dell’arco di ingresso, nell’angolo nord-est, e proseguente lungo la parete est. Gli scalini avevano dimensioni approssimativamente di 28 cm per l’alzata e 25 cm per la pedata. La prima rampa di questa scala, che è stata demolita durante i lavori degli anni 1964-65, partiva da circa metà della luce della finestra de-stra del lato nord che è dotata di sedili in pietra e di affaccio diretto all’esterno.Si riscontrano condizioni simili nella torre di Campo-felice di Roccella e nella torre di Nicosia. La prima è

12. Sezione trasversale del muro preesistente inglobato (sovrastante la costruzione più bassa della navata laterale)C. Torre di Campofelice di Rocella (a sinistra) e torre di Nicosia (a destra): sezione e piante del primo piano. Immagini tratte da “Lo Steri di Palermo e l’architettura italiana del Trecento”

C.

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13. Bifora ricostruita al secondo livello della facciata settentrionale14. Bifora originale al primo livello del fronte settentrionale15. Monofora del secondo livello del prospetto occidentale decorata nel 1969

14.13.

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una costruzione dell’XI secolo con alcune forme strut-turali (due volte a crociera) e decorative (in porte e fi-nestre) del XIV secolo, dovute quasi sicuramente ad un rinnovamento; la seconda è coeva alla torre di Gangi.In entrambe la scala interna parte, affiancata al muro, proprio a metà dei vani finestra, che hanno sedili laterali, per poi svilupparsi nello spessore del muro intercetto, e pertanto è molto probabile che i segni rinvenuti siano quelli della scala originale. (fig. C) Sia le testimonianze raccolte7 che le tracce ancora visibili sulle pareti sud, ovest, nord indicano l’esistenza di una volta in pietra a chiusura superiore nella prima stanza, anch’essa demolita negli anni ‘60. Questa do-veva avere andamento ribassato (in siciliano chiamata «dammùso») con unghiature. Non sono state rilevate tracce di orizzontamenti di altro tipo.Diverse ipotesi si possono fare sull’andamento della rampa della scala interna ad est, che poteva sia essere addossata alla parete, sia salire all’interno del muro (sufficientemente spesso, 160 cm) almeno da metà al-tezza, dove si riconosce un tamponamento, sia gira-re verso il centro della stanza e proseguire seguendo l’estradosso della volta in pietra. È anche ammissibile che, in presenza di un edificio retrostante in collegamento, il passaggio potesse av-venire più in alto ad un livello intermedio, servito da una scala, magari dove sono evidenti gli stipiti i cui vani sono stati saturati nel tempo. Allo stesso ordine anche le altre pareti presentano i segni di rimaneggia-menti successivi, ma conservano la loro regolarità in corrispondenza degli archi e degli stipiti delle bifore che terminano con i consueti sedili in pietra che sono stati ritrovati e riproposti dal restauro di oggi, dopo essere stati occultati da una recente muratura di mat-toni. Sulla parete meridionale le aperture esterne mai finite sono state tompagnate. All’ordine superiore la muratura è più regolare alme-no fino al livello delle demolizioni che hanno presu-mibilmente anticipato la costruzione dell’ultima ele-vazione. A quest’epoca risalirebbe la scomparsa delle merlature sommitali.Tutti i vani interni delle aperture presentavano se-dili laterali e ci si poteva affacciare anche dalle due

finestre del secondo piano, oggi tamponate e corri-spondenti all’attuale sottotetto della chiesa madre. Fin dalla loro costruzione le finestre all’esterno pre-sentavano modanature differenti e solo alcune, quelle ancora oggi visibili, erano state completate con l’in-serimento di una colonnina centrale, reggente una schermatura su due archetti. Le bifore al primo ordine sono composte da un arco ogivale con modanatura a toro, colonnina centrale a sostegno di due archetti trilobati e una schermatura decorata con un rosone; questa configurazione, come indicano il Maganuco, lo Spatrisano e il Bellafiore, ha una forte analogia formale con il palazzo del Duca di Santo Stefano e la Badia Vecchia a Taormina, tanto da poterle far risalire allo stesso periodo di costruzione che la storiografia ha attribuito ai due edifici: XIV secolo inizi del XV. Delle bifore del palazzo del Duca di Santo Stefano lo Spatrisano fa questa descrizione: “A schemi france-si, generalizzati in tutta l’area europea, si ispirano le finestre del secondo piano, sebbene le membratu-re a bastone ravvicinati dei piedritti sguinciati, che plasmano oltre i capitelli le ghiere, nonché la forma

15.

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acuta, quasi lanceolata degli archi, avvicinano que-sta finestra a modelli extraisolani, dai quali, tuttavia, si distinguono per la ghiera in pietra lavica dell’arco esterno”. (figg. 13-14) Diversi elementi lapidei decorati delle bifore del primo ordine sono stati in gran parte sostituiti in seguito a diverse campagne di restauro nel ‘900. È importante considerare anche la forte somi-glianza stilistico-decorativa e costruttiva della torre di Gangi con la torre della vicina Nicosia nata come torre civica nel XIV secolo e poi è diventata torre campa-naria del duomo. Al secondo piano sulla facciata nord troviamo ancora delle bifore con archi acuti meno pronunciati, archetti ogivali semplici e colonnine otta-gonali, sempre riconducibili, nonostante i rifacimenti, al XIV secolo. Svoltando sul prospetto ovest le aperture del secondo piano sono sempre tre, ma di larghezza minore poiché il lato è più corto. Queste finestre ad ogiva, insieme a quella centrale del lato sud, dovevano avere (o prevedere) una qualche schermatura all’interno dell’arco; mancano però noti-zie documentali al proposito. Purtroppo le schermatu-

re inserite negli anni ‘60 non danno un’interpretazione conveniente di quella che poteva essere la configura-zione completa. (fig. 15-16) Rimanendo al secondo ordine, le forme cambiano mol-to nelle aperture laterali a sud e per quelle a est sul lato che dà verso il sottotetto: sono presenti le fasce dei ca-pitelli all’imposta degli archi ma nelle spalle manca il bastone più interno che a nord prosegue negli archetti, gli archi sono ribassati e non vi è traccia di elementi interni realizzati o previsti. Queste forme compaiono in Sicilia nella prima metà del XV secolo e fanno, quindi, presupporre un lentissimo avanzamento del cantiere con il conseguente utilizzo di linguaggi architettonici diversi nel tempo, o delle lunghe pause nella costruzione tali da far completare le parti scolpite secondo un gusto ormai cambiato. Dall’analisi stratigrafica è evidente che le finestre at-tuali non derivano da inserimenti posteriori alla co-struzione: la cortina muraria è continua con i conci perfettamente connessi. Una commistione simile si ri-scontra anche sulla torre di Roccella, che è dotata di finestre archiacute ai primi due livelli e archi a sesto

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pagina precedente16. Monofore del secondo livello del prospetto meridionale17. Tracce delle aperture del secondo livello visibili dal sottotetto della chiesa

18. Abaco di elementi decorativi19. Finestre del lato est al secondo piano inglobate dalla costruzione della chiesa

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ribassato nelle aperture all’ultimo piano; secondo lo Spatrisano questo fatto “solleva delle perplessità circa la loro collocazione stilistica e temporale” impeden-do in tal modo di arrivare a una “datazione sicura” di questa torre-palazzo. Molte delle torri campanarie costruite nel XIV-XV secolo (torre del duomo di Agri-gento, di Santa Maria la Cava di Aidone, di San Tom-maso e San Giovanni a Enna, della chiesa del Carmine a Piazza Armerina) presentano forme archiacute ai li-velli bassi e archi a tutto sesto o ribassati ai piani alti o comunque le due forme sono compresenti. Benchè la torre dei Ventimiglia avesse usi civili (sarebbe diven-tata torre campanaria solo un secolo più tardi) questi esempi confermano la sua aderenza a un linguaggio espressione di una terra e di un momento storico tor-mentati e ricchi di suggestioni. Si evidenzia comunque un cantiere molto dilatato nel tempo, soprattutto nei lati est e sud, meno accessibili e senza affacci di rap-presentanza. (fig. 17-19) L’analisi dei prospetti esterni sud e ovest, e il confronto con le foto storiche raccolte (conservate presso l’Archivio Fotografico della Soprin-tendenza dei Beni Culturali e Ambientali – Sezione Beni Architettonici – di Palermo), dimostrano che, ve-rosimilmente, le modanature degli archi, le colonnine e gli archetti interni delle bifore della facciata sud e di una in facciata ovest al primo piano non furono mai realizzate. Oltre alle finestre mai completate al primo piano, come già detto, la facciata sud mostra un trat-tamento diverso anche nella parte bassa dove la mura-tura in corrispondenza del quadriportico è costruita in conci irregolari e l’arcone non ha cornice, come invece accade sugli altri lati. (fig. 18)

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20. Vista della torre

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Quadro critico delle conoscenze

Analisi delle stratigrafie murarie

Paolo Mattina

L’analisi propedeutica al restauro comporta lo studio di tutte le testimonianze giunte all’attualità, con l’ado-zione di metodologie che a volte vengono suggerite daaltre discipline. Nonostante l’apparente coerenza for-male e decorativa degli edifici storici, in genere essi co-stituiscono dei veri e propri palinsesti scritti e riscritti aseconda dei gusti e delle epoche o delle opportunità. La consueta difficoltà di reperimento di documenti ori-ginali, di iconografia storica, di documentazioni foto-grafiche, può essere superata con l’osservazione attentae ripetuta del monumento.La continua interrogazione dell’architettura e delle sueparti costitutive induce la ricorrente formulazione diipotesi diverse e l’esecuzione delle verifiche relative,finalizzate alla precisazione delle vicende costrutti-ve ed alla loro datazione. Lo studio delle stratigrafiemurarie dei monumenti pluristratificati, condotta se-

condo i metodi consuetamente suggeriti dall’archeo-logia, è diventata una pratica consolidata. Le analogie tra i processi di stratificazione orizzontale, oggetto di esplorazione archeologica, e le modalità di formazionedelle fasi verticali degli edifici storici, hanno suggerito l’adattamento delle tecniche proprie dell’archeologia allo studio delle architetture. A tal scopo sono ampia-mente utilizzati gli studi dell’archeologo inglese Ed-ward Harris che una trentina d’anni fa introdusse unarappresentazione diagrammatica della stratigrafia dei terreni secondo una matrice che venne presto adottata per lo studio degli edifici. In alto (fig. D1) è riportato un esempio significativo del matrix di Harris applicato alla torre Ventimiglia, con riferimento alla stratigra-fia rilevata (fig. D2) alla pagina seguente. Il metodo di Harris prevede il riconoscimento delle singole attività, nel nostro caso antropiche (ma possono essere adattate alle cause naturali, alle alterazioni e ai dedefiniscono le singole unità stratigrafiche, ma anchele successive relazioni tra le stesse. Si basa sui principiessenziali quali quello della sovrapposizione secondo il quale uno strato superiore è sempre più recente di quel-

D1. Matrice del prospetto meridionale secondo il metodo di Harris D2. Mappatura delle stratigrafie murarie

D1.

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D2.

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E. Prospetti settentrionale e meridionale della torre21. Spalla dell’arcone meridionale della prima fase muraria

E.

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lo sottostante, e quello della continuità secondo cui la stratificazione interessa sempre un volume continuo ed omogeneo. La costruzione della sequenza stratigrafica ha sempre un valore relativo perché indica che una fase è avvenuta prima o dopo o contemporaneamente ad un’altra:- una unità stratigrafica (u.s.) legata ad un’altra indica un rapporto di contemporaneità;- una u.s. che satura un’altra (es. un’apertura richiusa) indica un rapporto di posteriorità;- una u.s. che è tagliata da un’altra indica un rapporto di anteriorità;

- una u.s. che si appoggia su un’altra indica un rap-porto di posteriorità. La rappresentazione di questi dati secondo la matrice di Harris comporta che le unità stratigrafiche indicate in basso sono le più anteriori e vengono collegate a quelle superiori, posteriori, da li-nee che definiscono i rapporti reciproci (certi con linee continue, ipotetici con linee tratteggiate). Seguendo le linee dal basso verso l’alto si stabiliscono le sequenze temporali. Dal matrix costruito si rilevano due fasi principali del monumento: quella della costruzione del XIV secolo, e quella della sopraelevazione del XVIII secolo. (fig. 21)

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