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Lʼambiente conviene! a cura di Sara Francesconi In collaborazione con Circolo Legambiente Pistoia

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Page 1: Lʼambiente conviene!A livello di contenuti sono stati individuati quattro grandi macro-temi: l’ambiente e le sue problematiche, la bio-architettura, le risorse energetiche e infine

Lʼambienteconviene!

a cura diSara Francesconi

In collaborazione con Circolo Legambiente Pistoia

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BricioleTrimestrale del Cesvot - Centro Servizi Volontariato Toscanan. 25, Luglio 2010Reg. Tribunale di Firenze n. 5355 del 21/07/2004

Direttore responsabileCristiana Guccinelli

RedazioneCristina Galasso

Prodotto realizzato nell'ambito di un sistema di gestione certificatoalle norme Iso 9001:2008 da Cisqcert con certificato n. 04.1035

Briciole è il nome che abbiamo dato alle pubblicazioni dedicate agli Atti dei Corsi di Formazione. I volu-mi nascono da percorsi formativi svolti per conto del Cesvot dalle associazioni di volontariato dellanostra regione i cui atti sono stati da loro stesse redatti e curati. Un modo per lasciare memoria delle migliori esperienze e per contribuire alla divulgazione delle temati-che di maggiore interesse e attualità.

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Premessa di Antonio Sessa, presidente Circolo Legambiente di Pistoia

L’interesse mostrato dal Cesvot a pubblicare gli atti del corso di formazione per volontari “L’ambiente conviene! Come risparmiare rispettando l’ambiente” è stata accolto con grande entusiasmo da tutti noi dell’associazione Circolo Legambiente di Pistoia.

Si tratta di un’occasione prestigiosa per raccogliere e trasmettere un percorso di forma-zione articolato e diversificato, nato da un’idea comune ad alcuni soci del Circolo. Si tratta in un certo senso anche di un riconoscimento per chi si è impegnato nella progettazione e realizzazione di questo percorso, che era stato percepito come una novità per la sua struttu-razione e i suoi contenuti.

Da anni il Circolo Legambiente offre ai volontari momenti di formazione, anche grazie ai finanziamenti del Cesvot, momenti che affiancano la normale attività dell’associazione. Siamo partiti con la cooperazione internazionale, per poi passare ai rifiuti e al corso oggetto di que-sto volume. Cerchiamo di spaziare su varie problematiche ambientali, ecologiche e sociali. A breve, ad esempio, partirà un corso teorico-pratico sulle discipline bionaturali e recentemen-te abbiamo presentato anche un progetto sulla sicurezza nelle abitazioni civili.

Questa vivacità anche contenutistica è frutto di una convinzione che ci muove come as-sociazione e cioè che la tutela dell’ambiente sia il frutto di un equilibrio tra vita degli uomini e ambiente.

Crediamo molto in questi momenti di formazione perché permettono sia un approfon-dimento delle conoscenze dei nostri associati, che un avvicinamento all’operato dell’asso-ciazione da parte di persone esterne. Inoltre abbiamo da sempre considerato positivamente l’esperienza dei corsi per lo scambio che avviene fra le associazioni e le istituzioni partner.

Il corso “L’ambiente conviene!” è stato realizzato nell’autunno 2008 a Monsummano Ter-me ed era destinato soprattutto ai volontari del Circolo Legambiente di Pistoia. Ma la scelta della Valdinievole come sede del corso è stata voluta non soltanto per la presenza di diversi associati di Legambiente, ma anche per la mancanza di un coordinamento zonale ed una ca-renza di collaborazione con altre realtà associative del territorio.

I frutti di questo corso sono stati diversi, a partire da una partecipazione costante e inte-ressata alle lezioni, una collaborazione attiva con i rappresentanti dell’amministrazione pub-blica e la nascita di un gruppo stabile di attivisti nella zona che si sta muovendo su diversi aspetti ambientali.

Nel periodo successivo al corso, infatti, è stata attivata la raccolta porta a porta nella zona di Montevettolini, è stata realizzata una uscita alla discarica del Fossetto, che serve la zona della Valdinievole, ed è stato approfondito il confronto con l’amministrazione pubblica.

Crediamo che il contenuto di questa pubblicazione, che rispecchia a grandi linee il corso, possa offrire spunti importanti di riflessione e di approfondimento su alcune problematiche di grande attualità. La forma scelta è volutamente semplice e immediata, costruita ad hoc

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per raggiungere persone con una conoscenza limitata di certi temi. L’obiettivo del volume, infatti, è lanciare spunti, dare informazioni e indicazioni che poi possono essere approfondite con altri strumenti, perché altrimenti temi così importanti, senza un’informazione adeguata e semplice, rischiano di essere sottovalutati o addirittura ignorati dai cittadini.

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IntroduzIone Sara Francesconi, referente del corso “L’Ambiente conviene!”

Il corso di formazione “L’Ambiente conviene!” Come risparmiare rispettando l’ambiente” è scaturito dall’esigenza, emersa all’interno del gruppo di volontari di Legambiente di Pisto-ia, di essere informati in maniera organica, semplice e chiara su tante pratiche e tecnologie ecologiche di grande attualità. Nel progettare il percorso è emerso che praticando certi com-portamenti e utilizzando certe tecnologie non solo si poteva rispettare l’ambiente, ma anche avere un risparmio economico di non poco conto. Proprio questo risparmio è diventato il filo conduttore di tutto il corso e diventato motivo di approfondimento di molti incontri perché sentito veramente vicino ai volontari e alla cittadinanza.

L’interesse e il consenso trovato fra i volontari, le istituzioni e i partner del corso ha ri-badito che le esigenze emerse all’interno dei volontari del Circolo Legambiente di Pistoia corrispondevano a quelle presenti in un numero considerevole di persone e che potevano essere suscitare l’interesse di un ampio pubblico. Tale consenso ha spinto il presidente del Circolo Legambiente di Pistoia, i referenti del corso di formazione e i docenti ad impegnarsi in questo progetto.

La pubblicazione da parte del Cesvot del materiale oggetto del corso rappresenta un mo-tivo di riflessione e di arricchimento per diversi utenti.

Il volume permette di raccogliere in maniera organica e rendere fruibile a tutti il lavoro di sintesi svolto dai docenti su argomenti di per sé vasti e scientificamente complessi come ad esempio i cambiamenti climatici, le fonti di energia e la normativa sui rifiuti.

Più volte è emersa infatti, all’interno dell’associazione, la difficoltà da parte dei volontari di reperire informazioni attendibili su problematiche ambientali proprio per una primaria dif-ficoltà di comprensione dei testi disponibili o di orientamento all’interno degli stessi.

La struttura del volume e il suo sviluppo permette a tutti di avvicinarsi agli argomenti scel-ti in maniera semplice e immediata. La bibliografia e i riferimenti esterni permettono invece di approfondire gli argomenti al livello desiderato.

Accanto agli aspetti teorici i docenti hanno arricchito i loro interventi calando le pro-blematiche negli aspetti concreti della realtà. Questa duplicità di argomenti (teorica-pratica) riportata anche all’interno dei testi del volume, permette un arricchimento dello stesso, e soprattutto concretizza certe problematiche a volte troppo astratte.

Negli interventi all’interno della pubblicazione sarà dimostrato anche l’economicità di certe pratiche e con dati alla mano si cercherà favorire certi comportamenti piuttosto che altri. Quest’ultimo aspetto sembra tanto più attuale in questo momento storico in cui si parla apertamente di crisi economica, di diminuzione dei consumi e di necessarie forme di risparmio.

I rappresentanti dell’associazione e i docenti hanno ritenuto opportuno per quanto ri-guarda i contenuti del volume, che l’indice generale rispecchiasse in gran parte l’articolazione del corso, ritenuta in linea di massima completa e interessante. E’ stato tuttavia aggiunto

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un ultimo capitolo, curato da un funzionario di un’azienda a partecipazione pubblica che si occupa di rifiuti e che di fatto ha tenuto un incontro durante le serate del corso, perché ha rappresentato uno dei momenti di partecipazione e scambio di tutti i corsisti. Vista anche la disponibilità del docente a elaborare una parte scritta, si è deciso di aggiungere questo inter-vento per permettere di gettare uno sguardo sulle problematiche amministrative, gestionali e legali della raccolta differenziata difficilmente reperibili in altre fonti e troppo spesso ana-lizzate con superficialità.

A livello di contenuti sono stati individuati quattro grandi macro-temi: l’ambiente e le sue problematiche, la bio-architettura, le risorse energetiche e infine una parte dedicata ai rifiuti.

Il primo capitolo dedicato all’ambiente e le sue problematiche è curato da Roberta Carbo-ni, esperta in geografia umana e analisi del territorio. Si tratta di una sintesi di alcune proble-matiche ambientali recenti come i cambiamenti climatici, la problematica dei rifiuti e dell’ef-fetto serra. A questi si aggiungono approfondimenti sulla relazione uomo-società- ambiente analizzati più dal punto di vista antropologico e un interessante intervento finale sulle rela-zioni salute dell’uomo e ambiente.

Il secondo capitolo dedicato all’architettura sostenibile è a cura dell’architetto Lucia Bo-nacchi, esperta in bioedilizia. Si è cercato primariamente di contestualizzare la bioarchitet-tura come parte di una progettazione sostenibile che racchiude in sé i diversi concetti come l’architettura ecologica, la bioarchitettura, la bioclimatica, la bioedilizia. Tutto per instaurare il giusto equilibrio con l’uomo, senza distinzione tra salute e ambiente, dal momento che essi stessi sono strettamente correlati. Sono stati analizzati i tre punti fondamentali sulla pro-gettazione energetica: ecosostenibilità, bio ecologicità del costruito e sostenibilità sociale dell’edilizia. I fini primari da raggiungere quindi riguardano la riduzione degli sprechi, la manca-ta produzione di effetti dannosi su utenza e ambiente, e la creazione di un edificio il più possi-bile autosufficiente dal punto di vista energetico. Vengono analizzati alcuni metodi costruttivi ecologici sfruttando le diverse tipologie di ambiente, sono fornite anche indicazioni pratiche su comportamenti che permettono un risparmio sul riscaldamento della propria abitazione e un benessere generale.

Il terzo capitolo dedicato all’energia dalla natura e per la natura è curato dall’architetto Cecilia Armellini , esperto in bioarchitettura e sistemi di produzione di energia ecologici. Ven-gono chiariti i concetti di fonte rinnovabili e non , indicati esempi di problematicità legati alla fine di alcune fonti. Segue un’analisi delle maggiori forme di fonti di energia dalla natura ana-lizzando i vantaggi ambientali ed economici che si ottengono da uno sfruttamento di queste risorse. Nell’ultimo paragrafo vengono indicate forme di autoproduzione di energia, facendo riferimento a esperienze pratiche e economicamente vantaggiose.

Il quarto capitolo dedicato alla raccolta differenziata, è stato curato dal dott. Enrico In-nocenti funzionario di Publiambiente. Esso vuole rappresentare da una parte un approfondi-mento giuridico alla materia e dall’altra mostrare, attraverso esempi concreti, come anche in Toscana si stiano realizzando progetti di raccolta differenziata completa stimolando a una diffusione degli stessi.

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Il volume non vuole essere un riassunto esaustivo della questione ambientale, altre voci più autorevoli devono essere chiamate in causa per un’analisi delle problematiche e della re-altà. Si tratta piuttosto di un compendio semplice e sintetico di varie problematiche e come tale deve essere usato. Il successo e la partecipazione attiva dei corsisti alle lezioni, come pre-cedentemente ribadito, ha mostrato che esiste un interesse sviluppato per questi problemi e che su alcuni argomenti esiste un po’ di confusione a livello anche di conoscenza.

La speranza è che anche la pubblicazione di questo volume contribuisca ad accrescere in tutti noi la consapevolezza di una necessità di cambiamenti nel nostro stile di vita, partendo dalla realtà quotidiana in cui viviamo. Questa è la filosofia che guida il Circolo Legambiente, come del resto tutte le associazioni di volontariato, partendo dal piccolo si può coordinan-dosi e motivandosi arrivare a grandi traguardi. La tutela dell’ambiente a livello globale è sicu-ramente un impegno al di sopra di noi, ma ogni singolo cittadino può contribuire con le sue scelte a migliorare questo aspetto. Manca in parte in ognuno di noi la consapevolezza dell’im-portanza del proprio comportamento nella tutela dell’ambiente e questo breve volume vuole rendere coscienti delle tante pratiche che contribuiscono invece a non danneggiarlo.

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Introduzione

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CaPItolo I

l’ambiente e le sue problematichedi Roberta Carboni

Dolce paese…ben riconosco in te le usate forme….G. Carducci, Traversando la Maremma Toscana

Là dove c’era l’erba ora c’è una città, e quella casa in mezzo al verde ormai, dove sarà?A. Celentano, Ragazzo della via Gluk

1. Introduzione

1.1. Comportamenti e comunicazioneLa questione ambientale è una delle grandi emergenze con cui il pianeta si trova a fare i

conti all’inizio del nuovo millennio.Le trasformazioni avviate dall’uomo per garantirsi la sopravvivenza e migliorare la propria

condizione di vita hanno modificato profondamente gli ambienti naturali preesistenti, pen-siamo ad esempio all’aumento della popolazione umana che nel 2000 ha oltrepassato quota sei miliardi: sono persone che mangiano, consumano energia, producono rifiuti, inquinano aria e acqua; ma grazie alla tecnologia, all’informazione e comunicazione molte cose si possono migliorare, perché tutti possano usare correttamente e in modo equo e sostenibile le risorse messe a nostra disposizione dalla “madre terra”.

La comunicazione, infatti, è un elemento essenziale in un buon programma d’informazio-ne volto alla cittadinanza, il suo obiettivo fondamentale è quello di rendere responsabili e consapevoli l’insieme dei cittadini verso i propri comportamenti sociali che hanno un forte impatto sull’ambiente e lo spazio che li circonda, per cui è estremamente importante che la cittadinanza percepisca, viva, creda e si possa specchiare in un modello di comportamento che sia realmente e sentitamente “virtuoso” come una componente essenziale del proprio cammino verso lo sviluppo sostenibile, modello virtuoso che sia preceduto da un cambia-mento culturale.

Non solo: comunicazione è anche ciò che non viene detto, la cosiddetta “comunicazione non verbale” che si esprime attraverso la gestualità e il comportamento, e che nel nostro caso è legata alla personale responsabilità di ogni singolo cittadino nel rispettare tutte le “regole” ambientali, dando, perché no, sempre “il buon esempio” senza trovare motivi di scoraggia-mento davanti a delle difficoltà.

La comunicazione, dunque, sia verbale che non verbale ci porta ad affrontare i temi legati all’ambiente e allo sviluppo attraverso l’educazione e la comunicazione ambientale sapendo che “tempi e modi dell’apprendimento” non si riducono e limitano solo nell’ambito e all’espe-rienza scolastica, si educa e ci si educa partecipando attivamente alla vita di una comunità,

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quella in cui viviamo e ci muoviamo, e non ultimo, amiamo, acquisendo piena consapevolez-za dei problemi che lo attraversano, contribuendo a trovare soluzioni praticabili e condivise dai risultati visibili e apprezzabili. In questo senso, a partire dalle istituzioni fino al singolo cittadino, dal più giovane al più anziano, siamo tutti chiamati a partecipare ad un processo di crescita e cambiamento e sincero impegno che deve portarci ad individuare valori e obiet-tivi condivisibili, pratiche e comportamenti coerenti, che comportano sicuramente un “utile sforzo”, con l’idea di uno sviluppo che sia sostenibile per noi e per il nostro ambiente per chi verrà dopo di noi, riflettendo sul nostro stile di vita e sulla “cultura del consumo” che orienta e influenza in modo prepotente i nostri comportamenti, acquisti e modi di vita.

1.2. Ambiente, territorio e paesaggioRitengo profondamente vero che nello spazio in cui siamo e abbiamo le nostre origini

(familiari, sociali e culturali), viviamo le nostre prime esperienze, riceviamo impressioni e conoscenze, sentimenti ed idee che s’imprimeranno per tutta la vita nella nostra memoria improntando la nostra personalità ed il nostro agire, luoghi, spazi e paesaggi, dunque che non trascurano la componente culturale e storica, l’emotività e la fantasia, i suoni, i colori, i profumi e tutti i cinque sensi, che s’intersecano nell’organizzazione antropocentrica dello spazio in cui l’uomo vive.

Attraverso la geografia umanista l’uomo scopre come lo spazio sia carico di significati e quello nel quale vive non sia uno spazio e una dimensione astratta, priva di contenuti, un ambito inanimato e immutabile, bensì concreto, vissuto, modellato ed esplorato dalla mente umana; ciò consente una più adeguata e ampia percezione e organizzazione del paesaggio e dell’ambiente geografico.

Da queste considerazioni scaturisce l’interesse verso il luogo, inteso come ambito dell’espe-rienza vissuta e caratterizzata da un paesaggio essenzialmente culturale, l’ambito nel quale uomo e natura sono parte integrante e inscindibile l’uno dell’altro.

Il paesaggio coinvolge la totalità della complessa sfera umana, in tutte le sue sfaccettature e componenti reali o immaginarie, per questo il geografo Dardel lo definisce come “momento vissuto”; esso esprime una vitalità che rende impossibile non relazionarlo all’uomo l’unico in grado di percepirlo, identificarlo e classificarlo, capace di vivificarne le manifestazioni e di proiettarvi il proprio vissuto, attraverso di esso è possibile indagare sull’uomo, sulle sue atti-vità; in un’ottica in cui il segno o il documento totale e definitivo del rapporto uomo/mondo, si manifesta e prende forma attraverso il paesaggio che altro non è che un insieme di segni che parlano dell’uomo e all’uomo; che esprimono qualcosa della società in cui vive e comunicano ciò che egli ha voluto imprimere in esso nel tempo, ogni segno ha il suo preciso significato, la sua storia, niente è casuale o fortuito ed esprimono il rapporto della cultura con l’ambiente, la capacità della cultura di modificare, umanizzare e significare la natura.

Nei paesaggi sono trasposti, così, gli avvenimenti e le esperienze umane, in essi è inscritta la nostra biografia, la nostra storia e origine; certo nella percezione del paesaggio la vista ha indubbiamente un ruolo notevole poiché è soprattutto attraverso lo sguardo che ne cogliamo

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le fattezze, le luci ed ombre, la vasta gamma di colori che non mancano talvolta di coinvolger-ci, e non solo esteticamente, esso è un mondo palpitante ricco di colori, profumi, che fa ru-more e produce dei suoni, che ci invade e sollecita regolarmente anche tutti gli altri sensi che, senza dubbio, possono aiutarci a coglierlo meglio, in tutta la sua articolazione e complessità.

Il rapporto però, a mio avviso, non è a senso unico, non muove solo dall’uomo che riflette e inscrive nel paesaggio il proprio vissuto, la propria cultura; credo sia anche il paesaggio che, di rimando, ci parla e si proietta in noi (talvolta anche a nostra insaputa) incuneandosi nella nostra mente e, di certo, nella nostra anima.

Trovo così estremamente importante, al fine di saper adeguatamente cogliere e inter-pretare il paesaggio, un coinvolgimento di tutti i sensi, dato che privilegiare esclusivamente un senso, come può essere la vista, significa limitare il nostro modo di viverlo, riducendolo all’osservazione di un’istantanea fotografica.

E’ possibile affiancare al concetto di paesaggio quello di luogo e di territorio a causa delle similitudini che uniscono questi ultimi termini e il primo; i tre concetti rappresentano i due principali modi di intendere il paesaggio, come oggetto materiale e concettuale.

Gli uomini con le loro attività vestono lo spazio attribuendoli valori individuali e collettivi trasformandolo in un luogo che acquista un senso solo se rapportato alle interazioni, che ca-ratterizzano lo spazio e il sociale, quindi il senso del luogo dipende sia dai lineamenti “fisici” propri di un territorio, che nel loro insieme ne costituiscono “l’identità”, sia del significato che esso acquista per ciascun individuo, l’identità, dunque rappresenta una caratteristica fon-damentale del luogo, ma per rafforzarsi necessità di azioni che la riconoscano come valore da rispettare e amare maturando così un senso del luogo, e di appartenenza al luogo stesso, venendo così interpretato come una componente essenziale del nostro vissuto, del nostro viverlo nel presente e nell’immaginarlo nel futuro.

L’uomo viene considerato agente modificatore ed equiparato agli agenti fisici e biologici, analogamente ai quali modifica la superficie terrestre, lasciandovi i propri segni: così il pae-saggio è il prodotto di un travaglio culturale nel quale hanno interagito diverse componenti: geomorfologiche, atmosferiche, storiche, economiche, demografiche, culturali, ideologiche ecc., comprende sia il visibile, sia l’invisibile storia dell’uomo in cui è innegabile l’apporto unico e irripetibile della soggettività di ogni singolo essere umano e delle varie civiltà che si sono susseguite nell’arco dei secoli.

Tale percorso s’identifica con la geografia della memoria, percorso che comincia dalla no-stra primissima infanzia e interessa dapprima pochi luoghi che, con il trascorrere del tempo, e l’ampliarsi delle esperienze si moltiplicano e si arricchiscono; ecco perché nel paesaggio della memoria l’uomo dovrebbe vivere sempre un rapporto armonico con la natura, in una profon-da adesione della memoria alla cultura.

Oggi però tale rapporto è meno forte, si assiste anzi ad una dissociazione provocata dalla difficoltà per l’uomo moderno di essere contemporaneamente attore e spettatore: attual-mente infatti, per molti, il paesaggio della memoria è confuso, illeggibile, sia a causa dell’ac-cresciuta mobilità, sia di una certa superficialità, distrazione e banalità che caratterizzano

Capitolo I - L’ambiente e le sue problematiche

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anche il rapporto con i luoghi con cui ci si relaziona, identificando il paesaggio in un comune oggetto d’uso e consumo, la cui dislocazione varia secondo le mode.

In ogni caso l’uomo non può comunque prescindere dal paesaggio della memoria che fa parte del suo modo di rapportarsi alle cose, che rimane il più importante archivio per capire chi siamo e il mondo nel quale viviamo, che è indispensabile per non alienarsi dalla terra e rimanere un habitante, da habere, avere, possedere, nella sua più ampia e positiva accezione del termine stesso, avere bene in mente il significato del termine da la giusta proporzione dell’importanza della tutela dell’ambiente.

E proprio dal termine habere che ha origine il termine “ambiente” parola che deriva dal verbo latino ambire e significa letteralmente “ciò che sta intorno” a un corpo.

L’ambiente può essere definito in molti modi, a seconda dell’ambito disciplinare di chi lo studia e, quindi, a seconda dell’importanza che si da a un aspetto che riteniamo più impor-tante su un altro: un architetto, per esempio, analizzerà soprattutto la componente spaziale, poiché la sua attenzione si focalizza sul territorio e la sua gestione; un ecologo osserverà principalmente le relazioni che s’instaurano tra l’ambiente stesso e gli organismi che vi vivono; nelle scienze sociali, l’ambiente sarà costituito dall’insieme delle condizioni sociali, culturali e morali che caratterizzano una comunità umana.

In biologia, infine, il termine ambiente è sinonimo di habitat: in generale il termine viene assunto come il complesso di fattori biotici e abiotici, esseri viventi, relazioni e condizioni naturali, chimiche e biologiche che si presentano all’interno di uno spazio in cui gli organismi vivono e si sviluppano.

Ogni ambiente è caratterizzato da un insieme di fattori, tra quelli più importanti sono la temperatura, la quantità di acqua disponibile, i caratteri del suolo e la luce, non è quindi, una “cosa”, ma piuttosto un insieme di organismi e di processi legati fra loro in un equilibrio delica-to e complesso, che rende l’ambiente un organismo realmente vivente ed unico.

2. Il clima: ieri, oggi, domani

2.1. Le mutazioni nella storiaIl clima, sul nostro Pianeta, non è rimasto uguale a se stesso nel tempo, e anzi ha subito nel

corso di milioni di anni profonde e varie mutazioni.L’andamento della temperatura media del Globo ne è un chiaro indizio: epoche molto più

calde o più fredde di quella attuale si sono alternate durante milioni di anni, con glaciazioni tanto estese da coprire una superficie corrispondente a 1/3 di quella dei continenti e il triplo di quella occupata dai ghiacciai attuali, e periodi interglaciali dal clima così caldo da consen-tire a ippopotami e altri animali esotici di vivere in Europa.

Le cause che hanno modificato le caratteristiche climatiche della Terra sono molteplici e di varia natura; a partire dalla variazione dell’energia proveniente dal Sole che ha influenzato, ad esempio, la comparsa e la crescita delle foreste, ma anche in generale le precipitazioni piovose, i cambiamenti della composizione atmosferica che hanno consentito ad organismi

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sempre più complessi di colonizzare ogni tipo di ambiente; la deriva dei continenti, con i suoi spostamenti lentissimi e inesorabili, hanno fatto assumere alle terre emerse la posizione che occupano oggi, a prezzo di sconvolgimenti immani, mutando per sempre non solo l’orografia, ma anche il clima del nostro Pianeta.

2.2. La nascita dell’atmosferaL’atmosfera primitiva era composta da una miscela di gas quali elio e idrogeno, elementi

leggeri che presto si dispersero nel cosmo, i gas espulsi dalle eruzioni vulcaniche contribuirono a formare una nuova atmosfera composta da vapore acqueo, anidride carbonica (CO2), e in parti minori, azoto, mentre unitamente alle incessanti piogge che seguirono, rimossero gran parte di CO2, e con la dissociazione delle molecole d’acqua per opera dei raggi ultravioletti comparvero anche ossigeno e ozono con l’azione di bloccare i raggi ultravioletti (UV), infine la fotosintesi clorofilliana aveva il compito di mantenere costante la concentrazione di ossigeno.

In questo modo l’atmosfera si è mantenuta pressoché inalterata negli ultimi 600 milioni di anni.

Fu l’effetto serra a svolgere un ruolo essenziale nella comparsa della vita, 3/4 miliardi di anni fa la radiazione solare era, infatti, del 25% meno intensa di oggi: se l’atmosfera avesse avu-to l’attuale composizione, la crosta terrestre sarebbe rimasta totalmente coperta di ghiacci fino a circa due miliardi di anni fa (paradosso del “giovane Sole debole”); ciò non avvenne a causa del forte effetto serra prodotto dalle grandi concentrazioni di CO2 e vapore, infatti, il pianeta si mantenne caldo e le prime forme di vita apparvero già 3,5 miliardi di anni fa.

Per quattro volte, tra 750 e 580 milioni di anni fa, il ghiaccio ricoprì quasi tutta la superficie del globo (terra “palla di neve”), periodo in cui il Sole forniva circa il 6% in meno di energia, mentre le terre emerse, concentrate all’equatore, favorì un raffreddamento del pianeta.

La Terra ghiacciata, riflettendo maggiormente la luce solare, avrebbe dovuto raffreddarsi di più ma cessate le piogge e grazie alla continua emissione dei vulcani, l’anidride carbonica raggiunse concentrazioni 350 volte superiori a quelle attuali, il forte effetto serra che ne sca-turì, con un importante innalzamento della temperatura terrestre, permisero lo scioglimento dei ghiacci.

Durante il Cretaceo, circa 100 milioni di anni fa, il caldo raggiunse il suo apice: la tempe-ratura media del globo, 22,8° C, era superiore di oltre sette gradi a quella attuale, e i poli non avevano ghiacci permanenti.

In tale ambiente dal clima così caldo e molto umido per l’intensa evaporazione, prospe-rarono dinosauri e ogni genere di vegetali, la causa del riscaldamento dipese da un intenso effetto serra, con grandi quantità di CO2 prodotto dalle eruzioni vulcaniche, e una diversa disposizione dei continenti, che consentiva alle correnti oceaniche di ridistribuire su tutto il globo il calore accumulato all’equatore.

Durante il Cenozoico (50-60 milioni di anni fa), il clima andò incontro a un progressivo raffreddamento dovuto, sembra, alla deriva dei continenti.

L’incremento delle terre emerse alle alte latitudini fece attecchire il ghiaccio: ciò signi-

Capitolo I - L’ambiente e le sue problematiche

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ficò maggior quantità di energia solare riflessa nello spazio; le principali correnti oceaniche responsabili del trasporto di calore dall’equatore ai poli s’interruppero, la formazione delle grandi catene montuose fece fissare nelle rocce, sotto forma di silicati, l’anidride carbonica non più disponibile per l’atmosfera: per causa/effetto si ebbe un minore effetto serra e di conseguenza meno caldo.

Nell’ultimo milione di anni si è avuta un’alternanza di glaciazioni e periodi interglaciali più caldi a causa delle cicliche variazioni dell’orbita terrestre, che tendono ad influenzare la quan-tità di energia solare che raggiunge la terra. Ogni 90.000 anni cambia l’eccentricità dell’orbita attorno al Sole (stiramento); ogni 21.000 ruota l’asse attorno a cui la terra gira su se stessa con un movimento di precessione (sfarfallio); ogni 40.000 varia anche l’inclinazione dell’asse di rotazione rispetto al piano dell’orbita (dondolio): tutto questo secondo la teoria dei tre cicli di Milankovich, secondo cui sono riconducibili alcune cause del cambiamento climatico.

L’ultima glaciazione, iniziata 80.000 anni fa, raggiunse il suo massimo 18.000 or sono; l’Ala-ska, quasi tutto il Canada e gli Stati Uniti settentrionali erano sepolti da un’unica coltre di ghiaccio spessa circa 1 km, mentre in Europa i ghiacci si spinsero fino all’odierna Amburgo e Berlino; minore fu l’incremento dei ghiacci sull’emisfero Sud: a causa della scarsità di terre emerse alle latitudini polari e temperate, i ghiacciai non riuscirono a espandersi, le tempe-rature tornarono presto a salire e i ghiacci a sciogliersi circa 12.000 anni fa: così finì l’ultima grande glaciazione.

Circa 11.000 anni fa l’emisfero Nord tornò a condizioni glaciali, il periodo, noto come Dryas Superiore, durò circa 1000 anni: la causa fu il blocco del nastro trasportatore atlantico, tra-mite il quale acqua molto fredda, salata e pesante, sprofondò negli abissi del Nord Atlantico, rimpiazzata dall’acqua calda della corrente del Golfo: nel nord dell’America, infatti, l’acqua di fusione dei ghiacciai si concentrò nel Lago Agassiz: quando, però il ritiro dei ghiacci aprì un canale verso Est, enormi quantità di acqua dolce, più leggera, affluirono nel Nord Atlantico, bloccando il nastro trasportatore, la regione si liberò dal freddo solo quando il nastro tornò a funzionare.

I millenni immediatamente successivi al Dryas Superiore furono molto caldi: tra i 9.000 e 5.000 anni fa le temperature crebbero, raggiungendo l’“optimum climatico”, all’epoca il clima in Europa era in media di 2-3° C più caldo di oggi, mentre in Asia e in Africa intensi monso-ni portavano piogge estive anche nel Sahara. Nei millenni successivi il clima ha oscillato tra periodi relativamente freschi, come quello in cui venne fondata Roma, o caldi, come l’alto Medio Evo quando si coltivava la vite anche in Inghilterra.

Tra il 1400 e il 1500 le temperature subirono un forte calo, dando inizio a quella che è conosciuta come la piccola Era glaciale: basti pensare che tra il 1434 e il 1435 in Inghilterra nevicò per 40 giorni consecutivi; durante l’inverno 1608 ghiacciò tutto il Lago di Costanza e nell’inverno 1789 gelarono quasi tutti i fiumi europei. I ghiacci cominciarono a ritirarsi solo nella seconda metà dell’800, causa della piccola Era glaciale furono i cicli di attività del Sole, cicli di 2300, 210 e 88 anni, che in tale fase raggiunsero tutti insieme il minimo.

Dal 1850 al 1980 la temperatura media dell’atmosfera terrestre è aumentata di circa 0,6°

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C; di questi circa 0,26° C sono associabili all’incremento dell’attività solare, mentre il resto è quasi certamente dovuto all’attività dell’uomo, con l’inizio della prima rivoluzione industriale; quindi ad un significativo aumento in atmosfera di CO2.

L’immissione di grandi quantità di gas-serra, in particolare CO2, documentata dall’analisi dei ghiacci perenni per periodi precedenti al 1959, e dalle misurazioni dirette dall’Osserva-torio di Mauna Loa (Hawaii) per il periodo successivo, ha favorito un progressivo aumento dell’effetto serra e quindi del surriscaldamento.

2.3. Atmosfera e climaE’ doveroso fare chiarezza su due termini che spesso vengono utilizzati come sinonimi ma

che, in realtà, hanno significati differenti: tempo e clima.Il tempo è la descrizione delle condizioni fisiche dell’atmosfera come umidità, temperatu-

ra, pressione e vento e ciascuno di questi fattori giocano un ruolo fondamentale nel model-lare gli ecosistemi.

Il clima è la descrizione delle dinamiche a lungo termine del tempo in una particolare area, presenta spesso cambiamenti ciclici che possono verificarsi nel corso di decine, centinaia o migliaia di anni.

Il tempo e il clima sono importanti, non solo perché influiscono sulle attività umane, ma per-ché rappresentano le cause primarie della distribuzione dei biomi e degli ecosistemi sulla terra.

I confini geografici che separano le comunità e gli ecosistemi sono stabiliti innanzitutto, da confini climatici creati dalla temperatura, dall’umidità e dalla distribuzione del vento; così il movimento e gli effetti dagli inquinanti sono anch’essi strettamente legati alle condizioni meteorologiche e al clima.

Su scala locale gli organismi modificano il clima determinando le condizioni microclimati-che che caratterizzano ogni particolare habitat.

Dal momento che le attività umane hanno modificato le proprietà dell’atmosfera, diventa importante capire come lavora l’atmosfera e quali potrebbero essere il tempo futuro e le sue condizioni climatiche.

2.4. Composizione presente dell’atmosferaL’attuale composizione dell’atmosfera terrestre non è presente in nessun altro pianeta del

nostro sistema solare, è composta principalmente da azoto (N2, per il 78%), ossigeno (O2, 21%) ed Argon (Ar, 1%), sono presenti anche una miriade di altri elementi e di composti estrema-mente reattivi, oltre al vapore acqueo (H2O, 0-7%) e l’ozono (O<SUB3<SUB>, 0-0,01%) il gas la cui diminuzione, associata all’incremento del biossido di carbonio (CO2, 0,01-0,1%) è respon-sabile dell’effetto serra.

Lo strato che chiamiamo atmosfera si estende per oltre 600 chilometri dalla superficie, quello che possiamo vedere direttamente è quindi ciò che accade negli strati molto vicini al terreno dello strato chiamato troposfera. I primi tentativi nello studio sulla natura dell’at-mosfera furono perciò improntati sull’osservazione meteorologica, sulle variazioni del cielo al

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tramonto ed all’alba e sul tremolio delle stelle ed è solo con l’avvento di strumentazioni capaci di uscire dall’atmosfera, siamo stati in grado di avere un’idea migliore del suo funzionamento.

La vita sul nostro pianeta è dovuta anche alla presenza dell’atmosfera, dell’energia solare e del campo magnetico terrestre, produttori e consumatori creano un equilibrio tra le quantità di CO2 e ossigeno presenti nell’atmo-sfera; equilibrio che gli uomini stanno contribuendo a modificare la concen-trazione di anidride carbonica dell’at-mosfera ad una velocità drammatica-mente alta da rendere questo processo disastroso per le altre forme di vita.

L’atmosfera assorbe parte dell’ener-gia del Sole, ricicla l’acqua ed altri ele-menti chimici e, congiuntamente alla forza elettromagnetica modera il cli-ma, inoltre ci protegge dalle radiazioni ad alta energia che arrivano dallo spa-zio. Con l’altezza, cambiano le caratte-ristiche di questa miscela di gas che ci circonda. L’atmosfera è costituita da quattro strati (Fig. 1) tenendo conto di parametri come le caratteristiche ter-miche (i cambiamenti nella temperatu-ra), la composizione chimica, i moti e le densità.

TroposferaLa troposfera è lo strato d’aria che si estende dalla superficie terrestre e si estende fino a

14.500 metri di altezza, con uno spessore medio di circa 10 km. È questa la parte dell’atmo-sfera più densa, ed è la zona in cui si sviluppano tutti i fenomeni meteorologici. A causa della forza di gravità e della comprimibilità dei gas, la troposfera contiene circa il 75% della massa totale dell’atmosfera, tale zona è rimescolata dai venti. Salendo in questo strato, la tempe-ratura scende da circa 17 a -52° C. Un’improvvisa transazione crea un netto confine, una zona “cuscinetto”, chiamata tropopausa che separa la troposfera dallo strato successivo e impedi-sce il rimescolamento tra la troposfera e le zone superiori.

StratosferaLa stratosfera ha inizio appena al di sopra della troposfera e si estende in altezza per 50

chilometri, rispetto alla troposfera, questa parte è più secca e meno densa, la temperatura dell’aria è stabile per crescere gradualmente fino a -3° C, a causa dell’assorbimento della radia-

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Mesopausa

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Stratopausa

Tropopausa

Termosfera

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Stratosfera

Troposfera

Esosfera (inizia dalla Termopausa a circa 640 km)

Temperatura (gradi centrigradi)

Figura 1

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zione ultravioletta. Si trova qui lo strato di ozono (O3), prodotto dalla radiazione solare, che assorbe e diffonde la radiazione ultravioletta solare, la sua presenza ha contribuito allo svi-luppo della vita sulla superficie della terra, perché assorbe la maggior parte della radiazione ultravioletta che proviene dal Sole e che è dannosa per i tessuti viventi.

Il 99 per cento dell’”aria” si trova nella troposfera e nella stratosfera, la stratopausa separa la stratosfera dallo strato successivo, zona che è chiamata bassa atmosfera.

MesosferaLa mesosfera ha inizio poco sopra la stratosfera e si estende per 80/85 Km di altezza, in

questa regione la temperatura scende con l’aumentare dell’altitudine, fino a -93°. Gli elementi chimici sono in uno stato di continua eccitazione, assorbendo continuamente energia dal Sole, la mesopausa separa la mesosfera dallo strato seguente.

Le regioni della stratosfera e della mesosfera, insieme alla stratopausa ed alla mesopausa, rientrano in quella che viene definita tecnicamente media atmosfera.

TermosferaLa termosfera ha inizio appena al di sopra della mesosfera, ad un’altezza di 80 km, e si

estende fino a 600 chilometri, circa, di altezza, con un alto contenuto di gas ionizzanti.La temperatura s’innalza con l’altezza a causa del maggiore flusso di energia solare e può

raggiungere 1,727° C, qui la temperatura è molto alta perché le molecole sono costantemente bombardate da una radiazione solare ad alta energia e dalla radiazione cosmica.

La parte bassa della termosfera è chiamata ionosfera, in questa zona appare l’aurora boreale, quando i flussi di energia solare o cosmica inducono i gas ionizzati ad emettere luce nel visibile.

Non esiste un netto limite superiore dell’atmosfera; la pressione e la densità diminuiscono gradualmente fino a diventare pari a zero nel vuoto dello spazio interstellare, come anche la sua composizione fatta principalmente da elio e idrogeno molto diluiti.

In questo strato, che fa parte di quella che viene definita alta atmosfera, le reazioni chimi-che avvengono più velocemente che sulla Terra.

Oltre l’atmosferaL’esosfera inizia alla sommità della termosfera e continua fino a dove si confonde con il gas

interplanetario o si disperde nello spazio. I componenti primari di questa regione dell’atmo-sfera sono l’idrogeno e l’elio, presenti peraltro a densità estremamente basse.

2.5. Presente: temperature in crescita

Nell’ultimo ventennio il riscaldamento del pianeta ha subito una brusca accelerazione, in particolare, rispetto al trentennio di riferimento 1951-1980, la temperatura media della terra è aumentata di circa 0,3° C, a “riscaldarsi” sono state soprattutto le stagioni forti, ovvero estate e inverno, il fenomeno però non è omogeneo, e alcune regioni, quali il Mediterraneo, si sono scaldate più delle altre. Molte le ripercussioni sul clima e sull’habitat: tropicalizzazione delle

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Page 18: Lʼambiente conviene!A livello di contenuti sono stati individuati quattro grandi macro-temi: l’ambiente e le sue problematiche, la bio-architettura, le risorse energetiche e infine

fasce temperate, a cui si assiste da qualche tempo a questa parte a bruschi cali delle tempera-ture e temporali di una certa violenza, desertificazione di vaste regioni ai tropici, scioglimento della banchisa polare e dei ghiacciai in modo veloce e imprevedibile rispetto alle teorie e calcoli degli scienziati, migrazione verso le medie latitudini di specie e di malattie tropicali.

In particolare le piogge, in tutto il pianeta, stanno “migrando”, basti pensare che in Europa, dal 1980 a oggi, piove di più intorno ai 50-60° di latitudine (per esempio, nella Scandinavia settentrionale), ma molto meno nell’area mediterranea, e durante il periodo estivo quando piove spesso diluvia, perché i temporali danno luogo sempre più spesso a nubifragi.

Nell’ultimo decennio piove di più, invece, in autunno, con conseguente aumento delle alluvioni: dal 1950 al 2000 (storica piena del Po-1951, alluvione di Firenze-1966, alluvione in Liguria-1993, alluvione in Piemonte-1994, alluvione in Piemonte e Valle d’Aosta-2000) ben tre si sono verificate negli anni ’90.

Sono, dunque, in aumento le manifestazioni atmosferiche violente: un fenomeno noto come estremizzazione del clima, alluvioni e inondazioni sono più numerose che nel passato (in Cina nel XIX sec. in media si verificava un’alluvione ogni venti anni, nel secolo appena pas-sato 9-10 alluvioni ogni venti anni), così come i tornado (in Usa dai 500-600 degli anni ’50, al migliaio degli anni recenti), gli episodi del Niño, (El Niño del 1997-98, il peggiore di tutti i tem-pi), le tempeste violente di vento nel Europa settentrionale (ben cinque solo negli anni ’90), infine, temporali più intensi alle medie latitudini: le piogge torrenziali dell’estate 2002 hanno causato la più grave alluvione degli ultimi 100 anni nell’Europa centro-orientale.

Ancora la crescente immissione nell’atmosfera di sostanze inquinanti, degli ultimi dieci anni, ha alterato la composizione chimica dell’aria con effetti negativi sul clima e sull’habi-tat: nelle città le alte concentrazioni di polveri, ossidi di azoto e ozono hanno peggiorato la qualità dell’aria, mentre l’intensificazione dell’isola di calore ha fatto aumentare i temporali violenti, le immissioni di Cfc (Clorofluorocarburi) hanno eroso la fascia di ozono stratosferico allargando il “buco” sopra l’Antartico; la crescente immissione di gas-serra (CO2, metano, Cfc) ha aumentato il calore, con conseguente aumento della violenza di quei fenomeni il cui svi-luppo dipende dal calore (uragani, tornado, temporali, Niño).

2.6. Futuro: in balia dei gas serraIl clima del prossimo futuro è legato soprattutto all’evoluzione delle emissioni di gas-serra

e in particolare di CO2, gli scenari sono diversi, a seconda dello sviluppo economico, delle nazioni che sottoscrivono protocolli e leggi a tutela dell’ambiente.

Gli effetti del crescente inquinamento saranno principalmente tre: 1) aumento della temperatura media,2) stravolgimenti della circolazione generale dell’atmosfera, 3) instabilità climatica.

L’aumento della concentrazione dei gas-serra causerà, nei prossimi decenni, un incremento dell’effetto serra e quindi anche un ulteriore innalzamento della temperatura media del Piane-

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Page 19: Lʼambiente conviene!A livello di contenuti sono stati individuati quattro grandi macro-temi: l’ambiente e le sue problematiche, la bio-architettura, le risorse energetiche e infine

ta: le diverse aree della Terra, non si riscalderanno in maniera uniforme: alcune, come le regioni polari, avvertiranno prima, e in misura maggiore, l’aumento delle temperature.

Nell’ipotesi di un raddoppio delle concentrazioni di CO2, gran parte delle aree continentali potranno subire un aumento della temperatura di 4-5° C.

Sempre nell’ipotesi di un aumento elevato di anidride carbonica, in Europa, in particolare, entro gli anni 2020 di questo secolo l’aumento di temperatura sarà compreso tra 0,5 e 1,5° C, con il riscaldamento maggiore per l’area mediterranea.

Nel 2080 l’aumento medio di temperatura potrà essere di 1,5-3° C, con punte di 3,5-4° C per i Paesi mediterranei, ciò significa che il paesaggio italiano, ed in particolare quello dell’Italia meridionale, potrebbe diventare simile a quello attuale dell’Africa settentrionale: un aumento della temperatura media difatti comporterà ondate di caldo più numerose, intense e durature, arrivando a colpire con frequenza anche in autunno e primavera, anche se alcune teorie riten-gono che l’Atlantico potrebbe contribuire a limitare il riscaldamento sull’Europa, per un suo effetto mitigatore.

Le temperature più elevate previste in prossimità del Circolo Polare Artico provocheranno lo scioglimento di grosse porzioni della banchisa, le grandi quantità di acqua dolce così immes-se nell’Atlantico Settentrionale potrebbero causare un forte calo della salinità, tali anomalie saline indebolirebbero il funzionamento nel Nord Atlantico, del grande nastro trasportatore e impedendo in tal modo l’arrivo delle tiepide acque della Corrente del Golfo fino all’Europa settentrionale.

Il surriscaldamento da effetto serra potrebbe così essere in parte compensato dalla man-canza dell’azione mitigatrice del clima della Corrente del Golfo.

L’aumento delle temperature del globo avrà forti ripercussioni anche sugli oceani, perché le acque superficiali marine saranno più calde di quanto non siano oggi, amplificando in tal modo i cicloni tropicali diverranno più frequenti ed intensi, estendendosi anche alle fasce marginali delle zone temperate, mentre i bacini chiusi delle medie latitudini, come il Mediterraneo, po-trebbero trasformarsi in veri e propri mari tropicali: il livello dei mari potrebbe crescere tra 10 e 90 centimetri, sia a causa dello scioglimento dei ghiacci polari, sia perché le acque più calde occupano un volume maggiore, di conseguenza la geografia delle coste di tutti i continenti potrebbe risultare profondamente stravolta, con grandi città come New York, Miami, Rotter-dam, Copenaghen, Bangkok e Venezia sommerse con immaginabili conseguenze di tipo sociale, economico, sanitario, urbanistico ed ecologico.

A luglio, di questo corrente anno, la temperatura alla superficie ha battuto il record da quando nel 1890 sono iniziate le misurazioni sistematiche. La statistica arriva dal National Cli-matic Data Center statunitense, secondo cui anche agosto sarebbe pronto a piazzarsi in testa alla classifica dei mesi con le acque salate più calde.

La media di tutti gli oceani, tra i mesi di luglio/settembre 2009, ha fatto toccare al termo-metro i 17 gradi, il precedente record risaliva al luglio del 1998 (16,8 gradi) e sono circa dieci anni che si viaggia costantemente al ritmo di mezzo grado oltre il valore medio del secolo scorso (16,4 gradi). Il G8 dell’Aquila 2009 ha fissato in due gradi la soglia di riscaldamento oltre

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Page 20: Lʼambiente conviene!A livello di contenuti sono stati individuati quattro grandi macro-temi: l’ambiente e le sue problematiche, la bio-architettura, le risorse energetiche e infine

la quale le conseguenze per l’ambiente potrebbero diventare catastrofiche con uno specifico riferimento alle temperature globali dell’atmosfera. Rispetto all’aria, i mari rappresentano una riserva di energia termica molto più duratura e difficile da smaltire.

“Un caldo simile negli oceani non si disperderà da un anno all’altro” conferma a margine del-la pubblicazione dei dati Andrew Weaver dell’università di Victoria nella British Columbia. Per riscaldare l’acqua, rispetto alla terra, occorre, infatti, il quintuplo dell’energia. “E l’aumento della temperatura in mare influenza anche la terra. Siamo di fronte a un’altra importante conferma del cambiamento in atto”. Nel Pacifico intanto sta per ripartire una nuova stagione di El Niño, la cor-rente oceanica calda che ogni 3-7 anni si riaffaccia ad aggravare una situazione già compromessa. Il National Climatic Data Center, sempre a luglio, ha misurato una temperatura media sui conti-nenti di 14,81 gradi, ancora una volta più alta di mezzo grado rispetto alla norma del secolo scor-so. Si tratta del nono valore di sempre. E andando a confrontare le varie tabelle, si scopre anche che l’ultimo dato che non oltrepassa la linea media del ‘900 (combinando il caldo a terra e nei mari) risale al 1976. Da allora tutti gli indicatori di temperatura marciano regolarmente in salita. Tra le zone più calde del pianeta, secondo i dati statunitensi, a luglio figuravano l’Europa, l’Afri-ca settentrionale e la costa occidentale dell’America settentrionale. “In queste aree - si legge nel rapporto del National Climatic Data Center - la media del secolo scorso è stata superata di 2-4 gradi”. Nel Mediterraneo l’anomalia della temperatura è di 1,7 gradi e scricchiola anche il ghiaccio del polo nord: “L’estensione del pack artico dal 1979 a oggi si è ridotta del 6,1 per cento per ogni decade”. Il mare attorno all’Artico a luglio 2009 ha vissuto uno dei riscaldamenti più incisivi: 5,6 gradi in più rispetto alla media del XX secolo.

Se la banchisa bianca vive tempi difficili, ai tropici i coralli rischiano di perdere il loro rosso. Il riscaldamento e l’aumento di acidità nei mari sono, infatti, all’origine del colore pallido e sla-vato delle barriere, che normalmente si presenta alla fine dell’estate e invece è già osservabile in alcune zone dell’America Centrale. Uno studio della Nasa del 2006 dimostrò anche che più gli oceani si riscaldano, più diminuisce la presenza di fitoplancton. Questi minuscoli organi-smi viventi non solo danno da mangiare ai pesci e al resto della catena alimentare, ma con la fotosintesi clorofilliana assorbono anidride carbonica dall’atmosfera. In anni normali, il loro contributo alla “ripulitura” dell’aria inquinata è addirittura equivalente a quello delle foreste sulla terraferma.

Un effetto serra più intenso significherà anche maggiori quantità di energia all’interno dell’atmosfera, la circolazione generale dell’atmosfera ne risulterà stravolta, e grandi centri di alta o bassa pressione come l’anticiclone delle Azzorre o il ciclone d’Islanda cambieranno la loro posizione.

Anche i fenomeni atmosferici potranno divenire più intensi: tornado sempre più devastanti sull’America settentrionale e un maggior numero di trombe d’aria sulla nostra Penisola; violenti temporali e nubifragi si abbatteranno sulle regioni temperate, ne sono una chiara conferma le notizie di cronaca di questa primavera ed estate.

Con gli stravolgimenti della circolazione atmosferica anche i grandi fenomeni che influen-zano il clima cambieranno le loro abitudini: el Niño diventerà sempre più intenso e frequente, i

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monsoni saranno ancora più piovosi, ma saranno anche più duraturi i periodi di siccità, renden-do più frequenti gli incendi e le tempeste di sabbia.

Altro effetto dell’aumento di energia in atmosfera sarà la forte instabilità del clima: au-menteranno le oscillazioni attorno a valori medi, con fenomeni estremi più frequenti e impre-vedibili (estremizzazione del clima): capiterà sempre più spesso di passare repentinamente da forti ondate di caldo a vere e proprie gelate fuori stagione, o di vedere periodi di bel tempo intervallati da giornate con piogge torrenziali.

3. Il degrado dell’ambiente e delle risorse

3.1. La biosfera e l’uomoLa biosfera è l’insieme delle zone della Terra in cui è presente la vita animale e vegetale,

si estende dalle più profonde fosse oceaniche allo strato di ozono nella stratosfera, da 1000 metri sotto il livello del mare a 3000 al di sopra di esso la maggior parte delle forme di vita è concentrata in una fascia spessa appena 4 km.

Per avere un’idea delle sue proporzioni rispetto a quelle della Terra, essa può essere para-gonata a una pellicola dello spessore di un decimo di millimetro che avvolge una sfera di un raggio di un metro.

In questa pellicola è concentrato il 95% della biomassa (la massa totale di tutti gli organismi viventi) che possiede però una capacità unica, dall’enorme potenzialità: quella di crescere e ri-prodursi, attraverso i cicli della fotosintesi clorofilliana e del metabolismo aerobico (respirazio-ne) che assicurano il rinnovo della biomassa, oltre ad un’equilibrata miscela di gas nell’atmosfera, che regola l’afflusso e il deflusso dell’energia solare, facendo da schermo alle radiazioni nocive e mantenendo la temperatura del pianeta entro la stretta gamma compatibile con la vita.

La biosfera e gli organismi animali e vegetali che in essa vivono, costituiscono un unico sistema ecologico, in cui tutti gli organismi e i fattori ambientali interagiscono: è dunque un ecosistema planetario, una sorta di grande organismo vivente, le cui complesse funzioni sono fra loro tutte dipendenti.

Ciò significa che compromettere anche solo una di queste funzioni vuol dire compro-mettere la capacità vitale dell’intero organismo, ossia la vita sull’intero pianeta al di là della sua capacità di omeostasi, cioè quella capacità del sistema terra di autoregolarsi in modo da controllare gli squilibri e riportare il sistema stesso alle condizioni iniziali, di equilibrio.

Le attività umane hanno sempre interferito con la biosfera, a partire dal neolitico: ma è con la rivoluzione industriale, soprattutto nella seconda metà di questo secolo, che esse han-no cominciato a modificare in modo sensibile l’ecosistema planetario.

Lo sviluppo industriale, con l’utilizzo di macchine alimentate dal carbone e successivamente dal petrolio, la crescita esponenziale della popolazione, la formazione di grandi agglomerati ur-bani, l’estensione delle terre arabili hanno provocato un crescente impatto ambientale, rispetto ad un uso precedente, basato su un utilizzo contadino della terra e un’industria di tipo artigianale.

Basti pensare che, fino al 1850, l’estensione delle terre arabili aveva provocato su scala

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mondiale il disboscamento di 600 milioni di chilometri quadrati di foreste, e che nel secolo successivo ne sono stati disboscati altri 850 milioni, dimezzando l’area forestale.

Nella lunga storia del pianeta Terra, si è venuta così a creare una situazione interamente nuova: mentre per circa quattro miliardi e mezzo di anni il futuro della biosfera è dipeso uni-camente dai fattori naturali, in primo luogo dal flusso di energia solare, dall’inizio della rivo-luzione industriale, esso è venuto a dipendere in modo crescente anche da un altro fattore: il comportamento umano.

L’inquinamento dell’aria e dell’acqua, del suolo, l’accumulo di rifiuti, la deforestazione, l’ec-cessivo sfruttamento delle risorse naturali hanno raggiunto livelli critici, modificando i delica-ti equilibri della biosfera, che viene sempre più deteriorata. Tra i vari fattori che la minacciano, è il progresso scientifico e tecnico che ha messo in mano all’uomo la capacità, mai esistita finora sulla Terra, di annientare, con un’energia simile a quella del Sole contenuta nelle armi nucleari, quasi ogni forma di vita, compresa sicuramente la specie umana.

Dalle scelte dell’uomo viene così a dipendere, alle soglie del terzo millennio, non solo la direzione del suo cammino storico, ma il futuro stesso della vita sul suo pianeta, con tutto il suo corredo di esseri viventi.

Ecco perché assume sempre maggiore importanza, nel complesso delle problematiche d’ordine ambientale, l’analisi delle modificazioni operate dall’uomo.

Lo spazio organizzato dall’uomo prende il nome di ambiente antropizzato: si tratta di un ambiente in cui si riconoscono gli effetti della presenza dell’uomo, rivelati dalle modificazioni delle condizioni fisiche e naturali del contesto ambientale, l’insieme di queste modificazioni costituisce la storia del territorio e da tale complesso di effetti ha avuto origine il problema di come garantire la vita futura di tutte le popolazioni presenti.

Sempre più di frequente, infatti, i mezzi d’informazione ci segnalano fenomeni planetari d’in-quinamento, di estinzione d’intere specie, d’interventi negativi, e spesso irreversibili, di scelte go-vernative che antepongono ad un rendiconto economico immediato a una politica ambientale lungimirante, per un benessere presente e futuro della popolazione locale e di riflesso mondiale.

Negli ultimi anni sono apparse evidenti le conseguenze di questo tipo di scelte per dell’uso massiccio e indiscriminato che viene fatto delle risorse ambientali, sulla base di un primato che la specie umana si è personalmente assegnata a scapito dell’ambiente e delle altre specie viventi, ha instaurato con gli ecosistemi e le loro risorse un rapporto fatto, in prevalenza, di dominio e di sfruttamento.

Il raggiungimento di un equilibrio dinamico di relazione tra il contesto umano e quello ambientale sarà possibile solo se l’uomo prenderà coscienza delle profonde relazioni esistenti tra lo sviluppo della specie umana e la dinamica degli eventi ambientali, tenendo ben in men-te che il primo è fortemente e inscindibilmente dipendente dal secondo, mentre la natura cresce e si sviluppa in modo indipendente.

L’analisi dell’ambiente e del territorio antropizzato parte dalla considerazione che le prime comunità umane interagivano con l’ambiente tramite mezzi e strumenti piuttosto semplici, al fine di garantirsi la sopravvivenza e di soddisfare i bisogni essenziali; nel momento in cui l’uomo

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passò dalla semplice raccolta delle risorse naturali alla pratica agricola e all’allevamento de-gli animali, cominciò l’antropizzazione del mondo con un’organizzazione dei territori secondo i modi di vita e le crescenti abilità tecnologiche di ogni singola società dando così il via a quel mil-lenario rapporto di condizionamento reciproco tra gli ecosistemi e i sistemi economico-sociali che con il loro agire, hanno provocato numerose alterazioni degli originari equilibri naturali.

L’impatto che i sistemi economico-sociali esercitano sugli ecosistemi deriva sostanzial-mente da tre fattori:1) l’incremento demografico2) la crescita dei consumi3) la tecnologia

Dal punto di vista della storia demografica, il periodo che va dal neolitico alla Rivoluzione Industriale fu un periodo caratterizzato da una certa uniformità, definito regime demografico naturale o primitivo, in cui si possono mettere in evidenza i seguenti elementi:a) le carestie, regolatori naturali della crescita demografica,b) l’assenza di strumenti di controllo sulla crescita della popolazione sia perché non si dispo-

neva di alcun mezzo sanitario per la lotta contro le malattie, sia perché non era possibile o non si sapeva controllare i livelli di fecondità.

Per millenni la lentissima crescita demografica era messa periodicamente in discussione da carestie, malattie e guerre, che s’intensificavano quando il rapporto tra la popolazione e le risorse diventava più sfavorevole.

Le cose si modificarono con la Rivoluzione Industriale, che si sviluppò in parallelo alla rivo-luzione agraria, si ebbe una fase profondamente diversa dalla precedente, dovuta a molteplici fattori, alla base della quale stava però un elemento fondamentale: il passaggio dal lavoro artigiano, contadino, a quello delle macchine.

Dalla fine del ‘700, la popolazione mondiale è cresciuta senza più cadute, fenomeno che non si era mai verificato prima nella storia, l’uomo cominciò ad essere in grado di regolare la natalità e la mortalità, delineando così un nuovo regime demografico, definito maturo, quello attuale che è caratterizzato da bassi tassi di fecondità e mortalità, da un modesto incremento demografico e da una lunga durata media della vita.

L’incremento demografico degli ultimi anni è arrivato ad essere quota sei miliardi, con un ritmo di crescita di 77 milioni d’individui l’anno, incremento notevole da ricondurre alla capa-cità mostrata dall’uomo di riuscire manipolare a suo vantaggio la natura: in sintesi, possiamo dire che l’uomo è in grado di modificare rapidamente e drasticamente l’ambiente circostante per adattarlo ai propri bisogni, per tutte le altre specie animali e vegetali, invece l’ambiente agisce controllandone lo sviluppo, anche numerico.

A parità di reddito, ogni aumento della popolazione determina un corrispettivo incremento degli inquinamenti e della domanda di generi alimentari, risorse minerarie e fonti energetiche.

Viceversa, a parità di popolazione, ogni ulteriore diffusione del benessere si traduce in un incremento dei consumi, con effetti analoghi ai precedenti; dunque popolazione e consumi

Capitolo I - L’ambiente e le sue problematiche

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atmosfera Idrosfera litosfera Biosfera

Immissione d’inquinanti nell’aria

Inquinamento delle acque marine

Esaurimento delle risorse non rinnovabili

Impoverimento della biodiversità

Impoverimento del manto di ozono

Inquinamento sulle acque continentali

Impoverimento delle risorse rinnovabili

Introduzione non controllata delle biotecnologie

Cambiamenti climatici Inquinamento sulle acque di falda

Interventi dell’uomo sul territorio

Erosione genetica

Radiazioni nucleari Tecniche di pesca non rispettose dell’ambiente

Erosione, desertificazione, deforestazione

Spreco di risorse alimentari destinate all’alimentazione

animale

Piogge acide Piogge acide Piogge acide

Accumulo rifiuti

sono due variabili che esercitano un impatto sull’ambiente direttamente proporzionale alla loro dinamica.

Più complesso risulta, invece, il ruolo della tecnologia: questa ultima aggrava l’impatto eser-citato dai sistemi economico-sociali sugli ecosistemi quando è arretrata è inefficiente, mentre lo riduce o persino lo annulla se impiega dispositivi sofisticati e di alta tecnologia per tutelare l’ambiente.

Un esempio del primo tipo è costituito dalle combustioni di carbone in centrali termo-elettriche prive di dispositivi per l’abbattimento delle emissioni inquinanti, la cui adozione, viceversa, rimanda alla seconda ipotesi.

In definitiva, i problemi nascono dalle modalità di organizzazione dello spazio e dai modi con cui si colloca il rapporto dell’umanità con l’ecosistema terra, nel passato lo sfruttamento del territorio è avvenuto in forma tanto più equilibrata quanto più l’uomo è stato capace di comprenderne le caratteristiche e i cicli naturali e adattarvi la propria attività produttiva e i propri insediamenti.

Questa nostra caratteristica deriva principalmente dalla capacità, propria della specie uma-na, non solo di costruire e utilizzare strumenti complessi, ma anche di trasmettere informazioni e conoscenze alle generazioni successive, patrimonio culturale che si arricchisce nel corso del tempo e che ci mette in grado di modificare l’ambiente in base alle nostre necessità.

Per capire i complessi rapporti che si sono instaurati tra l’uomo e il territorio, occorre sotto-lineare che le trasformazioni di questo ultimo sono caratterizzate da uno sviluppo di tipo evo-lutivo, ogni nuova forma di sfruttamento delle risorse terrestri non ha cancellato le tracce delle forme precedenti, le ha assimilate e integrate, d’altro canto, ogni volta che un progetto di trasfor-mazione del territorio non ha tenuto conto delle caratteristiche storiche e naturali pregresse, gli oneri che le comunità hanno dovuto pagare sono stati di gran lunga maggiori dei vantaggi.

Il territorio è quindi il risultato delle complesse trasformazioni dovute all’azione della società umana continuata nel tempo.

tabella 1 - Le principali forme di disequilibri ambientali.

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4. I problemi ambientali globali

4.1. I rifiutiLo sfruttamento sconsiderato delle risorse e una produzione, con conseguente smalti-

mento sempre più forzato dei rifiuti, sono tra le ragioni primarie del nostro rovinoso impatto sulla terra.

La tecnologia e un diffuso benessere hanno reso economici e facilmente disponibili i beni di consumo e i servizi nei paesi più ricchi, dove si consumano risorse in misura sproporzionata rispetto alla nostra percentuale demografica.

Se nel mondo ognuno cercasse di vivere allo stesso livello di consumo dei Paesi industrializ-zati, il risultato, considerati gli attuali metodi di produzione, sarebbe senza dubbio disastroso.

Un secolo fa, l’economista e sociologo Thorstein Veblen, ha coniato il termine consumo visto-so per descrivere l’acquisto di beni solo per impressionare gli altri, dando vita all’imperativo del “produrre più del richiesto e offrire più del necessario” come credo di una moderna religione.

Oggi occorre più spazio per tenere tutta la roba che compriamo, una volta che posse-diamo le cose, ci accorgiamo che non ci rendono felici, giovani e belli, brillanti e interessanti come promesso da pubblicità accattivanti.

Così compriamo ancora di più per cercare di riempire il senso di vuoto, al punto di non di-sporre del tempo per le cose vere e importanti della vita; alcuni sociologi definiscono questa tendenza all’accumulo “affluenza”, un numero crescente di persone rimangono incastrate in un circolo vizioso, lavorano freneticamente per comprare cose di cui non hanno bisogno, così da risparmiare tempo per lavorare ancora più a lungo.

Ma quando ci si è posto il problema dei rifiuti?Il problema dei rifiuti non è presentato per millenni, in quanto la natura non produce rifiuti

e perché, per gran parte della loro storia, gli uomini hanno riciclato quasi tutto, ma credo sia estremamente interessante rileggere la storia in chiave “rifiutologica”, cioè com’è stato affron-tato nel corso dei secoli il problema dei rifiuti che venivano prodotti, della loro tipologia, e come venivano smaltiti.

È incredibile rilevare come gran parte delle conoscenze che oggi possediamo circa i popoli delle età della pietra, ci deriva dai resti, più o meno fossili, dei loro rifiuti; lo studio delle po-polazioni antiche è possibile attraverso l’esame della loro ecumene, nello specifico dei loro insediamenti in un determinato territorio, dai loro resti di cibo fossilizzati e scartati come rifiuti, dai loro manufatti di pietra e di terracotta finalizzati al cibo e degli scarti delle lavora-zione delle pelli.

Successivamente si ha un cambio nella composizione dei rifiuti, sempre di scarsa quantità e di tipo organico, materiali che venivano ampiamente recuperati; il cibo di scarto veniva dato ai maiali, e le ceneri utilizzate per lavare i tessuti, per via del contenuto in soda, e gli escre-menti venivano trasformati in letame.

Ciò che non aveva una composizione organica come i metalli e la terracotta o il vetro veniva-no continuamente riutilizzati, o altri materiali come i tessuti venivano utilizzati fino all’ultimo.

Capitolo I - L’ambiente e le sue problematiche

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Il popolo greco fu quello che per primo, secondo le testimonianze storiche, si pose il pro-blema della pulizia delle città, sentendo il bisogno di un servizio pubblico di pulizia urbana.

Il filosofo Aristotele, nella Costituzione degli ateniesi in cui ci permette di conoscere me-glio Atene, la sua storia e la sua organizzazione, indica i doveri di dieci sorveglianti della città che hanno il compito di verificare il lavoro degli spazzini, perché non gettino e accumulino immondizie vicino alla città, che contava all’epoca di Aristotele 250.000 abitanti.

Con i Romani dell’età classica, di cui si ha una considerevole quantità di documenti riguar-danti le opere pubbliche, si ha pressoché poco riguardo di quelle che erano le attività quoti-diane della Roma imperiale che contava oltre un milione di abitanti.

I rifiuti, che non venivano direttamente riutilizzati, erano convogliati nella Cloaca Massi-ma, che era il sistema fognario che serviva la città di Roma; per gli scarichi domestici, invece, venivano buttati nelle strade, con l’inconveniente, ricordato dal poeta Giovenale, di vederseli arrivare in testa.

Nella città il servizio di raccolta pubblica era affidato a privati, ed i cittadini avevano l’one-re di tenere pulito il circondario delle case per non incorrere in sanzioni da parte dei funzio-nari edili, preposti alla cura della città.

Si ha notizia di un bando di gara d’appalto pubblico per la pulizia delle strade, emanato da Giulio Cesare nell’Editto di Eraclea, in cui le spese per tale servizio dovevano essere ripartite tra l’amministrazione pubblica e i padroni di casa.

Ancora, in epoca imperiale vi erano le figure di quattro curatores viarum, con funzioni di rango inferiore agli edili, con l’incarico di mantenimento e pulizia, due per la città interna e due per la periferia.

Giustiniano, imperatore romano d’oriente tra il 527 e il 565 decretava: “nulla deve tenersi esposto dinanzi alle officine e finalmente non si permetta che sia gettato nelle strade sterco, cadaveri o pelli d’animali”; divieto che verrà ripreso negli statuti medioevali.

C’è da dire che riguardo alla qualità della pulizia delle strade e delle città i romani ebbero il primato nella creazione di servizi pubblici di raccolta e smaltimento dei rifiuti, modello che fu applicato in tutto l’impero e che funzionò e durò quanto l’impero stesso, Giustinia-no raccolse e ricodificò quella che era la legislazione romana imponendola a tutto l’Impero d’Oriente fino alla sua caduta avvenuta nel 1476, per divenire successivamente la base delle legislazioni attuali del mondo occidentale.

Nel medioevo si ebbe un periodo di profondo decadimento, a partire dalla discesa dei bar-bari la situazione in tutta Europa mancò qualsiasi interesse verso la pulizia e l’igiene urbana, con un conseguente aumento di pestilenze ed epidemie, soprattutto di tifo e peste, veicolata dai topi (i liquami delle fogne scorrevano a cielo aperto e finivano per inquinare i pozzi d’acqua).

In questo periodo il lavoro di spazzino era visto come un lavoro “infamante”, umile che solo i più miseri della società esercitavano, l’esercizio di uno di questi mestieri costituiva ra-gione per non essere ammesso a diventare chierico o a rivestire cariche pubbliche.

Le condizioni igieniche erano così disastrose in Italia e ancora peggiori, se possibile, nel resto d’Europa con una coabitazione tra animali ed umani assolutamente deleteria.

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Solo verso la fine del Medioevo si cominciò a far strada l’idea che una certa igiene poteva essere utile e necessaria per ridurre gli effetti delle epidemie di peste e colera che allora decimava intere nazioni. D’altra parte le città cominciavano a crescere in misura tale da non permettere convivenza così a rischio ed era necessario mettere ordine o almeno emettere dei regolamenti per un regolare servizio di pulizia.

A Milano intorno alla metà del sec. XIII gli Statuti Comunali vietavano espressamente l’ori-nare e “ogni altra cosa disdicevole” nei pressi del Palazzo dei Comune e nello stesso periodo si dava il via all’edificazione di pubbliche latrine, così il buon costume di non urinare dove capitava cominciò a diffondersi nelle case agli albori del Rinascimento, con città, tuttavia, ancora prive di fognature e acquedotti, che attingevano l’acqua da pozzi inquinati e con uno smaltimento dei liquami in letamai che servivano gli orti urbani: una sorta di compost formato da avanzi alimentari, mescolati al letame umano ed animale.

È solo con il Rinascimento che venne ricreata una struttura urbana di pulizia e smaltimen-to dei rifiuti. Alla fine del 1800, all’inizio dell’industrializzazione la società era assolutamente parca, almeno agli occhi di un consumatore contemporaneo, gran parte dei rifiuti prodotti dalle famiglie era costituita da ceneri, che venivano prodotte dal riscaldamento domestico che utilizzava legna o carbone, parte della cenere veniva utilizzata per lavare i panni, in quanto ricca di soda, mentre la cenere del carbone veniva gettata via.

Gli avanzi di cibo erano molto pochi e quei pochi venivano raccolti per essere riutilizzati come alimento per i maiali. I metalli erano pressoché inesistenti nei rifiuti: non c’erano ancora le lattine per le bibite, mentre le pentole rotte o gli altri oggetti domestici in metallo venivano vendute al “rottamaio”, curiosa figura di recuperatore di metalli ante litteram, ancor oggi non del tutto scom-parsa, che faceva la propria ed altrui fortuna appunto comprando a peso i rottami metallici.

Il vetro era pressoché assente e così pure i tessuti, che venivano riutilizzati direttamente in vari modi, non ultimo facendone dei pannolini per bambini o delle fasce per calzari, ma in generale i tessuti erano considerati un bene prezioso: una famiglia prima di affrontare la spesa di un nuovo vestito ci pensava su parecchie volte e se lo faceva, vi erano comunque infinite resistenze ed attenzioni.

Per quanto riguarda la poca carta che si trovava, che non fosse quella dei libri, o il legno venivano bruciati e ovviamente non esisteva la plastica.

La svolta epocale si è avuta e voluto con la rivoluzione industriale e successivamente con la nascita e lo sviluppo dell’industria chimica che ha dato vita ad una vasta gamma di prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio, tra cui la plastica.

Ma è solo dal dopoguerra in poi che si è avuto un vero e proprio boom economico che ha immesso sul mercato e nelle nostre case una grande varietà di prodotti, trasformando oggi i rifiuti in uno dei problemi ambientali più critici da governare e gestire.

Acquisita la consapevolezza che le risorse ambientali non sono illimitate e che non può essere illimitata neppure la possibilità di accumulare rifiuti la parola d’ordine è diventata ri-durne la produzione, riciclare i materiali e recuperarne il potenziale energetico, è necessario invertire la tendenza a questo consumismo di massa, anche per limitare la capacità di carico

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che si sta esercitando sul nostro pianeta, con tale concetto si vuole indicare come la capacità naturale che un ecosistema possiede di produrre in maniera stabile le risorse necessarie alle specie viventi che lo popolano, senza rischi per la sopravvivenza.

Sappiamo che in natura i rifiuti non esistono: ciò che non viene utilizzato da una specie, o da una comunità può risultare utile ed indispensabile alla sopravvivenza di un’altra.

In un ecosistema naturale, non esiste dunque materia che non venga riutilizzata: in tempi più o meno lunghi, tutte le sostanze subiscono modificazioni, si alterano e si trasformano ma, all’interno di un ciclo naturale, niente rimane inutilizzato.

Le attività antropiche e il sistema produttivo hanno invece alterato l’equilibrio tra organi-smi produttori e distruttori di rifiuti, creando prodotti sintetici difficilmente degradabili.

Vengono così definiti rifiuti tutte quelle sostanze o oggetti, generati da attività umane e produttive, di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.

Quattro sono le principali categorie sotto cui vengono classificati i rifiuti:– secondo l’origine si distinguono:

• rifiuti urbani• rifiuti speciali

– secondo le caratteristiche di pericolosità:• rifiuti pericolosi• rifiuti non pericolosi

In particolare sono rifiuti urbani: i rifiuti domestici, i rifiuti non pericolosi provenienti dalla pulizia delle strade, i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi (giardini, parchi, aree cimiteriali).

La composizione dei rifiuti urbani (Ru) è di tipo prevalentemente organica di facile degra-dabilità e non altamente inquinante anche se negli ultimi decenni la costituzione di tali rifiuti è diventata sempre più eterogenea.

Tra i rifiuti urbani una particolare attenzione richiedono i rifiuti urbani pericolosi (Rup) che comprendono tutta la serie di rifiuti che, pur avendo un’origine civile, sono costituiti da un’elevata dose di sostanze pericolose e che quindi devono essere gestiti diversamente dal flusso dei rifiuti urbani “normali”.

Una quota rilevante di Rup sono costituiti da medicinali scaduti e pile.I rifiuti speciali: sono i rifiuti provenienti da attività agricole, dalle attività di demolizione e

costruzione, da lavorazioni industriali e artigianali, i rifiuti derivanti da attività di recupero e smal-timento di rifiuti, i fanghi prodotti da trattamenti di potabilizzazione, i macchinari e le apparec-chiature deteriorati ed obsoleti, i veicoli a motore, i rimorchi e simili fuori uso e loro parti.

I rifiuti speciali pericolosi: sono quei rifiuti generati dalle attività produttive che conten-gono al loro interno un’elevata dose di sostanze inquinanti, per questo motivo è necessario trattarli in modo tale da ridurne la pericolosità.

Tra i rifiuti speciali pericolosi ricordiamo quelli provenienti dalla raffinazione del petrolio, dai processi chimici, dall’industria fotografica e metallurgica, gli olii esausti ed i solventi, gli scarti della produzione conciaria e tessile, quelli generati dagli impianti di trattamento dei

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rifiuti stessi e dalla ricerca medica e veterinaria.Il costante aumento dei consumi, legato allo sviluppo industriale e al più generale migliora-

mento delle condizioni economiche, ha comportato l’immissione nell’ambiente naturale di un quantitativo sempre maggiore di rifiuti, che se non trattati consapevolmente possono pregiudi-care irrimediabilmente la salute e il benessere dell’uomo stesso e la salvaguardia dell’ambiente.

La produzione di quantitativi sempre maggiori di rifiuti è dunque da attribuire all’eccessivo prelievo di risorse naturali ed al basso livello di efficienza con cui tali risorse vengono utilizza-te nel ciclo di vita dei beni e dei servizi forniti dalle attività produttive.

In Italia, la produzione annua complessiva di rifiuti raggiunge mediamente 30 milioni e mezzo di tonnellate, arrivando a superare quasi 40 milioni di metri cubi, una quantità tale da ricoprire sotto uno strato di un metro e mezzo di rifiuti un’intera provincia italiana di media grandezza (dati anno 2007).

I rifiuti, fase terminale dell’intero processo produttivo ed economico, sono da considerarsi una delle principali fonti di pressione sull’ambiente, ed una delle maggiori emergenze ambien-tali che le pubbliche amministrazioni sono chiamate ad affrontare.

Una corretta gestione dei rifiuti dovrebbe basarsi sulla loro riduzione all’origine e sul mas-simo recupero possibile anche in fase di progettazione:– all’origine (imprese produttrici e distributrici) intervenendo sui cicli di produzione, utiliz-

zando tecnologie avanzate per ridurre ogni tipo di rifiuto, a partire dagli imballaggi;– a livello dei consumatori con una raccolta differenziata efficace, alla fonte, dei materiali

che possono essere valorizzati in qualsiasi modo, riducendo al minimo le quantità finali degli scarti da inviare in discarica o agli inceneritori;

– un’attenta campagna informativa verso la cittadinanza, con depliant, opuscoli, corsi di for-mazione, che accompagnino il cittadino in questo percorso di civiltà ambientale.

Le linee programmatiche in materia di rifiuti in base alle vigenti normative comunitarie e nazionali (Decreto Legislativo n. 22/97; Legge regionale n. 25/98) sono volte al raggiungimen-to degli obiettivi suddetti:– riduzione della produzione e della pericolosità;– riutilizzo e riciclaggio;– recupero, nelle sue diverse forme (materia, energia);– smaltimento in condizioni di sicurezza.

L’aumento della produzione di rifiuti risulta una minaccia per la salute dell’uomo e dell’am-biente ma è soprattutto spia di un uso inefficiente delle risorse.

Risulta allora indispensabile riorientare i modelli di produzione e di consumo verso scelte che consentano di utilizzare le risorse in modo più efficiente.

Le soluzioni per la gestione dei rifiuti sono, ad oggi, essenzialmente di tre tipi: smaltimento in discarica, incenerimento, riciclo.

Lo smaltimento in discarica rimanda semplicemente il problema ad un momento futuro

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e rischia di creare grandi concentrazioni di rifiuti da trattare in modo adeguato in discariche controllate, diversamente ci si può ritrovare con rifiuti che possono risultare tossici.

L’opzione incenerimento (o termovalorizzazione) sfrutta invece la combustione dei rifiuti per produrre energia elettrica.

Altra utile soluzione “classica” è quella del riciclo, ma perché riciclare? Questa è una doman-da alla quale oramai chiunque è in grado di rispondere, i telegiornali, i quotidiani non fanno altro che ripeterci che i paesi industrializzati e quindi l'Italia sono attanagliati dal problema rifiuti.

All’aumento dei rifiuti prodotti si aggiungono i problemi e i costi crescenti dello smal-timento dei rifiuti e i conflitti sociali che insorgono alla cattiva gestione dei rifiuti (Napoli docet), e all’apertura di nuove discariche e inceneritori.

In cosa consiste questo problema e perché oggi se ne sente maggiormente l’importan-za? Basti pensare che secondo indagini recenti ogni cittadino produce circa 600 kg di rifiuti all’anno, ai quali poi vanno aggiunti i rifiuti derivanti dalle varie attività industriali, artigianali e commerciali; inoltre, ed è questo il vero problema, questo è un trend che purtroppo negli ultimi anni è salito in maniera costante ed esponenziale.

L’aumento dei rifiuti è dovuto, in parte, al sistema industriale e commerciale che immette nel mercato prodotti che risultano essere meno durevoli di cui non è conveniente la ripa-razione, dagli anni ottanta ad oggi il consumo è stato orientato verso l’utilizzo smodato dei prodotti “usa e getta e monouso, con una conseguente invasione degli imballaggi di bottiglie e contenitori a perdere, ciò ha condizionando ritmi e stili di vita: basti pensare ai vari comple-anni, feste di ogni genere che utilizzano materiale monouso, spesso non riciclabile.

Il riciclo è, fra tutte, la strada più complessa, ma anche quella più civile.Prevede innanzi tutto l’uso di materiali biodegradabili che facilitano lo smaltimento “na-

turale” della materia nel momento in cui il prodotto si trasforma in rifiuto; prevede l’utilizza-zione di materiali riciclabili come il vetro, i metalli o i polimeri selezionati, evitando materiali accoppiati, più difficili da riciclare per facilitare il riciclaggio dei materiali stessi.

I materiali riciclabili sono essenzialmente: il vetro, la carta e il cartone, i tessuti, i pneuma-tici, l’alluminio, l’acciaio e alcune materie plastiche.

Circa un terzo dei rifiuti domestici è costituito da materiali da imballaggio.Per il recupero dei rifiuti da parte delle aziende gli imballaggi vengono inviati a centri, detti

piattaforme, dedicati ai singoli materiali da selezionare e riciclare.Ma se è vero che la strada del riciclo è quella più civile, credo sia, invece, essenziale quella

della prevenzione a monte del rifiuto, prima nella scelta attenta del prodotto che si va ad acqui-stare e successivamente alla adeguata separazione, compostaggio e riciclo del rifiuto stesso.

Ridurre prima di riciclare vuol dire diminuire all’origine la quantità di materiali potenzialmen-te residui dalle nostre attività quotidiane, come ad esempio gli imballaggi, poi pensare al loro riutilizzo per sfruttare tutte le possibilità d’uso dei prodotti senza gettarli prematuramente.

Solo alla fine prevedere un’attenta raccolta differenziata e riciclaggio è importante rac-cogliere separatamente i rifiuti in modo preciso per ottenere nuove materie e quindi nuovi prodotti.

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La prevenzione dei rifiuti rimedia, così, allo spreco di risorse naturali e di energia, liberando risorse economiche utilizzabili per svariati scopi.

Ridurre, separare, compostare e riciclare i rifiuti è un approccio più sostenibile rispetto a quel-lo dello smaltimento, riducendo gli impatti ambientali e sanitari, diminuendo i costi di gestione. L’unica risposta sembra essere una rapida “inversione di marcia”, che garantisca uno sviluppo rispettoso dell’ambiente e dei bisogni delle generazioni future.

In concreto ricordiamoci che le nostre scelte al momento dell’acquisto sono più potenti degli scioperi o del voto: facendo la spesa noi agiamo “dal basso” per premiare direttamente alcune ditte per il loro impegno di rispetto ambientale rispetto ad altre, sia per quanto riguar-da il ciclo produttivo, che nella riduzione degli imballaggi del prodotto finito.

I doveri che abbiamo nei confronti delle generazioni future e delle popolazioni più povere, e verso noi stessi, impongono una maggior consapevolezza e attenzione nei nostri acquisti: fare la spesa non è più una questione privata, riguarda l’intera comunità!

Ovviamente non potremo mai ridurre i nostri consumi a livello zero, però per acquistare i nostri prodotti possiamo prendere decisioni sensate e coscienti e scegliere almeno quelli che generano i danni minori all’ambiente in termini di produzione, uso, riutilizzo, riciclaggio e smaltimento.

Un ottimo esempio di acquisto mirato e consapevole e quello che riguarda le certifica-zioni come quella Ecolabel (Fig. 2), ed è proprio alla crescente attenzione e all’aumento della domanda dei consumatori di prodotti eco-compatibili, i fabbricanti, i produttori alimentari e i commercianti virano su beni più sicuri e sostenibili.

Molte aziende, anche dopo numerose richieste da parte di un gran numero di consuma-tori, si stanno adattando velocemente per trarre vantaggi dal consumismo verde, così come parecchie aziende turistiche o alberghi ricercano le certificazioni ambientali come quella dell’Ecolabel: marchio europeo di qualità ecologica che premia i prodotti e i servizi migliori dal punto di vista ambientale, che possono così diversificarsi dai concorrenti presenti sul mercato, mantenendo elevati standard prestazionali, l’etichetta attesta che il prodotto o il servizio ha un ridotto impatto ambientale nel suo intero ciclo di vita. Il marchio Ecolabel, il cui logo è rappresentato da un fiore è uno strumento volontario, selettivo e con diffusione a livello europeo.

In tutto il mondo le persone vanno acquisendo una consape-volezza sempre maggiore dei pericolosi effetti dell’inquinamento sulla salute e sul benessere ed esistono svariate possibilità di azio-ne collettiva per determinare i cambiamenti sociali.

4.2. L’intensificazione dell’effetto serra e le “isole di calore”Il clima del nostro pianeta dipende dall’equilibrio termico (nel lungo periodo) tra la radia-

zione solare, assorbita dall’atmosfera e dalla superficie terrestre, e quella da loro riflessa nello

Figura 2

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spazio, una funzione determinante viene svolta in tale processo, insieme al vapore acqueo, da alcuni gas radiativamente attivi, normalmente presenti in tracce nell’atmosfera: principalmen-te, anidride carbonica, metano (CH4), clorofluorocarburi, protossido di azoto (N2O).

La funzione di questi gas, definiti “gas serra”, può essere paragonata a quella svolta dal vetro di una serra: esso permette alla luce del sole di penetrare liberamente, ma blocca la dispersio-ne del calore verso l’esterno, principalmente impedendo che l’aria calda interna si mescoli con quella esterna. Allo stesso modo, i gas-serra sono relativamente trasparenti alla luce solare, ma intrappolano il calore assorbendo più efficacemente la radiazione infrarossa di lunghezza d’onda maggiore, emessa dalla Terra, più aumenta la loro concentrazione nell’atmosfera, più diminuisce la dispersione di energia nello spazio facendo aumentare la temperatura al suolo.

Ad accrescere l’effetto serra, negli anni ’80, hanno contribuito per il 56%, l’anidride carbo-nica; per il 24%, i clorofluorocarburi; per il 15%, il metano, per il 5%, il protossido di azoto.

Le principali fonti di emissione umana di questi gas sono la produzione e l’uso di energia, i processi industriali, la deforestazione e combustione di biomassa, la coltivazione del riso e l’allevamento di bestiame.

La percentuale di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata di circa il 25% dal periodo pre-industriale alla metà degli anni ’80, dagli anni ’60 a quelli ’90, è cresciuta di oltre il 12%, in conseguenza del fatto che il consumo di combustibili fossili su scala mondiale è quadruplica-to nel giro di quarant’anni, a partire dal 1950: si calcola che esso emetta ogni anno, insieme alla deforestazione, anidride carbonica per l’ammontare di 7 miliardi di tonnellate di carbonio.

I paesi ad alto reddito, avendo un più alto sviluppo industriale, emettono quantità di ani-dride carbonica di gran lunga maggiori rispetto a quelle emesse dai paesi a medio e basso reddito, industrialmente meno sviluppati. Tuttavia, anche la quantità emessa da questi ultimi sta crescendo, in funzione di un modello di sviluppo che prevede una crescita economica in continua crescita ed un mercato in espansione.

Per ciò che riguarda gli altri gas-serra, si valuta che, nell’ultimo secolo, la quantità di me-tano nell’atmosfera sia raddoppiata, va comunque tenuto presente che questi gas, anche se emessi in quantità molto minore, possono contribuire al riscaldamento terrestre nella stessa misura dell’anidride carbonica, assorbendo molto più efficacemente la radiazione infrarossa.

Se non verranno attuate adeguate misure per ridurre le emissioni dei gas-serra, la loro con-centrazione nell’atmosfera potrebbe raggiungere, nel 2030, un livello equivalente al raddop-pio della percentuale di anidride carbonica rispetto al periodo pre-industriale, e continuare a crescere per il resto del secolo.

Quali potrebbero essere le conseguenze? Anche i climatologi dissentono sull’attribuire all’accresciuta percentuale di gas-serra l’aumento di 0,6° C, verificatosi nella temperatura me-dia annua al suolo nell’ultimo secolo, essi concordano sul fatto che le attività umane hanno già sensibilmente modificato il clima: la Terra va riscaldandosi, i confini delle zone climatiche si spostano, i ghiacciai fondono e il livello del mare s’innalza.

Sei dei sette anni più caldi, con temperature registrate da quando, alla metà del XIX secolo, sono iniziate le rilevazioni delle temperature, si sono avuti nello scorso decennio, e gli anni ’90

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si sono aperti con un altro preoccupante record: nel 1990, la temperatura al suolo è stata la più alta mai registrata dalla metà del 1800.

In particolare il mare nostrum, il Mediterraneo, si riscalda più degli oceani.Quest’anno il Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) ha riscontrato

una temperatura nel mese di agosto di 0,6 gradi sopra la media del secolo, con un ulteriore conferma da parte dei dati resi pubblici dall’Associazione Frascati Scienza in cui si evince che l’aumento della temperatura del Mediterraneo è di un grado rispetto alla media degli ultimi trenta anni.

I dati Enea–Cnr, relativi sempre allo stesso periodo di giugno-agosto, mettono in risalto l’accelerazione che si sta verificando delle acque superficiali.

Per il Tirreno si sono rilevati, invece, due gradi rispetto alla media degli ultimi trenta anni, mutamento che viene misurato non solo confrontandolo su un lungo periodo (la serie storica degli ultimi 150 anni, quelli in cui sono stati raccolti i dati), ma anche rispetto al breve periodo, cioè agli ultimi decenni, con riscaldamento che riguarda non solo il velo delle acque superfi-ciali ma gli strati più profondi, quelli, cioè, che regolano i meccanismi di base.

Tale crescita della temperatura è un forte segnale di destabilizzazione, molti organismi che si costruiscono uno scheletro calcareo, come i coralli, molluschi, i crostacei e organismi planctonici, potrebbero avere problemi d’instabilità perché il calcare si scioglie in un’acqua che va acidificandosi.

La capacità degli oceani di catturare carbonio formando la vita potrebbe indebolirsi anco-ra di più accelerando ulteriormente la crescita dell’effetto serra.

Negli ambienti scientifici, vi è ampia concordanza sulla previsione che un grado di con-centrazione dei gas-serra equivalente al raddoppio della percentuale di anidride carbonica provocherà un aumento di circa 1,2° C della temperatura media globale.

Vi sono invece ampie discordanze nella valutazione dei feed-back di tale fenomeno, ossia degli effetti che esso può provocare e che possono, a loro volta, retroagire sul fenomeno stesso, provocandone o una diminuzione o un’accentuazione.

Ad esempio, alcuni scienziati sostengono che, essendo l’anidride carbonica una materia prima per la fotosintesi, un aumento di concentrazione potrebbe accelerarne l’assorbimento da parte delle piante, contrastando in parte il suo accumulo dell’atmosfera.

Altri sostengono, invece, che il riscaldamento climatico potrebbe causare una rapida emis-sione della grande quantità di carbonio (almeno il doppio di quella presente nell’atmosfera) im-magazzinata nel suolo sotto forma di detriti organici, e liberare inoltre gran parte del metano intrappolato nei sedimenti di piattaforma continentale e al di sotto del permafrost artico.

Tali fenomeni innescherebbero processi di retroazione positiva, provocando rapidi muta-menti climatici che potrebbero ridurre la capacità delle piante di sottrarre anidride carbonica all’atmosfera, e, a sua volta, l’accresciuta concentrazione di anidride carbonica e altri gas-serra nell’atmosfera potrebbero portare a un ulteriore aumento di temperatura.

Tuttavia, essi concordano sul fatto che anche un aumento della temperatura media ai valori minimi previsti, date le forti oscillazioni da una regione all’altra, avrà notevoli riper-

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cussioni sulle condizioni climatiche di molte zone, aggravando la siccità, la deforestazione, la desertificazione e l’erosione del suolo. Si verificherà inoltre, secondo alcuni scienziati, un aumento d’intensità dei cicloni tropicali e degli uragani anche nell’ordine del 40%.

In seguito all’espansione termica degli strati superiori dell’acqua marina e allo scioglimen-to di una parte dei ghiacci dell’Artico, dell’Antartico e della Groenlandia, il livello degli oceani, prevede un gruppo di ricercatori, salirà di 9-29 centimetri nei prossimi quarant’anni e di 28-98 centimetri entro il 2090.

Si calcola che un innalzamento di soli 25 centimetri del livello del mare sommergerebbe vaste aree nel delta del Nilo, del Gange e dello Yangtze, nelle isole Maldive nell’oceano India-no e nelle isole Marshall nel Pacifico; un innalzamento di 1 metro inonderebbe il 12-15% della terra arabile dell’Egitto e il 17% di quella del Bangladesh; costringendo milioni di abitanti delle zone costiere della Cina, e decine di milioni in altri paesi, a trasferirsi altrove.

I più preoccupati sono i rappresentanti delle piccole isole del pacifico riunite nell’Aosis, l’Alliance of Small Island States, che include Maldive, Tuvalu e Papua Nuova Guinea, che ve-dono il cambiamento climatico come una minaccia alla loro sopravvivenza, infatti, le piccole isole sono quelle che rischiano di più dall’innalzamento degli oceani, porterebbe la sua popo-lazione ad una sorta di «genocidio benigno».

I danni economici sarebbero enormi: basti pensare che, per evitare le inondazioni, sarebbe necessario costruire, in 181 paesi e territori costieri, dighe ed altre opere per proteggere oltre 345.000 km di coste basse e 6400 di litorale urbano, e oltre 1750 kmq di aree portuali.

Particolarmente evidente è, già oggi, la modifica del clima provocata dall’urbanizzazione, la temperatura delle aree urbane, in seguito alla distruzione della vegetazione e all’estesa cemen-tificazione, cui si aggiungono le fonti dirette di calore delle industrie, delle abitazioni e dei vei-coli, è in genere più alta di quella delle aree rurali circostanti: è l’effetto dell’“isola di calore”.

Una rilevazione, effettuata in trenta città statunitensi, ha dimostrato che la loro tempe-ratura media supera di 1,1° C quella del territorio circostante, e che a New York la differenza sale a +2,9° C.

Notevoli differenze tra le temperature delle città e quelle delle aree circostanti sono state registrate anche in altri paesi: quella media di Mosca è di +3-3,5° C, mentre a Shanghai è stata rilevata (in una notte invernale, senza vento) una punta di +6,5° C, come controprova, viene portato il caso di Nanchino dove, dopo che dal 1949 sono stati piantati 34 milioni di alberi, la temperatura media è scesa notevolmente.

In base a tali rilevazioni, i climatologi prevedono che il crescente sviluppo degli agglome-rati urbani, soprattutto nelle regioni meno sviluppate, altererà profondamente il clima locale, provocando in molte aree un considerevole aumento della temperatura media e, probabil-mente, contribuirà anche all’intensificazione dell’effetto serra su scala globale.

L’aumento di temperatura, a sua volta, accrescerà l’inquinamento dell’aria in molte aree urbane, accelerando, insieme all’intensificata radiazione UV-B, le reazioni fitochimiche, che produrranno maggiori concentrazioni di ossidanti e ozono troposferico, con ulteriori, gravi conseguenze per la salute degli abitanti.

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Va ancora ricordato che il riscaldamento globale è anche dannoso per l’agricoltura, in quanto favorisce il diffondersi delle malattie delle piante e accelera la volatilizzazione di molte sostanze chimiche organiche, contenute nei pesticidi, nocive sia per l’uomo che per l’ambiente.

4.3. Nell’atmosfera: immissione d’inquinantiCon il crescente consumo di combustibili fossili, l’uomo sta alterando profondamente

l’equilibrio sul quale si regge la composizione dell’atmosfera.Le fonti d’inquinamento possono essere raggruppate in tre grandi categorie:

1) settore industriale2) scarichi degli autoveicoli3) prodotti delle combustioni per il riscaldamento domestico.

In questo modo s’immette nell’atmosfera grandi quantità di gas che incidono in modo diverso sull’inquinamento, ciò è indotto principalmente dalla produzione energetica e indu-striale, e dagli scarichi degli autoveicoli, con una maggiore concentrazione nelle aree urbane e industriali, senza risparmio delle zone agricole e forestali.

Esso espone a gravi rischi soprattutto la popolazione urbana: si calcola che un miliardo e 300 milioni di persone vive in aree dove la concentrazione di particelle sospese nell’aria (fumo e polvere) supera gli indici di sicurezza, provocando ogni anno da 300.000 a 700.000 morti premature in seguito ad affezioni respiratorie e varie forme di cancro, alla stessa causa è imputabile la metà dei casi di altre patologie quali la tosse cronica dei bambini.

È da notare che questo tipo d’inquinamento dell’aria delle città è maggiore nei paesi a bas-so reddito, dove sta aumentando, mentre nei paesi ad alto e medio reddito, sta calando, per una maggiore attenzione al problema e per la messa appunto di politiche ambientali mirate e l’uso di tecnologia più pulita, ciò è dovuto al fatto che nei paesi a basso reddito vengono destinate minori risorse alle misure di riduzione dell’inquinamento.

Nei paesi a basso reddito, vi è anche un’altra fonte di pericoloso inquinamento dell’aria, all’interno delle abitazioni: l’uso di legna, paglia e letame quali combustibili per cucinare e riscaldarsi, dai 400 ai 700 milioni di persone, soprattutto donne e bambini delle aree rurali povere, sono esposti a gravi rischi per la salute, respirando il fumo di questi combustibili che equivale a fumare diversi pacchetti di sigarette al giorno.

4.4. La riduzione dello strato di ozonoOmero nei canti VII e XIV dell’Iliade e XII e XIV dell’Odissea descrisse l’odore aspro e pun-

gente che l’aria acquista in seguito al passaggio di un temporale.Verso la fine del XVIII secolo fu notato che un odore simile veniva riscontrato nelle vici-

nanze di alcune macchine elettriche, per questo motivo si pensò che fosse dovuto alla “pre-senza” di elettricità nell’aria.

Il termine “ozono” deriva dal greco ozein (che ha odore) e l’interesse che attualmente riscuo-

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te l’ozono è principalmente dovuto a due fenomeni di eguale gravità ma di natura differente: la riduzione dello strato d’ozono stratosferico e la concentrazione di ozono troposferico.

Sebbene in stratosfera l’ozono svolga un ruolo fondamentale nella protezione della bio-sfera dai raggi ultravioletti dannosi, in troposfera, oltre ad essere un inquinante tossico per gli essere umani, animali e vegetali, riveste il ruolo di efficace gas serra.

Ma limitatamente al fenomeno del buco nell’ozono c’è da sottolineare che l’uso/abuso dei cloro fluorocarburi ha portato scompensi nello strato d’ozono.

I Cfc sono composti xeno biotici, non esistevano in natura prima della loro creazione di tipo sintetico negli anni ’30, ampiamente usati nelle bombolette spray come propellenti e ne-gli impianti refrigeranti, hanno provocato, insieme agli ossidrili e agli ossidi di azoto, riduzioni nello strato di ozono stratosferico che, tra i 15 e i 60 km di quota, agisce da schermo contro le radiazioni solari nocive, assorbendo intensamente l’ultravioletto della gamma UV-B; gas il cui utilizzo è stato vietato in tutte le nazioni che hanno sottoscritto il Protocollo di Montreal sulle sostanze dannose per l’ozono stratosferico (1987).

Le rivelazioni indicano che lo strato di ozono sull’emisfero settentrionale si è ridotto me-diamente, tra il 1970 e il 1988, dell’1,7% fra le latitudini 30 e 39 N; del 3% fra le latitudini 40 e 52 N; del 2,3% fra le latitudini 53 e 64N, si sono verificate riduzioni anche alle medie e alte la-titudini nell’emisfero meridionale, mentre a quelle tropicali non si sono rilevati cambiamenti in nessuno dei due emisferi.

È soprattutto nell’Antartico che tale fenomeno ha assunto le maggiori proporzioni, al ri-torno della luce del sole in primavera (mentre nell’emisfero settentrionale le più forti ridu-zioni sono avvenute d’inverno): nel 1991, la riduzione dello strato di ozono sull’Antartico ha superato, per profondità ed estensione, di circa il 50% tutte quelle in precedenza rilevate.

Nonostante sia stato raggiunto un accordo internazionale sulla limitazione ed eliminazio-ne dei clorofluorocarburi, la concentrazione di cloro nell’atmosfera ha avuto un aumento fino al 2000, dopodiché gli esperti affermano si dovrebbe verificare una decrescita del fenomeno con un ritorno ai valori della fine degli anni ’70.

Riducendosi la capacità di assorbimento dello strato di ozono l’immediata conseguenza è l’intensificazione delle radiazioni ultraviolette al livello del suolo, con effetti a lungo termine che prevedono gli scienziati, saranno gravi (a cominciare dall’emisfero settentrionale) per la salute delle popolazioni esposte, e, probabilmente, anche per alcuni ecosistemi.

Una prolungata riduzione dello strato di ozono nella misura del 10%, quale oggi si prevede per le medie altitudini, se non cambieranno sostanzialmente i comportamenti umani, provoche-rebbe nel giro di diversi decenni un aumento del 25% del cancro melanoma della pelle (corri-spondente a 300.00 nuovi casi l’anno), e un aumento del 7% dei casi di cateratta (1,7 milioni l’an-no), i rischi per la salute potrebbero essere ridotti, evitando eccessive esposizioni ai raggi solari.

Per ciò che riguarda gli effetti di un’intensificata radiazione UV-B sugli organismi vegetali, le ricerche hanno dimostrato che essa può inibire la crescita e la fotosintesi di alcune piante, ma che altre, comprese certe varietà di riso, hanno notevoli capacità di adattamento.

Le preoccupazioni maggiori riguardo il fitoplancton, elemento essenziale per la catena

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alimentare acquatica, che, soprattutto nell’Antartico, potrebbe subire una diminuzione sta-gionale del 6-12% nei periodi di maggiore riduzione dello strato di ozono.

Un altro pericoloso agente inquinante dell’aria è l’anidride solforosa (SO2): prodotta dalle centrali termoelettriche che usano combustibili fossili, dalla raffinazione del petrolio e da altre fonti, espone circa un miliardo di persone al rischio di affezioni delle vie respiratorie e malattie cardiache.

L’anidride solforosa che si ossida nell’atmosfera e diventa anidride solforica, gli ossidi di azoto e il biossido di carbonio reagiscono con l’acqua di pioggia formando rispettivamente acido solforico, nitrico e carbonico, così le goccioline che compongono le nubi incorporano le componenti acide che verranno depositate sulla superficie terrestre con precipitazioni me-tereologi che sotto forma di pioggia o di neve.

Il fenomeno descritto avviene da sempre per cause naturali, poiché questi gas sono pro-dotti dagli incendi, delle eruzioni vulcaniche, dalla respirazione di piante e animali o a partire dalla rivoluzione industriale, e negli ultimi decenni si è assistito ad una sua accentuazione del fenomeno come conseguenza del crescente consumo di combustibili fossili.

Gli effetti delle piogge acide si rilevano sulla vegetazione, sia direttamente sulle foglie sia attraverso modificazioni nella composizione chimica del suolo: le alterazioni si manifestano come imbrunimento dei tessuti e riduzione del vigore vegetativo.

Il patrimonio storico culturale, infine, che caratterizza l’ambiente antropizzato, subisce pesanti conseguenze: opere d’arte all’aperto, edifici di valore artistico e storico, materiali per l’edilizia, strutture per l’arredo urbano, subiscono una pesante corrosione e invecchiamento fino ad accusare un deterioramento molto rapido e visibile.

Il piombo emesso dai gas di scarico delle automobili, prodotto dalla combustione della benzina contenente antidetonanti, danneggia lo sviluppo dei bambini e negli adulti provo-ca ipertensione con maggiori rischi di problemi cardiaci: si calcola che circa il 20% dei casi d’ipertensione, registrati a Città del Messico, derivi da avvelenamento da piombo, provocato principalmente dagli scarichi delle auto, si aggiungono a questi gli effetti del monossido di carbonio (CO2) prodotto dalla combustione incompleta della benzina e da altre fonti che riduce la capacità del sangue di trasportare ossigeno.

Sempre i gas di scarico delle auto sono la causa di un’altra forma d’inquinamento: gli idro-carburi e gli ossidi di azoto (NOX): se esposti alla luce solare producono, attraverso reazioni fitochimiche, ozono (O3) troposferico, gas presente nella parte più bassa dell’atmosfera che, anche a non alti livelli di concentrazione, provoca temporanee difficoltà di respirazione e, a lungo termine, affezioni polmonari, danneggiando inoltre gli alberi, le colture e molti mate-riali (compresi i tessuti).

L’ozono troposferico è di origine sia antropica che naturale ed è un inquinante cosiddetto secondario, cioè non viene emesso direttamente da una o più sorgenti, ma si produce per effetto della radiazione solare in presenza d’inquinanti primari quali gli ossidi d’azoto (NOX) e i composti organici volatili (Voc) prodotti in larga parte dai motori a combustione e dall’uso di solventi organici.

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Il complesso dei fenomeni che porta ad elevate concentrazioni di ozono viene denomina-to “smog fotochimico” in cui il ruolo che svolge la radiazione solare spiega il tipico andamen-to temporale, giornaliero e stagionale, delle concentrazioni dell’ozono, con valori più elevati nelle ore più calde del pomeriggio.

L’inquinamento fotochimico è un fenomeno anche transfrontaliero: è possibile infatti che, in particolari condizioni meteorologiche e di emissione, si formino inquinanti fotochimici che vengono trasportati a distanze di centinaia o migliaia di chilometri, per controllare questo tipo di inquinamento sono stati messi a punto alcuni protocolli internazionali (Sofia 1988, Ginevra 1991, Goteborg 1999).

Vi sono, inoltre, nell’aria composti chimici organici volatili, come formaldeide, (composto organico appartenente alla famiglia delle aldeidi e dei composti organici volatili)1, provenienti dall’uso di collanti, solventi, smacchiatori, prodotti per la sgrossatura: ne sono stati individuati 261 tipi all’aria aperta e 61 in ambienti chiusi; i loro effetti sulla salute devono ancora essere, in gran parte, studiati.

Foreste e colture, ma anche monumenti nelle città, sono danneggiate in particolare dalle piogge acide, che si formano quando l’anidride solforosa prodotta, oltre che dalle fonti na-turali quali i vulcani, principalmente dalle centrali termoelettriche, reagisce con l’aria umida ossidandosi e trasformandosi, almeno in parte, in acido solforico (H2SO4), questo fenomeno viene ampliato anche per il contributo degli ossidi di azoto, emessi dagli scarichi delle auto-mobili e dalle centrali termoelettriche, trasformandosi con l’umidità in acido nitrico (HNO3).

Nel giro di poco più di un secolo la quantità di anidride solforosa emessa annualmente dalle attività umane è aumentata di oltre venti volte, salendo da circa 7 milioni di tonnellate nel 1860 a circa 155 milioni nel 1985.

Anche le emissioni di ossidi di azoto, pur essendo state prese in alcuni paesi industriali misure per ridurle (ad esempio con l’uso di marmitte catalitiche), hanno continuato global-mente ad aumentare con il risultato che i danni continuano ad essere importanti, sia nei paesi industrialmente sviluppati sia in quelli in via d’industrializzazione.

Una caratteristica delle piogge acide è che esse si verificano, in molte regioni, lontano dalle fonti d’inquinamento che ne sono la causa: nel Canada orientale, in Norvegia, Svezia, Olanda, Austria e Svizzera, oltre il 60% dell’anidride solforosa che provoca l’acidificazione delle piogge proviene da altre aree, in questo modo diventa più complicato e difficile attuare efficaci misure per ridurre le piogge acide, in quanto esse colpiscono in misura minore proprio i paesi che ne sono maggiormente responsabili.

1 A temperatura ambiente è un gas incolore con un odore forte e pungente. È un composto ampiamente utilizzato nella produzione di numerosi materiali per l’edilizia e nella fabbricazione di mobili, ma pure nell’abbigliamento e nella tappezzeria, essendo utilizzata anche nei trattamenti di stampa dei tessuti. La formaldeide è inoltre presente nel fumo di tabacco, nei materiali per l’edilizia (come le schiume isolanti a base di urea-formaldeide), e in numerosi prodotti di uso corrente, come prodotti per la pulizia, coloranti, disinfettanti, materie plastiche, colle e vernici.)

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4.5. L’inquinamento delle acque e la carenza idricaDal ciclo dell’acqua dipendono sia le condizioni climatiche sia ambientali, sia i processi di

fotosintesi e respirazione, che rendono possibile la vita sul nostro pianeta; basti pensare che, per produrre ogni anno il 10% della sua massa, la biomassa pompa, attraverso i suoi tessuti, una quantità di acqua stimata come minimo di 60.000 km³, più del flusso annuo totale di tutti i corsi d’acqua della Terra.

Anche la vita e le attività dell’uomo, parte integrante del complesso meccanismo biologi-co di cui l’acqua, interagendo con l’energia solare, costituiscono il “carburante”, dipende dalla disponibilità di un’adeguata quantità e qualità di acqua dolce allo stato liquido.

L’acqua è il composto più comune sulla superficie terrestre, di cui ricopre i ¾, ma oltre il 97% del suo volume totale (stimato in circa 1,4 miliardi di km³) è costituito da acqua salata.

Meno del 3% è costituito di acqua dolce, il 70% della quale è allo stato solido, quasi tutta immagazzinata nei ghiacciai dell’Antartico e della Groenlandia, e il 30% allo stato liquido.

Ma oltre il 98% dell’acqua allo stato liquido si trova nel sottosuolo, ed è quindi parzial-mente accessibile, mentre un’altra percentuale è contenuta nella biomassa.

L’acqua dei fiumi e dei laghi, che costituiscono la più importante risorsa idrica per le atti-vità umane, rappresenta circa l’1% dell’acqua dolce allo stato liquido, meno dello 0,01% della quantità globale di acqua.

In teoria, la disponibilità di acqua dolce esistente sulla Terra sarebbe sufficiente a una po-polazione di circa 20 miliardi, ma, per una distribuzione estremamente ineguale tra regione e regione, a causa della variabilità spaziale e temporale del ciclo dell’acqua, vi sono regioni in cui l’acqua dolce è largamente abbondante ed altre in cui scarseggia.

Nel corso di questo secolo, il consumo mondiale di acqua dolce si è quasi decuplicato, per effetto sia dell’incremento demografico, sia dello sviluppo economico e urbanistico: nel 1990, secondo alcune stime, era di circa 4100 km³ annui; con un progressivo e costante aumento nel futuro prossimo.

La maggior parte dell’acqua consumata su scala mondiale, circa il 68%, agli inizi degli anni ’90 continua ad essere impiegata per uso agricolo, con una crescita di quella destinate ad uso industriale e domestico, che rappresentano rispettivamente il 24% e l’8% del consumo totale.

La destinazione varia da regione a regione: in generale, la percentuale di acqua destinata ad uso agricolo è maggiore nelle regioni meno sviluppate, quella destinata ad uso industriale e domestico è maggiore nelle regioni più sviluppate.

Il consumo medio annuo pro-capite è (in base ai dati del decennio 1980-89) di 650 metri cubi su scala mondiale, ma con grandi differenze tra regione e regione, esso è associato ad un alto standard di vita.

Non è così però nelle regioni meno sviluppate, dove l’agricoltura assorbe la maggior parte dell’acqua disponibile, mediamente il 70% ma, a causa dell’inefficienza dei sistemi d’irrigazio-ne, ne va perduto il 60%; un’altra considerevole quantità di acqua, in media il 36% di quella fornita per uso industriale e urbano “sparisce” nelle regioni meno sviluppate a causa dell’inef-ficienza dei servizi di distribuzione.

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In diverse regioni, meno sviluppate, come l’Africa, che più sviluppate, come l’Europa meri-dionale, la disponibilità idrica tende a restringersi per effetto di siccità, cambiamenti climati-ci, deforestazione, depauperamento delle falde acquifere.

Molte aree del mondo sono semiaride e soggette a fortissima variabilità delle precipita-zioni. La più vasta comprende il Nord Africa, il Sahel, la Penisola arabica, l’Iran meridionale, il Pakistan e l’India occidentale; nel Sahel le piogge sono non solo irregolari ma anche meno consistenti rispetto a cinquanta anni o anche trenta anni fa, si rileva la stessa situazione critica anche in Asia, dove la disponibilità di acqua pro-capite è meno della metà rispetto alla media mondiale.

Molte regioni, come il continente africano, vengono colpite periodicamente da devastanti siccità, che durano anche anni.

Permanendo le attuali linee di tendenza per ciò che concerne la domanda e la disponibi-lità di acqua, si prevedono strette critiche in diverse regioni a breve termine con una disponi-bilità di risorse idriche interne rinnovabili in continua decrescita, con immaginabili gravi con-seguenze economiche soprattutto in paesi, come quelli nordafricani, dove già scarseggiano le risorse idriche per l’agricoltura e cresce contemporaneamente la domanda di acqua per uso industriale e domestico.

Il peso maggiore ricade sulle famiglie povere che, in alcuni grandi città, devono spendere fino al 20% del loro magro reddito per comprare acqua dai venditori privati a prezzi anche 100 volte superiori a quelli del servizio pubblico.

Altre gravi conseguenze derivano, soprattutto in Medio oriente, dall’acuirsi delle dispute internazionali sulle risorse idriche che possono sfociare in conflitti armati.

Al problema delle quantità si aggiunge quello della qualità: non basta avere acqua a suffi-cienza, occorre che essa sia idonea ai vari usi cui è destinata: domestici, agricoli, industriali, da qui il problema della qualità che, nell’ultimo mezzo secolo, è venuto assumendo una rilevanza sempre maggiore sotto profilo ambientale, sanitario, sociale, economico sia nelle regioni svi-luppate sia in quelle meno sviluppate.

Il peggioramento della qualità dell’acqua è collegato all’industrializzazione e alla crescita demografica ma non può essere meccanicisticamente imputabile solo a questi due fattori; prima nei paesi industriali quindi, in misura crescente, anche in molti dei paesi economica-mente arretrati, tale problema è stato aggravato da modelli di sviluppo economico che, pur di accrescere la produzione e renderla più redditizia, hanno a lungo trascurato i danni inflitti all’ambiente, in questo modo le risorse idriche sono state contaminate, in vario grado, dagli scarichi industriali, dalle piogge acide, dai rifiuti urbani, dai concimi chimici e pesticidi usati in agricoltura, tutte queste sostanze tossiche hanno reso molte fonti di acqua dolce inutilizza-bili non solo per il consumo domestico ma anche per l’irrigazione ed hanno, di conseguenza, contaminato anche le acque costiere.

In Europa, negli Stati Uniti e in Unione Sovietica quasi tutti i principali fiumi e laghi, da cui si attinge acqua potabile, sono stati contaminati dai nitrati impiegati nell’agricoltura intensiva, che hanno raggiunto, solo tra il 1975 e il 1985, concentrazioni 45 volte più alte dei livelli naturali.

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Di fronte ai gravi danni provocati dalla contaminazione delle risorse idriche nei paesi indu-striali, si sono cominciate ad adottare legislazioni più rigide e varie misure, tra cui la costruzio-ne di nuovi impianti di trattamento delle acque, che hanno permesso di ridurre l’inquinamen-to, ma parecchi fiumi e falde acquifere restano tuttavia, ancora gravemente contaminati.

La situazione è invece andata peggiorando nei paesi in via di sviluppo, nei grandi centri urbani e in molte aree rurali: le acque di superficie e sotterranee sono state sempre più con-taminate dai rifiuti urbani che non vengono smaltiti, dagli scarichi d’industrie spesso prive di qualsiasi impianto di depurazione, da fertilizzanti e pesticidi anche dei tipi proibiti nei paesi industriali, impiegati senza alcun controllo né precauzione, basti pensare che all’incirca 2/3 dell’inquinamento delle acque sono dovuti agli scarichi urbani e industriali.

Tra le cause di questo degrado ambientale, svolgono un ruolo rilevante due fattori:1) la politica economica dei governi che, mettendo in primo piano l’esigenza di incrementare

l’esportazione di prodotti agricoli, forestali, minerari e industriali, e incentivare gli investi-menti stranieri, mette in secondo piano la protezione delle risorse idriche e dell’ambiente in generale;

2) la crisi economica che, collegata al debito estero, riduce la spesa pubblica impedendo di destinare sufficienti risorse finanziarie alla costruzione e manutenzione di opere idrauliche come pozzi, cisterne, impianti per il trattamento delle acque, condutture e fognature.

Le reti idriche di molti centri urbani sono fatiscenti e ciò provoca non di rado la conta-minazione chimica e batteriologica dell’acqua per uso domestico, soprattutto i quartieri più poveri e le bidonville, che si espandono a macchia d’olio alla periferia delle metropoli, sono nella maggioranza dei casi sprovvisti di vere e proprie reti idriche, ma dispongono solo di pozzi e fontane, in numero insufficiente rispetto alla popolazione e quindi facilmente dete-riorabili per l’uso eccessivo che ne viene fatto.

Il problema dello smaltimento dei rifiuti urbani, che è complesso anche per le moderne città dei paesi industriali, lo è ancora di più per le città delle regioni meno sviluppate: qui vie-ne raccolto solo il 30-70% dei rifiuti solidi, che è in genere abbandonato in discariche all’aper-to, e viene smaltito appena il 40% delle acque nere, gli escrementi umani costituiscono, in questi centri urbani, la più pericolosa fonte di contaminazione dell’acqua.

Le conseguenze sul piano sanitario sono devastanti: l’80% delle malattie ed oltre il 33% dei decessi nelle regioni meno sviluppate, sono associate all’ingestione di acqua contaminata, basti pensare che la mancanza d’acqua potabile e servizi igienici provoca ogni anno la morte di oltre cinque milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni.

Per quanto riguarda i fiumi essi scaricano ogni anno in mare una quantità di materia, disciol-ta o in particelle, stimata da alcuni geologi in circa 13,5 miliardi di tonnellate (mentre altri la valutano tra i 10 e i 64 miliardi di tonnellate), circa la metà viene trasportata dai fiumi asiatici.

La quantità e la composizione di questa materia rimaste più o meno costante nelle varie ere geologiche, si sono però profondamente modificate nell’era industriale: in alcune aree, la costruzione di dighe e bacini lungo il corso dei fiumi, ha ridotto la massa dei detriti scaricata

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in mare, provocando l’erosione delle coste e un aumento di salinità delle acque costiere, con effetti negativi sugli organismi che si riproducono nella zona in cui l’acqua dolce si mischia con quella salata; in altre aree, viceversa, l’eccessivo dilavamento provocato dalla deforestazione ha portato all’interramento della foce.

Ma è soprattutto la modifica della composizione degli scarichi fluviali quella che ha avuto l’impatto maggiore sugli ecosistemi delle acque costiere: alla massa di detriti, proveniente dal di-lavamento naturale, si è aggiunta una quantità crescente di materia proveniente dagli scarichi ur-bani e industriali e dall’uso di prodotti chimici in agricoltura che finisce nei fiumi e quindi in mare; si calcola che, ogni anno, i fiumi scarichino in mare acque di scolo contenenti circa 300 milioni di tonnellate di materia, disciolta o in particelle: il 90% proviene dagli scarichi urbani e il resto da quelli industriali, la maggior parte degli scarichi non è sottoposta ad alcun tipo di depurazione.

Nel bacino mediterraneo solo il 30% delle acque di scolo delle oltre 700 città costiere riceve qualche forma di trattamento, prima di essere scaricato in mare: altri, circa 215 milioni di tonnellate, provengono dal dragaggio di fiumi e porti, e da lavori di costruzione: il 10% di questa massa contiene petrolio, metalli pesanti, nutrienti e composti organoclorici.

Vengono inoltre scaricati in mare, ogni anno, circa 11 milioni di tonnellate di fanghi prove-nienti dagli impianti industriali, e circa 15 milioni di tonnellate provenienti dai centri urbani.

Le acque marine sono state anche contaminate con l’incenerimento di sostanze chimiche (i paesi europei ne hanno bruciate circa 624.000 tonnellate, tra il 1981 e il 1984, riducendone quindi la quantità) e con materiali a basso grado di radioattività: dal 1967 al 1982, anno in cui è cessata questa pratica, ne sono stati scaricati nell’Atlantico 94.000 tonnellate.

Le acque di superficie e il fondo marino sono contaminati, insieme alle spiagge, dai rifiuti solidi: circa 6,5 milioni di tonnellate annue.

Gran parte dei rifiuti, fino al 70% di quelli che finiscono sulle spiagge del Mediterraneo, e fino all’80% di quelli sulle spiagge del Pacifico, è costituito di materie plastiche, molte non biodegradabili, le quali possono restare anche per cinquanta anni nell’ambiente marino, tra-sportate dalle correnti da una zona all’altra.

Non se ne conosce l’esatta quantità, ma sono significativi alcuni dati parziali: si calcola che, ogni anno, vengano gettate o perdute in mare oltre 150.000 tonnellate di reti ed altri equipag-giamenti per la pesca, fatti di materie plastiche, cui si aggiungono almeno 450.000 contenitori di plastica gettati in mare dai mercantili.

Anche le navi da crociera sono colpevoli di molte violazioni alle leggi internazionali sull’in-quinamento: esse sono responsabili del 77% di tutti gli scarichi delle navi, quota che include liquami vari, plastiche, carburanti ed emissioni chimiche, derivanti dal funzionamento della nave stessa.

E ancora l’affondamento di alcuni sottomarini a propulsione nucleare ha destato allarme perché con il tempo la salsedine corroderà i loro rivestimenti metallici con il rischio che, in mancanza di un preventivo recupero dello scafo, il combustibile nucleare ancora radioattivo si disperda in mare.

Si aggiunge a tutto questo l’inquinamento provocato dal petrolio: la quantità immessa

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annualmente nell’ambiente marino da varie fonti viene stimata in 3,2 milioni di tonnellate, equivalenti a 22,3 milioni di barili; il 45% viene scaricato in mare dalle petroliere, nelle ope-razioni di carico-scarico e di lavaggio delle cisterne, o in seguito a incidenti, e il 36% proviene dagli scarichi urbani e industriali.

Altri danni all’ambiente marino vengono provocati da incidenti alle petroliere e alle piat-taforme petrolifere: il naufragio della petroliera Exxon Valdez, nel 1989, contaminò oltre 2600 km² di coste dell’Alaska, facendo strage di oltre 36.000 uccelli e 1000 lontre marine.

L’impatto dell’inquinamento, soprattutto lungo le coste, varia a seconda sia delle caratte-ristiche chimiche e biologiche che della concentrazione delle sostanze scaricate in mare.

Uno degli effetti più evidenti è lo sviluppo anomalo, talvolta una vera e propria esplosio-ne, di alcune specie di alghe, provocato dalla forte concentrazione di azoto e fosforo nelle acque costiere: l’eccessiva crescita di alghe riduce la percentuale di ossigeno nell’acqua e bloc-ca la penetrazione della luce del sole, causando la scomparsa di altre specie, tale fenomeno è conosciuto con il nome di eutrofizzazione.

Le sostanze inquinanti versate nei fiumi e nei laghi possono dare origine al problema dell’eutrofizzazione che consiste nella crescita disordinata ed eccessiva di alcune piante ac-quatiche.

Se gli organismi fotosintetici si moltiplicano rapidamente, per l’eccessiva presenza di so-stanze organiche, le zone con poca acqua possono essere soffocate dalla vegetazione.

Quando i vegetali muoiono, si depositano sul fondo e vengono decomposti dai batteri, i quali consumano gran parte dell’ossigeno in soluzione nelle acque più profonde dando origine al fenomeno, appunto, “dell’eutrofizzazione” (dal greco “buona nutrizione”), termine attual-mente usato per indicare, appunto, l’eccessivo apporto di sostanze nutrienti (sali di azoto e di fosforo) nell’ambiente acquatico.

Gli effetti di tale fenomeno sono l’alterazione cromatica delle acque, la cui tonalità volge dal verde, al bruno, al rosso vivo, a seconda delle specie di microalghe in fioritura.

A ciò si aggiungano la produzione di odori sgradevoli e, problema più grave, il depaupera-mento del contenuto di ossigeno dell’acqua.

Le alghe, compiuto il loro ciclo biologico, muoiono, sedimentano sul fondo e si decom-pongono consumando gran parte dell’ossigeno disciolto nell’acqua, con il risultato che le ac-que diventano irreparabili e mortali per i pesci e gli altri organismi che abitualmente vivono sui fondali, creando così delle “zone morte”, come quella che, dalla foce del Mississippi, si estende per 4000 km² nel Golfo del Messico.

Alcune delle alghe, sviluppandosi in maniera abnorme in seguito all’inquinamento, pro-ducono grandi quantità di tossine che sono dannose o mortali per altre forme di vita marina. Sempre più frequente è la “marea rossa”, prevalentemente tossica, che si forma nelle acque costiere in seguito alla forte crescita di alcune specie di alghe; alcune forme tossiche possono trasmettersi, attraverso la catena alimentare, fino all’uomo: i casi di avvelenamento provocato dall’alga Pyrodinium bahamense che, nel 1987, ha causato la morte di ventisei persone in Gua-temala, sono in aumento su scala mondiale.

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Un pericolo diretto per la salute dell’uomo è causato dalla concentrazione di organismi pa-togeni, provenienti dagli scarichi urbani, nelle acque costiere frequentate dai bagnanti e dove si raccolgono molluschi per uso commestibile: in queste zone, si registra un più alto numero di casi di disturbi gastrici, epatite virale e colera. Si registra anche un aumento dei casi di affezione cutanee e respiratorie provocate dalle sostanze chimiche scaricate nell’acqua marina.

Il mare, che copre il 70% della superficie terrestre, non solo costituisce circa il 90% dell’ha-bitat mondiale, ma rappresenta per l’uomo un’importante fonte di sostentamento: oltre metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo ricava più del 40% del proprio fabbisogno ali-mentare di proteine animali dal pesce, da solo questo dato dalla proporzione dei danni che può creare l’inquinamento marino.

Infine non è da trascurare una tipologia un po’ particolare di “inquinamento marino” pe-scare in modo incontrollato significa impedire alla fauna ittica di riprodursi, ciò porta ad un impoverimento irreversibile dei mari e degli oceani. tra le cause del degrado dell’ambiente marino vanno annoverate le tecniche di pesca a strascico, basate sullo spezzamento dei fon-dali con le reti che compromette i siti in cui si sviluppa la vegetazione marina, primo anello nella catena alimentare, e le nicchie in cui i pesci depositano le uova.

Uno dei problemi più gravi della regolazione della pesca è quello della cosiddetta ”pesca con bandiera di comodo” sempre più spesso grandi organizzazioni commerciali di pesca regi-strano le proprie navi in paesi in cui l’applicazione dei trattati internazionali è inefficace o che non aderiscono ai principali accordi che regolano il settore.

La conseguenza di questa pratica è il forte aumento della pressione della pesca intensiva sui delicati ecosistemi marini.

4.6. DeforestazioneQuesto fenomeno incide per un 20-25% sull’inquinamento globale da biossido di carbonio,

inquinamento legato ad attività umane e, con la perdita di umidità che ne deriva, si accentua quello che è l’effetto serra nelle fasce tropicali ma anche in quelle temperate.

Tre sono le cause di deforestazione ai tropici:1) la conversione del suolo a pascolo e a seminativi2) il taglio di alberi per uso combustibile e per l’industria del legno e della carta3) i progetti di sviluppo che prevedono strade, zone minerarie, dighe e bacini artificiali.

Nel decennio 1981-1991, sono stati distrutti mediamente ogni anno 15,4 milioni di ettari, l’area della foresta tropicale è calata da 1910 milioni di ettari nel 1980 a 1756 milioni nel 1990.

Da stime effettuate dalla Fao nei primi anni ’90, risulta che l’area deforestata annualmente è ancora maggiore, circa 17 milioni di ettari, e che il tasso annuo di deforestazione è di circa l’80% più alto rispetto a dieci anni prima.

Sono le regioni meno sviluppate ad essere deforestate a ritmo accelerato, basti pensare che ogni anno America latina e Caraibi perdono mediamente 7,4 milioni di ettari della propria foresta, l’Africa 4,1 milioni; Asia e Pacifico 3,9 milioni.

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Viceversa, le regioni più sviluppate hanno non solo conservato ma leggermente accresciuto le proprie foreste (per la maggior parte temperate), che coprono un’area di 1430 milioni di ettari (circa il 42% del totale mondiale), così ripartita: il 53% nell’ex Unione Sovietica, il 32% negli Usa e in Canada, il 10% in Europa, oltre il 3% in Australia e Nuova Zelanda, e meno del 2% in Giappone.

Ciò è dovuto al fatto che, in quasi tutti i paesi industriali, la superficie riforestata ha su-perato quella deforestata: l’area forestale europea è così aumentata da 137 milioni di ettari, nel 1980, a 149 milioni nel 1990, fatto salvo gli atti d’incendi dolosi e il degrado delle foreste, soprattutto a causa delle piogge acide.

L’espansione demografica incide sulla deforestazione in quanto la forte crescita della po-polazione costituisce, soprattutto nei paesi tropicali, un fattore di primaria importanza nella distruzione delle foreste, sarebbe però errato considerarlo come un fattore a sé stante o, addirittura, l’unico responsabile di tale fenomeno; questo accade non solo perché la popo-lazione cresce, ma perché essa è in gran parte povera: è la povertà che, in America latina così come in Asia, spinge molti contadini senza terra, tende ad emigrare nelle aree forestali ancora non occupate, per praticarvi un’agricoltura di sussistenza e, dopo averle sfruttate, trasferirsi successivamente in altre zone; è la povertà che costringe grandi masse di popolazione, circa 2 miliardi, soprattutto in Africa, a tagliare alberi e arbusti per ricavarne legna da ardere, unico o principale loro combustibile e materiale utile nella costruzione di capanne.

Ma la pressione demografica, unita alla povertà non è l’unica né, in varie situazioni, la prin-cipale causa della deforestazione, soprattutto nell’Amazzonia brasiliana, sono le società tran-snazionali, grandi società che operano su scala multinazionale, a distruggere immense aree forestali per ricavarne legname pregiato e cellulosa, per trasformarle in pascoli, per sfruttare ricchi giacimenti di minerali di ferro, manganese, cromo, bauxite, nichel, rame, oro, uranio.

Non solo vengono tagliati o sradicati gli alberi con l’utilizzo di trattori pesanti ma grandi aree forestali vengono bruciati o essiccate con l’irrorazione di prodotti chimici, compromet-tendo in questo modo un utilizzo futuro del terreno.

Dopo che gli alberi sono stati tagliati, se l’area non è adibita ad altro uso, essa viene in genere occupata da altri piccoli coltivatori itineranti, i quali tagliano e bruciano la restante vegetazione, per questo sono chiamati “coltivatori taglia-e brucia”.

In base agli stessi meccanismi, in America centrale sono stati distrutti ogni anno, a partire dalla fine degli anni ’70, circa 20.000 km² di foresta per trasformarli in grandi allevamenti che forniscono carne pregiata a basso costo alle catene di fast food statunitensi ed europee.

La crescente distruzione delle foreste tropicali pluviali, prevedono gli scienziati, può alte-rare profondamente il clima, modificando l’andamento dell’evaporazione e della circolazione del calore.

Tagliare, o peggio sradicare, gli alberi significa eliminare gli ingenti quantitativi di umidità che essi restituiscono all’atmosfera, attraverso la respirazione, per provocare il dilavamento del ter-reno e, di conseguenza, la riduzione dell’evaporazione di acqua dal suolo e la riduzione dell’eva-porazione, con un conseguente riscaldamento del suolo e un aumento dell’escursione termica.

Tali processi possono influire anche sul clima globale: riducendosi l’evaporazione, che tra-

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sporta a quote elevate l’energia solare riflessa dalla superficie terrestre, il calore da questa emesso si trasmette direttamente agli strati più bassi dell’atmosfera facendone aumentare la temperatura e contribuendo così al riscaldamento della Terra.

Dalla deforestazione deriva anche un altro fattore che può contribuire a modificare pro-fondamente il clima sia su scala locale sia planetaria: dopo aver ritenuto per decenni che il monossido di carbonio fosse prodotto quasi esclusivamente dalle emissioni industriali e dagli scarichi degli autoveicoli, soprattutto nell’emisfero boreale, negli anni ’80 si è scoperto, attra-verso rilevazioni effettuate con radiometri, a bordo della navetta spaziale, che gli incendi di foreste pluviali e savane producono, insieme alla combustione di altre biomasse come legna, carbone, sterco, una quantità di monossido di carbonio pari, se non superiore, a quella deri-vante dal consumo di combustibili fossili.

Le crescenti emissioni di monossido di carbonio possono, secondo il parere di alcuni scienziati, perturbare l’equilibrio chimico dell’atmosfera, in quanto consumano l’ossidrile che dissocia le molecole del metano, provocando un aumento di concentrazione di questo gas nell’atmosfera e accrescendo quindi l’effetto serra.

Alti livelli di monossido di carbonio favoriscono contemporaneamente la formazione di ozono troposferico, a quote relativamente basse, danneggiando la crescita della vegetazione con danni di cui si è già accennato.

4.7. La perdita di biodiversitàLa biodiversità (diversità biologica), che è alla base della vita sulla Terra, comprende tre

livelli: 1) la varietà di comunità ed ecosistemi, al cui interno gli organismi vivono e si evolvono; 2) la varietà delle specie; 3) la varietà genetica all’interno delle specie.

Nella storia della Terra sono stati fondamentalmente i cambiamenti climatici “naturali” e am-bientali ad innescare l’evoluzione delle specie vegetali e animali e a provocare, in certi periodi, come alla fine del cretaceo 65 milioni di anni fa, l’estinzione di alcune specie tra cui i dinosauri.

Tali cambiamenti, a partire dalla Rivoluzione Industriale sono stati sempre più indotti dal-le attività umane, che distruggono, frammentano o alterano gli habitat naturali, inquinano l’ambiente, sfruttano le risorse in modo eccessivo.

La distruzione d’interi ecosistemi, in particolare quello delle foreste tropicali, in cui ha il proprio habitat oltre la metà di tutte le specie animali e vegetali, costituisce di per se stessa la maggiore perdita di biodiversità e, allo stesso tempo, il fattore più importante che mette in pericolo e porta all’estinzione un numero sempre maggiore di specie.

Nessuno conosce il numero di specie animali e vegetali esistenti sulla Terra: le stime vanno da un minimo di 5 a un massimo di 30 milioni ma, secondo alcuni scienziati, potrebbero esservi fino a 100 milioni di specie: quelle classificate e descritte sono all’incirca 1,4 milioni.

Si calcola che ogni giorno si estinguano dalle 50 alle 100 specie, equivalenti a una perdita

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annua compresa tra 18.000 e 36.000, un quarto della diversità biologica del pianeta corre il rischio di estinguersi nei prossimi trent’anni.

Perché dobbiamo preoccuparci per la scomparsa di specie, se questa si è sempre verifica-ta? Perché sta crescendo a un ritmo sempre più rapido, perché ogni specie rappresenta il pro-dotto unico e insostituibile di milione di anni di evoluzione e la sua scomparsa contribuisce al declino della biodiversità che deve essere considerata una risorsa globale e un patrimonio per tutta l’umanità futura come lo sono l’atmosfera e gli oceani.

L’estinzione di una specie provoca in genere un danno per l’intero ecosistema in cui è inse-rita: ad esempio, la scomparsa delle mangrovie accelera l’erosione delle coste, danneggiando il territorio; la scomparsa di animali predatori provoca la crescita di roditori e insetti nocivi, danneggiando l’agricoltura, riducendo le risorse biologiche che costituiscono la base della vita umana, il patrimonio, ancora largamente da sfruttare, cui si dovrà fare ricorso per soste-nere una popolazione mondiale in rapida crescita.

Secondo una stima della Fao dall’inizio del secolo è andato perduto su scala mondiale cir-ca il 75% delle piante agricole e, in Europa, circa il 50% delle razze animali, con la conseguenza che, aumentando l’uniformità genetica, è cresciuta la vulnerabilità delle colture e degli alle-vamenti alle malattie.

L’uomo, in tutta la sua storia, ha utilizzato per nutrirsi solo una piccola frazione delle spe-cie vegetali commestibili: circa 7000; oggi il 90% del cibo consumato nel mondo viene fornito da venti specie, tre delle quali il grano, mais e riso forniscono circa il 60% delle calorie e pro-teine vegetali, si valuta che altre 10-50 mila specie vegetali, oggi esistenti allo stato selvatico, potrebbero essere efficacemente usate per l’alimentazione.

La varietà genetica all’interno di una stessa specie è sempre stata preziosa per l’agricoltura, in quanto permette di ottenere, attraverso incroci, nuovi ibridi più resistenti ai bruschi cam-biamenti climatici e ai parassiti, per crearli si usano i geni di varietà selvatiche.

Verso la fine degli anni ‘70 è stata scoperta, in una foresta montana del Messico che stava per essere distrutta, una varietà selvatica di mais: una volta coltivata ha dimostrato di essere resistente ad almeno sei delle maggiori malattie delle piante e di poter crescere in aree fred-de e umide dove le comuni varietà di mais non possono svilupparsi.

La crescente estinzione di specie, e la conseguente riduzione di varietà, depauperano il patrimonio di risorse genetiche frutto di milioni di anni di evoluzione privando le future ge-nerazioni di molti materiali genetici che possono essere sempre più efficacemente usati non solo in campo agricolo, ma anche in campo medico e industriale.

Ogni organismo svolge, infatti, un ruolo fondamentale per la salute e il benessere del Pia-neta, alcune piante e batteri mantengono l’ambiente pulito grazie alla loro capacità di degra-dare i nostri rifiuti e a riciclarne i nutrienti: i lombrichi mantengono il terreno fertile, favoren-do la decomposizione della sostanza organica, e spugnoso, scavando gallerie che consentono all’aria e all’acqua di scendere in profondità; grazie alle api e agli altri insetti impollinatori le piante continuano a fiorire, a riprodursi e a produrre frutti.

I funghi svolgono un ruolo insostituibile nei cicli di decomposizione del suolo e sono indi-

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spensabili per il funzionamento dell’apparato radicale di numerose specie di alberi, molte specie di uccelli e mammiferi disseminano i frutti selvatici; ancora i grandi predatori come leoni, tigri, leopardi, lupi, orsi, balene mantengono bilanciata la catena alimentare e sane le popolazioni predate.

È un problema talmente grave che anche l’Onu è scesa in campo: con l’obiettivo di ridurre la perdita di biodiversità del nostro Pianeta entro il 2010 in concerto con tutti i paesi del mondo in occasione della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica e del Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile.

Il valore della biodiversità ha doppia valenza: 1) è di tipo diretto quando riguarda gli usi produttivi delle risorse biologiche, come il consu-

mo della legna, della selvaggina, il valore commerciale delle materie prime e dei cibi; 2) è indiretto quando riguarda la stessa continuità della vita sulla Terra e si riferisce, di conse-

guenza alla possibilità di perseguire innovazioni tecnologiche e di conservare il patrimonio genetico dei viventi come risorsa da cui attingere in futuro.

Per comprendere meglio il suo valore indiretto basta pensare che molti principi attivi dei moderni farmaci siano stati identificati e isolati, per la prima volta da piante spontanee, come i potenti antitumorali ricavati dalla Pervinca del Madagascar.

Fino a oggi, è stato studiato solo il 5% di tutte le specie di piante conosciute e ulteriori e preziose scoperte potranno venire dalla ricerca sulle restanti numerosissime specie; invece migliaia di vegetali, un tempo coltivati dall’uomo, sono stati abbandonati e risultano attual-mente in via di estinzione.

4.8. L’ambiente e il turismoDa non trascurare la relazione che unisce l’ambiente al turismo che, oltre ad essere legato

alle attività economiche e con le culture locali della regione ospitante, ha anche un forte impatto sul sistema ecologico.

Accanto ai suoi effetti benefici di rilancio economico e culturale di una data regione non è da tralasciare l’aspetto della pressione che una massa turistica può arrecare all’ambiente stesso.

In particolare si fa riferimento ai numerosi esempi di deturpazione del paesaggio naturale dovuta ad un tipo di turismo anche qui di tipo “usa e getta”, che vede un’espansione incontrol-lata del turismo in aree impreparate ad accoglierlo.

Attività come il camminare, sciare, l’utilizzo di mezzi a motore, l’affollamento di piccoli paesi sia montani sia costieri, se praticate da un numero eccessivo di persone possono provo-care fenomeni più o meno irreparabili di degrado ambientale.

L’avvenuto degrado ambientale è a sua volta causa di avvilimento della regione turistica che va a perdere, in questo modo, la sua vera identità e motivazione di essere; un mare sporco o ric-co di mucillagine può frenare l’afflusso turistico andando ad annullare il suo beneficio iniziale.

Secondo uno studio realizzato dall’Ocse gli effetti negativi del turismo nell’ambiente pos-sono essere qui elencati:

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1) inquinamento dell’aria, delle acque, di tipo sonoro e dei siti;2) trasformazione dell’uso dei terreni con perdita dei suoli agricoli e a vocazione pastorale;3) degrado e distruzione di flora e fauna;4) degrado del paesaggio e dei suoi siti archeologici, artistici e monumentali;5) degrado della qualità della vita con luoghi congestionati dal traffico;6) creazione di conflitti tra turisti e popolazione residente7) concorrenza dell’attività turistica rispetto ad altre attività economiche;8) gestione dei rifiuti e dell’impianti di depurazione concentrata nei mesi di maggior afflusso

dei turisti.

S’impone, quindi, la necessità di sviluppare un turismo che non danneggi l’ambiente, ma spesso le politiche turistiche presentano dei paradossi tra i quali la piena coscienza e cono-scenza di ciò che rappresenta il sistema turistico nella sua globalità, si auspicherebbe invece una certa lungimiranza nel credere che il turismo vada inserito all’interno di politiche volte alla protezione dell’ambiente che agiscano in modo preventivo volte a mitigare o annullare tutte quelle tipologie di degrado che comprendano le componenti di tipo climatico e geofi-sico, socioeconomiche e culturali.

È opportuno mettere ancora in evidenza i danni più frequenti causati dal turismo alle ri-sorse naturali italiane con un occhio particolare al turismo marino e montano.

Il maggior problema del turismo marino è quello dell’inquinamento delle acque dovuto in parte all’industria e in parte alla forte urbanizzazione delle coste; circa il 60% delle nostre spiagge è soggetto ad erosione delle coste sia per un uso sconsiderato delle risorse che per la mancanza di controlli.

Per quanto riguarda le regioni montane si può osservare che i terreni utilizzati per lo sci sono di circa 1350 km2, con relativi impianti di risalita e attrezzature varie.

Altri danni vengono dalla diffusione di veicoli fuori strada, seguita dalla moda della raccol-ta di tutto il raccoglibile, dai fiori ai funghi, dai lamponi ai mirtilli, per non tralasciare l’abitudi-ne di abbandonare rifiuti di ogni forma e grandezza e tipologia dove capita.

Ciò ci deve spingere ad un importante riflessione che ci porti ad adottare opportune mi-sure per realizzare pratiche turistiche compatibili con l’ambiente, si deve puntare ad un tipo di turismo sostenibile con un’integrazione tra le diverse attività di gestione del territorio e di un uso consapevole e rispettoso delle risorse naturali, con una pianificazione del territorio a scala regionale e locale che tenga conto dei bisogni del turismo in materia ambientale con un occhio di riguardo alle soglie di tolleranza dell’ambiente come qualità dell’aria, capacità di auto depurazione, modificazione degli habitat.

5. l’uomo e il cambiamento climatico

L’uomo è posto al centro del problema del cambiamento del clima come nella celebre raffigurazione dell’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci; finora poche ricerche sono state

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dedicate a questo importante e complesso aspetto della salute umana e di conseguenza le previsioni, a proposito degli effetti sanitari del cambiamento climatico, sono spesso soggette a un alto tasso d’incertezza, inoltre mentre i modelli di previsione per i sistemi fisici come le inondazioni costiere o la stima dei raccolti agricoli sono ben sperimentati altrettanto non si può dire dei sistemi ecologici complessi, come quelli che hanno un importante impatto sulla salute umana.

Nonostante la vita si sia allungata sulla nostra salute influiscono diversi fattori quali la qua-lità dell’ambiente e i livelli d’inquinamento, sia direttamente per il variare di temperatura e precipitazioni, per l’aumento del livello del mare ed eventi estremi (quali la canicola del 2003, e le giornate di allerta per le temperature elevate di questa estate 2009, o le inondazioni, incendi e uragani di questa estate in molte parti d’Italia e d’Europa) sia indirettamente come risultato dei cambiamenti in ecosistemi, per risorse idriche che vanno via via esaurendosi, sicurezza alimentare o perdita di biodiversità.

Molti degli impatti del riscaldamento globale, compresi quelli sanitari, possono essere ri-dotti o addirittura evitati grazie a strategie d’adattamento di diverso tipo. L’abilità di adattarsi ai mutamenti climatici, e in particolare la difesa della salute umana, dipende da molti fattori diversi tra loro: le infrastrutture esistenti, le risorse economiche, la tecnologia, l’informazione e il livello di equità sociale nelle differenti regioni del pianeta; fattori, che hanno radici e ra-gion d’essere nella tutela delle riserve idriche, l’agricoltura, l’educazione, la sanità, il commer-cio, il turismo, il trasporto, lo sviluppo e l’urbanizzazione.

La salute umana riflette gli impatti combinati dei cambiamenti climatici sull’ambiente fisi-co, sugli ecosistemi, sul mondo economico e sulla società; cambiamenti di lungo periodo nel clima mondiale potrebbero colpire le basi del benessere umano.

5.1. Clima e saluteIl termine salute umana è stato definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come

“uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non solamente l’assenza di ma-lattia o infermità e dolore”, differenti aspetti di questo benessere sono legati al clima e al tem-po atmosferico ma, in particolare, esso dipende dalla disponibilità delle risorse, dalle misure di sanità pubblica e dai sistemi di assistenza sanitaria disponibili per la popolazione, da un accesso privo di distinzioni, all’istruzione, alla disponibilità di una casa.

È ormai noto che i cambiamenti climatici influenzano sia la salute sia l’ambiente naturale nel quale l’uomo vive, condizionandone anche i processi produttivi; i possibili effetti del clima sull’uomo possono essere i più diversi, spesso imprevedibili nella gravità e talvolta di difficile individuazione per la lentezza con la quale si manifestano, o agiscono: milioni di persone in tutto il mondo rischiano di ammalarsi e di morire prematuramente a causa del cambiamento climatico di cui è responsabile l’uomo stesso con il suo agire spesso dissennato.

Le incertezze dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute dell’uomo sono compli-cate dagli imprevedibili cambiamenti futuri in campo sociale, politico, demografico, econo-mico e tecnologico; fattori che possono pesare notevolmente sulla vulnerabilità e la capacità

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di adattamento della nostra specie, davanti a cambiamenti che si stanno rilevando repentini e imprevedibili alle previsioni degli stessi scienziati.

Secondo l’Ipcc-Intergovernamental Panel on Climate Change (2001) gli effetti dei cambia-menti climatici sulla salute dell’uomo possono essere suddivisi in diretti e indiretti, anche se non si tratta di una vera e propria dicotomia ma di un continuum tra i due estremi.

Nei primi possono essere individuati tre principali meccanismi di azione:1. aumento della mortalità: un incremento nella frequenza e nell’intensità di ondate di calo-

re che determinerebbero un aumento della mortalità e della morbilità (stato o frequenza percentuale di una malattia all’interno di un gruppo) legata al caldo. Spesso i soggetti più colpiti sono gli anziani, i bambini, le persone affette da patologie cardiovascolari e la po-polazione di basso livello socio-economico.

2. Patologie respiratore: cambiamenti nella temperatura e nell’umidità dell’aria, a livello sta-gionale e giornaliero, possono influenzare la concentrazione di materiale disperso nell’at-mosfera con conseguenze soprattutto sulle patologie respiratorie. Le alte temperature accelerano i processi di formazione dello smog fotochimico e le concentrazioni di alcuni inquinanti; anche l’inizio e la durata della stagione di fioritura aumentando la permanenza dei pollini e delle spore allergogene.

Alte temperature ed inquinanti dell’aria, specialmente i particolati, agiscono sinergica-mente e influiscono sulla mortalità; la relazione più evidente e ampiamente documentata è quella con il Pm10 che identifica materiale presente nell’atmosfera in forma di particelle microscopiche dal diametro di 10 millesimi di millimetro, sui quali è stato pubblicato un importante studio che dimostra chiaramente l’incremento della mortalità per cause respi-ratorie e cardiovascolari in presenza di alti livelli di questo inquinante.In tempi recenti stanno emergendo con sempre maggior chiarezza i rapporti tra aerobiolo-gia ed inquinanti e la possibilità che questi due fattori possano svolgere un effetto sinergi-co nella patogenesi d’importanti malattie respiratorie in particolare l’asma bronchiale.In particolare la nocività delle polveri sottili dipende dalle loro dimensioni e dalla loro capacità di raggiungere le diverse parti dell’apparato respiratorio:– oltre i 7 µm: cavità orale e nasale – fino a 7 µm: laringe – fino a 4,7 µm: trachea e bronchi primari – fino a 3,3 µm: bronchi secondari – fino a 2,1 µm: bronchi terminali – fino a 1,1 µm: alveoli polmonari

I cambiamenti climatici possono influenzare l’asma, sia agendo direttamente sulle vie ae-ree con meccanismi come il raffreddamento o l’irritazione, sia indirettamente, condizio-nando i livelli atmosferici di allergeni come pollini e spore fungine.

3. Eventi meteorici estremi, quali alluvioni, tifoni, siccità, ondate di calore, incendi ecc., causa-

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no morti, danni e malattie infettive. Riguardo agli effetti sulla salute delle alluvioni gli studi effettuati dopo alcuni eventi alluvionali, utilizzando sia metodi quantitativi sia qualitativi, hanno evidenziato la presenza di episodi di stress post-traumatico, epidemie circoscritte di malattie di solito rare come la leptospirosi (malattia che si manifesta con febbre acuta ed è trasmessa da un batterio) e un aumento delle malattie respiratorie ed intestinali.

I dati disponibili indicano inoltre che alcuni gruppi all’interno della comunità (come gli anziani, disabili, bambini, donne, minoranze etniche, e persone con basso reddito), possono essere più vulnerabili agli effetti delle alluvioni sulla salute.

Gli effetti indiretti del cambiamento climatico sulla salute dell’uomo sono quelli che ven-gono mediati dall’ambiente circostante: ad esempio alcuni eventi estremi possono modificare l’ecologia e l’attività degli agenti infettivi che possono così provocare patologie nell’uomo; si tratta di un problema che riguarda prevalentemente i Paesi in Via di Sviluppo dove le infezioni trasmesse da vettori sono una delle maggior cause di malattia, non a caso il prezzo più alto lo stanno pagando l’Africa, il Subcontinente Indiano ed il Sudest Asiatico dove più alta per-centuale di morte e di problemi alla salute deriva dalla malnutrizione, diarrea, malaria, dalle ondate di calore e dalle alluvioni.

La distribuzione e l’abbondanza dei vettori e degli ospiti intermedi delle malattie infettive sono determinate da vari fattori fisici (come la temperatura, le precipitazioni, l’umidità e il vento), e biotici (quali la vegetazione, le caratteristiche degli ospiti, dei predatori, dei compe-titori, dei parassiti ed l’intervento dell’uomo).

Un aumento della distribuzione geografica di organismi vettori di varie malattie infettive come zanzare, acari, mosche della sabbia, si ha in conseguenza ai cambiamenti nelle dinami-che del ciclo vitale di vettori e parassiti infettivi sensibili ad alcune variabili climatiche e alla loro capacità di adattamento.

Un aumento della temperatura per esempio può accelerare i processi metabolici tanto da rendere necessaria la disponibilità di una maggior quantità di cibo; i vettori che si nutrono di sangue necessitano quindi di incrementare il numero di punture: la conseguenza è una mag-gior produzione di uova.

Inoltre le variazioni della temperatura possono determinare la diffusione di alcune ma-lattie trasmesse da artropodi in zone diverse dove non erano precedentemente per limiti di temperatura massima o minima.

Anche l’umidità è un parametro che influisce notevolmente sui processi metabolici dei vettori, infatti, alle alte temperature, un’alta umidità relativa provoca un prolungamento del-la sopravvivenza degli artropodi le precipitazioni invece sono importanti soprattutto per le zanzare, che hanno larve acquatiche, in quanto determinano la qualità e la quantità di nutri-mento; altro fattore importante nella distribuzione di vettori come le zanzare è il vento che ne determina la diffusione in base alla forza e alla direzione.

Oltre a questi effetti diretti di alcune variabili climatiche, i cambiamenti climatici hanno anche degli effetti indiretti come ad esempio la dislocazione di alcuni vettori che possono

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occupare il posto di altri con conseguenze imprevedibili sugli ospiti; alcune specie di Anophe-les, per esempio, sono sparite dalle foreste a seguito dei processi di deforestazione che hanno eliminato la flora e la fauna dalle quali esse dipendevano.

Da quanto detto quindi si ricava che la distribuzione delle malattie infettive trasmesse da vettori è determinata dalla tolleranza climatica dei vettori stessi.

Si prevede che i cambiamenti climatici influenzeranno la distribuzione geografica e l’atti-vità stagionale di molte specie di vettori e che, anche se è molto difficile valutare l’effettivo impatto sulla salute dell’uomo, l’aumento di organismi vettori di malattie come la malaria, la dengue, la leishmaniosi, la febbre gialla, il virus del fiume Ross ed il virus del Nilo saranno particolarmente gravi in regioni del mondo quali Africa, Asia e America Latina, (già esposte in modo diffuso a tali patogeni a causa delle favorevoli condizioni climatiche, delle scarse con-dizioni igieniche e del difficile accesso al sistema sanitario, spesso molto precario).

In particolare è previsto un incremento della malaria, una delle più importanti infezioni in tutto il mondo e delle altre malattie infettive che hanno come vettori le zanzare anche ad elevate altitudini in conseguenza soprattutto dell’aumento delle temperature minime.

Negli ultimi anni la malaria, sta diventando un problema anche in Europa e nell’America del Nord dove è previsto, a causa del riscaldamento del clima, un aumento del rischio di tra-smissione della malaria.

Per quel che riguarda la dengue, detta anche “febbre spacca ossa”, questa è la più impor-tante malattia da arbovirus nell’uomo e le malattie ad essa correlate, come la febbre emorra-gica e la “shock sindrome”, sono una delle più importanti cause di morte tra i bambini asiatici. Il vettore più importante di questa malattia è l’Aedes aegypti; studi condotti in Messico hanno mostrato che un aumento di 3-4°C nelle temperature medie può determinare il raddoppio del tasso di trasmissione della dengue.

Un altro vettore, Aealbopictus, si è diffuso in zone nelle quali non era mai stato presente ed esiste il rischio che nei prossimi anni possa diffondersi anche in Europa dal momento che ormai sono riportati casi in aree vicine, (come la penisola arabica e Gibuti) e che, fino a circa cinquanta anni fa, era presente in Grecia, Turchia ed altri Paesi vicini.

Quest’ultimo vettore è stato introdotto in Italia intorno al 1990 ed è già stato segnalato in dieci regioni e diciannove province; i suoi limiti climatici sono una temperatura media inver-nale sotto lo zero, un media di precipitazioni annuali superiore ai 500 mm ed una temperatura media estiva superiore ai 20°C; questi criteri climatici sono soddisfatti, attualmente, in regioni come l’Albania, Francia, Grecia, Portogallo, Turchia, Spagna ed ex - Iugoslavia.

Gli studi epidemiologici hanno dimostrato che la temperatura è l’elemento più impor-tante per la diffusione della dengue nelle aree urbane: un aumento della temperatura media di circa 2°C entro il 2100 potrebbe indurre una considerevole diffusione della malattia sia in senso longitudinale che latitudinale.

Per quanto riguarda altre malattie le zecche possono trasmettere all’uomo numerose ma-lattie da batteri a virus; si tratta di ectoparassiti la cui distribuzione geografica dipende dalle caratteristiche della vegetazione, dalla diffusione delle specie ospite che sono di solito rodi-

Capitolo I - L’ambiente e le sue problematiche

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tori e grandi mammiferi come il cervo ma, soprattutto, dalle caratteristiche climatiche poiché le zecche sopravvivono a lungo e sono attive in primavera, estate e all’inizio dell’autunno.

Infatti, per completare il ciclo vitale della zecca la temperatura deve essere sufficiente-mente elevata durante i mesi caldi ed abbastanza elevata anche in inverno, inoltre l’umidità deve essere sufficiente, per impedire la disidratazione delle uova e delle zecche stesse.

In pratica temperature più alte delle ottimali incrementano la proliferazione dell’agente infettivo all’interno delle zecche, mentre temperature più basse riducono la percentuale di sopravvivenza di vettori e agenti infettanti.

Un altro aumento delle malattie infettive non veicolate da vettori si ha in conseguenza dell’effetto delle alte temperature sulla proliferazione dei microrganismi; ad esempio molte infezioni legate ai cibi sono influenzate dalla temperatura ed hanno il loro picco massimo nei mesi estivi come ad esempio la salmonellosi.

Anche la diminuzione della disponibilità e della qualità dell’acqua rappresentano un pos-sibile rischio per la salute, così come la contaminazione delle sorgenti d’acqua in conseguenza ad alluvioni e siccità: si tratta di condizioni che alterano le dinamiche della popolazione degli organismi patogeni, impediscono l’igiene personale e danneggiano i sistemi fognari con una conseguente incremento delle malattie infettive gastrointestinali.

Infine si ha un’influenza indiretta dei cambiamenti climatici sulla salute umana attraverso altri impatti come quello del deterioramento delle condizioni sociali ed economiche dovute agli effetti dei cambiamenti climatici sulle dinamiche di impiego, distribuzione della ricchez-za, mobilità e insediamento della popolazione.

Un altro effetto indiretto può essere rappresentato dagli effetti negativi sulla produzione di cibo, in particolare per le popolazioni che già vivono in condizioni marginali e che hanno capacità minime di cambiamenti adattativi come per le economie deboli, come quella afri-cana, che tendono ad adattarsi ai cambiamenti climatici con maggiore difficoltà essendo più vulnerabili in quanto dipendenti in modo marcato da un tipo di agricoltura che è di sussisten-za senza il beneficio dell’irrigazione.

L’impatto attuale dei cambiamenti climatici sulla salute umana è modulato dalla suscetti-bilità della popolazione esposta e dall’abilità umana di adattarsi.

Le misure di adattamento primarie o anticipatorie cioè tutte le azioni volte a prevenire l’inizio di una malattia proveniente dai disturbi di tipo ambientale in una popolazione non predisposta alle malattie, nonché quelle secondarie o reattive (cioè quelle azioni preventive in considerazione di una prima evidenza d’impatti del clima sulla salute umana), possono risul-tare molto efficaci nel ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici; da qui le dovute riflessioni sulla responsabilità individuali e collettive di tutti noi, riflessione che deve riguardare ogni singola nazione e comunità di questo nostro fragile e grandioso pianeta.

6. ConclusioneLe iniziative di grande respiro, le scelte politiche collettive che impegnano gli enti pubbli-

ci, le imprese, e non ultimi i cittadini, sono evidentemente quelle che hanno maggiore spe-

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ranza di ottenere cambiamenti significativi e duraturi, con il contributo che si manifesta ogni giorno con buone norme di comportamento, unita alla cooperazione che può e deve unire in questo intento, ormai necessario, autorità e cittadini.

In linea di massima le linee guida per un intervento di risanamento sull’ecosistema globale, come sui singoli ecosistemi, di fatto possono essere abbastanza semplici; nella loro attuazione s’impone il superamento del concetto attuale di sviluppo, che vede e prevede una crescita non di tipo qualitativo ma quantitativo di un prodotto e del loro possibile consumo e che ha come unico scopo l’aumento dei profitti delle aziende.

Per frenare l’accumulo e l’emissione di anidride carbonica e di altri gas che vanno ad ampli-ficare l’effetto serra nell’atmosfera è necessario perseguire la strada tracciata dal Protocollo di Kyoto, limitando le attività di combustione che hanno accompagnato e caratterizzato la storia dello sviluppo industriale, con l’utilizzo di carbone, petrolio e gas, favorendo l’utilizzo di nuove tecnologie con progettazione di macchine a basso consumo, attuando politiche di risparmio energetiche, promuovendo inoltre le fonti energetiche rinnovabili che non compor-tino processi di combustione ma permettano la riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili a favore di energia pulita e sempre disponibile.

Partendo dalla riflessione che i problemi ambientali non hanno origine soltanto dalle atti-vità commerciali, industriali e agricole: anche ciò che facciamo ogni giorno incide profonda-mente sui cambiamenti del nostro ambiente, il nostro comportamento personale fa la diffe-renza e può contribuire a cambiare le cose. Non dobbiamo dimenticare il potere che abbiamo sia come consumatori sia come cittadini, mediante le nostre scelte possiamo avere un forte impatto sull’ambiente.

Le problematiche ambientali rappresentano “la sfida” globale per il futuro: una visione pessimistica farebbe concludere che sono un grave problema, apparentemente irrisolvibile cui non vale la pena opporre neanche la buona volontà o un comportamento virtuoso nel vivere civile di ogni giorno.

Una visione ottimistica porta a considerarle un elemento di base per costruire collabora-zioni e modelli di sviluppo fra paesi fra loro distanti e con differenti interessi economici, e che le più piccole azioni virtuose di ogni singolo cittadino creano tutte insieme i presupposti per “salvare il mondo”, per noi e soprattutto per i nostri figli, le “generazioni del futuro”.

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Capitolo I - L’ambiente e le sue problematiche

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CaPItolo II

l’architettura sostenibiledi Lucia Bonacchi

1. la bioarchitettura oggi

1.1. Introduzione alle tematichePer capire i perché del presente e riuscire in un migliore futuro è necessario conoscere il

passato e valutare pregi e difetti dell’operato dell’uomo.Bisogna procedere con ordine, perché ad ogni conseguenza corrisponde un’azione, ad ogni

effetto una causa.Non si può continuare a vivere nell’illusione di poter avere tutto in cambio di niente, l’ener-

gia non si crea dal nulla e l’entropia è un dato di fatto. La progettazione sostenibile racchiude in sé i diversi concetti di architettura ecologica, bio-

architettura, bioclimatica, bioedilizia; cerca di instaurare il giusto equilibrio con l’uomo, senza distinzione tra salute e ambiente, dal momento che essi stessi sono strettamente correlati.

È necessaria una consapevolezza su consumi, stili di vita e progettazione, un’acquisizione del senso di responsabilità verso le risorse, l’ambiente e la vita stessa, per ottenere compatibi-lità e sostenibilità.

Si ottiene quindi uno sviluppo sostenibile (che vede togli il progresso rispettoso della scien-za e della tecnica) se il miglioramento della qualità della vita (lo sviluppo appunto) avviene attraverso uno sfruttamento di risorse ambientali ed energetiche misurato in base alla naturale capacità di carico degli ecosistemi naturali. A cui correntemente si aggiunge il concetto di sal-vaguardia e rispetto delle risorse, in vista di un loro mantenimento futuro.

Entrano in gioco tre punti fondamentali sulla progettazione energetica: ecosostenibilità, bio ecologicità del costruito e sostenibilità sociale dell’edilizia.

I fini primari da raggiungere quindi riguardano la riduzione degli sprechi, la mancata pro-duzione di effetti dannosi su utenza e ambiente, e la creazione di un edificio il più possibile autosufficiente dal punto di vista energetico.

In ultima analisi, si può osservare come l’architettura contemporanea abbia creduto di po-ter ignorare del tutto il contesto di riferimento e, considerando gli edifici come “macchine”, sia entrata in una insanabile contraddizione con l’ambiente e la sua storia.

Il giusto atteggiamento da tenere, al contrario, contestualizza il progetto e la sua esistenza, in relazione al rapporto tra l’uomo e la natura, tenendo conto delle necessità di entrambi.

1.2. Storia bioclimaticaLa storia delle abitazioni e delle costruzioni in genere ci insegna come si possa raggiungere

la massima qualità, in conformità con le esigenze della natura e della vita dell’uomo, sfruttando nei modi migliori le risorse a disposizione.

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La città ellenica, ad esempio, sfrutta la ventilazione trasversale aprendo due porte con-trapposte, per far defluire i fumi dei bracieri e creare il ricambio di aria interna. Un semplice accorgimento per ottenere una migliore qualità della vita all’interno delle abitazioni.

Nel VII e VI sec. a.C. le città nascono di forma regolare e ortogonale, sia in base ad esigenze strategiche, che all’orientamento con il sole e con i venti, per raggiungere la massima insolazio-ne e salubrità dell’aria.

Tra il VI e il V sec. a.C. si procede alla trasposizione in forma scritta delle teorie, con una particolare attenzione alla salute dei cittadini: Ippocrate scrive quindi Acque, Arie e Venti.

Cominciano di conseguenza i vari trattati di etica del lavoro, costanza e competenza, riguar-danti la conduzione della vita agraria e la conservazione dei prodotti; il tutto in funzione delle conoscenze astronomiche, climatiche e agricole.

Dal IV sec. a.C. in poi si iniziano a scrivere alcuni trattati con i quali vede i suoi albori la cultura bioclimatica dell’abitare. Si tratta di dialoghi fittizi e indicazioni costruttive riguardanti argomenti di economia domestica e la buona organizzazione bene la casa. Compare il concetto di salubrità della villa, strettamente correlata a quella della città. Si insegna ad orientare con il sole l’edificio rurale e a piegare la natura ed il territorio alle esigenze della produzione, pur rispettandone le caratteristiche e le vere potenzialità.

Si legge: “Il sole in inverno fa scivolare i suoi raggi sotto i portici e in estate questi portici danno l’ombra. Occorre dunque costruire le case alte a Mezzogiorno e le case basse a Nord” (Memorabili di Socrate, III, 8).

Grazie al De Architectura di Vitruvio, si formano i principi di bioclimatica generale, con l’obiettivo di dare benessere agli spazi urbani e di una migliore formazione dell’architetto stesso.

Si insegna a scegliere i luoghi salubri in base all’analisi dei climi locali, ad orientare la rete viaria in funzione della direzione dei venti, ad osservare la reperibilità dell’acqua, a sfruttare l’astronomia per l’orientamento delle costruzioni.

Si può quindi leggere: La presenza delle paludi renderà il luogo malsano, perché al sor-gere del sole l’aria mattutina, spirando in direzione della rocca, vi sospingerà la foschia […] D’estate le zone esposte a Sud si riscaldano molto al mattino, fino a diventare ardenti a Mezzogiorno; mentre le zone esposte ad occidente si intiepidiscono al mattino, sono calde a Mezzogiorno, roventi la sera. Quindi le persone sottoposte a questi sbalzi di temperatura ne risentono.

Vengono date disposizioni per la distribuzione delle funzioni interne degli ambienti abitati-vi in base alla direzione del sole, con le giuste differenze per situazione estiva e invernale.

Fino al Medioevo quindi, sono usati passivamente tutti i benefici che offre la natura, senza tuttavia ancora l’ausilio di tecnologie “attive”, dal momento che le conoscenze tecniche certe riguardo gli agenti atmosferici sono ancora limitate alla pura osservazione, senza particolari rielaborazioni.

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Sono studiati e sfruttati ad esempio i moti convettivi con la tecnica dei camini d’aria a salire, oltre alla diffusione dei portici nelle case per sfruttare l’accumulo giornaliero di calore nelle stagioni invernali.

Tale sistema si basa sul principio fisico che vede l’aria calda più leggera di quella fredda, e quindi con tendenza a salire verso l’alto. Il camino è come se risucchiasse l’aria calda, che quindi tende ad uscire dal locale e a formare dei moti di ventilazione con tutte le aperture presenti.

Nel medesimo modo funziona anche il portico, a cui spesso si aggiunge uno specchio d’ac-qua che raffredda l’aria al suo passaggio.

Con la società rinascimentale si scrivono trattati veri e propri di “buona architettura”, come ad esempio il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, per ritrovare usi, costumi e moralità classici, persi con il Medioevo. Si parla tra le altre cose di esigenze di libertà individuale e qua-lità di vita, separando gli spazi abitativi e dei palazzi in base alle classi sociali e di parentela. Si ottiene una maggiore salubrità dell’aria, con conseguente diminuzione fino alla totale sparizio-ne di malattie endemiche e di parassiti.

Con i brillanti studi di Leonardo da Vinci, grazie alla sua attenta e critica osservazione na-turalistica e alle sue rivoluzioni scientifiche, si ottengono le corrette disposizioni dei camini e dei vani scala, per un massimo sfruttamento degli scambi d’aria tra spazi esterni, corti interne e locali abitati, al fine di raggiungere un buon livello di ventilazione e raffrescamento.

Con la fondazione della fisica in base agli esperimenti galileiani svolti sulla dinamica e mec-canica dei fluidi e dei moti dell’aria, e con le prime rilevazioni scientifiche sul clima e sui movi-menti della pressione dell’aria di superficie e dell’acqua, si ottengono formule più tecniche per l’applicazione delle tecnologie di raffrescamento e riscaldamento naturali; inoltre grazie agli studi sulla capillarità e pressione su argini e dighe, nascono i sistemi di filtraggio delle acque dei pozzi e ne seguono controlli maggiori su quelle utilizzate in città.

Nel 1700 i Granduchi della Toscana operano per il risanamento e il perfezionamento di ac-quedotti, di vasche di decantazione, condotti forzati, filtri meccanici e chimici, con il risultato della sparizione del colera e la purificazione di acque, qualità della vita e salute.

Alla fine del 1800 si scopre che si possono distruggere i microrganismi del tifo con il cloruro di calcio, messo nelle vasche di decantazione dell’acquedotto. In seguito a questa nuova ricerca di salubrità e benessere, si sviluppano una serie di progetti di recupero delle campagne paludose e delle foreste, in particolare dell’Agro Pontino.

Le innovazioni tecnologiche più rilevanti tuttavia consistono nello spostamento oltre le mura della locazione dei cimiteri e nell’interramento delle tubazioni delle fognature nel sottosuolo.

Ne derivano nuove esigenze costruttive, di disposizione interna dei locali abitativi, di una differenziata aerazione per ogni stagione e di richiesta di sicurezza statica dei pavimenti e pro-tezione antincendio.

Cresce anche la domanda di spazi abitativi, di tecnologia, ascensori, caloriferi, termosifoni, sistemi di artificializzazione del clima, in linea con la nascente corrente architettonica volta alla ricerca e al mantenimento del Gigantismo costruttivo, che ha come fine ultimo la pura forma esteriore.

Capitolo II - L’architettura sostenibile

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Le Avanguardie Novecentesche, il Futurismo, la Bauhaus, tendono tutte ad una rivoluzione produttiva collegata a quella formale, ma forzando attraverso la tecnica ogni limite, per scopi puramente funzionalistici, monumentalistici e che soprattutto perdono di vista il genius loci, ovvero il contesto di riferimento, ignorando del tutto il luogo e il suo clima.

Questo provoca reazioni tra le correnti filosofiche: in seguito alla contestazione Futurista della staticità del passato in virtù del movimento, e alla crisi economica portata dalla Prima guerra mondiale, per ricostruirsi in potere ed economia, la corsa al carbone provoca la seconda crisi portata dalla Seconda guerra mondiale. È proprio per la nuova ricostruzione, che gli aiuti economici portano ad uno sviluppo sempre più tendente al consumismo, prima positivo, poi eccessivo, ed in seguito negativo.

Gli anni ’70 del Novecento vedono quindi una profonda crisi energetica, dovuta esatta-mente alla precedente corsa al consumismo senza preoccupazione delle conseguenze, e dal 1973/1975 si cominciano a cercare spunti per l’innovazione e lo sviluppo, ma nel rispetto della cultura materiale e naturale.

Si ricercano gli antichi dettami del buon costruire, che fanno tesoro delle caratteristiche naturali e le sfruttano per il massimo rendimento e comfort abitativo ma senza conseguenti danni e consumismi, in linea in ogni caso con il progredire dello sviluppo e soprattutto con un’attenzione nuova al contesto di riferimento e alle sue esigenze.

1.3. Esempi spontanei di architettura bioclimaticaSono “spontanee” quelle strutture che utilizzano al meglio le risorse naturali, studiando

gli elementi progettuali in modo tale da massimizzarne l’effetto, senza l’ausilio di tecnologie meccanizzate attive.

Si tratta di architetture bio-climatiche in quanto organizzano la vita della costruzione e degli abitanti in funzione del clima locale e delle energie a disposizione sul territorio.

È una contestualizzazione spontanea in quanto studiata solo in base alle conoscenze otte-nute per esperienza e per osservazione attenta, e non da regole imposte.

Sistema termale romanoSi tratta di un sistema di riscaldamento che sfrutta la struttura di costruzione delle terme

romane antiche, l’ipocausto, così definito.Consiste nel realizzare i pavimenti rialzati rispetto al terreno in modo da creare un’interca-

pedine isolata, dalla quale far passare l’aria calda proveniente da un forno alimentato a legna e situato al centro del complesso al fine di una migliore distribuzione.

Tali pavimenti sospesi sono realizzati su piccole colonne di mattoni, che creano appunto l’intercapedine e raccolgono il calore, ed è fondamentale che siano ben isolati dal terreno per non favorirne la dispersione.

In questo modo si ottiene un pavimento riscaldato, ottimo appunto per le strutture ter-mali.

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Trulli della PugliaVengono sfruttate le capacità isolanti dei materiali da costruzione per raggiungere il mas-

simo comfort interno.Si deve far fronte soprattutto all’isolamento dal caldo estivo, data la locazione, e questo

si ottiene con uno spessore murario piuttosto elevato, in modo tale che la struttura assorba il calore in tempi lunghi, senza cederlo agli ambienti interni, in situazione estiva.

Viceversa, tale ottimo isolamento permette in inverno di non disperdere il calore interno accumulato.

Tale capacità della struttura muraria (mattoni e pietra) è definita inerzia termica, e calcola il tempo che ci impiega il calore a passare dall’ambiente più caldo a quello più freddo.

Mesa verde, ColoradoÉ un insediamento caratteristico del territorio e costruito in modo bioclimatico: è incassato

nella roccia e ne sfrutta l’inerzia termica. Ovvero, approfitta del calore che la pietra accumula du-rante il giorno e che restituisce durante la notte, creando un sistema di climatizzazione naturale.

Inoltre si ottiene la massima esposizione ai raggi solari durante l’inverno e la minima du-rante l’estate, grazie alla conformazione della costruzione stessa, che crea degli aggetti e delle ombre con la roccia circostante.

Tali ombreggiature permettono quindi ai raggi solari molto bassi in inverno di penetrare e riscaldare, mentre impedisce a quelli alti estivi e più forti di passare e creare il surriscaldamen-to dell’aria.

Torri del vento iranianeSono paragonabili a camini particolari, utilizzati per favorire la circolazione dell’aria ed il suo

raffrescamento e realizzati in pietra naturale per aumentarne la capacità termica e isolante.Sono utilizzati maggiormente nelle calde località, proprio perché costituiscono un siste-

ma naturale di ventilazione che sfrutta escursione termica e venti caldi del giorno: grazie alle aperture in alto si crea una circolazione naturale dell’aria, quella calda sale e quella fresca rimane più in basso, favorita inoltre dal vento freddo che passa durante la notte e da alcune specchiature d’acqua con vegetazione nelle corti interne che contribuiscono al raffrescamento dell’aria stessa ed alla sua evaporazione. La corrente che si crea si definisce ascendente, perché appunto sale verso l’alto.

Architettura vernacolareLe abitazioni costruite in modo spontaneo, senza particolari tecnologie di laboratorio, che

sfruttano soltanto le risorse che il territorio di contesto offre, risultano tipiche ad esempio della campagna dell’entroterra italiano.

Nascono seguendo semplicemente alcuni principi base offerti dall’esperienza degli abitan-ti, da quella cultura popolare dettata dal luogo di appartenenza, per ottenere il massimo ren-dimento energetico dalle risorse a disposizione.

Capitolo II - L’architettura sostenibile

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Utilizzano l’orientamento con il sole per determinare la forma migliore e la collocazione interna degli ambienti, la vegetazione come schermatura e come climatizzazione naturale, i materiali locali a disposizione, si studiano le condizioni climatiche come venti, orografia e ac-qua, il tutto in completa armonia con il territorio.

MoucharabiehSi tratta di aperture decorative e soprattutto funzionali tipiche della cultura araba. Sfrutta-

no il medesimo principio delle torri del vento prima descritte, ovvero la differenza di pressione e temperatura che si crea al passaggio di masse di aria calda e fredda insieme. L’aria calda quindi esce dalle aperture perché leggera, sfiora specchi d’acqua nei cortili o stracci bagnati sistemati appositamente, diminuisce la sua temperatura e crea una piacevole ventilazione di scambio con l’esterno.

Naturalmente, dal momento che l’aria con tale procedimento, è resa fresca grazie al suo passaggio sull’acqua, il sistema funziona in modo particolare in climi secchi, dove l’aumento appunto dell’umidità può solo portare benefici e non disagi.

Giardini Alhambra - GranadaSfruttano ancora una volta il principio dell’evapotraspirazione, ma inserito in un contesto

architettonico molto articolato e artisticamente distribuito.I particolari giardini spagnoli prevedono un complesso sistema di corsi d’acqua, fontane e

vegetazione, insieme a cortili e porticati.La ventilazione si crea grazie a porte, finestre e piccole aperture, da cui può uscire l’aria calda,

che si articola tra i portici, passa tra le piante e gli specchi d’acqua, si raffresca per effetto della traspirazione ed in seguito evaporazione, e crea un piacevole microclima temperato umido.

Il caldo secco è facilmente correggibile con semplici soluzioni bioclimatiche.

1.4. I fattori fisico-ambientali modificantiSi individuano gli elementi di contesto fondamentali per l’approfondita analisi, basilare per

il progetto, in funzione del successivo corretto intervento.

Loggiato Vasca

Figura 3 - Schematizzazione dell’aria calda che esce dagli ambienti, sale e sfiora l’acqua raffrescando-si ed abbassando la temperatura circostante.

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alcuni utili bio-definizioni (bios = vita)

Biocompatibilità: è quella caratteristica che classifica un sistema come perfettamente integrato ed inserito nel conte-sto naturale, senza produrre effetti negativi sulla vita, dell’uomo e non.

Ecocompatibilità: consiste nella capacità di integrarsi perfettamente con l’ambiente in cui vive l’uomo e con l’ecosi-stema in generale.

Biosostenibilità: significa utilizzare sistemi e tecnologie che salvaguardino in modo passivo o attivo l’ambiente che ci permette la vita, senza comprometterne i processi evolutivi.

Ecosistema: si può definire come il legame di strette relazioni che uniscono gli abitanti (biocenòsi) con il luogo in cui vivono (biotopo).

Sviluppo sostenibile: si ottiene se si riescono a soddisfare le esigenze delle generazioni presenti, senza ledere e com-promettere quelle future, in una crescita economica e sociale compatibile con gli ecosistemi. L’indice chiave è la così definita “impronta ecologica”, ovvero il peso che ogni azione ha sull’ambiente: perché ci sia sostenibilità, deve crescere lentamente e ad una velocità sempre più bassa della capacità da parte della natura di adeguarsi ed evolvere.

Architettura bioclimatica: affida alla natura, alla conformazione volumetrica, all’orientamento e al contesto climatico il compito di sfruttare il microclima locale per ottenere il massimo grado di comfort. Si utilizzano tecniche solari passive e attive, ottimizzando gli scambi energetici dell’edificio con l’ambiente.

Bioarchitettura: minimizza o azzera i consumi energetici dell’edificio, necessari per la climatizzazione, limitando anche l’inquinamento prodotto e indotto, con tecnologie e materiali biocompatibili dalla produzione all’utilizzo.

Altitudine: è di fondamentale importanza tenere conto che la temperatura dell’aria diminu-isce man mano che saliamo in altezza: 1°C ogni 200m.

Orografia: la forma dei rilievi caratteristici del luogo influisce per la variazione della tem-peratura dell’aria, della radiazione solare disponibile, del regime dei venti, dell’umidità, delle precipitazioni. Il raggio solare che attraversa l’atmosfera infatti cede calore e perde potenza (sul mare quindi è meno forte, mentre lo è di più sulla montagna) perché deve attraversare una massa d’aria maggiore. Dove inoltre queste masse d’aria sono fredde, si possono registrare maggiori precipitazioni.

Masse d’acqua: la presenza di fiumi, mari, laghi, corsi d’acqua di qualsiasi tipo influenzano la temperatura dell’aria, i venti locali, l’umidità, le precipitazioni. Quando l’acqua si raffredda velocemente ad esempio in presenza di vento, sottrae calore all’aria, raffrescandola. Si può quindi sfruttare il principio dell’evapotraspirazione, facendo passare masse d’aria calda sulla superficie di specchi d’acqua, provocandone quindi l’evaporazione e il conseguente raffresca-mento dell’aria stessa.

Vegetazione: il verde, sia quello già presente sul territorio che quello progettato, influisce sella qualità e purezza dell’aria, sulla temperatura, sul regime dei venti locali, sull’umidità. L’aria infatti che arriva sul singolo filo d’erba viene smorzata, e quindi il clima ne risulta raffrescato e un po’ più umido: è come se “rimbalzasse” e la brezza fresca venisse incanalata dalle piante stesse.

Urbanizzazione: i volumi costruiti agiscono sulla temperatura dell’aria, sul regime dei venti locali, sulla radiazione solare disponibile, sull’umidità. Si può considerare come un attrito na-turale, che incanala e devia le brezze o le masse di aria calda, e forma ombre o spiragli di luce tra un edificio e l’altro.

Si deve osservare inoltre che materiali come il laterizio delle tegole e l’asfalto delle strade riescono solamente ad assorbire il calore e poi a cederlo, ma senza rifletterlo: questo può provocare il surriscaldamento dell’aria circostante, facilmente risolvibile con alcuni accorgi-menti bioclimatici.

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1.5. Schema di analisi di progettoIn fase progettuale, ma anche in quella più critica di analisi per successive ristrutturazioni,

sono necessarie alcune osservazioni sul contesto in cui si inserisce l’intervento architettonico, per poter trovare le soluzioni che garantiscano il migliore rendimento, con una bassa spesa di energie.

Analisi bioclimatica del sito: è una piccola sintesi delle osservazioni critiche sul contesto e consiste nell’analizzare il clima, il vento, l’orografia e le forme del terreno, la disponibilità di sole, acqua, risorse energetiche, l’ottimale orientamento delle strade, gli edifici attigui, le volumetrie, la pavimentazione.

Analisi dell’edificio: si individua la forma migliore per il progetto o le modifiche, l’orien-tamento, la tipologia caratteristica del luogo, le disposizioni volumetriche e quelle interne, si studiano le forme delle facciate, gli elementi locali caratterizzanti, quelli schermanti e le ostruzioni, e soprattutto, i materiali da costruzione.

Isolamento: deve essere studiata in modo molto approfondito la tecnologia di isolamento termico, sia per il periodo invernale che per quello estivo, con tecnologie “passive” o “attive”, sfruttando quindi direttamente o indirettamente l’apporto solare, con precisa attenzione alla struttura, in modo tale da impedire inutili dispersioni termiche dall’edificio (ponti termici).

Consumi impiantistici: è necessario razionalizzare e progettare al meglio i sistemi impian-tistici per la riduzione dei consumi e l’inutile spreco di risorse preziose.

Si devono contrastare le dispersioni energetiche degli elementi di chiusura delle costruzioni (pareti, copertura, fondazioni), utilizzando al meglio gli apporti di calore di sole e terreno, e isolan-do l’edificio nel modo migliore: lo strato di isolamento deve formare idealmente una figura chiusa, senza interruzioni in alcun punto, per migliorarne il rendimento ed evitare le fuoriuscite di calore all’esterno (o impedire anche al calore di entrare all’interno dei locali, nella stagione estiva)”

1.6 Schemi di metodologie di approccio progettualeQualità ambientale: progettare dei mecca-

nismi che aiutino a riequilibrare il clima ester-no e a “gestirlo” artificialmente, per ottenere il migliore comfort interno – tecnologia dell’edi-ficio.

Risparmio energetico: progettare con so-luzioni che sfruttino passivamente e/o attiva-mente le energie rinnovabili, i combustibili non fossili e contribuiscano alla riduzione dei con-sumi interni di gestione e di utilizzo impianti-stico – ridurre il degrado ambientale.

Contesto progettuale: progettare tenendo Figura 4 - Schema delle dispersioni energeti-che di un edificio.

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conto della disponibilità delle risorse ambientali, economiche ed energetiche, considerando anche l’eventualità di una carenza delle stesse – evitare gli sprechi.

Riferimenti di progetto: progettare seguendo sempre le condizioni climatiche ed insedia-tive locali, considerandone sotto ogni punto di vista le caratteristiche principali ed agire in conseguenza e conformità con esse – contestualizzazione.

Fattori di progetto: progettare analizzando gli elementi naturali a disposizione, vegeta-zione, versanti, radiazione solare, per sfruttarli tutti al meglio e gestirli a proprio beneficio – modificando il clima, i fattori esterni modificano il comfort ottenuto.

L’obiettivo del progetto nella sua totalità è pianificare in modo ottimale, per sfruttare al meglio le tecnologie rinnovabili a disposizione, raggiungendo il massimo grado di comfort interno percepito.

Si può quindi ottenere un notevole risparmio energetico anche con alcune osservazioni su abitudini e stili di vita, conducibili autonomamente da ciascun fruitore dell’edificio, qui di seguito elencati e successivamente analizzati in modo più approfondito.

Corretta ventilazione: è permessa dall’apertura durante il giorno di porte e infissi meglio se opposti per creare scambi di aria trasversali, migliora la qualità dell’aria interna e di riflesso anche quella degli abitanti, si evitano condense e muffe.

Risparmio idrico: si ottiene con impianti, elettrodomestici e piccoli apparecchi classifica-bili anche in Classe A, ma soprattutto con accorgimenti domestici di buon senso e rispetto per le risorse non finite.

Risparmio energetico: di competenza del progettista, ma anche dell’utente, si raggiunge con un buon isolamento degli elementi strutturali dell’edificio, con infissi isolati e a tenuta termica, con impianti termici a risparmio energetico.

Scelta di materiali naturali: influisce e migliora la qualità dell’ambiente vissuto riducendo l’inquinamento dell’aria interna all’abitato, e inoltre contribuisce alla sostenibilità ambientale.

Inquinamento acustico/elettromagnetico: si può ridurre con alcuni semplici accorgimenti, inseribili da parte del progettista ma anche dell’utente stesso, a partire da pannelli isolanti appositi ed accorgimenti riguardanti la gestione e l’utilizzo di apparecchi elettrici, con il fine ultimo di migliorare la qualità della vita vissuta.

1.7. La relazione uomo/società/ambienteEsistono intrecciate connessioni che collegano l’uomo con la società in cui vive e l’ambien-

te che governa, e tutte portano ad un’unica osservazione: è necessario procedere verso una progettazione ecologica, che dia dei limiti all’intervento improprio dell’uomo ed imponga una logica ambientale interna.

Il passo successivo vede quindi la nascita dell’ecologia della progettazione, che richiede un nuovo equilibrio tra materia, energia ed informazione.

È auspicabile aprirsi a ripensamenti globali e recuperare i comportamenti climatici perdu-ti, per ricostruire l’armonica integrazione tra città e natura e ritrovare le sostenibili corrispon-

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denze fra architettura, risorse culturali e materiali, ma senza rischiare di cadere nella fitta rete dell’opposta estremizzazione tecnologica.

2. la progettazione sostenibileL’architecture c’est mettre en oeuvre la nature. E.L. Boullée

2.1. Significato e obiettiviIn un panorama architettonico in cui le città non si possono più progettare a tavolino, e

su questi territori sempre più urbanizzati, non si può fare altro che intervenire sul costruito e realizzare progetti su scala urbana più contenuta.

È di fondamentale importanza una progettazione consapevole, che sfrutti al meglio le tecnologie e riduca i consumi inutili.

Si deve operare con un’edilizia di protezione e rispetto per l’ambiente.Progettare sostenibile significa non produrre effetti dannosi e irreversibili, cercare l’auto-

sufficienza energetica come obiettivo primario, con principi di bio-ecologicità e sostenibilità sociale; significa avere consapevolezza di mezzi e disponibilità di risorse, prevenire i rischi di sprechi energetici e riuscire a non alterare il territorio, ma anzi a salvaguardarne la vita futura.

2.2. Analisi, orientamento e verdeLa prima analisi da effettuare per progettare un intervento è l’inquadramento territoriale

per la localizzazione climatica dell’edificio, la cui importanza è già stata ampiamente sottoli-neata in precedenza.

È necessario ricostruire l’orografia dell’intorno, lo skyline (il profilo) degli edifici attigui, per individuare i possibili ostacoli di passaggio del sole e del calore, oppure per studiarne le ombre ed evitare il surriscaldarsi degli ambienti.

Si analizza quindi l’altezza del sole durante i giorni medi, i giorni più caldi e quelli più fred-di, si mettono in relazione gli aggetti e le schermature con gli apporti solari, in modo tale da sapere con precisione quali parti dell’edificio saranno soleggiate e quali no.

Si preferisce un orientamento Nord/Sud rispetto alla collocazione dell’edificio, meglio anche se con qualche grado di inclinazione rispetto all’asse, per avere un’esposizione ottimale ed una migliore insolazione.

Di fondamentale importanza è anche la vegetazione, presente o costruita.Garantisce la protezione dai venti freddi e da quelli caldi, crea ombra in estate, favorisce

l’incanalarsi delle brezze estive e l’assorbimento dei raggi solari, purifica l’aria e la umidifica raffrescandola.

Le piante sempreverdi possono essere posizionate a Nord, se il lotto prevede venti freddi simili a Tramontana, in modo tale da ottenerne la protezione invernale; a Sud/Est o Sud/Ovest, per avere quella estiva.

Si può scegliere tipologia di verde anche in base al grado di illuminamento necessario:

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a Nord la luce non filtra bene, anche perché le finestre devono essere piuttosto ridotte per evitare dispersioni termiche proprio sul lato più freddo dell’edificio. Quindi è preferibile non coprire del tutto le aperture con le piante, per evitare blocchi di luce.

A Nord può servire al massimo la presenza di una siepe: protegge dai venti, incanala le brezze estive, assorbe i raggi solari e contribuisce a diminuire il rischio di surriscaldamento; allo stesso modo si comporta una pavimentazione erbosa, o di ghiaia, molto più riflettente di una liscia o ancora peggio scura.

Si analizza quindi anche la tipologia del terreno, se arido o umido, dal momento che anche questo può influire positivamente o negativamente sugli effetti climatici del contesto, assor-bendo o riflettendo i raggi solari.

Le piante a foglia caduca sono preferibilmente da collocare sul versante Sud, per ottenere il massimo irraggiamento durante l’inverno (quando le foglie appunto, cadono) ma una buo-na protezione in estate. Inoltre forniscono un ottimo schermo naturale al surriscaldamento, per le grandi finestrature che in genere si pongono proprio sulle facciate a Sud (per la luce e riscaldamento invernale massimo).

La presenza inoltre di corsi d’acqua, laghi, fiumi, vasche, fontane può influenzare positiva-mente il clima: in estate la temperatura dell’aria è smorzata da quella dell’acqua, a cui cede calore, favorendo quindi la formazione di piccole fresche ventilazioni.

In ultima analisi, sono piuttosto importanti anche le indagini geologiche e geognostiche, sulla natura delle perturbazioni, sulle falde sotterranee e infine anche un’analisi della Rete di Hartmann (un reticolo di fasce energetiche perpendicolari di passo 2,50 m, orientato secondo gli assi cardinali e ai cui nodi si individuano zone geopatogene, ovvero negative).

Una volta analizzato quindi il luogo, la conformazione, le caratteristiche climatiche, le temperature, i giorni di ombra e sole, i venti, l’umidità, si può avere un quadro completo ed inserire il progetto, oppure studiarne i comportamenti e disporre le tecnologie per plasmare l’edificio secondo necessità.

2.3. Disposizioni interne e forma volumetricaIl posizionamento dei locali all’interno dell’edificio è di fondamentale importanza per

sfruttare al meglio le risorse di illuminazione e irraggiamento naturali.L’orientamento dei locali secondo l’asse Nord/Sud (meglio se N-SE o N-SO) permette alla

parete Sud di acquisire il calore del sole durante quasi tutto il giorno, per poi restituirlo la sera (è quella più soleggiata).

Al contrario, la parete Nord è scaldata solamente la mattina, e quindi risulta la parte più fredda di tutto l’edificio, e in genere è adibita ai locali di servizio o di passaggio.

Si preferisce distribuire i locali interni in base alle necessità di ciascun utente: la regola prevede che si pongano gli ambienti maggiormente vissuti durante la giornata, e quindi riscal-dati in modo ottimale, nella parte a Sud, dove quindi sono presenti le aperture di maggiore grandezza per migliorare la ventilazione ed ottenere la massima luce naturale.

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Al contrario, le aperture sui fronti opposti dovranno essere ridotte, per evitare dispersioni termiche non compensate dall’insolazione naturale.

Sapendo quindi che il fronte Est viene colpito dal sole per gran parte della mattinata, e quello Ovest invece durante il pomeriggio, la distribuzione interna, secondo necessità e fun-zioni, viene automaticamente di conseguenza.

La preferibile inclinazione di circa 10° dell’asse di orientamento dell’edificio rispetto a quello Nord/Sud e la ricercata volumetria caratteristica servono a non avere un irraggiamen-to proprio diretto sulle facciate, ad evitare il surriscaldamento delle stesse e ad ottenere una migliore illuminazione diffusa non abbagliante.

Lo stesso effetto si può ottenere con eventuali elementi schermanti di forma consona e studiata secondo l’inclinazione dei raggi e la loro altezza, verticali (rientri di facciata, muri) e/o orizzontali (logge, terrazzi, aggetti); oppure anche con elementi mobili o fissi tipo persia-ne, veneziane, frangisole, brise-soleil, lamelle ruotabili, disponibili secondo necessità.

2.4. La ventilazione efficaceLa ventilazione naturale si ottiene studiando bene le direzioni dei venti locali principali,

organizzando la forma in base al costruito attorno, al contesto e agli eventuali ostacoli. Le aperture devono permetterne la trasversalità, il ricambio di aria interna/esterna e la disposi-zione interna dei locali non la deve ostacolare.

Come spiegato in precedenza, si possono incanalare le brezze con la vegetazione e gli ar-busti, creare doppie aperture e studiare dispositivi (finestra solare) per far defluire l’aria calda e mantenere quella fresca all’interno.

I camini di ventilazione e le aperture sul tetto sfruttano esattamente il principio fisico con cui l’aria calda sale e fuoriesce, creando moti convettivi.

Il ricambio d’aria deve essere costante, ma in estate le pareti esposte all’irraggiamento de-vono essere ben protette, per evitare che l’aria calda entri (schermature progettate, elementi di ombra, aggetti, tende..)

Situazione in inverno: con l’isolamento si deve impedire al calore di uscire e al freddo di entrare.

Situazione in estate: il calore non deve entrare dall’esterno, mentre l’aria più fresca deve passare e ventilare, ma senza uscire all’esterno più caldo.

Il principio della ventilazione controllata è il medesimo di quella naturale, ma attivato meccanicamente da un dispositivo impiantistico: questo dà l’accensione al ventilatore che estrae l’aria dall’esterno, la purifica e la riscalda o la raffredda secondo necessità stagionale. Tale aria passa quindi dai locali mediante delle basse bocchette delle porte e attraverso aper-ture fra i muri divisori, per poi uscire all’esterno.

Si può alimentare l’impianto anche con la geotermia o con pompe di calore apposite.

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L’azionamento ed il controllo sono manuali, regolabili ed automatizzabili. Non c’è quasi necessità di manutenzione, ma di un locale caldaia apposito.

Purtroppo il suo funzionamento è strettamente legato ad un perfetto isolamento a com-pleta tenuta dell’edificio, e quasi non è necessario il ricambio di aria giornaliero.

È quindi di fondamentale importanza che non ci siano spifferi o perdite di aria, che invece vanificherebbero tutti i benefici.

La sua progettazione è di conseguenza legata a particolari strutture tecniche di costruzio-ne, e quindi non generalizzabile o estendibile a tutti gli edifici.

2.5. Isolamento invernale/estivoUn involucro non ben coibentato (cioè non ben isolato termicamente dall’esterno) rischia di

far disperdere energia in modo irreparabile. È necessario progettare i paramenti murari e i solai di copertura e controterra (fondazioni), per ottenere un valore di diffusività il più basso possibile.

Si definisce “diffusività” la capacità di un materiale di consentire il passaggio, non convet-tivo, di gas e fluidi.

Ci sono alcune leggi che decretano i valori massimi che i materiali e gli elementi costrutti-vi possono disperdere, i consumi e le tecnologie da applicare in situazione di risparmio ener-getico, come la Legge 10/91, il Decreto Legislativo 192/05, il Decreto Ministeriale 311/06, il Decreto Ministeriale 115/08 e le nuove norme Units 11300.

A Bolzano e in tutto il Nord Europa, specie in Germania, invece sono sfruttati e diffusi i sistemi dell’Agenzia CasaClima, che progettano costruzioni a tenuta perfettamente termica, autosufficienti energeticamente e con valori molto bassi di dispersione termica delle struttu-re, e quindi con una legislazione del tutto particolare ed indipendente.

I pacchetti murari si progettano in genere con la soluzione “a cappotto”, ovvero con lo strato di isolamento posto esternamente, per ottenere un valore totale di U (trasmittanza termica) piuttosto basso, ed evitare la formazione di condensa (nel caso di ristrutturazione è molto efficace anche l’inserimento di un’ulteriore sottile parete di laterizio forato appoggiato alla parete esistente e intervallata ad un pannello di materiale isolante, per ottenere un mag-giore risultato termico).

Si definisce “trasmittanza” la capacità di un materiale di essere attraversato dal calore (il corpo più caldo cede calore al corpo più freddo) e più questa capacità è bassa, meno risulta la dispersione termica.

Si ha la formazione di condensa quando il vapore (interno), che ha una sua alta tempera-tura e pressione (per rimanere appunto, vapore), incontra uno strato (la parete o il vetro) che ha T1 e P1 minori.

Il vapore quindi cede calore allo strato (parete o vetro) e abbassa la sua temperatura.Se la sua temperatura diventa minore di un certo valore, denominato T di saturazione carat-

teristica, il vapore stesso cambia di stato e diventa liquido, cioè si trasforma in acqua, ovvero condensa.

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È quindi di fondamentale importanza mantenere costante la temperatura delle pareti e del tetto, fino almeno allo strato esterno, dove è più fredda; l’isolamento “a cappotto” funzio-na esattamente in questo modo, perché impedisce lo scambio termico di pareti e copertura immediatamente con tale strato esterno freddo.

Per costruire l’isolamento ci sono a disposizione diverse tipologie di materiali: isolanti naturali, pannelli in fibra di legno, sughero, aria, polistirolo (riciclabile ma non rinnovabile né biodegradabile).

Ci sono inoltre soluzioni monostrato (solai e pareti a più strati sono composte dalla strut-tura portante in mattoni o altro materiale + il pannello isolante) in cui il blocco costruttivo che forma la struttura è unico e composto dal solo mattone (senza il pannello coibentante), all’interno del quale sono inseriti blocchetti di materiale isolante, oppure con particelle di-rettamente nell’impasto, tipo Poroton, Lecablock, Isoblock, Termofon; in genere hanno anche ottime caratteristiche fonoisolanti.

I solai interni non si isolano termicamente, in quanto in un’abitazione si presume che la temperatura interna sia uguale per ogni piano. Si inserisce il pannello coibentante solo se tra piani diversi si localizzano anche funzioni diverse. Si mette sempre invece quello acustico.

Progettualmente si cerca di chiudere con una “linea” ideale di isolamento tutto l’edificio, in modo tale da non avere alcuna interruzione, soprattutto per evitare la formazione di ponti termici, specie in corrispondenza dei nodi di incontro tra pareti e solai.

I pannelli quindi devono essere posizionati in opera in modo perfettamente aderente, per non creare inutili dispersioni di energia.

L’isolamento per le temperature invernali è altrettanto efficace per quelle estive; è buona norma posizionarlo in corso d’opera di realizzazione, ma è possibile anche un intervento su edilizia già costruita, tipo ristrutturazione, intervenendo con pannelli, intonaci, pareti in car-tongesso o piccole tamponature in mattoni, affiancate a quelle esistenti.

Si isolano anche le fondazioni e i solai dei terrazzi, sempre per evitare il formarsi dei ponti termici.

Per calcolare lo spessore, le caratteristiche e la trasmittanza dei pacchetti esterni, si pren-dono in esame più parti, secondo la tipologia dello strato e i diversi materiali, facendo poi una media dei valori ottenuti.

Si considerano anche le caratteristiche tipiche dei vetri, da scegliere possibilmente a ta-glio termico, a tenuta d’aria, stratificati con gas isolanti tra un elemento e l’altro, o comunque almeno doppi, dal momento che il vetro è una delle fonti maggiori di spifferi d’aria e perdite termiche di tutto l’edificio.

Se inoltre si tratta di vetri per una serra solare, è bene accertarsi che assorba il calore ne-cessario per il corretto funzionamento della stessa.

Un infisso a più strati è composto da due o più vetri (dipende dalla zona climatica della

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costruzione) e all’interno possono avere uno spazio in cui viene creato il vuoto (l’aria ferma è molto isolante termicamente) oppure riempito con alcuni gas particolari (il più diffuso è l’ar-gon); anche i serramenti sono a tenuta termica (in alluminio e a volte anche con alcune parti di legno, perfettamente sigillati).

“Ponte termico”: in corrispondenza dei nodi di attacco degli elementi strutturali dell’edifi-cio, si ha cambiamento di forma e di materiale, con possibili formazioni di fessure. Se ci sono fessure non isolate, il calore può fuoriuscire.

Calcolo trasmittanza:

Dispersione Parete/Solaio/Tetto/FondazioneE = U x Area x (T.int-T.est) x coefficiente elemento

U = 1

1/αi + s1/λ1 + s2/λ2 + … sn/λn + 1/αe

U = trasmittanza termica dell’elemento strutturale in W/m2KCoefficiente elemento = dipende da latitudineαi = coefficiente liminare internoαe = coefficiente liminare esternoλ= conduttività del materiale in W/mKS = spessore dell’elemento in m

Dispersione Finestra

Uw = (Ag x Ug + Af x Uf + Lg x γg) / (Ag + Af)

Ag = area del vetroUg = trasmittanza termica del vetroAf = area visibile del telaioUf = trasmittanza termica dl telaioLg= lunghezza della giunzione tra vetro e telaioγg = aumento lineare per ponte termico tra serramento e vetro

Se l’elemento strutturale (parete, solaio, tetto, fondazione) non è omogeneo, si calcolano tutte le dispersioni e si fa la media

2.6. Sistemi solari passiviSi tratta di tecnologie per la conversione dell’energia solare (definita come “fototermica”,

perché comprende luce e calore) in un altro tipo di energia.Si chiamano passivi per il loro funzionamento autonomo, caratterizzato dallo spostamen-

to spontaneo (perché dovuto a naturali leggi della fisica) di aria o acqua (definiti come i fluidi termovettori), per effetto della convezione naturale (il caldo si sposta verso il freddo) e senza necessità di apporti energetici esterni, pompe di calore, ventilatori o altro.

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Finestra solareConsiste in un’ampia superficie vetrata sulla parete esposta tra Sud Est e Sud Ovest, dove

l’energia radiante che entra attraverso il vetro viene assorbita per la maggior parte dalle su-perfici interne colpite direttamente dai raggi.

Tali superfici assorbono e accumulano nei solai e nelle pareti l’energia, aumentando la loro temperatura in misura inversamente proporzionale alla loro capacità termica (ovvero in base alla caratteristica di lasciarsi attraversare dal calore e poi trasmetterlo).

È necessario uno stretto controllo delle proprietà materiche tecnologiche degli elementi che costituiscono i pacchetti strutturali e delle temperature interne, per ottenere un corretto funzionamento del sistema.

Deve essere calcolata esattamente la quantità di energia solare irradiata, le percentuali di ombra e i fattori di ostacolo, le perdite per la riflessione solare da parte del vetro stesso, l’ef-ficienza tecnologica dei materiali delle masse di accumulo (solai e pareti che appunto accu-mulano il calore trasmesso dalla finestra); è inoltre necessario assicurarsi la conservazione del calore ottenuto, mediante pannelli isolanti esterni, elementi mobili di oscuramento notturno, tende, scuretti (per evitare la dispersione del calore).

Con alcune apposite bocchette di collegamento tra i locali interni si può inoltre distribuire il calore anche dove non arriva direttamente.

Si definisce una tecnologia ad irraggiamento diretto.

Muro di trombeSi tratta di un elemento integrato con la struttura abitativa, costituito da una parete di-

pinta di un colore scuro, orientata verso Sud e in genere verticale, con uno strato vetrato o in plastica (definito “accumulatore termico”) posto sulla parte interna del muro e tenuto a distanza, in modo tale da creare uno spazio per il passaggio dell’aria, mossa da dispositivi di movimento meccanici (“collettori ad aria” che creano moti di ricircolo della stessa).

Nei periodi di insolazione, l’aria dell’intercapedine tra il vetro ed il muro scuro si riscalda, e per convezione naturale sale lungo la parete, entrando nel vano retrostante attraverso alcune aperture nel muro a livello del soffitto.

L’aria fredda del suddetto vano viene come risucchiata per depressione nell’intercapedine at-traverso le aperture in basso a livello del pavimento, attivando così la termocircolazione dell’aria (questo succede perché l’aria fredda pesante si stratifica in basso e quella calda leggera in alto).

L’accumulatore di calore è dimensionato in base alle necessità termiche dell’abitato e ser-ve a raccogliere il calore ottenuto dall’irraggiamento diurno diretto, per poi restituirlo nella notte al vano retrostante.

Durante l’estate il sistema può funzionare da “camino termico solare”, per attivare la venti-lazione diurna dell’ambiente, espellendo l’aria calda da un’apertura esterna posta in alto; dalle aperture basse, l’aria interna dell’ambiente viene quindi aspirata per il principio naturale di depressione causato dallo scontro di temperature diverse.

Tale aria interna è così ricambiata da aria più fresca, prelevata da un’altra apertura o da una

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finestra posta a Nord (sul lato opposto, proprio per creare ventilazione trasversale), comuni-cante con una zona esterna fresca ed ombreggiata.

È necessario anche in questo caso il pieno controllo della radiazione solare, con il calcolo preciso della quantità disponibile, con dispositivi di ombreggiamento esterno estivo se necessa-rio, ma soprattutto di quello interno invernale per evitare dispersioni del calore accumulato.

È considerato un sistema solare a convezione (movimento di aria calda e fredda sulle mas-se di accumulo).

Sistema di funzionamento del Muro di trombe durante l’inverno: l’aria calda ottenuta vie-ne fatta circolare all’interno dei locali dell’abitazione.

Funzionamento in estate: la bocchetta in alto si chiude, per evitare che dall’esterno entri il caldo nell’ambiente, e si fa invece circolare l’aria trasversalmente dalle aperture di altri locali adiacenti.

Serra bioclimaticaÈ una tecnologia passiva per il controllo dei flussi termici e umidi attraverso l’edificio, con

fini ultimi il miglioramento del comfort abitativo e il contenimento dei consumi energetici.È costituita da uno spazio vetrato, adiacente alla costruzione, abitabile in alcuni periodi

dell’anno e di valido contributo al riscaldamento e raffrescamento degli spazi interni.La serra crea come uno spazio intermedio che riduce gli scambi termici con l’esterno, di-

minuendo le dispersioni durante l’inverno e il guadagno di troppo calore in estate. Grazie alla vetrata, in inverno si sviluppano temperature dell’aria anche molto superiori a quelle esterne, che possono essere sfruttate per riscaldare gli ambienti. La presenza di masse di accumulo (le pareti o i solai che assorbono il calore con la loro struttura) inoltre garantisce uno smorzamen-to e sfasamento dei picchi di temperatura esterna.

Le condizioni termo-igrometriche interne alla serra sono strettamente dipendenti dal cli-ma esterno, dal soleggiamento, dalla temperatura dell’aria, dal vento.

In inverno ad esempio la presenza della radiazione solare diretta sul vetro produce una sensazione di comfort, nonostante fuori si raggiungano a malapena 20°C.

Il vetro è inoltre in grado di sfruttare l’irraggiamento diffuso, ottenendo lo stesso una buo-na temperatura interna, come può accadere ad esempio durante una giornata nuvolosa.

In estate con una corretta regolazione dei dispositivi di controllo della temperatura (come le aperture per la ventilazione), la serra può diventare uno spazio abitabile e confortevole.

Il principale motivo del verificarsi dell’“effetto serra” è il fatto che in uno spazio chiuso ed ermetico venga impedito lo scambio termico convettivo con l’aria esterna e quindi la cessione del calore da parte degli elementi più caldi all’atmosfera.

Quando la radiazione solare colpisce la superficie trasparente, una parte viene riflessa, una parte trasmessa all’interno attraverso il vetro, una parte assorbita e ri-emessa verso l’esterno e verso l’interno.

La parte utile è quest’ultima, quella assorbita.

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Colpendo gli oggetti interni, essendo in parte riflessa ed in parte assorbita, e quindi par-zialmente ri-emessa verso l’interno, produce un ulteriore riscaldamento della massa d’aria.

La porzione di radiazione ri-emessa dai materiali opachi (qualsiasi, ma non vetro) è a bassa frequenza e quindi risulta radiazione termica. Questa viene riflessa ancora una volta verso l’interno, tornando a colpire gli oggetti e a scaldare l’aria interna, ed in parte anche assorbita dal vetro stesso e ri-emessa sia verso l’interno che verso l’esterno.

Dipendendo strettamente dalle caratteristiche dei materiali che riflettono tale radiazio-ne, risulta opportuno impiegare elementi trasparenti (i vetri della serra) in grado di ridurre al minimo l’assorbimento della radiazione, per evitare che questa sia lasciata poi uscire, una volta entrata; le superfici ottimali sono quelle definite a bassa conduttività termica.

La radiazione entrante nella serra produce quindi un riscaldamento dell’intera massa d’aria e degli oggetti direttamente colpiti dai raggi solari. La chiusura a tenuta termica dell’involucro è uno degli aspetti più importanti per evitare la dispersione termica per lo scambio con l’esterno.

Di conseguenza risulta necessaria la massima trasparenza del vetro colpito dal sole, la massima ermeticità dell’involucro, la massima conduttanza delle superfici interne stesse (cioè la capacità di farsi attraversare dal calore, per assorbirlo e poi restituirlo).

Per far funzionare la serra anche nei mesi estivi in modo corretto, si cercherà di impedire alla radiazione solare di attraversare le superfici vetrate e di diffondersi sulle masse termiche interne (le strutture e gli oggetti di arredo), generando l’effetto serra.

Questo si può ottenere con sistemi di ombreggiamento esterni mobili, a regolazione gior-naliera o stagionale, la cui importanza si rileva soprattutto per le tipologie con anche la co-pertura trasparente, dal momento che la parte inclinata è quella che riceve la radiazione in modo più diretto.

Inoltre è necessario garantire la massima ventilazione interna, attraverso l’apertura dei ser-ramenti, per avere una temperatura interna non superiore a quella esterna, e anche la scher-matura delle masse di accumulo interne (muratura e solai).

Si può poi sfruttare l’“effetto camino” tipico del sistema in questione: con calibrate aper-ture poste nella parte inferiore e in quella superiore, durante le giornate calde si può generare un moto d’aria ascendente (verso l’alto) che tende a creare una depressione all’interno della serra (cioè una differenza di pressione dovuta allo scambio termico tra temperature diverse). Tale depressione può essere usata per aspirare l’aria dall’abitazione ed espellerla attraverso la sommità della serra stessa: sfruttando le aperture poste sul lato Nord, più fresco, si ottiene quindi una ventilazione naturale degli ambienti.

Tuttavia, è necessaria un’osservazione: il flusso d’aria, aumentando l’evapotraspirazione corporea, contemporaneamente contribuisce a produrre con la sua temperatura elevata il ri-scaldamento delle strutture interne ai locali, creando un peggioramento del comfort interno percepito, durante le ore notturne (cioè quando le masse di accumulo restituiscono il calore accumulato durante il giorno).

Nella notte quindi si deve garantire la massima dispersione energetica della alta tempe-ratura, sia sotto forma radiante, che di convezione dalle masse termiche della serra verso

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l’esterno.Di conseguenza risulta vantaggioso ritirare le schermature solari, che potrebbero invece

funzionare da ostacolo alla radiazione, per permettere al calore accumulato di uscire all’ester-no, disperdersi e lasciare aria più fresca all’interno.

Inoltre si deve organizzare la massima apertura dell’involucro della serra stessa, per otte-nere una ventilazione trasversale del flusso d’aria verso l’esterno, anche attraverso l’edificio.

A questo scopo la posizione delle aperture devono essere studiate per sfruttare al meglio i moti d’aria locali, comprese ad esempio le brezze fresche dovute a specchi d’acqua o rilievi topografici nei pressi della costruzione, e quindi essere posizionate sui fianchi, sulla copertura, sulle parti verticali.

Parete ventilataÈ strutturata per favorire il contenimento energetico e l’isolamento: favorisce lo smalti-

mento dell’umidità e della eventuale condensa che si può formare nella stagione invernale, mentre evita il surriscaldamento e l’accumulo di calore in quella estiva.

È costituita dallo strato di rivestimento di facciata, separato ed allontanato dalla parete attraverso distanziatori appositi, in modo da creare un’intercapedine da cui possa passare l’aria, creandone la microcircolazione ed evitando la formazione di condensa e surriscalda-mento sulla struttura stessa.

Tetto ventilatoConsiste nella medesima struttura della parete ventilata, ma posta sulla copertura; il rive-

stimento sul tetto, distanziato dalla struttura, crea l’intercapedine (quasi una lama fatta d’aria) che quindi viene utilizzata per ottimizzare i benefici della barriera al vapore, presente tra gli strati della copertura (strato di isolamento a tenuta termica e impermeabile); dal punto di vista bioclimatico contribuisce quindi ad evitare surriscaldamento e condensa.

2.7. Esempi di architetture bioclimaticheIl panorama delle architetture realizzate con dettami progettuali che seguono la biocli-

matica è notevolmente vasto, in quanto si può spaziare da costruzioni orientate secondo le migliori posizioni rispetto al contesto ambientale, fino ai dettagli costruttivi biocompatibili e materiali naturali innovativi.

Tra quelle più singolari che si possono citare, troviamo le abitazioni in balle di paglia al posto dei classici mattoni in laterizio (i quali in ogni caso, risultano un ottimo materiale da costruzione anche dal punto di vista biocompatibile e sostenibile, sia per la materia naturale, argilla, di cui sono composti, sia per le notevoli caratteristiche termiche ed acustiche otteni-bili in opera): la struttura portante è in legno e le murature sono costituite dal tamponamento della suddetta struttura, in balle di paglia appunto, protette da una rete metallica (che im-pedisce anche ai roditori di infestare la costruzione stessa); è assicurata la salubrità dell’aria interna, e la biosostenibilità dell’intervento.

Capitolo II - L’architettura sostenibile

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Per quanto riguarda le soluzioni di integrazione con il contesto e tecnologie di sfrutta-mento dell’elemento natura, fin dai tempi antichi una soluzione molto usata è il tetto giardino ed il verde pensile: il manto erboso protegge termicamente e acusticamente, oltre a creare particolari spazi ossigenanti e di alta qualità ambientale; si possono progettare con arbusti alti oppure con un semplice prato, lasciato crescere naturalmente incolto oppure disegnato in modo più accurato (e con necessaria manutenzione in conseguenza).

Si riporta inoltre l’immagine di una delle abitazioni forse più inserite nel contesto in cui si trovano ad essere state costruite, in cui è la natura ad entrare e l’architettura a modellarvisi di conseguenza: la Fallingwater – casa sulla cascata, di Frank Lloyd Wright, Pennsylvania, 1935. È concepita per strati paralleli, per piani che si sovrappongono, creando la geometria un po’ confusa, disordinata ma perfetta, ti-pica della natura; la forma è plasmata per far scorrere l’acqua della cascata e la folta vegetazione fa da cornice protagonista; i materiali vedono una struttura portante in cemento (licenza dovuta al periodo storico in cui è stata costruita) ma anche elementi naturali quali legno e pietra; gli aggetti, le pen-siline, le terrazze sono tutte studiate secondo le regole della natura; è tal-mente in armonia con la foresta, la ve-getazione, l’acqua, il sole, la luce, i ru-mori, le rocce, che non potrebbe stare in nessun altro luogo se non lì.

3. risorse, etica, architettura

3.1. OsservazioniDal lavoro di uno specifico gruppo di lavoro il 6 dicembre 2001, Itaca (Istituto per l’ Inno-

vazione e la Trasparenza degli Appalti e la Compatibilità Ambientale), da cui il ben più famoso Protocollo, sono scaturite le dieci regole fondamentali (e riassuntive di tutti gli enunciati ri-portati finora) della bioedilizia, intese come i principali obiettivi ispiratori dell’intera discipli-na e di chi se ne occupa.

– Ricercare uno sviluppo armonioso e sostenibile del territorio, dell’ambiente urbano e dell’in-tervento edilizio.

– Tutelare l’identità storica delle città e favorire il mantenimento dei caratteri storici e tipolo-gici legati alla tradizione degli edifici.

– Contribuire, con azioni e misure, al risparmio energetico e all’utilizzo di fonti rinnovabili.

Figura 5 - Fallingwater, casa sulla cascata, Frank Lloyd Wright, 1935, Pennsylvania.

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– Costruire in modo sicuro e salubre. – Ricercare e applicare tecnologie edilizie sostenibili sotto il profilo ambientale, economico e

sociale. – Utilizzare materiali di qualità certificata ed eco-compatibili. – Progettare soluzioni differenziate per rispondere alle diverse richieste di qualità dell’abitare. – Garantire gli aspetti di safety e di security dell’edificio. – Applicare la domotica per lo sviluppo di una nuova qualità dell’abitare. – Promuovere la formazione professionale, la progettazione partecipata e l’assunzione di scelte

consapevoli nell’attività edilizia.

Si ritiene opportuno riportare inoltre il testo della Carta della Terra, redatta come con-clusione di riflessioni e inizio di nuovi progetti a partire dal 1997, in seguito al Summit della Terra di Rio de Janeiro (Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, 1992), quale definizione consensuale di sostenibilità per la Terra.

Carta della terra 7-9 novembre 2005

Gli ecosistemi: una ricchezza da preservare per le generazioni future.Preambolo

Per la storia della Terra, l’epoca che stiamo vivendo rappresenta un momento critico in cui l’umanità dovrà scegliere il proprio futuro. A causa della crescente interdipendenza e fragilità che caratterizza il mondo odierno, il futuro porta con sé grandi rischi e insieme grandi promesse. Per andare avanti dobbiamo riconoscere che pur all’interno di una straordinaria varietà di culture e forme di vita siamo comunque un’unica famiglia umana e un’unica comunità terrestre con un destino comune. Dobbiamo unirci per portare avanti una società globale sostenibile fon-data sul rispetto per la natura, per i diritti umani universali, per la giustizia economica, e su una cultura della pace. Per raggiungere tale obiettivo, è assolutamente necessario che noi, le popolazioni della Terra, dichiariamo le nostre responsabilità l’una verso l’altra, verso tutte le altre forme di vita, verso le generazioni future.

La Terra, la nostra casaL’umanità fa parte di un vasto universo in continua evoluzione. La Terra, la nostra casa, vive attraverso un’unica

comunità vivente. Le forze della natura rendono l’esistenza un’avventura difficile e incerta, ma la Terra ha forni-to le condizioni necessarie all’evoluzione della vita. La capacità di recupero della comunità vivente e il benessere dell’umanità dipendono dalla preservazione di una biosfera sana con tutti i suoi ecosistemi, di una ricca varietà di piante e animali, di terreni fertili, acque pure e aria pulita. L’ambiente mondiale e le sue risorse non rinnovabili sono una preoccupazione condivisa da tutta l’umanità. La tutela della vitalità, varietà e bellezza della Terra è una respon-sabilità inviolabile.

La situazione globaleI modelli di produzione e consumo dominanti sono la causa principale del degrado ambientale, dell’esaurimento

delle risorse e dell’estinzione a cui sono destinate numerose specie. Le comunità sono vittime di un indebolimento disastroso. I vantaggi dello sviluppo non sono distribuiti equamente e il divario tra ricchi e poveri diventa sempre più profondo. L’ingiustizia, la povertà, l’ignoranza, e i conflitti violenti sono largamente diffusi e causa di grandi sofferen-ze. Un aumento senza precedenti della popolazione umana ha sovraccaricato i sistemi ambientali e sociali. Le basi della sicurezza mondiale sono minacciate ma queste tendenze, sebbene pericolose, non sono inevitabili.

Le sfide del futuroA noi la scelta: o una partnership globale con cui prendersi cura della Terra e del prossimo, o il rischio di di-

struggere noi stessi e tutte le altre forme di vita. Se scegliamo la prima opzione, dobbiamo modificare radicalmente i nostri atteggiamenti, valori e stili di vita. È indispensabile comprendere che una volta soddisfatti i bisogni essenziali,

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lo sviluppo umano si basa fondamentalmente su una maggiore ricchezza interiore e non su una maggiore ricchezza materiale. Possediamo le conoscenze e le tecnologie adatte per provvedere a tutti e per ridurre il nostro impatto sull’ambiente. L’emergere di una società civile globale sta creando nuove opportunità per costruire un mondo più democratico e umano. Le nostre sfide ambientali, economiche, politiche e sociali sono collegate, e insieme possiamo forgiare soluzioni inclusive.

Responsabilità universalePer realizzare queste aspirazioni, dobbiamo scegliere di vivere con un senso di responsabilità universale, identi-

ficandoci con l’intera comunità terrestre oltre che con le nostre comunità locali. Siamo contemporaneamente citta-dini di nazioni diverse e di un unico mondo in cui il locale e il globale sono strettamente connessi. La responsabilità per il benessere presente e futuro della famiglia umana e di tutte le forme di vita spetta ad ognuno di noi. Lo spirito di solidarietà umana e il senso di affinità con le altre forme viventi diviene più saldo quando improntiamo la nostra vita sul rispetto del mistero dell’esistenza, sulla gratitudine per il dono della vita, riconoscendo umilmente il posto che l’uomo occupa nel vasto ordine delle cose.

Ciò di cui abbiamo urgentemente bisogno è una visione comune di un sistema di valori basilari in grado di costituire il fondamento etico dell’emergente comunità globale. Pertanto, condividendo tutti la stessa speranza, affermiamo la necessità dei seguenti principi interdipendenti per uno stile di vita sostenibile e attraverso cui guidare e valutare la condotta di ogni individuo, organizzazione, attività, governo, e istituzione sovranazionale.

Principi generali

I. RISPETTARE E PRENDERSI CURA DELLA COMUNITà VIVENTE.

1. Rispettare la Terra e tutte le forme di vita.a. Riconoscere che tutti gli esseri viventi sono interdipendenti e che ogni forma di vita ha un valore intrinseco,

indipendentemente dall’importanza che può avere per gli esseri umani. b. Affermare la fede nella intrinseca dignità di tutti gli esseri umani e nel potenziale intellettuale, artistico,

etico e spirituale dell’umanità.

2. Prendersi cura della comunità vivente con consapevolezza, condivisione e amore. a. Accettare che il diritto di possedere, gestire e utilizzare le risorse naturali comporta necessariamente il

dovere di impedire danneggiamenti ambientali e tutelare i diritti delle genti.b. Affermare che l’ampliamento delle libertà, del potere e delle conoscenze comporta necessariamente un

aumento di responsabilità nel promuovere il bene comune

3. Impegnarsi per costruire società giuste, aperte alla partecipazione, sostenibili e pacifichea. Assicurare che le comunità garantiscano ad ogni livello i diritti umani e le libertà fondamentali e forniscano

a tutti l’opportunità di realizzare appieno il proprio potenziale.b. Promuovere la giustizia sociale ed economica per garantire ad ognuno i mezzi necessari per vivere bene, in

armonia con l’ambiente circostante.

4. Salvaguardare l’abbondanza e la bellezza della Terra per le generazioni presenti e future.a. Riconoscere che la libertà d’azione di ciascuna generazione è limitata dalla previsione delle esigenze delle

generazioni future.b. Trasmettere alle generazioni future i valori, le tradizioni, e le istituzioni che sostengono lo sviluppo a lungo

termine delle comunità umane e ambientali della Terra. Per poter realizzare questi quattro impegni generali occorre:

II. INTEGRITà AMBIENTALE

5. Proteggere e ripristinare l’integrità dei sistemi ecologici della Terra, prestando particolare attenzione alla biodiversità e ai processi naturali che sostengono la vita.

a. Adottare ad ogni livello programmi e regolamenti di sviluppo sostenibili che rendano la conservazione e la riabilitazione ambientale una parte integrante di tutte le iniziative di sviluppo.

b. Istituire e salvaguardare i parchi naturali e le riserve per la biosfera realizzabili, comprese zone selvagge e regioni marine, per proteggere i sistemi della Terra che sostengono la vita, mantenere la biodiversità e pre-servare la nostra eredità naturale.

c. Promuovere il recupero delle specie e degli ecosistemi in pericolo.

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d. Controllare e sradicare gli organismi non indigeni o geneticamente modificati dannosi per le specie autoc-tone e per l’ambiente, e impedire l’introduzione di tali organismi dannosi.

e. Gestire l’uso di risorse rinnovabili quali acqua, suolo, prodotti della foresta e vita marina in modo da non superare il naturale ritmo di rigenerazione e tutelare la salute degli ecosistemi.

f. Gestire l’estrazione e l’uso di risorse non rinnovabili quali minerali e combustibili fossili secondo modalità che consentano di ridurre al minimo lo sfruttamento e di non causare seri danni ambientali.

6. Prevenire i danni ambientali quale miglior mezzo di tutela dell’ambiente e, in caso di conoscenze non suf-ficienti, applicare un approccio preventivo.

a. Agire per evitare la possibilità di danni ambientali seri o irreversibili anche quando le conoscenze scientifi-che sono insufficienti o discutibili.

b. Dare l’onere della prova a coloro che sostengono che un’attività proposta non causerà danni significativi, e rendere le parti responsabili perseguibili per i danni ambientali.

c. Assicurarsi che i processi decisionali prendano in esame le conseguenze complessive, a lungo termine, indi-rette, a lunga distanza e globali delle attività umane.

d. Prevenire l’inquinamento di qualsiasi parte dell’ambiente e l’accumulo di sostanze radioattive, tossiche o altre sostanze pericolose.

e. Impedire le attività militari che deteriorano l’ambiente.

7. Adottare modelli di consumo, produzione, e riproduzione che rispettino e salvaguardino le capacità rigene-rative della Terra, i diritti umani e il benessere delle comunità.

a. Ridurre, riutilizzare e riciclare i materiali usati nei sistemi di produzione e consumo, e garantire l’assimilabi-lità di rifiuti e residui da parte dei sistemi ambientali.

b. Utilizzare l’energia in modo controllato ed efficiente, scegliendo in misura crescente le fonti rinnovabili, quali il sole e il vento.

c. Promuovere lo sviluppo, l’adozione e l’equo trasferimento di tecnologie ecocompatibili.d. Integrare gli interi costi ambientali e sociali delle merci e dei servizi nei prezzi di vendita, e consentire ai

consumatori di individuare i prodotti che soddisfano i più alti standard sociali e ambientali.e. Garantire l’accesso universale ad una assistenza sanitaria che promuova condizioni di riproduzione sane,

controllate e responsabili.f. Adottare stili di vita che diano importanza alla qualità della vita e ai mezzi necessari per vivere in un mondo

di risorse limitate.

8. Sviluppare lo studio della sostenibilità ambientale e promuovere lo scambio aperto e l’ampia applicazione delle conoscenze acquisite.

a. Sostenere la cooperazione internazionale scientifica e tecnologica per la sostenibilità, con un’attenzione particolare alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo.

b. Riconoscere e preservare in tutte le culture le conoscenze tradizionali e il patrimonio spirituale che contri-buiscono alla protezione ambientale e al benessere umano.

c. Garantire che le informazioni di importanza vitale per il benessere umano e la tutela ambientale, comprese le informazioni genetiche, siano disponibili per tutti in qualsiasi momento.

III. GIUSTIZIA SOCIALE ED ECONOMICA

9. La lotta alla povertà come dovere etico, sociale, economico e ambientale.a. Garantire il diritto di usufruire di acqua potabile, aria pulita, sicurezza alimentare, suolo incontaminato, pro-

tezione e condizioni sanitarie sicure, con la distribuzione delle risorse nazionali e internazionali necessarie.b. Consentire a ciascun essere umano di svilupparsi fornendogli istruzione e risorse adeguate ad assicurargli

uno stile di vita sostenibile e reti di previdenza sociale per coloro che non sono in grado di provvedere autonomamente al loro mantenimento.

c. Riconoscere gli emarginati, proteggere i più deboli, servire coloro che soffrono, e aiutarli a sviluppare le loro capacità e perseguire le loro aspirazioni.

10. Assicurarsi che le attività economiche e le istituzioni a tutti i livelli promuovano lo sviluppo umano in modo equo e sostenibile.

a. Promuovere un’equa distribuzione della ricchezza al livello nazionale e transnazionale.b. Incrementare le risorse intellettuali, finanziarie, tecniche e sociali dei Paesi in via di sviluppo e alleggerire gli

onerosi debiti contratti da tali Paesi a livello internazionale.

Capitolo II - L’architettura sostenibile

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c. Assicurarsi che le attività commerciali promuovano l’uso sostenibile di risorse, la tutela ambientale e nor-mative avanzate per il lavoro.

d. Richiedere alle imprese multinazionali e alle organizzazioni finanziarie internazionali di agire con trasparen-za nel bene pubblico, e ritenerle responsabili delle conseguenze delle loro attività.

11. Affermare l’uguaglianza e la parità tra i generi quale presupposto per lo sviluppo sostenibile e assicurare un accesso universale all’educazione, all’assistenza sanitaria e alle opportunità economiche.

a. Assicurare i diritti umani alle donne e alle ragazze e porre fine a ogni forma di violenza nei loro confronti.b. Promuovere la partecipazione attiva delle donne in tutti gli aspetti della vita economica, politica, civile,

sociale e culturale come decisori, leader, beneficiari e partner a pari e pieno titolo.c. Rendere le famiglie più solide e garantire la sicurezza e la cura attenta di tutti i membri familiari.

12. Difendere il diritto di ogni individuo, senza discriminazioni, a vivere in un ambiente naturale e sociale che sia di sostegno alla dignità umana, alla salute fisica e al benessere spirituale, con particolare attenzione ai diritti delle popolazioni indigene e delle minoranze.

a. Eliminare tutte le forme di discriminazione, connesse alla razza, al colore della pelle, al genere, all’orienta-mento sessuale, alla religione, alla lingua e all’origine nazionale, etnica o sociale.

b. Affermare il diritto delle popolazioni indigene alle proprie conoscenze e credenze spirituali, al territorio, alle risorse e ai tradizionali usi e costumi.

c. Onorare e sostenere i giovani delle nostre comunità per consentire loro di adempiere pienamente il fonda-mentale compito di creare società sostenibili.

d. Proteggere e rinnovare luoghi di rilevante valore culturale e spirituale.

IV. DEMOCRAZIA, NON-VIOLENZA E PACE

13. Rafforzare le istituzioni democratiche a tutti i livelli, e fornire trasparenza e affidabilità di governo, parteci-pazione completa ai processi decisionali, e accesso alla giustizia.

a. Difendere il diritto di ogni individuo a ricevere informazioni chiare e tempestive sulle questioni ambientali e su tutti i programmi e le attività di sviluppo che possono coinvolgerli o interessarli.

b. Sostenere la società civile locale, regionale e globale e promuovere la significativa partecipazione di ogni individuo e organizzazione interessati al processo decisionale.

c. Proteggere la libertà di opinione, di espressione, di riunione pacifica, di associazione e di dissenso.d. Istituire un accesso effettivo ed efficiente alle procedure amministrative e giudiziarie indipendenti, compre-

si i rimedi e le riparazioni dei danni ambientali e le minacce di tali danni.e. Eliminare la corruzione in tutte le istituzioni pubbliche e private.f. Rafforzare le comunità locali per consentire loro di prendersi cura dell’ambiente in cui vivono, e assegnare

le responsabilità per la protezione ambientale ai livelli governativi in cui possano essere svolte nel modo più efficace.

14. Integrare nell’educazione formale e nella formazione a vita il sapere, i valori e le abilità necessarie per uno stile di vita sostenibile.

a. Fornire a tutti, soprattutto ai bambini e ai giovani, le opportunità educative che rafforzino la loro capacità di contribuire attivamente allo sviluppo sostenibile.

b. Promuovere il contributo delle arti e delle materie umanistiche oltre a quello delle scienze nell’educazione alla sostenibilità.

c. Accrescere il ruolo dei mezzi di comunicazione nella sensibilizzazione sulle sfide ambientali e sociali.d. Riconoscere l’importanza dell’educazione morale e spirituale per vivere in modo sostenibile.

15. Trattare tutti gli esseri viventi con rispetto e considerazione.a. Proteggere gli animali domestici dalle crudeltà e sofferenze a cui sono esposti.b. Proteggere gli animali selvaggi dai metodi di caccia, di cattura e pesca che causano condizioni di sofferenza

estreme, prolungate o inutili.c. Prevenire o eliminare il più possibile la cattura o la distruzione indiscriminata di specie animali.

16. Promuovere una cultura della tolleranza, non-violenza e pace.a. Incoraggiare e sostenere la comprensione, la solidarietà e la cooperazione reciproca tra i popoli e tra le

nazioni.

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b. Attuare strategie complessive per prevenire i conflitti violenti e utilizzare strategie collettive di risoluzione dei problemi per gestire e risolvere i conflitti ambientali e altre dispute.

c. Smilitarizzare i sistemi di sicurezza nazionali portandoli a un livello di difesa non provocatorio, e convertire le risorse militari per scopi pacifici, quali il recupero ambientale.

d. Eliminare le armi nucleari, biologiche e tossiche e altre armi di distruzione di massa.e. Assicurarsi che dispositivi orbitali e spaziali vengano utilizzati soltanto per fini di tutela ambientale e man-

tenimento della pace.f. Riconoscere che la pace è l’insieme creato da rapporti bilanciati ed armoniosi con se stessi, con le altre

persone e culture, con altre forme di vita, con la Terra e con il più vasto insieme di cui tutti fanno parte.

Verso il futuroCome mai prima d’ora nella storia dell’umanità, un destino comune ci spinge a cercare un nuovo inizio. Tale rin-

novamento è la promessa di questi principi della Carta della Terra: per mantenerla dobbiamo impegnarci ad adottare e promuovere i valori e gli obiettivi della Carta.

Per raggiungere questo scopo, occorre una nuova disposizione mentale e spirituale, un nuovo senso di interdi-pendenza globale e di responsabilità universale. Dobbiamo usare tutto il nostro potenziale di immaginazione e di ingegno per sviluppare e attuare a livello locale, regionale, nazionale e mondiale la visione di uno stile di vita so-stenibile. Il nostro patrimonio culturale e la varietà delle sue forme sono un dono prezioso per tutti noi e le diverse culture sapranno trovare modi peculiari per realizzare tale visione. È nostro dovere approfondire ed estendere il dialogo mondiale da cui ha avuto origine la Carta della Terra, poiché la ricerca comune e continua della verità e della saggezza è fonte di nuove conoscenze ed esperienze.

Nella vita accade spesso di affrontare contrasti tra valori importanti e dover compiere scelte difficili. Nonostante ciò, dobbiamo trovare il modo per armonizzare la diversità con l’unità, l’esercizio della libertà con il bene comune, gli obiettivi a breve termine con quelli a lungo termine. Ogni individuo, famiglia, organizzazione, azienda e comunità ha un ruolo decisivo in questo progetto. Le arti, le scienze, le religioni, le istituzioni educative, i mezzi di comunicazione, le imprese, le organizzazioni non governative e i governi sono chiamati ad offrire la loro creatività, il loro sostegno e la loro guida per raggiungere l’obiettivo. L’azione congiunta di governi, società civile e comunità imprenditoriale è fondamentale per una gestione efficace.

Per poter costruire una comunità globale sostenibile, le nazioni del mondo devono rinnovare il loro impegno nelle Nazioni Unite, adempiere ai propri obblighi in base agli accordi internazionali in vigore, e sostenere l’attuazione dei principi della Carta della Terra con uno strumento giuridicamente vincolante sull’ambiente e lo sviluppo.

Il nostro compito è quello di rendere indimenticabile la nostra epoca per ciò che essa potrà offrire: un nuovo rispetto per la vita, un impegno energico e risoluto a realizzare la sostenibilità, un nuovo impulso alla lotta per la giustizia e la pace, e una celebrazione gioiosa della vita.

3.2. Concatenazione degli elementi: la storia del metanoSi può osservare l’estrema correlazione degli elementi presenti in natura, e conseguente-

mente la stretta interazione che ne permette la vita.Risulta quindi ovvio anche l’inevitabile legame che si crea anche in materia di inquinamen-

to.A dimostrazione di questo, si analizza un particolare elemento comune a tutte le risorse

naturali e presente in ogni forma di energia: il metano.

Acqua: Migliaia di Mld di tonnellate di metano sono imprigionate sotto il letto dei mari, incastra-

te nei ghiacciai, nelle torbiere2, nei laghi artici.

2 Torbiera: ecosistema di acquitrini e paludi dove la materia organica si riproduce più velocemente di quanto si decomponga. Torba: accumulo di materiale vegetale parzialmente decomposto.

Capitolo II - L’architettura sostenibile

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Acqua/suolo/aria: I depositi di metano si formano dal susseguirsi delle vicissitudini geologiche delle ere

dell’uomo, come residui storici dell’atmosfera primordiale, oppure come frutto dei lenti pro-cessi di decomposizione della materia organica (è lo stesso principio della formazione del petrolio e dei combustibili fossili, dai batteri specializzati) e sono localizzati per la maggior parte nei suoli artici o nel sottosuolo terreno.

Il processo che contribuisce all’aumentare della quantità di metano nell’atmosfera crea quello che si definisce un feed-back positivo, perché innesca un procedimento senza fine, che in pratica arriva ad autoalimentarsi.

L’aumento dell’anidride carbonica emessa riscalda l’aria e crea il così denominato effetto serra.

Il conseguente innalzamento della temperatura fa sì che gli oceani assorbano meno anidride carbonica e aumentino i processi di respirazione, a discapito di quelli di fotosintesi (non c’è la tra-sformazione in ossigeno della CO2

che quindi può solo aumentare perché non viene smaltita).Con una maggiore temperatura, i ghiacci si sciolgono (anche il permafrost, strato di terreno

perennemente ghiacciato), innescando un movimento verticale negli oceani causato dall’au-mento del volume dell’acqua stessa.Tale moto ondoso provoca lo smuoversi dei sedimenti intrappolati nelle acque e nei terreni oceanici, provocando la liberazione di gas, fra cui appunto il metano.

Affiorando in superficie e volatilizzandosi, tale metano a contatto con l’atmosfera trasfor-ma una sua parte in anidride carbonica, provocandone quindi l’aumento.

La suddetta CO2 essendo un gas serra, contribuisce al riscaldamento dell’aria, come già spiegato in precedenza.

L’aumento della temperatura quindi innesca ancora una volta il procedimento di respira-zione e scioglimento dei ghiacci, dando vita ad un circolo senza fine.

Una temperatura troppo alta nell’atmosfera provoca sconvolgimenti climatici per l’uomo e la natura, cambiamenti di habitat e cicli di vita, con effetti tendenzialmente negativi.

Si può osservare inoltre che lo scioglimento dell’Antartide ha diminuito del 75% la luce riflessa della calotta ghiacciata, dal momento che la superficie riflettente è ora minore, pro-vocando l’assorbimento della luce e del calore invece che la sua riflessione, e causando un ulteriore aumento della temperatura globale.

Si sottolinea quindi come sia inevitabile la concatenazione delle situazioni di aria/acqua/terra, e le conseguenze delle azioni che le legano reciprocamente e come risulti di fondamen-tale importanza la salvaguardia preventiva delle risorse.

3.3. Risorsa da salvaguardare: ariaL’aria e in particolare quindi l’atmosfera, è una delle più importanti risorse da salvaguarda-

re, da cui dipende strettamente la vita dell’uomo e della natura.Si deve conservare sia la purezza che la qualità, ovvero il livello di inquinamento e la tem-

peratura.

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Si può ridurre il riscaldamento globale evitando i combustibili fossili, distribuendo tec-nologie di sfruttamento di energie rinnovabili, diminuendo l’emissione di calore inutile con l’edilizia e con gli impianti di riscaldamento e di raffrescamento.

Se ad esempio l’edificio presenta un ottimo isolamento, non è quasi necessario l’impianto di condizionamento, e si evitano quindi, oltre ai consumi di energia, anche le immissioni di inutile e dannosa anidride carbonica all’esterno (si calcola che la maggior parte dell’inquinamento atmo-sferico è causato dal riscaldamento delle abitazioni, invece che dal traffico o dalle industrie).

La qualità dell’aria influisce naturalmente su tutti gli ecosistemi, ed è per questo che sareb-be necessaria una riconversione dei sistemi di produzione e consumo energetici, e anche delle strutture costruttive.

Con la canalizzazione delle ricerche e lo sviluppo tecnologico verso il potenziamento degli impianti ad energia rinnovabile, si può contribuire alla riduzione di inquinamento e riscalda-mento atmosferico, con le evidenti conseguenze.

La strategia migliore risulta essere in ogni caso la prevenzione di dispersioni termiche, con la progettazione di un ottimo sistema di isolamento: una muratura di circa 40cm, con uno strato di isolante di circa 6 o 7cm, con la struttura in blocchi di laterizio migliorato per una mi-gliore resistenza termica, può portare ad un notevole risparmio sulle dispersioni energetiche delle costruzioni, specie delle abitazioni.

3.4. Risorsa da salvaguardare: acquaÈ la risorsa forse più sfruttata, e quindi anche la più passibile di spreco e di inquinamento,

dal momento che spesso la riteniamo una energia infinita, sempre a disposizione.In realtà la disponibilità di acqua potabile è molto limitata, dal momento che la maggior

parte si trova intrappolata sotto terra o è salata.Risulta di fondamentale importanza quindi prenderne coscienza e cominciare ad evitare di

sporcarla o utilizzarla in modo inadatto.Con semplici accorgimenti o stili di vita consoni alla attuale situazione energetica, ma

soprattutto con il solo buonsenso, si possono ridurre notevolmente gli sprechi di acqua pota-bile, l’inquinamento delle falde, la perdita della biodiversità, si può evitare lo sconvolgimento degli equilibri naturali, e naturalmente anche influire sul benessere dell’uomo stesso.

Mentre la popolazione globale aumenta numericamente, le produzioni agricole e la loro circolazione vanno incontro ad una maggiore instabilità: il ciclo delle acque alterato significa una maggiore frequenza di episodi di siccità, di alluvioni, inondazioni, che minacciano quindi anche le attività economiche.

Si calcolano aumenti dei livelli del mare tra i 20 cm e i 50 cm, con l’innalzamento della temperatura di circa 2°C.

Il Mar Mediterraneo forse rischia al massimo di innalzarsi 20/30 cm, probabilmente per la differenza di salinità e pressione che la diga dello Stretto di Gibilterra esercita, al contrario degli oceani dove la pressione risulta maggiore.

Si osserva inoltre che i fattori di crescita dei mari sono lo scioglimento dei ghiacci e l’espan-

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sione termica causata dalle temperature in aumento: come quando l’acqua sta per bollire, il calore ne fa aumentare il volume.

Si deve anche considerare i fenomeni fisico-meccanici delle forze che modellano la terra: isostasia (l’alterazione dell’equilibrio delle rocce della crosta terrestre provoca movimenti ver-ticali, definiti appunto isostatici, che portano ad un nuovo equilibrio di forze interne; con lo scioglimento dei ghiacci i poli si alleggeriscono ed è come se si sollevassero, facendo sprofon-dare la fascia equatoriale e dando una forma di ovale quasi allungato alla sfera terrestre; le mas-se tendono a riacquistare l’equilibrio solo quando ad un’emergenza in superficie ne corrisponde una esattamente uguale e contraria al di sotto); eustatismo (è la variazione del livello medio dei mari e degli oceani per lo scioglimento dei ghiacci o il cambiamento di densità e composizione delle acque; l’effetto è l’avanzamento o l’arretramento delle acque stesse rispetto alle terre emerse); tettonica (è la deformazione della crosta terrestre, originata dallo scontro o dall’allon-tanamento delle placche continentali fra di loro, collegati a terremoti o attività vulcaniche).

I risultati di accurate ricerche pubblicate da numerose riviste scientifiche indicano che negli ultimi 2000 anni il livello medio del mare lungo le coste italiane è aumentato di circa 1,35 m.

L’Enea ha stilato una carta nazionale delle aree costiere a rischio e ne è risultata una map-pa di 33 zone dove l’invasione marina minaccia di accelerare l’erosione, aumentare la salinità degli estuari, esporre il territorio ad inondazioni sempre più frequenti, con gravi conseguenze per l’agricoltura che utilizza attualmente le falde di acqua dolce vicino alla costa.

La maggiore pressione delle acque marine si ripercuote sul corso dei fiumi, che quindi scorrono in modo meno spedito verso la foce e tendono a rompere gli argini più spesso.

Inoltre si ottiene la più frequente minaccia di diminuzione di acqua dolce, la vulnerabilità degli ecosistemi, l’aumento delle “bio-invasioni”, il deterioramento di sistemi naturali quali ad esempio la barriera corallina, e in genere del complesso delle risorse.

Dal momento che l’uomo è molto ingegnoso e adattabile ad ogni habitat, ci sono an-che soluzioni architettoniche che riescono ad ovviare al problema inondazione: in Olanda ad esempio hanno ideato alcune case galleggianti con uno scafo dal fondo piatto che aderisce al fondo del canale; se scoppia un’alluvione, la casa si solleva restando collegata alla rete idrica e a quella elettrica grazie ai collettori flessibili.

Si può dunque osservare la stretta relazione tra l’habitat dell’uomo, le sue esigenze ed il sistema idrico, e in particolare il forte legame tra i sistemi superficiali e quelli profondi, ele-menti fondamentali per permettere la totale vita sulla terra.

La relazione tra alveo fluviale e le falde è il processo di osmosi, una specie di fase di inter-scambio in cui il suolo si comporta da filtro.

Dalla stabilità dei rapporti di sfruttamento delle risorse da parte dell’uomo dipende la disponibilità di approvvigionamento delle risorse stesse. Se il rapporto è costante, anche le riserve idriche lo sono. Ma basta una piccola perdita dell’equilibrio o uno sfruttamento mag-giore, che si alterano tutti i processi naturali.

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Ad esempio, il bosco misto invece che una coltivazione estensiva o il disboscamento (in genere abusivo), accresce la biodiversità, dà stabilizzazione evitando l’erosione dei sottosuoli, dà la spinta antidilavamento al terreno.

Nel sottosuolo sono presenti le così definite acque giovanili, che risalgono verso l’alto, unite alle acque di deflusso sotterraneo. Queste ristabiliscono l’equilibrio idrodinamico verso il mare, con le acque salate che “spingono”: il loro apporto al mare è minimo, ma sufficiente a controbilanciarne la spinta.

Se non c’è l’equilibrio, si ha la penetrazione delle acque marine costiere, che sfondano e ri-empiono i sottosuoli del fiume: si crea così il cuneo salino. Si ottiene quindi la scomparsa dell’ac-qua dolce perché si mescola con quella salata e si ha la progressiva salinizzazione dei suoli.

Con tale fenomeno di salinizzazione, cambia l’humus dei suoli e se ne rischia un continuo abbassamento, cioè il fenomeno della subsidenza: si abbassa il suolo perché la differenza della densità dell’acqua (diventata salata e quindi più pesante) crea una maggiore pressione sul suolo.

Ovvero: se la pressione dell’acqua del mare aumenta, dove si incontra con l’acqua dolce dei fiumi tende a mescolarsi perché ha più forza, rendendo salato il terreno e appesantendo-lo, rischiando di farlo sprofondare.

Ci deve essere di conseguenza una precisa attività di pianificazione: per difendersi dalle piene eccezionali e per ripristinare l’equilibrio naturale tra acque di falda e profonde, è obbli-gatoria una nuova organizzazione del territorio e l’oculato sfruttamento delle risorse idriche.

Si deve acquisire il concetto di limitatezza dell’acqua, capire che non è infinita come si pensa, osservare che se diventa salata poi non si può trasformare in potabile a meno di co-stosi interventi, ma soprattutto strutturare il proprio tenore di vita in modo tale da garantire l’equilibrio tra sfruttamento e disponibilità sul territorio.

Se le città turistiche ricevessero solamente in base alla capacità delle falde e non in fun-zione del guadagno, se le zone residenziali fossero progettate tenendo conto delle caratteri-stiche dei suoli e della loro permeabilità e non su terreni abusivi (che, se sono tali, un motivo ci deve pur essere), se si diffondesse la cultura del risparmio casalingo e giornaliero dell’ac-qua tramite semplici accorgimenti come potabilizzatori, frangigetto, riduzione di sprechi tra lavandini, docce, vasche e rubinetti aperti inutilmente, se si disponessero tubazioni duali di fognatura e differenziate per acqua potabile e non potabile per riutilizzi vari, se si diffondes-sero le cisterne di raccolta dell’acqua piovana per l’irrigazione o usi agricoli o industriali con i relativi impianti, sicuramente la risorsa acqua non sarebbe così agli sgoccioli.

3.5. Risorsa da salvaguardare: suolo La vera scienza insegna quello che conduce alla vita, e disprezza quello che porta alla distruzione.J. Ruskin

È quello che dipende più strettamente dagli altri 3 elementi naturali, specie in materia di

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inquinamento: fa da filtro all’acqua, riceve gli scarti delle sostanze aeree, produce solo in base alle condizioni climatiche.

Essendo l’intervento dell’uomo l’unico responsabile degli effetti indotti, l’unica soluzione è provvedere all’urbanizzazione, alle coltivazioni e ai rifiuti in modo sostenibile.

Il suolo si considera quindi una preziosa risorsa da proteggere, ma al tempo stesso una fonte inesauribile di ricchezze da sfruttare.

In particolare, risulta di largo utilizzo e possibilità di sfruttamento la risorsa legno, in quan-to bio-sostenibile, ecologica e oculatamente rinnovabile.

Ha caratteristiche costruttive ed energetiche, da considerare anche come valenza termi-co-economica e rinnovabile: si può costruire fino a 7 piani (ha molta elasticità, quindi una struttura leggera che oscilla se sottoposta a scosse sismiche riesce a contrastarle bene e a non provocare danni di grave entità se dovesse cedere), può avere una forte prefabbricazio-ne, dà una maggiore sicurezza (anche sulla sicurezza incendi, in quanto se brucia, si consuma-no solo i primi cm esterni, ma l’interno non subisce danni; naturalmente poi la struttura che ha subito un incendio deve essere sostituita, ma almeno non si corre il rischio che collassi e crolli), ha un ponte termico quasi inesistente, ma si deve sempre proteggere dall’azione degli insetti.

Ha un’inerzia igroscopica molto alta: in altre parole, stocca l’umidità e la restituisce molto lentamente; per la pulitura si possono usare i carboni attivi, sfruttando l’enorme superficie di scambio gassoso.

Si ottengono ottimi isolamenti acustici e costi di prefabbricazione e montaggio piuttosto competitivi.

Ci sono solamente alcune regole costruttive da rispettare, fra cui protezione da agenti pa-togeni, evitare strati completamente impermeabili, ma soprattutto non inglobare l’elemento di legno nella muratura, perché si rischia di non farlo respirare e di non permettere all’umidità di uscire, causando solo uno stato di degrado.

Si possono individuare diversi caratteri che ne contraddistinguono le capacità.

Caratteri costruttiviLeggerezza, resistenza, rigidezza, stabilità dimensionale, durabilitàLe caratteristiche si distinguono anche in funzione di densità, stabilità di ritiro, resistenza

a compressione assiale, a flessione, tenuta dei chiodi, fessurazione, impregnabilità, essiccazio-ne, lavorabilità, incollaggio, disponibilità.

Per ovviare a problemi di grandi lunghezze da coprire con travi uniche, esiste anche il legno lamellare, formato da più strati sovrapposti incollati fra di loro (possibilmente con colle natu-rali), in modo tale da creare una resistenza maggiore alle sollecitazioni della struttura e poter costruire ambienti aperti senza l’ausilio di sostegni verticali, quali i pilastri.

Non tutte le essenze hanno le stesse caratteristiche e soprattutto nessuna le copre per-fettamente tutte; si devono quindi scegliere in base alla necessità costruttiva e all’architettura che si vuole ottenere.

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Caratteri bioclimaticiSono caratteristiche proprie del legno, e sono le capacità di regolare i processi di respira-

zione e fotosintesi, di mitigazione del clima, controllo di intensità e direzione dei venti, per l’incanalamento delle brezze estive, per la protezione da un eccessivo surriscaldamento o da venti troppo forti.

Le piante ed il terreno sono organismi vivi, senza i quali la vita non sarebbe possibile nel modo più assoluto; è importantissimo quindi riconoscerne le positive e fondamentali funzio-ni, ma soprattutto la dipendenza che l’uomo necessariamente ne ha.

Caratteri energeticiL’utilizzo forse più diffuso, almeno nell’immaginario comune, rimane in ogni caso come

combustibile. Si sono sviluppate in questo senso alcune tipologie di lavorazione degli scarti del legno, per ottenerne materiale energetico.

Non tanto nella forma di tronchi tagliati, quindi, ma si utilizzano proprio i pezzi scartati e il materiale di risulta delle lavorazioni, ridotti in piccole dimensioni per bruciare meglio.

I costi naturalmente sono in funzione della disponibilità, ma la sostenibilità ambientale è garantita.

Si possono trovare in tre diverse forme.Il pellet si distingue per la sua bassa umidità (meno del 12%), per la sua elevata densità e

regolarità del materiale. Si presuppone che il legno utilizzato sia da scarti non trattati con colle, vernici o corrosivi; sono prodotti con la polvere ottenuta dalla sfibratura dei residui legnosi, la quale viene pressata in alcuni cilindretti (di diametro di circa 7mm e lunghezza di circa 2cm), ottenendone piccoli pezzetti, compatti, maneggevoli e dall’alto potere calorifico. Sono indicati soprattutto per grandi o medi impianti.

Con gli scarti e le polveri più grossolane invece vengono prodotti i bricchetti, tronchetti pressati più grossi (diametro circa 7cm e lunghezza 30cm), il cui utilizzo alla fine è assimilabile a quello del legno in ciocchi tradizionali. Il procedimento di produzione non richiede collanti, dal momento che la compattazione avviene fisicamente con l’alta temperatura che si sviluppa durante tale processo.

Il cippato infine è composto da pezzetti di legno ricavati dagli scarti di segherie, più gros-solani, ma sempre da legni non trattati con sostanze inquinanti. Lavora in funzione del grado di umidità ed arriva a produrre un alto potere calorifico.

Si può inoltre osservare che una delle maggiori conseguenze della combustione dei bio-combustibili solidi è l’alto livello di emissioni di anidride carbonica; alcuni impianti trovano una soluzione in tecnologie di trattamento di post-combustione, dal momento che il monossido di carbonio (CO) presente durante la combustione primaria, se viene opportunamente miscelato con l’aria, a temperature elevate, brucia, ottenendo un livello di gas inquinanti notevolmente ridotto.

È importante infine sottolineare come il legno sia utilizzato nelle costruzioni per un buon

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isolamento termico, in forma di pannelli, chiusure, tamponature, per le strutture stesse, gli infissi, le veneziane, sia come materiale da riciclo che compattato (come ad esempio i pannelli di fibre di legno o il sughero, che però risulta piuttosto costoso).

3.6. Risorsa da sfruttare: soleÈ la fonte energetica rinnovabile per eccellenza; l’unica che forse se si sta consumando,

non è per colpa dell’uomo. È origine di luce, calore, energia da sfruttare in modo pulito, con un’attenta progettazione e accorgimenti formali. Sorge e tramonta ogni giorno in punti diversi e si ripresenta in punti precisi con cadenze annuali.

I locali dell’edificio adibiti ad usi diversi si distribuiscono in base alla luce e al calore, con dispositivi di schermatura per evitare il surriscaldamento eventuale. Le corrette soluzioni pro-gettuali si ottengono studiando la geometria solare, ottenendo quasi architetture “disegnate dal sole”; si studia la posizione e l’altezza del sole in ogni momento della giornata, in modo tale da vedere quali lati dell’edificio e in quali ore sono colpiti oppure no dai raggi, e regolare l’organizzazione interna ed esterna delle forme architettoniche.

Si osserva inoltre che le latitudini a Nord dell’Equatore hanno un’illuminazione simmetrica e inversa da quelle a Sud. La radiazione solare è tanto più diffusa, quanto più essa stessa è inclinata e quanto più l’atmosfera è pulita (la sua potenza energetica infatti si riduce da 1353W a 1000W, una volta attraversata l’atmosfera).

È importante notare che dal momento che il corpo umano irraggia e perde calore ceden-dolo ai corpi più freddi adiacenti, tale calore prodotto dal metabolismo deve costantemente uscire o essere trattenuto, a seconda della stagione.

Si deve quindi procedere al calcolo del fabbisogno termico per il raggiungimento di un comfort elevato all’interno degli edifici, tenendo conto di qualsiasi elemento influente, come la presenza del sole, l’azione del vento, la protezione o dispersione dal terreno, calcolare le dispersioni e poi procedere alle soluzioni tecnologiche migliori (un buon isolamento termico, la disposizione architettonica più vantaggiosa e lo sfruttamento di dispositivi di sfruttamento passivo ed attivo dell’energia solare).

Avendo già trattato del calcolo delle dispersioni e di come porvi un freno, e dei dispositivi solari, nella fattispecie di quelli passivi, non rimangono che alcune osservazioni su come i raggi solari incontrino le pareti di un edificio durante la giornata.

Parete nordÈ in assoluto la più fredda, perché irraggiata meno delle altre. Le aperture e i vani finestrati

possono contare solo su una porzione della radiazione durante la mattina, mentre nel pome-riggio è ridotta, così come la luce.

Tuttavia le pareti a Nord sono utili per le attività che necessitano di un’illuminazione indi-retta, cioè più diffusa, per ambienti di servizio, di passaggio o di sosta temporanea in inverno oppure più duratura in estate, in funzione anche delle esigenze degli utenti stessi.

È necessario limitare le aperture per evitare dispersioni, ma sfruttarle per la ventilazio-

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ne trasversale di aria fresca durante l’estate. Infatti avere finestre contrapposte (Sud-Nord) assicura piacevoli correnti agli ambienti, utili specie nella stagione estiva per il microclima interno (con la ventilazione si abbattono inoltre i rischi di formazione di condensa da umidità ed il surriscaldamento).

Parete sudÈ in assoluto la parete più soleggiata e quindi la più sfruttabile dal punto di vista energetico. I

contributi di luce e calore sono forti in primavera e si incrementano in estate. È necessaria quindi la progettazione di schermature che limitino l’azione solare durante le giornate più calde, stu-diando l’ombra, ma senza ridurre la luce, specie in vista del comportamento durante l’inverno.

Sono consigliabili dispositivi mobili e regolabili, oppure fissi ma disegnati con accortezza, seguendo l’inclinazione dei raggi e studiandola sia in estate che in inverno, per ottenerne protezione ma non oscuramento.

Parete estÈ quella dove sorge il sole, sacra agli antichi; ha buone condizioni di irraggiamento durante

tutto l’anno, di 6/7 ore in primavera-estate e circa 4 in inverno. La radiazione arriva la mattina, quando ha meno energia, mentre si sposta dalla parete a mezzogiorno, quando sarebbe più forte. Risulta quindi un’ottima esposizione per evitare il surriscaldamento dei vani ed il river-bero della luce (osservazioni utili anche per edifici scolastici, di servizio e per accorgimenti sulla psicologia dell’abitare).

Non è un caso infatti che spesso le serre solari abbiano un orientamento a Sud-Est, proprio perché in tal modo ricevono la maggiore quantità di raggi solari, ma senza il rischio di esserne colpite in modo diretto e di subirne l’eccessivo riscaldamento.

Parete ovestRiceve il sole da mezzogiorno al tramonto, rischiando più di tutte le pareti il surriscalda-

mento. Il sole del mattino infatti è più fresco in quanto influenzato dalla fredda notte, mentre nel pomeriggio ha la massa termica maggiore. Potendo quindi risolvere meglio i problemi dovuti al freddo, con l’impiantistica di riscaldamento già integrata, invece che al caldo con dispositivi di raffrescamento da inserire in un secondo momento, risulta consigliabile non esporre la zona notte ad occidente.

Per la corretta disposizione dell’orientamento e della volumetria, o per la corretta analisi in funzione di un intervento, si devono considerare anche i sistemi urbani, la presenza o meno di volumetrie adiacenti all’edificio in questione, l’orientamento delle strade, le ombre portate da aggetti o terrazze, soprattutto a Sud (sono quelle che costringono inevitabilmente all’illu-minazione artificiale).

Si ricercano quindi forme e sagome che permettano la massima permeabilità all’ener-gia solare, alla luce, con la protezione in ogni caso dell’ombra garantita, con l’attenta analisi dell’inclinazione dei raggi, come già in precedenza specificato.

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Infine, si possono risolvere problemi di schermatura e protezione anche con le pian-te a foglia caduca: in inverno l’assenza di fo-glie permette il passaggio della radiazione e l’irraggiamento del vano; in estate le foglie proteggono la finestra dai forti raggi solari, assorbendoli senza rifletterli.

Le pavimentazioni naturali chiare (pie-tra, terra) hanno lo stesso effetto, al con-trario di quelle scure e rugose, che invece attirano e riflettono il calore creando surri-scaldamento.

In inverno ed in estate; l’inclinazione dei raggi solari varia a seconda della località in cui ci si trova; è necessario dunque studiare esattamente dove il raggio cadrà all’interno della costruzio-ne, per progettare le forme volumetriche nel modo migliore e per sfruttare al massimo il calore e la luce gratuiti che il sole stesso fornisce. La sezione riportata fa vedere come una finestra disegnata in modo corretto permetta al raggio di passare e diffondersi nell’ambiente durante la stagione invernale (quando ne aumenta la necessità) e di essere frenato invece durante quella estiva (quando al contrario l’ombra ricopre una fondamentale importanza).

3.7. RiassumendoSi possono quindi racchiudere in un piccolo elenco i vari accorgimenti che sono necessari

all’ottenimento di un efficace e consistente risparmio energetico ed economico. Quando si ma-tura la consapevolezza che la salute dell’ambiente si riflette inesorabilmente su quella dell’uomo, che un’organizzazione basata su principi ecologici può solo creare uno sviluppo sociale in crescita continua, che la suddetta ecologia non può che portare benessere ai luoghi in cui si vive e che contribuire al risparmio delle risorse ottiene in conseguenza solo benefici e non sacrifici, allora qualsiasi di questi accorgimenti, sia da parte del progettista che dell’utente, saranno talmente radicati da diventare spontanei e quotidiani, accompagnati dalla conoscenza degli effetti positivi, gestiti con cognizione di causa e non più rappresentativi soltanto di una moda.

1° corretta ventilazione: per costante ossigeno e temperatura pareti (ridotta l’umidità, mi-gliora la qualità dell’aria)

2° risparmio idrico: per un uso consapevole di una risorsa a rischio (con accorgimenti im-piantistici e cultura del non-spreco)

3° luce naturale: per il risparmio di quella elettrica ed il benessere (dal Regolamento d’Igie-ne, anche con aperture a tetto, pozzi di luce)

4° inquinamento (elettromagnetico): per il benessere abitativo, analisi dei fattori di distur-bo, controllo degli elettrodomestici (studio della psicologia dell’abitare)

ESTATE 60°INVERNO 30°

Figura 6 - Schema dei raggi medi del solealla latitudine di circa 44°.

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5° materiali ecologici: vincolanti per la salute interna e ambientale (biodegradabili, di ori-gine naturale, riciclabili, non tossici)

6° isolamento termico: il più valido, per il risparmio energetico (pannelli a cappotto, dop-pi strati di parete in cartongesso o in piccola muratura, anche nelle ristrutturazioni, evitare dispersioni)

7° isolamento acustico: per la migliore qualità di vita nell’edificio (non solo in fase di pro-gettazione, per evitare disturbi dall’esterno)

8° tecnologia bio-ecologica: per ventilazione, sole, luce, calore (solare passivo, soluzioni ventilate, alte prestazioni energetiche struttura)

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CaPItolo III

l’energia dalla natura e per la naturadi Cecilia Armellini

1. energie rinnovabili e non rinnovabili

1.1. Per cominciare... un po’ di storiaL’uomo ha bisogno di calore ed energia per vivere e per dar vita a prodotti che possano

soddisfare le proprie necessità in modo sempre più efficiente e, nella continua ricerca delle fonti più facilmente disponibili e/o immediatamente soddisfacenti i propri bisogni energetici, ma soprattutto rassicuranti dal punto di vista degli equilibri economici e degli scenari politici, ha volutamente accantonato ogni riferimento all’ambiente e all’obbligo di equilibrio tra la sottrazione o l’inquinamento di risorse naturali e la loro capacità di rigenerazione per molto tempo. La sostenibilità, nell’occidente e nei paesi occidentalizzati, non ha, per lungo tempo, avuto accesso nelle stanze del potere qualsiasi fosse la sua forma, il suo colore e la sua loca-lizzazione geografica.

Motivazioni e filosofie, tanto religiose che economiche, hanno giocato un ruolo determi-nante nel cullare buona parte dell’umanità, magari numericamente inferiore ma sicuramente predominante nei settori dell’industria, della produzione e del commercio, nell’illusoria ipo-tesi di essere liberi di sfruttare a proprio piacimento le risorse del pianeta, date, altra ipotesi, liberamente a propria disposizione.

Porsi limiti allo sfruttamento della natura e dei territori, delle loro risorse in vista del per-mettere il permanere di altra umanità a venire alle stesse, o migliori, condizioni trovate, non è stata una preoccupazione per economisti, governi, imprenditori e società per lungo tempo.

I primi sospetti che non fosse proprio così e che si dovesse, cioè, in qualche modo ricre-dersi in merito alla capacità del nostro ambiente di sostenere lo sviluppo tecnologico ed eco-nomico così come si era andato configurando dalla Rivoluzione Industriale in poi, li troviamo espressi nel lungimirante pensiero di George Perkins March, nato nel 1801 e morto nel 1882 a Vallombrosa, ambasciatore statunitense in Italia, dove soggiornò e visse per 21 anni. Il suo libro Man and Nature e che lui avrebbe voluto intitolare Man the Disturber (non gli fu permesso dall’editore), contiene considerazioni le quali verranno riprese decenni più tardi dal Rapporto Bruntland.

Scrive, infatti: “l’uomo ha troppo dimenticato che la Terra gli è stata concessa soltanto perché egli ne tragga frutto e non la esaurisca, e tanto meno la devasti spensieratamente.”

Da March a oggi sono stati spesi fiumi di parole e di letteratura per motivare, demotivare, sostenere o affossare le ipotesi sulle quali si basavano, e si basano, politiche di governo ed economiche, guerre, trattati di pace ed economici, fintanto che qualcosa è veramente mutato. Un progressivo cambiamento dell’ambiente, e del clima, la diminuzione della libera disponibi-lità delle stesse risorse naturali, l’evidenza delle ripercussioni sull’ambiente e sulla salute degli

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impatti procurati dall’uomo, hanno dato vita a un ampio dibattito sempre più focalizzato sulla necessità di un cambio di rotta piuttosto che a mantenere l’attuale.

E ritorniamo in Italia, con il Club di Roma, voluto da Aurelio Peccei, economista e dirigente industriale, che nel 1972, alla vigilia della prima grande conferenza sull’ambiente umano delle Nazioni Unite, tenutasi a Stoccolma, fa uscire un rapporto commissionato al Mit, Massachu-setts Institute of Techonology. Il rapporto titolava The limits of growth – I limiti della crescita, banalmente tradotto in italiano con I limiti dello sviluppo.

Tre erano le conclusioni raggiunte dal rapporto che, per la prima volta, utilizzò modelli matematici ed elaboratori elettronici per definire in modo scientifico e tracciabile, i possibili scenari futuri dell’umanità. Eccoli: 1) nell’ipotesi che l’attuale linea di crescita continui inalterata nei cinque settori fondamenta-

li (popolazione industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l’umanità è destinata a raggiungere il limiti naturali della crescita entro i prossimi 100 anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale;

2) è possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare una condizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. La condizione di equilibrio globale potrebbe corrispondere alla soddisfazione dei bisogni materiali degli abitanti della Terra e all’opportunità per ciascuno di realizzare compiutamente il proprio potenziale umano;

3) se l’umanità opterà per questa seconda alternativa, invece che per la prima, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto più i fretta comincerà ad andare in questa direzione.

Quindi è evidente come la possibilità di svolta risieda in un sistema industriale e di consu-mo equilibrato tra l’aumento della popolazione e la possibilità di rigenerazione delle risorse utilizzate per i processi produttivi e di scambio e di autorigenerazione naturale dagli impatti generati dalle attività antropiche. Il tema energetico è evidentemente trasversale a tutte le aree di analisi del rapporto.

Tale rapporto verrà rimodulato dai suoi stessi autori nel 1992, in occasione della prima con-ferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro, più noto come il Summit della Terra, e dal quale uscirà, ricordiamo, il primo documento programmatico sulle politiche di tutela dell’ambiente, Agenda 21, insieme ad altri, non vincolanti (Carta della Terra, Convenzione sulla diversità biologica, Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, Forest Principles). Il riesame delle questioni affrontate nel primo rapporto porterà a dire che: 1) le attività dell’uomo hanno già superato la capacità di carico dell’ambiente; 2) se non si riducono in flussi di energia e materiali si andrà incontro a un prossimo e repen-

tino declino industriale, energetico, alimentare; 3) si può evitare questo scenario se si procede nel senso di una revisione critica dei processi

di produzione e consumo e se si va nella direzione dell’efficienza nella produzione e con-sumo sia tanto di energia che di prodotti;

4) una società sostenibile è, dal punto di vista tecnico ed economico, ancora possibile.

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Teniamo conto che dopo altri 12 anni, gli stessi autori, nuovamente, riprendono in mano il rapporto e lo aggiornano alla luce di quanto accaduto tra il 1972 e il 2004. Con questo nuovo rapporto si definisce in modo chiaro e inequivocabile che “abbiamo perso 30 anni in futili dibattiti”.

E che cosa era successo in questi anni? A dire il vero ne erano successe tante, ma poco o nulla era diventato operativo in senso pieno.

A cominciare, per esempio dal famoso Rapporto Our Common Future, ormai comune-mente denominato Rapporto Bruntland, del 1987 e al quale si fa sempre riferimento per la definizione di sviluppo sostenibile e, cioè, come di ciò che: “incontra i bisogni attuali senza pregiudicar l’abilità delle generazioni future nel rispondere ai loro”. E poi, ancora, la risolu-zione Onu, del 1988, che riconosce al cambiamento climatico il ruolo di centralità rispetto alle preoccupazioni comuni dell’umanità e, sempre nello stesso anno, la nascita dell’Ipcc, la Convenzione Internazionale per lo Studio dei Cambiamenti Climatici.

Tra i più importanti passi che si compiono in quegli anni c’è il Protocollo di Kyoto, uscito dal vertice di Kyoto, appunto, del 1997, all’interno dei lavori dei delegati della Convenzio-ne Internazionale per lo Studio dei Cambiamenti Climatici. I delegati sottoscrivono l’impe-gno alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, climalteranti, entro i valori del 1990, nell’arco temporale 2008-2012.

Con questo protocollo viene, una volta per tutte, sottolineata la responsabilità e centra-lità della questione energetica sul necessario ripristino di condizioni climatiche sostenibili. A tal proposito vengono stabiliti gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 equivalente da attuarsi con varie strategie tra le quali: efficienza negli usi finali e nella distribuzione, ricorso alla produzione di energia da fonte rinnovabile e i così detti meccanismi di sviluppo flessibili, ovvero puliti, capaci cioè di generare un mercato di scambio delle emissioni, o delle riduzioni di emissione, di unità di Ghg (gas a effetto climalterante) e di avviare uno sviluppo sostenibile nei paesi emergenti grazie all’interesse, da parte del settore industriale dei paesi industrializ-zati, a ridurre le proprie emissioni entro i limiti attribuiti dal protocollo di Kyoto stesso. Tutto ciò in vista della necessità di inversione di rotta del cambiamento climatico e di garanzia di accesso all’energia pulita e della sua distribuzione, e, quindi, al proprio sviluppo secondo pa-rametri di sostenibilità e democrazia, da parte di nazioni emergenti.

Solo nel 2005 il Protocollo viene ratificato grazie alla firma della Russia ma ancora ad oggi, 2009, siamo ben lontani dagli obiettivi fissati.

Parallelamente ai lavori internazionali, alle Conferenze delle Parti, ai protocolli, ecc ecc, si sono formate e diffuse varie teorie circa la vera interpretazione del concetto di sviluppo sostenibile con il risultato di ritornare al concetto espresso da GP. March, trovando conferma nelle parole usate dal Rapporto Bruntland, nel quale si vede però aggiunto il riferimento alla capacità di permettere la crescita dell’individuo e dei popoli e quello alla gestione, e non pro-tezione, delle risorse naturali. Questo preannuncia, quindi, la nascita di un nuovo modello di sviluppo: diffuso, decentrato, democratico, una vera rete relazionale tra saperi, conoscenze,

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risorse; uno sviluppo che punti all’efficienza di sistema e alla rinnovabilità e non esauribili-tà delle risorse, che punti a una visione sistemica dello sviluppo superando l’illusione della compartimentazione tra economia ed ecologia. E, poiché tutto ha bisogno di energia per muoversi, produrre, scambiare, ecc., ecco che il punto dal quale partire per cambiare il mo-dello di sviluppo tenuto ad oggi, è proprio l’energia. Quindi: meno energia per produrre di più! Muovere quindi meno materia e condividere e diffondere di più la conoscenza.

1.2. Fonti rinnovabili e non: prime definizioni e contesti socio-economiciNel 2001 la Comunità Europea vara il VI Programma di Azione Ambientale 2002/2010 Il

nostro futuro, la nostra scelta. Tra le quattro aree tematiche di intervento troviamo “Cam-biamento climatico – stabilizzare la concentrazione di gas serra ad un livello che non causi variazioni innaturali sul clima terrestre” per conseguire il quale viene considerato strategico, tra l’altro, il ricorso alle energie rinnovabili.

La differenza tra energie rinnovabili e non, sta nella loro riproducibilità in un tempo ap-prezzabile se riferito a quello di vita media umana e secondo processi naturali di rigenerazio-ne o meno. Quindi sono non rinnovabili le energie ricavate da materia fossile destinata, prima o poi, a terminare e la cui formazione, per quanto naturale, fa riferimento a tempi enorme-mente maggiori di quanto apprezzabile da un ciclo medio di vita umano e attraverso eventi di trasformazione profondi dell’ambiente. Il petrolio, il gas e il carbone sono esempi di tali risor-se. Si dicono invece rinnovabili tutte quelle fonti non fossili: solare, eolico, fotovoltaico, bio-masse, sono tutti esempi di fonti rinnovabili. L’energia prodotta attraverso processi di fissione nucleare è comunemente detta “alternativa”, alternativa, cioè, alle fonti fossili e, comunque, non rinnovabile in quanto i materiali radioattivi attraverso i quali la si produce hanno, comun-que, un proprio limite di presenza tra le risorse,comunque naturali, presenti sulla terra. Vale la pena riportare la definizione dedotta dal Decreto Legislativo n. 387/03, art. 2:

fonti energetiche rinnovabili o fonti rinnovabili: le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondo-so, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas). In particolare, per biomasse si intende: la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui prove-nienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonche’ la parte biode-gradabile dei rifiuti industriali e urbani.

Le fonti fossili richiedono impianti, per il loro sfruttamento in termini di raffinazione, tra-sformazione in energia termica e/o elettrica, localizzati, mentre le rinnovabili possono essere sfruttate secondo logiche di diffusione territoriale. La gestione, l’estrazione, la raffinazione e la distribuzione dell’energia da fonte fossile prevedono il ricorso a ingenti capitali, lo sfrutta-mento e il depauperamento dei territori estrattivi e di quelli destinati alla trasformazione. La formazione di trust e cartelli per lo sfruttamento di risorse fossili incide fortemente sui diritti e sulla sovranità delle popolazioni locali. Gli abitanti dei territori fatti oggetto di estrazione

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e/o trasformazione, vengono di fatto privati dei diritti di godere anche solo dei proventi della lavorazione dei terreni agricoli per il proprio sostentamento, il più delle volte forzatamente loro sottratti o più semplicemente resi inutilizzabili per le attività agricolturali e di poter ave-re accesso alla risorsa idrica, inquinata dalle attività estrattive e di trasformazione. Per tali po-polazioni è chiaramente interdetto, fatte salve ridotte porzioni dei vertici di potere, l’accesso ai proventi derivanti dall’estrazione, trasformazione, commercio delle risorse fossili presenti nei propri territori. È di fresca edizione, giugno 2009, una ricerca di Amnesty International sui problemi nel delta del Niger derivati, appunto dall’estrazione del petrolio, in gran parte (48%) operati da parte della Shell, ma anche da Total, Agip, Texaco, salvo se altri.

In tale studio sono illustrati i problemi per la popolazione residente e i devastanti impatti, derivati sia dalle lavorazioni che da eventi incidentali come rotture di tubi. In presenza di tali eventi è ricorrente il non procedere alla bonifica oppure, pur sottoponendo le aree a bonifica, eseguendola malamente, sommariamente e in tempi lunghissimi: in spregio al principio di “chi in-quina paga”. Il tutto condito dall’uso della violenza, della coercizione e della prevaricazione volti a impedire l’accesso alla giustizia e all’esercizio della propria sovranità da parte della popolazione.

Ma il delta del Niger non è, purtroppo, solo nella lista dei paesi in cui l’interesse di pochi la vince sui principi di rispetto della sovranità nazionale e delle risorse naturali. Potremmo citare ad esempio il Perù e i problemi che li sono derivati dal progetto Camisea per l’estrazione del gas naturale, gli impatti su tre aree protette ad altissima biodiversità.

Il protrarsi della lentezza con la quale poter integrare la produzione di energia, sia termica che elettrica, da fonti energetiche rinnovabili (Fer), aumenta i rischi di inquinamento non solo nei territori di estrazione delle fonti fossili ma anche in quelli attraversati dai percorsi di di-stribuzione siano essi infrastrutture come tubazioni siano essi rotte marine o terrestri. Disastri come il naufragio della Exxon Valdez nel 1989 con le sue 40mila tonnellate di greggio lungo le coste dell’Alaska o, ancora, quello della Prestige che nel 2003 si è inabissata al largo delle coste della Galizia (Spagna) disperdendo in mare circa 70mila tonnellate di greggio, devono farci riflet-tere sulla necessità di cambiare sistema di approvvigionamento e di produzione energetica.

Un modo pulito in tutte le sue fasi che premi l’efficienza e la mancanza di produzione di inquinanti di qualsiasi natura, in qualsiasi fase del processo produttivo, distributivo e usi finali. E serve un nuovo modo di pensare all’energia: un senso responsabile di domanda e una consape-vole offerta che siano espressione di un cosciente equilibrio tra quello che ci serve, quello che vorremmo e quello che possiamo avere, tenendo evidentemente come riferimento l’inversione di rotta per quanto riguarda i cambiamenti climatici in atto, la qualità dell’aria e delle acque, ma soprattutto un nuovo corso per quanto riguarda il riferirsi alla democrazia e a una equa distribu-zione dell’accesso alle risorse e dei flussi economici che devono, anch’essi, essere sostenibili.

Questi scenari sono facilmente realizzabili facendo riferimento a produzioni energetiche di tipo diffuso e rinnovabile, tali cioè da contestualizzare produzione e consumo di energia in una logica di efficienza e di riduzione delle perdite di rete. Ma soprattutto serve incidere profondamente la dipendenza energetica da configurazioni monopolistiche e di cartello.

La potenza e la forza dei singoli che, in un esercizio democratico ed equo della propria

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imprenditorialità energetica, si possono sviluppare attraverso il ricorso alla produzione de-centrata e distribuita di energia da fonte rinnovabile, sono, molto probabilmente, la leva più efficiente per conseguire, in breve tempo, nuovi scenari energetici e sociali capaci di invertire il senso di marcia nei cambiamenti climatici in atto, sia, e soprattutto, di costruire una consa-pevolezza distribuita e condivisa che faccia di una massa di consumatori, un esercito di auto-produttori consapevoli e attenti all’equilibrio tra produzione/consumo/ambiente.

1.3. Uso delle fonti fossili: il tempo sta per scadereNel corso degli anni ‘50, negli Usa, un geofisico americano, Marion King Hubbert, i cui

interessi erano rivolti alla valutazione della reale consistenza e alla previsione di durata della disponibilità delle risorse fossili, carbone e petrolio, presenti nei territori statunitensi, elaborò un modello fisico-matematico, che in seguito prese sinteticamente il nome di “Picco di Hub-bert”, capace di definire il picco massimo di produzione di una data risorsa. I suoi studi misero un fragoroso stop all’ipotesi di essere ancora distanti dalla fine delle risorse fossili. Il tempo e gli eventi previsti con il suo modello furono confermati nel corso degli anni ’70 con la consta-tazione dell’avvenuto raggiungimento del picco di produzione, e quindi della sua immediata diminuzione, dei giacimenti americani.

La crisi petrolifera del ’73 prima e del ’79 poi, definirono ulteriormente le ragioni del modello che fu così adottato in campo internazionale per altre realtà geografiche e per tutte le fonti fossi-li e, ultimamente, anche per lo studio della risorsa idrica. Si configurò in tal modo un quadro allar-mante della possibilità di mantenimento della centralità delle fossili nel panorama della produ-zione di energia termica ed elettrica. L’elaborazione del modello partiva dalla valutazione dei dati storici di estrazione, in prima analisi partì dai dati di una miniera di carbone della Pennsylvania, e, attraverso simulazioni e modelli matematici, costruiva il grafico dell’evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi risorsa minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata.

Il grafico presenta un caratteristico andamento a campana nel quale è distinguibile il picco che rappresenta il massimo della producibilità estrattiva. Dopo tale picco inizia la discesa della produzione, dapprima secondo un andamento più lento e, poi, molto più veloce. Ebbene secondo questa teoria, e le sue applicazioni, il picco si raggiunge, per tutte le risorse di tipo energetico, tra il 2006 e il 2020. Lo studio del Club di Roma, “I limiti della crescita”, del 1972, citato poc’anzi, raggiungeva le stesse conclusioni. Il modello fa comunque astrazione di riferi-menti al mercato e all’andamento dei prezzi, non considera quindi l’evoluzione del rapporto domanda/offerta e della relazione tra questo e la convenienza o meno a investire ancora nell’estrazione della risorsa seppur a costi maggiori, vista la maggior domanda del bene.

Pensiamo ora a quanto è centrale il fossile nei nostri scenari energetici attuali e avremo un’idea di quanto sia urgente una nuova gestione della questione a scala mondiale.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia, nel suo rapporto sugli scenari energetici del 2006, indica nella percentuale dell’83% la dipendenza dalle risorse fossili dell’aumento totale della domanda di energia. Fino al 2030, secondo lo scenario attuale, i fossili resteranno il nostro riferimento principale alla soddisfazione della richiesta di prodotti energetici.

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A questo scenario sono correlate le emissioni di CO2 in atmosfera che continuano a cre-scere invece che, come indica e prescrive il protocollo di Kyoto, diminuire. Sempre l’Agenzia Internazionale per l’Energia indica che le emissioni di gas climalteranti aumenteranno, tra il 2004 e il 2030, del 55%, pari all’1,7% annuo, con una incidenza pari ai 3/4, a partire dal 2010, da parte dei paesi emergenti.

Ma i termini della questione non sono solo nella dicotomia fossile/rinnovabile. Risiedono, purtroppo, in un terzo fattore al quale anche l’Italia, con il recente Decreto Legislativo del 9 luglio 2009, convertito in Legge n. 99/09, sta rivolgendo la propria attenzione: il nucleare.

1.4. Le perversioni visionarie del nucleareAnche per la risorsa nucleare è stato applicato il modello del Picco di Hubbert stabilendone

la fine delle possibilità di estrazione della materia prima necessaria alla produzione energetica per il 2055. Dati alla mano, secondo il World Energy Council, l’Uranio fissile continuerà a essere quindi disponibile per altri 40-50 anni, considerando l’uso attuale che ne viene fatto. Ovvia-mente, tale lasso di tempo nel caso di aumento di richiesta, verrebbe ridotto in modo consi-derevole. Attualmente il consumo annuale è nell’ordine di 70 mila tonnellate annue a fronte di una presunta disponibilità totale di 3,5 milioni di tonnellate. E’ evidente che la finitezza, ma soprattutto la pericolosità legata all’estrazione e lavorazione dell’Uranio235, non motiva certo gli ingenti investimenti necessari per la realizzazione di nuove centrali. Certamente gli investi-menti necessari sono considerevoli anche in considerazione del fatto che le tanto pubblicizza-te centrali di quarta generazione (come il Super Phoenix francese) si sono rilevate essere molto lontane nella loro realizzazione e forse più semplicemente un bluff tecnico. Quindi una even-tuale industria del nucleare che partisse adesso dovrebbe rifarsi a impianti di terza generazio-ne, più o meno quelli che sono in attività adesso, con le ben note problematiche e incognite.

Considerando i tempi per la realizzazione di centrali, ma soprattutto i loro costi ambientali di realizzazione e di mantenimento, anche, e soprattutto, dopo la chiusura delle attività di pro-duzione energetica, è evidente come tale scelta non sia affatto strategica se la consideriamo come risolutiva del soddisfacimento delle necessità energetiche planetarie. Inoltra giova ricor-dare che il nucleare soddisfa, o meglio, può soddisfare, la richiesta di energia elettrica ma non di quella termica se non pensando a localizzare le centrali nelle immediate vicinanze di inurba-menti. Inoltre: non è ancora risolto il tema delle scorie, non sono ancora state fornite risposte soddisfacenti alla enorme necessità di acqua per il processo di raffreddamento e, infine, non modifica il sistema di produzione e consumo (produzione localizzata, consumo distribuito).

Con il nucleare attualmente si soddisfa, a scala mondiale, il 15% dei bisogni elettrici, per l’Europa il 30%, con la previsione di scendere al 2030 al 13%. Considerando le restanti necessità, trasporti e residenziale, ci domandiamo per quanto ancora dovremo farci annichilire il cervello dalle più infondate fantascientifiche fandonie riguardo alla panacea atomica risolutiva di tutti i nostri problemi energetici. E se poi la chiave di volta della questione è la mancanza di emissio-ne di CO2 in atmosfera per la produzione diretta di energia elettrica da fissione nucleare, basti pensare a quanta ne verrà prodotta e immessa in atmosfera per la realizzazione dei materiali da

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costruzione necessari, cemento e acciaio per esempio, e la successiva gestione degli impianti stessi. (Fig. 7)

E per concludere se casomai venissimo edulcorati nei nostri giudizi verso questa devastante prospettiva da una previsione di minor spesa a kwh prodotto, risulta vero il contrario. Con i suoi 80 dollari a MWh il nucleare viene battuto dai 57,2 del gas a ci-clo combinato. Insomma: a chi fa comodo il nucleare? Non ai bisogni di tutti ma ai so-liti interessi dei soliti pochi i quali, però, di-spongono del pulpito giusto per adornare di autorevolezza una nefasta leggenda dei giorni nostri. E poi, comunque, c’è sempre l’incognita umana, l’errore stupido e piccolo che causa grandi disastri. Il disastro di Three Miles Island (1979) è, in parte, avvenuto per la mancanza di una spia nella strumentazione di controllo che indicasse la posizione di una valvola. Per gli operatori il comando era stato inviato ma non ci fu modo, per gli stessi, di verificare che effettivamente fosse stato eseguito. Ecco servita la frittata: contami-nazione ed evacuazione di 250.000 persone.

In pratica: se il principio di precauzione viene citato e tenuto in considerazione per far-maci, chimica, valutazioni di impatto ambientale anche per innocenti pale eoliche, se è il principio considerato la madre di tutte le tutele in campo ambientale e umano, come mai tale stesso principio non diventa dirimente per la realizzazione di impianti nucleari? Anzi perché non proprio a monte ovvero alla sola formulazione della proposta?

Ma le rinnovabili possono da sole soddisfare la richiesta di energia? E’ pensabile servirsi per la produzione di energia di quanto autonomamente si rigenera in continuo? La risposta è sì ma serve investire in tecnologia e responsabilità. Nel senso che, oltre a doversi riferire alle Fer (Fonti energetiche rinnovabili) è necessario cambiare i modelli di domanda di energia, andare oltre l’offerta energetica di tipo centralizzato, come è lo scenario attuale per il fossile e/o nucleare, evolvere, inoltre, il sistema produttivo fino alla riduzione a zero dei rifiuti comprendendo in tale avvicinamento allo zero la valorizzazione energetica degli stessi. È necessario andare fortemente nel senso dell’efficienza degli impianti e della realizzazione di un nuovo sistema di distribuzione dell’energia avvicinando la produzione energetica ai luoghi della domanda, cambiare il sistema dei trasporti e della logistica. E se vogliamo davvero utilizzare il nucleare perché non proprio la più grande centrale nucleare esistente di cui disponiamo? Perché non utilizzare il sole?

2. energia dalla natura: terra, acqua, sole e vento

2.1. Tanti nomi una sola origine: il soleProvocatoriamente il sole è l’unica madre di tutte le rinnovabili presenti sulla terra. Po-

Figura 7

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tremmo dire anche acqua, vento, biomasse etc ma senza il sole tutto questo non ci sarebbe o meglio non potrebbe generare quelle condizioni che hanno permesso il nascere della vita e il suo perdurare (Fig. 8). È il sole infatti che, riscaldando la terra e l’acqua, crea il movimento di masse di aria e le correnti oceaniche sfruttandone il moto ondoso e le maree per la pro-duzione di energia. E parimenti è il sole che permette il generarsi e il riprodursi di biomassa, è il sole che dirotta masse di acqua in forma di vapore e le rilascia in forma di pioggia o neve che alimentano fiumi che possono, premesse questioni imprescindibili di progettazione so-stenibile, essere sbarrati per la creazione di dighe. E, in fondo, è sempre lo stesso sole che ha permesso il crearsi di quella biomassa che, inclusa nella crosta terrestre, ha generato le fonti fossili. Un pericoloso vaso di Pandora di CO2 che noi abbiamo liberato facendo della nostra terra un enorme termovalorizzatore di remoti rifiuti organici che adesso vagano intorno alla terra sotto forma di gas, incapaci di sfuggire alla gravitazione terrestre ma capaci di impedire l’uscita del calore rimandato dalla terra verso lo spazio. Il flusso continuo di entrata e uscita di energia si è interrotto: la radiazione solare entra, riscalda e riscalda sempre di più poiché, sinteticamente, i gas climalteranti presenti nell’atmosfera ne impediscono l’uscita.

Ogni anno il sole invia sulla terra una quantità di energia pari a 10000 volte quella ne-cessaria ai consumi umani. Usare questa energia, secondo logiche di risparmio e di efficienza energetici, vorrebbe dire fare della nostra umanità un’umanità a “emissioni zero”, ovvero che vive, produce e consuma senza emettere gas climalteranti e rientrando in quelle condizioni climatiche che permettono il mantenimento delle condizioni ottimali per il proseguimento della vita umana. In fondo i nostri comportamenti non stanno compromettendo tout court la vita su questo pianeta ma solo questo tipo di vita. Il nostro pianeta ha ospitato, e potrà ancora farlo, altri sistemi naturali che non prevedono l’uomo e la sua organizzazione (ma è veramente un’organizzazione quella dell’uomo o una disorganizzazione messa a sistema?). Ad oggi sono 4500 milioni di anni che la Terra vive e, in modi diversi, andrà avanti ancora per altri 3500, più o meno: cosa sono questi miseri 2 milioni di anni di evoluzione dell’uomo? Ma pensiamo che

è solo negli ultimi 250/280 anni che abbiamo scombinato tutto: dalla Rivoluzione Industriale in poi. È tempo di costruire il diritto alla nostra sopravvivenza in termini sostenibili.

Analizzeremo ora le singole fonti di energia rinnovabili illustrando, seppur sinteticamente, le tecnologie e le tecniche del loro sfrutta-mento. Prima abbiamo distinto le fonti energe-tiche in rinnovabili e non. Introduciamo adesso una ulteriore distinzione tra diverse fonti di energia. Si parla molto spesso di fonti prima-rie e secondarie: che cosa indicano questi due termini? Fanno riferimento alla modalità della Figura 8

Capitolo III - L’energia dalla natura e per la natura

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loro disponibilità. Le fonti energetiche primarie sono quelle definibili come le materie prime energetiche che comprendono proprio tutte le materie sfruttabili per la produzione di ener-gie, il gas come il carbone, per esempio, ma anche quei fenomeni naturali, come il vento, la radiazione solare, che possono, parimenti, essere utilizzati per la produzione di energia. Le fonti energetiche secondarie sono quelle invece ottenute per trasformazione delle primarie e vengono chiamate anche “vettori energetici”, un esempio per tutti: l’energia elettrica. Bene è interessante notare che dalle fonti primarie alle secondarie, fino agli usi finali, il rapporto che lega la quantità di energia presente all’inizio della filiera a quella usata alla fine della stessa, ovvero all’energia utile, è, fatto 100 il riferimento all’energia primaria, del 25%.

2.2. Acqua: idroelettrico/moti ondosi/maree/gradiente salino/termicoA tutt’oggi è la fonte rinnovabile maggiormente utilizzata per la produzione di energia

elettrica ed è senz’altro quella che vanta una storia più lunga fra le altre. Nel mondo il 20% dell’energia elettrica viene prodotta da impianti idroelettrici, in Europa l’11%, in Italia il 14%.

Certo è che il cambiamento climatico in atto produrrà variazioni tra zone e zone del glo-bo in quanto a disponibilità idrica e conseguentemente anche nella producibilità elettrica da idro.

Lo sfruttamento dell’energia potenziale gravitazionale trasformata in energia cinetica con-tenuta in masse d’acqua poste in quota o canalizzate in condotte forzate, detto ad acqua fluente, e, quindi, grazie ad alternatori e turbine, in energia elettrica, sono i sistemi più diffusi di sfruttamento energetico della risorsa idrica.

In realtà, per quanto l’utilizzo delle dighe ai fini energetici rappresenti uno dei metodi da più tempo utilizzati per ottenere energia elettrica, è pur vero che i suoi impatti sull’ambiente e sul tessuto sociale sono rilevanti e, in alcuni casi, devastanti. Le grandi masse d’acqua che vengono racchiuse in invasi artificiali sottraggono a molte popolazioni terreni fertili da colti-vare, interi paesi scompaiono sotto l’acqua e gli abitanti delle vallate e delle aree invase dalle acque vengono “delocalizzati”, come nel caso della più recente Diga delle Tre Gole in Cina, oppure, come nel caso italiano del Vajont (1963), muoiono per problemi di cedimento idroge-ologico e conseguente inondazione. Insomma “vittime dell’idro”.

In quanto recente, è stata inaugurata nel corso del 2006, merita due righe la summenziona-ta Diga delle Tre Gole. Lo sbarramento del Fiume Azzurro, (o Yangtse o Chang Jiang, tutti e tre i nomi si riferiscono allo stesso fiume), voluto non solo per richieste energetiche ma anche per rendere il fiume navigabile in modo continuo e per limitare danni dovuti ad alluvioni, ha pro-dotto, secondo le stime cinesi ufficiali, circa 1.200.000 sfollati, anche se, secondo varie asso-ciazioni umanitarie, il numero è prossimo ai due milioni; innumerevoli siti archeologici (1400) e centri urbani sono andati perduti sotto l’imponente massa d’acqua, ecosistemi distrutti e, inoltre, la sparizione del lipote, un delfino d’acqua dolce, a causa, comunque, non solo della costruzione della diga ma anche della navigazione e soprattutto dell’inquinamento delle ac-que (Fig. 9). Certo è che, a far data dalla sua messa in funzione, verranno prodotte circa 84,7 miliardi di kilowatt ora all’anno, che rappresentano il 3% della domanda di energia della Cina,

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prodotta, per circa il 75%, con il carbone, risparmiando l’immissione in atmosfera di circa 50 milioni di tonnella-te di anidride carbonica.

Alcuni studiosi della Nasa, inoltre, hanno ipotiz-zato che la concentrazio-ne di questa massa d’acqua

provoca il ritardo della rotazione terrestre, e un allungamento della durata del giorno di 60 miliardesimi di secondo.

Per la storicità dell’uso della forza dell’acqua per trarre energia o comunque per aiuta-re l’uomo nello svolgimento del proprio lavoro, come per esempio i mulini ad acqua noti fin dall’antichità, possiamo parlare dell’idroelettrico come di una fonte rinnovabile di tipo tradizionale, insieme alla geotermia, al confronto con le più innovative che fanno riferimen-

to al sole (solare termico e fotovoltaico), all’eolico e alla biomassa nelle sue decli-nazioni di biocarburante e bioliquidi in genere (Fig. 10).

Il nostro sistema ambientale è un si-stema complesso e non è pensabile che un’azione non provochi variazioni in altre parti dello stesso sistema.

In conclusione: il fatto di ricorrere a fonti energetiche rinnovabili non esclude che gli impianti debbano essere progetta-ti e realizzati secondo logiche di sosteni-bilità, di pianificazione e programmazio-

ne, di attenta analisi degli impatti sull’ambiente e gli ecosistemi, soprattutto completando l’ipotesi progettuale con l’impegno alla trasformazione della domanda di energia in termini di risparmio ed efficienza complessivi.

Tipologie di impianti idroelettriciGli impianti che traggono energia da fonte idrica possono essere classificati in:

– idroelettrico da sbarramento e sfruttamento dei salti o per convogliamento in canalizza-zioni forzate;

– sfruttamento del moto ondoso dei mari e delle maree;– sfruttamento del gradiente termico e salino.

Per quanto riguarda il primo esempio si tratta, come già accennato poc’anzi in sbarramenti

Figura 10

Figura 9

Capitolo III - L’energia dalla natura e per la natura

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realizzati in zona montuose o che comunque si prestano per conformazione orografica a con-tenere grandi masse d’acqua in bacini artificiali. L’acqua in uscita da condotte appositamente realizzate aziona turbine che così vengono poste in condizione di generare elettricità attra-verso un alternatore.

Un tipo diverso di idroelettrico è quello detto ad acqua fluente ovvero che utilizza diret-tamente il flusso di acqua in percorrenza nel corpo idrico superficiale. Mentre per la prima tipologia di impianto esiste la possibilità di regolare il flusso di acqua e quindi di mantenere costante la produzione di energia, per la seconda tipologia tale opportunità non è percorribi-le, in quanto il tutto è affidato alla portata del fiume, suscettibile delle variazioni stagionali.

In ambedue i casi l’acqua viene rilasciata a valle dell’impianto di produzione energetica senza produrre alterazione della portata complessiva del corpo idrico ma perturbando, nei casi di grandi impianti, l’equilibrio dell’ecosistema preesistente dovuto alla trasformazione delle caratteristiche naturali dei siti.

Lo sfruttamento della forza maremotrice, o delle maree, invece, ha bisogno di sbarramen-ti artificiali tali e quali alle dighe, la differenza è che le turbine lavorano sia in entrata che in uscita delle masse di acqua. In pratica si sfruttano i movimenti di acqua dovuti all’effetto delle maree per includere in sbarramenti artificiali grandi masse d’ac-qua. Durante le fasi di alta marea l’acqua viene fatta affluire dentro bacini e, all’in-versione del movimento di marea, l’acqua viene rilasciata. I due movimenti, entrata e uscita, vanno ad azionare delle turbine che producono così energia. Tali impian-ti hanno comunque un notevole impatto sull’ambiente e influenzano i movimenti di erosione costiera (Fig. 11).

Per quanto riguarda lo sfruttamento del moto ondoso del mare le possibilità possono distinguersi in:1. localizzazione verticale sommersa,2. localizzazione orizzontale galleggiante,3. localizzazione su piattaforma o di costa.

Il primo caso sfrutta l’innalzamento e l’abbassamento di colonne d’acqua dovute al passag-gio di onde. Gli elementi sono come dei pistoni e cilindri, fissati al fondo marino, che, grazie alla variazione di pressione che si crea con l’azione di innalzamento e rilascio delle masse d’acqua dovute al moto ondoso superficiale, creano energia con il movimento di relativo in-nalzamento e abbassamento della parte mobile del meccanismo. L’energia meccanica che ne deriva viene trasformata in energia elettrica grazie ad un generatore. La potenza ideale di

Figura 11

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Page 105: Lʼambiente conviene!A livello di contenuti sono stati individuati quattro grandi macro-temi: l’ambiente e le sue problematiche, la bio-architettura, le risorse energetiche e infine

questi impianti, di cui esiste un realizzazione funzionante lungo le coste del Portogallo, è di circa 2 MW.

Il secondo caso sfrutta il fronte d’onda, è un corpo galleggiante e presenta qualche problema per la sicurezza della navigazione. È costituito da una serie di cilindri: investiti dalle onde si azio-nano dei pistoni. Questo movimento in continuo produce energia. L’ultimo esempio è quello relativo a impianti che sfruttano non tanto la massa d’acqua quanto la compressione e decom-pressione che le onde provocano all’interno di una camera in calcestruzzo o acciaio, posta lungo la costa o su piattaforme poste in mare. Tale spostamento d’aria aziona un tipo particolare di turbina, chiamata Wells, che produce energia. La particolarità sta nel fatto che la differenza tra la compressione e la decompressione di aria non inverte il meccanismo della turbina che ruota, quindi, sempre nello stesso verso non risentendone la produzione di energia elettrica.

Infine il mare può essere sfruttato per il gradiente termico e salino. Nel primo caso si sfrutta la differenza di temperatura tra la superficie e la profondità. Il

calore delle acque superficiali fa evaporare un liquido contenente ammoniaca, questo vapore mette in funzione una turbina che produce elettricità, la temperatura maggiormente fredda delle acque di profondità riporta allo stato liquido il gas che si è ottenuto dall’evaporazione del liquido termovettore e il ciclo riprende.

Nel secondo caso, gradiente salino o energia osmotica, l’energia la si ottiene dalla diffe-renza nella concentrazione del sale fra l’acqua di mare e l’acqua dolce (per esempio alla foce di un fiume). Fino a qualche tempo fa l’ostacolo era dovuto al costo delle membrane ma ulti-mamente, con l’uso del polietilene, i costi di realizzazione si sono abbassati.

In realtà il mondo delle rinnovabili non conosce limiti e quanto descritto sopra è solo una piccola parte di quanto è in studio o in progettazione. Provatevi a immaginare che so, una pala eolica in acqua…ci stanno già pensando!

2.3. Vento: eolicoOra pensiamo invece al vento e alle bistrattate, amate, odiate, controverse pale eoliche.

Più correttamente parliamo di aerogeneratori. Quanti di voi non sono inciampati in almeno un articolo allarmante su impianti eolici, sugli

impatti che questi slanciati oggetti provocano sul paesaggio e sulla fauna? Quanti di voi si sono trovati a non sapere più a chi credere? Rendono, non rendono, sono convenienti, non lo sono affatto, e via su questo tono… In realtà l’eolico, attualmente, è la fonte tecnologicamen-te più matura e altamente produttiva per quanto riguarda la produzione di energia da fonte rinnovabile di cui possiamo disporre in questo momento.

Va detto che, specie per l’eolico di grande taglia (da 800 kW in poi) gli elementi che com-pongono un aerogeneratore raggiungono 90-140 metri di altezza (comprese le pale), devono stare dove c’è vento, non si possono mimetizzare. Ma producono energia, la producono puli-ta, ne producono molta, non emettono CO2 e, infine, sono estremamente efficienti.

I primi impianti, localizzati in aree non idonee allo scopo in quanto poste in ambiti privi-legiati per quanto riguarda l’avifauna, nidificante o migrante, realizzati con tecnologie ancora

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tutte da sviluppare, hanno sicuramente prodotto danni. Il danno più importante è stato quello di aver dato forza a un’immaginario collettivo negativo di questa tecnologia. Ci riferiamo in particolare all’im-pianto californiano di Altamont Pass (Fig. 12). Nato nei primi anni ’70 e costituito da 4900 piccole pale eoliche montate su torri a traliccio in un’area vocata alla caccia da parte di rapaci, la sua localizzazione ha provocato e provoca numerose morti nell’avifauna. Progressivamente sono state in gran parte sostituite con altre più alte, con un moto più lento, più effi-cienti in termini di produzione e meno impattanti per la popolazione avifaunistica. Da quei primi impianti, molto estesi e importanti tanto per la potenza di energia installata, quanto per gli impatti derivanti alla popolazione avifaunistica hanno avuto origine le nuove leggende cir-ca l’estrema pericolosità e bassa redditività degli impianti. Ma, ora, la situazione è diversa. La tecnologia ha raggiunto livelli eccellenti di perfezionamento per quanto riguarda le tipologie tradizionali, ad asse orizzontale e verticale, e, anzi, sta progredendo nel senso dell’innovazio-ne come nel caso del KiteGen il quale, oltretutto, è nato in Italia.

Va detto che l’eolico si presta a essere inserito, variandone le taglie, da piccoli impianti a uso domestico a grandi installazioni, in molti contesti non necessariamente crinali o litorali. Può essere inserito in strutture edili integrandosi con la progettazione stessa del corpo di fabbrica, può diventare un valido supporto per la produzione energetica in aree non servite dalla rete come per esempio piccoli insediamenti rurali o montani sparsi, così come in aree industriali.

Attualmente la crescita dell’eolico è, in tutto il mondo, esponenziale, e dimostra ogni giorno di più, la propria importanza nel quadro del raggiungimento degli obiettivi di riduzione della produzione di CO2 in atmosfera e di abbandono delle fonti fossili.

È noto che sono ormai diverse le giornate in cui paesi come la Spagna la Danimarca e la Germania, per particolari condizioni meteo, la producibilità da aerogeneratori ha superato quella da fonti tradizionali.

Le tecnologie che caratterizzano l’eolico sono essenzialmente nate con lo sfruttamento della forza dell’acqua, il nonno dell’aerogeneratore è, infatti, il mulino ad acqua, e possono essere divise in tre grandi classi:1) eolico ad asse verticale2) eolico ad asse orizzontale3) eolico in quota

Eolico ad asse verticaleQui di seguito diamo alcune descrizioni sintetiche delle tecnologie di aerogeneratori ad

asse verticale.

Figura 12

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1) Savonius (Fig. 13)La tipologia Savonius, che prende il nome dal suo

inventore S.J. Savonius (anno dell’invenzione 1929), trova la sua applicazione ottimale come aeropompa. La sua particolarità risiede nella possibilità di auto-produzione con la semplice divisione in due lungo l’asse verticale, per esempio, di un bidone. Le due se-zioni così ottenute sono poste su dischi in modo da formare una “S” e fissate a un asse verticale tale da permettere la rotazione. Si presta a entrare in fun-zione anche con venti debolissimi ma la parte di pala che offre il proprio retro al vento rallenta l’altra po-sta in favore di vento. Questo abbassa notevolmente la resa energetica dell’oggetto. Altro fattore limitante è che la velocità che l’aeropompa Savo-nius può raggiungere non potrà mai essere superiore a quella del vento e, inoltre, che la resa migliore è proprio con venti deboli. Detto questo risulta evidente che per tale tipologia di macchina l’uso maggiormente efficiente non è tanto quello di produrre energia quanto piut-tosto quello di piccolo pompaggio di acqua. Sono comunque allo studio miglioramenti della tecnologia. Attualmente il rendimento che si riesce a raggiungere è inferiore al 25%.

2) Winside Prodotte in Finlandia, slanciate, contenute nel profilo, adatte a essere inserite anche in

contesti urbani. La loro caratteristica forma a doppio nastro le rende accattivanti come design complessivo. Estremamente efficienti, indifferenti in termini di produttività energetica alla direzione del vento.

3) Darrieus (Fig. 14)Dalla caratteristica forma a fuso o ad “H”, hanno il

problema dell’avvio che può richiedere energia in en-trata, ma hanno un regime di rotazione molto alto.

4) KoboldÈ una variante della Darrieus, la differenza con-

siste nella possibilità che hanno le pale di porsi in modo tale che, nella fase passiva, non offrano resi-stenza al vento, migliorando, quindi, la capacità di estrazione di energia.

5) Tornado Like (Fig.15)Ultimo tipo di aerogeneratori, ultimi proprio in quanto a nascita, devono essere ancora

messe in produzione, è il Tornado Like. Assolutamente innovativo come design e tecnologia, si

Figura 13

Figura 14

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tratta di un aerogeneratore senza pale: è un elemen-to di base a forma tronco conica superiormente al quale è posto un altro corpo, sempre a forma tronco conica cava. Le superfici interne sono lavorate come quella delle palline da golf. Tale lavorazione permet-te alle correnti di vento che entrano tra le due forme tronco-coniche di aumentare la velocità del vento. Le dimensioni sono di circa 6 m di altezza per 3 di diametro.

Eolico ad asse orizzontaleGli aerogeneratori che vengono autorizzati negli ultimi tempi in Italia sono del tipo ad asse

orizzontale. Sinteticamente sono così composti: le pale, in genere tre, sono collegate a un moz-zo, costituendo il rotore. Il mozzo è collegato all’albero lento, che ruota alla stessa velocità del rotore, di seguito a un moltiplicatore di giri che, a sua volta, è collegato all’albero veloce la cui velocità è data dal prodotto della velocità dell’albero lento per il moltiplicatore di giri. All’al-bero veloce è collegato un freno e, di seguito, il generatore elettrico da cui partono i cavi. Tutte le componenti che abbiamo elencato, escluso mozzo e pale, sono alloggiate all’interno della navicella che, grazie a un cuscinetto, ruota in relazione alla direzione del vento o della necessità di stop nel caso in cui la velocità del vento abbia raggiunto il limite oltre il quale diventa inso-stenibile la produzione di energia (maggiore di 25 m/sec). Infatti nella navicella sono ospitati due sistemi di controllo: uno di potenza e uno di imbardata: il primo serve per permettere il funzionamento dell’aerogeneratore il più possibile vicino alla potenza nominale e di interrom-perlo nel caso di vento eccessivo, il secondo permette il mantenimento della direzione dell’asse orizzontale del meccanismo (gondola più mozzo e pale) parallela a quella del vento.

Tutta la navicella è poi posta sul sostegno verticale, chiamata torre, che, dai primi elemen-ti a traliccio, adesso è comunemente realizzata come un tubolare, in acciaio. Il tutto poi è col-legato al terreno a mezzo di un colletto, sempre in acciaio, collegato alle fondazioni realizzate a seconda delle caratteristiche del terreno (Fig. 16).

Quasi tutti gli aerogeneratori partono a circa 2-3 m/sec di velocità del vento, detta an-che velocità di cut in, e si fermano, come si è detto, alla velocità di 20-25 m sec, posizione di stallo.

A seconda della forma delle pale le stesse si classificano in sot-tovento o sopravento.

Va detto che, a seconda delle taglie, e degli usi, degli aerogenera-tore gli stessi sono dotati o meno di componenti e affinate nella re-

Figura 15

Figura 16

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alizzazione. Non dimentichiamoci che l’eolico ad asse orizzontale è quello che si presta ai grandi impianti in mare aperto gli off shore.

Eolico in quotaQui entriamo nel futuro futuribile…. In pratica il vento viene catturato ad alta quota at-

traverso sistemi di aquiloni dalle forme molto vicine a quelle dei paracadute da parapendio. Attualmente sono alla fase di sperimentazione varie tipologie di eolico in quota. Ultima pro-posta, per esempio, è quella relativa a un dirigibile che intercetti il vento in quota e che tra-smetta l’energia a terra. La cosa ha sbigottito un po’ tutti: staremo a vedere.

In fase avanzata di sperimentazione e di natali italiani parleremo, invece del Kitegen. Il funzionamento è dovuto al movimento sali-scendi di un aquilone, dalla forma tipica dei para-cadute da parapendio, collegato a un lungo stelo.

Il movimento di andata e ritorno dell’aquilone permetterà ad alternatori, posti a terra, di produrre una gran quantità di energia. Il volo, regolato in remoto da sistemi sofisticatissimi di controllo e gestione delle fasi di salita e ritorno, arriva fino a 800 metri di altezza da suolo. Gli alternatori sono di 3 MW di potenza, il numero di ore di esercizio circa 5000, un numero elevatissimo, più del doppio, di quanto ottenibile con i classici aerogeneratori ad asse oriz-zontale. È in fase sperimentale e l’ideatore, Ippolito, italiano, pensa a due anni per la messa a punto e la produzione, comprese le sperimentazioni su campo già, peraltro, in fase avanzata.

2.4. Terra: la geotermia Altra forma di energia rinnovabile è la geotermia, ovvero la possibilità di utilizzare il calo-

re della terra a scopi energetici. Manifestazioni come i vulcani, i geyser, le terme, sono tutte espressioni del calore terrestre che, peraltro, si dissipa per conduzione e convenzione anche delle rocce generando quello che è chiamato “gradiente geotermico”. Tale gradiente geoter-mico si quantifica in un aumento di temperatura dalla superficie verso il centro della terra di 3° centigradi ogni 100 metri di profondità raggiunta, con variazioni secondo le caratteristiche geomorfologiche ma imperturbato rispetto alle alternanze giorno/notte.

I modi di estrarre energia dalla terra sono o la trasformazione dei vapori in energia elettri-ca grazie all’utilizzo di turbine o l’uso diretto del calore terrestre anche sotto forma di fluidi.

Il primo caso è quello di Larderello. A Larderello si ricava energia elettrica dallo sfrutta-mento dei vapori geotermici fin dal 1904 attraverso la tecnologia denominata dry steam: i va-pori a temperature superiori ai 235° attivano, grazie alla pressione alla quale vengono portati, delle turbine accoppiate a un generatore di energia elettrica.

Esistono altre due tecnologie dedicate comunque sempre a grandi produzioni localizzate di energia: quella ad acqua dominante e quella a ciclo binario.

Nel primo caso si attinge acqua dalle profondità della Terra a temperature superiori ai 150/170° centigradi, la differenza di pressione tra il serbatoio geologico e la superficie porta alla formazione di vapore che viene avviato a generatori elettrici, l’acqua viene invece reim-messa in falda.

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Il secondo sistema consiste invece nel captare acque a minori temperature (120/180°) i cui vapori sono utilizzati per scaldare un liquido con temperature di ebollizione più basse dell’acqua. L’espansione, così provocata, porta alla generazione di elettricità sempre per mez-zo di una turbina. Il tutto avviene a circuito chiuso ed è senz’altro il più redditizio di quanto esaminato fin’ora.

Quanto fin qui illustrato riguarda usi industriali della geotermia attraverso, cioè, impianti importanti sia per investimenti che per localizzazione, e impatti, ambientali.

Ma la geotermia è comunque anche alla portata del singolo per gli usi domestici, così come per le grandi strutture alberghiere o ospedaliere o per impianti sportivi, ecc. attraverso soluzioni tecnologiche chiaramente diverse ma dalle grandi ed efficienti risposte.

Attraverso l’uso di pompe di calore si riesce a convertire la disponibilità di energia geo-termica sia in calorie che in frigorie. In pratica è possibile riscaldare e raffrescare gli ambienti, dotandosi, ovviamente, di opportuni sistemi di distribuzione. Sono possibili diverse tecno-logie in riferimento alla differenza di scambio: uso del calore del terreno attraverso circuiti chiusi che contengono liquidi termovettori, oppure utilizzo dell’acqua di falda come fluido termovettore con o senza reimmissione dell’acqua captata in falda.

Nel caso di utilizzo della temperatura del terreno si possono avere diverse tipologie di captazione del calore: con tubature in trincea, o in pozzi o di superficie.

In ogni caso si tratta di sistemi a circuito chiuso che contengono un fluido termovettore convogliato in un collettore collegato a una pompa di calore. Le pompa di calore sono mac-chine che riescono a trasferire il calore da una sorgente più fredda a una più calda, in pratica è il funzionamento dei più comuni frigoriferi.

In ultima analisi questo sistema, permettendo anche il raffrescamento, riesce a econo-mizzare sul sistema edificio/tecnologie complessivo ma ri-chiede sistemi appropriati di distribuzione che devono esse-re del tipo a bassa temperatura come per esempio pavimenti o pareti radianti così come i fan-coil. Utilizzare le pompe di ca-lore con un sistema distributivo a radiatori, che richiedono alte temperature di esercizio, è di-seconomico (Fig. 17).

2.5. Biomasse, biogas, bioliquidi Secondo il rapporto redatto dal Renewable Energy Network for the 21st Century (Ren21)

in collaborazione con il Worldwatch Institute e con il sostegno del governo della Germania le biomasse si possono distinguere in tradizionali e moderne. Si intendono così come bio-

Figura 17

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Page 111: Lʼambiente conviene!A livello di contenuti sono stati individuati quattro grandi macro-temi: l’ambiente e le sue problematiche, la bio-architettura, le risorse energetiche e infine

masse tradizionali quelle che si riferiscono a produzione di calore grazie alla combustione di scarti vegetali, forestali, alimentari; con il termine invece di biomasse moderne ci si riferisce a sistemi come la cogenerazione e la gassificazione, e a combustibili costituiti da biogas e biocombustibili.

Secondo la Direttiva Comunitaria 2001/77/Ce e conseguentemente nel Decreto Legislati-vo 387/03 con il termine “biomassa” si intende: “la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicol-tura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”. Lo stesso Decreto annovera tra le fonti rinnovabili: il biogas, i gas di discarica e i gas derivati dai processi di depurazione”.

Quel che conta è che, nella necessità di affrancarsi dall’uso delle risorse fossili per soddi-sfare la domanda di energia, nuovi scenari si sono aperti alla produzione di energia da biocom-bustibili e, in conseguenza, nuove problematiche si stanno presentando con sempre maggior insistenza.

Biomasse e biogasSi estrae energia dalla biomasse grazie a pro-

cessi termochimici e biochimici. La combustione rientra nei processi termochimici così come la gassificazione e la pirolisi.

Tra i combustibili solidi più diffusi per i pro-cessi di combustione rientrano il pellet, i bric-chetti e il cippato. Ovviamente stiamo parlando di prodotti di ricerca e innovazione escludendo, quindi, il “ciocco” di legno dalla trattazione ma includendolo tra le biomasse (Fig. 18).

Pellet e bricchetti devono essere ottenuti da legno vergine, senza collanti nè vernici residue. La loro compattazione avviene solo con pro-cedimenti meccanici e a secco. Il potere calorico che sviluppano è molto alto e si prestano per impianti che vanno da stufe da interni a caldaie per la produzione contemporanea di calore e acqua calda sanitaria.

Il cippato altro non è che lo scarto della lavorazioni delle segherie ma deve sempre essere sempre privo di collanti, vernici e altri additivi. Indicato per caldaie, ha un potere calorico infe-riore al pellet e ai bricchetti. Attenzione deve essere data alla certificazione di questi prodotti da combustione avendo cura di leggere le etichette e richiedendone l’origine della materia pri-ma per evitare di incorrere in acquisti di biomassa di incerta provenienza, magari radioattiva.

Inoltre è possibile ricorrere ad altri tipologie di biomassa vegetale come, per esempio, il mais. È però necessario pensare la questione in questi termini: è giusto sottrarre prodotti destinabili all’alimentazione, umana e/o animale, per farne combustibile? Noi pensiamo di no. In una visione di economia e sostenibilità complessiva è importante chiudere i cicli di produ-

Figura 18

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zione e non confliggere con altre necessità come, per esempio, quella alimentare,così come è importante pianificare le risorse e il loro uso. Certo è che l’uso della biomassa vegetale per la combustione non produce CO2 in quanto, pur essendo l’anidride carbonica un prodotto di tale uso, è pur vero che ne viene rilasciata la quantità che le stesse piante, nel loro processo biologico di crescita, hanno assorbito, dando luogo, così, a un bilancio uguale a zero in quanto a emissioni climalteranti. Ma la combustione produce anche polveri ed emette in atmosfera materiali incombusti che possono diventare dannosi alla salute. Quindi risulta estremamente importante, nella scelta delle stufe e delle caldaie, valutare l’efficienza di combustione consi-derandola uno dei principali parametri di scelta, oltre alla possibilità di acquisire il combusti-bile secondo considerazioni di filiera corta.

Passiamo ora a tecnologie maggiormente complesse: la gassificazione, la pirolisi e i pro-cedimenti biochimici.

Con la gassificazione si trasforma una sostanza combustibile solida in un combustibile gas-soso utilizzando una decomposizione termica. Quanto si ottiene, sia in qualità che in quantità, di sostanza gassosa dipende dal materiale di partenza e dal suo tenore di umidità e, ovviamen-te, dalle capacità ed efficienze dei gassificatori.

Con la pirolisi si degrada termicamente un materiale a temperature elevate e in mancanza di ossigeno. Sia per la combustione che per la gassificazione che per la pirolisi la biomassa più adatta è quella legnosa e tutta la sua filiera.

Alla digestione anaerobica, ovvero in assenza di ossigeno e in presenza di batteri, ci si riferisce parlando di proce-dimenti biochimici. Attra-verso tale procedimento la biomassa viene demolita e trasformata in biogas (meta-no e anidride carbonica) uti-lizzato poi per la produzione di energia elettrica. La bio-massa che si presta a questo procedimento è quella rica-vabile dai rifiuti zootecnici, urbani, industriali e derivati dall’acquacoltura (Fig. 19).

Bioliquidi e biocarburantiAltri scenari si sono aperti con la produzione di bioliquidi e biocarburanti. Si chiamano

così prodotti di origine vegetale che si prestano a essere utilizzati come combustibili e carbu-ranti. Tali possono derivare dall’olio di colza, di girasole, di palma e dagli olii vegetali grezzi, dalla canna da zucchero, dalle barbabietole, dal mais, dal riso.

Figura 19

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Per la Comunità Europea devono essere sempre tenuti presenti i seguenti obiettivi:1. non far interferire il no-food (usi non alimentari) con il food (usi alimentari) nella gestione

dei terreni agricoli;2. escludere terreni a elevata biodiversità e i giacimenti naturali di carbonio (foreste, zone

boscate, torbiere, ecc.ecc.);3. la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra grazie all’uso di biocarburanti e i bioliqui-

di deve essere pari almeno al 35% (50% dal 2017).

La Comunità Europea, nella Direttiva sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rin-novabili del 23 Aprile 2009, n° 2009/28/Ce, definisce come obiettivo, fra l’altro, di arrivare al 2020 a una quota di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti nazionale sia almeno pari al 10% del consumo energetico finale.

In una visione di sostenibilità non è comunque concepibile fare riferimento a produzio-ni di bioliquidi e biocarburanti che si approvvigionano di materia prima secondo criteri di filiera lunga e/o lunghissima così come indurre le economie dei paesi in via di sviluppo alla distruzione delle proprie foreste per far posto a coltivazioni indirizzate alla valorizzazione energetica da realizzarsi in altri luoghi. Quindi: ben venga una gestione integrata e sostenibile delle coltivazioni anche a scopo energetico con una corretta distribuzione dei benefici e degli obblighi derivanti da tali indirizzi, ma per meno di ciò non è pensabile percorrere tale strada.

2.6. Sole: fotovoltaico e solare termicoIl Sole è una fonte di energia inesauribile per la Terra e per ogni metro quadrato di super-

ficie posizionata all’equatore invia 1366 W (costante solare). L’uso diretto di questa energia è alla base delle tecnologie del fotovoltaico e del solare termico che si sono sviluppate negli ultimi anni. La differenza tra solare termico e fotovoltaico consiste nel fatto che con l’uno si usa il calore della radiazione solare per scaldare acqua, con l’altro si usa la capacità fotolitica di alcuni materiali per trasformare la radiazione solare in elettricità. Esiste inoltre una terza tecnologia: il solare termodinamico. Consiste nello sfruttare il calore raggiunto da un liquido termovettore per azionare turbine che, a loro volta, producono energia elettrica.

FotovoltaicoSi intende per fotovoltaico quella tecnologia

che, sfruttando la capacità fotolitica di alcuni ma-teriali, produce energia elettrica in corrente conti-nua. I componenti principali di questi impianti sono i pannelli fotovoltaici costituiti dall’aggregazione di più celle (Fig 20). Le celle sono costituite da “wafer” di silicio, che opportunamente trattate, si dice “dro-gate”, con fosforo e caricate negativamente per la Figura 20

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faccia esposta alla radiazione solare e positivamente per quella inferiore, acquisiscono la ca-pacità di generare elettricità. La maggiore efficienza della cella, e quindi del modulo, si otterrà in giornate limpide e nelle ore di insolazione in cui i raggi solari sono più vicini alla perpen-dicolare al pannello. L’ombreggiamento, anche parziale, di una cella inibisce il suo comporta-mento fotolitico e ne induce invece quello di assorbitore rispetto alle altre celle che le sono collegate. Quindi è essenziale valutare correttamente il posizionamento dei pannelli in modo da evitare la minima ombra sulla sua superficie.

A seconda del livello di trattamento del silicio possiamo avere celle a silicio monocristal-lino, policristallino e, infine, amorfo. Ai tre diversi livelli di raffinazione del silicio corrispon-dono efficienze diverse e, quindi, costi diversi ma anche estensione della superficie di pannelli per ottenere la stessa produzione di energia. Sommariamente si può dire che l’efficienza del silicio monocristallino è del 13-17%, quella del policristallino dell’11-15% e quella dell’amorfo dell’6-8%. Altri materiali, organici, sono allo studio, come per esempio il succo di mirtillo. Ma, ancora, siamo alla fase di studio e sperimentazione.

Un impianto fotovoltaico è costituito da: pannelli, inverter, contatori in entrata e uscita, rete. L’inverter serve per convertire l’energia prodotta dal pannello da continua ad alternata con caratteristiche simili a quella che viene erogata dalla rete di trasmissione dell’energia.

I contatori sono due: uno è quello di cui tutte le utenze sono dotate e che contabilizza la corrente in entrata dalla rete, l’altro è quello che contabilizza l’energia in uscita dall’impianto.

Quale che sia la tecnologia del pannello quello che è importante è la sua esposizione: a sud, inclinato rispetto al suolo di 30-35°, senza, come abbiamo visto, ostacoli ombreggianti. Del fotovoltaico si definiscono le taglie a suon di “kWp” (si legge kiloWatt picco): che cosa è? È la potenza massima che può essere erogata dai moduli fotovoltaici in condizioni ottimali d’irraggiamento solare.

Solare termicoAl di là delle differenti tecnologie di pannelli per il solare termico, più o meno efficienti, il

solare termico consiste, come si è detto, nello scaldare un liquido termovettore che, inviato attraverso un circuito chiuso in un deposito, cede tale calore all’acqua ivi contenuta, per gli usi domestici. Gli impianti solari termici si dividono in due tipologie: a circolazione naturale e a circolazione forzata.

Gli impianti a circolazione naturale sono quelli caratterizzati dalla presenza del deposito direttamente collegato al pannello. Molte pubbliche amministrazioni vietano l’uso di tale tecnologia considerandola invasiva e deturpante per gli impatti visivi che provoca. In questi impianti non sono previste pompe per il ricircolo dell’acqua, nè centraline di regolazione. Sono impianti semplici, economici e caratterizzati da poca manutenzione.

Gli impianti a circolazione forzata sono dotati invece di un complesso tecnologico mag-giormente avanzato, permettono rese, e usi, maggiori, una maggiore integrazione architetto-nica dovuta al fatto che il deposito è posizionato non sulla copertura ma in zone separate e coperte, come possono essere cantine, sottotetti, locali tecnici.

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Tali sistemi permettono inoltre l’integrazione con il riscaldamento degli ambienti e la con-nessione con le altre tecnologie per il riscaldamento dell’acqua che, comunque, devono esse-re considerate integrative nei momenti, inverno e autunno, in cui minore è l’apporto della ra-diazione solare. Un metro quadrato di pannello solare può scaldare a 45÷60 °C tra i 40 ed i 300 litri d’acqua in un giorno, a seconda delle stagioni, del tipo di pannello e della sua posizione.

Le tipologie di collettori si dividono in due gruppi: i collettori a piastra e quelli sottovuoto. I collettori a piastra sono composti da una lastra, assorbitore, alla quale sono fissati dei tubi nei quali scorre un liquido, termovettore, che scaldandosi si espande. Il liquido così riscaldato arriva a uno scambiatore, cede calore all’acqua fredda. L’acqua si riscalda e viene accumulata nel deposito e poi utilizzata per gli usi domesti-ci. Il liquido termovettore, invece, si raffredda per l’avvenuta cessione di calore all’acqua e ri-torna a circolare nei tubi ricominciando il ciclo. Le alte temperature così come la nuvolosità ri-ducono la resa di questi pannelli (Fig. 21).

I collettori sottovuoto, chiamati anche heat pipe, sono tubi nei quali è creato il vuoto e che ospitano l’assorbitore. Al tatto i tubi non trasmettono calore, permettono, grazie al sottovuoto, l’uso di materiale maggiormente efficiente, producono più calore e, chiaramente, costano di più. Il principio di funzionamento però è lo stesso dei pannelli piani. Nei mesi invernali l’uso dei collettori sottovuoto, data la loro maggiore efficienza, diventa un aiuto più importante di quanto possibile con i collettori piani per diminuire il lavoro delle caldaie, quale che sia il combustibile cui si fa ricorso, sia per il riscaldamento dell’acqua sia per la climatizzazione degli ambienti che per gli usi sanitari.

Solare termodinamicoDagli anni ’70, negli Usa, cominciano le sperimentazioni relative al solare termodinamico.

Esistono tre principali tecnologie di solare termodinamico:1. a collettori parabolici lineari;2. a torre centrale;3. dish-Stirling.

Nel primo caso avremo file di collettori di forma parabolica che irraggiano un tubo, po-sto centralmente, contenente il fluido termo-convettore il quale, scaldandosi, porta alla produzione di vapore utilizzato poi, grazie a una turbina, per produrre elettricità. Il fluido termoconvettore può essere olio minerale, sali fusi, gas (Fig. 22) .

Figura 21

Figura 22

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I sistemi a torre centrale sono costituiti da una serie di specchi riflettenti, eliostati, posizionati se-condo il percorso apparente del sole, posti a cerchio o emiciclo rispetto a una torre centrale, la cui altez-za può essere anche di centinaia di metri di altezza, che ospita un liquido termovettore. Il riscaldamento del liquido termovettore contenuto nella torre da seguito poi alla produzione di vapore e da lì a quella di energia elettrica sempre grazie a turbine (Fig. 23).

Infine il sistema dish-Stirling. Questi è composto da un elemento paraboloide riflettente che con-centra la radiazione solare nel punto focale dove è posizionato un motore Stirling che produce, grazie a un alternatore, energia elettrica. L’efficienza raggiun-ta dalla concentrazione solare dovuta allo specchio paraboloide è di 2000 soli. In più due parole sul mo-tore Stirling: è a circuito chiuso, quindi non produce gas di scarico, può funzionare con qualsiasi tipo di calore e, infine, è silenzioso.

3. autoproduzione e risparmio

3.1. Europa chiama Italia: le ricadute delle direttive europee sul risparmio e l’efficienza energetici e sulla promozione delle rinnovabili

Fin dalla sua costituzione l’Europa ha messo lo sviluppo sostenibile e l’uso sostenibile di risor-se al centro delle proprie attività di programmazione e controllo. Nell’affrontare la costruzione di scenari comuni lo sforzo quindi si è diretto fin da subito verso la formulazione di direttive ed indirizzi volti a diminuire i consumi, rendere efficiente il settore della produzione, diversificare la domanda e l’offerta di energia, incidere nell’uso delle risorse, diminuire l’immissione di gas serra in atmosfera, aumentare il risparmio energetico e il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili.

Le direttive diventano poi operative una volta che gli stati membri le recepiscono attraver-so propri strumenti normativi e regolamentari.

Abbiamo parlato di fonti energetiche e delle diverse tecnologie che ne permettono l’uso. Ma c’è qualcosa che è importante mettere avanti a tutto: l’uso razionale dell’energia e il suo risparmio. Non basta produrre in modo sostenibile, bisogna anche usare in modo sostenibile. Quindi è dissennato pensare a produrre energia da fonti rinnovabili se l’uso che ne facciamo non cambia, se, in breve, non la risparmiamo.

Considerando che la gestione del parco immobiliare, costruzione e uso, rappresenta una voce importante dei consumi energetici, la Comunità Europea, con la Direttiva 2002/91/Ce,

Figura 23

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intende dare indirizzi agli Stati membri affinché, una volta recepita dagli stessi in atti normo-legislativi e regolamentari, si possano conseguire obiettivi di efficienza e risparmio e, contem-poraneamente, si riesca a costruire quella trasparenza negli atti di locazione e compravendita, tale da inaugurare una nuova era del mercato immobiliare, quella, cioè, in cui venga premiata la qualità del costruito in termini di risparmio energetico, diminuzione delle emissioni in at-mosfera per la gestione e uso e che permetta una maggiore tracciabilità della domanda di energia e della sua composizione. Che cosa stabilisce la Direttiva 2002/91/Ce. Per prima cosa introduce il cosiddetto “attestato di rendimento energetico” quale strumento di misurazione del rendimento energetico degli edifici. Prevede, inoltre, che vengano fissati dagli Stati membri i requisiti minimi di rendimento energetico per gli edifici, da calcolarsi secondo una metodolo-gia da sviluppare a livello nazionale o regionale, che tenga conto delle situazioni al contorno: le condizioni ambientali e climatiche, il tessuto normativo esistente, le caratteristiche costruttive dominanti. Infine dispone che gli Stati membri debbano provvedere in modo tale che l’atte-stato di certificazione energetica venga messo a disposizione del proprietario o che questi lo renda disponibile a futuri acquirenti o locatari sia in fase di costruzione che di compravendita.

In realtà l’Italia si era già dotata di una normativa in tal senso già dal 1991 con la Legge 10/91 alla quale però, per quanto riguardava la certificazione energetica degli edifici, non era segui-ta la richiamata e necessaria successiva regolamentazione, rendendola, quindi, non attuabile. Bisogna arrivare al Dpr 2 aprile 2009, n. 59 (Regolamento di attuazione dell’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente l’attuazione della direttiva 2002/91/Ce sul rendimento energetico in edilizia), per chiudere il cerchio. Per com-pletezza informativa il Decreto Legislativo 192 del 2005 è stato modificato dal Decreto Legisla-tivo del 29 dicembre 2006, n. 311 “Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192”. Che cosa prevedeva il Decreto Legislativo 192/2005 in merito alla certifi-cazione degli edifici? Prevedeva l’emanazione di diversi provvedimenti attuativi tra cui: 1. il regolamento contenente anche i criteri di riconoscimento per assicurare la qualificazio-

ne e l’indipendenza degli esperti e degli organismi a cui affidare la certificazione energeti-ca degli edifici e le ispezioni degli impianti di climatizzazione;

2. il regolamento con le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione ener-getica degli edifici e degli impianti termici per la climatizzazione invernale e per l’acqua calda sanitaria, in materia di progettazione di edifici e di progettazione, installazione, eser-cizio, manutenzione e ispezione degli impianti termici;

3. l’emanazione delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici.

Con il Decreto Legislativo n. 115/2008 si dettano, nell’Allegato III, i criteri per i certificatori di cui al punto 1; con il Decreto del Presidente della Repubblica del 2 Aprile 2009, n. 59, si dà attuazione al regolamento di cui al punto 2 e, infine, con il Decreto Ministeriale del 26 giugno 2009 si emanano le Linee Guida Nazionali di cui al punto 3.

Per quanto riguarda il Decreto Legislativo 59/09, alcune delle principali novità introdotte sono: l’obbligo di fonti rinnovabili per la produzione di energia, termica ed elettrica, nei nuovi

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edifici e in quelli in cui sia prevista una ristrutturazione totale; l’obbligo di predisposizione delle opere necessarie a favorire il collegamento a reti di teleriscaldamento, nel caso di preesistenza di una rete ad una distanza inferiore a metri 1.000; l’obbligo della determinazione della presta-zione energetica per la climatizzazione estiva; l’obbligo di installazione, per i nuovi edifici e per le ristrutturazioni, di dispositivi per la regolazione automatica della temperatura; per gli edifici composti da più di quattro unità abitative il mantenimento di impianti centralizzati, qualora esistenti, e, in caso di ristrutturazione e/o rifacimento dell’impianto termico, interventi atti a permettere la contabilizzazione e le termoregolazione di ogni singola unità abitativa.

Con il Dm del 26 giugno 2009 si definiscono le Linee Guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici. Nelle Linee Guida si prevedono: l’elenco e la tipologia dei dati, i me-todi di calcolo, i parametri di valutazione che potranno permettere ai cittadini di scegliere in modo cosciente e consapevole tra le diverse offerte immobiliari; i requisiti e i criteri per il personale tecnico che potrà predisporre quanto previsto dalla certificazione e la durata, 10 anni, della validità di tale documento.

Per quanto riguarda i requisiti dei certificatori, previsti nel Decreto Legislativo n. 115/2008 è importante sottolineare che i progettisti degli edifici per i quali dovranno essere redatti i relativi certificati energetici non potranno esserne certificatori, per ovvi problemi di conflitto di interesse, e che le Regioni e le Province Autonome possono procedere alla formazione di elenchi di professionisti certificatori secondo corsi di formazione, dalle stesse predisposte. Attualmente sono solo otto le Regioni che hanno provveduto in materia.

Altra importante Direttiva Europea è quella del 23 aprile 2009, la 2009/28/Ce, sulla pro-mozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. La Direttiva intende promuovere l’uso delle fonti rinnovabili e regolarne il mercato, i meccanismi di calcolo ai fini del rendimento, del risparmio energetico e degli scambi tra Paesi terzi e Stati membri. Il tutto ai fini del raggiungi-mento degli obiettivi previsti nel pacchetto clima-energia da conseguirsi entro il 2020 e che prevedono: ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, eventualmente al 30% se verrà trovato accordo nella conferenza di Copenhagen del prossimo dicembre 2009, portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti e rinnovabili. Tra le tematiche affrontate ricordiamo la questione biocombustibili per i quali, la Direttiva, art. 17, detta i criteri di sostenibilità. La Direttiva, all’art. 4, impone, inoltre, agli Stati membri la redazione, entro il 30 giugno 2010, del Piano di Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili. Esclusa tale scadenza temporale, tutto quanto contenuto nella Direttiva deve essere recepito dagli Stati membri, con apposite disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, entro il 5 dicembre 2010.

3.2. Cosa possiamo fare veramente: una rete di produttori/consumatoriInformarsi, diventare attivi protagonisti di questo grande cambiamento in atto che ci dà

la possibilità, se la vogliamo cogliere, di cambiare uno scenario di pressioni ambientali, insidie sociali e pericoli per la salute e l’incolumità. Questo è quanto possiamo fare, questo è quello che dobbiamo fare.

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Pensare che il risparmio energetico non è solo una prassi estrema da Mr. Sgrooge del famo-so Canto di Natale, ma la forma di investimento nel nostro domani più alla portata di tutti, è già un buon inizio. Pensarci attivi progettisti del nostro domani, impiegando il nostro tempo libero a organizzare al meglio le nostre case, i nostri luoghi di lavoro, tutto questo può portare a un futuro migliore per noi e per chi verrà dopo di noi.

Educare ed educarsi al rispetto di ciò che si consuma, di ciò che si risparmia; ripensare la nostra posizione nel generale equilibrio eco sistemico. Pensare che la nostra vita è come una spugna tra le nostre mani: si riempie di ciò con cui viene a contatto. Sporco o pulito che sia lei assorbe e se c’è acqua, tanta acqua, forse tornerà ad essere solo spugna, ma se l’acqua non c’è rimarrà intrisa di quanto assorbito. Poiché siamo riusciti solo a inquinare credo che le possibi-lità di tornare a essere solo spugna si siano ridotte vertiginosamente. Ora come non mai sono a nostra disposizione strumenti e informazioni per andare nella direzione della sostenibilità: insomma abbiamo concretamente la possibilità di riqualificare “l’acqua” e ripristinare la “spu-gna” al suo stato, quasi, originario.

Trasformarci da attori passivi, in registi e sceneggiatori di un futuro migliore. Confutare le informazioni distribuite con altre qualificate ricercate da noi stessi, farsi un’idea propria e avere il coraggio di metterla in discussione per poi arrivare a un quadro verificato, del quale siamo certi, per lo meno, del percorso di verità che gli abbiamo fatto sostenere: questo è quanto dovremmo fare.

Possiamo dirigere il mercato immobiliare nella direzione del minor costo di gestione ener-getico attraverso la richiesta di case efficienti, di impianti efficienti. Possiamo immaginarci, e diventare, produttori di energia rinnovabile e fare pari tra investimenti e costo dei consumi energetici. Possiamo riscoprire la capacità di consorzio e condivisione tra più individui per ottenere migliori offerte sia nel settore delle rinnovabili che in quello del risparmio e dell’ef-ficienza energetica.

Serve ritrovare la centralità soggettiva della qualità della propria vita, persa, ormai, in un oceano di pubblicità, miti consumistici, illusioni di fare tutto con nulla, del poter essere con solo l’essersi immaginato di avere. Essere ignoranti e continuare ad ignorare è il disastro più grande che possiamo combinare. Diventare una rete di consumatori consapevoli e percorrere quello di produttori di energia e di risparmio è la strada che abbiamo davanti e che dobbiamo percorrere per cambiare il corso degli eventi. Ma soprattutto dobbiamo diventare una rete di consumatori e produttori di conoscenza, di informazioni, di controinformazione, di curiosità.

E di una rete bisogna ancora parlare per quanto riguarda il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili. Diventare produttori e utilizzatori in proprio di energia è il passo decisivo per andare verso un modello di produzione e uso delocalizzato. È infatti punto focale del cam-biamento delle modalità di produzione energetica quello che fa proprio un approccio a scale più piccole di intervento maggiormente gestibili dall’uomo: piccole reti di produzione distri-buita fondate sulla micro generazione e la cogenerazione. Infatti uno dei momenti critici della filiera produzione/consumo di elettricità è la distribuzione: molta energia viene sprecata in questo passaggio. Andare verso una rete di produttori/consumatori di energia permetterà

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di diminuire fortemente tale spreco potendo andare, inoltre, nella direzione della autosuf-ficienza energetica dei territori. Per esempio questo potrebbe essere il caso di centri rurali sparsi dove, grazie a un mix tecnologico da valutare e calare nella realtà locale di volta in volta, si può arrivare a utilizzare le risorse naturali usando la rete come “deposito” dell’energia prodotta, pronta quindi a essere usata nei momenti di bisogno. Ma è ipotizzabile anche un sistema chiuso, che adoperi, cioè accumulatori, come le batterie, per stoccare l’energia senza ricorrere alla connessione alla rete di distribuzione.

3.3. Incentivi e facilitazioniIn Italia, già da un po’ di tempo, abbiamo sicuramente un quadro di incentivazioni e facili-

tazioni molto favorevole all’imprenditorialità del singolo che intenda avviarsi verso la produ-zione di energia da fonti energetiche rinnovabili e il risparmio e la riqualificazione energetica di immobili.

Ci concentreremo sul fotovoltaico e il Conto Energia rimandando alla sitografia riportata per informazioni di maggior dettaglio circa altre forme di incentivo per l’energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili.

Il Conto Energia viene introdotto in Italia attraverso il recepimento, con il Decreto Legisla-tivo 387/03, della Direttiva Europea 2001/77/Ce e rappresenta il regime di incentivazione in conto produzione per gli impianti fotovoltaici connessi alla rete elettrica permanentemente. Con il Decreto 181/05 prende avvio con le modifiche apportate successivamente dal Dm del 19/02/07. Per accedere al finanziamento è necessario essere connessi alla rete (grid connected) e contabilizzare non solo l’energia consumata ma anche quella prodotta e immessa in rete.

A seconda della potenza dell’impianto sono possibili varie strategie di vendita dell’energia prodotta. Per impianti di potenza inferiore ai 200 kWp si può optare per lo scambio sul posto ovvero quel ciclo di produzione e consumo e scambio, appunto, con la rete, vista non più solo come distributore di energia ma anche come deposito di energia.

Oltre allo scambio sul posto è possibile vendere l’energia prodotta secondo una vendita di tipo “indiretta”, cioè mediante la stipula di una convenzione di ritiro dedicato con il Gse, ai sensi della delibera Aeeg n. 280/07 oppure di tipo “diretta” , ovvero attraverso la vendita in borsa o ad un grossista (contratto bilaterale). Nel caso di ritiro dedicato vanno considerate voci di spesa relative alla remunerazione per costi amministrativi necessari allo svolgimento dell’attività nella misura dello 0,5% del controvalore dell’energia ritirata e comunque non su-periore a 3500 € per impianto, oltre a un ulteriore corrispettivo per impianti inferiori ai 50 kWp da riconoscere al Gse. Inoltre per impianti fino a 1 MWp, per i primi 2 milioni di kWh, calcolati su base annua, immessi in rete, sono stati fissati dei minimi che comunque, nel caso questi risultassero inferiori ai prezzi di mercato, verrebbero integrati a conguaglio per la dif-ferenza ottenuta, dallo stesso Gse. Nel caso si risolva di concorrere al mercato libero o alla vendita a un grossista, ogni transazione ha un suo costo a seconda della taglia dell’energia posta in vendita, oltre all’obbligo di dover riconoscere un costo di entrata al mercato della contrattazione dell’energia (corrispettivo di accesso e partecipazione al mercato elettrico).

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Per impianti superiori ai 200 kWp questa è l’unica possibilità di remunerazione agevolata.Nel caso di scambio sul posto per il quale, contestualmente, la localizzazione di impianti

fotovoltaici sia operata su edifici, è possibile conseguire ulteriori incentivi nel caso di nuove costruzioni o interventi volti all’efficienza dei sistemi energetici complessivi. Sono previsti dei premi aggiuntivi nel caso di interventi migliorativi l’efficienza complessiva dell’edificio in percentuale non inferiore al 10%. In tal caso il valore dell’incentivo sarà aumentato della metà dell’effettiva riduzione dei consumi energetici derivante dagli interventi, incremento che può arrivare ad un massimo del 30% della tariffa. Altri incentivi sono previsti in aggiunta nel caso, per esempio, si sostituisca e bonifichi una copertura in amianto o nel caso di scuole, pubbliche o parificate, ospedali. Con lo scambio sul posto la remunerazione varia a seconda del grado di integrazione raggiunto dall’impianto fotovoltaico rispetto alle strutture di copertura, resta invariato per 20 anni e viene diminuita del 2% ogni anno per i nuovi accessi.

La casistica relativa alla corretta considerazione tra integrazione totale o parziale in archi-tettura prevede diverse interpretazioni per le quali si rimanda alle pubblicazioni prodotte dal Gse, scaricabili da internet. In sintesi possiamo dire che i gradi di integrazione degli impianti fotovoltaici sono tre: non integrato, parzialmente integrato, integrato. Con non integrato si intendono in genere gli impianti a terra, con parzialmente integrato quelle installazioni che rimangono aderenti alle superfici che le ospitano, infine con integrato quegli impianti che sostituiscono in toto quella parte di struttura che li ospita.

Per gli enti locali, così come definiti dal Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento de-gli Enti Locali, la remunerazione da Conto Energia è sempre calcolata secondo la categoria dell’integrato a prescindere dalla qualità di integrazione architettonica dell’impianto.

Vale la pena di ricordare quanto stabilito dalla recente Legge 99/09 la quale prevede la possibilità, per le Pubbliche Amministrazioni, di effettuare lo scambio sul posto dell’energia prodotta da fonti rinnovabili per impianti fino a 200 kWp senza tener conto dell’obbligo di coincidenza tra il punto di immissione e il punto di prelievo dell’energia scambiata con la rete; la possibilità, per i Comuni, di destinare aree appartenenti al proprio patrimonio disponibile per la realizzazione degli impianti per l’erogazione in conto energia e dei servizi di scambio sul posto dell’energia elettrica prodotta, da cedere a privati cittadini che intendono accedere agli incentivi in conto energia.

Con il Conto Energia si può incentivare anche la produzione da mini eolico per le case isolate e per le aziende agricole e agrituristiche. I piccoli generatori eolici rappresentano una buona opportunità per abbattere le proprie emissioni e risparmiare sulla bolletta. Gli impianti eolici di potenza elettrica non superiore a 200 KW hanno diritto a una tariffa fissa onnicom-prensiva per 15 anni, aggiornabile ogni tre anni, di 30 centesimi di € a kWh prodotto, su richie-sta del produttore, in alternativa ai Certificati Verdi. Con tali impianti è possibile accedere anche al regime di scambio sul posto come per il fotovoltaico. Per impianti superiori ai 200 kW si può accedere solo ai Certificati Verdi la cui taglia è 1CV=1MWh.

Ma i soldi per finanziare il Conto Energia chi li dà? Noi tutti, per esempio, con il pagamento delle bollette energetiche. La componente A3 è indirizzata al sostegno degli impianti da fonte

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rinnovabile. Solo dal 2007 con questa componente non sono più finanziati gli impianti “Cip6” alimentati con fonti “assimilate” come i rifiuti, ma solo per quelli entrati in esercizio dopo il 2007. Detto questo non è meglio dare i nostri soldi per qualcosa che meriti come la diminu-zione della produzione di CO2 nell’aria? Specie per tecnologie pulite e che rendono subito sensibili risparmi in bolletta? Direi di sì!

Altre forme di incentivazione, come abbiamo visto, sono i Certificati Verdi, ovvero titoli negoziabili che attestano la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, e la Tarif-fa omnicomprensiva (comprensiva cioè dell’incentivo e del ricavo da vendita dell’energia). Quest’ultima, come accennato nel caso del minieolico, è applicabile agli impianti entrati in esercizio in data successiva al 31 dicembre 2007, di potenza non superiore ad 1 MW e di po-tenza elettrica non superiore a 0,2 MW per gli impianti eolici, per i quantitativi di energia elettrica netta prodotta e contestualmente immessa in rete.

Ultima nota per quanto riguarda gli incentivi e le facilitazioni nello scenario italiano previ-sti per interventi volti al miglioramento dell’efficienza energetica nel costruito è quella riferi-ta alla possibilità di sconti fiscali del 55% degli importi sostenuti comprese le spese tecniche (progettista, per esempio).

In breve sono possibili tali detrazioni, fino al 2010, per i seguenti casi:– riqualificazione energetica: ristrutturazioni che diminuiscano il fabbisogno energetico di

tutto l’edificio (almeno il 20% in meno rispetto ai valori indicati nel Decreto 11 Marzo 2008 del Ministero dello Sviluppo Economico). La detrazione potrà essere ripartita in 5 anni (cioè in 5 quote annuali, di pari importo). Rimborso fino ad un massimo di 100.000 euro;

– strutture opache verticali e orizzontali, ovvero pavimenti, solai, pareti, e infissi: spese rela-tive ad interventi su singoli elementi di edifici esistenti a condizione che siano rispettati i livelli di “trasmittanza termica U” fissati nel Decreto 11 Marzo 2008 del Ministero dello Sviluppo Economico. Anche in questo caso la detrazione sarà ripartita in 5 quote annuali (di pari importo). Rimborso fino ad un massimo di 60.000 euro;

– caldaie e impianti: sostituzioni di impianti tradizionali con caldaie a condensazione e mes-sa a punto del sistema di distribuzione. Anche in questo caso la detrazione sarà ripartita in 5 quote annuali (di pari importo). Rimborso fino ad un massimo di 30.000 euro;

– pompe di calore ad alta efficienza e con impianti geotermici a bassa entalpia: i limiti di rimborso sono pari a 30.000 euro come quelli previsti per la sostituzione con caldaie a condensazione sempre con il regime del 55%;

– pannelli solare termici per la produzione di acqua calda sanitaria ed eventualmente ad integrazione dell’impianto per la climatizzazione invernale. Anche in questo caso la detra-zione sarà ripartita in 5 quote annuali (di pari importo). Rimborso fino ad un massimo di 60.000 euro (per una spesa complessiva quindi di circa 109.000 euro);

– sostituzione di un generatore di calore con altro alimentato a biomasse: detrazione del 55%, considerando pari a zero il fabbisogno di energia primaria per la climatizzazione in-vernale.

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3.4. Consumare o risparmiare energia è anche nelle nostre scelte quotidianeIntegrare impianti da fonte rinnovabile con quelli tradizionali non è più un attività da pio-

niere del sole: è una possibilità concreta di alleggerire la nostra impronta ecologica.Decidere di prendere mezzi pubblici o scegliere per mobilità dolci come la bicicletta è

ugualmente un modo per diminuire i consumi energetici, e invertire la tendenza al cambia-mento climatico.

Acquistare prodotti di filiera corta, fare ricorso alla raccolta differenziata dei rifiuti, anche questo è risparmio energetico.

Non tutte le tecnologie che abbiamo illustrato possono essere applicate dal singolo, ov-viamente! Ma far vedere quanto è in movimento, quanto si è allargato il panorama delle rin-novabili è stato considerato importante e strategico per ampliare l’immaginario del sosteni-bile che non è fatto di rinunce ma anche, e soprattutto, di fantastiche tecnologie e ricerche affascinanti.

Bibliografia AMBiente itAliA2009 Legambiente. Ecosistema Urbano, Il Sole 24 Ore

BOLOGNA,G.2008 Idee, concetti, nuove discipline capaci di futuro, Edizione Ambiente

CoMMiSSione euroPeA, Xi direzione generAle AMBiente, SiCurezzA nuCleAre e Protezione CiVile

1996 Città Europee Sostenibili

GREENPEACE, LEGAMBIENTE, WWF2008 Il nucleare non serve all’Italia

GREENPEACE2008 GWEC: Global Wind Eenrgy Outlook

ISPRA2008 V Rapporto Ispra. Qualità dell’ambiente urbano

LEGAMBIENTE2007 Città a effetto serra2008 I sussidi che fanno male al pianeta2008 I costi nascosti del nucleare2008 12 mesi per salvare il pianeta2009 Comuni rinnovabili

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO2002 Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia

ODUM, E.P. 1963 Ecologia, Bologna, Zanichelli

sitografiawww.legambiente.euwww.fonti-rinnovabili.itwww.greenreport.it

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www.viviconstile.org www.minambiente.itwww.eea.europa.eu/itwww.aspo.it www.gse.itwww.enea.casaccia.itwww.e-gazette.itwww.qualenergia.itwww.amministrativo.ithttp://it.wikipedia.orgwww.energia-eolica.itwww.a21.ancitel.itwww.isesitalia.itwww.ilsoleatrecentosessantagradi.itwww.sportelloenergierinnovabili.itwww.nextville.itwww.edilportale.comwww.ecologiae.comwww.calcolainrete.comwww.coffeenews.ithttp://energierinnovabili.forumcommunity.net

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CaPItolo IV

una gestione corretta dei rifiutidi Enrico Innocenti

1. IntroduzioneLa gestione dei rifiuti è da sempre materia delicata che investe l’igiene pubblica di un ter-

ritorio e i Comuni rappresentano i soggetti responsabili e deputati a disegnare il complesso sistema regolatorio delle attività di spazzamento, raccolta, trattamento, recupero e smalti-mento dei rifiuti urbani e assimilati sui propri territori. Questo insieme di attività viene defi-nita come gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati. L’insieme delle norme regolatorie sulla gestione dei rifiuti intervengono sui comportamenti e sulle scelte di consumo e anche di investimento di famiglie e imprese. Ad oggi purtroppo il ciclo integrato dei rifiuti mostra delle criticità evidenti al quale la politica dovrà dare risposte efficaci, efficienti ed economiche a livello di ambiti territoriali ottimali.

La produzione dei rifiuti urbani e assimilati ogni anno registra consistenti aumenti ma ad oggi sembra avere dei rallentamenti, in Italia dal 1998 al 2004 è aumentata del 16% e in Toscana del 27%. In Toscana ogni cittadino produceva in media circa 680 Kg procapite, anno 2008, e negli ultimi anni si sono avuti incrementi percentuali ben sopra il Pil (Prodotto Interno Lordo) Tosca-no. La funzione complessa che regola la produzione dei rifiuti negli ultimi anni ha risentito pe-santemente della recessione economica che ha visto bloccare un trend di crescita che sembrava inarrestabile, oggi sostanzialmente la produzione dei rifiuti non registra incrementi, è staziona-ria. Altro aspetto della gestione dei rifiuti riguarda le raccolte differenziate dei rifiuti urbani che dipendono sostanzialmente dal sistema di raccolta implementato su un certo territorio. Con il sistema di raccolta a cassonetto stradale il limite di raccolta differenziata si aggira intorno al 35-45% mentre con il sistema porta a porta si possono raggiungere percentuali intorno al 90%.

Ulteriore aspetto connesso alle raccolta differenziate è il tema della percentuale di materie che sono raccolte in modo differenziato e che devono essere recuperate e/o riutilizzate o ricicla-te. Nel complesso sistema della gestione integrata dei rifiuti la comunicazione e l’educazione am-bientale sono uno strumento fondamentale per sviluppare nella collettività, a partire dalle giova-ni generazioni, una forte coscienza ambientale. I bambini e gli adolescenti sono infatti una risorsa preziosa in quanto veicolatori di messaggi, moltiplicatori di abitudini e fautori del cambiamento all’interno delle famiglie. Essi rappresentano una ricchezza sociale per far sì che le buone pratiche in tema di raccolte differenziate, nonché un maggior senso di responsabilità verso l’ambiente che ci circonda, possa essere comunicato anche agli adulti. Questa profonda convinzione dovrebbe spingere tutti i soggetti pubblici, privati, associazioni, ecc.. ad impiegare risorse per l’educazione ambientale con il duplice intento di promuovere negli studenti una cultura del riuso e del riciclo dei materiali e di sviluppare, anche all’interno degli edifici scolastici, capacità operative e di azio-ne finalizzate alla messa in pratica delle più efficaci forme di raccolta differenziata.

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2. I rifiuti: ieri, oggi, domaniNella produzione dei rifiuti ci sono stati molti cambiamenti nel corso del tempo. I rifiuti di

un villaggio medioevale erano pochi e poco duraturi. Gli oggetti erano costituiti soprattutto da materiali naturali che consentivano agli abitanti di gettarli via in modo indifferenziato e incontrollato perché a smaltirli (cioè a aggredirli, metabolizzarli e quindi riciclarli) ci avreb-bero pensato i batteri decompostatori presenti nell’ambiente. I rifiuti di una moderna città post-industriale sono molto diversi per qualità e quantità. Sono aumentati il numero degli abitanti e degli oggetti ma anche la quantità dei rifiuti prodotti. Le tecnologie moderne hanno permesso la creazione di oggetti in materiali nuovi, con costi contenuti, molto più leggeri e pratici, igienici e sicuri, alcuni di essi quasi indistruttibili senza possibilità di processi naturali reversibili. Questi materiali sono comparsi da troppo poco tempo sul nostro pianeta perché si siano evoluti organismi decompostatori capaci di riciclarli e forse non ne vedremo nemmeno mai la nascita in quanto alcuni materiali creati chimicamente non possono essere aggrediti e “digeriti” dall’ambiente se non in tempi infinitamente lunghi.

La produzione pro-capite dei rifiuti urbani ha visto un incremento annuo consistente e in questi ultimi anni, vedi tabella 2, si evidenziano produzioni por-capite elevatissime, in special modo in Toscana dove è presente un sistema di raccolta dei rifiuti urbani prevalentemente a cassonetto stradale.

regione abitanti rsu Procapite (kg/ab*anno)

Lombardia 9.121.714 508

Campania 5.782.244 468

Lazio 5.302.302 569

Sicilia 5.076.700 518

Veneto 4.540.853 467

Piemonte 4.289.731 504

Puglia 4.086.608 459

Emilia Romagna 4.008.663 648

toscana 3.547.604 680

Calabria 2.043.288 443

Sardegna 1.648.044 520

Liguria 1.621.016 616

Marche 1.469.195 534

Abruzzo 1.281.283 496

Friuli Venezia Giulia 1.188.594 494

Trentino Alto Adige 943.123 485

Umbria 840.482 566

Basilicata 604.807 413

Molise 327.177 373

Valle d’Aosta 120.589 643

totale - medIa 57.844.017 524

tabella 2 - Produzione pro-capite dei rifiuti urbani e assimilati per regione, anno 2008 (Kg/ab*anno). Fonte: Ministero dell’Ambiente.

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Ad esempio il Comune di Pistoia registra una produzione procapite di rifiuti che è passata da 631 Kg/abitanti/anno del 2007 a un dato del 2008 di circa 635 Kg/abitanti anno (con un aumento di circa l’1%) con una produzione totale dei rifiuti urbani e assimilati che è passata dai 56.791.489 Kg/anno raccolti nel 2007 ai 57.405.374 Kg/anno del 2008, mentre nel 2009 la produzione procapite rimarrà quasi identica a quella del 2008.

La crisi economica ha determinato una contrazione dei consumi e una minor produzione dell’offerta di bene nelle imprese determinando così una invarianza nelle produzione dei ri-fiuti che si stà registrando nella produzione 2009 dei rifiuti urbani in molti Comuni toscani ma il dato di produzione regionale è ancora molto alto, vedi tabella 3.

(Kg/ab*anno)

n. ato abitanti rsu (tonn/anno)

Procapite(kg/ab/anno)

1 Massa Carrara 200.286 137.206 6852 Lucca 384.358 299.937 7803 Pisa 397.361 276.549 6964 Livorno 328.203 242.836 7405 Pistoia-empoli 445.826 282.552 6346 Firenze 800.136 539.532 6737 Arezzo 321.154 192.244 5998 Siena 260.563 165.433 6359 Grosseto 214.283 167.457 78110 Prato 238.890 186.342 780

In base all’art. 181 del D.Lgs 152/06 ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità com-petenti, Governo, Regioni e Enti Locali devono favorire la riduzione dello smaltimento finale in discarica favorendo tutte le possibile azioni rivolte alla riduzione, riuso, recupero, riciclaggio. Sono queste le 4 R richieste per una corretta politica di gestione dei rifiuti. La riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti prodotti è l’obiettivo principale di una corretta politica ambientale, e può essere perseguito infatti mediante azioni che intervengano alla fonte nel processo produttivo e che incentivino il riuso, il recupero e il riciclaggio dei rifiuti prodotti ottimizzando i sistemi di raccolta dei rifiuti urbani sotto il profilo tecnico, economico e am-bientale. Purtroppo la crisi economica non ha indebolito solamente il mercato dei prodotti ma anche il mercato del riuso e del recupero dei rifiuti, i prezzi delle materie recuperate dalla selezione dei rifiuti stanno subendo drastiche riduzioni dei corrispettivi.

Il raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio dei materiali, previsti dalla legi-slazione europea e recepiti in Italia attraverso il Decreto Ronchi (D.lgs 22/97), è perseguito anche grazie all’attività svolta da numerosi consorzi quali: Conai (Consorzio Nazionale Im-ballaggi), organismo privato senza fini di lucro, che rappresenta il sistema italiano di valo-rizzazione dei materiali da imballaggio; Comieco (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo

tabella 3 - Produzione pro-capite dei rifiuti urbani e assimilati per Ato Toscana, anno 2008. Fonte: Arrr.

Capitolo IV - Una gestione corretta dei rifiuti

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degli imballaggi a base Cellulosica: carta cartone e cartoncino); Coou (Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati) il cui compito è costituito dalla gestione della raccolta di oli lubrificanti usati su territorio nazionale per riutilizzarli nuovamente ed in modo corretto; Cobat-Consorzio Obbligatorio Batterie al Piombo Esauste e Rifiuti Piombosi che si occupa di raccogliere, com-mercializzare e riutilizzare batterie esauste e rifiuti contenenti piompo; Corepla (Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclaggio ed il Recupero dei Rifiuti di imballaggi in plastica).

Ad oggi il vero problema nella gestione dei rifiuti è la valorizzazione e riutilizzo, per i rifiuti indifferenziati il modo migliore è collegarne la gestione/trattamento al recupero ener-getico e riutilizzo nei processi produttivi (termovalorizzazione). È infatti possibile attraverso opportuni processi di trasformazione far assumere ai rifiuti il valore di risorsa ricavandone combustibili (Cdr, Combustibile Derivato da Rifiuti) per la produzione di energia; oppure è possibile trasformare le sostanze organiche in fertilizzanti (compostaggio); riciclando vetro, carta e plastica o reimpiegando metalli ed oli (v. raccolta differenziata).

Ad oggi la crisi del mercato delle materie recuperate con la raccolta differenziata, pro-tetto dai Consorzi di filiera, mostra le prime inefficienze, i corrispettivi riconosciuti per le materie recuperate stanno calando di anno in anno e il sistema produttivo dinamico non ha nessun incentivo economico legato all’utilizzo di questi rifiuti recuperabili. Tutte le problema-tiche evidenziate per un più efficiente recupero e riutilizzo dei rifiuti devono essere tradotte in normative stringenti soprattutto sui prodotti immessi al consumo, quindi se da una parte il mercato del riciclo può essere difficilmente regolato per il futuro si può e si deve investire in: eco-compatibilità, riciclabilità dei prodotti di consumo e dei beni durevoli, è necessaria una marcatura CE stringente sulla gestione globale dei prodotti immessi al consumo anche nella fase finale di recupero/smaltimento.

3. l’importanza degli impianti per il trattamento/recupero dei rifiutiCondizione necessaria ma non sufficiente per una gestione efficiente e ambientalmente

sostenibile del ciclo intergrato è la presenza di impianti capaci di assicurare massima sicurezza ambientale e sociale e minimo impatto ambientale. La presenza di impianti capaci di tratta-re, selezionare, recuperare, valorizzare e mettere a dimora tutte le tipologie dei rifiuti che famiglie e imprese producono ogni giorno è l’asse portante del sistema di gestione dei rifiuti. L’altro elemento che influenza la gestione dei rifiuti è la modalità di raccolta dei rifiuti, sistemi a cassonetto stradale o porta a porta, che andremo ad affrontare nel prossimo paragrafo che vede nella raccolta porta a porta uno strumento micidiale di differenziazione delle materie.

I due temi, impianti e raccolte differenziate, si intrecciano in quanto il tema legato alla produzione dei rifiuti e alle raccolte differenziate è un parametro fondamentale della piani-ficazione impiantistica di ambito territoriale che è legato imprescindibilmente al dato delle raccolte differenziate raggiunto e da raggiungere dai Comuni secondo gli obiettivi definiti dalla normativa nazionale e regionale. Tutti i cittadini devono essere consapevoli che per garantire la massima sicurezza ambientale e sociale i rifiuti devono essere gestiti in impianti autorizzati che hanno un importante impatto sul territorio, visivo e di odori. Si registrano dif-

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ficoltà crescenti sui territori riguardo l’individuazione di siti idonei per la realizzazione degli impianti di recupero/smaltimento dei rifiuti necessari alla gestione dei rifiuti prodotti dagli stessi territori.

L’atteggiamento psicologico, ampiamente diffuso nell’opinione pubblica e dei cittadini e chiamato sindrome Nimby (Not in my back yard, «non nel mio giardino») che deve essere superato con processi partecipati ma non può essere arrestato. I cittadini dei territori che accoglieranno siti impiantistici dovranno essere rassicurati riguardo le tecnologie utilizzate che dovranno assicurare la massima protezione ambientale delle specie umane e animali. La direttiva comunitaria 61/96/Ce, nota anche come direttiva Ippc (Integrated Pollution Preven-tion and Control - Prevenzione e Riduzione Integrate dell’Inquinamento), recepita in Italia con il D.Lgs. 372/1999, introduce un approccio integrato per la prevenzione, la riduzione e, ove possibile, l’eliminazione dell’inquinamento originato dalle attività produttive. Tale approccio mira ad intervenire alla fonte delle attività inquinanti, coinvolgendo e responsabilizzando le imprese che operano in settori a rilevante impatto ambientale, migliorandone le prestazioni ambientali e promovendo il ricorso a tecnologie pulite.

A differenza delle precedenti normative ambientali, la direttiva Ippc prevede una valuta-zione unica sugli impatti ambientali derivanti dall’impianto industriale, e tale è un impianto per trattamento/recupero dei rifiuti, considerando complessivamente e non più separata-mente gli effetti dell’inquinamento su aria, acqua e suolo, insieme a valutazioni sulla produ-zione di rifiuti, sul risparmio energetico, sull’utilizzo razionale di risorse. I gestori degli impianti devono ottenere un’unica autorizzazione integrata ambientale (anziché singole autorizzazioni relative a acqua, aria, rifiuti, etc.), contenente i valori limite di emissione, fissati in base a stan-dard tecnologici, gestionali. La normativa prevede l’obbligo per le imprese di adottare tutte le opportune misure di prevenzione dall’inquinamento, attraverso l’applicazione delle migliori tecniche disponibili (Best Available Technologies).

Per capire che tipo di impianti servono su un territorio fondamentale è analizzare i sistemi di raccolta presenti sui territori stessi per capire i flussi di rifiuti omogenei che ogni giorno si producono e vengono raccolti su un territorio, questo dato è fondamentale per capire che tipo di impianti sono necessari per gestire i rifiuti urbani perché una volta raccolta questi rifiu-ti devono trovare un impianto dove andare per essere trattati/recuperati/valorizzati.

La gestione integrata dei rifiuti deve quindi partire da un dato imprescindibili, è sempre necessaria una rete impiantistica capace di trattare e di mettere a dimora i rifiuti non differen-ziati provenienti dalle famiglie (in peso il rifiuti indifferenziato è quantificabile con un 10-15% sul totale prodotto) e inoltre sono sempre presenti scarti, che sono rifiuti indifferenziati, pre-senti all’interno dei rifiuti differenziati. Quindi, a prescindere dal sistema di raccolta dei rifiuti implementato su un certo territorio, anche se in via residuale dovranno comunque essere sempre presenti impianti di termovalorizzazione con recupero energetico con presenza di di-scariche capaci di recepire le ceneri derivanti dal processo di combustione o la parte di rifiuti indifferenziato opportunamente trattato con precessi di trattamento meccanico/biologico.

Per il trattamento di rifiuti differenziati saranno fondamentali impianti di compostaggio per

Capitolo IV - Una gestione corretta dei rifiuti

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la matrice organica proveniente dagli scarti delle famiglie e dagli scarti verdi. Gli altri tipi di impianti necessari sono quelli riguardanti la selezione, cernita e valorizzazione degli imballaggi e delle materie recuperabili. I sistemi porta a porta stanno creando una domanda crescente nel mercato dei rifiuti mentre l’offerta impiantistica attuale non è capace di trattare il rifiuto differenziato che tale sistema sarebbe capace di produrre. La realizzazione degli impianti di trattamento/recupero dei rifiuti deve anticipare l’aumento delle raccolte differenziate altri-menti avverrà un cortocircuito micidiale nel sistema. Complessivamente la pianificazione del sistema impiantistico dovrà essere in grado di intercettare i materiali recuperabili, trattare e in via residuale avviare a smaltimento il rifiuto urbano prodotto nelle aree di riferimento.

Oggi ci sono le possibilità per invertire un trend negativo di bassi investimenti in questo settore che rischiano seriamente di mettere in crisi uno dei pilastri della normativa ambien-tale vigente ovvero l’autosufficienza di smaltimento a livello di ambito territoriali ottima-li. Dobbiamo ricordare comunque che le stime sulle volumetrie residue delle discariche nel territorio toscano a invarianza di rifiuti indifferenziato prodotto ci mostrano come nel 2012 molte delle discariche regionali in Toscana saranno esaurite e molti impianti di trattamento ormai obsoleti dovranno essere chiusi o ammodernati.

Oggi la politica è chiamata ad affrontare questi problemi accelerando sugli investimenti pianificati a livello di ambito dando una risposta alla sempre crescente domanda di tratta-mento e smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati. La mia opinione è che l’impiantistica sulla gestione dei rifiuti deve essere in mano pubblica la proprietà degli impianti deve vedere soci pubblici in situazioni di maggioranza relativa e con poteri di controllo invasivi e tempestivi anche sulla gestione. Sono evidenti le esternalità positive e negative e le possibili asimmetrie informative che si potrebbe presentare in caso di proprietà e gestione di impianti a totale capitale privato con finalità di lucro che andrebbero a contrastare con le evidenti necessità di investimenti pesanti in protezione ambientale.

Le vicende della Recoplast in Toscana, ma soprattutto quelle di Napoli dove la gestione era in appalto a ditte private, ci devono far riflettere sulla necessità di avere una impiantistica dei rifiuti saldamento in mano pubblica, il perseguimento degli utili in alcuni casi mal si con-cilia in settori di indubbio interesse pubblico generale e diffuso come quello dei rifiuti dove molto spesso è difficile fare controlli preventivi.

4. la raccolta differenziata e i sistemi “porta a porta”Con la Direttiva 2008/98/Ce la Commissione Europea ha giustamente riportato una ge-

rarchia nella gestione dei rifiuti che prevedono al primo posto la prevenzione, seguita dalla preparazione per il riutilizzo, dal riciclaggio, dal recupero per esempio energetico ed infine dallo smaltimento. Nel recepire la direttiva gli Stati membri dovrebbero monitorare le varie attività riportate sopra ovvero non dovrebbero concentrarsi solamente sulla rendicontazione della sola percentuale dei rifiuti raccolti in modo differenziato ma sulla rendicontazione di quanti effettivamente vengono avviati a recupero e riutilizzati sul mercato. Aspettando quin-di un recepimento della direttiva seguendo queste linee guida ad oggi partiamo da un dato

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di fatto, i sistemi di raccolta “porta a porta” permettono di raccogliere in modo differenziato quasi il 90% dei rifiuti prodotti dalle famiglie ma quante tonnellate vengono effettivamente recuperate e riutilizzate?.

Aspettando delle normative nazionale che possano permettere una valutazione dell’effet-tivo riutilizzo concentriamoci sul tema delle raccolte differenziate. La raccolta differenziata è costituita dall’insieme delle operazioni con cui vengono raccolti i rifiuti urbani separandoli in frazioni merceologiche omogenee (vetro, carta, plastica, organico, medicinali, etc.), finalizzate al recupero e al riciclaggio dei materiali.

Grazie alla raccolta differenziata che facciamo nelle nostre case e a quella effettuata nelle industrie trattiamo i nostri rifiuti in modo intelligente e con la consapevolezza di dare loro un nuovo valore, creando ricchezza con ogni frazione utilizzabile: carta, vetro, plastica, me-talli e alluminio, legno, farmaci e batterie, oli e frazioni secche. La carta è un prodotto che può essere completamente riciclato: cartoni e cartoncini, giornali e riviste vengono raccolti e inviati alle cartiere dove si provvede a sminuzzarli e ad immergerli in acqua fino ad ottenere una poltiglia.

Dopo opportuni processi di depurazione, il materiale ottenuto viene reinserito nel circuito di produzione della carta, aggiungendolo alla cellulosa vergine. Anche il vetro raccolto rientra senza problemi nel normale circuito di produzione del vetro. Il vetro una volta inviato alle vetrerie, viene frantumato per il necessario trattamento: vengono eliminate eventuali parti in plastica e in carta con aspiratori molto potenti e quelle in metallo con l’ausilio di elettroma-gneti. Il vetro così ottenuto è successivamente fuso e utilizzato come fosse normale vetro.

La plastica necessita invece maggiori accorgimenti per il suo corretto riutilizzo: esistono infatti vari tipi di plastica, le cui sigle più comuni sono Pet, Pvc, Pe ma ce ne sono molte altre ancora. Fondere tutte le plastiche insieme significa ottenere un prodotto utilizzabile solo per ottenere prodotti poco raffinati (panchine, ringhiere, ecc.) mentre dalla fusione di plastiche omogenee si ottiene plastica dello stesso tipo riutilizzabile per qualsiasi prodotto tranne che per confezioni alimentari. Per fare questo occorre però selezionare le diverse tipologie di pla-stica ricorrendo a uno dei vari metodi esistenti (es. analisi a raggi x; separazione in acqua per peso specifico) per poi procedere alla macinazione della plastica e alla sua trasformazione in granuli pronti per essere riutilizzati.

In generale tutti questi processi producono scarti non differenziabili e che devono trovare un trattamento adeguato quali processi di termovalorizzazione e messa a dimora in discari-che. Separare correttamente i rifiuti vuol dire risparmiare energia e materie prime offrire un ulteriore ciclo di vita ai materiali riciclati, contribuire ad un aumento della sensibilità e matu-rità ambientale, ci aiuta a prendere coscienza di tutto ciò che consumiamo.

I sistemi porta a porta determinano una riduzione automatica dei rifiuti prodotti per le motivazioni riportate precedentemente e per motivi riguardanti un blocco della migrazione dei rifiuti speciali prodotti dalle imprese che in molti casi finiscono nei cassonetti stradali. Nel 2008 nel Comune di Montespertoli Publiambiente, gestore del servizio di igiene ambientale, ha iniziato un sistema di raccolta dei rifiuti porta a porta e rispetto ai Comuni limitrofi si sono

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ottenuti ottimi risultati, raccolta differenziata all’86% e rifiuti procapite in forte diminuzione a 387,47 (kg/ab*anno) contro una media di 680 kg/ab*anno, tabella 4.

Comune abitanti totale rd (tonn)

smaltimento (tonn)

totale (tonn) % rd

rifiuti pro-capite

anno

Capraia e Limite 6.843 1.730,75 2.074,81 3.805,56 48,38% 556,12Castelfiorentino 17.813 4.159,58 6.487,97 10.647,55 41,56% 597,74Cerreto Guidi 10.333 2.485,06 3.955,91 6.440,97 41,04% 623,34Certaldo 16.242 3.145,25 5.509,07 8.654,32 38,66% 532,84Empoli 46.761 12.500,10 18.527,49 31.027,59 43,79% 663,54Fucecchio 22.678 4.650,10 8.496,83 13.146,92 37,63% 579,72Gambassi Terme 4.857 909,30 1.772,27 2.681,57 36,07% 552,10Montaione 3.701 1.011,13 1.742,98 2.754,11 39,06% 744,15Montelupo F.no 13.032 3.394,66 5.248,06 8.642,72 41,78% 663,19montespertoli Pap 12.978 4.089,67 938,90 5.028,57 86,52% 387,47Vinci 14.314 3.402,02 5.533,94 8.935,96 40,50% 624,28Totale 169.552 41.477,62 60.288,22 101.765,84 45,00% 593,14

Dalla tabella 4 è evidente che attraverso il sistema di raccolta porta a porta il materiale differenziato dalle famiglie e dalle imprese raggiunge percentuali importanti che tendono al 90%, la parte indifferenziata dei rifiuti oscilla tra il 10 e il 15%. Dai dati di produzione è pos-sibile rilevare che ogni abitante equivalente su Montespertoli produce circa 70 Kg/anno di carta e cartone, circa 150 kg/anno di frazione organica e sfalci dei giardini, circa 76 kg/anno di multi-materiale (vetro, plastiche e lattine) e soli 70 kg/anno di rifiuti indifferenziati; queste rappresentano i maggiori aggregati in termini di produzione annua di rifiuti.

Il sistema di raccolta dei rifiuti porta a porta determina una vera e propria rivoluzione nella gestione quotidiana dei rifiuti soprattutto per le famiglie. Il cambiamento di abitudini quotidiane cambia profondamente, mentre con il sistema di raccolta rifiuti con cassonetti stradali ognuno a qualsiasi orario può conferire i rifiuti posti sulle strade con il sistema porta a porta ai cittadini vengono consegnati cassonetti personalizzati, almeno di quattro tipologie (di colore marrone per la raccolta della frazione organica, grigio per la raccolta della frazione indifferenziata, celeste per la raccolta multi materiale e giallo per la raccolta della carta) e possono essere esposti fronte strada seguendo un preciso calendario. Le famiglie si trovano di fronte ad un problema logistico, trovare lo spazio interno alle case per collocare i contenitori dei rifiuti, e un problema sul conferimento, rispettare un calendario di conferimento.

Il primo aspetto può essere superato utilizzando contenitori di volumetrie variabili ade-guati agli spazi a disposizione, per esempio si possono trovare bidoncini da 5 litri impilabili, per monolocali, oppure bidoni da 240 litri, per villette con giardino. L’altro aspetto ovvero il conferimento dei rifiuti deve avvenire secondo un calendario, per esempio di calendario del Comune di Montespertoli prevede un passaggio settimanale per la raccolta del rifiuto indif-

tabella 4 - Raccolte differenziate e produzione pro-capite dei rifiuti urbani e assimilati, anno 2008. Fonte: Arrr.

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ferenziato, due passaggi settimanali per la raccolta della frazione umida di matrice organica, due passaggi settimanali per la raccolta del multi-materiale (vetro, plastica e lattine) e un passaggio settimanale per la raccolta della carta. Il bidone deve essere esposto in una certa fascia di tempo, solitamente la mattina, dalle ore 7 alle ore 8, fronte strada mentre nelle ore successive all’esposizione avviene la raccolta con mezzi satelliti più piccoli e un autocarro più grande che ha funzione di collettore.

Quindi il sistema porta a porta riporta l’attenzione sulla produzione dei rifiuti e le famiglie tornano ad essere le vere protagoniste, è un sistema di raccolta che rinnova e rafforza il con-cetto di responsabilità sociale che riguarda in prima istanza tutti coloro che con le proprie scelte di consumo producono rifiuti, famiglie e imprese.

riferimenti normativi Decreto Legislativo n. 152/2006Direttiva Ce 2008/98/Ce

sitografia www.ambientediritto.it/Legislazione/RIFIUTI.htmwww.arrr.itwww.publiambiente.itwww.comieco.org www.educambiente.tv/appr04.html

Capitolo IV - Una gestione corretta dei rifiuti

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GlI autorI

roberta maria Carboni, laureata in Lettere Moderne con indirizzo in Geografia Umana, con una tesi, L’esperienza mineraria a Guspini e Montevecchio, pubblicata in Il Parco immagi-nato dai giovani (AM&D edizioni, 2007). E’ esperta nell’analisi del territorio e delle dinamiche che intercorrono tra l’uomo e il territorio sul piano economico, storico, culturale e sociale. Ha insegnato diversi anni presso diversi Istituti tecnici di Pistoia e portato avanti con gli stessi progetti di educazione ambientale, estendendo successivamente tali progetti a diversi gradi di scuola, anche ad un asilo nido, grazie alla collaborazione del Circolo Legambiente Pistoia di cui è segretaria, del Cesvot e attraverso i progetti sostenuti dall’Assessorato all’educazio-ne e alla formazione del Comune di Pistoia. Inoltre ha partecipato come docente ai corsi di formazione per volontari “Sviluppo sostenibile e Gestione Rifiuti” e “L’ambiente Conviene”, finanziati dal Cesvot. Ha conseguito vari attestati di aggiornamento e qualifica fra cui quello di operatore ambientale, con partecipazione attiva in seminari e convegni tenuti da Legambien-te Pistoia sul consumo equo e solidale, su comunicazione e rifiuti, è attualmente impiegata presso un’azienda privata e lavora alla stesura di nuovi progetti.

lucia Bonacchi, architetto, libero professionista, si laurea in Progettazione dell’Architettu-ra con tesi in Progettazione e Riqualificazione Ambientale nell’aprile 2006; consegue il titolo di Esperto CasaClima, Bz nel maggio 2008 e l’attestazione di frequenza al corso Inbar (Istituto Nazionale di BioArchitettura) nel febbraio 2009. Partecipa al concorso “Terra Futura” (Firenze) e al concorso promosso da Fassa Bortolo nella sezione tesi in progettazione e riqualificazione sostenibile, entrambi nel gennaio 2007. Partecipa al convegno su Bioarchitettura e Bioedilizia promosso dalla Provincia Pistoia nell’ottobre 2007 e nel maggio 2009 svolge come docente esperto un ciclo lezioni sul risparmio di acqua ed energia presso la Scuola Elementare di Ponte alla Pergola (Pistoia) dal titolo “I Risparmioni”. Nel novembre 2009 partecipa come docente al corso di specializzazione “Pistoriando” presso l’Istituto Tecnico per il Turismo “L. Einaudi” con lezioni sull’urbanizzazione e l’evoluzione storica di Pistoia.

Cecilia armellini, è architetto ed esercita la libera professione dal 1982. Specializzata, post laurea, presso l’università di Bologna, facoltà di Ingegneria, in Bioarchitettura, ha, nel corso degli anni, attuato percorsi di approfondimento e studi nel campo delle energie rin-novabili, dello sviluppo sostenibile e della cooperazione internazionale. Collabora con enti pubblici e privati nei settori della partecipazione e condivisione di scenari di sostenibilità, contabilità ambientale e formazione sia essa rivolta a scuole o adulti. Dal 2004 è responsabile della Commissione Energia di Legambiente Toscana partecipandone e implementando, se-condo dinamiche di approfondimento scientifico e di condivisione, le politiche di diffusione delle rinnovabili, di lotta ai cambiamenti climatici e al ritorno del nucleare.

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enrico Innocenti, laureata in Economia, ha conseguito il Master di II livello in Economia Pubblica presso l’Università Cattolica di Milano, specializzazione regolamentazione servizi pubblici locali. Attualmente lavora nel settore dell’igiene ambientale, raccolta rifiuti urbani e speciali, manutenzione del verde, disinfestazioni, servizi cimiteriali come responsabile pro-gettazione, organizzazione e gestione servizio.

sara Francesconi, laureata in Conservazione dei Beni Culturali con tesi su La miniatura a Pistoia nel Romanico; è socia fondatrice dal 2005 della cooperativa Giodò per la quale si occupa di progetti di valorizzazione e didattica culturale, di servizi di assistenza al pubblico, di comunicazione e pubblicità. Collabora da marzo 2006 con lo Studio Phaedra di Pistoia per consulenza a progetti di comunicazione e campagne pubblicitarie per enti pubblici e privati. Socia di Legambiente Circolo di Pistoia si occupa di coordinare progetti e corsi “L’AmBiente ConViene! Come risparmiare rispettando l’ambiente”, “I Risparmioni” e “Curarsi con la natura: corso teorico/pratico sulle discipline bio-naturali e complementari”. Partecipa come docente al corso di specializzazione presso l’Istituto Tecnico per il Turismo “L. Einaudi” con lezioni sulla didattica culturale all’interno del progetto “Pistoriando” nel gennaio 2010.

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IndICe

Premessa, di Antonio Sessa ................................................................................................................................................................................................................ 3

Introduzione, di Sara Francesconi ............................................................................................................................................................................................. 5

Capitolo Il’ambiente e le sue problematiche, di Roberta Carboni ................................................................................................................................... 9

1. Introduzione ........................................................................................................................................................................................................................................... 91.1. Comportamenti e comunicazione .................................................................................................................................................................. 91.2. Ambiente, territorio e paesaggio .................................................................................................................................................................. 10

2. Il clima: ieri, oggi, domani ..................................................................................................................................................................................................... 122.1. Le mutazioni nella storia ......................................................................................................................................................................................... 122.2. La nascita dell’atmosfera ........................................................................................................................................................................................ 132.3. Atmosfera e clima .......................................................................................................................................................................................................... 152.4. Composizione presente dell’atmosfera ................................................................................................................................................. 152.5. Presente: temperatura in crescita ................................................................................................................................................................ 172.6. Futuro: in balia dei gas serra .............................................................................................................................................................................. 18

3. Il degrado dell’ambiente e delle risorse ............................................................................................................................................................... 213.1. La biosfera e l’uomo ...................................................................................................................................................................................................... 21

4. I problemi ambientali globali .......................................................................................................................................................................................... 254.1. I rifiuti .......................................................................................................................................................................................................................................... 254.2. L’intensificazione dell’effetto serra e le “isole di calore” .................................................................................................. 314.3. Nell’atmosfera: immissione di inquinanti ............................................................................................................................................ 354.4. La riduzione dello strato di ozono ............................................................................................................................................................. 354.5. L’inquinamento delle acque e la carenza idrica ........................................................................................................................... 394.6. Deforestazione ................................................................................................................................................................................................................ 444.7. La perdita di biodiversità ...................................................................................................................................................................................... 464.8. L’ambiente e il turismo ........................................................................................................................................................................................... 48

5. L’uomo e il cambiamento climatico ......................................................................................................................................................................... 495.1. Clima e salute ..................................................................................................................................................................................................................... 50

6. Conclusione ........................................................................................................................................................................................................................................ 54Bibliografia ................................................................................................................................................................................................................................................... 55Sitografia ....................................................................................................................................................................................................................................................... 56

Capitolo IIl’architettura sostenibile, di Lucia Bonacchi .................................................................................................................................................................. 57

1. La bioarchitettura oggi ........................................................................................................................................................................................................ 571.1. Introduzione alle tematiche ................................................................................................................................................................................. 571.2. Storia bioclimatica ......................................................................................................................................................................................................... 571.3. Esempi spontanei di architettura bioclimatica ............................................................................................................................. 601.4. I fattori fisico-ambientali modificanti ..................................................................................................................................................... 621.5. Schema di analisi di progetto ........................................................................................................................................................................... 64

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1.6. Schemi di metodologie di approccio progettuale ................................................................................................................... 641.7. La relazione uomo/società/ambiente ................................................................................................................................................... 65

2. La progettazione sostenibile ........................................................................................................................................................................................ 662.1. Significato e obiettivi ................................................................................................................................................................................................. 662.2. Analisi, orientamento e verde ........................................................................................................................................................................ 662.3. Disposizioni interne e forma volumetrica ......................................................................................................................................... 672.4. La ventilazione efficace ......................................................................................................................................................................................... 682.5. Isolamento invernale/estivo ............................................................................................................................................................................ 692.6. Sistemi solari passivi ................................................................................................................................................................................................... 712.7. Esempi di architetture bioclimatiche ....................................................................................................................................................... 75

3. Risorse, etica, architettura ................................................................................................................................................................................................ 763.1. Osseravazioni ........................................................................................................................................................................................................................ 763.2. Concatenzione degli elementi: la storia del metano ............................................................................................................. 813.3. Risorsa da salvaguardare: aria .......................................................................................................................................................................... 823.4. Risorsa da salvaguardare: acqua ..................................................................................................................................................................... 833.5. Risorsa da salvaguardare: suolo ..................................................................................................................................................................... 853.6. Risorsa da sfruttare: sole ...................................................................................................................................................................................... 883.7. Riassumendo ........................................................................................................................................................................................................................ 90

Bibliografia ................................................................................................................................................................................................................................................... 91Sitografia ........................................................................................................................................................................................................................................................ 91

Capitolo IIIl’energia dalla natura e per la natura, di Cecilia Armellini .......................................................................................................................... 93

1. Energie rinnovabili e non rinnovabili ........................................................................................................................................................................ 931.1. Per cominciare…. un po’ di storia ................................................................................................................................................................. 931.2. Fonti rinnovabili e non: prime definizioni e contesti socio-economici ........................................................... 961.3. Uso delle fonti fossili: il tempo sta per scadere ........................................................................................................................ 981.4. Le perversioni visionarie del nucleare ................................................................................................................................................... 99

2. Energia dalla natura: terra, acqua, sole e vento ....................................................................................................................................... 1002.1. Tanti nomi una sola origine: il sole ......................................................................................................................................................... 1002.2 Acqua: idroelettrico/moti ondosi/maree/gradiente salino/termico ......................................................... 1022.3. Vento: eolico .................................................................................................................................................................................................................... 1052.4. Terra: la geotermia .................................................................................................................................................................................................... 1092.5. Biomassa, biogas, bioliquidi .............................................................................................................................................................................. 1102.6. Sole: fotovoltaico e solare termico .......................................................................................................................................................... 111

3. Autoproduzione e risparmio ........................................................................................................................................................................................... 1163.1. Europa chiama Italia: le ricadute delle Direttive Europee sul risparmio e

l’efficienza energetici e sulla promozione delle rinnovabili ........................................................................................ 1163.2. Cosa possiamo fare veramente: una rete di produttori/consumatori ............................................................ 1183.3. Incentivi e facilitazioni ......................................................................................................................................................................................... 1203.4. Consumare o risparmiare energia è anche nelle nostre scelte quotidiane ............................................... 123

Bibliografia ................................................................................................................................................................................................................................................ 123Sitografia ..................................................................................................................................................................................................................................................... 123

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Capitolo IVuna gestione corretta dei rifiuti, di Enrico Innocenti ....................................................................................................................................... 1251. Introduzione ........................................................................................................................................................................................................................................... 1252. I rifiuti: ieri, oggi, domani .......................................................................................................................................................................................................... 1263. L’importanza degli impianti per il trattamento/recupero dei rifiuti ..................................................................................... 1284. La raccolta differenziata e i sistemi “porta a porta” .................................................................................................................................. 130Riferimenti normativi ............................................................................................................................................................................................................................... 133Sitografia ................................................................................................................................................................................................................................................................. 133

Gli autori ........................................................................................................................................................................................................................................................... 135

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Finito di stampare nel mese di Giugno 2010

Grafica, Impaginazione e stampa BLU Comunicazione - Pontedera (PI)