lascuolapossibile febbraio 2012
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Pubblicata da Sysform Editore 00131 Roma Via Monte Manno 23 - Direttore Responsabile Manuela Rosci
Edizione cartacea della rivista telematica www.lascuolapossibile.it
Iscrizione al Tribunale di Roma 63/2010 del 24/02/2010
N.20 febbraio 2012 Web Content Manager Maurizio Scarabotti
Editoriale
Ma di quale didattica parliamo? Il peso della didattica nel fare scuola di Rosci Manuela - Editoriali
Sempre più mi imbatto in mortificazioni che
la scuola -attraverso gli insegnanti- regala
spesso inconsapevolmente ai propri alunni.
Non credo di dire nulla di nuovo se affermo
che il docente sembra indossare un abito
antico, un po' demodé, uno stile passato di
moda, che mette in difficoltà la sua "esibi-
zione" agli occhi degli alunni, soprattutto
dei più grandicelli.
Come reagisce il docente?
Impugnando in maniera più salda lo scettro
del potere: valuta (spesso giudica) quello
che un alunno sa oppure no, e l'operazione
si compie sotto l'egida della DIDATTICA, l'e-
lemento che fa sì che la scuola e i docenti
definiscano la propria professione. Intorno
alla didattica, quindi, si organizzano e si
strutturano i tempi e i modi per cui l'altro -
lo studente- possa prendere ciò che ogni in-
segnante ha da dare. La didattica spesso si
esaurisce nella singola disciplina che, a sua
volta si impernia sul contenuto: cosa inse-
gno (meno, come lo insegno)? Torniamo un
momento indietro e accettiamo la definizio-
ne di didattica (dal greco didàsko = inse-
gno): è la teoria e la pratica dell'INSEGNA-
RE.
Questo concetto è da sempre messo in re-
lazione con l'APPRENDIMENTO: il docente
insegna, l'alunno apprende. Siamo andati
avanti così per molto tempo, con la convin-
zione che l'apprendimento fosse un qualco-
sa riferibile solo allo studente e non alla
persona. Abbiamo invece scoperto che si
apprende anche in altri contesti, come la
famiglia, il gruppo dei pari, le attività ri-
creative, inoltre si apprende per tutta la vi-
ta. Questo cambia un po' il paradigma di ri-
ferimento con cui il docente oggi insegna.
Prendiamo in considerazione la tesi che af-
ferma che la nostra conoscenza della realtà
è una costruzione individuale e sociale. Il
termine "costruzione" indica qualcosa che si
sviluppa in situazione, che potrebbe non
essere esistito prima di quel momento: è
quindi poco pertinente con un modello di
scuola che si basa ancora troppo su modali-
tà didattiche sostanzialmente trasmissive,
che sottendono posizioni di sostanziale og-
gettivismo (esiste un'unica realtà oggettiva
che può e deve essere raccontata e tra-
mandata).
Se condividiamo il valore delle discipline
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come costrutto storico, dobbiamo anche ac-
cettare che non possono essere utilizzate
come descrizioni oggettive di realtà ma so-
no invece la testimonianza di come si è
evoluto nel tempo il rapporto dell'uomo con
il mondo; si comprende allora il perché di
un susseguirsi di modelli interpretativi e di
concetti chiave che possono nel tempo es-
sere cambiati all'interno delle stesse disci-
pline.
Se la scuola è imperniata sulla didattica
...che tipo di didattica (teoria e pratica) può
adottare oggi il docente per essere "dentro
il presente"?
Se la teoria di riferimento è che la cono-
scenza è una "costruzione", diventa impen-
sabile limitarsi a spiegare ciò che il testo
racconta perché quei contenuti -se non
trattati a dovere- rimangono racconti più o
meno interessanti ma gli studenti continue-
ranno a chiedersi: ma che ci azzeccano con
la vita di tutti i giorni?
Non voglio banalizzare l'importanza della
nostra tradizione culturale ed educativa ma
dobbiamo decidere che è ora di abbandona-
re l'area di confort (dove ci troviamo meglio
perché conosciamo le regole) per avventu-
rarci nel campo della ri-cerca continua,
quotidiana, insieme ai nostri ragazzi.
Mi vengono in mente i docenti che riutiliz-
zano i quaderni di qualche anno prima, già
sperimentati con altri alunni, in un'altra
epoca. La massima negazione della dinami-
cità della conoscenza, che non si limita a
prendere contenuti "preconfezionati" ma li
crea dentro le situazioni che accadono sul
momento.
L'esempio scolastico più calzante è il con-
fronto tra le classi: presento lo stesso ma-
teriale e i due gruppi classe si comportano
diversamente, gli uni sono bravi gli altri un
po' meno. Eppure io sono sempre la stessa,
insegno nella stessa maniera!
Noi insegnanti ci illudiamo di essere perso-
ne "asettiche": senza pregiudizi, senza pre-
ferenze, solo con convinzioni positive, con
un alto senso di giustizia e responsabilità, e
potrei continuare oltre.
Attribuiamo così all'altro (in genere l'alunno
ma non è lasciata indenne nemmeno la fa-
miglia) l'insuccesso dell'operazione DIDAT-
TICA: io insegno da sempre nello stesso
modo, anzi mi sono aggiornato e l'altro (l'a-
lunno ma anche tutta la società) non ap-
prezza il mio impegno.
Torniamo alla teoria: se parliamo di "co-
struzione" della conoscenza dobbiamo ab-
bandonare l'idea che a costruire sia soltanto
IO, meglio ritenere responsabili tutti NOI, in
quello spaccato di vita scolastica che è la
classe, che raccoglie due livelli gestiti -da
sempre- in maniera dicotomica: l'individuo
e il gruppo. Come se non appartenessero
allo stesso contesto, come se l'agire di uno
non incidesse sull'altro livello e viceversa.
Quindi la costruzione della conoscenza "ac-
cade" nel gruppo con l'apporto di tutti.
Va da sé che se accettiamo la teoria per cui
i bambini non sono "tabula rasa", anzi svi-
luppano precocemente "teorie ingenue"
sulla realtà, microteorie utilizzate come
cornici interpretative, come paradigmi validi
fin quando non vengono smentiti, la funzio-
ne del docente CAMBIA NECESSARIAMEN-
TE, non è tanto quella di "riempire" di no-
zioni e convincere che le cose stanno così
come vengono raccontare, ma è il predi-
sporre un contesto di apprendimento in cui
le cose che già si sanno (sia adulti che
bambini/ragazzi) vengono rimesse in di-
scussione da ciò che accade di nuovo, che
ha proprio il compito di modificare gli
schemi già acquisiti e che, con l'andar del
tempo, diventano improduttivi alla crescita
della persona. Il docente è colui che solleci-
ta dubbi non colui che dà risposte (vi consi-
glio di leggere l'articolo di Simonetta Mel-
chiorre), è colui che abbandona sempre più
la centralità della lezione frontale a favore
dell'esperienza diretta, ben sapendo però di
non lasciarsi tentare di ridurre anche l'espe-
rienza a qualcosa di già visto, già vissuto.
Fare scuola significa accettare che tutto ciò
in cui hai creduto può essere confutato, tra-
sformato, diversamente interpretato. Non
esisterà mai una realtà OGGETTIVA uguale
per tutti, perché ognuno percepisce sulla
base della nostra intenzionalità e dipende
inoltre dalla costruzione interna che ognuno
di noi ha fatto.
Possiamo pensare quindi che l'apprendi-
mento che cerchiamo di sollecitare nei no-
stri alunni attraverso la didattica, avviene
non in forma lineare, in risposta al nostro
input didattico ma a quanto siamo riusciti a
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creare "intorno" alla situazione e cosa sia-
mo "insieme" riusciti a provocare. All'inter-
no di questo processo è fondamentale valo-
rizzare la dimensione sociale della cono-
scenza, le potenzialità che può esprimere la
classe come gruppo, nell'imparare dagli altri
e con gli altri, nella negoziazione di inter-
pretazioni ad un livello sempre più raffinato
e condiviso.
Per una didattica "costruttivista" c'è ancora
posto, anzi c'è da farle posto!
Manuela Rosci
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In questo numero di febbraio 2012
Area Tematica SottoTitolo Autore
Il peso della didattica nel fare
scuola Rosci Manuela
Per evitare gli appiatti-menti e la
dispersione scolastica ... è que-
stione di "STILE"!
Riccardi Barbara
I nuovi traguardi e le nuove sfi-
de Agolino Simona Loretta
La didattica dell'inglese con i
Beatles Ansuini Cristina
Una mente aperta al dubbio,
consapevole delle differenze, di-
sponibile al cambiamento
Del Guercio Nadia
Sono i più vecchi di tutta Europa La redazione
L'organizzazione di una didattica
pensata per raggiungere tutti Melchiorre Antonia
Con gli occhi della ragione Riccardi Barbara
Preparare il fisico... e la mente Nucera Roberto
Una didattica che inizia là dove
sembra avere fine Traversetti Marianna
Il mio ideale di maestro Melchiorre Simonetta
Verso la definizione della Qualità
dei percorsi educativo-didattici Presutti Serenella
Una dimensione inverificabile e
non relativa Sabatini Roberto
Le mie proposte didattiche Paci Lucia Giovanna
Tecniche passive e tecniche atti-
ve a confronto Infantino Aminta Patrizia
Non è poi così difficile! Ruggiero Patrizia
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DDalla prima pagina
Dalla prima pagina
La didattica metacognitiva Non è poi così difficile! di Ruggiero Patrizia - Sotto la lente
Questo della didattica metacognitiva è un
argomento che mi è molto caro e che ho già
trattato su questa rivista (vedi articolo ot-
tobre 2008 le domande per imparare ad
imparare). È connessa allo spostamento
del focus dall'insegnamento all'apprendi-
mento.
È la base della personalizzazione in quanto
prende in esame anche gli aspetti emotivo-
relazionali, oltre che quelli cognitivi, perché
considera la mente, naturalmente, intera-
mente, interconnessa.
Tiene conto, sottolinea e risalta le differen-
ze di ciascuno nell'approccio allo studio ed è
essenziale per diversificare il lavoro in clas-
se.
È considerata un requisito e un propedeuti-
co allo stesso tempo, per promuovere il tu-
toraggio tra pari, l'aiuto reciproco, le varie
forme di apprendimento cooperativo.
È considerata un ottimo strumento com-
pensativo per gli alunni con DSA (Gabriel
Levi).
E ugualmente, pur essendo la modalità
scelta per sviluppare una delle competenze
base consigliata dal Parlamento Europeo,
ossia imparare ad imparare, vedo che è
ancora poco conosciuta o applicata in modo
sporadico e poco mirato.
È poco trattata come prassi quotidiana!
La didattica metacognitiva ha come obietti-
vo quello di promuovere la conoscenza me-
tacognitiva: tutto ciò che un individuo pen-
sa sul funzionamento della propria mente.
Gli elementi costitutivi della didattica meta-
cognitiva, quelli che bisogna fare uscire allo
scoperto e in qualche modo sistematizzare
sono (da Ianes):
- le conoscenze sul funzionamento cogni-
tivo in generale, teoria della mente: stili di
apprendimento, le intelligenze ,il pensiero
ecc.
--la autoconsapevolezza del proprio fun-
zionamento cognitivo, cosa e come sto pen-
sando, ricordando, cosa mi facilita o cosa
ostacola ,quali sono i miei punti di forza e
deficit, cosa mi può aiutare a comprendere,
a ricordare.
---l'uso di strategie di autoregolazione
cognitiva: autoosservazione, autodirezione
e autovalutazione come ho fatto, come pos-
so fare, come sono andato - le strategie di
problem solving e planning- l'autoistruzione
verbale
----le variabili psicologiche di media-
zione, immagine di sé come persona in
grado di imparare: stile di attribuzione (in-
terno o esterno), convinzioni riguardo al
proprio uso di strategie, al senso di autoef-
ficacia, alla immagine di sé come studente
sono/non sono capace, in cosa penso di es-
sere/ non essere bravo, alla propria capaci-
tà di trovare risorse per .. ce la posso fare!
Un campo di azione molto vasto! Che sicu-
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ramente necessita di parecchio tempo di
applicazione.
Confrontandomi con i colleghi, soprattutto
delle superiori (es. Liceo Croce), ho visto
che utilizzano dei questionari, esaminati an-
che con il supporto di esperti e con una re-
stituzione anche alle famiglie, oltre che agli
studenti e agli insegnanti, che indagano: le
strategie per collegare nuovi apprendimen-
ti, la capacità di organizzazione, la tenden-
za a perdersi di fronte agli impegni scolasti-
ci, l'uso di organizzatori come mappe o
schemi, ecc. come pure il livello di ansia, la
capacità di portare a termine gli impegni, la
percezione di competenza scolastica ecc.
Io penso che questo può essere un ottimo
modo per cominciare, per "mettere in tavo-
la" questo "cibo" ma poi bisogna anche
"masticarlo e digerirlo".
Un modo per far radicare questa forma di
didattica nel quotidiano può essere quello di
utilizzare i contenuti delle discipline non
(solo) come un fine a sé stante ma come
un mezzo per esplorare, conoscere o per
allenare la propria mente.
In maniera sistematica, l'obiettivo, il
percorso e il risultato devono essere
presi in considerazione insieme, in un
parametro di tempo, per valutare il la-
voro complessivo e apportare variazio-
ni o implementazioni.
In questo caso è necessario suddividere ed
esplicitare in modo dettagliato l'obiettivo.
Monitorare il percorso facendone oggetto di
riflessione.
Valutare il proprio risultato e compararlo
con altri propri percorsi.
Preannunciando cosa sviluppa quel deter-
minato compito o chiedendo agli alunni di
scoprirlo, l'insegnante può mettere anche a
confronto, sempre in positivo, le differenze
individuali, evidenziando su cosa il nostro
cervello si sta sperimentando o quali stra-
tegie sono state impiegate e quali quelle più
utili per ciascun alunno per raggiungere
quell'obiettivo specifico.
Per esempio nello studio di un testo pos-
siamo esercitarci nella lettura espressiva, o
nella comprensione del testo, o nella elabo-
razione orale o scritta, o nell'ascolto, o nella
memoria, o nell'ampliamento del lessico, o
nell'analisi extratestuale o prevedendo dal
titolo quali sono gli sviluppi o trovando le
parole chiave o sintetizzando in una mappa.
È importante, io credo, proporre o cercare,
insieme a loro, un metodo per misurare la
performance realizzata, per compararla do-
po un certo tempo.
Si costruisce così la percezione di efficacia e
si motiva la spinta a mettersi in gioco spez-
zando lentamente il preconcetto radicato
profondamente negli alunni con difficoltà
"non so' bono!".
Oltre che sviluppare autonomia nello studio,
che diventa la ricerca di un percorso perso-
nale, aiutiamo i nostri ragazzi a diventare
problem solver: persone che si speri-
mentano per superare, fronteggiare,
aggirare, abbattere l'ostacolo, scoprire,
valorizzare e mettere in campo le pro-
prie capacità.
Patrizia Ruggiero,
docente di sostegno SMS Fellini – Roma
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La corsa al recupero Preparare il fisico... e la mente di Nucera Roberto - Long Life Learning
Da buon insegnante di scienze motorie e
sportive, poi docente di sostegno, devo dire
che l'argomento "recupero" rientra a pieno
titolo nel mio bagaglio, prima motorio ed in
seguito in quello didattico.
Pur essendo in pieno inverno, i corsi di re-
cupero riscaldano ampiamente l'atmosfera
scolastica, sia dei docenti che degli alunni,
che spesso non sono molto contenti di
riempire i pomeriggi del loro tempo, ancora
a scuola, a ripetere, o meglio rivedere i
concetti che non trovano "collocazione neu-
ronale" nella testa degli alunni.
Il dilemma sta proprio nella parola re-
cupero, che non apprezzo particolarmente
in quanto classifica qualcuno che sta indie-
tro, che sembra ripetergli a voce alta: "ehi
tu, forza, ma quanto ci metti, lumacone,
recupera!". Recupera, recupero, RECUPE-
RO. Io mi chiedo, ma forse se lo chiede an-
che l'alunno, cosa mai dovrà recuperare
se non ha perso niente? Se una cosa non
è "entrata", non ha fatto il giro delle imper-
vie circonvoluzioni cerebrali, che gli permet-
tono di impiantarsi "dentro", cosa dovrà re-
cuperare?
Quando un soggetto si avvia all'attività fisi-
ca, quindi si appresta ad eseguire una serie
di movimenti che quotidianamente non fa,
perché non sono necessari, i muscoli non
sono abituati, esercitati, insomma allenati,
la conseguenza è una stanchezza fisica, a
volte dolorante, ma è tutto nella norma. Pe-
rò in seguito, prima di riavvicinarsi alla
stessa attività, deve recuperare. Proprio co-
sì! Deve consentire a quella parte interessa-
ta di "riprendersi", riorganizzarsi, recupera-
re appunto.
Alla luce di ciò, credo che i nostri alunni non
debbano recuperare quello che non sono
riusciti ad apprendere la mattina, bensì
hanno bisogno di organizzare meglio i
loro concetti, quelli che già posseggono e
aiutarli a preparare il loro fisico (la loro
mente) allo sforzo che poi devono fare. Bi-
sogna rinforzarli. Questo è il termine che
preferisco all'inappropriato recupero: RIN-
FORZO.
Io vado a rinforzare quello che possiede.
Non posso fare un recupero, ops rinforzo,
se prima non faccio un'analisi di quelli che
sono i suoi punti deboli, se non conosco il
suo metodo di studio, se non mi apro al
suo mondo e modo di vedere le cose e
come si applica.
In genere, dopo il plotone d'esecuzione de-
gli scrutini, mi "offro" ai colleghi dicendo lo-
ro di affidarmi qualche alunno, durante l'o-
rario curricolare per cercare di rinforzarli e
recuperare (solo qua ci sta bene) quel mo-
stro di quattro in pagella. Nessuno pretende
di fare miracoli, ma il tentativo è quello di
offrire loro degli altri momenti, DIVERSI, di
apprendimento, dove il gruppo fa forza e la
motivazione potrebbe subire una nuova fi-
brillazione.
Ebbene, storia che si ripete, ecco l'elenco
Dalla prima pagina
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degli "sfigati", termine che sembra stia
cambiando valore in questo periodo storico:
"allora, ti porti Giovannino, Pasqualino, Ma-
riolino, ah si anche lui che mamma mia...".
Conclusione: elenco dei perdenti, nullafa-
centi; un bella lista di personaggi che a
guardarli fanno paura, non perché siano
brutti, ma sentono pronunciare il loro nome
solo quando c'è qualcosa che non va. Pen-
sate la loro espressione. Pensate anche alla
mia, alla vostra, a quelle di chi vede in loro
anche quel buono che c'è.
E qui subentra la mia opinione, che in qual-
che modo cerca di non ostacolare troppo la
lista pensata dal collega (non sempre ci si
riesce): inizia la campagna degli acquisti:
"guarda, io direi che se mettiamo anche
Mirco, Marco e Maria, Lucia - che magari
vanno un pochino meglio -, un po' li con-
fondiamo e non comunichiamo loro che so-
no SOLO LORO ad andare male". Bene, ogni
tanto ce la facciamo, troviamo colleghi di-
sponibili.
PRIMO GIORNO di R...INFORZO: tutti sedu-
ti, tutti zitti, libri aperti a pagina ics.
NOOOO! Seduti senz'altro, ambiente nuovo,
magari accattivante, disposizione dei banchi
in un certo modo, si parla, io parlo, loro
parlano, tutti parliamo. La prima cosa che
chiedo loro, quando mi accingo a fare que-
sti corsi, è quella di capire come studiano a
casa, mi faccio fare degli esempi, mi faccio
dire se studiano soli, se li aiutano, come lo
fanno, se hanno la tv accesa, computer e
tutta la compagnia tecnologica.
Cerco di capire i loro ingranaggi, i loro
linguaggi, cosa non è chiaro.
Ho bisogno di tanti elementi per improntare
un'azione ed ognuno diverso, altri più o
meno validi per tutti, perché abbiamo mo-
di diversi di intendere ciò che ci circonda,
quello che ci viene detto, quanto ci viene
proposto. I nostri cari alunni sono conti-
nuamente bombardati da stimoli, di ogni
genere, che spesso non sanno gestire o ge-
stiscono male. Hanno bisogno di guide, di
qualcuno che dica loro ciò che è bene e ma-
le, quello che serve e quello che serve me-
no.
Noi, non dobbiamo stancarci di ripetere che
ci sono tante strade per arrivare ad un
obiettivo, magari non sempre facili; che
una scelta non esclude un'altra e non è
MAI definitiva; che le opportunità sono
sempre dietro l'angolo.
Roberto Nucera,
docente di sostegno scuola secondaria I
grado, IC Carlo Levi - Roma
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Faccia a faccia Con gli occhi della ragione di Riccardi Barbara - L'intervista
Dei figli "imperfetti" a volte possono tirar
fuori il peggio da un padre,
sia che questo padre sia un famoso capitali-
sta o un importante leader comunista.
"Nel nome del pa-
dre" è una comme-
dia sentimentale
come la definisce
l'autore Luigi Lunari.
E' l'incontro tra una
donna ed un uomo
che battuta dopo
battuta svelano i
contenuti delle loro
vite da "confinati" e
che finalmente con
gli occhi della ragio-
ne, riescono ad
aprire i loro cuori
raccontandosi e ri-
trovandosi uniti nel
dolore e nella soffe-
renza di esperienze
simili, liberandosi dalle ombre di un passato
angoscioso, di figli scomodi, di genitori am-
biziosi e famosi.
Per vedere il Trailer del film, clicca qui
Gli attori Margherita Buy e Patrick Rossi
Gastaldi con la loro bravura interpretativa
riescono a caratterizzare ancor più, le note
sentimentali e poetiche, di una trama scon-
volgente e particolarmente intensa.
La stessa intensità ed intraprendenza che
trapela nell'intervista al Professor Carlo Fe-
lice Casula dell'Università Roma 3 Scienze
della Formazione e alle due Maestre di
Scuola Primaria, Simonetta Rossini e Ma-
rianna Traversetti: un "confronto a distan-
za" tra soggetti che si occupano di ... DI-
DATTICA!
1. La differenza didattica tra un Profes-
sore Universitario ed una Maestra: co-
me si "muovono" per trasmettere il lo-
ro stile nella didattica?
Il Professore - La principale differenza è
nell'età dei soggetti della nostra didattica.
Un Prof. ha che fare con persone adulte,
minimo ventenni, molte di queste sono an-
che maestre che proseguono il loro percor-
so formativo. Il ruolo del Prof. che opera
all'interno dell'Università è quello di tra-
smettere la chiave di lettura per interpreta-
re i fenomeni della realtà storica e dei me-
todi. Nel percorso di formazione universita-
rio è importane lo studio individuale e di
gruppo; lo studente durante l'offerta forma-
tiva si confronta con la classe ed i professo-
ri. Il corso funziona quando nella classe si
creano delle dinamiche, quando gli studenti
sono soggetti attivi; nella scuola invece
funziona il modello, l'imitazione e scatta l'e-
lemento emotivo/affettivo, quindi si tratta
di un sistema riduttivo, fondato sulla parola
ripetuta e quello che conta è acquisire l'abi-
tudine a ripetere e padroneggiare delle co-
noscenze. Per gli studenti universitari inve-
ce l'apprendimento avviene quando impa-
rano a trascrivere, a prendere appunti sa-
pendoli ordinare e classificare, nel fare ri-
cerca, nel saper consultare i libri, le mono-
grafie che sono un esempio di come si fa
ricerca.
2. Che idea ha della scuola, di quello
che si fa, di come si insegna, di come si
fa didattica?
Il Professore - Sulla base di quello che os-
servo in chi partecipa ai miei corsi, è la
mancanza di esperienza e di pratica effetti-
va sul campo per diventare vere maestre
capaci, e anche la prova, la verifica delle
conoscenze, dei bagagli teorici di appren-
dimento. Per esempio, dal punto di vista
della didattica registro una convinzione:
quando in classe sono presenti bambini
immigrati o di altre religioni, la gentilezza e
la bontà sono gli strumenti prevalentemen-
te scelti dall'insegnante per affrontare un
dialogo interculturale adeguato, mentre il
punto di partenza è il valore, il riconosci-
mento del valore della diversità culturale. Il
cinema, ad esempio, ha reso famosi gli ha-
mish anche se sono una comunità chiusa
Dalla prima pagina
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ma non per questo sono un elemento nega-
tivo, anzi rappresentano ugualmente una
ricchezza. Essendo io uno studioso della
Storia dell'Unesco e avendo una cattedra
all'Unesco per l'insegnamento della pace e
della diversità culturale, porto avanti questi
valori come fondanti per la nuova cittadi-
nanza, che sempre di più non è Nazionale,
chiusa e patriottica, ma Universale e globa-
le.
3. Come si trasmette la memoria stori-
ca?
Il Professore - Aver tolto lo studio della
storia contemporanea dai programmi mini-
steriali per la scuola elementare, vuol dire
aver privato i bambini del ricorso a quella
che viene chiamata la storia orale, le sto-
rie di vita, la storia dei loro nonni e bi-
snonni. E' come aver effettuato "il furto
della storia antica", ridurre lo studio della
storia al bacino mediterraneo, è aver com-
piuto un vero furto. Pensiamo in classe, un
bambino del Bangladesh o delle Filippine si
sentirà escluso, deprivato come rappresen-
tante di quella parte di storia, di quella par-
te di storia antica. Trattando solo la storia
del bacino mediterraneo si è privato il mon-
do della sua storia, affermando il fenomeno
dello Eurocentrismo. A riguardo uno dei
maggiori antropologi, Jack Goody, ha scritto
il libro "Il furto della storia", sottolineando
l'importanza della storia nella sua colloca-
zione geografica e la partizione della storia
costruita sulle vicende storiche dell'Europa.
4. Come leggere la storia?
Il Professore - E' necessario far toccare
con mano che la storia avviene nel tempo e
nello spazio e non è comprensibile se non si
ha una visione globale dei due. Un esempio
che uso con successo durante le mie lezione
è il colonialismo: faccio vedere sulla cartina
il Belgio e il Congo Belga, faccio notare le
loro differenze di grandezza, sollecitando gli
studenti all'uso delle cartine geopolitiche
per capire la realtà in cui vivono. Nell'inse-
gnamento c'è una tradizione a tramandare
e parlare solo delle istituzioni politiche e
delle guerre, mentre la storia è anche poli-
tico militare, è la storia del clima, delle
grandi trasformazioni dell'economia, delle
mentalità, è la storia delle tradizioni, dell'e-
voluzione demografica, di come la popola-
zione cresce, è la storia delle immigrazioni,
e ricondurre la storia solo allo studio della
politica e delle guerre è una visione angusta
e limitatissima.
5 Cosa le piace trasmettere di lei quan-
do fa lezione e che arrivi ai suoi stu-
denti?
Il Professore - Mi piace trasmettere l'idea
di una visione ottimistica della realtà e nel
caso specifico trasmettere l'esperienza vis-
suta; che studiare è un lavoro e bisogna
farlo nei tempi e nei modi giusti e che non
si va avanti solo per raccomandazioni e per
intrallazzi, in questo caso ricorro alla mia
esperienza, parlando del mio vissuto della
"storia della mia famiglia", di mio padre che
era un pastore analfabeta ed io sono diven-
tato un docente universitario.
La Maestra Simonetta - Vorrei che loro
percepissero il mio ruolo come di colei che li
aiuta a dare il meglio di se stessi e quindi a
capire che le materie che insegno possano
essere una chiave di lettura per la realtà, di
tutto quello che fa parte del loro quotidiano
e della vita in genere.
La Maestra Marianna - Far capire loro che
attraverso la forza del proprio carattere e
della propria volontà si può raggiungere la
sicurezza di sé: questo è un aspetto dal
punto di vista educativo; dal punto di vista
didattico, nell'arco di tempo di cinque anni,
in un lavoro pedissequo, mi piace far capire
loro che la lingua italiana che io insegno, se
analizzata in tutti i suoi molteplici aspetti, è
una perfetta armonia tra la cultura e il sa-
pere, la capacità relazionare dell'uomo e la
logica che sta dietro ai ragionamenti e agli
apprendimenti.
6 La funzione del contesto urbano,
dell'ambiente/terreno, quanto influen-
zano la consapevolezza e la presa di
coscienza nel processo didattico?
Sia la città, ma anche la campagna, il pae-
saggio urbano, sono di grande utilità per
vedere le trasformazioni della storia, per
vedere tutto il lascito del lavoro fatto nei
secoli dall'uomo. Lo studente deve abituarsi
a leggere i contesti, non c'è nulla di più
umanizzato del paesaggio agrario. La delo-
calizzazione delle sedi universitarie in tante
città di provincia ha facilitato sì l'accesso
all'Università, con il rischio però di liceizzare
e provincializzare invece di creare uno sti-
molo per poter andare via dalle città di pro-
vincia, per essere un elemento di crescita.
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Purtroppo le Università non si sono struttu-
rate per accogliere la grande richiesta da
parte degli studenti, e non adeguandosi,
siamo arrivati a questo processo di deloca-
lizzazione.
7 Ultime novità nel mondo universita-
rio, progetti, ricerche...
Il Professore - L'avvio della produzione
scientifica viene monitorato, come la produ-
zione, la quantità e la qualità scientifica in
tutti i campi e questa è la novità positiva;
quella negativa, il taglio in questi ultimi an-
ni ai finanziamenti anche nella gestione or-
dinaria, come è avvenuto nella scuola in
genere.
8 Qual è uno strumento adottato, idea-
to, che ha funzionato, che le ha dato
soddisfazione?
Il Professore - L'uso del film, perché la vi-
sione e l'uso del documento audiovisivo è il
modo per ottenere i migliori risultati
nell'apprendimento; l'altro, stimolare gli
studenti a prendere appunti nelle lezione e
portare poi degli elaborati scritti agli esami,
possibilmente realizzati in gruppo.
9 Cinema, TV ed Internet, quale impor-
tanza rivestono nell'educazione?
Il Professore - La TV è anche trasmissione
del cinema, è il cinematografo della nostra
epoca. Il cinema prima era consumato in
gruppo e le emozioni venivano condivise e
percepite insieme agli altri, mentre il cine-
ma in TV è un consumo individuale. Uno
studente apprende così, sa della storia non
più dai libri ma dal cinema, che offre mag-
giori conoscenze, sia dai film fiction che dai
film documentari: i ragazzi ricordano mag-
giormente un film fiction, resta di più im-
presso.
10 La sua ultima esperienza nel mondo
della Tv?
Il Professore - L'ultima esperienza in
campo è stata la consulenza storica che ho
fornito per la produzione della fiction "Il ge-
nerale dei briganti", andata in onda su Rai
1. Il mio intervento è stato confrontarmi
con il regista e la sceneggiatrice, il risultato
è stata una fiction che riesce a dar conto
della complessità e dell'importanza storico
culturale del fenomeno, del cosiddetto bri-
gantaggio nel primo decennio dell'Italia uni-
taria.
11 Un consiglio da dare alle nuove ge-
nerazioni di maestre che affrontano il
lavoro per la prima volta?
La Maestra Simonetta - Grande conside-
razione e rispetto per gli alunni e cercare di
imparare da persone e da metodologie effi-
caci, tutto quello che incontriamo ci può in-
segnare e non partire quindi dal presuppo-
sto che sappiamo tutto. Mettersi sempre in
discussione e verificare quello che si inse-
gna, essere umili, sensibili e ricominciare da
capo se le strategie non hanno portato dei
risultati.
12 Le nostre classi somigliano a noi,
sono un po' la nostra impronta ... Cosa
vedi nella tua classe di te?
La Maestra Simonetta - Sono dei bambini
ottimisti, molto autonomi, capaci e con un
pizzico di ironia che fa parte di me, sono
contenta perché essere ironici significa es-
sere osservatori ed intelligenti.
La Maestra Marianna - C'è stata una clas-
se che ho amato tantissimo, una classe di
dieci anni fa chiamata da me "I mitici", che
si è avvicinata di più al mio stile, non è giu-
sto dire che somiglino alla propria maestra
ma sicuramente sono stati un gruppo che
mi ha capito ed io ho capito loro. Abbiamo
passato cinque anni fantastici, non vedevo
l'ora di entrare in classe e alle quattro e
mezza nessuno di noi voleva andar via.
Questo è il vero successo formativo -e di
insegnamento- che si può avere. Il senso di
responsabilità degli alunni nell'assolvere i
compiti a casa ... è una cosa a cui tengo di
più in assoluto!
Una rete di intenzioni, dalla Scuola Primaria
all'Università, fatta di PASSIONE e di CRE-
DO nella propria missione, fa la differenza,
verso una crescita di saperi di qualità, per
un passaggio di conoscenze e di saperi da
impartire ai nostri ragazzi del futuro, per
dei RAGAZZI di VALORE, per dei nuovi
cittadini Universali e Globali, come dice
il nostro amico Prof. Casula!!!
VIVERE LA VITA
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Barbara Riccardi, docente CD 143° "Spina-
ceto"
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Il postino, un poeta per maestro Il mio ideale di maestro di Melchiorre Simonetta - Orizzonte scuola
"Sono un viaggiatore e un navigatore,
e ogni giorno scopro qualche nuova regione
dentro la mia anima"
Kahlil Gibran
Qual è il mio ideale di maestro? Quale la
guida, l'insegnante speciale per me? Non
credo possa esistere nulla di perfetto per
fortuna, ma il poeta Neruda nel film "Il po-
stino", si avvicina molto all'immagine del
MAESTRO che vorrei essere per i miei alun-
ni o che vorrei incontrare per me.
Mario Ruoppolo, Massimo Troisi nel film, è
un giovane con tanti sogni e molti desideri
ma nessuna idea di come realizzarli.
Insoddisfatto della sua vita nell'isola, egli è
diverso da tutti i pescatori che la abitano,
preoccupati solo di tornare al porto con i
pesci, sbarcare il lunario, bere un po' di lat-
te caldo la sera con un tozzo di pane,
aspettare l'acqua una volta alla settimana.
Lui sa scrivere, sa leggere (anche se a sten-
to), a differenza degli altri, ma non sa anco-
ra cosa farci con tutto questo desiderio. Fi-
no a quando arriva lui, il poeta Neruda, fa-
moso per le sue idee politiche, per il suo
impegno sociale, per le splendide poesie e il
successo con le donne.
Mario rimane affascinato dalla bellezza di
quest'uomo, dalla sua capacità di dire paro-
le che egli ha sempre sentito di avere den-
tro sé ma che non era mai riuscito ad
esprimere in quel modo tanto sublime
quanto semplice.
L'incontro con
la poesia, e
con quest'uo-
mo pieno di
carisma, aiuta
Mario, il posti-
no, a trovare
dentro di sé la
bellezza che
c'è, lo aiuta a
trovare i doni, i
talenti che egli
possiede e che
non riesce an-
cora ad espri-
mere perché non ha ancora gli strumenti
per farlo.
Ecco, credo che un insegnante debba
essere straordinario, speciale e sempli-
ce, come la poesia, capace di guardare
il mondo e i suoi alunni con occhi im-
mensi. Pablo Neruda non rispondeva a tut-
te le domande di Mario, né ha aderito a tut-
te le sue richieste, a tutte le sue pretese
ma lo guardava con fiducia, sapeva che egli
era in grado di trovare da sé la sua stra-
da... è stato il primo a dare valore ai suoi
sogni e alle sue aspirazioni. Questo dovreb-
be fare, secondo me, un grande insegnan-
te.
E' difficile sintetizzare in poche righe, pagi-
ne e pagine di dialoghi profondi, teneri, in-
telligenti, è impossibile rendere la luce e la
bellezza dei luoghi del film, vi invito a rive-
derlo e a pensare al poeta come ad un
maestro e al postino come un allievo; tro-
verete in quel rapporto molti più spunti che
in una guida didattica, un libro di psicologia
o di organizzazione scolastica.
Per questo non sono qui a dirvi come pre-
sentare l'aggettivo piuttosto che il verbo o
Dalla prima pagina
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la divisione a due cifre (anche se è impor-
tantissimo ed utile cercare e trovare nuove
strategie di presentazione degli argomenti)
ma sento che è molto più importante do-
mandarsi COSA SONO mentre spiego
questo o quell'argomento, riesco a
passare loro la bellezza, l'utilità, direi
quasi l'anima dell'aggettivo o del ver-
bo?
Per tentare di rendere ciò che ho in mente,
trascrivo la scena in cui Neruda spiega a
Mario cos'è una metafora
"Neruda [= N]: [...] È indegno che tu mi
sottoponga a questo tipo di paragoni e me-
tafore.
Postino [=P]: Don Pablo?
N: Metafore, diamine!
P: E cosa sarebbero?
Il poeta posò una mano sulla spalla del ra-
gazzo.
N: Per spiegartelo più o meno confusamen-
te, sono modi di dire una cosa paragonan-
dola con un'altra.
P: Mi faccia un esempio.
Neruda guardò l'orologio e sospirò.
N: Be', quando dici che il cielo sta piangen-
do, cos'è che vuoi dire?
P: Semplice! Che sta piovendo, no?
N: Ebbene questa è una metafora.
P: E perché se è una cosa così semplice, ha
un nome così complicato?
N: Perché gli uomini non hanno nulla a che
vedere con la semplicità e la complessità
delle cose. Secondo la tua teoria, una cosa
piccola che vola non dovrebbe avere un
nome lungo come farfalla. Pensa che ele-
fante ha lo stesso numero di lettere di far-
falla, ed è molto più grande e non vola.
Conclude Neruda esausto. Con un ultimo
scampolo di energia gli indicò la rotta per la
caletta. Ma il postino ebbe la baldanza di di-
re.
P: Come mi piacerebbe essere poeta!
[...]
P: È che stavo pensando
Neruda strinse le dita al gomito del postino
e lo condusse con fermezza fino al lampione
a cui aveva appoggiato la bicicletta.
N: E per pensare rimani fermo? Se vuoi di-
ventare poeta, comincia a pensare cammi-
nando [...]. Ora te ne vai alla caletta peda-
lando lungo la spiaggia, e mentre osservi il
movimento del mare puoi metterti a inven-
tare metafore.
P: Mi faccia un esempio.
N: Ascolta questa poesia:
Qui nell'isola, il mare,// quanto mare //Esce
da sé, a ogni istante,//dice di sì //dice di
no//poi di no// nell'azzurro, nella spuma//
nel galoppo//dice di no//poi di no//non può
stare //tranquillo // - mi chiamo mare- ripe-
te// appiccicandosi a una pietra // senza
riuscire a convincerlo// allora //con sette
lingue verdi// di sette tigri verdi //di sette
cani verdi //di sette mari verdi //la percorre
//la bacia //la inumidisce //e si batte il pet-
to //ripetendo il suo nome.
N: Che te ne pare?
P: Strano.
N: Strano. Sei un critico severo.
P: No, don Pablo. Non è la poesia che è
strana. Strano è come io mi sentivo
mentre lei recitava la poesia.
N: Mio caro Mario, vedi di svegliarti un po',
perché non posso passare tutta la mattina
ad ascoltare le tue chiacchiere.
P: Come posso spiegarmi? Quando lei reci-
tava la poesia, le parole andavano di qua e
di là.
N: Come il mare, allora!
P: Sì, ecco, si muovevano come il mare.
N: E questo è il ritmo.
P: E mi sentivo strano, perché con tutto
quel movimento mi veniva il mal di mare.
N: Il mal di mare.
P: Certo! Ero come una barca cullata dalle
sue parole.
Le palpebre del poeta si scollarono lenta-
mente.
N: Come una barca cullata dalle mie parole.
P: Sicuro!
N: Lo sai cos'hai fatto, Mario?
P. Cosa?
N: Una metafora.
P: Però non vale, perché mi è venuta così,
per caso.
N: Non c'è immagine che non sia casuale,
figliolo.
Mario si portò la mano al cuore, e cercò di
controllare una prepotente palpitazione che
gli era salita fino alla lingua e lottava per
esplodergli tra i denti. Arrestò il passo, e
roteando un dito impertinente a pochi cen-
timetri dal naso del suo illustre cliente, dis-
se:
P: Lei crede che tutto il mondo, voglio dire
tutto il mondo, con il vento, i mari, gli albe-
ri, le montagne, il fuoco, gli animali, le ca-
se, i deserti, le piogge ...
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N: Adesso puoi già dire "eccetera".
P: Eccetera eccetera ! Lei crede che il
mondo intero sia la metafora di qualco-
sa?
Neruda spalancò la bocca, e il suo mento
robusto parve distaccarsi dal volto.
P: È una stronzata quella che ho domanda-
to, don Pablo?
N: No, davvero no.
P: Però ha fatto una faccia così strana.
N: No, il fatto è che mi sono messo a pen-
sare (1).
Una frase bellissima in mezzo ad un dialogo
splendido e profondo: "Strano come mi
sentivo io mentre la dicevate". Mario si sen-
te strano mentre il poeta recita la sua poe-
sia, le parole sbattono di qua e di là nella
sua mente e lui si sente come una barca in
mezzo alle onde. Ci siamo mai domanda-
ti come si sentono i nostri alunni men-
tre noi parliamo? Ci domandiamo mai
se quello che gli diciamo li emoziona,
ha un senso per loro o lo ha soltanto
per noi?
Io desidero essere, nella mia professione di
insegnante, come un poeta che parla di bel-
lezza con passione e gusto, non credo di
dover necessariamente stupire la mia classe
con effetti speciali, utilizzando chissà quali
orpelli per rendere sempre nuova e all'a-
vanguardia la mia lezione. Io voglio essere
come il Neruda del film, sensuale e innamo-
rata della vita, del godimento, entusiasta,
idealista, appassionata, capace di vedere il
mondo non solo così com'è ma come una
metafora di qualcos'altro, una viaggiatrice
dentro e fuori di me, per conoscere, come
scrive Gibran, altri mondi, altri spazi, altre
regioni in me stessa e negli altri.
"Facciamo così Mario, ora rifletterò sul-
la tua domanda poi domani ti darò una
risposta". Ecco la sintesi sublime di quello
che intendo per maestro. L'insegnante,
secondo me, non è colui che ha una ri-
sposta ad ogni domanda, non deve
riempire tutti gli spazi, tutti i silenzi,
tutti i dubbi. Egli è piuttosto colui che
prende sul serio tutte le domande, tutti
i silenzi, tutti i dubbi. E' colui che si
prende il tempo per riflettere su quanto ac-
cade all'interno della sua classe, tra i ragaz-
zi, tra lui e i suoi alunni. Perché sa che
prendere sul serio una domanda, dare il
giusto spazio ad una richiesta, significa da-
re valore a chi è lì pieno di fiducia nella no-
stra capacità di giudizio. Senza dimenticare
l'amore.
Il postino, alla fine del film, riesce a scrive-
re la sua prima ed unica poesia. Non impor-
ta quanto è bella, né che non avrà il suc-
cesso delle poesie di Neruda. Ciò che è ve-
ramente importante è che egli sia riuscito a
creare, grazie a questo rapporto speciale, la
propria opera d'arte, a dare senso e valore
alla propria vita. Le parole del maestro gli
sono servite per trovare dentro di sé altre
parole per esprimere ciò che è, senza più
doverle prendere in prestito.
Ecco ciò che conta di un insegnante: egli
mostra, fa vedere ma soprattutto dà valore,
insegna il valore perché non c'è lezione più
grande e fondamentale di quella in cui cia-
scun allievo impari piano piano a dare a se
stesso quello che si aspetta venga dagli al-
tri: darsi valore e trovare dentro di sé la
strada per costruire la propria poesia.
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1) Ho unito i dialoghi di due scene perché
mi sembravano significative entrambe.
Per visualizzare clicca qui
Simonetta Melchiorre, docente IC Viale
Adriatico - Roma
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Ci vorrebbe una scuola seriamente divertente! L'organizzazione di una didattica pensata per raggiungere tutti di Melchiorre Antonia - Integrazione Scolastica
Come più volte ho scritto nei miei articoli,
ciò che è più difficile per un insegnante è
tenere in considerazione le "diverse diversi-
tà" che vivono all'interno della classe. Non è
facile!
I bambini sono tanti, le sfumature diverse,
pensare "individualmente" a tutti è dif-
ficilissimo, dovremmo prevedere un com-
pito diverso per ogni bambino!
In una scuola montessoriana il materiale
che è a disposizione delle classi facilita que-
sto compito, perché organizzando un per-
corso (A→Z) che prevede delle tappe (B,C,
D, ecc), il materiale permette ad ogni bam-
bino di svolgere il proprio lavoro autono-
mamente rispetto al suo compagno che
magari è un po' più indietro o un po' più
avanti. Infatti, in una scuola montessoriana
la lezione per lo più non è frontale, come
invece accade più facilmente in una scuola
tradizionale. Spiegare lo stesso argomento
ad una classe intera aumenta le possibilità
che le nozioni non arrivino ad ogni bambino
allo stesso modo.
Allora, come raggiungere tutti?
Sicuramente la spiegazione fatta alla classe
è importante per presentare l'argomento,
POI PERÒ VA VERIFICATO CHI LO HA COM-
PRESO E COME.
Il mio compito come insegnante di sostegno
non è solo quello di "pensare" ai bambini
certificati, ma di collaborare con le inse-
gnanti di classi per far fronte insieme pro-
prio a queste difficoltà.
Con il team ci siamo organizzati in modo da
poter ricavare spazi e tempi per affrontare
nuovamente in piccoli gruppi gli argomenti
trattati e ancora non assimilati dai bambini.
Le strategie per lo più sono basate, anche
in questo caso, su materiale sia strutturato
che non.
Per esempio abbiamo utilizzato dei sempli-
cissimi tappi di plastica, di misura diversa,
per capire il concetto di decina ed esercitar-
ci al "cambio" con il "gioco della banca".
Oppure li abbiamo utilizzati per risolvere
problemi di logica e capire per esempio i
concetti di: tanto quanto, più di, meno di,
uguale a.
Quando lavorano insieme a piccoli gruppi,
utilizzando del materiale concreto e non so-
lo il quaderno, i bambini solo felicissimi per-
ché imparano divertendosi!
Facilitare il compito ai bambini dovreb-
be essere nostro dovere, questo non
vuol dire lasciarlo sempre ad un "basso li-
vello", ma alzare di volta in volta il tiro, os-
sia rimanere sempre nell'area di svilup-
po prossimale definita da Vygotskij come
la zona all'interno della quale un bambino
può risolvere, con l'aiuto di un educatore o
di un compagno, problemi che non sarebbe
in grado di risolvere da solo.
Uno dei bambini che seguo ha difficoltà di
letto-scrittura ed ho utilizzato con lui il me-
Dalla prima pagina
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todo Panlexia (1). Per questo bambino riu-
scire a leggere piccolissimi brani è una
grande soddisfazione, così come riuscire a
scrivere in stampato minuscolo o il corsivo,
e nel momento in cui riesce in queste im-
prese, sentirlo esclamare con gioia "questo
è il più bel giorno della vita mia a scuo-
la!" è una grande soddisfazione anche per
noi insegnanti.
Trovare strategie efficaci che possano "ri-
solvere problemi" è l'attività più frequente
nel nostro team, come per molte altre inse-
gnanti! Tra i bambini che seguo c'è anche
una bimba autistica che non utilizza spon-
taneamente la parola per comunicare e nel-
la sua classe c'è un bambino cinese che an-
cora non conosce bene la nostra lingua. Per
l'acquisizione di parole che richiamano og-
getti che fanno parte dell'ambiente scolasti-
co, o adoperati nella vita di tutti i giorni,
con questi due bambini utilizziamo immagi-
ni e cartelli con i relativi nomi. A volte que-
sti due bambini lavorano insieme ed Ales-
sandra, conoscendo i nomi di alcuni oggetti
,"aiuta" il bambino straniero ad imparare
parole nuove, o viceversa è lui a sollecitare
la compagna quando conosce il nome pro-
posto. Hao è contento di lavorare con Ales-
sandra perché si sente importante: nono-
stante la sua difficoltà con la lingua, anche
lui può aiutare la sua compagna.
Sicuramente il piccolo gruppo, l'ambiente
laboratoriale, il supporto di un materiale o
di un compagno, sono strumenti che aiuta-
no il bambino ad imparare con più facilità e
divertimento e con meno paure. Ciò che noi
insegnanti dovremmo cercare di mettere in
atto sono strategie che possano migliorare
la QUALITÀ DELLA VITA SCOLASTICA dell'a-
lunno, in modo da attivare la resilienza
educativa "la capacità, cioè, di tollerare le
frustrazioni e le difficoltà che s'incontrano
nel corso dell'apprendimento senza turbarsi
e battere prematuramente in ritirata." (1)
Il compito di noi insegnanti dovrebbe
essere proprio quello di rendere la
scuola un luogo sereno e divertente
dove si imparano ...cose serie!
Antonia Melchiorre,
docente di sostegno, IC Perazzi – Roma
Bibliografia
(1) Kvilekval Pamela, Il metodo Panlexia.
La rieducazione della dislessia, Ed. M
Antonia Melchiorre, I laboratori come
strategia didattica, ebook Sysform Edito-
re, 2010
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Tecniche di strategie didattiche, la parola ai ragazzi Tecniche passive e tecniche attive a confronto di Infantino Aminta Patrizia - Orizzonte scuola
Alcune strategie didattiche per animare le
lunghe mattine e le noiose lezioni frontali
mettono in primo piano il ruolo attivo degli
alunni.
Sperimento quotidianamente che un compi-
to mal compreso dalla spiegazione dell'in-
segnante, può venire 'accettato' meglio se
spiegato da un compagno. Il 'tutoring tra
pari' è una tecnica efficacissima di aiuto tra
compagni. "Oggi io insegno la battuta di
pallavolo a te e tu domani insegni le equa-
zioni a me...." e la valutazione va data ad
entrambi i ragazzi in base alla qualità del
rapporto insegnamento /apprendimento che
si è saputo creare.
Genitori non abbiate timore a far studiare i
ragazzi insieme. Apprendono meglio!
Dato che lo sviluppo cognitivo è un proces-
so sociale ed è appurato che la capacità di
ragionare aumenta nell'interazione con i
propri pari e con persone maggiormente
esperte, possiamo affermare che lavorare
in gruppo accresce le capacità di ragio-
namento critico. Con la partecipazione at-
tiva e la cooperazione tra compagni, che la
pedagogia oggi chiama 'tecniche attive' in-
cludendo il brainstorming, il cooperative
learning, il problem solving, il tutoring tra
pari....) andiamo ad operare con un meto-
do pedagogico che, istruendo, educa alla
responsabilità individuale e alla capacità di
relazione con gli altri.
Vita da scuola media: la parola ai ra-
gazzi :-)
Ragazzi cosa ne pensate delle lezioni fron-
tali e delle tecniche attive? Propongo un
brainstorming sui vantaggi e svantaggi del-
le lezioni frontali e vantaggi e svantaggi del
lavoro cooperativo. Tiriamo fuori tutto quel-
lo che ci viene in mente, liberamente, unica
regola 'alzare la mano per poter parlare uno
alla volta'. Un compagno scrive tutto quello
che emerge.
Vantaggi e svantaggi delle lezioni fron-
tali 'ex cattedra'
Vantaggi:
La professoressa spiega senza interruzioni,
cercando di far capire tutto a tutti; la lezio-
ne frontale aumenta di molto l'apprendi-
mento dei ragazzi, instaurando un po' di
sana competizione tra i ragazzi; ci si impe-
gna di più per apprendere e imparare per-
ché ci si sente più responsabili; apprendi di-
rettamente ciò che ti insegna l'insegnante,
stai più attento; la prof spiega a tutti, con
voce alta e chiara e se non hai capito te lo
rispiega; possiamo capire tutti insieme
quello che ci spiega l'insegnante; c'è più si-
lenzio; impari a controllarti meglio, resisti
Dalla prima pagina
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ancora di più all' ansia, capisci che devi
studiare meglio; ascoltare, ripetere, essere
zitti, stare uniti, dire se hai capito o no e
essere attenti; l'alunno è più attento, ap-
prende meglio, si impegna di più; quando la
prof spiega, tutti quelli che sono stati atten-
ti apprendono allo stesso modo, così ,tra
quelli che stanno attenti, non c'è nessuno
che si sente superiore in fatto di sapere di
più e non può di certo dire a qualcuno che è
stato attento: "So più di te e sono più bra-
vo!"; si può ascoltare la lezione senza inter-
ruzioni e si studia meno a casa; il silenzio
aumenta l'attenzione e la concentrazione; si
apprende meglio, ci si mette alla prova;si
sta più attenti;se vieni interrogato puoi di-
mostrare quello che vali; si può valutare in-
dividualmente; ci mettiamo alla prova su
quello che abbiamo studiato, stiamo più at-
tenti; l'alunno si impegna e può dimostrare
quanto vale, quanto ha studiato e quanto si
è impegnato.
Svantaggi:
Non si fanno domande, bisogna riflettere da
soli; ci vuole molta attenzione da parte de-
gli studenti; non c'è divertimento e capita
spesso di non capire un argomento;per
chiedere ulteriori spiegazioni non devi esse-
re timido; spesso ti senti rispondere "potevi
stare attento", quando ti va bene
...sennòòò!; interagisci poco; mentre tu sei
al banco, però, puoi benissimo distrarti se,
ad esempio, i compagni fanno i commenti
buffi o ti annoi; a volte non tutti capiamo la
lezione; più ansia; l'ansia, paura di prende-
re un brutto voto; l'alunno ha sempre un
po' di paurastrizza, si annoia, si perde nella
propria fantasia, E' STAN-
COOOOOOOOOOOOOOO; non rendono mol-
to partecipe l'alunno alla lezione, perché io,
quando la professoressa spiega, devo sen-
tirmi al centro della lezione, non ai margini,
anche perché, quando lei spiega, io mi pos-
so distrarre, se sono coinvolto invece, non
mi posso proprio distrarre. La passività ti fa
perdere nei pensieri; devi stare tutto il
tempo fermo e zitto ad ascoltare; noia, di-
strazione; io sbuffo, mi viene voglia di dor-
mire, di andare in bagno, ho paura; devi
studiare; mi sale l'ansia e la paura di ri-
spondere giusto o sbagliato; quanta noia,
ansia nelle interrogazioni; ti senti osserva-
to; apprendi da solo, nessun consiglio; è
noiosa e non possiamo parlare mentre la
prof spiega; all'interrogazione se qualcuno
non si ricorda un avvenimento storico o una
regola, tutti gli altri alzano le mani per ri-
spondere quindi si crea una specie di com-
petizione a chi ne sa di più e alla persona
interrogata può venire l'ansia e dall'agita-
zione scordarsi le cose
Vantaggi e svantaggi del lavoro coope-
rativo
Vantaggi:
Aiutarsi, dare consigli, tutti impariamo tante
cose nuove anche dai compagni; conoscere
nuove idee, conoscere nuove lingue, cono-
scere cose interessanti prese dall'esperien-
za dell'altro; lavorare in gruppo, scrivere
alla lavagna (a me piace tanto!); invitare a
casa qualche compagno; quando si fa un
cartellone mi piace che il gruppo scrive be-
ne e colora bene; puoi creare, puoi fare
amicizia, puoi essere te stesso, puoi aprirti
agli altri; studiare, giocare, riflettere e per-
donare;conoscere meglio le persone
;aiutarci a lavorare insieme; quando non sai
qualcosa magari la sa un altro;la fortuna di
capitare con Simone che scrive bene e che
ha buon gusto sulla scelta dei colori; il lavo-
ro cooperativo ci fa stare tutti uniti, tutti in-
sieme, tutti amici; è bello condividere le co-
se create insieme; in gruppo se tu non sai
la soluzione la sa l'altro; mi piacciono i
compagni, l'amicizia, la simpatia, la collabo-
razione; si impara a lavorare divertendosi;
si impara ad essere comprensivi e a rispet-
tare il lavoro e le idee che non ti piacciono.
Svantaggi:
si potrebbe litigare; si potrebbe litigare per-
ché vogliono fare sempre tutto gli altri; po-
tresti avere la sfortuna di litigare con chi
non sa perdonare; puoi capitare con chi
vuole fare tutto da solo, con chi non t'ascol-
ta e non ti aiuta; non è adatto per chi è ti-
mido, per chi si vergogna, per chi è perma-
loso; puoi avere la sfortuna di capitare con
chi vuole avere sempre ragione; alcune
persone se ne approfittano e fanno di testa
loro e rovinano il lavoro di altri che ci hanno
messo tutto l'impegno; non puoi fare come
ti pare; puoi entrare in competizione con gli
altri e ci rimani male quando dicono di es-
sere più bravi e allora preferisci lavorare da
solo; quando vuoi dare lo stesso contributo
sulla stessa parte del lavoro; quando non ci
decidiamo a chi inizia e poi litighiamo per-
ché non vogliamo più finire; quando non
condividi le stesse scelte; se ti sta antipati-
ca una persona ci devi stare per forza; se
scrivi o disegni male non vieni accettato;
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Pag.21
non lavorare in armonia se nascono incom-
prensioni.
Emerge chiara la distinzione:'l'uno contro
l'altro o l'uno con l'altro?'
L'APPRENDIMENTO COOPERATIVO può es-
sere adattato a ogni compito, ogni materia
e ogni curricolo. L'efficacia è stata dimo-
strata e la ricerca mostra che la coopera-
zione e il lavoro di gruppo a confronto del
lavoro competitivo e individualistico, per-
mette di ottenere risultati migliori, gli stu-
denti lavorano di più, memorizzano meglio
e più a lungo, sviluppano una maggiore
motivazione intrinseca, migliorando il ra-
gionamento e la capacità di pensiero critico.
Le relazioni si fanno più positive e si crea
un maggiore benessere psicologico miglio-
rando il senso di autoefficacia, l'autostima e
l'immagine di sé; gli studenti sviluppano
competenze sociali e una maggiore capacità
di affrontare lo stress....Ma si, lasciamoli
parlare con il compagno di banco di tanto in
tanto che, magari, ha i suoi frutti!!!
Aminta Patrizia Infantino,
docente di sostegno scuola superiore di
primo grado "SMS Pintor"e "Cecco Angiolie-
ri" – Roma
N.B. L'articolo è parte del testo in corso di
pubblicazione con Edizioni La Meridiana
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Sessualità e amore Le mie proposte didattiche di Paci Lucia Giovanna - Orizzonte scuola
Dopo la consegna del documento di valuta-
zione, per ripartire con un nuovo quadrime-
stre, è necessaria una pausa di riflessione,
di analisi, di ragionamento, di proposte "per
correggere il tiro" degli interventi: recupe-
rare, consolidare, potenziare. Ecco perché
la scelta di dedicare alla didattica la rivista
di questo mese.
Come al solito, ogni qualvolta si trattano
argomenti tecnici, non essendo un docente,
ma solamente un genitore, mi sento un po'
disorientata e senza argomenti, ma poi rie-
sco sempre a "pescare" qualcosa dalla mia
realtà quotidiana. Con quattro figli, vivo
quotidianamente in più modi gli sforzi che
ogni scuola fa nel proprio piccolo per essere
degna di questo nome, a livello di persone e
di proposte e non mi sento di giudicarne la
portata, sia pure dall'osservatorio di chi vi-
ve la scuola da un altro punto di vista e può
offrirne letture diverse. Mi sembra di finire
col dire sempre le stesse cose, che pure se
minimamente intelligenti, diventano spesso
idealismi o retorica da strapazzo.
Pensando alla didattica e dovendo trarre dal
mio vissuto, tuttavia, sento di dover de-
nunciare che la Scuola sta perdendo
molto il suo ruolo di istituzione educa-
tiva, principalmente perché ha essa per
prima smarrito la consapevolezza di
poterlo, doverlo essere, poi perché le
viene poco o per nulla riconosciuto dalla sua
controparte, la Famiglia, che dovrebbe so-
stenerla ed esserle complementare.
I miei figli sono tutti adolescenti, chi già,
chi ancora e chi in pieno e nonostante la
partecipazione attenta di noi genitori, che li
abbiamo accompagnati e continuiamo a far-
lo giorno per giorno nel loro cammino, la
loro generazione li ha inevitabilmente
contagiati di un analfabetismo emotivo
e sentimentale, che noi non abbiamo
sicuramente avuto alla loro età!
Anche noi abbiamo fatto le nostre scoperte
e le nostre esperienze, fisiche ed emozionali
e abbiamo vissuto le nostre "prime volte" in
questi campi, ma con una struttura diversa
alle spalle, più piena, un sistema di catego-
rie a fare da supporto e in cui appunto cata-
logare via via le esperienze. Loro ne sono
sprovvisti e l'emergenza educativa di cui si
discute tanto oggi riguarda moltissimo l'E-
DUCAZIONE SENTIMENTALE.
Il fatto di cronaca di qualche giorno fa che
ha visto protagonisti due quattordicenni,
scoperti nell'atto di un rapporto sessuale
nel bagno della scuola, mi ha atterrito, non
solo per la differenza di "punizione", che ha
penalizzato la ragazza rispetto al ragazzo,
ma per il fatto che due ragazzi così giovani
Dalla prima pagina
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Pag.23
considerassero l'atto sessuale mera soddi-
sfazione istintuale e unicamente fisica, così
impellente da essere velocemente consu-
mata in uno squallido bagno scolastico e
che la Scuola abbia perso la sua opportuni-
tà di intervento educativo, limitandosi a
quello punitivo.
Chi spiega ai ragazzi che non si viene puniti
perché si ha un forte desiderio, ma perché
lo si esprime a scuola?
Chi dice loro che così come non ci si mette
le mani nel naso o non si urla, così non ci si
bacia appassionatamente o non si fa sesso,
in pubblico o in un contesto dove "normal-
mente" si fa altro?
Chi spiega loro che è normale, soprattutto
alla loro età, avere delle pulsioni, che ti
fanno "accapponare la pelle" e ti eccitano i
sensi, ma che è giusto farle andare a brac-
cetto con i battiti del cuore, le emozioni del-
la mente che riconosce nell'altro qualcuno
con cui camminare "d'amore e d'accordo"?
Chi non ha paura di dire che il discorso ses-
suale va inquadrato in un discorso senti-
mentale, d'amore, che ha i suoi spazi, i suoi
tempi, il suo linguaggio, le sue leggi?
La Scuola dovrebbe farlo, potrebbe far-
lo, perché a volte capita che la Famiglia ci
provi, ma le manchi l'apporto utilissimo che
potrebbe darle la Scuola e a volte capita
proprio che la Famiglia sia inadeguata e in-
capace e allora la Scuola ha il dovere mo-
rale e deontologico di farlo!
Si parla da secoli della necessità di fare
"educazione sessuale" nelle scuole, ma si è
sempre frainteso cosa questo debba signifi-
care. I ragazzi non hanno bisogno di sapere
le tecniche, che ci mettono due minuti a
scoprire, ma hanno bisogno di crescere
nell'affettività e di sentirsi dire che la ses-
sualità non può essere fine a se stessa, ma
deve essere inquadrata nel rapporto d'amo-
re, che non si basa sulla qualità di una pre-
stazione ma è il completamento di un sen-
timento, che va "imparato" nella quotidiani-
tà del vissuto e non consumato frettolosa-
mente.
Perché non può dirle anche la Scuola queste
cose?
Attraverso i professori o attraverso degli
esperti appositamente consultati, senza
moralismi, senza indottrinamenti pseudo
religiosi, con il buon senso di adulti che
guidano i principianti alla scoperta di un
universo... Ce ne sarebbe un gran bisogno,
i ragazzi ne avrebbero, e anche noi genitori
e probabilmente anche ai docenti farebbe
un gran bene far passare il loro rapporto
con i ragazzi da questo!
Lucia Giovanna Paci,
genitore, IV Municipio - Roma
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Una comunità di ricerca Una mente aperta al dubbio, consapevole delle differenze, disponibile al cambiamento di Del Guercio Nadia - Attività Laboratoriali
" Pensiero, io non ho più parole.
Ma cosa sei tu in sostanza?
Qualcosa che lacrima a volte,
e a volte dà luce.
Pensiero, dove hai le radici?
Nella mia anima folle
o nel mio grembo distrutto?
Sei così ardito, vorace,
consumi ogni distanza;
dimmi che io mi ritorca
come ha già fatto Orfeo
guardando la sua Euridice
e così possa perderti
nell'antro della follia."
Alda Merini
Inizia intenzionalmente da questa poesia la
mia testimonianza nei confronti di un meto-
do, di una strategia didattica che abbia dato
un senso e anche un nome a quei percorsi
scolastici che già consideravo imprescindibi-
li dalla parola EDUCARE.
Interrogarsi sulla natura del pensiero, sulla
sua sede e sul suo "indagare" è proprio del-
la natura umana e come insegnante ho
sempre creduto che la ricerca dell'iden-
tità, del valore e del senso della vita sia
parte integrante della formazione an-
che per i bambini.
Ho ascoltato per anni le domande e le ar-
gomentazioni che i bambini si pongono e
poi ripropongono ai compagni e alle mae-
stre.
Ho ascoltato e cercato qualche volta di dare
risposte che mi sembravano adeguate; altre
volte tentavo di aiutarli a trarre fuori da lo-
ro stessi soluzioni o scelte possibili; ma il
più delle volte confesso di aver anticipato
certezze, perché, ora lo riconosco, è più fa-
cile e sbrigativo per un insegnante trasmet-
tere quello che si sa.
Poi un giorno sulla mia strada professionale
ho avuto un incontro con persone speciali:
insegnanti e formatori del curricolo Philoso-
phy for Children (noto con l'acronimo P4C).
L'incontro non è stato casuale perché ho
scelto di partecipare, con alcuni colleghi
della mia scuola, ad un corso di aggiorna-
mento-formazione all'interno di un progetto
finanziato dal Comune di Roma e realizzato
anche con gli operatori del nostro Municipio.
Noi adulti abbiamo sperimentato, durante le
sessioni di lavoro, come diventare "co-
munità di ricerca" con attività auto-
regolate del metodo dialogico-
argomentativo e, a turno, ogni insegnante
ha anche ricoperto il ruolo di facilitatore per
stimolare, gestire e orientare il dialogo filo-
sofico.
Sicuramente il numero degli incontri non è
stato esaustivo ma tra noi colleghi c'è chi
ha continuato, in classe con gli alunni,
la pratica del DIALOGO FILOSOFICO.
Per qualche tempo alcuni formatori hanno
continuato a seguirci come tutor, monito-
rando e riflettendo insieme su idee-guida
valide per individuare nuclei filosofici all'in-
terno di una qualsiasi "chiacchierata" o
"conversazione libera su vissuti quotidiani".
Dalla prima pagina
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Pag.25
Intervista a Lipman
Allo stesso scopo si è rivelata utile la lettura
e la discussione dei racconti filosofici di Li-
pman (scritti espressamente per il P4C), di-
versificati per l'età degli alunni dalle classi
liceali fino ai bambini più piccoli. Ai racconti,
veri e propri supporti didattici, sono allegati
dei manuali per l'insegnante in cui si sugge-
riscono gli approfondimenti delle tematiche
e si presentano esercizi di rinforzo delle abi-
lità cognitive implicate nel ragionamento fi-
losofico.
In questo senso il dialogo disciplinato su
tematiche precise, che già utilizzavo
per il circle-time, è diventato confronto
tra punti di vista, scambio intersogget-
tivo, ristrutturazione delle idee. Si può
ottenere, anche con i bambini più piccoli, il
riconoscimento dell'alterità, la diminuzione
di situazioni di prepotenze, disagio, prevari-
cazione o sottomissione; si può alimentare
la forza della ragione contro la ragione della
forza.
Non è poco... il P4C, inoltre, favorisce la
trasversalità delle discipline curricolari per-
ché arricchisce il patrimonio linguistico,
aumenta le competenze logiche, stimola,
attraverso l'aiuto dei compagni, le potenzia-
lità delle "zone di sviluppo prossimo" (Vygo-
tskij).
Infine, proprio per esaltarne il valore, con-
sidero il P4C alla stregua dell'idea meravi-
gliosa e romantica che ho sempre avuto
della filosofia, sviluppata nell'agorà, spazio
pubblico e quindi sociale, unico spazio pos-
sibile per il ragionamento.
Il Philosophy for Children è l'EDUCAZIONE
DELLA RAGIONE, percorso formativo neces-
sario, oggi più che mai, per la costruzione
di un buon cittadino in una società demo-
cratica.
PHILOSOPHY FOR CHILDREN e anche LI-
GUORI EDITORE DI NAPOLI e anche SO-
PHIA (a cui il P4C è associato).
Baci filosofici
Per approfondire clicca qui
Per un libro... clicca qui
Nadia Del Guercio,
docente IC Via dell'Archeologia - Roma
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Alla scoperta delle tracce Per evitare gli appiatti-menti e la dispersione scolastica ... è questione di "STILE"! di Riccardi Barbara - Attività Laboratoriali
<<C'era una volta un fiore che non voleva
essere un fiore, allora la fata dei fiori disse:
"Se tu vuoi diventare un essere umano io ti
accontenterò ma se non ti piace, ti dovrai
rassegnare perché non potrai più essere un
fiore". Il fiore accettò e la fata lo toccò con
la bacchetta e lo trasformò in un essere
umano. Il fiore si rese conto che la vita era
difficile. La fata allora lo fece diventare un
tulipano finto, per non farlo morire, poi
scomparì per sempre>>. Carla ha chiesto a
un compagno di classe: <<Secondo te che
cosa ha voluto dire Concetta con il suo rac-
conto?>>. <<Che il fiore non voleva morire
e così la fata lo ha fatto diventare immorta-
le>>. <<Però l'ha trasformato in un tulipa-
no finto! È meglio essere una persona uma-
na e morire o essere un fiore finto e non
morire mai?>>. <<È meglio morire>>.
Insegnare al Principe di Danimarca di
Carla Melazzini
Quale potrebbe essere un percorso che
permetta ai ragazzi di conoscere, imparare,
studiare IN MODO DIVERSO: In quale altro
modo posso fargli scoprire il piacere di co-
noscere?
"L'uomo è pienamente tale solo quando
gioca". Così scriveva il grande scrittore
Friedrich Schiller nel 1795 nel suo trattato
"Sull'educazione estetica dell'uomo". E'da
questa affermazione sull'importanza della
ludicità, che ho impostato la mia modalità e
il mio stile di insegnamento, così congeniale
al mio modo d'essere e che reputo essen-
ziale per un apprendimento dinamico e in-
novativo.
Così pensando e riflettendo sulle procedure
didattiche adottate lungo il mio percorso la-
vorativo, è uscito fuori dal mio "cilindro
esperienziale", quella che posso definire LA
MIA METODOLOGIA LUDICA.
Non una semplice messa in atto di giochi in
classe, al contrario, una metodologia di stile
che attribuisce al gioco un valore strategico
per raggiungere obiettivi: lo sviluppo delle
abilità, il realizzare strategie, lo sviluppo
cognitivo e comunicativo. Il gioco come
modalità privilegiata per un apprendi-
mento e una scoperta del mondo in
ogni età, efficace sempre e per chiunque,
essendo insita nell'uomo, la parte bambina
fatta di giochi e divertimento.
Ho potuto notare come il gioco e la curiosi-
tà, sono strumenti utili per rendere interes-
sante agli occhi dei bambini il contesto in
cui vivono, stimolandoli a scoprire un altro
modo, per imparare a studiare un argomen-
to, una materia, durante il loro percorso
scolastico e soprattutto di vita.
Perché allora non brevettare la stessa espe-
rienza sottoforma didattica/educativa in
classe?
Uno dei tanti GIOCHI-STUDIO da cui traggo
frutti, l'ultima mia "creatura creativa" - la
nostra esperienza in classe IV A e IV B del
TG Storia - con la quale ho constatato come
e quanto i ragazzi, anche i meno pro-
pensi allo studio, si sono attivati come
RICERCATORI di materiale informativo,
centrati/concentrati sul ruolo di GIOR-
NALISTI/CRONISTI di fatti ed eventi
della lettura storica.
Sono partita dal prospettare la parte ludica
di una proposta accattivante della Storia,
usando a paragone il personaggio di India-
na Jones.
L'idea ha preso corpo dall'esperienza del TG
Scuola dello scorso anno, visto i risultati ri-
scontrati in italiano, ricordate?
Con i miei ragazzi abbiamo cominciato a
vedere un vero TG, a sviscerare le tecniche
che utilizzano i grandi per realizzare un no-
tiziario, da quante e quali persone ruotano
intorno alla produzione di un TG. Abbiamo
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Pag.27
preso spunto per adattarlo agli argomenti
storici del programma di classe, alle nostre
esigenze e all'obiettivo primario da rag-
giungere: IMPARARE A STUDIARE DI-
VERTENDOCI!
Ognuno, nella libertà più assoluta, si è dato
un ruolo: regista, cameraman, videomaker,
realizzatore della sigla, segretaria di produ-
zione, chi ha scritto il ciak e colorato i nomi
dei giornalisti sui porta nomi da scrivania,
chi ha fatto ricerche su internet, su quoti-
diani e libri. Insomma tutti si sono imper-
sonati nel ruolo di esperti ricercatori, in cer-
ca della pietra verde, ovvero LA NOTIZIA
CHE FA MAGGIORE AUDIENCE.
Questo ha portato anche i più timidi e timo-
rosi a lanciarsi, a brevettarsi verso un modo
nuovo di approcciare la materia di studio
senza paura di essere giudicati, bensì ascol-
tati da un pubblico assolutamente non giu-
dicante, un pubblico amico, uditore at-
tento di notizie, presente nel condivi-
dere curiosità e novità scovate dai
compagni e raccontate nel TG Storia.
Ognuno si è sentito libero di ascoltare la
propria voce narrante, invece di ripetere a
"pappardella" le parole del libro, rimodulan-
done i contenuti, facendo un copia e incolla
delle parti ricavate dalla loro ricerca e ri-
proponendole e riadattandole al proprio sti-
le giornalistico/caratteriale. Chi in modo
scherzoso, chi serioso, chi con intonazione
alla Montalbano, chi passo e chiudo, chi si
sente Lilli Gruber, chi Alighiero Noschese,
chi in modo spontaneo, come un vero e
proprio giornalista, ha lanciato il servizio
come se finora non avesse fatto altro -
"Buongiorno a tutti i telespettatori dal TG
Storia, notizia del giorno ..."- altri più
preoccupati e meno espansivi; comunque
tutti, proprio tutti hanno provato a pro-
porsi, nel loro "modo di essere", nel lo-
ro stile più congeniale.
Questa la parte più bella e divertente: la
realizzazione delle "notizie frangiflutti" con-
tro l'apatica modalità di essere interrogati
da docenti in cattedra, da un ripetere ritmi-
co parole e contenuti, senza enfasi ed inte-
resse.
Hanno imparato l'importanza delle fonti sto-
riche, di come utilizzarle e sfruttarle nel mi-
gliore dei modi per poterne trarre spunto,
per realizzare la loro notizia da offrire agli
altri, in modo efficace e trasmettitrice di
saperi.
La genialità, la creatività, l'originalità la fa
da protagonista e protagonisti principali ...
LORO, I GIORNALISTI IN ERBA, veri giorna-
listi di un notiziario a portata di bambino,
autonomi e consapevoli di saper fare e
di saper trasmettere saperi assimilati.
Un TG Storia in alternativa alla solita tradi-
zionale lezione frontale (io spiego e voi
ascoltate, io interrogo e tu rispondi), una
presa di coscienza sull'importanza del con-
cetto di collaborazione attiva, perché insie-
me, uniti si può raggiungere un risultato
migliore.
Un lavoro didattico/educativo in/di équipe,
dove ognuno con le proprie competenze ed
abilità, messe a disposizione della classe,
ha imparato ... GIOCANDO! Provare per
credere!!!
Barbara Riccardi,
docente CD 143° Spinaceto – Roma
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Il mio mondo matematico I nuovi traguardi e le nuove sfide di Agolino Simona Loretta - Attività Laboratoriali
Non è vero che la matematica è rimasta
sempre la stessa da migliaia di anni, da
quando i Sumeri diedero il "VIA". Certa-
mente i contenuti sono ricorrenti ma la no-
stra Signora Matematica cambia d'abito, si
rinnova, introduce nel suo look nuove mo-
dalità e contenuti e, devo dire, sta sempre
al passo con i tempi moderni, proprio per
parlare alle future generazioni.
Di conseguenza il suo insegnamento non
deve rimanere ancorato ai vecchi schemi,
deve assolutamente inseguire nuove e di-
verse modalità per trasmettere il suo sape-
re, cercare di guardare avanti e di stupire i
nostri alunni con esempi più affascinanti e
con strumenti tecnologici, cercando di non
presentarla come una Signora arida e di-
staccata dalla realtà, tutt'altro!
La Signora Matematica ha bisogno di un ra-
dicale ripensamento da parte di tutti, a par-
tire da quei genitori che mi guardano "stra-
no" e si sentono "inadeguati" quando se-
guono i figli nei compiti che ho dato per ca-
sa; o da quei docenti che non si lasciano
andare all'utilizzo delle nuove tecnologie.
Si cerca sempre di usare meno ripetitività e
più consapevolezza nel discente, che non
deve essere giudicato ma guidato verso i
meandri della temuta Signora: si cerca di
dare spazio alla padronanza delle abilità e
delle conoscenze strategiche sempre perso-
nalizzate e significative.
La Signora Matematica tende giusta-
mente a modalità più vicine alle esi-
genze dell'apprendimento reale ed ef-
fettivo degli alunni, cercando di svilup-
pare curiosità e suggerimenti.
Cerca di mettere in movimento la mente
dell'alunno che affronta situazioni proble-
matiche, spinto da un vero entusiasmo, sa-
pendo di potersi confrontare con l'insegnan-
te, suo vicino ed alleato, che parla con la
Signora Matematica, nel viaggio avventuro-
so e mai noioso che deve caratterizzare il
percorso didattico di ogni bambino.
La MIA Signora Matematica deve di fondo
seguire sempre dei principi necessari e fon-
damentali, e che ricorrono ogni volta. Tut-
tavia è presente una totale libertà di porsi
obiettivi nuovi, più o meno profondi o più o
meno lungimiranti, ma sono sempre libe-
ra di scegliere come affrontarli o pro-
porli, sia al singolo alunno che al grup-
po classe.
Come insegnante di matematica, sin dalla
prima elementare ho costruito ogni oggetto
che la riguardasse, a partire dalle palline
rosse per indicare le decine e quelle bianche
per le unità, l'abaco dove metterle; ho cer-
cato di avvicinare gli alunni alla matematica
con la praticità, facendola vivere come una
esperienza sia mentale che manuale.
Ho continuamente spiegato ai miei alunni
che la Matematica è presente SEMPRE
nella vita di tutti i giorni, a partire dal ri-
sveglio fino al termine della giornata, e ho
Attività laboratoriali
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Pag.29
capito che i bambini, rassicurati da questo,
si sono sentiti anche più liberi di affrontare
le sfide con essa.
Adesso che siamo in quinta, mi stupisco
delle loro risposte e di quello che conoscono
e sono "orgogliosa" nel vedere i miei alunni
che hanno padronanza e rispetto verso la
Signora Matematica: non hanno più paura
di "Lei" ma cercano continue soluzioni, ci
giocano come si fa con le persone che si
stimano e si conoscono e che propongono
sempre nuove sfide.
La MATEMATICA deve poter essere sempre
protagonista, trasformando il linguaggio e i
tempi di una scuola che -prima o dopo, nel
bene e nel male- sa sempre affrontare i
cambiamenti.
Simona Loretta Agolino,
giurista, docente I.C."2Ottobre
870",piazza Borgoncini Duca Roma
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Obladì obladà La didattica dell'inglese con i Beatles di Ansuini Cristina - Attività Laboratoriali
Nell'affannosa ricerca di modi nuovi, e so-
prattutto piacevoli!, di avvicinare i bambini
all'apprendimento giocoso e fattivo dell'in-
glese, mi sono imbattuta nell'ACLE, un'as-
sociazione culturale che opera da anni nella
scuola e organizza attività diverse, sia di
formazione per noi insegnanti, sia per i
bambini, con un ampio ventaglio di propo-
ste, dai "City Camps" al "Theatrino".
L'incontro con l'ACLE mi ha dato la possibili-
tà di venire a conoscenza di laboratori da
relizzare a scuola legati all'apprendimento
dell'inglese, o all'approfondimento di tale
lingua, grazie alle canzoni dei Beatles!
Mi è sembrata un'opportunità preziosa
quella di far avvicinare i bambini alla lingua
e alla cultura inglese attraverso una musica
buona e così significativa per tante genera-
zioni! Ed in più con l'animazione di un inse-
gnante madrelingua!
Ma come si svolge realmente il workshop?
Dura all'incirca un'ora ed è calibrato sul li-
vello linguistico dei partecipanti.
L'animatore parla sempre in inglese e sti-
mola i bambini ad esprimersi nello stesso
modo! Questo, se da un lato può inizial-
mente disorientare i bambini, in realtà li
porta a mettersi in gioco, spinti dalla voglia
di comunicare.
L'energia trasmessa dalle canzoni dei
Beatles e dallo stesso animatore è dav-
vero travolgente e fa cadere quelle barriere
di timidezza... che spesso bloccano noi
adulti quando dobbiamo esprimerci in una
lingua straniera!
Attraverso la ripetizione canora di alcune
parti delle canzoni accompagnata da imma-
gini evocative, i bambini ampliano il loro
vocabolario e le loro competenze, compren-
dono i significati delle parole, li animano e
via via arrivano a meglio comprendere l'uti-
lizzo dell'imperativo e degli opposites, a
formulare le domande, a salutare e così via.
Modulando le attività per le varie fasce di
attività si seguono percorsi differenti che
vanno dal riconoscimento del protagonista
del cartoon di Octopus's garden e dal mimo
di Hello Goodbye, a note storiche sui Fab
Four (dead or alive?) e su Liverpool.
La bellezza delle attività fatte insieme sta
nell'energia trasmessa a piene mani dalla
musica e dalla globalità dell'affettività sti-
molata nei bambini.
Attività laboratoriali
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Pag.31
È chiaro che non è possibile esaurire tutta
le ricchezza di possibilità in un'unica volta:
è un po' da vedersi come un input, come
l'avvio di una serie di esperienze belle da
fare insieme, puntando di volta in volta sul-
la drammatizzazione, sull'ascolto, sul dise-
gno e, perché no?, sulla scrittura.
Non mi sono accontentata di osservare i visi
ridenti e urlanti dei bambini ma ho fatto lo-
ro un po' di domande, chiedendo di scrivere
di questa esperienza, mettendo un po' su
carta tutte le emozioni e le sensazioni prima
che volassero via con la musica e ne sono
uscite fuori delle osservazioni e delle note
utili a proseguire il percorso, per conto no-
stro, pur non essendo madrelingua, pur non
sapendo suonare la chitarra e pur non es-
sendo perfettamente intonati.
COSI' STIAMO PROSEGUENDO LA NOSTRA
AVVENTURA, ognuno a modo suo, chi con
cartelloni per "fermare" l'esperienza vissu-
ta, chi cercando video, chi canzoni da ri-
prendere...
Per me, in particolar modo è stato qualcosa
di più; sarà perché sono nata nell'anno in
cui sono venuti a Roma, sarà perché la
loro musica tocca delle corde sempre
sensibili, sarà perché hanno rappresentato
un'epoca e non solo, ma hanno quel posto
speciale che nessuno gli può togliere.
I don't know why you say goodbye, I say
HELLO!
Cristina Ansuini,
Psicologa, Docente presso la scuola "2 ot-
tobre 1870", I.C. Piazza Borgoncini Duca,
Roma
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Pag.32
La valutazione a scuola: percorso di adempi-menti o opportunità di crescita? (2a parte) Verso la definizione della Qualità dei percorsi educativo-didattici di Presutti Serenella - Orizzonte scuola
Nel precedente numero della nostra rivista
ho cercato di esprimere un punto di vista
sui processi di valutazione che si focalizzas-
se sul "Sistema Scuola" piuttosto che su di
un elemento in particolare, che sia questo
considerare gli stessi Alunni, destinatari dei
percorsi di apprendimento, che siano gli in-
segnanti, dirigenti, Ata o le Famiglie, gli
Adulti corresponsabili, diretti ed indiretti,
dei detti percorsi.
IL PUNTO DI VISTA SISTEMICO DELL'AP-
PRENDIMENTO non è semplicemente una
scelta di un osservatorio diverso da un altro
per poter operare analisi, monitoraggio e
valutazione, ma piuttosto ne rappresenta il
contenitore dell'intero processo, delinean-
done i confini come gli obiettivi ed gli orien-
tamenti complessivi.
La visione sistemica dei processi umani
è un'acquisizione non ancora compiuta per
quanto riguarda la nostra Istruzione nazio-
nale, sia per le sue origini anglossassoni,
sia per le difficoltà oggettive che rileviamo
per l'espressione di autonomia delle scuole,
conditio sine qua non, più adeguata per as-
sumere la connotazione di SISTEMA in sen-
so moderno.
Nonostante queste doverose considerazioni,
ritengo che grazie al DPR 275/99, il noto
Regolamento che istituisce l'Autonomia sco-
lastica, si è aperta una serie di impor-
tanti e improcrastinabili opportunità
soprattutto per quanto riguarda la co-
stituzioni di "Reti" di scuole.
All'art. 7/comma 2, troviamo che l'adesione
ad un accordo o protocollo di rete "può
avere per oggetto attività didattiche, di ri-
cerca, sperimentazione e sviluppo, di for-
mazione e aggiornamento; di amministra-
zione e contabilità, ferma restando l'auto-
nomia dei singoli bilanci; di acquisto di beni
e servizi, di organizzazione e di altre attività
coerenti con le finalità istituzionali; se l'ac-
cordo prevede attività didattiche o di ricer-
ca, sperimentazione e sviluppo, di forma-
zione e aggiornamento, è approvato, oltre
che dal consiglio di circolo o di istituto, an-
che dal collegio dei docenti delle singole
scuole interessate per la parte di propria
competenza."
Il punto di vista sistemico quindi, sulla defi-
nizione dei percorsi di diversa competenza,
ma che indicano comunque lo stesso orien-
tamento e obiettivo: il miglioramento
delle azioni didattico-educative e il
raggiungimento del successo formativo
degli Alunni
Al nascere dell'Autonomia scolastica, tra la
fine degli anni '90 e l'affacciarsi del nuovo
millennio, destò molto interesse, coagulan-
do attenzioni e energie di molti, il "Progetto
Qualità", ispirato ai modelli della qualità to-
simmetrie in rete
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tale; si introdussero concetti aziendalistici
come Domanda/Offerta/Cliente e la Custo-
mer Satisfation. Si cominciò anche a parlare
di Scuola come SERVIZIO EDUCATIVO e di
ISTRUZIONE.
Il primo decennio 2000 ha assistito al pas-
saggio degli aspetti "a la page", "trendy"
anche per ambiti insospettabili fino a dieci
anni prima, come la SCUOLA...
...questa però è la parte di demerito...
Ma i cambiamenti penetrati nel tessuto or-
ganizzativo hanno avuto una rielaborazione
positiva, intelligentemente creativa, nell'e-
volvere il concetto di qualità e valutazione,
contestualizzando le esperienze un pò
aziendalistiche e traducendole adeguata-
mente ai processi di insegnamento/ ap-
prendimento.
Le esperienze delle SCUOLE in RETE
hanno rappresentato il volano di que-
sto cambiamento.
L'istituto scolastico che dirigo fa parte di
una rete di scuole, 25 istituti di ogni ordine
e grado, di cui 13 hanno intrapreso un per-
corso per la realizzazione del "Progetto
Qualità", cioè la costruzione di un
...Sistema di Gestione per la Qualità (SGQ)
inteso come l'insieme degli elementi (pro-
cessi e risorse) che sono posti in atto per
predisporre e realizzare quanto pianificato.
La Rete ScuoleInsieme e tutte le 13
scuole aderenti al Progetto Qualità hanno
ottenuto la certificazione ISO
9001:2008 in data 29.11.11.
Si potrebbero porre alcuni interrogativi a
questo riguardo.
Che significato ha ottenere questo risultato?
Qual è il valore aggiunto che supera quello"
formale"? Perchè la valutazione di sistema,
che opera attraverso individuazione e vali-
dazione di indicatori condivisi può dare di
più anche alle singole scuole?
Bene, come si evince dai documenti di rete,
redatti dal Responsabile SGQ e approvati
nelle Assemblee di rete, possiamo afferma-
re che: Il significato più forte si ritrova nella
tipologia delle azioni approntate per rag-
giungere tale scopo: .... le 13 Istituzioni
Scolastiche del territorio che comprendono
scuole di primo e secondo ciclo, hanno pro-
gettato ed attuato in Rete un sistema inte-
grato di gestione dei propri processi primari
e di supporto al fine di garantire efficacia ed
efficienza nell'erogazione del servizio di
istruzione e formazione al quale sono chia-
mate.
IL VALORE AGGIUNTO è da ritrovare nel
fatto che:
In questo contesto il termine qualità si rife-
risce alla capacità di soddisfare i bisogni
degli utenti, intesi come fattore critico per il
successo formativo degli alunni di ogni età.
La scelta di rete comporta e ha comportato
da parte di ogni singola scuola l'aver adot-
tato un punto di vista altro dalla propria in-
dividualità istituzionale, munendosi di chiavi
di lettura che privilegiano l'osservazione del
territorio come unità di appartenenza e
(quindi) di paragone.
La valutazione si svolge pertanto a questo
punto del Sistema e ... attraverso l'attua-
zione del SGQ la Rete Interscolastica Scuo-
leInsieme e le Istituzioni Scolastiche ade-
renti al Progetto Qualità acquisiscono, infat-
ti, gli elementi per gestire e controllare i
propri processi interni, permettendo di indi-
viduare in modo chiaro ed efficace eventuali
problematiche e di ottenerne il superamen-
to
Per ultimo, ma solo nell'esposizione, l'a-
spetto importante della Sperimentazione e
la Ricerca
E' indubbio che RI-CERCARE, RI-
MODELLARE e RI-VALUTERE proprie moda-
lità in atto, come anche gli strumenti didat-
tici in uso, può rappresentare una formida-
bile opportunità di crescita e di sviluppo, sia
a livello di singolo come di comunità profes-
sionale e scommettere in risultati migliori.
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Abbiamo accettato questa sfida con
armi insolite e originali, con uno
sguardo al futuro, ma anche, con molta
Umiltà, consapevoli dell’importanza
delle proprie radici.
Non è di questo che la Scuola italiana ha bi-
sogno?
AI POSTERI L'ARDUA SENTENZA.
Serenella Presutti,
Dirigente scolastico, psicopedagogista e
counsellor,143° Circolo didattico Spinaceto
Roma
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Il fantastico mondo della didattica della lingua italiana Una didattica che inizia là dove sembra avere fine di Traversetti Marianna - Orizzonte scuola
La didattica della lingua italiana conosce
molteplici aspetti culturali e procedurali che
si snodano in modo complesso, ma armoni-
co, all'interno di una progettazione ampia e
transdisciplinare, frutto dell'intreccio dei pa-
radigmi semantici, espressivi e linguistici di
cui essa stessa è portatrice.
Forse è per questo che "insegnare italiano"
diviene una preziosa ed insostituibile oppor-
tunità professionale ed educativa sotto due
diversi punti di vista. Quello del docente il
quale, se è padrone della materia, riesce a
trasmettere all'alunno una modalità di ra-
gionamento concreto e plurimo che
"segna per la vita"; e quella dell'allievo
che, se coglie (attraverso l'accompagna-
mento dell'insegnante che, con motivazione
ed amore per la disciplina, mostra e fa sco-
prire le fattezze meravigliose di tutto ciò
che la materia di studio sottende e racchiu-
de) la possibilità di utilizzare a proprio pia-
cere le potenzialità della lingua, si appropria
di un atteggiamento mentale e di un
modus operandi, tale da consentirgli di
"varcare" ogni soglia del sapere, qual-
siasi esso sia, con fare indagatore e affasci-
nato.
Si tratta, senza dubbio, di un giudizio di va-
lore che proviene da una esperienza perso-
nale e professionale originata da una spinta
motivazionale interiore che, se usata in
classe in modo dinamico e sicuro, allora ha
la stragrande capacità di farsi anello por-
tante di un sapere vitale e consistente che
diviene, nel contempo, forza individuale e
veicolo di informazioni, di conoscenze, di
abilità che arricchisce la persona nell'ambito
di un contesto di identità, appunto, perso-
nale ma anche culturale. E quale didattica
per l'italiano?
Una didattica assolutamente flessibile, che
non ha la fretta di finire là dove un
aspetto del programma disciplinare
pone un punto, ma che sfrutta tutte le oc-
casioni possibili, siano esse personali
dell'allievo, esperenziali, culturali o "alter-
native".
Una didattica che non sta ferma all'interno
di una soffocante "logica" (che poi tanto lo-
gica non è) di una banale ed induttiva tra-
smissione di singoli saperi distaccati da
contesti comunicativi, relazionali, esperen-
ziali e concettuali, ma che, al contrario ed
in maniera dirompente, coniuga consape-
volmente una strategia metodologica che
è vibrante ma rigorosa, seria ma ludica,
chiara ma complessa con una disposizione
all'apprendimento da parte degli allievi
che è, gioco forza, una conseguenza natu-
rale di un impulso ad imparare, che ha le
sue radici nel tarlo della curiosità che lo
studio della lingua italiana suscita e rinvigo-
risce.
Marianna Traversetti, docente IC Perazzi -
Orizzonte scuola
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Roma
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Scuola, allarme insegnanti Sono i più vecchi di tutta Europa di La redazione - Dalla redazione
Scuola, allarme insegnanti
Sono i più vecchi di tutte Europa
È quanto emerge dal rapporto "Key Data on Education in Europe" pubblicato a Bruxelles sullo
stato di salute dell'insegnamento europeo. La percentuale di ultracinquantenni è del 57,8%. Ci
si avvicina solo la Germania. (da Il Fatto Quotidiano)
Per visualizzare clicca qui
Sara e le Sbiruline di Emily: io non temo l'epilessia
Un libro spiega come affrontare la malattia
IN ITALIA MEZZO MILIONE di persone soffrono di crisi epilettiche. Chi ne soffre deve fare i
conti con disturbi improvvisi e transitori a causa di un'alterazione dei neuroni. Molteplici le cau-
se: fattori genetici, lesioni al cervello da traumi, tumori, ictus. E numerose le conseguenze, tra
cui anche il disagio e l'emarginazione sociale. Ecco allora la necessità di preparare un bambino
ai sintomi di questa malattia. Ma come spiegare quelle crisi a volte convulsive che arrivano
all'improvviso? Se lo è chiesto un cuore di mamma, che insieme alla domanda ha cercato di
trovane anche la risposta. Da qui nasce il libro di Rachele Giacalone dal titolo Sara e le Sbiruli-
ne di Emily.
(da Quotidiano.net)
Per visualizzare clicca qui
La politica non mortifichi la scienza
F.A.N.T.A.Si.A.
Dalla Federazione delle Associazioni Nazionali a Tutela delle persone con Autismo e Sindrome
di Asperger il documento a difesa delle Linee Guida "Il trattamento dei disturbi dello spettro
autistico nei bambini e negli adolescenti", promossa dall'Istituto Superiore di Sanità uno stru-
mento essenziale per garantire alle persone che ne sono affette pari opportunità di una vita
piena e dignitosa ...
Per visualizzare clicca qui
Per visualizzare le linee guida clicca qui
Bari nasce clinica del sale per i bimbi
Se i bambini non possono andare al mare, il mare andrà da loro
E' il primo caso in Italia e ad usufruirne, per il momento, saranno bambini fra i 4 e i 12 anni.
Nasce a Bari la clinica del sale. Il mare finisce in una stanza nel reparto di Otorinolaringoiatria
del Policlinico Universitario di Bari, diretto dal professor Nicola Quaranta, dove ha preso il via
una sperimentazione sull'utilizzo dell'Aerosal, una camera le cui pareti, soffitto e pavimento,
sono interamente ricoperte da salgemma per garantire un ambiente ipoallergenico e a bassa
carica batterica nel quale il microclima mantiene un'umidita' (40-60%) e una temperatura (18-
24%) stabili. (da Dire Giovani.it)
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Aderisci al FAI con la tua classe!
FAI PER L'ITALIA. FAI ANCHE TU
Sottoscrivendo l'Adesione Scuola (1 insegnante + 1 classe), si diventa Classe Amica FAI: si ha
così l'opportunità di far crescere gli studenti nel rispetto delle radici e delle tradizioni
umane e culturali del loro territorio. (dal sito del FAI).
Per visualizzare clicca qui
La redazione