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Articoli e Dottrina Articoli e Dottrina Massimo Viceconte Lavoro e ordinamento del lavoro Cenni storici e giuridici SOMMARIO: 1. Premessa 2. Cenni storici 3. Diritto privato e diritto del lavoro. Specialità di quest'ultimo 4. I princìpi propri del diritto del lavoro 5. Fonti dell'ordinamento del lavoro 6. Tecniche di interpretazione della norma di diritto del lavoro 7. Lavoro subordinato e lavoro autonomo 8. L ' organizzazione del lavoro e gli interessi legittimi 9. Il diritto sindacale 10. Linee evolutive del diritto del lavoro 7. Premessa Forse siamo ad una svolta nel mondo del lavoro. Dai modi di produzio- ne, che hanno dominato il Secolo scorso, stiamo gradualmente passando a nuovi modi di produzione e nuove organizzazioni del lavoro. La tipologia del lavoratore sta cambiando. Si passa così dalla vecchia tipologia del lavo- ratore subordinato della grande impresa al lavoratore autonomo, collabora- tore coordinato dell ' i mpresa. Dall ' accentramento del lavoro nella grande i mpresa al decentramento del lavoro in più imprese di dimensioni ridotte. E forse opportuno dare uno sguardo al passato per capire cosa cambia e cosa resta dell'ordinamento del lavoro e ricercare le risposte negli scritti degli studiosi della materia. 2. Cenni storici Un fenomeno quale quello del lavoro e dell ' ordinamento del lavoro co- me si manifesta nella società moderna non si era mai visto nei passati tem- pi. Tale fenomeno presenta una caratteristica che, per le dimensioni con cui si presenta, è tipica di questo aspetto della società: la complessità. Esso in- fatti comprende una pluralità di rapporti, piani, livelli: a) pluralità di rap- porti soggettivi individuali e collettivi: rapporto tra lavoratore e datore di la- voro, rapporto tra i lavoratori inter sé a livello collettivo, sia nell ' azienda che nel mercato del lavoro, rapporto tra datori di lavoro inter sé, associazioni di datori di lavoro e associazioni di lavoratori; b) pluralità di livelli: territoria- le,provinciale,nazionale, categoriale,settoriale; c) pluralità di piani: piano del rapporto individuale,piano del rapporto collettivo, rapporti triangolari (Associazioni, Oo.Ss., Governo). A!A L ' attività umana nel corso dei secoli ha presentato due aspetti predomi- nanti: l'agricoltura (intesa come coltivazione dei campi e allevamento del bestiame - compresa la pastorizia) e l'attività della guerra. Non meno im- portante ma meno diffuso fu l'artigianato, l'officina, il laboratorio. Nei tem- pi antichi il lavoro subordinato (meramente materiale) veniva svolto da schiavi, in quanto considerato non degno di un uomo libero cui confaceva- no altre attività, quelle intellettuali- poesia, filosofia, commercio, politica ecc. -. Il lavoro subordinato andò diffondendosi allorché l ' artigiano e il com- merciante si trasformarono in imprenditori, il primo ampliando la sua "bot- tega", il secondo non limitandosi più a fare il commerciante ma commissio- nando direttamente il lavoro a lavoratori autonomi - spesso a domicilio - successivamente nelle fabbriche, divenuti quindi subordinati. Nel diritto romano l ' attività lavorativa poteva presentarsi come " a) loca- tio conductio operis, in cui il locatore mette a disposizione del conduttore una cosa perché questi vi esegua una determinata attività, e gli corrisponde una mercede per l'attività svolta; b) la locatio conductio operarum, in cui il conduttore mette a disposizione del locatore la sua attività lavorativa dietro pagamento di una mercede " ... "All'interno della locatio operis alcuni Au- tori distinguono ulteriormente due gruppi di fattispecie: nel primo gruppo rientrano i casi in cui il locatore affida al conduttore una cosa affinché que- sti vi svolga sopra un ' attività (per esempio, la consegna delle vesti al lavan- daio o la consegna di una gemma da tagliare); nel secondo gruppo rientrano quelli in cui sia stato locato un opus faciendum, in cui si concorda l ' esecu- zione di una data opera secondo un determinato progetto o modello (per esempio la costruzione di un edificio su una data area, di una nave)" ... "A differenza che nella locatio operis, nella locatio operarum oggetto della ob- bligazione contrattuale è la prestazione dell ' attività lavorativa di per sé, in- dipendentemente dal suo risultato finale" (t) . Ma come vivevano i lavoratori dipendenti nel Medioevo. Leggiamo l'in- teressante pagina tratta da Pirenne (2): "Condizione sociale degli operai dell'esportazione Le masse operaie delle grandi città industriali vivevano un'esistenza alla mercé delle crisi economiche e della disoccupazione. Se la materia prima cessava di affluire a seguito di una guerra o di un divieto di importazione, i tessitori restavano inoperosi e folle di disoccupati riempivano le strade, op- pure si disperdevano mendicando il pane nelle campagne. Al di fuori di que- sti periodi di involontaria miseria, la condizione dei maestri proprietari o af- fittuari di botteghe era soddisfacente, ma lo stesso non si può dire per i lavo- ranti loro dipendenti. Nella maggior parte dei casi, questi ultimi abitavano nei vicoli, in camere affittate a settimana, e non possedevano altro che i loro in- 1. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano. Sintesi, seconda edizione, Giappichelli, Torino, 1998, 438 segg. passim. 2. PIRENNE, Storia economica e sociale del Medioevo, Newton & Compton, 192 seg.

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Page 1: Lavoro e ordinamento del lavoro 4.5...Articoli e Dottrina Articoli e Dottrina Massimo Viceconte Lavoro e ordinamento del lavoro Cenni storici e giuridici SOMMARIO: 1. Premessa 2. Cenni

Articoli e Dottrina Articoli e Dottrina

Massimo Viceconte

Lavoro e ordinamento del lavoroCenni storici e giuridici

SOMMARIO:1. Premessa2. Cenni storici3. Diritto privato e diritto del lavoro. Specialità di quest'ultimo4. I princìpi propri del diritto del lavoro5. Fonti dell'ordinamento del lavoro6. Tecniche di interpretazione della norma di diritto del lavoro7. Lavoro subordinato e lavoro autonomo8. L ' organizzazione del lavoro e gli interessi legittimi9. Il diritto sindacale10. Linee evolutive del diritto del lavoro

7. Premessa

Forse siamo ad una svolta nel mondo del lavoro. Dai modi di produzio-ne, che hanno dominato il Secolo scorso, stiamo gradualmente passando anuovi modi di produzione e nuove organizzazioni del lavoro. La tipologiadel lavoratore sta cambiando. Si passa così dalla vecchia tipologia del lavo-ratore subordinato della grande impresa al lavoratore autonomo, collabora-tore coordinato dell ' impresa. Dall 'accentramento del lavoro nella grandeimpresa al decentramento del lavoro in più imprese di dimensioni ridotte. Eforse opportuno dare uno sguardo al passato per capire cosa cambia e cosaresta dell'ordinamento del lavoro e ricercare le risposte negli scritti deglistudiosi della materia.

2. Cenni storici

Un fenomeno quale quello del lavoro e dell ' ordinamento del lavoro co-me si manifesta nella società moderna non si era mai visto nei passati tem-pi. Tale fenomeno presenta una caratteristica che, per le dimensioni con cuisi presenta, è tipica di questo aspetto della società: la complessità. Esso in-fatti comprende una pluralità di rapporti, piani, livelli: a) pluralità di rap-porti soggettivi individuali e collettivi: rapporto tra lavoratore e datore di la-voro, rapporto tra i lavoratori inter sé a livello collettivo, sia nell 'azienda chenel mercato del lavoro, rapporto tra datori di lavoro inter sé, associazioni didatori di lavoro e associazioni di lavoratori; b) pluralità di livelli: territoria-le,provinciale,nazionale, categoriale,settoriale; c) pluralità di piani: pianodel rapporto individuale,piano del rapporto collettivo, rapporti triangolari(Associazioni, Oo.Ss., Governo).

A!A

L'attività umana nel corso dei secoli ha presentato due aspetti predomi-nanti: l'agricoltura (intesa come coltivazione dei campi e allevamento delbestiame - compresa la pastorizia) e l'attività della guerra. Non meno im-portante ma meno diffuso fu l'artigianato, l'officina, il laboratorio. Nei tem-pi antichi il lavoro subordinato (meramente materiale) veniva svolto daschiavi, in quanto considerato non degno di un uomo libero cui confaceva-no altre attività, quelle intellettuali- poesia, filosofia, commercio, politicaecc. -. Il lavoro subordinato andò diffondendosi allorché l ' artigiano e il com-merciante si trasformarono in imprenditori, il primo ampliando la sua "bot-tega", il secondo non limitandosi più a fare il commerciante ma commissio-nando direttamente il lavoro a lavoratori autonomi - spesso a domicilio -successivamente nelle fabbriche, divenuti quindi subordinati.

Nel diritto romano l ' attività lavorativa poteva presentarsi come "a) loca-tio conductio operis, in cui il locatore mette a disposizione del conduttoreuna cosa perché questi vi esegua una determinata attività, e gli corrispondeuna mercede per l'attività svolta; b) la locatio conductio operarum, in cui ilconduttore mette a disposizione del locatore la sua attività lavorativa dietropagamento di una mercede" ... "All'interno della locatio operis alcuni Au-tori distinguono ulteriormente due gruppi di fattispecie: nel primo grupporientrano i casi in cui il locatore affida al conduttore una cosa affinché que-sti vi svolga sopra un 'attività (per esempio, la consegna delle vesti al lavan-daio o la consegna di una gemma da tagliare); nel secondo gruppo rientranoquelli in cui sia stato locato un opus faciendum, in cui si concorda l ' esecu-zione di una data opera secondo un determinato progetto o modello (peresempio la costruzione di un edificio su una data area, di una nave)" ... "Adifferenza che nella locatio operis, nella locatio operarum oggetto della ob-bligazione contrattuale è la prestazione dell ' attività lavorativa di per sé, in-dipendentemente dal suo risultato finale" (t) .

Ma come vivevano i lavoratori dipendenti nel Medioevo. Leggiamo l'in-teressante pagina tratta da Pirenne (2):

"Condizione sociale degli operai dell'esportazioneLe masse operaie delle grandi città industriali vivevano un'esistenza allamercé delle crisi economiche e della disoccupazione. Se la materia primacessava di affluire a seguito di una guerra o di un divieto di importazione, itessitori restavano inoperosi e folle di disoccupati riempivano le strade, op-pure si disperdevano mendicando il pane nelle campagne. Al di fuori di que-sti periodi di involontaria miseria, la condizione dei maestri proprietari o af-fittuari di botteghe era soddisfacente, ma lo stesso non si può dire per i lavo-ranti loro dipendenti. Nella maggior parte dei casi, questi ultimi abitavano neivicoli, in camere affittate a settimana, e non possedevano altro che i loro in-

1. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano. Sintesi, seconda edizione, Giappichelli,Torino, 1998, 438 segg. passim.2. PIRENNE, Storia economica e sociale del Medioevo, Newton & Compton, 192 seg.

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dumenti.Andavano di città in città per offrire i propri servigi ai padroni.Il lunedì mattina, si ritrovavano nelle piazze, attorno alle chiese, nell'ansiosaattesa di un maestro che li ingaggiasse per otto giorni. La giornata lavorativacominciava all'alba per finire all'imbrunire. La paga era distribuita il sabato se-ra e, benché i regolamenti municipali prescrivessero che fosse versata in dena-ro, gli abusi del trucksystem erano numerosi. E così, gli operai della grande in-dustria formavano una classe a parte in mezzo agli artigiani e assomigliavanonon poco ai moderni proletari. Li si poteva riconoscere dalle loro "unghie blu " ,dai vestiti, dalla rozzezza dei modi. Non si temeva di trattarli duramente, per-ché si sapeva che il posto di coloro che fossero stati messi al bando non sareb-be rimasto a lungo vacante. Non ci si sorprenda dunque di vederli organizzaredegli scioperi già verso la metà del XIII secolo. Il più antico che si conosca èsegnalato a Douai nel 1245 col nome di takehan. Nel 1274, i tessitori e i folla-tori di Gand arrivarono al punto di abbandonare in massa la città per rifugiarsinel Brabante, dove d ' altra parte gli scabinati, tempestivamente avvertiti di quel-la spaccatura nella plebe operaia, rifiutarono di accoglierli. Nei Paesi Bassi, apartire dal 1242 si assiste alla creazione di leghe fra città che stipulano patti perl 'estradizione degli operai fuggiaschi, sospetti o colpevoli di cospirazione. Ognitentativo di sollevazione comporta il bando o la pena di morte.

I grandi padroniI lavoratori delle industrie di esportazione differivano dai salariati dei nostrigiorni per un aspetto essenziale. Anziché essere riuniti in grandi opifici, eranodispersi in una moltitudine di piccoli laboratori tessili. Il maestro tessitore o ilmaestro follatore, proprietario o più spesso affittuario degli strumenti di lavo-ro, era insomma un lavoratore a domicilio che operava per conto di un gran-de mercante capitalista. Il controllo esercitato dal potere cittadino sulla prati-ca dei mestieri, fintantoché il potere fu nelle mani dell 'alta borghesia, fornivascarse garanzie agli operai, perché era proprio fra i capitalisti che venivanoscelte le autorità cittadine. Basta sfogliare gli atti di successione del ricco in-dustriale tessile di Douai Jehan Boine Broke (morto nel 1285- 86) per consta-tare fin dove si spingeva ancora lo sfruttamento degli artigiani della grande jn-dustria all'inizio del XIV secolo. Spremuti dai datori di lavoro, i maestri era-no costretti a spremere a loro volta gli apprendisti e i lavoranti. La preponde-ranza del capitale, cui l ' economia cittadina era riuscita a sottrarre le attività ar-tigianali minori, gravava con tutto il suo peso su coloro che producevano peril commercio all'ingrosso, che era per l'appunto dominato dal capitale.".

Ma vediamo quale era la condizione dei lavoratori nell'età moderna. Perquesto seguiamo le pagine di Sewell j o, . Vedremo che l'organizzazione in"confraternite " di lavoranti ne aveva accresciuto la forza:

"Il `compagnonnage '

3. WILLLLM H., SEWELL JR., Lavoro e rivoluzione in Francia - Il linguaggio operaio dal-l'ancien régime al 1848, Il Mulino, Bologna, 1987, Capitolo III "Le confratemite dei lavo-ranti, La `compagnie des Griffarins' , Il `compagnonnage ' , I lavoranti e l'idioma corporativo".

L'associazione tra lavoranti nota come compagnonnage si allontanava, mol-to più di quanto non facessero i Griffarins, dalla consueta forma della cor-porazione di mestiere francese, almeno verso la fine del diciassettesimo se-colo e agli inizi del diciottesimo. I compagnons - membri di un compa-gnonnage - certamente non consideravano le loro confraternite come deri-vate dalle corporazioni dei maestri. Anzi, essi facevano risalire le loro ori-gini alla costruzione del tempio di Salomone, all'epoca dei fatti biblici o,talvolta, più modestamente, alla costruzione delle grandi cattedrali del tre-dicesimo secolo. Alcuni studiosi della storia del compagnonnage - per esem-pio, Emile Coornaert - hanno affermato che è possibile distinguere le sueorigini fin dai secoli tredicesimo e quattordicesimo. Tuttavia, il primo usodocumentabile dei termini e delle pratiche proprie del compagnonnage risa-le alla fine del quindicesimo secolo e all ' inizio del sedicesimo, a Digione. Ilcompagnonnage, come forma specifica di organizzazione dei lavoranti,sembra svilupparsi, soprattutto durante i secoli sedicesimo e diciassettesi-mo, dalle confraternite e dalle altre associazioni tra lavoranti - cioè, dallostesso tessuto che fornì le basi per il sorgere dei Griffarins. Ma, se la 'Com-pagnie des Griffarins' del sedicesimo secolo può essere riconosciuta senzadifficoltà come una versione, a livello di lavoranti, di una corporazione dimestiere, il compagnonnage del secolo diciassettesimo e del diciottesimoera una corporazione di mestiere - o un insieme di corporazioni di mestieri- trasformata al punto di non essere più riconoscibile.Il compagnonnage fiori soprattutto nei mestieri i cui lavoranti seguivano lapratica del tour de France - per esempio, cappellai, calzolai, sellai e coltel-linai del diciassettesimo secolo, mentre i mestieri legati alle costruzioni edi-li divennero sempre più preminenti nel corso del diciottesimo secolo. Un la-vorante iniziava il proprio tour de France dopo aver completato il periodo diapprendistato e prima di sistemarsi in una sede definitiva per sposarsi, averefigli e forse divenire, a sua volta, un maestro. Durante un periodo variabiledai tre ai sei-sette anni, il lavorante si trasferiva da una città all ' altra di tuttala Francia, sia per `vedere il mondo' sia per perfezionare la propria abilitànella propria arte apprendendo i metodi specifici di località diverse. Un la-vorante di uno di tali mestieri poteva essere iniziato al compagnonnage inuna città e avrebbe quindi trovato comunità di compagnons in ciascuna cittàdove si fosse fermato per lavorare durante il suo viaggio attraverso laFrancia. In ogni città i compagnons di un dato mestiere avevano una taver-na o un alloggio, che essi chiamavano la mère, o ` madre ' , dove abitavano, o,quando ciò non era possibile, dove consumavano i loro pasti, si incontrava-no con i loro compagni o prendevano parte alle innumerevoli cerimonie edattività del compagnonnage. Molte delle attività dei compagnons erano col-legate agli specifici problemi del loro essere itineranti. Nella comunità del-l 'alloggio della mère, essi trovavano una casa, anche se erano lontani da ca-sa, una comunità di `fratelli' e una coppia più anziana - chiamati, in modo si-gnificativo, pére e mère - gestiva il pensionato e dimostrava la propria solle-citudine nelle forme tipiche dei genitori. Tra i responsabili del gruppo loca-

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le dei compagnons si può annoverare il róleur (custode dei rotoli), che ave-va la responsabilità di trovare un lavoro presso le botteghe locali per i lavo-ranti nuovi arrivati. Esisteva una cerimonia particolare che serviva per ac-certare l 'autentica appartenenza del nuovo arrivato al compagnonnage equindi, stabilita questa, per dargli il benvenuto nel gruppo locale. Esistevaun'altra cerimonia per dargli l ' addio e celebrare la sua partenza per un 'altratappa del suo giro. Se non ci fosse stato alcun lavoro per il nuovo arrivato,egli sarebbe stato ospitato presso la mère per alcuni giorni e gli sarebbe sta-to fornito abbastanza denaro e cibo per poter raggiungere la città successiva.In tutti questi modi, il compagnonnage rispondeva alle necessità dei lavo-ranti durante il loro giro della Francia. Ma il compagnonnage possedeva al-tresì molte delle caratteristiche precedentemente menzionate delle corpora-zioni più convenzionali. Come le corporazioni dei maestri, esso provvedevaa raccogliere diritti e ammende che venivano usati per sovvenzionare le cha-rités a beneficio dei membri. In caso di malattia, i compagnons non soltan-to provvedevano ad una forma di pagamento ma raccomandavano con at-tenzione di visitare il malato, un compagnon doveva, a turno, visitare il ma-lato ogni giorno, secondo il grado di anzianità nell 'associazione - a tour deróle - finquando il malato non fosse in grado di ritornare al lavoro. I com-pagnons si occupavano anche di organizzare e di sostenere le spese per i fu-nerali, che comprendevano una particolare serie di rituali elaborati costella-ti dai loro caratteristici urli di dolore. I compagnons, inoltre, rispettavano ri-gorosamente il giorno della festa del santo patrono del loro mestiere. Si re-cavano e ritornavano da messa in un modo caratteristico in processione equindi si riunivano per un banchetto alla mère e tenevano una speciale as-semblea nella sua sala delle riunioni. Tale incontro del giorno del santo pa-trono spesso segnava l'occasione per iniziare nuovi membri e per sceglieree istruire nuovi responsabili.Oltre a tutte queste pratiche prese a prestito dalle confraternite di mestiere, icompagnons dimostrarono una preoccupazione per il regolamento della pra-tica del mestiere in un modo tale da eguagliare le corporazioni dei maestri.Di solito avevano tre ufficiali responsabili che dovevano occuparsi del fun-zionamento quotidiano delle loro attività: il capitaine o premier compagnon,il suo aiutante, talvolta chiamato il cotterie e il ròleur, la cui funzione prin-cipale era quella di organizzare le formalità legate agli arrivi e alle partenzenonché alla collocazione e all'avvio al lavoro.Spesso avevano assemblee generali di tutti i mèmbri. Gli ufficiali e le as-semblee non soltanto si occupavano dei problemi interni della comunità lo-cale dei compagnons, ma anche degli affari del mestiere in generale. Sequalche maestro non si fosse conformato alle regole generali del mestiere oavesse maltrattato i propri lavoranti o ridotto le paghe al di sotto del livelloaccettato dai compagnons egli sarebbe stato mis à l ' index o damné (si notila terminologia teologica) e i compagnons avrebbero abbandonato la suabottega fino a quando non avesse raggiunto un accordo. In alcuni casi, le di-spute con i maestri conducevano persino all'arresto, da parte dei compa-

gnons, del lavoro nell ' intero mestiere. La forza dei compagnons nelle con-troversie con i maestri risiedeva nel loro controllo dell'assegnazione dei lavori: senza la collaborazione dei compagnons e del loro róleur, un maestroche fosse stato messo all ' indice non sarebbe stato in grado di trovare lavo-ratori qualificati. I metodi dei compagnons nell ' assegnazione dei lavori era-no talmente efficaci che poterono essere adottati persino dai mestieri in cuiil tour de France non veniva praticato, e sembra, infatti, che il compagnon-nage comprendesse un certo numero di mestieri in cui la manodopera era es-senzialmente sedentaria.Durante le vertenze di lavoro con i compagnons, i maestri cercarono talvol-ta di istituire uffici di collocamento controllati dalle loro corporazioni, maquesti raramente riuscirono a sostituire il compagnonnage." .

Solo nel corso del XVIII e XIX Secolo con la meccanizzazione e la con-seguente industrializzazione del lavoro si è sviluppata l'attività del lavorosubordinato come lo conosciamo oggi, evolutasi attraverso varie fasi.– Fase della meccanizzazione.– Fase del l 'organizzazione scientifica del lavoro (one best way, taylorismo)produzione di serie (cosiddetto fordismo, macchine utensili in serie e lineedi montaggio).– Fase dell'automazione (robotizzazione).– Fase della Fabbrica integrata e della catena di valore.– Fase della "new economy " , fase dell'informatica, della società di servizi edel decentramento del lavoro.

La nascita della società industriale vogliamo documentarla, nel bene enel male, con le pagine di un illustre storico inglese H.A.L. Fisher (4) :"Frattanto un altro combustibile, noto sin dal Medioevo, era divenuto og-getto di commercio. Già nel secolo diciassettesimo, il carbone di Newcastleera usato comunemente a Londra. Per la nuova era della storia europea cheora si inizia, non fu privo di importanza il fatto che la nazione marittima ecommerciale più progredita avesse recentemente ricostruito la propria capi-tale con pietre e mattoni, avesse fondato una banca statale di emissione e dideposito rendendo popolare, col libero uso del carbone, la nuova sorgente diforza che doveva trasformare la struttura economica del mondo.Più di mezzo secolo prima degli altri paesi d 'Europa, l'Inghilterra prese l'a-spetto di uno stato industriale moderno, perdendo il suo carattere di Paese diagricoltori e di piccoli artigiani, percorso da strade così mal tenute che perandare da York a Londra a cavallo, unico mezzo di trasporto dell'epoca, civoleva una settimana. Il rovinoso sistema agricolo medievale, con le sueculture sparse nei campi aperti, scomparve dinanzi ai recinti chiusi dei pro-prietari bonificatori i quali, fondandosi sulle particolarità di radici e di erbe,praticavano una rotazione scientifica delle messi che, accrescendo la produ-

4. Vedasi H.A.L. FISHER, Storia d'Europa, Torno I1, Dall'età dell'assolutismo all'epocadei totalitarismi, Newton Compton, 1995, 130 segg.

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zione degli alimenti, aumentava anche la popolazione. I lineamenti della vi-ta economica furono trasformati prima dalla forza idraulica, poi dalla forzadel vapore. L ' industria del ferro che, durante il regno della regina Anna, mi-nacciò di fallire per scarsezza di combustibile, trovò nelle ricche miniere dicarbone delle regioni centrali e settentrionali un inatteso impulso a più am-pi sviluppi. Al legno si sostituì il ferro, ai carbonai successero i minatori. Lefiere e i mercanti girovaghi cedettero il posto alle botteghe delle città e deivillaggi che esercitavano in tutto il paese un attivo commercio al minuto. Inmezzo secolo (dal 1760 al 1821) la popolazione dell 'Inghilterra salì da seimilioni e tre quarti a dodici milioni. Dopo quattro generazioni di invenzio-ni e di attività, l'Inghilterra presentava uno spettacolo mai visto: comunica-zioni rapide, quali non si sarebbero sperate neanche nei sogni più pazzi, fab-briche che corrompevano l'aria con il loro fumo, piene di macchinari inge-gnosi per risparmiare il lavoro umano, industrie che traevano le materie pri-me da un emisfero e mandavano in un altro i loro manufatti, enormi e or-rende città, costruite in fretta, e una popolazione dominata, sin dalla più te-nera infanzia, dal suono della campana della fabbrica e costretta a una squal-lida e mortificante disciplina di fatica. Fu in parte la natura generosa a faredella Gran Bretagna la pioniera del capitalismo industriale. Il clima umidoera adatto all ' industria del cotone. Le regioni settentrionali e nord-occiden-tali eran ricche di forza idraulica. E soprattutto vi era grande abbondanza dicarbone e di ferro, situati l ' uno sull 'altro e facilmente trasportabili per viad'acqua. Le miniere di carbone dell 'Inghilterra erano più grandi di tuttequelle scoperte in Francia e in Germania e più vicine a porti importanti. Conferro, carbone e tessili, la Gran Bretagna creò un tipo di civiltà copiato poida tutto il mondo.Le ricchezze naturali furono così ben sfruttate, non perché esistesse un altolivello di educazione popolare, ma per l'atmosfera particolarmente favore-vole all ' invenzione industriale e al rapido e pronto sfruttamento dei suoi ri-sultati. Ben diversa dalla nobiltà francese, l ' aristocrazia dominantedell'Inghilterra prendeva interesse al commercio. Avendo bisogno di dena-ro per procurarsi i lussi che solo il denaro può procurare, i lord del partitodei whig non erano certo disposti a disprezzare un patrimonio conquistatoper mezzo di una fabbrica, di una miniera, o di un ' impresa commerciale inIndia. Inoltre, avendo vittoriosamente posto un freno alla potenza della co-rona, non volevano veder risorgere sotto altra forma un nuovo governo au-tocratico. Si può rimproverare ai parlamenti inglesi del diciottesimo secolodi aver fatto troppo poco, ma non certo di aver fatto troppo: ché avidità epresunzione di una popolazione amante del denaro, non opposero mai osta-coli seri.In tale atmosfera di relativa libertà - ché, dopo l'unione con la Scozia, la GranBretagna era la più grande superficie d'Europa in cui esistesse libertà di com-mercio - i discendenti dei puritani si trovarono a loro agio. Esclusi fino al1828 da un'attiva partecipazione alla politica, i nonconformisti dedicarono laloro energia grave e intrepida alla conquista della ricchezza: il lavoro era un

sacramento, il piacere un peccato, la ricchezza il segno che le loro opere eranben accette al Signore. Tentando, rozzi e decisi, ogni forma di impresa indu-striale e commerciale, ma attratti specialmente dal ferro, influirono profon-damente sulla formazione di una nuova Inghilterra, meno amena e tranquil-la, ma più ricca, più potente e assai più popolosa dell'antica.Una trasformazione simile non avrebbe potuto attuarsi senza le invenzioni.Un piccolo gruppo di scozzesi e inglesi intelligenti, meno di quanti ne oc-corrano oggi per una partita di calcio, riuscirono con il loro ingegno a tra-sformare la vita economica del paese. Certo, l ' atmosfera dell 'epoca diedeloro ispirazione e aiuto poiché, da quando Francesco Bacone aveva procla-mato il valore del metodo induttivo, la scienza si era venuta sempre piùdiffondendo; e scienziati furono alcuni inventori, tra cui Giacomo Watt(1738-1819), che per primo seppe dare un vero valore industriale alla mac-china a vapore. Ma più importante ancora della vera cultura scientifica fuforse l'idea, potentemente diffusa dalla Royal Society, che il sapere fosseuna forza in svolgimento, e che con l ' osservazione e l'esperimento si potes-sero scoprire nuove verità. Destatosi, lo spirito di curiosità si volse inevita-bilmente a ciò che maggiormente preoccupava il popolo britannico: non piùla religione, come nell 'epoca puritana, ma la conquista della ricchezza at-traverso l ' industria e il commercio.Alcuni grandi inventori furono poveri operai privi d ' istruzione o culturascientifica, ma guidati nelle applicazioni delle industrie da loro esercitate daun intuito meccanico che rasentava il genio: come Kay di Bury che, nel1733, con la sua spoletta automatica, raddoppiò abbondantemente le possi-bilità di lavoro dei tessitori oltre a migliorarne le qualità, e GiacomoHargreaves che, con la sua filatrice meccanica (1754), rese otto volte mag-giore la potenza produttiva del tessitore. E così pure Riccardo Arkwright diPreston (1732-92), creatore del dispositivo per ottenere con la filatrice fili diogni grossezza e resistenza, fondatore dell ' industria inglese del cotone e pa-dre della fabbrica. Pochi inglesi influirono più profondamente sulla civiltàdi questo vigoroso abitante del Lancashire che, dopo esser stato successiva-mente garzone di barbiere e fabbricante di parrucche, rese possibile, con unaserie di invenzioni per cardarlo e filarlo, la produzione del cotone su grandescala, e, nelle fabbriche che fondò per sfruttare la propria scoperta, installòil sistema di lavoro complesso e disciplinato, caratteristico dell ' epoca capi-talistica. Derivando dall'acqua la loro forza, le prime fabbriche di tessili fu-rono erette accanto a cascate, generalmente su qualche alta e desolata bru-ghiera, lontana dai centri naturali di popolazione, dove oggi ancora si puòtrovare l'involucro in rovina di uno sfiancato edificio dalle grandi ciminie-re, un tempo scena di affannosa attività e ormai da tempo abbandonato. Lasostituzione del vapore all'acqua come forza agente nelle filature di cotonerese opportuna la concentrazione delle fabbriche nelle città. Potendosi ge-nerare la forza ovunque fosse più conveniente, non fu più necessario spo-stare i lavoratori ad acque lontane. La fabbrica isolata seguì l'industria ca-salinga nel limbo delle antichità e l'applicazione del vapore alle macchine

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segnò l'avvento della fabbrica cittadina. L'ingegnere Giacomo Watt diGreenock non scoprì l 'uso del vapore come forza agente, nè creò Ìa mac-china a vapore. Ma, meditando sui difetti di una macchina inventata cin-quantotto anni prima, questo genio delicato, inquieto e malinconico scoprì ilsegreto della macchina a condensazione (1769) che permise alla forza delvapore di rivoluzionare l'industria. La macchina di Newcomen era stataadoperata come pompa nelle miniere: ma a un livello molto basso non fun-zionava, e a qualsiasi livello, sia perché dissipava una gran quantità di calo-re che per altre cause, aveva scarsa potenza e incerto funzionamento. Watteliminò questi difetti, applicando la macchina a condensazione. Un lampogeniale diede all'umanità il dominio delle miniere con tutto ciò che tale do-minio comportava: più forza, più macchine, più luce e più calore, e insom-ma più alto livello di vita per una grande popolazione. L'applicazione delmovimento rotativo a imitazione della ruota ad acqua portò ben presto lamacchina a vapore nelle fabbriche di cotone. Ciò avveniva nel 1781, l'annodella capitolazione britannica a Yorktown. Inosservato da tutti, il timido in-ventore meccanico aveva creato negli Stati Uniti e in Inghilterra un nuovolegame assai più utile delle catene ormai spezzate del monopolio e dei pri-vilegi imperiali. Un secolo dopo, il cotone americano, lavorato nelle filatu-re del Lancashire, era diffuso in tutto il mondo. Queste invenzioni meccani-che ebbero tanta efficacia per l'aiuto dato all'inventore da un grande uomod'affari la cui fiducia nel vapore non si lasciò abbattere da perdite o rischifinanziari. Senza l'aiuto di Matteo Boulton, fabbricante di chincaglierie diBirmingham, l'invenzione di Watt sarebbe stata forse trascurata. Boulton,chiamato Watt in suo aiuto (1775), cominciò a fabbricare macchine a vapo-re e a lanciarle sul mercato. Radunò il capitale necessario, assunse la manod 'opera, cercò il lavoro, e finì con il convincere il pubblico. La sua confi-dente energia e le sue qualità indomabili, unite alle invenzioni meccanichedel suo intelligente amico, attuarono in dieci anni una rivoluzione che in al-tre circostanze avrebbe forse richiesto un secolo. La prima macchina effica-ce uscì dalla sua fabbrica di Soho nel 1776. Quattro anni dopo, quarantamacchine erano spedite alle miniere della Cornovaglia. Nel 1789, il vaporesi era ormai affermato come fattore dominante in quasi tutte le industrieprincipali dell ' Inghilterra. ".

L' introduzione della produzione di grossi quantitativi di prodotti, la produ-zione di serie consentita dalla introduzione dei macchinari ha cambiato ilvolto della società.Questa trasformazione ha richiamato masse ingenti dipersone dalle precedenti attività o dallo stato di inattività in cui si trovava-no alle occupazioni nelle città e nelle fabbriche ivi sorte. Questo cambia-nento ha comportato: a) la necessità di una organizzazione del lavoro; b) unanecessità di più estesa regolamentazione collettiva del lavoro.Le prime regolamentazioni erano rappresentate da regolamentazioni indivi-duali, dal contratto tra padrone e lavoratore con cui si stabilivano la paga ela durata del lavoro.In un secondo momento si introdussero regolamenta -

zioni collettive, contratti di tariffa che regolavano in modo generale la pagada corrispondere al lavoratore fino ad arrivare ai contratti collettivi attualicon contenuto normativo ed economico.

3. Diritto privato e diritto del lavoro. Specialità di quest'ultimoChe il diritto del lavoro abbia nei tempi moderni acquisito una grande

importanza nella nostra Società è testimoniato dall 'emergere negli ordina-menti universitari di un corso specifico. Un grande giuslavorista inglese hascritto: "non dovrebbe essere considerato nemmeno come un giurista - teo-rico o pratico - chi non abbia insegnato o professato i principi propri diquesto settore della legge " (5) .

Il diritto del lavoro si articola in tre branche: 1) diritto del lavoro, che ri-guarda propriamente il contratto ed il rapporto individuale del lavoro; 2) ildiritto sindacale che riguarda gli aspetti collettivi del rapporto di lavoro; 3)il diritto previdenziale che riguarda gli aspetti previdenziali ed assistenzialidel lavoratore.

Molto si è dibattuto in dottrina sulla cosiddetta "specialità" del diritto dellavoro. Per tutti ricordiamo l'incipit del manuale di uno dei più illustri giu-slavoristi italiani

(6).L'Autore infatti inizia il testo, su cui si sono formate in-

tere generazioni di studiosi, con l'affermazione che "il diritto del lavoro sidistingue dalle altre discipline giuridiche e si ribella alla stessa partizione,tutt' altro che netta, del diritto nei due rami del diritto pubblico e privato,per una ragione che costituisce anche il principio di unificazione delle suetre parti, apparentemente eterogenee: due delle quali sono pertinenti fon-damentalmente al diritto privato, la disciplina dell'autonomia collettiva equella dell ' autonomia individuale, una al diritto pubblico, la disciplina del-la previdenza ed assistenza sociale".

La ragione, secondo F. Santoro Passatelli sarebbe costituita "nell ' impli-cazione della persona del lavoratore" ' 7'.

Che il diritto del lavoro sia disciplinato da principi suoi propri che de-viano dai principi del diritto privato è ammesso e pacificamente riconosciu-to da tutti gli studiosi. Che il diritto del lavoro si stacchi dal diritto privatofino a costituire una branca autonoma è certamente più controverso.

4. I principi propri del diritto del lavoro

Un ' elencazione dei principi del lavoro è stata tentata dal Mazzoni (8):

5. Vedasi KHAN FREUND, Il lavoro e la legge, (traduzione di ZANGARI), Giuffrè, Milano,1974, 6.6. Vedasi SANTORO PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 1983, 13.7. Vedasi SANTORO PASSARELLI, op.cit., 13.8. Vedasi MAllONI, I princìpi informatori del diritto del lavoro nell'odierno ordina-mento giuridico, in Enciclopedia del diritto, Vol. XII, voce "Diritto del lavoro e sinda-cale", Giuffrè, Milano, 1962, 1074. In effetti tali principi appaiono oggi parzialmente su-perati.Tuttavia l'elencazione appare l'unico tentativo, che ci risulti, di una organica espo-sizione dei principi medesimi.

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"La tutela, l'elevazione e l'eguaglianza del lavoratore stanno alla base di tut-to il diritto del lavoro e ne costituiscono il principio unificatore, pur nell'ap-parente eterogeneità dei suoi tre ordinamenti, statuale, sindacale e aziendale.I princìpi informatori del diritto del lavoro odierno si deducono infatti nonsolo dalla Costituzione, dal codice civile e dalla legislazione speciale, ma,altresì, dal diritto statutario e contrattuale collettivo dei sindacati, dal dirittoconsuetudinario, dal diritto regolamentare dell ' impresa e dagli usi aziendali.Emergono sull'interpretazione di questi princìpi due tendenze, una statica eduna dinamica: quella statica, interpreta questi princìpi in guisa costante fer-mandosi, soprattutto, all'interpretazione ed applicazione della codificazionecivile; quella dinamica, parte dalla programmazione giuridica costituzionalee interpreta il diritto dei rapporti collettivi per cogliere l'evoluzione di un di-ritto davvero `vivente ' nella realtà aziendale e sindacale, più ancora che nel-l'incedere spesso confuso, o addirittura contraddittorio, di una legislazione af-frettata e frammentaria. Nella legislazione civile, la presunzione legale del la-voratore come contraente più debole implica una particolare protezione: ilprincipio dell'applicazione del trattamento più favorevole, qualunque sia lafonte regolatrice; il principio dell'inderogabilità dei diritti che proteggonol'integrità fisico-psichica od economica del lavoratore subordinato; la possi-bilità di impugnativa a rinuncie che il lavoratore faccia a diritti derivanti danorme inderogabili; la protezione particolare della retribuzione e dei riposi; ilprincipio di conservazione e di continuità del contratto di lavoro oltre i limitidel diritto comune; il principio della traslazione dell'onere economico al da-tore di lavoro, per i rischi professionali e per gli stati di bisogno che colpi-scano il prestatore di lavoro in occasione del rapporto di lavoro (assicurazio-ni sociali obbligo legale a conservare il rapporto con gli effetti patrimoniali,ecc.). Dal diritto costituzionale e dal diritto sindacale derivano i principi del-l'autotutela collettiva per cui tutto ciò che è disposto contrattualmente dai sin-dacati vincola automaticamente i singoli soci dei sindacati contraenti, sogget-ti del rapporto di lavoro. Applicazioni di questi princìpi sono: a) il deferi-mento all'autonomia sindacale della regolazione dei vari aspetti del rapportodi lavoro per cui la legge si limita a rinviare al contratto collettivo per la de-terminazione del contenuto tipico e delle modalità del rapporto individuale dilavoro; b) l'obbligo per il datore di lavoro e per il lavoratore di applicare nelcontratto di lavoro le condizioni generali concordate sindacalmente anche seesse contengono rinunce, per i datori di lavoro a diritti loro riconosciuti dallalegge; c) la presunzione che le condizioni del contratto di lavoro debbano au-tomaticamente adeguarsi - se meno favorevoli per il lavoratore - alle modifi-che del contratto collettivo di lavoro soprastante; d) il diritto dei lavoratori disospendere collettivamente la prestazione di lavoro, senza che ciò costituiscainadempimento nel singolo rapporto di lavoro; e) la determinazione colletti-va di procedure particolari, diverse da quelle previste dalla legge, per la con-ciliazione o l'arbitrato (irrituale) delle controversie di lavoro. Dal diritto sin-dacale e da quello aziendale sorgono altri princìpi che trovano il loro fonda-

mento giuridico direttamente nella Carta costituzionale. Così il diritto sinda-cale attua il principio di collaborazione aziendale (articolo 46 Costituzione)con l ' istituzione, con contratti collettivi interconfederali, delle ` commissioniinterne' di azienda rappresentative del personale (per esempio, accordo inter-confederale 8 maggio 1953); attua il principio costituzionale della giusta re-tribuzione (articolo 36 Costituzione), della parità retributiva e di trattamentoindipendentemente dal sesso e dall'età lavorativa, a `parità di lavoro' (artico-lo 37 Costituzione); attua modifiche al regime legale delle sospensioni delrapporto e dei licenziamenti (accordi interconfederali, 1950); attua innova-zioni ai metodi retributivi in relazione alle mansioni (paga di posto, job eva-luation, ecc.). Sono queste continue innovazioni che danno al diritto del la-voro quel carattere `dinamico' cui abbiamo fatto cenno più sopra. Ma è unadinamica che non si arresta alla disciplina del rapporto di lavoro, ma tende al-tresì a trasformarne la struttura: così, le `commissioni interne ' hanno poterirappresentativi che limitano la gerarchia aziendale dell ' imprenditore, ne con-trollano la legittimità degli atti nei confronti del personale, particolarmenteper l 'applicazione della legislazione protettiva e della contrattazione colletti-va, per la formazione e l ' applicazione del regolamento aziendale, per la ge-stione delle istituzioni aziendali di carattere sociale e assistenziale; esse, de-terminano, così lo sviluppo della ` comunità aziendale' che importa per i la-voratori una maggiore dignità, collaborazione e senso di responsabilità versogli interessi dell ' impresa considerata nel suo complesso

(9).L' incidenza del

` diritto del lavoro' sull ' autonomia contrattuale e sul piano aziendale.L'autonomia contrattuale dei soggetti del rapporto di lavoro si riduce, per ef-fetto dell ' incidenza del diritto statuale e ` collettivo ' del lavoro, ai minimi ter-mini e addiritura a determinare il `se' del rapporto; ma non è estinta. Se è ve-ro che, oltre le norme di ordine pubblico del codice civile e la legislazioneprotettiva di diritto pubblico, sta l ' autonomia collettiva (più aderente allarealtà della corrispondente normazione legislativa) è anche vero che nellastessa `autonomia collettiva' sindacale si rileva, altresì, la debolezza odiernadel sistema dei rapporti di lavoro che vengono, in tal modo, regolati. Infatti,la pluralità sindacale, da un lato, che permette la stipulazione di più contrat-ti collettivi di lavoro per la stessa categoria e, addirittura, tende alla 'contrat-tazione articolata'; il ristretto campo della rappresentanza sindacale ai socivolontari e ammessi; il vasto campo dei soggetti e dei rapporti che non ade-riscono alle associazioni sindacali e ai loro contratti, tutto ciò, se, da un lato,è indice di un allargamento del campo dell ' autonomia collettiva, è anche in-dice di scarsa estensione delle condizioni collettive di lavoro poste dai sin-dacati. E il lavoratore stesso che contribuisce a dare un duro colpo all'edifi-cio protettivo quando - fuori dei vincoli associativi - accoglie clausole parti-colari che derogano in pejus ai contratti collettivi, effettua rinuncie a diritti

9. Come noto la Commissione interna è stata superata con l'introduzione - attraverso l'a-zione sindacale, la contrattazione collettiva e la legislazione - dei Consigli di fabbrica,dei Delegati sindacali, delle Rappresentanze sindacali aziendali e infine delleRappresentanze sindacali unitarie, cosiddette Rsu.

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garantiti dalla legge, accetta condizioni contrattuali che limitano l'applica-zione della contrattazione collettiva, ecc. Di fronte a questa larga evasionedella contrattazione sindacale e della legislazione protettiva, esiste anche ilfenomeno inverso; l 'autonomia contrattuale, nell'ambito aziendale, operaspontaneamente e beneficamente nel senso di migliorare quelle condizionicollettive di lavoro e quelle tariffe sindacali minime che sono spesso il pro-dotto di lunghe trattative e vertenze collettive sindacali. L'autonomia con-trattuale, sul piano dell'impresa, arriva a creare nuove vie nelle relazioni dellavoro istituendo nuove forme di collaborazione nell'impresa (commissioniconsultive, consigli paritetici di produzione e di gestione, ecc.) organismi tut-ti che attuano, sul piano dell'autonomia privata nell'impresa, la collabora-zione aziendale cosi come previsto dall'articolo 46 Costituzione.Queste manifestazioni dell'autonomia dei privati, sul piano aziendale, crea-no un interessante campo di studio per lo sviluppo futuro del diritto del la-voro inteso, oltre che come diritto statuale e sindacale, anche come dirittodelle imprese alla regolazione diretta dei loro rapporti di lavoro.".

5. Fonti dell'ordinamento del lavoro

L'ordinamento del lavoro si differenza dall'ordinamento privatistico an-che sotto il profilo delle fonti. In particolare nell'ordinamento del lavorohanno una rilevante importanza le cosiddette "fonti professionali". Secondoautorevole studioso

0)"una delle particolari caratteristiche dell'ordinamen-

to del lavoro nell'impresa consiste nel fatto che le fonti generali, ossia lefonti d'origine statale, non offrono un quadro completo degli strumenti perla disciplina del rapporto di lavoro e sono anzi ben lungi dall'esaurire taledisciplina, risultando esse largamente integrate o addirittura sostituite dallefonti d'origine professionale, in cui si esprime l'autonomia privata dei grup-pi sindacalmente organizzati: tale autonomia, in quanto attua una propria edoriginaria composizione di interessi quale alternativa nei confronti dellacomposizione eteronoma attuata dallo Stato, risulta sempre più riconosciutae, anzi, valorizzata dallo Stato stesso, il quale viene per tal modo a gradata-mente limitare l'intervento diretto nel settore del lavoro". Ma anche la co-siddetta "gerarchia delle fonti" subisce una trasformazione nell'ordinamen-to del lavoro. Lo stesso Autore (11). "... (la) gerarchia (delle fonti) viene tut-tavia ad operare nel quadro di un principio generale, istituzionalmente rela-tivo all'ordinamento del lavoro nell'impresa, il quale ordinamento si con-traddistingue appunto per il fatto che è ad esso propria una finalità specifi-ca,ossia la protezione e la valorizzazione della classe lavoratrice in quantotale; finalità che, in linea di principio,importa un continuo progresso. Piùprecisamente, la gerarchia..cessa di essere operante..quando dalla fonte su-bordinata risulti un ordinamento più favorevole a quello che viene conside-rato il contraente economicamente più debole " .

10. Vedasi RIVA SANSEVERINO, Il lavoro nell' impresa, UTET, Torino, 1960, 101.11. Vedasi RIVA SANSEVERINO, Op.cit., 142.

Ma tra le fonti v'è chi giustamente inserisce la "giurisprudenza". raie Autore(12) enuncia: "pure in un sistema come il nostro, almeno formalmente legato aiprincipi di civil law, si deve ormai parlare di diritto giurisprudenziale. Si assistealla moltiplicazione delle fonti, all'esaltazione della forza creativa della giuri-sprudenza ... giurisprudenza che sola è in grado di dare effettività al diritto".

6. Tecniche di interpretazione della norma di diritto del lavoro (I3)

La norma di diritto del lavoro, così come tutte le altre norme di diritto,viene interpretata, in particolare là dove la legge ricorre, nella sua formula-zione, a clausole generali.

L'interpretazione è demandata al giudice che deve dare un contenutoconcreto, nel caso al suo esame, al precetto legislativo. Ma con quale tecni-ca il giudice interpreterà la legge? Normalmente l'ordinamento detta regoleper l'interpretazione. Nel nostro ordinamento vige l'articolo 12 delle Dispo-sizioni della legge in generale che fissa la regola generale dell'interpreta-zione: "nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso chequello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connes-

12.Vedasi GALANTINO, Diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 1998, Prefazione.13. Il tema dell'interpretazione della legge è uno dei temi fondamentali della scienza giu-ridica. Molteplici sono i suoi aspetti e significati: che cosa si intenda per interpretazione(ricerca del significato di una norma e di un fatto, creazione della norma per quella fat-tispecie concreta, ecc.), quale metodo si usi per interpretare una norma, perché si scelgaun metodo di intepretazione piuttosto che un altro. Recentemente il dibattito si è riacce-so nella dottrina. Sul "che cosa" si intenda per interpretazione basterà, al fine di com-prendere la molteplicità delle valenze attribuibili all'operazione, ricordare il significatoche il termine "interpretatio" ebbe per í glossatori: "l'interpretatio medioevale fu più unastrategia di legittimazione dell'interprete e di rinnovamneto del testo che la ricerca di unsignificato originario" (vedasi MONATERI, Il modello di civil law, Giappichelli, Torino,II edizione, 30). Sul "perché" si scelga un metodo piuttosto che un altro, ovverossia la ri-sposta alla domanda "perché il giudice decide e decide in quel modo", la risposta è mol-to complessa. Il problema può farsi risalire ai tempi più antichi. Basterà rileggere la pa-rabola del giudice e della vedova (Luca, 18): "In una città viveva un giudice che non te-meva Dio e non si curava di nessuno. Nella stessa città viveva una vedova, che andavada lui e gli chiedeva `fammi giustizia contro il mio avversario'. Per un pò di tempo il giu-dice non volle, ma alla fine disse tra sé: `anche se non temo Dio e non mi prendo curadegli uomini, tuttavia le farò giustizia e così non verrà continuamente a seccarmi" ' . IlGiudice della parabola aveva giudicato (perché aveva "giudicato" anche quando non giu-dicava, diremmo noi respingeva la richiesta per questioni pregiudiziali - incompetenzapropria, inammissibilità della domanda, difetto di giurisdizione e/o quant'altro) facendoriferimento alla propria tranquillità, ossia al "non essere più seccato" dalla ricorrente,questuante. Esser parla (vedasi ESSER, Precomprensione e scelta del metodo nel proces-so di individuazione del diritto, traduzione PATTI, ZACCARIA, ESI, introduzione RE-SCIGNO, 4) di "un apparato categoriale, acquisito nel senso più ampio attraverso un'e-sperienza sociale con il cui aiuto il giudice inconsciamente sceglie, registra e classificale caratteristiche `manifestamente' rilevanti di un caso e delle norme appropriate alla suasoluzione", diremmo noi il giudice fa ricorso al "suo vissuto".

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sione di esse e dalla intenzione del legislatore". È questa una regola forma-le che però più che risolvere problemi ne apre. L ' interpretazione seguirà al-l'adesione dell'interprete a questa o quella visione dell ' ordinamento giuri-dico. Limitandoci alle scuole di pensiero più accreditate, possiamo fare unapanoramica:1. metodo sillogistico;2. metodo dei cosiddetti "interessi in gioco";3. metodo della cosiddetta natura delle cose;4. metodo dell'ordinamento sindacale.Vediamo a quali risultati porta l'applicazione dei vari metodi, attraverso unesempio concreto.

Esaminiamo il tema della "giusta causa" . Il nostro ordinamento positivoall'articolo 2119 del codice civile definisce la giusta causa come "una cau-sa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto". Dettoquesto, a fronte di un caso concreto, il problema non è risolto ma si apre.Quand'è che si verifica una causa di tal fatta?.

Vediamone l ' implicazione alla luce della casistica esaminata e risoltadalla giurisprudenza e delle metodiche suelencate .

Per quanto riguarda la giurisprudenza, essa individua la causa di cui all 'ar-ticolo 2119 c.c. in quella causa che "deve rivestire il carattere di grave nega-zione degli elementi del rapporto di lavoro ed in particolare dell ' elemento del-la fiducia che deve effettivamente sussistere tra le parti " (14' . In pratica all 'ele-mento fiduciario del rapporto farà sempre riferimento la giurisprudenza. Allorail problema si sposta: occorre individuare quali siano questi fatti che incidonocosì gravemente sull"`elemento fiduciario del rapporto di lavoro". Ma le con-traddizioni, pur insite in questo monolitico orientamento si fanno vive laddovecomportamenti del lavoratore in conflitto col suo datore di lavoro vanno salva-guardati alla luce di valori più alti. Così la Cassazione: "il comportamento dellavoratore che denunci al giudice penale fatti o atti posti in essere dal datoredi lavoro nei suoi confronti non costituisce di per sè giusta causa di licenzia-mento, e il giudice, al fine valutare la gravità della sanzione, deve accertaretutte le modalità e circostanze del caso concreto sotto il profilo soggettivo edoggettivo; il conseguente giudizio circa la proporzionalità della sanzione ri-spetto alla gravità della mancanza si risolve in un apprezzamento incensura-bile in sede di legittimità, ove sorretto da motivazione adeguata e logica." (15)

Vedasi sempre Cassazione: "la presentazione, da parte del lavoratore, dell'i-stanza di fallimento del proprio datore di lavoro non costituisce giusta causadi licenziamento del lavoratore medesimo, nè, ancorché il credito da questofatto valere concerna l'indennità di fine rapporto, è configurabile come atto didimissioni del dipendente, difettando di univocità e di ricettizietà." (16)

14. Vedasi Cass. 27 novembre 1992, n. 12678, in Rep. giur lav.., 1991-2000, Il Sole 24Ore, 2001, 526.15. Vedasi Cass. 16 ottobre 2000, n. 13738, in Giust. civ. Mass., 2000, 2144.16. Vedasi anche Cass. 16 aprile 1991, n. 4048, in Fallimento, 1991, 1051.

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La Corte ha, poi, ritenuto di meglio precisare il concetto del "venir me-no dell ' elemento fiduciario". Infatti ha precisato che "la giusta causa di li-cenziamento, quale fatto `che non consenta la prosecuzione„ anche provvi-soria, del rapporto', è una nozione che la legge - allo scopo di un adegua-mento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tem-po - configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosid-dette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generi-co che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la va-lorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia diprincipi che la stessa disposizione tacitamente richiama. " (17) .

Ma proviamo a testare la fattispecie alla luce delle diverse tecniche sue-nunciate.A) Come noto la "giurisprudenza degli interessi " prende le mosse dalle ela-borazione di Jhering e trova successivo, importante svolgimento nell ' operadi Philip Heck

(18)"La giurisprudenza degli interessi considera il diritto ...

quale ` tutela di interessi ' . " . Il legislatore vuole delimitare l ' uno rispetto al-l'altro gli interessi vitali in contrasto tra loro e quindi esprime un giudizio divalore su di essi. Il Giudice nell'interpretazione deve ricostruire mental-mente i giudizi di valore contenuti della legge. Nel caso concreto si con-trappongo da un lato l ' interesse del lavoratore alla stabilità del posto di la-voro e dall ' altro l'interesse del datore di lavoro a espellere un lavoratore cheritiene dannoso all ' organizzazione. Il Giudice dovrà "pesare " , "bilanciare" idue interessi nel caso concreto e decidere il caso in conseguenza.B) Per "natura delle cose"

(19)si intende il concetto che "certe norme e cer-

ti valori ... derivano dalla stessa realtà oggettiva". Con la locuzione "natu-ra delle cose" si intende "il complesso di caratteri, empiricamente accerta-bili,che costantemente presentano i fatti sociali appartenenti alla medesimacategoria " . Senza addentrarci nell 'analisi della teoria assai complessa, ai fi-ni del nostro studio è sufficiente richiamare la considera zione per cui "... lateoria della natura delle cose è rilevante in ordine a due problemi: quellodelle fonti del diritto e quello del metodo della giurisprudenza, specie conriferimento all' interpretazione ... . Bisogna ... tener presente che quando iteorici della natura delle cose parlano di interpretazione, intendono non so-lo il procedimento puramente dichiarativo con cui si determina l'esatto con-tenuto del diritto,ma anche il procedimento creativo con cui si completa ildiritto.". E appunto questo "completamento del diritto" che è chiamato aporre in essere il Giudice. Nella fattispecie concreta il Giudice dovrà stabi-lire se il comportamento del lavoratore e/o il comportamento del datore dilavoro siano conformi col "progetto sociale" per cui i due comportamentisiano compatibili e rispondano ai precedenti e alle attese future della società.

17. Vedasi Cass. 21 novembre 2000, n. 15004, in Rep. giur lav.., 1991-2000, Il Sole 24Ore, 2001, 534.18. Vedasi K. LARENZ, Storia del metodo della scienza giuridica, Giuffrè, Milano, 65 segg.19. Vedasi MORRA, voce Natura delle cose, in Nuovissimo Digesto Italiano, Torino,1966, 34.

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C) L'ordinamento intersindacale" si inquadra nella dottrina della pluralitàdegli ordinamenti giuridici e vuole significare un "sistema" che date certecondizioni può assumere la fisionomia di "ordinamento particolare " . Ciòposto è alle fonti di questo sistema che deve guardare il Giudice. Le fonti intale ordinamento trovano il loro fondamento su una "struttura o norma fon-damentale:accordo tra le parti ... per abbandonare lo schema individuali-stico dei rapporti,e per sostituirvi, in funzione permanente il regolamentocollettivo" '20 '. E quindi agli accordi collettivi (in particolare ai contratti col-lettivi nazionali, ma non solo) cui dovrà riferirsi il Giudice per delineare lanozione prevista dall'articolo 2119 c.c.

7. Lavoro subordinato e lavoro autonomo

Il lavoro può essere svolto in maniera subordinata o in maniera autonoma.La definizione del lavoro subordinato è, fondamentalmente, contenuta

nell'articolo 2094: "è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga me-diante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavorointellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprendito-re". In estrema sintesi "l ' elemento qualificante del lavoro subordinato con-siste nella subordinazione intesa quale soggezione del prestatore di lavoroalle direttive del datore di lavoro inerenti all ' intrinseco svolgimento dellaprestazione di lavoro". "La subordinazione comporta l ' inserimento in modocontinuativo e sistematico nell 'organizzazione dell'impresa per il raggiun-gimento dei fini produttivi della stessa ".

Dalla dottrina e dalla giurisprudenza, al fine di individuare la natura subor-dinata della prestazione di lavoro, sono stati elaborati i cosiddetti "indici" di su-bordinazione (per esempio orario di lavoro, retribuzione ratione temporis, ecc.)

8. L'organizzazione del lavoro e gli interessi legittimi

– Nell'impresa possono individuarsi una pluralità di interessi in gioco:l ' interesse del datore di lavoro, l ' interesse del lavoratore e l ' interesse del-l'impresa o dell 'organizzazione del lavoro:fondamentalmente possono spe-cificarsi, per il primo nel profitto, per il secondo nella stabilità del posto dilavoro da cui trae i mezzi di sostentamento per sé e la propria famiglia, perla terza nella sopravvivenza nel tempo.

– Interessi in gioco e organizzazione del lavoro nell ' impresa sono stret-tamente connessi.

Sull 'organizzazione del lavoro resta ancora fondamentale lo studio diMazzoni, relazione introduttiva al Seminario su "L' organizzazione di lavo-ro nell' impresa e le responsabilità dell'imprenditore"". In tale relazione ilMazzoni ricordava le posizioni antitetiche (A) del Pera per il quale l'artico-

20. Vedasi GIUGNI, Introduzione allo studio dell'autonomia collettiva, Milano, 1960, 107.21. Vedsi MAllONI, Problematica generale sull'organizzazione di lavoro nell'impresa,in Atti del seminario di preparazione per dirigenti sindacali e aziendali L ' organizzazionedi lavoro nell'impresa e le responsabilità dell'imprenditore, Giuffrè, Milano, 1970.

lo 41 della Costituzione legittima l'imprenditore nelle sue scelte di fondo, inmodo assolutamente libero, sia per il se dell ' impresa, sia per il quanto, siaper il come, con la conseguenza ... che c'è un campo trincerato nel quale do-minano sovrane le scelte del soggetto e queste scelte devono essere prese co-me un dato insindacabile (anche dalla magistratura, ovviamente), (B) delMinervini secondo il quale sotto il profilo costituzionale il legislatore nonfarebbe cosa aberrante se estendesse limiti e controlli al quanto e al comedell ' impresa lasciando libero il "se " . Ritenute queste posizioni antitetiche,almeno sul piano de iure condendo, brevemente ricapitoliamo,sulla falsari-ga della predetta relazione i termini del problema. Di discrezionalità dell'imprenditore può parlarsi a vari livelli: 1) delle scelte di fondo, ossia dell 'an(del se iniziare un'attività e del se cessare la medesima); 2) del quanto, os-sia delle dimensioni da dare all'impresa in termini di persone e mezzi da oc-cupare; 3) del come, ossia della scelta dei processi tecnico-produttivi utiliz-zabili; 4) delle scelte imprenditoriali meramente consequenziali o "deriva-te" (attinenti alle posizioni cosiddette secondarie). I poteri direttivi in sensostretto riguarderebbero soprattutto le scelte "derivate", mentre i poteri di ini-ziativa economica, garantiti dall 'articolo 41 Costituzione riguarderebberogli altri punti o momenti suelencati. Quanto ai primi tre punti, eventuali li-miti potrebbero derivare dall'articolo 41, comma 2, della Costituzione e dal-la eventuale "programmazione nazionale " , ove attuata, che limiterebbe,quest'ultima, fortemente anche l'an, ritenuto intoccabile dagli Autori citati.

– Libertà o discrezionalità del potere del datore di lavoro nell 'organizza-zione.

Per discrezionalità, concetto mutuato dal diritto amministrativo, si inten-de la caratteristica di quel potere "caratterizzato dall ' obbligo gravante sul ti-tolare di seguire nell 'esplicazione del medesimo quelle regole, che si pos-sono chiamare genericamente di esperienza, le quali sono suscettibili di as-sicurare scelte razionali congrue rispetto al fine" '22>_

Il potere discrezionale si contrappone al potere vincolato.Ammettere l'esistenza di un potere discrezionale dell'imprenditore vuol

dire fondamentalmente due cose: ammettere l 'esistenza di interessi legittimidel lavoratore e la sindacabilità del potere dell ' imprenditore da parte diun 'Autorità (l ' Autorità giudiziaria).

Per interessi legittimi nell'impresa,in analogia con la costruzione pubbli-cistica, si intendono posizioni soggettive attenuate, "occasionalmetnte pro-tette", tutelate solo in quanto coincidenti con interessi propri dell 'impresa.

Dottrina e giurisprudenza, nel campo dei cosiddetti interessi legittimi oattenuati hanno percorso varie strade per assicurare tutela al contraente de-bole titolare di essi: a) accostamento del potere discrezionale dell ' imprendi-tore al potere discrezionale della pubblica amministrazione attraverso la co-struzione simmetrica e speculare di un potere discrezionale dell ' imprendito-re rispetto al potere discrezionale della pubblica amministrazione, con con-

22. Vedasi MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova, 1975, 184 segg.

dIUC , .....A„ ....e..;da .............. ; A cnnm Lave.," A m-As,;.4AA,n AAA; A_ C11/1/11 .mi

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seguente analoga simmetria tra interesse pubblico e interesse dell'impresa;b) riconoscimento dell'esistenza nell ' ambito dell'impresa di interessi legit-timi,come aspetto particolare del più ampio problema dell'esistenza degliinteressi legittimi nel diritto privato; c) la teoria dell'abuso del diritto sog-gettivo.

9. Diritto sindacale"Nell'ambito della più generale disciplina del diritto del lavoro, il dirit-

to sindacale studia quel complesso di norme strumentali, poste dallo Statoo dalle stesse organizzazioni sindacali, che disciplinano l'attività autonomadi produzione giuridica attinente ai rapporti di lavoro ... . Ha per tema i va-ri aspetti attinenti alla posizione dei sindacati e dei gruppi professionali or-ganizzati ed alla loro attività." (23) .

Il diritto sindacale dà regole giuridiche alla organizzazione dell'attivitàproduttiva.

Il diritto sindacale può essere visto in un ottica "conflittuale " o "di par-tecipazione".

Parrebbe peraltro prevalere la visione conflittuale: Giugni vede "l'esi-stenza al fondo della struttura sociale di un costante conflitto di interessi tralavoratori subordinati e imprenditori" «4' . Khan Freund, il più illustre giusla-vorista inglese, citando Higgins, dice, sia pure in altro contesto «s) : "la guer-ra tra il produttore di profitti (profit-maker) e il percettore di salario wage-earner) è sempre con noi" .

Al centro del sistema sindacale c 'è la contrattazione collettiva, che rap-presenta l'attività svolta, dai soggetti sindacali da cui scaturiscono obblighie diritti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro,nonché norme sindacali relative ai rapporti di lavoro individuali.

La contrattazione collettiva si articola per livelli. Accordi interconfede-rali, contratti collettivi nazionali di settore o di categoria, accordi aziendali.In alcuni ordinamenti (ad esempio quello italiano) hanno preminenza i con-tratti collettivi nazionali, in altri ordinamenti (ad esempio quello statuniten-se) ha preminenza l'accordo aziendale.

Il contratto collettivo nazionale è legato al concetto di "categoria profes-sionale " , i cui criteri classificatori, in linea con il concetto costituzionale dilibertà sindacale, competono agli stessi soggetti del mondo del lavoro che si"autodefiniscono " , ferma restando comunque una stratificazione sociale dimassima.

Altra importante distinzione della contrattazione collettiva è quella di"contrattazione dinamica" e "contrattazione statica" «0 .Le procedure contrat-tuali possono essere separatamente osservate come veri e propri tipi, sebbene

23. Vedasi GIUGNI, Diritto Sindacale, Cacucci, Bari, 1981, 1.24. Vedasi GiuGNI, Diritto sindacale, cit., 2.25. Vedasi KHAN FREUND, op.cit., 28.26. Vedasi KHAN FREUND, op.cit., 84.

vi siano in pratica molti intrecci e forme ibride di questi. È possibile distin-guere due tipi di procedimento contrattuale. Il primo di questi due tipi è non-dimeno solitamente identificato nel metodo contrattuale o statico; il secondoin quello istituzionale o dinamico. "`Contrattuale' qui vuoi dire semplice-mente che le parti - che possono consistere in un imprenditore o in un 'asso-ciazione di imprenditori ed uno o più sindacati - possono, insieme, negozia-re, giungere ad un accordo, e quindi una volta separatesi, riprendere le tratta-tive negoziali, tanto nell ' ipotesi in cui questa necessità insorge perché si staapprossimando il momento della cessazione di efficacia dell 'accordo, quantoin quella in cui, pur non essendo stato raggiunto il termine di durata del con-tratto, l 'altra parte desidera pervenire ad un mutamento del regolamento con-trattuale. Per contrasto il metodo `dinamico ' o `istituzionale' di contrattazio-ne consiste nella creazione di un corpo permanente di struttura bilaterale, co-nosciuto di solito come `joint industrial council' o ufficio di conciliazione, ocomitato misto (joint committee), nel quale entrambe le parti sono rappresen-tate attraverso un ugual numero di membri, e che è in qualche caso presiedu-to (ma si tratta di ipotesi minoritaria) da una personalità imparziale. Le partidanno a questo corpo od organismo una costituzione ed un codice procedura-le, però lasciano che tale organismo, che è stato creato in seguito al loro una-nime accordo, abbia la possibilità di determinare, discrezionalmente, i salarie le altre condizioni di impiego nel settore industriale interessato".

Pur essendo i rapporti regolati dalla legge, anche in tale settore, entra ingioco un elemento extragiuridico. Una delle caratteristiche di questa brancaè certamente "l'effettività": per "effettività" si intende o "le forze proprie delmercato" o i "rapporti di forze" tra i soggetti sindacali. "Come potere bilan-ciante del management i sindacati sono molto più effettivi di quanto la leg-ge non sia mai stata o di quanto essa mai potrebbe essere"; "l'effettività del-la legge dipende molto più dai sindacati, di quanto l' effettività dei sindaca-ti dipenda dalla legge" «7) .

10. Linee evolutive del diritto del lavoro

Per quanto riguarda le linee evolutive del diritto del lavoro possiamo ri-cordare alcuni importanti testi: le Relazioni tenute alle giornate di studio"Impresa e nuovi modi di organizzazione del lavoro" organizzate dall'As-sociazione italiana di Diritto del lavoro e della sicurezza sociale in Salernoin data 22-23 maggio 1998 (vedasi Atti, Giuffrè, 1999) e il punto di vista diIchino.Per i primi citiamo una sintesi dalle pagine di questa Rivista:"Ferraro procede a un 'operazione di ricupero del lavoro subordinato ('il re-vival dottrinale sulla subordinazione'). A tal fine fa leva su due considera-zioni, la prima, che `nell'architettura del codice vi è un nesso indissolubilefra impresa e lavoro dipendente' e la seconda che `sul versante delle presta-

27. Vedasi KHAN FREUND, op.cit., 7,19 e 20.

468 Lavoro e previdenza oggi 4-512002 Lavoro e previdenza oggi 4-5/2002 469

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zioni di lavoro il binomio si riferisce a qualunque attività lavorativa' respin-gendo in tal modo il modello sociologico prevalente che si basa da un latosu una `impresa industriale di medio-grande dimensione oleograficamenterichiamata dalla fabbrica fordista' e dall'altro lato su `un prototipo sociolo-gico di lavoratore dipendente, coincidente con l'operaio comune di estra-zione proletaria inquadrato a tempo indeterminato'. A questo punto Ferrarodà la sua visione di fondo per la quale `nell 'equilibrio del codice, il lavorodipendente nell'impresa come strutturato nella norma di base (articolo 2094c.c.) costituisce il tipo normativo generale ed astratto', ma, a seguito deiprofondi mutamenti intervenuti, delinea altresì una nuova subordinazione(rilettura della subordinazione) per cui `... i famosi indici della subordina-zione perdono quella funzione discretiva e qualificatoria ad essi convenzio-nalmente assegnata'. Tale `concezione aggiornata ed onnicomprensiva del-la subordinazione' derivante da `un diverso regime dei poteri di organizza-zione della impresa e dei corrispondenti diritti dei lavoratori, che incorporiesigenze di maggiore elasticità, flessibilità ed autonomia, nel quadro di ga-ranzie ricostruite ad un corrispondente livello di efficacia' viene a rappre-sentare (dilatazione del concetto di lavoro subordinato) `una nozione elasti-ca ed onnicomprensiva suscettibile di abbracciare sia le nuove soluzioni or-ganizzative sia i nuovi lavori nell 'interesse dell'impresa'." (28) .

"(Pedrazzoli), e qui è il punto centrale della (sua) costruzione, arriva a deli-neare una definizione generale di lavoro estratto dall'articolo 2222 c.c., cuiriconosce rilevanza costituzionale, per cui il compimento di un'opera o diun servizio assurge al rango di concetto generale del lavoro giuridicamenterilevante. Donde il ruolo fondamentale riconosciuto al predetto articolo2222 c.c. Infatti il "nucleo della definizione dell'articolo 2222 c.c., l'essen-za di ogni lavoro, si inver(a) pure nel lavoro subordinato". Pedrazzoli arri-va a ravvisare un continuum tra gli articoli 2222 c.c., 409, n. 3, c.p.c. e 2094c.c. Il comune denominatore consiste nel fatto che "in ogni lavoro è presen-te il suo nucleo essenziale che funge, per così dire da genus, ovvero da tut-to rispetto alle parti". In definitiva configura tre pilastri: il lavoro autonomo,il lavoro subordinato e il lavoro coordinato. La `collaborazione' accomune-rebbe lavoro coordinato e lavoro subordinato, attraverso una `scelta di pog-giare i pilastri della sequenza dei lavori da un minimo ad un massimo su unelemento come la prestazione di lavoro deliberatamente indifferente al con-tratto'. La conclusione ultima della lunga disamina ed elaborazione è che`lavoro subordinato e lavoro autonomo continueranno a configurare qualiarchetipi esaustivi i due assetti predominanti in virtù dei quali il lavoro sicorrela a organizzazioni ... . Il loro peso relativo varia nell'evoluzione so-ciale: cresciuto nel secolo il lavoro subordinato, alla fine vi è una inversio-ne di tendenza; e un numero sempre maggiore di rapporti di lavoro trova ilsuo naturale inquadramento assai meglio nello schema del lavoro autono-mo" . Così poco spazio resta a nuove fattispecie (29) .

28. Vedasi in Lavoro e previdenza oggi, 6, 2000, 1068.29. Vedasi in Lavoro e previdenza oggi, 6, 2000,1069.

Vengono cosi entrambe le costruzioni a respingere la categoria del lavo-ro coordinato sottesa ai molti disegni di legge in corso di esame nel parla-mento e, ci ricordano in tal modo quanto scrisse in un noto saggio GiovanniTarello (Teorie e ideologie nel diritto sindacale, Edizioni di Comunità) chenon si dovrebbe trascurare "la connessione tra le operazioni concettuali (deigiuristi) e le loro conseguenze sociali".Quanto a Ichino leggiamo dal suo testo 030) :

"Le tendenze attuali del nostro diritto del lavoroPer un verso, dopo quattro decenni durante i quali la dottrina aveva quasiunanimemente teorizzato la coincidenza pressoché perfetta dei confini delcampo di applicazione del diritto del lavoro con l'area del lavoro subordi-nato, nell'ultimo decennio è venuta progressivamente diffondendosi, fino adiventare oggi largamente maggioritaria, la consapevolezza dell'impossibi-lità logica di escludere dalla tutela di cui agli articoli 35 e seguenti Costi-tuzione i rapporti di collaborazione autonoma a carattere continuativo. Aquesta evoluzione dottrinale sembra corrispendere una evoluzione nellastessa direzione della giurisprudenza costituzionale; e nella stessa direzionesi sono mosse negli ultimi anni anche le iniziative legislative del Governo edi alcuni parlamentari, tendenti a una regolamentazione più o meno estesadel cosiddetto rapporto di lavoro "parasubordinato". Anche in altri campidel diritto civile e commerciale, del resto, va facendosi strada l'idea dellanecessità di un intervento correttivo da parte dell 'ordinamento statuale intutte le situazioni nelle quali si determini una situazione di "dipendenza eco-nomica" di un soggetto nei confronti di un altro, in conseguenza della di-storsione monopsonistica che si configura in un rapporto contrattuale dalquale il primo trae continuativamente l ' intero proprio reddito o la parte pre-valente di esso, senza disporre di adeguate alternative nel mercato.Per altro verso, nell ' ultimo decennio è andata sempre più diffondendosi e ra-dicandosi nella nostra cultura economico-politica, e in particolare in quelladei giuslavoristi, la consapevolezza del fatto che le tutele inderogabili di-sposte dall'ordinamento comportano dei costi non soltanto per i datori di la-voro (aumento del costo del lavoro e delle rigidità organizzative) e per i con-sumatori o utenti (aumento dei prezzi o riduzione della qualità dei beni oservizi), ma anche per i lavoratori disoccupati o irregolari, i quali, già esclu-si dal godimento dei benefici delle tutele stesse, ne sopportano le conse-guenze negative in termini di riduzione della possibilità di competere nelmercato con i lavoratori regolari e quindi di maggiore difficoltà di accessoal lavoro tutelato. Donde, sia sul piano dello studio dello ius conditum, siasu quello dell 'elaborazione delle nuove forme di intervento statuale in at-tuazione degli articoli 35 e seguenti Costituzione, una maggiore attenzioneagli effetti concreti delle norme e in particolare all ' impatto concretamenteprodotto dalla disciplina inderogabile del rapporto di lavoro sui flussi di ma-

30. Vedasi P. ICHINO, Il contratto di lavoro, in Trattato di diritto civile e commerciale,Giuffrè, Milano, 2000, 28 segg.

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nodopera; e conseguentemente la tendenza a spostare il baricentro dell'or-dinamento protettivo dalla tutela del lavoratore nel suo rapporto contrattua-le con il datore di lavoro, alla sua tutela nella fase precedente alla costitu-zione del rapporto, cioè nel mercato. Se fino a ieri l'intervento protettivo siè concretato essenzialmente nella riduzione dell'autonomia negoziale indi-viduale attraverso una regolazione eteronoma inderogabile del rapporto con-trattuale, oggi esso tende a concretarsi piuttosto nell'incremento del poterecontrattuale effettivo del lavoratore, assicurandogli maggiori opportunità diinformazione, di formazione professionale e di mobilità nel mercato; le po-litiche del lavoro tendono, così, ad avvalersi dell'intervento amministrativoe dello sviluppo dei servizi nel mercato più che del diritto privato dei con-tratti. In Francia si parla, a questo proposito, di passaggio dal droit du tra-vati al droit de l 'emploi; più incisivamente, in Gran Bretagna si indica comeobbiettivo essenziale della politica del lavoro non la sicurezza del posto dilavoro, ma la garanzia per il lavoratore della propria employability, ovveroappetibilità professionale nel mercato. Quest ' ultima tendenza, per ciò che ri-guarda il nostro ordinamento nazionale, è stata favorita anche dal processodi sua integrazione nel ' ordinamento comunitario, che, nato principalmentein funzione di garanzia della concorrenza nel mercato europeo delle merci,dei servizi e dei capitali, nell 'ultimo ventennio ha reso progressivamente piùincisivo il proprio intervento anche in materia sociale, sempre focalizzan-dolo sulle garanzie di buon funzionamento del mercato del lavoro più chesulle garanzie inderogabili di standard minimi di trattamento nel rapportotra datore e prestatore.".

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