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Le Belle Lettere 20Il bombarolo del Partenone

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A Dema,mia madre

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Christos Chryssòpulos

Il bombarolo del Partenone

Asterios EditoreTrieste, 2017

Traduzione e cura di Gilda Tentorio

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Prima edizione nella collana Le Belle Lettere, Settembre 2017.Titolo originale: � ��������� ��� ���������

©Christos Chryssòpulos 2010 ©Asterios Abiblio Editore, 2017

posta: [email protected]

I diritti di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento totale o parziale

con qualsiasi mezzo sono riservati.

ISBN: 978-88-9313-047-9

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Presentazione

Avevo sempre pensato che fosse una cosa separata,nella sua alta sacralità e intatto nel suo ordine dorico.[…] La cosa principale che ho imparato lassù è che ilPartenone non era qualcosa da studiare, ma da sentire.Non era distaccato, razionale, puro e senza tempo. Nonvi si poteva localizzare la serenità, la logica e il senso distabilità. Non era una reliquia della Grecia antica, mauna parte della città vivente là sotto.

Don DeLillo, I nomi

«Il Partenone è esploso venerdì 17 del correntemese, alle ore 20:13», così annuncia un freddo co-municato stampa. Apprendiamo inoltre che l’autoredel gesto è stato giustiziato e le autorità sono giàall’opera per la costruzione del “Nuovo Partenone”.Dopo il trauma, il ritorno all’ordine, questo il finaleironico del romanzo di Christos Chryssòpulos. Mail vero messaggio conclusivo è affidato alle parole di

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10 IL BOMBAROLO DEL PARTENONE

Giorgio Agamben, un augurio che è “politico” per-ché guarda con speranza al futuro della polis: «Laprofanazione dell’improfanabile è il compito poli-tico della generazione che viene». Dunque dobbiamo far saltare in aria l’Acropoli?

Tutt’altro. Questo originale romanzo (riscritturaampliata di un breve racconto uscito nel 1996), cheha suscitato in Grecia dibattiti e discussioni vivaci,non vuole assolutamente proporre una lotta icono-clasta contro i monumenti dell’antichità. La rifles-sione si apre a un orizzonte più ampio che coinvolgele idee di città, estetica e arte, ma soprattutto valoricome la Storia, i simboli e l’identità. Tutti temi diestrema attualità in un Paese dilaniato in questianni dalla recessione economica. Christos Chryssòpulos, uno dei maggiori talenti

della nuova generazione, decide di andare dritto alcuore del problema per analizzare (e demolire) ledinamiche alla base del “mito”-Partenone. L’autoreci guida in un mondo finzionale frammentato, inperenne oscillazione tra realtà e apparenza. Sarà illettore a ricomporre il puzzle della vicenda: ascol-teremo il guardiano dell’Acropoli nel dopo-cata-strofe, le voci di alcuni testimoni, potremo leggerele prove indiziarie raccolte dalla polizia, ascolte-

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11PRESENTAZIONE

remo l’intervista rilasciata da un soldato e soprat-tutto la ricostruzione del “probabile” monologodell’autore del gesto. Sembrerebbe un documentorealista, ma l’intero edificio è volutamente minatodal dubbio, perché le dichiarazioni rivelano sotter-ranee contraddizioni e contorni vaghi: si tratta difiction, non di realtà. Ad esempio, al di là dell’indi-cazione precisa dell’ora, non conosciamo la datadell’esplosione (il “presente mese”, cioè quale?), au-torità e testimoni restano anonimi, le deposizioniconfliggono e sembrano manipolate. Frasi conciseche mimano lo stile del parlato aspirano a presen-tarsi come un distillato di chiarezza e limpida regi-strazione della realtà, ma il parlante stesso dubita,si corregge, ritratta. Accanto però ai narratori inaffidabili che tessono

per il lettore una tela fluttuante e piena di interro-gativi, abilmente Chryssòpulos colloca stralci di re-altà attinti da una pagina dimenticata della storiaculturale della Grecia moderna. Viene citata la fi-gura di un intellettuale sui generis, il geniale e sfor-tunato Ghiorgos Makrìs (1923-1968) che fu poeta,traduttore e scrittore. Ventenne, pubblicò un Mani-festo provocatorio, firmato dalla Associazione deiSabotatori Estetici dell’Antichità, con l’imperativo:

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12 IL BOMBAROLO DEL PARTENONE

«bisogna far saltare in aria l’Acropoli!». Siamo nelnovembre 1944: la Grecia usciva dalla terribile oc-cupazione nazi-fascista per piombare in una sangui-nosa guerra civile che lacerò il Paese fino al 1949. Inquesto clima cupo, sulla scia di analoghe dichiara-zioni di matrice futurista-dadaista, il giovane Makrìslancia il suo “scandaloso” appello che poggia su unsostrato filosofico vagamente esistenzialista, nell’ot-tica di uno svecchiamento dell’orizzonte culturalecontemporaneo. Alla venerazione immobile dell’An-tico, che si nutre dell’illusione di sopravvivenza at-traverso le gabbie di un restauro continuo, Makrìsoppone un atto energico di liberazione assoluta: di-struggere il Partenone significa spezzare il vincolodel tempo per consegnare il monumento all’eternitàdell’essenza. Naturalmente si tratta di una provoca-zione tesa a minare alla radice il conformismo ben-pensante che ha fatto del Partenone un simbolo acui aggrappare le certezze identitarie della nazione.Troppo spesso, denuncia Makrìs, il tempio antico èstato asservito all’ideologia: occorre spazzare viaogni incrostazione.Chryssòpulos trova il modo di saldare la spinta

ideale all’azione entro i limiti della fiction: imma-gina infatti che un giovane ventenne, individuato

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13PRESENTAZIONE

dalle sole iniziali Ch.K., si ispiri al Manifesto diMakrìs ma ne fraintenda il messaggio, passando aifatti. Piazza due ordigni e fa esplodere il Partenone,lasciando la città orfana del suo simbolo e punto diriferimento. Un lungo capitolo è dedicato al “pro-babile” monologo di Ch.K., che racconta l’espe-rienza di vita nella realtà urbana di Atene, lasfida-duello con il Partenone (mai nominato: il ri-vale è “Lui”). Ma perché agisce Ch.K.? È un terro-rista, un delirante megalomane, un anti-eroe figliodella crisi? Niente affatto. Egli distrugge per affer-mare una libertà superiore, in nome di un attoUnico che appartiene solo a lui, ma anche per mo-strare alla città la sua intima fragilità. A chi gli ha rimproverato l’istigazione alla vio-

lenza, Chryssòpulos ha ribadito l’impianto finzio-nale della sua ipotesi narrativa: la vera distruzionedi monumenti è sempre esecrabile, dalle Torri Ge-melle a Palmira. Immaginare la catastrofe del Par-tenone significa invece accedere all’orizzontepossibile di una coscienza nuova, che ammettaanche la destabilizzazione del proprio mondo, equindi delle sue certezze e dei suoi simboli. D’altra parte «abbiamo già bombardato il Parte-

none», ha dichiarato recentemente Chryssòpulos,

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14 IL BOMBAROLO DEL PARTENONE

con riferimento alla sovraesposizione iconica deltempio antico nei media. Fotomontaggi, schizzi sa-tirici, copertine di riviste mostrano spesso un Par-tenone in frantumi, simbolo della Grecia fatta apezzi dalle misure di austerity imposte dall’Europae dalla Troika. Bisogna aggiungere però che in que-sta dialettica mediatica della crisi si cela una peri-colosa inversione di senso: da residuo memorialedell’antico, il Partenone rischia di diventare maceriadel contemporaneo, perché nei suoi marmi mutilatisi riconosce anche la fatalità incombente di un crolloapocalittico per la nazione.Chryssòpulos invita a riflettere sul valore dei sim-

boli e sul particolare rapporto di convivenza fra lacittà di Atene e l’area archeologica dell’Acropoli, uncorpo estraneo nel cuore della città moderna e se-parato dalle pratiche della quotidianità, presenzaenigmatica e paradossale, relitto di un passatoormai morto da due millenni. In effetti, se a Romaè possibile ricostruire il filo della storia nelle traccedella topografia urbana e a Pompei si esplora dal-l’interno una città pietrificata, ad Atene si speri-menta invece una cesura violenta. Lo scarto sopra/sotto non è solo questione di planimetria, ma unabisso temporale fra Noi e gli Antichi: sotto, il bru-

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15PRESENTAZIONE

licare caotico della vita contemporanea che scorrecon le sue miserie e le sue contraddizioni nel palin-sesto urbano; lassù, il topos delle rovine che agliinizi del XIX secolo un’operazione archeologica vo-luta dai regnanti bavaresi (quindi di matrice ideolo-gica romantico-germanica) ha purificato dalle traccedei secoli, per imbalsamarlo nella presunta imma-gine del V secolo a.C. Pertanto l’Acropoli è un luogoreale ma al tempo stesso monumentalizzato e reso“mitico”, segno permanente e testimone di pietradegli splendori passati, una sentinella al confine deltempo con il compito di ricordare il senso della du-rata e il valore dell’identità. E il suo gioiello, il Partenone, è immobile nella sua

fragile perfezione, eppure sfuggente, come ha sotto-lineato l’antropologo Marc Augé: «sempre pronto alasciarsi decifrare, interpretare, raccontare; semprepresente, sempre nuovo, sempre al di là o al di quadella decifrazione, delle interpretazioni, dei rac-conti; condannato a sopravvivere alle proiezioni cheesso suscita; intima ossessione e patrimonio del-l’umanità»1.

1. Marc Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo [2003], BollatiBoringhieri, Torino 2004, p. 30.

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16 IL BOMBAROLO DEL PARTENONE

L’esperimento narrativo di Chryssòpulos mira asalvare il Partenone da letture univoche e museali epropone la necessità di un cambiamento di para-digma, per guardare al tempio con occhi nuovi.Un’educazione allo sguardo che, come raccoman-dava Italo Calvino con riferimento alla città2, abbiail coraggio di un approccio nuovo, capace di demo-lire i preconcetti. Ecco allora la necessità della katastrophé, intesa

in senso etimologico: girare la barra del timone permutare rotta e trovare nuovi panorami. Chryssòpu-los immagina la katastrophé del Partenone per se-gnalare che occorre ripensare l’Acropoli e quindi lasua città. L’Antico partecipa alla vita contempora-nea e non va relegato in un mondo di astratta vene-razione o di puro consumo turistico. L’originalità e il coraggio dell’esperimento lettera-

rio di Chryssòpulos si coglie anche in relazione almomento storico attraversato dal suo Paese: oggipiù che mai è difficile sfrondare falsi miti e imma-gini patinate da cartolina, e soprattutto mettere indiscussione i propri simboli – anche se la riflessionesi può estendere al senso generale di crisi della ci-

2. Italo Calvino, Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società,Einaudi, Torino 1980, p. 282.

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17PRESENTAZIONE

viltà, presente in tutta Europa. Ricordiamo però che“crisi” è una parola greca e racchiude un nucleo po-lisemico anche positivo: “krisis” è la capacità di giu-dizio, la diagnosi dei problemi per cercare possibilistrategie di risoluzione. Ecco allora che l’energia po-sitiva dell’arte e la rifondazione di immagini e nar-razioni è un segno di vitalità e di speranza, controgli spettri della recessione.

Gilda Tentorio

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Siamo noi i visionari folli della terra,il cuore in fiamme e gli occhi spiritati.

Siamo i pensatori irredenti e gli amanti tragici.Mille soli scorrono nel nostro sangue

e ovunque ci insegue la visione dell’infinito.La forma non arriva a domarci.

Noi siamo innamorati dell’essenza del nostro esseree fra tutti i nostri amori è lei che amiamo.

Siamo i grandi entusiasti e i grandi negatori.Chiudiamo dentro di noi tutto il mondo e lontano da esso

non siamo nulla.I nostri giorni sono un incendio e le nostre notti un mare

immenso.Intorno a noi risuona il riso degli uomini.

Siamo i Messaggeri del Caos.

Ghiorgos MakrìsNoi, i pochi, 1950*

*Questa poesia vede la luce nel circolo del poeta Ghiorgos Makrìs, il “Movi-mento degli Irresponsabili”, un gruppo numeroso di intellettuali e artisti cheagli inizi degli anni ’50 si ritrovavano nel quartiere di Kolonaki ad Atene, fracui Natalia Melà, Takis Vassilakis e Minoas Arghyrakis, Ghiorgos Makrìs eLena Tsuchlu. È quest’ultima a chiamare il gruppo “Messaggeri del Caos”. Nelvolume Scritti di G.V. Makrìs (Estia, 1986) la poesia riporta l’indicazione:“Mano di Ghiorgos Makrìs, Ispirazione di Lena”. Non è chiaro se questa notasia dello stesso Makrìs oppure del curatore Epaminondas Ch. Gonatàs. Infor-mazioni riguardo al “Movimento degli Irresponsabili” si trovano nel libro diManolis Dalukas, Il Rock greco – Storia della cultura giovanile dalla gene-razione del Caos alla morte di Pavlos Sidiròpulos, 1945-1990 (Ediz. Anghyra2006). [N.d.A.]

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21IL BOMBAROLO DEL PARTENONE

1Breve confessione di un guardiano

Senza esitare, in modo spontaneo, ma con un chedi artificioso nei modi e un tono di voce che sembraimpostato e falso. Come se parlasse di un perso-naggio importante.

Che dire? Ci perdo la testa. Dopo tanti anni… Ero ilprimo a vederlo ogni mattina. Arrivavo sempre dibuon’ora, controllavo tutti gli ingressi e aprivo il re-gistro dei visitatori. Ogni giorno ne passavano dav-vero tanti.

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22 CHRISTOS CHRYSSÒPULOS

Interrompe il discorso e comincia a raccontare dalprincipio, in modo enfatico.

Era estate, il sito inondato di gente. Sugli schermidella sorveglianza non si potevano distinguere i volti,tanto fitta era la folla: scorreva un oceano confuso emobile di turisti. Un caldo soffocante. Stavo in piedidavanti al mio tavolo ed era impossibile concen-trarmi sul lavoro. La mente si perdeva, vagando inpensieri senza capo né coda. Il frastuono era insop-portabile, i passi e le chiacchiere dei visitatori crea-vano un brusio continuo, indistinto. Invariato, noncambiava di intensità, era una nota unica e tormen-tosa che si ripeteva per ore intere. Gente che conti-nuava a salire, ad arrivare, senza sosta.Era ormai mezzogiorno ed eravamo tutti ipnotiz-

zati per la stanchezza, il sole, il caldo opprimente.Ma proprio allora sentii che mi chiamava. Distinta-mente, in mezzo al delirio infinito della gente, so-vrastando le voci e il caos. La mia prima reazione fudi stropicciarmi gli occhi stupito. Ero sicuro che lamente mi stava giocando uno dei suoi scherzi. Quelgiorno l’ora del sole a picco era intollerabile. Appog-giai la schiena sudata contro la parete e chiusi gliocchi. Lo sentii che mi sussurrava da dentro il muro,

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23IL BOMBAROLO DEL PARTENONE

come quando i detenuti comunicano tra loro di cellain cella. Era tutto vero.Guardai intorno. Nessuno sembrava aver notato

nulla. Diedi uno sguardo agli schermi. Nulla distrano. Sempre la stessa fiumana ininterrotta digente. Ma io continuavo a sentire la sua presenza.Uscii sul sentiero centrale e mi fermai in mezzo

alla folla. Ovunque volgessi gli occhi, una moltitu-dine di sconosciuti mi oltrepassava con indifferenza.E Lui a chiamarmi, in modo sempre più distinto.Senza parole. Come se fosse in grado di chiamarecon il pensiero. Mi voltai a destra e sinistra, ma nonriuscivo a capire da dove provenisse la voce. Forsedalla bocca di uno dei visitatori. Dagli edifici, lon-tano giù in città, dalle strade. Dai tronchi degli al-beri. Anche le pietre e il sole sembravano parlare.Le nuvole. Perfino l’aria ripeteva lo stesso richiamo.La città intera mi parlava. Chiusi gli occhi e mi feci forza. Dovevo capire in

che modo stava comunicando con me. Era una sem-plice intuizione o un magnetismo misterioso, oqualche altro fenomeno? Era davvero lui che michiamava dall’alto della città o era la mia immagi-nazione a plasmare quell’incubo? Fu allora che tuttosi fermò. All’improvviso regnava il silenzio. Non si

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24 CHRISTOS CHRYSSÒPULOS

sentiva anima viva. Nel loro avanzare, i turisti sem-bravano non toccare terra con i piedi. L’affanno deirespiri si era attenuato, mentre un soffio d’aria si-lenzioso rinfrescava i loro volti. Non parlavano più.I vestiti ondeggiavano pigramente, palpitando comele branchie dei pesci nel mare profondo. Tutto eradiventato trasparente e abbacinante. Lui ora tacevae con lui tutta la città stava in silenzio. Mistero.Ma di colpo tutto finì. Come se la realtà si fosse as-

sentata per un istante e ora fosse tornata. Le voci as-sordanti, lo strascichio dei piedi, il tramestio dei passi,il frusciare dei vestiti, la calura, il sole implacabile.L’importante era che io fossi lì sulla roccia, e so-

prattutto in quel momento – ora lo so –. Forse quelgiorno si evitò qualcosa di indicibile, o forse qual-cosa di abominevole si era messo in moto in quellostesso istante. Quell’unica volta, sono sicuro, mi hachiamato e io non ho saputo seguirlo.

Dopo una breve pausa, riprende, ma con una ca-denza più lenta, e il tono si fa un po’ più drammatico.

Cos’altro posso dire? Salii su il primo giorno dopola catastrofe e non credevo ai miei occhi. Lui stavalassù da tanti secoli e si poteva pensare che ormai

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avesse un pezzo di cielo tutto suo. E lì dove prima siergeva, ora si spalancava l’orizzonte.Superai la cancellata dell’ingresso crollata. Come

era successo? Con quali parole descrivere il disa-stro? Intorno tutto era sudicio e annerito dal fumo.Il terreno era pieno di fango, dappertutto frantumisparsi. Presi il breve sentiero verso la sommità e aogni passo temevo che il cuore non avrebbe retto.Non una pietra al suo posto. Tutto sottosopra. Unapolvere sottile copriva il terreno e sulle macerie bru-ciava ancora una debole fiamma. Mi avvicinavo e lastrada diventava sempre più impraticabile: ovunquesi vedevano i suoi pezzi di marmo, rotolati giù, mu-tilati. Mi riesce difficile parlarne. Tutto era crollato:là dove prima si ergeva lui, ora si stendeva solo ilcielo. Un cielo che per la prima volta mi apparve intutta la sua vastità. Spietato. Marmi ovunque, sbri-ciolati. Uno sfacelo inaudito, una ferita aperta.

Si interrompe. Si alza e fa alcuni passi nervosi cer-cando di controllarsi, ma in modo ostentato.

Chi ha potuto compiere una cosa simile? Chi mai siè messo in testa l’idea di colpire a morte qualcosa dicosì… Lui era… Mi sembra di impazzire. Lui era…

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26 CHRISTOS CHRYSSÒPULOS

sacro: impensabile anche il solo sfiorarlo. Siamo or-fani. Che cos’è la città senza di lui? È un crimineinaccettabile. Non era forse presso di lui che cerca-vamo rifugio, ogni volta che ne avevamo bisogno?La nostra città era indegna di lui. Era piccola, non riu-

sciva più a sostenerlo. Non lo meritava, non era alla suaaltezza e ora questo è chiaro come il sole, ma ormai ètardi. È lei, è la città che lo ha ucciso. Si è presa vendettacontro di noi. Sì, lo credo veramente, questa è la suavendetta. Lei stessa ha deciso come farlo e ha scelto conattenzione l’assassino. La mano. Lei lo ha chiamato,come aveva chiamato anche me. Ora capisco. Non eralui che mi chiamava, ma era la città. Lei mi stava met-tendo alla prova. E così ha fatto quel giorno anche conaltri, fino a trovare uno così orribilmente senza scrupolida accettare di colpire il colle. Sono stato anch’io partedel suo piano. Quel giorno lei parlò. Parlò a tutti noi. Equel giorno trovò l’uomo adatto.

Cammina ancora e poi siede su uno sgabello, in unangolo a sinistra.

Certo, lo avevo notato. Nelle ultime settimane ve-niva quasi ogni giorno. All’inizio non ci badai. Nonaveva nulla di particolare. Uno fra tanti... Eppure lui

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veniva, ancora e ancora. In ore diverse. In modo ir-regolare. A volte passava parecchio tempo primache ricomparisse. Oppure tornava due o tre voltenello stesso giorno. Non lo vedevo spesso. Forse ve-niva più regolarmente di quanto avessi notato. Ma-gari durante il turno degli altri guardiani. Oppuremi evitava in modo sistematico, può darsi anchequesto. E poi ecco, compariva di nuovo. Sapevo chelo avrei rivisto. E alla fine riuscivo a distinguerlo inmezzo alla folla e riconoscevo facilmente il suo viso,proprio per queste sue visite così frequenti. Perchéper il resto non aveva nulla che potesse attirare l’at-tenzione. Era taciturno e camminava sempre a testabassa. Come se volesse nascondersi in mezzo allafolla. Non mi fissò mai dritto negli occhi. Forse avolte non sono riuscito a individuarlo in mezzo allagente. Chi lo sa? Magari veniva anche più spesso. Disolito saliva in fretta, deciso, per il sentiero centrale.Si era scelto un posto particolare in un angolo un po’in disparte, dalla parte della cancellata e restava se-duto lì per parecchio tempo. Capitava che finivo ilmio turno e lui non si era mosso per niente. Era osti-nato. Guardava e basta. Osservava in modo attento.Non si spostò mai da lì, non si avviò verso la cima,ma sempre lì, si appoggiava a uno dei fari che veni-

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vano accesi verso il pomeriggio tardi. E non è maisalito da un sentiero diverso. Non portava nulla consé. Era senza borsa. Non si tolse mai la giacca. Arri-vava da solo e non parlava con nessuno.Me lo ricordo così. E poi a poco a poco cambiò. Sa-

liva il sentiero di corsa. Lasciava il suo solito postoe girava senza posa intorno al monumento. Falcatenervose. Camminava di continuo. Misurava il luogopalmo a palmo. A passi uguali, come per calcolarela distanza o il tempo. E osservava con lo sguardovigile. Lo vedevo chinarsi per guardare meglio undettaglio, farsi ombra sugli occhi con la mano controil sole accecante. Aveva un piccolo taccuino. Scri-veva. Prendeva appunti a ogni momento. Muovevaalcuni passi e si fermava all’improvviso per annotareun pensiero o qualcosa che aveva visto. E poi dac-capo. Pochi passi e un appunto.Alcune volte arrivò con una ragazza. Non parla-

vano. Non si guardavano quasi. Camminavanosenza toccarsi e spesso si separavano, prendendo di-rezioni opposte. Non so. Poi diventava di nuovo ilvisitatore riservato che conoscevo. Curvo e taci-turno, tornava al suo posto. Questo era successo dueo tre volte, e così non mi stupivo più. Conoscevoormai la sua mania. C’erano giorni in cui semplice-

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29IL BOMBAROLO DEL PARTENONE

mente stava seduto in raccoglimento. Oppure cam-minava di continuo senza fermarsi.Non l’ho avvicinato nemmeno una volta. Non co-

nosco il suono della sua voce, non gli ho mai parlatoe non ho mai saputo il suo nome. I nostri sguardinon si sono mai incrociati. Provavo per lui unastrana simpatia. Era dominato da una passione se-greta, un’ossessione. Sono sicuro che egli lo haamato. È vero che stavamo in silenzio, senza scam-biarci una parola, lui forse ignorava la mia esistenzae io lo guardavo da lontano, dagli schermi della sor-veglianza: nonostante ciò, eravamo uniti da una in-visibile affinità. Il mio atteggiamento nei suoiriguardi era di comprensione, non volevo infasti-dirlo o turbare i suoi momenti. Mi sentivo quasi inobbligo di rispettare la sua devozione. Dite che misono ingannato a tal punto? Ero così cieco? Così in-genuo? Perché non sono riuscito a riconoscerel’uomo che lo avrebbe distrutto? Non ci credo. Anzi,sono sicuro. Quel ragazzo lo ha amato.

Resta seduto sullo sgabello. Alza gli occhi e guardacome a chiedere conferma:

«Sono andato bene?»

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2La notizia

Il colle sopra la città è orfano. Gente comune continuaad affluire lassù e si registrano manifestazioni di sde-gno, d’altra parte giustificate. La voce circolata in pre-cedenza, che smentiva la catastrofe, è solo un ricordo.Nei primi giorni la negazione della realtà ci aveva of-ferto un caldo rifugio di protezione dal dolore, ma orala fantasia consolatoria non sa più darci sollievo.Ormai non possiamo più fingere che non sia successo.È difficile, nessuno riesce ancora ad abituarsi a

quella cima nuda. Anche i nomi delle strade sem-brano sottolineare la perdita con sarcasmo. Là doveprima si ergeva il nostro monumento più rappresen-tativo e prezioso, oggi si stende solo il cielo vuoto euno scenario desolante di rovine e macerie.L’isteria collettiva ha raggiunto il culmine all’an-

nuncio della versione definitiva dei fatti. Il comuni-cato è di poche pagine, in un freddo linguaggioburocratico che sfiora appena gli aspetti più super-

30 CHRISTOS CHRYSSÒPULOS

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