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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà di Lettere e Filosofia LAUREA TRIENNALE IN LINGUE E LETTERATURE STRANIERE Tesi in Letteratura Cinese LE POLITICHE DI INCLUSIONE SCOLASTICA ITALIANE: IL CASO DEI RAGAZZI CINESI DEL “DATINI” DI PRATO Relatore Maria Omodeo Candidato Elisa Melani Correlatore Ikuko Sagiyama Anno Accademico 2008-2009

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà di Lettere e Filosofia

LAUREA TRIENNALE IN LINGUE E LETTERATURE STRANIERE

Tesi in Letteratura Cinese

LE POLITICHE DI INCLUSIONE SCOLASTICA ITALIANE: IL CASO DEI RAGAZZI CINESI DEL

“DATINI” DI PRATO

Relatore Maria Omodeo

Candidato Elisa Melani

Correlatore Ikuko Sagiyama

Anno Accademico 2008-2009

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INDICE

前言 .............................................................................................................................. 4

PREFAZIONE ..................................................................................................................... 5

INTRODUZIONE .................................................................................................................. 7

I. Introduzione: le migrazioni dalla Cina verso l’Italia e l’Europa ................................. 8

I.1 L’Europa come scacchiera delle opportunità .................................................. 11

I.2 I cinesi in Italia .................................................................................................. 13

I.3 I cinesi a Prato .................................................................................................. 14

II. La scuola come primo passo verso l’integrazione ................................................... 15

II.1 I residenti stranieri e cinesi nel comune di Prato ........................................... 19

II.2 Gli alunni stranieri nelle scuole ....................................................................... 22

II.3 La Normativa ................................................................................................... 25

II.4 L’allarme rosso ................................................................................................ 30

II.5 La formazione degli insegnanti ....................................................................... 35

II.6 Teoria e pratica nella scuola superiore: le difficoltà degli adolescenti .......... 37

III. Un tentativo di integrazione: il caso dei ragazzi cinesi del Datini di Prato ............ 40

III.1 Le politiche di inclusione scolastica dell’istituto “Datini” di Prato ................ 42

III.2 Il corso di Italiano per i ragazzi stranieri ........................................................ 49

IV. La parola ai ragazzi, la sfida delle seconde generazioni ........................................ 51

IV.1 Ragazzi ai quali sono state tarpate le ali ....................................................... 53

IV.2 La parola ai ragazzi: la mia esperienza e le loro storie .................................. 55

IV. 3 La sfida delle seconde generazioni ............................................................... 61

V. Difficoltà oggettive all’integrazione: un’identità solida ......................................... 63

V.1 Da dove parte il pregiudizio: i cinesi “rubano” il lavoro ................................. 65

V.2 I cinesi lavorano troppo .................................................................................. 66

V.3 I cinesi lavorano in nero .................................................................................. 67

V.4 Il ritardo delle istituzioni italiane .................................................................... 68

V.5 Il pregiudizio e lo stereotipo ........................................................................... 70

V.6 Lingua diversa, cultura diversa ....................................................................... 72

CONCLUSIONI ................................................................................................................. 75

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APPENDICE .................................................................................................................... 80

ILLUSTRAZIONI ................................................................................................................. 84

BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................. 85

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谈在意大利的温州年轻人

前言

我试图在论文中介绍那些中国年轻人在意大利的真实情况。我之所

以称他们为“温州的年轻人”是因为在普拉托的大多数华人都来自温州。

我尤其想叙述他们的故事,他们的原籍,他们来意大利的目的,他们与

外界接触的谨慎与他们内心的善良。其次的原因是因为我在普拉托

Datini 学校认识了他们,一些情况是真实的,没有任何假设的成分,不

是在不了解他们的情况下,单凭突发奇想,不做查明的主观设想来分析

他们的状况。因为工作的原因,我能够接近他们,可以倾听他们的个人

经历,了解他们想什么,他们什么喜欢什么不喜欢,他们的梦想,他们

在意大利的感受。他们都非常想念故乡,在意大利他们好像是局外人,

因为他们不懂意大利语,也不了解他们生活的地方以及意大利人的生活

习惯。所以,如果我们要了解他们,认识他们,唯一的可能性就是在学

校。

在这篇论文里,我也分析了学校。特别的指出,在普拉托的意大利

学校希望接受温州的年轻人,我们看看学校怎么让他们注册的。因为虽

然我们提及温州的年轻人的时候会提及到有很多问题,至少我觉得这个

问题我们可以一起解决。因为我们希望可以超越不同的文化,当然也可

以超越不同的思维方式。若达到那样的目的,唯一的办法是相互了解和

相互尊敬。

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Prefazione

Immaginate di trovarvi in una classe, a scuola. Circondati da persone che parlano

una lingua strana, che non avete mai sentito, e che hanno lineamenti diversi dai

vostri, odore della pelle diverso dal vostro, profumi diversi da quelli a cui siete

abituati, gestualità delle mani del tutto estranea a voi. Entra il professore,

finalmente, ma immediatamente vi accorgete che anche lui è come dire, uno di loro.

Si siede e farfuglia qualcosa a voi incomprensibile. Capite che cosa vi è stato chiesto

di fare soltanto quando tutti gli altri vostri compagni si siedono. Allora vi sedete. E

mentre il professore comincia la sua lezione, parlando una lingua della quale non

riuscite a comprendere neanche una parola, muovendo la bocca in quello strano

modo ed emettendo quei suoni così buffi, non potete fare a meno di chiedervi “che

cosa ci faccio qui?”.

“GENERALMENTE SONO DI PICCOLA STATURA E DI PELLE SCURA”1

Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano

l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per

molte settimane.

Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle

città dove vivono, vicini gli uni agli altri.

Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo

appartamenti fatiscenti.

1 Il testo è tratto da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli

immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912.

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Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.

Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.

Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi

dialetti.

Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente

davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre

anziani invocano, con toni lamentosi e petulanti.

Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di

loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.

Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici,

ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo

agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.

I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma,

soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel

nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti

o, addirittura, attività criminali.

Cosa c’è dietro a questa paura per il diverso che porta ad inventare storie

brutte sull’uomo nero, o sugli zingari che rapiscono i bambini o ancora sui cinesi che

uccidono e mangiano cani e gatti, puzzano, e come se non bastasse, non muoiono

mai?

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LE POLITICHE DI INCLUSIONE SCOLASTICA ITALIANE:

IL CASO DEI RAGAZZI CINESI DEL “DATINI” DI PRATO

INTRODUZIONE

Non è facile se non quasi impossibile trovare libri in italiano sulla storia di Wenzhou

(温州), città del sud della Cina, come probabilmente non è facile trovare libri sulla

storia di Prato in Cina. Wenzhou come prefettura contava nel 2006 7,5 milioni di

abitanti2. Nel giugno del 2008 ne contava circa 7,8 milioni 3. Si trova nella provincia

dello Zhejiang, nel sud-est della Cina. Lo Zhejiang è definita “provincia di accaniti

imprenditori” e la sua capitale, Hangzhou, città della seta e sede dell’antica

residenza imperiale, fu esaltata da Marco Polo come “la città più bella del mondo”4.

Wenzhou è stata un fiorente porto per il commercio con l’estero, e tuttora si

mantiene attiva su questa linea. È situata in una regione montuosa e di

conseguenza è rimasta isolata per gran parte della sua storia dagli altri paesi. Ciò ha

favorito se non causato lo sviluppo di una cultura e di un linguaggio completamente

differenti da quelli dei popoli circostanti.

Wenzhou è organizzata in 3 distretti, 2 città-contea e 6 contee. I 3 distretti

sono il Distretto di Lucheng, il Distretto di Longwan ed il Distretto di Ouhai. L’Area

Urbana di Wenzhou conta ben un milione e mezzo di abitanti. Le due Città-contea

sono la città di Ruian e la città di Yueqing. Le sei contee sono la Contea di Yongjia, la

2 “Twinside, in World Wide Web.

3 Fonte: gemellaggio a Wenzhou dell’istituto Datini, documentario “Lanterne Rosse, viaggio

nell’intercultura”. 4 Polo, Marco, Il Milione.

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Contea di Pingyang, la Contea di Cangnan, la Contea di Dongtou, la Contea di

Wencheng e infine la Contea di Taishun.

Wenzhou viene spesso associata al termine “diaspora cinese”5, ad indicare la

massiccia emigrazione che questa città ha conosciuto negli ultimi trent’anni.

PRIMO CAPITOLO

I. INTRODUZIONE: LE MIGRAZIONI DALLA CINA VERSO L’ITALIA E

L’EUROPA

La nuova migrazione dalla Cina verso l’Italia e l’Europa è cominciata quasi trenta

anni fa, agli inizi degli anni ’80. Oggi si tratta di una realtà costante e stabile,

palpabile nelle città e nei maggiori centri urbani, dove la presenza cinese

inizialmente poco visibile, è divenuta sempre più palese, come nella situazione che

troviamo oggi in Italia. La presenza di persone di cittadinanza cinese è un dato di

fatto di cui tutti ormai sono a conoscenza, anche chi stentava a credere alla sua

effettiva portata.

Le comunità cinesi insediate nei paesi europei sono infatti state a lungo

scarsamente conosciute e solo negli ultimi anni studiosi dei fenomeni migratori,

sinologi e antropologi nei vari paesi europei hanno cercato di ricostruire e

interpretare i percorsi migratori cinesi, il tipo di legame con le aree di origine e con

la diaspora insediata nell’Asia sudorientale e di comparare i diversi insediamenti nei

vari paesi europei.

5 Diaspora: dalla parola greca diaspéirein, ‘seminare qua e là’; dispersione di un popolo che lascia la

terra d’origine migrando in varie direzioni. (Zanichelli 1998).

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È a partire dagli anni ’80 che un numero crescente di paesi europei è stato il

punto di arrivo di un’ondata migratoria che partiva dalla Cina. Questi flussi sono

stati composti all’inizio quasi esclusivamente da migranti poco qualificati,

provenienti dalla provincia dello Zhejiang, nella quale dopo la fine della Rivoluzione

Culturale avevano preso nuovo vigore le catene migratorie a carattere familiare,

seguite più tardi anche da aree culturalmente diverse6.

L’Italia è stato il primo paese dell’Europa meridionale dove i cinesi si sono

insediati e resta tuttora quello con il più alto numero di immigrati d’origine cinese

nell’Europa del sud7.

La riscoperta del fenomeno migratorio in Cina intorno agli anni ’80 del

Novecento è stato incentivato da un evento chiave: l’avvio tra la fine degli anni ’70 e

l’inizio degli anni ’80 di una politica di riforme e di apertura al mondo esterno da

parte del governo cinese, dopo gli anni di chiusura del periodo della Rivoluzione

Culturale. Si può affermare che proprio tale atteggiamento, negli anni, abbia

portato la Cina a diventare una nazione quale noi oggi la conosciamo, con crescente

coinvolgimento nell’economia globale, forza militare e responsabilità internazionali.

Naturalmente, la nuova linea politica ha avuto anche risonanza nel tema delle

migrazioni e dei migranti, che durante la già citata rivoluzione erano stati vittime di

limitazioni non indifferenti.

Era cambiato radicalmente l’atteggiamento nei confronti di chi desiderava

emigrare e proprio questo ha reso possibile che numeri crescenti di cittadini cinesi

lasciassero la Cina per dirigersi verso altri paesi d’arrivo. Per fornire un esempio

6 Ceccagno, Migranti a Prato, p. 9.

7 ibidem, p. 10.

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della portata di tali misure, citiamo il 1978, quando un provvedimento del Governo

permetteva di lasciare la Cina a parenti stretti di emigrati che risiedevano all’estero

per rendere possibili ricongiungimenti familiari, o il 1985, quando una nuova

legislazione nazionale concesse il diritto di lasciare il Paese a coloro che riuscivano

ad ottenere un passaporto (col permesso dell’unità di lavoro) e un invito

dall’estero 8 . Piccoli passi che sembrano microscopici, ma che denotano

un’inversione di rotta della mentalità del Governo cinese. Provvedimenti che a noi

italiani appaiono forse naturali e affatto sconvolgenti, dal momento che viviamo in

uno stato che conta 60 milioni di abitanti, ma a quali conseguenze potrebbero

portare in un paese di 1,3 miliardi di persone?

L’ondata di migrazione cinese verso l’Europa, l’Australia e l’America del nord è

la conseguenza diretta di tali provvedimenti. Senza dubbio tra le cause o i cosiddetti

moventi, si aggiunge anche la trasformazione che l’economia cinese ha subito

nell’ultimo ventennio e che ha portato la Cina a comparire tra la lista dei cosiddetti

paesi industrializzati o globalizzati 9 . La ristrutturazione dell’economia e la

conseguente crescita economica del paese infatti hanno portato ricchezza e nuove

opportunità per molti ed hanno alimentato le speranze di ascesa sociale tra la

popolazione e soprattutto tra coloro che sono stati gli artefici di questo sviluppo,

ovvero piccoli imprenditori, lavoratori dipendenti e altre classi sociali che hanno

concorso a tale rivoluzione economica. Il fenomeno migratorio della Cina si inserisce

dunque nel processo di globalizzazione di cui la società, la cultura e l’economia

cinese sono ormai parte integrante e proprio di questa globalizzazione sembra

8 Ceccagno, Migranti a Prato, p. 11.

9 ibidem, p. 10.

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essere il frutto. Infatti, le recenti ricerche sul tema mostrano come le migrazioni

internazionali attuali non derivino dalla carenza di sviluppo economico, bensì dallo

sviluppo stesso.

I.1 L’Europa come scacchiera delle opportunità

Sul versante europeo i due mutamenti politici che più hanno favorito l’arrivo di

migranti cinesi sono stati il crollo del blocco sovietico, che ha aperto agli

intraprendenti e ai migranti nuove aree prima inaccessibili della Russia e degli altri

paesi europei che avevano fatto parte dell’Unione Sovietica; e l’allargamento e il

consolidamento dell’Unione Europea che ha favorito i movimenti di capitale globale

e umano10. Agli occhi dei potenziali migranti cinesi questi cambiamenti hanno

trasformato l’Europa da spazio periferico di migrazione in una destinazione sempre

più interessante, una nuova scacchiera di opportunità dove dispiegare le proprie

strategie familiari di insediamento e accumulazione di capitali (Ong e Nonini,

1997)11.

Dal canto loro, i diversi paesi europei, pur restando riluttanti a riconoscere il

proprio status di paesi di immigrazione, nei fatti accettavano numeri crescenti di

immigrati per far fronte al bisogno di forza lavoro flessibile. E questi migranti

difficilmente potevano accedere alla scacchiera europea per vie legali, visto che la

maggior parte dei paesi europei ha tardato a riconoscere la funzionalità del lavoro

immigrato per le economie nazionali e mantiene ancora oggi una chiusura formale

delle frontiere. Di conseguenza una delle vie disponibili era la clandestinità, con la

10

Ceccagno, Migranti a Prato, p. 12. 11

ibidem, p. 14.

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speranza di riuscire poi a rientrare in una sanatoria12. Questo è stato uno dei motivi

per cui i cinesi, una volta giunti in Europa, non hanno smesso di migrare da un paese

europeo all’altro, alla ricerca della sanatoria che avrebbe permesso loro di lasciarsi

alle spalle l’irregolarità. Ma non sono state solo le politiche migratorie dei diversi

paesi europei a determinare gli spostamenti dei migranti da un paese all’altro. Più in

generale i paesi europei sembrano essere percepiti dai migranti cinesi come le

diverse caselle di una scacchiera delle opportunità: diversi membri della famiglia

possono insediarsi temporaneamente ognuno in una casella diversa perché questo

permette di minimizzare i rischi connessi alla migrazione stessa e di cogliere al

meglio le opportunità che si presentano13.

La mobilità dei migranti cinesi è facilitata dalle reti familiari, dai rapporti di

parentela esistenti all’interno del sempre più vasto mondo della diaspora cinese in

Europa. Questo però non significa che tutti i cinesi vadano spostandosi da un paese

europeo all’altro e che per loro non abbiano peso le differenze linguistiche,

economiche e culturali che ancora sussistono tra i diversi paesi europei. In generale,

però, questi sono visti appunto come tante caselle simili, sulle quali i migranti cinesi

si spostano con agio e frequenza, o comunque con le quali intrattengono contatti

12

Vedi: leggi sanatorie. Legge Bossi-Fini, 30.07.2002, n.189 Dichiarazione di emersione lavoro irregolare per i cittadini non comunitari ex art. 33 legge 30 luglio 2002 n. 189. Nella legge di modifica delle norme in materia di immigrazione e di asilo, approvata dal Parlamento l’11 luglio 2002 e promulgata dal Presidente della Repubblica lo scorso 30 luglio, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 26 Agosto n.199, Supplemento ordinario n.173/L, è prevista la regolarizzazione dei cittadini stranieri irregolarmente impiegati in attività di assistenza familiare o di collaborazione domestica. Il Governo, con l’ordine del giorno n.9/2454/33 dell’11 luglio 2002, si è impegnato, inoltre, a varare un provvedimento, che dovrebbe entrare in vigore contestualmente alla Legge “Bossi-Fini”, permettendo ai datori di lavoro la regolarizzazione dei cittadini stranieri adibiti alle altre attività di lavoro subordinato, diverse dalle categorie lavorative sopracitate. 13

Ceccagno, Migranti a Prato, p.16.

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frequenti, sebbene siano insediati in uno specifico paese. Questo perché i cinesi

sono migranti economici, e quindi percepiscono l’Europa come un unico grande

centro di opportunità14. Non sono allora le politiche migratorie in senso stretto ad

influenzare i loro spostamenti da un paese all’altro, sebbene possano avere una

certa influenza. A determinare realmente la scelta delle destinazioni sono i mercati

del lavoro e dei capitali dei diversi contesti nazionali. Dunque un paese che

garantisce i lavoratori stabili (quindi fissi, e che riduce perciò la libertà di

spostamento dei lavoratori) e mal tollera quelli ad alta flessibilità non sembra

sufficientemente attraente per i nuovi migranti economici, che non vedono in esso

possibilità di ascesa economica rapida basata sull’auto-sfruttamento15. Questo è

uno dei motivi per cui i nuovi migranti cinesi preferiscono paesi dell’Europa

meridionale rispetto a quelli dell’Europa del nord, caratterizzati da un mercato più

rigido.

I.2 I cinesi in Italia

Prima degli anni ’80 esisteva in Italia una comunità cinese insediata in alcune città

del nostro paese - Milano, Bologna, Firenze, Roma -, ma questa comunità era

contenuta nel numero, scarsamente visibile e soprattutto priva di un ricambio

significativo e quindi dotata di scarse possibilità di crescita e di espansione. Dagli

anni ’80 in poi, come abbiamo visto, l’Europa e l’Italia sono diventate aree di

approdo di ondate crescenti di cinesi, e da allora gli arrivi sono continuati

ininterrotti. Secondo il Dossier Statistico Immigrazione Caritas nell’anno 2001

14

Ceccagno, Migranti a Prato, p.17. 15

ibidem, p. 16.

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c’erano meno di 60.000 cinesi adulti in Italia, senza contare i minori16 per un totale

allora di quasi 69.000 legalmente presenti in Italia. Oggi si parla di più di 170.00017

presenze in Italia ma si tratta sicuramente di un numero approssimato per difetto.

I.3 I cinesi a Prato

Prato, città Toscana che ad oggi conta circa 187.00018 abitanti (la provincia ne conta

245.750), è una delle mete preferite dai migranti cinesi che provengono dalla città

di Wenzhou, proprio per la sua caratteristica di essere un distretto tessile dinamico,

caratterizzato da una forte tendenza all’imprenditorialità, e nel quale i cinesi

intravedono occasioni di mobilità sociale. Prato è stata e continua ad essere meta di

flussi migratori consistenti che stanno profondamente incidendo sul tessuto sociale

ed economico della città. Certamente sono state le opportunità e le necessità del

tessuto produttivo locale ad attirare un gran numero di lavoratori stranieri: il

distretto pratese ne ha assorbita una rilevante percentuale in qualità di lavoratori

dipendenti nelle imprese tessili locali, ma soprattutto ha visto lo sviluppo di un gran

numero di piccole imprese di confezioni e maglieria gestite da immigrati provenienti

dalla Repubblica Popolare Cinese ed in particolare dalle province dello Zhejiang e

del Fujuan. Oggi queste imprese sono più di 150019.

L’impatto dei massicci flussi migratori negli ultimi anni si è fatto sempre

maggiore e diffuso a partire dagli anni 1998 e 1999, in seguito all’approvazione delle

16

Ai minori in Italia di solito non viene rilasciato un permesso di soggiorno ma sono perlopiù inclusi nel permesso di soggiorno dei genitori. 17

Indice ISTAT: La popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2009. 18

Fonte: documentario a cura del prof. Luongo e del prof. Surong, Lanterne Rosse: viaggio nell’intercultura. 19

Indice ISTAT 2009.

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nuove norme sull’immigrazione20. Inoltre, un’altra delle occasioni di crescita in poco

tempo, è la pratica dei ricongiungimenti familiari, sempre più frequente, poiché

dopo che gli adulti sono arrivati in Italia (in questo caso a Prato) ed hanno trovato

un lavoro, il passo successivo è quello di far giungere in Italia anche i figli.

Oggi a Prato ci sono circa 10.000 presenze cinesi a fronte delle 4.297 albanesi,

delle 2.096 rumene, delle 1.652 pakistane, delle 1.418 marocchine e di altre

minoranze meno significative che vedono nigeriani, polacchi, ucraini e filippini tra i

più numerosi21.

SECONDO CAPITOLO

II. LA SCUOLA COME PRIMO PASSO VERSO L’INTEGRAZIONE

I cinesi oggi rappresentano il 54% della popolazione scolastica di immigrazione di

Prato22.

La presenza di ragazzi cinesi nelle scuole italiane è cominciata circa 30 anni fa,

quando negli anni ottanta cominciarono ad arrivare i primi migranti dagli occhi a

mandorla. L’impatto di questi ragazzi nelle scuole italiane non fu facile. Le scuole,

come d’altronde anche tutto il resto della società, non erano preparate a

fronteggiare quella che da una presenza quasi insignificante si è trasformata in una

realtà consistente e concreta che scuoteva tutti i precedenti assetti, tutte quelle che

20

Ceccagno, Migranti a Prato, p. 51. 21

Fonte: Anagrafe del Comune di Prato. Elaborazione: Banca Dati Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione del Comune di Prato. 22

Ceccagno, Migranti a Prato, p. 46. Fonte: Scuole superiori del Comune di Prato Elaborazione: Banca Dati Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione del Comune di Prato.

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si ritenevano acquisizioni stabili e funzionanti, in breve, che costringeva

improvvisamente a rimettersi in gioco.

Parlando di dover rivedere i metodi fino ad allora considerati validi per

l’insegnamento (a questo punto concentrandoci sulla realtà scolastica), gli

insegnanti e i professori sono senza dubbio l’esempio più concreto di come questo

cambiamento e successivo rimodellamento sulla base di soggetti diversi con cui

relazionarsi, abbia dovuto davvero realizzarsi in tempi brevi, per non dire rapidissimi.

Proprio perché la questione non aveva potuto essere stata prima analizzata, in

quanto era venuta a mancare la prima fase del processo di risoluzione dei problemi

basato su: analisi del fenomeno; sperimentazione delle possibili spiegazioni e

soluzioni; sintesi e conseguente risoluzione del problema in base ai dati analizzati e

alle sperimentazioni fatte.

Nel caso dell’arrivo di studenti immigrati nelle scuole, si era passati, con un

balzo, direttamente alla seconda fase, cioè alla sperimentazione di quali potevano

essere le varie soluzioni in rapporto alla questione presente, ma, mancando di fatto

l’analisi iniziale del problema, gli addetti alla risoluzione (che erano le persone che

dovevano forzatamente affrontare tale problema poiché entravano in contatto con

esso, insegnanti e professori in primis) si sono ritrovati a ricoprire un ruolo che non

avevano scelto disponendo di scarsi mezzi per trovare le soluzioni adatte.

Perché se non erano preparate le frontiere, se non erano preparati i vertici

politici, se non erano preparate le forze dell’ordine, tantomeno potevano esserlo le

scuole o gli insegnanti. Chiamiamo qui questi soggetti quindi pionieri

dell’insegnamento agli stranieri, pionieri di un metodo che allora non esisteva.

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Testimonianze citano senza nulla nascondere che i primi insegnanti “andavano a

caso”, procedevano per tentativi su questo terreno sconosciuto e finora inesplorato.

Nel 1989 comparve nella nostra scuola media il primo alunno cinese.

Eravamo tutti un po’ incuriositi da questa presenza e lo vedevamo

spesso nella sala professori, dove passava un bel po’ di ore

settimanali con un’insegnante di lettere in sopranumero 23 . La

professoressa tentava di insegnargli l’Italiano, senza farsi prendere

dall’ansia per quello che stava facendo per la prima volta nella sua

carriera. Il ragazzino, di cui non ricordo il nome, si prendeva tutti i

complimenti delle insegnanti che transitavano nella stanza. (…) Era

simpatico e guardava tutti con curiosità sorridendo ad ogni segno di

attenzione nei suoi confronti, rispondendo per decine di volte ogni

giorno a chi gli chiedeva scandendo le sillabe “Co-me ti chia-mi?”.

Anche la sua insegnante si sentiva gratificata dall’attenzione dei

colleghi per il suo alunno e un po’ anche per lei, che però esibiva il

suo smarrimento nel comunicare con il bambino: lei sapeva

insegnare l’italiano a chi già parlava italiano, per insegnare ad un

cinese bisognava almeno sapere il cinese24.

Nonostante quindi l’entusiasmo iniziale dei professori, e in questo caso della

professoressa della scuola media di Via del Seminario a Prato citata nel libro della

Ceccagno, le difficoltà si manifestano subito in tutta la loro semplice verità: la

23

Un insegnante con incarico a tempo indeterminato, che con la riduzione di posti, aveva perso la cattedra e veniva utilizzata nella scuola con incarichi diversi. 24

Testimonianza tratta da: Antonella Ceccagno, Migranti a Prato, pp. 137-138.

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professoressa sa insegnare l’italiano a chi già conosce la lingua italiana, e non è

dunque preparata per insegnare la lingua italiana ad un bambino di diversa

madrelingua (poiché la didattica delle lingue insegna che i due insegnamenti hanno

modalità di realizzazione completamente o almeno grandemente differenti); inoltre,

si sente la difficoltà della lingua di comunicazione diversa che non permette dialogo

e, soprattutto, non permette il chiarimento di eventuali incomprensioni o la

spiegazione delle più semplici regole. Due, quindi, gli ostacoli che da subito si

pongono: la mancanza di preparazione per insegnare l’italiano non a studenti

madrelingua ma ad alunni che lo imparano come Lingua Seconda (L2) 25 e

l’innegabile distanza che la diversa madrelingua e le diverse culture, la diversa

prossemica, la diversa cinesica, la diversa vestemica immediatamente pongono.

In quel lontano 198926 i cinesi residenti a Prato erano 38, per passare ai 4.814

del 2003, agli 8.636 del 2005 ed arrivare infine ai 9.927 del 31 dicembre del 2008 e

ai circa 10.000 di oggi27. Cifre consistenti e, soprattutto, cifre che sono cresciute ad

un ritmo serrato. A queste cifre vanno aggiunte quelle di chi non ha il permesso di

soggiorno, quindi coloro che non risultano nei censimenti. È necessario però

sottolineare che anche per i figli degli immigrati irregolari deve essere garantito il

diritto allo studio, come da risoluzione del Parlamento Europeo n.2007/2093-IN28, e

25

Lingua Seconda: viene imparata dopo la lingua materna, nel paese d’origine della lingua L2 stessa. 26

La testimonianza del libro della Ceccagno risale al 1989. 27

Fonte: Anagrafi comunali del Comune di Prato Elaborazione: Banca Dati Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione del Comune di Prato. 28

Risoluzione 16 gennaio u.s. n. 2007/2093-IN, con la quale il Parlamento Europeo, al punto 33, ha riaffermato che “il diritto all’istruzione ed alla formazione è un diritto sociale fondamentale e invita tutti gli Stati membri e i Paesi candidati a garantire tale diritto a prescindere dall’origine sociale ed etnica e dalla situazione fisica o giuridica del bambino o dei suoi genitori.”

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19

che di conseguenza questi ultimi risultano nei dati delle scuole e del Ministero della

Pubblica Istruzione.

Le fonti che il Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione ci mette a

disposizione arrivano fino all’anno 2005 ma, nonostante siano datate, possono

contribuire senz’altro a dare un’idea delle dimensioni che il processo migratorio ha

assunto nel comune di Prato.

II.1 I residenti stranieri e cinesi nel comune di Prato

Residenti cinesi per anno di immigrazione

Dati al 31/12/200529

Anno V.A. V.%

1973 2 0,02

1978 1 0,01

1984 2 0,02

1988 1 0,01

1989 9 0,10

1990 154 1,78

1991 111 1,29

1992 82 0,95

1993 58 0,67

1994 32 0,37

1995 39 0,45

1996 182 2,11

1997 327 3,79

1998 241 2,79

1999 249 2,88

2000 330 3,82

2001 506 5,86

2002 633 7,33

2003 1.172 13,57

2004 1.494 17,30

2005 1.832 21,21

a Prato dalla nascita 1.123 13,00

Dato mancante 56 0,65

Totale 8.636 100,00

29

Fonte: Anagrafe comunale di Prato Elaborazione: Banca Dati Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione del Comune di Prato.

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20

30

30

Fonte: Anagrafe comunale di Prato Elaborazione: Banca Dati Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione.

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21

Popolazione straniera residente nel Comune di Prato

per principali cittadinanze - Anni 2001-200531

Anno Cinesi Alban. Maroc. Pakist. Rumeni Altri Totale

V.A. V.A. V.A. V.A. V.A. V.A. V.A.

2001 4.806 1.766 709 622 172 2.452 10.527

2002 5.335 2.115 797 814 237 2.717 12.015

2003 5.457 2.497 852 927 421 2.973 13.127

2004 6.831 3.111 981 1.236 666 3.574 16.399

2005 8.636 3.560 1.177 1.533 869 4.013 19.788

31

Fonte: Anagrafe comunale di Prato Elaborazione: Banca Dati Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione. 32

Fonte: Anagrafe comunale di Prato Elaborazione: Banca Dati Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione.

Popolazione italiana e straniera residente nel comune di Prato

Anni 1990 - 200532

Anno Stranieri Tasso Italiani Tasso Totale Tasso %Str/

inc/dec inc/dec residenti inc/dec Res.

1990 1.314 - 165.374 - 166.688 - 0,79

1991 1.949 48,33 165.260 -0,07 167.209 0,31 1,17

1992 2.252 15,55 165.328 0,04 167.580 0,22 1,34

1993 2.534 12,52 165.214 -0,07 167.748 0,10 1,51

1994 2.762 9,00 165.281 0,04 168.043 0,18 1,64

1995 3.019 9,30 164.972 -0,19 167.991 -0,03 1,80

1996 3.767 24,78 165.125 0,09 168.892 0,54 2,23

1997 4.865 29,15 165.062 -0,04 169.927 0,61 2,86

1998 6.175 26,93 164.960 -0,06 171.135 0,71 3,61

1999 7.424 20,23 165.049 0,05 172.473 0,78 4,30

2000 9.213 24,10 165.300 0,15 174.513 1,18 5,28

2001 10.527 14,26 165.496 0,12 176.023 0,87 5,98

2002 12.015 14,14 165.628 0,08 177.643 0,92 6,76

2003 13.127 9,26 164.896 -0,44 178.023 0,21 7,37

2004 16.399 24,93 164.275 -0,38 180.674 1,49 9,08

2005 19.788 20,67 164.035 -0,15 183.823 1,74 10,76

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22

II.2 Gli alunni stranieri nelle scuole

Scuole materne:

Scuole elementari:

Alunni stranieri nelle scuole

elementari del comune di Prato

Anno scolastico 2005/06

Dati al 30 settembre 2005

Distribuzione per cittadinanza

Cittadinanza V.A. V.%

Cina 481 43,81

Albania 261 23,77

Marocco 86 7,83

Romania 59 5,37

Pakistan 45 4,10

Bangladesh 27 2,46

Tunisia 15 1,37

Sri-lanka 13 1,18

Ex jugoslavia 10 0,91

Nigeria 10 0,91

Altri paesi 91 8,29

Totale 1.098 100,00

33

Entrambe le tabelle hanno come fonte l’Anagrafe del Comune di Prato e sono state elaborate dalla Banca Dati del Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione del Comune di Prato.

Alunni stranieri nelle scuole

materne del comune di Prato33

Anno scolastico 2005/06

Dati al 30 settembre 2005

Distribuzione per cittadinanza

Cittadinanza V.A. V.%

Cina 185 32,12

Albania 176 30,56

Marocco 52 9,03

Romania 21 3,65

Bangladesh 19 3,30

Pakistan 17 2,95

Nigeria 15 2,60

India 12 2,08

Tunisia 11 1,91

Egitto 6 1,04

Costa d'Avorio 6 1,04

Filippine 6 1,04

Altri paesi 50 8,68

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23

Scuole medie:

Scuole superiori:

Alunni stranieri nelle scuole

superiori del comune di Prato

Anno scolastico 2005/06

Dati al 30 settembre 2005

Distribuzione per cittadinanza

Cittadinanza V.A. V.%

Cina 269 44,68

Albania 153 25,42

Romania 35 5,81

Marocco 32 5,32

Pakistan 22 3,65

Perù 12 1,99

Costa d'Avorio 11 1,83

Filippine 6 1,00

Francia 5 0,83

Bangladesh 3 0,50

Altri paesi 54 8,97

Totale 602 100,00

34

Entrambe le tabelle hanno come fonte l’Anagrafe del Comune di Prato e sono state elaborate dalla Banca Dati del Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione del Comune di Prato.

Alunni stranieri nelle scuole

medie del comune di Prato34

Anno scolastico 2005/06

Dati al 30 settembre 2005

Distribuzione per cittadinanza

Cittadinanza V.A. V.%

Cina 413 54,56

Albania 140 18,49

Marocco 46 6,08

Pakistan 36 4,76

Romania 30 3,96

Ex jugoslavia 9 1,19

Bangladesh 8 1,06

Sri-lanka 8 1,06

India 5 0,66

Perù 5 0,66

Altri paesi 57 7,53

Totale 757 100,00

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24

Non è quindi difficile intuire la portata che tale fenomeno possa aver avuto

sulla città di Prato nella sua interezza, ma soprattutto sulla scuola, dove ha assunto

una rilevanza tale da porre problemi tutt’altro che marginali, come accennato

precedentemente, nella didattica (necessità di rivedere metodologie e contenuti),

nelle modalità di relazione e in aspetti importanti dell’organizzazione scolastica.

È un fatto però che fin dai primi anni dell’immigrazione, il Ministero della

Pubblica Istruzione (oggi Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca) ha

dedicato attenzione ed energie nel tentativo di elaborare normative che potessero

rispondere ai nuovi bisogni che si erano venuti a creare nel campo dell’istruzione

scolastica35. Non c’è dubbio che fin dalle prime avvisaglie di un cambiamento

emergente, il Ministero si sia impegnato con successo nel guidare i tentativi,

nell’indirizzare verso il giusto percorso da seguire tutto il personale scolastico,

riuscendo così a dare indicazioni corrette su come agire in rapporto al nuovo

fenomeno. Non va neppure tralasciato il fatto che, realizzando quasi in tempo reale

(contemporaneamente al manifestarsi del fenomeno in questione) tali linee guida, il

Ministero abbia evitato che gli interventi nelle varie parti d’Italia prendessero strade

diverse e che quindi si arrivasse ad una mancanza di omogeneità nelle modalità di

azione scolastiche. Il che, sinceramente, non è da poco.

Gli indirizzi del Ministero sono coerenti con un modello educativo che

valorizza le differenze e le assume come occasione di arricchimento nella

35

Ceccagno, Migranti a Prato, p. 138.

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25

costruzione di una società multietnica fondata sui principi della solidarietà, della

cooperazione e della pace36.

Eppure ancora oggi nella maggior parte degli istituti scolastici si vive la

presenza di alunni immigrati con la stessa ansia e rassegnazione all’impotenza di

quel lontano 1989. E nonostante i progressi, che comunque ci sono stati e sono

sempre più mirati, nessuno si sorprende se di fronte a questa situazione tanti

insegnanti, pur coscienti dell’emergenza, rispondono con una stretta di spalle e un

“Noi facciamo del nostro meglio, ma…”37.

I puntini di sospensione dopo quel ‘ma’ sono la risposta forse più adeguata e

indicativa della situazione appunto ‘in sospeso’, in essi è racchiusa la risposta a un

interrogativo come questo, ancora oggi irrisolto.

II.3 La Normativa

Nella normativa scolastica il riferimento alla presenza di alunni immigrati nella

scuola italiana è già presente nei Nuovi programmi didattici della scuola primaria

approvati nel 1985 ed entrati in vigore nell’anno scolastico 1987/8838.

Il richiamo dei programmi è al rispetto delle differenze, alla “consapevolezza

delle varie forme di ‘diversità e di emarginazione’ allo scopo di prevenire e

contrastare la formazione di stereotipi e pregiudizi nei confronti di persone e

culture”.39

36

Ceccagno, Migranti a Prato, p. 138. 37

Tratto da: Antonella Ceccagno, Migranti a Prato, p. 138. 38

Ceccagno, Migranti a Prato, p. 138. 39

D.P.R. n.104, 12 febbraio 1985.

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26

Si avverte subito il collegamento con l’art. 3 e l’art. 34 della Costituzione che

citano rispettivamente:

Art. 340:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla

legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di

opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine

economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza

dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e

l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione

politica, economica e sociale del Paese.

Art. 3441:

La scuola è aperta a tutti.

L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria

e gratuita.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di

raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio,

assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere

attribuite per concorso.

40

L’art.3 rientra nei “Principi Fondamentali” della Costituzione Italiana. 41

L’art.34, Parte Prima, diritti e doveri dei cittadini, Titolo II: Rapporti etico-sociali.

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27

È altrettanto interessante notare come già nel lontano 1977 una direttiva

della CEE42 avesse introdotto il principio dell’integrazione e del rispetto delle culture

di origine per i giovani immigrati inseriti nelle scuole europee, superando concetti

quali la separatezza e l’assimilazione con i quali si era tentato di risolvere fino ad

allora la scolarizzazione degli alunni non autoctoni nei paesi europei, che già nel

secondo dopoguerra stavano conoscendo una massiccia immigrazione.

La Direttiva è rivolta alle persone soggette all’obbligo scolastico a carico dei

lavoratori di un altro Stato membro, che risiedono nel territorio dello Stato membro

(Art. 1). I destinatari sono gli Stati membri. Tra le argomentazioni salienti della

Direttiva citiamo:

L’Art. 2:

Conformemente alle loro situazioni nazionali ed ai loro ordinamenti giuridici,

gli Stati membri prendono le misure appropriate perché sia offerta nel loro territorio,

a favore delle persone di cui all’articolo 1, un’istruzione d’accoglienza gratuita che

comporti in particolare l’insegnamento adattato alle esigenze specifiche di queste

persone della lingua o di una delle lingue ufficiali dello Stato ospitante. Gli stati

membri prendono le misure necessarie per la formazione iniziale e continua degli

insegnanti che impartiscono questo insegnamento.

L’Art. 3:

Gli Stati membri prendono, conformemente alle loro situazioni nazionali ed ai

loro ordinamenti giuridici e in cooperazione con gli Stati d’origine, le misure

appropriate al fine di promuovere, coordinandolo con l’insegnamento normale, un

42

Direttiva del Consiglio 77/486/CEE, 25 luglio 1977

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28

insegnamento della madrelingua e della cultura del paese d’origine a favore delle

persone di cui all’articolo 1.

Si può notare quindi come l’accento fosse posto oltre che sulla formazione

adeguata degli insegnanti coinvolti nel progetto, anche e soprattutto sul

mantenimento della cultura e della lingua di origine, attenzione che ha il diretto

effetto di valorizzare tali componenti culturali dei ragazzi stranieri. Va invece notato

come di fatto tale attenzione fino ad oggi non si sia manifestata, almeno in Italia,

nonostante la normativa risalga a 32 anni fa.

Proseguendo sulla strada delle normative troviamo la Legge 943 del 1986 e

più tardi la Legge 40 del 1998 che all’art. 36 dichiara:

1. I minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo

scolastico; ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto

all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della

comunità scolastica.

2. L’effettività del diritto allo studio è garantita dallo Stato, dalle regioni

e dagli enti locali anche mediante l’attivazione di appositi corsi ed iniziative per

l’apprendimento della lingua italiana.

3. La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali

come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le

culture e della tolleranza; a tal fine promuove e favorisce iniziative volte

all’accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine e alla realizzazione di

attività interculturali comuni.

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29

4. Le iniziative e le attività di cui al comma 3 sono realizzate sulla base di

una rilevazione dei bisogni locali e di una programmazione territoriale integrata,

anche in convenzione con le associazioni degli stranieri, con le rappresentanze

diplomatiche e consolari dei Paesi di appartenenza e con le organizzazioni di

volontariato.

Emerge quindi come anche in questo caso l’attenzione si concentri sulla

valorizzazione delle diverse culture d’origine e sulla tutela di queste ultime. In ogni

caso l’elemento prevalente delle varie direttive e/o leggi è che l’inserimento nella

scuola di alunni di diversa provenienza e di diverso patrimonio linguistico e culturale

sia visto come un’opportunità di crescita e di integrazione. E un ruolo fondamentale,

in questo processo di integrazione, è riconosciuto, neanche troppo tra le righe,

all’istruzione come mezzo, come strumento, come quell’aiuto in più che permette la

realizzazione concreta di questo progetto. Allo stesso tempo non si parla di alunni

visti come numeri, ma sempre più riconosciuti come singole individualità, ognuna

con le sue caratteristiche.

Certamente, in un’operazione così complessa quale quella che ci viene qui

proposta e presentata, sarebbe utopico pensare che le istituzioni scolastiche

possano da sole far fronte a tale progetto, e risulta quindi indispensabile che si

tenga conto anche delle realtà territoriali nelle quali gli alunni sono inseriti, poiché

la scuola non può essere isolata dal mondo esterno, altrimenti ci troveremmo di

fronte ad un metodo falsato, che realizza un’integrazione nelle scuole, ma che poi

non si preoccupa di come essa avviene effettivamente all’esterno, nel mondo

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30

reale43 . Ecco quindi che gli enti locali, le associazioni, le organizzazioni non

governative e tutti quelli che possono essere considerati organi facenti parte del

territorio in cui la scuola è inserita, devono concorrere nella realizzazione di tale

progetto, poiché la scuola svolge sicuramente un ruolo fondamentale in questo

campo, ma non risolutivo.

II.4 L’allarme rosso44

La prima reazione all’arrivo di immigrati in un paese di accoglienza abbastanza

indietro dal punto di vista dell’integrazione quale possiamo definire senza esagerare

l’Italia, è stato ed è tuttora generalmente percepito come un ‘allarme rosso’, un

evento che, quasi fosse una catastrofe, colpisce negativamente tutti quanti, scuole,

famiglie, datori di lavoro, forze dell’ordine. Nelle scuole stesse l’arrivo

dell’immigrato, del diverso, non è stato sempre visto da subito come

un’opportunità, quale l’attuale normativa lo definisce, ma ha anzi generato non

poche ansie e divergenze tra gli operatori scolastici (insegnanti e presidi delle scuole

in primis), che volenti o nolenti, erano i primi a doversi confrontare con questo

fenomeno. Se soggetti non propriamente favorevoli all’arrivo e all’integrazione di

immigrati potevano forse inizialmente evitare i contatti con questi ultimi, nelle

scuole tale fuga non era possibile. Gli insegnanti erano chiamati fin da subito a far

fronte alla questione.

43

Ceccagno, Migranti a Prato, p. 140. 44

Espressione ripresa dal libro: Antonella Ceccagno, Migranti a Prato.

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La testimonianza di una professoressa45, che ha avuto a che fare con tale

questione, come una dei cosiddetti pionieri dell’insegnamento agli alunni stranieri,

è significativa in questo senso.

La professoressa ha fatto parte dei primi gruppi di docenti che si ingegnavano

per rispondere ai bisogni dei ragazzi stranieri che frequentavano gli istituti scolastici

italiani nei primi anni ‘80, agendo per tentativi.

L’insegnante racconta di come all’epoca non esistevano ancora testi per

l’insegnamento dell’italiano per gli stranieri, oggi presenti in numero sempre più

consistente. Si procedeva sulla base di fotocopie, sulla scia di questa volontà di

iniziativa di pochi che, non retribuiti e molto spesso abbandonati alle sole proprie

capacità, si davano da fare come potevano.

Questa introduzione è utile per spiegare la frase significativa della

professoressa, che raccontando dell’epoca dice senza troppi peli sulla lingua: “Non

stavamo simpatici a tutti, anzi, molti non ci vedevano di buon occhio, ci evitavano

quasi, oppure sollevavano polemiche nel momento in cui prelevavamo gli alunni

stranieri dalle classi per portarli a seguire il corso di alfabetizzazione di lingua

italiana, organizzato peraltro da noi, poiché ritenevano che fosse tutto inutile, uno

spreco di tempo e soprattutto creasse confusione nelle classi da cui gli alunni

venivano prelevati, poiché disturbavano il regolare svolgimento delle lezioni”.

Ancora, un’ insegnante citata nel libro della Ceccagno46 racconta:

Non so se nel 1997 o nel 1998, quando ero preside in una scuola

media di Prato, intorno alle vacanze di Natale ricevetti una

45

Intervista rilasciata il 5.11.2009. 46

Antonella Ceccagno, Migranti a Prato, pp. 140-141.

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telefonata di un funzionario della Pubblica Istruzione del Comune di

Prato, un amico davvero impegnato nel diritto allo studio e nella

tutela dei minori.

Stava chiamando tutti i capi di istituto per avvertire che erano in

arrivo una quantità imprecisata di adolescenti immigrati per effetto

dei ricongiungimenti familiari. Il tono della conversazione, almeno io

così lo percepii, fu quello dell’allarme rosso per un evento prossimo

che avrebbe colpito tutte le scuole di Prato. Di fatto mi invitava a

prendere tutte le misure necessarie per affrontare la situazione che

stava per crearsi. Lo ringraziai per l’avvertimento e, dopo aver

riagganciato il telefono, mi chiesi: “Ma io che posso fare?”. *…+

Le risorse della scuola erano praticamente inesistenti. Con qualche

briciola del “Fondo dell’istituzione scolastica” (all’epoca “fondo

incentivante”) avevo convinto un’insegnante di lettere a fare qualche

ora di laboratorio di alfabetizzazione ma, nonostante l’impegno

dell’insegnante, erano comunque ore di scarsa efficacia perché

insufficienti.

Questa situazione è stata più o meno simile in tutti gli istituti scolastici: il

sentore dell’allarme rosso, e la corsa ai ripari, o per meglio dire, la corsa di coloro

che erano più “interessati” ad affrontare il problema e a trovare le possibili soluzioni.

In generale si verificò questo: insegnanti sopranumerari per le scuole più fortunate

o insegnanti di ruolo che si rendevano disponibili per fare delle ore in più

cominciarono a istituire questi corsi di alfabetizzazione per ragazzi stranieri.

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33

Improvvisamente questi docenti si sono ritrovati a dover riprendere in mano i

propri quaderni delle elementari per avere dei materiali da cui prendere spunto nel

percorso di alfabetizzazione, senza comunque trovarne di adatti, poiché, non si

trattava dell’alfabetizzazione di ragazzi di madrelingua italiana, ma di italiano come

L247. Non furono dati loro apporti teorici, né occasioni di formazione. Erano

autodidatti. Senza dubbio, se questi laboratori di lingua italiana hanno funzionato in

mezzo a mille difficoltà, lo si deve alla personale coscienza professionale e alla

motivazione degli insegnanti coinvolti. Il numero delle ore era spesso inadeguato e

dovevano svolgere il loro lavoro mettendo in conto l’eterogeneità, per età, per

livello di partenza degli alunni, e soprattutto per la diversa provenienza e la diversa

madrelingua.

La già citata professoressa del libro della Ceccagno48 racconta di un episodio49

in cui, incontrando una ragazzina cinese in giro per la scuola le chiese: “Che fai?” e

alla risposta della ragazzina “Sono impiegato di banca” capì che forse nel corso di

italiano si era tralasciato di verificare che i ragazzi capissero veramente il significato

di quello che leggevano e studiavano, limitandosi ad imparare i dialoghi del libro di

testo a memoria.

Si cominciò ad avvertire perciò il bisogno di un insegnante di lingua cinese che

sapesse anche l’italiano. L’idea che per insegnare l’italiano agli stranieri fosse

sufficiente essere madrelingua stava svanendo dopo aver dimostrato nei fatti le sue

contraddizioni.

47

L2: Lingua Seconda, lingua imparata dopo la lingua materna, nel paese d’origine della lingua L2 stessa. 48

Vedi nota n. 35. 49

Ceccagno, Migranti a Prato, p. 142.

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34

In quegli anni inoltre, stavano nascendo i primi laboratori di intercultura

organizzati dagli operatori del COSPE50, che il comune di Prato offriva in “pacchetti”

alle scuole. Si trattava di interventi appropriati ed efficaci per sviluppare nei ragazzi

il gusto per il lavoro di gruppo in attività per lo più creative.

Se però osserviamo le tempistiche della normativa, già presente con largo

anticipo rispetto al periodo di cui stiamo parlando, e i risultati, l’applicazione, la

messa in pratica dei metodi e delle direttive suggerite, non si può fare a meno di

notare l’incredibile divario non solo nel ritardo con cui si è agito praticamente, ma

anche nelle modalità con cui si è affrontato il problema, in quanto deliberatamente

affidate esclusivamente alla coscienza, alla professionalità e alla serietà dei rispettivi

insegnanti, e affatto organizzate. Indubbiamente la mancanza di preparazione del

personale docente ha contribuito non poco allo scarso successo del progetto,

poiché non si può trascurare la priorità che nella realizzazione di un progetto in una

scuola, assume la formazione degli insegnanti, il loro coinvolgimento

nell’esplicitazione delle motivazioni e la loro condivisione del modello riformatore.

D’altronde non sarà necessario ricordare che il ruolo dell’insegnante è primario fra

tutti gli altri per coscienziosità e personale senso della responsabilità. E questo

purtroppo consente che ci sia un’adesione solo formale ad ogni tipo di

rinnovamento, nella didattica come nell’organizzazione scolastica, a chi non intende

confrontare la professionalità acquisita e il valore dell’esperienza con i nuovi bisogni

formativi emergenti51 . Difficile dire quanto rimanga ai docenti delle Circolari

Ministeriali che dal 1986 con cadenza quasi annuale giungono agli istituti scolastici

50

Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti. 51

Ceccagno, Migranti a Prato, p. 151.

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fornendo un quadro di riferimento normativo in materia di immigrazione; anche in

questo caso la risposta positiva o la crescita personale e metodica del docente si

basano esclusivamente sulla professionalità di quest’ultimo e sull’interesse

individuale.

II.5 La formazione degli insegnanti

Certamente gli orientamenti per un modello di scuola interculturale avrebbero

richiesto un impegno straordinario nella formazione degli insegnanti, sostenuto da

adeguati finanziamenti, che sono stati invece assai limitati. La costruzione di

laboratori di Italiano L2 presupponeva la presenza di insegnanti specializzati in

questa disciplina, che avessero quindi già acquisito le capacità necessarie per

portare avanti tale progetto. Di fatto però l’inadeguatezza delle risorse messe a

disposizione delle scuole dal Ministero ha vanificato e vanifica, almeno in parte,

l’impostazione innovativa che le direttive ministeriali danno al problema

dell’immigrazione nella scuola e accentua il divario che esiste tra l’enunciazione

teorica e la realtà in cui gli operatori scolastici si trovano ad agire.

Nella normativa inoltre si nota come gli enti locali siano chiamati in causa e sia

affidato loro un ruolo non secondario nel processo di integrazione. A Prato

l’Assessorato alla Pubblica Istruzione e alla Sicurezza Sociale, tramite il Centro

Ricerche e Servizi per l’Immigrazione, interviene nelle scuole dal 1994 per favorire

l’integrazione degli alunni immigrati nel rispetto del diritto all’istruzione.

Finalizzare all’alfabetizzazione la quasi totalità delle risorse destinate alla

scuola è stata una scelta di priorità determinata dalla crescita costante della

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presenza di alunni immigrati nelle scuole di Prato e dall’inadeguatezza delle risorse

a disposizione dei singoli istituti52. I dati forniti dal Centro Ricerche e Servizi per

l’Immigrazione evidenziano un ritmo di crescita e una percentuale di presenze di

alunni immigrati dalla Cina nella scuola che colloca Prato al primo posto in Italia.

A Prato, ormai da qualche anno, le classi in cui il numero degli studenti

stranieri supera il numero degli italiani non sono più casi isolati. È importante

notare anche come spesso i ragazzi stranieri tendano a concentrarsi in determinate

scuole dove quindi maggiormente si verificano queste situazioni. Ad esempio, a

Prato è il caso della scuola elementare “Cesare Guasti”, della scuola media “Ser

Lapo Mazzei” e della scuola superiore “Francesco Datini”. Sicuramente la

distribuzione ineguale degli studenti stranieri sul territorio riscontra motivazioni di

carattere pratico (spesso si tratta delle scuole più vicine alle aree che registrano la

più alta densità di abitanti stranieri, nel nostro caso Via Pistoiese); è però

importante constatare come talvolta si tratti anche di una certa volontà di

contenimento del fenomeno che si verifica in alcune scuole, cosa che porta alla

divisione tra scuole in cui la presenza di alunni stranieri riesce a rimanere comunque

bassa nonostante i flussi in arrivo, cosicché i genitori autoctoni si sentono più

tutelati sull’educazione che i loro figli riceveranno; e scuole in cui il numero dei

ragazzi stranieri cresce visibilmente di anno in anno.

52

Ceccagno, Migranti a Prato, pp. 145-146.

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37

II.6 Teoria e pratica nella scuola superiore: le difficoltà degli adolescenti

Citiamo di seguito i punti salienti della Legge n.53 del 28 marzo 2003 in cui troviamo

le ultime decisioni del governo in materia di istruzione.

La Legge “Delega al Governo per la definizione delle norme generali

sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e

formazione professionale”, sancisce che “è assicurato a tutti il diritto all’istruzione e

alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una

qualifica entro il diciottesimo anno di età”:

Il sistema educativo di istruzione e formazione si articola nella scuola

dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la

scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che

comprende il sistema dei licei ed il sistema dell’istruzione e della

formazione professionale. *…+ Il secondo ciclo, finalizzato alla crescita

educativa, culturale e professionale dei giovani attraverso il sapere, il

fare e l’agire, e la riflessione critica su di essi, è finalizzato a

sviluppare l’autonoma capacità di giudizio e l’esercizio della

responsabilità personale e sociale; in tale ambito, viene anche curato

lo sviluppo delle conoscenze relative all’uso delle nuove tecnologie; il

secondo ciclo è costituito dal sistema dei licei e dal sistema

dell’istruzione e della formazione professionale.

La legge si richiama all’art.34 della Costituzione che recita: “L’istruzione

inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita per tutti.”.

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Per i ragazzi immigrati questa non è cosa di poco conto, ed è interessante

notare come il numero di studenti stranieri che si iscrivono alle scuole superiori sia

in notevole aumento, anche se non sempre i risultati finali sono poi un effettivo

successo. Parlando di scuole superiori infatti, si deve tenere conto delle difficoltà a

cui vanno incontro i ragazzi immigrati, non paragonabili a quelle che devono

affrontare i ragazzi che arrivano in età da scuola media oppure da scuola

elementare. Si tratta di ragazzi già cresciuti, con un’identità già abbastanza formata

e con una personalità ben precisa.

Il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’Immigrazione e

le norme sulla condizione dello straniero53 inoltre, stabilirebbe che i minori stranieri

soggetti all’obbligo scolastico debbano essere inseriti nella classe corrispondente

alla loro età anagrafica. Nei fatti, però, i ragazzi immigrati che arrivano in età da

scuola superiore vengono inseriti nella quasi totalità dei casi nelle classi prime, sia

che abbiano quattordici, quindici, sedici, diciassette o diciotto anni. Questa realtà

può essere citata come ulteriore fonte di disagio, poiché i ragazzi si trovano ad

essere trattati come ‘diversi’ fin dal primo impatto con la scuola. Sicuramente, con

tale provvedimento si ha l’intento di agevolarli poiché facendoli partire dal livello

più basso, si crede forse che possano riuscire ad apprendere meglio le basi che

invece in una classe quarta o in una quinta si danno già per scontate, ma agendo

così non si considerano né le indicazioni date dalla didattica delle lingue e da

qualsiasi altra teoria di stampo moderno in materia di interculturalità, né

tantomeno le indicazioni legislative in materia.

53

D.lsg. n. 286, 25 luglio 1998.

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La glottodidattica54 contemporanea ha il suo centro nelle teorie di Von

Humboldt, linguista del ‘700 che sosteneva la centralità dello studente nel processo

didattico, a differenza di teorie precedenti, che vedevano l’insegnante e la disciplina

come prioritari. Von Humboldt affermava che: “Non si possono insegnare le lingue,

ma si possono soltanto creare le condizioni affinché una lingua venga appresa”55. A

tale percorso di apprendimento si aggiungono le componenti personali del soggetto

apprendente che influiscono sull’acquisizione delle lingue, quali l’età, che gioca un

ruolo fondamentale soprattutto dal punto di vista fonologico piuttosto che per altri

aspetti56; l’attitudine e l’atteggiamento nei confronti della lingua, della cultura e

della comunità che utilizza la suddetta lingua; la motivazione e la personalità

dell’alunno stesso57. A questo proposito il linguista contemporaneo Stephen D.

Krashen ha elaborato una teoria nota come Second Language Acquisition Theory58

che si riferisce all’apprendimento di una seconda lingua, e non di una lingua

seconda quale è l’Italiano per i ragazzi cinesi, ma che comunque merita di essere

presa in considerazione per l’ipotesi del cosiddetto “filtro affettivo”. Krashen lo

definisce come una forma di difesa psicologica che la mente innalza quando

l’individuo ha paura di sbagliare, quando viene minata l’autostima, in presenza di

54

Didattica delle lingue. 55

Borello, Storia dei metodi per insegnare le lingue. 56

Per ulteriori chiarimenti, vedi: Borello, Storia dei metodi per insegnare le lingue. È stata confutata la teoria del “Periodo Critico” del 1967 di Lenneberg che sosteneva l’esistenza di un periodo critico (dalla nascita alla soglia della pubertà) in cui l’apprendimento linguistico sarebbe stato nel suo periodo ottimo, e oltre il quale sarebbe invece diminuita la capacità di acquisizione di una lingua da parte di un bambino. Oggi è stato dimostrato che non è la capacità a diminuire, bensì la rapidità con cui si apprende una lingua. E la teoria di Lenneberg si ritiene vera soltanto per alcuni aspetti della lingua, ad esempio per la fonologia. Poiché se il bambino non riceve input fonologici di una determinata lingua entro la primissima infanzia (2 anni), egli non sarà poi in grado di riprodurli perfettamente. 57

Borello, Storia dei metodi per insegnare le lingue. 58

Balboni, Dizionario di glottodidattica.

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situazioni psicologiche negative. In questi casi la mente innalza una barriera che

impedisce l’acquisizione (ossia l’apprendimento stabile e duraturo) di qualsiasi

stimolo esterno59.

TERZO CAPITOLO

III. UN TENTATIVO DI INTEGRAZIONE:

IL CASO DEI RAGAZZI CINESI DELL’ISTITUTO DATINI DI PRATO

“Ogni lunga marcia inizia con un primo passo”

Qīan lǐ zhī xíng zhǐ yú zú xià

千 里 之 行 始 于 足 下

(Máo Zédōng 毛 澤 東)

I ragazzi partono dunque da zero. Se non addirittura da meno uno, data la

situazione nella quale si vengono a trovare: sradicati e trapiantati in un posto nuovo

con usanze nuove, una lingua tutta nuova e persone che molto spesso non li

guardano nemmeno tanto di buon occhio. Il Datini (Istituto Professionale di Stato) è

la scuola superiore che registra il più alto numero di alunni cinesi di tutta la

provincia di Prato60. Le difficoltà di integrazione che i professori riscontrano con i

ragazzi cinesi sono uniche rispetto alla gamma di casi di ragazzi stranieri in Italia61.

59

Borello, Storia dei metodi per insegnare le lingue. 60

Vedi Appendice. 61

Intervista del 5.11.2009.

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41

È per questo che ci concentriamo su di loro, perché a ben guardare appaiono i

soggetti più a rischio. Non si tratta di bambini disponibili, non vergognosi, quasi non

osservanti del fatto che i compagni di classe parlano una lingua diversa. Nei bambini

anzi, questo spesso stimola curiosità per il compagno diverso, e sicuramente non si

riscontrano i problemi che invece tutti gli adolescenti manifestano.

E non si tratta neppure di adulti, che hanno scelto di venire in Italia. Un adulto

ha come risorsa fondamentale quella di essersi già creato un’immagine di sé, e di

riuscire a porsi nei confronti degli altri con quell’”io” che ormai si è formato appieno.

Un adolescente questo io forte, sicuro, stabile, “a prova di giudizi”, non ce l’ha.

Disagio, insoddisfazione per il proprio corpo che cambia, paura di essere giudicati

dagli altri, sono i problemi dei ragazzi di qualsiasi provenienza; poiché a quest’età

l’importanza che assume la propria immagine, e di conseguenza l’immagine che si

dà di se stessi agli altri raggiunge livelli altissimi62.

Gli adolescenti, ancora non consapevoli delle proprie potenzialità e delle

proprie debolezze, si sentono e sono di fatto totalmente vulnerabili di fronte a

possibili critiche proprio perché loro stessi vivono il proprio cambiamento come un

problema.

Spostiamoci nel mondo di un ragazzo immigrato che oltre ad avere insicurezze

adolescenziali, si trova anche in una terra straniera, dove lui è il diverso e non riesce

a comunicare. E se le difficoltà per un ragazzo italiano che deve confrontarsi con i

propri compagni sono già considerevoli e spesso sfociano nella mancanza di

autostima per il timore di essere “presi in giro”, il problema è raddoppiato per un

62

Per ulteriori informazioni vedi: Marocco, Vetturi, In tumulto. Nei moti dell’adolescenza, Bari, La Meridiana, 2009.

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ragazzo straniero. Poiché non sono più solo i connazionali possibili cause di disagio,

ma anche e soprattutto i ragazzi stranieri, o meglio per non confondere le idee, i

ragazzi italiani che a Prato in particolar modo partono da tutta una serie di

pregiudizi che gli sono forse stati inculcati oltre che dalle famiglie, dalla società in sé

per sé.

III.1 Le politiche di inclusione scolastica dell’istituto “Datini” di Prato

Se la domanda che si pone è se un’integrazione sia effettivamente possibile o meno,

la risposta oltre che difficile, è anche diversa a seconda delle varie situazioni.

La citazione iniziale dice che ogni lunga marcia comincia con un piccolo passo,

vediamo allora quali sono stati questi piccoli passi che si sono fatti al Datini, sulla

strada dell’integrazione. Perché l’integrazione trova sicuramente nella scuola il suo

primo “terreno di lavoro”.

Il professor Luciano Luongo insegna al Datini da 5 anni ed è il referente o

meglio la “funzione strumentale inerente all’inserimento e l’integrazione degli

alunni stranieri”. Precedentemente ha insegnato all’istituto superiore “Dagomari”

sempre di Prato, dove si era impegnato nella realizzazione di corsi di

alfabetizzazione di lingua italiana per studenti stranieri, all’istituto “Rodari” e alle

scuole elementari “Cesare Guasti”; in breve, sono dieci anni che si occupa degli

studenti stranieri.

Adesso, all’istituto Datini, la punta dell’iceberg e quindi la cosa più visibile a

tutti, è il corso di italiano per studenti stranieri organizzato all’interno della scuola.

In realtà di anno in anno la composizione dei ragazzi del corso si caratterizza sempre

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di più per la componente cinese. Quest’anno, per citare un esempio, su trenta

ragazzi la percentuale di alunni di nazionalità cinese è stata del 100%. Un corso di

italiano per cinesi quindi, tanto che si è ritenuto più utile l’ingaggio di un mediatore

culturale e linguistico di madrelingua cinese che sapesse anche l’italiano, nella

persona di Badeng Surong63.

Come accennato, il corso di italiano rappresenta solo una, la più visibile a chi

viene dall’esterno, delle iniziative organizzate per l’inserimento e l’integrazione dei

ragazzi stranieri del Datini. Poiché l’integrazione non può basarsi esclusivamente

sull’insegnamento della lingua, dal momento che lingua e cultura sono ormai

riconosciute come facenti parte di uno stesso insieme. Il percorso prevede

l’adesione al “Protocollo di Intesa per l’accoglienza degli alunni stranieri e per lo

sviluppo interculturale del territorio pratese”64, e si sviluppa poi su una serie di

iniziative mirate.

63

Mediatore linguistico-culturale della minoranza mongola, ma di nazionalità cinese, insegnante presso l’istituto Datini. 64

“Il Protocollo di Intesa per l’accoglienza degli alunni stranieri e per lo sviluppo interculturale del territorio pratese” riunisce per la prima volta tutti i soggetti istituzionali coinvolti nel processo di accoglienza degli alunni migranti a scuola, con l’intenzione di stabilire delle modalità di raccordo fra questi e di fornire allo stesso tempo delle risposte integrate e calibrate sulle esigenze specifiche delle singole realtà scolastiche. L'obiettivo è quello di garantire l'accesso all'istruzione agli alunni migranti e la promozione dell’educazione interculturale a livello provinciale. Tra le priorità del protocollo vi è quello di garantire il pieno rispetto del diritto all'istruzione attraverso la collaborazione tra tutti i soggetti che operano sul territorio in ambito scolastico-educativo, la progettazione integrata degli interventi nelle scuole (in modo da assicurare azioni omogenee e condivise), la ricerca di nuove strategie di inserimento e percorsi di educazione alle differenze, una migliore gestione delle risorse umane, tecnologiche e finanziarie (con la destinazione di maggiori fondi all'educazione interculturale). Il Protocollo si propone di promuovere la progettazione integrata da parte degli istituti scolastici fondata sulle seguenti azioni: - Costituzione di reti tra scuole omogenee per territorio e/o finalità per potenziare interventi condivisi - Laboratori per l'insegnamento della lingua italiana rivolti agli alunni stranieri e organizzati dalle singole istituzioni scolastiche, attraverso l'impiego di facilitatori linguistici specializzati nell'insegnamento della lingua italiana come L2.

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All’interno del Progetto Provinciale “Intercultura”, realizzato in rete con le

scuole superiori di Prato con finanziamento della Provincia, si colloca il corso di

italiano cui abbiamo accennato (Progetto “Parlo, dunque sono”), insieme con il

Progetto “Lanterne Rosse”, che prevede un gemellaggio con la città di Wenzhou. A

questo fanno seguito il Progetto “Il Serpente Bianco”, messa in scena teatrale con la

collaborazione della Provincia di Prato e il Progetto “Mosaici G2” che vede anche il

Comune coinvolto negli sforzi di integrazione delle nuove generazioni nella città di

Prato attraverso forme culturali come la scuola, il teatro e lo sport. Infine troviamo

il Progetto in collaborazione con la F.I.L.65 per l’orientamento e l’avviamento

professionale degli studenti stranieri a rischio di dispersione scolastica; il Progetto di

supporto del C.I.C. 66 per le problematiche legate all’integrazione degli alunni

stranieri; il Progetto di “Prima Accoglienza” per l’accoglienza degli alunni non

italofoni nell’istituto; il Progetto “Costituzioni” e ancora l’adesione alle iniziative del

COSPE per l’anno 2009 e la partecipazione alla manifestazione “Alter Mundi 2009”67.

Affronteremo il caso del Progetto “Parlo, dunque sono”68 come ultimo poiché

è lì che ho avuto la possibilità di svolgere tirocinio e vorrei quindi soffermarmi su di

esso, fornendo prima una breve sintesi degli altri progetti.

- Laboratori interculturali e di cittadinanza attiva, finalizzati alla conoscenza dei diritti e doveri di cittadinanza - Sostegno alla genitorialità (per mantenere un rapporto costante con le famiglie del minore straniero) - Formazione dei docenti e degli operatori degli istituti scolastici su tematiche relative all’insegnamento dell’italiano come L2 e dell’intercultura - Documentazione e percorsi di ricerca per l'innovazione scolastica - Pubblicizzazione e diffusione delle esperienze e dei materiali prodotti. 65

Formazione Innovazione Lavoro. 66

Centro Informazioni e Consulenza. 67

La descrizione dei progetti ci è stata fornita dal professor Luciano Luongo, insegnante presso l’istituto Datini. 68

Progetto di insegnamento dell’italiano agli alunni stranieri.

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PROGETTO “LANTERNE ROSSE”

Il progetto comprende:

Convenzione con l’Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e

Filosofia, per l’utilizzo di studenti universitari del corso in “Lingua e

Letteratura Cinese” a supporto dell’inserimento dei ragazzi cinesi

nell’istituto Datini.

Scambio culturale Italia-Cina, nella forma di un gemellaggio con

l’Istituto Tecnico Professionale Alberghiero di Wenzhou “Wenzhou

Hua Qiao Vocational High School”. L’accordo definitivo, siglato dalle

due parti nel maggio 2007, prevede lo scambio di docenti e insegnanti

al fine di creare una contaminazione culturale, artistica, educativa e

professionale bilaterale.

Il professor Luongo69 racconta: “Il gemellaggio è stato particolarmente

utile per capire un po’ più a fondo la storia dei ragazzi cinesi di Wenzhou.

Inizialmente, io ed il collega Surong 70 , ideatori del progetto, non

riuscivamo a concepire come mai in così tanti lasciassero una grande

metropoli di otto milioni di abitanti quale è Wenzhou per recarsi in una

cittadina [perché così appare Prato agli occhi dei cinesi abituati alle

grandezze della madrepatria] di poco più di 210.000 abitanti. Non ci

spiegavamo cosa li spingesse ad emigrare qui in Italia, data la grande

metropoli dalla quale provenivano. Poi però, una volta là, abbiamo capito

che la grande maggioranza di loro non vive propriamente a Wenzhou, ma

69

Vedi nota n. 46. 70

Vedi nota n. 45.

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nei distretti satellite a circa un’ora di distanza dalla città. Si tratta di paesi

poveri, con palazzi non rifiniti, grigi, un paesaggio un po’ spettrale” 71. Il

professore racconta anche di come, alla loro richiesta di andare a visitare

questi distretti paralleli, la risposta delle loro guide autoctone sia stata

negativa. Senza forzare troppo l’immaginazione possiamo ben capire che

gli ospitanti non volevano che i loro ospiti vedessero il lato nascosto di

Wenzhou.

Corso di Lingua e Cultura Cinese per gli Italiani (Progetto “Ciao Cina”

“Nǐ Hǎo Zhōng Guó “ 你好中国) rivolto a docenti, studenti dell’istituto

e aperto a tutti gli utenti del territorio.

PROGETTO “IL SERPENTE BIANCO”

Il progetto è nato in collaborazione con la Provincia con l’intenzione di favorire la

diffusione della conoscenza della cultura cinese nel territorio di Prato. Per la prima

volta è stata coinvolta un’associazione cinese: “Associazione di Amicizia dei Cinesi di

Prato”. L’iniziativa prevedeva la creazione di un laboratorio teatrale interculturale al

quale avrebbero partecipato ragazzi italiani insieme con ragazzi cinesi dei vari

istituti (non solo superiori). Per la rappresentazione è stato scelto un libro

pubblicato recentemente con il patrocinio della Provincia, intitolato “Il serpente

bianco” (白蛇, “Bái Shé”) della scrittrice cinese Yang Xiaping72. È stato organizzato

uno spettacolo teatrale aperto al pubblico in data 28 maggio 2009 presso il

Politeama Pratese. Tra gli aspetti positivi, va annoverato il fatto che i ragazzi italiani

71

Intervista rilasciata il 5.11.2009. 72

Yang Xiaping, Il serpente bianco, Campi Bisenzio, Idest, 2008.

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e cinesi abbiano collaborato, vedendosi almeno per una volta al di fuori della scuola

e che, grazie al teatro, siano nate simpatie che nell’ambiente classe stentano invece

a nascere. Tra gli aspetti negativi, rientra il fatto che è stato difficile trovare ragazzi

cinesi disponibili a recitare, dato il fattore vergogna, e così sono stati scelti ragazzi

che fossero già nella seconda o terza classe e che quindi conoscessero già

abbastanza bene l’italiano73.

PROGETTO “MOSAICI G2”

Il progetto nasce con lo scopo di promuovere l’integrazione delle seconde

generazioni nella città di Prato, e vede la partecipazione, oltre che dei Comuni di

Prato, Capannori e Pisa, anche del Ministero del Lavoro, della Salute, delle Politiche

Sociali, e del Fondo per l’Inclusione Sociale degli Immigrati. Questo progetto nasce

proprio dalle diverse esperienze nelle politiche di inclusione fatte dai vari enti, che

hanno deciso di riunirsi in un percorso comune.

Il 60% degli stranieri soggiornanti in Toscana, si concentra soprattutto nel

centro-nord. Nel caso di Prato la seconda generazione è composta da circa 5.000

ragazzi sotto i 18 anni, di cui quasi la metà cinesi74.

I PERCORSI F.I.L.75

Come accennato, si tratta di un progetto di collaborazione dell’istituto con la F.I.L.

per l’orientamento professionale dei ragazzi stranieri a rischio di abbandono

scolastico.

73

Intervista del professor Luciano Luongo, in data 5.11.2009. 74

Vedi dati ISTAT. 75

Vedi nota n. 63.

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SERVIZIO DI SUPPORTO DEL C.I.C.76

Il Servizio di Sportello di Ascolto denominato C.I.C., già in funzione nell’istituto come

centro di ascolto per gli studenti che hanno delle problematiche di cui stentano a

parlare ai genitori o agli amici, si è dotato recentemente di un mediatore culturale-

linguistico per accogliere anche coloro che hanno problematiche che non riescono

ad esprimere in lingua italiana.

Altri servizi sono: interpretariato per i colloqui genitori-docenti,

interpretariato per i rapporti alunni-docenti, comunicazioni scritte e/o invio di

materiale informativo alle famiglie, telefonate ai familiari per problematiche varie

(assenze, giustificazioni, note…), traduzione di documenti per la Presidenza, la Vice-

Presidenza e la Segreteria.

PROGETTO ACCOGLIENZA DEGLI ALUNNI

La scuola si impegna verso la prima accoglienza degli alunni stranieri (servizio svolto

con la collaborazione del professor Luongo e della professoressa Cimarelli 77)

attraverso la traduzione delle principali direttive della scuola anche in lingua cinese

e seguendo i ragazzi nei primi giorni di scuola ad inizio anno per verificare che non ci

siano problemi o disagi di varia natura.

PROGETTO “COSTITUZIONI”

L’Istituto, nell’ambito del progetto “Educare alla Legalità”, ha organizzato un ciclo di

conferenze rivolte ad alcune classi e incentrate sulla comparazione dei principi

76

Vedi nota n. 64. 77

Il professor Luongo e la prof.ssa Cimarelli sono due docenti dell’istituto Datini.

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fondamentali della Costituzione Italiana con quelli delle Costituzioni Albanese,

Cinese e Rumena.

PARTECIPAZIONE AI PROGETTI DEL “COSPE”

L’Istituto partecipa ai progetti del COSPE di Firenze “Ponte a 18 archi” e “Il Palazzo

della Memoria”, organizzati e rivolti alle scuole toscane gemellate con la Cina.

PARTECIPAZIONE ALLA MANIFESTAZIONE “ALTER MUNDI 2009”

L’Istituto parteciperà alle tre giornate interculturali di “Alter Mundi” con due

iniziative:

La proiezione del video-documentario del gemellaggio con la scuola

“Hua Qiao Vocational High School” di Wenzhou;

Una mostra fotografica di due fotografi professionisti pratesi dal titolo:

“Wenzhou, scatti d’autore”.

III.2 Il corso di Italiano per i ragazzi stranieri

PROGETTO “PARLO, DUNQUE SONO”

Il progetto si divide in due sottoprogetti:

CORSO DI ALFABETIZZAZIONE LIVELLO “A0-A2”78

78

Vedi framework europeo delle lingue, che indica quali sono i livelli e le rispettive competenze linguistiche. Livello A1: L’alunno comprende e usa espressioni di uso quotidiano e frasi basilari tese a soddisfare bisogni di tipo concreto. Sa presentare se stesso/a e gli altri ed è in grado di fare domande e rispondere su particolari personali come dove abita, le persone che conosce e le cose che possiede. Interagisce in modo semplice purché l’altra persona parli lentamente e chiaramente e sia disposta a collaborare. Livello A2: L’alunno comprende frasi ed espressioni usate frequentemente relative ad ambiti di immediata rilevanza (Es. informazioni personali e familiari di base, fare la spesa, la geografia locale, l’occupazione). Comunica in attività semplici e di routine che richiedono un semplice scambio di informazioni su argomenti familiari e comuni. Sa descrivere in termini semplici aspetti del suo background, dell’ambiente circostante e sa esprimere bisogni immediati.

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50

Il corso prevede 100h di insegnamento in orario scolastico per il livello A0-A1 e 100h

di insegnamento per il livello A1-A2. Le lezioni sono rivolte agli studenti stranieri che

devono apprendere la lingua italiana come L2. Le lezioni si svolgono dal Lunedì al

Venerdì dalle 9:55 alle 13:30. Nelle prime due ore di lezione i ragazzi sono in classe

per favorire le attività di socializzazione e integrazione e per seguire o provare a

seguire le prime due lezioni della giornata.

Il corso è aperto a tutti gli studenti che vi desiderino partecipare, ma poiché il

livello A0 dal quale si parte è estremamente basso,i professori tentano prima di

verificare che le conoscenze in lingua italiana dell’alunno che vuole frequentare il

corso siano effettivamente poche o nulle poiché altrimenti l’alunno perderebbe

preziose ore di lezione in classe. Questo avviene attraverso un test di valutazione

iniziale.

CORSO DI ALFABETIZZAZIONE LIVELLO “A2-B2”79

Il corso prevede 30h di lezione in orario pomeridiano, aperto anche questo a tutti gli

studenti che desiderano frequentarlo e prevede un livello più avanzato di

insegnamento della lingua italiana.

79

Vedi framework europeo delle lingue (nota n. 75). Livello B1: L’alunno comprende i punti chiave di argomenti familiari che riguardano la scuola, il tempo libero ecc. Sa muoversi con disinvoltura in situazioni che possono verificarsi mentre viaggia nel paese in cui si parla la lingua. E’ in grado di produrre un testo semplice relativo ad argomenti che siano familiari o di interesse personale. E’ in grado di descrivere esperienze ed avvenimenti, sogni, speranze e ambizioni e spiegare brevemente le ragioni delle sue opinioni e dei suoi progetti. Livello B2: L’alunno comprende le idee principali di testi complessi su argomenti sia concreti che astratti, comprese le discussioni tecniche nel suo campo di specializzazione. E’ in grado di interagire con una certa scioltezza e spontaneità che rendono possibile un’interazione regolare con i parlanti nativi senza sforzo per l’interlocutore. Sa produrre un testo chiaro e dettagliato su un’ampia gamma di argomenti e spiegare un punto di vista su un argomento fornendo i pro e i contro delle varie opzioni.

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Io ho potuto svolgere tirocinio assistendo il mediatore linguistico Badeng

Surong nelle ore di lezione del suddetto “Corso di alfabetizzazione livello A0-A1”. Si

è trattato di un’esperienza estremamente stimolante ed interessante, che mi ha

permesso di osservare da vicino la risposta dei “Ragazzi di Wenzhou” ai tentativi di

integrazione che sono rivolti loro. Soprattutto, mi ha permesso di toccare con mano

le difficoltà che si incontrano nel corso di questo percorso ed ho potuto così

elaborare una mia idea sulla base dell’esperienza fatta e dei dati raccolti e di trarre

le mie conclusioni per quanto riguarda la tesi trattata, che non vogliono risultare né

arbitrarie né applicabili alla totalità delle situazioni, bensì devono essere

considerate semplicemente come il frutto di un’esperienza concreta.

Queste in definitiva le attività dell’Istituto Datini rivolte all’integrazione dei

ragazzi stranieri.

QUARTO CAPITOLO

IV. LA PAROLA AI RAGAZZI, LA SFIDA DELLE SECONDE

GENERAZIONI

Se mi chiedi se sono fiero di essere cinese ti rispondo di sì, ma per provare questo

orgoglio devo dirmelo in cinese: sai nella nostra lingua Cina si dice Zhong guo,

“centro del mondo”. Chun Li, studente cinese dell’Università Bocconi.80

80

Citazione tratta dal libro di Raffaele Oriani e Riccardo Staglianò, I cinesi non muoiono mai, p. 148.

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I ragazzi cinesi delle seconde generazioni appaiono giovani e orgogliosi agli occhi

degli italiani. Ma consapevoli del fatto che per quanto possano riuscire a mescolarsi

con gli italiani, avranno sempre un’altra faccia. È vero, riconoscono, si ghettizzano,

ma forse perché si sentono più a loro agio a parlare con gente che ha la loro stessa

faccia e parla la loro stessa lingua.

L’attaccamento alla madrepatria rimane sempre molto forte. Anche perché

Cina vuol dire amici, nonni che li hanno tenuti fino ai 15 anni di età, usanze, cibo,

feste. Ma soprattutto, Cina significa “casa”, non in senso fisico quanto come luogo

al quale si sente di appartenere, che possiede la lingua, le tradizioni, le istituzioni, la

cultura che ci appartengono e che riconosciamo come nostre.

L’età dell’adolescenza è l’età più difficile per lasciare la propria casa e questa è

una delle cause dei problemi dei ragazzi di Wenzhou, che si trovano a dover

affrontare il conflitto tra due identità, quella cinese che svanisce a poco a poco e

quella italiana che si fa strada. L’età di questi ragazzi, tra i quattordici e i diciannove

anni, è anche l’età in cui, una volta acquisite le basi del sapere, si può cominciare ad

allargare gli orizzonti, a guardarsi intorno e ad approfondire le proprie conoscenze

in autonomia. Un’opera del poeta e filosofo libanese Kahlil Gibran

sull’insegnamento merita di essere qui riportata:

Nessun uomo può insegnarvi alcunché, tranne ciò che già si trova

mezzo addormentato nell’alba della vostra conoscenza. Il maestro

che passeggia all’ombra del tempio in mezzo ai suoi discepoli non

dà loro la sua saggezza ma piuttosto la sua fede e il suo amore. Se

egli è davvero saggio, non v’invita a entrare nella casa della sua

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saggezza, ma vi conduce piuttosto alla soglia della vostra mente.

L’astronomo può parlarvi della sua comprensione dello spazio, ma

non può darvi questa sua comprensione. Il musico può darvi

un’idea dell’armonia che c’è nello spazio, ma non può darvi

l’orecchio capace di afferrarla né la voce capace di eseguirla. E

colui che è versato nella scienza dei numeri può parlarvi delle

regioni del peso e della misura, ma non può condurvi ad esse.

Perché la visione di un uomo non presta le proprie ali ad un altro

uomo.81

I ragazzi cinesi con cui ho avuto modo di lavorare si trovavano a questo punto,

nel pieno delle loro potenzialità e delle loro possibilità di conoscere. Erano pronti a

prendere il volo dopo aver ricevuto tutte le nozioni necessarie per sapere come si fa

a volare. E come si può spiegare ad un ragazzo adolescente che qui in Italia, almeno

per il momento, lui non potrà volare?

IV.1 Ragazzi ai quali sono state tarpate le ali

La metafora usata spesso dal professor Surong82 che a questi ragazzi sono state

tarpate le ali, dice tutto quello che c’è da sapere sui ragazzi di Wenzhou. Qui in Italia

tornano indietro nel tempo, all’età delle elementari in cui si imparano le basi della

lingua, mezzo principale per comunicare e per conoscere. Per età o per frustrazione,

tanti ragazzi perdono interesse nello studio. Sono nell’età della scoperta,

dell’ampliamento del proprio sapere e improvvisamente si trovano come congelati;

81

K. Gibran, Il profeta, pp. 102-105. 82

Vedi nota n. 45.

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e viene chiesto loro di imparare tutto da capo, in un’altra lingua, senza alcuna

valorizzazione dei loro saperi, compresa la loro lingua d’origine, che qui non sembra

essere utile. Perché tanti professori non vogliono sentire parlare cinese in classe

poiché, dicono: “Siamo in Italia, qui si parla italiano”. (Luca83 afferma: “Ma come! È

la mia lingua! Come glielo spiego io che io parlo in cinese e non in italiano perché

quella è l’unica lingua che so?”84). È possibile un’integrazione se si pretende che

questi ragazzi imparino l’italiano solo come dovere?

La prima regola è non far credere a questi ragazzi che tutto quello che hanno

imparato finora sia inutile e improduttivo qui in Italia. È necessario abbandonare il

punto di vista del dovere, imposto a ragazzi che non hanno scelto di venire in Italia,

e spostarsi verso un’altra prospettiva: quella dello stimolare il loro interesse85.

Un’integrazione è possibile se si abbandona l’ormai arcaico insegnamento

della lingua basato solo sulla grammatica e si prendono in considerazione metodi

nuovi, dei quali la moderna didattica delle lingue offre ampie descrizioni. Una

migliore interazione è possibile se smettiamo di credere che se Li Juan86 conosce i

pronomi diretti e indiretti o le preposizioni, allora sappia l’italiano.

Un’integrazione è possibile se smettiamo di credere che questa si basi solo

sullo studio della lingua: certo, ci saranno casi di ragazzi arrivati in età delle

elementari che risulteranno “perfettamente integrati”, ma la sfida che viene posta

non è questa. Non è la sfida di un bambino che si integra perché diventa italiano a

83

Ragazzo cinese di prima superiore dell’Istituto Datini di Prato che frequenta il corso di italiano per i ragazzi stranieri. 84

Intervista rilasciata il 5.11.2009. 85

Si parla qui di un compito rivolto agli insegnanti, che dovrebbero trovare le metodologie adatte ed appropriate per riuscire a rendere interessante agli occhi dei ragazzi la materia da loro insegnata. 86

Ragazza cinese di prima superiore che, come Luca, frequenta il corso al Datini.

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tutti gli effetti. Questo sarebbe un processo di crescita del bambino che in tenera

età assimila quello che gli sta attorno: lingua, cultura, usanze, abitudini. La sfida

delle nuove migrazioni è piuttosto quella di riuscire a garantire processi di

inclusione socio-culturali di ragazzi che sono cresciuti assimilando quello che stava

loro attorno in Cina, per i quali non sorte effetti positivi il dire: “Devi studiare

l’italiano perché qui siamo in Italia”. Se non riesce la scuola a stimolare il loro

interesse per la lingua e la cultura italiane, come può partire da loro tale interesse,

dato che spesso nemmeno vorrebbero stare in Italia?

IV.2 La parola ai ragazzi: la mia esperienza e le loro storie

Una ragazza cinese di prima superiore racconta in un tema:

Quando avevo sette anni, i miei genitori hanno lasciato me e mio

fratello per venire in Italia. In quel tempo non ho capito niente, ma

mio fratello ha capito tutto. Lui lo sapeva perché i miei genitori

erano all’estero. Vivevamo con tutti i parenti e stavamo in affitto

da loro, fredde parole. Ho sentito la rabbia di mio fratello. Quindi

direttamente odiavo i miei genitori. Dopo tre anni abitavo a casa

di una prof. E non potevo fare altro, non le piacevo molto. Nel

2005 mio papà è arrivato in Cina per portarmi in Italia. In questi

anni era la prima volta che vedevo i miei genitori. Ero arrabbiata,

ma tanto felice. Sono arrivata in Italia come un estraneo che entra

in un mondo che non conosce. Avevo paura. Poi due anni fa i miei

genitori hanno comprato una fabbrica e io ho conosciuto tanti

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amici, anche italiani. Nella fabbrica c’erano dieci operai e vivevo

con loro. Ero molto felice. Tutti i giorni scherzavamo insieme e

parlavamo di tante cose. Ma quest’anno mio papà dice che non

c’erano soldi, e quindi ha venduto la fabbrica. Io ero molto triste.

Quel giorno piangevo e Zhe He mi ha abbracciato. *…+ Sono

passate le vacanze, mi sono iscritta alle superiori. A scuola ho

conosciuto tanti amici Mary, Xiao Yu, QiQi. Sono molto felice, sono

molto contenta di averli conosciuti. Vorrei che nel futuro fosse

meglio87.

La situazione rispecchia quella di molti ragazzi cinesi. Quando li vedi parlare,

scherzare, giocare, sembrano felici. Quando chiedi se non hanno sofferto a non

vedere i genitori per due, tre, quattro anni, trenta ragazzi su trenta rispondono: “No,

ero felice perché in Cina facevo quello che volevo e avevo i miei amici”. Sembra che

il distacco dai genitori non li abbia toccati, ma forse fa parte di una loro riservatezza

liquidare la domanda in tre parole.

Si nota come questi ragazzi, negli sguardi, nelle risposte, nei momenti di

silenzio, siano molto più adulti di quello che sembrano: hanno la mentalità pratica,

tipica di chi proviene da Wenzhou, che fa sì che i loro connazionali li chiamino “gli

ebrei cinesi”. Quello che conta è migliorare la propria situazione e riuscire a vivere

bene, magari facendo anche soldi. I cittadini di Wenzhou sono così stati presentati

come un modello per tutta la Cina dal Governo cinese per la loro intraprendenza.

87

Tema di una ragazza cinese che frequenta la prima superiore all’istituto Datini, 20.10.2009.

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Wenzhou è una città che in pochi anni ha conosciuto una crescita record delle

imprese individuali. Perché oltre a mettersi in proprio, i cinesi di Wenzhou

desiderano “vivere meglio”: l’ascesa sociale, il miglioramento delle proprie

condizioni di vita, anche a costo di abbandonare la propria casa, la propria città, e

cominciare un lungo pellegrinaggio per il mondo alla ricerca del luogo dove si riesce

a fare più denaro, in Italia, Francia, Canada o Australia. Quello che conta è lavorare.

E questa mentalità si riscontra anche nei ragazzi, quando si chiede loro se

sono contenti di vivere in Italia o preferirebbero tornare in Cina e rispondono “come

i grandi”: “Se non fosse per il lavoro, perché qui si guadagna di più, tornerei a vivere

in Cina da grande”88. O ancora, quando a Fei Dong89, un ragazzo di quindici anni, si

chiede quali sono i suoi sogni per il futuro, risponde: “Certo che ho un sogno, voglio

diventare ricco! Perché con i soldi puoi fare tante cose…”.

La maggioranza dei trenta ragazzi cinesi che ho potuto intervistare hanno

sedici anni (17 su 30), qualcuno ne ha quindici (8 su 30), tre ragazzi hanno

diciassette anni, un ragazzo ne ha diciannove e uno quattordici. Sono in Italia da

circa due, tre anni in media, a cui poi si aggiungono i casi di chi è arrivato da tre

mesi come Ye Ke o Jin Xiang Yao.

La storia, come già accennato, è simile. Quasi tutti sono nati in Cina e hanno

frequentato la scuola elementare là (29 ragazzi su 30 sono nati in Cina ed hanno

frequentato in media cinque/sei anni di scuola elementare là; soltanto Luca è nato

in Italia ed è poi tornato in Cina all’età di cinque anni per frequentare, come gli altri,

la scuola elementare). Quando i genitori sono venuti in Italia, loro sono stati lasciati

88

Fonte: intervista ai ragazzi cinesi del corso di italiano dell’istituto Datini; 5.11.2009. 89

Ragazzo cinese di 15 anni che frequenta il corso di italiano.

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a vivere con zie, nonni, parenti. Durante i due, tre, quattro, addirittura sette anni in

cui hanno vissuto lontani dai genitori, questi sono andati a trovarli più o meno una

volta l’anno nei casi più fortunati, ogni due anni o persino mai per altri. Poi un

giorno, il papà (o il papà e la mamma insieme, o qualcun altro), torna e li porta in

Italia con sé. Nessuno di loro inizialmente era contento di lasciare la Cina, sebbene

alcuni avessero la curiosità di fare un viaggio in un posto nuovo, perché per questi

ragazzi della periferia di Wenzhou, andare in Italia significava “vedere il mondo”.

Una volta in Italia, dopo i primi mesi di sofferenza per la nostalgia della Cina, a poco

a poco si abituano o comunque si adeguano al fatto che ormai sono in Italia; a molti

anzi l’Italia comincia a piacere. Nessuno però, neanche i più entusiasti all’idea di

venire in Italia, avevano calcolato la sfida, che li attendeva qui: quella dell’italiano. I

ragazzi si rendono conto della difficoltà e allo stesso tempo temono che il loro

cinese a poco a poco stia scomparendo. Le casistiche sono certamente tante, ci

sono alunni diligenti, che si impegnano e riescono a migliorare il loro italiano, ci

sono altri che mostrano il più completo disinteresse, ma non sempre questa è una

“colpa” da attribuire esclusivamente a loro.

A questo punto è necessario analizzare la situazione dalla quale provengono i

ragazzi di Wenzhou, poiché buona parte del successo scolastico di questi ragazzi

dipende anche dallo sfondo familiare che li caratterizza. Il conflitto in alcuni casi

latente, in altri evidente con i genitori, è, ad esempio, uno dei disagi che questi

ragazzi affrontano quotidianamente. Se è vero infatti che per molti il passaggio

Cina-Italia sembra essere avvenuto senza alcuna difficoltà, per altri si evidenziano

risvolti quali ad esempio la ribellione nei confronti dei genitori che li hanno strappati

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dalla Cina e trasportati in un posto che a loro non piace, dove incontrano grandi

difficoltà e non si sentono gratificati.

Ci sono ragazzi che riconoscono gli sforzi dei genitori e vedono il loro sacrificio

giornaliero, e per questo si rendono disponibili anche ad aiutarli (si può sfatare il

luogo comune dei genitori cinesi che obbligano i ragazzi a lavorare: nella totalità dei

casi dei trenta ragazzi intervistati non risulta essere così).

Ci sono ragazzi che invece con i genitori non vogliono avere niente a che fare e

sembrano odiarli. Non hanno o non vogliono avere con loro alcun tipo di rapporto a

causa del lungo periodo in cui si sono sentiti “abbandonati”. E spesso anche se le

azioni dei genitori sono a fin di bene, poiché un genitore cinese si preoccupa poco di

quello che nel presente desidera il figlio, in vista di una prospettiva più ampia che

prende in considerazione prima di tutto cosa sia meglio offrirgli per il suo futuro,

poco importa se lui è d’accordo o no; spesso qualsiasi azione i genitori facciano è

presa dai figli come un’ulteriore costrizione oltre a quella già esistente e di non poco

conto di esser stati portati in Italia.

Le casistiche sono tante, e per questo non sarebbe corretto considerare questi

ragazzi come un gruppo omogeneo poiché ogni singolo caso richiede una soluzione

diversa a seconda della situazione individuale.

Chen Sha Man, Chen Ya Ting, Cheng Yong Sheng, Chen Jian Feng, Cheng Lian

Gang, Cheng Xiao Na, Chi Yu, Dong Yi Wei, Du Xiang Feng, He Xiao Qiang, Hu Lei Lei,

Huang Wen Sheng, Jiang Li Jie, Jiang Mu, Li Rui, Li Yao, Lin Wei Wei, Lu Jia Wei, Peng

Fei Dong, Qian Shi Feng, Qiu Li Juan, Qiu Xiao Min, Wu Sheng Peng, Yang Zhong Jie,

Ye Ke, Zhang Luca, Zhang Nan Hua, Zhang Sheng, Zhou Ying Chao, Zhu Zhi An, Jin

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Xiang Yao sono i ragazzi cinesi90 che con semplicità si sono lasciati avvicinare e mi

hanno fatto entrare nel loro mondo.

I nomi sono tanti, e tutti abbastanza difficili per un italiano, tant’è vero che

spesso i professori nonostante abbiano anche pochi studenti cinesi in classe, non ne

ricordano il nome. Quindi spesso loro stessi tendono a darsi un nome italiano, per

facilitare il compito. D’altronde Shakespeare diceva: “Cosa c’è in un nome? Ciò che

chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo”91. Alcuni

professori si lamentano che “non riescono a impararne i nomi poiché si somigliano

tutti fra di loro” e a volte non si accorgono nemmeno se sono presenti o no in classe.

Sarebbe utile però cominciare a ricordare i loro nomi, per contribuire a non farli

sentire quello che si sono sentiti dal primo momento in cui sono arrivati in Italia:

numeri. Ho voluto trascrivere tutti i nomi, con la speranza che questo possa

contribuire a non far sorvolare su quanto finora detto.

Fa effetto notare come alla domanda “Hai amici italiani?” trenta ragazzi su

trenta rispondano: “No”92, soprattutto se uno dei desideri condiviso più o meno da

tutti è: “Avere una vita normale e vivere felice tra gli italiani”93. Colpisce anche

constatare che alla domanda: “Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Hai un sogno

che vorresti realizzare?” la maggioranza dei ragazzi (18 su 30) risponda con un altro

“No”94. Le eccezioni però spiccano: qualcuno, di sogni, ne ha molti. E Se Fei Dong95

come sogno più grande ha quello del successo economico; Ye Ke vorrebbe diventare

90

Ragazzi e ragazze cinesi di età compresa tra i quattordici e i diciannove anni, che frequentano il corso di italiano di livello A0-A1 presso l’istituto Datini. 91

Shakespeare, Romeo e Giulietta. 92

Fonte: intervista ai ragazzi del corso di italiano del giorno 5.11.2009. 93

ibidem. 94

ibidem. 95

Vedi nota n. 63.

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un insegnante in Cina; Jian Feng vorrebbe aprire un bar; Xiang Yao vorrebbe aprire

una ditta (“ancora non ho pensato di cosa” dice); Li Juan vorrebbe aprire un negozio

di vestiti; Luca vorrebbe diventare il proprietario di una ditta, come i suoi genitori, e

aggiunge: “La mia mamma forse l’anno prossimo mi manda in Inghilterra per

due/tre anni a studiare Inglese”; Ya Ting vuole fare l’estetista; Jiang Mu vorrebbe

diventare “capo di un negozio”; Yong Sheng vorrebbe aprire un grande bar e

cucinare lì con i suoi amici; Zhi An e Wei Wei vogliono aprire una ditta e infine Jia

Wei vorrebbe finire di studiare al Datini all’indirizzo alberghiero per poi tornare in

Cina ed aprire un ristorante italiano, “questa è un’idea molto buona secondo me”,

aggiunge96.

IV.3 La sfida delle seconde generazioni

Quando si parla di “cinesi” è inevitabile lo stereotipo del lavoratore indefesso che si

sposta non importa dove, pur di lavorare. Lavoro, lavoro, lavoro97; le tre parole

chiave dei cinesi di Wenzhou. Ma i ragazzi? Cosa pensano, chi sono, “come” sono?

Sono tante cose, per questo i sociologi preferiscono dividerli in quattro: generazione

numero 2 per quelli nati in Italia; generazione 1,75 per chi è arrivato in età

prescolare; generazione 1,50 per chi ha fatto a tempo a frequentare la scuola

dell’obbligo; generazione 1,25 per quelli che l’Italia l’hanno conosciuta solo nella

96

Non sarebbe giusto né obiettivo generalizzare ed estendere le risposte qui citate come comuni a tutti i ragazzi cinesi, o ancora, crearsi uno stereotipo del ragazzo cinese qui in Italia esclusivamente sulla base delle informazioni qui riportate. Ma senza dubbio possiamo considerarle come uno squarcio sulla vita e sulle idee di una parte, benché limitata, di questi ragazzi. 97

Espressione tratta dal libro di Oriani e Staglianò, I cinesi non muoiono mai.

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seconda adolescenza. Inutile dire che le possibilità di integrazione diminuiscono a

mano a mano che l’età di arrivo sale98.

I ‘ragazzi’ di Wenzhou appartengono alla generazione 1,25 ovvero quella che i

sociologi stessi danno per spacciata, quella alla quale l’integrazione sarà negata

perché i ragazzi adolescenti sono ormai “troppo cinesi” per potersi integrare. E

allora nasce la sfida. Un’integrazione è possibile per i ragazzi di Wenzhou?

Se si spera che l’integrazione parta dal fatto che le seconde generazioni siano

“un po’ meno cinesi dei genitori”, allora si sbaglia in partenza. Poiché se chiedi a Li

Juan99 come ai suoi altri trenta compagni se piace loro più l’Italia o la Cina, lei,

parlando per tutti, dice che da grande vuole certamente tornare a vivere in Cina, se

possibile. Al pronunciare Zhongguo (Cina) o al parlare di Cina o al parlare di cibo

cinese o di riviste cinesi o di programmi cinesi o di romanzi cinesi o di film cinesi o di

musica cinese le si illuminano (e si illuminano a tutti loro) gli occhi. La Cina, dalla

quale in tanti sono venuti via quasi eccitati all’idea di approdare in Italia (meta

luccicante al pari della famosa America per noi italiani nel dopoguerra100) e di

rivedere finalmente i genitori, e che ora che sono finalmente qui splende come una

stella lontana e brilla di una luce estremamente forte, al pari di quanto il luccichio

della bramata Italia si sia spento a poco a poco.

E se al Datini i tentativi di integrazione sembrano perdere di valore di fronte al

quotidiano spettacolo della ricreazione, durante la quale puntualmente i ragazzi

italiani escono un po’ fuori, parlano, fumano, mangiano, ridono; i ragazzi cinesi

98

Ceccagno, Migranti a Prato. 99

Vedi nota n 61. 100

Ceccagno, Migranti a Prato.

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escono un po’ fuori, parlano, fumano, mangiano, ridono e scherzano, facendo le

stesse identiche cose, se non fosse che tutti e due i gruppi rimangono

rigorosamente separati; allora di fatto ancora c’è qualcosa che stenta a mettersi in

moto. C’è la teoria, ci sono gli sforzi, ma mancano i risultati più importanti sulla

pratica.

Eppure se chiedi a Luca101 di che nazionalità si sente, lui risponde: “Un po’

cinese, ma di più italiano”102. Allora perché Luca non ha amici italiani? Perché

questa tendenza a “non mescolarsi” a restare ognuno nel proprio mondo senza

“prendere” nulla dall’altro?

QUINTO CAPITOLO

V. DIFFICOLTA’ OGGETTIVE ALL’INTEGRAZIONE:

UN’IDENTITA’ SOLIDA

In questo capitolo ci proponiamo di affrontare e sfatare le credenze più comuni

diffuse sui cinesi, partendo dal presupposto che qualsiasi forma di pregiudizio sia il

primo grande ostacolo ad una reale integrazione.

L’immigrazione cinese si distingue dalle altre che interessano i nostri paesi per

alcune peculiari caratteristiche, quali una particolare coesione ed una solida identità

etnica e culturale, accompagnata da una estrema vitalità ed intraprendenza

economica103. Da un certo punto di vista si può dire che il mondo oggi sta

ritornando ad un assetto che fino a due secoli fa per quasi un millennio ha

101

Vedi nota n. 59. 102

Intervista rilasciata il 5.11.2009. 103

Rastrelli, Immigrazione cinese e criminalità. Analisi e riflessioni metodologiche.

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caratterizzato l’assetto internazionale104. Non per nulla si parla da tempo di “secolo

dell’Asia” per affermare che le nazioni asiatiche stanno tornando ad avere quel

determinante peso, economico politico e culturale, che per secoli hanno avuto nella

storia dell’umanità. L’ umiliazione che il “paese del centro” e il suo popolo avevano

subito ad opera dell’occidente dal 19° secolo in avanti, ha cominciato a cedere il

posto, dalla fine degli anni quaranta, ad un cammino costante che ha condotto

l’Asia Orientale verso un’indubbia rinascita economica, politica e culturale105. Di

conseguenza, i cinesi residenti nelle varie parti del mondo non sono più i figli poveri

di un paese emarginato e sconosciuto, bensì i rappresentanti di una potenza

emergente che sembra riaffermare i valori tradizionali della propria civiltà

attraverso uno sviluppo sorprendente106. Come accennato, le attuali migrazioni

dalla Cina verso l’occidente non sono più generate da carenza di sviluppo

economico, bensì dallo sviluppo stesso.

Ed ecco che allora possono prevalere stereotipi, riaffiorare paure di fine

secolo sul “pericolo giallo”107, mentre insufficienti conoscenze impediscono la

formazione di corretti strumenti di analisi necessari al fine di un pacato e razionale

dialogo fra uomini di culture diverse.

104

Rastrelli, Immigrazione cinese e criminalità. Analisi e riflessioni metodologiche. 105

ibidem. 106

ibidem. 107

Espressione ripresa da: Rastrelli, Immigrazione cinese e criminalità. Analisi e riflessioni metodologiche.

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65

V.1 Da dove parte il pregiudizio: i cinesi “rubano” il lavoro

Una delle accuse più comuni imputate ai migranti cinesi è l’espressione fuorviante

quanto semplicistica che “i cinesi rubano il lavoro agli italiani”. Analizziamo qui di

seguito, i processi che ne hanno causato la nascita.

L’immigrazione cinese in Italia si è distinta per la capacità che hanno gli

abitanti del regno di mezzo di saper occupare, con il loro spirito imprenditoriale,

particolari nicchie del tessuto economico e produttivo locale108 (il caso di Prato si

pone qui come esemplare). Nonostante che le prime comunità si fossero infatti

insediate in settori tradizionali come quello della ristorazione, all’inizio degli anni

Novanta l’adattabilità e la flessibilità dell’imprenditoria e della manodopera cinese è

stata capace di approfittare, soprattutto nell’aria pratese, di alcune circostanze

favorevoli per fare un grosso salto di qualità. La crisi del settore confezioni e

pelletteria, correlata alla facilità di reperire laboratori lasciati ormai vuoti e

macchine semplici a basso costo, hanno permesso in pochi anni lo sviluppo di

migliaia di piccole e piccolissime imprese109. L’opportunità favorevole ha portato

alla creazione, nei primi anni Novanta, di insediamenti ad altissima densità che

hanno messo in allarme i comuni della fascia fiorentina. I giornali parlavano di

invasione gialla, di mafia e di schiavi costretti a lavorare in misere condizioni.

L’impatto con l’opinione pubblica fu, per forza di cose, violento.

A Prato, intanto, si stava creando una consistente comunità cinese cresciuta

su un piccolo nucleo di immigrati (38 nel 1989) che prometteva di espandersi

108

Rastrelli, Immigrazione cinese e criminalità. Analisi e riflessioni metodologiche. 109

ibidem.

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sempre di più. Di fronte all’allarme rosso, la conclusione più diffusa per giustificare il

fallimento o la chiusura delle tante aziende tessili pratesi che avveniva

contemporaneamente alla crescita e allo sviluppo numerico delle ditte cinesi, è

stata quella di attribuire la colpa a questi ultimi.

Il risultato è che gli immigrati cinesi sono stati incolpati di una situazione della

quale, di fatto, sono stati sì gli artefici, ma con il consenso degli imprenditori pratesi.

Perché lo stesso cinese che dieci anni prima aveva chiesto all’imprenditore pratese

che gli vendesse il magazzino pagando profumatamente e che era stato accolto

come una “manna” da tante aziende in difficoltà, oggi è lo straniero guardato con

occhi diffidenti. Perché una volta innescato il processo, a Prato si è fatto a gara a

vendere ai cinesi, tanto che oggi Prato resta comunque un distretto tessile

importante, alla stregua di dieci anni fa, però in mano ai cinesi. Ed i pratesi hanno

faticato ad accettare tutto questo.

V.2 I cinesi lavorano troppo

Un’altra delle accuse rivolta ai cinesi è quella che lavorano troppo. È vero, le tre

parole d’ordine dei cinesi sembrano essere “lavoro, lavoro, lavoro”110. Ma è

corretto accusarli per questo?

E necessario considerare il fatto che i cinesi sono immigrati, che partono da

una situazione di instabilità economica e puntano pertanto a stabilizzarsi, a

migliorare le proprie condizioni di vita. Proprio in qualità di migranti, sono giovani,

110

Espressione ripresa dal libro di Oriani e Staglianò, I cinesi non muoiono mai.

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attivi, intraprendenti, probabilmente sani111. D’altro canto, la stabilità economica, il

benessere, la mancanza di problematiche importanti, un lavoro sicuro e stabile

portano, come riconosciuto dai sociologi112, ad un “rilassamento” della persona, ad

un’accettazione della propria condizione, ad accontentarsi (senza cercare di

stravolgere gli assetti stabili e sicuri che si sono venuti a creare), a perdere in parte

caratteristiche quali attività, intraprendenza e competitività, in nome di una vita

tranquilla all’ombra di quello che si è già costruito. Non è difficile constatare come

queste siano due dinamiche agli antipodi, che rappresentano appieno la differenza

situazionale di partenza che caratterizza da un lato gli immigrati cinesi, e dall’altro

gli abitanti italiani.

Alla luce dell’analisi fatta, è giusto colpevolizzare un popolo perché la sua

caratteristica peculiare è quella (peraltro non negativa) dell’operosità?

V.3 I cinesi lavorano in nero

-“E che problemi danno?”-

-“Le tasse, per esempio, non sanno neanche che cosa sono”-113

Il successo economico delle imprese cinesi spesso viene attribuito all’illegalità che si

presume diffusa e dominante nelle attività produttive e nei rapporti sociali fra i

migranti cinesi, molti dei quali si ritiene che vivano nella condizione di clandestini114.

I termini “concorrenza sleale”, “contraffazione” e “illegalità” sono impiegati anche

111

È difficile che chi ha una salute cagionevole decida di affrontare un viaggio come quello che porta in Italia. 112

Oriani e Staglianò, I cinesi non muoiono mai. 113

Dialogo tratto da: Oriani, Staglianò, I cinesi non muoiono mai, p. 117. 114

Oriani e Staglianò, I cinesi non muoiono mai.

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per spiegare il successo e l’espansione della Repubblica Popolare Cinese (RPC) nel

contesto della globalizzazione economica115.

In realtà però, quando si parla di evasione fiscale a carico dei cinesi, le prove

zoppicano. Nel 2006 su 435 verifiche su contribuenti italiani sono stati riscontrati 46

evasori totali. Nello stesso periodo su 152 controlli a carico di cinesi gli evasori totali

sono stati 17. L’anno dopo su 627 verifiche su italiani sono stati riscontrati 90

evasori totali, mentre sulle 130 nei confronti di cinesi 18116.

Tutto questo per affermare che, stando ai dati ufficiali, i cinesi non evadono

né più né meno degli autoctoni. Concludiamo riportando una citazione del libro di

Oriani e Staglianò, dove l’affermazione di un imprenditore cinese lascia spazio alla

riflessione quando esplicita: “Evadiamo le tasse? Ma chi lo dice non li legge i giornali,

non sa che l’Italia ha il primato internazionale di questa specialità? Forse non

abbiamo avuto buoni insegnanti …”117.

V.4 Il ritardo delle istituzioni italiane

Dal punto di vista della società e delle istituzioni italiane è emersa chiara la difficoltà

culturale di fondo che ha impedito inizialmente l’affermarsi di un rapporto razionale

e consapevole con gli immigrati118. Nelle istituzioni locali vi è stato per un certo

periodo un notevole ritardo (che rifletteva quello delle istituzioni centrali dello

Stato), nel preparare e formare uomini e strumenti amministrativi che fossero in

115

Ceccagno, Ombre cinesi. 116

Oriani, Staglianò, I cinesi non muoiono mai, pp. 127-128. 117

Ibidem, pp. 128.129. 118

Rastrelli, Immigrazione cinese e criminalità. Analisi e riflessioni metodologiche.

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grado di stabilire anche solo una corretta comunicazione con cittadini provenienti

da culture diverse119.

La consapevolezza dell’esistenza di una civiltà sinica, tuttora fondata su alcuni

valori fondamentali del confucianesimo, può indurre a comprendere tutti i cinesi

della diaspora come all’interno di un modello definito dalla loro cultura, che tutti li

governa e li definisce120. Adottando questo punto di vista, uno Stato tende a

formulare politiche che tendono a salvaguardare una predefinita identità etnica e

dove l’integrazione rispetta la diversità culturale121. Il rischio è quello, però, di

tendere a seguire modelli onnicomprensivi che sottovalutano la diversità delle varie

realtà locali.

In questo quadro il modo in cui l’immigrazione viene perlopiù percepita

dall’opinione pubblica è particolarmente significativo.

Innanzitutto è scarsa la conoscenza della Cina, della sua storia e della sua

cultura, affidata spesso a poche pagine di letture sparse durante l’iter formativo,

dalle elementari alle superiori fino all’università. Da poco, in Italia si è scoperto lo

spessore economico, politico e strategico della Cina nel contesto della

globalizzazione.

In secondo luogo, nelle analisi sui migranti cinesi prevalgono semplificazioni e

stereotipi che spesso circondano tutto con un alone di mistero, di minaccia, di

estraneità122.

119

Rastrelli, Immigrazione cinese e criminalità. Analisi e riflessioni metodologiche. 120

ibidem. 121

ibidem. 122

ibidem.

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V.5 Il pregiudizio e lo stereotipo

Il pregiudizio si può definire come la predisposizione organizzata a percepire in

modo ingiustificatamente negativo e a reagire nei confronti di una persona

prontamente e in modo sfavorevole sulla base dell’appartenenza della persona

stessa ad una classe, categoria o gruppo sociale (Aboud, 1988). Il tipo di pregiudizio

più diffuso è quello etnico-razziale, che consiste nell’ostilità verso gruppi etnici

diversi dal proprio o verso minoranze di vario tipo123. Si tratta di un processo di

gruppo poiché si parla di un orientamento nei confronti di categorie di persone più

che di individui isolati. Questo vuol dire che anche quando un pregiudizio si rivolge

ad un singolo individuo, ciò che conta non sono le caratteristiche personali del

soggetto, ma i tratti che lo collocano in un gruppo piuttosto che in un altro

(stereotipo).

Lo stereotipo è un processo di semplificazione di un mondo complesso, una

componente normale dell’attività cognitiva dell’individuo, il quale tenta di ottenere

il massimo numero di informazioni con il minor sforzo mentale possibile (Mazzara,

1997).

L’Italia è un paese dove l’immigrazione extracomunitaria è un fenomeno del

tutto nuovo. Di conseguenza, la nostra società, dall’opinione pubblica alle istituzioni

locali, non ha ancora maturato un atteggiamento pienamente consapevole delle

conseguenze di una società multietnica e dei mutamenti che necessariamente

comporta la complessità dei problemi di questo nuovo quadro sociale. Ciò è tanto

più vero quando si ha a che fare con i cinesi, originari di un paese la cui conoscenza

123

Ceccagno, Migranti a Prato.

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è appesa a fragili e discontinui accenni sparsi nei nostri curricula scolastici, oppure è

influenzata da immagini stereotipate apprese dai moderni mass-media124.

Un’analisi condotta dal Centro Ricerca e Servizi per l’Immigrazione di Prato

nella stampa locale e nazionale a proposito dell’immigrazione cinese dimostra come,

a livello di opinione pubblica, lo stereotipo e l’approssimazione siano dominanti125.

Particolarmente significativo è uno studio realizzato sulla ricorrenza del termine

“Chinatown” negli articoli che riguardano l’immigrazione cinese a Prato e a Firenze.

Tale termine in alcuni periodi ricorre ben nel 68% degli articoli di “La Repubblica” o

nel 74% di quelli de “La Nazione”. Chinatown è una definizione che “implica una

prevalenza numerica della popolazione cinese in un determinato quartiere, una sua

elevata autonomia e un forte livello di separatezza dalla società ospitante”126. I

giornali, però, hanno utilizzato tale espressione “anche in palese mancanza di tali

condizioni, indicando così i pregiudizi di chi la utilizza e sollevando diffusi allarmismi

e paure. Essa propone, infatti, un’immagine di ‘invasione’ del territorio da parte

degli immigrati e una visione di comunità chiuse, impenetrabili che acquistano

facilmente un alone misterioso ricco di potenziali minacce”127. Il senso di minaccia è

ancor più evidente nell’uso del termine “mafia” o “Mafia Gialla”. Quasi l’8% degli

articoli de “La Nazione” è dedicato alla mafia cinese, percentuale che raddoppia se

si considerano tutti gli articoli che contengono espliciti riferimenti a tale termine (a

volte solo nel titolo senza che nel testo vi sia alcuna corrispondenza). Ma ben più

124

Ceccagno, Migranti a Prato. 125

La ricerca è stata svolta dal Centro Ricerca e Servizi per l’Immigrazione di Prato, in particolare ad opera della Dott.ssa A. Marsden e di R. Rastrelli, ed ha avuto per oggetto le cronache locali delle seguenti testate: “La Nazione”, “Il Tirreno”, “La Repubblica”, “L’Unità” di Firenze e Prato dal 1988 al 1994. 126

A. Marsden, Le comunità cinesi viste dalla stampa: informazione e stereotipi, p. 212. 127

ibidem, p. 212.

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significativo è il fatto che nel 55,81% di questi articoli si parli di mafia senza citare

alcuna fonte in proposito: scarsi, indiretti e parziali sono i riferimenti a fonti

giudiziarie, quasi sempre si riportano solo “voci”128.

Dall’analisi riportata emerge l’allarme evidente verso l’immigrazione cinese. I

giornali sono stati interpreti fedeli di un atteggiamento presente nella società e, allo

stesso tempo, contribuiscono con l’approssimazione delle loro argomentazioni, a

rafforzare paure e pregiudizi.

V.6 Lingua diversa, cultura diversa

L’importanza dell’elemento culturale ovunque si analizzino i comportamenti sociali

di una popolazione non può essere messa in dubbio. Essa non deve però indurre a

preconfezionare griglie interpretative rigide, al contrario, deve essere usata come

uno strumento dinamico, capace di far capire come si realizza l’incontro tra due

culture diverse129. È dunque necessario che si facciano degli sforzi per conoscere di

più la cultura cinese, affinché un’integrazione sia auspicabile.

L’osservazione più comune fatta a proposito dei cinesi è quella relativa

all’estrema difficoltà che trovano nell’imparare l’italiano, tanto che viene loro

attribuito una sorta di rifiuto a parlarlo. È il caso di coloro che ritengono che la non

conoscenza dell’italiano da parte dei cinesi sia una prova della volontà di questi

ultimi di vivere lontani e separati o, un espediente per sottrarsi a qualche

responsabilità. Prima di attribuire ai cinesi questi intenti però, è necessario

considerare che la lingua cinese è molto lontana da quelle occidentali. Oltre ad

128

Rastrelli, Immigrazione cinese e criminalità. Analisi e riflessioni metodologiche, p. 9. 129

ibidem, p. 10.

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avere suoni molto diversi, è una lingua non alfabetica e con una struttura

grammaticale e sintattica molto particolare.

La barriera linguistica che separa gli occidentali dai cinesi è quindi forte e

consistente; può o potrebbe essere superata dai bambini della seconda generazione,

ma resta oggettivamente un grande ostacolo per gli adulti, pur presenti da molti

anni in Italia.

Un’ulteriore prova del fatto che la barriera linguistica esiste ed è

effettivamente un ostacolo per i cinesi, si può trarre dalla constatazione che,

laddove le istituzioni si sono munite di interpreti, mediatori culturali o esperti di

comunicazione interculturale, il numero dei cinesi che vi si è rivolto è stato

altissimo130.

In questi casi, dunque, lo stereotipo che vuole il cinese arroccato e chiuso

nella sua lingua e nella sua comunità, è stato sostanzialmente smentito131.

La soluzione del problema linguistico è prioritaria, ma ci sono altri aspetti non

meno importanti della cultura cinese che meritano di essere presi in considerazione.

In primo luogo è opportuno notare che i cinesi hanno una concezione dello

Stato e della Legge profondamente diversa dalla nostra. In luogo della centralità

della Legge e del Diritto come regolatori del rapporto fra gli uomini, e fra questi e lo

Stato, essi hanno dato vita ad una società che ha privilegiato il concetto dell’autorità

e della gerarchia132. Come il padre nella famiglia, lo Stato ha dei doveri morali verso

i sudditi, dai quali pretende però rispetto e obbedienza, in una divisione precisa e

130

A Prato, il Centro del Comune, la Caritas e la CISL che hanno punti di consulenza che operano in lingua cinese, registrano migliaia di consulenze ogni anno. 131

Rastrelli, Immigrazione cinese e criminalità. Analisi e riflessioni metodologiche, p. 12. 132

ibidem, p. 12.

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gerarchica dei ruoli e dei compiti, il cui rispetto armonioso produrrà benefici e

prosperità per tutti. Il dovere all’obbedienza e quello di ben governare nel rispetto

assoluto delle gerarchie ha dato origine, nella Cina Imperiale, ad una società

governata per più di duemila anni da uno Stato etico ed autoritario, ma anche

fortemente pragmatico, dal momento che qualora l’autorità suprema,

rappresentata dall’Imperatore, non fosse più stata capace di ben governare, questa

sarebbe decaduta, perdendo il suo mandato133.

Questo modo di vedere le cose, ha prodotto esperienze storiche e sociali

profondamente diverse da quelle occidentali.

È infine necessario soffermarsi sull’importanza della famiglia come valore

centrale nella cultura cinese. Essa è una struttura che rappresenta ancora oggi una

realtà forte e dominante che lega decine e decine di individui “in un complesso

sistema di relazioni gerarchiche e di interessi comuni”134.

La famiglia cinese ha una struttura allargata, al di là dell’immagine che

possono averne gli occidentali, nella quale gli individui hanno il rispetto e la

considerazione che gli deriva dal rispettivo ruolo e dove i membri più anziani

esercitano una indiscussa autorità. Alla famiglia spetta anche il compito di

programmare le attività economiche, che sono pianificate per aumentare la

prosperità collettiva135. Il denaro necessario ai progetti familiari è reperito spesso

tra i membri stessi della famiglia o ricorrendo a forme di prestito fra famiglie

133

Per ulteriori informazioni e chiarimenti sulla concezione della società e dello stato nella cultura cinese, vedi W. Idema, L. Haft, Letteratura cinese, in particolare pp. 55-70. 134

ibidem, p. 13. 135

ibidem, p. 13.

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imparentate o originarie degli stessi luoghi, sempre, di norma, con la garanzia della

struttura familiare136.

Dal quadro tracciato si nota dunque che nei cinesi è forte l’intenzione di

inserirsi nella società di accoglienza, ma che allo stesso tempo essi, più di altri,

tendono a mantenere vive e operanti le proprie abitudini ed i propri valori in

conseguenza della loro antica e strutturata cultura. Si evince inoltre come molti

aspetti della cultura cinese siano diversi dai valori occidentali al punto che,

indipendentemente dalle volontà soggettive, si possono creare forti contraddizioni.

Conclusioni

I ragazzi di Wenzhou che cosa sono? Non riescono a sentirsi cinesi fino in fondo una

volta arrivati in Italia, in quanto si innesta in loro un meccanismo di sopravvivenza

che li porta ad adattarsi per non essere più considerati “il diverso”. Adattamento

che coincide con l’apertura verso il paese di arrivo, nel nostro caso l’Italia, e che li

porta ad assimilare parte della cultura nella quale si vengono a trovare. D’altronde,

una delle abilità riconosciute al genere umano tra le più importanti, anche per la

sopravvivenza stessa, è l’adattamento. Ed adattandosi, i ragazzi vanno a perdere in

parte aspetti della cultura d’origine: dimenticano come si scrive in cinese, spesso

non ricordano alcune parole (anche perché la maggior parte di loro in Cina non ha

nemmeno finito le scuole elementari), mettono da parte abitudini o usanze che non

sono conformi a quelle dei ragazzi italiani. E in questo modo, cercano di integrarsi.

Ma si tratta di vera integrazione? O piuttosto di assimilazione alla quale sono

136

Per ulteriori informazioni in merito, vedi: Oriani e Staglianò, I cinesi non muoiono mai.

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obbligati in quanto il luogo che li ha accolti sembra non dimostrare alcun interesse

per la loro storia, per le loro usanze, per i loro costumi, per la loro lingua? La

normativa alla quale abbiamo accennato nel Capitolo 1 non prevedeva forse che lo

Stato di accoglienza di ragazzi immigrati almeno all’interno dell’istituto scuola

dovesse salvaguardare e tutelare la cultura e la lingua di origine dei ragazzi? E allora

perché ancora oggi quello che si verifica nelle scuole italiane non è un

insegnamento interculturale, bensì un insegnamento oltre che passivo da parte dei

ragazzi, anche monoculturale? Basato ovvero quasi esclusivamente sulla lingua e

sulla cultura italiane?

Il prossimo passo da fare è quello di abbattere i pregiudizi. Perché se

un’integrazione è possibile, come abbiamo detto non può realizzarsi se rimane

confinata solo all’interno della scuola e per di più solo sulla base dell’insegnamento

della lingua, bensì deve partire anche dalla società, e il pregiudizio è uno degli

ostacoli più grandi alla sua realizzazione.

Il pregiudizio infatti, è presente nei bambini come negli adulti. Le teorie più

datate tentavano di spiegare la presenza del pregiudizio nei bambini partendo dal

presupposto che le menti dei bambini fossero tabulae rasae su cui venivano incise

le idee degli adulti. Oggi tali teorie sono state confutate; il pregiudizio nei bambini è

presente, ma per motivi diversi. Molte ricerche dimostrano infatti con chiarezza che

i bambini sono attenti già in età estremamente precoce alle distinzioni categoriali

operate nel loro contesto sociale e possono utilizzarle con competenza già in tenera

età137.

137

A. Ceccagno, Migranti a Prato, pp. 167-168.

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Allora il terreno sul quale dobbiamo muoverci è quello di dimostrare ai

bambini (e anche a noi stessi) che sì, esistono distinzioni categoriali, differenze di

pelle e di lingua, di etnia e di cultura; ma queste differenze non devono farci paura.

Perché la paura che dall’alba dei tempi l’uomo ha per il diverso dovrebbe venire

superata attraverso la conoscenza reciproca, per non sentire più, nei corridoi delle

scuole, commenti come: “sei un cinese, puzzi, vattene” oppure “sporco cinese”

oppure “tornatene da dove sei venuto” oppure “hai la pelle gialla perché non ti lavi”

o ancora “tu fai schifo, mangi i cani”…

E infine concludiamo: possiamo davvero affermare che stiamo facendo tutto il

possibile affinché ci sia una piena e completa integrazione?

Abbiamo visto la risposta del Datini, una sorta cioè di “classe ponte” per

attutire l’impatto dei ragazzi cinesi con l’italiano. Ricordiamo come nelle diverse

scuole, le iniziative per l’integrazione siano prese per lo più a discrezione dei singoli

istituti e che sembri non esistere una linea generale su cui si agisce in maniera

collettiva, e soprattutto, collaborativa poiché di fatto (come era accaduto anni fa

per l’insegnamento dell’italiano ai primi ragazzi stranieri), gli istituti agiscono come

meglio ritengono opportuno ed in base alle risorse ed ai fondi che sono messi loro a

disposizione.

Abbiamo visto come, nonostante esista una normativa ben precisa in materia,

i ragazzi stranieri di fatto al loro arrivo in Italia non vengano quasi mai inseriti nelle

classi corrispondenti alla loro età anagrafica.

Abbiamo visto come nelle scuole, che in questa tesi abbiamo definito come il

“primo terreno” su cui si può lavorare per l’integrazione, di fatto manchi l’aspetto

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della valorizzazione e del mantenimento delle culture d’origine (nonostante anche

in questa casistica la legge sia chiara in proposito).

Abbiamo visto come nella normativa in materia, l’immigrazione sia

considerata come un’opportunità per il paese di arrivo e come invece nei fatti esista

e sia ancora palpabile quella paura per il diverso a cui abbiamo accennato

nell’introduzione.

Abbiamo analizzato le difficoltà che i cinesi incontrano e che noi stessi

incontriamo nei rapporti con essi a causa della barriera linguistica e culturale, a

causa della scarsa conoscenza dell’immigrato e della sua storia, a causa del

pregiudizio radicato nella nostra società.

Abbiamo visto come il ritardo nelle scuole probabilmente sia giustificabile se

prendiamo in considerazione il ritardo ben più grande delle istituzioni.

Abbiamo visto come sia effettivamente impensabile un coinvolgimento dei

ragazzi cinesi nelle scuole che si basi esclusivamente sul far loro sentire il senso del

dovere e non sullo stimolare il loro interesse. Abbiamo sostenuto che non possiamo

pretendere che il tentativo di integrazione parta da loro, e che esso diventerebbe

un processo naturale se uscissimo dagli schemi costruiti e superati e trovassimo

modi o vie di comunicazione interculturale pur partendo da due lingue

completamente diverse.

Citiamo inoltre il recente provvedimento proposto in Parlamento138 che vuole

l’istituzione di cosiddette “classi ponte” per stranieri immigrati, isolandoli in tal

138

Vedi testo “Mozione 1-00033 del 14 ottobre 2009. Il provvedimento intende istituire: “classi ponte con corsi di italiano per i piccoli immigrati che non superino prove e test di valutazione”, cioè classi riservate agli alunni stranieri che non parlano o parlano poco la nostra lingua. La Camera, dopo

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modo, sia come problema che come ricchezza e opportunità, dalle classi degli alunni

italiani; che ha incontrato una forte opposizione da parte della maggioranza delle

scuole. Provvedimento che indica la direzione nella quale ci stiamo dirigendo in

merito all’immigrazione negli ultimi tempi.

E citiamo infine la definizione di integrazione, scarna e semplice quanto

effettivamente il suo significato indica: Inserimento in un ambiente o in un contesto,

fusione fra diversi gruppi etnici e razziali139.

Ora a noi la risposta: la scuola e la società italiane stanno davvero facendo

tutto il possibile affinché un’integrazione sia possibile?

“Sono stato io a parlare?

Non ho forse anche ascoltato?”

K. Gibran140

un acceso dibattito, ha approvato il testo (con 265 sì, 246 no e un astenuto) passato però non con il nome di “classi ponte”, ma come “classi di inserimento”. 139

Zanichelli, 1998. 140

K. Gibran, Il profeta.

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80

APPENDICE

1.La Direttiva del Consiglio 77/486/CEE

Direttiva del Consiglio 77/486/CEE

25 luglio 1977

relativa alla formazione scolastica dei figli dei lavoratori migranti

pubblicata in GUCE n. L 199 del 6 agosto 1977

Il Consiglio delle Comunità Europee, visto il trattato che istituisce la Comunità economica europea, in particolare l'articolo 49, vista la proposta della Commissione, visto il parere del Parlamento europeo, visto il parere del Comitato economico e sociale, considerando che nella risoluzione del 21 gennaio 1974 relativa ad un programma di azione sociale il Consiglio ha attribuito la priorità alle azioni volte a migliorare le condizioni della libera circolazione dei lavoratori, in particolari per quanto riguarda l’accoglienza e l'istruzione dei loro figli; considerando che, al fine di consentire l'inserimento dei figli di questi lavoratori nell'ambiente scolastico o nel sistema di formazione dello Stato ospitante occorre che essi possono disporre di un'istruzione adeguata, che comprenda l'insegnamento dello lingua di tale Stato; considerando inoltre l'opportunità che gli Stati membri ospitanti adottino, in cooperazione con gli Stati membri d'origine, le misure appropriate, atte a promuovere l'insegnamento della madrelingua e della cultura del paese d'origine dei figli di questi lavoratori, al fine di facilitare il loro eventuale reinserimento nello Stato membro d'origine,

ha adottato la presente direttiva:

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Art. 1 La presente direttiva si applica alle persone soggette al|'obbligo scolastico, quale definito dalla legislazione dello Stato ospitante, a carico dei lavoratori cittadini di un altro Stato membro, che risiedono nel territorio dello Stato membro in cui detti cittadini esercitino 0 abbiano esercitato un’attività salariata.

Art. 2

Conformemente alle loro situazioni nazionali ed ai loro ordinamenti giuridici, gli Stati membri prendono le misure appropriate perché sia offerta nel loro territorio, a favore delle persone di cui all'articolo 1, un'istruzione d'accoglienza gratuita comporti in particolare l'insegnamento adattato alle esigenze specifiche di queste persone della lingua o di una delle lingue ufficiali dello Stato ospitante. Gli Stati membri prendono le misure necessarie per la formazione iniziale e continua degli insegnanti che impartiscono questo insegnamento.

Art. 3

Gli Stati membri prendono, conformemente alle loro situazioni nazionali ed ai loro ordinamenti giuridici e in cooperazione con gli Stati d'origine, le misure appropriate al fine di promuovere, coordinandolo con l’insegnamento normale, un insegnamento della madrelingua e della cultura del paese d'origine a favore delle persone di cui all'articolo 1.

Art. 4

Gli Stati membri prendono le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva nel termine di quattro anni ai decorrere dalla notifica della medesima e ne informano immediatamente la Commissione. Gli Stati membri comunicano inoltre alla Commissione tutte le disposizioni legislative, regolamentari, amministrative o altre che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

Art. 5

Entro cinque anni a decorrere dalia notifica della presente direttiva e in seguito in modo regolare, su richiesta della Commissione, gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni utili per permetterle di riferire al Consiglio in merito all’applicazione della presente direttiva.

Art. 6

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

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2. Intervista per i ragazzi dell’istituto Datini

1) Quanti anni hai?

2) Da dove vieni?

3) Da quanto tempo sei in Italia?

4) Con chi sei venuto in Italia?

5) È il tuo primo anno qui al Datini?

6) Hai fatto le medie o altre scuole in Italia? E in Cina fino a che età hai studiato?

7) Ti piace l’Italia? Che cosa ti piace? Perché?

8) Hai amici italiani?

9) Cosa fai nel tuo tempo libero, dopo la scuola?

10) Ti manca la Cina? Vorresti tornarci? Vorresti vivere qui in Italia o là in Cina?

Perché?

11) Cosa vorresti fare da grande? Hai un sogno da realizzare?

12) Vuoi continuare a studiare? Se sì, che cosa? Se no, che cosa vorresti andare a

fare?

13) I tuoi genitori si preoccupano di come va a scuola? Ti chiedono com’è andata?

Tu gli racconti quello che fai qui a scuola?

14) Sono contenti che vieni a scuola? Che cosa vorrebbero che facessi nel tuo

futuro? Perché?

15) I tuoi genitori fino a quale età hanno studiato? In Cina dopo la fine della

scuola lavoravano? Che cosa facevano? Che lavoro fanno ora? Tu dai loro

una mano?

16) Hai fratelli o sorelle? Qui in Italia o in Cina?

17) Come ti trovi qui a scuola? Con i compagni italiani e cinesi, con i professori,

sia in classe che qui al corso di italiano?

18) Parlami della tua città, che cosa facevi là? Cosa ti piace della tua città, cosa

non ti piace? Ti piace di più Prato o la tua città di origine? Perché? Cosa

fanno i ragazzi là di diverso da qui? Cosa sai della storia della tua città? Cosa

sai della storia della Cina? Cosa sai della storia dell’Italia?

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19) Eri bravo a scuola in Cina? Ti piaceva studiare? E qui in Italia? Sei bravo?

Qual è la materia che ti piace e che ti riesce di più, e quale quella in cui trovi

maggiori difficoltà? Qual è la materia che ti piace meno?

20) Parla del corso di Italiano: ti è utile? Ti interessa? Ti trovi bene? Quello che

hai imparato in classe lo studi poi anche a casa da solo?

21) Pensieri liberi. Hai miglioramenti da proporre al corso? Se non ti è stato utile,

come pensi che potremmo migliorarlo? Idee, proposte, impressioni

personali.

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ILLUSTRAZIONI

Tabella indicante il numero degli alunni italiani e stranieri, divisi per classi, dell’istituto “F.

Datini” di Prato, anno scolastico 2009/2010.

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ALTRE FONTI

Documentario realizzato a cura del professor Luciano Luongo e del professor

Badeng Surong, Lanterne Rosse: viaggio nell’intercultura, Prato, Agenzia Grafica

Datini, 2009.