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Page 1: LECTURA FUMETTO 3 prova · Una tavola da Watchmen, di Alan Moore e Dave Gibbons Conclusione pag. 65 Il fumetto è “un” linguaggio, visivo Suggerimenti bibliografici pag. 66
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CLAUDIO NADER

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Il presente volume è da intendersi come approfondimento legato a LECTURA FUMETTO - Corso per adulti di Lettura Del Fumetto, tenutosi a Bologna presso la libreria Feltrinelli di piazza Ravegnana il 7, il 14 e il 21 Maggio 2007. La realizzazione di questo volume non ha quindi scopo di lucro ed è la prosecuzione dell’attività didattica e di approfondimento culturale del corso. La stampa del volume è stata realizzata nel Maggio 2007 a Bologna. Il progetto è promosso da:

Associazione onlus La Luna Nel Pozzo

Per informazioni www.lunanelpozzo.org o www.flashfumetto.it Per qualunque commento, dubbio, proposta o puntualizzazione potete scrivere a Claudio Nader all’indirizzo [email protected] oppure andare su www.claudionader.blogspot.com

---------------------------------------------------------------------------------------- L’intero progetto Lectura Fumetto è idealmente dedicato a tutti gli autori che usano questo linguaggio per raggiungere i propri scopi, qualunque essi siano. Claudio Nader

Bologna - Maggio 2007

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Sommario Introduzione pag. 5

Capitolo 1 Parole e Immagini pag. 7 Saper leggere le parole e non saper leggere le immagini Percorsi guidati e percorsi soggettivi Un’immagine dopo l’altra: il discorso visivo, tra indizi e particolari Sensi di marcia e precedenze di lettura nel fumetto

Capitolo 2 Immagini in sequenza e Svolgimenti visivi pag. 23 Lo spazio del fumetto è tempo, di lettura Scenografie in esposizione. Vivere l’ambiente Fumetto muto e lettura attiva

Capitolo 3 Parole visive e Grammatica del fumetto pag. 39 Le parole entrano nel linguaggio visivo (balloon, didascalie, onomatopee) Immagini, parole e non solo: Partiture visive Altri esempi di grammatica del fumetto

3 esempi di lettura pag. 57

Una tavola da Il commesso viaggiatore, di Seth

Una tavola da Durasagra-Venezia über alles, di Paolo Bacilieri Una tavola da Watchmen, di Alan Moore e Dave Gibbons

Conclusione pag. 65

Il fumetto è “un” linguaggio, visivo

Suggerimenti bibliografici pag. 66

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Introduzione È importante chiarire immediatamente alcune cose. L’idea che sta dietro alla realizzazione di queste pagine è raccontare a persone non abituate a leggere fumetti qualche cosa che possa aiutarle a trovare stimolo nel farlo. Spiegare, a chi è abituato a leggere “solo” parole, che cosa vuol dire leggere le immagini, il fumetto e i suoi sviluppi. Per questo motivo il movente di queste pagine non è approfondire in maniera globale tutto quello che sta sotto l’espressione “lettura delle immagini”, tema su cui molto è stato scritto e detto da studiosi di vari ambiti, bensì fornire alcuni piccoli strumenti ed esempi che possano essere un primo passo verso una comprensione più ampia delle opere a fumetti, a partire dall’eliminazione di pregiudizi e incertezze per arrivare a comprendere anche complessi e variegati sviluppi. Quali sono, quindi, i limiti di questo testo? Chiaramente da queste pagine sono escluse tante analisi che si potrebbero fare legate al mondo del fumetto, passato e contemporaneo e che in opere di notevoli studiosi sono in parte state trattate con precisione e attenzione (opere cui accenneremo, comunque, durante il nostro percorso). Non si faranno, per esempio, analisi di carattere storico, non si analizzerà il linguaggio del fumetto nelle sue articolate manifestazioni, non si parlerà di “un” tipo di fumetto e nemmeno dei variegati “generi” del fumetto. Non si parlerà delle tecniche di produzione ma nemmeno degli strumenti con cui si realizzano fumetti. Non si parlerà di disegno, di sceneggiatura o di personaggi famosi. Non si parlerà degli autori ma dei Lettori.

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Parole e immagini

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In tutte le scuole, a partire dall’istruzione elementare, si insegna a leggere. Ma a leggere cosa? Lo so, la domanda è superflua: si insegna a leggere parole. Cos’altro si potrebbe imparare a leggere? Effettivamente la letteratura porta avanti la cultura ed è attraverso il linguaggio che si propagano la memoria e l’esperienza. Giusto? No. O almeno non solamente. Le parole non sono l’unica cosa che permette di comunicare e lo sappiamo tutti. Sappiamo che l’arte visiva, la musica, la fotografia, il cinema, il fumetto, ecc possono essere ottimi strumenti di comunicazione e sono frutti culturali come la letteratura, eppure nelle scuole, salvo rare eccezioni, non si insegna a leggere le immagini. Le immagini si guardano, non si leggono. Infatti negli anni in cui a scuola si affrontano analisi logica e grammaticale non si perde certamente del tempo per analizzare immagini. Nessuno a scuola ha fatto analisi grammaticale delle immagini. È un peccato che si dedichi tempo alla lettura di parole e parole in libri di ogni formato e alle immagini si dia il solo compito di emozionarci, con il colore, con il disegno, con le luci e con le ombre. È un peccato che non si organizzi una didattica per insegnare a decodificare le immagini, come invece si fa per quello che riguarda il sistema delle parole, con tutto il bagaglio di grammatica, lessico e analisi di composizione delle frasi. Qualcuno ricorda di aver occupato anche solo qualche pomeriggio di tempo per analizzare quadri, sculture, fotografie o altri tipi di immagini? Eppure nella vita quotidiana noi tutti siamo continuamente attorniati da immagini di vario tipo e create per vari scopi, siano essi pubblicitari, promozionali, divulgativi o altro. Per ridimensionare il problema della comunicazione senza frontiere l’uso delle immagini è molto intenso poiché, per esempio, è possibile tramite simboli o altre immagini semplici arrivare a persone di tutti i paesi del mondo senza necessità di traduzione linguistica. Inoltre tutto il fenomeno pubblicitario mondiale si basa massimamente su linguaggi visivi che riescono mediamente a svolgere il proprio scopo anche perché manca, nelle persone, la capacità di decodificazione dei linguaggi visivi. Cosa ci si aspetta dalle immagini? Normalmente si è portati a pensare che le immagini siano da guardare e quindi ci si aspetta di vedere una “bellezza” che colpisca, di vedere un effetto speciale che attiri senza sforzarsi. Non si dedica a un manifesto pubblicitario per la strada una grande attenzione, ed è per questo motivo che le pubblicità devono essere forti e brillanti. Forse ci si potrebbe accorgere che la pelle di quella modella o di quel modello è troppo liscia e perfetta per essere vera e si potrebbe quindi evitare di paragonarla alla

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propria, perché, per esempio, le immagini pubblicitarie sono sempre composte per mezzo di trucchi e modificazioni che le portano alla perfezione visiva, così da diventare credibili agli occhi di chi le guarda e ci si paragona. Ma a cosa servono le immagini? Le immagini non sono decori più o meno riusciti, sono i frutti di un linguaggio. E quindi comunicano qualche cosa in qualche modo. Forse non è semplice capirlo, ma è così.

Saper leggere le parole e non saper leggere le immagini Spesso si sente dire che nel novecento l’arte è morta. Si sente dire che l’arte contemporanea non è arte, perché in altri periodi gli artisti componevano opere di cui tutti possono vedere la bellezza mentre oggi, o appena ieri, a inizio novecento, le opere d’arte non sono più “belle” o “fatte bene”. Questo è un punto di vista. Vengono fatti confronti tra le immagini antiche, come le pale d’altare che, pensate per il popolo, erano rese semplici da guardare e potevano arrivare a tutti, ben più delle parole, soggette allo sviluppo settoriale dell’alfabetizzazione del tempo. È vero però che quelle immagini erano pensate apposta, come i fotoromanzi che si sviluppano oggi in circuiti a basse pretese o certe trasmissioni televisive o certe canzoni, semplici, che arrivano a tutti. In realtà, per esempio nel Rinascimento, le immagini si sviluppavano su più livelli diversi: uno solo era pensato per le persone che non conoscevano il linguaggio scritto. Un altro si sviluppava attraverso reti di simboli e richiami ad opere precedenti, a questioni filosofiche e a dibattiti culturali del tempo; quella parte, più complessa, veniva compresa e “letta” solo da alcuni. Questa è la differenza. Eppure spesso si considera “per adulti” il linguaggio delle parole e “per bambini” quello delle immagini. Ecco il nostro problema. Ovvero la questione, da approfondire. Si pensa, per esempio, che un libro senza immagini sia per adulti e un libro illustrato per bambini perché le immagini si guardano, non si leggono, quindi anche i bambini, che non sanno “leggere”, possono seguire la storia. È questa l’idea. Infatti i bambini, crescendo, smettono di “guardare” quei libri e imparano a leggere le parole.

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Questo accade perché imparano a riconoscere i punti, le virgole, le divisioni in paragrafi e il resto della grammatica letteraria a scuola. È per questo che, poi, “da grandi” possono leggere romanzi e racconti anche perché hanno conosciuto un certo numero di parole. Quelle che gli hanno insegnato o che hanno ascoltato nella crescita. Questo è un bene. Questo per dire che è più che normale saper leggere le parole. Eppure ci sono libri “a parole” difficili per via delle parole usate o di complesse strutture delle frasi, libri di saggistica più o meno tecnici ed approfonditi e altri tipi di libri non simili a romanzi noir, d’avventura, a storie d’amore, ecc… Spesso si ritengono buoni scrittori, per esempio, quelli che riescono a farsi capire perché usano parole semplici e scrivono frasi lineari che possono facilmente essere seguite da chiunque abbia avuto un’istruzione scolastica media. Questo, tra l’altro, è più che ragionevole, poiché è una virtù rilevante quella di saper parlare in maniera semplice di cose magari complesse. Ma alcune cose complesse esigono di essere espresse in maniera complessa. E’ più che logico accorgersi di non avere gli strumenti per leggere un testo troppo specifico in un certo argomento, per chiunque. Non è certo possibile approfondire ogni ambito del sapere umano. E allora come mai, di fronte ad una immagine, più o meno complessa, ci si limita a dire se emoziona o no, senza considerare la possibilità di non saperla leggere? Purtroppo è più che normale non saper leggere le immagini.

Percorsi guidati e percorsi soggettivi La differenza più evidente che esiste tra la lettura di parole in prosa e la lettura di immagini sta nel fatto che le parole vanno seguite e, a seconda di ciò che raccontano, portano a compimento un discorso così come l’autore del discorso si prefigge, mentre, le immagini vanno “navigate”, poiché non sempre nelle immagini c’è un elemento che va letto prima e uno che va letto dopo, non essendoci una sola riga di lettura ma piuttosto un’unica proposta visiva che si sviluppa in più direzioni. In un’immagine si può vedere istantaneamente una scena che a parole potrebbe richiedere, per esempio, dieci righe di descrizione. La differenza è questa. Un’immagine richiede un certo grado di attenzione e curiosità al lettore, che non può quindi leggere una parola dopo l’altra, ma deve decidere come navigare tutta la scena.

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Per questo motivo se in una storia troviamo una descrizione di due pagine che racconta, precisamente, tutti gli elementi che incorniciano la porta di una cattedrale, questa descrizione ci risulta lunga e meticolosa, ma se in una immagine vedessimo quella stessa porta, con gli stessi elementi intorno, ci risulterebbe molto meno faticosa come lettura, tanto che la “guarderemmo” velocemente senza approfondire troppo la conoscenza di quegli elementi. In questo caso è più facile, per lo scrittore, mostrare ai lettori quel che lui vuole mostrare piuttosto che per il pittore. Le persone sono abituate a guardare un’immagine come se leggessero un libro. Ovvero cercano nelle immagini una storia, una vicenda, dei personaggi. Un’azione che succede. Un evento. Si aspettano di vedere un racconto. Si aspettano di vedere una cosa che potrebbero tradurre nella propria testa in parole: questo personaggio va ad aprire questa porta, questo personaggio guarda il paesaggio, il paesaggio è grande e gelido, ecc… Facendo questo non ci si rende conto del fatto che si tralascia la maggior parte della comunicazione per immagini, con tutto il suo bagaglio di simbolismi, di colori, di rapporti tra le masse delle figure, ecc… Per questo qualche cosa di molto “contemporaneo”, che rischia spesso di non aver nessuna somiglianza con un racconto scritto, sembra, a molti, completamente senza senso. Oppure, ancora, il rapporto che tante persone riescono ad avere con le immagini si limita alle espressioni “mi emoziona” o “non mi emoziona”, togliendo ancora una volta all’immagine la sua capacità comunicativa strutturata da anni di tradizioni. È normale, certo, che un’immagine, al primo impatto provochi una qualche reazione, poiché si mostra allo spettatore tutta in un momento, senza preavviso, ma questo non vuole assolutamente dire che la sua valenza comunicativa si esaurisca con il primo impatto. Eppure questa considerazione è normale. Normale, poiché da nessuna parte è scritto come si leggono le immagini. Certo, esistono tantissime opere di approfondimento, a vari livelli, che rischiano però sempre di non arrivare a tutti e di rimanere opere per gli addetti ai lavori, senza eliminare quindi i fraintendimenti generali e generici. Queste cose si spiegano mediamente a due livelli: agli “addetti ai lavori” attraverso testi di vario tipo e percorsi di studi massimamente settoriali e ai bambini, attraverso seminari, corsi, visite a musei ed esercitazioni pratiche di vario tipo. È chiaro che ai bambini può arrivare un certo quantitativo di informazioni che, se non coltivato, rischia però inesorabilmente di scomparire nella crescita. Forse si dovrebbe insegnare agli adulti in genere anche l’aspetto visivo della comunicazione e non solo quello letterario.

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Donna che piange. Pablo Picasso Ad esempio, un autore molto conosciuto è senz’altro Pablo Picasso ma, anche se è universalmente considerato un genio dell’arte moderna non sono molte le persone che riescono a capire il perché, fuori dai due ambiti di studiosi e di bambini (che spesso riescono a godere delle opere di Picasso liberamente come di quelle di altri autori). Questo perché? Probabilmente perché l’opera di Picasso non viene spiegata e quindi le persone si trovano di fronte ad immagini di personaggi per loro “deformi” senza capire dove stia la bellezza. Il punto è questo. Si cerca la bellezza in un

linguaggio, quello visivo, che ha tanti altri scopi oltre quello di creare cose belle. Henry cleaning his glasses. David Hockney Un autore e studioso inglese, molto lucido, ha proposto una interpretazione molto intelligente dell’opera di Picasso e l’ha spiegata ancora meglio attraverso alcune sue opere fotografiche, come quella che vediamo. Hockney ha sostenuto che il punto più importante della tecnica di Picasso è il comporre un’immagine che descriva il meccanismo della visione di un soggetto da parte del pittore in maniera realistica. Ma realistica non perché risulta simile alla resa fittizia della fotografia bensì realistica perché descrive, istante dopo istante, il guardare dell’autore e il suo tentativo di ritrarre la propria visione. Facendo questo Picasso, lui dice, ha introdotto nella pittura un elemento

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nuovo: il tempo di percezione del soggetto da parte dell’autore, che quindi non vede nello stesso istante tutta la figura da ritrarre, ma piuttosto ne osserva diversi aspetti in relazione al proprio tempo umano di osservazione e realizzazione dell’opera. Questo ha fatto lo studioso nell’opera che vediamo, in cui “Henry pulisce i propri occhiali” e in cui noi possiamo percepire lo scorrere del tempo in cui l’autore ha osservato Henry. Abbiamo quindi la resa visiva di tutta l’osservazione in una immagine sola che appare frammentaria. Da notare che l’unica frase che è possibile tradurre precisamente in parole è quella che compone il titolo.

Phosphorescence. Jackson Pollock Questo dipinto, che a prima vista potrebbe essere classificato nell’ambito della pittura astratta, data l’assenza di figure riconoscibili e la miscela del colore, non è, per la storia dell’arte, importante per il suo aspetto fisico, per il suo aspetto visivo o la sua resa del colore o ancora le capacità pittoriche dell’autore. Questo dipinto fa parte della produzione di un pittore molto importante del novecento che ha introdotto un elemento nuovo nella cultura dell’arte visiva, una tecnica definita Dripping, letteralmente “sgocciolare”, che sposta l’attenzione dal quadro al modo in cui è fatto il quadro. Il procedimento è simile ad una danza rituale in cui il pittore, appoggiata una grande tela in terra, si lancia ad occuparla con il colore. Non esiste più la distinzione tra pittore e tela da cavalletto, poiché la tela

diventa uno spazio anonimo, che non si differenzia troppo dal pavimento sul quale “danza” o cammina l’autore. Il problema non è comporre una bella immagine ma lasciare il segno di una liberazione, di un’energia umana. La tela diventa il supporto in cui lasciare i segni della vitalità dell’autore. Questa immagine non si può vedere come immagine bella o brutta e non si può dire se l’autore sia un bravo pittore oppure no. E’ un utilizzo della comunicazione visiva

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diverso e non vi si può trovare una storia, dei personaggi che fanno qualcosa o delle azioni traducibili in parole. Questo è un altro esempio di utilizzo del linguaggio visivo.

Un’immagine dopo l’altra: il discorso visivo, tra indizi e particolari Abbiamo visto come alcune immagini possono sviluppare la loro comunicazione attraverso strade variegate, da osservare ed approfondire. Ora vedremo un altro utilizzo dell’immagine, l’utilizzo “narrativo”, quello che permette, almeno in parte, di tradurre nella propria testa le immagini in parole. Vedremo che cosa succede se si cerca di complicare un po’ le cose, accostando più immagini tra loro che danno vita ad un racconto. Una sequenza di immagini è già un linguaggio molto articolato.

Il tributo della moneta - Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine Firenze. Masaccio Prendiamo in esempio un’opera di Masaccio, grande pittore italiano del ‘400. Masaccio, nella Cappella Brancacci, oltre ad affrescare uno alla volta vari momenti della storia che racconta, compone anche questa immagine unica, approfittando di uno spazio pittorico lungo, a striscia, che si differenzia dagli altri di forma quadrata. La vicenda è questa: Gesù, con il suo seguito, giunge all’entrata di un paese, dove incontra il “doganiere”, che richiede un obolo, un pagamento, per entrare tra le mura, così Gesù indica a Pietro il mare dicendo di prendere dalla bocca di un pesce la moneta per il pagamento. Pietro recupera la moneta e paga l’entrata in città. Possiamo quindi leggere le tre immagini, che sono i tre momenti della vicenda che scandiscono il tempo di narrazione. La complessità sta nel fatto che ogni immagine va letta singolarmente, con tutto il suo bagaglio di comunicazione visiva, e insieme alle altre, poiché parte di un unico racconto.

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Così si possono già vedere le tre zone delle azioni, ottimamente delineate. Partendo da sinistra, leggiamo il momento in cui Pietro recupera la moneta, incorniciato dalle semplici masse di colore della terra e del mare, nel vuoto in cui si trova, in solitudine, nel fare questa cosa. Al centro la grande massa degli avventori, al seguito di Gesù, rimane incorniciata dalla cortina di monti aridi che probabilmente ha attraversato per arrivare in quel luogo, impiegando sicuramente molto tempo, data la quantità di montagne (è addirittura collegata, a sinistra, alla successione di alberi spogli che indica il percorso affrontato). Sulla destra vediamo l’unica immagine incastonata nel profilo dei palazzi del paese e lascia soli Pietro e il “doganiere” a concludere l’affare che permetterà a tutti di salire quegli scalini che sono il passaggio ufficiale, dall’esterno all’interno, dal naturale al costruito.

Promethea. Alan Moore, J.H. William III, Mick Gray Ora facciamo un altro passo avanti, arrivando a questa doppia tavola di fumetto, tratta da una raffinata storia che si occupa, tra le altre cose, di magia. Il volume in questione si sviluppa in verticale e qui lo vediamo aperto sulle due tavole con lo spazio della rilegatura nel mezzo.

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Questa sequenza è un ottimo esempio di come può essere usata una successione di immagini, tra resa visiva dello spazio della vicenda, organizzazione registica del racconto e differenziazione tra interno ed esterno. Avviando la lettura di questa tavola vediamo, in alto a sinistra, due unità futuristiche della polizia che nella notte controllano la città con le proprie luci e una delle due unità ci sottolinea visivamente la altissima scala a chiocciola che rasenta il palazzo e che la protagonista ha evidentemente salito per arrivare alla porta della proprietaria dell’appartamento. Proprio lì, nel punto in cui le due donne si incontrano comincia il dialogo, che prosegue all’interno dell’appartamento, situato visivamente all’interno delle mura del palazzo. Il passaggio da esterno a interno è descritto sia dalla silhouette del palazzo che è la struttura portante della tavola, sia, narrativamente, dall’inquadratura sulla porta chiusa vista dall’interno della prima vignetta interna. Ora leggiamo ciò che accade dentro all’appartamento e quando terminiamo la prima pagina iniziamo la lettura della seconda senza poter uscire dal palazzo, visivamente incorniciato dal decoro quadrettato e seguiamo ancora il dialogo tra le due donne che termina quando la padrona di casa spinge fuori dalla porta la protagonista del libro. Così ci troviamo all’esterno, nella notte ancora pattugliata dalla polizia, seguendo le parole della ragazza che vediamo, al termine della tavola, in fondo alla scala che prima aveva salito e che ci riporta all’esterno. Berlin. Jason Lutes Passiamo ancora a questa sequenza per avere un esempio di quello che possiamo chiamare “indizio visivo” e dell’uso del particolare ai fini della narrazione. Questa sequenza, estratta dal contesto narrativo, racconta semplicemente l’entrata di un uomo (il protagonista, di spalle) nell’ufficio di un altro. Se ci limitassimo a leggere le parole contenute nei balloon e a dare una veloce occhiata alle immagini perderemmo la maggior parte delle informazioni per cui questa sequenza è concepita, a partire dal rapporto tra i due uomini fino ad arrivare alle abitudini e alle caratteristiche dell’uomo alla finestra. Avviando la lettura veniamo introdotti nella stanza attraverso l’uomo di spalle, che è il nostro protagonista, trovandoci in un ufficio disordinato e trasandato, almeno dalla

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parte del proprietario. Un ufficio saturo di indizi e particolari che definiscono lo spessore del personaggio. Così possiamo cominciare a leggere l’immagine, a partire dalle carte gettate per terra, passando per le tazze sparse in giro per la stanza che sottolineano la sedimentazione di oggetti usati in vari giorni, arrivando ad un elemento come il telefono, che l’uomo tiene proprio accanto alla propria sedia e che ci suggerisce la scarsità di occasioni che ha di alzarsi dalla sua scrivania e smettere di lavorare. Vari altri oggetti ben visibili contestualizzano la situazione come farebbe, diversamente e in maniera più lineare, una descrizione a parole. Eppure tra tutti i particolari uno si è guadagnato tre vignette specifiche: il grande quantitativo di sigarette spente presente nella stanza, nel posacenere vicino alla finestra, in quello tra i libri a destra o addirittura in quello ricavato da una tazza usata chissà quanti giorni prima. Ciò ad indicare la grande presenza di fumo nella stanza che, in vignette seguenti, porterà il protagonista, che pure è un fumatore, a strofinarsi gli occhi per alleviare il bruciore. Informazioni fondamentali, da leggere con cura. Pyongyang. Guy Delisle L’ultimo esempio di questo capitolo è tratto da un libro che si presenta come “reportage” di un viaggio di lavoro a Pyongyang, in Corea del Nord. L’autore, oltre a narrare abitudini degli abitanti e curiosità sul proprio lavoro di supervisore all’animazione per una serie animata, spiega come la dittatura presente in quei luoghi influenzi persone, luoghi e convenzioni sociali. In questa tavola mostra come vengono gestiti dal governo del regime gli aiuti umanitari giunti in caso d’emergenza, attraverso diversi strumenti propri del linguaggio fumetto. In primo luogo, lui stesso si rappresenta mentre cammina per le sale di un palazzo avviando una sequenza di approfondimento che si sviluppa, vignetta dopo vignetta, tramite la semplice

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curiosità di guardare dentro alle sale, trarre informazioni e stimoli ed infine uscirne dopo aver chiarito la situazione interessata. È così che il nostro protagonista, parlando di regime e gerarchie sociali, si trova davanti ad un grande tavolo nero, asettico, incorniciato da sedie altrettanto rigide che sottolineano la sensazione di una èlite al potere e della conseguentemente scarsa apertura alle esigenze del paese. Proseguendo l’autore si avvale di uno strumento divulgativo molto funzionale, ovvero uno schema, un piccolo grafico che spiega tecnicamente la spartizione del cibo attraverso i vari strati gerarchici del paese e permette di comprendere con grande chiarezza l’uso dittatoriale che il regime ne fa, spartendolo in quantità minori o maggiori a seconda dell’attaccamento al governo delle persone, arrivando infine a creare quasi un piccolo simbolo, che rapidamente riassume il fenomeno della gestione delle risorse. L’utilizzo di un grafico di questo tipo è perfettamente possibile all’interno del linguaggio del fumetto, poiché rimane elemento visivo. Lo stesso tipo di grafico, all’interno di un libro “a parole” inevitabilmente bloccherebbe il corso delle parole e renderebbe le informazioni in maniera meno fluida. In ultimo, dopo questa scoperta e questa informazione acquisita, il protagonista esce dal settore del palazzo in cui si trova per proseguire la sua passeggiata e approdare ad altri sviluppi del reportage. Parole e immagini, entrambe usate in diversi modi, dai più descrittivi, ai più divulgativi ai più tecnici, vengono assortiti e gestiti con efficacia attraverso lo svolgersi grammaticale del fumetto.

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Sensi di marcia e precedenze di lettura nel fumetto A volte capita di sentir dire da qualcuno, a proposito del leggere fumetti, di non trovarsi a proprio agio per la difficoltà di capire se bisogna leggere prima le parole o le immagini, e per la difficoltà di capire l’ordine delle vignette. Pare che ci si possa, talvolta, trovare nel dubbio di non sapere quale vignetta bisogna leggere dopo quella appena letta e addirittura qualcuno fa confusione tra le didascalie e i balloon (le “nuvolette” che contengono le parole), non distinguendo precisamente le parole contenute nelle didascalie dalle altre, contenute nei balloon o ancora disegnate libere nello spazio in veste di onomatopee. Queste difficoltà sono a volte eliminate dalla semplicità di certe opere. Certo fumetto è pensato e realizzato proprio con l’intento di non creare difficoltà di lettura, di agevolare il lettore eliminando ambiguità narrative, visive e addirittura rendere la successione delle vignette in un modo, definito dalla parola “griglia”, che si ripete nel corso della narrazione in maniera il più possibile regolare. In certi casi si possono addirittura trovare, tra una vignetta e l’altra, delle piccole frecce che indicano il percorso di lettura agevolando lo scorrere sicuro della storia ed eliminando le sottigliezze di linguaggio. L’attenzione alla semplicità di lettura si trova ovviamente in ogni ambito, da quello televisivo, cinematografico, letterario, musicale, fotografico, ecc… ed è ciò che spesso crea quella distinzione critica tra opera “d’autore” e opera “popolare”. Senza entrare ovviamente nel merito delle altre discipline citate, possiamo fare alcuni esempi di carattere fumettistico, che vanno da Walt Disney (con il suo target principalmente per bambini e giovani) ai lavori della Sergio Bonelli Editore (Dylan Dog, Tex, ecc..), al fumetto supereroistico in genere (pur con variegate eccezioni) e tanto altro materiale che viene distribuito nelle edicole e che si rivolge quindi ad un vasto pubblico. Un altro esempio, pur marginale, a livello di produzioni, è quello del fotoromanzo, variante del linguaggio del fumetto poco utilizzata in Italia come in altri paesi ma nuovamente caratterizzato da eccezioni di diverso tipo che hanno dato esiti molto interessanti e complessi nella produzione fumettistica mondiale. Di contro, ci sono contesti, come quello dei Manga (ovvero i fumetti giapponesi), così diversi come tradizioni e come scopi, in cui le vignette sembrano spesso difficili da leggere e le tavole difficilmente fanno avvicinare un certo tipo di lettori. Alcune regole di base vengono però seguite da ogni autore in ogni paese. Con le dovute eccezioni. Esistono delle precedenze di lettura, dei veri e propri sensi di marcia a cui è possibile attenersi per risolvere dubbi o incertezze della lettura. Di contro, ovviamente, esistono casi limite in cui gli autori si permettono giochi particolari a cui faremo qualche accenno. A livello base le “regole” da tenere a mente sono due.

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Un fumetto si legge: - da sinistra verso destra - dall’alto verso il basso

Attenzione, queste sono le precedenze in ordine di importanza; si legge in orizzontale, poi si scende e si continua in orizzontale, in questo la logica è simile a quella letteraria. Questa puntualizzazione sembra banale. Lo è, di fatto, ma questo non vuol sempre dire che sia facile da seguire per tutti. I tipi di fumetto sono molti e il linguaggio è usato in tante maniere diverse, per cui non sempre è ovvio per tutti capire in che senso bisogna leggere. Questo lo vedremo attraverso numerosi esempi. I sensi di marcia sono da tenere a mente anche di fronte al semplice dubbio tra leggere prima parole o immagini. Vedremo che procedendo nel senso di lettura si incontrano nel giusto ordine immagini, balloon, onomatopee (i suoni nello spazio) e tutto quello che contiene informazioni narrative che gli autori vogliono far arrivare ai lettori. L’esempio che abbiamo visto, tratto da Promethea, è già un esempio di utilizzo del fumetto che può creare dubbi di lettura. Inoltre è noto che il fumetto di produzione giapponese si sviluppa, come è ovvio, in senso inverso, cioè da destra verso sinistra ma non dal basso verso l’alto. Mi dilungo a specificare queste “regole base” del linguaggio perché solo superando questo passaggio si può avere la possibilità di approfondire senza problemi e arrivare alla decodifica di tecniche, soluzioni e svolgimenti visivi molto articolati, a cui arriveremo in questo percorso. Infine ci sono casi in cui gli autori compongono tavole che si leggono in cerchio, magari sia in senso orario che antiorario o ancora esistono tavole che possono essere lette a proprio piacimento, vale a dire che non è necessario seguire i sensi marcia comuni poiché raccontano vicende che accadono disordinatamente in un ordine temporale variabile, come alcune carrellate particolari di luoghi o persone che compongo un tipo di tavola più vicina, per certi versi, al lavoro di David Hockney che abbiamo visto piuttosto che alle sequenze temporali classiche del fumetto.

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Immagini in sequenza e svolgimenti visivi

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Arriviamo quindi a parlare di fumetto. A leggere non solo delle immagini bensì delle sequenze di immagini, dei veri e propri “svolgimenti visivi”. Svolgimenti narrativi con una loro grammatica, basata sull’utilizzo dell’immagine in sequenza.

Lo spazio del fumetto è tempo, di lettura

Una delle caratteristiche peculiari del fumetto sta nella sua capacità di creare tempi di narrazione, ritmi e passaggi temporali, attraverso lo spazio. Attraverso la successione delle sequenze lo spazio diventa tempo. Mi spiego meglio: quando si vede un film si sa che in un dato tempo, che sia un’ora e mezza, tre ore o quindici minuti si arriverà alla fine e lo stesso vale per il teatro o ancora per la musica ma non vale per la letteratura e per il fumetto. Quando si apre un libro, che contenga parole o immagini, non si sa quanto tempo ci vorrà per arrivare alla fine. Per questo motivo un libro, qualunque tipo di libro, può “finire” in poche ore o durare molti mesi e ciò permette al lettore di fare un’esperienza con tempi personali; perché far durare un film di un’ora e mezza un mese vuol dire interromperlo e farlo ripartire diverse volte, rovinando il corso dell’opera che, per sua natura, si sviluppa entro un certo tempo mentre il fumetto non ha un tempo, ha solo uno spazio, lo spazio fisico del libro. Inoltre il fumetto è fatto di ritmi, tra vignette e spazi, e “suggerisce” il tempo della vicenda che narra, attraverso ripetizioni visive, successioni di vignette, spazi vuoti e spazi frammentati. Questo è il punto: ritmare lo spazio. Non sempre questa caratteristica riesce ad essere compresa e difficilmente se ne godono gli effetti, a partire dalle conseguenze principali di questa caratteristica: la possibilità di una lettura in tempi personali, non dettati dalla composizione fisica dell’opera bensì unicamente dalle necessità percettive personali di ognuno e la strutturazione di un tempo narrativo potenzialmente aperto a diverse interpretazioni.

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Per spiegare questo fenomeno, riducendolo al minimo, Scott McCloud, nel suo saggio “Reinventare il fumetto” ha proposto il seguente esercizio:

Questo è il meccanismo. Se si sfoglia un libro a fumetti, ci si muove nel tempo, attraverso lo spazio. Questo, quindi, cosa comporta? Comporta una grande libertà personale nell’interpretazione delle sequenze degli svolgimenti narrativi nelle opere fumettistiche. Prendiamo ancora in esame un particolare del libro di Jason Lutes e ci troviamo di fronte ad una soluzione esemplare che propone nello spazio di un’unica vignetta il tempo di una lunga sequenza, in cui un insegnante di disegno in una accademia tedesca del periodo della repubblica di Weimar osserva i lavori di 14 studenti, esprimendo il suo schietto e duro parere su ognuno di loro.

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Berlin. Jason Lutes I tempi contenuti sono vari: il tempo in cui tutti i ragazzi mettano i loro cavalletti in quelle posizioni, il tempo in cui il professore osservi singolarmente ogni disegno e il tempo delle reazioni dei giovani, che osservando possiamo intuire, immaginare o supporre. In un ambito, per esempio, cinematografico, tutto questo richiederebbe molto tempo strutturato nella ripetizione di una stessa azione 14 volte e nel cinema, nel tempo visivo del cinema, la fissità di un’azione ripetitiva difficilmente può funzionare senza annoiare. In questo caso, invece, è tutto nelle mani del lettore, che rimane comunque

aiutato dalla spirale che compongono i baloon e che sottolinea il ruolo catalizzatore dell’insegnante e lo spietato effetto del suo commento sui giovani disegnatori. Blankets. Craig Thompson Troviamo un altro esempio in questa tavola che si svolge tra le pieghe di una coperta che la protagonista femminile del libro ha fatto a mano per il protagonista maschile, Craig, il quale, stupito e curioso, si ritrova ad osservare uno ad uno i tanti frammenti diversi della coperta notandone i particolari e presumibilmente le differenze tattili. La sequenza quindi si svolge fuori dal tempo normale di una storia e si immerge nel tempo intimo dei due innamorati che parlano di loro, delle stoffe e di come alcuni disegni rappresentati nella coperta facciano parte dei ricordi di lei, della sua infanzia. Un momento di grande intimità e complicità narrato in un’unica tavola.

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Scenografie in esposizione. Vivere l’ambiente. Una delle conseguenze di questa caratteristica del tempo nel fumetto è che ogni paesaggio, ogni ambiente e ogni particolare che è parte di un fumetto può essere letto in tempi personali, senza che questo snaturi l’opera. Alcune volte è proprio la curiosità a permettere di scoprire particolari poco visibili e di godere di letture appassionate.

Blacksad. Dìaz Canales, Guarnido Questa porzione di tavola, magnificamente disegnata, è satura di elementi che ci fanno godere degli spazi in cui si svolge la sequenza come ad esempio all’estrema destra in alto quella statuetta che sembra essere un trofeo di baseball e che ci sottolinea forse una passata attività del protagonista.

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O ancora le altre statue, i libri e i fogli, il temperamatite, la sedia con il cuscino, le sigarette, il tutto situato nella parte della stanza oltre la scrivania, quella, per capirci, che dovrebbe essere preposta al lavoro. Dalle didascalie, che mimano il pensiero del protagonista, veniamo a sapere che da molto tempo ormai lui non si dedica alla propria attività in maniera regolare e ciò viene sottolineato anche dal luogo a cui è appoggiato ora, cioè dall’altra parte della scrivania, quella dedicata a chi in quell’ufficio non è di casa. Lui stesso è decentrato nel suo ambiente. Nella seconda vignetta vediamo, quasi al centro, l’elemento attorno al quale ruota la sequenza: un giornale che parla dell’assassinio di una attrice e sul quale è appoggiato un bicchiere da cui il protagonista ha probabilmente bevuto. La bottiglia è lì, accanto a lui. Una scenografia complessa e dettagliata. Ricapitoliamo: Lo spazio diventa tempo attraverso il normale senso di lettura. Seguendo la lettura di un fumetto ci si trova di fronte a tutte le immagini e tutte le parole che compongono il pieno scorrere dell’opera. Allo stesso modo lo scorrere della lettura attraversa le vignette, i rapporti tra le vignette e, cosa fondamentale, delinea il tempo dello svolgersi della storia. Se i nostri occhi si spostano da sinistra verso destra percorrono già il tempo dell’opera e così facendo vengono percepite le zone vuote di certe immagini (che magari mostrano un personaggio o un oggetto all’estrema destra) come tempo di attesa, tempo in cui lo sguardo percorre lo spazio necessario per vivere il tempo della narrazione. Tutto ciò contribuisce al delineamento di una libertà nel tempo di lettura, che permette ad ognuno di fare una esperienza in tempi personali.

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Fumetto muto e lettura attiva Forse non tutti sanno che un libro a fumetti può anche essere muto. Muto. Come qualche cosa che non emette suono, come se non ci fossero parole da ascoltare, cioè, a fumetti, un libro che non contiene parole scritte, che nel fumetto sono quelle che suggeriscono suoni e frasi da ascoltare. Il fumetto muto è quel tipo di fumetto che non necessita di traduzione linguistica, che può essere pubblicato in molti paesi senza difficoltà o adattamenti particolari. Il fumetto muto può contenere un solo tipo di parole, le onomatopee. Oppure può non contenere alcuna parola e rendere il suono in maniera diversa.

Pasticca. Francesca Ghermandi Un esempio tra i più noti, nell’ambito del fumetto muto, è tratto da un libro molto interessante, che narra la vicenda di una “bambina” e della sua crescita, attraverso esperienze, incontri ed avventure varie. La tavola in questione racconta il suo incontro con un bizzarro gelataio del circo. Pasticca, affamata, come ci dicono le linee tremolanti che si diramano dal suo stomaco, porge la mano per chiedere un gelato e l’uomo le porge in risposta la propria mano per ricevere il pagamento. Vediamo lei, inconsapevole del valore del denaro e incapace di gestirlo, che tende a lui il proprio “borsellino”. Dopo l’ispezione diffidente lui scuote il borsellino e ne escono poche monetine.

I rumori sono qui suggeriti dalle linee che si propagano dagli oggetti, che si tratti del borsellino stesso oppure delle linee tratteggiate delle monetine sulla mano o ancora il tremore delle gambe del gelataio che pedala nella prima, grande vignetta,

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e si contrappongono ai preoccupanti silenzi e alle sospensioni narrative che si sviluppano tra i due e che inquietano Pasticca. La differenza tra la grande quantità di personaggi ed oggetti potenzialmente sonori presenti nella prima vignetta e l’assenza totale di sfondo nelle quattro vignette ravvicinate tra la bimba e il gelataio inquadra i due in una condizione di raccolto silenzio.

La mosca. Lewis Trondheim Ecco un libro che si svolge in maniera narrativamente molto semplice, facendo appello ad una griglia di vignette regolari, nove per pagina, mai una più grande o più piccola di un'altra. Un libro fortemente ironico e brillante in cui le espressioni della protagonista fanno quasi da voce narrante a tutta la storia, che si sviluppa attraverso cambiamenti e ribaltamenti narrativi da cabaret, in un incedere di avventure che “formano” la mosca nel suo viaggio di conoscenza del mondo e la portano poi a crescere di dimensioni senza limiti. Non ci sono parole, in questo libro, non ci sono discorsi, tutto si sviluppa attraverso la simpatica ingenuità di un personaggio dalle cui facce e

dal cui stupore è difficile staccarsi. È facile immaginare quali effetti sonori siano legati agli atteggiamenti della mosca. In questa tavola, inoltre, la protagonista, mangiando una mela intera, cresce di dimensioni fino a diventare più grande della fruttiera sulla quale è appoggiata. L’autore sa rendere la sua crescita inaspettata anche grazie alla precisa griglia utilizzata, facendo sforare le ali della mosca dalla penultima vignetta, che racconta proprio del suo ingrandimento.

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L’inquadratura infatti necessita di un allargamento visivo per comprendere le nuove dimensioni acquisite e ciò viene attuato senza variazioni nella struttura di vignette, che detta anche, in qualche maniera, un ritmo di lettura. Sshhhh! Jason Un esempio emblematico della grande capacità espressiva del fumetto muto è l’opera di Jason, fumettista norvegese raffinato e personale che negli anni ha composto un proprio articolato e vasto universo in cui si muovono personaggi e si strutturano rapporti senza ausilio di parole, salvo rare eccezioni. Questa tavola ci mostra il protagonista, impiegato alle poste, mentre viene interrotto dall’avvento di una brutta notizia: la sua compagna è stata vittima di un incidente. Lo vediamo quindi tristemente entrare nella sala dove è ricoverata lei e sederle a fianco. Le due vignette centrali ci raccontano la durata del presunto coma di lei, grazie all’ausilio della finestra sullo sfondo dalla quale possiamo prima veder cadere la neve e poi splendere il sole, il che indica non un passaggio di minuti o ore bensì di stagioni. L’attesa del protagonista è quindi quasi senza speranza. Niente cambia in lei e niente nella posa e nell’espressione di lui. Scorre il tempo è non ci sono cambiamenti. Proseguendo vediamo lui estrarre un taccuino e iniziare a disegnare a sua volta una tavola di fumetto che lo vede protagonista e che diventa poi, nel libro di Jason, la tavola successiva, dando il via ad una sequenza surreale in cui lui trova il modo di liberare la compagna dalla tragedia. La storia quindi prosegue inesorabile verso l’esito inaspettato che l’autore ci propone e che qui non svelo.

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In alcuni casi, parlando ancora di fumetto muto, addirittura la tecnica con cui è steso il colore o il tratto del disegno aiutano a delineare la valenza sonora dell’opera. Dracula. Alberto Breccia Straordinario esempio questa opera muta, satura di suoni, movimenti, danze e rumori, realizzata da un autore argentino straordinariamente capace, che ha spaziato nella propria carriera all’interno di molti generi differenti. In un ambiente veneziano, festoso e carnevalesco possiamo osservare il lungo inseguimento tra Dracula e la sua bella preda, in un tripudio visivo di indizi, colori e masse festose. Già la prima vignetta fornisce l’elemento suono attraverso lo strumento a fiato dell’uomo mascherato in alto a sinistra e incastona Dracula dietro al gruppo festoso che avanza inconsapevole del fatto che tra loro un uomo non è mascherato e insegue una allegra ragazza. Lei, ammiccante, già dalla seconda vignetta lo seduce lanciandogli fiori mentre un uomo suona vigoroso un tamburo, la cui musica si propaga per i canali di Venezia ben visibili in alto. Ancora nel terza vignetta Dracula, sempre più famelico, insegue la donna, in fondo ad un corteo troppo veloce ed energico per lui, con maschere che ridono e applaudono percorrendo, ancora danzanti, le strette strade veneziane ed i ponti, di cui nell’ultima vignetta vediamo una traversata, con il nostro protagonista a braccia tese che rincorre, goloso, la sua preda. Leggiamo da sinistra verso destra, a partire da Dracula, passando per la ragazza, sul ponte, e tornando al corteo tonante, in cui un altro uomo mascherato suona, in alto a destra, il suo strumento. Il corteo quasi si confonde con i muri, le strade, le scale e l’acqua, invadendo tutto con il rumore di un carnevale in cui tutto è possibile, anche non accorgersi di un

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problema imminente e di un finto uomo mascherato, con le sembianze del vampiro più famoso del mondo. Non ci sono parole, bensì immagini straordinariamente narrative, da seguire, da leggere e di cui godere come lettori.

Dave McKean Questa tavola è tratta da un

fumetto talmente muto da non avere nemmeno un titolo letterario, ovvero, il titolo è un disegno rappresentante un occhio, le cui ciglia superiori e inferiori formano il nome dell’autore. È un’opera molto complessa, per quanto riguarda la lettura, che fornisce indizi di vario tipo, a partire dal grande spazio bianco alla sinistra del poliziotto che sta di spalle alla finestra nella prima vignetta. Uno spazio che, nello scorrere normale della lettura si tramuta in spazio vuoto, cioè in tempo vuoto, di sospensione. Un tempo che è attesa, estenuante, raccontata dalla seconda vignetta, in cui la protagonista, ripiegata in

se stessa, è compagna visiva solo di un orologio, che indica universalmente lo scorrere del tempo. Passiamo alla terza vignetta, in cui la donna, in uno slancio energico di ira crescente grida al poliziotto qualcosa, che il poliziotto accoglie visivamente tra le sue mani, con pazienza e rassegnazione. Il compagno di lei è sparito da tempo, e l’immagine sdoppiata contenuta nel balloon della donna è il particolare di una foto che li ritrae insieme e felici, che era apparsa nella storia poche pagine prima e ci comunica la sua ricerca di quella persona alla quale era abbracciata il giorno in cui è stata scattata la foto e che per lei ha grande importanza. Un uso particolare del linguaggio visivo del fumetto, in cui, in assenza di parole, nei balloon subentrano le immagini, che diventano addirittura dialoghi e frasi, più o meno gridate, grazie anche alla forma stessa di questi balloon.

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In questa terza vignetta, infatti, il balloon si ingrandisce mano a mano che prosegue la lettura, ovvero da sinistra verso destra, e indica il volume stesso del grido della donna che si ingigantisce fino ad incastrare il poliziotto in un piccolo spazio e sottoporlo quindi all’ansia di lei senza poterla evitare. Questo tipo di comunicazione non si può trovare in letteratura. Per poter leggere questa vicenda è necessaria una “lettura attiva”. Una lettura, cioè, che sia attenta e segua con curiosità la narrazione visiva, e le emozioni che questa crea. Tante informazioni potrebbero non arrivare mai ad un lettore disattento. La curiosità è nel guardare.

L’uomo che cammina. Jiro Taniguchi. A proposito di lettura attiva osserviamo questa tavola, di produzione giapponese ma ribaltata nell’adattamento italiano, che custodisce il proprio fascino attraverso le stimolazioni visive che sa dare. Il protagonista ha rotto i propri occhiali e si ritrova a vedere il mondo in maniera frammentata, attraverso la rottura delle lenti ma, curiosamente, lo trova interessante. Decide quindi di portare ancora quel paio di occhiali poiché un altro paio, non rotto, gli permetterebbe solo di vedere in maniera normale così da perdere l’emozione di osservare il mondo e i propri cari in maniera diversa. Nell’ultima vignetta viene mostrata anche la visione dell’uomo mentre guarda

il proprio cane senza occhiali, così leggiamo un altro modo di vedere ancora, il suo modo naturale, senza ausilio di lenti di alcun tipo.

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In un’unica tavola, quindi, possiamo godere di 3 visioni diverse: quella “normale”, cioè presumibilmente “a dieci decimi”, quella “rotta” dal danno alle lenti degli occhiali e quella dettata dai normali difetti alla vista del protagonista, più indefinita. Se di questa tavola si leggessero con attenzione solo le parole, dando una veloce occhiata alle immagini, non si godrebbe della maggior parte del racconto. Come ultimo esempio di opera che richiede un lettura attiva e una notevole attenzione alle immagini osserviamo una tavola atipica, che svolge uno zoom narrativo su un aspetto del racconto interrompendo per poco il corso normale degli eventi e facendo un tuffo a ritroso nel passato.

Jimmy Corrigan – The smartest kid on earth. Chris Ware Questa tavola è una divagazione, quasi. Quasi, poiché quello che questa tavola racconta è un aspetto importante del passato del protagonista. Seguendo il senso di lettura vediamo uno zoom all’indietro che parte dalla panoramica della città (prima vignetta), passando per la visione della città incorniciata dalla finestra (seconda vignetta) arrivando alla terza vignetta che mostra l’interno in cui si trovano la finestra e una poltrona.

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Da qui si avvia lo snodo narrativo. Vediamo all’estrema destra una piccola vignetta con gli angoli arrotondati che ci spiega di chi è quella poltrona e chi la usa (il protagonista del libro) mentre un'altra piccola vignetta si aggancia alla terza incorniciando un mobiletto così si prosegue verso sinistra, invertendo il senso di lettura e andando infatti a ritroso nel tempo. Arrivando alla prima delle 3 piccole vignette che si leggono dal basso verso l’alto mostrando rispettivamente il cassetto del mobiletto, un oggetto contenuto nel cassetto e l’oggetto stesso ruotato fino a farci capire di cosa si tratta: un portafoto. Continuando verso sinistra vediamo ancora uno zoom sul portafoto, poi reso verticale così da vedere la foto che contiene, che ci mostra una madre con il suo bambino (il protagonista da piccolo). Poi l’autore ci mostra che la foto è strappata e ci dice che la parte mancante raffigura il padre-marito, probabilmente separatosi dalla famiglia. Ci viene poi mostrata una specie di discarica dove è finita quella parte di fotografia che non è nel portafoto e in basso parte una sequenza di piccole vignette simili a fototessere che inquadrano il protagonista in diversi momenti della propria vita, dal presente, indicato con la parola “Now” al momento in cui è stata scattata la foto fino a regredire quasi al livello degli embrioni dei 3 personaggi. In ultimo, dall’immagine del padre neonato si diramano le immagini dei genitori, i nonni del protagonista, che sono particolari isolati da una fotografia che li inquadra insieme e che viene mostrata al termine della tavola, dando il via, nella tavola seguente, ad una sequenza proprio su di loro. Questa tavola è un esempio magistrale e atipico di utilizzo del linguaggio visivo. A livello letterario queste informazioni avrebbero necessitato di moltissime parole narranti.

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