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58 La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014 SCUOLA / L’emotività in gioco nella rilevazione dei DSA SCUOLA L’emotività in gioco nella rilevazione dei DSA Un approccio non invasivo per lo studente, sul Modello RTI (Response to Intervention) statunitense, per l’identificazione e il trattamento dei segnali di rischio del disturbo di apprendimento. di Marco Bartolucci, Alessio Damora e Alessandra Stocchi A llo stato attuale il sistema sco- lastico italiano presenta un’in- cidenza di diagnosi di disturbo dell’apprendimento intorno al 3-4% della popolazione, dato epidemiologico quest’ultimo, che indica una media per cui circa due studenti per classe presentano tale tipo di disturbo. La dia- gnosi tempestiva di DSA e quindi l’impostazione e lo sviluppo di adeguate linee di intervento educa- tive e psicologiche si rivelano indispensabili, sia per prevenire e correggere le dicoltà scolasti- che, sia per arginare e gestire l’impatto che queste possono avere nel livello di funzionamento del soggetto nella vita quotidiana. Sebbene nella Consensus Conference del 2007 le linee guida dettaglino un protocollo di inter- vento altamente funzionale per la diagnosi e il trattamento precoce, per cui si richiede pur nella specificità dei ruoli una stretta collabora- zione tra famiglia, insegnanti e servizi sanitari, nel contempo le stesse indicazioni sembrano non analizzare o sottovalutare gli eetti, altret- tanto apprezzabili, in termini psicologici, che il complesso iter diagnostico (neuropsichiatrico, neuropsicologico, logopedico), nonché la “segna- lazione scolastica” una volta accertato il disturbo e l’eventuale certificazione, possono o potrebbero determinare in un soggetto in età evolutiva.

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SCUOLA

L’emotività in gioco nella rilevazione dei DSAUn approccio non invasivo per lo studente, sul Modello RTI (Response to Intervention) statunitense, per l’identificazione e il trattamento dei segnali di rischio del disturbo di apprendimento.

di Marco Bartolucci, Alessio Damora e Alessandra Stocchi

A llo stato attuale il sistema sco-lastico italiano presenta un’in-cidenza di diagnosi di disturbo dell’apprendimento intorno al 3-4% della popolazione, dato epidemiologico quest’ultimo,

che indica una media per cui circa due studenti per classe presentano tale tipo di disturbo. La dia-gnosi tempestiva di DSA e quindi l’impostazione e lo sviluppo di adeguate linee di intervento educa-tive e psicologiche si rivelano indispensabili, sia per prevenire e correggere le difficoltà scolasti-che, sia per arginare e gestire l’impatto che queste possono avere nel livello di funzionamento del soggetto nella vita quotidiana.

Sebbene nella Consensus Conference del 2007 le linee guida dettaglino un protocollo di inter-vento altamente funzionale per la diagnosi e il trattamento precoce, per cui si richiede pur nella specificità dei ruoli una stretta collabora-zione tra famiglia, insegnanti e servizi sanitari, nel contempo le stesse indicazioni sembrano non analizzare o sottovalutare gli effetti, altret-tanto apprezzabili, in termini psicologici, che il complesso iter diagnostico (neuropsichiatrico, neuropsicologico, logopedico), nonché la “segna-lazione scolastica” una volta accertato il disturbo e l’eventuale certificazione, possono o potrebbero determinare in un soggetto in età evolutiva.

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Una pagina del Codex Seraphinianus di Luigi Serafini (Rizzoli, 2006), l’unico testo al mondo che nessuno è mai riuscito a leggere.

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Mentre il tempestivo riconoscimento di un DSA sicuramente agisce da fattore preventivo per eventuali problemi nella carriera scolastica del bambino, poiché riducendo gli insuccessi va a mitigare gli effetti che tali difficoltà determinano sul senso di efficacia personale (self-efficacy), è altrettanto vero che quello stesso bam-bino subirà delle modificazioni nella rap-presentazione che ha di sé al momento della diagnosi, dovendo relazionarsi con un processo di indagine che può farlo sentire “diverso” rispetto a prima e ri-spetto agli altri: un dottore lo visiterà, gli farà delle domande strane, lo sottoporrà a test che gli altri bambini non hanno dovuto fare.

Di solito la valutazione finalizzata a diagnosticare tali difficoltà viene svolta in un contesto valutativo ambulatoriale, caratterizzato da numerosi incontri in cui viene valutato il quoziente intellet-tivo, lo sviluppo dei vari apprendimenti e, quando necessario, dimensioni molto intime. come quelle della sfera emotiva e relazionale. Tutto ciò viene svolto in

un ambiente che per il bambino risulta alieno e sicuramente distaccato dalla realtà scolastica, che invece percepisce come familiare.

In secondo luogo, ma non meno impor-tante, il livello di stress soggettivo espe-rito dal soggetto durante la prestazione, fattore che può produrre alterazioni della performance durante la somministrazio-ne delle prove neuropsicologiche e duran-te le altre fasi dell’indagine. In ultimo, l’eventuale diagnosi positiva al disturbo porta necessariamente a una diversifi-cazione ulteriore della vita del bambino dentro e fuori la propria classe di apparte-nenza: compiti a casa diversi, compiti in classe differenti (ausili dispensativi), un programma di riabilitazione personale, e nei casi gravi insegnanti dedicati per-sonali. Riassumendo, un’identificazione precoce è essenziale al fine di limitare le conseguenze del disturbo neuropsi-cologico, ma allo stato attuale le linee di intervento e le conseguenti declinazioni produrranno comunque conseguenze più o meno gravi a livello psicologico e comportamentale nel bambino diagno-sticato.

Un metodo diagnostico rispettoso e non invasivo —Si apre dunque una riflessione: quanto è effettivamente necessario un model-lo diagnostico e di intervento che corre il rischio di rivelarsi così scarsamente protettivo da un punto di vista emotivo e dei significati soggettivi che questa esperienza determina?

Studi neuroscientifici hanno dimo-strato che le attivazioni cerebrali di un soggetto diagnosticato dislessico non differiscono da quelle di un soggetto non dislessico che non ha imparato a leggere bene, smentendo teorie secondo le qua-li la dislessia sia frutto di un problema strutturale o di un deficit nelle capacità mentali (Hoef et al 2006, Tanaka et al 2011), e inoltre vi sono evidenze che indicano che interventi fonologici mirati e rapidi possano impedire l’insorgere di specifi-che dislessie in soggetti ad alto rischio.

Una linea nuova di diagnosi e interven-to precoce, in ambito neuropedagogico, che tiene conto della dimensione perso-nale dei soggetti, del ruolo fondamentale degli insegnanti e delle nuove scoperte in ambito neuropsicologico dell’età evoluti-va è quella proposta dal team di ricerca del

↑Franz Eybl, Ragazza che legge, 1850, Österreichische Galerie Belvedere.

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Texas Centre for Learning Disabilities, che prende il nome di “Response To In-tervention”, o RTI: un quadro educativo generale che include istruzioni e inter-venti supportati e guidati da numerose ricerche scientifiche.

L’approccio RTI nelle sue implicazio-ni attuative prevede un regolare moni-toraggio dell’andamento dello studen-te, permettendo di raccogliere dati che orienteranno le decisioni educative over time, differendo inoltre dal processo diagnostico standard per il processo di identificazione dei disturbi di appren-dimento: mentre quest’ultimo, infatti, prevede una discrepanza fra abilità intellettive e risultati a test specifici, il primo tiene conto dell’evoluzione del problema segnalato, secondo tre livelli di intervento a intensità crescente.

Tre livelli di intervento—Il primo livello è orientato a garantire il curriculum di base, con istruzione e intervento rivolto a tutti gli studenti. Circa l’80-85% del totale degli studenti dovrebbe essere in grado di soddisfare le norme di livello elementare, senza ul-teriore assistenza. Gli studenti che non hanno raggiunto gli standard richiesti passano al secondo livello dove vengono inserite linee di intervento specifiche. Gli studenti che continueranno ad ave-re problemi dopo il secondo livello di intervento passeranno al livello 3, che si costituisce come il più intensivo (spesso uno-a-uno), erogato anch’esso nell’ordi-nario ambiente didattico-educativo.

Il fatto che il RTI venga struttura-to e si esplichi come supplemento in-tegrato nel contesto scolastico, e non come intervento esterno, permette (co-me sostengono i ricercatori del team) di percepire il disturbo di apprendimento come una dimensione di variazione del normale apprendimento scolastico del soggetto piuttosto che etichettare una disabilità.

L’alunno svolge le varie attività ri-chieste dentro un contesto educativo in cui l’impatto soggettivo, esito della di-versificazione degli strumenti e dei me-todi, è altamente ridimensionato dalla loro elevata integrazione nel contesto didattico, per cui la riduzione dell’in-tensità nella percezione del problema e la possibilità di circoscriverlo a una singola dimensione fungono da fattori

protettivi il senso di efficacia ed efficien-za personale sperimentato, andando proporzionalmente ad accrescere la po-tenzialità e la funzionalità del recupero delle competenze del soggetto stesso.

Una delle critiche più immediate a questo modello è l’inclusione all’inter-no dei tre livelli di intervento di falsi positivi, ovvero di soggetti in assenza di disturbi dell’apprendimento, che pren-dono parte comunque a un percorso di intervento. Questo significa che l’RTI potrebbe non esse-re uno strumento accurato nell’iden-tificazione speci-fica del disturbo di a p p r e n d i m e n t o . Ciononostante, tale fattore può essere visto come un pun-to di forza: da una parte non limita la funzionalità dell’in-tervento che viene effettuato per il di-sturbo dell’apprendimento, dall’altro può potenziare le competenze dei sog-getti “falsi positivi” e quindi andando a migliorare i profitti scolastici di questi e le strategie metacognitive degli stessi. Infine agisce proprio sulla distanza che si può venire a creare fra il bambino con il disturbo e i suoi colleghi, non andando a incidere sul senso di efficacia persona-le e di integrazione scolastica.

Il percorso americano—Merita comunque fare una riflessione sulla diversa strutturazione del percor-so scolastico americano, generalmente strutturato in 12 anni di istruzione, 6 di primary (struttura simile a quella italia-na: i bambini restano per la maggior parte della giornata in una o due classi a eccezione delle ore di ginnastica, mu-sica e arte; la giornata scolastica in ge-nere va dalle 08.00 alle 15.00 o 15.30, con un’ora di pausa pranzo), 4 di middle (gli studenti hanno maggiore indipenden-za, si spostano tra le classi in base alle materie e hanno la possibilità di sce-gliere alcune materie chiamate electives; inoltre gli studenti di scuola media pos-sono iscriversi ad una Junior Boarding School, scuole private che danno anche vitto e alloggio agli studenti) e 2 di high school o di IB Diploma Programme. Normalmente le materie obbligatorie

“Il fatto che il RTI si esplichi come supplemento integrato nel contesto scolastico permette di percepire il disturbo come una dimensione del normale apprendimento. „

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minime sono scienze, matematica, ingle-se, scienze sociali ed educazione fisica; le materie a scelta determinano il percorso di studi personale; alcune materie sono studiate a un livello alto, le altre a un livello più basso, il che significa circa i due terzi delle ore rispetto alle prime tre. L’orario va dalle 07.30 alle 14-14.30 e com-prende sei lezioni da un’ora o quattro da 90 minuti, con 5 minuti di pausa tra le lezioni e una pausa pranzo di 30 minuti; mentre le attività extra curricolari e gli sport si svolgono nel pomeriggio.

Il modello RTI in Italia—Con un minore numero di ore impiegate per attività extra curriculari, e con un si-stema meno individualistico come quel-lo del nostro Paese, il modello RTI non

avrebbe facile applica-bilità, ciò nonostante forse è doveroso e utile immaginare di poter costruire un modello di diagnosi DSA e di rela-tivo intervento ecologi-cally friendly, quindi più attento a considerare i

significati e i coloriti emotivi soggettivi dei fruitori, quindi degli studenti.

Infatti, se molti strumenti di screening per il disturbo di apprendimento pub-blicati di recente consentono di seguire l’evoluzione longitudinale di varie aree di interesse per la diagnosi di DSA (ad esempio questionario RSR di Cappa e colleghi) utilizzando dati che proven-gono da insegnanti e genitori, appare ancora incerta l’esigenza di un maggior coinvolgimento diretto del bambino, per-lomeno in una fase molto precoce come i primi anni di scuola elementare, dove si avrebbero anche le maggiori probabilità di intervenire positivamente di fronte a rischi di difficoltà in aree cognitivo-com-portamentali specifiche.

Una raccolta di dati oggettivi che non si basi solo sul profitto dello studente, potrebbe essere utilizzata (se utilizzata sistematicamente) non solo per invii più congrui agli specialisti, ma anche per per-fezionare, in un contesto didattico research -based, linee di intervento precoci e pre-ventive, riducendo la distanza che una tale diagnosi può creare fra il soggetto ed il resto della classe, e fornendo inoltre validi spunti per una ricerca generale interdi-sciplinare come quella neuropedagogica.

I dati, se raccolti longitudinalmente, per-metteranno una rivalutazione costante delle metodiche implementate dagli in-segnanti (in costante contatto con gli esperti di neuropedagogia), che potranno così perfezionare e creare eventuali mo-delli per gli interventi, gli strumenti uti-lizzati e le modalità relazionali. Inoltre, a prescindere dal contesto di disturbo di apprendimento, l’espansione sistematica dell’utilizzo di tali strumenti nel territo-rio e nelle diverse fasce di età (elementari, medie, superiori) consentirebbe di poter fruire di una mole di dati enormi, che potrebbero essere utilizzati per valutare l’andamento funzionale e l’impatto su gli studenti di diverse modalità educati-ve, dell’introduzione di nuovi strumenti, delle differenze a livello territoriale.

In conclusione, l’implementazione di nuovi percorsi di intervento-ricerca neuropedagogici potrebbe produrre po-tenzialità enormi non solo nell’affrontare problematiche relative a difficoltà dei singoli all’interno dei percorsi scolastici, ma anche un evoluzione più rapida e funzionale dei modelli educativi e degli strumenti nelle mani degli educatori e degli studenti.

Marco Bartolucci, Alessio Damora e Alessandra Stocchi sono ricercatori presso il Centro di Neuro-scienze Applicate di Arezzo e il Centro di Psi-cologia e Neuropsicologia Clinica di Foiano della Chiana.

“In un sistema meno individualistico, come quello del nostro Paese, il modello RTI non avrebbe facile applicabilità. „

↑Un ragazzo mentre legge fra le rovine di Londra (AP Photo).