l’esperienza tedesca di multiculturalismo: società...

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1 L’esperienza tedesca di multiculturalismo: società multietnica e aspirazioni di identità etnoculturale* Ginevra Cerrina Feroni Straordinaria di diritto costituzionale comparato nell’Università di Firenze Sommario: 1. Dimensioni ed origini della presenza di stranieri in Germania. – 2. Minoranze nazionali e minoranze straniere. - 3. Fondamenti costituzionali della tutela delle minoranze. - 4. Il tradizionale multiculturalismo “alla tedesca”: una tolleranza distaccata. – 5. Il cambio di prospettiva dell’ultimo decennio. Le misure legislative a favore dell’integrazione sulla base del principio “Fördern und Fordern” (“promuovere e pretendere”; “finanziare ed esigere”). 5.1. La legge sulla “cittadinanza” (“Staatsangehörigkeitsgesetz, StAG) del 15 luglio 1999. 5.2. La legge sulla “immigrazione” (”Zuwanderungsgesetz”) del 30 luglio 2004 ed i suoi corollari (la legge sul “soggiorno” ed il “corso di integrazione per stranieri”). - 6. La libertà religiosa quale emblematico luogo di emersione del conflitto costituzionale. Il “no al velo” nella sentenza del Tribunale costituzionale della Baviera del 15 gennaio 2007. - 7. La retorica multiculturale e le sue pericolose regressioni. 1. Dimensioni ed origini della presenza di stranieri in Germania. Partiamo dai dati. Tra i Paesi dell’Unione europea la Germania è quello con la quota di immigrazione più alta, seguita da Gran Bretagna, Italia e Spagna. Le cifre ufficiali fornite dal governo tedesco 1 sono più che significative. Al 31.12.2003 in Germania su una popolazione totale di 82.531.700, la quota totale di stranieri è stimata di 7.334.765 (ovvero l’ 8,9% della popolazione totale). I principali gruppi sono così ripartiti: turchi: 1.877.661 (ovvero il 25,6 % della popolazione straniera); italiani: 601.258 (8,2 % della popolazione straniera); serbi/montenegrini: 568.240 (7,7% p. s.); greci: 354.630 (4,8% p.s.); polacchi: 326.882 (4,5 % p.s.); croati: 236.570 (3,2% p .s.); austriaci: 189.466; federazione russa: 173.480; bosniaci: 167.081; portoghesi: 130.623; ucraini: 125.928; rumeni: 89.104; vietnamiti: 88.208; iraniani: 81.495; marocchini: 79.794; cinesi: 76.743; afgani: 65.830. La crescita enorme della presenza straniera in Germania è avvenuta attraverso due principali vie di accesso: la figura del “lavoratore ospite” (il c.d. Gastarbeiter) ed il c.d. “Asylrecht” (diritto di asilo). Da un lato, il fenomeno dei lavoratori ospiti, che inizia a prendere forma già alla fine degli anni ’50, in particolare di italiani, greci e turchi. Essi erano visti come ospiti transitori, destinati a tornare nel *Relazione tenuta al Convegno dell'Associazione di Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, Paestum 18-19 maggio 2007 su “Società multiculturale e Stato democratico. Dalla tutela delle minoranze al riconoscimento delle diversità culturali: percorsi di diritto comparato”. 1 http://www.bundesregierung.de/Webs/Breg/DE/Bundesregierung/BeauftragtefuerIntegration/Service/Statistiken/s tatistiken.html (vedi, in particolare, i documenti del “Responsabile del governo per l’immigrazione, i rifugiati e l’integrazione”: Migration: Deutschland im europäischen Vergleich, 2004, PDF; Strukturdaten der ausländischen Bevölkerung, 2004, PDF).

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L’esperienza tedesca di multiculturalismo: società multietnica e

aspirazioni di identità etnoculturale*

Ginevra Cerrina Feroni Straordinaria di diritto costituzionale comparato nell’Università di Firenze

Sommario: 1. Dimensioni ed origini della presenza di stranieri in Germania. – 2. Minoranze nazionali e minoranze straniere. - 3. Fondamenti costituzionali della tutela delle minoranze. - 4. Il tradizionale multiculturalismo “alla tedesca”: una tolleranza distaccata. – 5. Il cambio di prospettiva dell’ultimo decennio. Le misure legislative a favore dell’integrazione sulla base del principio “Fördern und Fordern” (“promuovere e pretendere”; “finanziare ed esigere”). – 5.1. La legge sulla “cittadinanza” (“Staatsangehörigkeitsgesetz”, StAG) del 15 luglio 1999. – 5.2. La legge sulla “immigrazione” (”Zuwanderungsgesetz”) del 30 luglio 2004 ed i suoi corollari (la legge sul “soggiorno” ed il “corso di integrazione per stranieri”). - 6. La libertà religiosa quale emblematico luogo di emersione del conflitto costituzionale. Il “no al velo” nella sentenza del Tribunale costituzionale della Baviera del 15 gennaio 2007. - 7. La retorica multiculturale e le sue pericolose regressioni.

1. Dimensioni ed origini della presenza di stranieri in Germania.

Partiamo dai dati.

Tra i Paesi dell’Unione europea la Germania è quello con la quota di immigrazione più alta,

seguita da Gran Bretagna, Italia e Spagna. Le cifre ufficiali fornite dal governo tedesco1 sono più che

significative. Al 31.12.2003 in Germania su una popolazione totale di 82.531.700, la quota totale di

stranieri è stimata di 7.334.765 (ovvero l’ 8,9% della popolazione totale). I principali gruppi sono

così ripartiti: turchi: 1.877.661 (ovvero il 25,6 % della popolazione straniera); italiani: 601.258 (8,2 %

della popolazione straniera); serbi/montenegrini: 568.240 (7,7% p. s.); greci: 354.630 (4,8% p.s.);

polacchi: 326.882 (4,5 % p.s.); croati: 236.570 (3,2% p .s.); austriaci: 189.466; federazione russa:

173.480; bosniaci: 167.081; portoghesi: 130.623; ucraini: 125.928; rumeni: 89.104; vietnamiti: 88.208;

iraniani: 81.495; marocchini: 79.794; cinesi: 76.743; afgani: 65.830.

La crescita enorme della presenza straniera in Germania è avvenuta attraverso due principali vie

di accesso: la figura del “lavoratore ospite” (il c.d. Gastarbeiter) ed il c.d. “Asylrecht” (diritto di asilo).

Da un lato, il fenomeno dei lavoratori ospiti, che inizia a prendere forma già alla fine degli anni ’50,

in particolare di italiani, greci e turchi. Essi erano visti come ospiti transitori, destinati a tornare nel *Relazione tenuta al Convegno dell'Associazione di Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, Paestum 18-19 maggio 2007 su “Società multiculturale e Stato democratico. Dalla tutela delle minoranze al riconoscimento delle diversità culturali: percorsi di diritto comparato”. 1http://www.bundesregierung.de/Webs/Breg/DE/Bundesregierung/BeauftragtefuerIntegration/Service/Statistiken/statistiken.html (vedi, in particolare, i documenti del “Responsabile del governo per l’immigrazione, i rifugiati e l’integrazione”: Migration: Deutschland im europäischen Vergleich, 2004, PDF; Strukturdaten der ausländischen Bevölkerung, 2004, PDF).

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loro Paese di origine. Il che – come è noto – non è avvenuto, o solo in minima parte. Dall’altro, a

partire dagli anni ’70, la legge sul diritto di asilo a favore dei perseguitati politici è divenuta la

principale scappatoia per l’immigrazione. Vi sono stati tentativi di mettere mano alla legge da parte

dei Governi di centro destra per restringere i flussi: tentativi falliti perché considerati illiberali e

reazionari, di talché la presenza di immigrati è cresciuta per molto tempo a dismisura e senza

regole2. Le cose sono cambiate di recente con la recente legge sulla immigrazione del 2005 (su cui

infra)3 in applicazione della quale, nel corso del 2005, l’Ufficio per l’immigrazione e i rifugiati ha

revocato lo status di profugo a 10.579 stranieri, di cui 6.951 iracheni e che ha sollevato critiche in

particolare per i presupposti in base ai quali la decisione è stata presa4.

2. Minoranze nazionali e minoranze straniere in Germania.

L’esperienza tedesca si caratterizza per la presenza, accanto alle minoranze straniere di turchi,

italiani, serbi ecc., di radicate minoranze nazionali, ovvero gruppi che vivono da secoli sul territorio

oggi appartenente alla Germania e che hanno però una propria lingua e cultura e una propria storia:

i danesi (circa 50.000: si trovano per lo più nella parte meridionale dello Schleswig, in territorio

tedesco); i frisoni (circa 10.000 frisoni che parlano il “frisone del nord” si trovano lungo le coste del

Mare del Nord, in parte nello Schleswig-Holstein e sulle isole Helgoland, Sylt, Föhr, Amrum;

mentre i “Saterfriesen” sono circa 2.000 e si trovano nella parte nordoccidentale della Bassa Sassonia);

i sinti e i rom (circa 70.000. La maggior parte di essi vive nelle capitali tedesche Berlino, Amburgo,

Colonia-Düsseldorf, Kiel, ma anche vicino a città più piccole ad esempio nell’Assia, in Baviera, nel

2 V. E. Caniglia, Politiche della differenza e multiculturalismo, in G. Bettin Lattes, Mutamenti in Europa, Bologna, 2002, 300. 3 Detta legge ha prodotto incisive modifiche sul diritto di asilo e lo status dei rifugiati. Innanzitutto ha cercato di migliorare la pregressa situazione eliminando il sistema delle c.d. “Duldungen” quadriennali e introducendo la possibilità di un vero e proprio permesso di soggiorno. In base al vecchio “Asylrecht”, ogni quattro anni si rinnovava la disponibilità dello Stato a “tollerare” la presenza dello straniero in questione. Spesso si determinavano le c.d. “tolleranze a catena“ (“Kettenduldungen”) in caso di impedimenti all’espulsione. Adesso, invece, se si accerta che lo straniero non può essere espulso, questi deve ottenere non una “Duldung“ ma un vero e proprio permesso di soggiorno che implica quindi anche l’accesso al mercato del lavoro. In sé questa innovazione sarebbe positiva ma a livello di applicazione pratica ciò non si è ancora verificato (almeno non nel corso del 2005). Gli stranieri in questione hanno adesso uno status incerto poiché si assicura loro solo che non verranno espulsi per il momento ma non si danno altre garanzie per il futuro: così J. Schneider, Zuwanderungsgesetz 2005 – Was ist neu?, in Veröffentlichung der Bundeszentrale für politische Bildung, 2005 (http://www.bpb.de/themen/L1HW2U,0,Zuwanderungsgesetz_2005.html). Il principio della “Duldung” vale però ancora per gli immigrati che, pur non essendo soggetti di diritto di asilo, non possono essere espulsi: essi vengono “tollerati” però non possono più ricevere la Aufenthaltbefugnis” (particolare autorizzazione al soggiorno a tempo determinato) poiché questo titolo è stato eliminato. In questo caso, dunque, la situazione giuridica di questo tipo di immigrati è peggiorata: H. Prantl, Ein Gesetz mit umgedrehten Vorzeichen, in Süddeutsche Zeitung, del 18 giugno 2004. 4 Non essendosi tenuto conto della reale situazione nel Paese di provenienza (in particolare in Irak) ed essendo stati utilizzati parametri troppo generici o analisi superficiali per stabilire che non sussisteva più alcun impedimento al ritorno in patria. Erste Bilanz von UNHCR zur Umsetzung des Zuwanderungsgesetzes im Hinblick auf ausgewählte Fragen des Flüchtlingsschutzes und des subsidiären Schutzes, 30 giugno 2006 in: http://www.unhcr.de/rechtsinformationen/asyl-in-deutschland/unhcr-stellungnahmen-zum-deutschen-fluechtlingsrecht/dokumente.html?PHPSESSID=722d0a213bdd7d91c3cc8509f3e637c3; cfr. anche UNHCR-Positionen zur Diskussion um ein Bleiberecht für geduldete Ausländer in Deutschland, 9 novembre 2006, in http://www.unhcr.de/rechtsinformationen/asyl-in-deutschland/unhcr-stellungnahmen-zum-deutschen fluechtlingsrecht/dokumente.html?PHPSESSID=722d0a213bdd7d91c3cc8509f3e637c3

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Baden. Sono presenti in Germania già dal 14°-15° secolo e prima del nazionalsocialismo erano

cittadini tedeschi a pieno titolo; durante il nazionalsocialismo vennero trasportati in campi di

concentramento circa 500.000 rom/sinti); il popolo sorbo (circa 60.000 persone in Sassonia,

Brandeburgo; è una minoranza slava, già presente ad est del fiume Elba dai tempi delle migrazioni

dei popoli germanici).

Già sotto questo primo profilo di identificazione delle c.d. minoranze la Germania rappresenta

un interessante campo di analisi. Da un lato, vi è il problema delle minoranze etniche, della loro

identità culturale e della possibilità di tutela dei diritti collettivi (analogamente al caso dei francesi in

Quebec, a quello dei russi nei Paesi baltici etc. che interessa meno in questa sede); dall’altro, vi è il

più generale tema dei conflitti etici all’interno di una società con diverse culture e religioni.

Premetto che trovo improprio utilizzare genericamente il concetto di diritti delle minoranze ed

estendere la categoria quando si parla della immigrazione. Per le minoranze nazionali c’è un antico

diritto alla identità che va certamente tutelato, perché c’è il territorio che è elemento identificativo.

Estendere il concetto di minoranza anche alla immigrazione invece significa rompere uno dei

capisaldi dello Stato contemporaneo. Innanzitutto perché di per sé il diritto delle minoranze

rappresenta la rottura del principio di uguaglianza. In altri termini, i trattamenti preferenziali, così

come la politica del riconoscimento, comportano leggi sezionali e dunque trattamenti diseguali che

violano il principio di generalità della legge. E non dobbiamo dimenticare che dalla generalità della

legge discende la sua protezione.

Del resto un Autore con posizioni assai aperte come W. Kymlicka, che ammette la

configurazione di diritti di gruppo e distingue varie tipologie di c.d. diritti culturali5, ritiene che non

tutti i gruppi culturali siano uguali. Vi sono i gruppi che hanno storicamente risieduto in territori che

nel corso della storia sono entrati a far parte di Stati diversi (ad esempio i francesi nel Quebec, i

danesi nello Schleswig-Holstein, ecc.). Essi rappresentano effettivamente “minoranze nazionali” e

possono dunque reclamare determinati diritti, quali ad esempio il diritto all’auto-amministrazione e

alla rappresentanza. A questi gruppi deve essere riconosciuta una “identità politica permanente” con

statuto costituzionale. Diverso il caso dei gruppi che invece sono costituiti da immigrati (es. turchi

in Germania). Questi non possono ovviamente far valere il diritto all’auto-amministrazione ma

possono far valere solo diritti legati alla libera espressione di tratti culturali tipici per l’identità di una

5 W. Kymlicka, La cittadinanza multiculturale, Bologna, 1999. Si propongono in particolare tre diverse forme giuridiche: a) diritti riguardanti l’autoamministrazione (ovvero il trasferimento di potere e competenze alla minoranza nazionale, spesso sotto forma di federalismo, nel caso in cui la minoranza sia tutta concentrata in un territorio); b) diritti polietnici (sussidi finanziari e tutela giuridica per determinate pratiche connesse a determinati gruppi etnici o religiosi); c) speciali rappresentanze giuridiche (ad esempio determinati seggi per minoranze o gruppi etnici presso le istituzioni statali).

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minoranza culturale come le rivendicazioni legate all’abbigliamento (il turbante, il chador), o sussidi

finanziari pubblici per attività espressive delle comunità etniche (teatri, musei, festival)6.

3. Fondamenti costituzionali della tutela delle minoranze.

Nel Grundgesetz, oltre al generale principio di uguaglianza (art. 3, par. 3 co. 1: “Nessuno può

essere danneggiato o favorito in base alla sua origine, alla razza, alla lingua, al luogo in cui risiede o

da cui proviene, al suo credo, alle sue convinzioni religiose o politiche”), non si trova alcun

riferimento alla tutela delle minoranze nazionali, etniche o linguistiche7.

Maggiori indicazioni si rinvengono invece nelle Costituzioni dei singoli Länder dove vi sono

articoli specifici dedicati alla questione delle minoranze: ma ciò avviene in particolare nei Länder in

cui sono presenti le minoranze nazionali, ovvero il Brandeburgo, la Sassonia, lo Schleswig-Holstein

(infra). Al di là di ciò le indicazioni sono molto generiche. Ed infatti né nei preamboli, né negli

articoli successivi delle Costituzioni dei Länder si fa riferimento alla convivenza tra diverse culture o

al pluralismo culturale della società tedesca. Un dato questo comprensibile per le Costituzioni nate

subito dopo la seconda guerra mondiale (quelle dei Länder della BRD), forse meno per quelle degli

anni ’90, redatte dopo la riunificazione tedesca.

Riferimenti alla convivenza tra diverse culture si trovano solo negli articoli dedicati alla

formazione scolastica, delle seguenti Costituzioni: Brandenburg (1992, tra gli scopi dell’istruzione

all’art. 28 si cita la “solidarietà nella convivenza tra culture”); Bremen 1947, tra gli scopi

dell’istruzione si cita all’art. 26, co. 4, la “partecipazione alla vita culturale del proprio popolo e di

6 Ricordo che la questione della identità culturale e della possibilità di tutela dei diritti collettivi delle minoranze è stata ricostruita in dottrina in modi diversi: nel modello di C. Taylor (La politica del riconoscimento, in Ch. Taylor e J. Habermas, Multiculturalismo, Milano, 1998) si afferma la necessità di una “politica del riconoscimento” in cui le diverse culture vengano riconosciute e rispettate nella loro diversità. Lo Stato deve garantire il diritto alla diversità delle varie culture e Taylor avanza l’idea di una tutela statale delle diverse culture. J. Habermas critica Taylor e rifiuta l’idea che sia lo Stato a dover garantire o prescrivere la tutela della cultura delle minoranze. Lo Stato per Habermas non può né deve assumersi il diritto o, ancor peggio, il dovere di conservare determinate culture. E’ giusto che la legge garantisca solo diritti individuali e non diritti collettivi (ovvero diritti che derivano dall’appartenenza a un determinato gruppo etnico o culturale), anche perché in teoria la tutela dei diritti di determinati gruppi è insita nella tutela della libertà dei singoli individui che vi appartengono. Inoltre, la posizione di Taylor, per Habermas, parte dal presupposto che le culture siano immobili e chiuse e non contempla la possibilità dell’interazione e dell’evoluzione nel tempo, o di uno scambio tra culture che comporti mutamenti reciproci. Una ricostruzione critica di entrambe le posizioni si trova in M. Elocegui, Ein Votum für den Interkulturalismus gegen den Multikulturalismus”, in Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie, 87/2001, 168-192: Elocegui critica la visione di Habermas sottolineando come essa porti con sé il rischio che certe culture scompaiano completamente – il che non solo toglierebbe alle generazioni successive la possibilità di decidere se far propria o meno una determinata cultura, ma rappresenterebbe anche un notevole impoverimento della società e farebbe aumentare il pericolo di una crescente omologazione. L’idea di Taylor invece, comunque preferibile, presenterebbe due punti deboli: 1) rimane di natura “politica” ma non offre concrete soluzioni dal punto di vista legale, riguardanti i gruppi e i diritti da tutelare; 2) è un approccio multiculturalista, che mira alla coesistenza tra le culture ma non al loro dialogo. 7 Merita invece ricordare la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa per la protezione delle minoranze nazionali, in Germania vigente dal 1999. Con questa Convenzione gli Stati membri della UE si impegnano a tutelare, rispettare e promuovere i diritti degli appartenenti ad una determinata minoranza nazionale e a garantire condizioni che permettano ai singoli gruppi di conservare la propria religione, lingua, cultura, tradizione; e ancora la Carta europea delle lingue regionali e delle minoranze, redatta dal Consiglio d’Europa e vigente in Germania dal 1999. Essa garantisce la tutela delle lingue delle minoranze nazionali, ovvero: danese, il frisone del nord e il “saterfrisone”, la lingua rom e l’alto e il basso sorbo.

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popoli stranieri”, “Die Erziehung zur Teilnahme am kulturellen Leben des eigenen Volkes und fremder

Völker); Thüringen (1992, anche qui tra gli scopi dell’istruzione scolastica all’art. 22 si cita la

“disponibilità alla pace nella convivenza tra le culture e tra i popoli”, “die Friedfertigkeit im

Zusammenleben der Kulturen und Völker”).

Oltre a ciò, Costituzioni dei Länder in cui si fa diretto riferimento alle “minoranze nazionali”,

“minoranze etniche o linguistiche” e/o a “minoranze straniere”, sono quelle di: Brandenburg;

Schleswig-Holstein; Sachsen; Rheinlandpfalz; Mecklenburg-Vorpommern; Sachsen-Anhalt.

Ci sono però delle differenze riguardo al tipo di minoranza cui si fa riferimento e anche al tipo

di impegno preso dal Land (se cioè il Land si impegna solo a rispettare, oppure anche a tutelare o

promuovere determinati diritti/interessi delle minoranze). Nella Costituzione del Brandeburgo si fa

riferimento solo alla minoranza nazionale sorba: in questo caso vengono stabiliti veri e propri diritti

per i sorbi, con obbligo per il Land di tutelare e promuovere tali diritti8. Nella Costituzione dello

Schleswig-Holstein si parla solo di “minoranza nazionale”, con particolare riferimento ai danesi e ai

frisoni. In questo caso si parla di diritto di “essere tutelati e incentivati”9. Un caso interessante è

quello della Costituzione del Sachsen, che è del 1992: qui infatti si fa riferimento alla necessità che il

Land rispetti gli interessi delle “minoranze straniere” regolarmente residenti in Germania (art. 5, co.

3), e quindi implicitamente si prende atto degli effetti dell’immigrazione e si afferma la necessità che

il Land rispetti non solo le minoranze nazionali (in questo caso i sorbi) ma anche quelle straniere (ad

esempio turchi, italiani etc.). E’ l’unico Land in cui compare un articolo del genere. Nella

Costituzione del Sachsen si fa cioè una distinzione tra minoranze etniche con nazionalità tedesca ma

appartenenti ad altri popoli (ex i sorbi) e “minoranze straniere” formate da gruppi di persone che

non hanno nazionalità tedesca ma risiedono regolarmente in Germania. Nel primo caso parla di

“tutelare e garantire il diritto alla conservazione della lingua, della cultura etc.”, nel secondo caso

parla solo di “rispettare gli interessi”10. Nella Costituzione del Rheinland-Pfalz c’è solo un generico

8 Brandenburg: art. 25 (specificatamente dedicato ai diritti della minoranza sorba). (1) Si garantisce il diritto del popolo sorbo alla tutela, la conservazione e la cura della sua identità nazionale e del suo territorio di insediamento. Il Land, i comuni e le associazioni comunali promuovono la realizzazione di questo diritto, soprattutto l’autonomia culturale e la partecipazione politica attiva del popolo sorbo. (2) Il Land si impegna ad assicurare l’autonomia culturale dei sorbi anche a livello interregionale. (3) I sorbi hanno il diritto di conservare e promuovere la lingua e la cultura sorbe nella vita pubblica e il loro insegnamento nelle scuole e negli asili. (4) Nel territorio di insediamento dei sorbi la lingua sorba deve essere inclusa nelle iscrizioni pubbliche. La bandiera sorba ha i colori blu, rosso e bianco. (5) I diritti dei sorbi vengono regolati da una legge. Questa deve garantire che rappresentanti sorbi partecipino alla legislazione riguardante i sorbi. 9 Schleswig-Holstein: art. 5 (Nationale Minderheiten und Volksgruppen). (1) La dichiarazione di appartenenza ad una minoranza nazionale è libera; essa non esonera dai generali doveri civili. (2) L’autonomia culturale e la partecipazione politica delle minoranze nazionali e dei gruppi etnici sono tutelati dal Land, dai comuni e dalle associazioni di comuni. La minoranza nazionale danese e il popolo frisone hanno diritto di essere tutelati e promossi. Art. 8 (Schulwesen), co. 4. I responsabili dell’educazione decidono se i loro bambini debbano frequentare la scuola di una minoranza nazionale. 10 Sachsen: art. 2 (Hauptstadt- und Landessymbole), co. 4. Nella zona di insediamento dei sorbi possono essere esposti, accanto ai colori e agli stemmi del Land, a pari diritto, quelli dei sorbi. In Slesia possono essere esposti, accanto ai colori e agli stemmi del Land, a pari diritto, i colori e gli stemmi del popolo della bassa Slesia. Art. 5 (Das Volk des Freistaats Sachsen). Al popolo della Sassonia appartengono i cittadini appartenenti al popolo tedesco, a quello sorbo e ad altri popoli. Il Land riconosce il diritto alla Heimat. (2) Il Land garantisce e tutela il diritto delle minoranze nazionali ed etniche di nazionalità tedesca alla conservazione della loro identità, così come alla cura della loro lingua, della religione, della cultura e della loro tradizione (3) Il Land rispetta gli interessi delle minoranze straniere i cui membri risiedono

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riferimento al rispetto delle minoranze etniche e linguistiche, nel co. 4 dell’art. 17 sull’uguaglianza11.

Nella Costituzione del Mecklenburg-Vorpommern si fa riferimento a “minoranze nazionali e

etniche i cui membri abbiano nazionalità tedesca” (si parla di tutela dell’autonomia culturale)12. Nel

Sachsen-Anhalt non si fa riferimento a minoranze nazionali ma solo “culturali e etniche” (anche qui

si parla di tutela dell’autonomia culturale)13.

4. Il tradizionale multiculturalismo “alla tedesca”: la tolleranza distaccata.

Il problema della immigrazione in Germania si è posto, tradizionalmente, in termini

completamente diversi rispetto a tutti gli altri Paesi europei. Già sotto il profilo terminologico, il

termine di “stranieri” utilizzato in Germania al posto di quello di immigrati, ribadisce l’assoluta

estraneità di tali soggetti rispetto alla società ospitante, diversamente da ciò che è avvenuto ad

esempio in Francia o in Gran Bretagna dove gli immigrati stanno comunque ad indicare nuovi

membri della società. Il multiculturalismo per così dire “alla tedesca” è stato, almeno fino ad ora, la

conseguenza della convinzione che gli immigrati non si integrano e non si assimilano. La società

multiculturale tedesca ha, tendenzialmente, espresso niente più che la coesistenza fra tedeschi e

individui che hanno differenti radici, in un generale contesto di tolleranza e di rispetto delle identità

culturali degli immigrati14.

Una tolleranza distaccata. Da ricordare ad esempio che in alcuni Länder tedeschi, fino verso

la fine degli anni ’80, i Governi hanno impedito ai bambini turchi di studiare insieme ad alunni

autoctoni. Lo hanno fatto istituendo classi separate, spesso di lingua turca, con insegnati importati

dalla Turchia e con curricula mirati a preparare i bambini alla vita nel Paese d’origine e ciò perché i

bambini turchi non erano considerati futuri cittadini della Germania. La loro “casa” – come si

soleva dire – era in Turchia, non in Germania e prima o poi sarebbero tornati nella loro terra.

Questo approccio appare oggi abbandonato, non solo perché impraticabile ma anche perché è stato

dimostrato che l’atteso rimpatrio non vi è stato.

regolarmente in Germania. Art. 6 (Das sorbische Volk) (1) I cittadini che appartengono al popolo sorbo e risiedono nel Land rappresentano una parte del popolo del Land con pari diritti rispetto alle altre. Il Land garantisce e tutela il diritto alla conservazione della loro identità così come alla cura e allo sviluppo della loro lingua, della loro cultura e della loro tradizione, soprattutto tramite le scuole, gli asili e altre istituzioni culturali. (2) Nella pianificazione comunale e del Land si deve tener presente delle necessità vitali del popolo sorbo. Il carattere sorbo-tedesco della zona di stanziamento dei sorbi deve essere conservato. (3) La collaborazione interregionale dei Sorbi, soprattutto tra l’alto e il basso Lausitz, è interesse del Land. 11 Rheinland-Pfalz: art. 17. (1) Tutti sono uguali di fronte alla legge. (4) Lo stato rispetta le minoranze etniche e linguistiche. 12 Mecklenburg-Vorpommern: art. 18. L’autonomia culturale delle minoranze etniche e nazionali e dei gruppi etnici i cui appartenenti sono cittadini con nazionalità tedesca è sotto tutela speciale del Land. 13 Sachsen-Anhalt: art. 37 (Kulturelle und ethnische Minderheiten). (1) L’autonomia culturale e la partecipazione politica delle minoranze etniche sono tutelate dal Land e dai comuni. (2) La dichiarazione di appartenenza ad una minoranza etnica è libera; essa non esonera dai generali doveri civili. 14 V. Götz, Multiculturalismo e valori costituzionali in Germania, in T. Bonazzi e M. Dunne (a cura di), Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Bologna, 1994, 185 ss.

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Tutto ciò è stato chiamato “multiculturalismo”, ma di certo esso non ha concorso ad accrescere

od arricchire la cittadinanza tedesca15.

Perché è successo questo? Perché la società tedesca è costruita attorno al riconoscimento

pubblico di una sola comunità e cioè quella derivante da una specifica identità etnoculturale, ovvero

la c.d. “Kulturnation germanica”. Pertanto la società tedesca aveva sì il dovere e anche la necessità di

accogliere gli stranieri bisognosi, ma doveva rispettarne le identità originarie e non assimilarli alla

cultura tedesca. Il problema del multiculturalismo in Germania – come è stato detto – nasce e si

sviluppa dunque dentro la contraddizione di un Paese che coltiva il mito della sua omogeneità

etnoculturale, ma che è dal punto di vista sociodemografico una società assai differenziata. In fondo

l’accettazione di questo modello di multiculturalismo nell’esperienza tedesca è stato lo strumento

per mettere insieme due diversi modi di approccio politico al problema: quello di destra e quello di

sinistra. Quello di destra, legato all’ideale della centralità dello Stato-Nazione, della omogeneità

etnoculturale, del c.d. Volkstum monoculturale. Quello di sinistra perché il multiculturalismo ha

significato contrastare il c.d. assimilazionismo che si è ritenuto rischioso perché richiama tristemente

alla memoria la “germanizzazione” del regime nazista a danno delle vicine popolazioni, sulla base

dell’idea che le culture delle minoranze debbano essere assimilate in quella dominante ritenuta

superiore. Con gli eccessi della estrema sinistra e dei Verdi dove il multiculturalismo diventa

strumento di lotta contro il nazionalismo tedesco (nelle manifestazioni pro-immigrati indette negli

anni ’90 dai Verdi non era insolito trovare slogan provocatori del tipo “Stranieri, non lasciateci da

soli con i tedeschi”) 16.

5. Il cambio di prospettiva dell’ultimo decennio. Le misure legislative a favore

dell’integrazione sulla base del principio “Fördern und Fordern” (“promuovere e

pretendere”; “finanziare ed esigere”).

Il cambio di prospettiva è avvenuto. Né si poteva continuare ad eludere il problema.

Nell’ultimo decennio la politica tedesca si è mossa con misure legislative a favore di una concreta

integrazione.

Ma non è una integrazione acritica e incondizionata. Il motto della politica di integrazione, per il

ministro Wolfgang Schäuble, è quello del “Fördern und Fordern”, ovvero “promuovere e pretendere”;

“finanziare ed esigere”.

Emblematiche in proposito la legge sulla cittadinanza e la legge sul soggiorno.

15 Sul punto, W. Kymlicka, Teoria politica occidentale e rapporti etnici nell’Europa dell’est, in W. Kymlicka e M. Opalski (a cura di), Il pluralismo liberale può essere esportato?, Bologna, 2003, 94. 16 V. E. Caniglia, Politiche della differenza e multiculturalismo, cit., 300-302.

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La legge sulla “cittadinanza” (“Staatsangehörigkeitsgesetz”, StAG) del 15 luglio 1999.

In primo luogo il c.d. Staatsangehörigkeitsgesetz, StAG (legge sulla cittadinanza)17. La legge è stata

emanata il 15 luglio 1999 (ultimo emendamento 19.2.2007). Si è ritenuto necessario procedere con

una nuova legge per il fatto che alla fine del 1998 vivevano in Germania ca. 7,3 milioni di stranieri,

di cui circa la metà risiedeva in Germania da almeno 10 anni, e un 30% da 20 anni e più. Oltre 1,63

milioni di stranieri erano anche nati in Germania; degli 1,66 milioni di bambini e ragazzi minorenni

stranieri, più di due terzi erano nati in Germania. Queste cifre mostravano chiaramente come il

processo di immigrazione verso la Germania avesse portato alla costituzione di un’ingente

“minoranza straniera” di persone che, vivendo e lavorando in Germania, appartenevano ormai di

fatto alla società tedesca, anche se dal punto di vista giuridico erano rimasti “stranieri”. Già nel 1998

il governo CDU/CSU/FDP aveva constatato che “non è bene che una significativa parte della

popolazione, in quanto minoranza straniera (“ausländische Minderheit”), rimanga per generazioni

esclusa dai diritti e dai doveri dei cittadini rispetto allo Stato” 18. Di qui la convinzione della necessità

di riformare il diritto della cittadinanza che risaliva addirittura al 1913 e che era fondata sullo jus

sanguinis19.

Le nuove norme relative alla cittadinanza sono entrate in vigore il 1° gennaio 2000. Secondo

questa legge, ad esempio, i bambini nati in Germania hanno la nazionalità tedesca se almeno uno dei

genitori vive regolarmente in Germania da almeno 8 anni con regolare permesso di soggiorno o se

ha un permesso di soggiorno a tempo indeterminato da almeno tre anni. Questa legge non regola

solo la nazionalità dei nuovi nati, ma in genere tutti i processi con cui ottenere la cittadinanza.

La nuova legislazione sulla cittadinanza, tra i suoi vari obiettivi20, stabilisce i requisiti di acquisto

della cittadinanza: 1) acquisizione della cittadinanza tedesca per nascita in Germania. I bambini che

nascono in Germania ottengono automaticamente la cittadinanza tedesca se almeno uno dei

genitori ha la cittadinanza tedesca [§ 4 (1)]. Dal 1° gennaio 2000 i bambini che nascono in

17 Testo completo: http://bundesrecht.juris.de/rustag/index.html. 18Cfr. presentazione del Ministero degli interni (BMI) in http://www.bmi.bund.de/cln_012/nn_164920/Internet/Content/Themen/Staatsangehoerigkeit/DatenundFakten/Das__Gesetz__zur__Reform__des__StAG__vom15071999.html. 19 Si veda R. Brubaker, Cittadinanza e nazionalità in Francia e Germania, Bologna, 1997. 20 Scopo della legge è anche eliminare la nazionalità plurima, nei casi in cui è possibile. Per questo la legge stabilisce anche che i tedeschi che richiedono la cittadinanza in un altro Paese, perdono quella tedesca anche se hanno ancora domicilio in Germania (§ 17-24, § 25, co. 1 StAG). Gli uffici addetti alla cittadinanza non devono più farsi carico del processo di acquisizione della cittadinanza per i “Vertriebener, Aussiedler e Spätaussiedler” (“profughi e evacuati” tedeschi: si tratta dei tedeschi provenienti dai territori del Reich passati, dopo la seconda guerra mondiale, ad altri stati, ad esempio alla Polonia, alla Russia, ecc.). Se questi gruppi di persone si sono ormai stabilite in Germania, acquisiscono dal 1 agosto 1999 automaticamente la cittadinanza tedesca (§ 40 StAG). Questi gruppi (detti “Statusdeutsche”: “tedeschi per status”) acquisiscono la cittadinanza presentando il “certificato di Spätaussiedler” (§ 7 StAG). Inoltre è stato eliminato l’obbligo degli uffici per la cittadinanza dei Länder di sottoporre ogni processo di acquisizione della cittadinanza al Ministero Federale degli Interni. La competenza del controllo del processo di acquisizione della cittadinanza presso gli uffici locali spetta ai Länder stessi (cioè ai Ministri degli interni dei singoli Länder).

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Germania, da entrambi i genitori stranieri (cioè con nazionalità non tedesca), ottengono

automaticamente la nazionalità tedesca (per il principio di nascita o “ius soli”), se sono soddisfatti

determinati requisiti, ovvero se almeno un genitore risiede legalmente in Germania da almeno otto

anni e/o è un cittadino della UE con diritto di libera circolazione; o è cittadino di uguale diritto di

uno Stato-EWR; o è svizzero21 o ha un permesso di soggiorno della UE o un permesso di

insediamento22; 2) diritto alla cittadinanza per stranieri adulti. Il requisito minimo di anni di

residenza legale in Germania si abbassa da 15 a 8 anni. Tra gli altri requisiti vengono introdotti: la

confessione di fedeltà al GG23; la conoscenza della lingua tedesca; la mancanza di condanne per

reati24. Se poi lo straniero certifica di aver partecipato con buoni risultati a un corso di integrazione

ai sensi del § 43 legge sul soggiorno (c.d. Aufenthaltgesetz) il requisito relativo agli anni di residenza in

Germania si riduce a sette anni [§ 10 (3) StAG].

La legge sulla immigrazione (c.d ”Zuwanderungsgesetz”) del 30 luglio 2004 ed i suoi

corollari (“legge sul soggiorno” e “corso di integrazione per stranieri”).

La legge sull’immigrazione è del 30 luglio 2004 ed è entrata in vigore il 1° gennaio 2005, c.d.

“Zuwanderungsgesetz” (per esteso “Gesetz zur Steuerung und Begrenzung der Zuwanderung und zur Regelung

21 Sulla base dell’accordo del 21 giugno 1999 tra la Comunità Europea e la Svizzera. 22 Al § 29 si stabilisce l’obbligo di scelta (“Optionspflicht”): se i bambini ottengono alla nascita anche un’altra nazionalità, possono mantenere entrambe le nazionalità finché non diventano maggiorenni. A quel punto devono scegliere tra la nazionalità tedesca e l’altra. Se scelgono la tedesca devono rinunciare all’altra, a meno che ciò non sia impossibile o non si possa pretendere (al § 12 (1) vengono definiti i casi in cui non è possibile pretendere la rinuncia all’altra cittadinanza, se ad esempio il sistema giuridico dello Stato in questione non contempla questa possibilità o non la accetta..). Per la scelta, i maggiorenni hanno tempo fino a che non raggiungono i 23 anni. Per i bambini nati prima del 2000 e di età compresa tra 0-10 anni i genitori (sempre nel rispetto dei requisiti sopra elencati) potevano far valere il diritto alla cittadinanza per i loro figli fino al 31 dicembre 2000 (§ 40b StAG). 23 Al § 11 (1) si stabilisce che non è possibile far valere il proprio diritto all’acquisizione della cittadinanza secondo § 10 (1) StAG se: « 1. non si dispone di una conoscenza sufficiente della lingua tedesca; 2. vi sono prove effettive che lo straniero persegua e appoggi o abbia perseguito e appoggiato azioni contro l’ordinamento democratico liberale, la sicurezza del Bund o di un Land, o che abbiano come scopo il danneggiamento dell’operato degli organi costituzionali del Bund o di un Land o dei loro membri, o che minaccino gli interessi della BRD con l’uso della forza o azioni violente, a meno che lo straniero non riesca a dimostrare in modo credibile di aver cessato di perseguire o appoggiare simili azioni o intendimenti; 3. sussiste un motivo valido per l’espulsione secondo § 54 nr. 5 e 5a della legge sul soggiorno». 24 Uno straniero che risiede legalmente in Germania da almeno otto anni ha diritto alla cittadinanza tedesca se: 1) dichiara la propria fedeltà all’ordinamento democratico e liberale del Grundgesetz della BRD e dichiara di non perseguire né appoggiare e di non aver perseguito né appoggiato azioni contro l’ordinamento democratico liberale, la sicurezza del Bund o di un Land, o che abbiano come scopo il danneggiamento dell’operato degli organi costituzionali del Bund o di un Land o dei loro membri, o che minaccino gli interessi della BRD con l’uso della forza o preparazione di azioni violente; oppure se dichiara in modo credibile di essere cambiato e aver cessato di perseguire simili azioni o scopi; 2) è cittadino dell’Unione Europea con diritto di libera circolazione, o è cittadino di pari diritto di un uno Stato-EWR o della Svizzera (sulla base dell’accordo del 21 giugno 1999 tra la Comunità Europea e la Svizzera), o se possiede un permesso di soggiorno della UE o un permesso di insediamento o un permesso di soggiorno per scopi di soggiorno diversi da quelli elencati in §§ 16,17,22,23, par. 1, §§ 23, 24 e 25 par. 3 e 4 della legge sul soggiorno (Aufenthaltgesetz); 3) può garantire il sostentamento proprio e della propria famiglia senza richiedere i sussidi del secondo o dodicesimo libro del Codice della previdenza sociale (Sozialgesetzbuch); 4) rinuncia alla cittadinanza avuta finora o la perde; 5) non è stato condannato per alcun reato.

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des Aufenthalts und der Integration von Unionsbürgern und Ausländern”, “Legge sulla gestione e la

limitazione dell’immigrazione e la regolamentazione del soggiorno e dell’integrazione dei cittadini

UE e degli stranieri”). Diciamo subito che la legge sull’immigrazione è il risultato di una discussione

di tre anni all’interno della coalizione e ha rappresentato ovviamente una soluzione di

compromesso che ha suscitato reazioni diverse e eterogenee (basta dare uno sguardo ai quotidiani

tedeschi tra l’estate del 2004 e l’inizio del 2005, per rendersi conto di ciò). Inoltre, le disposizioni

relative alla sicurezza interna mostrano chiaramente i segni dell’ “11 settembre” e per questo motivo

non possono costituire la base per una regolamentazione veramente innovativa.

Questa legge comprende, tra le altre cose25:

• art. 1: legge sul “soggiorno”, cioè lo Aufenthaltgesetz (AufenthG; “Gesetz über den

Aufenthalt, die Erwerbtätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet” = legge sul

soggiorno, l’attività lavorativa e l’integrazione degli stranieri nel territorio federale)26.

Ai fini della politica della integrazione, mi pare importante segnalare quanto

comunicato dal Ministero Federale degli Interni, secondo cui lo scopo della legge sul

permesso di soggiorno (AufenthG, entrata anch’essa in vigore il 1° gennaio 2005 come

parte del Zuwanderungsgesetz) è quello di permettere l’immigrazione ma anche di

prendere in considerazione la capacità di accoglienza della società tedesca e il

potenziale di integrazione presente. Il governo ha dunque deciso di supportare gli

sforzi degli stranieri di integrarsi nella società tedesca.

• art. 2: legge sulla “libera circolazione/EU” = Freizügigkeitsgesetz/EU (abbr.:

FreizügG/EU; per esteso: “Gesetz über die allgemeine Freizügigkeit von Unionsbürgern” =

legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea27).

Più precisamente la legge sul soggiorno regola quattro ambiti: l’immigrazione di stranieri;

l’accoglienza dei profughi e di chi chiede diritto di asilo; l’integrazione dei nuovi immigrati; la

questione della sicurezza (norme di espulsione).

La sua struttura di base è quella della vecchia legge sugli stranieri (Ausländergesetz) e i

requisiti per il permesso di soggiorno rimangono alti (si veda in particolare la clausola secondo cui è

possibile immigrare solo se è già presente un concreto posto di lavoro in Germania28). Ma ci sono

25 La legge è assai articolata. Oltre alla legge sul soggiorno e sulla libera circolazione (artt. 1. e 2), essa comprende: l’emendamento della legge sul procedimento di asilo (art 3, Änderung des Asylverfahrensgesetzes); l’emendamento della legge sul registro centrale degli stranieri (art. 4, Änderung des Gesetzes über das Ausländerzentralregister); la modifica della legge sulla cittadinanza (art. 5, Änderung des StAG); modifiche della legge sui tedeschi espatriati (art. 6, Änderung des Bundesvertriebenengesetzes); l’emendamento della legge sulla situazione giuridica degli apolidi nel territorio tedesco (art. 7); modifiche della legge sui sussidi per chi fa richiesta di asilo (art. 8); la modifica del terzo libro del Codice di previdenza sociale (art. 9); modifiche di altre leggi sociali o relative ai sussidi statali (art. 10), ecc. 26 Testo in http://bundesrecht.juris.de/aufenthg_2004/index.html 27 Testo in http://bundesrecht.juris.de/freiz_gg_eu_2004/index.html 28 Accesso al mercato del lavoro. Per i non qualificati o i poco qualificati, così come per i qualificati, si mantiene in genere il blocco delle assunzioni. Cittadini di altri membri della UE possono accedere, se qualificati, al mercato del

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anche importanti innovazioni quali la riduzione dei titoli di permesso di soggiorno29. La legge

introduce poi importanti riforme istituzionali: a livello federale stabilisce l’istituzione dell’“Ufficio

federale per l’immigrazione e i profughi” (Bundesamt für Migration und Flüchtlinge)30 e tenta di

semplificare e accelerare l’iter per il permesso di soggiorno e di lavoro e per il riconoscimento del

diritto di asilo. Viene strutturata in modo nuovo l’immigrazione per motivi umanitari31. A livello dei

lavoro secondo il principio della precedenza, ovvero: un cittadino tedesco o di pari diritto ha comunque la precedenza su quello proveniente da un altro paese UE. Tuttavia i cittadini degli Stati membri o in via di accesso alla UE hanno la precedenza rispetto ad altri stranieri. Per chi è altamente qualificato è previsto già in partenza un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Si può concedere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro solo se sussiste la concreta offerta di un posto di lavoro. In genere l’ammissione al lavoro si orienta alle necessità economiche della zona in questione e tiene conto della situazione del mercato del lavoro. Privati autonomi (si riferisce agli imprenditori che decidono di iniziare un’attività in proprio in Germania) possono ottenere un permesso di soggiorno a tempo determinato se sussiste una necessità regionale o un alto interesse economico, se l’attività pianificata fa prevedere effetti positivi sull’economia e se il finanziamento è garantito. In genere questo si verifica se vengono creati almeno 10 posti di lavoro e se si investe almeno un milione di euro. Un permesso di soggiorno a tempo determinato può essere concesso anche quando sussistono agevolazioni a livello del diritto internazionale su basi di reciprocità. Dopo tre anni è possibile concedere un permesso di soggiorno a tempo indeterminato se l’attività pianificata ha effettivamente avuto successo e il sostentamento è garantito. Studenti stranieri che hanno concluso gli studi universitari possono rimanere in Germania un anno per cercare un posto di lavoro che corrisponda alla propria qualificazione. 29 Da cinque tipi di permessi di soggiorno si passa a solo due tipi, ovvero il permesso di soggiorno a tempo determinato (Aufenthalterlaubnis) e il permesso di soggiorno a tempo indeterminato (Niederlassungserlaubnis, lett. “permesso di insediamento”). Il diritto relativo al soggiorno non si basa più sui “titoli di soggiorno” ma sugli scopi del soggiorno. Tali scopi sono in particolare: l’attività produttiva/lavorativa, la formazione, il ricongiungimento familiare e i motivi umanitari. Chi si reca per la prima volta in Germania ha bisogno di un visto che poi in Germania viene trasformato in un permesso di soggiorno o a tempo determinato o a tempo indeterminato. Il permesso di soggiorno a tempo determinato viene concesso in base agli scopi del soggiorno definiti dalla legge (formazione/studio, attività produttiva, motivi familiari, dovuti al diritto internazione o umanitari). Il permesso di soggiorno a tempo indeterminato viene concesso se lo straniero ha un permesso di soggiorno a tempo determinato da almeno 5 anni e risponde a ulteriori requisiti quali: garanzia di poter provvedere al proprio sostentamento, conoscenza sufficiente della lingua tedesca, mancanza di condanne per reati, ecc. Il doppio procedimento del permesso di soggiorno e del permesso di lavoro viene sostituito da un unico procedimento di ammissione. Gli stranieri dovranno quindi, d’ora in poi, rivolgersi solo ad un ufficio, cioè all’ufficio per stranieri competente. L’ufficio per stranieri ritira il consenso al permesso di lavoro direttamente presso l’amministrazione responsabile del lavoro e concede poi allo straniero il permesso di lavoro unitamente a quello di soggiorno. 30 L’ufficio federale per i rifugiati viene trasformato in “Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati”. Le sue competenze sono: la coordinazione delle informazioni relative all’immigrazione tra gli uffici per stranieri, l’ufficio del lavoro e le rappresentanze tedesche all’estero; l’attuazione dei corsi di integrazione, la compilazione del registro centrale degli stranieri e l’applicazione delle misure atte a promuovere il ritorno volontario. 31 Lo status di profugo riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e quello di “soggetto avente diritto di asilo” vengono equiparati. Entrambi i gruppi ottengono inizialmente un permesso di soggiorno a tempo determinato: questo, dopo tre anni, può diventare a tempo indeterminato se sussistono i requisiti necessari. I figli celibi/nubili di soggetti aventi diritto di asilo e di rifugiati secondo la Convenzione hanno il diritto di ricongiungersi ai genitori fino al 18 anno di età. La persecuzione non statale, nella concessione dello status di rifugiato secondo la Convenzione di Ginevra viene riconosciuta. Come elemento nuovo, la legge introduce anche il riconoscimento della persecuzione in base al sesso: la minaccia per la vita e l’incolumità fisica derivante solo dal sesso viene considerata persecuzione e quindi può rappresentare la base per il riconoscimento dello status di rifugiato. ll procedimento di asilo viene accelerato grazie all’eliminazione del responsabile del Bund per l’asilo e alla autonomia dei responsabili per la decisione sull’asilo.

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Länder introduce la possibilità di una “commissione per i casi gravi” (“Härtefällekommission”)32 e di un

“ordine di espulsione” (“Abschiebungsverordnung”) di competenza dei Länder33.

Particolarmente rilevante e innovativa è la promozione dell’integrazione (AufenthG § 43-45). A

tutti i nuovi immigrati che risiedono regolarmente e stabilmente in Germania (stranieri con un

durevole permesso di soggiorno, cittadini EU e “Spätaussiedler”34) viene offerto un programma di

integrazione unitario e regolato a livello federale. Per la prima volta si stabilisce per legge il diritto a

un corso di integrazione: questo diritto vale per i nuovi immigrati che ricevono per la prima volta un

permesso di soggiorno. Per gli stranieri che non possiedono sufficienti conoscenze linguistiche, la

frequenza del corso di integrazione è invece obbligatoria.

Vi sono poi una serie di regolamenti (Verordnungen) emanati sulla base del Zuwanderungsgesetz35. In

particolare la Integrationskursverordnung (IntV) del 13 febbraio 200436 (Regolamento sul corso di

32 Ai Länder si concede la possibilità di istituire una “Härtefallkommission” (“commissione per i casi gravi”): essa può rivolgere al supremo ufficio del Land determinate richieste o proposte relative a casi singoli di particolare rilevanza umanitaria. Quest’ultimo ha il diritto di concedere il permesso di soggiorno anche se le condizioni generali per il permesso non sono rispettate. Questa norma relativa ai casi gravi presuppone che lo straniero risieda in Germania, abbia il dovere di lasciare il paese quando ciò sarà possibile, e non abbia commesso reati. Se i Länder fanno ricorso a questa possibilità, il procedimento, la composizione della commissione, i requisiti che devono essere soddisfatti e i criteri di esclusione vengono stabiliti in una direttiva giuridica del Land stesso. 33 Regole per l’espulsione. I motivi di un’espulsione possono essere di varia natura. L’espulsione è necessaria in caso di una o più condanne ad una reclusione di minimo tre anni, di crimini gravi, in caso di condanne di minimo due anni (senza condizionale) per reati contro la pace pubblica o per traffico clandestino di stranieri. Di regola si procede con l’espulsione anche se ci sono motivi fondati per pensare che lo straniero appartenga ad una associazione terroristica o la sostenga o metta in pericolo l’ordinamento costituzionale, democratico della BRD o se incita pubblicamente alla violenza, o minaccia di usare violenza o se è uno dei capi di un’associazione proibita che ha violato l’ordinamento democratico. Una espulsione “discrezionale“ può avvenire nel caso dei cosiddetti “seminatori di odio” , ovvero coloro i quali diffondono ideologie che in qualche modo supportano i crimini di guerra e il terrorismo in modo tale da costituire un pericolo per la sicurezza pubblica, così come nel caso di incitamento all’odio o alla violenza verso alcune parti della popolazione, attacchi alla dignità umana tramite offese e disprezzo di parti della popolazione. L’espulsione discrezionale si può avere anche nel caso di documenti falsi o incompleti nel corso del procedimenti per l’acquisizione del visto. La lotta contro l’immigrazione clandestina viene rafforzata tramite un miglioramento della elaborazione e della trasmissione dei dati. Oltre al processo di asilo, spetta all’Ufficio federale per la migrazione e i profughi una serie di incarichi di coordinazione per l’informazione sulla migrazione così come la gestione di un registro centrale degli stranieri. Importante segnalare la nuova competenza dei Länder. Come nuova regola per la sicurezza e la difesa da particolari pericoli, la legge sull’immigrazione introduce l’ “ordine di espulsione” (“Abschiebungsanordnung”) con cui l’ufficio supremo di ogni Land può “ordinare” l’espulsione di uno straniero anche senza che vi sia una precedente espulsione e senza preavviso. Questo ordine di espulsione deve essere motivato da una prognosi di pericolo fondata sui fatti. Con questa nuova regolamentazione si cerca di tenere conto con le difficoltà pratiche che, in particolari situazioni di pericolo, rendono più difficile e meno efficace il normale procedimento di espulsione. A queste nuove norme si aggiungono norme e misure di controllo degli stranieri espulsi. Inoltre, si stabilisce che prima della concessione di un permesso di soggiorno a tempo determinato e indeterminato è necessario accertarsi che chi ha presentato domanda sia fedele ai principi costituzionali. 34 Ovvero “espatriati tardi”, persone di etnia tedesca provenienti dalle Repubbliche della Ex-Unione Sovietica, Estonia, Lituania, Lettonia, arrivato in Germania dopo il 31.12.1992. 35 In particolare: la Beschäftigungsverfahrensverordnung = BeschVerfV del 22 novembre 2004 (“Regolamento per il processo di occupazione”: per regolare il permesso di esercitare una professione per stranieri già residenti in Germania); la Beschäftigungsverordnung = BeschV della stessa data (“Regolamento per l’occupazione”: per regolare il permesso di esercitare una professione per stranieri che ancora non risiedono in Germania ma vogliono immigrare o sono appena immigrati); l’Aufenthaltverordnung = AufenthV del 25 novembre 2004 (“Regolamento per il soggiorno”: regola quegli ambiti che finora erano regolati dalla legge per gli stranieri [Ausländergesetz], dalla direttiva sulle tasse agli stranieri [Ausländergebührenverordnung], dalla direttiva sui documenti sugli stranieri [Ausländerdateienverordnung] e dalla direttiva sulla trasmissione dei dati relativi agli stranieri [Ausländerdatenübermittlungsverordnung]). 36 “Verordnung über die Durchführung von Integrationskursen für Ausländer und Spätaussiedler” = Regolamento sull’attuazione di corsi di integrazione per stranieri e per gli Spätaussiedler. Testo in http://bundesrecht.juris.de/intv/index.html

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integrazione). La principale misura attuata dal governo è l’istituzione di un “Corso di integrazione”

per stranieri, cittadini EU e gli Spätaussiedler. I tratti principali del corso di integrazione sono stabiliti

nella legge sul soggiorno (AufenthG §§ 43-45) e nel regolamento per il corso di integrazione

(Integrationskursverordnung = IntV). Gli scopi del corso di integrazione (AufenthG §§ 43) sono: 1)

l’acquisizione di conoscenze sufficienti della lingua tedesca secondo il § 43 dell’ AufenthG e il § 9

Abs 1, co. 1 del Bundesvertriebenengesetz; 2) l’acquisizione di conoscenze relative alla vita quotidiana,

all’ordinamento giuridico, alla cultura e alla storia tedesca, in particolare relative ai valori dello Stato

democratico della BRD e ai principi della parità dei diritti, dello Stato di diritto, della tolleranza e

della libertà di religione. La partecipazione al corso è obbligatoria per determinate categorie di

soggetti37. Il corso di integrazione comprende in tutto 630 ore. Esso è costituito da un corso di

lingua di base e uno avanzato (600 ore in tutto) e da un “corso di orientamento” di 30 ore. Per la

partecipazione al corso di integrazione gli stranieri devono pagare 1 euro per ora di lezione

all’amministrazione federale38. Alla fine del corso i partecipanti devono sostenere un test finale che è

costituito da due parti: un esame di lingua (livello B1; Zertifikat Deutsch) e un test sul corso di

orientamento. Dai dati del Ministero risulta che i corsi di integrazione stanno avendo successo: tra il

gennaio 2005 e gennaio 2007 li hanno frequentati più di 200.000 persone.

6. La libertà religiosa quale emblematico luogo di emersione del conflitto

costituzionale. Il “no al velo” nella sentenza del Tribunale costituzionale della

Baviera del 15 gennaio 2007.

La libertà religiosa e il rapporto tra Stato e religioni è divenuta in Germania oggetto di altissima

attenzione nei media, nella opinione pubblica e nella letteratura39.

37 Secondo il § 44 AufenthG che stabilisce i requisiti di ammissione, ha diritto di partecipare al corso chi risiede stabilmente in Germania (ovvero ha un permesso di soggiorno di minimo un anno) e riceve per la prima volta: un permesso di soggiorno a scopo lavorativo, per motivi umanitari, o in vista del ricongiungimento familiari; un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Per alcuni stranieri sussiste l’obbligo di frequentare il corso di integrazione. Questo, secondo il § 44a AufenthG, avviene se: uno straniero rientra nella categoria di chi ha diritto ad essere ammesso al corso di integrazione e non riesce a comunicare in lingua tedesca nemmeno in modo semplice; oppure se gli uffici per stranieri richiedono allo straniero espressamente la partecipazione a un corso di integrazione poiché questi ha particolarmente bisogno di integrazione (“in besonderer Weise integrationsbedürftig ist”); oppure se lo straniero si avvale degli aiuti stabiliti nel secondo libro del Codice della previdenza sociale e l’incarico concessogli in base a tali aiuti ha reso necessaria la partecipazione al corso. Non possono far valere il diritto di partecipare al corso: i bambini e i giovani che frequentano scuole; chi ha scarsa necessità di integrazione (“bei erkennbar geringem Integrationsbedarf”); chi ha già una sufficiente conoscenza del tedesco. 38 E’ tenuto a pagare anche chi, secondo § 43 par. 3 comma 5 AufenthG, ha il dovere di garantire il sostentamento dello straniero. Ci sono poi ovviamente casi in cui gli stranieri possono essere esonerati dal pagamento. 39 Prova ne sono le numerose recentissime pubblicazioni in merito: segnalo il poderoso lavoro di C. Walter, Religionsverfassungsrecht in vergleichender und internationaler Perspektive, Tübingen, 2006. e AA.VV., Religionen in Deutschland und das Staatskirchenrecht, Münster, 2005. Ulteriori indicazioni sono contenute in E. Palici di Suni Prat-D.E.Tosi, La dottrina tedesca in tema di diritti, in DPCE, 2007, 287 ss.

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Non è irrilevante il fatto che in questo Paese si contano oggi circa 3 milioni di musulmani e che

la confessione islamica si sia fortemente radicata tramite l’immigrazione, gli alti tassi di natalità e in

parte anche la sua forza di attrazione ideologica.

Questo è il vero problema dell'integrazione tedesca (e non solo della Germania).

Certo è che l’Islam si contrappone alle religioni cristiane (o per meglio dire a quella cattolica,

perché l'insistenza della Chiesa sulla identità nazionale cristiana è assai più marcata in Italia o

Spagna, piuttosto che in Paesi multi confessionali), soprattutto perché – lo sappiamo bene –

nell’Islam non c'è un confine netto tra Stato e Chiesa, tra diritto e religione, tra pubblico e privato.

C’è un punto da sottolineare.

Il sistema del diritto islamico appare connotato – per dirla con Predieri – da un «diritto apicale

comune»40 superiore a quello dei singoli Stati islamici. In questa prospettiva la Sharia non è una

legge, un codice, un decalogo, una tavola, un documento, ma un vero e proprio sistema di valori che

trascende il diritto, le diversità etniche, i luoghi, i tempi. E’ la base di ogni organizzazione

istituzionale, di ogni ramo del diritto, di ogni politica, anche di ogni Costituzione; è la comunità, la

patria, il mondo, la bussola nei momenti delle scelte tragiche, l’elemento unificante: in ultima analisi,

la coesione di un intero popolo. Se ammettiamo ciò, in che modo l’islam può radicarsi nel contesto

laico degli ordinamenti dei Paesi dell’Unione europea nell’ambito dei quali la religione, pur essendo

parte della vita sociale, è come in Germania nel contempo tenuta rigorosamente distinta da essa?

Delicatissimi sono infatti i problemi che nascono da queste nuove dimensioni della

convivenza e che si pongono all’attenzione degli organi di governo con sempre maggiore intensità e

frequenza. Problemi che nascono quando gli appartenenti alle diverse culture hanno standards etici

diversi e potenzialmente collidenti e che la dottrina affronta con diversi tipi di approccio, dal

relativismo culturale, all’universalismo ampio41. In Germania essi hanno riguardato in via principale

40 V. A. Predieri, Sharia e Costituzione, Roma-Bari, 2006. 41 A. Gutmann, Das Problem des Multikulturalismus in der politischen Ethik”, in Disch. Z. Philos., 1995, n. 43, 2, 273 ss. Per l’Autrice vi può essere: 1) il relativismo culturale; 2) il relativismo politico; 3) l’universalismo ampio; 4) l’universalismo deliberativo. Secondo il relativismo culturale, tutti i principi etici sono relativi e dipendono da una determinata cultura. Non esistono valori universali assoluti quindi l’unico modo per risolvere potenziali conflitti è accettare la convivenza di diversi standards etici e preservarli. Il problema è che spesso non c’è omogeneità all’interno dei singoli gruppi culturali ed allora si fanno valere gli standards etici della cultura dominante. Secondo il relativismo politico è possibile creare giustizia sociale in una società multiculturale se si creano dei meccanismi istituzionali che diano alle diverse culture la possibilità di confrontarsi e di risolvere eventuali conflitti tramite la deliberazione politica. Secondo il relativismo politico tutti i principi etici sono relativi e sono il risultato della deliberazione politica: invece per l’A. vi sono alcuni principi che non possono essere sottoposti a deliberazione e dibattito (ad esempio il divieto di tortura, schiavitù, uccisione di innocenti etc.). Anche procedimenti deliberativi in sé giusti non possono giustificare la negazione di diritti fondamentali. L’universalismo ampio afferma che sussiste una serie di valori che sono riconosciuti in tutte le culture anche se non esplicitamente prescritti da determinate leggi e regolamenti, comandamenti religiosi etc (come la ricerca della giustizia e della verità, il divieto di uccidere, ecc.). L’autrice propone un quarto approccio, quello dell’universalismo deliberativo: esiste effettivamente un nucleo di principi etici universali e riconosciuti da tutti che possono rappresentare la base per la comunicazione tra le diverse culture. Questo nucleo è però ristretto e non così ampio come quello ipotizzato dal c.d. “universalismo ampio”. Esso si limita a pochi principi davvero universali e univoci. In sintesi, l’universalismo deliberativo si costituisce di due elementi: a) principi sostanziali universali e non discutibili (principi sostanziali); b) principi che rappresentano il presupposto perché possa svolgersi un dibattito (principi procedurali). Si parte dunque da

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lo statuto giuridico delle comunità islamiche, l’istruzione religiosa nelle scuole pubbliche, l’assistenza

religiosa nelle forze armate42. Da ultimo, la possibilità di indossare il velo al lavoro o nelle scuole

pubbliche, poiché considerato non solo mero segno religioso, ma anche simbolo a fortissima

valenza politica e culturale, simbolo cioè di una cultura che è talora percepita in contrasto con i

valori fondamentali della Costituzione tedesca, soprattutto con quello della parità fra uomo e

donna.

Il Tribunale costituzionale federale si è occupato del tema con due decisioni: l’ordinanza del 21

agosto 2003 con cui il Tribunale costituzionale ha stabilito che indossare il velo su luogo di lavoro

non può essere motivo di licenziamento e la sentenza del 24 settembre 2003 con la quale si è

stabilito che in assenza di una specifica previsione normativa a livello di Land, non si può vietare alle

insegnanti di religione islamica di indossare il velo durante le lezioni.

Le decisioni sono entrambe notissime e non mi soffermo43.

Ricordo solo che la questione del velo si è complicata di recente con una decisione del

Tribunale costituzionale della Baviera del 15 gennaio 2007 che ha respinto un ricorso popolare

avente ad oggetto la costituzionalità dell’art. 59, § 2, co. 3 della legge bavarese relativa all’educazione

e all’insegnamento (BayEUG) del 31 maggio 2000 (come emendata con la legge del 26 luglio 2006).

Detto articolo stabilisce che: «Il corpo docente deve adempiere al compito di istruzione e

educazione stabilito negli artt. 1 e 2 e attenersi ai programmi e alle direttive per l’insegnamento e

l’educazione. Gli insegnanti devono trasmettere in modo credibile i diritti fondamentali fissati nella Costituzione.

Simboli esterni o capi di vestiario che esprimono una convinzione religiosa o un’ideologia non possono essere portati, se

i simboli o i capi di vestiario possono essere interpretati dagli alunni o dai genitori come l’espressione di un

atteggiamento che non è compatibile con i diritti fondamentali e gli obiettivi formativi fissati nella Costituzione,

compresi i valori culturali cristiano-occidentali (…)». Per la Corte bavarese, spetta innanzitutto al legislatore un nucleo di valori etici condivisi e da una serie di condizioni che devono essere rispettate affinché sia garantito, all’interno della società, un dibattito libero su questioni morali e soprattutto su problemi di conflitti etici e religiosi. 42 Si veda ad esempio il libro di M. Parisi, L’islam e i Paesi europei: problemi giuridici e di legalità costituzionale, Salerno, 2002. 43 La ricorrente, Frau Ludin, nata in Afghanistan, risiedeva in Germania dal 1987 e aveva ottenuto la cittadinanza tedesca nel 1995. Dopo aver finito gli studi e il periodo di tirocinio obbligatorio per l’insegnamento, aveva fatto domanda per un posto da insegnante in una scuola pubblica del Baden-Württemberg. La scuola aveva respinto la domanda perché la signora Ludin aveva dichiarato di voler portare il copricapo anche durante le lezioni. Dopo essere ricorsa, senza successo, alle vie amministrative, la Ludin fa ricorso diretto al BVerfG per violazione dei diritti fondamentali. Nella sentenza del 24 settembre 2003, il BVerfG ha accolto il ricorso. Nel caso di specie entrava in gioco il compito educativo dello Stato (art. 7, co. 1 GG), da svolgersi nell’osservanza del principio di neutralità religiosa ed ideologica ed il diritto “naturale” dei genitori all’educazione dei propri figli (art. 6, co. 2 GG). Questo comprende anche il diritto di tenere i figli lontani da convinzioni religiose che i genitori ritengano false o dannose. Da ultimo, la libertà di fede negativa degli alunni (art. 4 GG; 140 GG in comb. disp. art. 136 WRV). Per il Tribunale: «Nel vigente diritto del Land Baden-Württemberg, in assenza di un fondamento legislativo sufficientemente determinato, il divieto per gli insegnanti di indossare a scuola e durante la lezione un copricapo che esprime un simbolo religioso viola il diritto al pari accesso ad ogni ufficio pubblico in collegamento con il diritto alla libertà di fede e di culto. Il mutamento sociale collegato al crescente pluralismo religioso può essere l’occasione per i legislatori dei Länder di una nuova disciplina dei limiti in cui sono consentiti i simboli religiosi nella scuola. In questa operazione il legislatore del Land deve tenere conto adeguatamente sia della libertà di fede degli insegnanti che di quella degli studenti, del diritto dei genitori di educare i figli, nonché del precetto di neutralità dello Stato in materia religiosa e di visione del mondo». Per indicazioni G. Mangione, Il simbolo religioso nella giurisprudenza recente del Tribunale federale costituzionale tedesco, in E. Dieni, A. Ferrari, V. Pacillo, Simboli, Religioni, Diritti nell’Europa multiculturale, Bologna, 2005, 239 ss.

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del Land, nell’ambito del suo potere di controllo scolastico (Schulaufsicht: art. 130 Cost. bavarese),

decidere fino a che punto nelle scuole pubbliche, durante la lezione, sia vietato al corpo docente

portare simboli esteriori e capi di vestiario che esprimano una convinzione religiosa o ideologica. La

norma contestata presuppone che i simboli esteriori e i capi di vestiario possano essere interpretati

dagli alunni e dai genitori come espressione di una visione del mondo inconciliabile con i valori

fondamentali e gli obiettivi di formazione della Costituzione, compresi i valori culturali e di

istruzione cristiano-occidentali.

Sotto questo profilo, per la Corte, il termine “cristiano” deve essere inteso nello stesso modo in

cui viene usato nella Costituzione bavarese. Per “principi della confessione cristiana” ai sensi

dell’art. 135, co. 2 BV si deve intendere non i contenuti di fede delle singole confessioni cristiane,

bensì i valori e le norme che sono stati fortemente plasmati dal cristianesimo e che ormai sono

diventati un patrimonio comune di tutto l’ambito culturale occidentale44. Inoltre il termine

“occidentale” si riferisce ai valori del mondo occidentale come influenzati dall’Umanesimo e

dell’Illuminismo. Ed ecco il bilanciamento. E’ pur vero – afferma la Corte – «che la libertà di fede e

di religione viene garantita dalla Costituzione bavarese. Ma tale libertà incontra determinati limiti,

dal momento che devono essere anche considerati sia i diritti fondamentali di altri soggetti collidenti

con i primi, sia altri valori del diritto con rango costituzionale, tenendo conto sempre dell’unità della

Costituzione e dell’ordinamento di valori da essa tutelata. Il legislatore ha il dovere di creare un

equilibrio tra i valori costituzionali in collisione fra loro, che permetta la tutela di entrambi. In

questo caso bisogna considerare quale sia la posizione costituzionale cui spetta maggior peso (…).

Per la valutazione degli sviluppi effettivi e delle conseguenze delle misure con cui far fronte ai

pericoli per i beni costituzionali in collisione – siano essi pericoli astratti o concreti – il legislatore ha

a disposizione una prerogativa di giudizio (Einschätzungsprärogative)»45. Il legislatore, per la presente

questione, è partito dal presupposto che un insegnamento credibile dei valori fondamentali e gli

obiettivi educativi della Costituzione è in pericolo se gli insegnanti portano determinati simboli

esterni o capi di vestiario. Il risultato della ponderazione degli interessi collidenti qui espresso non è

contestabile. E ciò perché: a) lo Stato adempie al suo compito di istruzione ed educazione, stabilito

dalla Costituzione, con l’aiuto degli insegnanti. Questi sono direttamente responsabili, dal punto di

vista pedagogico, dell’istruzione e dell’educazione degli alunni e delle alunne (art. 59, co. 1

BayEUG). In virtù del loro rapporto di lavoro e servizio, gli insegnanti hanno il dovere di

trasmettere i valori fondamentali della Costituzione46. Il legislatore, nell’interesse degli alunni e dei

44 VerfGH 55, 189 (196); BVerfG 17 dicembre 1975 in BVerfGE 41, 65 (84). 45 Cfr. BVerfG del 1 marzo 1979 in BVerfGE 50, 290 (332); BVerfG 2 marzo 1999, in BVerfGE 99, 367 (389). 46 Il legislatore che si basa su una valutazione oggettiva dal punto di vista dei destinatari (…), dovrebbe partire dal presupposto, nell’ambito del proprio raggio di valutazione e prognosi, che il confronto con simboli e capi di vestiario portati a lezione dagli insegnanti e che contrastano con i valori fondamentali e gli obiettivi educativi della Costituzione possa influenzare gli alunni e le alunne affidati a quegli insegnanti. Alla luce della funzione educativa e di esempio insita

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genitori e conformemente al proprio compito educativo e formativo, ha potuto dunque attribuire il

maggior peso alla necessità di prevenire che la trasmissione credibile dei valori fondamentali e gli

scopi educativi venga compromessa; b) la regola contestata non contrasta con il dovere della

neutralità dello Stato nei confronti delle chiese, delle comunità religiose e delle associazione

ideologiche stabilito negli artt. della Costituzione bavarese (art. 107, § 1; art. 118, § 1 e art. 142, § 1

BV). A parte che il dovere della neutralità non deve essere inteso come l’obbligo di eliminare dalla

sfera pubblica tutto ciò che attiene all’ambito religioso; non significa una totale indifferenza nelle

questioni religiose o ideologiche né significa una separazione laicista tra Stato e Chiesa, poiché il

legislatore può e deve orientare le proprie norme al sistema di valori su cui si basa la Costituzione.

Vi è comunque che, già nel preambolo, la Costituzione bavarese rifiuta un ordinamento dello Stato

e della Società privo di Dio e si richiama alla millenaria storia della Baviera, che è caratterizzata dal

radicamento del Land nella tradizione cristiano-occidentale. Né detta regolamentazione può essere

attaccata dal punto di vista del principio della tolleranza (…). La scuola (…) deve essere aperta

anche a valori diversi da quelli cristiani (…). Tuttavia, in riferimento al particolare potere di

influenza rivestito dall’aspetto fisico, con cui gli alunni durante la lezione si confrontano

costantemente, il legislatore può esigere un maggior riserbo, orientato ai valori fondamentali della

Costituzione; c) gli insegnanti interessati dalla regolamentazione non vengono danneggiati in modo

sproporzionato. L’ art. 59, § 2 co. 3 BayEUG si limita al comportamento durante la lezione nelle

scuole pubbliche. La norma è dunque ragionevole, tanto più che chiunque entri a far parte del

servizio pubblico come insegnante deve essere consapevole di avere anche determinati doveri in

virtù del suo essere vincolato al servizio scolastico pubblico e ai valori fondamentali della

Costituzione.

La decisione esprime ancora una volta tutta la tensione circa la scelta di fondo su quale debba

essere la visione della società tedesca e dello spazio pubblico.

Mi pare vi sia un dato evidente.

Per il Governo bavarese e il Tribunale costituzionale la scelta è di campo e senza incertezze.

Già nella vicenda sul crocifisso la regolamentazione della disciplina bavarese era stata dichiarata

incostituzionale dal BVerfG47. Ma la Baviera ha sostituito la disciplina giudicata incostituzionale dalla

nella figura dell’insegnante l’ipotesi della possibilità di influenza è giustificata anche quando i simboli e i capi di vestiario cui si fa riferimento in art. 59 § 2 co. 3 BayEUG non vengono portati con intenti di proselitismo. 47 Nel caso di specie la croce è stata ritenuta simbolo di una convinzione religiosa e non solo espressione generica di cultura impregnata al Cristianesimo e capace di influenzare gli alunni. Il Tribunale ha sostenuto che: “Anche uno Stato che garantisce una piena libertà di fede, obbligandosi ad osservare una neutralità religiosa ed ideologica, non può rimuovere i valori del Cristianesimo, tuttavia il Cristianesimo è inteso quale mero fattore di cultura e di formazione. Pertanto il legislatore del Land può introdurre nei propri regolamenti sulla organizzazione scolastica dei riferimenti religiosi cristiani, ma questi dovranno essere limitati al minimo: la scuola cioè non dovrà interpretare la propria missione in termini di proselitismo, né rivendicare un carattere costrittivo ai contenuti del Cristianesimo. Cioè non dovrà essere una scuola missionaria”.

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sentenza del 1995, con una nuova normativa che reintroduce il crocifisso48. La norma ha superato il

controllo di costituzionalità della Corte costituzionale del Land Baviera che si è pronunciata con la

decisione del 1 agosto 1997 e ha escluso una violazione del giudicato costituzionale rispetto alla

decisione del Tribunale federale del 1995, in base alla quale devono ritenersi incostituzionali

soltanto le norme che prescrivono in modo inevitabile l’apposizione del crocifisso, la nuova

disciplina bavarese prevede invece un meccanismo di composizione di eventuali conflitti49. Dunque

per la Baviera il “bene comune” della società tedesca è la religione cattolica, intesa quale valore

fondativo della identità etnoculturale tedesca.

La Corte di Karlsruhe, invece, sembra finora avere aderito ad una visione laica e ad una

concezione per così dire neutra dello spazio pubblico. Per essa la definizione del bene riguarda solo

il singolo individuo e la sua sfera privata, mentre il pubblico deve farsi portatore solo dei valori

procedurali. Ma la Corte si è mossa con profonde incertezze se è vero che la decisione sul velo del

2003 è stata letta in dottrina come non stringente tanto da essere degradata ad una “decisione di

non decidere”50 e che ad essa si sono accompagnati i voti dissenzienti di tre giudici, “pesanti” per lo

spessore culturale di chi li ha pronunciati51.

48 V. art. 7 della legge relativa all’educazione e all’insegnamento “Bayerisches Gesetz über das Erziehungs- und Unterrichtswesen” (BayEUG). Può leggersi al seguente indirizzo http://www.gmg-amberg.de. In considerazione delle caratteristiche storiche e culturali del Land, la norma dispone l’apposizione della croce nelle aule scolastiche e prevede che nell’ipotesi in cui il genitore si opponga per seri motivi attinenti alla fede religiosa o ad una determinata “visione del mondo”, il direttore della scuola cerca di pervenire ad un accordo. Se questo non è raggiunto, dopo aver informato il Provveditorato, egli deve adottare una decisione per il caso concreto che tenga conto della libertà religiosa di chi ha fatto opposizione e che raggiunga un equilibrio in relazione ai convincimenti religiosi e alle “visioni del mondo” di tutti coloro che sono coinvolti nella classe; in questa operazione si deve prendere in considerazione anche la volontà della maggioranza, ove possibile. 49 La decisione della Corte bavarese può leggersi all’indirizzo web http://jura.uni-passau.de. 50 V. considerazioni e riferimenti di J. Luther, Il velo scoperto dalla legge: profili di giurisprudenza costituzionale comparata, in S. Ferrari (a cura di), Islam ed Europa, Roma, 2006, 78-79. 51 La sintesi delle opinioni dei giudici dissenzienti Jentsch, Di Fabio e Mellinghoff è la seguente. «(…) Il desiderio della ricorrente di portare un velo a lezione e di non accettare alcun compromesso in proposito è inconciliabile con il dovere di neutralità e auto-moderazione di un impiegato pubblico. (…). La ricorrente non è venuta in contro alla richiesta di neutralità fattale dal datore di lavoro, cioè dallo Stato, e ha dichiarato di non voler rinunciare ad un simbolo di forte significato religioso e ideologico (“starker und weltanschaulicher Aussagekraft”). La rigidità mostrata dalla ricorrente mette in dubbio la fedeltà agli scopi politici dello Stato e al sistema di valori del GG anche in un eventuale conflitto con convinzioni religiose dell’islam e costituisce già di per sé una mancanza di idoneità [107]. (…) Gli insegnanti e le insegnanti, invece, in quanto persone e personalità, hanno un influsso determinante sui bambini. Se un’insegnante porta un vestito appariscente, dà una particolare impressione, suscita domande e stimola l’emulazione [114]. La ricorrente ha dichiarato che se i bambini le facessero domande sul velo risponderebbe che si tratta solo di un accessorio portato per moda, quindi mentirebbe. Ma anche i bambini sono consapevoli del significato religioso del velo portato anche in spazi chiusi. Inoltre essi interagiscono non solo con gli insegnanti ma anche con un contesto sociale più ampio e in primo luogo con i genitori. Quest’ultimi, se secondo i propri principi educativi vogliono rispondere alle domande dei figli senza mentire, non potrebbero fare a meno di spiegare che l’insegnante porta il velo perché altrimenti non potrebbe conservare la propria dignità di donna nella vita pubblica. In questo modo gli alunni non mussulmani, ma anche i figli di genitori mussulmani che non condividono l’idea che la donna debba portare il velo in pubblico, esperirebbero un conflitto con i propri valori. Essi potrebbero inoltre sentirsi di fronte alla necessità di scegliere se schierarsi dalla parte dell’insegnante o da quella dei genitori e del contesto sociale in cui vivono, cosa che comporterebbe uno stress emotivo notevole [115]. Inoltre il velo è diventato anche simbolo dell’islamismo politico e ha un forte contenuto simbolico, cui appartiene anche l’accentuazione di una differenza tra uomini e donne, accentuazione che può entrare in conflitto con chi crede invece che l’uguaglianza e la parità di diritti tra donne e uomini costituiscano valori etici supremi [115-118]. La maggioranza del Senato non si è confrontata a sufficienza con il fatto che il velo, portato per adempiere ad un presunto “obbligo di coprirsi” per le donne mussulmane, indica per molti individui, appartenenti alla comunità religiosa islamica e

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7. La retorica multiculturale e le sue pericolose regressioni.

Confesso che ho sviluppato una certa insofferenza per l’abuso dei termini di multiculturalismo52

o di interculturalismo53 ritenuto quest’ultimo preferibile perché implicherebbe non solo il rispetto

delle culture e delle diverse identità culturali dei singoli gruppi ma anche il dialogo e lo scambio tra

le diverse culture.

Ma dove sta veramente il dialogo e lo scambio tra diverse culture, al di là di qualche festa di

colori o tavola rotonda?54.

Ritengo cioè che vi sia da troppo tempo una retorica del multiculturalismo, luoghi comuni,

conformismi ideologici, paura di dire come stanno realmente le cose. C’è una ideologia del

“politicamente corretto” a tutti i costi, che va seriamente combattuta perché diventa terreno fertile

per sentenze grottesche come quella (marzo 2007) di un giudice di Francoforte che a fronte di una

richiesta di una cittadina tedesca di origine musulmana di ottenere l’accorciamento di un anno per la

pronuncia di divorzio motivata dalla circostanza che il marito nonostante la separazione continuava

a molestarla e percuoterla, l’ha respinta motivando la sentenza sulla base del fatto che nel Corano

(versetto 4:34) trova giustificazione la violenza degli uomini nei confronti delle mogli!55

Sono convinta che il progetto di società multiculturale senza regole contenga in sé una

profonda ambivalenza, cioè contenga le premesse per un processo di disintegrazione delle società

non, una chiara affermazione di natura politica, fondata sulla religione, che riguarda il rapporto tra i sessi. Inoltre non ha considerato se tra i seguaci dell’islam in Germania vi sia un numero notevole, se non crescente, di individui per cui il velo costituisce una sfida contro la società che da essi, secondo i propri valori, viene rifiutata. Né ci si è confrontati con le possibili reazioni della maggioranza dei cittadini che non sono di fede islamica [121]. Anche se questi aspetti non riguardano l’intera comunità islamica, il fatto che l’idea che il velo garantisca una posizione subordinata della donna rispetto all’uomo sia sostenuta da un numero notevole di mussulmani è sufficiente a generare conflitti con la parità di diritti tra i sessi stabilita dal GG (art. 3 par. 2 GG) [122]. (…)». 52 Per il multiculturalismo ogni cultura deve essere tutelata e protetta e coesistere a pari diritto accanto alle altre. Concetto peraltro criticato proprio perché pone un accento eccessivo sulla conservazione dell’identità culturale e su ciò che distingue una cultura dall’altra senza contemplare la possibilità di un dialogo tra culture. Inoltre il multiculturalismo non contemplerebbe la possibilità di trovare anche punti comuni che possano rappresentare la base di una convivenza che non significhi solo la presenza di culture separate e chiuse le une accanto alle altre ma anche lo scambio e l’arricchimento reciproco tra culture, l’interazione. Il rischio del multiculturalismo è la ghettizzazione (nonché il razzismo, la chiusura, l’impoverimento culturale). Si rischia di creare culture parallele ma non comunicanti, quindi di impedire l’integrazione. 53 Esso si basa sull’idea di una convivenza nella diversità in cui però sia possibile anche una comunicazione tra le diverse culture e soprattutto sia possibile fondare tale comunicazione su principi comuni a tutte. Il termine interculturalismo implica la dimensione del dialogo e dell’arricchimento reciproco tra culture. 54 G.E. Rusconi, Come se Dio non ci fosse. I laici, i cattolici e la democrazia, Torino, 2000, spec. 55 ss. 55 Si trattava di una giovane donna di origini marocchine ma con cittadinanza tedesca (26 anni e due bambini): avendo già ottenuto la separazione a causa delle ripetute violenze del marito (violenze che avevano reso necessario il diretto intervento della polizia e causato l’allontanamento dell’uomo dall’abitazione della moglie), e continuando ad essere molestata e minacciata di morte dal marito, aveva chiesto allo Amtsgericht di Francoforte di poter ottenere il divorzio ancor prima che fosse passato l’anno di separazione e aveva quindi presentato domanda di “vorzeitige Scheidung” (divorzio prima del tempo stabilito per legge). La possibilità di accelerare la procedura del divorzio sussiste, secondo il paragrafo 1565 BGB quando il prolungamento dei tempi di separazione comporta una “unzumutbare Härte”, una condizione troppo dura da sopportare e che quindi non si può pretendere che l’individui sopporti. Presseinformation des Amtsgericht Frankfurt (http://www.ag-frankfurt.justiz.hessen.de/internet/ag-frankfurt.nsf/vwContentByKey/W26ZHJFF014JUSZDE

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contemporanee. La società multiculturale rischia di trasformarsi in una società frammentata, in una

pluralità di comunità chiuse e separate che limiteranno le libertà dei singoli individui in nome del

superiore valore del legame con la comunità e della conservazione della loro cultura.

E c’è in tutto ciò un problema che definirei di atteggiamento culturale. Siamo abituati ad

accostarci al tema in termini di tolleranza distaccata, la tolleranza che sopporta tutto facendo finta di

nulla, la tolleranza multiculturale che parte dal presupposto che l’ordinamento occidentale

dominante non dovrebbe fare distinzioni tra gli individui in base alla provenienza culturale, alla

nazionalità o alla confessione e quindi dovrebbe essere aperta ad altre concezioni di vita: alla base di

questo atteggiamento sta tuttavia l’attesa che dalla convivenza pacifica tra le diverse culture si

realizzi una sorta di ordinamento universale cosmopolita.

Io credo che questo sia un atteggiamento sbagliato, poiché nessun progetto serio di

multiculturalismo può avere un senso se non vi è una chiara reciprocità nella cooperazione tra Stato

e comunità religiose.

Come è stato di recente scritto in un bellissimo libro dal titolo “Die Kultur der Freiheit” (“La

cultura della libertà”), il dibattito relativo al velo, come quello relativo alla questione dell’ora di

religione, «tocca nervi scoperti perché è difficile proseguire nella via della neutralità filoreligiosa, se

non si ha la sicurezza che anche le comunità religiose, dal canto loro, contribuiscano ai fondamenti

culturali della società liberale secondo il principio della neutralità politica. (…) La linea da seguire è

sempre quella della neutralità, ma ad essa si unisce un altro principio, quello della reciprocità: il

principio per cui lo Stato si aspetta che le comunità religiose, a prescindere dalla loro libertà di fede

e dalla loro autonomia, offrano il loro contributo alla cura e alla conservazione dei fondamenti

culturali della società liberale. (…) Il GG non pretende dalle comunità religiose una completa fedeltà

al potere laico, ma una accettazione minima (Mindestakzeptanz) dell’ordinamento pubblico e dei

principi costituzionali fondamentali – accettazione che non ha niente a che vedere con una

sottomissione al potere politico di volta in volta alla guida della repubblica. Anche qui, dunque, deve

valere il principio della reciprocità. (…) Chi come individuo o come comunità aspira ad una

posizione di diritto privilegiata nello Stato, deve anche offrire qualcosa alla comunità statale, deve

almeno sostenerla come riflesso del proprio legittimo vantaggio e esserle in qualche modo utile»56.

Detto diversamente: può esistere una cittadinanza gratuita? Può esistere una cittadinanza

concessa in cambio di nulla? Ritengo assolutamente di no57.

L’approccio tedesco al problema della immigrazione ed il mutamento di orientamento cui si sta

assistendo in Germania del “pretendere e sostenere” mi pare sotto questo profilo da monitorare,

oltreché un utile punto di riferimento anche per le politiche italiane (detto incidentalmente trovo

56 U. Di Fabio, Die Kultur der Freiheit, München, 2005, 178-179. 57 G. Sartori, Pluralismo, multiculturalismo e estranei, Milano, 2000, 50.

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incomprensibile che i nostri Governi non abbiano ancora sentito la necessità di istituire un

Ministero per l'immigrazione, anziché lasciare a singoli Ministri e diverse sensibilità, la soluzione o la

ricerca di soluzione di singoli pezzi del problema: il che è indicativo dell'assenza di un approccio

unitario e sistemico). Anche se – sia chiaro – neppure in Germania, può dirsi risolto il nodo del

rapporto tra culture diverse quando queste assumono la veste religiosa.