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LIBERAZIONE E RESISTENZA NELLE MARCHE: STATO DEGLI STUDI E PROSPETTIVE DI LAVORO Nella riconsiderazione e prospettiva critica degli studi sulla resistenza e il movimento di liberazione nelle Marche, la Storia di Roberto Bat- taglia, pubblicata in un momento cruciale della vita dell’Italia repub- blicana (1953), può costituire, e a nostro avviso costituisce, per più motivi un interessante punto di partenza, tutt’altro che secondario e superato. In primo luogo per il suo equilibrio e per le caratteristiche della sua architettura e costruzione, per il suo taglio analitico e per il suo assunto civile e storiografico offre tuttora indicazioni positive e problematiche; in secondo luogo — per quanto in questa sede ci ri- guarda più direttamente — l’attenzione dedicata dall’autore a un disegno ampiamente articolato (sul piano politico, etico-culturale, sociale, mili- tare) si è incontrata, nella regione marchigiana, con un sedimento dì interessi e di problemi storici rimasti, fino allora, allo stadio potenziale, embrionale Ma soltanto dopo il 1960, dunque con un notevole ritardo, apparvero i primi volumi narrativi, parzialmente documentari, volti a indagare in modo specifico, a delineare e a ricostruire gli aspetti e le vicende della resistenza marchigiana1 2. Le opere di Massimo Salvadori, dell’ANPI di Ancona e di Giuseppe Mari costituirono quindi l’inizio di una produzione abbastanza promettente, radicata all’esperienza vissuta e alla esplorazione, appena avviata, delle poche fonti a disposizione. Schematicamente, l’ultima tappa di questa ripresa o impostazione degli studi si collega, in sede locale, con un elemento insieme associativo e culturale, con la formazione a Macerata dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, con l’inizio cioè di un primo lavoro organizzato di ricerca, con la raccolta di un archivio 1 Prima del 1953 la pubblicistica locale aveva prodotto soltanto un esiguo numero di contributi per lo più celebrativi, di scarso valore documentario o comunque realiz- zati con criteri discutibili. Fra questi, più interessante per la sua suggestiva imme- diatezza rievocativa, N icola Rilli , La Sagra di S. Giovanni, Macerata, 1945, con pre- fazione di Stefano Jacini. Un contributo indiretto, comprensivo della regione marchi- giana e incentrato su un particolare aspetto del partigianato, Comando raggruppamen- to bande partigiane I talia Centrale, Attività delle bande, Roma, 1945. 2 Cfr. Massimo Salvadori, La resistenza nell’Anconetano e nel Piceno, Roma, 1962; ANPI, La resistenza nell’Anconetano, Roma, 1963; G iuseppe Mari, (Guerriglia sul- VAppennino, Urbino, 1965. Si veda, inoltre, Danilo Angeletti, La resistenza nelle Marche, in II Mulino, luglio-agosto 1964.

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LIBERAZIONE E RESISTENZA NELLE MARCHE: STATO DEGLI STUDI E PROSPETTIVE DI LAVORO

Nella riconsiderazione e prospettiva critica degli studi sulla resistenza e il movimento di liberazione nelle Marche, la Storia di Roberto Bat­taglia, pubblicata in un momento cruciale della vita dell’Italia repub­blicana (1953), può costituire, e a nostro avviso costituisce, per più motivi un interessante punto di partenza, tutt’altro che secondario e superato. In primo luogo per il suo equilibrio e per le caratteristiche della sua architettura e costruzione, per il suo taglio analitico e per il suo assunto civile e storiografico offre tuttora indicazioni positive e problematiche; in secondo luogo — per quanto in questa sede ci ri­guarda più direttamente — l’attenzione dedicata dall’autore a un disegno ampiamente articolato (sul piano politico, etico-culturale, sociale, mili­tare) si è incontrata, nella regione marchigiana, con un sedimento dì interessi e di problemi storici rimasti, fino allora, allo stadio potenziale, embrionale Ma soltanto dopo il 1960, dunque con un notevole ritardo, apparvero i primi volumi narrativi, parzialmente documentari, volti a indagare in modo specifico, a delineare e a ricostruire gli aspetti e le vicende della resistenza marchigiana1 2. Le opere di Massimo Salvadori, dell’ANPI di Ancona e di Giuseppe Mari costituirono quindi l’inizio di una produzione abbastanza promettente, radicata all’esperienza vissuta e alla esplorazione, appena avviata, delle poche fonti a disposizione. Schematicamente, l’ultima tappa di questa ripresa o impostazione degli studi si collega, in sede locale, con un elemento insieme associativo e culturale, con la formazione a Macerata dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, con l’inizio cioè di un primo lavoro organizzato di ricerca, con la raccolta di un archivio

1 Prima del 1953 la pubblicistica locale aveva prodotto soltanto un esiguo numero di contributi per lo più celebrativi, di scarso valore documentario o comunque realiz­zati con criteri discutibili. Fra questi, più interessante per la sua suggestiva imme­diatezza rievocativa, N icola Rilli, La Sagra di S. Giovanni, Macerata, 1945, con pre­fazione di Stefano Jacini. Un contributo indiretto, comprensivo della regione marchi­giana e incentrato su un particolare aspetto del partigianato, Comando raggruppamen­to bande partigiane I talia Centrale, Attività delle bande, Roma, 1945.2 Cfr. Massimo Salvadori, La resistenza nell’Anconetano e nel Piceno, Roma, 1962; ANPI, La resistenza nell’Anconetano, Roma, 1963; G iuseppe Mari, (Guerriglia sul- VAppennino, Urbino, 1965. Si veda, inoltre, Danilo Angeletti, La resistenza nelle Marche, in II Mulino, luglio-agosto 1964.

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specializzato e con la recente pubblicazione presso l’editore Argalìa della collana « Studi sulla resistenza ».

I. Ma quali erano i giudizi, gli apporti, i problemi posti sul tappeto da Roberto Battaglia? Nel suo lavoro, nonché un inserimento schematico ed essenziale della vicenda svoltasi nelle Marche fra il 1943 e il 1944, in un tempo dunque brevissimo, si rintraccia già l’abbozzo di un compiuto disegno regionale, che appunto costituisce, di fatto, il primo elemento di interpretazione che si offre oggi al presente tentativo di verifica storiografica3. La nostra extrapolazione dei giudizi, dei problemi sollevati dal Battaglia a proposito della vicenda e del contri­buto delle Marche nella resistenza non è, riteniamo, arbitraria o stru­mentale. Si inserisce, fra l’altro, in un indirizzo metodologico enunziato dallo stesso autore quando scrive: « la resistenza si sviluppa non su un unico piano indifferenziato, ma per ’regioni’ e questo processo diviene più chiaro man mano che c’inoltriamo nella sua esposizione » 4. Quanto allo schacchiere marchigiano, dunque, il Battaglia aveva registrato, se­gnalato, indicato il seguente ordine di problemi:a) il contributo degli slavi e degli ex militari nella fase dello sban­damento seguito all’8 settembre; b) il peculiare conflitto fra militari e politici, più sensibile a sud di Ancona, sfociato nella costituzione del Comando unico; c) una certa carenza di iniziativa politico-militare nella fase della liberazione di Ancona, ecc.; d) la disuguaglianza dei livelli politico-sociali relativi alla costituzione e alla condotta delle forze parti- giane nelle diverse province; e) la questione degli apporti della classe operaia e dell’alleanza attiva con i contadini certamente centrale in una regione come le Marche. Non risulta che in seguito altre storie « gene­rali » della resistenza abbiano direttamente, cioè regionalmente, contri­buito al chiarimento e all’approfondimento di una tale rosa di questioni, anche perchè — come si è detto — scarso è rimasto e rimane tuttora il contributo documentario e di interpretazione degli indispensabili studi locali5. Lina interpretazione neofascista della lotta partigiana come

3 I passaggi di maggiore interesse sono in questo senso alle pp. 143-44 (decollo della resistenza nell’Appennino umbro-marchigiano dopo l’8 settembre e fatti di Colle San Marco); pp. 193-94 (ancora Colle San Marco); pp. 229-31 (trasformazione dei nuclei ribelli in «partigiani» all’inizio del ’44 e inizio della questione « militari-CLN »); pp. 270-73 (zona libera umbro-marchigiana); pp. 273-76 (offensiva tedesca, guerriglia nell’Italia centrale e « limiti » della resistenza nelle Marche; maturità del Pesarese); pp. 358-61 (fase della « liberazione », estate 1944). Per lo sviluppo della guerriglia in rapporto all’ambiente rurale-mezzadrile e alla impostazione di una politica agraria sono da riscontrare le pp. 279 e 378-79 sul Senese _e_sul periodo successivo al giugno 1944. Cito da Roberto Battaglia, Storia della resistenza italiana, Torino, 1964.4 Cfr. Battaglia, op. cit., p. 328.5 Cfr. G iorgio Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Bari, 1966. Cfr. in particolare i titoli « Colle San Marco » e « Libertà per le Marche », che danno però un’idea della

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« guerra civile » colloca invece proprio nelle Marche un serrato confronto fra forze comuniste e forze anticomuniste6.

I problemi che solo indirettamente risultano dallo schema del Bat­taglia, qui necessariamente contratto, sono quelli delle radici dell’anti­fascismo, nei suoi filoni locali e nei suoi collegamenti nazionali (e qui valgono diversi spunti e accenni dell’opera di Massimo Salvadori), della trama e iniziativa politica dei Comitati di liberazione nazionale, degli atteggiamenti, quindi, delle diverse forze politiche, dai cattolici ai repubblicani, e (bisognerebbe aggiungere) della formazione di una « cultura » ed esperienza di tattica e concezione guerrigliera, ecc. Gli studi locali non hanno risolto il problema dei « tratti peculiari » della resistenza nello spazio sociale marchigiano, proprio in ragione della ancora episodica trattazione relativa alla storia economico-sociale della regione e dello scarso approfondimento conoscitivo delle forze etico-poli­tiche operanti a monte delle iniziative militari. Un iniziale punto nodale è stato però individuato dal Salvadori, dove parla di « piccole bande », riferendosi alle origini dell’organizzazione partigiana, a una sorta di spontaneismo (e questo aspetto è probabilmente da circoscrivere con maggiore precisione) e di pluralismo, connesso, d’altra parte, con le condizioni di relativo isolamento, anche politico, dell’antifascismo popolare tipico di questa regione, e peraltro ad una notevole fioritura decentrata dei gruppi antifascisti durante il ventennio, come pure a un condizionamento obiettivo del terreno, dominato dai rilievi appenninici e subappenninici, privo di un centro veramente unificante, posto a cerniera fra il Nord e il Sud, l’entroterra e il mare Adriatico. È questo, a nostro avviso, un motivo da seguire e verificare attentamente. Rimane poi insufficiente l’indagine sulle sub-regioni marchigiane, sui singoli centri. Scoperta di uno studio particolare ed organico si presenta ancora la zona-chiave, centrale sotto molti aspetti (in parte militari e in parte di tradizione politica) del Maceratese1.

Sotto il profilo « regionale » — dietro il quale stanno una serie di problemi relativi ai rapporti fra la società, l’economia, la tradizione politica assai prima del 1943 — si può tentare anche una provvisoria classificazione dei contributi finora apparsi, almeno di quelli più impe­gnativi: la storia di Salvadori, incentrata sulla Marca meridionale, corri­spondente all’antico Piceno; lo schema regionale di Mari, forse non abbastanza articolato al suo interno, che ritrova tuttavia i poli della sua unità nella guerriglia sull’Appennino; e una prima limitata serie di

sommarietà espositiva e problematica della trattazione, almeno per quanto riguarda questa fascia dell’Italia centrale.6 Cfr. G iorgio P isano, Storia della guerra civile in Italia 1943-1945, Milano, 1965, vol. I, cap. XVIII (« Sulle Marche la mano del PCI »).7 Esiste tuttavia un discreto numero di tesi di laurea (Università di Urbino e di Macerata) che in parte colmano per parecchie località e zone la denunziata carenza.

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lavori localizzati su un ambito territorialmente più ristretto 8. All’interno di questo schema e condizionamento in un certo senso territoriale (ma anche culturale) emergono a nostro avviso problemi peculiari e centrali di ricerca e di interpretazione, verso i quali è opportuno ormai pola­rizzare l’attenzione, se si vuole che gli studi e il dibattito raggiungano in breve un più alto livello storiografico. Esaminando il materiale finora prodotto — e quello raccolto e comunque a nostra conoscenza — sembra infatti indubbio che l’insieme delle questioni aperte possa essere raccolto attorno al motivo più immediato della condotta militare, che riporta appunto non solo all’iniziale e piuttosto prolungato conflitto e dibattito con i militari, ma allo sforzo politico di offrire una ideologia ed una strategia alla guerra di liberazione; al motivo della base sociale e quindi dell’effettivo indirizzo politico della lotta partigiana e cielle- nistica nel contesto economico e culturale (anche religioso) della re­gione; al motivo, infine, da cui converrà prendere le mosse per per­venire ad un inquadramento più ampio ed esauriente, del legame con la base e tradizione antifascista, che soltanto per quanto riguarda la pro­vincia di Ancona è stato finora preso in esame 9.

II. L’interpretazione di Massimo Salvadori, condotta essenzialmente in chiave etico-politica, ispirata ad un animus democratico-liberale 10, ha dunque cercato di cogliere, nel suo farsi, un elemento organico, spon­taneo, autonomo nella prima formazione della resistenza armata nella regione (quasi ponendo le bande in un sintetico rapporto con la società civile, in funzione di un risveglio democratico antifascista più ampio), mentre la memorialistica prevalentemente di sinistra dell’inizio degli anni sessanta, se in qualche modo ha cercato di risalire, come si è detto, alle origini dell’antifascismo, alle tradizioni del movimento operaio di classe, d’altra parte è sembrata sfociare, finora, in una visione unitaria-popolare, troppo poco analitica rispetto alle suggestive indicazioni di un Battaglia, ma anche troppo poco problematica, rispetto ai livelli, alle tecniche, ai dibattiti che animano ormai da tempo, su scala nazionale, la storio­grafia del movimento di liberazione. In questo quadro si collocano, infine, l’intervento e i progetti di lavoro e coordinamento del Centro studi di Urbino, la cui nuova problematica tende ad allargare decisa­mente il campo alla storia economico-sociale e agli elementi di lotta e di organizzazione politica: « Il confronto fra fascismo ed antifascismo

8 Cfr. ad esempio Ruggero G iacomini, Urbino 1943-44, Urbino, 1970 e la notevole pubblicazione celebrativa Tolentino e la resistenza nel Maceratese, Macerata, 1966, a cura di Edmondo Casadidio. Discutibile, Secondo Balena, Bandenkrieg nel Piceno, Ascoli Piceno, 1965.Q Cfr. i primi capitoli del già citato volume dell’ANPI di Ancona, La resistenza nell’Anconitano.10 Cfr. Massimo Salvadori, Resistenza ed azione. Ricordi di un liberale, Bari, 1951-

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non basta alla coscienza contemporanea, se non è approfondito in un contesto più esauriente, che ricomprenda nella sua dialettica non solo i termini del prefascismo e del postfascismo, ma anche le acquisizioni nate dai movimenti di liberazione e di lotta europei ed extraeuropei » u.

Si tocca così — è non è giusto stupirsene in un convegno in fondo di studi locali — un sicuro livello internazionalistico, sul terreno della resistenza come fatto non solo europeo, inglobante le guerre di liberazione nazionali, tuttora in corso in un mondo in cui il fascismo e l’imperiali- smo, con le loro radici, non sono stati ancora estirpati. Fra l’altro — ma non è questo il punto centrale — una simile presa di coscienza, quando non si disperda in velleitarismi verbali e si armi viceversa sul terreno di una rigorosa critica storica, potrà efficacemente contribuire a far uscire gli studi sulla resistenza da quel clima un po’ ex combatten­tistico e un po’ di storia patria, che, per certi aspetti e in certi luoghi, anche nei nostri paesi ha presentato un pesante risvolto municipalistico e provinciale, col risultato di disperdere, più che di promuovere le poche forze disponibili.

Stabilito questo punto di partenza, in un certo senso ambientale, si potrà meglio avviare verso una adeguata soluzione un problema in parte soggettivo e in parte oggettivo che è implicito e sotteso in tutta la pubblicistica storiografica che stiamo prendendo in esame: « È possi­bile una storia ’regionale’ della resistenza marchigiana? » Salvadori ha sottolineato, nel suo lavoro, la duplice frattura che cadrebbe sull’Esino, fra il Nord e il Sud della regione in corrispondenza: a) col diverso tessuto sociale e culturale-politico delle quattro province; b) con lo sviluppo storico nazionale della resistenza dopo l’estate del 1944, cioè dopo la liberazione di Roma, in prossimità dell’area tosco-emiliana. Quando il movimento di liberazione dal fascismo sta assumendo uno spessore sociale più consistente ed una portata politica più incisiva e accentua nel complesso una dialettica ideale di maggiore rilievo, la « liberazione » delle Marche è già virtualmente compiuta, la resistenza marchigiana, se non smobilita, è smobilitata dal corso stesso degli avvenimenti. Di fronte ai diversi schemi regionali finora sperimentati (Salvadori e Mari), alle loro suggestioni e carenze, si avverte insomma, andando ai problemi di sostanza, alle questioni di periodizzazione quindi di interpretazione storiografica, il bisogno prima di dire una parola tendenzialmente conclusiva su questo punto, di ricerche analitiche, mono­grafiche, a tappeto, ben documentate, anche al di là (o al di qua) delle singole province, che investano i centri federali dei partiti, i Comitati di liberazione, i vari centri di aggregazione sociali e civili, i comandi e le brigate partigiane. 11

11 Cfr. il documento programmatico del Centro studi di Urbino, parzialmente ripro­dotto nella serie « Studi sulla resistenza ».

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Si avverte, da un punto di vista metodologico, l’esigenza di una indagine cartografica sui vari fenomeni e dei problemi di maggior ri­lievo: il contributo degli ex prigionieri; il contributo dei nuclei della classe operaia; la trama delle reazioni e degli appoggi delle popolazioni rurali; e ciò in rapporto con la cronologia non solo delle azioni militari, ma degli eventi economici, sociali, politici di cui furono protagonisti o da cui furono condizionati i due schieramenti in lotta e l’insieme delle popolazioni. A questa tematica, che è insieme di localizzazione e di periodizzazione, si ricollega scientificamente la soluzione dei problemi relativi al concorso delle varie componenti sociali, ideologiche e orga­nizzative delle forze che variamente, e con non poche sfumature inter­medie, e talvolta anche in situazioni conflittuali, diedero vita alla resistenza, intesa come fatto vivo e non mitologico o monolitico. È questo un lavoro che in parte è stato già avviato, su scala regionale, ma con tutti i riscontri spazio-temporali quotidiani, per i primi mesi del processo che va dal 25 luglio-8 settembre alla fine dell’anno 1943, cioè per il periodo che potrebbe dirsi del decollo della resistenza come fatto politico, sociale e militare.

Più a monte si pone un’altra, decisiva questione: quella della natura, del carattere assunto nelle Marche dal fascismo, di ciò che ne era rimasto o se ne è riprodotto fra il 1943-44 (Repubblica sociale, ammi­nistrazione tedesca ecc.) e quindi dello studio del movimento e del regime fascista e dello stesso antifascismo nel periodo fra le due guerre mondiali e più specialmente negli anni di guerra, fra il ’40 e il ’43. Già lo studio critico-filologico e interpretativo della stampa (preva­lentemente operaia) clandestina della resistenza (L’Aurora, Bandiera rossa, La Riscossa e taluni fogli minori che sono stati rintracciati con qualche difficoltà) e della stessa pubblicistica della Repubblica sociale (presente su tutto l’arco regionale ed appoggiata ai capoluoghi ammi­nistrativi) non solo completa l’indagine sulla trama e sul retroterra della lotta armata, ma rinvia al problema di riscoprire le radici prime del fascismo in tutto il loro spessore storico. Le stesse biografie degli organizzatori politici e militari della lotta armata, la ricostruzione delle leve antifasciste che precedettero le leve dei ribelli e dei partigiani ( si pensi alle scuole dei « commissari politici » e alle loro radici nelle organizzazioni della clandestinità) rinviano ad una indagine approfondita sul periodo fascista. Il problema presenta anche un’altra faccia, insieme spirituale, sociologica e politica, quando si indaga sistematicamente su tutto il quadro attivo ( e si può farlo anche per « campioni » ) della resistenza, partigiana e patriottica, così come è stato indicato e tentato, per Bologna, da un grosso lavoro di Luciano Bergonzini. Ma alla fine — anche se oggi si dispongono soltanto di alcuni albi ed elenchi dei partigiani, e di un più vasto materiale inedito consistente nei ruolini

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dei combattenti (incompleti però di diversi dati interessanti) — rimarrà sempre sul tappeto l’altro tema della riscoperta della vita reale della regione nel periodo della dittatura fascista e della guerra, della rico­struzione, su fonti archivistiche, ma non solo archivistiche, di una tessera dell’« Italia clandestina » nel periodo successivo al 1926.

Per affrontare questo insieme di argomenti sarebbe necessario, però, un altro convegno, sulle Marche nel periodo fascista, analogo a quello tenutosi nel 1969 a Firenze sulla Toscana. Ma anche in questa sede non si può sfuggire alla domanda: cosa è stato il fascismo nelle Marche, per le Marche? Il discorso non può qui presentarsi in forma di bilancio, in quanto anche su questo punto, assai più che sulla storia della resistenza, si registra una grossa carenza di studi e di documentazione 12. Può invece formularsi qualche ipotesi di lavoro, ricavata da una com­parazione, invero piuttosto approssimativa, dei diversi elementi di cono­scenza a nostra disposizione (risultanze degli studi locali e nazionali sul fascismo quali sono emerse nella storiografia più recente), a) Il fascismo marchigiano appare molto diverso da quello toscano o emiliano, ma pure ha un suo momento « agrario » e squadristico, più marcato là dove più forte era un movimento socialista-contadino e dove più decisa era la sfida e la spinta dei ceti popolari, comunque orga­nizzati (anarchici e comunisti ad Ancona, leghe bianche nell’Ascolano e così via); b) una trama fascistica di ceto medio, collegata anche a individuabili gruppi capitalistici, in tutta la regione (nazionalismo del 1919-20); c) il fascismo si è sviluppato e affermato anche sul tronco di istituti semifeudali come il regime mezzadrile e con l’apporto di nuovi aggressivi nuclei di capitale finanziario (idrocarburi di Ascoli con Tofani; elettrici marchigiani con Gay), che lasceranno una traccia per tutto il ventennio. Il problema della crisi dello stato, e il problema di una nuova vita ad espansione popolare, di una nuova struttura e sviluppo economico della regione, all’inizio degli anni venti, si intrec­ciano: sono questi due problemi che riemergono nei momenti di crisi economica (segnatamente nel 1930-32), che corrispondono anche ai momenti di acutizzazione della lotta antifascista e della repressione poli­ziesca e giudiziaria. E sono i problemi che riemergono con la guerra, e trasbordano al loro punto di maggiore acutezza, nell’antifascismo della resistenza. In una regione come questa, marca di esperimentazione di Costa e di Malatesta, culla del murrismo e del gentilonismo, il fa­scismo non ha prodotto nulla di originale, ma non è nemmeno un

12 Cfr. la pubblicistica fascista più importante: N ello Zazzarini, Dieci anni di fascismo marchigiano, Senigallia, 1929; D ante Tassani, Fascismo anconitano, Ancona, 1926; Raffaello R iccardi, Pagine squadriste, Roma 1940; P ietro G orgolini, Saggi politici e letterari, Roma-Torino, 1940. Inoltre: Enzo Santarelli, Le Marche dall’unità al fascismo, Roma, 1964 e dello stesso, Un fascio del 1919, in Studi urbinati, 1968.

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fenomeno di «importazione»: le sue radici si confondono, più che altrove, fino al ’43 ed oltre, col potere economico-sociale di gruppi tradizionali, con le loro alleanze politiche, con una influenza semi­feudale e oscurantista, che trova un risvolto in un debole tentativo di demagogia corporativa innestato su tutta la vita civile regionale. In questo quadro le ricerche ora intraprese presso l’Archivio centrale dello stato al fine di chiarire nel corso del ventennio le matrici effettuali e l’asse di sviluppo della stampa clandestina sembrano gettare una luce nuova sulle particolari giunture fra l’antifascismo popolare, piuttosto diffuso anche se non troppo individuato nei suoi contorni ideologici, e la esigua ma continua rete dell’opposizione di classe al regime incentrata sul criterio e sull’attività del « partito ». Il discorso sull’Italia clandestina e popolare ci riporta così, con maggiore chiarezza, al rapporto fra spontaneità e orga­nizzazione, che si enucleerà e svolgerà nel crogiuolo della resistenza, in una situazione che appare insieme di relativa liberazione sociale e di accentuata disgregazione dello Stato tradizionale.

III. Quasi tutti i contributi di conoscenza e interpretazione della resistenza nelle Marche sono stati finora il risultato di iniziative indi­viduali o di piccoli gruppi locali13. Oggi le condizioni stanno mutando e si pone l’esigenza dell’organizzazione collettiva, della raccolta centra­lizzata dei documenti, da porre a disposizione di tutti, della pubbli­cazione coordinata delle fonti e della programmazione della ricerca. La replica della seconda generazione di studiosi della resistenza ai problemi rimasti finora aperti ripropone la questione del « ritardo » degli studi, che se è in qualche modo peculiare delle Marche non è nemmeno ignoto, in forme e misure diverse, ad altre regioni, soprattutto centro­meridionali (si pensi alla vicina Umbria o agli Abruzzi). Il «ritardo» accennato sembra dovuto a una serie di circostanze concomitanti: esiguità di tradizioni storiografiche, atteggiamenti verso la storia contemporanea, reazione moderata ai fermenti sociali e politici innovativi che sono l ’anima stessa della resistenza, ma anche e soprattutto a una condi­zione in origine largamente « subalterna » (in senso gramsciano) dei gruppi dirigenti o comunque più attivi della resistenza « operaia ». Nelle Marche, inoltre, è venuto in gran parte a mancare quel momento di dibattito e di stimolo che altrove ha trovato un punto di inseri­mento e suscitato una situazione dialettica per una presenza, particolar­mente accentuata sul terreno culturale, di un certo numero di intellet­tuali di tipo rivoluzionario. Il contraccolpo di classe del grande blocco moderato negli anni 1947-48, se qui ha suscitato uno studio abbastanza

13 Così è mancato per lunghi anni ogni contributo di studi locali alla rivista II movi­mento di liberazione in Italia.

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esauriente e a più voci dei movimenti sociali e politici prefascisti (repubblicani, anarchici, cattolici ecc.) sembra per contro aver avuto un riflesso su un forse troppo prolungato silenzio, la cui cortina è stata rotta, in tempi e modi diversi, da Battaglia e da Salvadori.

Negli ultimi anni il panorama delle tendenze interpretative si è pre­sentato con ulteriori specificazioni, anche se sempre un poco embrionali ed elementari. Tanto per fare un esempio, ci si può riferire a due recenti pubblicazioni, sia pure di impianto del tutto diverso: l’una edita dalle Cinque Lune sotto l’insegna, in parte deludente, I cattolici nella resistenza, rientrante nella memorialistica, animata da un certo spirito fra moderato e « giustizialista » con influenze di tipo « patriottico »; l’altra ispirata ai « classici » sulla « guerra di popolo », sulla cui base è esaminato il rap­porto fra città e campagna, fra classi urbane e classi rurali nel Monte- feltro I4. La tendenza prevalente sembra però quella di un esame arti­colato di ispirazione largamente marxista. Il che non sembra voler dire « politicizzazione » degli studi in senso partitico, ma al contrario esame, in tutta l’area del movimento di liberazione, delle strutture e delle espres­sioni soggettive che hanno contribuito al farsi di uno stesso processo sto­rico. Ma indipendentemente da ogni derivazione ideologica e dal con­fronto di scuole e metodi necessariamente diversi, proprio in virtù delle accennate specificazioni che stanno ad indicare un positivo stadio di cre­scita e di maturazione, sembrerebbe opportuno procedere ora con larghi scambi nello sforzo di un ulteriore approfondimento scientifico, con l’ausi­lio anche di varie discipline (l’intervento fra l’altro delle tecniche proprie alla storiografia economica sembra a questo punto indispensabile per un salto di qualità), continuando a combinare ed anzi intensificando il vaglio di tutte le possibili testimonianze e l’esame sistematico delle fonti e della bibliografia già esistente.

Un bilancio — sia pure interlocutorio — su « resistenza e liberazio­ne » nelle Marche non è facile; è comunque il compito del convegno nel suo insieme. Se tuttavia nel primo termine si identifichino i due mo­menti successivi ma inseparabili dell’antifascismo morale e politico e della presa delle armi, nel secondo si individuerà il concorso di altre forze, quale l’avanzata e la strategia politica degli alleati e, in questo contesto— che richiama a sua volta tutta la problematica storiografica connessa al « Regno del Sud », alla « svolta di Salerno », al governo Bonomi— rientra il ruolo del Corpo italiano di liberazione. La difformità di ideo­logie fra il partigianato e il CIL è il tema della relazione Bedeschi. Ma quale fu il ruolo specifico, quale il risultato positivo della resistenza di

14 Mi riferisco al volumetto di G iuseppe Corradini, Eroi senza medaglie, Roma, 1970 e al già richiamato R. G iacomini, Urbino 1943-44. Una analogia di spiriti è forse riscontrabile fra la rievocazione del Corradini e il libro di Arnaldo Ciani, Ricordi della montagna, Roma, 1958.

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fronte alla liberazione in una regione come le Marche nella tarda prima­vera e nell’estate del 1944, sulla base dei successi e dei « limiti » verifi­catisi nei mesi precedenti?

A questo proposito possono e debbono essere distinte varie fasi:1 ) una fase di « attesa » ( relativa ) e insieme di travaglio prepa­

ratorio da parte delle forze antifasciste durata fin verso la metà di ottobre (1943), in corrispondenza anche con la previsione di una più rapida risa­lita delle armate alleate lungo la penisola 15;

2) un periodo più che di decollo della guerriglia (che pure si delinea con i primi marcati episodi di rottura, sulla base di uno sforzo politico anche difforme per la diversità delle varie forze e centrali che entrano in campo) in una situazione di fluidità e di «movimento», in­tesa questa nel senso più ampio della parola, come manifestazione sociale e politica, periodo grosso modo corrispondente alla stagione invernale;

3) l’organizzazione di una ampia rete di guerriglia, che avrà il suo sbocco in una prima strategia partigiana più o meno centralizzata nell’incipiente primavera del ’44: da questo momento, nonostante le ope­razioni repressive e di rastrellamento in cui cooperano le forze d’occupa­zione e i simulacri di autorità della Repubblica sociale, gli antifascisti del CLN registrano un primo rilevante vantaggio politico e di opinione e conseguono il controllo di parte del territorio;

4) il momento vero e proprio della liberazione (che si prolunga, dal Tronto fino alla linea Gotica, per circa tre mesi, dal giugno al set­tembre), che finora è stato scarsamente studiato e che vede i reparti e i gruppi partigiani procedere alla prima liberazione di un notevole numero di piccoli e medi centri, come dimostrano i memoriali di diversi capi delle bande, gli atti dei comuni, nonché le relazioni di più vasti raggrup­pamenti partigiani.

Sussiste tuttavia un conflitto potenziale fra le forze antifasciste che hanno animato e inquadrato la resistenza partigiana sia nella sua fase preparatoria come nella sua maturazione politica e militare e le forze che dal Sud avanzano verso il Nord contribuendo alla cacciata dei tedeschi e alla definitiva fuga dei fascisti. Si tratta di un conflitto politico e sociale di fondo, in cui è implicito anche un preciso risvolto istituzionale, che ben presto diviene esplosivo, prolungandosi anche per tutto il periodo dell’Amministrazione militare alleata (AMGOT). Un conflitto che, d’altra parte, aveva già registrato vari momenti di insorgenza, più o meno noti, nel corso della resistenza armata I6. Un caso particolare, ma decisivo e

15 Si veda come momento discriminante fra questo periodo e il successivo Y Appello del Comando della guardia nazionale settore adriatico, pubblicato in Bandiera rossa,15 ottobre 1943.16 II contrasto fra « militari » e CLN (che si riflette anche in una crisi all’interno dei CLN fra partiti moderati e partiti di sinistra) è largamente documentato, ad esem-

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sintomatico, quanto ineluttabile, è dato, al momento della liberazione, dal disarmo dei partigiani17. Il caso più macroscopico del conflitto fra le popolazioni civili più avanzate e il corpo di armata polacco al comando del generale Anders, il cui comportamento, fra il ’44 e il ’45, spicca per un acceso anticomunismo, che determina vari scontri, specialmente in occasione di reiterate spedizioni punitive contro le sezioni e i militanti del partito comunista, quasi sempre ex partigiani.

Diventa chiara, a questo punto — anche a prescindere da questi mo­menti più strettamente « militari » — la divaricazione programmatica fra la politica degli alleati e le forze dell’antifascismo organizzato, e in partico­lare tutta la sinistra del CLN, ivi compresi il partito d’azione e il partito socialista, la cui stampa immediatamente successiva alla liberazione (per esempio Pensiero e azione e 11 Pensiero socialista di Ancona) è sintomatica di una radicalizzazione, già maturata nel corso della resistenza. Un primo terreno di scontro, ad esempio, è dato dalle questioni relative all’autonomia, al funzionamento, alla composizione degli organi dell’amministrazione lo­cale; dalle questioni relative ai rapporti di lavoro, di produzione, di pro­prietà nelle fabbriche e nelle campagne al momento della ripresa produttiva; dalle questioni, infine, poste dalla riorganizzazione dei sindacati (rapporti fra camere del lavoro ricostituite di fatto e uffici alleati del lavoro) e dalla epurazione degli ex gerarchi fascisti, e così via. La « liberazione », per le circostanze in cui avviene, non corrisponde alle attese, agli stimoli, agli enunziati dei gruppi sociali che hanno dato il più consistente contributo di base e di guida alla resistenza armata, e già fra il giugno e il settembre del ’44, la stampa antifascista di sinistra lo rimarca anche se in forme attenuate, che in parte si giustificano di fronte alla rapida emergenza di un qualun­quismo sociale e politico tipicamente postfascista 18.

All’interno di questa vicenda corre il discorso sui « limiti » oggettivi e soggettivi, nazionali e regionali della resistenza — limiti propri di ogni processo storico. Il discorso critico può acquistare un senso, ovviamente, nella misura in cui riesca a muoversi nell’ambito delle alternative politiche

pio, nella tesi di laurea di Rosella Marozzini, Antifascismo e resistenza nel Fermano, Università di Urbino, a. 1968-69, che riproduce l’abbondante materiale e corrispon­denza inedita conservata presso l’archivio dell’ANPI di Fermo.17 La massima testimonianza finora edito su questo punto è in G. Mari, op. cit., pp. 305-16, relativa allo scioglimento della brigata « Pesaro ». Esiste una testimonianza inedita di Egisto Cappellini su un colloquio con Togliatti.18 Fra i giornali locali postfascisti più preciso su questo punto è Bandiera rossa. Si vedano la posizione assunta nell’articolo I poteri ai Comitati di liberazione nazionale (25 giugno 1944); la nota di cronaca sull’incontro fra l’ex consigliere della Camera dei fasci e delle corporazioni Italo Colombati, esponente dell’UNES, e Umberto di Savoia (5 settembre 1944); l’editoriale Significato dei fatti dell’Ascolano (5 settembre 1944). LT1 agosto ad Ascoli Piceno si era avuta una dimostrazione di folla, evidentemente guidata dalle sinistre, contro il carovita e per l’epurazione. Come conseguenza vi furono un rimaneggiamento del CLN, la sostituzione del prefetto, le dimissioni del sindaco.

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aperte al momento dato in rapporto alle forze disponibili e alle possibilità esistenti. E qui tornano attuali i rilievi — comunque siano stati motivati — di Roberto Battaglia non solo su un momento centrale come la liberazione di Ancona, ma su quella che potremmo chiamare la « maturità » della resi­stenza marchigiana nel suo complesso, problema che tuttavia si inquadra nello scarso dinamismo sociale e politico tradizionale della regione; nella difformità di livello della presenza, capacità e presa politica dell’organizza­zione operaia; nel pesante squilibrio fra l’intensa e attiva partecipazione dei quadri comunisti e una certa disaggregazione delle forze sociali e poli­tiche degli altri « partiti di massa », che qui invero non ebbero caratteristi­che operative di massa, lasciando spazio notevole all’iniziativa di vertice e alla mediazione « diplomatica » del CLN regionale 19 nonché a tutta ima serie di sporadici tentativi autonomistico-badogliani sulla base di una sorta di piattaforma, più o meno diffusa e duratura in certe zone, di « azione apolitica » 20. I limiti soggettivi possono dunque, in parte, ricondursi a limiti oggettivi, in un certo senso tradizionali. Un altro limite — pur nell’enorme passo avanti compiuto in questo periodo — consiste nel fatto che quando la stagione estiva, che in questo caso corrisponde anche ad una maturazione politica nazionale, sopraggiunge e sarebbe possibile portare ad un più alto e autonomo livello la partecipazione contadina, la lotta di liberazione sta per volgere alla fine, mentre sarebbe stato necessario più tempo per rimuo­vere tutta una serie di ostacoli e freni tipici delle particolari forme di una mezzadria arcaica come quella marchigiana, in cui scarso è l’apporto di capitale ed esigua la partecipazione al mercato, cosicché la figura del con­tadino appare assai più integrata nel sistema padronale di quanto non accada nella fattoria toscana.

IV. L’intero discorso sulle prospettive dei nostri studi trova un par­ticolare punto di debolezza nell’esiguità della memorialistica finora edita21. Carenza questa tanto più notevole per la ricostruzione della linea politica tenuta da talune forze — il partito d’azione, il partito socialista, il partito

19 Cfr. O ddo Marinelli, La resistenza marchigiana e la Consulta nazionale, in Vede e avvenire, novembre-dicembre 1960. Per tutto il gennaio 1944 ferve la polemica in chiave di mobilitazione partigiana e i « Comitati di liberazione nelle Marche »: cfr. Enzo Santarelli, I giornali della resistenza, in ANPI, La resistenza nell’Anconetano, cit., pp. 370-80. Particolarmente vivace è in questo senso la presa di posizione « pub­blica » dell’Aurora.20 Una forma di apoliticismo patriottico e indipendente è presente nel Maceratese e nell’Ascolano: esponenti vari capi delle bande. Nell’autunno 1945 si svolge infatti a Macerata una riunione presso l’Associazione partigiani di Macerata, per prendere posizione contro l’Uomo qualunque e di fronte ai partiti antifascisti; ma la vecchia posizione traspare. Cfr. G. Corradini, op. cit., pp. 141-46. Sempre nel ’45 a Macerata si stampa Risorgimento marchigiano come settimanale regionale indipendente edito dall’ANPI. Un riflesso di queste istanze è anche, per l’Ascolano, nel libro di S. Bale­na, op. cit., pp. 1-12.21 Cfr. ora Aristodemo Maniera, Nelle trincee dell’antifascismo, Urbino, 1970.

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della democrazia cristiana — che non ebbero una stampa clandestina che ne documentasse via via le posizioni e ancora più grave di fronte alla quasi assoluta irreperibilità dei verbali e documenti dei CLN non solo del periodo clandestino ma anche del periodo seguito immediatamente alla Hberazione22. Da queste osservazioni discende un primo giudizio di insieme: anche se appare necessaria una revisione coordinata e una integrazione di tipo scien­tifico — come si è accennato più sopra — l’aspetto della storia militare della resistenza nelle Marche è stato quello più studiato e meglio posto in luce; l’aspetto della storia politica, con tutti i suoi risvolti più o meno im­mediati, è ancora in notevole misura da avviare. La promozione della memorialistica, l’acquisizione delle fonti documentarie dei partiti e dei CLN, la ristampa integrale o lo studio della stampa resistenziale e della Repub­blica sociale o di informazione, potranno colmare queste prime e più evi­denti lacune. Per le radici della resistenza si impone poi una ricerca archi­vistica e su fondi privati e familiari che tenda a ricostruire il processo for­mativo ed evolutivo del PCI, del PPI e della DC, del PSI, del PRI e del Pd’A. Rimane inoltre da « fondare », come si è già accennato, la storia civile economica e sociale della resistenza, impresa non facile, cui siamo nel complesso scarsamente attrezzati, per più motivi; obbiettivo al quale sembra ormai necessario accostarsi mediante una opportuna preparazione, in stretto legame con tutto il resto del lavoro recentemente intrapreso23.

Nel complesso la resistenza — e qui cerchiamo di « isolare » ancora una volta la problematica marchigiana — nella graduale ripresa di condi­zioni di libertà e di autogoverno consente il passaggio a forme di lotta politica e sociale assai più avanzate ed estese che nel prefascismo, consente, fra l’altro, la ripresa, su nuove basi, di quel movimento operaio e popolare che era stato stroncato e decimato nei suoi quadri a partire dal 1922-23 24. Il fascismo, in fondo, era insorto per impedire lo sviluppo dal liberalismo prefascista alla democrazia, deviando la crisi dello stato e della società ita­liana verso gli schemi di un corporativismo coatto, la cui prima vittima era •stato, appunto, il movimento politico ed economico delle classi lavoratrici. Grazie al complesso processo storico consumato negli anni dell’antifascismo e della resistenza, grazie a quella particolare forma di dittatura che va sotto il nome di « fascismo » e alla sua precoce e duratura politica di virulento

22 Cfr. CLN di Cingoli, La dominazione nazifascista e la lotta partigiana a Cingoli, Macerata, 1945; Enzo Capalozza, Un diario fanese: integrazioni e rettifiche per gli anni 1943 e 1944, in Pano, 1967. É inoltre i ricordi di Oddo Marinelli più sopra citati.23 Sulla portata del 1923 e del suo momento repressivo particolarmente evidente e presente nelle Marche, cfr. Franca Del Pozzo, Alle origini del PCI. Le organizzazioni marchigiane. 1919-1923, Urbino, 1971.24 Sono attualmente in corso di stampa i lavori di Giannotti sulla stampa clande­stina, di Paolucci sulla stampa della Repubblica sociale, di Pantanetti sulla banda « Nicolò » e sulla liberazione di Macerata.

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imperialismo subalterno ), mentre tutto il paese compie un salto istituzionale dallo Statuto monarchico alla Costituzione repubblicana, gli operai diven­gono da « avanguardia in se stessi » quali erano nel 1921, centro motore di un ampio movimento popolare che agisce su tutti i gangli della società secondo una strategia che nel 1943-45 trova appunto il suo primo principio. Può sembrare questa una osservazione politica, e indubbiamente lo è, ma con ciò si coglie un qualificante passaggio da un periodo all’altro nella vicenda sociale dell’Italia contemporanea, e perciò si tratta di una inter­pretazione legittima in sede storiografica.

Nelle Marche la resistenza, proprio attraverso la lotta di una avan­guardia partigiana, per lo più di estrazione subalterna ed operaia, ha con­tribuito ad affermare una egemonia potenziale di nuovi strati sociali e di nuovi ideali, non ultimo quello della collaborazione internazionale fra i po­poli25. Ha servito, se la parola è la più adatta, ad intaccare il sistema del dominio agrario-rurale fino allora prevalente su tutta la società civile. Risultato tutt’altro che esiguo, anche se oggi può apparire svalutato, ma che sul piano storico costituisce un momento cui è giusto dare il massimo di attenzione, giacché la popolazione sparsa nelle campagne, fra il 1943 e il 1944, costituiva l’assoluta maggioranza delle forze produttive della regio­ne. Subito dopo la liberazione si concretizzano infatti quelle rivendicazioni contadine che in parte erano state poste dal movimento operaio, soprattutto dal 1926, ma anche durante la crisi degli anni trenta26, e che erano state riprese, fatte proprie e propagandate dalla stampa clandestina del 1943-44. Insomma, la resistenza, pur traendo dai limitati ma ininterrotti ambiti dell’antifascismo e pur svolgendosi nel quadro rigorosamente mantenuto di una « guerra di liberazione nazionale » di tipo occidentale, aveva investito strati e masse popolari la cui partecipazione alla vita sociale e pubblica del paese, anche prima del fascismo, era stata assai scarsa e persino del tutto inesistente, almeno ad un livello moderno. Uno sbocco più avanzato della lotta armata avrebbe potuto darsi soltanto se si fossero verificate nella penisola due condizioni decisive: una diversa configurazione politica e di massa della lotta armata; una generalizzata mobilitazione contadina attorno ad un esercito partigiano, di modello jugoslavo, per intenderci. Ma queste condizioni non potevano verificarsi, a causa dei punti di partenza da cui la resistenza aveva preso le mosse a ridosso dell’8 settembre, dopo la sconfitta patita dalla democrazia italiana e dal movimento di classe nel 1922. Anche per queste ragioni non potè andare oltre quel carattere democratico-nazionale che le si deve riconoscere, in primo luogo sul piano interpretativo, evitando

25 Cfr. in proposito G iuseppe Masi, La resistenza nella provincia di Pesaro e la partecipazione degli Jugoslavi, Pesaro, 1964. Ma il discorso va esteso a tutta la regione, e anche agli ex prigionieri anglo-americani.26 Cfr. la testimonianza di Augusto G abbani, Le mie memorie, opuscolo ciclostilato senza data (ma Pesaro, 1969).

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le interessate deformazioni che si esprimono da un lato nella tesi della « rivoluzione mancata », dall’altro nella retorica del « secondo risorgimen­to » 27. Di qui un impegno tanto più vigoroso nel presente, quanto più veritiera — e quindi aspra e dura — sarà la nostra cognizione del passato.

Dopo la liberazione il panorama politico-sociale di una regione non esclusivamente ma certo prevalentemente rurale, quale è quella che va dal Piceno al Montefeltro, solcata da vasti e tenaci residui di tipo feudale- mezzadrile, tende a cambiare in radice, anche se oggi se ne conserva una traccia evidente in una particolare forma di sottosviluppo economico. A partire dal 1944 la società marchigiana è scossa da lotte contadine che pene­trano nei più isolati e arretrati circondari rurali. L’11 settembre del 1944 — dopo 12 mesi di occupazione tedesca — l’ultimo lembo di una terra povera e nello stesso tempo politicamente avanzata come è il Montefeltro — è liberato. Circa un mese dopo, in occasione del 7 novembre, esce ad Ancona La Falce, primo giornale regionale, « foglio dei contadini marchigiani », che sta con la sua presenza a contrassegnare, per chi conosca la vicenda post­unitaria di questi paesi, un momento di emancipazione sociale e di promo­zione politica di rilevante novità28. La resistenza appare quindi foriera, senza soluzioni di continuità, non soltanto di libertà politica ma anche di un riscatto sociale e di una nuova presa di coscienza democratica che rifluirà ben presto nei risultati del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, cui contribuisce in misura determinante un nuovo blocco di forze storiche: operai, piccola borghesia e strati contadini in primo luogo. La prevalenza repubblicana si esprimerà quindi in proporzione superiore ai due terzi, con 498.607 suffragi contro 213.621: i rapporti politici fra democrazia e con­servatorismo si erano rovesciati, per la prima volta nella storia della regione. In questo senso la resistenza marchigiana, come e forse più del movi­mento nazionale di liberazione, che attingerà alle sue mete il 25 aprile, non ■era rimasta « incompiuta »: aveva chiuso tutto un periodo di storia politica e sociale, e un altro ne aveva aperto. L’epigrafe ultima del vecchio regime fu scritta — ad Ancona, su un vecchio giornale rivoluzionario cessato nel 1922 e ripreso clandestinamente nel 1944 — dalla mano di un operaio: << Tradizione e volontà democratica e repubblicana hanno sepolto e sbara­gliato le forze reazionarie fasciste » 29.

Enzo Santarelli

27 La tesi populista della «rinuncia [...] a continuare la lotta armata fino al socia­lismo », a trasformare cioè la guerra di liberazione in guerra civile e in rivoluzione sociale, in cui rivive in termini più radicali il motivo non nuovo delle « occasioni per­dute » è enunziata, non dimostrata, da R. G iacomini, op. cìt., pp. 160-61.7S Della Falce fu poi animatore Ermenegildo Catalini, già redattore di Gioventù contadina di Pollenza nel 1913-14 ed ex gobettiano confluito nelle file comuniste. Cfr. E nzo Santarelli, Un intellettuale antifascista, in Marche Nuove, marzo-aprile 1960.29 Cfr. l’« edizione straordinaria » di Bandiera rossa, diretta allora da Gherardo Cori- naldesi, annunziante i dati del referendum istituzionale, foglio senza data uscito imme­diatamente dopo il 2 giugno 1946.