manuale tecniche di consolidamento e diatoni

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REGIONE MOLISE Consiglio Nazionale delle Ricerche DIPARTIMENTO ATTIVITA’ SCIENTIFICHE E TECNOLOGICHE Unità Operativa Ingegneristico Geologico Studio per la vulnerabilità sismica degli edifici pubblici, strategici e di culto nei Comuni colpiti dal sisma del 31 ottobre 2002 Decreto del Commissario delegato n.29 del 6.8.03 Linee guida per gli interventi di riparazione del danno e miglioramento sismico per gli edifici di culto e monumentali EDIFICI DI CULTO Parte seconda : Progetto Esecutivo ALLEGATO B ANALISI DELLE PRINCIPALI TECNICHE DI CONSOLIDAMENTO E LIMITI DELLA LORO APPLICABILITÀ

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Page 1: Manuale Tecniche Di Consolidamento e Diatoni

REGIONE MOLISE

Consiglio Nazionale delle Ricerche DIPARTIMENTO ATTIVITA’ SCIENTIFICHE E TECNOLOGICHE

Unità Operativa Ingegneristico Geologico

Studio per la vulnerabilità sismica degli edifici pubblici, strategici e di culto nei Comuni colpiti dal sisma del 31 ottobre 2002 Decreto del Commissario delegato n.29 del 6.8.03

Linee guida per gli interventi di riparazione del danno e miglioramento sismico per gli edifici di culto e monumentali

EDIFICI DI CULTO

Parte seconda : Progetto Esecutivo

ALLEGATO B

ANALISI DELLE PRINCIPALI TECNICHE DI CONSOLIDAMENTO E LIMITI DELLA LORO APPLICABILITÀ

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B. ANALISI DELLE PRINCIPALI TECNICHE DI CONSOLIDAMENTO E LIMITI DELLA LORO APPLICABILITÀ Il terremoto rappresenta uno dei rischi di maggiore impatto per il costruito storico; gli edifici in muratura, infatti, sono caratterizzati da un'intrinseca vulnerabilità all'azione sismica: la “struttura” muratura, nonostante le molteplici forme in cui si può riscontrare, è essenzialmente concepita per resistere a carichi verticali. La disposizione stessa dei conci, per filari orizzontali, è da attribuire alla volontà del costruttore di disporre gli elementi di maggior debolezza (i giunti di malta) ortogonali alla curva delle pressioni indotta dalle azioni di pura compressione (pesi propri o portati). In occasione di un sisma, l'azione orizzontale genera degli stati di tensione tangenziale e di trazione che superano la debole resistenza del materiale determinando lesioni per scorrimento o distacco degli elementi. I recenti terremoti hanno mostrato come l’edilizia monumentale risulti, in genere, più vulnerabile rispetto ad altre tipologie di manufatti. Questo fatto mette in crisi quell’assunzione che pone implicitamente le strutture monumentali a favore di sicurezza rispetto alle costruzioni ordinarie, in relazione sia alla scelta dei materiali adoperati sia alle maestranze utilizzate per porli in opera. In realtà, questa contraddizione, può essere risolta osservando come l’incremento di resistenza che si può attribuire al manufatto sia completamente azzerata dalla specifica vulnerabilità ad un’azione sismica. Se si considerano le chiese, nonostante la loro configurazione spaziale sia mutata nel corso del tempo in funzione degli stili architettonici delle diverse epoche, sono tuttavia sempre riconoscibili caratteristiche significative ai fini della vulnerabilità. In primo luogo sono generalmente assenti quei fattori che possono essere considerati attualmente criteri per una buona progettazione antisismica, quali la leggerezza in quota e il comportamento scatolare; infatti, la definizione dello spazio è ottenuta con pannelli murari di grande estensione, sia longitudinale che in altezza, la cui caratteristica è di essere scarsamente collegati in senso trasversale: il pannello di facciata, la parete di fondo (quando non c’è l’abside) e, quando presente, l’arco trionfale, costituiscono le uniche connessioni trasversali, poste a distanze ampiamente superiore a quelle suggerite dalla “buona regola del costruire”. L’incidenza degli elementi di collegamento sul volume complessivo è molto più ridotta che nell’edilizia ordinaria in muratura, il che determina un comportamento ancor più lontano da quello scatolare e un ruolo ancor più importante svolto dai pochi ammorsamenti presenti. Ai vasti spazi unitari, che sono propri degli edifici di culto, corrisponde la presenza di elementi di copertura di grandi dimensioni e, a volte, di notevole pesantezza spingenti su muri malamente collegati. La presenza di elementi spingenti, quali archi o volte, già in una condizione statica, l’assenza di orizzontamenti intermedi, la presenza di elementi architettonici particolari (stucchi, fregi) rappresentano specifiche forme di vulnerabilità. Allo scopo di diminuire la vulnerabilità sismica si può intervenire sulla struttura effettuando delle opere di miglioramento. Nei paragrafi seguenti sono analizzati e descritti una serie di possibili interventi investigando per ognuno di essi:

- principi di funzionamento base; - campi di applicazione; - applicazione della tecnica e fasi operative; - accorgimenti, varianti e limiti.

Nonostante gli interventi proposti siano largamente utilizzati, si è ritenuto utile disporre di un’analisi per ciascuno di essi, al fine di poter fornire dei criteri che permettano di valutare quale meglio risponde al caso specifico e quali sono quelli da evitare dopo la valutazione dei danni effettuata su un vasto campione di chiese (circa 7000) danneggiate in occasione dei ultimi recenti eventi sismici. Questo risulta particolarmente utile quando si opera su edifici monumentali nei quali la diminuzione della vulnerabilità e la salvaguardia dell’incolumità pubblica, deve essere ottenuta nel rispetto delle valenze culturali del bene architettonico. L’esigenza della conservazione si traduce nel garantire l’integrità architettonica, formale e materiale del manufatto, progettando e realizzando interventi che siano, per quanto possibili, reversibili, mirati a conservare il ruolo strutturale originale degli elementi attraverso l’utilizzo di materiali compatibili con quelli in opera. Per soddisfare contemporaneamente questi due obiettivi (sicurezza strutturale e conservazione del bene), apparentemente in contrasto tra loro, non occorre scendere ad un compromesso ma sarà necessario che il progetto di miglioramento sismico ne formuli una sintesi, che discenda da un’approfondita conoscenza della fabbrica e degli interventi utilizzati. Gli interventi proposti si prefiggono la diminuzione della vulnerabilità agendo essenzialmente su due aspetti:

- conferimento alla struttura di un comportamento scatolare; - miglioramento della qualità muraria.

E’ evidente, come un qualunque intervento antisismico, possa essere considerato efficace solo se realizzato su strutture che presentano un buon comportamento sotto i carichi statici. Se, generalmente, si può rilevare come la mancanza di connessione tra i diversi elementi possa essere considerata la principale causa di vulnerabilità, è fondamentale ricordare che la qualità muraria influenza in maniera sostanziale la formazione di quei cinematismi di collasso che siano in grado di analizzare e, attraverso interventi specifici, di prevenire. Gli edifici monumentali, tuttavia, presentano, solitamente, murature di buona qualità, sia per la scelta dei materiali adoperati sia per le maestranze utilizzate per porli in opera. Il ricorso al miglioramento della qualità muraria risulterà, quindi, essenzialmente confinato ai casi in cui la diagnosi effettuata, secondo le specifiche contenute nell’ALLEGATO A1 ed A2, mostra la scadente qualità della muratura dei diversi elementi architettonici. Nel seguito si riporta una breve analisi effettuata per schede sulle principali tecniche di intervento rivolta in particolare ad individuare i limiti della applicabilità alle murature storiche.

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CODICE SCHEDA DI INTERVENTO B.1 SPERONI E RINGROSSI MURARI B.2 CONSOLIDAMENTO MEDIANTE “CUCI-SCUCI” B.3 CONSOLIDAMENTO MEDIANTE TIRANTINI ANTIESPULSIVI B.4 CONSOLIDAMENTO MEDIANTE INIEZIONI DI MALTA B.5 INIEZIONI LOCALIZZATE B.6 CUCITURE ARMATE O INIEZIONI ARMATE B.7.A DIATONI ARTIFICIALI IN CALCESTRUZZO ARMATO B.7.B DIATONI ARTIFICIALI IN ACCIAIO B.8 CONSOLIDAMENTO MEDIANTE L’ESECUZIONE DI INTONACO ARMATO (BETONCINO E

RETE METALLICA) SUL PARAMENTO INTERNO O ESTERNO B.9 CERCHIATURE METALLICHE B.10 FASCIATURA CON MATERIALI COMPOSITI B.11 CORDOLO DI SOMMITA’ B.12 INSERIMENTO DI CATENE B.13 COLLEGAMENTO DEI TERZERI O DELLE TRAVI DI COLMO CON LA MURATURA DEL

TIMPANO B.14 IRRIGIDIMENTO LEGGERO DELLA FALDA DELLA COPERTURA CON TAVOLATO LIGNEO B.15 CONSOLIDAMENTO DEGLI ARCHITARVI

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SCHEDA B.1 SPERONI E RINGROSSI MURARI Principi di funzionamento di base La stabilità di una costruzione in muratura non è legata solo alla resistenza dei materiali, ma anche al buon collegamento tra gli elementi che la compongono. Talvolta, singole pareti o interi edifici sono instabili o a rischio di collasso per fenomeni di ribaltamento, provocate, ad esempio, da spinte orizzontali di volte o archi non contrastate. Tali strutture possono essere sostenute e i loro movimenti contrastati e bloccati dalla costruzione diadeguati speroni o ringrossi murari. S’intende, con il termine sperone, altrimenti detto contrafforte o barbacane, un elemento in muratura di larghezza limitata addossato ad una parete a contrasto della stessa. Il ringrosso murario è invece il caso di un intervento esteso all’intera parete soggetta a dissesto, di spessore più limitato, tale da compensare il fuori piombo e, se necessario, fornire una piccola scarpa. I principi funzionali di base sono analoghi a quelli delle puntellazioni: tali elementi sono in grado di contrastare le azioni di spinta che agiscono sulle strutture instabili cui sono connessi, grazie alla loro forma, al loro peso e alla posizione rispetto al cinematismo che intendono contrastare. Lo sperone o il ringrosso murario è realizzato per integrarsi con la struttura originaria e, formare quindi, un nuovo elemento murario stabile dal punto di vista geometrico e nei riguardi delle azioni esercitate.

Ringrossomurario

Figura B.1.1 – Schematizzazioni di speroni e ringrossi murari.

Campi di applicazione Si applicano nei casi in cui una parete muraria si trova in precarie condizioni di stabilità, in quanto fortemente fuori piombo o soggetta a spinte orizzontali significative, in assenza didonei elementi di connessione (ammorsamento con murature ortogonali, catene metalliche, ecc.). Rispetto alle puntellazioni che, generalmente per la loro rapida esecuzione e possibilità di rimozione sono impiegate negli interventi di messa in sicurezza di emergenza o di semplice prevenzione, gli speroni e i ringrossi murari sono più spesso impiegati in quelle situazioni in cui l’intervento si pone come definitivo o nelle quali si prevede che esso rimarrà in opera per un lungo periodo di tempo. Si sottolinea, tuttavia, come esso sia reversibile e quindi, in linea di principio, adottabile anche come opera non definitiva. Applicazione della tecnica e fasi operative La realizzazione degli speroni e dei ringrossi consiste, in sostanza, nella costruzione di masse murarie o in calcestruzzo, di varia geometria e dimensioni, addossate e opportunamente ammorsate alle murature originarie. L’utilizzo del calcestruzzo è però sconsigliato per problemi d’incompatibilità chimico-fisica e strutturale con la struttura esistente. Se viene impiegata la muratura di mattoni si sottolinea l’esigenza, al fine di limitare i fenomeni di ritiro che potrebbero limitare l’efficacia dell’intervento, di formare giunti con poca malta. La costruzione dello sperone segue le fasi e il metodo costruttivo proprio di una qualsiasi struttura muraria e può eventualmente essere associata ad altri sistemi e dispositivi di contenimento delle spinte, quali tiranti, catene o cerchiature. La fase di realizzazione delle fondazioni deve tenere conto delle inevitabili interferenze che i relativi scavi avranno con le strutture di fondazioni dell’edificio esistente e quindi, dovrà osservare particolari cautele per evitare di indurre danni indesiderati o di peggiorare la situazione di equilibrio in cui versa la fabbrica.

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Figura B.1.2 - Alcuni esempi di speroni e ringrossi murari in Ripabottoni (CB)

Accorgimenti, varianti e limiti Un limite implicito nella tecnica è costituito dalla realizzazione stessa dello sperone, che richiede l’esistenza di spazi liberi limitrofi la cui entità è proporzionale all’altezza dello sperone stesso. Per questo, non sempre è possibile ricorrere a questa tecnica per stabilizzare strutture instabili, soprattutto se particolarmente alte e snelle, oppure se comprese entro un tessuto urbano denso. Va rilevato come gli speroni, al contrario dei puntelli, non possano essere messi in forza. Essi rappresentano, quindi, solo un presidio eventuale che, diventa efficace solo a prezzo di una progressione del dissesto o in occasione di un evento sismico. Inoltre, come già evidenziato, la costruzione dello sperone comporta scavi di fondazione che possono determinare rischi ulteriori per la stabilità della struttura da rinforzare. La costruzione di uno sperone murario, infine, muta radicalmente la configurazione e l’aspetto di un edificio e può avere un notevole impatto sul suo intorno e sull’ambiente in generale.

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SCHEDA B.2 “CUCI-SCUCI”o SOSTRUZIONE MURARIA Principi di funzionamento di base Questo intervento si effettua in presenza di murature lesionate o degradate limitatamente a zone circoscrivibili. Tale tecnica consiste nel ripristino della continuità muraria attraverso la rimozione degli elementi (lapidei o laterizi) lesionati o degradati e la realizzazione di una nuova tessitura muraria con nuovi elementi sani senza interrompere la funzione statica della muratura nel corso dell’applicazione. Campi di applicazione Il campo di applicazione della tecnica del “cuci-scuci” è obbligatoriamente confinato a quelle situazioni che presentano stati fessurativi o di degrado che interessano zone di parete di estensione modesta. Esso non può, quindi, essere inteso come un intervento di consolidamento diffuso per quelle situazioni in cui la muratura presenta un degrado complessivo e legato in genere ad una scarsa qualità muraria. Tale tecnica potrà, ad esempio, essere adottata quando la muratura presenta lesioni a seguito di un dissesto specifico la cui natura in genere non è legata ad una scarsa qualità muraria. Affinché la tecnica del “cuci-scuci” possa essere applicata, è necessario che la muratura presenti una minima regolarità nella tessitura (presenza di corsi orizzontali, forma degli elementi); nel caso di muratura irregolare (ciottoli o mista) è impossibile ripristinare una continuità con tale tecnica mentre, è preferibile l’iniezione locale di malta. Applicazione della tecnica e fasi operative Si riportano di seguito le fasi operative di tale tecnica d’intervento. Si sottolinea come potrebbe essere necessario realizzare puntellature e opere di sostegno provvisionali per le parti del manufatto interessate dall’intervento per prevenire crolli o deformazioni indesiderate. Per quanto riguarda i materiali utilizzati, si fa notare come i mattoni si prestino meglio, rispetto alla pietra, ad essere sagomati secondo necessità. In ogni caso non è necessario che il nuovo materiale sia di uguale natura, forma e dimensione di quello preesistente, fatta eccezione, per quelle circostanze nelle quali si intenda porre una particolare attenzione agli aspetti estetici dell’intervento. Si pone in evidenza, inoltre, come la riparazione delle lesioni debba sempre seguire ad una diagnosi che individui precisamente la natura del dissesto e succedere, quindi, agli interventi di consolidamento nei riguardi dello stesso (cedimenti di fondazione, rotazioni di pareti murarie…).

1 - Recuperare materiale antico uguale a quello da integrare La muratura sulla quale si deve operare presenta mattoni lesionati o mancanti. Inoltre la tecnica del "cuci - scuci" comporta lo smontaggio dei laterizi circostanti, con i conseguenti rischi di fratture: si ha pertanto la necessità di disporre di una certa quantità di mattoni uguali a quelli esistenti. Usare mattoni diversi per dimensioni genera discontinuità nella trama e provoca scollamenti strutturali fra parti vecchie e parti nuove; la presenza di laterizi con diversa compattezza e quindi con diverso grado di assorbimento può generare altri problemi, ad esempio in fase di intonacatura. Occorre quindi trovare elementi uguali a quelli esistenti, eventualmente reperiti in demolizioni di altre zone dello stesso fabbricato.

2 - Individuare la zona da cui iniziare e la direzione di sviluppo La tecnica si usa in presenza di un quadro fessurativo della muratura che può presentarsi più o meno complesso, ramificato ed esteso. Normalmente si inizia dal punto più in basso, ma non è una regola immutabile: occorre valutare con attenzione come deve progredire il lavoro, tenendo conto anche delle eventuali tensioni presenti nella muratura stessa. Può essere molto utile eseguire delle fotografie mentre si esegue tale operazione

3 - Iniziare a smontare la zona di muratura scelta Utilizzando punta e mazzetta e scalpelli a punta larga si va ad agire sui giunti tra mattone e mattone, cercando di scalzare ogni singolo elemento senza romperlo o danneggiarlo. Possono essere utilizzati anche cunei in ferro oppure, in caso di forte adesione della malta, strumenti abrasivi (ad esempio seghetti). Deve essere sconsigliato, se non in casi estremi, l'uso del flessibile. La zona smontata deve avere una dimensione limitata (non più di 20 - 30 mattoni per volta) e deve avere un contorno frastagliato per permettere la successiva immorsatura tra la parte esistente e quella rifatta.

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4 - Preparazione delle superfici e dei mattoni E' necessario a questo punto preparare le superfici ed i mattoni per la messa in opera; con picchette, spazzole ed eventualmente getti d'aria pulire accuratamente la muratura ed i mattoni ricavati. Quindi bagnare il tutto per favorire l'adesione della malta.

5 - Ricucire la muratura Occorre in primo luogo preparare la malta : l'operazione, apparentemente semplice, deve essere studiata ed eseguita con cura, perché si deve ottenere una malta il più possibile simile a quella originale. In murature strutturali succede spesso che il cemento utilizzato a rinforzo determini nuovi motivi di dissesto nelle parti rimanenti a causa delle più elevate caratteristiche di resistenza. A questo punto, utilizzando i mattoni di recupero o analoghi preventivamente bagnati, si inizia a porre in opera i corsi di laterizi prestando particolare attenzione a ripetere la configurazione originale e gli opportuni spessori di malta.

6 - Ripetere scucitura e cucitura secondo la direzione prefissata A questo punto dobbiamo ripetere l’operazione seguendo la direzione che avevamo stabilito. E’ necessario che il processo di presa della malta nella prima zona sia iniziato ma non ancora concluso, per permettere un comportamento il più possibile omogeneo alla parte ricucita.

7 - Risarcire i giunti degradati e stuccare le fughe e rifinitura della muratura Con la stessa malta usata per legare i mattoni, eventualmente addittivata con polvere di cotto a granulometria disomogenea, si risarciscono i giunti degradati nella restante muratura esistente e, nel caso di muratura faccia a vista, si stuccano le fughe. Quando l’operazione è completata possiamo procedere alle operazioni di finitura applicando l’intonaco o lasciando la muratura faccia a vista.

Accorgimenti varianti e limiti La tecnica richiede in fase preventiva e diagnostica un’attenta e prudente valutazione della stabilità e dell’equilibrio della muratura oggetto di intervento e, un’accurata esecuzione che eviti di determinare rotture e crolli. Per tali motivi è sempre consigliabile procedere per sezioni successive e di limitata estensione eventualmente puntellando la struttura. La scelta dei materiali, inoltre, non può essere governata esclusivamente da ragioni estetico-formali. La tecnica non garantisce un adeguato ripristino della continuità del nucleo interno ma è efficace solo per murature con buoni paramenti, o dotati di tessitura regolare e di notevole spessore rispetto all’eventuale nucleo interno. E’ necessario porre particolare attenzione agli interventi di “cuci-scuci” quando si opera su manufatti in zone sismiche, poiché se non si assicura un saldo legame tra le nuove porzioni di muratura e quelle preesistenti, si può rischiare la sconnessione e il crollo della struttura.

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SCHEDA B.3 CONSOLIDAMENTO MEDIANTE TIRANTINI ANTIESPULSIVI Principi funzionali di base La tecnica consiste nella realizzazione o nel ripristino della continuità muraria attraverso il collegamento dei paramenti di una parete in muratura tramite barre metalliche passanti, ancorate con piccole piastre bullonate. L’intervento è indicato in presenza di murature con paramenti scollegati (murature “a sacco” od a paramenti accostati non connessi), soprattutto nei casi in cui sono evidenti gli spanciamenti (instabilità locale). Tali collegamenti, anche se puntuali, garantiscono una certa efficacia in un intorno della piastra, grazie all’attrito tra gli elementi. Nel caso d’azioni orizzontali, che producono il ribaltamento della parete (azioni sismiche, spinte di volte o archi), i tirantini non garantiscono la realizzazione di una monoliticità della parete, non essendo dotati di resistenza a taglio.

Figura B.3.1 – Alcuni esempi di applicaziono di tirantini antiespulsivi (con rondella, piastra di piccole dimensioni, e ancoraggio non in vista)

Campi d’applicazione L’efficacia dell’intervento è subordinata alla presenza di una certa qualità muraria iniziale. Nel caso di murature disordinate con pietre di piccola pezzatura, l’azione del tirantino è limitata ad una piccola area e la stessa presollecitazione cui l’elemento è sottoposto durante la posa, potrebbe indurre fessurazioni sulla parete. Nei riguardi della conservazione, l’intervento è facilmente leggibile e localizzato ma, se realizzato in modo diffuso, può assumere un significativo impatto visivo. Dal momento che non è necessario iniettare le barre, tale tecnica d’intervento può essere considerata in qualche maniera reversibile. Dato il materiale adottato, si ritiene che il campo d’applicazione più idoneo sia quello di un consolidamento puntuale nelle zone soggette a spanciamento (dove si è riscontrato un inizio di dissesto). In questo senso, l’intento è analogo alle cerchiature delle colonne, quando è evidente l’attivazione di fenomeni di rottura per compressione (vedi scheda B.1.9). In casi particolari, per murature con grossi conci lapidei, l’intervento può essere mascherato asportando, con la carotatrice, un piccolo cilindro lapideo e ricoprendo la piastra inserita all’interno. In questi casi, tuttavia, raramente la muratura necessita di tale intervento.

Applicazione della tecnica e fasi operative Le fasi operative sono legate alla determinazione progettuale d’alcuni aspetti fondamentali. In primo luogo bisogna valutare il passo delle perforazioni, che dipende dalle dimensioni degli elementi lapidei e dalla gravità del dissesto: in genere l’indicazione riportata in vari manuali è di assumere una maglia di 1 perforazione ogni m2. L’esecuzione dei fori deve essere effettuata tramite un trapano a rotazione, utilizzando una punta da 20÷25 mm in modo da potere agevolmente inserire delle barre filettate all’estremità (φ 16÷20 mm). Le piastre metalliche devono avere un diametro opportuno, in relazione alla qualità della muratura (nel caso di ciottoli o nel caso di murature con malta abbondante il diametro consigliato è di 8÷10cm) e il serraggio finale deve essere effettuato in modo da attribuire una piccola presollecitazione alle barre. Accorgimenti varianti e limiti Di seguito vengono riportati, per punti, alcuni utili accorgimenti per la messa in opera di tale tecnica d’intervento. L’esecuzione del foro deve essere effettuata in modo che almeno su uno dei due lati sia individuata una posizione ottimale per l’ancoraggio. E’ necessario al fine di eliminare problemi di corrosione l’utilizzazione, se possibile, di barre in acciaio inox o in titanio. E’ necessario, inoltre, verificare il serraggio dopo la posa in opera dei tiranti adiacenti e comunque alcuni giorni dopo la posa in opera. Come in parte già accennato, è possibile nascondere le piastre solo in murature a grossi conci lapidei; in murature irregolari la realizzazione di piccoli scassi fa perdere completamente efficacia all’intervento.

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SCHEDA B.4 CONSOLIDAMENTO MEDIANTE INIEZIONI DI MALTA Principi funzionali di base Il consolidamento di strutture in muratura tramite iniezioni di miscele di varia natura, rappresenta una delle tecniche d’intervento più usate. Negli ultimi 20 anni la possibilità di potere disporre di una metodologia non invasiva architettonicamente, di facile e rapida applicazione ed economicamente vantaggiosa per l’impresa esecutrice, ha determinato un utilizzo spesso indiscriminato di tale intervento. Il metodo consiste nell’iniettare una miscela di legante, in pressione o per colatura, per gravità, nei vuoti presenti della parete che s’intende consolidare in modo da ripristinare la continuità in caso di stati lesionativi diffusi o di migliorare le caratteristiche meccaniche della muratura. Le miscele sono costituite da acqua e leganti inorganici (calci, cementi) o da miscele organiche (resine) che hanno un diverso grado di compatibilità con il supporto originario, soprattutto in relazione alla qualità delle malte esistenti e conferiscono un diverso comportamento, in termini di rigidezza e resistenza, alla muratura consolidata. La parete in muratura deve presentare una tessitura con una sufficiente continuità di vuoti e allo stesso modo, la miscela deve essere progettata in modo da garantire una sufficiente penetrabilità, ossia un’adeguata fluidità; in tal senso le caratteristiche reologiche della miscela iniettata possono essere migliorate con l’aggiunta di particolari additivi dosati anche in funzione del grado d'assorbimento d’acqua del supporto originario. L’uso di leganti inorganici ha lo scopo di riempire i vuoti e dare continuità mentre, le resine, hanno un certo potere incollante; ciò le rende utili nel caso di una muratura molto compatta (con pochi vuoti) ed in particolare nel consolidamento di singoli blocchi lapidei. Campi d’applicazione Nonostante tale intervento sia in genere molto diffuso, per la sua presunta limitata invasività, sono pochi i casi in cui è realmente efficace. In particolare è utile, nel caso di murature fortemente decoese, per la riparazione di stati fessurativi diffusi o nel caso in cui sia necessario aumentare la rigidezza e la resistenza meccanica della parete. La presenza di una muratura fortemente degradata, in cui la malta originaria non sia più in grado di garantire una continuità alla compagine muraria giustifica, infatti, l’utilizzo di tale intervento evitando la disarticolazione dei conci. Il riempimento dei vuoti tramite boiacca di malta permette, infatti, di aumentare il numero dei contatti tra i conci limitando l'insorgere di concentrazioni di stati tensionali di compressione. L’efficacia è subordinata al fatto che i vuoti siano comunicanti; in tal caso con un numero limitato di fori è possibile permeare con continuità la muratura. Tuttavia è importante sottolineare come una presenza eccessiva di cavità all’interno della muratura (per esempio “murature a sacco”) determina una quantità di materiale iniettato troppo elevata, aumentando oltre al costo dell’intervento anche il peso del paramento murario. Tuttavia, anche se tale tecnica appare ammissibile nel restauro, siccome poco invasiva e coerente nell’apporto dei materiali compatibili, forti critiche possono essere avanzate nei riguardi della reversibilità in quanto, il nuovo materiale apportato si confonde totalmente ed irreversibilmente con quello originale. Seppure può essere banale, è importante ricordare come in una muratura “faccia a vista” i fori praticati producono in ogni modo un impatto visivo non trascurabile. Applicazione della tecnica e fasi operative Per quanto riguarda le modalità esecutive appare utile ricordare le regole e le indicazioni fornite dalle normative tecniche, le quali rappresentano una guida a disposizione dei progettisti. Si riporta di seguito l’elenco dei punti delle Normative Tecniche che considerano tale tecnica di consolidamento:

• Legge Regionale Friuli Venezia Giulia, D.M. del 2 novembre 1977 (P.1.2.2.1: Iniezioni di malta cementizia) • Decreto 2 Luglio 1981 (P. 3.4.2.2: Iniezioni di miscele leganti) • Circolare 10 Aprile 1997 (All.3 p.3: Iniezioni di miscele e leganti)

In questa scheda si riportano sinteticamente le modalità realizzative di tale metodologia di consolidamento; va, infatti, ricordato come, gran parte dell’efficacia della sua applicazione risieda quasi tutta nell’accuratezza dell’esecuzione delle sue diverse fasi. In realtà le modalità che sono elencate valgono come una preliminare indicazione delle operazioni da effettuare che devono essere in ogni caso valutate in base alle condizioni particolari che caratterizzano la parete su cui si deve operare (presenza di intonaci o apparati decorativi di pregio, pareti faccia a vista, ecc.). Una corretta esecuzione di tale metodologia d’intervento risulta un'operazione articolata che richiede attenzione nelle diverse fasi in cui si esplica. In particolare, nonostante alcune fasi possono differire in funzione della miscela adottata, è possibile, in genere, individuare quattro distinte fasi esecutive: preparazione della muratura, perforazione e inserimento delle cannule, lavaggio ed imbibizione della muratura ed iniezione. Di seguito è riportata una descrizione sintetica dei principali accorgimenti relativi alla realizzazione di tale opera di consolidamento.

Figura B.4.1 Fasi dell’intervento con iniezione di malte

1) Preparazione della parete Le operazioni da compiere sono legate alla necessità di preparare la parete per l'intervento vero e proprio. In presenza

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d'intonaco di rivestimento, quando questo presenti nessun valore artistico storico, si procede, in genere alla sua rimozione o nel caso di limitati stati fessurativi al risarcimento delle parti ammalorate in modo da non causare una fuoriuscita della miscela che sarà successivamente iniettata attraverso la stuccatura di tutte le lesioni e fessure con malta di cemento additivata con resina adesivizzante. Nel caso invece di murature faccia a vista, si procede alla sigillatura preventiva dei giunti deteriorati presenti in superficie e delle eventuali fessure; per murature particolarmente incoerenti e caotiche è consigliabile effettuare un pre-consolidamento fatto con pre-iniezioni: sfruttando le discontinuità presenti sulle superfici della muratura, attraverso gli ugelli posti in opera con gesso, si cola boiacca procedendo dal basso verso l’alto e per zone simmetriche di 2 o 3 metri quadrati. 2) Esecuzione dei fori di iniezione Stabilito l’ordine con cui procedere alle iniezioni, che devono interessare zone simmetriche a cominciare dalle più basse, si realizzano i fori con sonde a rotazione e mai a percussione adottando diametri, interassi, lunghezze e direzioni correlati al tipo, condizione e spessore della muratura da consolidare. In generale i fori, in numero di 2 o 3 a m², hanno diametri compresi tra i 20 e i 40 mm, interasse tra i 30 ed i 100 cm e sono disposti su file parallele a formare un reticolo regolare come mostrato in figura 2; su muri di spessore superiore ai 50-60 cm è opportuno eseguire le perforazioni sulle due facce. I fori, preferibilmente, dovranno essere eseguiti in corrispondenza dei giunti di malta . Nelle perforazioni saranno posizionati dei tronchetti di rame utilizzabili come iniettori, sigillati con malta antiritiro pronta all’uso a rapido indurimento ed effetto tixotropico. L’esecuzione dei fori viene seguita dall’introduzione di ugelli e boccagli, lunghi almeno 10 cm e sigillati con malta di cemento.

Figura B.4.2 - Schema della distribuzione dei fori

3) Lavaggio del muro Attraverso gli ugelli viene immessa acqua all’interno della muratura attraverso gli iniettori di rame in leggera pressione procedendo dall’alto verso il basso e controllando l’esistenza eventuale di vie di fuga che vanno sigillate. L’acqua, introdotta a leggera pressione, elimina i detriti più minuti e porta a saturazione la muratura ponendo le premesse per una buona maturazione della miscela iniettata, lasciandola fluida ed attenuandone il ritiro. Appare tuttavia evidente come tale operazione renda tale tecnica d'intervento fortemente invasiva per murature che presentino apparati decorativi di pregio. 4) Iniezione La miscela legante viene iniettata a bassa pressione a valori opportuni per scongiurare eccessive dilatazioni trasversali della muratura in genere legati allo stato di fatto preesistente (entità delle lesioni, degrado); in genere si adottano pressioni non superiori alla 1.5-2 atmosfere. Le iniezioni sono effettuate su tratti simmetrici dai lati esterni verso il centro, procedendo dal basso verso l’alto e realizzando sovrapposizioni delle zone trattate. Se nel corso dell’iniezione si verifica la fuoriuscita non voluta di malta, si sigilla con polvere di cemento. Al contrario, il rifluimento della miscela dal foro superiore più prossimo a quello in cui si opera, indica la saturazione della zona trattata e fornisce il segnale per la sigillatura del primo foro e il passaggio all’iniezione successiva. L’intervento si conclude con la rimozione degli ugelli d’iniezione, prima che si sia esaurita la fase di presa, e con l’eliminazione di eventuali sbavature. Per la corretta esecuzione dell’intervento si consiglia di seguire scrupolosamente le indicazioni del produttore della malta. Per scegliere il tipo di malta da iniettare si consiglia di effettuare analisi chimiche dei materiali esistenti in modo da utilizzare malte compatibili. Caratteristiche della malta idraulica: Resistenza meccanica a compressione variabile da 21 N/mm2 a 1 giorno fino a 51 N/mm2 a 28 gg. Resistenza meccanica a flessione variabile tra 7.5 N/mm2 a 1giorno fino a 11.5 N/mm2 a 28 gg. Modulo elastico a 28 gg: 23500 N/mm2.

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Accorgimenti varianti e limiti Le osservazioni sopraelecante sottolineano come l’utilizzo di tale soluzione progettuale debba necessariamente prevedere a monte dell’intervento una campagna d’indagine accurata sia da un punto di vista meccanico che chimico. L’oggetto del contendere non è, pertanto, rappresentato da “cosa” si inietta ma da “dove” lo si inietta diventando prioritaria una conoscenza dettagliata della struttura muraria che si ha di fronte. Solo attraverso una fase diagnostica accurata si potrà valutare l’effettiva necessità di tale metodo d’intervento, e allo stesso tempo scegliere il prodotto più idoneo per garantire un’effettiva compatibilità tra le malte e la struttura preesistente. La valutazione di come effettuare le iniezioni di consolidamento, è pertanto subordinata alla conoscenza di molti parametri della muratura sia dal punto di vista chimico, (reattività della muratura ai sali solubili contenuti nella malta, reattività della malta ai solfati presenti nella muratura, per esempio il gesso), sia dal punto di vista fisico (porosità e volume dei vuoti compatibile tra i due elementi), sia dal punto di vista meccanico (resistenze comparabili, non troppo elevate e allo stesso tempo non troppo repentine in modo da non creare tensioni interne non desiderate). In ogni caso, non solo tali aspetti vanno curati per garantire una perfetta riuscita dell’intervento. Anche se nei vari manuali di consolidamento le fasi operative possono sembrare le stesse, ogni malta necessità di variare alcune caratteristiche che possono risultare determinanti nel decretare la scelta più opportuna del prodotto da adoperare. La preparazione della superficie, come precedentemente elencato, risulta fondamentale per non causare delle fuoriuscite di materiale durante le iniezioni e tale aspetto può rappresentare una discriminante se la facciata da consolidare ha un paramento faccia a vista o presenta un intonaco affrescato. Anche la scelta delle dimensioni dei fori, relazionato alla dimensione degli inerti e alla fluidità delle varie malte, può rappresentare una valida motivazione per la scelta di un prodotto rispetto ad un altro, in quanto in situazioni dove siano presenti degli apparati decorativi appare sconsigliabile effettuare perforazioni di grosso diametro (3 – 4 cm). Una fase particolarmente delicata è, inoltre, legata alla necessità, per alcuni prodotti, di effettuare una saturazione con acqua delle murature sia per non far assorbire al paramento l’acqua d’idratazione delle malte sia per eliminare i residui sciolti provocati durante la perforazione. In molti casi, infatti, non solo l’aspetto estetico può determinare delle controindicazioni a tale fase, che può risultare dannosa anche per l’eccesso di umidità che si creerebbe in situazioni fortemente vacuolorizzate. La stessa preparazione del composto, in molti casi a due componenti, deve rappresentare una fase da eseguire con la massima attenzione: attraverso un miscelatore meccanico o con un semplice trapano dotato di frusta è possibile raggiungere la fluidità desiderata che, in ogni caso, deve essere verificata soprattutto nel caso di pareti di grandi dimensioni che possono necessitare di un gran quantitativo di materiale. La fluidità, infatti, varia con il tempo e mantenere un grado di viscosità accettabile non può essere garantito aggiungendo altra acqua all’impasto che provocherebbe un crollo delle resistenze caratteristiche. E’ da rilevare, inoltre, che anche le pressioni e l’esecuzione delle iniezioni variano in parte con il materiale utilizzato. La presenza di una muratura fortemente danneggiata determina, infatti, la necessità di operare con pressioni non elevate, in modo da evitare il formarsi di tensioni pericolose all’interno di una struttura già lesionata. Appare pertanto evidente come, per tale metodologia d’intervento gli aspetti legati alle metodologie di messa in opera, forse ritenuti secondari, assumano un ruolo determinante nella riuscita dell’intervento. Un errore d'esecuzione in tale caso non è assorbito da un possibile coefficiente di sicurezza causando l’inefficacia del consolidamento. E’ opportuno ricordare, infatti, che l’esperienza desumibile dagli edifici danneggiati in Umbria e Marche dal terremoto del 1997 dimostrano come, la cattiva esecuzione di certi interventi, abbia determinato un'inefficacia di tali soluzioni evidenziando, errori grossolani di messa in opera che sono difficilmente valutabili in fase preventiva se non con un controllo accurato della fase realizzativa. Nonostante possa apparire molto oneroso, anche tale intervento necessita di un collaudo finale, solo in tal caso è possibile determinare l’ottenimento del risultato prefissato; carotaggi della parete dopo il consolidamento o la comparazione d'indagini ultrasoniche prima e dopo l'intervento permettono di valutare la riaggregazione del tessuto murario e l’adesione del composto agli elementi lapidei in modo da programmare, in caso di risultati insoddisfacenti, una nuova fase dell’intervento. Il consolidamento murario, se eseguito a regola d’arte, aumenta notevolmente la rigidezza della zona iniettata squilibrando la risposta sismica della struttura. Il consolidamento ideale dovrebbe essere eseguito in modo uniforme su tutta la struttura aumentando la resistenza dell’intera compagine muraria e evitando zone non consolidate che diventano punti di debolezza per la struttura stessa.

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SCHEDA B.5 INIEZIONI LOCALIZZATE Principi funzionali di base Contrariamente al consolidamento diffuso, che si applica a quelle situazioni in cui la muratura presenta una scarsa qualità muraria e un degrado significativo, la riparazione delle lesioni viene effettuata quando la muratura, a seguito di un dissesto specifico presenta lesioni, ovvero quando viene meno la continuità nella tessitura dei suoi elementi. Si sottolinea come la riparazione delle lesioni debba sempre seguire una diagnosi che individui precisamente la natura del dissesto e anticipare temporalmente gli interventi di consolidamento nei riguardi dello stesso (cedimenti di fondazione, rotazioni di pareti murarie…). Tale tecnica consiste, quindi, nel ripristino della continuità a cavallo delle lesioni, attraverso iniezione di malta di granulometria opportuna o di resina (l’intervento non è in grado di fornire alcuna resistenza a trazione, in quanto si ritengono altrimenti risolte le cause che hanno portato al dissesto.) Tale intervento si pone in alternativa all’intervento di scuci e cuci (vedi scheda B.1.2) che, invece mira a ripristinare l’originale tessitura muraria, avendo però il vantaggio di non asportare ulteriore materiale. Campi d’applicazione Tutte le murature ed in particolare la muratura scadente. L’efficacia dell’intervento è subordinata, in ogni caso alla rimozione delle cause che hanno determinato lo stato fessurativo oggetto dell’intervento.Murature particolarmente danneggiate nelle quali non è possibile effettuare manomissioni o asportazione di materiale Applicazione della tecnica e fasi operative Di seguito sono riportate per punti le fasi operative necessarie per una corretta esecuzione di tale tecnica d’intervento.

1. Nel caso non sia possibile inserire direttamente le cannule nella lesione è necessario eseguire dei fori con trapano a rotazione (φ 14 mm) in corrispondenza della lesione stessa. Nel caso di lesione passante, i fori andranno effettuati su entrambe le facce. I fori dovranno avere una profondità variabile con lo spessore murario (almeno 20 cm) e dovranno essere posti con un interasse massimo di 40 cm.

2. Posizionamento delle cannule in ciascun foro per una profondità di circa 5 cm. 3. Stuccatura della lesione e dei giunti adiacenti se fortemente degradati, utilizzando, se possibile, la stessa malta

da iniezione o in alternativa una malta a pronta presa. 4. Preparazione con trapano e frusta della miscela ed iniezione nella muratura partendo dai fori inferiori e

procedendo verso i fori superiori. Accorgimenti varianti e limiti Nel caso di una muratura “a sacco”, con un riempimento realizzato con materiale incoerente, tale tecnica può comportare un’eccessiva quantità di materiale iniettato; ciò può determinare delle zone a maggiore rigidezza rispetto alla muratura corrente. I danni osservati nelle strutture consolidate con iniezioni di malta sono, in molti casi, da imputare ad una distribuzione non omogenea della malta, quasi sempre cementizia e quindi, alla possibilità di favorire la formazione di linee di frattura lungo i cunicoli in cui si è infiltrata la malta.Tale intervento dovrebbe essere accompagnato da un pre-consolidamento diffuso della muratura tramite iniezioni di malta che comporterebbe un aumento di costo In tale caso è necessario valutare l’esigenza di un pre-consolidamento diffuso della muratura tramite iniezioni (vedi scheda B.1.4) o in alternativa, iniettare materiale non troppo fluido, per evitare un’eccessiva diffusione. Particolare attenzione va posta in occasione di pareti affrescate.

Figura B.5.1 - Schema delle modalità operative

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SCHEDA B.6 CUCITURE ARMATE O INIEZIONI ARMATE Principi funzionali di base Il metodo consiste nella cucitura di lesioni attraverso una fitta rete di barre iniettate disposte in maniera casuale o su più file ad interasse variabile. L’idea è connessa alla volontà di fornire localmente una certa resistenza a trazione.La tecnica non è coerente con il funzionamento delle costruzioni in muratura che sono realizzate senza far affidamento sulla resistenza a trazione della muratura. Campi d’applicazione La tecnica è invasiva, irreversibile e poco efficace dal punto di vista strutturale. Inoltre, è di difficile valutazione l’efficacia dell’ancoraggio delle barre nella muratura che comunque dovrebbe essere fortemente iniettata. Considerata le caratteristiche tipologiche delle murature Molisane tale tecnica è da evitare come intervento sistematico di consolidamento della muratura, per l'insieme di impatti prodotti1. Applicazione della tecnica e fasi operative Di solito viene impiegata negli incroci murari d’angolo e nei collegamenti tra muri perimetrali e di spina. Fasi operative dell’intervento: − individuazione della disposizione dei perfori; − foratura della muratura con sonde esclusivamente rotative. I fori possono essere inclinati a 45° oppure orizzontali,

disposti lungo i giunti su tutto lo spessore. L’interasse è funzione dello spessore e della presenza di diatoni nella muratura;

− pulitura dei fori per mezzo di getto ad aria in pressione e lavaggio con acque per garantirne una migliore aderenza tra muratura e malta successivamente iniettata;

− inserimento delle barre d’acciaio munite di distanziatori perimetrali per evitare il contatto con la muratura; − iniezione della malta a bassa pressione (inferiore a 2 atm). In alcuni casi è opportuno realizzare efficienti ancoraggi

con piastre alle estremità delle barre al fine di eliminare rischio di sfilamento. Utilizzando barre piegate a L si rende necessario solo un ancoraggio all’estremità opposta;

− riempimento della testa del foro e copertura degli eventuali ancoraggi con malta cementizia e/o resina. Accorgimenti varianti e limiti Tale intervento è fortemente sconsigliato e comunque da considerare solo in mancanza di alternative valide da dimostrare con dettagliata specifica tecnica. Può essere consentito dopo la presentazione di accertata e documentata verifica inserita in un ampio programma di interventi.” In alternativa all’ancoraggio chimico la barra metallica potrà essere passante e collegata alla muratura con piastre metalliche su entrambi i lati (vedi scheda B.1.3.)

Figura B.6.1 - Schema delle modalità operative

1

Direttive per la redazione ed esecuzione di progetti di restauro comprendenti interventi di miglioramento e manutenzione nei complessi architettonici di valore storico-artistico in zona sismica (approvate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, con integrazioni e specificazioni nella seduta del 28/11/1997, prot. 564.

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SCHEDA B.7.A DIATONI ARTIFICIALI IN CALCESTRUZZO ARMATO Principi funzionali di base La tecnica d’intervento consiste nella realizzazione di elementi artificiali di forma cilindrica, gettati in opera all’interno di fori trasversali passanti, realizzati con la carotatrice. Con il termine “diatono” si individua, infatti, un elemento passante che veniva disposto, più o meno regolarmente, in direzione trasversale al piano della parete muraria nei muri a due o tre cortine, per realizzare un legame tra i due paramenti. Nelle murature fatte a regola d’arte l’impiego dei diatoni assumeva un carattere sistematico, mentre nelle murature scadenti, quindi realizzate con pietre non lavorate, si collocava solo qualche pietra di dimensione maggiore trasversalmente ma senza un criterio ben definito. La tecnica proposta è finalizzata, pertanto, all’inserimento di diatoni artificiali, utilizzando cioè i materiali che la moderna tecnologia mette a disposizione e fornendo alla parete quegli elementi che una muratura di buona qualità dovrebbe già avere. Pertanto, dal punto di vista statico la struttura muraria viene rinforzata senza essere modificato il suo originario funzionamento. Campi d’applicazione La tecnica può essere impiegata anche in murature di qualità molto scadente in quanto, non vengono trasmesse presollecitazioni; i diatoni si collegano, infatti, alla muratura grazie alle caratteristiche debolmente espansive della malta iniettata. In tale caso la scadente qualità dell’apparato murario rende necessario una maglia di diatoni più fitta. Nei riguardi della conservazione tale intervento risulta perfettamente leggibile ma comporta, anche se puntualmente, l’asportazione di una certa porzione della muratura originaria (rispetto alla tecnica dei tirantini anti espulsivi - vedi scheda B.1.3); per contro l’impatto visivo è decisamente minore risultando i diatoni meno evidenti in una muratura “faccia a vista” e del tutto nascosti in presenza di intonaco. La tecnica è consigliata proprio nel caso di murature molto povere per le quali i vincoli di conservazione sono meno stringenti e dove spesso, l’alternativa rischia di essere la demolizione o l’uso di metodi ancora più invasivi (vedi scheda B.1.8). La rigidezza a taglio del diatono rende tale tecnica efficace anche nel caso di azioni sismiche in quanto, il collegamento tra i paramenti porta a realizzare una parete monolitica trasversalmente e quindi meno vulnerabile a meccanismi di ribaltamento. Applicazione della tecnica e fasi operative 1 - Esecuzione dei fori: l’esecuzione dei fori, di diametro 15 cm (figura B.1.7.1), avviene con una sonda a rotazione (non a percussione perche troppo distruttiva), fissata alla muratura con particolari ancoraggi e regolata con appositi registri per effettuare carotature orizzontali; la velocità di rotazione e di avanzamento della sonda dipendono dalla qualità della muratura su cui si va ad agire. E’ buona norma effettuare il foro sulle pietre di dimensioni maggiori in modo tale da evitare l’espulsione dele pietre più piccole.

Figura B.7.1 – Realizzazione dei fori con sonda a rotazione

2 - Inserimento dell’armatura: il diatono che viene inserito nella muratura deve avere una certa resistenza a trazione, cosa che possiedono gli elementi lapidei (diatoni naturali). È quindi opportuno inserire una minima armatura; questa può consistere in tre o quattro barre di piccolo diametro (φ 8 mm)legate da una spirale. Preparata l’armatura minima viene inserita all’interno del foro, dotato di distanziatori per un corretto posizionamento (figura B.1.7.2).

Figura B.7.2 - Inserimento dell’armatura

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3 - Sigillatura: posizionata l’armatura è necessario chiudere le estremità (figura B.1.7.3) in modo da sigillare gli spazi che inevitabilmente restano intorno ai tappi ed evitare, così, la fuoriuscita della miscela iniettata; nella faccia dove avviene l’iniezione è necessario lasciare due fori per permettere all’aria di uscire nella fase di iniezione e alla malta di avere la massima aderenza con la muratura. Può essere necessaria un’operazione di stuccatura nella zona circostante il foro, sia per evitare fuoriuscite di malta sia per contrastare le azioni che si verificano nel momento in cui il diatono lavora.

Figura B.7.3 - Stuccatura delle due estremità

4 - Iniezione: la malta utilizzata deve avere caratteristica leggermente espansiva in quanto il diatono lavora tanto meglio quanto migliore è l’aderenza con la parete circostante: a tal fine, onde evitare la presenza di zone di vuoto, viene iniettata in leggera pressione (figura B.1.7.4). Non deve essere troppo fluida in quanto può essere iniettata agevolmente nel foro; una malta molto fluida presenterebbe, infatti un certo ritiro e tenderebbe a permeare l’intera muratura circostante, fatto non necessario ed in contraddizione con ricercata puntualità dell’intervento. Per scegliere il tipo di malta da iniettare si consiglia di effettuare analisi chimiche dei materiali esistenti in modo da utilizzare malte compatibili.

Figura B.7.4 – Iniezione di malta in pressione

Accorgimenti varianti e limiti E’ importante notare come con questo metodo, la quantità di malta utilizzata risulta essere molto minore rispetto ad un intervento tramite iniezioni (vedi scheda B.1.4) in quanto, essa resta confinato alla sola zona del diatono. Nel caso di murature di pregio è opportuno utilizzare armature non deteriorabili (barre in acciaio inox, titanio o in materiali compositi, quali fibre di carbonio). In murature “faccia a vista”, le estremità della carota estratta possono essere tagliate in piccoli dischi ed applicate per coprire il diatono gettato in opera.

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SCHEDA B.7.B DIATONI ARTIFICIALI IN ACCIAIO Principi funzionali di base Analogamente alla scheda B.1.7.A, la finalità di tale intervento è legata alla creazione di un collegamento (resistente a taglio) tra i paramenti esterni di una muratura, tramite l’inserimento di diatoni artificiali. La tecnica d’intervento consiste nella realizzazione di elementi artificiali di forma cilindrica costituiti da un tubo in acciaio, forato lungo la superficie laterale inserito all’interno di fori trasversali passanti, realizzati con la carotatrice e iniettati con malta espansiva. Si ricorda che, con il termine “diatono” s’individua quell’elemento passante che veniva disposto, più o meno regolarmente, in direzione trasversale al piano della parete muraria nei muri a due o tre cortine, per realizzare un legame tra i due paramenti. Nelle murature fatte a regola d’arte l’impiego dei diatoni assumeva un carattere sistematico mentre, nelle murature scadenti, quindi realizzate con pietre non lavorate, si collocava solo qualche pietra di dimensione maggiore trasversalmente, ma senza un criterio ben definito. Campi d’applicazione La tecnica può essere impiegata anche in murature di qualità molto scadente in quanto non vengono trasmesse presollecitazioni; i diatoni si collegano, infatti, alla muratura grazie alle caratteristiche debolmente espansive della malta iniettata. In tale caso la scadente qualità dell’apparato murario rende necessario una maglia di diatoni più fitta. Nei riguardi della conservazione tale intervento risulta perfettamente leggibile ma comporta, anche se puntualmente, l’asportazione di una certa porzione della muratura originaria (rispetto alla tecnica dei tirantini anti-espulsivi - scheda B.1.3); per contro l’impatto visivo è decisamente minore, risultando i diatoni meno evidenti in una muratura “faccia a vista” e del tutto nascosti in presenza di intonaco. La tecnica è consigliata proprio nel caso di murature molto povere, per le quali i vincoli di conservazione sono meno stringenti e dove spesso, l’alternativa rischia di essere la demolizione o l’uso di metodi ancora più invasivi (vedi scheda B.1.8). La rigidezza a taglio del diatono rende tale tecnica efficace anche nel caso di azioni sismiche, in quanto il collegamento tra i paramenti porta a realizzare una parete monolitica trasversalmente e quindi meno vulnerabile a meccanismi di ribaltamento. Applicazione della tecnica e fasi operative 1 - Esecuzione dei fori: l’esecuzione dei fori, di diametro 15 cm (figura B.1.7.1), avviene con una sonda a rotazione (non a percussione perche troppo distruttiva), fissata alla muratura con particolari ancoraggi e regolata con appositi registri per effettuare carotature orizzontali; la velocità di rotazione e di avanzamento della sonda dipendono dalla qualità della muratura su cui si va ad agire. E’ buona norma effettuare il foro sulle pietre di dimensioni maggiori in modo tale da evitare l’espulsione dele pietre più piccole. 2 - Inserimento dell’armatura: il diatono che viene inserito nella muratura deve resistere a taglio, coratteristiche che possiedono gli elementi lapidei (diatoni naturali). È quindi realizzato da un tubo in acciaio di sezione 3-5 mm e diametro di 120 mm forato lungo il perimetro. (figura B.1.7.2). 3 - Sigillatura: posizionato il tubo è necessario chiudere le estremità (figura B.1.7.3), in modo da sigillare gli spazi che inevitabilmente restano intorno ai tappi, ed evitare, così, la fuoriuscita della miscela iniettata; nella faccia dove avviene l’iniezione è necessario lasciare due fori, per permettere all’aria di uscire nella fase di iniezione e, alla malta di avere la massima aderenza con la muratura. Può essere necessaria un’operazione di stuccatura nella zona circostante il foro, sia per evitare fuoriuscite di malta sia per contrastare le azioni che si verificano nel momento in cui il diatono lavora. 4 - Iniezione: la malta utilizzata deve avere caratteristica leggermente espansiva, in quanto il diatono lavora tanto meglio quanto migliore è l’aderenza con la parete circostante: a tal fine, onde evitare la presenza di zone di vuoto, viene iniettata in leggera pressione (figura B.1.7.4). Si inietta una malta fluida capace di fuoriuscire dai fori ed avvolgere il tubo, in modo da realizzare un collegamento lungo il perimetro con la muratura. Per scegliere il tipo di malta da iniettare si consiglia di effettuare analisi chimiche dei materiali esistenti in modo da utilizzare malte compatibili. Accorgimenti varianti e limiti E’ importante notare come con questo metodo la quantità di malta utilizzata risulta essere molto minore rispetto ad un intervento tramite iniezioni (vedi scheda B.1.4) in quanto, essa resta confinato alla sola zona del diatono. Nel caso di murature di pregio è opportuno utilizzare armature non deteriorabili (barre in acciaio inox, titanio o in materiali compositi, quali fibre di carbonio). In murature “faccia a vista”, le estremità della carota estratta possono essere tagliate in piccoli dischi ed applicate per coprire il diatono gettato in opera.

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SCHEDA B.8 BETONCINO ARMATO Principi funzionali di base La tecnica di consolidamento mediante intonaci armati consiste nel realizzare, in aderenza alla superficie del paramento murario, di solito quella esterna, una parete di materiale a base cementizia, armata con rete metallica e resa solidale alla stessa con barre ancorate nella muratura per almento 2/3 dello spessore murario. In tale situazione la lastra fornisce un confinamento parziale alla dilatazione trasversale dei paramenti (spanciamento). Tale metodo d’intervento permette di aumentare la rigidezza e la resistenza grazie all’apporto di un’ulteriore sezione resistente in c.a. La muratura non risulta sgravata dalle sollecitazioni di compressione in quanto, il betoncino è inizialmente scarico, la parete consolidata beneficia, infatti, dell’intervento solo nei riguardi d’eventuali incrementi di carico. Campi d’applicazione Tale tecnica d’intervento è molto usata in virtù della facilità di esecuzione, della possibilità di intervenire soltanto dall’esterno e della possibilità di un dimensionamento empirico ed intuitivo. In realtà l’intervento risulta incompatibile con i principi della conservazione per i seguenti motivi: − irreversibilità: è praticamente impossibile rimuovere la paretina in c.a. senza danneggiare completamente la

muratura; − invasività: occulta i paramenti murari, modificando le forme e le dimensioni della costruzione; − incompatibilità: altera le proprietà fisiche – traspirabilità, permeabilità al vapore ed isolamento termico – e le

caratteristiche di deformabilità delle parete. Inoltre l’intervento si mostra molto vulnerabile nei confronti diagenti ambientali, per la possibilità di corrosione dei connettori trasversali se non vengono posti in opera barre in acciaio inox e, della debolezza dell’ancoraggio. In relazione a tale aspetto viene, infatti, ricordato come l’efficacia dei connettori sia pressoché nulla se essi non siano passanti ed ancorati nella faccia opposta o con una piastra metallica . Di solito nella pratica i connettori sono stati semplicemente inseriti nei fori praticati nella muratura e raramente debolmente ancorati con malta cementizia. Quindi pur riconoscendone l’efficacia strutturale il suo impiego nell’edilizia storica deve essere comunque evitato. I possibili campi d’applicazione sono il consolidamento di singoli maschi murari, fortemente danneggiati, per i quali l’alternativa sarebbe la ricostruzione (tecnica, peraltro, non priva di contro-indicazioni per le ridistribuzioni di sollecitazioni conseguenti). Nel caso d’interventi localizzati, va valutato l’incremento di rigidezza dell’elemento consolidato rispetto a quelli originari adiacenti. Applicazione della tecnica e fasi operative Per quanto riguarda le modalità esecutive è utile ricordare le regole e le indicazioni fornite dalle normative tecniche che da tempo considerano tale intervento (e ciò spiega il suo largo impiego nel recente passato). Si riporta di seguito l’elenco dei paragrafi delle Normative Tecniche regionali e nazionali che considerano tale tecnica di consolidamento:

• Legge Regionale Friuli Venezia Giulia, D.T. 2 del Novembre 1977 (1.2.2.2 Lastre di cemento armato) • Decreto 2 Luglio 1981 (3.4.2.3 Applicazioni di lastre e reti metalliche elettrosaldate) • Circolare 30 Luglio 1981 (3.3.3 Applicazioni di lastre e reti metalliche elettrosaldata) • Circolare 10 Aprile 1997 (Allegato 3.4 Applicazioni di lastre e reti metalliche elettrosaldate)

Di seguito sono indicate le fasi operative, da cui emerge la problematicità di una corretta esecuzione, peraltro imprescindibile per un buon esito dell’intervento 1. Preparazione della parete: valgono essenzialmente le

considerazioni già esposte per l’intervento di iniezioni di malta (vedi scheda INIEZIONI DI MALTA). In particolare è necessario, se presente, asportare l’intonaco e la messa a nudo della tessitura muraria, attraverso spazzolatura e lavaggio della muratura con getto d’acqua o aria a bassa pressione. Inoltre è necessario una stuccatura con malta cementizia a presa rapida di fessure e vuoti macroscopici. Nell’operazione di lavaggio la superficie della parete va portata a saturazione, in modo da evitare sottrazione d’acqua al materiale spruzzato che può pregiudicare la corretta presa

2. Perforazioni: la perforazione della muratura è da effettuarsi per mezzo di trapani o sonde a rotazione; i fori, distribuiti in modo uniforme sulla parete, devono creare una maglia regolare ed essere leggermente inclinati in modo da favorire il loro successivo riempimento con malta cemetizia..

Figura B.8.1 – Fasi operative

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1. Inserimento di barre : generalmente vengono utilizzati tondini per c.a. ad aderenza migliorata del diametro variabile da 4 a 8 mm; essi vengono posizionati per battitura attraverso i giunti di malta, sfruttando eventualmente le lesioni presenti, oppure infilati in fori praticati appositamente che, successivamente possono anche essere sigillati con iniezione di malta. Per un corretto funzionamento i tondini di acciaio vengono saltati ovvero risvoltati al di sopra della rete in modo da migliorare il collegamento tra la lastra e la parete e l’ancoraggio nella muratura si spinge a circa 2/3 lo spessore della muratura. Il loro numero può variare a seconda dei casi e, di solito non scende al di sotto di due barre ogni m2. E’ opportuno realizzare anche connessioni tra le lastre e gli elementi trasversali di contorno (cordoli, fondazioni, etc.).

2. Posizionamento delle armature: in genere si usano delle reti elettrosaldate con barre di diametro di 3-6 mm con maglia 10x10 oppure 15x15 cm. La rete viene posizionata di solito sul lato esterno distanziata almeno di 1 cm dalla parete. Buona regola è di risvoltare di almeno 50 cm in corrispondenza delle intersezioni con murature ortogonali e prevedere delle zone di sovrapposizione delle reti elettrosaldate di almeno 20 cm. Posizionata la rete si piegano i tiranti ad uncino di 90°.

3. Esecuzione delle lastre: la posa in opera della miscela di legante è realizzata, previo accurato lavaggio e bagnatura fino a saturazione della muratura, con procedure diverse in funzione dello spessore della lastra che si vuole applicare. Per spessori modesti (3÷5 cm) la paretina è realizzata spruzzando meccanicamente la malta cementizia ad alto contenuto di cemento (gunite), sulla rete in uno o più passaggi. Nel caso di paretine d’elevato spessore (6÷15 cm), peraltro da evitarsi, è necessario in la predisposizione di un’apposita casseratura per contenere il getto di calcestruzzo.

Accorgimenti, varianti e limiti La corrosione dell’armatura e l’ancoraggio modesto alla muratura sono indicatori di elevata vulnerabilità per questo tipo di intervento. Inoltre, come rilevato nella realtà molisana dopo gli interventi eseguiti dopo il terremoto del 1984, sono già presenti elevati fenomeni di degrado che si manifestano con un’esfoliazione superficiale della lastra esterna e con fessurazioni e distacchi dalla parete in muratura. A tali fenomeni di degrado sono da associare meccanismi di collasso, indotti dallo stesso intervento che nel caso delle pareti di grande dimensione, come quelle delle chiese, possono risultare molto accentuati. Il meccanismo più probabile è quello dovuto alla rottura dei connettori e al ribaltamento della lastra esterna. A causa della mancata aderenza tra la lastra e la muratura e della corrosione dei collegamenti durante l’azione sismica, la lastra esterna, distaccata dalla parete, è più libera di deformarsi e si comporta in modo autonomo con elevata possibilità di ribaltamento per la modesta rigidezza flessionale.

Figura B.8.2 – Possibili problematiche connesse all’applicazione di tale intervento

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Si rimanda per maggiori dettagli alla valutazione della vulnerabilità di questa tecnica costruttiva svolta nell’ambito di una ricerca finanziata dal GNDT1, di cui si riporta un estratto. “L’azione mutua tra muro e paretina può essere suddivisa in due singoli meccanismi causati dalla applicazione delle seguenti azioni. Una prima azione che agisce sulla paretina è la spinta esercitata dallo strato superiore della muratura, ormai plasticizzata e più libera di deformarsi trasversalmente, sulla parte corrispondente della parete di contenimento. Tale spinta viene contrastata dai due tiranti, che sviluppano le due reazioni T1 e T2 (Figura B.1.8.3). Risulta evidente che la barra superiore, per effetto della maggiore sollecitazione, arriva alla plasticizzazione prima di quella inferiore. A platicizzazione avvenuta del tirante superiore la parete tende ad incurvarsi e la deformata che ne consegue presenta la concavità verso l’esterno. Si può supporre, per l’altro tipo di azione e secondo una schematizzazione approssimata che, lo sforzo di taglio P venga trasmesso tutto alla testa della paretina con una eccenricità pari a s/2. La tensione che si sviluppa in mezzeria della paretina è approssivativamente uniforme nello spessore ed offre la reazione a tale sforso in corrispondenza al baricentro dello stesso. Le due forze P risultano disassate di circa s/2 e danno origine ad una coppia che viene equilibrata da un’altra di verso opposto composta dalle reazioni dei tiranti T1 e T2 e dalla forza risultante C delle compressioni che si generano in testa alla muratura dove la paretina si appoggia.. Anche in questo caso la paretina tenderà ad incurvarsi ma, la deformata avrà concavità rivolta verso l’interno, mentre il tirante più sollecitato e quindi il primo a raggiungere la plasticizzazione, sarà quello inferiore. Queste due azioni, in realtà, si combinano nel sollecitare la paretina; ma, mentre la prima si può ritenere non vari significativamente al variare dello spessore , la seconda dipende invece in maniera diretta da questo parametro, per effetto della variazione del braccio della coppia. Quello che si può supporre è che aumentando lo spessore, il secondo meccanismo divenga predominante sul primo portando prima all’instabilità la paretina. Il modello relativamente semplice come quello proposto può cogliere solo in parte i fenomeni che realmente avvengono. In base alle analisi svolte è possibile effettuare una serie di ipotesi sull’impiego delle paretine armate ed è stato osservato che il caso con consolidamento effettuato con applicazione della paretina solo da un lato non ha registrato alcun aumento della resistenza ; ciò è probabilmente dovuto ad una concomitanza di diversi aspetti: − l’impossibilità di eseguire un adeguato ancoraggio delle barre trasversali alla muratura , che in genere presenta

bassa resistenza la scarsa aderenza superficiali all’interfaccia dei due materiali, che non permette quindi il trasferimento dello sforzo applicato dalla muratura alla paretina armata;

− il possibile innesco di una sollecitazione flessionale anomala dovuta al fatto che la muratura caricata, deformandosi in base alle proprie caratteristiche meccaniche, perviene a collasso prima che la lastra in c.a. possa attivare il proprio effetto;

− il consolidamento con paretine è un metodo semplice e rapido e adatto per murature anche molto scadenti, ma necessita di un adeguato dimensionamento sia in quanto altera le rigidezze sia a compressione che a taglio della muratura originaria, sia in relazione ai fenomeni di instabilità possibili delle lastre, per effetto della scarsa presenza di collegamenti trasversali: Di queste considerazioni si deve tenere conto soprattutto in tema di comportamento sotto azioni sismiche.”

In tale caso è determinante lo spessore della parete, che nel caso sia elevato (superiore a 5 cm), può favorire l’instabilità della paretina. Ulteriori meccanismi di collasso possono essere indotti dall’aumento notevole della rigidezza andando ad alterare il comportamento originario della struttura. Ciò può determinare, soprattutto nei casi di non uniforme esecuzione, degli scompensi di rigidezza che possono produrre effetti torcenti o modifiche nella ripartizione tra le pareti delle forze orizzontali dovute al sisma. Anche se in linea di principio gli spessori delle lastre potrebbero essere molto contenuti (3-4 cm), nella realtà essi risultano, almeno localmente, molto maggiori in quanto esiste, come in parte già citato, la necessità di sovrapposizione della maglia elettrosaldata (in alcuni punti anche 3 strati). Inoltre anche se non è condivisibile, esiste la tendenza da parte delle imprese di regolarizzare la superficie della parete, eliminando deformazioni e fuori piombo presenti in origine. Nelle figure sono illustrati alcuni interventi effettuati in Molise dopo il terremoto del 1984 per i quali si evidenzia lo stato di degrado e lo stato fessurativo.

Figura B.8.3 - Possibili modalità di collasso

1 C.Modena, F.Pineschi, M.R. Valluzzi, Valutazione della vulnerabilità sismica di alcune classi di strutture esistenti, GNDT Gruppo Nazionale Difesa Terremoti, ISBN 88-900449-6-9- www.gndt.ingv.it

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SCHEDA B.9 CERCHIATURE METALLICHE: colonne o pilastri Principi funzionali di base Le colonne in elementi lapidei e i pilastri in muratura sono elementi strutturali prevalentemente compressi. Poiché il collasso per compressione in un materiale fragile, sia esso un elemento lapideo o un materiale composito (muratura), avviene a seguito di deformazioni trasversali eccessive, l’intervento più efficace consiste nel contrastare tali dilatazioni attraverso una cerchiatura o fasciatura dell’elemento. La cerchiatura può essere realizzata con elementi metallici, eventualmente dotati di proprietà meccaniche speciali (SMA- leghe a memoria di forma), o da fasce di fibre di carbonio posti in opera in punti discreti del manufatto nelle zone dove più evidenti sono i fenomeni fessurativi e i rigonfiamenti. In genere le cerchiature metalliche vengono presollecitate al fine di fornire da subito un confinamento efficace all’elemento strutturale. Il recente impiego nel restauro statico dei materiali compositi ed in particolare delle fasce in fibra di carbonio, ha portato ad una loro applicazione anche nella cerchiatura delle colonne. In questo caso, tuttavia, non è possibile attribuire una presollecitazione. Campi di applicazione La cerchiatura, ancorché visibile e quindi in una certa misura invasiva per l’aspetto esteriore dell’elemento architettonico, rappresenta la migliore soluzione nel consolidamento di colonne e pilastri circolari soggetti ad incipiente collasso per schiacciamento, in quanto efficace dal punto di vista statico e reversibile sotto il profilo della conservazione. Tale soluzione diventa problematica in presenza di colonne o pilastri con sezione di altra forma; infatti, per una sezione quadrata o rettangolare si verifica una concentrazione di tensioni negli spigoli ed una debole efficacia nella parte centrale dei quattro lati. Una piccola smussatura può in parte risolvere questo tipo di problema a prezzo però, di una non completa reversibilità. Problemi analoghi possono anche nascere per colonne circolari con scanalature o nel caso di lacune o irregolarità di forma legate al degrado del tempo. In questi casi, la cerchiatura risulta essere efficace solo se realizzata con particolari accorgimenti. Applicazione della tecnica Esistono varie applicazioni della tecnica. La tecnica tradizionale prevede la cerchiatura delle colonne e dei pilastri mediante piatti metallici opportunamente sagomati, scaldati e serrati (figura B.1.9.1) oppure serrati a freddo, tramite bulloni o altri dispositivi. Nel primo caso, la cerchiatura può essere adattata all’elemento con maggiore precisione, sfruttando la malleabilità del materiale riscaldato e la sua tendenza al restringimento, durante il raffreddamento. In alcuni casi la variazione di temperatura può provocare danni agli elementi sottoposti all’intervento rendendo necessario l’utilizzo di cerchiature a freddo. Queste ultime sono meno facili da realizzare e da porre in opera poiché prevedono la preventiva formazione dell’elemento, rendendo più problematico il suo adattamento alla forma dell’elemento.

Figura B.9.1 – Esempio di cerchiatura (tempio di Vesta a Roma)

In ogni caso, i problemi connessi ad entrambe le applicazioni derivano anzitutto dalle variazioni di temperatura non compensate dalla cerchiatura e dalla eventuale complessità di forma delle colonne (circolare con scanalature, quadrata, rettangolare, poligonale, ecc.). Per pilastri a sezione quadrata o rettangolare, gli spigoli dovrebbero essere smussati, per evitare concentrazioni di tensione. Un’alternativa, certamente di notevole impatto visivo, è quella di posizionare angolari metallici negli spigoli e saldare ad essi i piatti per realizzare in tal modo una struttura di confinamento; si fa osservare come, adottando questa soluzione, non sia tuttavia possibile applicare una presollecitazione alla cerchiatura. Nel caso in cui colonne e pilastri abbiano forme complesse o sagomate, si può ricorrere ad un altro tipo di cerchiaggio, detto “gonfiato”, che consiste nell’interposizione di un “cuscinetto” di malta espansiva tra l’elemento metallico costituente la cerchiatura e la colonna. Tale accorgimento permette di evitare che si determinino concentrazioni di tensioni che potrebbero danneggiare gli spigoli e le

Figura B.9.2 - cerchiatura “gonfiata”

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irregolarità della colonna stessa (figura B.1.9.2). L’alternativa, in questo caso, può portare a soluzioni distruttive, per eliminare le asperità. Infine, è possibile applicare un particolare tipo di cerchiatura realizzata attraverso dispositivi SMA, cioè a memoria di forma, che garantiscono un’azione esercitata costante nel tempo, indipendentemente dalle variazioni delle sollecitazioni cui l’elemento è sottoposto (termiche, meccaniche, dinamiche). Nei casi di colonne ricoperte da intonaci e/o stucchi il cerchiaggio può essere eseguito con fasce di FRP applicate previa preparazione della superficie con resine epossidiche. Per questa applicazione non è possibile prevedere la precompressione iniziale.

Figura B.9.3 - Cerchiatura con dispositivi SMA Accorgimenti, varianti e limiti Uno dei principali limiti nell’applicazione di questa tecnica di consolidamento è l’effetto prodotto dalle variazioni di temperatura. Quando la temperatura ambiente cresce, l’acciaio delle cerchiature si dilata maggiormente nella colonna in muratura, a causa dei differenti coefficienti di dilatazione, producendo un allentamento delle stesse e vanificando quindi l’azione sulla colonna. Se la temperatura diminuisce si ha, al contrario, una maggiore contrazione delle cerchiature nei confronti della colonna e quindi una maggiore sollecitazione nell’acciaio e nell’elemento strutturale in senso trasversale. Nel caso, quindi, che la colonna da consolidare sia esposta a forti sbalzi termici, è opportuno valutare con attenzione il livello di presollecitazione da attribuire in fase di esecuzione. In alternativa, si possono adottare le più costose, ma efficaci, cerchiature con leghe a memoria di forma.

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SCHEDA B.10 FASCIATURA CON MATERIALI COMPOSITI Principi funzionali di base La tecnica consiste nell’incollare alla struttura, mediante resine epossidiche, delle fasce ad alta resistenza, composte da tessuti di fibre di materiale composito (carbonio, vetroresina) immerso in una matrice polimerica. La tecnologia di tali sistemi compositi, denominati FRP, è indicata per i rinforzi flessionali e di confinamento a compressione per elementi in calcestruzzo, legno e acciaio e per il rinforzo di pannelli e volte murarie. Essa è efficacemente utilizzata da alcuni anni per la conservazione e il recupero delle strutture di interesse storico – artistico in muratura. Le caratteristiche principali del sistema sono la resistenza meccanica e chimica, il peso e lo spessore limitati, la facilità e la duttilità di applicazione nei riguardi dell’adattamento a forme complesse e non perfettamente piane. I compositi, a parità di peso, forniscono prestazioni migliori dell’acciaio, adesione perfetta alle superfici e spessori ridotti che fanno si che l’impatto visivo sia trascurabile. L’intervento, in ogni caso, è completamente reversibile in quanto le fasce sono semplicemente incollate alla superficie e possono essere rimosse in qualsiasi momento mediante un adeguato trattamento termico. Campi di applicazione Il campo di applicazione di questa tecnologia nei riguardi delle strutture in muratura, comprende: − il confinamento degli elementi verticali compressi, − il cerchiaggio di pareti murarie per evitarne il ribaltamento fuori dal piano; − il rinforzo di volte. L’utilizzo di materiali compositi con scopo di cerchiatura o confinamento consente l’efficace incremento sia del carico ultimo sia della duttilità e costituisce, pertanto, una valida alternativa all’utilizzo di cerchiature rigide. L’intervento di fasciatura a base di FRP, può essere utilizzato per il consolidamento di elementi verticali lapidei o in muratura (colonne, pilastri, ecc.), portanti o non portanti, soggetti a degradazioni di vario genere (fessurazioni, distacchi, ecc.). Tale intervento può risultare indicato anche qualora si debba realizzare un consolidamento preventivo (ad es. per un cambio di destinazione d’uso). La cerchiatura degli elementi verticali compressi, secondo i casi e le prescrizioni progettuali, può consistere nella fasciatura completa dei singoli elementi o in una fasciatura disposta secondo piani orizzontali. Un’applicazione particolare consiste nell’eseguire una fasciatura di pilastri in muratura esclusivamente nei giunti di malta, mediante l’utilizzo di un nastro di altezza molto ridotta. Una soluzione di questo tipo, inoltre, interessando una superficie molto ridotta rispetto a quella totale, non è eccessivamente invasiva per il manufatto e consente di mantenere sostanzialmente inalterato il suo aspetto. L’intervento di cerchiaggio con le fibre di composito, pur non aumentando sensibilmente la rigidezza fuori dal piano delle murature, ha lo scopo di collegare efficacemente le murature ortogonali,“chiudendo” la scatola muraria. La tecnica consente di migliorare la risposta globale dell’edificio, conferendo, inoltre, una maggiore duttilità al sistema. La fasciatura con FRP può essere utilizzata anche per contrastare il collasso della parte alta dei cantonali prodotto dalla spinta dei puntoni dei tetti a padiglione. In questi casi, si osserva la rotazione di un cuneo delimitato da superfici di frattura che assumono inclinazioni diverse in relazione alla qualità del materiale e alla presenza di aperture. Per rendere efficace l’intervento, le fibre, devono essere prolungate oltre la linea di frattura fino a raggiungere una zona di muratura non interessata dal meccanismo utilizzando piastre di ancoraggio vincolate alla muratura. Le fibre in materiale composito possono, inoltre, essere utilizzate come intervento nei dissesti che interessano archi e volte, applicate sull’intera superficie o in corrispondenza dei punti critici che si evidenziano attraverso il rilievo o la previsione del quadro fessurativo associato al meccanismo di collasso esaminato. In tali elementi strutturali, le fibre posizionate all’intradosso, manifestano una limitata efficacia garantita solo dall’aderenza tra lo strato di resina e la superficie dell’elemento; si vengono a creare degli sforzi di trazione perpendicolari alle fibre (tiro a vuoto). Se l’applicazione viene effettuata all’estradosso, la tensione di trazione nelle fibre, provoca invece una tensione di compressione sulla volta. Per questo motivo si consiglia l’applicazione delle fibre all’estradosso degli archi e delle volte. Sulle volte a crociera i nastri di materiale composito possono essere posizionati all’estradosso degli archi di imposta della volta e eventualmente anche sulle nervature diagonali. In alcuni casi il semplice intervento di placcaggio con fibre, pur essendo poco invasivo e facilmente removibile, può essere tuttavia di scarsa efficacia. La fasciatura con fibre può quindi essere associata alla costruzione di un arco di rinforzo all’estradosso dell’esistente, posizionando le fibre tra la volta e il nuovo arco di rinforzo. La presenza dell’arco, oltre ad aumentare lo spessore in chiave, ha lo scopo di confinare la fibra obbligandola ad aderire all’estradosso della volta. Soluzioni analoghe ma relative all’applicazione intradossale, sono poco praticabili su edifici monumentali. L’intervento con le fibre sulle volte può essere associato alla sostituzione del rinfianco con frenelli di laterizio che, diminuiscono il peso gravante sulla volta. Se all’intervento con i frenelli si aggiungono le fibre di composito con un sistema di ancoraggio, si limitano le possibilità di attivazioni dei meccanismi di collasso più probabili. Applicazione della tecnica Il sistema applicativo varia in funzione delle caratteristiche generali degli elementi interessati e dal loro stato di conservazione. Generalmente, le diverse fasi consistono nell’applicazione: − di un primer; − di un resina adesiva; − delle fibre (in nastri, tessuti, barre). Deve, inoltre, essere prevista una protezione o un trattamento finale dei vari strati. Esistono diverse tipologie,

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grammature e dimensioni di nastri e tessuti di fibre di materiale composito (carbonio, vetroresina). L’orientamento delle fibre può essere di tipo unidirezionale, bidirezionale e di tipo quadriassiale. Per il confinamento a compressione mediante fasce disposte secondo piani orizzontali si possono utilizzare nastri di tipo unidirezionale, mentre per un aumento della resistenza a flessione vanno utilizzati i tessuti bidirezionali. Prima di procedere all’applicazione delle fibre è necessario preparare le superfici, previa indagine preliminare e tracciatura delle aree da trattare. Le irregolarità superficiali e gli spigoli vivi possono comportare fenomeni di distacco e di esfoliazione al momento dell’adesione delle fibre di carbonio, pertanto nella zona di incollatura le asperità rilevanti devono essere regolarizzate, così come devono essere stuccate tutte le cavità e fessurazioni. Per i pilastri quadrati o rettangolari, ad esempio, è necessario procedere all’arrotondamento degli angoli, con un raggio di curvatura che dipende dalla tipologia di materiale che si intende utilizzare (in ogni caso > 1 cm). La superficie deve essere priva di parti friabili o con scarsa coesione al sottofondo. Nei casi in cui è presente l’intonaco, questo deve essere rimosso sino al raggiungimento della superficie muraria. Preparata la superficie, si procede all’applicazione del primer a rullo o a pennello, nella quantità idonea all’assorbimento del supporto che varia in ragione della porosità e della scabrezza della superficie. Nei casi in cui la superficie presenta irregolarità residue, si procede alla rasatura superficiale. Dopo l’applicazione dello strato di primer si può procedere all’applicazione del primo strato di adesivo epossidico, applicato uniformemente mediante un rullo o un pennello. Anche in questo caso, la quantità da applicare può variare in funzione della scabrezza superficiale del supporto. Infine si applica lo strato di rinforzo vero e proprio costituito dalle fibre di carbonio. I tessuti e i nastri sono ricoperti su di un lato da una pellicola protettiva: essi vanno applicati dal lato della fibra scoperta sullo strato di resina mentre sul lato della pellicola si esercita una leggera pressione in modo da far aderire le fibre alla struttura; dopo tale operazione si toglie la carta protettiva e si fa scorrere un rullo lungo la direzione delle fibre per favorire l’impregnazione della resina, evitando la formazione di bolle d’aria. Dopo questa fase il tessuto deve presentarsi ben disteso e ben ancorato per assicurare una corretta trasmissione degli sforzi. Nella direzione longitudinale le strisce devono sovrapporsi per una ventina di centimetri, mentre trasversalmente, nei casi in cui è prevista, è sufficiente una sovrapposizione più ridotta. In corrispondenza delle sovrapposizioni di tessuto si applica un’ulteriore mano di resina sulla superficie esterna. Dopo aver atteso il tempo necessario di presa (generalmente 1 ora), si procede all’applicazione del secondo strato di resina secondo le stesse modalità precedentemente descritte. Nel caso di superfici esposte direttamente ai raggi U.V. le fibre devono essere protette da un’idonea pellicola. Quando è prevista l’esecuzione di un intonaco di finitura, come nel caso della fasciatura completa degli elementi, prima che il secondo strato di resina sia del tutto asciutto, si provvede allo spolvero con sabbia di quarzo per consentire l’aggrappaggio del rinzaffo dell’intonaco o della malta. Esempio applicativo : Consolidamento di volte in mattoni con nastri di tessuto unidirezionale e bidirezionale in fibra di carbonio (in presenza di affreschi all’intradosso). Il rinforzo strutturale tramite fasciature all’estradosso seguirà le seguenti fasi di lavorazione: − Stuccatura accurata di eventuali lesioni o microlesioni all’intradosso della volta da effettuare con idonee malte e

successivo puntellamento delle strutture oggetto dell’intervento. Pulizia dell’estradosso, con eliminazione totale di parti inconsistenti e di qualsiasi materiale che possa pregiudicare il buon aggrappo delle lavorazioni seguenti.

− Eliminazione totale della polvere dall’intera superficie da trattare da effettuare con aspirapolvere. Nel caso in cui la superficie di applicazione del rinforzo si presenti molto irregolare, si provvederà a regolarizzarla con opportune malte idrauliche.

− Consolidamento di eventuali fessurazioni mediante intasamento con resina epossidica fluida a due componenti esente da solventi e che non presenti ritiri all’atto dell’indurimento. Se le lesioni superano i 4 mm si provvederà a miscelare la resina epossidica nelle giuste proporzioni con sabbia di quarzo di opportuna granulometria. La resina epossidica sarà preparata ed applicata seguendo le indicazioni della Casa Produttrice.

− Successiva stesura a spatola di adesivo epossidico tixotripico a due componenti esente da solventi con un consumo minimo di 4 kg/mq. Il prodotto avrà la funzione di livellare la superficie da rinforzare e di realizzare uno strato adesivo per la successiva applicazione del rinforzo.

− Sull’adesivo epossidico ancora fresco verrà effettuato uno spolvero di quarzo in granulometria fine per rendere la superficie idonea per l’ancoraggio del successivo strato di malta. L’adesivo epossidico tixotropico sarà preparato ed applicato seguendo scrupolosamente le indicazioni riportate nelle schede tecniche fornite dalla casa produttrice.

− Applicazione a fresco di tessuto di armatura unidirezionale o bidirezionale in fibra. Il tessuto dovrà essere steso con rullo o spatola nella direzione di progetto ed incorporato nella massa resinosa facendo attenzione alla formazione di bolle d’aria.

Accorgimenti, varianti e limiti Le prestazioni finali del sistema dipendono strettamente dalla corretta progettazione e dalla accuratezza con cui sono eseguite le diverse operazioni. In generale, vanno valutate attentamente le condizioni ambientali d’intervento, in particolare nel corso della stagione invernale e in presenza di forte umidità. In caso di applicazione all’aperto, gli elementi interessati devono essere protetti dagli agenti atmosferici (pioggia, polvere), con teli o altri tipi di barriere, sia durante le diverse fasi di lavoro che dopo aver completato il ciclo applicativo. La protezione delle fibre è ottenibile, a lavorazione finita, anche mediante uno strato di intonaco. Dal punto di vista dell’invasività, l’intervento è in ogni caso completamente reversibile in quanto le fasce sono

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semplicemente incollate alla superficie e possono essere rimosse in qualsiasi momento mediante un adeguato trattamento termico. Questo rende compatibile l’intervento con le esigenze di recupero conservativo. Un limite è costituito dalla necessità di dover smussare gli angoli in presenza di spigoli vivi. Il cerchiaggio con fibre può trovare impiego anche nelle situazioni in cui il perimetro dell’edificio non sia convesso. In tali casi si possono posizionare dei tiranti negli spigoli interni per trattenere la fasciatura. Se la fasciatura con fibre viene utilizzata per contrastare il collasso della parte alta dei cantonali, è necessario curare la zona terminale delle fibre risvoltandole, se possibile, attorno a nicchie ricavate sullo spessore murario, oppure utilizzando piastre di ancoraggio, vincolate alla muratura. Particolare cura deve essere riservata anche all’ancoraggio delle fibre nel consolidamento di volte. Nelle volte a crociera, le fibre, possono essere ancorate ai quattro angoli della volta in un getto di malta cementizia, predisposto ad ospitare una barra di ancoraggio che verrà inserita diagonalmente in un opportuno preforo.

Figura B.10.1 - Esempi applicativi: Consolidamento volta a crociera con nastri in FRP e frenelli

Figura B.10.2 – Schematizzazione applicazione di FRP Figura B.10.3 – Ancoraggio dei nastri in FRP all’imposta di una volta

Figura B.10.4 - Frenelli armati con nastri di FRP Figura B.10.5 - Baggiolo in betoncino epossidico per ancoraggio nastro in FRP

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Figura B.10.5 - Disposizione nastri di FRP all’estradosso di volte

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SCHEDA B.11 CORDOLO DI SOMMITÀ Principi funzionali di base La tecnica consiste nella realizzazione nella sommità dell’edificio, lungo il perimetro delle pareti, di un elemento strutturale con funzione di cordolo di coronamento che può essere realizzato, in muratura armata, attraverso un cordolo reticolare piano metallico, in materiale composito, o in cemento armato. Le funzioni del cordolo sono quelle: − di realizzare un collegamento continuo tra la struttura della copertura e i muri su cui questa insiste; − di realizzare un’azione di contenimento delle spinte delle travi dei tetti sulle murature; − di distribuire i carichi verticali in condizioni statiche; − di collegare le murature ortogonali; − di favorire il comportamento scatolare realizzando un collegamento tra le pareti murarie. Inoltre, è un intervento consigliabile poiché se integrato con un’idonea controventatura delle falde, assicura una buona trasmissione di tutte le spinte orizzontali agli elementi di muratura resistenti. Campi di applicazione La vulnerabilità sismica degli edifici storici è significativamente condizionata dalla tipologia e dalla qualità delle connessioni tra i componenti dell’organismo edilizio stesso. Per limitare tale fonte di vulnerabilità è quindi possibile realizzare dei cordoli in sommità dell’opera. Questo intervento è quasi sempre attuabile e può essere utilizzato per contrastare l’azione di ribaltamento di pareti fuori dal loro piano, per contrastare meccanismi di danno riguardanti elementi di copertura e per creare un buon collegamento tra le pareti murarie dell’edificio favorendo il comportamento scatolare dell’edificio. Applicazione della tecnica I cordoli possono essere realizzati: − in muratura armata con acciaio; − in muratura armata con FRP − in acciaio; − con fasce di FRP; − in cemento armato; Le tipologie in c.a. e muratura armata oltre a fornire un confinamento delle spinte della copertura, svolgono anche un’azione di ripartizione dei carichi sui pannelli murari mentre i cordoli in acciaio e con fasce in FRP hanno il solo scopo di ridurre le spinte del tetto e collegare le murature verticali. Di seguito sono indicate le fasi operative per la realizzazione dell’intervento con cordoli: − Scelte prioritarie: occorre stabilire se eseguire il cordolo per cantieri alternati (puntellando brevi tratti della

copertura) oppure in un’unica fase per ciascuna falda (puntellando l’intera falda). Inoltre, occorre valutare se e come demolire la muratura esistente. Entrambe le scelte sono funzione delle caratteristiche proprie del sistema costruttivo e del complesso di interventi che riguardano la copertura.

− Opere di puntellatura: variano in relazione alle scelte del punto precedente. Quando è possibile avere un sicuro e agevole appoggio conviene eseguire il cordolo in un’unica fase per tutta la falda.

− Esecuzione del cordolo e ancoraggio della struttura. Cordolo in cemento armato. Nella pratica spesso, come suggerito anche dalla precedente normativa, sono state previste cordolature di larghezza “pari a quella della muratura sottostante con una riduzione di larghezza fino a 6 cm per l’arretramento del filo esterno pari allo spessore della muratura” e altezza pari e/ o superiore allo spessore della muratura. In molti casi tale tecnica non è apparsa efficace come evidenziato dai dissesti rilevati dopo i recenti eventi sismici. Il cordolo in cemento armato consigliato deve essere eseguito per un’altezza non superiore al minore tra lo spessore della muratura e 40 cm, e deve essere eseguito per tutta la larghezza della muratura; in un’unica fase per tutta la falda o per cantieri alternati. Prima del getto devono essere posizionati gli elementi metallici di collegamento cordolo - struttura del coperto. Può essere realizzato con o senza lo smontaggio della copertura. Collegamenti: - Se si conserva il dormiente, esso viene collegato al cordolo a mezzo di barra d’acciaio filettata ad un’estremità e imbullonata (un collegamento ogni 50 cm. circa). I travicelli o puntoni saranno quindi collegati al cordolo con chiodatura o fasce metalliche se necessario. – Senza ricorrere ad un elemento di legno con funzione di dormiente è possibile utilizzare un cuneo per l’appoggio dei travicelli o puntoni, realizzando un collegamento con il cordolo per mezzo di due zanche di ferro piatto. – Quando possibile si può realizzare un cordolo col bordo superiore inclinato come la falda. In questo caso i travicelli o puntoni vengono fissati con zanche annegate nel getto o con cuffie in acciaio. Il cordolo deve continuare anche a coronamento della muratura del timpano, con la stessa altezza e per tutta la larghezza del muro. In questo caso si provvederà a collegare con esso la trave di colmo, a mezzo di una staffa metallica annegata nel cordolo. L’armatura del cordolo in c.a. di solito è costituita da quattro barre in acciaio e da altre barre disposte lungo il lato maggiore in base alla larghezza della parete con una staffatura chiusa (sezione minima 6 mm) con interasse pari almeno

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allo spessore del cordolo. Per un migliore collegamento del cordolo alla muratura sottostante possono essere realizzate degli ancoraggi con barre in acciaio debolmente iniettate di malta a base di calce.

Cordolo in acciaio. Può essere realizzato con o senza lo smontaggio della copertura. In presenza di murature con apprezzabili curvature orizzontali e molto irregolari bisogna sagomare il profilato e livellare l’area d’appoggio. Diverse sono le tipologie dei cordoli in acciaio. Una tipologia frequente è quella di posizionare nella sommità delle pareti lungo il perimetro dell’edificio un profilo di acciaio (C, L…) collegato negli spigoli ed eventualmente ancorato alla muratura sottostante con barre in acciaio debolmente iniettate con resine o malte espansive. Altra soluzione possibile è quella di realizzare il collegamento all’interno mediante l’applicazione sul sottotetto, in aderenza alla muratura o sul lato interno della muratura, di un profilo a L o a C collegato alla muratura con ancoraggi meccanici o chimici a sua volta collegato alle strutture di copertura. Il cordolo può essere realizzato anche da un traliccio costituito da profili piatti in acciaio saldati a una trave reticolare e poggiati di piatto sulla sommità delle pareti perimetrali. Il traliccio può essere ancorato alla muratura sottostante con barre in acciaio iniettate con resine o malte espansive ed infine ricoperto da un sottile strato di malta. Anche in questo caso il traliccio può essere collegato alle strutture di copertura con saldature o cuffie metalliche. Al cordolo in acciaio possono essere accoppiati dei tiranti disposti in senso trasversale costituiti da barre in acciaio ancorati sulle murature con capochiave a paletto, a bolzone o a piastra.

Cordolo in muratura armata con barre in acciaio da c.a. Tale cordolo si realizza bene nei tratti in piano mentre è di più difficile esecuzione nei tratti in pendenza dei timpani. Per la realizzazione occorre smontare la copertura ed eventualmente rimuovere, quando possibile, la parte sommitale della muratura. Si realizzano due paramenti di mattoni pieni ad incatenamento regolare con interposto un traliccio costituito da un’armatura costituita da barre di adeguata sezione (14-16mm) e staffe (almeno 6 mm di sezione) ad interasse non minore di 15 cm. Il collegamento tra i due paramenti è integrato da armature e mattoni disposti in senso trasversale; i mattoni vengono allettati con malta cementizia limitando il getto alla copertura delle armature. Al cordolo possono essere collegati gli sporti di gronda, gli zampini e le travature di copertura.

Cordolo in muratura armato con materiale composito (travi in laterizio pieno lamellare) 1 La prima fase esecutiva riguarda la preparazione della superficie di appoggio degli interventi in laterizio con malta di allettamento per regolarizzare la superficie sulla quale si stende il primo strato di fibre di vetro e il primo livello di elementi in laterizio. I conci sono disposti in modo tale da evitare la sovrapposizione in verticale dei giunti di resina. Si procede quindi a disporre gli ulteriori strati di nastri in fibra di vetro incollati tramite resina epossidica, e con l’utilizzo aggiuntivo di stucco epossidico per aiutare il coronamento degli eventuali vuoti o giunti tra elementi contigui. Terminata la stesura dei tre strati di materiale si passa alla solidarizzazione del cordolo con la muratura sottostante. Tale collegamento viene realizzato praticando delle perforazioni armate, per una profondità sufficiente a garantire l’ancoraggio dell’elemento, con funzioni di connessione tra gli elementi in laterizio e la muratura sottostante. I fori sono realizzati “a quinconce” e all’interno di questi si inseriscono barre in fibra di vetro. Si richiude, quindi, il foro colando la quantità necessaria di resina all’interno del foro.

Cordolo in legno lamellare Il cordolo può essere realizzato allo stesso modo del cordolo in acciaio disponendo lungo la sommità delle pareti perimetrali una trave in legno lamellare di sezione rettangolare (max 30 cm x 15 cm ) poggiata con il lato lungo e collegata con ancoraggi in acciaio iniettati con malte espansive o resine. Accorgimenti, varianti e limiti Le funzioni svolte dai cordoli sono d’estrema importanza ai fini del comportamento strutturale dell’edificio; essi, infatti:− limitano le spinte della copertura; − ripartiscono i carichi sulla muratura in condizioni statiche; − ripartiscono le spinte orizzontali indotte dal sisma; − favoriscono il comportamento scatolare dell’edificio. Tutti questi obiettivi però non sono raggiungibili insieme, se non con interventi che possono stravolgere le strutture murarie, con grave pregiudizio per la conservazione e, se mal eseguiti, anche per la sicurezza dell’edificio. Nella pratica sono state spesso realizzate cordolature in c.a., a volte abbinate a piani rigidi, realizzate con coperture in latero-cemento. Tale metodo non è risultato efficace portando in molti casi al crollo della parte sommitale delle murature. Questo può essere spiegato osservando che il cordolo sommitale rigido in c.a., essendo molto meno deformabile della muratura su cui si appoggia, scarica le sollecitazioni verticali solo in alcuni punti del pannello spesso

1 A. Borri, A. Grazini, e A. Giannantoni , “Cordoli di sommità realizzati con “laterizio lamellare” in FRP”, Atti del XI Congresso Nazionale “L’ingegneria Sismica in Italia”, Genova, 2004.

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localizzati nei cantonali. L’effetto stabilizzante dei carichi verticali non si esercita in modo continuo così che porzioni di muratura, non trattenute e caricate, sotto un’azione sismica ortogonale tendono a ribaltare. Nel caso di eccessivo irrigidimento della sommità delle pareti con cordoli in c.a, prossimi al piano di imposta delle volte, spesso si è rilevato un danneggiamento localizzato all’imposta che in alcuni casi ha provocato anche il crollo della stessa volta. Le cause di tale danneggiamento sono da attribuire al richiamo di azione sismica provocato dall’aumento di rigidezza in sommità e all’aumento della differenza di deformabilità dovuta alla presenza del cordolo molto rigido. La maggiore rigidezza, infatti, provoca un aumento di azione sismica con incremento dello spostamento globale e un aumento della differenza di deformabilità tra volta e parete. Se si realizzano quindi cordoli in cemento armato bisogna porre particolare attenzione alle dimensioni e alla rigidezza di tali elementi in rapporto alle caratteristiche della muratura sottostante. In generale si possono definire rigidi i cordoli di altezza maggiore di 40 cm. Una possibile alternativa è quella di realizzare cordoli in muratura armata o in acciaio che pur avendo le stesse funzionalità di quelli in c.a non alterano in maniera significativa il funzionamento globale della fabbrica storica in muratura. Il cordolo-catena in acciaio, è una sorta di tirante che, abbinato ad un profilo metallico, consente di assorbire le spinte orizzontali delle coperture. Quest’ultimo intervento si può prevedere con o senza lo smontaggio della copertura e può essere realizzato sia per la singola parete, sia per tutto il perimetro realizzando un vero e proprio cerchiaggio. Il cordolo in acciaio non ridistribuisce le spinte del tetto sui setti murari che quindi continuano a ricevere gli stessi carichi, non alterando pertanto in maniera negativa i meccanismi resistenti dell’edificio. Tale intervento è reversibile ma, negli edifici non intonacati, ha un elevato impatto visivo e richiede una manutenzione minima (trattamento antiruggine) se non coperto da intonaco. La tipologia in muratura armata richiede il rifacimento della porzione ultima di parete per realizzare un cordolo murario armato. E’ una soluzione già ampiamente sperimentata che si può adattare a molteplici situazioni strutturali e a varie tipologie di muratura. Esso ha una buona deformabilità verticale che gli consente di scaricare i pesi sulle murature sottostanti evitando gli effetti sui cantonali provocati da cordoli troppo rigidi. Può essere realizzato sia in laterizio sia in pietra consentendo quindi il rispetto dell’estetica dell’edificio. L’intervento non crea problemi di ponte termico.

Figura B.11.1 – Esempio di cordolo in muratura armata

Figura B.11.2 – Esempio di cordolo in muratura ligneo

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Figura B.11.3 – Alcuni esempi di cordolature in sommità della muratura

Figura B.11.4 – Particolari costruttivi dei cordoli in laterizio lamellare con FRP

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SCHEDA B.12 INSERIMENTO DI CATENE Principi funzionali di base Le catene sono elementi costitutivi tradizionalmente impiegati con funzioni strutturali di collegamento, contenimento e ritegno e sono quindi sottoposte a sforzo di trazione. Nel campo del restauro esse sono utilizzate principalmente per: − contrastare l’azione di ribaltamento di pareti fuori dal loro piano (azione di ritegno), − per assorbire spinte anomale (azione di contenimento) − per conferire all’edificio un comportamento scatolare funzionando da collegamento tra le varie parti (azione di

collegamento). Campi di applicazione Le strutture in muratura, e specialmente gli edifici monumentali, risultano altamente vulnerabili nei confronti di un’azione sismica in quanto presentano spesso un comportamento non scatolare. Per limitare questa fonte di vulnerabilità e conferire alla struttura un adeguato stato di collegamento tra le pareti ortogonali, si può ricorrere all’antica tradizione costruttiva dell’inserimento di catene orizzontali, le quali sono chiamate a svolgere contemporaneamente un’azione di collegamento e di ritegno. La posizione delle catene è pressoché obbligata; esse potranno essere inserite all’altezza della quota dei solai intermedi o entro le strutture lignee dei tetti. Nel caso si operi su una chiesa le catene possono essere inserite in controfacciata, posizionate in adiacenza alla muratura all’altezza del fregio, per limitare i meccanismi di taglio nel piano, o in senso longitudinale aventi lo scopo di evitare il ribaltamento della stessa fuori dal proprio piano. Le catene hanno comune e diffuso impiego soprattutto nelle strutture arcuate e voltate spingenti, ove generalmente sono poste in opera alle reni degli elementi, ossia nella posizione staticamente più corretta ed efficace. Le catene per il basso costo, la facilità d’impiego e la elevata efficacia vengono utilizzati usualmente anche per la messa in sicurezza dei monumenti nei casi di danno modesto. Applicazione della tecnica e fasi operative Le catene annegate o affiancate alle murature o poste a contrasto delle spinte laterali di archi e volte erano tradizionalmente realizzate in ferro forgiato e sono attualmente prodotte in acciaio, o in altre leghe inossidabili. Le catene sono bloccate, nella posizione prevista, con elementi detti bolzoni o paletti capochiave che, ancorano l’estremità dell’elemento alle murature, impedendone lo sfilamento per contrasto. I capochiavi utilizzabili possono essere di diverso tipo. Nel caso in cui siano metallici possono essere a paletto o a piastra. La soluzione di bolzoni metallici, si integra perfettamente con gli interventi storici presenti nella maggior parte dell’edilizia tradizionale in pietra o in laterizio. La scelta tra le due tipologie (a paletto o a piastra) dipende essenzialmente dalla qualità della muratura: nel caso in cui questa sia composta da elementi di piccole dimensioni la diffusione dello sforzo di contrasto esercitato sulla muratura non può essere affidato alla sola dimensione del bolzone. In tal caso risulta quindi maggiormente conveniente utilizzare la tipologia a piastra. Se invece, la muratura è costituita da elementi di dimensioni maggiori il solo bolzone a paletto, posizionato inclinato rispetto alla verticale, in modo da interessare il maggior numero di elementi, riesce a diffondere lo stato tensionale su un’area sufficientemente vasta grazie alla dimensione stessa degli elementi. L’estremità delle catene è appositamente preparata per realizzare la loro connessione con gli elementi di ancoraggio. Tradizionalmente tale collegamento era garantito da bolzoni a paletto inseriti nelle asole terminali degli elementi. Attualmente la stessa funzione viene assolta da porzioni di profilati metallici generalmente a C o da piastre, eventualmente nervati per aumentare resistenza e rigidezza, dotate di fori filettati, entro i quali s’inserisce la testa del tirante successivamente bloccata, ad esempio, da un dado. I capochiavi metallici potranno restare a vista o venire ricoperti con intonaco, evitando tuttavia di incassarli all’interno del paramento per non indebolire il muro i corrispondenza dell’ancoraggio della catena. Nel caso in cui la catena supera la lunghezza dei 10 metri, (sia per motivazioni strutturali che di facilità di messa in opera), la catena dovrà essere costituita da più pezzi, opportunamente collegati tra loro. Le unioni possono essere realizzate tramite elementi tenditori in grado di “mettere in tiro la catena”. Particolare attenzione dovrà essere posta nell’individuazione dei punti in cui inserire gli organi di bloccaggio, in modo da garantire la corretta e stabile posizione e l’effettivo funzionamento della catena. Il dispositivo può, infatti, esercitare la sua azione solo se la sua estremità opposta a quella connessa alla struttura instabile è ancorata ad elementi, strutture o organi di bloccaggio stabili e fermi. Al fine di progettare in modo corretto gli organi di ancoraggio sarà inoltre necessario eseguire un’analisi dei materiali che costituiscono l’edificio; nel caso in cui si operi su pareti in muratura di qualità scadente può risultare necessario consolidare con iniezioni di malta una porzione di muro intorno al capochiave per un diamentro non inferiore a una volta e mezzo lo spessore, in modo da limitare gli effetti di punzonamento. Per la realizzazione delle perforazioni in cui andranno inseriti gli elementi di rinforzo è consigliabile utilizzare procedure e strumenti che evitino di sollecitare le strutture e di indurre nuovi danni come avverrebbe con strumenti a percussione. In questa fase occorre realizzare, anche eventuali dispositivi di protezione degli elementi di rinforzo inserendo, ad esempio, nei fori di passaggio delle catene, guaine o rivestimenti che li isolano dai materiali attraversati, prevenendo eventuali danni futuri. Può essere previsto un eventuale pre-tensionamento della catena che può essere realizzato mediante tenditori intermedi, o esercitando un opportuno serraggio con eventuali dispositivi filettati o, ancora, agendo su cunei, zeppe, biette o altri organi in grado di indurre nell’elemento la presollecitazione richiesta. Una volta posto in opera la catena e l’elemento di bloccaggio è necessario procedere alla sigillatura di essi con le parti

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del manufatto in cui sono inseriti. La sigillatura dovrebbe in ogni caso garantire la successiva ispezionabilità e ritesaggio dell’elemento. Parti componenti: a) organi di ritegno o capochiave del tipo: − piastre circolari, ellittiche o quadrate solitamente nervate radialmente in modo da aumentare la rigidezza

flessionale. Il diametro od il lato è solitamente variabile tra 30 e 50 cm; − paletti, che dovrebbero essere posizionati inclinati a 45° rispetto all’orizzontale in modo che il semipaletto inferiore

agisca sul muro ortogonale. La lunghezza del paletto varia da 80 a 120 cm, misure inferiori possono comportare tensioni unitarie di contatto paletto-muro molto elevate. Eccessive lunghezze possono favorire gli effetti flessionali e, pertanto, lo spessore del paletto deve essere proporzionato alla lunghezza.

b) giunti di connessione: vengono adottati quando non sono disponibili barre di lunghezza particolare e possono essere del tipo a forchetta con spinotto, a manicotto a vite, a gabbia; c) giunti di tensione del tipo a gabbia e a manicotto, a dado e vite impiegato per tiranti con organi di ritegno a piastra. d) tiranti: possono essere realizzati da normali barre in acciaio per armatura, con profilati piatti o quadri, con trefoli in acciaio armonico. Posa in opera: Le catene più efficaci sono quelle poste non in asse con la muratura, libere di scorrere, disposte su una o due facce della muratura. Le catene con estremità filettate sono fissate alla piastra o bolzoni tramite dadi, in modo che il controllo dello stato di tensione della barra, eseguito con chiavi dinamometriche, consenta la stessa messa in tensione nel tirante; dopo tale operazione è necessario porre un controdado in modo da evitare possibili allentamenti della bullonatura; la saldatura del dado alla piastra o al bolzone è sconsigliabile in quanto impedisce possibili ritesature della catena (nel caso non siano presenti tenditori intermedi). In passato il tirante veniva riscaldato e bloccato alle estremità dal capochiave; la contrazione del medesimo per effetto del raffreddamento veniva impedita dalla presenza di strutture murarie e ciò lo poneva in trazione, esercitando sulla muratura azioni orizzontali di contrasto a quelle deformati. Posizionamento: Catena in controfacciata libera di scorrere: posizionata in aderenza alla muratura, all’interno della parete e lasciata libera di scorrere per eventuali successivi ritensionamenti. Generalmente è posizionata sopra al portale e all’eventuale rosone. Ai lati viene bloccata tramite piastre o paletti inclinati. Catena longitudinale: vengono posizionate una o più catene per lato della facciata ad una quota compresa tra 1/2 dell’altezza e la quota di sommità della parete laterale; le catene sono disposte all’interno della chiesa in aderenza alle pareti laterali ancorate in facciata e sul lato opposto della chiesa o in una colonna o parasta con un organo di ritegno. Le catene longitudinali di solito possono essere nascoste dalle cornici longitudinali, al di sotto delle imposte delle volte. Catene negli arconi e nelle volte: per contrastare le spinte degli arconi e delle volte vengono posizionate catene in prossimità delle reni. Nel caso delle volte a botte si metteranno in opera più catene trasversali, distanziate in proporzione allo spessore dei muri che sostengono la volta. Le catene possono essere disposte anche in posizione estradossale al disopra della chiave dell’arco, in modo da non essere visibili dall’interno della chiesa. In questo caso la catena viene sistemata alla quota dell’estradosso e risulta molto meno efficace del caso precedente. Catene in copertura: in copertura le catene integrano le strutture con funzione di controventatura. Accorgimenti, varianti, limiti Le catene e gli organi di bloccaggio metallici inclusi nella muratura sono soggetti alla corrosione per effetto dell’umidità in essa contenuta e possono quindi andare incontro a diminuzione della sezione resistente e, nei casi limite, alla totale scomparsa. La riduzione della sezione causa l’indebolimento dei tiranti e conseguentemente, la perdita delle loro funzioni statiche. In tali casi, l’intervento di consolidamento può prevedere la sostituzione delle catene degradate, oppure l’inserimento, a fianco di esse, di nuovi elementi. La corrosione delle catene può inoltre provocare ingenti danni nelle murature, poiché il conseguente aumento del loro volume può determinare tensioni che superano la resistenza dei manufatti in cui sono inseriti e determinare lesioni, rotture e spaccature. I tiranti liberi, come quelli inseriti all’intradosso delle volte, sono invece soggetti a corrosione soprattutto per l’azione dell’umidità ambientale e risultano inoltre esposti a rischi d’incendio o ad altri urti e indebite sollecitazioni indotte da carichi aggiuntivi non previsti all’atto della progettazione e del dimensionamento. Particolare attenzione va posta nel dimensionamento dell’elemento di ancoraggio in quanto, ad esempio, un paletto capochiave di tipo tradizionale, troppo esile oppure di lunghezza troppo esigua, può cedere e deformarsi o spezzarsi, sotto l’azione del carico concentrato che gli trasmette la catena. E’ necessario però anche verificare che l’elemento di contrasto trasmetta alla parete un carico di compressione che non determini il punzonamento della muratura. Gli elementi di contrasto devono essere posizionati non eccessivamente vicini agli spigoli della costruzione, alle sue aperture o a discontinuità e punti deboli di varia natura. In alcuni casi, i problemi possono derivare dall’eventuale eccesso di presollecitazione indotta nei tiranti, all’atto della posa in opera, o dall’aumento delle sollecitazioni di esercizio provocate da variazioni delle condizioni di carico gravanti sulle parti connesse o da mutamenti dei loro assetti geometrici. Ciò può provocare il punzonamento della muratura in corrispondenza dei punti di ancoraggio e di bloccaggio della catena, il ribaltamento di alcune porzioni dei manufatti connessi al tirante o lo snervamento di quest’ultimo per superamento delle capacità di resistenza. Ultimo delicato aspetto riguarda il rischio di allentamento o di apertura degli organi o dei dispositivi di bloccaggio e di ancoraggio, poichè ciò provocherebbe, indipendentemente da ogni altro fenomeno, la perdita di efficacia del tirante. Occorre infine

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che tali dispositivi siano progettati e posti in opera in modo da consentire una periodica ispezione e manutenzione.

Figura B.12.1 – Schematizzazione dell’ancoraggio con paletto o bolzone

Figura B.12.2 – Schematizzazione dell’ancoraggio con piastra nervata

Figura B.12.2 Esempio di catene in FRP

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SCHEDA B.13 COLLEGAMENTO DEI TERZERI CON LA MURATURA DEL TIMPANO Principi funzionali di base L’esigenza di conferire un comportamento scatolare alle strutture in muratura rende necessario eliminare possibili azioni di martellamento degli elementi della copertura sulla muratura del timpano. La tecnica, per le costruzioni esistenti, si basa sul collegamento delle membrature principali delle unità di orizzontamento (travi principali dei solai, travi di colmo o terzeri del tetto) con le pareti portanti dell’edificio. Campi di applicazione Quest’intervento assicura il corretto collegamento tra l’orditura lignea della copertura e la muratura del timpano favorendo il comportamento scatolare dell’edificio. La tecnica è di impiego universale e, risulta di facile e immediata realizzazione nelle costruzioni storiche in muratura. Applicazione della tecnica e fasi operative Il collegamento tra l’orditura lignea e la muratura può essere realizzato tramite bandelloni (o sogofese) di metallo (ferri piatti), oppure, più raramente, di legno, chiodati o avvitati alle membrature principali della copertura e inseriti nella muratura del timpano alla quale sono fissati per mezzo di bolzoni capochiave o di altri organi simili. I bandelloni (o sogofese) possono essere applicati al bordo inferiore delle travi, ma, più opportunamente, alle facce. La testa della trave può essere irrobustita con l’applicazione di una staffa metallica. Ai bandelloni della tradizione costruttiva si tende oggi a sostituire piatti o barre metalliche ancorate alla muratura, oppure lamine in fibre di carbonio, fissate per incollaggio, che occupano uno spessore molto limitato. Collegamento delle travi di terzere con cuffie in acciaio alla muratura del timpano Nel caso in cui le travi di terzere risultano poggiate nella muratura del timpano, esse possono esercitare una azione di martellamento sulla muratura stessa che può portare al collasso parziale della struttura. Il collegamento al timpano stesso può essere effettuato in modi diversi, di cui alcuni sono di seguito illustrati: − collegamento delle travi di terzere al timpano con due cuffie a C in lamiera sovrapposte alla trave e collegate alle

travi con bulloni passanti e alla parete con tasselli meccanici o chimici che possono arrivare fino all’esterno ed eventualmente ancorate con piastre metalliche.

− montaggio in aderenza alla parete del timpano di una trave reticolare realizzata con profili a C o angolari alla quale vengono collegate le travi di terzere. La trave reticolare, poggiata sulle pareti laterali, è collegata al timpano con tasselli meccanici o chimici e/o piastre all’esterno e controventata con tiranti metallici al cordolo perimetrale.

Accorgimenti, varianti e limiti E’ sempre necessario dotare di organi di regolazione gli elementi di collegamento. E’, inoltre, necessario realizzare i nodi di collegamento con la muratura in modo che abbiano invasività minima evitando brecce o squarci di dimensioni considerevoli nelle pareti murarie.

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SCHEDA B.14 IRRIGIDIMENTO DELLA FALDA DELLA COPERTURA Principi funzionali di base Questo intervento, consigliabile in zona sismica, tende a migliorare il grado di rigidezza delle falde favorendo il comportamento d’insieme dell’edificio in occasione di un sisma. Più concretamente si tratta di rendere meno deformabili le maglie dell’orditura delle strutture di copertura, tramite la realizzazione di un’idonea controventatura di falda con la realizzazione di croci di S. Andrea in acciaio o, l’utilizzo di un tavolato incrociato. In alcuni casi, sopra il tavolato è stato realizzato, in passato, un getto di calcestruzzo armato che pur rappresentando un controvento di falda, va ad aumentare la rigidezza e la massa del piano di copertura. Tale soluzione fortemente sconsigliata, in relazione alla scarsa efficacia dimostrata dopo gli eventi sismici dell’Umbria e Marche (1997) e del Molise (2002). Campi di applicazione La tecnica si applica ai sistemi di copertura con lo scopo di riportare gli elementi strutturali a un funzionamento d’insieme. L’intervento, di facile esecuzione, è attuabile in tutte le coperture di legno semplici, ben conservate, non sufficientemente rigide. Applicazione della tecnica e fasi operative Questo tipo di intervento sarà adottato nei casi in cui, in presenza di un’orditura complessivamente affidabile, si intende migliorare le caratteristiche di rigidezza e deformabilità nel piano delle falde. Per rendere efficace l’intervento, devono essere precedentemente eseguite le eventuali riparazioni delle membrature della copertura e degli elementi di collegamento. Sono molto efficaci le applicazioni di controventature con elementi in legno o in acciaio (ferri piatti, barre o funi) posti in opera con tenditori disposti a croce di S. Andrea. I controventi di acciaio possono essere posizionati all’intradosso o eventualmente all’estradosso dell’orditura della copertura e vengono collegati ad essa mediante cerchiature o cravatte metalliche ripiegate a U e inchiodate. L’ancoraggio con la muratura avviene a mezzo di piastre metalliche posizionate all’estradosso della stessa. L’irrigidimento delle falde di copertura può inoltre essere realizzato mediante l’esecuzione di un tavolato incrociato. L’intervento consiste nell’apporre un doppio strato di tavole sovrapposte sulla struttura lignea esistente, il primo perpendicolarmente e quello superiore parallelamente all’orditura della copertura. Per rendere collaborante il nuovo tavolato con la struttura esistente bisogna eseguire un efficace collegamento tra le due parti. L’unione può avvenire mediante connettori realizzati con perni in acciaio o in legno interamente filettate ancorate all’orditura lignea e passanti l’intero spessore del tavolato. Accorgimenti, varianti e limiti Si sottolinea come deve essere, in ogni caso, evitato di creare eccessivi irrigidimenti del sistema; la duttilità è, infatti, un requisito essenziale per le strutture in legno, sia per consentire le deformazioni indotte dalle variazioni igrotermiche, sia per assicurare la massima efficienza in caso di eventi sismici. La controventatura di falda, eseguita con elementi disposti all’intradosso dell’orditura, ha il vantaggio di poter essere attuata senza intervenire sulle parti strutturali secondarie e sul manto di copertura. Un suo limite è quello di modificare, oltrechè il funzionamento, anche l’aspetto della struttura intradossalmente. La realizzazione di una controventatura all’estradosso, sia essa costituita da croci di S. Andrea o da tavolato incrociato, richiede invece lo smontaggio della copertura. Se si realizza il tavolato incrociato bisogna porre particolare attenzione al collegamento tra i nuovi elementi e l’orditura esistente poiché da ciò dipende l’efficacia dell’intervento.

Inspessimento della muraturacon mattoni pieni

Diatoni di ancoraggio tra l'UPN 80all'estradosso del solaio di copertura

Profili UPN 80 di collegamentodei controventi di falda

Barre di controvento diam. 30 mm.poste in aderenza all'intradossodel solaio di copertura

Collegamento con saldatura dellebarre di controvento, ai puntoni dellacapriata

ed ancorata al timpano del prospetto principale

Capriata con profili UPN 80 realizzata in aderenza della capriata in acciaio alcordolo in c.a. delle pareti laterali

Perforazione armata per aggancio

Controventi di copertura

Fissaggio dei controventialla muraturaed ancorata al timpano del prospetto principale

Capriata con profili UPN 80 realizzata in aderenza

Figura B.13.1 – Esempi di collegamenti del timpano con l’orditura della copertura

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SCHEDA B.15 CONSOLIDAMENTO DEGLI ARCHITRAVI Principi funzionali di base Gli architravi sono elementi strutturali orizzontali, costituiti da elementi monolitici (travi lignee o in acciaio o piattabande lapidee) o realizzati in muratura, (laterizio o pietra) posti al di sopra delle aperture, la cui funzione è quella di sostenere il peso della muratura sovrastante e di eventuali altri carichi su essa gravanti. I carichi agenti sull’architrave sono trasmessi sugli elementi verticali portanti (piedritti o spalle) che, sono assimilabili agli appoggi di estremità. Il peso della muratura gravante su un architrave è definito dalla cosiddetta parabola di distacco, la cui freccia è di non banale valutazione, in quanto funzione della tessitura della muratura e della presenza di ulteriori aperture nella parete muraria. Applicazione della tecnica e fasi operative Gli architravi possono essere realizzati con tecnologie e materiali diversi; alcune tipologie di architravi sono elencate di seguito:

a) architrave in mattoni pieni; b) architrave in legno; c) architravi in pietra;

L’intervento di consolidamento e miglioramento sismico varia in funzione della tipologia. Nel caso di architravi lignei è possibile prevedere l’inserimento di profili in acciaio affiancati o in sostituzione di quelli esistenti, collegati tra di loro da barre filettate in acciaio inox. Una possibile successione delle fasi lavorative è la seguente: - taglio della muratura per consentire l’inserimento delle travi in acciaio; - inserimento dei profili in acciaio nella muratura ; - allettamento dei mattoni pieni tra i profili con malta idraulica; - malta per iniezioni per chiusura finale a saturare gli eventuali spazi tra i vari materiali; - collegamento dei profili in acciaio tra di loro con barre filettate e bulloni in testa; - intonaco traspirante a chiusura dell’intervento. Nel caso di architravi in muratura la tecnica d’intervento può essere analoga o si può prevedere la ricostruzione dell’architrave in muratura prevedendo in asse con l’architrave stesso un tirante collegato all’estremità con due piastre metalliche in grado di conferire una presollecitazione tale da evitare la decompressione in caso di azione sismica.

Figura B.15.1 - Esempio di architrave in acciaio

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− M.LL.PP.: Circolare 10 Aprile 1997 n65/AA.G.: Istruzioni per l’applicazioni delle norme tecniche per le costruzioni in zona sismica.

− Regione Friuli Venezia Giulia (1977): Legge Regionale Friuli Venezia Giulia, n° 30: Documento Tecnico n° 2: Raccomandazioni per la riparazione strutturale degli edifici in muratura.

− Comitato Nazionale per la Prevenzione del Patrimonio Culturale dal Rischio Sismico - Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali - Norme tecniche per la redazione di progetti di restauro relativi a beni architettonici di valore storico-artistico in zona sismica

− Guerrieri F. (a cura di), Manuale per la riabilitazione e la ricostruzione postsismica degli edifici- Regione dell’Umbria, Dei Tipografia del Genio Civile, Roma, 1999.

− Lagomarsino S., Podestà S., Tavaroli F., Torre A., “Sull’efficacia dei diatoni nel miglioramento sismico delle costruzioni in pietra”, Atti del X Convegno Nazionale "L'ingegneria sismica in Italia" Potenza, 2001.

− Giuffré A., Sicurezza e conservazione dei centri storici - Il caso Ortigia, Ed. G. Laterza &Figli, Bari.1993. − M.LL.PP.: Circolare 30 Luglio 1981 n° 21745: Istruzioni relative alla normativa tecnica per la riparazioni e il

rafforzamento degli edifici danneggiati dal sisma. − M.LL.PP.: Circolare 10 Aprile 1997 n65/AA.G.: Istruzioni per l’applicazioni delle norme tecniche per le

costruzioni in zona sismica. − Podestà S., Magenes G.,Lemme A., “Il nuovo costruito storico: la vulnerabilità a seguito degli interventi”, Atti

del X Convegno ANIDIS, Potenza, 2001. − Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, Norme tecniche per il

progetto, la valutazione e l’adeguamento sismico degli edifici. − Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3316 del 2 ottobre 2003, Modifiche ed integrazioni

all’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003. − Scuola Edile Genova – indicazioni per la esecuzione di interventi di recupero di edifici in muratura – 1996