massimo mila - mozart. saggi 1941-1987

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saggio musicale

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Un percorso storico e musicologicodi grande attualità.

Musicologo tra i più insigni del se-colo scorso, Massimo Mila fu un prota-gonista della riscoperta di Mozart nelNovecento. Dal fondamentale contributoper il centocinquantesimo anniversariodella morte (1941), agli scritti perii giu-bileo del 1956 fino all'ultimo saggio (198?), Mila non mancherà occasione perriannodare un dialogo aperto e appro-fondito nel confronto con la nuova musi-ca, rifiutando il cliché passatista di unMozart incipriato e quello, opposto maaltrettanto riduttivo, di un demonismoalimentato da mistero. Nel proficuo e

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sempre rinnovato dibattito con la musi-cologia internazionale, di cui Mila fuelemento di spicco, la chiarezza e l'iro-nia di un linguaggio alieno da accademi-che polverosità e da tecnicistiche invo-luzioni, rende la complessità della musi-ca di Mozart accessibile anche al lettorenon specialistico, nella trasparenza diuna prosa in cui chiarezza e comprensi-bilità rispondono a una precisa istanzamorale di pensiero.

A cura di Anna Mila Giubertoni.Di Massimo Mila ( 1910-1988), uno

dei massimi musicologi del nostro tem-po, Einaudi ha pubblicato: L'esperienzamusicale e l'estetica, Cronache musica-li 1955-1959, Moderna musicista euro-peo, Lettura della Nona Sinfonia,

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L'arte di Verdi, Compagno Strawinsky,Lettura del Don Giovanni di Mozart,Lettura del Flauto magico, Scritti dimontagna, Brahms e Wagner, Scritti ci-vili, L'arte di Béla Bartók, GuillaumeDufay, Argomenti strettamente fami-gliari: Lettere dal carcere 1935-1940.

In copertina: elaborazione graficadel monogramma mozartiano usato du-rante le manifestazioni commemorativedel 1956. Progetto grafico 46xy.

ET SaggiISBN 88-06-18088-6€ 12,50

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ET Saggi1377Dello stesso autore nel catalogo Ei-

naudiL'esperienza musicale e l'esteticaCronache musicali 1955-1959Madema musicista europeoLettura della Nona SinfoniaL'arte di VerdiCompagno StrawinskyLettura del «Don Giovanni»Lettura del Flauto magicoScritti di montagnaBrahms e WagnerScritti civiliL'arte di Béla BartókGuillaume Dufay

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Argomenti strettamente famigliari :Lettere dal carcere 1935-1940

Breve storia della musica

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Massimo MilaMozartSaggi 1941-1987A cura di Anna Mila GiubertoniEinaudi © 2006 Giulio Einaudi edi-

tore s.p.a., Torinowww.einaudi.itISBN 88-06-18088-6

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Nota del curatore

... la consuetudine Einaudi è sem-pre stata di prefare il meno possibi-le (...) metterci invece per la stradadella prefazione a tutti i costi, misembra una politica pretina, o, sevuoi, settaria, comunque pedante. In-fine queste prefazioni rischiano didir sempre la stessa cosa. Per que-sto mi chiedevo, scherzando, senon sarebbe meglio una rigorosa etagliente noticina bio-bibliograficache non la predica profilattica. Lanoticina serve - sono notizie inter-pretative - la prefazione non aggiun-ge nulla al significato del libro...1 .

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La riscoperta italiana di Mozart nelNovecento, inizia col bicentenario dellamorte. Nel 1941, il numero unico della«Rassegna Musicale italiana», dedicatoa Mozart, è aperto da un saggio di Mas-simo Mila. È l'avvio alla Mozart Re-naissance. Che nel segno di Mila è unavaccinazione contro la retorica. Un Mo-zart scartocciato dalla stagnola dei cioc-colatini. Non apollineo. Non demoniaco.Semplicemente: «umano». Non si trattadi un «ritorno». Niente a che vedere conil Zurück zu Mozart! dei nostalgici inci-priati. Tutto l'opposto. Parola d'ordine,Mehr Mozart! avanti, verso Mozart. Unmotto che abbiamo scelto per la parteconclusiva di questo volume, gli ultimisaggi mozartiani di Mila. L'assonanza

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con il Mehr Licht!, le estreme parole diGoethe prima della morte, ci ha affasci-nato e suggestionato: Mila amava Goe-the e Goethe aveva amato Mozart. Piùluce e più Mozart, dunque. È lo stesso.

Un dato biografico. Lo racconta Fe-dele D'Amico. Nel maggio del 1935, ap-pena rientrato a Torino dal Festival diFirenze, Mila allora ventiquatrenne,venne arrestato per antifascismo e con-dannato a sette anni di reclusione nelcarcere romano di Regina Coeli. Cinqueanni dopo, nel marzo del 1940, il fratel-lo di D'Amico, un bravissimo avvocato,riuscì con sottili cavilli a far scarceraredel tutto inaspettatamente Mila, graziead una amnistia. A Roma, in quel giornodi primavera, fatto stranissimo, nevicò.

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Si dovette imprestare all'ex carcerato uncappotto e fu così che Mila «andò a li-bertà», a cena dal suo amico carissimo,Lele. Non sapeva neppure più usare for-chetta e coltello. Emozionata e imbaraz-zata Suso Cecchi D'Amico, allora giova-nissima moglie di Lele, fece un gestoistintivo e del tutto inusuale per lei: ac-cese la radio. Ricorda così D'Amico:

passai qualche secondo di terro-re: lui non sentiva musica da cinqueanni, quale Ruccione sarebbe venutofuori ? Ma mia moglie aveva le maniincantate, venne fuori Mozart, lasinfonia del Don Giovanni...2.

Fu questo, l'esordio della passionedi Mila per Mozart. I primi saggi, fino al

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1942, furono scritti nelle strette della li-bertà vigilata. Poi in guerra, come sol-dato semplice. Dal 1943 al 1945 è unMozart in partitura tascabile, sulle mon-tagne del Canavese, dove Mila fu co-mandante partigiano.

Interessanti, le vicende editoriali diquegli anni. Le grandi traduzioni dal te-desco: le Affinità elettive, per Einaudi,nel 1943 e la «scoperta» del fortunatis-simo Siddharta, di Hesse, per i tipiFrassinella oggetto ininterrotto di cultoper ogni nuova generazione, ora daAdelphi. Centinaia di «voci» di enciclo-pedie, UTET e Bompiani, per sbarcarein qualche modo il lunario. Il Mozart,esce in una collana di biografie musica-li, ideata da Guido M.Gatti, nelle edi-

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zioni Arione, a Torino, stampate in viaGiacosa 21 bis, in data 1945, ovviamen-te. Anche il volume Saggi mozartiani,che raccoglie i saggi scritti durante laguerra, viene stampato nel 1945, in no-vembre, per i tipi delle edizioni II Bal-cone, a Milano.

Nella fitta - inedita - corrispondenzafra Mila e Gavazzeni, le lettere deglianni 1943, 1944, 1945 danno notizie diquel modo «furioso» di lavorare su Mo-zart, in condizioni di assoluta precarietàe clandestinità. Il 19 maggio 1945, unrespiro di sollievo:

... Caro Gavazzeni, ti lascio il ds.dei Saggi mozartiani. Brutto datti-loscritto, scritto su carta di diversotipo e formato perché l'ho preparato

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in un tempo e in un luogo dove miera impossibile muovermi, e misono dovuto aggiustare con quel cheavevo. Spero che la sostanza sia me-glio dell'apparenza...

E ancora, il 26 giugno 1945:

... Caro Gavazzeni, ho qui la tuadel 15 scorso e ti ringrazio. Fammisapere con che mezzo Carrà intendedarmi le diecimila di anticipo suiSaggi mozartiani, affinché non va-dano perdute.

E in data 12 luglio 1945:

... sono rientrato da Einaudi e miprendo la pelle in un lavoro bestiale,che in sostanza non mi interessa. Mi

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sento più che mai «musicologopuro»...3.

Soltanto a guerra finita , il «musico-logo puro», potrà finalmente ascoltareMozart a concerto e a teatro.

Inizia una intensa militanza di criticomusicale, su varie testate, dall'«Unità»,all'«Espresso», alla «Stampa». Per dar-ne conto, a titolo di esempio abbiamoscelto qui, tra i tantissimi articoli, dueparticolarmente significativi: uno sullaripresa del Festival di Salisburgo delsettembre 1946, apparso sull'Unità»,l'altro, del 27 gennaio 1956, per il giubi-leo mozartiano, sulla stessa testata (colPartito Comunista, Mila ebbe rapporti diassoluta indipendenza, a volte conflittua-

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li, l'unica sua tessera fu quella del Parti-to d'Azione).

Abbiamo cercato di ricostruire ilpercorso mozartiano di Massimo Mila,riprendendo i saggi ormai introvabili etenendo presenti le correzioni a pennasui testi, i dattiloscritti e i manoscritti, làdove ci è stato possibile. Allo stessomodo si è cercato il confronto con i vo-lumi citati da Mila, nelle edizioni da luieffettivamente consultate o possedute epostillate. La nota bibliografica è con-dotta sul criterio di questo riscontro.Dove si è ritenuto utile, sono state ag-giunte informazioni a piè di pagina, traparentesi quadre per distinguerle dallenote dell'autore.

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ANNA MILA GIUBERTONI

Torino, 25 novembre 2005.

Desidero ringraziare per le moltecortesie e per l'attenzione, Andrea Bo-sco e Patrizia Mascitelli.

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Bibliografia essenziale

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Programma per un circolo mozar-tiano, in «Il Saggiatore», 10 agosto1943, n. 1; poi in M. Mila, Saggi mozar-

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tiani cit., cap. VI; ripubblicato in Wol-fgang Amadeus Mozart cit.

Mozart e Lamartine, in Saggi mo-zartiani cit. mai più ripreso.

Le idee di Mozart, in W. A. Mozartcit.: già col titolo, Musica e teatro neII'epistolario di Mozart, in Saggi mo-zartiani cit.

Il Festival di Salisburgo, in «L'Uni-tà», 19 settembre 1946.

La religione dell'uomo, in «L'Uni-tà», 27 gennaio 1956; poi in WolfgangAmadeus Mozart cit.

La fortuna e il significato di Mo-zart, in Wolfgang Amadeus Mozart, nu-mero dedicato a Mozart (giubileo delgennaio 1956) dalla rassegna mensile

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«Città di Milano», LXXII, dicembre1955, n.12.

Il respiro di Mozart, in «La Rasse-gna Musicale», gennaio 1956, n. 1, nu-mero per il giubileo di Mozart; poi inWolfang Amadeus Mozart c it.

La geometria amorosa di «Così fantutte», in I Costumi della Traviata, Stu-dio Tesi, Pordenone 1984; già, col titoloRazionalismo di «Così fan tutte», inAA.VV, Mozart. La vita. Le opere tea-trali, Edizioni Della Scala, Milano1956.

L'«Idomeneo»: l'esame di maturità,in I Costumi della Traviata cit.

Il ratto dal serraglio, già in W.A.Mozart cit.

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«La Clemenza di Tito»: tra neoclas-sicismo e restaurazione, in I costumidella Traviata cit.

I «Canoni» di Mozart, in «NuovaRivista Musicale Italiana», 1981, n. i. Inversione tedesca M. Mila, Mozarts Ka-nons, in «Romania Cantat», Gunter NarrVerlag, Tübingen 1980.

La fortuna di Mozart, in «Belfa-gor», fase. VI, 30 novembre 1985. Sarticontro Mozart (1987), già in «NuovaRivista Musicale Italiana», 1987, n 10.

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Mozart

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I.

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Wolfgang Amadeus Mozart(1945)

Di pochi altri artisti la grandezza incon-testabile riposa su ragioni altrettanto se-grete. A quasi duecento anni dalla morte,ancora si disputa sul significato da attri-buire a quel prezioso lascito di valorispirituali che noi designiamo col nomedi Mozart.

Varie immagini di Mozart si sonosuccedute nel tempo. Ai contemporaneiegli apparve come un inquietante roman-tico. Se ne ammirò l'efficacia, fino allo-ra inaudita, nel dipingere e muovere gliaffetti; molte sue audacie lasciarono

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dubbiosi, quando non indignarono i pe-danti. Fu giudicato un irrequieto novato-re, e non sfuggì all'inevitabile accusa diaver sacrificato la voce, nell'opera,all'orchestra. Ma il romanticismo veroera alle porte; già fremeva ribelle neidrammi giovanili di Schiller e, per lamusica, nell'opera di Beethoven, appas-sionata e tempestosa. Man mano chequesta si venne affermando, fu tolta aMozart ogni taccia di romanticismo no-vatore, ed egli divenne simbolo di rea-zione, segno di raccolta agli aderentidell 'ancien régime musicale, urtatidall'inaudita asprezza del verbo beetho-vernano, ai melomani appassionati e no-stalgici d'un'età in cui l'arte era essen-zialmente classica euritmia ed ordinata

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decenza. Nacque il mito del Mozart«apollineo», tutto grazia ed equilibrio, ilquale

non compie nell'opera d'arte ilprocesso di fermentazione dellapassione, ma, dopo avere totalmentesottomesso ogni impurità e offusca-mento, evoca la pura perfetta bellez-za (Jahn).

Confortava simile interpretazionequalcuna fra le pochissime dichiarazioniprogrammatiche alle quali il musicista siera lasciato andare nelle sue lettere.

Poiché le passioni anche violentenon devono mai arrivare fino al di-sgusto, così pure la musica, anchenel momento più terribile, non deve

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mai offendere l'orecchio, ma sem-pre far godere e rimanere sempremusica (26 settembre 1781).

Una nuova generazione di mozartianiinsorse contro questa immagine dell'arti-sta, e soprattutto contro le degenerazioniche ne restringevano l'arte a un conven-zionale Settecento di maniera, tutto le-ziosaggine di minuetti e parrucche inci-priate, e ne facevano un'oasi di tranquil-la pace piccolo-borghese, un edificanteesempio di conformismo artistico e mo-rale. No - si disse -sotto queste apparen-ze di cristallina chiarezza si celano lepiù misteriose profondità dell'anima: esi partì alla ricerca del «romanticismo»di Mozart o, come in Germania si suoldire, del «demoniaco». E se qualcuno

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s'accontentò d'indagare, sotto l'apparen-za classicamente equilibrata, il crismadi universale umanità che accomuna tuttele opere d'arte, ci fu pure chi volle andaroltre, e scoprire in Mozart non soltantoquesto caro pegno di fraternità umana,ma addirittura un misterioso e quasi so-vrumano messaggio, tanto sublime edesoterico da diventare incomprensibileo per lo meno assai difficile da formula-re in parole. Tale indirizzo poteva abuon diritto richiamarsi al romanticoHoffmann, il quale scorgeva in Mozartcome un presagio d'infinito e nella suamusica una celeste nostalgia d'immaginiche non sono di questo mondo. Ma Bu-soni, mozartiano fanatico, ammonirà:

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«Non è demoniaco né trascendentale; ilsuo regno è di questa terra».

La campagna per i valori espressividi Mozart - vuoi semplicemente umani,vuoi ermeticamente sublimi -non fu rile-vata da quei musicisti moderni che,nell'insofferente reazione al lascito delromanticismo wagneriano, esaltarono inMozart l'araldo della «musica pura»,cioè inespressiva, spogliata d'ogni sco-ria autobiografica e umana, ed ammira-rono nella chiarezza della sua scrittura ilgioco cristallino dei rapporti sonori, lageometria melodica, la combinazioneastratta ed essenziale di volumi, di mas-se e di ritmi.

Ora, fra tante interpretazioni mozar-tiane, che colgono tutte, naturalmente,

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qualche aspetto parziale della verità,quale sarà la nostra? Rinunciandoall'ambiguità di prudenti cautele, rispon-deremo che il mito «apollineo» conser-va una certa validità e può orientare unaretta interpretazione critica, quando ven-ga epurato dalle sue meschine derivazio-ni settecentistiche e piccolo-borghesi, esia opportunamente integrato con le ac-quisizioni filologiche e critiche di colo-ro che vennero individuando, nelle variefasi attraversate dalla musica di Mozart,tracce demoniache o romantiche dischietta umanità.

Non si deve cercare in Mozart ilprecursore di Beethoven. Ma di lui, arti-sta sommo, non occorre fare un artistaunico (sebbene tale lo giudicasse Rossi-

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ni), almeno in senso diverso da quello incui ogni artista è, naturalmente, unico oindividuo. Egli non ha realizzato né l'as-surdo d'un'arte che sia pura forma este-riore, impassibile e astratta, vuotad'umanità, né il mistero d'un'arte che siatrascendente rivelazione dell'inconosci-bile, messaggio sublime della divinità,forma alogica di conoscenza.

Un impasto di delicatezza femminea,di adolescente languore, di candore an-gelico e celestiale, che pur consente tan-to riso di grazia maliziosa e viene sem-pre più insistentemente solcato dai pre-sagi d'un'oscura fatalità di dolore: talel'immagine che l'arte di Mozart evocacomunemente. Aggiungiamoci: la ricer-ca, il bisogno della felicità. La nostalgia

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del paradiso perduto. Il mito dell'etàdell'oro, sentito come un dirittodell'uomo, ingiustamente alienato.Espressione, in ogni caso, di valoriumani, come per ogni altro artista. Checos'è, allora, quel «distacco» che si ri-conosce comunemente in Mozart, quellibrarsi della sua musica in una magicasuperiorità rispetto alla sfera terrestredelle vicende umane ? Quell'assenzacompleta di confessione, di autobiogra-fia, per cui essa se ne va sola nel mon-do, affidata unicamente al suono, e re-spinge ogni sussidio di chiose letterarieo psicologiche ? Questa eliminazioned'ogni scoria illustrativa, questo totaledisciogliersi dell'esperienza umana inmusica, senza residuo alcuno, questa

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spontanea naturalezza del canto, per cuisi potè dire che «la musica nasceva dalui come il soffio stesso della vita»(Curzon), è veramente la qualità in cuirifulge la decantata «purezza» dell'artemozartiana. Ben si potrebbe ripetere dilui ciò che fu detto da Lamartine, e cioèch'egli cantava «come l'uomo respira,come l'uccello geme, come il vento so-spira e come mormora l'acqua»4.

Potremmo dire, semplicemente, cheil «distacco» di Mozart è semplicementerifiuto della retorica, o meglio incapaci-tà costituzionale alla retorica. Non alza-re mai la voce. Scartare qualsiasi infles-sione tribunizia. Pensieri profondi e ar-gomenti gravissimi avanzati con l'aria discherzare. Umorismo e Understatement.

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Di qui l'indulgenza affettuosa accordataa Mozart, come a un caro bambino ine-sperto delle asprezze della vita, quandonei cieli tempestosi della musica roman-tica sorse l'astro fiammeggiante di Bee-thoven, artista che non aveva paura nédella retorica né dell'eloquenza. Di quiil riflusso, la riscoperta di Mozart cheavviene in ogni individuo e in ogni gene-razione, quando un'ombra di sazietà co-mincia a profilarsi per l'oratoria beetho-veniana.

Tutto ciò non implica inespressivitàe carenza di valori umani, se si tengapresente la possibilità d'una perfetta in-consapevolezza dell'espressionenell'opera d'arte. È questo il nodo chequasi sempre ritenne Mozart al di qua

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del romanticismo. Un nucleo umano for-temente individuato nei suoi mobili at-teggiamenti è all'origine delle composi-zioni mozartiane - almeno delle più alte- e ne potenzia gli aspetti, tecnici e for-mali, la «pura sonorità». Ma, per l'ap-punto, è all'origine della composizione,e non ne è la meta; un «prima», non un«poi»; premessa, e non scopo. Per que-sta assenza di volontà espressiva (masarebbe meglio dire: illustrativa), osser-vatori superficiali hanno potuto vantareuna pretesa astrattezza dell'arte mozar-tiana. In realtà questa inconsapevolezzadell'espressione - che del resto non è as-soluta nella produzione mozartiana, sem-pre più risonante, cogli anni, di dolorosie tragici accenti - è il segreto della sua

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purezza e con le sue fluttuazioni costitui-sce l'indice dei rapporti di Mozartcoll'imminente romanticismo. Essa ètanto più notevole in quanto è il risultatod'un'irresistibile vocazione individuale.Dal padre, infatti, egli era stato avviatoa tutt'altra valutazione delle finalità arti-stiche. Nella sua Violinschule LeopoldMozart inculca allo scolaro la convin-zione che la musica è anzitutto espres-sione, anzi un vero e proprio linguaggioconvenzionale, che per mezzo di toni,armonie, timbri e ritmi può tradurre tuttala gamma delle passioni. Egli stesso eracultore di musica «descrittiva».

La musica di Chopin - è stato scritto- è quella d'un uomo che deve ancora vi-vere. E si è coniata a questo proposito la

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distinzione dei «poeti della vita», comeBeethoven, o del «dopo vita», comeBach, e dei «poeti di prima della vita»(Leo Ferrerò)5. A questi ultimi si puòiscrivere, in certo senso, anche Mozart,ravvisando nella sua perpetua adole-scenza, nella esitazione sulle soglie del-la vita - che è pure un tratto di caratte-rizzata e personale umanità - uno deimotivi psicologici che hanno potuto in-durre all'equivoco di ritenere astratta einespressiva la sua arte. Un'ingenua in-clinazione al piacere, sempre più fre-quentemente frustrata dall'accasciamentodi misterioso dolore, costituisce la tra-ma essenziale di questo mondo poeticodell'adolescenza. Più copiosi e appari-scenti i momenti di lieta gaiezza che

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l'inesausta gioia di vivere produce; piùreconditi, ma anche più personali, sol-tanto suoi, i baleni dolorosi che ne sol-cano la sorridente serenità. Dell'asser-zione che «più s'indaga la natura... diquest'arte... più decisa dovrà farsi laconvinzione che la Musa di questo fan-ciullo eterno... era il dolore e non la gio-ia» (Farinelli), accoglieremo quindil'istanza positiva, non quella che nega lamusa della giocondità all'autore del Rat-to dal serraglio, delle Nozze di Figaro.Ma accetteremo volentieri che «ogninetta distinzione del buffo e del serio,del comico e del tragico nell'opera mo-zartiana è chimerica. Tutto si frammi-schia nell'onda invadente degli affetti.Le luci vanno con le ombre congiunte.

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Lo scherzo nasce talora dall'affanno. El'espressione di letizia e di dolore è si-multanea... Tutto è unità di vita, frutto diun solo respiro».

Questa pienezza di vita e questacompresenza di tutta la gamma espressi-va è la nota che trattiene Mozart al diqua del romanticismo beethoveniano,che isola un singolo sentimento ed il suoopposto in un'abbagliante luce artificialee ne scava infaticabilmente le possibili-tà. Invece

Mozart introduce tosto pensieridivergenti; già il tema per se stessopropone subito un mondo moltepli-cemente mosso. Farne risaltare laricchezza di aspetti e di contrasti,tale è il compito inesauribile che

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Mozart si applica a svolgere; le nu-merose forze che si muovono nellavita ed entrano in reciproci contra-sti, egli le presenta alla nostra vistaspirituale come su una scena vario-pinta, mentre Beethoven ne scegliealcune grandi e potenti e le segue inprofondità, fino ad esaurirle (Nef).

O, come diceva Wagner, nella sinfo-nia di Mozart predomina la pienezza delsentimento; in quella di Beethoven la co-scienza coraggiosa della forza. Segnosimbolico di questa completezza è lasfera: e in Mozart tutto è curvo, senzaspigoli, senza salti bruschi, come in unpoeta il quale non coltivi che l'esametroo l'endecasillabo piano, ad esclusione dirime tronche o sdrucciole, del giambo

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scattante e del ben scandito pentametro.Per una nativa gentilezza

le asperità si arrotondano, i frizzisi caricano di tenerezza, di passioneamorosa, una sognante fluidità im-merge in un fascino indicibile tuttoil poema. Mille inflessioni cangiantiaccarezzano 0 puro contorno dellamelodia, l'obbligano a cedere, aumiliarsi, a riprendere il canto conpiù toccante semplicità (Buenzod).

Tale è appunto la funzione del cro-matismo mozartiano: smussare, levigare,insinuare il fascino della melodia per in-sensibili vie segrete, anziché imporlocon abbagliante violenza. Mai una frasedi Mozart conclude ex abrupto sulla to-nica, senza che un semitono venga ad of-

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frire come un gradino intermedio: è unaquestione di cortesia. Conseguenza diquesto ideale, «consistente meno nell'ac-centuazione e nel rilievo d'un carattereunico, che nella conciliazione di tutti icaratteri e nel loro armonioso accordo»(Bellaigue), è l'assenza di ogni gestoscomposto, d'ogni frattura, di ogni vio-lenza. In una parola, una naturalezza chepare tutta immediatezza d'istinto e divita, ed è invece frutto e segno squisitodi civiltà.

L'abusato paragone con Raffaellonon è privo di verità. Un'affinità spiri-tuale si manifesta nel rifiuto d'ogni sortad'eccessi, nel classico equilibrio forma-le con cui entrambi gli artisti estrinseca-no una vita affettiva prevalentemente

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gentile e serena. Alla piana naturalezzaarmoniosa di Mozart, che è frutto e con-quista suprema di civiltà, corrisponde laverosimiglianza delle figure di Raffael-lo, che non nasce da imitazione della na-tura, ma dall'aspirazione ad un composi-to «bello ideale», ad «una certa idea che- secondo le parole stesse del pittore - sipresenta allo spirito» dell'artista. La ro-tondità del cromatismo mozartiano è benquella che si ravvisa nella circolaritàcompositiva della Madonna della Seg-giola, nella soffice morbidezza di pianidella Madonna di San Sisto o della Ca-terina d'Alessandria; e che si compen-dia in quella levigata spalla femminileintorno alla quale gravita tutta la compo-sizione nella metà inferiore della Trasfi-

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gurazione. Costante, in entrambi gli arti-sti, la cura della bella materia. Uguale ilpericolo che per l'uno e per l'altro deri-va dall'assenza di forti contrasti, d'una«divina piattezza», quale fu segnalata inRaffaello, di quella «celestiale lunghez-za», che Schumann riscontrava in Schu-bert, fratello minore, per questo aspetto,di Mozart. Una deficienza di dialetticitànei suoi sviluppi sinfonici l'aveva già ri-levata Wagner. Ed infatti la bellezza mu-sicale di Mozart non trapassa necessa-riamente da una battuta all'altra in unarco di tensione drammatica, ma spessosi consuma battuta per battuta, magarianche entro incisi minori. Specialmentenei tempi lenti, ma anche in qualche al-legro o minuetto, il «discorso» (etimolo-

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gicamente, da discurrere) si arresta inun indugio voluttuoso ad assaporare par-ticolari struggenti e soavi. L'accoglimen-to incondizionato e la contemperanza ditutti gli aspetti e le forze della vita por-tano infatti all'eliminazione dei contrasti.Questi nascono dall'isolamento di alcunetra queste forze. D'altra parte la riduzio-ne della bellezza all'atomo sonoro aboli-sce la struttura sintattica col suo mecca-nismo distributivo di membri e frasi, equando si estende su tutto un pezzo, incasi di grazia eccezionale, produce allo-ra quell'ammirabile continuità che unmusicista moderno (Markevic) ammiranella Sarabanda del Quintetto con clari-netto, pezzo in cui

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non si vede dove finisce l'idea,dove cominci lo sviluppo come sefosse caduto in blocco dal mondodell'ispirazione... Una pagina comequesta non ha principio né fine. È unpezzo d'eternità catturato per la deli-zia dell'anima.

Nell'impossibilità di controllare inbreve spazio il procedimento segretocon cui il mondo poetico mozartiano, se-condo leggi, appunto, di sintassi e gram-matica musicale, si trasferisce totalmen-te nei suoni, cercheremo almeno di rav-visarne i tratti essenziali attraverso laconoscenza delle opere maggiori, valen-doci anche del sussidio che possono of-frire i casi della vita e la ricostruzionedel carattere dell'artista, attraverso lette-

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re e testimonianze, quasi riflesso impre-ciso e materiale di quell'ideale immagi-ne che soltanto la musica manifesta niti-damente in tutta la sua perfezione. Se-gnaleremo così quelle opere che nell'im-mensa produzione - 629 numeri del cata-logo Kochel - veramente s'impongonoper autentica ispirazione e sovrastano lenumerose pagine d'occasione - non insenso goethiano - buttate giù frettolosa-mente ora per compiacere un cantante ouno strumentista, ora per un concerto im-minente, ora per necessità di denaro.Ché occorre guardarsi dall'aberrazionedei mozartiani fanatici, i quali prendonoper oro colato ogni battuta uscita dallapenna del loro idolo, e mettendo tutto suuno stesso piano d'indiscriminata ammi-

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razione, ingenerano equivoci e confusio-ne. Pur riconoscendo volentieri, col Bo-schot, che fra i lavori d'occasione si an-nida qualche capolavoro, e che una for-tunata reciprocità d'azione e reazione sistabilisce tra le opere dotte e quelled'occasione.

I lavori improvvisati comunicaro-no alle opere più meditate qualcosadella loro scioltezza, del loro garbo,e della loro sorridente facilità. Poi-ché è bene che l'arte non si separitroppo dalla corrente della vita.

Il 27 gennaio 1756, alle otto di sera,nasce Wolfgang Amadeus Mozart a Sali-sburgo, cittadina dell'alta Austria, di gu-sto e costumi quasi italiani, cattolica econformista, dalla vita sociale piuttosto

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meschina, ma musicalissima, tutta strettaattorno alla corte dell'arcivescovo loca-le. Il padre, Leopold Mozart, era un mu-sicista di corte, mediocre compositore,ma buon violinista e apprezzato inse-gnante. Nell'anno stesso della nascitadel figlio pubblicò un importante metodoper violino. Wolfgang non era il primo-genito: una sorellina, Marianna (Nan-nerl), contava quattro anni quando eglinacque, e già imparava a muovere abil-mente le manine sulla tastiera del clavi-cembalo. Ma il piccolo era destinato afornire il più sbalorditivo esempio diprecocità musicale che la storia ricordi.A quattro anni la sua vocazione era ine-quivocabile, e il padre, incaricatosi del-la sua istruzione, si accinse a sfruttare

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con metodica ponderazione i successidel piccolo virtuoso. Monaco e Viennafurono le mete dei primi viaggi che i duefanciulli compirono, sotto la guida delpadre, per esibirsi in quelle corti(1762).

Poi, il 9 giugno 1763, ecco l'interafamiglia in moto per il nuovo grandeviaggio che - attraverso varie tappe co-stellate di trionfi del piccolo virtuoso,sia al clavicembalo che all'organo, edanche sul violino - li condusse a Parigi(18 novembre). Già dal gennaio 1762Mozart aveva composto il suo primopezzo, un Minuetto per clavicembalo,seguito, entro pochi mesi, da altri tre eda un allegro di Sonata. Cosicché questonuovo viaggio inizia la serie delle «in-

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fluenze» stilistiche subite dal composi-tore nel corso della sua carriera, chefanno di lui un fenomeno di prodigiosaricettività assimilatrice. Il consueto raf-fronto di Mozart con Raffaello devequindi estendersi anche alla sorprenden-te facoltà di assimilazione, alla natura«spugnosa» del loro genio artistico. En-trambi artisti che concludono un'epoca,entrambi abili ad annettersi ciò che loroconvenisse, a ricondurre tutti gli stili aduno solo, il loro, penetrando d'una bel-lezza inconfondibile e personale tuttociò ch'essi raccoglievano in artisti di se-cond'ordine, o le scintille che in essi de-stava il contatto con maestri più illustri.Ci sono artisti ribelli ed essenzialmenterivoluzionari, che nelle epoche di lotta e

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di trasformazione svolgono un lavoroprezioso di demolizione delle vecchiesovrastrutture, dei pregiudizi ritardatori,e sbarazzano il terreno per la manifesta-zione di un ordine nuovo. E ci sono arti-sti, invece, i quali edificano la casadell'uomo, cioè la civiltà, sopra quantorimane dei vecchi edifici, utilizzandotutti i mattoni salvabili dalle rovine, tro-vando con naturale spontaneità la conci-liazione e la continuità fra le testimo-nianze del passato e le esigenze del pre-sente. Mozart era di questi, come Raf-faello. Le sue facoltà d'assimilazionefanno della sua arte una specie di luogodi raccolta, un mare dove confluiscono econvivono pacificamente le più dispara-te tendenze del suo tempo. La forza di

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questi artisti è forza di civiltà, non diprimitiva barbarie: e civiltà è prima ditutto conservazione, religiosa pietà diciò ch'è stato prima di noi e che ha con-tribuito a crescerci quali siamo.

Epoca di grandi rivolgimenti nellamusica strumentale quella in cui il pic-colo Mozart fece le sue prime prove dicompositore. Per non parlare dell'immi-nente sostituzione del pianoforte al cla-vicembalo, era in corso il trapasso dallasuite - serie di cinque o sei pezzi brevinon organicamente connessi e ancora le-gati alla danza come origine della musi-ca strumentale - alla Sonata - complessosempre più unitario di 3 o 4 pezzi (alle-gre>, andante, minuetto facoltativo, al-legro). E nel primo Tempo di Sonata il

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modello prevalentemente italiano (astruttura binaria, generalmente monote-matica, con immediata ripresa del temaalla dominante) stava cedendo il posto aun nuovo tipo, elaborato tanto in Italiaquanto in Germania: forma ternaria,eventualmente bitematica, con sviluppocentrale e, dopo la modulazione deltema o dei temi alla dominante, ripresadella prima parte nel tono principale,con eventuale riduzione del secondotema a questo tono. Tutte novità dellequali ben poco Mozart avrebbe potutoapprendere dal padre, amante nostalgicodi gighe, allemande e correnti.

A Parigi l'influente gazzettiere Mel-chior Grimm s'incaricò di «lanciare» ilpiccolo prodigio nell'ambiente degli en-

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ciclopedisti, nei salotti intellettuali emondani e, infine, alla corte stessa diVersailles. La grande rivelazione musi-cale di Parigi per il piccolo Wolfgang fuil clavicembalista slesiano, di gusto lar-gamente francesizzato, Johan Schobert:dalla sua musica - il cui influsso è mani-festo nelle quattro Sonate per clavicem-balo (con accompagnamento di violinofacoltativo), pubblicate da Mozart a Pa-rigi - egli apprese la poeticità ispirata,la cantante chiarezza della melodia e lacomplessità dello schema formale; e so-prattutto trovò un primo modello perquell'elemento di passione romantica,per quei brevi slanci febbrili e patetici,specialmente nelle tonalità minori, chein tutta la sua opera s'accompagneranno

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alla grazia e al vigore classico ispirati-gli fra non molto da Johann ChristianBach e da Johann Michael Haydn.

A Londra, infatti, dove i Mozart sirecarono lasciando Parigi (aprile 1764),spadroneggiava sul gusto musicale mon-dano l'ultimo figlio del grande JohannSebastian, vissuto a lungo in Italia: me-lodista elegante, piacevole e amabil-mente superficiale. La musica di Händel,morto da cinque anni, e un po' «supera-to» nella moda del tempo, teneva ancorauna larghissima parte nella vita inglese;Mozart ebbe certo occasione di sentirneed eseguirne molta, ma, per il momento,senza subirne grande efficacia. In com-plesso, le esperienze dei 15 mesi di sog-giorno londinese producono in Mozart

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un solido assetto stilistico in cui egliprogredirà stabilmente fino al nuovoviaggio viennese del 1768. Riducendo leproprie aspirazioni, egli consegue unamaestria tecnica, una padronanza di sti-le, una sicurezza di mestiere, che porta-no ormai il fanciullo prodigio al livellodi qualsiasi compositore adulto. Il primoTempo di Sonata ritorna - sotto l'influen-za di Johann Christian Bach - dalloschema ternario a quello binario, consemplice ripresa del primo tema alla do-minante, senza sviluppo che lo ricondu-ca alla tonalità fondamentale. I temi, chein Schobert fiorivano in numero di tre eanche quattro, si riducono a due, netta-mente contrapposti. La sinfonia abban-dona l'ampia struttura tedesca in quattro

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movimenti, per adottare la forma rapidae brillante dell 'ouverture all'italiana: unespisodio lento incorniciato fra due al-legri senza interruzione. Un'acquisizioneperpetua, perché corrispondente a unapredestinazione naturale di Mozart, saràquell'atmosfera di dolcezza e di femmi-nile languore degli andanti,, che tantofascino presta alle galanti composizionidel Bach milanese. Così come da Scho-bert Mozart aveva mutuato, per non per-derli più, certi scatti appassionati, certivivaci ritmi di allegro.

Mietuti i consueti allori, pubblicatealtre 6 Sonate, Mozart e i suoi lasciaro-no Londra il I° agosto 1765 e trascorse-ro nove mesi nei Paesi Bassi, tra con-certi e malattie, che tuttavia non impedi-

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rono la composizione d'una Sinfoniaolandese, in si bemolle (K. 22). Perio-do, questo, di raccoglimento e d'elabo-razione interiore del materiale accumu-lato a Londra, piuttosto che di attive in-fluenze esterne: ove si eccettui un pas-seggero contatto con la musica di JohannJoseph Haydn, che solo dopo il 1768 aVienna s'imporrà veramente all'attenzio-ne del ragazzo. Tre mesi ancora di sog-giorno parigino (aprile-luglio 1766),poi, dopo un lungo viaggio di ritorno at-traverso varie città svizzere e tedesche,Salisburgo riaccolse, verso il 30 novem-bre, i nostri pellegrini musicali, assaisoddisfatti dei risultati ottenuti: Wol-fgang s'era creata, si può dire, una famaeuropea, e un gruzzolo di 7000 fiorini

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era lì a garantire la possibilità del pros-simo viaggio in Italia.

Per il momento, però, il padre im-piegò la sosta salisburghese a completa-re con pedanti esercizi l'istruzione armo-nica e contrappuntistica di Wolfgang,cercando di sottrarlo al fascino cheesercitava su di lui la musica galante delnuovo Kapellmeister di Salisburgo, Jo-hann Michael Haydn, successo nel 1762al vecchio Eberlin. Dopo l'importanteSinfonia in fa maggiore (K. 76), il 1767vide anche la produzione di un oratorio,d'una cantata e d'una specie di piccolaopera in latino, opportuni preliminarialle prossime prove operistiche. A Lon-dra Mozart s'era già esercitato in alcunearie per impadronirsi del convenzionale

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formulario espressivo dell'opera italia-na: arie di furore, arie d'affetto, ecc. Maper ora non rivelerà una particolare sen-sibilità vocale, e continuerà a scrivereper la voce in modo non sostanzialmentediverso che per gli strumenti.

Le annunciate nozze dell'arciduches-sa Maria Giuseppina col re Ferdinandodi Napoli attirarono a Vienna il terzettomozartiano (15 settembre 1767), in cac-cia di lucrose commissioni musicali.Ma, ahimè! un'epidemia di vaiuolo ucci-se la sposa e mise in fuga i musicisti(inutilmente, ché a Olmütz i due bimbi sipresero la malattia e Wolfgang ne rimasecol viso butterato).

Ritornarono cautamente a Vienna ilio gennaio 1768 e vi rimasero un anno,

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durante il quale Mozart potè sentire mol-te opere, di Piccinni, di Hasse, di Gluck.Anzi, il padre decise che Wolfgangavrebbe scritto un'opera anche lui, perfar colpo sulla capitale, ormai avvezzaalle sue prodezze clavicembalistiche. Esi affidò ad un impresario teatrale, certoAffligio, che poi gli mancò all'ultimomomento e non montò l'opera, dichiaratadai cantanti ineseguibile e «non teatra-le». Si trattava della Finta semplice,boccaccesca storia di amori senili, diMarco Coltellini. Nei 26 numeri di can-to che la compongono Mozart si attennestrettamente ai modelli italiani dell'ope-ra comica, soprattutto La buona figlioladi Piccinni, e scrisse diligenti arie chenon pretendono di caratterizzare dram-

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maticamente personaggi e situazioni, matraducono meticolosamente i pretesti de-scrittivi offerti dalle parole e si adattanoalle caratteristiche dei cantanti. L'operafu poi rappresentata a Salisburgo il i°febbraio 1769. Per il momento la colleradi Leopold e la delusione di Wolfgangfurono in parte risarcite dalla commis-sione d'un'opera comica in un atto per ilteatro privato del dottor Mesmer, nonancora celebre per le sue arti di magne-tizzatore. Soggetto, la semplice favolettadi Bastien et Bastienne, di Favart, paro-dia del Devin du village di Rousseau edelle sue arcadiche pastorellerie. Questagraziosa operina, composta in agosto esettembre 1768, è combattuta tra il gustofrancese dell'opera comica, nella prima

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parte, e quello austro-tedesco del lied,nella seconda.

A Vienna Mozart compose pure lesue prime Messe, più vicine, però, algusto severo e contrappuntistico di Sali-sburgo, che non allo spirito profano estrumentale della capitale. Nelle sinfo-nie, poi, nuova sterzata verso il gusto te-desco, e più precisamente viennese, rap-presentato soprattutto dal grandissimoHaydn. Mentre la scuola della Germaniadel Nord si sforzava vanamente di con-servare alla sinfonia la nobiltà d'uno sti-le serio ed elevato, incontaminato dallamoda della galanteria settecentesca, nel-la Germania del Sud le scuole di Mann-heim e di Vienna operavano una speciedi compromesso tra questa eccessiva se-

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verità e la frivola leggerezza degli ita-lianizzanti, come Johann Christian Bach.Musica di divertimento, la sinfonia vien-nese, congegnata con mezzi che nonescludono un'alta dottrina musicale. AMannheim si cura particolarmente laforma, a Vienna l'elaborazione dramma-tica del linguaggio sinfonico, sotto la vi-vace influenza dell'opera e dello Sturmund Drang letterario. Del resto, in con-seguenza di ciò, anche a Vienna la formasi amplia: la sinfonia è ormai sempre in4 movimenti e, nell'interno di ognuno,grande estensione prendono gli sviluppi,dove si mostrano ad un tempo la sapien-za musicale e la patetica lotta degli af-fetti. Mozart adotta ora questo tipo, ab-

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bandonando la forma binaria all'italianadel primo tempo.

1769: ancora una pausa di raccogli-mento nella domestica quiete salisbur-ghese. Molta musica religiosa, assimila-zione e consolidamento delle esperienzeviennesi, nomina a Konzertmeister dellacappella arcivescovile e poi il sospiratocoronamento di questi Wanderjahre,l'Italia, consacrazione suprema d'ognimusicista nel canoro Settecento. Questavolta padre e figlio partono soli, e le let-tere che Mozart indirizzerà dal viaggioalla sorella ci aprono uno spiraglio sullasua psicologia. Lettere buffonesche escherzose, nelle quali si prolunga (e saràcosì anche nell'età matura, non appena ilcorrispondente sia con lui in relazione

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d'affettuosa confidenza) una disposizio-ne d'animo assolutamente infantile. Gio-chi di parole, barzellette, freddure, usostorpiato dell'italiano, del latino e delfrancese, gusto monellesco di parolaccepoco pulite, e soprattutto - in queste pri-me lettere giovanili - una continua sere-nità dell'animo, un'irresistibile disposi-zione all'allegria. Ritornano ad ogni pas-so espressioni come: «il mio cuore è tut-to felice, perché ho dei gran divertimen-ti...»; «Di', Mariannina, mi fa tanto pia-cere che tu sia stata così spaventosamen-te allegra...»; «Per oggi non posso far al-tro... che augurarle con tutto il cuore ciòche ogni giorno, mattina e sera le desi-dero: salute, lunga vita e un cuore alle-gro». Si ha l'impressione che questo, de-

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gli anni giovanili, sia il vero Mozart,schietto, genuino, quale era uscito dallemani stesse di Dio, e che il seguito dellavita non che maturarlo e compierlo,come avviene per gli altri uomini, l'ab-bia soltanto dispettosamente attraversatoe combattuto, fino ad esaurirne spietata-mente la fibra.

D'impressioni di viaggio, tali da ri-velar comprensione dei tesori culturaliartistici e storici delle città italiane,neppure l'ombra: la musica è l'unico in-teresse del ragazzo, è l'aria stessach'egli respira. Partiti da Salisburgo il13 dicembre 1769, i due viaggiatori so-stano a Verona, poi a Milano, primameta del loro viaggio (23 gennaio - 14marzo 1770). Conoscenza con Sammar-

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tini e Piccinni e prima scrittura teatrale:l'opera d'apertura della prossima stagio-ne sarà scritta dal maestrino tedesco. Aidue pellegrini l'Italia veniva incontrocome un'ebbrezza rapinosa di canto, untripudio di voci umane inarrivabili. Lasera del 17 marzo, nel teatro di Parma,essi intesero Teresa Agujari, detta «laBastardella», emettere quel do sopracu-to che, grazie alla loro esterrefatta mera-viglia, è passato alla storia. Travolto inquesta voluttuosa fascinazione, Mozarttradisce alquanto la sua vocazione sinfo-nica e strumentale: nella necessità diperfezionare il proprio stile vocale,sono arie e pezzi staccati di canto quelliche ora più lo occupano, forse anche perfornire agli impresari una prova delle

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sue possibilità. Del resto, anche sulleproduzioni sinfoniche non tarda a riflet-tersi il gusto operistico, com'era norma-le in Italia, con atrofizzazione del con-trappunto, moltiplicazione dei temi,compiaciuta ripetizione di frasi, accen-tuazione dei contrasti e in genere unamelodiosità più facile ed attraente, unascrittura orchestrale sempre meno varia,una cura esclusiva della bellezza melo-dica. Con tutto ciò, la portata espressivad'un Sammartini (che fu, con Boccherini,la massima influenza strumentale subitada Mozart in Italia) non era meno intensae patetica che quella dei sinfonisti vien-nesi, e presentava maggiore impegnoespressivo che non la facile galanteriadel Bach londinese.

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Per Bologna e Firenze i Mozart giun-gono a Roma l'11 aprile, nella settimanasanta. Odono in San Pietro il Misereredi Allegri, del quale la cantoria papalenon permetteva si traessero copie, ondeassicurarsene l'esclusiva esecuzione.Mozart se lo scrive esattamente, nota pernota. Dopo una puntata a Napoli (e viodono l'Armida di Jommelli), tornano aRoma e sono ricevuti (8 luglio 1770) dapapa Clemente XIV, il quale dona al mu-sicista quattordicenne, come già aGluck, la croce di cavaliere dello Spe-ron d'Oro. Odono l'Artaserse di Sacchi-ni, che pare a Leopold «ammirabile mu-sica». Ripartono il 10 luglio, e il 20sono a Bologna dove trascorrerannol'estate e parte dell'autunno. Il cavalieri-

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no è ammesso all'Accademia Filarmoni-ca e frequenta assiduamente il grandeteorico e storico della musica padreMartini. Tra il ragazzo e il venerabilepatriarca musicale si stabilisce una cor-rente di simpatia che non verrà meno coltempo. Non è esatto dire che Martini in-segni a Mozart il contrappunto; ma glie-ne rivela le possibilità di bellezza poeti-ca, senza le pedanterie che gliel'avevanoreso indigesto alla scuola paterna. E, in-somma, la scoperta dei classici al difuori degli obblighi scolastici. Inoltre èun contrappunto di natura squisitamentevocale, quello che il vecchio maestrogl'inculca schiudendogli qualche spira-glio sull'antica scuola italiana, da Pale-stina a Frescobaldi, senza mai perdere

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di vista gli scopi teatrali che il piccolomusicista si propone. Così, dopo alcunisaggi di musica religiosa, tra cui un buonMiserere (K. 85), di notevole efficaciaespressiva, Mozart si accinge alla com-posizione dell'opera per Milano, e il 18ottobre fa ritorno in questa città. Il sog-getto, Mitridate re del Ponto, che unVittorio Cigna-Santi ha diligentementetratto dalla tragedia di Racine, resta as-solutamente al di là dell'esperienza uma-na d'un ragazzo, cosicché è inutile cerca-re caratterizzazione di personaggi ed ef-ficacia drammatica delle grandi arie ap-passionate. Ma l'opera mostra una ricer-ca costante di fluida vocalità, un'aspira-zione all'inarrivabile naturalezza d'unPiccinni o d'un Hasse, e raggiunge una

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reale bellezza melodica in certe espres-sioni elegiache, quali il lamento diAspasia Nel sen mi palpita, e l'ariad'Ismene Tu sai per chi m'accese. Rap-presentata la sera di Santo Stefano 1770,ebbe un buon successo e varrà a Mozartuna scrittura per l'anno successivo.

Nel gennaio 1771 una breve scappa-ta a Torino permise la conoscenza diPaisiello, che vi si trovava di passaggio,e dell'eccellente violinista Pugnani, lacui musica - come quella di Tartini e diCorelli - non rimase senza effetto sullostile violinistico ed anche pianistico deiConcerti di Mozart. Il carnevale fu tra-scorso a Venezia, dove Hasse divinò ilgenio di Mozart e gli dimostrò una pa-terna affezione. Il 28 marzo 1771 padre

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e figlio rientrano a Salisburgo, non senzaaver raccolto a Padova la commissioned'un oratorio, che sarà La Betulia libe-rata, su testo di Metastasio.

A Salisburgo, da marzo ad agosto1771, segue il solito periodo d'assimila-zione e d'assestamento. Con La Betulialiberata e numerosi pezzi di musica sa-cra, tra cui un delizioso Offertorio perla festa di San Giovanni Battista (K. 72),un Kyrie (K. 116), Lytaniae Lauretanae(K. 109), e un bel De Profundis (K. 93),Mozart, continuò a lavorare diligente-mente il proprio stile vocale in una dire-zione di contrappunto espressivo: la le-zione di padre Martini dà appena ora isuoi frutti. Le sinfonie composte in que-st'epoca hanno ancora piglio italiano,

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benché siano in quattro movimenti, mainsieme vi si fa luce una specie di ri-scossa dell'elemento tedesco, soprattuttoattraverso un'improvvisa ventata di ri-cordi haydniani: le ripetizioni tendono ascomparire, il numero dei soggetti dimi-nuisce, d'altra parte gli sviluppi sono an-cora brevi ed episodici, alla maniera diSammartini, e mostrano solo un'incipien-te velleità di coordinarsi in logica coe-renza di discorso. Avvenimento notevoledi questa tregua salisburghese, un primoamore, naturalmente infelice, per TeresaBarisani, amica della sorella. Si puòsupporre che abbia contribuito a matura-re l'animo candido e infantile di Mozarte gli abbia permesso di trattare con una

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certa coscienza di causa le smisuratepassioni che il teatro gli proponeva.

Il 13 agosto 1771 padre e figlio ri-partivano per Milano, dove Wolfgangdoveva attendere alla composizioned'una «serenata teatrale» per le nozzedell'arciduca Ferdinando (figlio di Ma-ria Teresa) con Maria Beatrice d'Este.Fu l'Ascanio in Alba, azione mitologicadell'abate Parini, specie di balletto can-tato, eseguito con successo il 17 ottobre.Qui, come nelle Sinfonie milanesi K.112 e 98, Mozart ricade in braccio alpiù completo italianismo, ma vi si muo-ve, però, con una sicurezza e un'eleganzadi compiuto maestro. Già il 16 dicembreavveniva il ritorno a Salisburgo: in quelgiorno stesso vi moriva il vecchio arci-

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vescovo Sigismondo di Schrattembach.Gli succederà (24 marzo 1772) il conteGerolamo von Colloredo-Walsee-Mels,uomo energico e attivo; tra lui e LeopoldMozart, amareggiato per l'esclusione dalposto di Kapellmeister, e pieno di boriaper i trionfi del figlio, non tarderà a pro-dursi un'incresciosa tensione, tanto piùche il nuovo arcivescovo non vedrà dibuon occhio le continue assenze dei suoidue musicisti. I gusti moderni, poi, delColloredo, modificarono il clima musi-cale salisburghese, sospingendolo versoil genere profano d'intrattenimento nelnuovo stile «galante».

Nel 1772, oltre a una Serenata dram-matica dedicata appunto al nuovo arci-vescovo (Il sogno di Scipione, su testo

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di Metastasio), insignificante lavoro dicircostanza, Mozart dà la piena misuradella raggiunta maturità con una fioriturastrumentale (8 Sinfonie e 4 Divertimen-ti) di assoluta padronanza tecnica. Il gu-sto rimane italiano: contrappunto poveroe scarso, sviluppi brevi ed episodici;l'impressione generale è piuttosto di vi-gore giovanile e di brio gioioso che divera passione romantica: ma tutto riscat-ta la smagliante fertilità della fantasiamelodica. Molto notevoli anche la gran-de Messa in do minore (K. 139), la piùvocale e italiana tra le messe di Mozart,ma irrobustita dal nobile contrappuntoappreso alla scuola di padre Martini, ela Sonata da chiesa in re per 2 violini,

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basso e organo (K. 144), impregnata dipatetica e grande drammaticità.

Con l'animo così ribollente di tumul-tuosa ispirazione sinfonica, Mozart ri-partì per l'Italia col padre (24 ottobre1772), e s'accinse a Milano alla compo-sizione del nuovo dramma richiestogli:il Lucio Siila, su mediocre e incoerentelibretto di Giovanni da Gamerra. Osta-colato da contrattempi teatrali non riuscìa ritrovare l'omogeneità e la purezza distile vocale dell'anno precedente: si gio-cò così, con l'esito mediocre della rap-presentazione (26 dicembre 1772), ilproprio piazzamento in quel grande mer-cato musicale ch'era allora il teatro ita-liano. Lucio Siila è il primo anello diquella serie di equivoci per cui Mozart -

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spesso accusato in patria di «italiani-smo» - non riuscì mai a diventare vera-mente popolare in Italia. Tuttavia alcuniframmenti - e cioè tre recitativi e arie diGiunia nonché il recitativo di Cecilio(Morte fatai0 seguito dalla funebre sce-na di Cecilio e Giunia con coro (Fuor diqueste urne) - presentano un'ardentebellezza e un'inconsueta profondità tra-gica. La loro intensa partecipazione af-fettiva rivela l'improvvisa crisi romanti-ca che Mozart attraversa in quest'ultimoviaggio italiano (1772-1773), soggia-cendo inaspettatamente all'onda di pate-tico wertheriano e di Sturm und Drang,che s'era mossa in quegli anni sull'Euro-pa.

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Rientrato col padre a Salisburgo, il13 marzo 1773, Mozart attraversa ora,per quattro anni, un periodo di raccoltamaturazione, durante il quale le acquisi-zioni dell'esperienza italiana vengonoper così dire decantate: cade ciò che èsuperfluo ed esteriore e sopravvive persempre, reagendo con il nuovo influssodei maestri salisburghesi - MichaelHaydn sopra tutti - quanto è stato vera-mente assimilato. Le opere del 1773, purtutte echeggianti di locuzioni italiane,vanno perdendo il nitido splendore for-male, la plasticità melodica dei capola-vori dell'anno precedente: invece il gu-sto del contrappunto si fa nuovamentestrada (probabilmente un riflesso dellamusica religiosa salisburghese) e si ma-

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nifesta una straordinaria predilezioneper gli strumenti a fiato, il cui impiegoviene promosso, nelle forme più svaria-te, sia nella sinfonia che in composizioniscritte esclusivamente per questi stru-menti (Divertimento in mi bemolle, K.166). Con risultati particolarmente felicisi manifesta il ritorno al gusto musicalesalisburghese nella bella Messa in domaggiore (K. 167), dove il contrappuntos'irrobustisce e i pezzi sono trattati allamaniera tedesca, secondo le leggi for-mali della sinfonia strumentale. Questoavviene non senza pregiudizio della reli-giosità e vocalità dell'opera (spessovoci e orchestra si passano, immutati, itemi). Ma, a parte ciò, tutto vi è chiaro,semplice, teneramente espressivo, e

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come profumato di grazia leggera. Bellospecialmente l'Agnus Dei.

Questo graduale ritorno di Mozartalle fonti del gusto musicale austriacotrovò coronamento in un breve viaggio aVienna, compiuto fra il 17 luglio e il 30settembre 1773 in compagnia del padre,il quale sperava di farlo succedere alGassmann, gravemente ammalato, nelposto di Kapellmeister. Vienna era allo-ra un fervido focolare di musica stru-mentale, ad opera appunto del Gass-mann, eccellente contrappuntista allievodi padre Martini, del vecchio Wagenseil,del Ditters, del Vanhall e, soprattutto,del grandissimo Haydn, il quale avevada poco pagato il suo tributo alla ventataeuropea di Sturm und Drang, conse-

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guendo in questa crisi romantica un note-vole arricchimento e approfondimento distile. Recentissimi, i suoi sei Quartettiop. 20, così detti «del sole», con 3 gran-di fughe a più soggetti, costituivano ilpiù autorevole invito al contrappuntoche si potesse desiderare. Lo stesso puòdirsi per sei Quartetti di Gassmann con2 fughe ognuno. In questa direttiva, d'unserio ideale musicale, di elevata poesiae soprattutto di superiore solidità di me-stiere, Mozart rientrò ora con la felicitàdi chi riscopre le radici profonde delproprio essere. Fu questa la rivelazione,veramente profonda e definitiva, diHaydn; di qui comincia l'attenta osserva-zione delle maniere assunte dal grandemodello, osservazione che in avvenire si

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trasformerà in un reciproco scambio difruttuose influenze. E fu per Mozart l'in-gresso definitivo nella scuola viennese,da cui non lo staccherà più sostanzial-mente nemmeno la grande esperienza diMannheim e Parigi nel 1777. Sei Quar-tetti sono le composizioni principali diquesto breve ma importante soggiornoviennese.

I primi mesi seguiti al ritorno in pa-tria, e cioè dall'ottobre 1773 fino all'in-circa al maggio 1774, sono una coscien-ziosa rimeditazione delle esperienzeviennesi. Un'arte dotta, nobile ed elevataè la meta che Mozart si propone: all'am-piezza delle forme, alla vastità delle di-mensioni corrispondono coraggiosamen-te l'intensità e dignità del significato.

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Qualunque opera a cui Mozart mettamano in quest'epoca, gli si configura se-condo un vasto piano formale e una soli-da tecnica di composizione: fossero an-che 16 Minuetti (K. 176) ordinatigli sulfinire del 1773 per le danze del prossi-mo carnevale. Dai viennesi e dai dueHaydn vengono presi a prestito tutti gliartifici tecnici che permettano di realiz-zare questo sogno di grandiosità e d'ele-vazione: ampiezza degli sviluppi conuso frequente del contrappunto, impiegodella forma sonata anziché del rondò an-che nei finali, reintroduzione del primotema dopo il secondo, aggiunta ad ognipezzo d'una lunga coda con doppia ri-presa. Quest'ultimo particolare è mutua-to specialmente da Michael Haydn, la

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cui efficacia giganteggia ora sull'oriz-zonte mozartiano.

L'Italia aveva schiuso a Mozart levie del cuore, l'ispirazione appassionatae romantica nella dedizione a un idealedi vibrante intensità espressiva. Viennagli aveva rivelato la meta d'un'arte au-stera e dotta, solidamente basata e gran-diosamente concepita. Dalla fusione diqueste due influenze, nella quiete sali-sburghese, erano nate alcune opere cherappresentano i culmini della produzio-ne giovanile di Mozart: l'ultimo deiQuartetti viennesi in re (K. 173), il pri-mo Concerto per pianoforte (K. 175), edalcune Sinfonie, come quella in la (K.201) e soprattutto quella mirabile, in solminore (K. 183), che già anticipa la tre-

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pida drammaticità dell'omonima Sinfo-nia del 1788, ed afferma una volta pertutte la concezione mozartiana di questatonalità. Ma verso la primavera del1774 l'austera maturità artistica a cui ilcompositore, non ancora ventenne, erapervenuto, comincia a vacillare di frontealla nuova moda europea che rapida-mente dilaga, che già ha travolto Haydn,e che a Salisburgo, favorita in tutti imodi dal gusto moderno e frivolo delnuovo arcivescovo, è praticata da Mi-chael Haydn con l'entusiasmo d'una in-nata predisposizione. Ed ecco che dopoun'ultima Sinfonia (K. 202), nella qualeil nuovo gusto già appare a chiare note,questa nobile forma strumentale vieneabbandonata per molti anni e cede il

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passo a un diluvio di Serenate, Diverti-menti, Cassazioni, Tafelmusiken, ecc. Ledimensioni dei pezzi si riducono, il con-trappunto languisce, limitato tutt'al più aqualche intervento umoristico, i singolipezzi, benché più brevi, perdono di coe-sione: molteplicità di temi giustapposti,con atrofizzazione dello sviluppo, è lacaratteristica dello stile galante. Il musi-cista vuole essenzialmente brillare e di-vertire, facendo mostra della propriafantasia nell'invenzione di motivi facili eattraenti, più volte ripetuti per il pigropiacere di ascoltatori che non voglionoaffaticarsi a seguire la logica d'un di-scorso musicale. La grazia piccantedell'eleganza esteriore succede al tumul-to appassionato della crisi romantica.

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L'espressione si fa generica e conven-zionale. È una musica che si propone so-prattutto di sedurre; ma bisogna dire checi riesce.

Il definitivo trapasso allo stile ga-lante sarà perfezionato dalla composi-zione di un'opera buffa per Monaco, Lafinta giardiniera (13 gennaio 1775), sulibretto alquanto sconclusionato giàmesso in musica da molti italiani, ultimoe maggiore l'Anfossi. Quale ora la cono-sciamo, la partitura della Finta giardi-niera subì molto probabilmente due re-visioni, intorno al 1779-80 e nel 1789;ciò spiega la sorprendente maturità dialcune parti. Ma in complesso è operamediocre che, se supera di gran lunga ilmodello italiano dell'Anfossi in fatto di

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pura musicalità, gli rimane inferiore sot-to l'aspetto vocale e quanto a capacità dispensierato divertimento. La prontezzadi Mozart a cogliere ed esagerare ognipossibilità di patetica malinconia offertadalla vicenda, crea spesso incongruenzecol libretto, francamente buffo e stram-palato. Né d'altra parte è ancora il casodi parlare d'una coerente caratterizzazio-ne dei personaggi. Nel finale dell'atto(adagio, maestoso, allegro) è da ricer-care il meglio dell'opera.

Sarebbe esagerato ascrivere total-mente al passivo la produzione del pe-riodo galante. Anzitutto, la poeticità inti-ma e ispirata tende a rifugiarsi nei tempilenti, che cominciano la loro meravi-gliosa ascesa verso un ideale di sognan-

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te ed estatica malinconia, rapita nell'eb-brezza d'un amplissimo canto. L'andantediventa quasi il cantuccio che Mozart siriserva per la parte migliore di sé. Inol-tre, ancora una volta, la restrizione deipropri ideali non manca d'un aspetto sa-lutare, secondo quanto osservano acuta-mente Wyzewa e Saint-Foix

C'era infatti, nelle alte ambizionirivelate dalle opere di Mozart nel1773 e 1774, qualcosa di spropor-zionato alla sua età, alla sua pocaesperienza di vita: tuffandosi intera-mente in una galanterìa di merapiacevolezza esteriore e superficia-le, egli ha potuto rendersi più asso-lutamente padrone dei propri mezzie costituire in sé quel senso incom-parabile di pura perfezione che

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avrebbe in seguito trasportato incampi più vasti e più degni di lui.

E nell'ambito stesso dello stile ga-lante Mozart sale a poco a poco ad unasquisita perfezione, «consistente in unacontinua semplificazione, epurazione etrasfigurazione poetica delle sue idee»,con riduzione dell'elemento virtuosisti-co, eliminazione degli effetti di contra-sto un po' facili e volgari, concentrazio-ne unitaria dello schema formale ottenu-ta saldando più strettamente gli sviluppiai temi, arricchimento dell'apparato stru-mentale, crescente intensità lirica deitempi lenti. Questo progressivo raffina-mento dello stile galante culmina nel1776, dopo un nuovo svogliato esperi-mento teatrale per Salisburgo: Il re pa-

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store, dramma per musica su testo diMetastasio, frettolosa opera di circo-stanza composta nell'aprile 1775, scarsadi rilievo drammatico, non priva di gra-zia melodica, ma limitata ad un'espres-sione generica e illustrativa, senza inti-ma partecipazione. È da segnalare la vi-vace ouverture, la prima di Mozart chesegua la forma classica di questo genere,in un sol pezzo, e non sia una sinfoniateatrale all'italiana, in tre tempi. Al per-fezionamento stilistico del 1776 si ritie-ne abbia contribuito la frequentazione diambienti raffinati e aristocratici, come lesale della contessa Lodron, alle cui fi-gliole Mozart impartiva lezioni di musi-ca, non insensibile - probabilmente - alloro fascino. Un'altra donna che avrà tra

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poco grande influenza sull'animo di Mo-zart è la signora Dusěk, intelligente can-tante di Praga, moglie d'un compositoreed eccellente conoscitrice dei classici.Per lei, di passaggio a Salisburgo, Mo-zart comporrà una scena drammaticadall'Andromeda (K. 272), intensamenteespressiva. Indipendentemente da parti-colari biografici, è certo che nella pro-duzione mozartiana di questo periodoregnano la pienezza fresca e salubre,l'esuberanza comunicativa d'un animogiovanile che l'amore schiude a un'otti-mistica confidenza, nell'abbandono fidu-cioso alle gioie della vita e al gusto deibrillanti rapporti sociali.

Le stesse prerogative della galante-ria musicale, come la tendenza ad un vi-

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stoso stile «concertante», qualche po'virtuosistico ed esteriore, danno eccel-lenti frutti nella fioritura dei Concertiper violino e per pianoforte, negli innu-merevoli Divertimenti e Serenate, doveappunto si ammirano il graduale perfe-zionamento e la sobria, armoniosa raffi-natezza dello stile galante, non senza oc-casionali empiti d'amoroso lirismo (so-prattutto negli adagio), e di pateticadrammaticità. Ma sul finire del 1776 sidetermina una crisi, che inizia il supera-mento della fase «galante». Mozart sitrincera improvvisamente nella musicasacra: nient'altro che tre Messe in domaggiore (K. 257, 258, 259) ci offre lasua produzione nota fra ottobre e dicem-bre del 1776. E mentre le opere religio-

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se del 1774 (Messa breve in do, K. 220;Grande Messa in do, K. 262; Litaniaede Venerabili Altaris Sacramento, K.243; Offertorio Venite Populi, K. 260)rivelavano l'infiltrazione del gusto «ga-lante» anche nella musica religiosa, orala Messa K. 258 è fra le più semplici ereligiose che Mozart abbia mai scritte,grazie all'abbandono d'ogni ornamentotroppo mondano, e all'adozione d'un lin-guaggio realmente polifonico, con pienaequivalenza delle 4 voci. Inoltre è ancheabbandonato l'impiego di forme sonati-stiche profane dove la ripresa dei temiavveniva spesso in contrasto col signifi-cato delle parole: qui ogni pezzo è dur-chkomponiert, cioè musicato da capo afondo secondo le esigenze espressive

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del testo, e senza che per questo si perdal'interiore unità musicale della composi-zione. Questa vena di pura ispirazionereligiosa si prolungherà nell'anno se-guente, e il 9 settembre 1777, 15 giorniprima di partire per il grande viaggio diMannheim e Parigi, in cerca d'un'affer-mazione europea e d'una sistemazionedefinitiva, Mozart ci darà, col SanctaMaria (K. 273), un capolavoro della suamusica sacra, degno di reggere il con-fronto con l'immortale Ave Verum del1791: non opera di commissione, mapreghiera individuale, vero gridodell'anima che si raccomanda e consacraalla Vergine in questo momento solennedella vita.

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Anche le opere profane di quest'anno1777 - soprattutto il grandioso Concertoper pianoforte in mi bemolle, K. 271, losquisito Divertimento in si bemolle, K.287, scritto per la contessa Lodron e ilDivertimento in si bemolle, K. 270 - nonriescono più a contenersi nei limiti dellostile «galante». La cristallina perfezioneormai raggiunta in questo ambito si rom-pe per un'improvvisa estensionedell'orizzonte artistico. Se la musica sa-cra è stata il banco di prova a cui Mo-zart ha riconosciuto l'insufficienza dellostile finora seguito, ora l'insoddisfazionesi riversa sulla musica strumentale.Scontento di sé, dell'ambiente in cuivive, della servitù all'arcivescovo, Mo-zart si trova per la prima volta senza

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modelli, senza uno stile precostituito sucui esemplare la propria fantasia - se-condo quella sua prodigiosa facoltà diaffermare, vivida e intensa, la propriaoriginalità nella simbiosi con un preesi-stente organismo stilistico. Studia i clas-sici, forse anche sotto l'influenzadell'amata e colta Dusěk, e ne imita svo-gliatamente i procedimenti esteriori (Di-vertimento in mi bemolle, K. 289; Triod'archi in si bemolle, K. 266). Ma è pa-lesemente fuori del proprio equilibrio; ecosì come il desiderio, anzi il dovere dicostituirsi ormai, sulla soglia della viri-lità, una posizione indipendente, lo spin-ge al grande esodo parigino, similmentela sua arte muove alla ricerca d'un nuo-vo stile che - esaurito il ciclo della poe-

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sia amorosa giovanile, dei vent'anni infiore, della vita che sorride all'adole-scenza fiduciosa - possa accogliere de-gnamente le approfondite esigenzedell'età matura.

L'insoddisfazione di Salisburgo edel suo gusto musicale s'era già manife-stata da circa un anno. Il 7 settembre1776, inviando al padre Martini, a Bolo-gna, un proprio saggio di composizionecontrappuntistica (l'offertorio Miseri-cordias Domini in re minore, K. 122,composto l'anno innanzi su richiestadell'Elettore di Baviera), gli scriveva:«Vivo in un paese dove la Musica fa po-chissima Fortuna... Non abbiamo Musi-ci6 e non li avremo così facilmente, giàche vogliono essere ben pagati: e la ge-

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nerosità non è il nostro difetto». E pre-gandolo d'un giudizio sincero, continua-va, con precoce assennatezza: «Viviamoin questo mondo per imparare e sempreindustriosamente, per mezzo di ragiona-menti d'illuminarsi l'un l'altro e d'affati-carsi di portar via sempre avanti lescienze e le belle arti». Questa vena disentenziosa maturità si farà d'ora innanzisempre più pronunciata nelle sue lettere,specialmente in quelle rivolte al padre,una volta spiccato il volo dal natio bor-go selvaggio, per assicurarlo della pro-pria serietà. In corrispondenza all'ap-profondimento della sua arte, passata or-mai oltre alla spensierata leggerezzadello stile «galante», l'eterno fanciullo,l'irrequieto e cinguettante cardellino, si

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mostrerà spesso sotto l'aspetto, più omeno sincero, d'un severo moralista.

Siamo ora all'ultimo grande viaggio,per la conquista del mondo. Il 23 settem-bre 1777, ottenuto il permesso dall'arci-gno arcivescovo, aveva luogo la parten-za. Il padre, questa volta, dovette rinun-ciare ad accompagnarlo, ché non potevapiù decentemente assentarsi dai suoi do-veri di viez-Kapellmeister. Ma di la-sciarlo partire solo, nonostante i 21 annicompiuti, non si parla nemmeno: vigilescorta contro i pericoli che il mondo ri-serva ad un improvvido giovanotto, avràquesta volta la madre, cui questo viaggioriuscirà fatale. Dopo vani tentativi pertrovare una sistemazione a Monaco, essiprocedono (12 ottobre) per Augusta,

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dove frequentano la casa del fabbricanted'organi e pianoforti, Andrea Stein: suafiglia Nanette era un'ottima esecutrice.Ad Augusta, Mozart conta pure una sim-patica e pazzerella cugina, con la qualeintesse un amoretto in piena regola tuttoa base di lazzi e sberleffi e birichinate.Ma nemmeno Augusta offre alcuna pos-sibilità concreta, e bisogna proseguire ilviaggio. Il 30 ottobre i due pellegrini ar-rivano a Mannheim, la piccola capitaledel Palatinato, culla della scuola di mu-sica strumentale illustrata da Johann Sta-mitz e sede di quell'orchestra, la cui ve-locità e precisione erano celebrate intutta Europa. Ne era allora direttoreChristian Cannabich, e Mozart non tardaa frequentarne la casa, scrivendo per sua

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figlia Rosa, poco più che tredicenne, unaSonata per pianoforte (K. 309): l'andan-te, pensieroso e gentile, vuol essere unritratto musicale della giovane personci-na. Intorno a lui abbondavano, anche aMannheim, le gonnelle: lo troviamo as-siduo frequentatore delle cantanti Wend-ling, madre e figlia. Quest'ultima, ven-tenne, aveva già un ricco passato comeamante del Principe Elettore; per leiMozart scrive due amabili canzoni fran-cesi (K. 307 e 308) e per la madre unrecitativo e aria dalla Bidone di Meta-stasio (K. Anh. 436). Ma il fatale incon-tro di Mannheim fu quello con la fami-glia Weber: tra le quattro figlie del copi-sta Fridolin Weber, tutte più o meno bra-ve cantanti, la seconda, Aloysia, dicias-

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settenne, incatena il cuore di Mozart nel-la grande sfortunata passione della suavita, mentre la terza, Konstanze, per orainosservata, diverrà fra quattro anni suamoglie. A Mannheim, poi, due fatti riac-cendono nel cuore di Mozart i furori tea-trali e patriottici: la visita del poetaWieland, in cui molto si sperava per larestaurazione del teatro nazionale, e larappresentazione dell'opera tedescaGünther von Schwarzburg, di IgnazHolzbauer. Ma anche qui falliscono tuttii tentativi per farsi prendere in conside-razione: la sospirata commissione diun'opera non gli è accordata e il 14 mar-zo 1778 Mozart, con la madre, abbando-na la bella cittadina, così sonora di mu-siche e così ricca di graziose fanciulle,

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d'una delle quali egli porta nel cuore fe-dele l'indelebile ricordo.

Rumorosa e distratta, Parigi accogliei due viaggiatori il 23 marzo 1778. Mo-zart s'arrabatta invano per farsi notare.Grimm non gli presta il suo valido ap-poggio: non è più il fanciullo prodigiodel 1763, ma un pianista e compositoredi 22 anni, la cui reputazione, in sostan-za, è tutta locale e provinciale. Qualcheconcerto, qualche lezione, qualche ordi-nazione di musica strumentale: l'istitu-zione del «Concert spirituel» lo incaricadi completare un Miserere di Holzbauer;una mirabile Sinfonia concertante (K.Anh. 9) non viene eseguita; la Sinfoniain re (la Parigina, K. 297) ottiene vivosuccesso (18 giugno). Ma col teatro,

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dove bisognerebbe affermarsi, niente dafare. Noverre, maestro di ballodell'Opéra, gli ordina un balletto, Lespe-tits riens, eseguito l'i 1 giugno al seguitodelle Due gemelle, di Piccinni. Ed è tut-to. Il padre lo tempesta di saggi e merce-nari consigli: adattarsi al gusto della na-zione, ascoltare prima di scrivere, poifare ciò che piace ai parigini. « Io ti co-nosco: tu puoi imitare qualunque cosa»(11 maggio 1778).

Intanto, dopo 20 giorni di malattia,muore la madre (3 luglio 1778): per laprima volta l'ala della sventura si abbat-te su Mozart, così infantilmente immatu-ro. «In vita mia non avevo mai vedutomorire nessuno.... e la prima volta dove-va essere appunto mia madre» (31 luglio

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1778). Eccolo solo, passabilmente sper-duto nella grande città, col cuore op-presso dal lutto materno e torturato da unamore fierissimo che, nella lontananzadell'oggetto amato, lo tiene a disagio elo intralcia nella sua attività. Persegueinsensati progetti d'una sistemazionecollettiva per sé e per tutti i Weber, stra-carichi di debiti, soprattutto per Aloysia,che egli vorrebbe lanciare come grandecantante. Scrive per lei un recitativo earia, Popoli di Tessaglia, dal librettodell'A/-ceste di Gluck, disseminato d'in-verosimili prodezze canore, del restotragicamente espressivo. Il padre, allar-mato di saperlo solo a Parigi, e istigatoda Grimm, che vorrebbe onorevolmentelevarsi d'attorno l'incomodo compatrio-

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ta, così poco esperto delle astuzie ne-cessarie a raggiungere il successo, insi-ste perché egli ritorni a Salisburgo, dovela morte di anziani musicisti di corte halasciato adito alla possibilità di buonesistemazioni. La «schiavitù di Salisbur-go» si dipinge come «odiosa» nel ricor-do di Mozart: «In parola d'onore, giuroch'io non posso soffrire né Salisburgo néi suoi abitanti, la loro lingua, i loro co-stumi e il loro modo di vivere mi sonoinsopportabili...» (8 gennaio 1779).

Ma è giocoforza abbandonare Parigi(26 settembre 1778), per una lunga e ri-luttante via di ritorno. Per Mannheim (6novembre) raggiunge i Weber a Monaco(25 dicembre), dov'essi si sono trasferi-ti, ed ha l'amara delusione di scoprire

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che più niente sussiste nell'animo diAloysia, di quella tenera attenzionech'essa sembrava avergli dimostrata unanno innanzi. Pervenuta al successo del-la prima scrittura teatrale, poco le im-portava ormai dell'oscuro maestrino cheera fallito nel tentativo di farsi un nomea Parigi. Fu un duro colpo per Mozart,una ferita dolorosa al suo sorridente ot-timismo. Ma l'ordito del suo animo èstrano: i dolori, per quanto profondi, nonvi fanno presa. Come nella sua arte, l'al-legria più spensierata può convivere conla tristezza. Per consolarsi, chiama daAugusta la Bäsle, l'arguta cuginetta: edella si affretta a raggiungerlo. Insieme sidivertono un mondo e mezzo, combinanoun sacco di birichinate, malignano sul

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conto del prossimo e fanno il verso aquesto e a quella; infine raggiungono in-sieme Salisburgo, il 15 o 16 gennaio1779. Il vecchio Leopold li attende im-paziente.

La grande querelle Gluck-Piccinni,che divideva Parigi in avversi campimusicali, sembra avere interessato Mo-zart men che mediocremente. AvvicinòPiccinni, manifestando nei suoi riguardiuna certa diffidenza. Maggiore interessedovette provare per Gluck, così diversoda lui e il solo, tra i due, in grado didargli qualcosa che a lui mancasse: ilsenso del dramma, l'appropriazione mu-sicale della parola umana. Il recitativo earia Popoli di Tessaglia fornisce la pro-va di questo interesse; Idomeneo sarà,

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tra pochi anni, la conferma. Ma l'espe-rienza parigina di Mozart si svolge so-stanzialmente nel campo della musicastrumentale e si combina con i preziosiacquisti tecnici suggeritigli dall'orche-stra di Mannheim: una scrittura più riccae appropriata per gli strumenti, condottispesso ad altezza virtuosistica di esecu-zione, e talvolta isolati in un gruppettodi solisti contrapposto all'orchestra, se-condo il gusto concertante in voga a Pa-rigi; per non parlare della conoscenzacol clarinetto, che diverrà il suo stru-mento preferito. L'atticità concisa echiara del gusto parigino lo libera dalleeccessive lunghezze e ripetizioni, chepiacevano ai placidi salisburghesi. In-sieme a Gluck e agli espressivi musicisti

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dell'opera comica, Grétry, Philidor e ilsinfonista Gossec, è l'ombra di Schobertche gli viene incontro dagli anni dellasua infanzia. L'espressione si fa netta eprecisa, più parlante e teatralmente og-gettivata, con contrasti accentuati in unaforma agile e moderna, d'esteriore pia-cevolezza. Ma tali conquiste tecnichenon avvengono senza un momentaneoinaridimento interiore: invano si cerche-rebbe nelle opere parigine il soffio dipoetica ispirazione che sollevava quelledel ventenne compositore a Salisburgo.Le frasi si fanno brevi e geometriche; uncerto disagio ed un senso di costrizione,di volontaria ricerca a scopo di esperi-mento, dissipano il profumo primaveriledi quelle fresche melodie e rivelano una

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crisi di novità tumultuosamente affollan-tisi e non perfettamente assimilate.

In patria, Mozart viene subito nomi-nato Konzertmeister di corte e organistadella cattedrale, e questo ha per effettod'intensificare la produzione di musicareligiosa, fenomeno del resto consuetonei suoi soggiorni salisburghesi. Nelbiennio 1779-1780 egli elabora un tipodi musica sacra che non ha più il teneroraccoglimento soffuso di soave unzionedegli anni giovanili, ma nello stile con-trappuntistico penetrato di grandiosità edi sfarzo, nella prevalenza del tono dido maggiore, rivela un'ispirazione piùenergica e virile (Krönungs-Messe K.317; Vesperae de Dominica K.3 21 ;Messa in do K. 337). E nella cupa tragi-

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cità di un Kyrie in re minore (K. 341),composto a Monaco nel 1781, già sipreannuncia l'intima religiosità, materia-ta di trascendente rassegnazione, delleultime opere sacre, non escluso il Re-quiem. Ma il carattere che sovrasta suquest'ultimo periodo salisburghese è lapassione teatrale, attizzata dal ricordodella riforma drammatica di Gluck edella viva semplicità dell'opera comicafrancese. Un esperimento teatrale cheaveva pure impressionato Mozart duran-te il suo passaggio per Mannheim erastato quello dei cosiddetti «melodram-mi» di Georg Benda (1722-1795): melo-loghi, noi diremmo, dove la recitazionedei versi viene commentata da uno sfon-do di musica strumentale. Una Semira-

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mide, che Mozart aveva composto inquesto modo, è andata perduta, ma duescene di «melodramma» ci rimangononell'opera incompiuta Zaide (1779-1780), che piega la burlesca vivacità delSingspiel ad espressioni di patetica eonesta cordialità, nel genere della com-media lacrimosa.

A Salisburgo la passione teatralevenne alimentata dalla presenza dellacompagnia d'un attore girovago, certoBöhm, cui seguì (1780) quella del cele-bre Schikaneder, singolare personaggioche pare uscito dalle pagine del WilhelmMeister goethiano: maneggione infatica-bile in cui si mescolavano un attore diplateale comicità, un impresario arditis-simo e appassionato, un regista di spet-

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tacolose messe in scena, autore e ridut-tore fornito di senso infallibile dell'ef-fetto: un eroe, a modo suo, della grandepassione tedesca per il teatro nazionale.Con lui questo teatro, musicale o no, ri-schiava ad ogni istante di cadere al li-vello d'un moderno circo equestre, maacquistava finalmente immediatezza divita, freschezza d'invenzione personale emoderna, e si spogliava dei gelidi e im-barazzanti paludamenti classici. Graziea qualche aria composta da Wolfgangper questo o quello spettacolo, i Mozarterano ammessi gratuitamente a tutte lerappresentazioni, e difficilmente ne per-devano una; fratello e sorella discuteva-no animatamente gli spettacoli e teneva-no nota in un diario delle loro impres-

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sioni. Sotto la guida di una vecchia vol-pe del teatro, Mozart fu così ricondottonell'atmosfera eccitante e suggestiva delpalcoscenico.

È in questo teatro popolare di Sa-lisburgo, pieno di novità, alimentatoda teste calde e da spiriti novatori,che si elabora l'arte da cui nasceran-no Figaro, Don Giovanni e i perso-naggi tragici e buffi del Flauto ma-gico (Saint-Foix).

Non si tardò ad attuare una collabo-razione più stretta, poiché Schikanederrimise in scena il dramma eroico di Ge-bler Thamos re d'Egitto, per il qualeMozart aveva scritto alcune musiche nel1773, al suo ritorno dall'Italia. Ora essefurono rielaborate con l'aggiunta di un

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coro e di una scena-melologo. È questoun capitolo di preistoria del Flauto ma-gico, che rivela i precedenti della colla-borazione Mozart-Schikaneder intornoal vago simbolismo di soggetti orienta-leggianti, a base di gran sacerdoti, ditempli del Sole e di saggezza occulta.Temi come la costanza generosa d'unpuro amore femminile, l'illuminata bene-ficenza d'un principe saggio e l'aspira-zione a salire dalle tenebre alla luce,dovevano trovare intima rispondenzanell'animo di Mozart, esacerbato dallarecente delusione amorosa e dalla cre-scente intolleranza per il giogo dell'arci-vescovo.

A sfogare pienamente la febbre tea-trale valse l'ordinazione di un'opera se-

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ria per il carnevale 1781 a Monaco.L'abate Varesco, cappellano di corte diSalisburgo, preparò il pomposo librettodell'Idomeneo, dalla tragedia di Crébil-lon (1705). Freddo e banale nonostantela grandiosa nobiltà del soggetto, il la-voro del pedante abate ospitava tutte letare che già facevano dell'opera seria ungenere morto e condannato. Per di piùMozart dovette preoccuparsi delle pos-sibilità dei cantanti, ché il protagonistaera un tenore vecchio, celebre e sfiatato,e oltre ad aver riguardo alla sua scarsalena, bisognava fornirgli arie vecchiotte,in quello stile Hasse 1750, cui egli an-dava debitore dei suoi trionfi giovanili.Né, del resto, Mozart era molto portatoall'espressione della pomposa solennità

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regale, che invece riusciva così bene aGluck. Meglio lo attraeva la parte amo-rosa ed elegiaca di Idamante, figlio delre Idomeneo, innamorato della schiavatroiana Ilia, e dal padre inconsciamentevotato al sacrificio. Potè scrivere amodo suo, in stile arduo e modermo, leparti femminili, quella dolce e rassegna-ta, assolutamente mozartiana, di Ilia, equella di Elettra, prettamente gluckiananella sua veemente e forsennata tragici-tà: erano impersonate da intelligenti can-tanti, una delle quali era l'amica di Au-gusta, la Wendling.

E soprattutto riempi di musica, ine-sauribile nell'invenzione, varia d'espres-sione or lieta, or soave, or tragica, orsolenne e pomposa, i cori, che costitui-

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scono la vera grandezza dell'opera, in-sieme al quartetto del secondo atto, pri-mo grande assieme drammatico di Mo-zart, documento di raggiunta maturitàteatrale. Accuratissimi i recitativi ac-compagnati, audace l'armonia; lo stru-mentale, psicologicamente espressivo,arricchito secondo la recente esperienzamannheimista, segna una svolta nellastoria del teatro musicale soprattutto peril magistrale impiego degli strumenti afiato, e si lascia ben alle spalle l'arcaicamagrezza dell'orchestra di Gluck. Lemelodie hanno linee pure, ampie, calme,insomma, quella larga sobrietà che èpropria della tragedia. Eppure l'Idome-neo, con tutta la sua ricchezza di musica,non è un'opera pienamente vitale. Accet-

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tando di musicare un'opera seria, Mozartdovette conformarsi ad un ideale che gliera estraneo. Dovette accettare una for-ma di teatro preesistente e rigidamentecodificata dentro una rete di regole e diconvenzioni. « In Idomeneo, come inTito, realizza una bellezza un pocoastratta, dai contorni purissimi, ma fred-di» (Chantavoine). La vera vocazioneteatrale di Mozart era per l'opera comi-ca, o piuttosto tragicomica. «E l'in tri-stitia hilaris, in hilaritate tristis che as-sicura l'immortalità al suo teatro»(Prod'Homme). Inoltre, nonostante unaesteriore patina gluckiana e qualche pre-ciso punto di contatto, Mozart si attennein sostanza assai più che alla riformadrammatica gluckiana, all'ideale consue-

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to dell'italiana opera seria, col suo rigi-do schematismo formale, con l'indipen-denza della musica verso le parole, conla sua condiscendenza verso pubblico ecantanti. Ideale consunto e ormai prigio-niero della retorica classicheggiante,che non potè essere ravvivato nemmenoda una così ricca e pura musicalità, poi-ché raramente la bellezza musicale coin-cide con la verità drammatica: si potreb-be dire che i due elementi stannonell'opera distinti e giustapposti, e l'unosi deve a Mozart, l'altro risale a Gluck.Ma con l'Idomeneo Mozart produsse ilpiù bell'esemplare di opera seria delSettecento e il più alto esito teatrale dalui raggiunto nella pratica delle forme edegli schemi convenzionali.

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Il successo dell'opera (29 gennaio1781) fu buono, e Mozart, che aveva la-sciato Salisburgo per Monaco il 5 no-vembre 1780, vi rimase ancora più d'unmese, ben oltre il termine del permessoaccordatogli. L'arcivescovo, già daqualche tempo dimorante a Vienna, lochiamò imperiosamente presso di sé.Non c'era che da obbedire, e Mozartgiunse alla capitale il 16 marzo 1781.Costretto, secondo l'usanza, a mangiarealla tavola dei domestici, senti ancor piùintollerabile il peso della servitù. Nellagrande capitale, che coi suoi saloni d'in-telligenti amatori gli pare offra infinite ericchissime possibilità, morde il freno,sempre più malcontento e indispettito.L'idea del prossimo forzato ritorno in

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provincia lo esaspera. La situazione sifa sempre più tesa, fino alla rottura irri-mediabile. L'ora delle grandi decisioni èsuonata: invitato a partire per Salisburgoda un giorno all'altro, Mozart, che dove-va ancora riscuotere varie somme dovu-tegli in Vienna, rimanda la partenza ditre giorni. Apostrofato violentementedall'arcivescovo, che lo tratta da strac-cione, birbante, cretino, dà le propriedimissioni (9 maggio) e non riuscendo afarle accettare si reca a sollecitare un ri-scontro dal maggiordomo conte Arco:questi si impazientisce e lo caccia viacon una pedata nel sedere assicurandosi,a modo suo, un posto nella storia (9 giu-gno 1781). Il seguito, fino al matrimoniocon Konstanze Weber (4 agosto 1782,

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due giorni prima che arrivasse il rilut-tante consenso del padre), fa tutto partedi quest'atto di volontà e d'insubordina-zione - l'unico della sua vita - col qualeMozart si conquistò l'aspra e faticata li-bertà virile. Nella difesa di quanto ave-va di più sacro al mondo - la propria li-bertà artistica - Mozart, così mite e re-missivo, fu tenace, ostinato, indomabile.«Odio l'arcivescovo fino al furore»,scriveva il 9 maggio 1781. Contro tuttele prudenti esortazioni paterne, non vol-le saperne di «seppellire a Salisburgo lasua gioventù e il suo ingegno» (11 apri-le 1781). Difese energicamente quantogli restava dell'antica serenità dell'ani-mo, il benefico humus dove meglio ger-mogliava il fiore dell'arte sua.

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Creda pure che non amo oziare,ma lavorare. A Salisburgo mi sapevafatica e quasi non mi poteva decide-re. Perché? Perché il mio animonon era allegro (26 maggio 1781).

Toccò dunque a Mozart, così timidoe inetto alla vita pratica, romper clamo-rosamente con la vecchia condizione so-ciale del musicista in seno alla societàsettecentesca, condizione di funzionarioo - per essere più crudamente esatti - diservo dell'aristocrazia. Haydn, ch'era disoli 24 anni più vecchio di Mozart, eche gli sopravvisse a lungo, potè ancorabenissimo lavorare a servizio della no-bile famiglia Esterhazy, indossarne la li-vrea, accontentarne con diligenza i desi-deri musicali. Il passo che l'inoffensivo

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Mozart compì a 25 anni fu decisivo nonsolo per la sua vita d'uomo e di artista,ma per le sorti e le condizioni future delmusicista nella società: stabilitosi perproprio conto a Vienna, cominciò a lot-tare coraggiosamente per vivere del pro-prio libero lavoro di musicista. Da quelmomento il compositore cessa d'essereun funzionario, un salariato della Chiesao dell'aristocrazia, e diventa quel cheoggi si direbbe un libero professionista.Offre la propria musica sul mercato, ac-cettando di subire le pericolose leggidella concorrenza, dell'offerta e della ri-chiesta. Era un fatto di cui non si avevafino allora l'idea nel mondo musicale te-desco (in Italia si: gli operisti vivevanogià da tempo del loro lavoro teorica-

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mente indipendente, di fatto in condizio-ni spaventose d'assoggettamento ai ca-pricci altrui, determinate appunto dalgioco incontrollabile delle leggi di mer-cato sui fatti della produzione artistica;anche in Inghilterra si aveva una condi-zione simile di apparente libertà profes-sionale, e Händel ne aveva fatto la duraesperienza). La ribellione di Mozartsarà un fatto d'incalcolabili conseguen-ze, che pone le basi di quella libertà as-soluta della creazione artistica, necessa-ria all'espansione dell'imminente indivi-dualismo romantico e in seguito, ai gior-ni nostri, pervenuta già a presentare ilconto con la solitudine a cui l'artista sisente condannato. L'arte, che in un'im-pennata di nobile orgoglio romantico

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non aveva più voluto servire a nessuno,si trova a chiedersi se serve a qualchecosa.

I Weber stavano a Vienna dall'autun-no 1779, perché Aloysia cantava al tea-tro Nazionale. Era morto il padre, la-sciandole tutte nei guai. Il 31 ottobre1780 Aloysia aveva sposato l'attore Jo-seph Lange ed aiutava probabilmente lamadre e le sorelle, ridotte ad affittar ca-mere. Mozart, rifugiandosi presso costo-ro, cercava soprattutto una famiglia, unacasa, una generica assistenza femminile,di cui mai aveva saputo fare a meno. Ilsuo amore per una regolare esistenza ca-salinga era pari soltanto alla sua totaleincapacità di realizzarla. L'umanità sem-plice e volgare di mamma Weber e delle

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tre figliole, coi loro pettegolezzi e leloro ciarle insignificanti, non gli dispia-ceva. Accanto al sublime delle aspira-zioni artistiche c'era in lui un bisogno disemplice banalità, un gusto del frizzovolgare, del passatempo inintelligente. Èil dualismo Tamino-Papageno, umanitàperfetta e naturale istinto, ch'egli portain sé ed eternerà nell'ultima sua opera.Nella straordinaria semplicità e natura-lezza della sua vita, Mozart non posavaa genio: del proprio lavoro parlava malvolentieri, e se mai ironizzando; nondava a nessuno l'idea d'essere un grandeartista. Il Mozart che amici e parenti co-noscevano, facezioso, bambinesco, co-casse, era il Mozart-Papageno. L'altro,

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il Mozart-Tamino, era un segreto per tut-ti.

La buffoneria della sua giovialitàera una maschera dietro la quale riu-sciva a riparare, per una specie dipudore, il suo cuore d'artista (Schu-rig).

Chi comprese benissimo questomeccanismo di maschera protettiva fu ilcognato Lange, attore e pittore, che tral'altro ci lasciò uno dei migliori ritrattidel musicista. Nella propria autobiogra-fia scrive:

Mai Mozart si dava meno a dive-dere come grand'uomo nei suoi di-scorsi e nei suoi gesti, come quandoper l'appunto era occupato in un la-

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voro importante. Allora egli nonsolo parlava per dritto e per traversoconfusamente, ma faceva scherzid'un genere che non gli era abituale,anzi, si trascurava perfino visibil-mente nel comportamento. E intantosembrava che continuasse a covare ea pensare su non si sa cosa. O na-scondeva così sotto un'apparenza difrivolezza la sua tensione interioreper motivi che non è possibile sco-prire, oppure provava gusto a mette-re le idee divine della sua musica inforte contrasto con le invenzionidella più piatta quotidianità e si di-lettava d'una specie di autoironia. Iocapisco che un artista così elevatopossa abbassare e trascurare la pro-pria individualità quasi a scherno,per profonda venerazione dell'arte.

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Anche Sofia, la più giovane dellecognate, ha lasciato un ricordo di lui edei suoi ultimi anni.

Era sempre di buon umore, ma anchenei momenti migliori molto pensieroso,rispondeva guardando acutamente negliocchi, con ponderazione, sia che fossesereno o triste, eppure nel frattemposembrava sempre che lavorasse pensan-do profondamente a tutt'altro. Anche almattino presto, quando si lavava lemani, andava su e giù per la stanza, nonstava mai fermo un momento, si sfregavai calcagni uno con l'altro, ed era semprepensieroso. A tavola prendeva spesso unangolo della servietta, lo avvolgevastretto e poi se lo passava in giro intornoal naso e assorto nei suoi pensieri sem-

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brava non si accorgesse di quel che fa-ceva, e spesso faceva in più una smorfiacon la bocca. Nei suoi divertimenti siappassionava forte per quelli nuovi,come per il cavalcare e per il biliardo.In ogni modo era sempre in movimentocon mani e piedi, tamburellava sempresu qualche cosa, il cappello, la borsa, ilnastro dell'orologio, la tavola, le seggio-le, come se fossero pianoforti.

Avvenne ciò che il padre temeva.Nell'ambiente un po' sordido e ambiguodi casa Weber, Mozart si lasciò invi-schiare. Forse impietosito dalla sua di-messa umiltà di cenerentola, s'illused'essersi innamorato della terzogenita, ladiciottenne Konstanze, mediocre cantan-te, non bella, priva di spirito, com'egli

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scriveva al padre in una strana presenta-zione della futura nuora. Forse la fan-ciulla fu realmente estranea alle subdolearti della madre e del tutore, che gli fe-cero firmare un documento per impe-gnarlo a sposare la ragazza entro 3 anni,pena il pagamento di 3000 fioriniall'anno. Creatura borghese e ordinaria,nonostante nascesse da quella zingarescafamiglia di cantanti e d'attrici, Konstanzefu per Mozart una mediocre compagna:realistica e utilitaria, si adattò comepotè al perpetuo disordine di giochi, discherzi, di canti e spensieratezza, ch'erail clima abituale della vita di Mozart.Dal momento che non guadagnava, e nonriusciva a farsi una posizione, non so-spettò - se non molti anni dopo la sua

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morte -che quell'eterno ragazzo col qua-le era vissuta per dieci anni fosse statouno dei più grandi geni della terra. Lotormentò un poco con la propria gelosia- la vita teatrale era un continuo pericoloper quella seria moralità da «onesto te-desco», di cui Mozart tanto si vantava -e d'altra parte gli diede qualche affannocon la vivacità un po' troppo libera deipropri modi, costringendolo alla miseriaumiliante di meschini pettegolezzi, so-spetti e giustificazioni. Pure, con tuttequeste spine, Mozart ritrovò insieme alei qualche cosa della comodità fami-gliare di cui tanto aveva bisogno (« Ilmio temperamento tende più alla vitatranquilla e casalinga che al rumore; io,che da quando ero ragazzo non sono mai

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stato abituato a curare la mia biancheria,i vestiti, ecc., penso che nulla può esserpiù utile che una donna», 15 dicembre1781). Rinacque, fra loro, quella confi-denza infantile e buffonesca che Mozartaveva sempre avuto bisogno di stabilirecon qualcuno, per potersi aprire piena-mente in una delle forme più schiettedella propria natura, il gioco. Un tempoera stata la sorella; poi la cuginetta diAugusta; ora la sua cara «Stanzi Mari-ni». Mai, che si sappia, amici. ComeCherubino delle Nozze di Figaro, Mo-zart non si trovava a suo agio che incompagnia di donne. E si ebbe così, amatrimonio compiuto, qualche fugace ri-torno dell'antica giocondità fanciullesca,qualche ora di gioco, di pazze risate, di

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strida e di corse nel loro piccolo nido. «Io non ho sposato la mia per vivere indispiaceri e in liti, ma in pace e allegri»(31 agosto 1782).

Le ansie e gli affanni del matrimoniocontrastato si riflettono in certa misuranelle sorridenti angosce di Belmonte eCostanza, gli eroi del Singspiel tedescoDie Entführung aus dem Serail, cheMozart, realizzando finalmente il suo an-tico sogno di nazionalismo teatrale,scrisse dall'agosto 1781 al maggio 1782e che fu rappresentato al Burgtheater (16luglio 1782) con crescente successo, no-nostante intrighi e cabale di rivali invi-diosi. Tale riflesso di intima partecipa-zione personale colora di poesia lasprizzante comicità della musica che

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Mozart compose sui casi della «turche-ria» apprestatagli da Stephanie il giova-ne (1741-1800), ispettore dell'Opera diVienna, su una commedia di Bretzner(Lipsia, 1748-1807). Per la prima voltail teatro mozartiano realizza pienamentequel singolare connubio di allegrezza edi tenera malinconia che ne costituisce ilfascino segreto. Era il tempo del Rühr-stück, dove l'intenerimento sentimentalepervade la magnanimità eroica e la stes-sa comicità. Il genere turchesco impera-va nel teatro musicale: in origine erastato l'allegra vendetta che, cent'annidopo la definitiva liberazione dal peri-colo ottomano, l'Europa si prendeva delsecolare nemico, ritraendolo nei suoicaratteri di barbarie selvaggia e colleri-

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ca (ed è la parte di Osmino con la suabuffonesca truculenza affatto napoleta-na). Ma una sorridente simpatia avevafinito per estendersi sull'antipatico spau-racchio, reso innocuo dal tempo: gli siprestavano allora nobili sentimenti uma-nitari aggiornati secondo i dettami dellafilosofia del secolo (e qui è la parte delgeneroso Pascià, che finirà per lasciarliberi i due colombi). Continua alternan-za di maggiore e minore, e l'apparatodella «musica turca» - cassa, piatti,triangoli, ecc. - costituiscono gli ele-menti tecnici di questo lieve e pittorescoesotismo, dove l'effetto comico nascedalla ferocia selvaggia del barbaro, rile-vata nella sua ottusità dal civile spetta-tore europeo. Ma, pur impossessandosi

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di tutta la sua antiretorica naturalezza evitalità, Mozart evade dai limiti dellospettacolo popolare (bisogna pensare ilSingspiel come qualcosa di affine allanostra rivista: si riscontra spesso, nellastoria del teatro, questa specie di rinsan-guamento dal basso). Egli v'introduceuna miracolosa varietà e versatilità disentimenti.

Non ci sono caratteri fissati inanticipo: c'è la reazione d'ognuno alcontatto degli avvenimenti, c'è unsenso inaudito della variabilitàdell'esistenza umana, con tutti i suoicontrasti (Saint-Foix).

L'opera realizza una sua unità dram-matica nella simmetrica opposizione dipersonaggi aristocratici e volgari: moti-

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vo operistico caro a Mozart, che gli per-metteva di esaurire le sue più felici pos-sibilità di caratterizzazione. La tenerezzalieve e sospirosa, venata di elegiaca ma-linconia, della coppia aristocratica, e lacomicità farsesca della coppia dei servi,sono come due fili di diverso colore chepercorrono tutto l'ordito dell'opera e sicongiungono in quel capolavoro dram-matico e psicologico che è il quartettodel secondo atto, voluto espressamenteda Mozart nella stesura del libretto. Pa-gine di accorata tenerezza contengonoalcune arie di Belmonte e di Costanza(quando quest'ultima parte non paga untroppo forte contributo al virtuosismo);una popolaresca allegria è nelle parti diBiondine e Osmino, mentre al servo Pe-

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drillo è affidata una romanza assoluta-mente straordinaria per il suo penetranteesotismo, non più di superficiale turche-ria, ma romantico e trobadorico. Il cul-mine della poesia si raggiunge nel vau-deville conclusivo.

Dopo le incertezze del successo ini-ziale («Troppe note» sarebbe stato l'illu-minato giudizio dell'Imperatore), il Rat-to dal serraglio trovò in Germania unavalutazione addirittura sproporzionataalla sua reale entità, e divenne una diquelle opere che segnano un'epoca nellastoria del teatro musicale d'un dato pae-se. Era la prima opera comica in linguatedesca che alla naturalezza e vivacitàdel Singspiel accoppiasse la bellezzamelodica degli italiani, oltre a una pro-

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prietà strumentale e una consistenza mu-sicale fino allora inaudite. Un penetrantegiudizio di Cari Maria von Weber ne co-glie l'irrevocabile e autentica poesia aldi là dei meriti contingenti d'innovazionitecniche e retoriche.

Credo di scorgere in quest'operaciò che sono per ogni uomo gli annifelici della giovinezza, la cui bellaepoca non si può mai ricuperare,mentre, d'altra parte, nel correggercidai difetti di quell'età, ci sfuggonocose squisite che non possiamo piùritrovare. Oso perfino esprimere laconvinzione che, nel Ratto, Mozartha raggiunto la maturità dell 'espe-rienza artistica, e in seguito è sol-tanto l'esperienza del mondo checontinua a produrre. Il mondo era in

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diritto d'attendere da lui molte ope-re come Figaro o Don Giovanni.Ma quanto al Ratto dal serraglioegli non avrebbe potuto, con tutta lamigliore volontà, scriverne un se-condo7.

Appena stabilito a Vienna, Mozartaveva continuato per qualche tempo apraticare, nella musica strumentale, ungenere di brillante facilità, per compia-cere al gusto dei viennesi. C'era la voga,nelle famiglie signorili, dei piccoli com-plessi di strumenti a fiato, e Mozartscrisse quindi molti leggeri e incantevoliDivertimenti e Serenate. Ricercato so-prattutto come pianista, produsse pure,per sé e per allievi, numerose Variazio-ni concertistiche su ariette di moda.

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Nell'inverno 1781, a corte, fu opposto inuna specie di torneo a Muzio Clementi,sul quale le sue lettere ci conservanogiudizi assai poco sereni.

Nella primavera del 1782 Mozartentrò in relazione con un importante per-sonaggio del mondo musicale viennese,il barone Van Swieten, figlio del medicoolandese di Maria Teresa; illuminatopassatista musicale, costui aveva con-servato, in mezzo alla galanteria sette-centesca, il culto dei grandi maestri delcontrappunto, Händel e Bach soprattutto.Ne possedeva numerose opere e le face-va eseguire in sedute settimanali di mu-sica a casa sua. Invitato come esecutoree introdotto in questo ambiente, Mozartfu colto come da una febbre contrappun-

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tistica, cui contribuì anche lo strano casoche la sua Konstanze mostrava un'incli-nazione inspiegabile, in persona così fri-vola, per tal genere di musica e lo esor-tava a comporre fughe, in cui consiste,diceva lei, «la somma dell'arte musica-le». Ogni età ha le sue simpatie: e Mo-zart che un tempo s'era annoiato al Mes-sia di Händel, ora subiva, ad opera diquesto tesoro musicale dischiusogli dalmecenate, la sua ultima crisi stilistica.Cinque fughe a 4 voci del Clavicembaloben temperato trascritte per quartettod'archi con tre adagi introduttivi per triod'archi, e numerose esercitazioni di se-vero stile contrappuntistico, spesso la-sciate incompiute - preludi, fughe e sui-tes per clavicembalo - attestano negli

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anni 1782 e 1783 il suo accanito lavoroper appropriarsi perfettamente questaforma complessa del linguaggio musica-le. Ma errerebbe chi ponesse quest'ulti-mo travaglio formativo sullo stesso pia-no delle varie altre maniere attraversateda Mozart, a seconda che i suoi viaggilo portavano in contatto con questa oquella scuola. Lo stile arcaico dei gran-di maestri della Germania del Nord nonconteneva contagi pericolosi per l'origi-nalità, d'un artista; non era «moda», chéanzi si manifestava in totale contrastocon le tendenze dell'ambiente viennesecircostante, e mentre perfezionava l'ap-parato tecnico del musicista, rendendolotrasparente all'espressione, lasciava deltutto fuori causa il libero sviluppo della

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sua personalità, appunto allora giunta adefinitiva maturazione attraverso la li-bertà duramente conquistata - e semprepiù duramente conservata ! Una volta su-perata la fase di tensione, diciamo puredi crisi, degli esperimenti contrappunti-stici, lo stile severo di Händel e Bachentra come una linfa, ad assimilazioneavvenuta, nella sua musica e dà luogoalla fioritura degli ultimi capolavori, neiquali la grandezza di Mozart si traducein valori assoluti e definitivi. Se finoraogni opera sua, anche tra le più riuscite,ci è parsa come una tappa, come il con-seguimento d'un risultato momentaneo,destinato a divenire a sua volta punto dipartenza, ora invece la nostra ammira-zione non conosce più riserve: è il Mo-

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zart personalissimo e universale che ciparlerà da una serie d'incontestabili ca-polavori. Sempre meno ormai egli ac-condiscenderà, secondo l'accomodantemorale artistica del tempo, alla passivaripetizione di luoghi comuni, di cadenzeconvenzionali che, addotte con arte neipunti consacrati dall'uso, hanno fatto far-neticare di musica pura, di bellezzaastratta e scevra d'espressione. Sonopassi che, colti isolatamente o per caso,sembrano saporitissimi in quanto risu-scitano magicamente tutta un'epoca; maappartengono alla storia del gusto, delcostume artistico, non alla storia dellapoesia. E ci si può chiedere col Buenzod«fino a che punto egli rimanesse se stes-so... in quell'assimilazione metodica di

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troppi stili diversi», dove il suo geniorestava «per metà spersonalizzatodall'impiego di cadenze o di formule incui si trova l'eco di voci conosciute».

I magnifici Quartetti dedicati aHaydn nel 1785 con toccanti espressionidi devozione, sono tra le maggiori provedella raggiunta maturità stilistica e spiri-tuale, che si afferma potente nella grandeAfessa in do minore (K. 427), compostaa Vienna ed eseguita a Salisburgo il 25agosto 1783 - con la parte del sopranoeseguita da Konstanze - a scioglimentod'un voto che Mozart aveva formulatodurante le angosce dell'amore contrasta-to. Monumento formidabile di contrap-punto, non disdegna tuttavia nelle arie,duetti e terzetti, l'antico stile sacro napo-

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letano dei Jommelli, Durante, Leo e Per-golesi, né quello di Hasse e Caldara, etutti gli elementi concilia e fonde in unasintesi di vibrante cattolicismo. Per al-cuni essa è la più potente e ricca compo-sizione religiosa di Mozart, Requiemcompreso, mentre ad altri la sua subli-mità e le sue vaste proporzioni hanno la-sciato una certa impressione di vuoto edi freddezza accademica.

A Salisburgo Mozart aveva passatocon la moglie i tre mesi di agosto, set-tembre e ottobre 1783: l'accoglienzafreddamente cortese che Leopold e Nan-nerl riservarono alla nuora e cognata,fece crollare il sogno di superare i tor-bidi passati in un'affettuosa conciliazio-ne delle due famiglie. E Salisburgo non

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lo rivedrà più. Nel ritorno i due sposi sitrattennero un mese a Linz, dove Mozartscrisse per un concerto locale la Sinfo-nia in do maggiore (K. 425).

Mozart attraversa ora a Vienna il pe-riodo della massima popolarità comepianista: le sue esecuzioni si moltiplica-no e nascono, così, numerosi i Concertiper pianoforte, brillanti, amabili e lumi-nosi. Il teatro continua ad appassionarlo,ma non gli concede il medesimo succes-so. Nel 1783 comincia a musicare, maabbandona dopo il primo atto, uno son-clusionato libretto comico dell'abate Va-resco, l'Oca del Cairo. Il 7 febbraio1786, al castello di Schönbrunn, si rap-presenta il suo piccolo Singspiel, L'im-presario (DerSchauspieldirektor), su li-

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bretto di Stephanie il giovane, che mettein scena una rivalità di cantataci: un'ou-verture, un'arietta affettuosa, un rondò dibravura, un terzetto e un quartetto. Il tut-to, una deliziosa autocaricatura dell'ope-ra comica. Ma già egli aveva terminatoin quest'epoca il nuovo capolavoro, natodall'incontro col librettista Lorenzo DaPonte (Ceneda, 1749 - New York,1838), singolare figura di avventurieroletterario, specie di Casanova in minore,espulso dalla Repubblica veneta per unasatira politica e vissuto a Vienna dal1781 al 1791 come poeta teatrale. Dellasua collaborazione e amicizia Mozartnon ebbe che a giovarsi. Nel luglio 1785egli consegnò a Mozart il libretto delleNozze di Figaro, tratto dall'omonima

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commedia di Beaumarchais: spogliatadei suoi intenti di satira sociale, questadiventa un quadro di vita contemporaneaalla Watteau, glorificazione dell'amoregalante in un'aura molle e voluttuosa didiffusa sensualità. Incarnata nella deli-ziosa figura del paggio Cherubino, trovaespressione perfetta l'ingenua inclinazio-ne al piacere che costituisce la natura in-fantile di Mozart, prima che la vita l'ab-bia amareggiato con le sue dure espe-rienze. E la malinconia della sua animasi manifesta come un profumo sottile, unsenso di accorata nostalgia, nel gruppodei personaggi maturi, quelli ch'eranostati giovani nel Barbiere di Siviglia eche ora si vedono crescere intorno i gio-vani come Susanna, Cherubino, Barbari-

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na, splendenti, impazienti, smaniosi digioia. Soprattutto Rosina, l'indiavolata efurbissima Rosina, che ora è divenutacontessa: sulla soglia della maturità hapreso quella bellezza languida e un po'sfatta, venata di rassegnazione e di ma-linconia, delle dame mozartiane, in con-trasto con l'indomabile vitalità e autoaf-fermazione delle servette, come Susan-na. Nell'espressione a un tempo giocon-da e sentimentale delle Nozze di Figaro,Mozart perviene all'assoluta maturitàmusicale e drammatica. La grande ab-bondanza di duetti, terzetti e concertati(su 28 numeri di cui consta l'opera learie sono appena 14) elimina ogni stati-cità ed alimenta un agile stile vocale «diconversazione», grazie al quale i carat-

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teri si estendono, si diramano e reagi-scono l'uno sull'altro in un intreccio cheè - in valori puramente musicali - imma-gine schietta della vita. La continua inte-grazione orchestrale della melodia, me-diante cellule sinfoniche con funzionedrammatico-narrativa, è il segreto diquesta drammaturgia di Mozart dove ilteatro è inteso, secondo l'espressione diBusoni, come «gioco assoluto», e la mu-sica non «commenta» servilmente l'azio-ne, ma ne crea l'equivalente sonoro inuna sorta di magico realismo per armo-nia prestabilita.

La prima rappresentazione ebbe luo-go il 1° maggio 1786, col solito succes-so, buono ma non eccezionale, di Mozarta Vienna. A Praga, invece, l'opera ripor-

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tò un trionfo che diede inizio alle ami-chevoli relazioni del musicista con que-sta intelligente città. Invitatovi dai Du-sěk, vi si recò al principio del 1787 conKonstanze, e vi fu ospite del conte Thun,il mecenate della Sinfonia di Linz. Vidiresse l'opera, raccogliendo ovazioniimponenti; diede parecchi concerti, conuna nuova Sinfonia in re maggiore, e ri-tornò a Vienna a metà febbraio con unguadagno di 1000 fiorini e la scritturaper un'opera nuova. Nei primi giornid'aprile il Da Ponte gli consegnò il li-bretto del Don Giovanni, abile rielabo-razione d'un libretto del Bertati per ilGazzaniga. La musica fu composta aVienna nell'estate e terminata a Praga insettembre. L'esecuzione ebbe luogo il 29

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ottobre 1786, e fu il più grande trionfoteatrale conseguito da Mozart. «Drammagiocoso» anche il Don Giovanni e nongià un'opera seria nello stile dell'Idome-neo. Ma si sente che un'ultima matura-zione interiore ha avuto luogo tra leNozze di Figaro e il Don Giovanni. Laschietta inclinazione al piacere ne è an-cora la Stimmung fondamentale. Ma,mentre nelle Nozze essa era tutta imme-diatezza d'istinto e di natura, in DonGiovanni perviene a precisa coscienzadi sé e si eleva, per così dire, il propriomonumento. Ridotta alle sue giuste pro-porzioni di normale bufera dell'adole-scenza la cosiddetta crisi romantica delperiodo italiano, insieme a qualche iso-lato accento di sconforto, l'arte di Mo-

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zart era stata finora l'arte di un uomo so-stanzialmente in pace con se stesso e colmondo. Un'arte che sfiora talvolta l'insi-pidità dell'innocenza. Ché le creature in-nocenti e virtuose sono certamente pre-feribili per cento ragioni alle altre; maquelle che hanno peccato sono più inte-ressanti. Ora è l'amaro gusto del peccatoche balena a tratti nell'ultima produzionemozartiana, in lampi fugaci di rivelazio-ne demoniaca, inseriti tra le grazie d'unMinuetto, nel brio d'un allegro. Il sensodel peccato presta a Don Giovanni la fo-sca grandezza cui perviene nelle ultimescene: concepito come l'esempio odiosodel peccatore impenitente, grandeggiad'un suo sinistro eroismo e seduce con lasua franca spavalderia. Nell'armoniosa

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convivenza di tragico e comico, l'operarealizza una pienezza di vita veramenteshakespeariana. Lungo tutta la partituraLeporello dipana il filo della sua comi-cità buffonesca; la cinica amarezza checostituisce il fondo dell'anima di DonGiovanni e l'augusta solennità dell'oltre-tomba si acconciano perfettamente neiquadri musicali dell'opera comica.

Se si confrontano le Nozze e DonGiovanni, i Concerti per pianoforte delfortunato biennio 1784-85 con la dram-maticità prebeethoveniana delle ultimeSinfonie (1788), della Sonata e Fanta-sia per pianoforte in do minore, è un al-tro Mozart quello che ci viene incontro:un uomo maturato dalla vita e dallasventura. Il peso crescente delle diffi-

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coltà economiche e familiari aveva co-minciato ad attanagliarlo con la tristetrafila dei debiti, delle malattie, delleinvise lezioni di pianoforte, delle implo-razioni di soccorso. Il 28 maggio 1787era morto il padre a Salisburgo. Mozartnon l'aveva più visto dal 1785, quandoera venuto a Vienna a restituire la visitaal figlio e alla nuora. Ed è un senso pro-fondo della morte che ora si fa strada inlui, con una specie d'attrazione fascinosae di progressiva ossessione, parallelaalla rivelazione sempre più esplicitadella triste verità: che la sua vita è unfallimento.

Siccome la morte è il vero scopodella nostra vita, da un paio d'anni hofatto la conoscenza con questa vera

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e ottima amica dell'uomo, così chela sua immagine non ha nulla di spa-ventoso per me, ma qualche cosa ditranquillante e consolante... Non micorico mai la sera senza considerarech'io forse (per quanto giovane) ilgiorno dopo non ci sarò (4 aprile1787).

Questo pensiero augusto e dominan-te, questa rassegnazione abbandonatatraspaiono nella mesta solennità dellaMaurerische Trauermusik (Mozart eramassone probabilmente dall'autunno1784), nella drammaticità dolorosa delQuintetto in sol minore K. 516, nell'an-sia febbrile della Sonata per violino inla maggiore (K. 526) e nel trascendenteanelito di alcune pagine del Requiem edel Flauto magico. Per nessuno meglio

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che per Mozart la vita in terra fu vera-mente un transitus passeggero e doloro-so: ora, nella meravigliosa serie di ca-polavori degli ultimi anni, suona l'appel-lo d'una vera patria che lo richiama a sé,nel seno del suo mistero. Tuttavia, in ac-cordo con la tipica duplicità della suanatura, quest'ondata demoniaca che stili-sticamente si accompagna con l'influenzadella plasticità espressiva di Clementi,coesiste con esempi di immutata serenitàdella ispirazione, di leggerezza spensie-rata e di gioia schiettissima. La Sonatain mi bemolle per violino e pianoforte(K. 481, 12 dicembre 1785), è un purolago di lirismo mozartiano. La Serenatanotturna K. 525 è un piccolo capolavo-ro di alata leggerezza.

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Dopo il trionfo del Don Giovanni,Mozart era ritornato a Vienna il 15 no-vembre 1787, proprio mentre vi morivaGluck. L'imperatore Giuseppe II si de-gnò accordargli la successione comemusico di camera e compositore di corte(7 dicembre), ma abbassando il tratta-mento da 2000 a 800 fiorini annui. Co-sicché la vita familiare continua a rima-nere un problema insolubile. Il 7 maggio1788 si ebbe la prima rappresentazionea Vienna del Don Giovanni, con l'ag-giunta di due arie e un duetto. Fu giudi-cato troppo difficile. «Non è un piattoper i denti dei miei Viennesi», dichiaròl'imperatore. Nell'aprile e maggio 1789dovette essere per Mozart un gradevolesvago il viaggio a Berlino compiuto al

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seguito del principe Lichnowsky: con-certi, rappresentazioni del Ratto dalserraglio e (Konstanze non c'era) a Dre-sda e a Lipsia la compagnia dell'amatasignora Dusěk. Ma tanto più dura e piùnera la realtà dopo la breve evasione:solo in città - ché Konstanze passal'estate in cura a Baden - arrabattarsipresso il commerciante Puchberg per ot-tenere un prestito, in nome della fraterni-tà massonica, e arrovellarsi di gelosia,ché la moglie era malata, si, ma non tan-to da non dargli anche di questi fastidi.«Mi fa molto piacere che tu sia allegra,certo, solo desidererei che a volte tu nonfossi così... così... ordinaria... Con N. N.sei un po' troppo libera...» (lettera dimetà agosto 1789). Probabilmente

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nell'ottobre 1789 l'imperatore gli com-mise una nuova opera, Così fan tutte,sempre su libretto del Da Ponte, rappre-sentata il 26 gennaio 1790 col solito di-screto successo. Nella frivola amenitàdelle sue grazie «rococò», cela un sapo-re di ironica amarezza: non è, come sipotrebbe credere, una ripetizione in mi-nore delle Nozze di Figaro.

Mozart, che ha celebrato l'amoresentimentale, l'amore tedesco nelRatto dal serraglio, l'amore-gusto,come direbbe Stendhal, nelle Nozze,la passione sensuale e diabolica inDon Giovanni, e celebrerà nelFlauto magico l'amore sublime chesolleva l'umanità verso i più nobiliideali, Mozart scioglie qui un inno,di cinica leggerezza, alla Venus vul-

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givaga» (Prod'Homme), insultandoil sentimento più sacro e gentilech'egli conosca: l'amore di donna.Con la sua simmetria artificiosa,con l'inverosimiglianza dell'azione,Così fan tutte è «l'opera buffa tipo,allo stato puro, allo stato aggressi-vo» (Ghéon); lo strazio lietamentecompiuto dei propri ideali rivela unaspecie di crudeltà infantile.

Tanto distacco d'indifferente fred-dezza nel trasporre su un piano di purodiletto estetico un complesso sentimen-tale di scettica rassegnazione all'inguari-bile fragilità del cuore umano, rientranella crisi di tecnicismo, di puro giocospinto fino al limite dell'astrazione, se-guita a un nuovo recente contatto colcontrappunto classico, patrocinato anco-

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ra dal Van Swieten. Costui, infatti, gliaveva affidato trascrizioni e reistrumen-tazioni di oratori di Händel. Così fantutte e il Quintetto per archi in mi be-molle (K. 614) sono i vertici di questoperiodo «gratuito», nel quale il contrap-punto viene definitivamente assimilatocome mezzo precipuo del linguaggio mu-sicale, senz'alcun residuo di arcaismoclassico; un ideale di pura bellezza poe-tica vi si elabora in singolare contrastocon l'ansia febbrile e appassionata dellecomposizioni nate intorno al Don Gio-vanni. Tale ideale di disincarnata purez-za, che rasenta talvolta la geometria so-nora, si riflette con più o meno evidenzasu quasi tutte le opere maggiori di questiultimi anni.

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La vita terrena di Mozart continuavanel suo tragico squallore. A corte eratrascurato e posposto non solo a Haydn,ma a musicisti di second'ordine. Non in-vitato a Francoforte per le feste dell'in-coronazione di Leopoldo II (Giuseppe IIera morto il 20 febbraio 1790), ci sireca a proprie spese; dà un concerto dimusica sua, dove presenta il nuovo Con-certo per pianoforte in re maggiore (K.597). Al ritorno passa per Mannheim,dove mettono in scena le Nozze di Figa-ro. Breve parentesi d'illusione, tanto persentirsi qualcuno. Avvilito e frastornatodall'assillante ricerca dei mezzi per vi-vere, si fa sarcastico e amaro: «Potreiscrivere abbastanza tranquillo se ora po-tessi avere in mano 600 fiorini almeno;

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ah! ah! ci vuol pace per scrivere!» (mag-gio 1790). Quanto male la vita gli avevaportato nell'anima, per trascinarlo a unsogghigno così poco mozartiano ! I di-sperati appelli di soccorso al Puchbergsi fanno sempre più fitti e angosciosi.«Dio! sono in una posizione che non de-sidererei al mio peggiore nemico» (12luglio 1789). Perfino le lezioni di piano-forte scarseggiano. Scrive danze d'occa-sione: qualunque cosa gli chiedano. Il 20febbraio 1790 è ridotto a chiedere «perun paio di giorni alcuni ducati». Que-st'anno 1790 è il più arido di tutta la suavita: due Quartetti (in si bemolle, K.589; e in fa, K. 590) e il Quintetto in remaggiore (K. 593) sono le sole opereoriginali, oltre ad una Fantasia in fa mi-

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nore (K. 594) per l'organo meccanicod'un baraccone di fiera. Ultimo flagello,lo assalgono le malattie, le tristi fissa-zioni e i «pensieri neri», primi sintomid'un tragico squilibrio. Nell'estate deverecarsi anch'egli a Baden, in cura, conKonstanze. «S'immagini la mia posizio-ne; ammalato e pieno di pensieri e ditormenti; tale posizione impedisce anchedi guarire» (14 agosto 1790).

Eppure, sul finire del 1790, si lasciòsfuggire una conveniente offerta di re-carsi a Londra, dove già s'era trasferitoHaydn, il suo carissimo Haydn. Oh, quisi riconosciamo Mozart, in questa esita-zione ad abbandonare la sua Vienna, ilsuo mondo, le sue consuetudini casalin-ghe, per avventurarsi in terra straniera,

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fra gente sconosciuta, di lingua incom-prensibile, in un turbinoso facchinaggiodi viaggi, concerti, ricevimenti e acca-demie! E tutto questo perché? per qual-che migliaio di sterline. Al diavolo lesterline! Andiamo a fare una passeggiatanei giardini del Prater ! In questa subli-me inettitudine pratica, in questa man-canza d'intraprendenza riconosciamo latimidezza gentile dell'anima mozartiana,la titubanza del suo cromatismo, la levi-gata purezza della sua melodia. Siamograti a Mozart di non aver tradito sestesso, e d'essere rimasto, impavido, sulponte della sua nave naufragata. Il granrifiuto del 1790 e la divina romanza delConcerto in re minore nascono dallostesso cuore.

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Mentre, caduto nella più nera mise-ria, Mozart si arrabattava a comporre lesue Contradanze e Allemande, Ländler,Minuetti (K. 599-607, 609-611), Fanta-sie e Rondò per organi meccanici (K.608 e 616), pezzi per armonica (K. 356e 617), ecco comparire, come inviatodal cielo a rinfrescare gli antichi entu-siasmi per la creazione d'un'opera nazio-nale tedesca, Schikaneder (marzo 1791).Il dinamico impresario dirigeva ora aVienna il teatro Auf der Wieden (più tar-di An der Wien). Schikaneder portava unprogetto d'opera fiabesca e simbolica,su libretto ch'egli stesso aveva messo in-sieme ricavando la trama da una fiaba diWieland, Lulu oder die Zauberflöte. Eranel genere allora in voga, soprattutto nei

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teatri popolari di barriera, dello Zau-berstück (dramma meraviglioso), che,derivato dal teatro barocco dei gesuiti edalla secentesca «commedia di macchi-ne», con le commedie fantastiche di Car-lo Gozzi aveva spinto un'estrema ondatafin sul più vicino lembo di suolo italia-no. Naturalmente Schikaneder aveva ag-giunto l'inevitabile contorno di lazzi ebuffonate alla vicenda dell'eroico Tami-no, incaricato dalla Regina della Nottedi liberarle - con l'aiuto d'un flauto ma-gico - la figlia Pamina, prigioniera delcattivo mago Sarastro: i personaggi far-seschi di Papageno e Papagena, forni-scono il consueto parallelismo mozartia-no tra la coppia nobile e la coppia ple-bea. Ma ecco, a composizione già ini-

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ziata, un autentico infortunio teatrale mi-nacciare l'impresa dei due amici: un Ga-spare il fagottista, tratto dalla medesi-ma fiaba di Wieland, viene rappresenta-to con grande successo nel teatro d'unimpresario rivale. Schikaneder non siperse d'animo: con l'aiuto d'un certoGiesecke, attore, riformò tutta quanta lavicenda. La Regina della Notte divenneuna perfida strega, e Sarastro un magobenefico e saggio: di qui l'insanabilefrattura nella continuità dei caratteri checompromette la coerenza dell'azione,poiché, nella fretta, le prime scene giàcomposte furono lasciate tali e quali, de-stinate ad attirare la simpatia dello spet-tatore sulla Regina della Notte. Ma ap-poggiandosi ad uno strano racconto

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dell'abate Terrasson, Séthos, storiadell'antico Egitto, che presentava qual-che vaga analogia coi casi narrati nellafiaba del Wieland, Schikaneder fece diSarastro un gran sacerdote d'Iside, mini-stro e interprete di sovrumana saggezza,e piegò tutto l'intreccio verso una tinta disimbologia massonico-orientale, umani-taria e filantropica. In questo colpo si ri-velò il fiuto teatrale dell'impresario.Tali argomenti erano nel gusto del tem-po: convogliavano tutto un complessod'indistinte aspirazioni verso il mito,verso le realtà dell'anima irraggiungibilidalla ragione, aspirazioni nelle qualil'imminente romanticismo reagiva control'arida esattezza delle scienze e della fi-losofia. La massoneria, ai suoi prosperi

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inizi, tutta occupata a procurarsi unostravagante aspetto di mitologia religio-sa, mal si distingueva dallo stesso catto-licismo gesuitico: essa significava «lafuga nel regno del mistero, di un'età ra-zionalistica... che perfino il misticismodella Chiesa cattolica vuol sottoporrealla ragione» (Stefan).

Mozart a Vienna era diventato mas-sone, come Schikaneder, e non era unatesta forte. In questo miscuglio strava-gante ammirò una rivelazione di saggez-za più che umana e di questo spettacoloda barriera, punteggiato dai grossolanisberleffi di Papageno, tentò di fare untrascendente mistero nel quale ospitaretutte le aspirazioni migliori della candi-da anima sua: due creature che si sforza-

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no di aprirsi una via dall'oscurità versola luce, tale il significato trascendenteche Mozart cercò di tradurre con l'entu-siasmo d'una sincera convinzione. E cer-to, se mai musica si prestava a tale tra-sfigurazione magica d'un ibrido sogget-taccio teatrale, era questa la musica delsuo ultimo anno di vita terrena: la musi-ca del Quintetto in mi bemolle (K. 614),del Concerto per clarinetto (K. 622) edel sublime Ave Verum, musica che, to-talmente rinnovato il linguaggio nellaperfetta assimilazione del contrappuntomodernamente inteso, rifiorisce in unempito incredibile d'ultima giovinezza,come una luminosa e disincarnata appa-rizione trascendente, epurata d'ogni vi-brazione troppo umana, in un potere mi-

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racoloso di astrazione dalle miserie ter-rene. Il flauto magico è esaltato in Ger-mania come il capolavoro di Mozart e ilfondamento dell'opera tedesca; e vera-mente è, con la sua irreale fantasticheria,una rivincita del germanesimo, sia puredecantato e ordinato (0 illanguidito ?)attraverso il filtro d'una luminosa chia-rezza latina. Per noi italiani, difficilmen-te esso potrà mai uguagliare il sobriorealismo umano e la perfetta coerenzadrammatica di Don Giovanni e delleNozze di Figaro. Il successo della primarappresentazione (30 settembre 1791) funotevole, ma andò crescendo col tempo;e dopo la morte di Mozart il Flauto ma-gico divenne per Schikaneder una minie-ra d'oro.

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Due altri lavori vennero ad accom-pagnarsi alla composizione del Flautomagico. Uno fu la Clemenza di Tito,opera seria ordinatagli dalla città diPraga per le feste dell'incoronazione diLeopoldo II a re di Boemia e rappresen-tata il 6 settembre 1791. A un'operamancata, com'era destino ogni volta cheMozart si acconciava al pomposo mac-chinismo dell'opera seria. Vi ritornanogli accenti gluckiani dell' Idomeneo, masenza quell'empito di entusiasmo giova-nile con cui dieci anni prima Mozart siera accinto a cogliere la grande occasio-ne di scrivere un'opera seria per ungrande teatro. E tuttavia v'è in alcunearie della Clemenza di Tito una sorta dialgida, marmorea bellezza, quasi funera-

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ria, che sembra anticipare l'imminentepoetica neoclassica e che assicura aquest'opera l'ammirazione di certi spiritiraffinati.

L'altro lavoro, invece, è di ben altraimportanza, e la leggenda mozartiana s'ècompiaciuta d'ornarlo di tragici colori.

Nell'estate 1791 si presentò a Mo-zart, già malato e disfatto, un taciturnosconosciuto, che gli consegnò una letterae disparve. Era l'ordinazione, anonima,d'una Messa da Requiem, dietro pro-messa di buon compenso. Il funebre sco-nosciuto ricomparve qualche giornodopo e pagò un anticipo, raccomandandola sollecitudine. Ritornò poi di tanto intanto a controllare il progresso del lavo-ro. Lo sconosciuto era semplicemente un

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cameriere del conte Franz von Walsegg,ricco amatore che aveva questa debolez-za: di ordinare segretamente composi-zioni ai grandi musicisti, per farle poieseguire come sue. Ma tutto questo con-corso di circostanze singolari turbò lamente di Mozart, già affaticata dall'aspralotta per la vita. Egli si diede alla com-posizione del Requiem col massimo im-pegno, e insieme con la ferma persuasio-ne che quello dovesse essere il suo can-to funebre. Ecco le tracce delle allucina-zioni che turbarono la sua fantasia scon-volta, in una tragica lettera scritta al DaPonte tre mesi prima di morire, sulla cuiautenticità, invero, pesano gravi e fonda-ti dubbi.

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Ho il capo frastornato, conto aforza, e non posso levarmi dagli oc-chi l'immagine di questo incognito.Lo vedo di continuo, esso mi pregami sollecita ed impaziente mi chie-de lavoro. Continuo, perché il com-porre mi stanca meno del riposo.Altronde non ho più da temere. Losento a quel che provo, che l'orasuona; sono in procinto di spirare;ho finito prima di aver goduto delmio talento. La vita era pur si bella;la carriera s'apriva sotto gli auspicitanto fortunati, ma non si può can-giare il proprio destino. Nessunomisura i propri giorni; bisogna ras-segnarsi, sarà quel che piacerà allaprovvidenza; termino, ecco il miocanto funebre, non devo lasciarloimperfetto.

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Invece il Requiem rimase imperfetto.Dei 12 pezzi che lo compongono, soltan-to il primo pare che sia uscito completodalle mani di Mozart. Gli 8 che seguonosarebbero stati orchestrati dal suo allie-vo Franz Xaver Süssmayr (1766-1803),che negli ultimi mesi era sempre statovicinissimo al maestro e già l'aveva aiu-tato nell'affrettata composizione dellaClemenza di Tito. Le ultime 3 parti sa-rebbero totalmente di Süssmayr, cheperò si valse quanto potè della musicapreesistente. È quindi un'opera sullaquale è difficile portare un giudizio pre-ciso. Non conviene dar troppo peso allaleggenda che l'avvolge e scorgervil'opera quasi delirante e morbosa d'unanimo sconvolto dal timor della morte.

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La materia ne è certamente la contem-plazione della morte e la meditazionedei supremi misteri della fede: ma con-formemente alla tendenza dell'ultimo sti-le mozartiano, essa vi è superata in unavisione di suprema bellezza. Più checome un atterrito presagio del giudizio,si presenta avvolto in una dolce e benmozartiana rassegnazione, scevra di ri-bellione e di paura. Le maggiori altezzenon le tocca nei pezzi drammatici e forti,ma nella malinconia dolcissima e stancadelle parti lirico-elegiache: il Recorda-re, Jesu pie e il sublime Lacrimosa che,dicono, egli si fece portare sul letto dimorte, distribuendone le parti ai parentie amici presenti, per sentirne l'effetto.

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Mori il 5 dicembre 1791, pare difebbre miliare o di grippe maligna. For-se egli stesso credette - e la vedova inseguito convalidò la diceria - d'esserestato avvelenato dai rivali invidiosi, piùprecisamente da Salieri. Il quale, fortu-nato e acclamato com'era, non pensavanemmeno lontanamente ad invidiare unpovero diavolo come Mozart. Comunqueil suo stato fisico era da alcuni anni di-sastroso, per le privazioni, gli strapazziintellettuali, le contrarietà. La nefriteaveva dato alla sua grossa testa un pal-lore mortale. Droghe ed eccitanti eranosuoi sostegni abituali. La sepoltura av-venne in un giorno di orribile maltempoinvernale. Nessuno dei pochi presentisegui il misero carro fino al cimitero,

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che era un quarto d'ora fuori di Vienna.Così la cassa fu gettata nella fossa co-mune, senza che nessuno ne rilevasse illuogo, e i resti mortali di Mozart anda-rono per sempre perduti. Konstanze fusinceramente afflitta per la morte di quelsuo strano marito. Però, un giorno che lamaschera mortuaria di gesso, presa sulcadavere, cadde a terra e si ruppe, ellanon pensò che valesse la pena di racco-glierne i cocci per farli riconnettere: escopò tutto via. Nel 1809 sposò un suopensionante, il distinto consigliere di le-gazione danese, Nicola von Nissen. Unbuon matrimonio, certamente, nemmenoda paragonare con il primo infeliceesperimento. Ma l'astro di Mozart, intan-to, si levava altissimo sull'orizzonte

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dell'arte, e i due maturi coniugi fecerouno strano impiego dei 17 anni di loroconvivenza: coi ricordi di Konstanze,coi documenti da lei conservati e conquelli raccolti, misero insieme una fon-damentale - se pur tendenziosa -biogra-fia del primo marito, che Konstanze, ve-dova per la seconda volta, pubblicò nel1828: Georg Nicolaus von Nissen, Bio-graphie W. A. Mozarts nach Original-briefen.

Mozart scrisse 49 Sinfonie per or-chestra, evidentemente non tutte conquell'impegno che oggi siamo soliti at-tribuire a tal genere di musica. Una gran-diosa disinvoltura era nel costume arti-stico dell'epoca, che, per il meno pro-nunciato individualismo, non esigeva ad

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ogni costo la creazione continua di nuovipensieri, contento ad una garbata e abilepresentazione del patrimonio musicalegarantito dalla tradizione. Inoltre, ancheper la mole, non tutte le Sinfonie di Mo-zart sono paragonabili ad una modernacomposizione del genere. Generalmenteassai brevi gli sviluppi; e poi, se la pri-ma Sinfonia (K. 16, in mi bemolle mag-giore; Londra 1764, o 1765) era - secon-do l'arcaico gusto tedesco appreso a Sa-lisburgo - in quattro movimenti ben di-stinti, tosto il ragazzo adotterà il taglioassai più breve, praticato da JohannChristian Bach, dell 'ouverture all'ita-liana, in tre pezzi collegati da eseguirsisenza interruzione. Tali sono la Sinfoniain re maggiore (K. 19, Londra 1765) e

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quella in si bemolle (K. 22), compostain Olanda sul finire del 1765. È dimo-strato che le Sinfonie comunemente rite-nute come la seconda e la terza (K. 17,in si bemolle; e K. 18, in mi bemolle)sono rispettivamente opera di LeopoldMozart, e trascrizione a scopo di studiod'una Sinfonia di Cari Friedrich Abel(1725-1787). Si ritorna alla vasta formatedesca, in 4 movimenti, con la Sinfoniain fa maggiore (K. 76), che dopo il ritor-no a Salisburgo doveva mostrare aicompatrioti i progressi compiuti dal fan-ciullo. Al soggiorno viennese del 1768risalgono tre Sinfonie: K. Anh. 221 insol maggiore, e K. 45 e 48, entrambe inre maggiore. Di queste ultime, la primadivenne, con la soppressione del minuet-

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to, l'ouverture della Finta semplice; laseconda, anch'essa in 4 movimenti, sen-sibili alla benefica influenza di Haydn, èopera di notevole rilievo. L'ampia formaalla tedesca permane nelle prime sinfo-nie scritte in Italia (K. 97 e 95, in remaggiore), ma presto cede il posto abrevi ouvertures, con grande abbondan-za di temi, ripetizioni frequenti, tempolento centrale atrofizzato e preoccupa-zione continua di divertire con la facileplasticità melodica (K. 81 e K. 84, in remaggiore; Bologna e Roma, 1770). Inseguito, all'influenza dei brillanti com-positori teatrali si aggiunse quella dimusicisti prettamente strumentali, comeBoccherini e Sammartini: così la Sinfo-nia in sol maggiore K. 74, forse l'ultima

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scritta nel primo soggiorno italiano(quindi nella primavera del 1771), segnaun ritorno al gusto più propriamente sin-fonico, anche se segue lo schemadell'ouverture all'italiana. Le Sinfoniedel 1771, scritte a Salisburgo e a Mila-no, mostrano in atto la feconda fusionedi stile italiano e austriaco. Sono la K.73 in do maggiore; K. 75, 98, 112 in famaggiore; K. no in sol maggiore; K.Anh. 216 in si bemolle; oltre all'ouver-ture di Ascanio in Alba, in re maggiore.Sono di stile più puramente strumentaleche le prime sinfonie all'italiana, e ric-che di particolari deliziosi e personali:attraverso l'assimilazione di maestri ita-liani e austriaci (tra cui preminente oraHaydn) comincia ad emergere un'indivi-

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dualità. Otto Sinfonie nei primi otto mesi(K. 114, 124, 128-130, 132-134) fannodel 1772, a Salisburgo, un anno d'intensamaturazione sinfonica. La K. 130 in famaggiore si può chiamare la prima dellegrandi Sinfonie di Mozart, rivelatriced'un nuovo mondo spirituale, pur nel ta-glio formale all'italiana. Echi di questanovità sono pur presenti, anche se in mi-sura minore, nella K. 132 in mi bemollee nella K. 134 in la maggiore, straordi-nariamente fantasiosa e poetica (agosto1772). Arricchisce e irrobustisce l'ispi-razione di Mozart l'influenza del grandeHaydn, la cui spontaneità eroica, la cuirustica forza, pur temperate dall'innatatenerezza poetica di Mozart, si concreta-

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no nella grande Sinfonia in re maggioreK. 133.

Il romanticismo dell'adolescenza,manifestatosi durante l'ultimo viaggio inItalia (1772-1773), si scorge nell'ouver-ture del Lucio Silla e nella Sinfonia indo maggiore K. 96, dall'andamentocupo, drammatico e fiero. Caratteristicala minuziosa abbondanza delle indica-zioni dinamiche; l'impiego degli stru-menti a fiato è eroicamente espressivo.Ritornato a Salisburgo nella primaveradel 1773, Mozart si riadatta al gusto lo-cale, ma scrive ancora quattro Sinfonie-ouvertures all'italiana, senza sviluppitematici; tra queste la K. 184 in mi be-molle maggiore presenta caratteri distraordinario romanticismo per la pene-

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trante intensificazione del significatoespressivo nei tre brevi movimenti: vio-lenza, disperazione, energia. Probabil-mente fu usata come ouverture teatrale.Le altre tre sono le K. 181, 162, 182, inre, do, si bemolle maggiore: hanno pie-nezza e vigore orchestrale, ma minorprofondità di significato, benché la pri-ma sia, almeno per le due prime parti,assai notevole. Il soggiorno a Viennadell'estate 1773 completa il distaccodallo stile italiano. Gli sviluppi s'allun-gano, il lavoro tematico si fa imponente,il finale, in forma sonata, sale a paritàd'importanza col primo tempo. Dopoun'ultima Sinfonia-ouverture all'italiana(K. 199 in sol maggiore), che mescolacuriosamente la vivacità italiana con

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spunti di danze viennesi e dotte velleitàdi contrappunto, Mozart compose (1773-74) quattro ampie Sinfonie (K. 200, 201,183, 202, in do e la maggiore, in sol mi-nore e in re maggiore), che sono tra lepiù alte e profonde sue creazioni stru-mentali. Le prime tre, e particolarmentequella in la maggiore e quella in sol mi-nore, sono specialmente superbe di fuo-co romantico. L'ultima, in re (K. 202),segna già il trapasso allo stile galante dipuro divertimento che tra il 1774 e il1778 terrà Mozart lontano dalla vera epropria sinfonia. Ci vorrà la conoscenzacon la prodigiosa orchestra di Mann-heim (1778) per richiamarlo a un altoideale di nobiltà sinfonica e di solidascrittura. A Parigi trovò la voga delle

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sinfonie concertanti, cioè con un grup-petto di virtuosi che primeggia in senoall'orchestra: e subito ne scrisse una me-ravigliosa (K. Anh. 9, in mi bemolle),per clarinetto, oboe, corno e fagotto, for-midabile epilogo dell'esperienza diMannheim, in tre pezzi di monumentaleampiezza; tutta divertita loquacità i dueestremi, di sublime elevazione religiosal'adagio. La Sinfonia in re (K. 297) èdetta la Parigina e infatti in essa Mozartsi sforzò di piacere al gusto locale per ibrillanti attacchi orchestrali, la costanteripetizione dei temi, la generale vivaci-tà: in sostanza, c'è maturità e imponenzadi virtuosismo orchestrale, ma scarsaunità interiore e anche scarsa originalitàpoetica. Una terza sinfonia parigina è

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l'ouverture in si bemolle, ritrovata nel1901, a carattere ancor più francese chela precedente, con influenza di Gossec edell'opera comica, in particolare Grétry.

Come al solito, il gusto pariginocontinuò a operare nei primi tempi delritorno a Salisburgo. La singolare Sinfo-nia in sol maggiore K. 318 è comeun'ouverture teatrale in un tempo solo, ametà del quale fiorisce un movimentolento di matura individualità mozartiana.Nel 1785 verrà usata come ouverturealla Villanella rapita di Bianchi. LaSinfonia in si bemolle K. 319 (luglio1779) è quasi la «Pastorale» di Mozart,«come il quadro giocondo d'un bel gior-no d'estate», dove «tutto è vita, danza,gioia, non senza una certa ebbrezza sen-

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suale... espressa in numerosi ed insisten-ti cromatismi» (Saint-Foix). Completa-mente mannheimista, di nobile e riposataprolissità, è la Sinfonia concertante perviolino e viola nella tipica tonalità mo-zartiana di mi bemolle maggiore (K.364, autunno 1779), con un andante dia-logato fra i due solisti, che è tra le cosepiù tristi e dolorose di Mozart. NellaSinfonia in do maggiore (K. 338, termi-nata il 29 agosto 1780) si notano il ca-rattere eroico del primo tempo, l'am-piezza dei temi, le opposizioni di mag-giore e minore, insomma un afflato ro-mantico che ombreggia il piglio fonda-mentale fiero e brillante, non senza ita-lianismi di linguaggio. Di fascino sotti-lissimo e imponderabile è la tenera in-

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quietudine dell' andante per quartettod'archi e flauto. Manca il minuetto, la-sciato incompleto, e il finale è una spe-cie di tarantella appassionata, energica epiena di fuoco. L'irrobustimento con-trappuntistico portato nel linguaggio mu-sicale di Mozart dalla rivelazione vien-nese di Händel e Bach è ben visibile nelprimo tempo della Sinfonia in re mag-giore K. 385, nata in realtà come Sere-nata su commissione della famigliaHaffner di Salisburgo (luglio 1782).Composta nell'ebbrezza dell'acquistatalibertà e dell'imminente matrimonio, su-bito dopo il Ratto dal serraglio, unagioia di rigoglio primaverile vi esplodecon irruente ferocia nel primo tempo, cuiprestano una certa asprezza i frequenti

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spunti di movimento fugato. Tanta traco-tanza è senza precedenti nell'opera diMozart, e si placa poi nell'andante, piùconsono alle placide abitudini salisbur-ghesi: con movenze affettuose di pasto-rale, esso si spoglia e si spiritualizza,fino a ridursi alla ripetizione insistented'una nota sola degli archi, trepida e pe-netrante come un canto d'uccello.

Un ultimo residuo di spiccata in-fluenza haydniana si nota nel finale dellaSinfonia di Linz (K. 425, in do maggio-re, 3 novembre 1783), assai varia dicontenuto e vasta nell'impianto costrutti-vo, senza conservare in tutte le sue partila toccante e personale poesia dell'ada-gio, segna però l'ingresso di Mozart nelgrande dominio sinfonico degli ultimi

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capolavori. La Sinfonia in sol maggiore,compresa nel catalogo Kochel col nume-ro 444, non è di Mozart, ma di MichaelHaydn; solo l'adagio introduttivo fu pre-messo da Mozart, nel 1783.

Al periodo che gravita intorno alDon Giovanni e che, con l'accentuataconsapevolezza nell'espressione di va-lori umani, costituisce la più avanzata«punta» di Mozart, verso il romantici-smo, appartengono le ultime, quattro sin-fonie del maestro. A questo il momentopiù alto e perfetto sua produzione. Pode-rosa, energica, modernamente appassio-nata la Sinfonia di Praga in re maggiore(K. 504, 6 dicembre 1786), e già bee-thoveniana nelle sincopi febbrili dell'al-legro. Ricco e solido il contrappunto,

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che nell'andante si combina sottilmentecol cromatismo in un inestricabile tessu-to di sentimenti diversi, tra pastorali eidilliaci, ma non senza angoscia. Non c'èminuetto. Il finale è di gioia non frivola,ma caldamente appassionata, ed ha l'in-definibile complessità sentimentale del-le opere, in particolare del Don Giovan-ni.

Raggruppata nell'estate 1788, lagrande trilogia sinfonica della K. 543 inmi bemolle maggiore, della K. 550 insol minore e K. 551 in do maggiore,«domina dall'alto non solo l'opera mo-zartiana, ma, si può dire, tutto il Sette-cento strumentale» (Saint-Foix). Il mon-do interiore di Mozart vi appare tuttospiegato, con un impegno di esplicita

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precisione che invano si cercherebbenelle precedenti sinfonie e servito da unlinguaggio ormai trasparente nelle piùimpercettibili sfumature espressive. Inognuna delle tre Sinfonie prevale unaspetto diverso di questo mondo, senzaessere però isolato dalla sua organicatotalità. La Sinfonia in mi bemolle ècome un armonioso ed equilibrato vesti-bolo di questo meraviglioso tempio sin-fonico. Al suo apparire, destò scalporeper le audacie armoniche di cui è disse-minata; nell'epoca romantica fu giudicatacome un modello della serenità mozar-tiana; oggi si tende nuovamente a sottoli-nearne - con una certa esagerazione - ilcarattere intensamente «romantico». Laserenità fondamentale è venata da pro-

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fonde striature di malinconia, special-mente nell'andante, ma in complesso sitratta d'una concezione luminosa e lieta,di fiabesca tenerezza.

È nella Sinfonia in sol minore che sisuol riscontrare la più alta testimonianzadel «demoniaco» mozartiano, benché unromantico autentico come Berlioz non vivedesse altro che grazia, candore, inge-nuità, insomma, la quintessenza del Set-tecento. Di fatto, essa è -insieme alQuintetto nella medesima tonalità - lapiù intima e compromettente confessioneche Mozart abbia mai fatto di sé: ma è,appunto, una confessione di Mozart; enon già di Beethoven. Su uno sfondo cheè di classica e inalterata bellezza, d'in-fantile e gioconda serenità, si vengono

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disponendo in quest'opera assai più fittiche altrove quei particolari elegiaci,quelle nubi di divina tristezza, quellevenature di melanconia inspiegabile, chein Mozart s'accompagnano spesso indis-solubilmente alla vivacità e al sorriso.

Per un intelligente gioco della sorte,l'ultima delle sinfonie mozartiane ha uncarattere conclusivo e di coronamento,quasi che Mozart sapesse, a tre anni dal-la propria fine, di scrivere il proprio te-stamento in questo genere di composi-zione. Dopo l'affettuosa soavità ed il pa-tetico affanno delle due sinfonie prece-denti, questa rivela, già nella tonalità dido maggiore e nella ricchezza dello stru-mentale, un'aspirazione alla monumenta-lità, alla grandiosità imponente di valori

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architettonici, che le ha valso il mitolo-gico soprannome di Jupiter-Symphonie.Lo studio assiduo del contrappunto clas-sico è chiaramente visibile nella com-plessità delle membrature e nel prodi-gioso fugato finale. L'espressione tendea farsi solenne ed encomiastica, sia purecon irresistibili e deliziose cadute neidomini della grazia carezzevole e tal-volta malinconica. Il prevalere del con-trappunto significa un superamento dellafase «romantica» e conduce con sé quelsenso di trascendenza delle umane pas-sioni che si manifesterà pienamente nelFlauto magico.

Il concerto per pianoforte e orche-stra è una delle forme di musica stru-mentale nelle quali Mozart ha lasciato

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più alta traccia di sé, con ben 25 compo-sizioni, oltre a un Concerto per 3 piano-forti (K. 242), uno per due (K. 365) e unRondò per pianoforte e orchestra (K.382). Due scuole, grosso modo, si con-tendevano il campo al suo apparire.Quella della Germania del Nord, da Phi-lipp Emanuel Bach a Beethoven, concentro a Berlino, accordava pari impor-tanza all'orchestra e allo strumento soli-sta, generalmente clavicembalo. Quelladella Germania meridionale, invece, daWagenseil a Mozart, con centro a Vien-na, preferi per tempo il pianoforte, alquale dava la preponderanza sull'orche-stra. Parallela a quest'ultima si svolgevala scuola inglese di Johann ChristianBach, che certamente ebbe efficacia su

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Mozart: questi, poi, contemperò varia-mente i caratteri delle due scuole e spes-so consegui una fusione mirabile tra idue elementi, che elimina ogni questionedi superiorità o di parità.

Opere volutamente brillanti, scritteper le proprie esibizioni di virtuoso, iConcerti sono stati ingiustamente accu-sati di superficialità. In realtà sono ope-re luminose, attraenti e comunicative perla sicura plasticità dei temi, per la ric-chezza delle invenzioni melodiche, perla splendida libertà formale, quasi d'im-provvisazione, per l'interesse continuodelle idee e dello strumentale. I primi,composti a Salisburgo, sono largamentedebitori al gusto italiano, particolarmen-te del concerto violinistico di Tartini e

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dei suoi imitatori. Si notano specialmen-te il Concerto in re maggiore (K. 175,dicembre 1773), che Mozart ebbe caris-simo, tanto che lo eseguiva anche negliultimi anni di vita; il Concerto in si be-molle K. 238 (gennaio 1776) e quello indo maggiore K. 246 (aprile 1776), scrit-to per gli ambienti aristocratici di Sali-sburgo, come pure quello in fa maggioreper tre pianoforti (K. 242). Vi si nota unraffinamento dello stile galante nel sensod'una sobria eleganza; e nel Concertoper 3 pianoforti, destinato alla contessaLodron e alle sue figliole, un adagiocentrale di meravigliosa dolcezza e inti-mità.

Il passaggio per Salisburgo d'una ri-nomata pianista francese, Mlle Jeune-

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homme, fu l'origine del Concerto in mibemolle K. 271. Sia la destinazione par-ticolare, sia l'incipiente intolleranza ver-so i limiti dello stile galante, fanno diquesto Concerto qualcosa di nuovo eoriginale, aspirante - nell'allegro enell'andantino - a un'espressione piùprofonda e patetica del consueto. Bril-lante e vistoso, invece, nel gusto france-se del virtuosismo concertante, è il Con-certo in mi bemolle per 2 pianoforti (K.365), probabilmente destinato ad esibi-zioni concertistiche con la sorella.

L'epoca aurea dei Concerti per pia-noforte si ha a Vienna, dove Mozart siassicura una fama eccezionale come vir-tuoso. In una lettera al padre (28 dicem-bre 1782) egli annunziava d'averne qua-

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si ultimato una serie, e li definiva moltobene nelle loro caratteristiche di attraen-te piacevolezza.

Stanno fra il difficilissimo e ilmolto facile; sono brillanti, grade-voli all'orecchio, naturalmente senzacadere nel banale; qua e là anche iconoscitori possono avere la lorosoddisfazione, ma così che i non co-noscitori devono essere contentisenza sapere perché.

Egli si riferiva più precisamente aitre Concerti in fa, la e do maggiore (K.413-415), che sembrano - specialmente iprimi due - un omaggio alla memoria diJohann Christian Bach, morto quell'anno.Meravigliosi vi sono i tempi lenti, diestatico rapimento; mentre nel Concerto

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in do maggiore si fa sentire il gusto delcontrappunto arcaico e riesce mirabil-mente a conciliarsi col desiderio di pia-cere.

Ma è cogli anni della relativa fortu-na viennese di Mozart che la fiorituradei Concerti per pianoforte diventa ad-dirittura prodigiosa: 12 fra il 1784 e il1786. Fra questi emergono due sma-glianti capolavori: il Concerto in re mi-nore K. 466 (10 febbraio 1785) che,prediletto e spesso eseguito da Beetho-ven, evita la leggerezza superficiale del-lo stile di conversazione e dà luogonell'incantevole romanza a un miracolodi intimità espressiva; e il Concerto indo minore K. 491 (24 marzo 1786),buon documento del «demoniaco» mo-

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zartiano, robusto e drammatico nell'alle-gro, quasi romantico e schumanniano nellarghetto. Di questi due lavori dice ilCasella ch'essi

rappresentano nella storia piani-stica i primi e perfetti modelli diconcerto solistico moderno: un pia-noforte ed una orchestra ambeduesovrani, l'uno nella sua nobile elo-quenza di «personaggio» drammati-co, l'altra nel suo pieno e ricco sin-fonismo, al quale la presenza del so-lista non riesce a porre un limite.

Ma come dimenticare, nel Concertoin la maggiore (K. 488), del 2 marzo1786, la patetica e nuda bellezzadell'andante semplice, ma moltoespressivo, con cupi e singhiozzanti ar-

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peggi che fanno pensare a Chopin? E lasolida dottrina del Concerto in sol mag-giore (K. 453, 12 aprile 1784), dal mi-sterioso andante, non smentisce la tac-cia di leggerezza mondana apposta aqueste luminose creazioni? Del Concer-to in fa maggiore (K. 459, 11 dicembre1784) ricorderemo almeno il delizioso esognante allegretto. Scintillante il Con-certo in do maggiore K. 503 (4 dicembre1786), che fu veramente un grande suc-cesso di pubblico, e spiritoso quello inre maggiore (K. 537) composto nel feb-braio 1788 per la festa dell'incoronazio-ne di Leopoldo II a Praga: ne è divenutopopolare il melodioso larghetto. L'ulti-mo Concerto per pianoforte di Mozart(K. 595, in si bemolle) apre l'ultimo

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anno della sua vita: ed è un commoventepresagio nella sua triste e dolente rasse-gnazione.

Un gruppo compatto formano i 5Concerti per violino e orchestra compo-sti a Salisburgo nel 1775. Sono tra lemigliori prove di Mozart nello stile ga-lante, con influenze varie: delle scuoleviolinistiche italiane - soprattutto Tartinie Pugnani, - di quelle francesi - Gavi-niès, Guénin - e del gusto musicale vien-nese, particolarmente nel primo di questiConcerti, in si bemolle (K. 207), speciedi lunga e deliziosa rapsodia che sfoggiauna ricchezza di temi impareggiabile,senza troppo curarsi della loro composi-zione in coerente unità interiore. I piùdeboli e superficiali sono forse i due

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Concerti in re (K. 211 e 218) nel secon-do dei quali si sviluppa il virtuosismosolistico a danno della complessità sin-fonica. Questa è invece mirabile nelConcerto in sol (K. 216), che solo perl'ultimo tempo può ricollegarsi al frivo-lo ideale stilistico della galanteria e cheha nell'adagio «una delle più squisiteconfidenze del musicista ventenne»(Buenzod). Ma il capolavoro è il quintoConcerto in la maggiore (K. 219) cheprelude al raffinamento dello stile galan-te operato da Mozart nel 1776. Tutto vi èsemplice e puro, intriso di grazia cantan-te e di dolcezza giovanile, e contenuto inintima e poetica unità. Esala «un fascinosovrano di giovinezza, di fresco e deli-cato entusiasmo» (Wyzewa e Saint -

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Foix). Luminoso, arguto e festevole ilprimo tempo; rapito in un'estasi di cri-stallina meraviglia l'adagio; singolaris-simo il finale, in tempo di minuetto,dove il trio è, costituito da un vivace al-legro in minore, con coloriti accenti zi-gani. Per il violinista di corte di Sali-sburgo, certo Brunetti, che non dovevaessere molto famoso, Mozart scrisse nel1776 un nuovo e più facile adagio, in mibemolle, destinato a questo Concerto; lasemplificazione tecnica e stilistica haprodotto pure una meravigliosa purifica-zione del canto, tutto tenera dolcezza eingenua sensualità. Ugualmente Mozartcompose un nuovo finale per il primoConcerto, in forma di rondò, più breve epiù galante del precedente allegro di

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Sonata, che si accostava al brio robustoe popolaresco di Haydn. Infine un sestoConcerto per violino, in re maggiore (K.Anh. 271), fu scoperto recentemente. Ri-sale al 1777, ma fu probabilmente riela-borato durante o dopo il viaggio a Man-nheim e a Parigi, poiché reca tracce divarie esperienze stilistiche e molto con-cede al virtuosismo del solista. Più cheper reali valori poetici, interessa comepunto di partenza per nuovi atteggiamen-ti stilistici mozartiani. L'ultimo Concertoin mi bemolle (K. 268), risale al 1783 o'84, ma certamente non è stato condotto atermine, soprattutto per quanto riguardalo strumentale, interamente da Mozart.

Caratteristica di Mozart è la fiorituradi quelle musiche d'occasione per pic-

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coli complessi strumentali, che vannosotto il nome di Serenate, Divertimenti,o Cassazioni. Vera Gebrauchsmusik,erano destinate a scopi pratici, che spes-so il loro nome designa (Tafelmusik,Nachtmusik, Finalmusik, ecc.); colma-vano, coi numerosi pezzi di cui eranocomposte, le pause d'una cerimonia o gliintervalli tra le portate d'un banchetto;oppure venivano eseguite all'aperto se-condo il significato stesso della parola«serenata», per qualche festività o inomaggio a qualche persona. Non seguo-no una precisa norma formale. Il caratte-re relativamente leggero di questa musi-ca di intrattenimento e la necessità d'es-sere spesso sminuzzata a guisa di tantiintermezzi, le fa prediligere l'abbondan-

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za di pezzi brevi, non così organicamen-te imparentati fra loro come avviene nel-la sinfonia, con predominio dei ritmi didanza (minuetti). Schema usuale è il se-guente: un tempo allegro d'introduzione,un tempo lento, minuetto e trio, tempolento, minuetto e trio, finale allegro. Mapossono cadere uno dei minuetti e untempo lento, e si ha allora la solita di-stribuzione dei pezzi nel genere sinfoni-co. D'altra parte la Serenata ama spessofarsi precedere da una marcia introdutti-va: oppure conferisce carattere di mar-cia all'Allegro iniziale. E fra il primo eil secondo pezzo include un vero e pro-prio concerto per solista (generalmenteviolino), di piccole dimensioni, in due opiù tempi, che non ha niente a vedere col

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resto della composizione. Si può perciòaffermare che - salvo alcune eccezioni -il Divertimento, generalmente destinatoa esecuzioni in locali chiusi, per pranzi,cerimonie, ecc., si accosta allo spiritodella musica da camera, e impiega per-ciò uno strumentale compatto e omoge-neo (spesso soltanto fiati), con equiva-lenza e parità dei vari strumenti; la Sere-nata, destinata almeno in origine ad ese-cuzioni all'aperto (la marcia iniziale eraappunto l'arrivo dei musicanti sul luogodel concerto), si accosta di più al generedella Sinfonia concertante, con mesco-lanza di archi e fiati e larghe esibizionisolistiche di questo o quello strumento.Fanno eccezione a questa norma genera-le i Divertimenti K. 187 e 188, che pre-

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sentano tutti i caratteri da noi attribuitialle serenate (il primo comincia perfinocon la caratteristica marcia), e le tre Se-renate K. 361, 375, 388, che appartenen-do agli anni della maturità artistica diMozart (rispettivamente 1780, 1781,1782), seguono la tendenza di nobilita-zione da lui impressa a questo genered'intrattenimento, volgendolo sempre piùverso la dignità stilistica della musicada camera.

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Impossibile diffondersi minuziosamentesu ognuna delle opere appartenenti aquesto genere, che sono 31a non contare3 Divertimenti per quartetto d'archi K.136-138 (1772) e il mirabile Diverti-mento in mi bemolle (K. 563), per violi-no, viola e violoncello (1788); e a noncontare opere come il curioso e ironicosestetto dei musicanti del villaggio (Einmusikalisches Spass, K. 522) e la deli-ziosa Serenata notturna (Eine kleine Na-chtmusik, K. 525) per due violini, viola,violoncello e contrabbasso. Ricordere-mo solo che il genere s'inizia con laCassazione in sol maggiore K. 63, del1768, e fino alla cosiddetta Serenata perAndretter, in re maggiore (K. 185), del1773, non s'incontrano opere di reale

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valore. Predomina per lo più l'imitazio-ne dei due Haydn. Un buon Divertimentoè quello in si bemolle K. 186, per 10strumenti a fiato, scritto a Milano tra il1772 e il 1773, tutto gaiezza sorridente etrasparente luminosità italica. Ma l'epo-ca aurea delle serenate e dei divertimen-ti è il periodo galante attraversato daMozart a Salisburgo, tra il 1773 e il1777. Oltre a 6 Divertimenti per stru-menti a fiato ordinatigli come Tafelmu-sik dall'arcivescovo (K. 213, 240, 252,253, 270, 289), leggeri e superficiali,ma pieni di gioia di vivere, scintillantidi ritmi vivaci e d'ingegnose melodie, sidevono almeno segnalare i Divertimentiin fa maggiore e in si bemolle, scritti perla contessa Lodron nel 1776 e 1777, due

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splendidi esemplari della «poesia deivent'anni» di Mozart, raffinata e ingenti-lita dalla frequentazione di ambienti ari-stocratici. Monumentale e imponente,come tutte le musiche scritte per le festi-vità della ricca famiglia del borgoma-stro salisburghese, Haffner, la Serenatain re maggiore (K. 250), pure del 1776,perfino prolissa nella sua pacata maestàborghese.

In seguito, dopo che Mozart si futratto fuori dalla minuta oreficeria delgenere galante, ognuna delle opere cheseguirono in questo genere si affermacon determinata individualità artistica.La Serenata in re maggiore (K. 320),scritta a Salisburgo nell'estate 1779,mentre mette in valore i progressi tecni-

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ci compiuti durante il viaggio a Mann-heim e a Parigi, vibra tutta quanta di malrepressa volontà drammatica. Un'indi-scutibile maturità tecnica e strumentalesostituisce, nel Divertimento in re mag-giore. K. 334, per la famiglia Robinig(1779), il profumo poetico che rendevapreziose le composizioni dei vent'annidi Mozart. Ma esso contiene un temacon variazioni straordinariamente ela-borate, e un minuetto celeberrimo, divul-gato da infinite trascrizioni. A un idealeartistico sempre più nobile e dignitosoaspira la Serenata in si bemolle K. 361,vero monumento della musica per stru-menti a fiato, a cui Mozart fu indottodall'eccellenza degli strumentisti trovatinell'orchestra di Monaco (1780 e 1781);

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e non ha più nulla di comune con la tene-ra leggerezza delle Serenate salisbur-ghesi la concentrata e poderosa Serenatain do minore (K. 388), scritta a Viennanel 1782, per il complesso di fiati diqualche colto intenditore.

Degli 8 Quintetti per archi (2 violini,2 viole e violoncello) i primi rimangonofedeli - a differenza del quartetto - altipo della musica leggera e d'intratteni-mento, come le Serenate, e sono talvoltatrascrizioni di Divertimenti per com-plessi di strumenti a fiato o misti. Mapiù avanti essi comprendono almeno duecapolavori assoluti della musica da ca-mera: il Quintetto in sol minore (K. 516,Vienna, 16 maggio 1787), e il Quintettoin mi bemolle (K. 614, Vienna, 12 aprile

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1791). Scritto nell'angoscia per l'immi-nente morte del padre, il primo è - insie-me alla Sinfonia dell'anno seguente - lapiù perfetta immagine del complesso disentimenti patetici e dolorosi, che perMozart erano abitualmente legati alla to-nalità di sol minore: è forse, nell'allegroe nell'adagio, la composizione più «sog-gettiva» e intensamente umana di Mo-zart, pervasa da un tragico romanticismowertheriano; voce di «allegra dispera-zione o disperata allegria» il primo tem-po (Ghéon), cupa meditazione sulla mor-te l'andante, mentre il finale conduce laconsueta liberazione mozartiana nel fia-besco.

Perfetto contrasto con il precedenteforma il Quintetto in mi bemolle K. 614.

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Se quello rappresentava pienamente lacrisi dolorosa intervenuta nell'animo diMozart tra le Nozze di Figaro e il DonGiovanni, questo è il frutto dell'ultima,irreale giovinezza, della luminosa e tra-scendente saggezza da cui nasce il Flau-to magico. Tessuto interamente di luce, èil trionfo del gioco puro, «lavato d'ognipassione, privo d'ogni intenzione»(Ghéon). Il dolore ne è assente, non giàl'umanità. Ma questa si è liberata del suoretaggio di miseria; svincolata dalla ser-vitù della sua condizione, più non cono-sce le angustie della carne, del sangue,del cuore, e giubila smaterializzata nellapurezza luminosa dello spirito.

A metà tra il «Quintetto dei singhioz-zi» e il «Quintetto degli uccelli», sta un

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terzo capolavoro, il Quintetto con clari-netto in la maggiore K. 581 (29 settem-bre 1789), nel quale è mirabile la conti-nuità, la fusione in un blocco unico dimusica, senza raccordi, né cuciture, nécollegamenti artificiosi. L'espressione èdi meravigliosa intimità, ma già assaipiù pura, nella sua indipendente bellez-za, di quanto fosse nella trilogia sinfoni-ca dell'anno precedente. Ad epoca ante-riore e più serena (20 marzo 1784) risa-le il celebre Quintetto in mi bemolle perpianoforte e strumenti a fiato (K. 432),che Mozart riteneva la cosa migliore dalui scritta.

Il primo dei 23 Quartetti di Mozartnacque a Lodi, il 15 marzo 1770, duran-te il primo viaggio italiano. Presenta una

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certa eleganza melodica, molteplicità ditemi, secondo il costume italiano; del re-sto è opera timidamente scolastica, do-minata dall'influenza di Sammartini(Quartetto in sol maggiore, K. 80). In unalbergo di Bolzano, «per cacciare lanoia», Mozart scrisse il secondo Quar-tetto, in re maggiore, il 28 ottobre 1772;facile e superficiale, si ricollega a treDivertimenti per quartetto d'archi (K.136-138), scritti a Salisburgo in princi-pio di quell'anno, sotto l'influenza di Mi-chael Haydn. Esso è il primo d'un grup-po di 6 Quartetti italiani (K. 155-160),fra i quali quelli in do, in fa e in si be-molle (K. 157-159) sono i più bei fruttidella piccola crisi romantica dell'adole-scenza: accanto alla consueta espressio-

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ne di serenità spensierata, con spunti diopera buffa, appaiono canti vibranti eappassionati, sempre contenuti in unachiara luminosità formale, sotto l'influs-so benefico dello spirito latino. Oltreche sui contemporanei Sammartini eBoccherini, si appoggiano anche sullavecchia scuola corelliana, dal lieve ecantante contrappunto arcaico.

Assai interessante nell'evoluzionestilistica mozartiana è la serie dei 6Quartetti viennesi K. 168-173, rapida-mente composti in agosto e settembre1773, in una febbrile volontà d'impadro-nirsi della sapiente arte haydniana sco-perta a Vienna. Se gli spunti melodicisono meno suggestivi che nei Quartettiitaliani, dei quali si cercherebbe invano

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il profumo di poeticità giovanile, moltosuperiore è l'abilità di svilupparli logi-camente entro gli schemi formali, senzafar ricorso a zeppe e ripetizioni di luo-ghi comuni.

Prescindendo da alcuni Quartettidove il primo violino è sostituito dalflauto (K. 285 e 298) o dall'oboe (K.370), non se ne hanno più altri fino allanuova serie viennese, i 6 Quartetti dedi-cati a Haydn, composti fra il 1782 e il1786. Ancora ispirati dall'emulazioneper il vecchio e glorioso maestro, chenel 1781 aveva messo fuori i suoi Quar-tetti op. 33 di sorprendente robustezzacontrappuntistica, e sorretti dal nuovostudio dei classici - Händel e Bach -essi rappresentano una delle più alte

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conquiste stilistiche di Mozart, e vengo-no volentieri contrapposti da alcuniscrittori alla facilità brillante dei con-temporanei concerti per pianoforte. Maifino ad ora il severo stile imitativo siera prestato così agevolmente all'equili-brata conversazione dei quattro strumen-ti ad arco. Qui trova la sua migliore ma-nifestazione l'essenzialità del linguaggiomozartiano, la cui efficacia è spessoproporzionale alla modestia dei mezzisonori messi in opera. La sua umanitàsottile e spiritualizzata, pura d'ogni pesodella carne, si esprime perfettamente at-traverso questa forma suprema della mu-sica da camera, nella cui semplice com-binazione il suono non può appesantirsisu se stesso in enfatiche condensazioni,

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e dove conta unicamente la purezzadell'idea musicale, l'autentica «necessi-tà» di ognuna delle quattro voci. Il pri-mo di questi Quartetti della piena matu-rità (K. 387, in sol maggiore.) si chiudecon un sorprendente fugato, che fa giàpresagire il finale della Jupiter-Sym-phonie. Il secondo, K. 421, in re minore,è forse il più perfetto; drammatico e ap-passionato, carico d'intensità emotiva,sarebbe stato composto - secondo il rac-conto di Konstanze - nella notte in cuinacque il loro primo figlio (17-18 marzo1783). Nel terzo, in mi bemolle maggio-re (K. 428), spira una nota di quieta tri-stezza e di eterea rassegnazione, che sitrasforma, nel finale, in un'agile danza difate. Il misterioso andante con moto

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presenta armonie straordinarie, il cuicromatismo esasperato è stato da molticommentatori avvicinato a quello delTristano. Il Quartetto in si bemolle (K.458) è noto come il «Quartetto dellacaccia» per il carattere animato e gio-viale del suo primo tema, ed è una crea-zione di pura gioia, con un adagio di el-lenica serenità. Più modesto e di caratte-re meno spiccato, il Quartetto in la mag-giore (K. 464) è il meno noto e il menoeseguito: mostra una grazia quieta e unpo' superficiale, un ben mozartiano «di-sinteresse» espressivo. L'ultimo dellaserie, in do maggiore (K. 465), attirò aMozart aspre critiche per l'audacia dicerte false relazioni armoniche contenutenell'adagio d'introduzione.

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Se ne sta isolato lo spiritoso Quar-tetto in re maggiore (K. 499, Vienna,agosto 1786), circa il quale si suol ripe-tere il poco giustificato giudizio di OttoJahn, ch'esso tenti «d'incontrare il gustodel pubblico, senza sacrificare la dignitàdello stile quartettistico». È un'operapervasa di ottimistica serenità, che nonsommuove profondità dolorose dell'ani-ma, e nell'audacissimo finale spiega unagioia semplice e sfrenata, un'allegria diPapageno.

Gli ultimi tre Quartetti di Mozart (K.575 in re maggiore; K. 589 in si bemol-le; K. 590 in fa maggiore) furono scrittisu commissione del re di Prussia Fede-rico Guglielmo II, dopo il viaggio a Ber-lino nel 1789. Vi si nota un singolare e

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non sempre benefico predominio dellaparte del violoncello, strumento di cui ilsovrano era un appassionato dilettante.Non hanno la profondità emotiva dei 6Quartetti dedicati a Haydn, ché anzi, trale lacune d'una composizione un po' af-frettata, vi si fa luce quest'ultima tenden-za di Mozart, iniziata appunto nell'estate1789, verso il contrappunto inteso comepuro gioco, verso il tecnicismo spinto allimite dell'astrazione.

Fra le composizioni per quartettod'archi bisogna ricordare il celebre Ada-gio e fuga in do minore (K. 546), com-posto nel giugno 1788, trascrizione d'unasplendida fuga, concepita in origine perdue pianoforti. Essa ha un vigore e unaperfezione di sviluppo degni di Bach; e

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l'adagio potrebbe essere uno dei piùforti documenti per gli assertori dellatrascendenza metafisica nell'ispirazionedi Mozart. C'è veramente qualche cosadi celestiale nel suo lento muoversi dipiani in profondità.

Assai meno noti sono i due Quartettiper pianoforte ed archi in sol minore (K.478) e in mi bemolle maggiore (K. 493),del 1785 e 1786, il secondo dei quali fuconsiderato al suo tempo come un'operaassolutamente rivoluzionaria per il suoentusiastico impeto. Solo in questi ultimitempi si è posta attenzione all'alto pre-gio di alcuni fra i Trii per pianoforte,violino e violoncello (K. 254, 442, 496,502, 542, 548, 564), specialmente il ter-zo e il quarto, in sol maggiore e in si be-

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molle, brillanti, con influenza di Cle-menti, mentre il quinto, in mi maggiore(1788) è un perfetto esempio di rococòmusicale, e l'ultimo, in sol maggiore,pure del 1788, contiene nell'andante unpasso della più pura malinconia mozar-tiana.

Sempre invece sono stati apprezzaticome autentiche gemme della musica dacamera il melodioso Trio in mi bemolleper pianoforte, viola e clarinetto (K.498), dal bucolico incanto sapiente e di-screto, detto «trio delle boccette», per-ché Mozart l'avrebbe composto duranteuna partita a boccette con gli amici, il 5agosto 1786, e il Divertimento in mi be-molle per trio d'archi (K. 563, Vienna,27 settembre 1788), quasi un sorriso

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d'angeli, purificato d'ogni miseria terre-stre.

Le Sonate per violino formano unodei più importanti rami della produzionemozartiana, che, protendendosi fino aiprimi saggi infantili, propone difficiliquestioni di cronologia. Per esempio, ilgruppo delle 6 Sonate K. 55-60, asse-gnate dal Kochel al 1768, è stato inveceinterpretato come uno dei più mirabilifrutti del connubio fra la crisi romanticagiovanile e la forma italiana arcaica(Corelli, Veracini, Tartini, ecc.), duranteil viaggio in Italia del 1772-1773. Sonoperò concepite con una grande prevalen-za del clavicembalo; il violino vi è ap-pena in funzione di strumento accompa-gnante. È soltanto con le Sonate compo-

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ste a Mannheim nel 1788 (K. 296, 301-303, 305), che il violino ottiene la paritàdi trattamento; si distingue quella in lamaggiore (K. 305), che personifica laspensierata allegria della giovinezza.Altre due Sonate furono composte nellostesso anno a Parigi, sotto l'influenza delgusto francese, chiarificatore e inclinealla precisa caratterizzazione espressi-va, quasi teatrale: quella bellissima edrammatica in mi minore (K. 304), insoli due tempi d'insolita concisione, equella in re maggiore (K. 306), più ele-gante e briosa. Il gruppo delle 6 SonateK. 301-306 venne pubblicato da Mozarta Parigi, mentre la K. 296 e la K. 378 insi bemolle, composta a Salisburgo nel1779, faranno parte, insieme alle 4 So-

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nate viennesi del 1781 (K. 376, 377,379 e 380), della bella raccolta pubbli-cata presso Artaria a Vienna nel novem-bre 1781. Quasi tutte queste Sonate - maspecialmente quella in si bemolle K.378, così frequentemente eseguita per lasua grazia giovanile, quella in sol mag-giore K. 379, dall'agitato e febbrile alle-gro in minore, e l'esaltata, ardente, quasitumultuosa Sonate in fa maggiore K. 377- meriterebbero un'attenta analisi per laloro plastica ed espressiva bellezza, tut-te vibranti come sono della gioia per lalibertà recentemente conquistata.

Incomplete, le Sonate K. 402 e 403,in la e do maggiore, fanno parte dell'av-vicinamento al gusto degli antichi mae-stri - Händel e Bach, nonché Philipp

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Emanuel Bach - verificatosi in Mozartnel 1782. La seconda è dedicata allamoglie, ed entrambe furono completatedall'abate Stadler. Alla violinista manto-vana Regina Strinasacchi è dedicata laSonata in si bemolle maggiore K. 454(21 aprile 1784), agile e moderna nellemodulazioni, dal beli 'andante caldo eaffettuoso. «Un piccolo capolavoro dilirismo mozartiano» (Schurig) è la Sona-ta in mi bemolle K. 481 (12 dicembre1785), cui seguono la nota Sonata in lamaggiore K. 526 (24 agosto 1787), dacollocarsi accanto al Quintetto in sol mi-nore fra le più appassionate e romanti-che opere di Mozart, e la Sonata in famaggiore K. 547 (26 giugno 1788).

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Le 17 Sonate per pianoforte non ri-vestono certamente nella produzionemozartiana tanta importanza quanta nehanno le 35 Sonate per violino, né costi-tuiscono - come avviene in Beethoven -un vero e proprio diario segreto del mu-sicista. E tuttavia hanno una loro impor-tanza storica, ché, sullo schema usualedei tre tempi - uno lento fra due vivaci -Mozart esercitò intensamente il suo irre-sistibile bisogno di unità, legandoli perla prima volta in un insieme veramenteorganico, analogamente a quanto Bachaveva fatto per la suite o per il preludioe fuga. Nelle Sonate di Haydn, in fondo,sarebbe ancora possibile, senza troppodanno, cambiar l'ordine dei pezzi e ma-gari sostituirli tra loro. Nelle Sonate di

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Mozart un simile arbitrio non si puònemmeno più pensare. Ognuno dei tretempi riveste una sua funzione struttura-le, e tutti sono collegati fra loro da unarete di affinità sotterranee, di segretecorrispondenze e di contrastanti equili-bri, da un vero e proprio gioco di con-trappesi melodici e sintattici. General-mente il primo allegro, caratterizzatodalla diversità dei ritmi, e dalla contrap-posizione di sistemi melodici, crea unsenso di attesa: apre qualcosa nel tempoe pone una premessa, spostando un equi-librio che dev'essere ricuperato. Al con-trario l'ultimo tempo è caratterizzatodalla conclusiva regolarità e unicità deldecorso ritmico, cui la melodia è gene-ralmente subordinata. Il tempo lento cen-

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trale è, per così dire, l'altopiano melodi-co della sonata, il culmine su cui è offer-ta la più intensa espansione del canto,sorretto dalle linee ascendente e decre-scente dei due tempi laterali.

Simile segreto equilibrio di rapportiastratti, più che una reale intensità emo-tiva, è lecito ammirare nelle Sonate K.279-284, composte nel 1774-75. Assaimaggiore maturità, pur nei limiti d'ungrazioso e brillante divertimento, rivelala Sonata in re maggiore K. 311, compo-sta a Monaco o a Mannheim nell'ottobre-novembre 1777, cui segue immediata-mente la Sonata in do maggiore K. 309,composta a Mannheim per Rosa Canna-bich, con curiose intenzioni di ritrattisti-ca psicologica.

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E durante il viaggio parigino che leSonate per pianoforte vengono in primopiano nella produzione mozartiana.Quella in la minore (K. 310) rivela trac-ce di soggettivismo romantico, acco-gliendo in qualche spunto di pateticacommozione il tumulto di delusioni e didolorosi affetti che s'affollavanonell'animo del giovane appena arrivatonella grande città. Pacificato egli apparenella brillante e tipicamente franceseSonata in la maggiore (K. 331), conchiu-sa dalla celebre Marcia turca, mentrequella in fa maggiore (K. 332) e quellain do maggiore (K. 330), facile e breve,quasi sonatina, lo rivelano in possessodi nuovi e più affinati mezzi espressivi aservizio d'una sincera poeticità interio-

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re. Ultima sonata parigina, o forse giàcomposta dopo il ritorno a Salisburgo,di cui pare seguire il riposato «gustolungo», è la Sonata in si bemolle (K.359).

Il pianoforte acquista un importanteruolo nel periodo viennese, quando co-mincia la passione del contrappuntoclassico. È in numerose fughe, suites,fantasie per pianoforte (K. 394, 396,397, 399, 401) che Mozart si esercita te-nacemente per impossessarsi dei segretidi quel nobile ed elevato stile (1782).Poi, conquistata la completa scioltezzatecnica, Mozart affida al pianoforte ope-re di non comune intensità espressivacome le Fantasie in re minore e do mi-nore (K. 396 e 397), del 1782 o 1783, e

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come la Fantasia e la Sonata in do mino-re (K. 475 e 457), del 1784, di beetho-veniana grandezza e drammaticità, dedi-cate alla sua prediletta allieva e confi-dente signora von Trattnern. In pezzi pia-nistici isolati come i Rondò in fa mag-giore e la minore (K. 494 e 511), del 10giugno 1786 e dell'i 1 marzo1787,l'Abert vede profilarsi i sintomidella nuova crisi spirituale, che dopo ilDon Giovanni impronta la produzione diMozart ad «una rassegnazione elegiaca,un'avversione malata per il mondo,un'evasione verso il regno dei visionari,forse un sublime presentimento di mor-te» (Schurig). Poi le Sonate per piano-forte preannunziano l'evoluzione di Mo-zart verso una spiritualizzazione della

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tecnica, sempre più spoglia di passiona-lità, anticipando notevolmente sugli altrigeneri di composizione, come avvieneper la minuscola e tranquilla Sonata indo maggiore (K. 545), che precede laforte ondata d'espressione demoniacadella grande trilogia sinfonica (estate1788). Dopo la Sonata in si bemolle K.570 (febbraio 1789), quella in re mag-giore K. 576 (luglio 1789) corona la se-rie testimoniando la ricca complessità dilinguaggio musicale verso cui Mozartera avviato negli ultimi anni di vita. IlGhéon vi scorge uno dei capolavori delcosì detto periodo gratuito.

Arte che rasenta addirittura lageometria, in quanto s'ingegna dimetter l'uomo da parte. Ma si ascol-

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ti da presso questa Sonata quasighiacciata, simile a un vetro copertodi cristalli di gelo, e ci si convinceràche dietro vi batte un cuore, sebbeneun cuore riavutosi dalle pene e dallegioie, che le prova senza essernetoccato.

Questa breve rassegna, forzatamenteaffrettata e approssimativa, della musicadi Mozart lascia fuori una quantità enor-me, di opere - Sonate per pianoforte a 4mani e per 2 pianoforti, Sonate da chie-sa per organo e archi, Variazioni perpianoforte e per violino, Danze tedescheper orchestra, arie teatrali per una o piùvoci umane e orchestra, cantate sacre eprofane, musiche a servizio dei riti mas-sonici, concerti per strumento a fiato,

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lieder per canto e pianoforte, tra i qualiLa violetta (K. 476, del 1785) e Aben-dempfindung (K. 523, del 1787), ecc. -che sono note in gran parte solo agli stu-diosi. Non seguiremo i fanatici mozar-tiani nel loro entusiasmo per ogni qui-squilia uscita dalla penna del maestro.Ma certamente questo immenso forzieredi musiche sconosciute racchiude ancoramolti tesori. L'esplorazione critica e ladivulgazione di questo prezioso patri-monio artistico e culturale costituirannoforse il compito musicale d'un prossimoavvenire, quando l'umanità, emersa dallerovine d'una tragica epoca di violenza edi sangue, si sentirà in certo modo allon-tanare dall'agitato eroismo beethovenia-no e amerà riposare lo spirito nell'armo-

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nioso messaggio di civiltà, che l'arte diMozart le dischiude.

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II.

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La Mozart Renaissance(1941-1946)

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Mozart e i mozartiani

(1941)

Non è demoniaco né trascenden-tale; il suo regno è di questa terra.

(Busoni, Aforismi mozartiani).La storia della critica mozartiana è

un esempio sconcertante di quel fenome-no per cui ogni età si fa un'idea propriadei geni del passato, cercando in loro larisposta ai propri problemi. Questo, sisa, è il modo stesso di vivere delle ope-re d'arte, che si prolungano e si rinnova-no in una specie di collaborazionedell'universo e a ogni generazione hanno

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qualcosa di nuovo da dire. Ma il caso diMozart è particolarmente intricato, per-ché non tanto si tratta di quel normaleprocesso di stratificazione spirituale,per cui ogni età arricchisce di proprieesperienze critiche l'arte d'un grande, mapiuttosto del prolungato contrasto di dueposizioni contraddittorie ed esclusive,che solo per comodità si possono collo-care in una certa successione cronologi-ca, ma in realtà si intrecciano e persisto-no l'una nell'altra, compresenti e nemi-che.

Ai contemporanei Mozart apparvecome un inquietante romantico. Se neammirò l'efficacia, fino allora inaudita,nel dipingere e muovere gli affetti; moltesue audacie lasciarono dubbiosi, quando

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non indignarono i pedanti. Fu giudicatoun inquieto novatore, e non sfuggi allarituale accusa di aver sacrificato lavoce, nell'opera, all'orchestra. Talemodo d'intendere Mozart durò per al-quanti anni dopo la sua morte: i primiromantici tedeschi, segnatamente Hoff-mann, lo considerarono uno dei loro e lointerpretarono secondo i loro gusti. An-cora nel 1824 il Nägeli, volendo attac-care il romanticismo per la sua mancan-za d'equilibrio e di misura, per l'insi-stenza ossessionante nei contrasti, per lasfrenata ribellione alle leggi dell'arte,prendeva a bersaglio delle proprie criti-che il povero Mozart. Il quale, natural-mente, da questo posto di condottierodella rivoluzione musicale era stato nel

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frattempo agevolmente scavalcatodall'arte beethoveniana. Col graduale af-fermarsi di questa (ostinatamente negatadai mozartiani intransigenti) venne apoco a poco delineandosi un nuovoaspetto dell'arte di Mozart, consacratodefinitivamente nei 4 volumi della bio-grafia dello Jahn (1856-1859): è il Mo-zart tutto grazia ed equilibrio, tutto clas-sica decenza e σωφροσύνη], per il qualediviene rituale il parallelo con Raffael-lo, non meno che la contrapposizione aBeethoven, già formulata nei curiosi vo-lumi dell'Ulibisev. Avevano contribuitoad alimentare questo indirizzo critico iprimi passi della ricerca storica ed eru-dita fondata, si può ben dire, dal Nissen,secondo marito di Konstanze Mozart,

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colla sua Biographie W. A. Mozartsnach Originalbriefen (1828). Nelle let-tere di Mozart avevano richiamato l'at-tenzione i pochi passi a carattere teoricoabbastanza impegnativo. «Poiché le pas-sioni anche violente non devono mai ar-rivare fino al disgusto, così pure la mu-sica, anche nel momento più terribile,non deve mai offendere l'orecchio, masempre far godere e rimanere sempremusica» (lettera al padre del 26 settem-bre 1781).

Una frase dello Jahn definiva moltobene questo punto di vista: Mozart «noncompie nell'opera d'arte il processo difermentazione della passione, ma dopoavere totalmente sottomesso ogni impu-rità e offuscamento, evoca la pura per-

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fetta Bellezza». Si trattava di quella con-dizione dell'anima per cui Nietzscheavrebbe coniato la designazione di«apollinea»; d'altra parte si era ancoralontano dalle generazioni cui non tarda-rono a pervenire certi continuatori delloJahn, facendo dell'arte di Mozart unaspecie di paradiso Biedermeier, un'oasidi tranquilla pace piccolo-borghese, unedificante esempio di conformismo arti-stico e morale, non senza nostalgia perquella società ancien règime i cui deli-ziosi costumi la ricca borghesia dell'Ot-tocento non era mai stanca di riprodurrenei suoi balli mascherati. «Un ravissantpetit marquis à perruque et en culottesde soie qui accorde son violon sur ungenou». Così sintetizzava recentemente

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la degenerazione borghese del Mozartapollineo uno dei suoi più amari detrat-tori8.

La reazione contro questa «canoniz-zazione» di Mozart si delineò verso lafine del secolo. Non si dimentichi la sin-golare importanza rivestita nella recentecultura tedesca dai contrapposti concettidi «apollineo» e «demoniaco». Una vol-ta consacrato Mozart come artista apol-lineo, era inevitabile che si partisse,presto o tardi, alla scoperta del demo-niaco sotto l'apparenza classicamenteequilibrata della sua arte. Si indicanogeneralmente gli studi di Alfred Heuß9

come il punto di partenza di questa in-surrezione. Allo Jahn furono ascritte tut-te le colpe dei suoi continuatori. Lo si

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accusò di avere misconosciuto gli abissidell'anima, le improvvise insurrezionipassionali d'un artista che ai suoi con-temporanei era parso un audace romanti-co. Perfino il magistrale rifacimento del-la biografia dello Jahn procurato daHermann Abert (1921), non rimaseestraneo a questa corrente d'idee. La mu-sicologia erudita era venuta approfon-dendo lo studio delle relazioni intercor-renti tra Mozart e la musica del suo tem-po; e ne concludeva che i caratteri diclassica simmetria e di serenità alcioniaavrebbero potuto agevolmente estender-si alla maggior parte dei suoi contempo-ranei, dai quali Mozart si distinguevaproprio per un fremito nuovo di appas-sionata efficacia. A questi criteri s'ispira

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la critica mozartiana dei dottissimi ri-cercatori Wyzewa e Saint-Foix, i qualiindividuarono una vera e propria «crisiromantica» nel corso dell'arte mozartia-na. Colla biografia dello Schurig (1913)si arrivò addirittura all'estremo di unMozart realista: e il rifiuto di questaopinione fu uno dei pochi atti di quasiunanime concordia che si possano se-gnalare nell'arruffata storia della criticamozartiana. I «demoniaci» infatti si tro-varono momentaneamente d'accordo co-gli «apollinei» per respingere questa in-terpretazione troppo umana e terrestredell'arte mozartiana, poiché si richiama-vano la maggior parte alle vedute deiprimi romantici, sopratutto di Hoffmann,il quale scorgeva in Mozart come un

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presagio d'infinito e nella sua musicauna celeste nostalgia d'immagini che nonsono di questo mondo. Tuttavia non man-carono eccezioni degne d'esser meditate,come quella dello Abert, che ascrisse lascoperta del realismo mozartiano a grantitolo di merito della nostra età ( UberStand und Aufgabe der heutigen Mo-zartforschung, in «Mozartjahrbuch», I,1923, p. 12).

Nel dopoguerra, apertosi l'agitatocapitolo della musica contemporanea, ilproblema mozartiano parve sfuggire dimano ai critici e agli storici. Entraronoin scena i musicisti stessi (non sempre asemplificare le cose) e, fra i tanti, ban-dirono anche un «ritorno» a Mozart: zu-rück zu Mozart! Generalmente poco in-

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formati circa i precedenti della questio-ne, anzi, spesso ignorando che esistessein proposito una questione, essi parveroschierarsi in sostanza dalla parte dei so-stenitori d'un Mozart apollineo, spingen-do però tale posizione all'estremo ecoinvolgendo pericolose conseguenzemetodologiche.

Era l'epoca dell'estrema saturazionewagneriana e straussiana. Nei teatri e aiconcerti enormi orchestre rumoreggiava-no convulse invano divincolandosi sottoi profondi rantoli dei tromboni. Fatta or-mai l'abitudine a quella scrittura orche-strale agglutinata e necessariamente im-precisa, concepita in vista d'un appros-simativo effetto d'insieme, nel quale ègià gran merito del direttore realizzare il

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cinquanta per cento dei particolari scrittisulla pagina, colui che per primo risco-prì con animo ingenuo e con occhi nonprevenuti la nitida pulizia, il croccanterilievo della scrittura mozartiana, dovet-te per certo sentire d'avere innanzi a séil paradiso perduto. Questo il significatodel ritorno a Mozart ricondotto alle cir-costanze storiche delle sue origini: si-gnificato quindi strettamente tecnico ecollegato al normale avvicendamentodello stile e dei gusti musicali. Ma, nelledichiarazioni programmatiche dei musi-cisti, che fiorirono copiose tra il 1920 eil 1930, Mozart divenne l'araldo dellamusica pura, o oggettiva che dir si vo-glia, della musica non espressiva, ripo-sante unicamente sull'astratta combina-

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zione dei valori sonori. In Mozart sivide la musica allo stato primigenio eideale, innanzi che l'avvelenasse il sen-timentalismo romantico. Rinacque l'anti-ca querelle tra «mozartiani» e «beetho-veniani», con la differenza che ora que-sti ultimi si vennero a trovare dalla partedei conservatori e dei passatisti. Bee-thoven venne incolpato di truculenzaoratoria e di patetico autobiografismo.L'antico contrasto di «apollinei» e «de-moniaci» si presentava unicamente comeuna divergenza sul modo d'intendere unartista di difficile interpretazione, diver-genza contenuta entro un concettodell'arte sostanzialmente comune. Orainvece la nuova contesa rivelava unaportata profonda. Due concezioni

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dell'arte stavano di fronte, nemiche e in-conciliabili. Se l'arte era la musica diMozart, così come la intendevano i nuo-vi apollinei, araldi della musica pura,non poteva esserlo la musica di Beetho-ven. Questo il significato ultimo dellapolemica Mozart-Beethoven, anche senon tutti ebbero il coraggio di chiarirse-lo apertamente. Ma potemmo leggere lecontumelie antibeethoveniane di un mo-zartiano francese, il Suarès10; e assistia-mo ad assidui sforzi per promuovere unarevisione dell'arte di Beethoven, facen-do piazza pulita dei così detti valoriumani e puntando sopratutto sulle ultimeopere, particolarmente gli ultimi Quar-tetti, a detrimento delle celebri operedella seconda maniera. Fenomeno paral-

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lelo a quello cui si assiste nella lettera-tura con la celebrazione del Paradiso aidanni dell'Inferno, delle Grazie ai dannidei Sepolcri.

Con questo non si creda che l'ele-mento demoniaco sia stato definitiva-mente eliminato dall'interpretazione mo-zartiana. Al contrario, in questi ultimitempi si è assistito a una curiosa conver-sione di fronte che ha permesso ai duenemici di un tempo - l'apollineo e il de-moniaco - di confondersi amichevol-mente (il che conferma la fallace e ibri-da formulazione di questi concetti). Laposizione apollinea si è orientata sem-pre più verso l'esaltazione degli astrattivalori sonori, eliminando dal suo voca-bolario gli antichi termini di grazia, de-

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cenza, serenità, eleganza e simili, chepotevano ancora evocare in sostanza at-teggiamenti morali dello spirito umano.La posizione demoniaca si è richiamataalle interpretazioni hoffmanniane, asse-gnando all'arte di Mozart l'ambito delsovrumano, l'espressione angelica dicerti ineffabili misteri supremi, che nonè facile precisare, appunto perché sonoineffabili. Così è stato possibile ad«apollinei» e «demoniaci» non soltantoallearsi, ma confondersi in una sola im-magine dell'« attualità» di Mozart. Lasua musica viene localizzata nei poli,solo apparentemente opposti, del puroarabesco e d'una misteriosa metafisica.Tutti sembrano ben d'accordo nel voler-le negare lo stadio, apparentemente in-

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termedio, della umanità. Tale l'immagineche il nostro tempo ci propone - conparticolare insistenza in Italia e in Fran-cia - dell'arte mozartiana.

Se questa interpretazione si presen-tasse armata d'un nuovo concettodell'arte, ad appoggiare le radicali rifor-me che più o meno esplicitamente essapropone, la discussione sarebbe senz'al-tro da tradurre in altra sede che nonquella della critica musicale, anzi, mo-zartiana.

Ma non è questo il caso. Non si cer-ca di formulare una nuova estetica. Solosi sostiene che l'estetica attualmente se-guita dai più (ma forse - kantiananente -anche ogni estetica futura) non è capacea render ragione dell'arte di Mozart.

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Singolare caso d'infatuazione per un ar-tista la cui opera pare ad alcuni così sin-golare, così qualitativamente diversa daogni altra, che conduce a fantasticared'una specie di supermusica, esattamentecome da altre parti si viene magnifican-do una superpoesia del Paradiso e delleGrazie.

Davanti a una pretesa che presentacosì poche giustificazioni, è giusto chesi cerchi di ricondurre al corrente con-cetto dell'arte questa nuova interpreta-zione della musica mozartiana senza re-spingerla in blocco, ma rendendosi con-to di ciò che significa. Non contestiamoaffatto che i magnificatori del Paradisoabbiano arricchito un poco il patrimoniopoetico della Divina Commedia, addi-

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tandoci alcune bellezze alle quali erava-mo rimasti ciechi nel passato. Ma ci ri-belliamo alle pretese di aver scoperto il«Dante vero», ci ribelliamo al dilemmache, più o meno larvatamente, si vorreb-be instaurare: o questo o quello. Paradi-so o Inferno. Tutte le complicazioni na-scono dall'animosità polemica di coloroche, per una goccia di nuova poesia sco-perta e offertaci in loro preziosa fialetta,pretenderebbero imporre l'abbandonodelle altre immense ricchezze poetichedi cui l'umanità si è finora compiaciuta.

Anzitutto, di dove ci viene la nuovainterpretazione dell'arte mozartiana ?Non si scopre un mistero scandaloso sesi afferma che in Italia Mozart non è po-polare. Le grandi opere mozartiane non

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sono entrate stabilmente nel nostro re-pertorio e costituiscono pur sempre unospettacolo d'eccezione. È un dato di fattopiù volte constatato nelle varie storiedella fortuna di Mozart. È uno degli ar-gomenti di cui si è spesso servita la mu-sicologia tedesca, nei suoi malintesisforzi nazionalistici per affermare lafondamentale natura germanica dell'artedi Mozart, sotto l'italianità delle appa-renze esteriori, è proprio questo, che ilgusto per Mozart in Italia è prerogativadi una cerchia relativamente ristretta dicompetenti e d'intellettuali. E veramentel'immagine di Mozart che i nostri con-temporanei ci propongono presenta tuttele stigmate dell'intellettualità. Si puòstar sicuri che ben poca musica pura e

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ben pochi misteri supremi entrano nel«deutsches Mozartbild», espressioneche spesso ricorre nella musicologiad'oltr'Alpe per designare quell'idea diMozart che è vita e patrimonio spiritualedel popolo tedesco. Inoltre la modernaimmagine di Mozart è tipica: del fre-quentatore di concerti, che dei 626 nu-meri di cui si compone il catalogo dellecomposizioni mozartiane, ne ascoltaogni tanto, episodicamente, qualcuno deiminori e se ne fa un mondo compiuto, uninaccessibile idolo di perfezione libratonel vuoto assoluto d'uno spazio astrale.È sintomatico il fatto che le fluttuazionidel gusto si ripercuotono solo attenuatenelle opere dei grandi Mozartforscher eche la presente interpretazione intellet-

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tualistica sia reperibile essenzialmentein articoli di riviste, ma non si sia anco-ra concretata in una grande opera critica.L'antica lotta dei «demoniaci» contro gli«apollinei» era ben lontana dal preten-dere di scalzare il concetto dell'arte, fa-cendo leva su pretese singolarità dellamusica mozartiana: si accontentava diproporre diverse immagini di Mozart,diverse ma non antitetiche, sopratutto sedagli epigoni delle due tendenze si risal-ga ai grandi pilastri della critica mozar-tiana. Per poco che ci si addentrinell'immenso paesaggio mozartiano, e cisi renda familiare il suo fitto tessuto dirispondenze interne, e si impari a distin-guere i pezzi unici dalla lavorazione inserie, voglio dire ciò che è creazione ir-

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ripetibile di purissima fantasia da ciòche è soltanto il magistrale impiego d'unlinguaggio preesistente, prodotto e rias-sunto di tutta una civiltà musicale, si av-verte la necessità di smussare gli spigolialle interpretazioni «attuali» che poteva-mo portare con noi, riversando su Mo-zart e ricercando in lui gusti, interessi etendenze del nostro tempo. Certamentele ombre e i colori variano secondo leore e i punti di vista. Ma la realtà diquell'arte si manifesta abbastanza chiaraa chi si dia la pena di abbracciarla nelsuo insieme, e di ripercorrere - sui testicritici fondamentali - i passi che l'uma-nità ha mosso verso Mozart.

Oggi invece la conoscenza frammen-taria dei fanatici mozartiani va spesso

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unita all'assolutismo più intollerante.Essi non ammettono che dalla penna diMozart possa esser sfuggito qualcosa dimen buono, un luogo comune, una bana-lità, e tendono a sublimare queste even-tuali debolezze del loro autore sotto l'in-segna della musica pura. Né vale chel'erudizione sia venuta additando, sianell'interno delle opere mozartiane, siain quelle dei contemporanei, l'amabileripetizione di formule convenzionali, pa-trimonio comune del gusto musicale allafine del Settecento. C'è in questa ostina-zione un equivoco, che va ricondotto ap-punto alla conoscenza incompletadell'opera di Mozart e dei suoi contem-poranei. Il Settecento è certamente il se-colo che presenta il più affascinante pa-

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norama nella storia del costume. Ognisua rievocazione desta sorrisi di com-piaciuta indulgenza. Il patrimonio musi-cale di quel secolo non fa eccezione allaregola; di più, è poco noto. Si spiegacosì il sapore che anche alcune passiveripetizioni di luoghi comuni acquistanoall'audizione occasionale e isolata diquesta o quella composizione minore diMozart: ti risuscitano magicamente tuttaun'epoca. Ma considerati al loro posto,nell'insieme dell'opera di Mozart e deisuoi contemporanei, si rivelano per quelche sono, momenti di stanchezzadell'ispirazione e non già musica pura,arabesco, quintessenza dei suoni e viadicendo. Veramente in essi impallidiscela personalità mozartiana, non per un de-

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liberato abbandono dei valori espressi-vi, bensì per momentanea concessionead un linguaggio convenzionale. Appar-tengono alla storia del gusto, del costu-me artistico, non alla storia della poesia,e hanno la bellezza d'un mobile in stile,che nessuno sogna di mettere sullo stes-so piano della poesia di Racine o dellapittura del Tiepolo. Già Edward Dent(Mozarts Opern, Berlino 1922, p. 15)sosteneva per queste ragioni la necessitàdi studiare accuratamente la musica disecond'ordine del tempo di Mozart.

Quando ci si applichi con un po'di pazienza allo studio dei suoi con-temporanei, si scopre improvvisa-mente che i tratti che più volentieririteniamo tipicamente mozartiani,

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non lo sono niente affatto, ma sonopatrimonio comune a tutti i facitoridi musica di quel tempo.

E giustamente si riferiva al cosmo-politismo musicale del Settecento, cul-minante proprio in Morzart, fondato es-senzialmente sull'universale predominiodello stile italiano.

Non vorrei aver suggerito involonta-riamente l'impressione che il culto deineomozartiani per il loro idolo sia de-terminato da un atteggiamento snobisti-co. Non si può escludere, certo, che unpo' di snobismo abbia la sua parte in al-cune delle loro manifestazioni. Ma gene-ralmente non si tratta di questo. I neomo-zartiani non sono snobs. Sono, semplice-mente, piuttosto artisti che storici. Anche

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quando alcuni di loro facciano profes-sione di critici più che di creatori, sonoin stretto contatto con le forze impegnatenel travaglio creativo nella musica con-temporanea, e tutta la storia della musicariducono e riconducono volentieri a queideterminati problemi che l'arte del no-stro tempo ha da risolvere. La divinaastrattezza e l'incorporea metafisica chein Mozart oggi si ricercano, sono beneaspirazione di qualche importante cor-rente della musica contemporanea.L'esempio è ancora più evidente nellaletteratura, dove i legami tra la poesiaermetica e i celebratori ad oltranza delParadiso e delle Grazie sono a tutti ma-nifesti. Naturalmente l'interesse criticodell'artista è meno comprensivo che

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quello dello storico. Per chi alimenta insé il germe d'una nuova forma, ogni di-versa espressione si porrà necessaria-mente come qualcosa di estraneo e quasiostile, ed egli cercherà invece di ravvi-sare ovunque precedenti e analogie in-compiute di ciò che l'interessa, quasi te-stimonianze e prove storiche a confortodella propria ispirazione. Quindi, irre-ducibili antipatie verso quelle formed'arte che non offrono possibilità di as-similazione al proprio credo artistico;quindi, anche, ingenui e inconsapevolitravisamenti. Esempio classico la ten-denziosa interpretazione wagnerianadell'arte di Beethoven, che si configuracome progressivo esaurimento dellepossibilità insite nella forma sinfonica

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pura; questa correrebbe in linea rettaverso il proprio superamento, rappre-sentato dalla congiunzione delle vociumane con quelle dell'orchestra nellaNona Sinfonia, precedente immediatodell'unica forma d'arte ormai possibile,il Wort-Ton-Drama wagneriano.

Ma nel campo del pensiero è diffici-le che si dia un contrasto nel quale ognu-na delle parti non abbia dalla sua un po'di ragione e che non valga a chiarire emeglio determinare le idee dell'uno edell'altro contendente. L'esteticadell'espressione è quella che oggi par-rebbe messa in pericolo dalle più recen-ti interpretazioni mozartiane. Ma ches'intende per espressione? È abbastanzaevidente che la polemica dei neomozar-

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tiani si rivolge contro una concezionedella musica, secondo cui questa avreb-be per natura il compito di rappresenta-re, o almeno evocare coi suoni i senti-menti. E per sentimenti s'intendono certeoggettivazioni astratte, fissate in immuta-bile rigidità - gioia, dolore, amore, odio,speranza, terrore, ecc. - assolutamenteirreperibili nella realtà della vita umana.Poiché è chiaro che la vita non offre maiun esempio puro, paradigmatico di tri-stezza, poniamo: ma la tristezza di Tizioè diversa da quella di Caio, e variamen-te diversa ancora da quella di Sempro-nio, e via dicendo. In genere, ogni statod'animo è la coincidenza momentanead'un complesso di fattori e di circostan-ze che, tali e quali, non si ripeteranno

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più: è quindi un fenomeno unico e irre-vocabile, è - come dicono i tedeschi - unEinmaliges. Solo con un procedimentonaturalistico di schematizzazione è pos-sibile astrarre dai singoli stati d'animocomplessi di note comuni che consento-no la produzione di «sentimenti-tipo»,classificati secondo ingegnosi rapportid'interdipendenza. È quel che facevano isecenteschi trattatisti «delle passionidell'anima» e naturalmente la musica èinetta a simile lavoro intellettualistico:l'espressione di tali astratte oggettiva-zioni è estranea alla sua natura non menoche l'espressione di un tavolo o di uncompasso. Espressione di sentimenti èl'arte solo quando s'intendono quei senti-menti vivi e reali nei quali ciò che meno

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conta è proprio l'etichetta classificatricee conta invece quel complesso di circo-stanze - l'individuo e la sua momentaneasituazione storica - che non si lascia innessun modo schematizzare.

Sono banalità, queste, tanto ovvieche quasi ci si vergogna a ripeterle. Maè un fatto che l'estetica dell'espressione- man mano che ci si allontana dalle suefonti - viene largamente fraintesa a que-sto modo. L'astrattismo dei neomozartia-ni è una giustificata reazione verso que-sto equivoco, a premunirsi dal quale nonsi insisterà mai abbastanza sul caratteredi inconsapevolezza o, per esser piùprecisi, di non necessaria consapevolez-za dell'espressione artistica. Credere neivalori espressivi dell'arte non significa

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esigere che l'artista si proponga comescopo l'espressione di uno o più deter-minati sentimenti. Ciò può anche avveni-re, e induce nell'arte una nota per cosìdire descrittiva, la cui presenza più omeno sensibile costituisce forse il carat-tere essenziale del romanticismo, intesocome fenomeno storico, compreso entrodeterminati limiti cronologici11. Questanota di consapevole descrittivismo non èessenziale alla natura dell'arte, e nem-meno non è necessariamente incompati-bile. L'espressione, quella che con la na-tura dell'arte assolutamente si identifica,è un «prima», non un «poi» dell'attivitàcreatrice: una premessa indispensabile,non uno scopo. L'artista può credere inbuona fede che ogni valore espressivo

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esuli dalla sua opera. Armonie, ritmi,timbri strumentali, equilibri di masse evolumi orchestrali possono sembrare almusicista l'unica realtà della sua arte.Ma soltanto se egli è un uomo e non unfantoccio, se è radicato nel suo tempo,se è un animo aperto alle passioni e aiproblemi morali, se è un tramite attivodella vita universale, i suoi apparentigiochi sonori conseguono quella scintil-la, quella vibrazione inconfondibile -an-che se tanto difficile da determinare -che distingue le opere vive dai chimismie dalle geometrie a freddo. Ha vogliaStravinskij12 di predicare l'inespressivi-tà della musica! Dietro ognuna delle sueopere si profila la sua personalità, unadelle più significative del nostro tempo,

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e una delle più sorprendenti di tutti itempi. A queste verità sono pervenutipiù presto e facilmente i critici delle artifigurative, probabilmente perché la pit-tura ha realizzato presto e compiutamen-te l'indipendenza dei valori espressivipittorici dal significato di ciò che sivuol rappresentare. Oggi è abbastanzachiaro a molti che l'emozione prodottada un quadro a soggetto tragico o stra-ziante non ha sempre qualchecosa a chevedere col valore artistico, conl'«espressione» nel suo senso genuino.Ma la musica e, più ancora, l'arte dellaparola, sono rimaste, nel gusto dei più,molto legate al valore semeiotico deiloro elementi, e non si insisterà mai ab-bastanza sulla necessità della distinzio-

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ne, che il Foscolo soleva fare, tra lin-guaggio poetico e linguaggio meramenteitinerario. Si pensi, per un caso estre-mo, alla efficacia persuasiva del cine-matografo, dove è notoriamente tantodifficile liberare l'eventuale espressionepoetica dalla ganga di suggestione orato-ria che l'avvolge.

Così intesa, l'espressione artistica siriduce in sostanza a una energica esigen-za d'umanità, nelle infinite forme possi-bili: «desiderio di precisare e rivelareun modo nuovo secondo il quale l'autoreha veduto qualche aspetto del mondocreato» (Bontempelli). Concezione cheforse nemmeno il più intransigente deimozartiani vorrà contestare, e che infattilascia largo posto anche per le moderne

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interpretazioni, - fin dove il controllodei testi musicali le riveli fondate e nonmere esercitazioni letterarie. Se tale è lanatura dell'espressione artistica - incon-sapevole manifestazione d'umanità diffe-renziata all'infinito - pare difficile cheancora si voglia sostenere da qualcheparte l'«inespressività» di Mozart, affer-mando che l'umanità nella musica co-mincia con Beethoven. Ecco come siesprime al riguardo un illustre esegetamozartiano: «Sebbene la creazione mo-zartiana rifugga dall'extramusicale, conciò non è affatto detto che le manchi ilfondamento spirituale e umano. Solo cheesso si manifesta in lui come immediata-mente musicale, senza l'intermediario diqualche idea poetica o processo di pen-

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siero logico. La sua musica non è perciòniente affatto un hanslickiano gioco di"forme sonore in movimento"..., mal'espressione d'una vivente personalità»(Abert, Über Stand und Aufgabe cit.,pp. n-12).

Personalità che va esplorata unica-mente attraverso l'analisi grammaticale esintattica del linguaggio musicale, inter-rogando spregiudicatamente l'opera diMozart e discernendo ciò che veramente«suona», da ciò che rimane senza econell'anima nostra. Inutile, quindi, perse-guire in Mozart la caratterizzazione so-nora di oggettivati sentimenti: il volto diMozart, quel complesso di valori umaniche nel nome di Mozart si riassume,vuol essere meta dell'indagine critica.

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Le esigenze dell'interpretazione «apolli-nea» di Mozart possono essere larga-mente accolte, in tutto ciò che hanno diragionevole, grazie alla dottrina dellanon necessaria consapevolezzadell'espressione. Essa consente di daratto dell'enorme importanza che ha inMozart il «distacco» dalla materia uma-na, il suo totale scioglimento in musica,senz'ombra di residui autobiografici ooratorii. Di nessun altro quanto di Mo-zart si può ripetere tanto a proposito ciòche Lamartine diceva di se stesso:ch'egli cantava «come l'uomo respira,come l'uccello geme, come il vento so-spira e come mormora l'acqua»13. Forsea questo «distacco» alludeva Busoni inquel suo singolare aforisma mozartiano:

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«Il suo palazzo è smisuratamente grande,ma egli non esce mai dalle sue mura. At-traverso le sue finestre vede la natura; lacornice delle finestre è anche la cornicedi quella». E questo distacco - che è poiil totale trasferimento della realtà nellamusica, divenuta essa stessa natura -sep-pe realizzare un intelligente regista, Lo-thar Wallerstein, con le sue scenografieletteralmente rinchiuse dentro una corni-ce.

Assai meno facile, invece, riesce ac-cettare totalmente i suggerimenti che ciporgono i fautori del demonismo mozar-tiano. Nessun dubbio che le opere degliultimi anni rivelino una crescente inten-sificazione dei valori espressivi; nessundubbio che il cielo generalmente sereno

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dell'arte mozartiana sia talvolta squar-ciato dal baleno d'improvvise illumina-zioni tragiche, non sempre, finora, con-venientemente apprezzate. Individuaresimili passi e riconoscere, se possibile,l'unità spirituale della loro ispirazione,fissando il posto che spetta a questo fat-tore della personalità mozartiana, tuttociò non si può ottenere che attraverso uncompleto riesame dell'immensa sua pro-duzione musicale. Ma sembra inverosi-mile che queste ricerche possano perve-nire a tali risultati, da capovolgere quel-la figura di Mozart che emerge dalleopere più note e sopratutto dal teatro.Qui, necessariamente, il giudizio quali-tativo si mescola col giudizio di valore:cioè, la cernita di ciò che emerge

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dall'insieme della produzione coi carat-teri inconfondibili dell'arte, vale anchead indicare gli strati più genuini ed es-senziali nella personalità di Mozart. Sigiunge così a quel momento supremodella critica che è l'avvertimento rigoro-so del bello, quando il critico è lasciatosolo: - con la sola arma del suo gusto -,di fronte all'ardua muraglia dell'operad'arte. Nell'impossibilità di fornire unaminuziosa documentazione - che solouna vasta opera consentirebbe - egli nonpuò invocare altra giustificazione chequella della propria coscienza, e chiede-re altrui il cambio di altrettanta lealtà ebuona fede. Ora, in questa stringente in-terrogazione dei monumenti artistici, leopere mozartiane che sembrano spiccare

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e imporsi colle stigmate della più asso-luta perfezione sono le Nozze di Figaroe il Don Giovanni.

Non il Ratto dal serraglio, alla cuialta valutazione nei paesi tedeschi hannocontribuito motivi contingenti e retoricidi innovazioni tecniche entro i limitid'un determinato genere: il fatto d'esserestata la prima opera buffa in lingua tede-sca che ai modi consueti del Singspielunisse la ricchezza melodica e la vivaci-tà scenica dell'opera comica italiana, ol-tre ad una proprietà strumentale e consi-stenza di linguaggia musicale fino allorainaudite sulle scene tedesche. Fu quindiuna di quelle opere che segnano un'epo-ca nella storia del teatro musicale d'undato paese; come lo fu in Italia una delle

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opere di Rossini rivelatesi in seguitomeno vitali, il Tancredi. Ben altre sono,naturalmente, le doti intrinseche del Rat-to dal serraglio, che realizza una suadrammatica unità nella simmetrica oppo-sizione di personaggi aristocratici e vol-gari: motivo operistico caro a Mozart,che gli permetteva di esaurire le sue piùfelici possibilità di caratterizzazione. Latenerezza lieve e sospirosa, venata dielegiaca malinconia, della coppia ari-stocratica, e la comicità farsesca dellacoppia dei servi, sono come due fili didiverso colore che percorrono tutto l'or-dito dell'opera e si congiungono in quelcapolavoro che è il quartetto del secon-do atto. I quattro innamorati sono final-mente riuniti. Ma, nella felicità del mo-

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mento, un molesto sospetto si fa stradanei due uomini, che finiscono per espri-merlo, dopo lunga esitazione, Belmontecon estrema delicatezza, Pedrillo con lasua incorreggibile volgarità. Vorrebbesapere da Blondchen se il terribileOsmino non abbia probieret und exer-zieret su di lei i suoi diritti di padrone.La scena si svolge con deliziosa simme-tria settecentesca: Costanza rabbrividi-sce pudica, ed ha una semplice e schiettafrase dolorosa: «O, wie du mich betrüb-st». Ma Biondina allunga un ceffone aPedrillo, dopo di che i due amanti - ingi-nocchiato l'uno e l'altro soffogandosi laguancia - si dichiarano persuasi e chie-dono e ottengono perdono, soave il per-dono di Costanza, dispettoso e collerico

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quello di Biondina. Il contrappunto psi-cologico - casta delicatezza della coppianobile, schietta e rubesta energia dellacoppia popolana - è una delle perfetteriuscite teatrali di Mozart. Ma sul finiredell'opera la presenza di una pagina mu-sicale meravigliosa pare stia ad ammo-nirci sulla differenza che corre tra l'arte,nel senso più assoluto e rigoroso dellaparola, e le felici realizzazioni sceniche,conseguibili anche senza un'irreprensibi-le originalità musicale. È la deliziosamelodia del vaudeville finale, intonatada Belmonte e poi ripresa dai cinquepersonaggi: «Wer so viel Huld verges-sen kann». Tutti i nodi della vicendasono ormai sciolti, è questo il canto digrazie per l'inattesa generosità del Pa-

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scià. E nel suo piglio sentenzioso e fia-besco la melodia ha il potere di rievoca-re tutte le passate traversie dei quattroinnamorati facendole ricontemplare perun'ultima volta dal porto della raggiuntafelicità. Realtà e finzione scenica si me-scolano, in un incredibile clima irreale:c'è la gioia del lieto fine e la punta dimalinconia della festa che finisce, delsipario che sta per cadere. È il momentoin cui il buon burattinaio esce dalla suabaracca e tiene ai bambini un deliziososermoncino, che dissipi in loro l'illusio-ne dello spettacolo e li mandi a casa piùsaggi e più buoni. È in certo modo ilpunto d'incontro delle due realtà: quellascenica e quella che tra poco accoglieràlo spettatore, quando, infilatosi il sopra-

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bito, uscirà dalle luci del teatro nel fred-do e nel buio delle vie cittadine. E maila realtà della finzione scenica è parsatanto vivida e allucinante, come ora cheviene consapevolmente messa a confron-to col senso della sua caducità, col pre-sagio della prossima fine.

Questo clima di magica trasfigura-zione ad opera della musica è pressochécontinuo nelle Nozze di Figaro e nelDon Giovanni. Qui si avvera quasi sem-pre, e con assoluta spontaneità, quellaperfetta coincidenza tra l'architetturamelodica dell'aria e la struttura logico-sintattica della frase, che consente a Mo-zart il conseguimento di un lucido reali-smo drammatico entro la più sfrenatafinzione della fantasia. Strano realismo,

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in verità, che si acconcia alle più strava-ganti situazioni, senza perdere nulla del-la sua incantata evidenza, perché la real-tà è trasferita tutta dal piano logico-nar-rativo al piano dei valori musicali. Cosìriesce accettabile, per fare un esempio,che Masetto bastonato di santa ragioneda Don Giovanni, venga confortato e cu-rato da Zerlina non già con impacchi,bende e unguenti - come esigerebbe ilrealismo drammatico comunemente inte-so -, ma con quella singolare terapia de-scritta nell'aria «Vedrai, carino, se seibuonino». A questa verità drammaticaMozart perviene evitando tutti i procedi-menti tecnici che comunemente si riten-gono più confacenti alla realizzazionedel dramma musicale: niente declamato

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in sostituzione delle forme chiuse, nienteespressione musicale accurata d'ognisingola parola, e simili. È stato spessonotato che personaggi animati da senti-menti contrastanti cantano sulla stessaaria parole diversissime, violando unodei canoni più elementari della verosi-miglianza drammatica. Eppure la carat-terizzazione dei personaggi si sviluppapotente e inconfondibile. Edward Dent(Mozarts Opern cit., p. ni) ha acutamen-te fatto notare, a proposito delle Nozzedi Figaro, come il segreto della vitadrammatica di quest'opera sia da cerca-re nel numero relativamente ristretto diarie in confronto agli assieme (14 ariesu 28 numeri di cui consta l'opera; sipensi che nell'opera italiana gli assieme

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erano generalmente relegati, nei finali,oltre a un duetto amoroso centrale; per ilresto dell'opera la sequela delle ariefluiva con implacabile monotonia).L'eliminazione della staticità dell'ariaproduce un dinamismo sorprendente ealimenta uno stile vocale che Dent chia-ma, con felice immagine, «di conversa-zione». Inoltre molte delle arie non sonocircoscritte al personaggio che canta, malumeggiano e completano la personalitàdi qualche altro. Esempio tipico la cele-bre canzone con cui Figaro predice alpovero Cherubino, nominato «uffiziale»,i guai della vita militare: le marcie nelfango, la sciabola al fianco, e il concertodei cannoni. Il tutto su un ritmo garbata-mente marziale, con burleschi effetti

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onomatopeici, realizzanti in modo mira-bile la compresenza dei due mondi,quello guerresco descritto e pur sentitocome impossibile, e quello di Figaroche descrive e di Cherubino che ascolta,frivolo ed elegante, l'unico mondo realee concreto per questi personaggi. Da si-mili procedimenti, e dall'abbondanza diduetti, terzetti e concertati, si produce ungenerale estendersi, diramarsi e recipro-co reagire dei vari caratteri in un intrec-cio che è - in valori puramente musicali- immagine schietta della vita.

Anche Dent ha fatto giustamente no-tare, a proposito delle sorprendenti rea-lizzazioni drammatiche di Mozart, pervie che dal dramma parrebbero aliene elontanissime, come non si insisterà mai

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abbastanza sull'importanza dell'educa-zione sinfonica di Mozart. Non ci si in-ganni sulla semplicità melodica mozar-tiana. Melodia, in Mozart, non è esclusi-vamente sinonimo di vocalità. Qui piùche mai ha utilità il confronto, con lapratica dell'opera contemporanea a Mo-zart. Nell'opera italiana il compositoregiocava veramente tutte le sue carte sulcanto vocale. Si leggano unicamente leparti di canto d'un'opera mozartiana: e siavrà qualchecosa di monco e d'incom-pleto. Poi si passi alla parte orchestrale:questa lettura riserverà una quantità disorprese che invano si cercherebbero inuno spartito italiano del tempo. Rara-mente la melodia è completa nella solavoce: essa circola e si distribuisce dal

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palcoscenico in orchestta, dove dà luogoad incisi, equilibrii complementari, ele-menti di necessaria simmetria, che spes-so si dispongono in un atteggiamento difluida continuità narrativa. Ecco, fra itanti che se ne potrebbero addurre, dueesempi tratti dalla seconda scena delRatto dal serraglio (duetto Osmino-Bel-monte)

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e dal finale del Don Giovanni (ter-zetto Don Giovanni, Elvira, Leporella).

Questa integrazione orchestrale dellamelodia, che spesso si rapprende in veree proprie cellule sinfoniche con funzionedrammatico-narrativa, è forse il caratte-re stilistico più saliente del teatro mo-zartiano ed è spesso il tramite dell'incre-dibile potenza caratterizzatrice insitanell'apparente indifferenza e autonomiadella musica di Mozart.

Ma è chiaro che queste delucidazio-ni del magico realismo mozartiano nonvanno più in là d'una spiegazione d'ordi-

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ne grammaticale e sintattico, non supera-no il fatto tecnico e si limitano a indica-re come questa bellissima musica è fatta.Essa non perverrebbe a tanta forza tra-sfiguratrice della realtà, i suoi più inge-gnosi procedimenti tecnici ricadrebberospezzati, se non fosse sorretta da tutto unmondo spirituale del quale è l'inconsa-pevole espressione. È il mondo che leNozze di Figaro rivelano in tutta la suapienezza. Nell'accorta riduzione operatadal Da Ponte, il capolavoro del Beau-marchais viene spogliato d'ogni intentosatirico e sociale; è un quadro di vitacontemporanea, in cui viene accolta sen-za restrizioni quell'aura molle di diffusasensualità, che nella commedia francesedovrebbe essere fronteggiata dalla sana

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schiettezza del popolano Figaro. Questinon conserva, nell'opera, più nulla ditribunizio. Solo è rimasto il contrasto frail gruppo dei personaggi maturi, quelliche erano giovani nel Barbiere di Sivi-glia, e il gruppo dei nuovi personaggi -Susanna, Cherubino, Barbarina: giovani,splendenti, impazienti e smaniosi di gio-ia. Se ne sprigiona un senso di leggeranostalgia, che percorre l'opera come unprofumo sottile. Rosina, l'indiavolata efurbissima Rosina, è diventata contessa:sulla soglia della maturità, ha presoquella bellezza languida e un po' sfatta,venata di rassegnazione e di malinconia,tipica delle dame mozartiane, in contra-sto con l'indomabile vitalità e autoaffer-mazione delle servette, come Susanna.

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Non può sfuggire a nessuno l'analogiache collega le tre creazioni di Costanza,la Contessa e Donna Elvira, grazie ap-punto a quella nota comune della rasse-gnata malinconia: ma quella che esercitail fascino pid suggestivo è certamente laContessa, perché ha davanti a sé, in Su-sanna, il suo se stesso di ieri. Questoclima molle ed effeminato, dominato daun'inguenua e quasi puerile voglia digioia e di piacere, trova un perfetto mez-zo sonoro nei leggiadri gorgheggi e con-centi vocali, particolarmente femminili,così come sulla scena si manifesta in unasuccessione di squisiti quadretti galanti,quale -per dirne uno - la vestizione diCherubino in panni femminili ad operadi Susanna e della contessa. Oppure,

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nella prima scena, Susanna allo spec-chio intenta a provarsi «il bel cappelli-no, che Susanna ella stessa si fè»: melo-dia carezzevole e leggermente leziosanella strascicata sillabazione, par quasiun'eco della fanciullesca attitudine diMozart stesso, sempre sollecito ad in-formare i familiari, nelle sue lettere, se«sia stato contento». Esser contento, su-prema legge di questo mondo, che Su-sanna e Figaro bandiscono nell'ultimascena dell'opera («Ah, corriamo, corria-mo, mio bene, |E le pene compensi ilpiacer») con una di quelle melodie con-clusive mollemente roteanti in ebbrezzadi sogno, di cui Mozart aveva il segretoper addurre lo scioglimento della favo-la. Ripensiamo una situazione simile e

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lontanissima: il brindisi della Traviata ela disperata volontà di gioia di Violetta.Là v'è il senso amaro del peccato, dellaribellione a una legge morale o sociale:e la combriccola di gaudenti che si riu-niscono intorno alle tavole imbanditediffonde un senso di sinistro isolamento,come una banda di cospiratori. In Mo-zart non v'è la ricerca accanita d'un pia-cere contrastato, strappato al mondo ealle sue convenzioni e, appena raggiun-to, tosto svanito, e sostituito da una fec-cia amara. In Mozart è l'inclinazione ir-resistibile e naturale verso un piacereanche troppo facile e a portata di mano,al quale converge e persuade tutto ilmondo circostante, un mondo che di pia-cere e gioia è intessuto fin nella più inti-

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ma trama, e nel quale realtà diverse -come la dura vita del militare nella ri-cordata canzone di Figaro - possono ap-parire tutt'al più come un'incredibile fa-vola, buona per inventarci su una paro-distica fantasia.

Calata entro un mondo più vasto, eportata in tempestoso contatto con altrisentimenti - l'Amore, la vendetta, la fe-deltà amorosa, ecc. - questa schietta in-clinazione al piacere è ancora la Stim-mung fondamentale del Don Giovanni:solo che, mentre essa è ancora inconsa-pevole in Zerlina, delizioso impasto dicivetteria incosciente, di imprudenza edi ingenuità, in Don Giovanni perviene aprecisa coscienza di sé e perde in questomodo il suo carattere d'innocenza infan-

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tile. Di qui la fosca grandezza cui per-viene nelle ultime scene il protagonista,non certo per qualche tratto di satanismoche si annidasse nell'animo del candidoMozart. Di qui il fascino indimenticabiledi questo personaggio mozartiano, che,concepito come l'esempio odioso delpeccatore impenitente, grandeggia d'unsuo sinistro eroismo e riesce così sedu-cente nella sua franca spavalderia: per-ché impersona nel modo più completo ilmondo che è proprio dell'arte di Mozart.Per il resto, è appena il caso di ricorda-re che, a ben comprendere il capolavoromozartiano, occorre dimenticare le esal-tate interpretazioni romantiche che, daHoffmann a Baudelaire14, hanno fatto diDon Giovanni l'eroe del male, il simbo-

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lo della ribellione della carne contro ilconcetto di peccato, e via dicendo. Nonsi deve dimenticare che il Don Giovanniè un «dramma giocoso», musicalmenteconcepito in stile di opera buffa. Lungotutta l'opera Leporello - personaggiod'incalcolabile importanza musicale -conduce il filo della sua comicità buffo-nesca. Giustamente ammonisce Dent che«se vogliamo apprezzare il reale divariostilistico fra il Don Giovanni e l'operaseria, dobbiamo sempre pensare allamusica dell'Idomeneo o - chi non la co-nosca - alle opere di Gluck». Natural-mente l'aver messo il clima morale fatuoe spensierato, che esauriva totalmente ilmondo poetico delle Nozze di Figaro, acontatto con personaggi che sono porta-

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tori di altri sentimenti, originati da unadiversa concezione di vita - DonnaAnna, Donna Elvira, il Commendatore, ein misura assai minore l'insignificanteDon Ottavio - e l'aver raggiunto una mi-racolosa fusione di questi due elementi,fa del Don Giovanni un capolavoro disingolare realismo, dove il comico e iltragico realizzano un'armoniosa convi-venza per la quale non si offre altro ri-scontro possibile che il teatro shake-speariano.

Chi voglia avere un'idea del meravi-glioso equilibrio realizzato nel DonGiovanni non ha che da riflettere allanaturalezza con cui la comica paura ser-vile di Leporello si inserisce anche nel-le scene più tragiche, e poi considerare

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invece quanto quell'altra natura di San-cio Pancia, che è Papageno nel Flautomagico, rimanga isolato ed estraneo allavicenda che si svolge tra i personagginobili del dramma. A tal punto che unfervido ammiratore del Flauto magico,come Dent, ha potuto scrivere (MozartsOpern cit., p. 228) che Papageno e Pa-pagena «non appartengono strettamenteall'opera e potrebbero essere omessisenza danno per la vera e propria azio-ne». Basterebbe questo particolare peravvertirci che difficilmente ritroveremonell'ultima opera di Mozart, pur sorrettada non minore consenso popolare,dall'ammirazione di Goethe e di Wagner,dalla venerazione pensosa di Busoni, laperfezione incontaminata delle Nozze e

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del Don Giovanni. Nessun dubbio chel'immagine offerta da queste operedell'umanità di Mozart non vale a inten-dere il Flauto magico. Se si bada allestravaganze massoniche di cui è rimpin-zato il libretto (e non c'è alcun motivo dicredere che Mozart non l'abbia preso sulserio), si è tratti ad affermare che unmondo nuovo di vaghe aspirazioni pre-romantiche, di confusa ribellione all'im-perante razionalismo in nome dell'incon-scio e del soprannaturale, cerca qui an-siosamente di manifestarsi. Ecco dunquel'occasione buona per i sostenitori del«demonismo» mozartiano. E infatti, unadelle osservazioni che più comunementevengono ripetute a proposito del Flautomagico è che non se ne può avere una

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piena comprensione, se non ci si elevadall'apparenza esteriore della sua musi-calità a una specie di significato esoteri-co. Musica limpida, si dice, ma facilesolo in apparenza: «l'Idea che vi sta sot-to è molto più profonda e più difficileda percepire, che quella delle opereprecedenti» (Dent, Mozarts Opern cit.,p. 222). E Paul Stefan, autore d'una pre-gevole monografia sull'opera (Die Zau-berflöte, Vienna, 1937), riprende concalore l'argomento e assicura che «lamusica del Flauto magico è difficilesolo nel senso di una più alta compren-sione». Ora, a noi, la musica del Flautomagico, appassionatamente interrogata ecol più sincero desiderio di riconoscer-vi ciò che tanti grandi spiriti asseriscono

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d'avervi trovato, non ha voluto rivelareil suo segreto. A parte il noto fenomenod'una maggiore complessità contrappun-tistica, dovuta alla «scoperta» mozartia-na di Bach e Händel, essa non pare qua-litativamente molto diversa dalla musicadelle Nozze di Figaro15. Ma quella pu-rezza e perfezione stilistica qui, per cosìdire, gira a vuoto, senza calzare total-mente sull'azione e senza far presa vera-mente sui personaggi. Né ci si può na-scondere che fa difetto la continuitàd'ispirazione propria delle Nozze e delDon Giovanni. Il provvidenziale proce-dimento dell'integrazione orchestralealla melodia delle voci si appiattiscenon di rado in accompagnamenti mono-toni. Spesso si affievolisce il sapore che

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le funzioni tonali, pur semplicissime edelementari, sogliono avere nel discorsomozartiano. Il gioco tonale di incisi me-lodici, corrispondenze interne, simme-trie architetturali, perde spesso inespli-cabilmente la sua mordente efficacia edà luogo a banali cadenze, come i ma-gniloquenti intervalli di quinta e di quar-ta con cui le parlate di Sarastro perven-gono alla tonica finale.

E poi, il parlato, la tara fatale diquest'opera. Solo conoscendo il Flautomagico si può valutare pienamente ilprezioso recitativo delle Nozze, del DonGiovanni, di Così fan tutte. Nel Rattodal serraglio, data la franca comicitàfarsesca dell'intreccio, la sua assenzaera meno sensibile. Ma qui essa spegne

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irrimediabilmente la possibilità dell'il-lusione drammatica. Tutte le scene piùricche d'azione, quelle che determinanol'intreccio, sono recitate in prosa. Cosìla musica è allontanata dal cuore deldramma e ridotta a una funzione di com-mento postumo: la miracolosa trasposi-zione degli elementi drammatici in valo-ri musicali viene a mancare. La musica,spesso altissima, qualche volta sciatta,va per la sua strada, senza compenetrar-si realmente dell'azione; il dramma nonsi rigenera in lei e invano si attendequella miracolosa trasfigurazionech'essa soleva operare, trasportandocinell'incantato realismo della finzionescenica. Singolarissimo equivoco quellodel Busoni (Scritti e pensieri sulla mu-

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sica, Firenze 1941, p. 41), che dopoaver teorizzato l'idea dell'opera come«gioco assoluto», «della scena quale si-mulazione manifesta e dichiarata», basa-ta sin da principio sull'inverosimile «af-finché una cosa impossibile regga l'al-tra», ammirava poi in modo particolareil libretto del Flauto magico, comeesempio di questa franca accettazionedelle convenzioni operistiche, per i nu-merosi pretesti che esso offre alla musi-ca. « Schikaneder ha saputo concepireun testo che conteneva già in sé la musi-ca e la evocava. Già il flauto incantato ei magici campanelli sono elementi musi-cali e destinati alla musica» (p. 78). Echiedendosi (p. 41): «In quali momenti èindispensabile la musica sulla scena?»,

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rispondeva: «Nelle danze, nelle marcie,nelle canzoni e quando il soprannaturaleentra in azione». Naturalmente, invece,sono proprio questi residui di realtà ma-teriale - i «pretesti» musicali - che ucci-dono l'incantato realismo della fantasia,quello che trionfa nelle Nozze di Figaroe in Don Giovanni e che immerge questeopere in un'atmosfera totalmente musica-le. «Musica sulla scena», nel teatrod'opera, è indispensabile sempre, nonsolo in certi momenti, o meglio non deveesserci stacco fra le eventuali musichesulla scena e la musica continua dell'or-chestra: questo è proprio uno dei tantiprodigi del Don Giovanni, nelle scenedel ballo e della cena.

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Né gli assertori della misteriosaportata esoterica da attribuirsi alla musi-ca del Flauto magico sembrano in gradodi indirizzarci efficacemente alla sco-perta di questi valori metafisici. Il Dent(p. 237) - che prende molto sul serio ilmessaggio massonico dell'opera e vi ri-scontra una calma e saggia accettazionedella morte, in contrasto con la morbidae patologica paura che impronterebbe disé il cattolico Requiem ! - propone unparagone illustrativo fra la coppia delFlauto magico e quella beethovenianadel Fidelio. «Leonora e Fidelio sonocreature umane, che vivono nello spazioe nel tempo. Tamino e Pamina sono figu-re ideali, che hanno esistenza solo nellafantasia e percorrono in poche battute il

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destino d'una vita». Paragone che sem-bra fatto apposta per confermare i dubbisulla consistenza drammatica dei carat-teri nel Flauto magico e per alimentareil sospetto d'una carenza d'interesseumano, di reale partecipazione di Mo-zart al barocco cibreo che Schikanedergli aveva apprestato, allontanandolo daquel mondo in cui la sua fantasia mera-vigliosamente si ritrovava e di cui DaPonte aveva colto il segreto. Nessundubbio che la produzione strumentaledell'ultimo Mozart si allontani dallo sti-le galante d'un tempo e riveli una riccaevoluzione musicale e psicologica; e sipuò concedere che in nessun modo l'ulti-ma opera di Mozart avrebbe potuto sod-disfarsi del mondo delle Nozze di Figa-

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ro. La sua personalità si arricchisce eapprofondisce nella tristezza dolorosadegli ultimi anni, e non può più capirenella formula dell'ingenua inclinazioneal piacere. Ma non si indirizza verso ledubbie sublimità d'una nebulosa metafi-sica. La maturazione mozartiana conti-nua l'evoluzione già manifesta nel tra-passo dalle Nozze di Figaro al DonGiovanni e significa un'intensificazionedei valori sentimentali ed espressivi, insenso quasi beethoveniano, com'è comu-nemente noto e com'è stato documentatodagli studi di Wyzewa e Saint-Foix.

E appena il caso di avvertire che inquesto rapido discorso ci siamo soffer-mati unicamente sui punti deboli delFlauto magico, quelli che ci inducono a

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ritenerla l'opera mancata d'un grandemusicista, ma non ne disconosciamo lecopiose ed eccelse bellezze episodiche,che la accostano nel nostro giudizio adun'altra grande opera mancata, il secon-do Faust. E vogliamo ancora aggiunge-re, a totale discarico di coscienza, chenon abbiamo mai avuto la fortuna di as-sistere ad una decorosa realizzazionescenica dell'opera. Tuttavia non credia-mo che questo potrebbe sensibilmentemodificare la nostra impressione sullafrequente stanchezza dell'ispirazionemusicale e sull'imperfetta sua aderenzaagli elementi drammatici - infelicissimi- forniti dal libretto. Questo ci conforta adiffidare delle misteriose interpretazioniesoteriche dell'arte mozartiana che, ge-

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neralmente mosse da suggestioni lettera-rie, vorrebbero farne un eccezionalecaso di supermusica, privandola dei va-lori umani ed espressivi - in cambio dinon si sa quali misteriose illuminazionimetafisiche. Noi scorgiamo nella musicamozartiana la forma perfetta e purissimad'una compiuta personalità umana, d'unmodo inconfondibile di vedere il mondoe di prendere la vita, e abbiamo cercatod'individuare questa personalità nellesue manifestazioni teatrali più alte, leNozze di Figaro e il Don Giovanni, purnon nascondendoci che essa non esauri-sce tutte le possibilità dell'arte di Mo-zart (pensiamo sopratutto alle ultimeSinfonie e agli ultimi Quintetti). Questaimmagine di Mozart potrà parere ovvia

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e meschina agli insaziati indagatori disignificati reconditi, a coloro che d'ogniartista son persuasi di conoscere essisoli il «vero» volto, che sarebbe rimastoinesplicabilmente nascosto a tutta l'uma-nità che li ha preceduti. «Watteau! » diràqualcuno sprezzantemente del nostromodo di intendere le Nozze di Figaro,quasi che Watteau fosse un mediocre pit-tore. Perché accade, a questo proposito,che ci s'imbatta in uno strano equivocodi marca contenutista, là dove meno cisarebbe stato da aspettarselo. Pare amolti tra gli assertori del demonismomozartiano, che si diminuisca in certomodo la grandezza del musicista deter-minando i caratteri settecenteschi e ga-lanti del suo mondo poetico. La reazione

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contro il Mozart «apollineo» dello Jahnha spesso confuso un inconscio motod'insofferenza etica e psicologica colgiudizio estetico: denigrava la materiadell'arte tacciandola di frivola fatuità,quasi che profondità e dignità morale necondizionassero il valore.

Questa nostra immagine mozartiananon è chiusa ai suggerimenti della sensi-bilità modernissima, sopratutto perquanto concerne la inconsapevolezzadell'espressione, che sola consente le in-credibili realizzazioni drammatichedell'opera come «gioco assoluto», permezzo di procedimenti ritenuti di solito ipiù contrari alla natura e alle esigenzedel dramma musicale. E tuttavia potràparere ad alcuno che essa ripieghi verso

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posizioni già occupate dalla critica delpassato. Ciò non significa involuzione,ma è invece testimonianza della conti-nuità inalterabile con cui vivono nellospirito umano le opere dell'arte, che nelperpetuo processo dialettico secondocui il presente s'inserisce fecondo sultronco del passato, non vengono sfigura-te e stravolte dall'assidua vicenda delleinterpretazioni, ma al contrario ne sonoconfermate e potenziate nella loro vigo-rosa e inconfondibile individualità.

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Programma per un circolo mozartiano

(1942)

... uscirò dal largo cerchio dellasocietà, mi separerò dal suo mododi pensare, formerò una setta chenon solo ponga Mozart in alto, manon conosca altri che Mozart...

KIERKEGAARD16

Sempre che i viventi non ne faccianouna tribuna della propria ambizione, icentenari lasciano per lo più il tempoche trovano, su giornali e riviste specia-lizzate destano un breve rumore, parago-nabile alla distratta curiosità che spinge

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a leggere, per strada, gli annunci funebriappesi ai portoni, poi vengono rapida-mente passati agli atti, mentre il celebra-to ricade nel rispettoso oblio della suasecolare lontananza.

Ma qualche volta un anniversariocade in epoca favorevole e viene ad ali-mentare una corrente spirituale che cer-cava di farsi luce, che, maturata incon-sciamente nel sottosuolo delle anime,non chiedeva appunto che un'occasione,per prendere coscienza di sé e imporsicon evidenza. Sul finire del 1941, cioènel cuore della guerra, il mondo civileha celebrato il 150° anniversario dellamorte di Mozart, e una scia luminosa digentilezza ridente se ne è protratta fra iriverberi sanguigni del conflitto. Rara-

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mente un anniversario è caduto tanto aproposito e ha incontrato rispondenzacosì felice nelle disposizioni del presen-te.

Molto verosimilmente stiamo pas-sando - con la complicità dei tempi ca-lamitosi - da un'età beethoveniana adun'età mozartiana. Non si tratta, natural-mente, di revisioni dottrinali sul valoredei due artisti, ormai al riparo da ogniresipiscenza critica. Si tratta del seguitoche l'arte loro, improntata a così diversecaratteristiche umane, può aspettarsi ditrovare nel mondo contemporaneo. Sitratta - diciamo pure la parola screditata- della «moda» mozartiana che ha tuttal'aria di volersi sostituire alla «moda»beethoveniana.

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Mozart e Beethoven sono una diquelle coppie - Aristotele e Platone,Ariosto e Tasso, Racine e Corneille,ecc. - che la storia si compiace di distri-buire ad arte nel corso delle esperienzeumane, preparando agli ingenui infinitiaffanni di inutili raffronti e valutazioniparallele. Segnano, queste coppie, gliestremi di certi movimenti pendolaridello spirito, e l'umanità si volge oraall'uno ora all'altro segno ch'esse addita-no, a seconda che la spingano i varieventi della sua storia e gli umori che sene determinano.

La popolarità di Mozart è stata sem-pre ostacolata da un orientamento deglianimi tutt'altro che propizio. Sintesi del-la cultura settecentesca, la sua arte è fio-

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rita sull'estremo limite di un mondo tostospazzato dalla Rivoluzione: e sulle rovi-ne si eresse il secondo termine del bino-mio, Beethoven, folgorante profeta musi-cale dei tempi nuovi. Accompagnandosiper lo più alla nostalgia dell 'ancien régirne, il culto di Mozart rimase preroga-tiva di maturi gentiluomini o di delicateanime femminili. Ci voleva un eccezio-nale candore, oppure una straordinariastanchezza disabusata di tutte le espe-rienze, per gustare, nella solerzia animo-sa dell'età romantica, l'arte di Mozart. Equesta disposizione si è perpetuata finoai nostri giorni. Chi s'è avvezzato, nellafrequenza ai concerti e ai teatri d'opera,al sostanzioso alimento beethoveniano ewagneriano, rinnova più o meno aperta-

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mente la propria delusione ad ogni con-tatto con l'arte di Mozart. Questa venapurissima d'acqua di fonte «non diceniente» a chi ha gustato la furia dramma-tica della Quinta Sinfonia o la consisten-za sensuale (nonché l'orpello ideologi-co) dell'Anello del Nibelungo.

Così i «mozartiani» sono rimastifino ad oggi un'aristocrazia bene indivi-duata, di gusto sottile, di modi urbana-mente riservati. Nella folla si riconosco-no e si attirano magicamente. Li distin-gue l'avversione per i colori vivaci, perle maniere vistose; trombe e tromboni, imembri dell'orchestra più clamorosi,considerano con diffidenza e sospetto.Amano il timbro opaco di strumenti vel-lutati, come il clarinetto e la viola. La

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loro propensione ad isolarsi dalla molti-tudine e a federarsi in piccole consorte-rie votate al culto del loro idolo (societàe circoli mozartiani fioriscono in Ger-mania, in Francia, in Inghilterra, in Sviz-zera e in America) li ha esposti finoraad un vago sospetto di snobismo e diposa.

Oggi, qualcosa sembra che stia cam-biando nella disposizione del mondoverso Mozart. L'eco del recente anniver-sario non si è spenta del tutto. Una re-cente statistica per la Germania annunciapiù che triplicate le esecuzioni d'operemozartiane nella stagione 1941-42:2288, contro 1668 di Verdi, 1478 diPuccini e 1183 di Wagner. Sembra in di-minuzione il numero delle persone che

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Mozart «annoia». Negli animi affaticatidalla diuturna lotta si genera forse unprincipio di stanchezza per la proterviaeternamente «pugnace» di Beethoven.(Si tratta sempre, ben inteso, di disposi-zioni psicologiche, dalle quali esulaogni pretesa di valutazione critica). Sen-tita un tempo come qualcosa di gratuito eastratto, la serenità mozartiana cominciaad apparire un balsamo all'amarezza deitempi, un benefico dono divino. Fra tan-to squillar di fanfare e rullar di tamburi,il suo discorso sommesso riposa con lagentilezza d'un'anima cui la modestia èinnata, e riconduce il profumo di virtùscreditate, come la discrezione, l'urbani-tà, il ritegno, in luogo dell'universale si-curezza di sé. In mezzo a tanto aggressi-

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vo scatenarsi di prepotenti personalità,Mozart è il povero vaso di coccio inviaggio tra i vasi di ferro.

«Voglio un'arte d'equilibrio, di pu-rezza, che non dia inquietudine 0 turba-mento; voglio che l'uomo stanco, affran-to, sfinito, abbia dalla mia pittura calmae riposo»: questo si proponeva Matissecirca vent'anni or sono. È in questo sen-so che oggi cresce con lentezza insinuan-te la popolarità di Mozart. È delle opered'arte come dei sistemi filosofici, e perquanto valide d'una imperitura e assolutabellezza, hanno ognuna il suo tempo eluogo: ciò che si chiama volgarmentel'attualità, e che esse perdono e riacqui-stano secondo il variar degli eventi.Concezioni serene come il Ratto dal

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serraglio o la Piccola serenata nottur-na possono parere superflue a chi nonchiede riposo. Nella quiete d'una vitaordinatamente felice non si avverte la«necessità», il senso riposto di creazioniequilibrate e armoniose come il Quintet-to per clarinetto. Ma quando lo spirito èdigiuno di bellezza, quando il gusto è of-feso dal ferreo imperio della violenzache popola il mondo di disarmonia;quando le strade stesse delle città offro-no immagini sinistre di regresso dal co-smo nel caos - vuote occhiaie di isolatidistrutti, rivelazioni oltraggiose di casesventrate, disordine di muri abbattuti edi sostegni divelti -, allora questi poemidi suoni da cui ci aveva un poco tenutilontano il carattere troppo ovvio della

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loro bellezza, si ergono innanzi al nostrospirito nella loro adorabile euritmiacome pure espressioni della Forma,principio supremo d'intelligenza ordina-trice e plasmatrice del mondo.

Nella ricostruzione dell'anima che siavvierà a pace raggiunta, il culto mozar-tiano sarà un fatto di prim'ordine. Il bi-sogno di riposo, di pace e di distensionefarà del dopoguerra la grande ora diMozart, la prima della storia. Moltipli-candosi sotto la spinta delle necessitàspirituali, i circoli mozartiani perderan-no la loro sfumatura di snobismo lieve-mente egoistico e nei luoghi dove gli uo-mini avranno più sofferto svolgerannouna sommessa opera di assistenza inte-riore, irradiando un alone di serena

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quiete, confortando al sorriso e alla feli-cità. Quali forme potranno assumere equali compiti svolgere queste istituzioni? Niente di eccezionale, e nessuna ambi-zione straordinaria. Saranno, prima ditutto, «circoli», cioè luoghi di ritrovo edi riposo, e non associazioni culturaliche si propongano chissà quali incre-menti delle ricerche musicologiche.(Anche se niente impedirà loro di pro-muovere o favorire, ove se ne presenti ildestro, iniziative più specificamenteconnesse al progresso degli studi mozar-tiani). Ma lo scopo essenziale, da tenerben fermo, sarà quello di contribuirealla beatitudine degli associati, offrendoloro la possibilità di abbeverarsi con lamaggiore larghezza possibile, e nell'am-

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biente e nelle circostanze più favorevo-li, alle fonti di quell'arte che alla beati-tudine umana è fra tutte la più propizia.

Il locale vorrà essere accogliente ediscreto, disposto con particolari accor-gimenti. Dagli arredamenti moderni siaccetteranno tutti gli incrementi del be-nessere fisico ch'essi hanno indubbia-mente promosso; ma si eviteranno ec-cessi di rettilineo novecentismo. Possi-bilmente in qualche vecchio palazzo, co-struito con irrazionale spreco di spazio,si sceglierà un ambiente composto d'ungrande salone e di molte salette piccole,raccolte, con abbondanza di poltrone inpelle e velluto comodissime, pavimentisilenziosi, tappeti. Poiché, naturalmente,una delle attività principali del circolo

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sarà quella di alimentare una biblioteca,le pareti saranno per lo più imbottite dilibri; nelle superfici rimaste libere, po-che e rare incisioni di ritratti e paesaggimozartiani. Nei locali del circolo non cisarà mescita né alcuno spaccio di consu-mazioni; né si giocherà alle carte o a bi-liardo. (Certamente, lui giocava: maquod licet Jovi non licet bovi). Al Cir-colo mozartiano si conversa, si legge, sifa musica e se ne ascolta, si dorme, ma-gari, su una poltrona, ma non si mangia,né si beve, né si gioca. (Però, per ilmangiare e il bere si potrà -caso mai -escogitare qualche sistemazione, vicina,ma completamente separata dai localidel Circolo).

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La biblioteca conterrà anzitutto leopere complete di Mozart, possibilmen-te in doppia copia, e con moltissimi du-plicati delle opere più importanti.Ugualmente cercherà di procurarsi quan-to più è possibile della sterminata bi-bliografia mozartiana, anche qui con nu-merosi duplicati delle opere principali.Il catalogo Kochel, la biografia di Jahn-Abert e l'opera di Wyzewa e Saint-Foixsaranno i testi sacri dell'associazione.Non occorre descrivere la meravigliosavetrina trasparente, con illuminazionediffusa dall'interno, che accoglierebbegli eventuali cimeli o autografi mozartia-ni, nella piuttosto inverosimile ipotesiche il nostro circolo riuscisse ad assicu-rarsene qualcuno.

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La discoteca sarà un'istituzione es-senziale e preziosissima del circolo.Tutte le incisioni mozartiane che nelmondo si sono approntate, dovrebberoessere raccolte, aggiornate e frequente-mente rinnovate, a disposizione dei soci.Non però asportabili, bensì da ascoltarein sede, grazie ai numerosi e perfeziona-ti grammofoni distribuiti nei vari salotti-ni. Non si farà limitazione nel numerodei dischi concessi in audizione: ma siauspica che i soci siano dotati di suffi-ciente civiltà musicale per non imitare ilbarbaro costume dei concerti pubblici,d'infilare due, tre, magari quattro capo-lavori in una sola sera. La degustazionedi opere come il Quartetto in re minore,la Sinfonia in mi bemolle, e infinite al-

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tre, non può lasciare a persone educate esensibili il desiderio d'altra musica,bensì il bisogno di raccogliersi in unadeliziosa rimeditazione di quella appun-to udita, o, se mai, il desiderio laudabi-lissimo, e da soddisfarsi senz'altro,d'una seconda esecuzione.

Di dischi nuovi o particolarmenterari che vengano in possesso dell'asso-ciazione, questa potrà eventualmente or-ganizzare audizioni collettive nella gran-de sala di concerti, magari con eventualeillustrazione critica, così come la salastessa ospiterà conferenze di mozartianiillustri o anche di gente che, senza esse-re illustre, dia affidamento di aver qual-cosa di buono da dire. Ma l'attività piùvitale del circolo sarà quella concerti-

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stica. Non certo concerti di grandi vir-tuosi che vengano ad eseguire per lamillesima volta la solita Sonata per vio-lino in mi bemolle, ma concerti di buonielementi locali, anche riuniti in piccolicomplessi da camera, con lo scopo diesplorare sistematicamente tuttaquell'enorme zona della produzione mo-zartiana che rimane in ombra, e sullaquale non valgono a portar luce né il di-sco né la comune attività concertistica. Inumeri d'opera mozartiani sono più di700; si esagera certamente se si asseri-sce che un buon musicista o frequentato-re di concerti ne conosca, sì e no, 200. Èchiaro, quindi, quanto lavoro rimane dafare per completare la nostra conoscenzadelle Sonate da chiesa, delle Messe e

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delle Litanie, delle arie vocali scritteper questo o quel cantante, degli stessiDivertimenti e Serenate, tutt'altro cheuniversalmente noti. Non si ritiene giàche debbano esser tutti capolavori; anzi,non si ritiene nemmeno che i tesori na-scosti fra queste opere trascurate sianonumerosi, ma è bene un compito cui nonpuò sottrarsi la cultura del nostro tempo,divenuta così analitica e minuziosa,quello di prenderne conoscenza piena.

Altre attività secondarie, ma pratica-mente utili, del Circolo mozartiano, con-sisteranno nel promuovere rappresenta-zioni mozartiane presso il teatro d'operadella città, facilitarne l'accesso ai soci,tenerli informati di tutte le rappresenta-zioni che siano previste altrove e orga-

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nizzare viaggi per assistervi, viaggi checulmineranno nel rituale pellegrinaggioestivo a Salisburgo. Per questi scopi icircoli mozartiani delle varie città siconfedereranno, onde mettere insieme lapiù grande somma di influenze sociali eottenere il maggiore appoggio dalle au-torità.

Tutto questo progetto è un sogno, na-turalmente, un sogno d'una notte di pienaguerra, sognato ad occhi aperti tra le pa-reti in mattoni d'un rifugio, mentre fuoririmbombano gli spari dell'antiaerea. Maperché, in fondo, non potrebbe a guerrafinita diventare realtà, se appena si ag-giungesse un po' di buon volere all'in-dubbio bisogno di ristoro spirituale, alleaspirazioni diffuse verso un ovattato pa-

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radiso baudelairiano di ordine e di bel-lezza ? Si potrà, all'occorrenza, far levasu quel tantino di snobistico che aureo-lava i circoli mozartiani del passato, perspillare i quattrini necessari a qualchemunifico mecenate. Chissà quanti se netroveranno per finanziare associazionisportive, circoli per il gioco del bridge,e simili; che proprio non se ne debbanotrovare per dotare le nostre maggiori cit-tà di quel mirabile senato di personeequilibrate che saranno i circoli mozar-tiani? Dopo tutto, nonostante ch'essi na-scano e prosperino essenzialmente sottoil segno leggermente egoistico d'un edo-nismo intelligente, non per questo è menvero che ognuno di essi sarà un autenticoconservatorio delle qualità più rare e di-

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menticate -discrezione, misura, corteseurbanità dei modi - che facilitano e ap-pianano il viver civile ed il commerciodegli uomini. Se questi fossero tutti dei«mozartiani»... C'è qualcuno che dubiti,che le cose di questo mondo andrebberoalquanto meglio e che il compito degliuomini di Stato sarebbe notevolmentefacilitato?

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Mozart e Lamartine

(1945)Fra le odissee della miseria di cui

va ricco il regno dell' arte, nessuna, for-se, si presenta così dolorosa come quel-la che occupò gli ultimi anni della vitadi Lamartine. Salutato come il principedei poeti lirici del suo tempo, acclamatopresidente della Repubblica francesenegli entusiasmi popolari del '48, videin seguito il proprio astro declinare espegnersi in un triste abbandono. Neivent'anni che sopravvisse alla propriafama, il bisogno lo afflisse con gli aculeipiù umilianti, aggravato dalle manierefastose a cui s'era abituato l'infelice

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scrittore, non alieno da quelle forme diestetismo pratico che, da Byron a D'An-nunzio, fecero di molti poeti del secoloscorso prima di tutto i poeti della pro-pria vita.

Il mezzo con cui Lamartine disegnòdi sottrarsi all' oceano di debiti in cuis'era ingolfato, e che ammontava allabellezza d'oltre un milione di franchi, haqualche cosa di commovente tanto per lasua ingenuità economica quanto per unaspecie di patetico eroismo letterario chevi si rivela. Scrittore, Lamartine nonpensò di chiedere ad altri arnesi che lapenna la sua salvezza finanziaria. Scri-vere: scrivere indefessamente, dal matti-no alla sera, come un condannato ai la-vori forzati, scrivere de omnibus rebus

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et de quibusdam aliis, sfruttare finoall'ultimo strato quel filone d'oro cheogni uomo di penna porta nel propriocervello, farsi impresario e editore di sestesso, nella pia illusione di realizzarechissà che guadagni quando fossero eli-minati gli intermediari economici che disolito si frappongono fra lo scrittore e ilsuo pubblico.

Nacquero così quegli «Entretiens»mensili di varia letteratura e - come sidirebbe in gergo editoriale - di culturagenerale, pubblicati da Lamartine a suespese coi tipi del Didot: tipografia illu-stre, cui l'Alfieri aveva affidato la stam-pa delle sue opere durante il soggiorno aParigi interrotto dalla Rivoluzione. Unaspecie di enorme enciclopedia artistico-

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letteraria e storica, nella quale Lamarti-ne si condannò a mettere in carta ognisuo pensiero, a trasformare in monetacorrente ogni idea che gli attraversassela mente, e trarre immediatamente parti-to da ogni lettura che gli avvenisse difare. Supplizio, in verità, che non ha nul-la da invidiare a quello conosciuto datanti scrittori e artisti, di guadagnarsi ilpane con un'occupazione estraneaall'arte ed alle lettere; anzi, forse più se-gretamente umiliante e devastatore,come quello che subordina l'intera atti-vità intellettuale d'un uomo al professio-nismo utilitario e lo priva di ogni rifugiointeriore nel quale compiacersi di ozigeniali, forse destinati a dar frutti tantopiù ricchi quanto meno immediati.

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Se mai esistette scrittore moderno alquale si addicesse l'antico epiteto di po-ligrafo, questi fu certo Lamartine, il po-vero Lamartine degli ultimi venti anni.Di che cosa non scrisse per sorreggerela sua disperata impresa letterario-edi-toriale, impresa risoltasi - manco a dirlo- in un disastroso insuccesso ? È cosìche nacque anche, ignorato dai più, unsaggio su Mozart, anzi su La musique deMozart, vero e proprio libro che occupadue degli «Entretiens» mensili, precisa-mente il 29° e il 30°, pubblicati nel1858, cioè 160 pagine dei nitidi e larghicaratteri del Didot.

Un saggio su Mozart, di Lamartine,non può non destare un moto di curiositàe di speranza in chi non ignori quanto il

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poeta francese disse di se stesso, conuna formula che si addice così perfetta-mente all'essenza dell'arte mozartiana; ecioè ch'egli cantava «come l'uomo respi-ra, come l'uccello geme, come il ventosospira e come mormora l'acqua». Chis-sà che dall'incontro di due nature cosìomogenee non sia sorto qualche giudizioparticolarmente felice, tale da superarel'interesse di semplice curiosità chesempre si accende quando un grandescrive di un altro grande. L'attesa, con-viene dirlo subito, andrà in parte delusa,ché lo scritto mozartiano di Lamartinerisente duramente delle lamentevoli cir-costanze ond'ebbe origine. Tuttavia, senon vi s'incontra nulla di particolarmen-te originale, non è meno vero che è pos-

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sibile leggervi alcuni dei concetti ormaiuniversalmente accolti nella critica mo-zartiana, espressi a tratti con inconfondi-bile splendore di stile.

Ma prima di addentrarsi nella letturadel saggio, mette conto di prestare un po'd'attenzione all'aspetto esterno dellapubblicazione. Due fascicoli di 80 pagi-ne in 8°, stampati su bellissima carta pe-sante, in colonna piuttosto stretta conampi margini, una copertina color noc-ciola chiaro, inquadrata da una cornicein nero, di gusto classicheggiante, sobriae d'ottimo effetto. Dentro questa corniceil titolo reca, come si può vedere nelfacsimile qui riprodotto:

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Fuori della cornice si legge, in alto,«29° Entretien»; in basso la significativacomunicazione: «Cette Revue mensuellesera continuée indéfiniment». L'indica-zione della tipografia si ha solo in fondoal fascicolo, a piè dell'ultima pagina e infondo al rovescio della copertina, chemerita anch'esso d'essere osservato, inquanto reca il programma della chimeri-ca impresa lamartiniana, il sommariodei fascicoli già pubblicati e, last butnot least, i prosaici particolari sullecondizioni d'abbonamento.

Ecco dunque quali abbondanti scopisi proponeva il Cours familier de litté-rature.

« Etudier la littérature universelle entout siècle, en tout pays, en toute langue,

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avec intelligence et scrupule; apprécierles ceuvres, les commenter, les offrir enexemples plus qu'en règles à l'esprit; in-spirer ainsi la notion et le goüt des let-tres mème aux illettrés, teile est la pen-sée de cette oeuvre.

«Ce n'est point un cours de rhétori-que, mais un cours de discernement et degoût.

« Il est écrit dans le style familier dela conversation, qui se plie à tous lestons.

«Il est divisé en entretiens de l'écri-vain avec le lecteur.

«Il en paraît un entretien par mois.«L'ouvrage, qui compte déjà plu-

sieurs volumes inédits, sera continuéeindéfiniment. En réunissant les douze en-

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tretiens à la fin de l'année, on aura deuxforts volumes, et après quelques annéesun cours complet de littérature pour lesbibliothèques de famille.

«L'ouvrage est écrit par M. DE LA-MARTINE seul.

«Il est publié et administré par luiseul.

«Il forme une revue mensuelle».Il «Sommaire des Entretiens pu-

bliés», divisi in cinque tomi, spazia dalMahabarata e dal Ramayana a Dante,da Omero a Racine, dai Rig-Veda e daldramma di Sakuntala a Victor Hugo e aBéranger, da meditazioni bibliche sul li-bro di Giobbe e sui salmi davidici a stu-di storici sul secolo xvill, l'AssembleaCostituente e la Convenzione. Alcuni ar-

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gomenti particolari sono tali da destareun autentico interesse anche documenta-rio: per esempio la Digression histori-que su M. De Lamartine et l'Italie en1848 o le Pages de voyage: Alfieri et lacomtesse d'Albani17. Ma per lo più si ri-mane nelle generalità divulgative, e achi consideri gli spiriti della letteraturad'oggigiorno riesce sorprendente la ver-bosa rassegnazione con cui un alto spiri-to poteva adattarsi alla mentalità vera-mente casalinga e borghese di questo«Cours familier de littérature». Proprionulla di esoterico, nessuna paura di ridi-re - e con una certa convinzione, anche,e con sfarzo di stile - cose dette e ridettedagli specialisti. C'è veramente da desi-derare un po' di ermetismo, un po' d'or-

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goglio professionale: odi profanum vul-gus et arceo.

E quasi nasce la tentazione di trarreda tutto ciò un parallelo tra il costumeletterario dell'Ottocento e quello, tantodeprecato, del nostro secolo: paralleloche non andrebbe per intero a scapitodel secol nuovo se, a piè di pagina, nonapparissero le meticolose Conditions dela souscription a ricordarci ancora unavolta le specialissime condizioni in cuisi svolse l'attività critica di Lamartine ead ammonirci di non trarre arrischiateconclusioni da un caso tanto particolare.

«On s'abonne à Paris, 43, rue Ville-l'Evèque, soit en souscrivant personnel-lement un abonnement, soit par lettre.

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«Les lettres contenant la demanded'un abonnement doivent ètre affranchieset adressées àM. De Lamartine.

«Les lettres doivent contenir, enmandat de poste ou autrement, le prix del'abonnement pour un an.

«Le prix de l'abonnement est de 20francs pour la France.

«Le prix de l'abonnement pour l'An-gleterre est de 25 francs (une livre Ster-ling)».

Lo spunto per questo studio mozar-tiano Lamartine lo trasse dalla letturadell'epistolario di Mozart con il padre,la madre, la sorella e la moglie, appuntoallora tradotto in francese. «Ce livrenous a fait éprouver un charme de suavi-té, et nous pourrions dire de sainteté...»

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Esso fornisce il quadro per un'affrettatae sommaria biografia del musicista, qua-dro in cui chiudere due o tre idee perso-nali sulla musica in genere e su quella diMozart in particolare, il tutto ricucitocon sempre più larghe citazioni di scrittiaventi in qualche modo attinenza a Mo-zart: scritti di Scudo, Da Ponte e Hoff-mann.

V'è anzitutto una giustificazione perl'inclusione di un saggio musicale in un«cours de littérature», giustificazioneche svolge ampie considerazioni sullanatura della musica e dell'arte. «La mu-sique est la littérature des sens et ducoeur», questo è l'argomento essenzialedi Lamartine, che insiste sull'esclusionedell'elemento logico e razionale. «La

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parole nous fait penser et la musiquenous fait sentir». In queste considerazio-ni, che certamente non pretendono a ungrande rigore logico, il amartine dimo-stra una retta nozione dell'unicitàdell'arte («La parole n'est pas le seulmode de communiquer la pensée, le sen-timent ou la sensation d'homme à hom-me: chaque art a son language, sa poésieet son éloquence»), controbilanciata dauna coscienza dei limiti delle varie artinella distinzione dei mezzi tecnici, qualenon era affatto comune in tempi romanti-ci.

La peinture s'exprime par le des-sin et par la couleur; la sculpture,par la forme, le marbré et le bronze;l'architecture, par l'édifice et le mo-

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nument; la danse elle-même, parl'attitude et le mouvement.

Su questo concetto, sommariamenteavanzato all'inizio del suo studio, il La-martine avrà modo di ritornare con effi-cacia verso la fine, quando dichiarerà lapropria sorprendente preferenza per lamusica strumentale, oggi diremmo per lamusica pura, nei confronti della musicateatrale.

Per il momento, prima di stringereda presso il suo argomento, lo scrittorevuole condurre a fondo le premesse teo-riche e compiutamente illuminare i suoilettori «di famiglia» sulla natura dellamusica: «le mystère des mystères»,come, del resto, tutte le arti. Allineaquindi due pagine di alati interrogativi

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su questo argomento, tutti destinati a re-stare senza risposta, poiché «c'est le se-cret de Dieu, ce n'est pas le nôtre».

Nous ne savons le comment derien; nous ne savons pas plus com-ment la note contient en soi l'im-pression que nous ne savons com-ment la parole contient la pensée.

La musica della natura - rumore de-gli elementi, palpito delle cose, vocidell'aria e dell'acqua, canto degli usi-gnuoli e degli altri pennuti - è per il La-martine incomparabilmente superiorealla musica d'arte; e nella rievocazionedelle ore trascorse un tempo

à savourer, ces sons surhumains,tantôt sous la voile d'un navire au

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pied du mât, tantôt sur les côtes deSyrie, entre le cimes du Liban et lesplages mugissantes de la mer,

egli fa scivolare un ricordo nostalgi-co del suo passato magnifico ed errante,richiamando in alcune pagine d'alta pro-sa le impressioni esotiche d'antichi viag-gi.

Non senza un certo sollievo si vedelo scrittore approdare da queste perico-lose astrazioni ad un terreno storicamen-te circoscritto e determinato: l'esamedelle principali opinioni sulla natura ele origini della musica. La teoria di Pita-gora, che per primo immaginò tutto ilmondo sottomesso alle leggi immutabilidel numero, esemplificate nei rapportidei suoni, e la «définition admirable» di

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Leibniz - «La musica è un calcolo segre-to che l'anima fa a sua insaputa»18 ; defi-nizione che tuttavia il Lamartine vorreb-be migliorare in quest'altra: «La musi-que est une géométrie de l'oreille», siaccompagnano ad una favola cinesesull'origine della musica, quale imitazio-ne del canto degli uccelli. Tutte e trequeste opinioni concordano, secondo ilLamartine, nel dimostrare che «la musi-que est d'origine purement divine, etqu'il faut demander ses lois à l'instinct etnon à la science». Può definirsi comeuna «sensata» combinazione di suoni, in-sistendo appunto sul «senso» che devecollegare i suoni fra loro in rapportisoddisfacenti e significativi.

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I preliminari teorici non sarebberocompleti senza un accenno a «l'effet dela musique sur l'äme»: la dottrinadell'ethos, direbbe un musicologo esper-to di musica greca. E infatti il Lamartinene approfitta per infilare la traduzione,in prosa, dell'ode di Dryden per la festadi Santa Cecilia, Il banchetto d'Ales-sandro o la potenza della musica, la piùbella ode - secondo Walter Scott - chesia mai stata cantata agli uomini dopoPindaro e Orazio. Nel solenne banchettoreale per celebrare la conquista dellaPersia, Timoteo, il melodioso cantore,toccando la lira con agili dita, di strofein strofe conduce a piacer suo l'animodell'onnipotente vincitore attraverso tut-ta la gamma dei sentimenti: la reverenza

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religiosa, l'esaltazione bacchica e guer-riera, la pietà, l'amore. Per quest'ultimoeffetto il poeta inglese arrischia ancheun particolare tecnico e - caso strano -lo azzecca. «Canta melodiosamente inmodo lidio e dispone l'anima al piace-re». E veramente il modo lidio era rite-nuto dagli antichi Greci molle e volut-tuoso, favorevole alle gioie dell'amore edella tavola, e come tale scartato e con-dannato dai piti severi filosofi.

Per conto proprio, il Lamartine si di-chiara sensibilissimo alla potenza dellamusica sulla volontà e costretto a dosar-sene il godimento «par sobriété de sen-sation», proprio - avrebbe potuto ag-giungere - come facevano i pitagorici, iquali seguivano tutta una complicata

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«dieta» musicale variante a seconda del-le ore e delle occupazioni della giorna-ta.

Le tambour même, au lieu d'êtrepour moi un coffre vide, est uneurne pleine d'enthousiasme; sembla-ble à ces enfants qui le suivent dansles rues quand il précède nos batail-lons en frappant le pas de la guerre,je le suivrais jusque sous la pointedes bai'onnettes ou jusqu'à la gueulede feu des canons sans voir la mortet sans la sentir».

Come Dio vuole, l'ampia premessateorica è esaurita, e Mozart entra final-mente in scena: Mozart, «l'ange de lamusique moderne, le Raphael de la me-lodie», con Beethoven, e prima di Ros-

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sini, il più completo e miracoloso ispi-rato della musica.

Rossiniano convinto, il Lamartinearriva a vedere in Mozart «l'unico rivaledi Rossini». Rossiniano come Stendhal,come Delacroix. E, francamente, pittorie letterati danno prova di maggiore in-telligenza e spregiudicatezza di gustomusicale che non i numerosi musicisti -da Berlioz a Wagner - i quali s'ingegna-rono astiosamente a demolire l'incomo-do sopravvissuto. Oggi, a conti fatti, lepagine dei profani, anche un tantinoiperboliche, rendono un miglior suonoche non le acerbe critiche rossiniane deicolleghi rivali.

Rossini allait naître au momentoù Mozart mourait, comme si la

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Providenee, avait voulu que la voixet l'écho ne fussent séparés que d'uninstant dans l'oreille du siècle.Quand nous disons l'écho, nous neprétendons pas dégrader le génieoriginal de Rossini au rôle de réper-cussion du génie de Mozart; Rossinic'est Mozart heureux, Mozart c'estRossini grave. Ils sont différantsmais égaux; Mozart est la mélodiepensive du Tyrol et de l'Allemagne,Rossini c'est la gaieté et l'ivresse deNaples; nous portons nos climats ennous. Rossini était plus fait pour ledrame musical, Mozart pour la mé-lodie lyrique isolée de l'orchestre etde l'acteur. Sa musique se suffisait àelle-même; il chante pour chanter,Rossini pour émouvoir et pour plai-re.

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«Nous portons nos climats en nous».Quanti moderni biografi mozartiani nonhanno cominciato la loro opera ambien-tando la vita del musicista nella tran-quilla cittadina arcivescovile delle Alpitirolesi, la cara, la dolce, la cheta Sali-sburgo ? Tutti sono stati prevenuti, e coninarrivabile maestria, da Lamartine:

On rencontre cette petite villeinattendue au tournant d'un rocheravancé d'une chaîne de montagnesalpestres..., deux belies rivièresconfluent et serpentent autour deses murs; la ville s'y baigne, d'uncôté, en regardant des prairies; del'autre coté elle se groupe et s'as-sombrit à l'abri d'un rocher perpen-diculaire d'oùsuinte sur ses toitsd'ardoise l'obscurité et I'humidité du

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roc; une aiguille de granit détachéeet isolée de la montagne s'élèvecomme une borne gigantesque à laporte de la ville. Les aigles, les vau-tours, les corneilles des Alpes tour-noient dans le ciel bleu autour de sacime inaccessible. Des escaliers àrampes, incrustés dans la pierrevive, serpentent contre le flanc duplateau de roches contre lequel laville est adossée... C'est une ville dusoir, qu'il faut contempler au soleilcouchant. Tout y respire, le calme,le recueillement, la religion,l'amour contenu, le silence propiceau chant intérieur que l'homme mu-sical écoute en lui. Je n'ai vu en Eu-rope que la ville de Chambéry, à l'is-sue des gorges de Savoie, disputantle bassin aux montagnes et aux lacs,avec ses toits d'ardoise, ses maisons

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de roche grise, son château et satour dominant ses rues et ses places,ses ruisseaux, dans les faubourgsses jardins allant se fondre dans laverdure illimitée de ses vallées, quirappelle Salzbourg. Le génie aimeces petites capitales recueillies,oùl'àme ne s'évapore pas dans lafoule et dans le bruit comme dansles Babels de l'industrie moderne.Elles sont presque toutes marquéespar la naissance ou par la prédilec-tion d'un grand artiste, Chambéry parJ.-J. Rousseau, Zürich par Gessner,Salzbourg par Mozart».

Ed è proprio attraverso Salisburgo eil Tirolo che Mozart si rivela «un enfantdes Alpes italiques plus qu'un fils del'Allemagne». Nell'ambiente raccolto

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della «petite ville inattendue», la fami-glia: Lamartine ha compreso benissimola grande importanza del padre nellosviluppo musicale di Mozart, e ne hatratto dall'epistolario un ritratto assaivivo, cogliendone la bontà, l'affettuosa,infaticabile solerzia, la pietà religiosasemplice e antica. Forse volutamente neha lasciato in ombra le incontestabili li-mitazioni.

I primi anni della carriera di Mozartsono seguiti attraverso le lettere con suf-ficiente fedeltà. A proposito della primaopera teatrale, scritta a Vienna nel 1768,se ne rileva con sensate parole la pre-maturità. «On songe à lui faire écrire unopéra, c'est-à-dire le poème épique duchant, avant l'àge oùles passions ont

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donne leur note dans un cceur d'homme».Si colgono con proprietà i caratteri dellelettere infantili di Mozart (forse esage-rando sulla costante presenza d'una notatenera e patetica): «c'est la gaieté, le ba-dinage, l'enjouement; en d'autres termes,la verve». Questa sarebbe dote peculiaredei musicisti, a loro indispensabile, enon necessaria invece alle altre arti, peresempio ai poeti, che si nutrono piutto-sto di riflessione e di malinconia. L'ani-ma dei musicisti è una perpetua esplo-sione di canto, che emana in cascate disuoni la loro melodia interiore.

On sent cette verve musicale, cet-te ivresse de la vie jusque dans lesoiseaux chantants. Il y a des momen-ts oùle rossignol contient toutes les

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gaietés des sons inspirés par le prin-temps de l'amour dans une roulade;souvent il chancelle et tombe de labranche, l'oreille éblouie de sa pro-pre mélodie, ivre-mort de l'ivressemusicale. Tel est le musicien, tei estle jeune Mozart dans sa jovialité debadinage et de génie avec sa sceurNanerl.

Ci si approssima qui a quello chepotrebbe essere il punto cruciale, d'unacritica mozartiana di Lamartine, graziealla già segnalata affinità delle due natu-re artistiche, compendiabile nell'imme-diatezza e naturalezza dell'ispirazione.Né si può dire che questo carattere sfug-ga al Lamartine, anche se non l'appro-fondisce tanto quanto sarebbe desidera-bile.

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Ce qu'il y a de remarquable dansce jeune homme, Wolfgang Mozart(la plus prodigieuse Organisationmusicale qui fut jamais), c'est que lamusique et l'homme en lui ne sont,pur ainsi dire, qu'un seul ètre; la mu-sique est couchée avec lui dans sonberceau, il balbutie à l'àge de troisans, sur les genoux de son pére oude sa mère, des airs au lieu de paro-les; la musique joue avec lui surtous les instruments sonores com-me avec les jouets de ses premièresannées; la musique écrit par sa maindes sonates pour le clavecin, des fu-gues pour l'orgue des cathédrales oudes opéras pour le théàtre d'Italie...

La musica scrive per lui opere, fu-ghe, sonate: in fondo la critica mozartia-

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na non è andata molto più in là di questaconclusione, a proposito dell'essenziali-tà musicale e della relativa impersonali-tà delle opere giovanili di Mozart: «cen'est pas un musicien, c'est la musiqueincarnée dans une Organisation mortel-le».

Anche quella che viene consideratacome la grande conquista moderna dellacritica mozartiana - il demonismo diMozart, la presenza latente e pure inces-sante del dolore nella sua ispirazione - èabbondantemente prevenuta dal Lamarti-ne. Anzi, il sensibile poeta francese mo-stra una certa tendenza a darci l'immagi-ne d'un Mozart anche più patetico epleumicheur di quanto la realtà noncomporti. «Défiez vous des poètes et

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des musiciens heureux», ammonisce conun'espressione che potrebbe servir daepigrafe per una stroncatura di Mendels-sohn. Certo, non a lui sarebbe mai potutosfuggire il fatto che Mozart aveva «unfond de mélancolie dans l'ame».

E nel secondo soggiorno parigino,rattristato da tante delusioni dell'amorproprio e funestato dalla morte dellamadre, che il Lamartine colloca giusta-mente la prima feconda esperienza deldolore. La corrispondenza di questi annirivela

combien le coeur de Mozart, pé-tri par toutes les douleurs du génie,de l'isolement et de la déception, etresserré seulement contre le cceurde sa mère, dut concentrer en soi de

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ces notes plaintives ou pathétiquesqui éclatèrent plus tard dans sessymphonies, dans ses Requiem [nonve n'è che uno], dans ses messes, etsurtout dans son chef-d'oeuvre, DonJuan.

Intorno alla genesi di quest'opera ilLamartine si trattiene più a lungo, illu-strandone la caratteristica ambivalenza(«écrit par un impie, noté par un saint»)e la matura volontà di espressione tota-le. «Il demande à son poète un sujet quicomporte tous les tons, tous les accents,tous les cris de l'àme humaine». La gra-ve tristezza che opprimeva l'anima diMozart in quel tempo (era l'epocadell'ultima malattia e della morte del pa-dre) non sfugge al Lamartine, il quale ne

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tenta anche un'interpretazione storica ar-rischiata, ma non priva di suggestione.

Son esprit profondément reli-gieux, sa piété naïve, semblaientpressentir confusément l'approched'une révolution, qui viendrait dé-truire tout ce qu'il adorait.

Disgraziatamente, quando sarebbe ilmomento d'abbordare finalmente il sog-getto promesso dal titolo del saggio, Lamusique de Mozart, lo scrittore si schi-va e si trincera dietro lunghe citazionialtrui. Il Don Giovanni è un buon prete-sto per introdurre la singolare figura dellibrettista, Da Ponte, egli stesso

une espèce de Don Juan subalter-ne qui voulait écrire et faire chanter

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sa propre histoire dans l'histoire deson héros, immoral, séducteur, im-pénitent, et puni par le ciel de sesamoureux forfaits.

Le Memorie di Da Ponte paiono alLamartine un «tesoro di letteratura vene-ziana», un documento settecentesco pa-ragonabile alle pagine delle Confes-sions di Rousseau, ma più candide, piùnaturali, meno sofistiche e meno decla-matorie. Buon motivo per staccarne co-piose citazioni, che con Mozart hannoben poco da vedere e tradiscono semprepiù la stanchezza della compilazione.

Quanto al Don Giovanni, il Lamarti-ne cede la penna ad una grande autoritàdella vita musicale parigina, il celebre

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Scudo, perché riveli i due mondi so-vrapposti nella partitura dell'opera:

le monde des passions dans lepoème, le monde des saintetés dansla musique; la nature corruptrice etcorrompue en bas, la nature surnatu-relle et incorruptible en haut.

Disgraziatamente questa è un'intui-zione personale di Lamartine, e non sene trova traccia nella diligente analisiscudiana di scene del Don Giovanni.Resta la formula, indimostrata, ma chepotrebbe prestarsi ad un'interpretazionenon volgare dell'opera: «l'esprit satani-que du poète transformé, converti et di-vinisé par l'àme idéale, morale et saintedu musicien».

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Neanche l'audizione delle Nozze diFigaro al Théàtre Lyrique, grazie ad unpalco pietosamente offerto dallo «spiri-tuel et savant directeur de ce théàtre, M.Carvalho» che chissà come, alla 12a

rappresentazione dell'opera, s'era ricor-dato dell'esistenza di Lamartine, neanchequest'occasione non induce lo scrittoread entrare in più stretta confidenza con ilproprio argomento, la musica di Mozart.Grandi elogi per l'esecuzione di madameCarvalho e mademoiselle Duprez, ungiusto rammarico per la traduzione dellibretto in francese che sembra «mettreune sourdine à ces notes éclatantes, écri-tes pour la langue sonore de l'Italie», econsiderazioni generali sul ruolo delleouvertures nelle opere teatrali.

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Une ouverture, c'est plus qu'unepréface en musique, c'est une expo-sition; c'est plus qu'une exposition,c'est un résumé; c'est plus qu'un ré-sumé, c'est comme un écho anticipéde toutes les mélodies éparses dansle poème, et qui en jette 9a et làd'avance dans l'oreille les souvenirset les pressentiments.

Considerazioni in verità alquanto ot-timistiche, quando si pensi che tra questeouvertures rivelatrici il Lamartine anno-vera anche quelle di Rossini, bellissime,è vero, ma scritte per lo più con una so-vrana indifferenza per l'opera a cui era-no destinate e spesso trasferite daun'opera all'altra con la più imperturba-bile disinvoltura.

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Man mano che ci si allontana dallaprodigiosa infanzia del musicista la bio-grafia lamartiniana si fa più affrettata esommaria. Contrariamente a quanto sipotrebbe supporre, pochissimo rilievovien dato all'episodio dell'amore perAloysia Weber e al matrimonio con Co-stanza. Non una parola per il Ratto dalserraglio e per Così fan tutte, un buonaccenno al Flauto magico, «musique ar-cadienne qui est à la musique ce que leSon-ge d'une nuit d'été est à la poésie,une rèverie entre ciel et terre, une coupéd'opium qui endort l'ame dans la couchedes nuages», una convenzionale menzio-ne del Requiem. Della musica strumen-tale, non una parola. Che Mozart abbiascritto centinaia di sonate, serenate, sin-

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fonie, divertimenti e concerti, ha tuttal'aria d'essere rimasto un segreto per La-martine. Fatto tanto più deplorevole inquanto lo scrittore, condotta bene o malea termine la sua fatica biografica, fa an-cora una volta ritorno alle considerazio-ni teoriche iniziali, per affermare la pro-pria preferenza per la musica non dram-matica in confronto alla musica teatrale.Gusto raro, anzi eccezionale, in un ro-mantico e in un parigino dell'Ottocento,e motivato da una polemica tutt'altro chebanale contro l'equivoco della confusio-ne delle arti, le quali non dovrebberomai uscire «dalle condizioni proprie chela natura ha loro assegnate», per correrdietro ad effetti grossolani e sensuali,graditi soltanto al basso popolo.

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Que penseriez-vous de la sculptu-re qui emprunterait les couleurs dela peinture pour rendre les divinesformes de Phidias plus semblablesaux figures de ciré devant lesquelless'extasie l'ignorante multitude denos places publiques ?

(Evidentemente eruditi e archeologinon avevano ancora dato agli uomini digusto la fiera delusione di assicurare chesi, le statue di Prassitele e dei più arcai-ci scultori greci dovevano proprio, se-condo ogni probabilità, essere dipinte eaverci gli occhi dipinti in bianco enero).

Que penseriez vous de la peinturequi relèverait en bosse les dessinsde Raphael ou de Titien pour donner

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plus d'illusion et de saillie à ses ta-bleaux ?

Eppure questo è quanto fa il musici-sta, quanda associa ai suoni la parola, lascena, la coreografia e il gesto.

Il augmente l'effet matériel deson art; mais il l'augmente en alté-rant sa nature, en abdiquant son in-dépendance, en mèlant un art à unautre art, et mème à plusieurs autresarts, de manière à en accroitre l'ef-fet sur les sens, mais à en diminuerla véritable magie sur l'ame».

È abbastanza sorprendente incontra-re in pieno Ottocento, e nella fucinadell'opera in musica, questa professionedi fede nella musica pura, indice d'una

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rara aristocrazia di gusto, che, sviluppa-ta più a fondo e consapevolmente,avrebbe potuto darci un inatteso riscon-tro francese alla posizione musicale d'unGrillparzer. Ma è caratteristico dellascarsa cultura musicale francese nell'Ot-tocento, all'infuori del dominio dell'ope-ra, che Lamartine sia passato accanto aMozart senza nemmeno sospettare la suagrandezza di sinfonista. Ed è deplorevo-le che l'opera stessa di Mozart non gli sisia rivelata in tutta la sua purezza di au-tonomo gioco musicale. Anzi, il Lamar-tine sente il bisogno di compiangerlo,insieme a Rossini, per essersi dovutiprestare alla forzata «alliance» di musi-ca e poesia: «la déclamation n'est pasfaite pour chanter, la musique n'est pas

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faite pour déclamer. A chacun sa sphè-re». Sono quasi le stesse parole con cui,fra 14 anni, Friedrich Nietzsche espri-merà la propria antipatia per l'opera inmusica, simbolo del razionalismo illu-ministico e ottimista dell'età moderna,«linguaggio semimusicale», viziato daun compromesso irrimediabile, qual è la«tendenza extraartistica cooperante nellanatura del recitativo».

Terreno, codesto, veramente propi-zio ai grandi equivoci, ché, come Nie-tzsche manifestava queste idee in unoscritto concepito a difesa della riformawagneriana dell'opera, così il Lamartineva a cercare appoggio alla sua tesi pro-prio dove meno dovrebbe, e cioènell'antichità greca, ideale miraggio di

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tutti i fautori d'un'associazione delle artidella parola, del suono e del gestonell'opera in musica.

Il y a de l'adultère entre un art etun autre art: leur vraie nature leurinterdit certaines unions, sous peinede se diminuer en croyant se gran-dir. L'antiquité le savait: la Grèce,qui avait tout inventé, n'avait pas in-venté ces associations contre natu-re. Chaque art y était d'autant pluscomplet qu'il était plus isolé et pluslui-même.

Svista culturale veramente incredibi-le nel compilatore enciclopedico del«Cours familier de littérature», ché nonera un mistero anche nell'Ottocento lastretta unione di musica e poesia presso

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gli antichi, e alla « Grèce, qui avait toutinventé», c'erano e ci sono tuttora moltibuoni motivi di attribuire, con la trage-dia in larga parte cantata, anche l'inven-zione dell'opera in musica.

La fine del saggio lamartiniano èparticolarmente stanca e sbrigativa. So-praggiunge affrettata, proprio quandopotrebbe e dovrebbe aprirsi un esamedella musica strumentale di Mozart.Questo è invece sostituito con un tipicoripiego da letterato: la traduzione e cita-zione dell'intero racconto Don Giovannidi Hoffmann, «le somnambule Hoffmann, un homme d'un génie tout à faitfantastique, et par conséquent tout à faitmusical, compatriote et adorateur deMozart».

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Le idee di Mozart

(1945)«Je ne cherche pas, je trouve»: que-

sto motto che, in bocca a Picasso, suonacome una paradossale presa di posizio-ne difensiva, quasi a prevenire con pre-saga sfrontatezza eventuali accuse, di-pinge invece a pennello la qualità creati-va di Mozart. Vi sono artisti che accom-pagnano la loro creazione con uno sfor-zo intellettuale cosciente, sanno semprequel che stanno facendo e quel che vo-gliono fare, e teorizzano di continuo laloro attività artistica. E vi sono artistinei quali ogni attività dello spirito siesaurisce e compendia nella creazione.

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«Manet - scrive il Ragghianti - si ponefra quegli artisti senza residui, comel'Ariosto o Paolo Veronese, la cui inau-dita felicità di creazione li rende similia delle forze naturali». Nella musica po-tremmo prendere ad esempio degli arti-sti di primo tipo -inquieti ricercatori in-tellettuali - Berlioz; degli artisti di se-condo tipo, Bellini.

Mozart, naturalmente, rientra in que-st'ultima categoria, di quegli artisti senzaresiduo i quali - scrive un altro criticod'arte, il Thoré - «n'apprennent jamaisrien d'essentiel; ils savent tout dès lecommencement». E là dove i primi sonoinfaticabili scribacchini, sempre intentia chiosare ogni nuova fase dell'arte lorocon dichiarazioni estetiche e program-

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matiche, e sono talvolta anche buoni cri-tici della musica altrui - come appuntoBerlioz, Wagner, Busoni, Pizzetti - glialtri, gli artisti senza residui, sono pigriscrittori e tali da offrire a volte un qua-dro assai limitato delle loro facoltà in-tellettuali.

Di Mozart, per esempio, non si pos-seggono altri scritti che le lettere, e sonosempre lettere - per così dire - utilitarie,lettere scritte a qualcuno che le aspetta-va, al quale occorreva comunicare noti-zie precise, informazioni familiari, con-dizioni d'affari; non c'è mai la letteraprogrammatica nella quale il grande ar-tista espone le proprie vedute, manifestaintenzioni di lavoro, introduce nei segre-ti della sua officina creativa. Lettere

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preziose, quindi, dal punto di vista psi-cologico, nelle quali l'uomo si dà since-ramente per quel che è, senza infingi-menti, senza atteggiarsi in alcun modo;ma lettere abbastanza avare d'informa-zioni su quello che potè essere il modusoperandi dell'artista. Occorre interro-garle con attenta sollecitudine, girarle erigirarle in tutti i sensi, onde cavarnequalche spunto, qualche indicazione de-gna d'esser tenuta presente nell'atto diaccostarsi all'arte sua.

Sebbene non vi si parli quasi d'altroche di musica. Beethoven non fu certo unuomo sistematicamente colto, ma in con-fronto alla sua tenace volontà d'istruzio-ne, in confronto al suo gusto shakespea-riano, al suo culto per i classici - parti-

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colarmente Omero - e alla sua curiositàper la filosofia del suo tempo - in parti-colare per Kant, su cui ascoltò lezioniuniversitarie e dal quale trasse appunti ecitazioni - l'epistolario di Mozart ce lorivela invece singolarmente indifferentealle correnti spirituali dell'epoca.

Il giovane musicista è interamen-te dominato dal suo mestiere, il suoorizzonte si limita alla sfera dei mu-sicanti, storie di musici e perfinopettegolezzi teatrali prendono ungrande spazio19.

Se la qualità della musica avessequalcosa a vedere con gli interessi filo-sofici e letterari del compositore, Lisztsarebbe un compositore cento volte su-

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periore a Mozart. Ma quest'ultimo nonera, come Beethoven, un Ideenmusiker,bensì il vero, perfetto tipo del Nurmusi-ker.

Mozart est exclusivement un mu-sicien. On trouve peu de traces enlui d'une éducation littéraire, ni sur-tout de préoccupations littéraires,comme chez Beethoven, qui s'in-struisit lui-mème, et excellemment.On ne peut même pas dire de Mo-zart qu il soit avant tout musicien.Il n'est que musicien20.

Egli stesso lo sapeva assai bene,come dimostrano le parole scritte al pa-dre l'8 novembre 1777.

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Non so scrivere poeticamente;non sono un poeta. Non posso sud-dividere così artisticamente le partidel discorso da dare luce e ombra;non sono un pittore. Neppure congesti e pantomime so esprimere lemie idee e i miei pensieri; non sonoun ballerino. Lo so invece con i suo-ni: io sono un Musikus.

Come afferma Engel,

il significato della sua personalitàspirituale per la posterità è determi-nato unicamente dalla sua opera mu-sicale, non dalla pienezza o ricchez-za delle sue relazioni spirituali»21.

Con tutto ciò, le lettere di Mozartnon illuminano a fondo nemmeno l'attivi-

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tà strettamente musicale del loro autore.

Sono impressionistiche, nate dalmomento e rivolte strettamente aldestinatario. Sono un imperfettomezzo di conoscenza perfino per lanatura artistica di Mozart.

Così afferma l'illustre storico Rittervon Srbik22, il quale vi cerca invano letracce di quella che potè essere l'espe-rienza mozartiana dell'ordinamento poli-tico europeo. L'antipatia per lo spiritoilluministico francese23 e la singolareopinione del quattordicenne osservatoreche l'Italia (e in particolare Napoli eRoma) fosse «una terra del sonno, ad-dormentata sempre», sono forse le piùpronunciate manifestazioni d'un interesse

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di Mozart per le condizioni politiche eintellettuali del mondo circostante.

Chi, memore dell'espansiva confi-denza con cui i romantici solevano pro-clamare urbi et orbi i loro propositi ar-tistici, si attendesse di trovare qualcosadi simile nelle lettere di Mozart, andreb-be incontro a una grande delusione.

Di musica si parla moltissimo, forseper nove decimi dell'epistolario, maquasi sempre in termini di mestiere, tipi-camente commerciali, oppure con quellabuffoneria infantile che Mozart conservòa lungo e che, espressione forse di unanimo esuberante e lieto negli anni dellagiovinezza, era divenuta, con l'andar deltempo, una specie d'inconscia difesacontro ogni indiscrezione che tentasse di

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penetrare nel geloso sacrario delle sueintime convinzioni e aspirazioni. Pudoresentimentale, che vieta di parlare di ciòche ci sta più a cuore, e che si rispec-chia con evidenza anche nella musicamozartiana, alla quale conferisce perlunghi tratti quel suo carattere di elegan-te e spiritosa conversazione, apparente-mente superficiale, e contrastante col ca-rattere di confessione che sempre più lamusica assumerà da Beethoven in poi.

Grandi racconti di «accademie» cioèconcerti, audizioni private presso grandisignori nella speranza di ottenere un po-sto remunerativo; incontri e vittorie conaltri esecutori; giudizi su colleghi, sucantanti, su orchestre e suonatori: eccociò che costituisce per grandissima parte

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gli accenni alla musica nell'epistolariodi Mozart. Tutte le lettere, e in particola-re quelle giovanili scritte durante i viag-gi musicali attraverso la Germania, laFrancia e l'Italia, sono una prova dellasua straordinaria recettività musicale.Dovunque si trovi egli è come un'anten-na immediatamente vibrante al contattodi qualsiasi emanazione musicale; inqualunque città egli capiti, subito entrain relazione con gli ambienti musicali, sirende conto delle qualità dell'orchestra edella cantoria, giudica gli esecutori, isolisti, il Kapellmeister, prova gli stru-menti - organo, clavicembali, pianoforti-, li confronta, ne valuta pregi e difetti.Questi particolari tecnici, d'artigiano eprofessionista della musica, soverchiano

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molto spesso le considerazioni d'ordinepiù elevato. È il virtuoso, il musicistapratico, quello che meglio viene in lucenelle lettere. I giudizi su opere e compo-sitori sono assai meno numerosi e impe-gnativi che quelli su cantanti, violinisti eclavicembalisti. Tralasciando le impres-sioni spesso contraddittorie raccolte dalfanciullo durante i suoi viaggi in Italia(«... fummo anche in una chiesa a sentiruna Musica la quale fu del signor Cicciodi Majo, ed era una bellissima Musica»,Napoli, 29 maggio 1770; «L'opera qui èdi Jommelli: è bella ma troppo alta etroppo di moda antica per il teatro», Na-poli, 5 giugno 1770; ecc.), non s'incon-trano quasi altre osservazioni degne dirilievo, se non un generico entusiasmo

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per Haydn e una chiaroveggente ammira-zione per Ignaz Holzbauer, un musicistapoco noto della scuola di Mannheim, delquale ricerche erudite e pubblicazionimusicali stanno oggi rinfrescando lafama.

Tuttavia non è detto che anche dalleosservazioni spicciole sugli esecutori -orchestre, cantanti e soprattutto clavi-cembalisti - non emerga qualcosa di uti-le per illuminare la specifica musicalitàdi Mozart. La maggior parte di questeosservazioni, per quanto disperse e ca-suali, si polarizzano intorno a due ele-menti principali: l'importanza del ritmoe la necessità di suonare con espressio-ne. Il ritmo è l'elemento a cui egli badaprima di tutto quando giudica un esecu-

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tore. Da Monaco, il 2 ottobre 1777, scri-ve al padre d'aver ascoltato la figlia delconsigliere von Branca. «La signorinasuona benino. Le manca ancora il rit-mo». Quattro giorni dopo scrive d'averpartecipato a una festa. «Si ballò, io bal-lai, ma soltanto 4 minuetti e alle 11 erogià in camera mia, perché fra tante ra-gazze una sola ce n'era che ballava atempo». Questa esigenza addirittura fisi-ca del ritmo è un attributo vitale dellamusica di Mozart e dev'esser tenuta pre-sente nella pratica esecutiva, a dissuade-re insane e arbitrarie libertà romantiche;alla speculazione critica può suggerireun criterio, forse fondamentale, d'inter-pretazione.

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Ma a correggere l'eventuale unilate-ralità d'un'interpretazione - tanto esecuti-va che critica - la quale puntasse unica-mente sulle qualità ritmiche della musicadi Mozart, soccorre immediatamentel'esigenza espressiva, ripetutamente edesplicitamente affermata nelle lettere. Lamusica non era per Mozart un mero mec-canismo ritmico che snodasse le sue ar-ticolazioni con la rigidità d'un automa:la musica era per lui tutta permeata disensibilità e di sentimento. Quando lagrazia sommessa e raccolta della quat-tordicenne Rosa Cannabich gli ispirò, aMannheim, nel 1777, tanto interesse dascrivere per lei la bella Sonata in domaggiore (K. V. 309), il cui andante èfatto «proprio secondo il carattere di

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Mademoiselle Rose», l'espressione chepiù frequentemente ritorna nella descri-zione delle sue qualità musicali è: «suo-na con molto sentimento» (lettere del14-16 novembre e 6 dicembre 1777).Ammettiamo pure che Mozart fosse inquesto periodo, e nei riguardi di questapersoncina, in condizioni di particolarepredisposizione alla tenerezza e allasensiblerie. Ma più tardi in condizionidi spirito perfettamente opposte, quandoingelosito dai successi pianistici di Mu-zio Clementi gli muoverà acerbe criti-che, assolutamente ingiuste, queste criti-che verteranno essenzialmente sulla pre-tesa deficienza d'espressione.

È un bravo cembalista e con ciò èdetto tutto. Ha molta bravura tecnica

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nella mano destra; i suoi passaggispeciali sono le terze; del resto nonha un briciolo di gusto né di senti-mento; è solo un Mechanicus (al pa-dre, Vienna, 16 gennaio 1782).

Quasi con gli stessi termini s'eraespresso quattro giorni prima, e il 7 giu-gno 1783 ribadiva malignamente:

Clementi è un Ciarlatano cometutti gli italiani... Quello che fa benesono i suoi passaggi di terza ma viha sudato su a Londra giorno e notte! Fuori di questo non ha niente, pro-prio niente; non la più piccola inter-pretazione, né il più piccolo gusto eancor meno sentimento.

Della Strinasacchi di Mantova, perla quale scrisse la bella Sonata in si be-

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molle maggiore (K. V. 454), giudica bre-vemente: «... violinista molto buona; hamolto gusto e sentimento» (al padre,Vienna, 24 aprile 1784).

Ancora. «In che consiste l'arte dileggere a prima vista?... In questo: suo-nare il pezzo bene a tempo, comedev'essere, e con tutte le note, conl'espressione e il gusto che ci vuole» (alpadre, Mannheim, 17 gennaio 1778). Mala lettera più importante circa i criterid'interpretazione di Mozart è quella del24 dicembre 1777 a proposito della fi-glia del celebre fabbricante di pianofortiStein, di Augusta, quella Anna MariaStein che, andata sposa al buon amico diBeethoven, Johann Andreas Streicher,diverrà il provvidenziale angelo tutelare

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del disordinato maestro. Nanette era sta-ta avviata dal padre alla carriera di en-fant prodige, e a quanto pare con tutta lamessa in scena del caso.

Chi la vede e la sente suonare enon ride, dev'essere di pietra comesuo padre24. La seggono molto inalto a destra verso il Diskant; peramor di Dio non nel mezzo per nonaver bisogno di muoversi e di faremille Grimassen. Rotea gli occhi esorride agli angeli. Se una frase vienripetuta due volte, la seconda voltasi suona più adagio; viene tre volte,e ancora più adagio.

E dopo aver continuato a descrivereumoristicamente le imprese della picco-la virtuosa, Mozart conclude con la dura

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sentenza: «Non acquisterà mai la cosapiù necessaria in musica e più difficile eprincipale, cioè il Tempo». Poi, venendoa parlare di sé e dell'impressione susci-tata nel signor Stein, che «prima andavamatto per Beecké», Mozart esce in que-sta definizione del proprio modo di suo-nare, che ha il valore d'un canone inter-pretativo della sua stessa arte, tanto lon-tana dalle svenevolezze d'un romantici-smo avanti lettera, quanto dall'oggettivi-tà inespressiva che tanto spesso gli sivorrebbe attribuire.

Ora vede e sente che io sono piùche Beecké; che non faccio Gri-massen epperò suono expressive...;che io resto sempre scrupolosamen-

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te in tempo, cosa di cui tutti si me-ravigliano.

Il 28 aprile 1784 Mozart scriveva alpadre, da Vienna, per raccomandargli uncerto pianista Richter, che aveva inten-zione di passare per Salisburgo.

Suona bene per ciò che riguardal'esecuzione, ma come sentirà, è unpo' rude, faticato e senza gusto esentimento; del resto è la migliorpersona del mondo, senza la minimasuperbia. Guardava di continuo lemie dita mentre suonavo, poi dicevaogni volta: - Mio Dio! Come midevo affaticare io, come sudo e nonho alcun successo, e lei, amico mio,par che giochi!

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Assieme ai due grandi canoni mozar-tiani dell'interpretazione - ritmo e senti-mento - questa impressione di agevolescorrevolezza, questa sciolta semplicitànel superare le resistenze della materia,è il terzo criterio importante che si puòrilevare dalle lettere di Mozart in fattod'estetica. Far parere facile il difficile:questo il sommo dell'arte, non dissimiledalla nota formula di Rameau, l'art quicache l'art. Ancora una volta, quindi,bisogna risalire dalla pratica dell'esecu-zione alla natura stessa dell'arte: anchetrasferiti in questo più vasto campo iprincipi fondamentali del gusto di Mo-zart si mostrano validi e rappresentativi,tali che potrebbero benissimo costituirealtrettanti punti fermi intorno a cui coor-

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dinare l'esame critico della sua musica.Già il 22 novembre 1777, da Mann-

heim, elogiando un violinista del luogo,certo Franzi, Mozart formulava con esat-tezza questo suo criterio favorito, chepotremmo chiamare della difficoltà dis-simulata.

Lei sa che io sono un grande ama-tore di difficoltà. Lui suona dellecose difficili, ma non si conosceche lo siano; si penserebbe di poterfare altrettanto, e questa è la veraarte.

La vera arte ! che cosa si potrebbedesiderare di più da un artista, per laprecisazione del suo gusto e della suapoetica, che una simile definizione ? MaMozart scriveva queste cose currenti

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calamo, senza troppo impegnarsi, ché ungiorno ci pone davanti ad un'altra defini-zione della «vera arte», tale da lasciareveramente interdetti per il suo ingenuocinismo estetico.

La Bernasconi è qui e ha goo du-cati di salario perché canta le arie diun buon comma più alto; è propriovera arte, perché poi resta sempreintonata. Ha promesso di cantare an-cor più in su, ma allora vuol altret-tanto di salario (al padre, Vienna, 27giugno 1781).

Ci accostiamo qui ad un aspetto del-la poetica mozartiana che non dev'essereoccultato per male inteso rispetto dellasua grandezza, e cioè al modo singolar-mente commerciale di trattare la musica,

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che spesso s'incontra in Mozart. Lo sipuò seguire attraverso le date più diver-se. Nel triste periodo ultimo della mise-ria e della malattia scriveva, per esem-pio, alla moglie: «Ho la ferma intenzio-ne di scriver subito l'adagio per l'orolo-giaio e far comparire in mano alla miacara moglie alcuni ducati». Ma anchenella fiduciosa età giovanile vediamoMozart considerare con singolare disin-voltura la composizione di opere musi-cali, per così dire all'ingrosso.

Be', ora devo andare a dormire;avrò abbastanza da scrivere per duemesi; tre concerti, due quartetti,quattro o sei duetti per piano e poiho anche in mente di scrivere unagrande Messa e di presentarla al

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Principe... (al padre, Mannheim, 10dicembre 1777).

Evidentemente ci troviamo di frontead un costume musicale divenuto incon-cepibile a partire dall'Ottocento roman-tico. Beethoven non avrebbe mai potutoesprimersi in questo modo. Per un artistamoderno non può essere questione di ac-cingersi a comporre «tre concerti, duequartetti, quattro o sei duetti», così, ap-parentemente senza ancora sapere checosa vi si dirà; è la presenza di idee mu-sicali che determina di volta in volta lacreazione artistica con imperiosa neces-sità.

Invece, anche nel periodo della piùprospera maturità viennese, vediamoMozart sollecitare dal principe Fürsten-

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berg una specie d'appalto per un bloccodi composizioni.

Se Sua Altezza vuol farmi la gra-zia di ordinarmi un certo numero disinfonie, quartetti, concerti per di-versi strumenti, o altri pezzi secon-do il suo piacere e con un compensoannuo definito, S. A. sarebbe servitopresto e bene, ed io, trattandosid'una cosa sicura, lavorerei con piùtranquillità (al camerlengo del prin-cipe Fürstenberg, Vienna, 8 agosto1786).

Bisogna ammettere che nessun musi-cista - se non Bach e qualcuno fra i gi-ganti della polifonia cinquecentesca - fumai servito da una fertilità inesauribiled'inventiva musicale pari a quella di

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Mozart, se qualcuno poteva permettersidi firmare simili cambiali in bianco sulproprio estro, questi era proprio Mozart.Ciò posto, e riconosciuta la straordina-ria spontaneità e facilità di creazioneond'egli era dotato, dev'esser lecito trar-re da questo fenomeno conclusioni re-strittive, che giustificano una cernita an-che abbastanza severa nei settecento epiù numeri delle composizioni mozartia-ne. Non si rende un buon servizio a Mo-zart pretendendo che tutte siano assoluticapolavori. E occorre persuadersi cheanche in seno a indiscutibili capolavorisi annidano talvolta luoghi comuni, con-cessioni al gusto del pubblico e formuletradizionali che l'uso consacrava e checontribuivano al successo d'un'opera,

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magari variando da un luogo all'altro, aseconda del pubblico cui essa era desti-nata.

Le merveilleux, justement, c'estque son art soit toujours orientévers le succès, sans jamais rien sa-crifier de soi. Sa musique est tou-jours écrite en vue de l'effet sur lepublic.

Così scriveva, forse con un eccessod'ottimismo, Romain Rolland25, e docu-mentava la sua affermazione con proban-ti estratti dalle lettere. «Conosco il pub-blico, -si vantava Mozart annunciandoalla sorella la composizione del Rattodal serraglio, - e spero che piacerà»(Vienna, 19 settembre 1781). «Il coro

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dei Giannizzeri - scriveva una settimanapiù tardi - è tutto ciò che si può deside-rare di meglio, breve e allegro e scrittoproprio per i viennesi». Particolarmentesignificativa è la lettera del 28 dicembre1782, da Vienna, in cui Mozart informail padre d'aver terminato diversi Con-certi per pianoforte, nei quali le difficol-tà, meglio, le originalità di stile sono ac-cortamente dosate con le consuete for-mule a successo.

I Concerti stanno fra il difficilis-simo e il molto facile; sono brillan-ti, gradevoli all'orecchio, natural-mente senza cadere nel banale; qua elà anche i conoscitori devono esserecontenti senza sapere perché.

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Era quello un tempo in cui prospera-va, come si suol dire, una civiltà musi-cale collettiva. Le personalità artisticheemergevano sopra un fiorente strato dimusica impersonale, ma correttamentelavorata e improntata ai caratteri stilisti-ci comuni dell'epoca. Oggi avvienespesso di sentir lamentare la scomparsad'un simile stato di cose, e la necessitàche ogni artista ripercorra faticosamenteper conto proprio il cammino dell'arte,senza la possibilità di adagiarsi como-damente nel solco d'una tradizione. Ma -a parte che un gusto musicale del nostrotempo si viene formando, ed è già possi-bile scimmiottarlo senz'aver nulla dipersonale da dire - è poi un saggio ram-marico, questo ? Poteva certamente es-

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ser comodo per gli artisti questo appog-gio della tradizione, che permetteva loroappunto di scrivere sinfonie e quartetti adozzine, o magari a centinaia; ma chefosse un reale vantaggio è discutibile,anche se le composizioni prodotte a quelmodo possono oggi sedurci per un certosuggestivo arcaismo, sorta di «color lo-cale» storico che le imparenta fra diloro. Questo è lo stile nell'accezioneusata quando si parla, ad esempio, dimobili in stile. Ma lo stile nell'arte è al-tra cosa; e i capolavori autentici, anchese germogliano sopra un gusto storica-mente determinato, hanno un lor modomisterioso di trascendere le contingenzestilistiche d'un'età e d'un ambiente, diservirsene e dimenticarle, librandosi in

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un'eternità che è al di fuori del tempo edello spazio. La diffusione della culturamusicale può far molto, in questo senso,documentando sulle condizioni dellamusica al tempo di Mozart, e permetten-do di constatare quanto d'esteriormentemozartiano si trovi in Johann Christian eFriedemann Bach, in Stamic e negli altrimusicisti della scuola di Mannheim, neicompositori italiani del Settecento (par-ticolarmente Paisiello), onde almeno sa-per distinguere la bellissima pianta dalterreno su cui sorge.

Indulgente verso il pubblico e indul-gente verso gli esecutori. Mozart non èdi quegli artisti in cui la prepotenza ine-sorabile dell'idea musicale violenti sen-za riguardo i mezzi tecnici dell'espres-

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sione e li sospinga a sempre nuovi pro-gressi: tipico Beethoven. Certamente,Mozart ama le difficoltà: ma difficoltàappropriate a un determinato mezzo so-noro. La sua musica non si mette maicontro lo strumento che la deve estrinse-care; piuttosto ne nasce e ne viene ispi-rata. Per la qual dote Mozart è altamentemoderno. Per quanto difficile, la sua mu-sica non deve aver presentato maiquell'aspetto sconcertante di «inesegui-bilità» che a volta a volta fu rimprovera-to a Beethoven, a Wagner, a Debussy.Quante composizioni di Mozart non nac-quero ad hominem, per un determinatostrumento ed esecutore, che con le loroparticolari caratteristiche diventavano ilprimo stimolo dell'ispirazione ? Non sa-

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rebbe una statistica oziosa per la criticamozartiana.

«Mi fa piacere che un'aria sia benadatta a un cantante, come un vestito fat-to bene», così scriveva al padre (Mann-heim, 28 febbraio 1778), raccontandod'aver modificato un'aria su richiesta diun celebre cantante. Spunta qui, accantoal musicista, l'uomo di teatro e col teatroci si accosta al cuore degli interessi mo-zartiani. È questo l'unico argomento arti-stico che fa cadere le reticenze, chesmaschera il ritegno della finta e super-fidale giocondità, e che strappa a Mozartaccenti sincerissimi e appassionati, con-giungendosi curiosamente col suo orgo-glio patriottico di buon tedesco nel desi-

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derio di donare finalmente alla Germa-nia la sospirata opera nazionale.

E come sarei amato poi se aiutas-si a rialzare le sorti del teatro musi-cale nazionale in Germania! E que-sto accadrebbe certamente per mez-zo mio, perché quando sentii l'operatedesca avevo già una voglia immen-sa di scrivere (al padre, Monaco, 2ottobre 1777).

Ho una voglia irresistibile di scrive-re ancora una volta un'opera... È vero,non si ha una gran somma, però è qual-che cosa e si ha più onore e più creditoche se si danno cento concerti in Germa-nia, e io sono più allegro, perché possocomporre, ciò che è in fondo la mia uni-ca passione e la mia unica gioia... Per-

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ché appena sento parlare d'un'opera, ap-pena sono a teatro o sento delle voci...allora sono subito fuori di me (al padre,Monaco, 11 ottobre 1777).

Avviene ben raramente che, nelle suelettere, Mozart si scopra fino a questopunto di confidenza.

Non dimentichi il mio desideriodi scrivere opere. Sono invidioso diognuno che le può scrivere; piange-rei di dolore quando sento un'aria ovedo un'opera (al padre, Mannheim,4 febbraio 1778).

L'idea d'una missione teatrale dacompiere verso il proprio paese non glilasciava pace:

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Ogni nazione ha la sua opera, per-ché noi tedeschi non dovremmoaverla ? Non si può forse cantare intedesco come in francese e in ingle-se? Non è forse lingua più cantabileche la russa? (al padre, Vienna, 5febbraio 1783).

E annunciava finalmente di essersiaccinto a scrivere un'opera tedesca,così, per proprio gusto. Ma, tanto percominciare, aveva scelto una commediadi Goldoni, Il servo di due padroni, e sela faceva tradurre da un certo baroneBinder !

Né era soltanto un'inclinazione per-sonale, per quanto appassionata e inten-sa, ma il portato di una tendenza che af-faticò i più alti spiriti della Germania

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settecentesca, che ebbe i suoi combat-tenti in certe figure di comici illustri,come la Neuber, Schikaneder, Kurz-Ber-nardon, e che potè fornire a Goethe unodei tratti fondamentali del complesso ca-rattere di Wilhelm Meister. Bisogna for-se richiamarsi allo spirito sistematicoche si suole attribuire ai tedeschi, percomprendere pienamente quel diffusopuntiglio di completare la corona delleglorie artistiche nazionali con l'unicagemma che ancora le mancava: il teatro.Mozart ci si sentiva personalmente scot-tato, e ci soffriva. A volte la cosa glisuggerisce perfino espressioni amara-mente sarcastiche, rarissime in lui:

... sarebbe forse un'eterna mac-chia di vergogna per la Germania se

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noi tedeschi si cominciasse unabuona volta sul serio a pensare in te-desco, ad agire in tedesco, a parlarein tedesco e persino a... cantare in...tedesco?! (ad Anton Klein, Vienna,21 marzo 1785).

Si pensi, per contrasto, alla tranquil-la indifferenza con cui l'Italia settecente-sca sopportava la mancanza d'un suoteatro tragico. Si può dire che questamancanza fu poi avvertita quando l'Al-fieri venne, colmandola, a ricordarla. Efu realizzazione strettamente individuale,ché non s'era neanche lontanamente so-gnato di destare un movimento artistico,un indirizzo particolare degli studi edella letteratura.

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Recentemente si è insistito in formaquasi paradossale sulla spiccatissimainclinazione di Mozart per il teatro.«Mozart è drammatico e Beethoven è li-rico», ha sentenziato Hermann Abert26.Affermazione che, li per li, con tuttoquel che si suol ripetere sull'inconturba-ta quiete della musica di Mozart e sullacontinua tensione interiore dell'arte bee-thoveniana, non può mancare di sorpren-dere, ma si spiega attribuendo al terminedrammatico la sua storico-filologica ac-cezione quale fu fondata soprattutto dalNietzsche nella Nascita della tragediadallo spirito della musica. Mozart infat-ti -chiarisce l'Abert - conosceva la gioiadi creare, esteriorizzare figure da sé; in-vece le figure teatrali di Beethoven sono

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semplici latori d'un messaggio di moraleeroica. Anche qui, del resto, RomainRolland aveva aperto questa via allacritica con alcune eccellenti osservazio-ni sulla forza dello spirito drammaticodi Mozart27.

Il était fait surtout pour le dramemusical... Beethoven reste Beetho-ven à toutes les pages de son oeuvre;et c'est tant mieux: car nul héros nepouvait nous intéresser, à son égal.Mais Mozart, gràce au mélange har-monieux de ses qualités, - sensibili-té, finesse d'intelligence, tendresse,maitrise sur soi-même, - était natu-rellement bien doué pour saisir lesmille nuances des àmes étrangère-sà la sienne, pour s'intéresser auspectacle du monde aristocratique

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de son temps, et pour le faire revi-vre dans ses ceuvres musicales, avecune poétique verité.

E infatti è proprio su quest'argomen-to - il teatro -che si accolgono nell'epi-stolario mozartiano le dichiarazioniestetiche più impegnative, tali da appa-rire almeno come il rudimentale, maesplicito embrione d'una poetica mozar-tiana. Ritorna, innanzi tutto, il criteriodell'espressione richiesta all'esecutore.Il 30 luglio 1778, scrivendo da Parigialla cantante Aloysia Weber a propositodi un'aria ch'egli aveva scritto per lei, ledà alcuni interessanti consigli:

... al più le raccomando l'espres-sione - di riflettere bene al senso ealla forza delle parole - di mettersi

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con serietà nello stato e nella situa-zione d'Andromeda - e di figurarsid'esser quella stessa persona.

Par di sentire Gluck. E gluckiano in-fatti era stato Mozart, nelle sue primeopere serie, fino all'Idomeneo (1781).Poi la prorompente musicalità della suanatura verrà prendendo sempre più il so-pravvento e finirà per travolgere neltrionfo della musica l'illuministico ra-zionalismo del tentativo gluckiano.

Durante la composizione dell' Ido-meneo desiderava «un'aria dove io nonfossi tanto legato alle parole e si potesseandar avanti e comporre con una certafacilità» (lettera al padre, Monaco, 8 no-vembre 1780). Ma d'altra parte avevasaputo resistere alle obiezioni d'un can-

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tante che gli aveva espresso i suoi dubbicirca lo stile troppo drammatico nelquartetto dell'Idomeneo: «Non c'è daspianar la voce - è troppo ristretto...» ÈMozart a commentare: «Come se in unquartetto non si potesse più recitare checantare...» (al padre, Monaco, 27 dicem-bre 1780). La vexata quaestio di aria erecitativo, del rapporto tra musica e pa-rola è il punto intorno a cui si dibatte ilpensiero di Mozart, per quanto sia pos-sibile parlar di pensiero a propositod'un temperamento che è tutto immedia-tezza di artistica sensibilità. Il fastidiodel recitativo, questo peso morto chel'opera italiana trascinava con sé, eraforte in Mozart, ed egli si senti vicino,talvolta, alla soluzione radicale

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dell'opera comique: soppressione delrecitativo e sostituzione con pura e sem-plice recitazione. Aveva sentito, a Man-nheim, eseguire dei duodrammi - oggidiremmo melologhi: un'azione teatralerecitata, sopra un tenue sfondo di musicaorchestrale. Ne era rimasto entusiasta, escriveva ancor tutto eccitato al padre(12 novembre 1778):

Sa quale sarebbe la mia idea ? Aquesto modo si dovrebbe trattare lamaggior parte dei recitativi nell'ope-ra e solo talvolta, quando le parolesi possono esprimere bene con lamusica, cantare il recitativo...

È a proposito del Ratto dal serra-glio, alla cui composizione l'epistolarioè abbastanza ricco di riferimenti, che

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Mozart esce nelle sue più celebri e im-pegnative dichiarazioni teoriche. Erastato questo lavoro, in parte, la realizza-zione del suo sogno patriottico di darealla Germania un'opera in lingua tede-sca. Naturalmente non bastava prendereun libretto tedesco e scriverci sopra del-la musica di stile italiano. Mozart avevadovuto accorgersi che, anche con la piùbuona volontà, un'opera nazionale non sicrea dal nulla, e aveva dovuto appog-giarsi alla preesistente forma del Sing-spiel. Apparentemente una deminutio,una limitazione del suo ambizioso pro-getto: non proprio come se oggi un gran-de compositore si mettesse a scrivereuna rivista per Macario28, ma quasi. Incompenso però, quanta libertà! Qui fi-

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nalmente Mozart potè trovare se stesso escorgere chiara la propria via nel teatromusicale. Mai prima d'ora gli erano ca-dute dalla penna enunciazioni teorichetanto recise.

Poiché le passioni anche violentenon devono mai arrivare fino al di-sgusto, così pure la musica, anchenel momento più terribile, non devemai offendere l'orecchio, ma sem-pre far godere e rimanere sempremusica (al padre, Vienna, 26 settem-bre 1781).

Il genio di Mozart prende qui co-scienza della propria natura apollinea,tutta squisita misura e decenza. Quandoun artista giunge a questo punto di matu-razione, in cui acquista precisa consape-

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volezza di sé, la sua grandezza sfavilladi raddoppiato splendore, come avvienedi certe luci celestiali nel Paradiso dan-tesco. La lettera del 13 ottobre 1781 è lapiù ricca di dichiarazioni programmati-che; tanto che Mozart sente il bisogno dichiuderla con una specie di scusa, trattocaratteristico della sua pudicizia intel-lettuale e sentimentale: «Mi pare d'aver-le fatto delle chiacchierate abbastanzasceme...» Qui troviamo la celebre affer-mazione: «Io non so, ma in un'opera lapoesia deve esser assolutamente la de-vota figlia della musica», che, a due annidi distanza dalla Ifigenia in Tauride, di-mostra quanto la così detta riforma gluc-kiana fosse stata un fenomeno isolato,prematuro, incapace di modificare radi-

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calmente la natura dell'opera settecente-sca. L'estetica teatrale dell'illuminismofrancese, l'estetica dell'antimelodramma,che cercava di conferire alla musica tea-trale qualcosa della dignità tragica, vie-ne battuta in breccia e totalmente con-traddetta dalle affermazioni mozartianesul Ratto dal serraglio. Non si potrebbeimmaginare antitesi più precisa chequella esistente tra quest'ultime e i versiprogrammatici del Dorat, così rappre-sentativi del razionalismo teatrale sette-centesco:

Il échappe parfois des sons à ladouleur

Qui sont faux pour l'oreille, maisvrais pour le cceur.

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Stendhal non avrebbe tardato a pre-vedere e denunciare le conseguenze chepresto avrebbe prodotto, in seno al ro-manticismo, l'abbandono dei criteri mo-zartiani. Avvertiva infatti che se in musi-ca «on sacrifie à quelque autre vue quele plaisir physique qu'elle doit nous don-ner avant tout, ce qu'on entend n'est plusde la musique: c'est un bruit qui vient of-fenser notre oreille sous prétexted'émouvoir notre ame». Non si può ne-gare che intorno alla lettera del 26 set-tembre 1781 si intrecci un nodo fatidiconella storia dell'opera in musica, la cuiportata arriva fino al verismo, finoall'espressionismo, alla Cavallerìa ru-sticana come a Wozzeck e a Lulu.

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Se Mozart fosse stato ugualmenteespansivo nelle sue lettere durante lacomposizione del Don Giovanni, le sueaffermazioni teoriche avrebbero avuto lostesso suono ? O non avremmo avuto al-tre rivendicazioni del suo diritto di usa-re uno stile drammatico e di fare, all'oc-correnza, più «recitare» che «cantare»?Questione alla quale solo un attento esa-me della musica potrebbe fornire una ri-sposta, e non certa. Perché nel suo epi-stolario, Mozart va facendosi semprepiù arido e riservato, col crescere deifastidi, delle contrarietà e dei dolori ched'ogni parte sorgevano a rendergli durala vita. Cosa tanto più spiacevole inquanto che, coll'età, l'immediatezza tuttaistintiva dell'artista veniva cedendo il

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posto a un'attitudine più cosciente e ri-flessa, e idee sull'arte sua, a lungo rimu-ginate, dovevano urgergli nella mentefino a invogliarlo, una volta, al quasi in-credibile proposito di scrivere un libro.

La via di mezzo, il vero in tutte lecose non si conosce né si apprezzamai; per aver del successo si devonoscrivere cose così alla portata di tut-ti, che anche un fiaccheraio le puòricantare; o così difficili che nessunintelligente le possa capire e appun-to per questo piacciono loro. Non èquesto però di cui io volevo parlarecon lei; avrei voglia di scrivere unlibro, una piccola critica con esem-pi, ma N.B. non sotto il mio nome...(al padre, Vienna, 28 dicembre1782).

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Un libro di Mozart ! che cosa maiavrebbe potuto essere ? A tutta prima siresta piuttosto scettici in proposito. Machissà! infinite sono le risorse del genio,e veramente pare che nessuno abbia in-terpretato il senso di affettuosa ammira-zione con cui Mozart ci avvince alla suaeterna e divina fanciullezza, meglio diquel principe che, ascoltato a Monacol'Idomeneo, lo «applaudi cordialmente edisse ridendo: - Non si potrebbe pensareche in una testina così piccola ci possa-no essere delle cose così grandi» (lette-ra al padre, Monaco, 27 dicembre1780).

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Il Festival di Salisburgo

(1946)Man mano che il mondo civile ricu-

pera lentamente i suoi diritti sopra le ro-vine della guerra, si ricostituiscono apoco a poco qua e là nell'Europa marto-riata quelle periodiche feste musicaliche richiamavano ogni anno gli appas-sionati ora in questa ora in quella città,creando utili occasioni di reciproca co-noscenza ed allargando gli orizzonti arti-stici tanto del pubblico quanto dei com-positori e degli esecutori.

Se facile ed ospitale è riuscita allaSvizzera l'organizzazione del Festival diLucerna29 prolungatosi fino al principio

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di settembre, e se si può senz'altro pre-vedere che la ripresa del Festival vene-ziano di musica contemporanea30- ametà settembre - supererà di gran lungal'interesse delle ultime edizioni d'ante-guerra, rese anemiche dalla boriosa xe-nofobia del fascismo, non altrettanto li-sce sembra siano andate le cose alla ri-presa del Festival che ogni estate si te-neva a Salisburgo31 la città natale diMozart; almeno a giudicare dalle im-pressioni che il corrispondentedell'«Observer», Charles Fletcher Coo-ke, ha trasmesso al suo giornale.

Il ricordo schiacciante e onnipresen-te della guerra si fa strada dappertutto, apartire dalla peregrina considerazioneiniziale che, per inaugurare il Festival, il

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generale Clark pervenne alla vecchiacittadina austriaca per lo stesso itinera-rio tenuto dal principe Starhemberg nel1936 e da Rudolf Hess nel 193832 E poiil pubblico - composto interamente dimilitari alleati (non mancavano i russi),tanto da lasciare per gli austriaci soltan-to tre file di posti a sedere - non avrebbepermesso a nessuno di farsi troppe illu-sioni sul ritorno della normalità.

Artisti alloggiati alla meglio.L'organizzazione alberghiera, affida-

ta all'esercito americano, è risultata de-plorevole, laddove gli austriaci erano untempo degli assi in materia. Gli artisti -sempre secondo il Fletcher Cooke - sa-rebbero alloggiati alla meglio in «inde-scrivibili canili» della periferia, mentre

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i principali alberghi rimangono presso-ché vuoti (ossia a disposizione delletruppe alleate ?) Nonostante le razionistraordinarie di cibo concesse dall'eser-cito americano agli artisti, questi si la-gnano di non essere sufficientemente inforza per le esecuzioni. Per ottenere unsupplemento di cibo, gli interpreti delCavaliere della Rosa dovettero minac-ciare uno sciopero tra un atto e l'altro.Lo sapranno, poi, questi generali, checantare o dirigere un'opera in tre atti èuna fatica fisica paragonabile alla gior-nata lavorativa d'un facchino, e richiedeun fisico robustissimo, convenientemen-te alimentato ?

Del resto il Comando americano puòdarsi che abbia le sue buone ragioni di

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severità nei riguardi degli artisti austria-ci. Non bisogna dimenticare che, se ilFestival del 1938 fu l'ultimo svoltosi aSalisburgo in condizioni di autentica in-ternazionalità, questo non è affatto il pri-mo che abbia avuto luogo dopo d'allora.Eppure non c'è verso di sapere che cosasia stato fatto negli anni di guerra: a sen-tire gli artisti, nessuno di loro c'era, nes-suno ne sa niente.

I provvedimenti di epurazione spet-tano tanto al governo quanto alle potenzeoccupanti, e spesso non vanno niente af-fatto d'accordo, ma basta un solo votocontrario per stabilire l'esclusione d'unartista da manifestazioni pubbliche. Ciòha l'aria di dispiacere al corrispondenteinglese, il quale deplora l'inerzia a cui

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sono costretti direttori come Karl Böhme Clemens Krauss, mentre le esecuzioni,a quanto pare, risultano talvolta scaden-ti. Anche von Karajan, vedetta musicaledel nazismo e ben noto anche in Italia, èdi nuovo a riposo, sebbene fosse corsala voce ch'egli fosse stato espulso dalpartito nazista nel 1942 ed egli avessegià potuto dirigere un concerto, accla-matissimo, nella zona d'occupazione in-glese33 È probabile che la notizia dellesue disgrazie non turberà i sonni degliorchestrali italiani, i quali avevano avu-to modo di esperimentare, insieme alsuo innegabile talento artistico, l'altez-zosa rozzezza delle sue maniere.

Alcune eccellenti esecuzioni.

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Le esecuzioni migliori - veramenteeccellenti - sembra siano state quellemozartiane dell'Orchestra Filarmonicadi Vienna, sotto la direzione di Paum-gartner34 l'antico direttore del Mozar-teum di Salisburgo, defenestrato dal na-zismo, e di Edwin Fischer. Questa cele-bre orchestra non ha quasi sofferto per-dite di personale durante la guerra, e lesue esecuzioni sono parse agli alleaticome qualcosa di unico al mondo. Essasoffre però terribilmente della scarsità edella pessima qualità delle corde di vio-lino e dei crini per archi, generi che do-vrebbero essere forniti dal Canadà.Chissà: se Toscanini35fosse andato a Sa-lisburgo, forse avrebbe fornito anche aquell'orchestra un provvidenziale rifor-

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nimento di corde per strumenti ad arco,come fece per l'orchestra della Scala.Ma, osserva il critico musicale inglese,«strano a dirsi, tutti erano contenti cheToscanini non fosse venuto. La sua pre-senza avrebbe esacerbato l'amarezza».Quanta comprensione per i patemi na-zionalistici di quegli agnellini di austria-ci ! Ebbene, allora ci pensi il Canadà afornire le corde ai violinisti della Filar-monica di Vienna, il cui destino - scriveil Fletcher Cooke - pende letteralmenteper un filo!

Fra i cantanti più celebri Büchner eil celebre tenore Lorenz sono al bando, ele esecuzioni d'opera hanno piuttostosofferto. Dei tre soprani per il Cavalieredella Rosa, soltanto Hilde Konetzni mo-

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strò di possedere la necessaria potenzadi voce, ed ottenne un grande successosoprattutto fra le truppe britanniche efrancesi. Il tenore jugoslavo Anton Der-mota ha fornito un buon Don Ottavio, masi è molto sentita l'assenza di Ezio Pin-za36nella parte di Don Giovanni. Le noz-ze di Figaro ebbero una buona esecuzio-ne vocale, soprattutto di Irmgaard See-fried come Susanna e da Maria Cebotarinella parte della Contessa.

In complesso, insomma, sembra dif-ficile che il Festival di Salisburgo 1946possa passare per il primo Festival dipace. L'assenza di turisti borghesi, aiquali non è concesso l'accesso alla zonadi occupazione, produceva un pubblicodi natura ben singolare: cioè i pochissi-

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mi austriaci che fossero in grado di pa-gare l'alto prezzo dei biglietti d'ingressoe, come s'è detto, le truppe alleate. Cosìavvenne che il Quartetto Calvet diedeun'esecuzione dei Quartetti di Ravel, diFranck e di Debussy, giudicata dai com-petenti «di sovrumana perfezione» da-vanti ad una sala mezza vuota.

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III.

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Mozart nel bicentenario dellanascita

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(Giubileo 1956)

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La religione dell'uomo

(1956)C'è una dolorosa strategia delle date

negli anniversari degli artisti morti gio-vani: i cinquantenari della morte e i cen-tenari della nascita si rincorrono a di-stanza ravvicinata, quasi l'uno preannun-ciando l'altro. Questa strategia delledate ha funzionato a meraviglia facendocadere il 150° anniversario della mortenel momento più atroce della guerra.

Ci volevano la guerra, il sangue, ilfuoco e le rovine perché imparassimo acomprendere Mozart in quella celebra-zione rientrata del 1941. Più precisa-mente, l'aspetto «apollineo» di Mozart.

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Bisognava che fossimo, come allora,frastornati da trombe guerriere, da stre-pito di tamburi e da salve di cannonate,offesi da voci gutturali e taglienti che silevavano a proclamare napoleoniche in-timazioni sopra il clamore d'adunateoceaniche, perché comprendessimo chel'aspetto «apollineo» di Mozart vuoldire esattamente questo: rifiuto della so-praffazione.

Rifiuto della sopraffazione. Che vuoldire: democrazia. Che vuol dire: ugua-glianza degli uomini nell'augusta dignitàdella comune natura umana, rispettodell'altrui personalità e riconoscimentospontaneo d'un ordine nel quale ognunoha diritto al suo posto. L'artista romanti-co sarà uno scalmanato che si dà un gran

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da fare per affermarsi, che lavora di go-miti per superare, per sopraffare gli al-tri, per imporre, a fin di bene, una pro-pria concezione della vita, una propriaricetta contro i mali del mondo. Mozartè completamente sprovvisto di quella te-mibile virtù che gli anglosassoni chia-mano self-assertiveness. Il suo solomodo di asserirsi è: vivere. Vivere intutta naturalezza, come una pianta, conuna fiducia meravigliosa nelle risorsedella vita stessa e nell'armonia generaledell'universo.

Questo rispetto dell'altrui personali-tà discende da una coscienza profondadel valore umano, che si manifesta intutta la musica mozartiana, e proprionella sua configurazione stilistica. Non

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crede ai superuomini chi crede nel valo-re supremo dell'uomo. Le differenze in-terne che fanno le cosiddette razze eletteo gli individui «importanti» - gli eroi, isanti, i geni, i capi - sono nulla in con-fronto al vero privilegio, al vero merito,al vero vanto, che è quello di essereuomo.

Per questa convinzione profonda lamusica di Mozart è l'immagine stessadella naturalezza. Non credendo nellasuperiorità di un tipo umano sopra un al-tro, la musica di Mozart si dà sempresemplicemente per quello che è, senzaprendere atteggiamenti preconcetti. Esat-tamente al contrario di quanto avvienenel costume di questo nostro mondo,dove la difficoltà del vivere quotidiano

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ci arma gli uni contro gli altri. Tutti ciguardiamo in cagnesco, sospettando ilpeggio, e ringhiando come cani difendia-mo quel povero osso che ci permette ditirare avanti (povero osso che alle volteè uno straccio d'impiego, altre volte ilcontrollo d'un colossale cartello indu-striale). Usando una metafora mozartia-na, si potrebbe dire che siamo tutti comequei misteriosi personaggi del Flautomagico che vengono designati come«die Geharnischten», gli armati. Tutto èdiventato così difficile nella vita delgiorno d'oggi, che tutti ci mettiamo ad-dosso un'armatura: la cosiddetta «grin-ta». Nessuno si fida a darsi ingenuamen-te, fanciullescamente per quel che è.Troppa gente è li all'erta per fregarti. È

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Mozart ch'era fatto così, ne fece l'amaraesperienza. Ma qui si parla della suamusica, non di lui.

Le donne, prima d'uscir di casa, sifanno il trucco. Tutti ci facciamo un truc-co psicologico prima di scendere inmezzo al nostro caro prossimo: cioè cicomponiamo una maschera, che di solitoè accuratamente fabbricata con la simu-lazione di quelle virtù che sappiamo be-nissimo di non possedere e che sonol'esatto opposto dei nostri più sperimen-tati difetti. Il timido si fa una faccia fero-ce, il prepotente cerca di mostrarsi mel-lifluo come un angioletto. Il porco pren-de un'aria austera da pastore anglicano eabbassa gli occhi al passaggio di unamaggiorata fisica; il cavaliere d'indu-

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stria che manovra miliardi ripone accu-ratamente nell'astuccio (d'oro massic-cio) la sigaretta fumata a mezzo.

Bene, la gloria della musica di Mo-zart è che è proprio tutto il contrario diquello a cui noi ci stiamo riducendo, aforza di voler fare i furbi. La musica diMozart non si mette mai nessuna ma-schera, non fa mai nulla per apparire di-versa da quel che è. Basta pensare aquel che sarà la musica dopo di lui, perrendersene conto: pensare a Beethoven,a Schumann, a Wagner, a Liszt, allo stes-so Chopin. È tutta musica che vuole ap-parire in un certo modo, sotto una certaluce; è musica che si compone una certaimmagine ideale a cui vuole rassomi-gliare e che vuole proporre ad esempio.

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È tutta musica di gente sinceramenteconvinta che un certo tipo d'uomo valepiù di un altro tipo. Di qui il germedell'autoaffermazione e dell'inevitabilesopraffazione.

Invece la musica di Mozart respirain ogni sua parte la convinzione dellasostanziale uguaglianza - uguaglianza divalore - di tutti i tipi umani, e perciò nonvi propone, e tanto meno v'impone alcuntipo. Alla base di questo atteggiamentoc'è la profonda convinzione della supe-riorità dell'uomo su ogni altro aspettodel creato. Inutile darsi delle arie, quan-do si ha già il privilegio della naturaumana. In qualunque maniera uno cerchidi contraffarla e di truccarla, questa na-

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tura umana, non riuscirà ad accrescernedi un'unghia l'intrinseco pregio.

E così che il teatro di Mozart - e nonle Messe - finisce per essere la sua veramusica religiosa. D'una religione che èla religione dell'uomo. E così sono postele premesse per il perdono universaleche chiude le Nozze di Figaro, e soprat-tutto le premesse per quell'operazionestupefacente, che ancora oggi ci intriga,che è la trasformazione d'un fior di ma-scalzone come Don Giovanni in un eroeluminoso.

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La fortuna e il significato di Mozart

(1956)Di pochi altri artisti la grandezza in-

contestabile riposa su ragioni altrettantosegrete. A duecento anni dalla nascita,ancora si è perplessi sul significato daattribuire a quel prezioso lascito di va-lori spirituali che va sotto il nome diMozart.

Varie immagini di Mozart si sonosuccedute nel tempo. Ai contemporaneiegli apparve come un inquietante roman-tico. Se ne ammirò l'efficacia fino allorainaudita, nel dipingere e muovere gli af-fetti; molte sue audacie lasciarono dub-biosi, quando non indignarono i pedanti.

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Fu giudicato un irrequieto novatore, enon sfuggi all'accusa di aver sacrificatola voce, nell'opera, all'orchestra. Ma ilromanticismo vero era alle porte; giàfremeva ribelle nei drammi giovanili diSchiller e, per la musica, nell'opera diBeethoven, appassionata e tempestosa.Man mano che questa si venne afferman-do, fu tolta a Mozart ogni taccia di ro-manticismo novatore, ed egli divennesimbolo di reazione, segno di raccoltaagli aderenti dell'ancien régime musica-le, urtati dall'inaudita asprezza del verbobeethoveniano, ai melomani appassiona-ti e nostalgici d'un'età in cui l'arte eraessenzialmente classica euritmia e ordi-nata decenza.

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Nacque il mito del Mozart «apolli-neo», tutto grazia ed equilibrio, il quale«non compie nell'opera d'arte il proces-so di fermentazione della passione, ma,dopo avere totalmente sottomesso ogniimpurità e offuscamento, evoca la puraperfetta bellezza». Così Otto Jahn, otto-centesco biografo ed esegeta mozartia-no, seguace del Winckelmann nel cultodell'archeologia e della critica d'arte.Confortava simile interpretazione qual-cuna fra le pochissime dichiarazioniprogrammatiche alle quali il musicista siera lasciato andare nelle sue lettere.

Poiché le passioni anche violentenon devono mai arrivare fino al di-sgusto, così pure la musica, anchenel momento più terribile, non deve

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mai offendere l'orecchio, ma sem-pre far godere e rimanere sempremusica (26 settembre 1781).

Una nuova generazione di mozartianiinsorse contro questa immagine dell'arti-sta, e soprattutto contro le degenerazioniche ne restringevano l'arte a un conven-zionale Settecento di maniera, tutto le-ziosaggine di minuetti e parrucche inci-priate, e ne facevano un'oasi di tranquil-la pace piccolo-borghese, un edificanteesempio di conformismo artistico e mo-rale. No - si disse -sotto queste apparen-ze di cristallina chiarezza si celano lepiù misteriose profondità dell'anima: esi parti alla ricerca del «romanticismo»di Mozart o, come amano dire in Germa-nia, del «demoniaco». E se qualcuno

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s'accontentò d'indagare, sotto l'apparen-za classicamente equilibrata, il crismadi universale umanità che accomuna tuttele opere d'arte e che pure in quelle diMozart è profondamente impresso (piùprofondamente di quanto si potrebbesupporre ad una superficiale considera-zione delle sue esteriorità galanti), ci fupure chi volle andar oltre, e scoprire inMozart non soltanto questo caro pegnodi fraternità umana, ma addirittura unmisterioso e quasi sovrumano messag-gio, tanto sublime ed esoterico da diven-tare incomprensibile o per lo meno inef-fabile. Tale indirizzo poteva a buon di-ritto richiamarsi al romantico Hoffmann,il quale scorgeva in Mozart come unpresagio d'infinito e nella sua musica

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una celeste nostalgia d'immagini che nonsono di questo mondo. Vale in questosenso il confronto col contemporaneoHaydn, così popolaresco ed estroverso,portato a realizzare se stesso attraversol'osservazione insaziabile del mondoesterno. Mozart, invece, il mondo lo at-traversò «pien di disdegno», come l'an-gelo dantesco che sulle soglie di Dite«passava Stige con le piante asciutte»,rimovendo dal viso con un gesto dellamano l'acre grasso e angoscioso del luo-go.

La campagna per i valori espressividi Mozart - vuoi semplicemente umani,vuoi ermeticamente sublimi -non fu rac-colta da quei musicisti contemporaneiche, nell'insofferente reazione al lascito

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del romanticismo wagneriano, esaltaro-no in Mozart l'araldo della «musicapura», cioè inespressiva, spogliatad'ogni scoria autobiografica e umana, edammirarono nella chiarezza della suascrittura soltanto il gioco cristallino deirapporti sonori, la geometria melodica,la combinazione astratta ed essenziale divolumi, di masse e di ritmi costruttivi.

Ora, fra tante interpretazioni mozar-tiane, nessuna ci sembra così persuasivada accoglierla senza riserve e integra-zioni, e tutte, d'altra parte, ci sembranocontenere qualche aspetto di verità. Inquesta polivalenza ribelle alle definizio-ni precise sta il segreto, insondabile,dell'arte mozartiana. Conserva una certavalidità il mito «apollineo», soprattutto

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allo scopo di fugare il sempre rinascenteerrore - tipico dell'immaturità giovanile- che consiste nel cercare in Mozart ilprecursore di Beethoven, e rimproverar-gli allora di non essere stato pienamentequel che l'altro fu.

D'altra parte, più avanziamonell'esperienza della vita, da una parte, enella conoscenza della sua arte, dall'al-tra, più ci avvediamo che anche le piùspinte, le più arrischiate interpretazioni«demoniache» si possono sostenere.Solo ai semplici quell'arte può parersemplice; solo agli sprovveduti sprov-veduta; solo agli ingenui ingenua. Se vi èdifetto di umanità, è nell'animo di chiascolta, non nella musica di Mozart, laquale davvero esplora le più profonde,

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fors'anche le più inconfessabili pieghedella natura umana.

Un impasto di delicatezza femminea,di adolescente languore, di candore an-gelico e celestiale, che pur consente tan-to riso di grazia maliziosa e che, colpassar degli anni, viene sempre più insi-stentemente solcato dai presagid'un'oscura fatalità di dolore: tale l'im-magine che l'arte di Mozart evoca pernoi. Ma tanto la gioia quanto il dolore,le lacrime come il riso, il terrore e lavoluttà, sono sempre repentini e appa-rentemente irragionevoli, non giustificatida accidenti aneddotici della biografiaindividuale. Rivelazioni lancinanti dellatragedia e del dolore umano Mozart neha fin dai primi anni, durante la sua coc-

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colata adolescenza di fanciullo prodigio.E d'altra parte, alcuni dei più miracolosicanti di gioia fioriranno nelle epochepiù nere della sua esistenza, durante lostrazio della miseria, dell'avvilimento,della malattia. Così la Piccola musicanotturna, il serafico Divertimento K.563 per trio d'archi, il Quintetto in mibemolle K. 614.

Questo il «distacco» che si ricono-sce comunemente in Mozart, ora peresaltarlo, ora per dolersene: quel librar-si della sua musica in una magica supe-riorità rispetto alla sfera terrestre dellevicende umane. Un assenza quasi com-pleta di confessione e di volontà auto-biografica, per cui questa musica se neva sola nel mondo, affidata unicamente

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al suono, e respinge ogni sussidio dichiose letterarie o psicologiche. Comese a Mozart la sapienza della naturaumana e della vita, in tutti i suoi recessi,anche i più oscuri, si comunicasse attra-verso una forma di conoscenza pura, ca-tegoriale, prescindendo dall'accidentali-tà dell'esperienza individuale; una cono-scenza che opera subito nel mondo delleidee e degli archetipi, senza passare at-traverso quello dei fenomeni. Di quil'eliminazione d'ogni scoria illustrativa,il totale disciogliersi dell'esperienzaumana in musica, senza residuo alcuno;di qui la spontanea naturalezza del can-to, per cui si potè dire che «la musicanasceva da lui come il soffio stesso del-la vita» (Curzon). Di lui si potrebbe ri-

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petere ciò che fu detto da Lamartine, ecioè ch'egli cantava «come l'uomo respi-ra, come l'uccello geme, come il ventosospira e come mormora l'acqua»37

La cosiddetta «purezza» di Mozart ètutta qui: in questo eccezionale modo diconoscere la vita - tutta la vita - per ca-tegorie pure. Ciò gli permette di trascor-rere attraverso tutta la gamma delle pos-sibilità umane, da Ariele a Calibano, edi toccare il fango senza sporcarsi. Ciòche nel Don Giovanni scandalizzavaBeethoven era appunto il soggetto, nonla musica; e d'altra parte in quella musi-ca è consegnata per sempre l'essenzastessa del libertinaggio, nella sua piùvasta accezione.

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Ecco, è l'essenza delle cose quellache vien toccata dall'arte di Mozart, l'es-senza delle passioni umane, depuratadalle accidentalità contraddittorie dellaconoscenza empirica. Questa categorici-tà di conoscenza dell'uomo e della vitaviene talvolta scambiata per inespressi-vità e carenza di valori umani, e cometale esaltata o biasimata, a seconda delletendenze e dei gusti di chi incorre in si-mile abbaglio.

Si è tentati di saggiare sull'arte mo-zartiana la distinzione proposta un gior-no da Leo Ferrerò, dei «poeti della vita»come Beethoven, o del «dopo vita»come Bach (e in verità par questa la piùdubbia delle esemplificazioni), e dei«poeti di prima della vita» come Cho-

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pin, la cui musica pareva a Ferrerò quel-la d'un uomo che deve ancora vivere. Aquesti ultimi parrebbe che si possaascrivere, in certo senso, anche Mozart,ravvisando nella sua perpetua adole-scenza, nella esitazione sulle soglie del-la vita (e anche questo è un tratto di ca-ratterizzata e personale umanità) uno deimotivi psicologici che hanno potuto in-durre all'equivoco di ritenere astratta einespressiva la sua arte. Ma tosto ci siavvede che questa formula va corretta,se mai, per Mozart in un particolare im-portantissimo: anche se si voglia scorge-re nella persistenza d'una disposizioneinfantile uno degli aspetti dell'arte mo-zartiana, occorre subito precisare cheMozart è un fanciullo realmente terribile

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il quale «sa» tutto quello che sanno igrandi. Un fanciullo che sa gli schiantidella disperazione e la fermezza dellarassegnazione virile, un fanciullo mo-struoso che conosce il tarlo del dubbio eil brivido della voluttà.

Un'ingenua inclinazione al piacere,sempre più frequentemente frustratadall'accasciamento di misterioso dolore,costituisce la trama essenziale di questomondo poetico dell'adolescenza. Più co-piosi e appariscenti i momenti di lietagaiezza che l'inesausta gioia di vivereproduce; più reconditi, ma anche piùpersonali, soltanto suoi, i baleni doloro-si che ne solcano la sorridente serenità.Si comprende come sia portato ad esal-tarne l'importanza chi, non contento alle

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apparenze superficiali, perviene a spin-gere lo sguardo in fondo alle pieghe piùriposte dell'anima mozartiana. «Più s'in-daga la natura... di quest'arte..., - scrive-va Arturo Farinelli, - più decisa dovràfarsi la convinzione che la Musa di que-sto fanciullo eterno... era il dolore e nonla gioia». C'è in quest'affermazione queltanto d'ingiustizia prevaricatrice che nonsi scompagna quasi mai dall'entusiasmod'una scoperta. Ne accoglieremo quindil'istanza positiva, non quella che nega lamusa della giocondità all'autore del Rat-to dal serraglio, del Flauto magico edel finale della Sinfonia in do maggioreK. 338. Ma accetteremo volentieri che

ogni netta distinzione del buffo e delserio, del comico e del tragico nell'ope-

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ra mozartiana è chimerica. Tutto si fram-mischia nell'onda invadente degli affetti.Le luci vanno con le ombre congiunte.Lo scherzo nasce talora dall'affanno. El'espressione di letizia e di dolore è si-multanea... Tutto è unità di vita, frutto diun solo respiro.

Questa pienezza di vita e questacompresenza di tutta la gamma espressi-va è la nota che trattiene Mozart aldi quadel romanticismo beethoveniano, il qua-le isola un singolo sentimento ed il suoopposto in una abbagliante luce artifi-ciale e ne scava infaticabilmente le pos-sibilità. Invece

Mozart introduce tosto pensieri di-vergenti; già il tema per se stesso propo-ne subito un mondo molteplicemente

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mosso. Farne risaltare la ricchezza diaspetti e di contrasti, tale è il compitoinesauribile che Mozart si applica asvolgere; le numerose forze che si muo-vono nella vita ed entrano in reciprocicontrasti, egli le presenta alla nostra vi-sta spirituale come su una scena vario-pinta, mentre Beethoven ne sceglie alcu-ne grandi e potenti e le segue in profon-dità fino ad esaurirle (Karl Nef).

O, come diceva Wagner, nella sinfo-nia di Mozart predomina la pienezza delsentimento; in quella di Beethoven la co-scienza coraggiosa della forza. Segnosimbolico di questa completezza è lasfera: e in Mozart tutto è curvo, senzaspigoli, senza salti bruschi, come in unpoeta il quale non coltivi che l'esametro

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o l'endecasillabo piano, ad esclusione dirime tronche o sdrucciole, del giamboscattante e del ben scandito pentametro.Per una nativa gentilezza, scrive il Buen-zod,

le asperità si arrotondano, i frizzi sicaricano di tenerezza, di passione amo-rosa, una sognante fluidità immerge in unfascino indicibile tutto il poema. Milleinflessioni cangianti accarezzano il purocontorno della melodia, l'obbligano acedere, a umiliarsi, a riprendere il cantocon più toccante semplicità.

Tale è appunto la funzione del cro-matismo mozartiano: smussare, levigare,insinuare il fascino della melodia per in-sensibili vie segrete, anziché imporlocon abbagliante violenza. Mai una frase

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di Mozart conclude ex abrupto sulla to-nica, senza che un semitono venga ad of-frire come un gradino intermedio: è unaquestione di cortesia. Mozart è come chiparlando temperi sempre ogni afferma-zione con qualche formula di modestia:«per quel che mi pare», «se non vadoerrato», «salvo il vero». Il che nonesclude la forza della convinzione, anzi,è quasi una maniera di scusarsi del pri-vilegio di aver ragione.

Conseguenza di questo ideale, «con-sistente meno nell'accentuazione e nel ri-lievo d'un carattere unico, che nella con-ciliazione di tutti i caratteri e nel loroarmonioso accordo» (Bellaigue), è l'as-senza d'ogni gesto scomposto, d'ognifrattura, d'ogni violenza. In una parola,

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una naturalezza che pare tutta immedia-tezza d'istinto e di vita, ed è invece con-quista e segno squisito di civiltà.

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Il respiro di Mozart

(1956)È noto che Milhaud ha scoperto una

«serie» di dodici suoni nel Don Giovan-ni38e precisamente in quella parte delCommendatore, di cui già Dallapiccolaaveva rilevato gli «intervalli inusitati»39

che col procedere della scena si fanno«sempre più difficili e sempre più ecce-zionali», dando luogo a quel passo addi-tato dal nostro compositore come «im-primo esempio di scrittura teatraleespressionista». È stato lo stesso Dalla-piccola a ricordare, in quel suo saggio,il sorprendente accordo dissonante sen-za preparazione, della Sinfonia in sol

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minore (K. 550), già segnalato daSchönberg nel Trattato di armonia. Delresto le false relazioni dell'angoscioso«adagio» iniziale avevano ben meritatoal Quartetto in do maggiore (K. 465)l'epiteto di «Quartetto delle dissonan-ze», e a Mozart una fama di «Dissonan-zenjäger» - cacciatore di dissonanze -,come si esprime Schönberg nel luogo ci-tato40

Non si esclude quindi che l'analisiarmonica condotta attraverso l'immensaproduzione mozartiana potrebbe recarealtri risultati sorprendenti, nonostantel'apparenza levigata, di raffaellesca per-fezione, che nell'insieme essa riveste.Una levigatezza e un senso di «finito»che si possono almeno in parte far risa-

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lire all'esemplare istruzione musicale ri-cevuta dal fanciullo, alla razionale colti-vazione del suo genio perseguita daquell'eccellente teorico e didatta che eraLeopoldo. Al confronto, l'armonia diHaydn, che forse è sostanzialmente piùtimida, sembra più ruvidamente acerba,come se conservasse qualcosadell'asprezza d'una faticata conquistad'autodidatta. In Mozart l'armonia è im-peccabile - quand'egli non voglia eva-derne a ragion veduta - come quella chegli perviene già assimilata attraverso ilfiltro della scuola e la sistemazione trat-tatistica; in Haydn v'è un gusto avventu-roso e imprevedibile, che insapora an-che le cose più semplici, come in chiabbia dovuto scoprirsele da sé, attraver-

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so l'esperienza musicale, anziché ap-prenderle dai libri di testo. Forse questadifferenza di formazione e questo diver-so possesso dell'armonia tradizionalesono alla base della costituzionale di-stinzione indicata dall'Einstein: «Haydnè il musicista delle sorprese. Mozart nonlo è affatto»41

L'esame dell'armonia di Mozart e ilcensimento delle sue volontarie anorma-lità possono perciò fornire indicazioniisolate su particolari intenti espressivi esui suoi titoli a quella «grandezza di ge-nere un po' speciale» che sta «al di làdella grandezza assoluta e specifica de-gli artisti»: la grandezza, cioè

di coloro che, dotati di pupille parti-colarmente acute, non soltanto realizza-

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rono opere artisticamente perfette, maseppero intravvedere il futuro e verso ilfuturo lanciarono dei ponti...42

Lo studio dell'armonia di Mozartc'informa su Mozart precursore. Ma chivoglia accostarsi alla norma della suafantasia creatrice, spiarne il funziona-mento quotidiano e comprenderne ilmeccanismo (se di meccanismo è lecitoparlare per attività di tanto spontaneanaturalezza), dovrà portare la propria at-tenzione sopra un altro aspetto della suascrittura musicale, un aspetto che, grossomodo e in attesa di ulteriore delucida-zione, si può indicare come il rapporto,la dosatura tra armonia e contrappunto.

Al contrappunto di Mozart è dedica-to un capitolo della monografia mozar-

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tiana di Alfred Einstein, e naturalmentel'illustre studioso pone l'accento sull'im-portanza che ebbe per Mozart maturo larivelazione di quell'arte di Händel e so-prattutto di Bach, che certamente non gliera rimasta ignota nella fanciullezza, maprobabilmente incompresa.

Si trattò di vere difficoltà e di unacrisi nella sua attività creativa. Mozartera musicista troppo grande e sensibileper non sentire profondamente e doloro-samente il conflitto causato dallo scon-tro del suo modo di pensare in termini dimusica «galante» e «dotta» con uno stilepolifonico vivo43

Fu cioè la scoperta delle possibilitàdi un impiego prolungato e costante delcontrappunto, non già come un particola-

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re «stile severo» prescritto in determi-nate occasioni bensì come un naturalemodo di espressione musicale, adatto atutte le circostanze e spoglio d'ogni sen-tore di scolasticismo.

Se questo fu il seme della rivelazio-ne bachiana gettato durante le riunionimusicali del 1782 in casa di quel curio-so personaggio viennese ch'era il baroneVan Swieten, bisogna dire che esso nonpoteva cadere in terreno più atto ad ac-coglierlo. Ché Mozart non aveva aspet-tato quella rivelazione per lasciarel'uscio socchiuso alle ragioni del con-trappunto, e non soltanto nella praticadello stilus mixtus che era consueta nel-la musica sacra settecentesca. Consiste-va, lo stilus mixtus, nell'abitudine di ri-

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partire le sezioni della Messa (e delleLitanie, del Magnificat, ecc.) fra il con-temporaneo stile «galante», sostanzial-mente operistico, e un arcaico stile dottodi rigida polifonia (al quale appartene-vano obbligatoriamente, nella Messa,l'Et vitam venturi e il Cum sancto spiri-tu; nel Te Deum l'In te, Domine, spera-vi, ecc.). Lo stilus mixtus manifesta per-tanto la scissione tra due tipi di scritturamusicale, ritenuti talmente inconciliabiliche si è finito per addivenire a una spe-cie di spartizione territoriale di compe-tenze. Ma il risultato dell'arte mozartia-na fu invece piuttosto quello opposto, diuna fusione tra i due stili. Un esame at-tento della sua produzione dovrebbepermettere di documentare che quella

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«meravigliosa fusione di stile "dotto" e"galante" raggiunta da Mozart negli ulti-mi anni della sua vita»44sarà stata, sì,confermata e perfezionata dalla medita-zione consapevole sulla lezione di Bach,ma certamente era pure stata un indirizzocostante della sua arte, almeno fin dallaprima maturità dei sedici anni, una ten-denza forse potenziale e latente nell'au-tomatismo della scrittura musicale, pri-ma di diventare un proposito consapevo-le.

Quando Mozart apriva gli occhi almondo, lo stile galante celebrava il suoeffimero trionfo. Bach era morto da seianni, amareggiato per il crescente di-stacco che avvertiva tra i propri idealiartistici e il gusto del suo tempo. E

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quando la prodigiosa infanzia di Mozartsi schiuse alla musica, si diceva «Bach»e s'intendevano i suoi figli, il sensibilePhilipp Emanuel, oppure il brillante Jo-hann Christian. Lo stesso barone VanSwieten che un giorno avrebbe dovutoiniziare Mozart alla grandezza di JohannSebastian, era un neofita e non ne avevamai sentito parlare fino al 1774, quandoaveva ascoltato Philipp Emanuel a Ber-lino, e il re di Prussia gli aveva decanta-to la grandezza del padre45

Trionfava dunque la disinvolturadello stile galante, che voleva dire, so-stanzialmente, «una reazione al contrap-punto»46 Tale la conclusione che FaustoTorrefranca ha tratto da un esame delle

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fantasiose definizioni del Mattheson nelNeueröffnetes Orchestre:

Ogni composizione, per essere buo-na, deve avere tre Requisite, ossia lamelodia (della quale l'Invention è l'ini-zio), l'armonia e la galanteria.

Anche secondo Einstein, galanteriasignificava il nuovo indirizzo assuntodalla musica dopo che alcuni esteti emusicisti, servendosi della cosiddettaCamerata Fiorentina come portavoce,avevano dichiarato guerra al contrap-punto in favore della chiarezza verba-le47.

Galanteria era la monodia accompa-gnata, il basso continuo e la sostituzionedel senso armonico al principio del con-trappunto nella condotta delle voci. In

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particolare galanteria era il trionfo sette-centesco del melodramma, l'alluvionedella musica operistica che spazzavaogni resistenza e, incurante di quelle fit-tizie barriere che teorici e storici s'illu-dono di rizzare con i cosiddetti generimusicali, penetrava dappertutto, conta-minava la stessa musica sacra e straripa-va dal canto, sua sede naturale, nei re-cinti della musica strumentale dove, pa-radossalmente, il contrappunto s'era ri-fugiato quando il trionfo del «recitarcantando» e della monodia accompagna-ta l'aveva sfrattato dal campo vocale.

La galanteria recava con sé, com'ènaturale esigenza del teatro, un'ansia dipiù sollecita e pungente espressione, unavena patetica e sentimentale conveniente

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alle grandi vicende tragiche, un'aura divoluttuoso edonismo che i contempora-nei non riscontravano nel vecchio Bach.Per soddisfare questa più determinata eintenzionale volontà d'espressione, oltreche per naturale inclinazione all'emer-genza solistica della voce, il melodram-ma settecentesco fucinava la propria mu-sica nel crogiuolo dell'armonia, abban-donando le incomode combinazioni po-lifoniche, dove pareva inevitabile che ladotta esibizione dell'artificio prevalessesulla spontaneità della Natura. E nel me-lodramma così spadroneggiato dallavoce, era fatale che l'armonia si configu-rasse nell'aspetto più striminzito e piùpigro del «canto con accompagnamen-to», rifluendo di lì sulla musica strumen-

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tale, particolarmente clavicembalistica,in forma di bassi albertini e di tuttequelle altre stereotipate formule d'ac-compagnamento, fondate sull'arpeggio esulle funzioni basilari dell'armonia, dicui di lì a un secolo i tedeschi avrebberotanto severamente rinfacciato agli italia-ni la pratica: «hum-ta-ta Musik», ac-compagnamenti a chitarra, ecc.

Ma non si renderebbe conto dellareale situazione musicale nel Settecentochi si figurasse assoluto, definitivo, epuro da ogni rimorso questo trionfo del-lo stile galante. Al contrario, si può direche in quell'epoca non v'è testo d'argo-mento musicale il quale non fornisca te-stimonianze e documenti d'una specie diarrière-pensée, d'una riserva mentale

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sottostante all'effettiva egemonia delsenso armonico. Nei musicisti del Sette-cento si avverte una specie di cattiva co-scienza nei riguardi della polifonia. Laseppellivano, ma con un funerale di pri-ma classe, e senza lesinare allabuon'anima gli elogi funebri. Chi volevalodare un musicista, nel secolo dellaServa padrona e della Nina pazza peramore, lo chiamava «sommo contrap-puntista», «peritissimo nell'arte canoni-ca», ecc. Neanche l'ombra degli irri-guardosi attacchi mossi un secolo innan-zi dai tifosi del «recitar cantando» allasuperba polifonia cinquecentesca! NelSettecento la polifonia, abbandonata difatto, regna su tutte le menti. Come il ri-cordo d'un paradiso perduto, essa sovra-

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stava alle tralignate mode musicali deltempo. Tradita da tutti - salvo che dascolastici compositori di chiesa, incapa-ci di spirarle vita -veniva celebrata aparole come la regina dell'arte musicale,e posta ben più in alto dei virtuosismicanori per cui delirava il pubblico sette-centesco. Solo così si spiega, per esem-pio, il prestigio che godette nel suo se-colo una figura inattuale come quella dipadre Martini. Nel Romanzo dell'OperaFranz Werfel attribuisce a Giuseppe Ver-di l'abitudine di buttar giù delle fughe instile rigoroso, sopra certi suoi taccuinipentagrammati, per un quotidiano eserci-zio tecnico mirante a mantenere sciolta ealacre la fantasia nel padroneggiamentodi complicazioni che non avrebbe mai

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usato a scopo artistico48. Si può consi-derare questa immagine di romanzocome l'estrema propaggine ottocentescad'una situazione di rispetto platonicoverso il contrappunto, che caratterizzatutto il Settecento.

Ma la presenza di quell'ideale augu-sto non restava dappertutto inoperante, eal di là dei successi effimeri della modagalante la persistenza larvata di embrio-nali valori polifonici irrobustisce certisettori della musica settecentesca, parti-colarmente strumentale, maturando i ger-mi del nuovo stile dialogante o «di con-versazione». A questo fenomeno intrin-seco della scrittura musicale s'accompa-gna, parallelo, un fenomeno strumentale.L'estetica del concerto grosso consisteva

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nella suddivisione dell'orchestra in duemasse di diverso potenziale, tra le qualipassava, per effetto del loro stesso disli-vello fonico, la corrente dell'invenzionemusicale. Era il tipo più rudimentale diorganizzazione dell'orchestra, a cui sisostituisce nel corso del Settecento laconcezione dell'orchestra come un orga-nismo articolato per famiglie, tutte con-correnti su uno stesso piano alla tessitu-ra del discorso: la scomparsa di quellatintinnante appendice ch'era il bassocontinuo al cembalo sanziona il trapassodalla dualistica struttura del concertogrosso ai delicati congegni di distribu-zione dialogica degli strumenti nelle for-me «conversanti» della sinfonia e delquartetto. Quale ripercussione poteva

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avere questa trasformazione strumentalesopra la natura stessa del discorso musi-cale ? È chiaro: essa imponeva di « nu-trire di contrappunto » il linguaggio me-lodico, secondo la felice espressioned'un biografo di Mozart, il Witold, ilquale ricorda a questo proposito l'opi-nione del Saint-Foix, che principalmenteall'influenza italiana di Padre Martini sidovesse la maturazione di quella «al-liance du contrepoint et du chant expres-sif », che condusse Mozart al supera-mento dello stile galante49. Anche Fede-le D'Amico si accostava di recente aquesta intuizione storica, accennandoalla presenza di «mille inflessioni di ca-rattere contrappuntistico» nascoste sotto

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la melodia accompagnata che largamenteprevale nella scrittura mozartiana50.

Ora quando si parla di tali sopravvi-venze, o meglio reviviscenze di spunticontrappuntistici mozartiani, non s'ha dapensare al contrappunto severo, in stilefugato, quale Mozart cercherà poi dipraticare, un po' artificiosamente, nellesue dotte esercitazioni viennesi del 1782(Fantasia e fuga per pianoforte in domaggiore K. 394, Suite per pianoforte indo maggiore K. 399, Fuga per pianofortein sol minore K. 401, Quattro Preludiper trio d'archi a fughe di J. S. Bach K.404, e la Fuga per 2 pianoforti in do mi-nore K. 426). Il principio della rigorosaimitazione a canone è praticamente ban-dito dalla vaga inclinazione contrappun-

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tistica di cui qui si discorre; e per essereesatti occorrerebbe parlare di una scrit-tura a più voci (generalmente a 3) che sialterna con passi di natura galante, cioèdi monodia accompagnata.

Prendiamo ad esempio l'allegro del-la Sonata per pianoforte in fa maggioreK. 332, scritto a Parigi nel 1778: Mozartha cessato da un pezzo di essere un bam-bino prodigio, e d'altra parte non è anco-ra un maestro affermato; non ha ancoraconosciuto a Vienna il barone Van Swie-ten e non ne ha ancora ricevuto la rivela-zione dello stile fugato di Bach e diHändel. Pure, già adesso, la scrittura diMozart non è esclusivamente «galante».È tale l'innocente inizio della Sonata,quattro battute di monodia accompagna-

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ta, senza preamboli, dove la parte dellamano sinistra non è praticamente che unbasso cifrato scritto per intero e distesoin forma arpeggiata. Ma ecco che il can-to, rimasto solo per due battute, dà luogoa un episodio, semplice finché si vuole,ma d'inequivocabile scrittura a 3 voci.Infine, terza metamorfosi: questa scrittu-ra a 3 voci, prima contrappuntisticamen-te aerata, si rapprende in omofonia, conun episodio di sapore quasi teatrale. Es.1:

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L'intelaiatura d'una Sonata vienecosì impostata sopra quelli che si po-trebbero descrivere come tre registri di-versi di scrittura musicale: monodia ac-compagnata, scrittura a 3 voci, stileomofonico accordale. Tali registri conti-nuano ad alternarsi nel corso del secon-do tema, che svaria tra liberi snodi me-lodici di monodia accompagnata e rac-colte soste di scrittura a 3 voci, fino adun sorprendente episodio, di concezionepianistica affatto inusitata ed esorbitantedai luoghi comuni dell'epoca. Es. 2 (Al-legro):

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È vero che l'intensità drammatica ri-siede soprattutto nel gioco irregolare de-gli accenti ritmici e dinamici, ma una si-mile scrittura pianistica non sarebbenemmeno pensabile senza una sostanzia-le duplicità di parti reali: gli accenti ca-lati a contrattempo sopra quello che po-trebbe sembrare solo un «accompagna-mento» gli conferiscono un valore di se-conda voce cantante.

L'innocente liricità dell'adagio simanifesta quasi esclusivamente, com'ènaturale, in stile di monodia accompa-gnata, pur con qualche ingegnoso artifi-cio per comunicare talvolta anche all'ac-compagnamento un valore cantabile. Es.3 (Andante):

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Nel finale (allegro assai) si ristabi-lisce un'alternanza continua di canto ac-compagnato con un altro tipo di scrittu-ra, che però non è tanto di natura con-trappuntistica, quanto piuttosto di bril-lante efficacia strumentale.

Lungi dall'essere un caso isolatoprescelto ad arte, il procedimentodell'alternanza e saldatura di stili diver-si - principalmente quello «galante» del-la monodia accompagnata e quello dellascrittura a più voci - trova continue con-

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ferme nelle composizioni vicine a questaSonata. La Sonata in si bemolle maggio-re K. 333, scritta nel 1779, di cui l'Ein-stein ha segnalato l'analogia iniziale conuna composizione di Johann ChristianBach, pubblicata l'anno prima (op. XVII,n. 4), reca passi di scrittura a 3 vocinell'andante cantabile. Es. 4:

Il primo allegro sfrutta largamentequell'elementare stratagemma compositi-vo, cui si è già accennato, che consiste

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nel far diventare mobile elemento didialogo quella che è sostanzialmente unafigura d'accompagnamento, conferendoleun'embrionale funzione polifonica. Es.5:

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Altre applicazioni se ne trovano nelfinale allegretto grazioso, ma qui c'inte-ressa principalmente l'alternanza strettadi scrittura a 3 voci, ora omofonica e ac-cordale, ora contrappuntisticamente spa-ziata, con passi di monodia accompa-gnata, dal teatrale impeto espressivo. Sivedano i tre stili fluire armoniosamentel'uno nell'altro, rispettivamente nellebattute 1-5, 6-7, 8 sgg., dell'esempio chesegue. Es. 6:

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Come una molla, o un accumulatoreche si sia venuto caricando progressiva-mente, la feconda alternanza degli stiliconduce ad un episodio d'irresistibilegenialità, dove la tastiera pianistica af-ferma una sua scrittura assolutamenteoriginale, che non appartiene più né allostile vocalistico della monodia accom-pagnata, né all'astratta condotta di particontrappuntistiche, ma supera i dueestremi della antitesi in una concreta at-tuazione pianistica del moderno stile diconversazione. Es. 7:

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Altri esempi. U andante, quasi unpoco adagio della Sonata in do maggio-re K. 309, scritta a Mannheim nel 1777:quell'andante, cioè, che Mozart vollefare «proprio secondo il carattere» diMademoiselle Rosa Cannabich, «una ra-

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gazzina molto bellina e gentile», figlia diChristian Cannabich, eminente musicistadi Mannheim. «Per la sua età ha moltogiudizio ed è seria; non parla molto, equel che dice, lo dice con grazia e genti-lezza»51. Nel ritratto di questa personci-na quindicenne, a cui pare che Mozart sisia interessato parecchio durante il suosoggiorno nella musicale città di Mann-heim, un episodio di scrittura a 3 vocisuccede ad uno spunto melodico di puramonodia accompagnata, attraverso unatransizione atta ad acuire l'attenzione.Es. 8:

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L'episodio a 3 voci, replicato dopo15 battute con la trasformazione del bas-so in terzine di semicrome, tende la ra-gnatela delle sue lunghe note tenute, incui pare invischiato l'avvio cromaticodella melodia principale: esso si muovecon guardinga circospezione, quasi fre-nato dalla divergenza delle altre parti.Rispetto alla semplicità e al confidenteabbandono melodico con cui era iniziatoquesto episodio dell 'andante, par quasiche la musica acquisti, grazie al contrap-punto, una nuova dimensione, anche spi-rituale, in un'aura di misteriosa comples-sità.

Di solito, quanto più è estesa unacomposizione mozartiana, tanto più ric-co è l'impasto di questi diversi registri

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stilistici, che vanno dall'espressività ap-passionata e diretta della monodia ac-compagnata, di gusto teatrale, alla seve-rità della scrittura contrappuntistica apiù voci. Il vasto rondò della Sonata inre maggiore K. 311, composta pure aMannheim nel 1778, è caratterizzato dauna scrittura brillante, se non propriovirtuosistica, di veloci «passaggi» dellamano destra sopra un accompagnamentocomune, una delle solite realizzazioniscritte di un basso cifrato. V'è pure unsingolare episodio che, nella sua abbon-dante ornamentazione, costituisce unodei pochi passi mozartiani che ricordinola scrittura clavicembalistica della pri-ma metà del secolo: Scarlatti, o forsemeglio, Couperin e i francesi. Es. 9:

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Questo ampio rondò, che AlfredoCasella giudica «scintillante e magistra-le», si presenta un poco come un'antolo-gia di stili, il cui fondamentale carattere«clavicembalistico» è coordinato conelementi d'altra natura musicale. Traquesti non manca il consueto episodio a3 voci, perfino con un accenno di imita-zione a canone. Venendo subito dopo laconclusione d'uno dei vertiginosi «pas-saggi» clavicembalistici, esso stabilisceun arresto: ma è come se il rallentamen-to del moto fosse proporzionale alladensità della scrittura. In confronto allospiegamento brillante dei passi di bra-vura, tutto sfoggiato in superficie, anchequesta volta la scrittura a 3 voci sembraistituire la profondità d'una terza dimen-

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sione, gremita di cose non dette e di de-duzioni potenziali. Si noti la qualità pre-gnante di quel primo bicordo di sesta,che in realtà non è un accordo, ma l'av-vio di due discorsi distinti e paralleli.Es. 10:

Un'analoga virtù ellittica e non mi-nore capacità generatrice di sottintesi hail passo di scrittura omofonica, quasi amodo di corale, che fa da ponte tra dueepisodi di pungente scrittura clavicem-balistica, e più precisamente conduce al

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passo citato nell'esempio 9. Qui la di-vergenza contrappuntistica di 4 voci si ècome rappresa in una scrittura accorda-le, ma l'effetto è sempre quello di istitui-re una pausa di raccoglimento nella vi-vacità dispersiva dello stile brillante.Es. 11:

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La levigata scorrevolezza dellascrittura mozartiana si rivela dunque, aguardarla con la lente d'ingrandimento,un sorprendente trionfo dello stilus mix-tus: una sapientissima opera d'intarsiodi diverse tecniche musicali, facenti

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capo sostanzialmente ai due poli dellamonodia accompagnata, di carattere tea-trale, e della libera polifonia d'una scrit-tura contrappuntistica, per lo più a 3voci, senza impegno di imitazione a ca-none. Tra questi poli fondamentali, inte-grati da possibilità accessorie, quali ilvirtuosismo d'una brillante scrittura cla-vicembalistica e la compattezzadell'omofonia accordale, si stabilisceuna sorta di ricambio continuo, che è lavita stessa, il respiro della fantasia diMozart. Il suo modo specifico di manda-re avanti il discorso musicale consisteproprio in questo movimento di diastolee sistole che alternativamente lo contraein strati di scrittura monodica, armonica-mente concepiti, poi lo espande in affio-

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ramenti di contrappunto embrionale: uncontinuo avvicendamento di superficieunivoca e di profondità polifonica, l'unoe i molti, la singolarità e la pluralità chesi succedono all'infinito secondo unaspecie di ritmo cosmico.

Sarebbe allettante, ma imprudente epassibile di precise smentite, cercar distabilire una relazione ideale tra gli stra-ti della scrittura musicale di Mozart ecerti aspetti della sostanza espressiva dicui è materiata la sua arte: vedere, cioè,nei momenti di divaricazione in un fati-cato contrappuntismo qualche cosa diequivalente al senso mozartiano delladifficoltà del vivere, alla sua solitudinedi creatura fiduciosa e sprovveduta inmezzo alla giungla degli uomini feroci; e

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nella corriva concordia della monodiaaccompagnata ravvisare l'irresistibileinclinazione mozartiana al piacere inge-nuo, la sua corsa verso il paradiso per-duto d'una specie di settecentesco statodi natura, dove non esistevano né il pec-cato né la legge, l'invito alla felicità deivari 6/8 operistici su parole come « An-diamo, andiam, mìo bene - a consolarle pene — d'un innocente amor».

In realtà abbiamo già visto (cfr.esempi 8 e io) più d'un caso dove lo sti-le contrappuntistico svolge invece unafunzione espressiva di pace intensa e diraccolta beatitudine. Tuttavia la cosa sipotrebbe forse sostenere per i casi dicontrappunto più arcaicamente legato alprincipio dell'imitazione. Per esempio

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sembra difficile negare che nel finaledel Quartetto in sol maggiore K. 387, ilprimo dei sei dedicati a Haydn, scrittonell'inverno 1782, proprio durante la ri-velazione contrappuntistica legataall'esperienza Van Swieten, l'aspro rigo-re di una scrittura fugata particolarmentesevera sia lì principalmente per determi-nare il disgelo d'un episodio di innocen-te monodia accompagnata e acuirne almassimo il piacere. Ess. 12 e 13:

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È ovvio che col passar del tempo econ la crescente maturità dell'artista ilprocesso di ricambio organico della fan-tasia musicale di Mozart si fa semprepiù complesso e perfetto nel suo sponta-

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neo automatismo, specialmente dopol'iniziazione del 1782. Il contrappuntos'irrobustisce, e dopo quella fase mo-mentanea di rigidezza arcaica determi-nata dall'anacronistica emulazione deimodelli di Bach, che tanto inspiegabil-mente piacevano alla frivola Konstanze,si fa più sciolto e si amalgama più stret-tamente, più naturalmente con lo stilegalante del canto accompagnato, ossiacon le esigenze e le risorse dell'armoniasettecentesca. Scompaiono le giunture, itrapassi dall'uno all'altro stile, i raccor-di di mediazione, ch'erano così scoperti,per esempio, nel già citato rondò dellaSonata in re maggiore K. 311. Es. 14:

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Con la Sonata in fa maggiore K. sup-pl. 135, siamo al 1788, cioè alla pienamaturità del genio mozartiano, ben oltrela rivelazione contrappuntistica del VanSwieten. È l'epoca che segue al Don

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Giovanni, l'epoca delle tre ultime Sinfo-nie. La Sonata in questione è di assaidubbia e discussa architettura, essendocipervenuta in due soli tempi, di cui il se-condo è semplicemente la trascrizione infa maggiore del rondò della piccola So-nata in do maggiore K. 545, scritta nellostesso anno «à l'usage des commençan-ts». Nella sua edizione Casella completòla Sonata in fa maggiore aggiungendoviil «Tema variato» della contemporaneaSonata in fa maggiore per violino e pia-noforte, K. 547, che Mozart stesso avevatrascritto per piano solo. Quali che sianole obiezioni a cui presta il fianco l'archi-tettura complessiva della Sonata, l'alle-gro è una creazione salda e vigorosa. Idue temi su cui è fondato vengono spinti

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verso uno scatenamento quasi tracotantedi allegria da opera buffa, in particolareil secondo, che dà luogo a un episodioteatrale di incandescente parossismo di-namico. Es. 15:

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Questo, du coté dello stile galante.Ma si veda all'inizio dello sviluppo conquale naturalezza un'idea dapprima pre-sentata nello stile cantante della mono-dia accompagnata (cfr. esempio 16, a)riceva ben presto, alla sua seconda ap-parizione, un'integrazione contrappunti-stica di così stretta e puntigliosa tessitu-ra come non s'era ancor vista negliesempi di blanda scrittura a 3 voci delperiodo 1777-78. Es. 16:

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Sembra dunque che si possa davverosupporre una sorta di legge a cui obbe-disce il pensiero musicale di Mozart,ben inteso una legge che non è impostadall'esterno per un atto di volontà, mache scaturisce dalla sostanza stessa di

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quel pensiero, con l'organica spontaneitàdelle leggi naturali. Legge che additanell'alternanza di contrappunto e armo-nia, di scrittura a più voci e di monodiaaccompagnata, il respiro della fantasiacreatrice di Mozart. Estendere questoesame, che per ovvie ragioni di comodi-tà qui s'è tentato solo su alcune Sonateper pianoforte, a tutta l'immensa produ-zione mozartiana; studiare come il prin-cipio dell'alternativa armonia-contrap-punto reagisca con le esigenze della for-ma e con la qualità delle diverse combi-nazioni strumentali, dal quartetto all'or-chestra, dal concerto solistico al duo so-natistico e ai vari complessi da camera,dal canto sacro a quello teatrale, e comesi associ ad altri filoni e indirizzi della

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scrittura mozartiana nelle sue innumere-voli stagioni stilistiche; raffrontare inol-tre questa formazione del linguaggio mu-sicale di Mozart con quanto avveniva in-torno a lui, specialmente ad opera diHaydn e di Boccherini, dei clavicemba-listi italiani e dei sinfonisti di Mann-heim, e collocarla nel quadro generaledella creazione d'uno stile strumentaledialogante nella seconda metà del Sette-cento, a superamento della contrazionenello stile galante: tutto ciò potrebbeforse consentire meglio della pura esemplice analisi armonica la fondazioned'una critica mozartiana essenzialmentefilologica, che da una parte vada un po'più in là della pura e semplice indivi-duazione dei diversi indirizzi a volta a

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volta presenti nell'arte di Mozart, e d'al-tra parte riesca ad evadere dal circolochiuso dell'antinomia di apollineo e dio-nisiaco, cui abbiamo tutti largamente sa-crificato, e dalle ancor meno peregrinevariazioni sui temi del divino fanciullo edel sorriso tra le lagrime.

Riconoscere nella musica di Mozartil ritmo alterno di armonia e contrappun-to vuol dire, infine, collocarla nel puntocruciale d'una affascinante prospettivastorica: quella delle sorti del contrap-punto che, dato per morto al principiodel Seicento, beffeggiato e schernito da-gli umanisti fiorentini, s'era a malapenarifugiato nel trascurato territorio dell'in-cipiente musica strumentale, vi avevaancora prosperato fino a Bach, e poi era

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stato sfrattato anche di lì, col trionfodello stile galante e la vittoria del clavi-cembalo sull'organo. S'era così consoli-data la persuasione che con la sua sop-pressione ad opera della monodia ac-compagnata, un grande ciclo si fossechiuso per sempre nella storia della mu-sica ed una nuova era avesse avuto ini-zio: quella del basso continuo. Il mo-mento di Mozart (e di Haydn, natural-mente, e in genere del nascente sinfoni-smo) è quello in cui comincia ad appari-re che il contrappunto non è morto deltutto. Era morta una sua incarnazionegloriosa, quella della polifonia vocale(e poi strumentale), fondata sul principiodell'imitazione a canone. Ma il principiodel contrappunto s'era appiattato nei

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meandri carsici della Storia, e alla finedel Settecento, dopo la sfuriata galanteche aveva amareggiato gli ultimi annidella vita di Bach, eccolo risorgere dal-le sue ceneri, in forma nuova, e cioè di-sgiunto dall'esigenza della scrittura fuga-ta, e dar vita al nuovo stile dialogante diconversazione strumentale. Da alloranon s'è più affievolito, nonostante l'of-fensiva romantica, e oggi conosce unasorprendente riscossa.

Una storia piena di senso, questa delcontrappunto, come araba fenice che«post fata resurgit». Eliminando la piùillustre delle «fratture» che avrebberoavuto luogo in passato nello svolgimentodel linguaggio musicale, consiglia caute-la nei facili discorsi sensazionali su ci-

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cli che si chiudono ed età che si aprono.E potrebbe voler dire, per esempio, que-sto: che nella Storia non c'è mai nulla didefinitivo, e può darsi sia meglio inten-derla come continuità e come possibilitàinfinita di coesistenza dei linguaggi piùdiversi, che non come chiusura irrevoca-bile d'ipotetiche saracinesche.

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IV.

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Il teatro di Mozart

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(1956-1981)

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La geometria amorosa di Così fan tut-te

(1956)Non c'è dubbio che, nella galleria

dei cinque capolavori teatrali della ma-turità di Mozart, Così fan tutte c'entra unpoco di straforo. Pesa su di lei il giudi-zio ambiguamente sfavorevole pronun-ciato da Wagner in Opera e dramma :

Quanto profondamente son grato aMozart perché non gli fu possibile in-ventare per Tito una musica come quelladi Don Giovanni, per Così fan tutte unamusica come quella di Figaro !

Dove Così fan tutte viene retrocessoal livello della Clemenza di Tito, passo

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indietro compiuto da Mozart per motividi circostanza, quando si adattò a musi-care frettolosamente il vecchio librettometastasiano - rispondente al gusto tea-trale di cinquanta o sessant'anni addietro- tanto per poter essere presente in qual-che modo, con un'opera propria, alle fe-ste di Praga per l'incoronazione del nuo-vo imperatore e re di Boemia.

Ora, Così fan tutte non è certo un si-mile ritorno all'estetica teatrale del pri-mo Settecento: sorge anch'essa su quelpiano di gusto originale che la comme-dia mozartiana ha fondato a partire dalleNozze di Figaro. Ma è diffusa la convin-zione che su questo piano di gusto Cosìfan tutte stia come un'opera minore. Inparticolare la circostanza che il titolo

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deriva da una frase di Basilio nelle Noz-ze di Figaro, con relativa reminiscenzae citazione musicale, accredita l'opinio-ne - manifesta anche nel giudizio diWagner - che Così fan tutte voglia esse-re un tentativo di rinfrescare l'amenagrazia settecentesca delle Nozze, e che,come spesso accade in questi casi, lacopia sia un po' sbiadita rispetto all'ori-ginale.

D'altra parte, contro quest'impres-sione sta il fatto della crescente popola-rità di Così fan tutte : ai tempi nostri lesue rappresentazioni sono diventate for-se più numerose che quelle d'ogni altraopera di Mozart. Ci sono, ben inteso, ra-gioni pratiche di convenienza e di como-dità esecutiva, che del resto contribui-

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scono anch'esse a descrivere il caratteredell'opera: Così fan tutte si esegue consei cantanti, minima la parte corale, nes-suna complicata scena d'insieme come idue finali del Don Giovanni o la scenadel giardino nelle Nozze; modestissimeesigenze sceniche, anzi, proprio in ra-gione della sua paradossale schematicitàdi vicenda, Così fan tutte s'adatta benis-simo agli esperimenti fantasiosi ed eco-nomici della moderna scenografia astrat-ta. Uno specchio in cornice dorata pergli interni, una seggiola da giardino pergli esterni: pochi elementi allusivi ba-stano per suggerire un ambiente, che nonrichiede d'essere definito realisticamen-te in una vicenda così volutamente artifi-ciosa.

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Pure un'opera non si ripete tantospesso solo perché è facile da rappre-sentare. Bisogna che a queste reiterateinterrogazioni essa abbia saputo rispon-dere qualche cosa di suo, un suo mes-saggio particolare che smentisce la con-vinzione diffusa della sua superficialitàrispetto agli altri capolavori mozartiani.C'era stata, nell'Ottocento, un'intuizionegeniale di Ernst Theodor Amadeus Hoff-mann. Nei Serapions Brüder il musica-lissimo novelliere romantico aveva af-fermato che «l'espressione di un'ironiagiocosa» domina la musica, apparente-mente leggera e tenue, di Così fan tutte.Ma, a parte questo suggerimento non ap-profondito, è merito del nostro tempoaver compreso il significato di Così fan

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tutte quale sorridente preannuncio d'unacrisi di valori, crepuscolo tra verità emenzogna, tramonto della società roco-cò, scrollata proprio in quell'anno dallapresa della Bastiglia.

L'opera era stata infatti ordinata aMozart dall'imperatore Giuseppe IInell'autunno del 1789; pare che il suc-cesso d'una ripresa estiva delle Nozze diFigaro avesse indotto l'indaffarato mo-narca a risovvenirsi del suo nuovo Hof-Compositeur, dopo due anni di trascura-la e d'oblio. Si vuole che sia stato lostesso imperatore a suggerire al libretti-sta Lorenzo Da Ponte il soggetto: uncaso realmente avvenuto - si diceva - aTrieste, e che aveva formato oggetto dispasso e d'infiniti pettegolezzi nel mon-

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do brillante della capitale. Due giovaniufficiali, volendo assicurarsi della fe-deltà delle rispettive fidanzate, avevanofinto un'improvvisa partenza per ragionidi servizio, poi erano ritornati in segre-to, travestiti da ricchi cavalieri, e ognu-no era riuscito rapidamente a conquista-re la fidanzata dell'altro. Spostata perconvenienza l'azione a Napoli, e intro-dotta la figura d'un deus ex machina -l'uomo di mondo esperto, cinico e disa-busato, che punzecchia i due giovaniamici per le loro illusioni sulla fedeltàfemminile e li provoca alla maliziosascommessa -, aggiunta, ad aiutare l'attua-zione materiale dell'intrigo nei suoi det-tagli pratici, l'immancabile servetta in-diavolata, Da Ponte aveva preso alla

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lettera l'imperiale suggerimento, lascian-do la vicenda nella sua schematica sim-metria: due coppie che si scompongono,si ricompongono diversamente, quasicon l'ineluttabile determinazione di ele-menti chimici, e in mezzo Despina, ser-vetta disinvolta, e Don Alfonso, vecchiogalante, a tirare i fili della vicenda, ma-liziosi e disincantati registi.

Basterebbe questa schematicitàdell'azione, questo partito preso di sim-metria, a fare esperti della sostanzialedifferenza che corre tra l'atmosfera diCosì fan tutte e quella delle Nozze diFigaro. La vicenda complessa, frasta-gliata, piena di rigiri e gremita di perso-naggi delle Nozze ha dato luogo a unapartitura ricca, frondosa, florida: una

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musica piena di insenature, curvilinea,labirintica. Tutt'altra cosa la musica diCosì fan tutte: rettilinea, magra, quasigeometrica nell'ostentata simmetria dellecombinazioni vocali. Einstein la parago-na a una partita a scacchi. È ben signifi-cativo che in Così fan tutte manchi lagran scena notturna, che tanto nelle Noz-ze quanto nel Don Giovanni ha funzionerisolutiva: qui tutto è alla luce del sole,o quella artificiale della ribalta, ma co-munque una luce violenta e spietata, cheinvade tutti gli angoli e non lascia luogoad ombre, mette in evidenza spigoli eprofili, in un ambiente di artificiosa lim-pidezza. È ancora, sì, il mondo delleNozze di Figaro, con le sue grazie ele-ganti, coi suoi futili amori, ma è osser-

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vato da un altro punto di vista: quasi, ègiudicato. Nelle Nozze, esso si esplicain piena naturalezza, e non c'è dentronessun personaggio che tiri i fili dellemarionette e faccia il deus ex machina,come Don Alfonso, il quale appunto perquesto viene in certo senso a mettersifuori di quel mondo e pertanto a postu-larne un altro. Quale ? La secchezza niti-da della fisionomia musicale di Così fantutte, la sua scarna aridità ci ricordanocome esista pure un altro Settecento chenon sia quello, tutto tabacchiere e par-rucchini, della frivola galanteria: è il se-colo di Diderot e degli enciclopedisti,di Montesquieu e di Kant, il secolodell'illuminismo razionalista. Non acaso l'opera ha come padrino Giuseppe

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II, l'imperatore filosofo e riformatore.Messi su questa strada, c'è caso chenell'acuminata precisione del segno,onde si distingue fra le altre opere mo-zartiane questa asciutta e nervosa musicadi Così fan tutte, ci accada di vagheg-giare un'affinità, quasi un'allusione se-greta al profilo sarcastico e scarno diVoltaire, l'uomo che compendia l'altrafaccia, quella profonda e non convenzio-nale, del Settecento, e che Mozart giova-ne non nominava se non con espressionidi virtuosa deprecazione. Ma tante cosec'eran state di mezzo: la vita amara espietata, la caduta delle illusioni. E c'erastato il Don Giovanni, in cui a Mozartper poco non accadeva di fare dell'«

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ateista fulminato» un eroe nobile e sfor-tunato.

Per questo Così fan tutte sembra su-perficialmente un'appendice delle Nozzedi Figaro, ma è un'altra cosa e va intesain altro modo, prestando attenzione aquella striatura di amarezza che s'insinuainconsciamente nello zampillare di arie,duetti, concertati. Forse per questol'opera gode ai nostri tempi, poco incliniall'ottimismo, d'un favore quale non co-nobbe in passato. Né prestiamo fede alladiceria ottocentesca, che Mozart amassepoco questa sua operina su soggetto im-posto dal sovrano. Se ne fosse statopoco persuaso, avrebbe forse invitato ri-petutamente alle prove non solo il suo

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amico e fratello in massoneria Puchberg,ma anche - nientemeno - Haydn ?

L'indulgenza umanamente pietosa erastata il senso ultimo delle Nozze di Fi-garo, sintetizzata nel perdono della Con-tessa. Ora in quest'indulgenza Così fantutte introduce una sfumatura diversa,come una punta d'amarezza cinica. Indul-genza è ancora la morale dell'opera, maindulgenza rassegnata sulla debolezzadel cuore femminile. E in questa rasse-gnazione c'è un gusto amaro, che le Noz-ze non conoscevano. Una stanchezza di-sillusa. Forse un po' di sarcasmo. Giu-stamente è stato detto che v'è un tratto dicrudeltà infantile nella leggerezza concui Mozart si acconcia a far strazio d'unsentimento ch'era stato per lui il più no-

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bile e il più sacro: l'amore di donna.L'indulgenza delle Nozze riposava sullagenerosa convinzione della fondamenta-le bontà della natura umana. Ma il fanta-sma di Rousseau è lontano dal pessimi-smo di Così fan tutte. Non è musicaspensierata. Si vorrebbe dire, se la pa-rola non fosse un po' troppo forte, che lasua allegria è leggermente viziosa. Loscrittore cattolico francese Henri Ghéonha approfondito, in termini quasi sensa-zionali, questo senso nascosto dell'ope-ra:

Così fan tutte a deux visages. Mo-zart peut-être ne s'en doute point. Voiciquelques années, à l'Opéra Comique,j'avais été ensorcelé par la gràce del'arabesque, la volubilité du chant, la

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fantaisie savante et subtile des alliages,et avant tout par la tendre fraìcheur dusentiment... J'eus plus tard, à Salzbourg,la révélation de Così fan tutte et j'en fuslittéralement atterré52

Col suo partito preso di simmetria econ l'inverosimiglianza sfacciatadell'azione, Così fan tutte pare a

Ghéon «l'opera-buffa tipo, allo statopuro, allo stato aggressivo», nell'accet-tazione deliberata di tutte le più provo-canti convenzioni.

Un altro scrittore non esita a collo-care Così fan tutte in una linea di «ero-tizzazione ed estetizzazione dellavita»53che accompagna e affretta la finedell'ancien régime: dalle Liaisons dan-gereuses di Choderlos de Laclos (1782)

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al Vathek di William Beckford (1786),dall'Ardinghello di Heinse (1787) allaLucinde di Friedrich Schlegel (1799).Si badi alle date, che rinserrano Cosìfan tutte come all'interno di un quadrila-tero, e si badi al troppo dimenticato sot-totitolo del libretto di Da Ponte: Lascuola degli amanti.

Il genio drammatico di Mozart devequi destreggiarsi nel chassez-croisezamoroso di due coppie. Di qua Dorabel-la bionda, di là Fiordiligi bruna; una inrosa, l'altra in azzurro; un militare in sti-valoni neri, l'altro in stivaloni gialli. Etale è la musica, tutta giochi di calcolateequivalenze, di botte e risposte, di corri-spondenze e d'equilibri. Proprio in que-sto è opera del suo tempo, per questa

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implacabile coerenza nello sviluppareun principio fino alle estreme conse-guenze, con un'inflessibile risolutezzaintellettuale, che è ben degna del «seco-lo dei lumi»! Di qui l'imprevista serietàdi un'opera che sembra tutta gioco e sor-riso; di qui l'amarezza del cinismo spre-giudicato di Don Alfonso. È l'inquietanteconsequenziarietà dei bambini terribili,ai quali non è prudente affidarequell'arma lucida e tagliente che è il ra-gionamento, poiché sono capaci di trar-ne le conseguenze più imbarazzanti e pe-ricolose.

In sostanza, la ragione profondadell'amarezza che pervade il riso diCosì fan tutte, e l'origine di quel sospet-to di cinismo che l'insapora, sta nel fatto

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che quest'opera è una grandiosa comme-dia della menzogna. In essa viene svi-luppato sistematicamente, fino a farnel'alfa e l'omega del dramma, un motivoche nelle due opere precedenti era giàapparso di sfuggita: la capacità di simu-lazione della musica; la sua attitudine adesprimere certi sentimenti, e smentirlicontemporaneamente in qualche manieraineffabile. La sua evasività concettualefa di quest'arte la sovrana della bugia edell'imbroglio: la sola arte che sia capa-ce di dire bianco e nero nello stessotempo. Infatti la musica dispone di tantimezzi d'espressione simultanei - la me-lodia, l'armonia, il timbro, il ritmo, lavelocità o lentezza di decorso - e a uno

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di questi mezzi può benissimo far direuna cosa, e a un altro un'altra54

Mozart conosceva benissimo il truc-co. L'aveva usato nella scena notturna ingiardino delle Nozze di Figaro, con tuttoquell'imbroglio di travestimenti e digente che parla fingendosi altri da sé;poi ancora, in chiave grottesca, nel DonGiovanni, con lo scambio d'abiti tra Le-porello e il suo dissoluto padrone.Adesso questo gioco dell'essere e delparere diventa il meccanismo stessodell'azione di Così fan tutte, nella qualesubentra un secondo registro, espressivodal momento in cui i due fidanzati, al-lontanatisi nel loro vero essere di uffi-ciali, ritornano in scena grottescamentecamuffati da ricchi Albanesi. Come ha

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appurato sottilmente Ghéon, quell'im-pressione di un «ricanement continu»,di un sogghigno cinico che s'accompagnialla festevolezza della musica di Cosìfan tutte, nasce dal «confronto dei suonicon le parole, dei disegni melodici coigesti, del movimento della musica conquello dell'azione». La musica scim-miotta l'espressione delle parole e degliatti, e nello stesso tempo è consapevole,in qualche modo indecifrabile, dellaloro finzione. Per questo Così fan tuttenon presenta «caratteri», com'era inveceil caso delle due opere precedenti e del-lo stesso Ratto dal serraglio: fa proprioparte del suo cinismo rassegnato che iquattro innamorati non siano che dei bu-rattini, sostanzialmente intercambiabili

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come i pezzi d'un gioco di pazienza. Lelievi tipeggiature superficiali, che cimostrano la giovane Dorabella più ar-rendevole e birichina che la contegnosaFiordiligi, e Ferrando sentimentale,mentre Guglielmo è più focoso, non con-tano nulla rispetto alla verità fondamen-tale dell'anima umana. Le donne non se-guono che l'impulso del loro cuore ca-priccioso. Inutile prendersela se si è tra-diti. Belle o brutte, giovani o vecchie, laloro natura è sempre la stessa: così fantutte! F appena il caso di rilevare chel'amara morale non si arresta all'acce-zione letterale di un'abusata satira anti-femminista: in realtà, è del cuore umanoche Mozart è deluso. E, sia detto inci-dentalmente, questa burattinesca assenza

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di caratteri, questo trionfo della simula-zione è un altro dei motivi pratici checoncorrono alla comodità di esecuzionedell'opera. Così fan tutte è agevole darecitare, perché è assai più facile simu-lare burlescamente la finzione di unapassione, che non prestare a questa pas-sione una vita autentica sulla scena.Cantare Così fan tutte è uno spasso talee quale, perché l'interpretazione si risol-ve in un buffonesco gioco di caricaturache l'attore fa di se stesso. Mai vi si ri-chiede l'impegno supremo dell'attore,ch'è di cercare il «tono» vero di unapassione intensamente vissuta. È veroche le due donne non fingono; anzi, sonoingannate dalla finzione altrui. Ma senon fingono, «posano»; sono delle sman-

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cerose, piene di smanie e sospiri e sus-siego: ancora una volta non si tratta tantodi creare un carattere, quanto di fare unacaricatura.

Il primo atto.Con tutta la sua magrezza, Così fan

tutte è un'opera lunga. Nei suoi due atti,ma particolarmente nel primo, è stivatoun numero altissimo di pezzi musicali,alternati a recitativi che vi s'intersecanostrettamente a costituire scene e gruppidi scene come compiute unità dr ammati-co-narrative.

Dopo la rapida ouverture in do mag-giore, che solo nell'introduzione e nellacoda si vale d'accenni al materiale tema-tico dell'opera e nella parte centrale se-gue invece un suo movimento vertigino-

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so, l'indice musicale dello spartito pre-senta tre terzetti maschili, intercalati dadue recitativi. Drammaticamente è unascena sola, attuata in tre momenti musi-cali: la provocazione dello scettico DonAlfonso, secondo il quale «è la fededelle femmine come l'araba fenice», ela protesta indignata di Ferrando e Gu-glielmo, sicuri dei cuori di Dorabella eFiordiligi. Scommessa, castelli in aria eprogetti dei due ufficiali sul modo d'im-piegare i cento zecchini che son sicuri divincere.

Carattere musicale comune di questitre pezzi è il loro passo sveltissimo: untempo spigliato che trascina via tutto,senza lungaggini né soste. Una lieve ca-ratterizzazione orchestrale e tematica di-

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stingue i due bollenti ufficiali dalla sag-gezza stagionata dell'uom di mondo: leloro repliche indignate percorrono spes-so gli arpeggi di terza e quinta e di quar-ta e sesta del tono di sol maggiore, conun piglio da fanfara militaresca. Nel se-condo terzetto siamo subito posti difronte a un esempio cospicuo di quelpartito preso di simmetria che governatutta l'opera, e che la musica riflette fe-delmente. Don Alfonso ha appena ester-nato la sua massima sulla fede dellefemmine, che subito Ferrando, tenore, lointerrompe, continuando la frase musica-le: «La fenice è Dorabella». Tosto Gu-glielmo, baritono, gli fa eco: «La feniceè Fiordiligi». Sui nomi delle donne levoci si allacciano, si sciolgono, tornano

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ad allacciarsi, e si potrebbe dire cheesauriscono il numero delle combinazio-ni aritmetiche possibili con così pocheparole.

Anche il recitativo partecipa gusto-samente alla tipeggiatura musicale, spe-cialmente attraverso un espediente chein quest'opera ricorre spesso, cioè il re-citativo a due. Quando Don Alfonso,spazientito, chiede ai due infatuati: «Mainsomma, che razza d'animali son que-ste vostre belle, son dèe o son donne?»,i due, ad una voce, per melodiosi inter-valli di terza e sesta, replicano: «Sondonne, ma son tali, son tali...» La melo-dia, appena abbozzata, resta sospesa suun accordo di settima di dominante, ed èun effetto comico infallibile, equivale

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esattamente all'artificio grafico dei pun-tolini: par di vedere i gesti di rapimentocon cui i due giuggioloni sottintendonole qualità ineffabili delle loro donne.

Queste fanno la loro apparizionenella scena seguente. Passeggiano ingiardino; ognuna contempla in un meda-glione il ritratto del fidanzato e ne de-canta le bellezze. Naturalmente, il tempodi questo duettino è, almeno inizialmen-te, molto più calmo e riposato che l'ir-ruente sfrenatezza del precedente terzet-to maschile: fin dal preludio strumenta-le, il timbro dei clarinetti teneramenteallacciati in terze denuncia la soavitàdella presenza femminile. Le due voci,dapprima alterne nel magnificare a garai pregi di Ferrando e Guglielmo, finisco-

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no per unirsi, specialmente allorchél'andante iniziale si muta in un allegro;comincia allora un gioco di gorgheggi,di soavi concenti, di cadenze in comune,ora agili e di bravura, ora voluttuosa-mente rallentate, che istituiscono uno deicaratteri costanti della partitura vocaledi Così fan tutte: l'autoinebbriarsi didue voci femminili in deliziose combi-nazioni. A fermarsi alla superficie, cer-tamente uno dei principali contributi alcarattere galante e rococò dell'opera.

Dopo un breve recitativo, nel qualele fanciulle si mettono a loro agio, ab-bandonando le loro sospirose smance-rie, sopravviene Don Alfonso, col simu-lato annuncio del richiamo di Ferrando eGuglielmo al « marzial campo». L'affan-

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noso preambolo da cui fa precedere lanotizia (comunicata nel seguente recitati-vo) è l'unica aria che lo spartito assegnia questo personaggio, il quale essendo ildeus ex machina dell'azione, non ha maitempo da perdere in effusioni personali,e dice quel che ha da dire in rapido reci-tativo, oppure interviene col canto neiconcertati. Anche questa non si può con-siderare come una vera aria: sono tren-tasei battute di canto sillabico, sopra unaccompagnamento orchestrale affannoso,simulante la più alta concitazione. È unpasso importante, che istituisce il «tono»fondamentale dell'opera: quello dellamenzogna, cioè della simulazione dei trepersonaggi maschili, contro la sinceritàdelle due donne. Si può supporre che

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Mozart si sia divertito ad accumulare iluoghi comuni operistici del tempo perdipingere situazioni di disperazione e disconcerto: accompagnamento sincopato,canto a singhiozzo, rotto da pause sem-pre più frequenti, fino ad essercene, infin di frase, una ogni nota. Questo gustodella parodia era tutt'altro che estraneo aMozart, se è vero che nel burlesco se-stetto dei Musicanti del villaggio avevavoluto non solo riprodurre le stonature ei pasticci d'una banda di paese, ma an-che mostrare come non si deve sviluppa-re un tema, fornendo così un saggio dipoetica al negativo.

Di nuovo un tocco soavissimo di re-citativo a due nel passo che segue (Do-rabella e Fiordiligi uniscono le voci in

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terze e quarte su: « Ohimè! che sen-to?»), e poi ha inizio il primo gran quin-tetto della mistificazione: le donne vo-gliono morire, piuttosto che separarsidagli innamorati, e chiedono, in perfettostile d'eroine tragiche, d'essere ucciseseduta stante. «Ah, no, no, non parti-rai», grida da sola Dorabella, mettendoin gran rilievo un tema che presenta unasignificativa analogia con l'inizio dellaFantasia in do minore K. 475, una dellepiù tragiche e intense composizioni pia-nistiche di Mozart.

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Le voci si alternano dapprima, nellamanifestazione dei diversi sentimenti, egli uomini trovano modo, a parte, discambiarsi i loro privati commenti.«Cosa dici? Te n'avvedi?», chiedonoGuglielmo e Ferrando a Don Alfonso,dandogli di gomito per fargli rilevare ladisperazione delle loro fidanzate. Equello li esorta filosoficamente ad

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aspettare la conclusione: «Finem laudai» In questi casi il concertato ha la dutti-lità e la prontezza del recitativo. Poi lecinque voci s'uniscono invece in un me-lodioso insieme quasi sussurrato.

Breve recitativo, e breve duettino,un po' rigido, quasi impacciato, in cuiFerrando e Guglielmo cercano di con-fortare le fidanzate ed esortarle alla pa-zienza, poi si odono dall'esterno gli ac-centi baldanzosi d'una marcia militare,che col suo rimbombo di timpani sembrauscire da una serenata. «Bella vita mili-tar! », canta il coro, e dà con questo ilsegnale dell'addio. Nuovo quintetto,dunque, bellissimo, e differenziato dalprimo con rara sottigliezza psicologica.Come già per i tre terzetti maschili ini-

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ziali, si tratta in sostanza d'una scenaunica che continua, passando attraversodue momenti. Nel primo quintetto si eraavuta la reazione artefatta delle due don-ne, che facevano la gran scena tragica.Qui, al momento del distacco, non parla-no più di farsi svenare, ma si raccoman-dano piangendo ai loro diletti, che scri-vano tutti i giorni, e anche, si, che si ser-bino fedeli. Don Alfonso, per conto suo,si tiene i fianchi: «Io crepo se nonrido». La musica non è più solenne ealta di tono come nel primo quintetto, matenera e sollecita; le battute di Don Al-fonso inserite nel basso con funzionecontrappuntistica. Risuona nuovamentela spensierata marcia militare, un breverecitativo per gli ultimi addii, poi le due

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donne e Don Alfonso restano sulla scenaa cantare il soave terzettino d'augurioSoave sia il vento, una delle gemmedell'opera, sopra un disegno frusciante eondulante dei violini, con certe pausesapientemente distribuite, come un ce-sello, nelle parti vocali. Don Alfonsoesala il suo filosofico dispetto per tuttequeste «smorfie» e «buffonerie» d'inna-morati, e tanto ribolle la sua razionali-stica indignazione che il recitativo sitrasforma, di secco, in accompagnato, el'orchestra fa sentire un ripetuto disegnodrammatico. Sembra quasi che Don Al-fonso si avvii anche lui a intonare quellasuprema sciocchezza da gente sentimen-tale che è un'aria d'opera, con tutti i suoirigiri e le sue ripetizioni. Ma s'interrom-

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pe a tempo: ohibò! può un uomo moder-no, un filosofo, un seguace della ragione,esprimersi altrimenti che nella nuovamoda della riforma gluckiana? Recitati-vo: si dice quel che c'è da dire, e basta.I soliti due accordi conclusivi, di domi-nante e tonica, pongon fine alla scena.

Finisce con questa tutto un primosettore dell'opera, una specie di prologoo di antefatto, necessario a porre le pre-messe dell'imbroglio in cui consisterà lavicenda. Carattere musicale dominantefin qui, la rapidità, la magrezza, la con-cisione. Abbiamo parlato di terzetti,duetti, quintetti e perfino di arie: ma nes-suno s'aspetti l'ampio sviluppo conven-zionale, con ripresa obbligatoria, e svi-luppo e variazioni, dello schema tradi-

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zionale dell'aria. Tre terzetti, oppure duequintetti e un duetto, intercalati da reci-tativi, formano una scena, e corrono viarapidi, senza ripetizioni, senza amplifi-cazioni. Esteriormente, si direbbe unmelodramma di vecchio tipo, con le suedivisioni in numeri staccati: la realtà èche, appunto, questi numeri non sonostaccati; il recitativo fa da tessuto con-nettivo tra l'uno e l'altro concertato, unquintetto confluisce nell'altro, la scenavive d'una continuità che è ad un tempodrammatica e musicale.

La speditezza di passo narrativo delprologo si calma invece nella scena cheora ha inizio. Fin qui i fatti sono corsisvelti verso la tessitura dell'intrigo; orail tempo dell'opera si concede qualche

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riposo e indulge alle esigenze vocalisti-che dei personaggi. Spuntano le arie inpiena regola, qualche volta con giustifi-cazione caricaturale, e qualche volta no;in questo caso, allora, tenute entro limitidi prudente discrezione.

Il nuovo personaggio di Despina, laservetta, ci si presenta con un recitativo.Sta facendo la cioccolata per le padro-ne, e naturalmente queste sopraggiungo-no proprio nel momento in cui lei si de-cide ad assaggiarla. Ma le padrone han-no altro per la testa che la cioccolata:sono disperate per la partenza degli in-namorati. In un recitativo accompagnatoe un'aria (quello assai più bello e incisi-vo che questa) Dorabella esala le «sma-nie implacabili» ond'è agitata. Despina

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le esorta a prender meno sul tragico lacosa e le scandalizza con un'aria quasidanzante, in 6/8, nella quale manifesta ilsuo mediocre concetto della «maleficarazza» maschile. Quelle s'allontananoindignate, e sopraggiunge Don Alfonso,la cui filosofica morale libertina trovasubito una valida alleanza, con la pro-messa di qualche zecchino, nella scape-strataggine naturale della servetta. In unrecitativo vien concordato il piano perintrodurre presso le due addolorate unpaio di nuovi spasimanti. E s'avanzanoGuglielmo e Ferrando, grottescamentecamuffati da Albanesi.

La denominazione di «sestetto», datadallo spartito a questa scena, non devetrarre in inganno: come già nel caso dei

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precedenti quintetti, è una scena che nelcorso del suo svolgimento diventerà an-che un sestetto, ma è un organismo dram-matico nel quale le voci si avvicendanovariamente combinate e solo nel puntoculminante raggiungono momentanea-mente la piena formazione. Per ora sonoancora assenti le due dame: introdotti daDon Alfonso, avanzano i due cavalieri,con buffi salamelecchi, e il loro «musofuor dell' uso» produce in Despina tantailarità, che le padrone, disturbate dallerisa, accorrono a vedere che succede, eDon Alfonso si nasconde nella cameraaccanto. Sdegno di Dorabella e Fiordili-gi a veder uomini in casa, e sestetto ge-nerale: le dame strepitano, i finti Alba-nesi gongolano di soddisfazione quanto

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più violenta si scatena su loro la virtuo-sa indignazione delle fanciulle; Despinae Don Alfonso, nascosto, osservano in-creduli «quella rabbia e quel furor»,che sembrano un poco esagerati per es-sere interamente sinceri.

Finito il sestetto, fa il suo ingresso,con l'aria di non saperne niente, Don Al-fonso, e casca dalle nuvole alla presenzadegli Albanesi: «Sogno 0 son desto?Amici miei! Voi qui?» Il recitativo si fasempre più espressivo ed elaborato, an-che nel basso continuo, quando i due Al-banesi cominciano la loro dichiarazionegalante, e in ginocchio implorano pietàdalle belle dame. Dorabella, più giova-ne, è un po' scossa: «Sorella, che fac-ciamo?» Ma Fiordiligi sa qual è il con-

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tegno d'una tragica prima donna in talfrangente: si avvolge nella sua dignitàoffesa, e dopo un agitato recitativo ac-compagnato intona una grande aria dibravura per dichiarare che

come scoglio immoto restacontro i venti e la tempesta,così ognor quest'alma è fortenella fede e nell'onor.La voce saetta su e giù in passaggi

vertiginosi; intervalli smisurati manife-stano la sua concitazione:

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È un'aria da opera seria trasportatain seno a un'opera buffa, con tutta la sua

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pomposa tragicità, e Beethoven, senzatanti complimenti, la prese a modello distruttura per la grande aria di Leonora.C'era nella compagnia che doveva reci-tare Così fan tutte una grande cantante,la signora Ferraresi del Bene, celebreper la sbalorditiva ampiezza della suatessitura, e bisognava fornirle il modo dispiegare le sue risorse. Come introdurreuno sfoggio di virtuosismo vocale senzasfondare l'aerea tela di ragno della lietaopera buffa ? La soluzione è la parodia,tutt'altro che ignota a Mozart nei suoivari saggi di musica in caritatis came-ra, cioè di scherzi musicali ad uso d'al-legre brigate di amici. E nello specificocampo operistico l'aveva trattata di pro-posito nel breve divertimento teatrale

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L'impresario, uno dei tanti casi in cuil'opera del Settecento prende in giro sestessa.

In Così fan tutte l'imprestitodell'alto stile tragico avviene seriamentein certe sezioni di recitativo accompa-gnato dove l'intensità appassionata degliarchi mostra un carattere quasi seicente-sco. Ma nella grande aria di Fiordiligiprende colore di parodia il singolare ca-rattere retrospettivo, storicistico e, incerto senso, culturale di quest'operinache sarebbe facile scambiare per un pro-dotto di moda galante. La satira artisticasi mescola inestricabilmente alla funzio-nalità drammatica: mettendo amabilmen-te in caricatura un genere teatrale di cuiconosceva la sostanziale e artificiosa in-

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sincerità, Mozart riesce nello stessotempo a definire, con la canzonatura, ilsuo personaggio, accentuando le pose diprosopopea tragica a cui la graziosadonnina crede doveroso abbandonarsi55

Mentre ci lascia intendere che questi fie-ri propositi cadranno ben presto comeun castello di carte, Mozart ci pone ma-liziosamente sott'occhio un saggio diquello stile teatrale aulico dell'opera se-ria in cui egli s'era pur studiosamente ar-rabattato dal Mitridate all'Idomeneo, eche aveva abbandonato una volta trovatala nuova via della commedia musicale.

Naturalmente, dopo una tale sfuriata,a Fiordiligi non rimarrebbe altro da fareche andarsene. Le regine dell'opera se-ria dopo una grande aria tragica escono

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maestosamente di scena. Ma per l'ap-punto Fiordiligi non è una regina, è unagraziosa ragazza triestina (nell'opera,napoletana). Perciò Guglielmo riesce atrattenerla per un momento con una bre-ve aria dall'inizio supplichevole: «Nonsiate ritrosi, occhietti vezzosi». Dicemolto sulla consapevolezza drammaticadel compositore il fatto che a questopunto egli avesse scritto un'altra aria,molto più lunga e regolarmente svilup-pata, quell'aria Rivolgete a lui lo sguar-do, che ora porta il numero 564 nel cata-logo Kochel. Poi senti fastidio dell'ec-cessivo arresto che l'azione ne avrebbesubito, e la sostituì con questa, psicolo-gicamente assai spiritosa. L'aria, infatti,comincia supplichevole, come s'è detto,

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ma poi sconfina a poco a poco nella piùindecente buffoneria quando Guglielmo,invocata l'attenzione degli «occhietti ri-trosi», si mette a decantare, con fare davenditore ambulante, le bellezze maschi-li proprie e dell'amico.

Guardate, toccate, il tutto osserva-te:

siam forti e ben fatti...abbiamo bel piede, beli'occhio, bel

naso...C'è una sottile giustificazione psico-

logica perché Guglielmo, che dei due in-namorati è il più soldatesco e il più roz-zo, trascenda a una simile buffonata, chefa allontanare indignate Dorabella eFiordiligi: perché nel suo animo gongolaper la soddisfazione della vittoria su

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Don Alfonso, per il contegno irreprensi-bile della sua bella, soddisfazione e al-legria che, appena uscite le dame, scop-piano in un pantagruelico riso. Il trapas-so da quest'aria al susseguente «terzettodelle risate», in cui i due ufficiali deri-dono Don Alfonso per la sconfitta e que-sti li esorta ad aspettare di vedere chi ri-derà per ultimo, questo trapasso è unastraordinaria risoluzione musicale di pa-role senza senso affastellate alla rinfusa(«trionfi,pennacchi, mustacchi»):un'ilarità contagiosa e titanica dilaga tra-volgendo perfino le barriere della sin-tassi, e si direbbe quasi più rossinianache mozartiana.

Dopo il divertente terzetto maschile,l'aria sentimentale di Ferrando Un'aura

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amorosa rallenta un poco il corsodell'azione: è vaghissima, ma non ha al-tro motivo di trovarsi qui, se non il fattoche il tenore non aveva ancora avutoun'aria. La coda orchestrale reca, curio-samente, un'altra citazione dalla Fantasiain do minore K. 475, questa voltadall'andantino:

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Dopo che Don Alfonso ha concerta-to, in un recitativo con Despina, i nuovisviluppi dell'imbroglio, ha inizio il fina-le, con un duetto di Dorabella e Fiordili-gi, arabescato di bellissimi colori or-chestrali nel gioco di flauti e fagotti. Ilamenti delle due dame sono interrotti,senza soluzione di continuità, dai conci-tati accenti che vengono dalla camera

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accanto: tosto ne arrivano Ferrando eGuglielmo barcollanti, ognuno con unafiala di veleno in mano, accompagnatida Don Alfonso, tutto sbigottito. La mu-sica è pervasa di drammatica agitazione,si da ricordare i momenti più intensi delDon Giovanni. Despina, chiamata a granvoce dalle padroncine, arriva con unareminiscenza della frase cromatica dalleNozze di Figaro, nel finale, là dove Fi-garo finge di far la corte alla Contessa:

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FIGARO

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I due pseudo-avvelenati approfittanodella timidezza di Dorabella e Fiordili-gi, che ancora non osano avvicinarsi,per inserire nel tessuto vocale i loro «aparte»: «Più bella commediola non sipotea trovar». Allontanatisi Despina eDon Alfonso in cerca del medico, le due

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sorelle si avvicinano a poco a poco agliinfermi, vinte dalla pietà. Dorabella ècome sempre la più incauta: « Che figu-re interessanti! » Provano a sentire ilpolso dei meschini. «Io non gliel' sen-to», fa Fiordiligi. E Dorabella: «Questobatte lento lento», in una frase che,voce e orchestra, è un piccolo capolavo-ro d'arguzia onomatopeica. Le belle ri-trose si cominciano un poco ad addome-sticare, e ciò non fa troppo piacere ailoro amanti travestiti: ma il quartettinosottovoce, composto di due «a parte»,viene tosto interrotto dall'arrivo di DonAlfonso insieme a Despina, travestitacomicamente da dottore. Sproloquiandoin latino con voce contraffatta, ella sivale della sua autorità medica per ordi-

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nare alle dame di tenere in grembo la te-sta dei degenti, mentr'ella farà agire suloro la virtù della calamita mesmerica.(Chissà se Mozart si ricordò d'averescritto da bambino, a Vienna, un'operinaper il teatro privato del dottor Mesmer?) Misteriosi trilli di fagotti, flauti e cla-rinetti tremolano in orchestra, mentre ilfluido si propaga nelle membra degliammalati.

Nella buffonesca comicità di questaparte di Despina si ravviva irresistibil-mente la freschezza dell'invenzione mu-sicale, che nei numeri precedenti era unpoco calata. Queste apparizioni masche-rate della servetta (nel second'atto arri-verà vestita da notaio) possono sembra-re semplici concessioni al gusto farse-

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sco: come ha ricordato Alfred Einsteincon un'opportuna citazione dalle Memo-rie di Goldoni, «era uso inveterato fra icomici italiani, che le servette desseroogni anno e in più volte rappresentazionidette "di trasformazione", come Lo spi-rito folletto, La serva incantatrice, ealtre di simil genere, nelle quali compa-rendo l'attrice in differenti forme, muta-va spesso abiti, rappresentava diversipersonaggi, e parlava varie lingue». Mala vecchia consuetudine teatrale vienequi inserita nella sostanza stessa dellavicenda e nella natura particolare diquest'opera, ch'è tutta una commediadella simulazione: nella voce buffone-scamente contraffatta di Despina, oradottore, ora notaio, culmina il «tono del-

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la menzogna» che è la caratteristicadell'opera. Per questo l'ispirazione mu-sicale s'accende qui d'una fiamma piùviva.

Tocca ora ai due cavalieri redivivigiocare la gran scena melodrammaticadello smarrimento per il ritorno in sé:«Dove son? Che loco è questo? Chi ècolui? Color chi sono?» Ma riconosco-no le loro belle e approfittano della pro-pria condizione di resuscitati per rende-re più pressanti le loro dichiarazioni.«Son effetti ancor del tossico», assicu-rano Despina e Don Alfonso, «non ab-biate alcun timor». Ma quando i duespasimanti chiedono addirittura un ba-cio, e Despina e Don Alfonso, con par-rocchiale unzione melodica raccoman-

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dano di «secondare per effetto di bon-tade», allora l'esasperazione delle duedonnine si ribella un'ultima volta al ri-catto tentato contro la loro pietà. Timpa-ni e grancassa tuonano minacciosi in or-chestra quando Dorabella e Fiordiligiesplodono: «Disperati, attossicati, iteal diavol quanti siete». E Mozart neprende lo spunto per architettare un fina-le strepitoso a questo lunghissimo primoatto.

II secondo attoDespina sottopone le padroncine a

un corso della sua morale disinvolta: re-citativo, e poi la briosa aria, tipicamentebuffa, Una donna a quìndici anni, quasiun manifesto di ancillare philosophiedans le boudoir. Dorabella e Fiordiligi

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non sono insensibili all'eloquenza dellaservetta: specialmente Dorabella, puntodebole di quella roccaforte ch'è la lorovirtù. E Fiordiligi non chiede che di es-sere persuasa. In breve hanno deciso diprestare più benigno orecchio alle offer-te amorose dei cavalieri albanesi, vistoche tanto non c'è niente di male, e nessu-no ne saprà niente, e quand'anche si sa-pesse qualcosa, Despina dirà che i duevenivano per lei. Non resta che sceglie-re ognuna il proprio cavaliere, e le so-relle lo fanno nell'incantevole duettoPrenderò quel brunettino. Esso incarnauno dei momenti tipici dell'ispirazioneteatrale mozartiana, che si potrebbe de-finire dell'innocenza del peccato: quan-do cadono in un'anima le bardature della

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morale e delle convenzioni sociali, edessa corre verso il piacere, in uno statod'innocenza edenica, anteriore all'istitu-zione della vita civile. È un ideale fan-ciullesco di liberazione da ogni costri-zione, che occhieggia in tutte le operemaggiori di Mozart, nei vari: «Andiamo,andiam, mio bene, | A consolar le pene |D'un innocente amor», o: «Vieni, vieni,mio dolce tesoro». Qui, nel duettino diCosì fan tutte, la caduta è ancora soltan-to sognata e vagheggiata, perciò il mo-mento dell'abbandono è visto in manieradinamica e analitica, attraverso la gra-duale trasformazione dei personaggi.Nota sottilmente Dent56che nella parteorchestrale prevale con insistenzal'oboe, lo strumento che nella partitura

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par quasi identificarsi col razionalismoscettico di Don Alfonso, e tacciono in-vece i clarinetti, cioè gli strumenti chenella simbologia orchestrale di Mozartsono la personificazione della tenerezzafemminile, dell'affetto costante e dellabontà. Il cedimento morale è in fieri,non ancora compiuto.

Preannunciata da Don Alfonso, eccoun'amabile serenata con cui Ferrando eGuglielmo vengono a porgere musicaleomaggio alle dame. Chi vuol sapere checosa fosse il genere settecentesco dellaserenata, quale il suo impiego nella vitadel tempo, quale il suo aspetto musicale,non ha che da riferirsi a questa scena diCosì fan tutte: una serenata in atto. Tac-ciono in orchestra i dotti strumenti ad

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arco, e le voci dei cantori sono accom-pagnate soltanto dal suono di clarinetti,fagotti e corni: strumenti a fiato, il cuitimbro più naturalmente si addiceall'aria aperta, all'improvvisazione am-bulante.

Qualche cosa è mutato nei propositidelle dame, ma resta da vincere l'imba-razzo del primo passo; e poiché Gugliel-mo e Ferrando sono anche loro un pocoimbambolati, ci si mettono Don Alfonsoe Despina, sospingendoli in un quartettoche ha un vivace stacco di timbro e disuono rispetto alla scena precedente.Certi modi melodici di Don Alfonso quiricordano un poco le maniere sbrigativedi Don Giovanni organizzatore del festi-

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no con Zerlina, Masetto e gli altri conta-dini.

Avviate le cose, Don Alfonso e De-spina si ritirano con un rapido «sottovo-ce», e lasciano le due coppie in compia-cente solitudine. Primi discorsi impac-ciati, sulla pioggia e il bel tempo. « Ohche bella giornata! - Caldetta anzie-hend». La convenzionalità del recitativosecco calza a pennello con la banalitàdella conversazione. Poi Fiordiligi eFerrando scivolano via. Resta in scenal'altra coppia e assistiamo al crollo del-la traballante virtù di Dorabella: l'offer-ta d'un ciondolo prezioso in forma dicuore dà luogo a un duettino galante,quasi lezioso, con insistenza suquell'abusato effetto convenzionale

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dell'opera buffa, dalla Serva padrona inpoi, che è l'imitazione strumentale e ver-bale del battito del cuore. Ma solamentee puramente mozartiana è la bellissimaefflorescenza melodica che i violini in-seriscono, come un miracolo piovuto dachissà dove, nel discorso musicale.

Altrimenti sono andate le cose all'al-tra coppia, che subentra ora sulla scena.Lacerata com'è tra la tentazione, a cui ètutt'altro che insensibile, e la resistenzad'una più solida coscienza morale, lapovera Fiordiligi porta sempre con séun'aura di alta tragedia, e questa voltanon è più soltanto una posa, come nellagrande aria del primo atto. Intensi, acci-dentati, e nutriti d'armonie e cadenze in-solite sono i recitativi accompagnati in

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cui ella cerca di sfuggire alle insistenzedi Ferrando e quello ch'ella canta, rima-sta sola, dopo una mediocre aria di Fer-rando. Il secondo recitativo porta adun'altra grande aria in forma di rondò,estremamente elaborata e con un prezio-so accompagnamento strumentale. Dinuovo un'aria di bravura, d'amplissimosviluppo, coi grandi salti di voce chesono prerogativa della parte di Fiordili-gi; ma esula da quest'aria (Per pietà,ben mio, perdona) ogni intenzione paro-distica: il personaggio non «posa», ma èrealmente travagliato dal conflitto acer-bo tra la tentazione presente e il doveredella fedeltà. Soltanto a Fiordiligi (e unpoco, meno opportunamente, a Ferran-do) è concesso d'interrompere ogni tan-

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to, con queste grandi effusioni personali,la preoccupazione costante della rapidi-tà e continuità drammatica, che signoreg-gia lungo tutta la non breve opera.

È giunto ora il momento, per i dueamici, di farsi un reciproco resocontodei risultati conseguiti nelle loro impre-se: ciò avviene in uno spassoso recitati-vo. Prima è la volta di Ferrando, lieto dipoter assicurare all'amico che la suaFiordiligi ha resistito virtuosamenteall'assalto. Ne gode Guglielmo, e sirammarica di dovere invece togliere aFerrando le sue illusioni sulla fedeltà diDorabella. Imbarazzato, si mette a parla-re alla maniera di Leporello, e dà alproprio recitativo una piega buffonesca.Non così la prende Ferrando, e il recita-

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tivo secco si trasforma in recitativodrammaticamente accompagnato nel cor-so delle sue escandescenze, una voltache l'amico gli dà le prove del tradimen-to. Invano Guglielmo cerca di consolar-lo accentuando la propria buffoneria inun'aria comica (Donne mie la fate a tan-ti), più che mai leporellesca: rimastosolo, Ferrando esala il proprio sincerodolore in una breve cavatina (Tradito,schernito), molto espressiva nella suaschematica semplicità: due tempi, in dominore e in mi bemolle maggiore; il tonominore per esprimere il bruciore amarodel tradimento; il maggiore per la con-fessione accorata dell'amore che in cuo-re persiste per l'infedele; il secondotema vien ripreso con bella modulazione

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in do maggiore, sostituendo gli oboi aiclarinetti nell'accompagnamento orche-strale. Difficile immaginare un più inten-so effetto espressivo con così elementa-re economia di mezzi.

Guglielmo e Ferrando si nascondonoinsieme con Don Alfonso per assistere,non visti, all'ultima parte dell'esperi-mento. Ascoltano così il recitativo delletre donne in cui la virtuosa Fiordiligiconfessa a Dorabella e a Despina d'es-sere innamorata del cavaliere albaneseche ha pur ora respinto, e manifestal'estremo proposito di restar fedele aGuglielmo. (Il quale, nel suo nascondi-glio, comincia a star sulle spine). Dora-bella, ormai completamente convertitaalla morale facile di Despina, esorta la

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sorella a cedere, in un'aria leggera (Eamore un ladroncello), non originalissi-ma, ma con uno strumentale brillante, daserenata. Neppure questo basta a vincerela resistenza di Fiordiligi che, rimastasola (ma sempre spiata dai compari),escogita una di quelle sue soluzionieroiche da donnina romanzesca: andrà acercar Guglielmo sul campo dell'onore,travestita da militare, con certe diviseche, in maniera piuttosto inesplicabile,Ferrando e Guglielmo avevano lasciatoin casa delle loro ragazze. Detto fatto:l'eroico travestimento viene iniziato, conl'aiuto di Despina, la quale comincia se-riamente a dubitare che la sua padronanon sia del tutto a posto. Ma quandoFiordiligi, nel suo abito militare, già af-

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fretta col pensiero il momento in cuicomparirà incognita davanti al suo Gu-glielmo, ecco irrompere al suo fiancoFerrando per l'ultimo assalto: «Ed in-tanto di dolore, meschinello, io mi mor-rò». Il momento è psicologicamente benscelto: l'emozione della grande decisio-ne, il romanzesco del travestimento, tuttoconcorre a indebolire la resistenza delladonna; la tenerezza a cui ella si era ab-bandonata nel pensiero di Guglielmo su-bisce un trasferimento, e si riporta irre-sistibilmente sull'uomo che le sta vicino.Il pezzo musicale iniziato come aria sitrasforma in duetto, per un poco le duevoci contendono ancora separatamente,poi: «Hai vinto. Fa di me quel che tipar» è la resa, dolcissima, sopra un ara-

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besco deliziosamente convenzionaledell'oboe galeotto.

Di là, Don Alfonso fatica a trattenerele furie di Guglielmo, che vorrebbe pre-cipitarsi a interrompere l'inebbriatoduettino (il solito motivetto corrivo diabbandono al piacere in un'innocenza daparadiso terrestre). Rientra poi Ferran-do, e in un recitativo simmetrico a quel-lo precedente può restituire a Guglielmotutte le consolazioni, le ironie e i consi-gli che l'amico gli aveva elargito in oc-casione della sua analoga disavventura.È il momento per Don Alfonso d'interve-nire e di trarre la morale: inutile dispe-rarsi, inutile cercare vendetta; adessoche i due amici han visto di che pastasono le loro donnette, non rimane loro

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che una cosa saggia da fare: sposarselecome se niente fosse stato. Tanto, nonsono peggiori delle altre: «Giovani,vecchie, e belle e brutte, ripetete conme: Così fan tutte». Questa morale DonAlfonso trae in una ottava di recitativointensamente accompagnato, di stile qua-si seicentesco, di fatto un breve ariosoche insieme con quello analogo del pri-mo atto costituisce l'unico a solo accor-dato a questo importante personaggio.Qui, sulle parole fatidiche del titolo, ap-pare la cadenza che chiude l'introduzio-ne lenta dell'ouverture:

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Inizia il finale, che non segna soltan-to un rialzo notevole dell'invenzione mu-sicale, ma contiene, come vedremo, unasituazione delle più alte e vertiginose ditutta la storia della musica, un mixage distili storici piegati a funzione drammati-ca per pura virtù d'intuizione che agiscecome somma consapevolezza.

Siamo nello splendido salone doveDespina si dà da fare a istruire la servi-tù per la festa delle prossime nozze, ed èquesta l'unica apparizione in scena delcoro. I servi hanno preparato le menseper il banchetto «con ricchezza e nobil-tà». Don Alfonso approva: «Bravi! bra-vi! Ottimamente! Che abbondanza, cheeleganza! » Sulla tovaglia preziosa dellungo tavolo brillano i cristalli, sfavilla-

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no i doppieri. Si attende l'arrivo dellecoppie nuziali e al loro ingresso il corodei servitori e dei musicanti intona il so-lenne benvenuto, andante in mi bemollemaggiore: «Benedetti i doppi coniugi ele nobili sposine». Sembra un momentodi suprema felicità e di gioia, e noi, chesappiamo il trucco, come Don Alfonso eDespina che l'hanno messo in atto, vi-viamo questo momento divisi tra l'ab-bandono all'allegria generale e l'ansiosaconsapevolezza dell'inganno: tanta festaè falsa, e dovrà finire in una catastrofe.

Sarà un caso, o sarà sottilissimaastuzia del malizioso librettista, che leprime parole pronunciate dai quattrosposi nel loro splendido ingresso sanci-scano proprio questa situazione di men-

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zogna: « Come par che qui prometta |Tutto gioia e tutto amore! » Il quartettodegli sposi prolunga la solennità deltono di mi bemolle maggiore già intro-dotto dal prologo corale della scena.Sull'intima compattezza delle armonie,che simula una concordia inesistente,svetta l'acuto svolazzo di Fiordiligi, poiemulato, più brevemente, da Ferrando: ec'è già una specie di embrionale presen-timento di canone nella guisa con cui levoci del soprano e del tenore s'inseguo-no evadendo per un momento dall'armo-nia collettiva del quartetto. Poi irrompeil coro coi suoi auguri, quindi il discor-so passa di nuovo ai protagonisti, con unsorprendente episodio di colorito russo,

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prima introdotto dall'orchestra, poi ri-preso dai due uomini:

L'ostinazione ritmica, quasi testardae paesana, dei brevi incisi ripetuti, il gu-sto iterativo e la cocciuta ricaduta di to-nica-dominante, alludono per un momen-

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to, con allucinante anticipazione, a un'at-mosfera di festività barbarica tipo BorisGodunov. Casuale combinazione di note,oppure - considerando che l'episodionon è ripreso dalle due donne nella lororisposta, ma appartiene esclusivamenteai due finti Albanesi - possibile ricorsodi Mozart a qualche fonte occasionale dicolorito esotico, non impossibile, dopotutto, nel pittoresco crogiuolo di razzedella capitale absburgica ?

Gli sposi occupano ora il primo pia-no della scena e della musica, in un ra-pimento progressivo d'estasi quasi piùerotica che nuziale. La cerimonia delbrindisi, col contatto incrociato dei bic-chieri, diventa quasi simbolo della con-giunzione carnale nel matrimonio: la mu-

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sica si arresta in una sperduta, vaneg-giante ripetizione della settima di domi-nante sulla ripetizione inebbriata delleparole «tocca, bevi, bevi, tocca». Aquesto punto, dopo una corona di so-spensione, fiorisce il miracolo: un cano-ne! Straordinaria è la convenienza tea-trale e scenica, l'opportunità drammatica(in senso lato), con cui una forma tantoestranea al melodramma quale il canone,viene piegata alle esigenze della situa-zione: caso esemplare di quella prodi-giosa coincidenza di musica e azione, diquell'armonia prestabilita fra le esigenzedella forma e quelle della narrazione,che è il segreto e la grandezza del teatromozartiano.

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Fiordiligi intona: «E nel tuo, nelmio bicchiero | Si sommerga ogni pen-siero...» (qui entra, con le stesse parolee le stesse note, Ferrando) «... e non re-sti più memoria | Del passato ai nostricor». A questo punto sempre Fiordiligi,per un momento sola, e senza orchestra,opera la congiunzione con la frase chesegue, per mezzo di tre note di transizio-ne («Ah, no, non...») e qui interviene nelcanone Dorabella con la melodia prece-dente, mentre Fiordiligi va ad attestarsisulla tonica per farne discendere la se-conda frase del canone, subito ripresada Ferrando, alla dominante e a distanzaravvicinata. Soltanto dopo tre battuteFerrando perviene ad assumere la se-conda frase nella sua forma piena, men-

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tre Fiordiligi la sta terminando e Dora-bella, invece, indugia ancora sulla primafrase. Quando tutti e tre hanno concluso(Fiordiligi e Ferrando la seconda frase,e Dorabella la prima), tocca allora aFerrando di rilanciare, con le tre note ditransizione «Ah, no, non») l'episodiosuccessivo, che vede Fiordiligi ritornataalla prima frase e Ferrando e Dorabellaattaccare, nell'ordine, la formulazionesimmetrica della seconda frase. È quiche Guglielmo, fino a questo momentotaciturno nel suo dispetto, inserisce ilsuo collerico commento («Ah, bevesserodel tossico»), sotto forma di comple-menti armonici del canone a tre voci, delcui tessuto non fanno parte: sono integra-zioni, per così dire, dall'esterno; il cano-

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ne si svolge a tre voci per conto proprio,e Guglielmo approfitta delle sue pause edei suoi interstizi per collocare le suechiose, estranee alla legge canonica. In-tuizione, questa, che ha del miracoloso:il genio drammatico assurge qui a misu-ra di genio storico. Si pensi infatti: ledue donne credono nella felicità del mo-mento che stanno vivendo; Ferrando nonci crede, ma finge di crederci, e perciòsi adegua alla norma del canone cheFiordiligi ha proposto. Guglielmo non cicrede né sa fingere di crederci, e perciòesce fuori, esorbita dalla regola canoni-ca, introduce un altro linguaggio musica-le, e precisamente il linguaggio contem-poraneo, il linguaggio dell'armonia inuso al tempo di Mozart, mentre gli altri

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tre, o avvolti nell'inganno (le due don-ne), o nella finzione (Ferrando), si ser-vono d'un linguaggio passato, l'imitazio-ne a canone, secondo il procedimentodella parodia. Volendo spingere l'inter-pretazione fino ad estremi di sottigliezzache del resto non sono incompatibili, alivello d'intuizione inconscia, col geniodi Mozart, si potrebbe affermare che ilpersonaggio che finge (Ferrando) e i dueche credono alla finzione (le donne) siesprimono in regime di «parodia» stili-stica; quello che non sa fingere, il rozzoGuglielmo, si esprime in linguaggio pre-sente, attuale.

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Dal punto di vista teatrale il prodi-gio del canone di Così fan tutte sta nellacoincidenza del principio di imitazioneper entrate successive con il gesto delbrindisi, del toccare i bicchieri, che av-venendo fra tre persone dà luogo a unasuccessione alternata di gesti, perfetta-mente corrispondente alle «entrate» del-le tre voci canoniche: micro-Wort-Ton-Drama nel quale, a misura di cesello,musica e azione, parole e gesti coincido-no, e l'udito e la vista dello spettatoresono invitati a compiere la stessa opera-zione, ciascuno nel suo regno.

Abbiamo lasciato da parte finora laterza e ultima ragione di meraviglia percui questo canone operistico è da consi-derarsi straordinario: la qualità, melodi-

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ca e armonica, del tema che viene usatoper l'ingegnoso canone doppio a trevoci. Un tema che parrebbe la negazionestessa della tecnica di imitazione cano-nica. Niente di quella bruschezza spigo-losa che caratterizza i canoni burleschidi Mozart, niente di quella pseudo-so-lennità buffonesca connessa coi temi deicanoni sconci (Difficile lectu mihiMars..), niente di quella genericità unpo' arida che serve a fornire le pietre dacostruzione nei canoni più teoretici eastratti, niente del colorito liturgico deicanoni seriosi. Il tema di E nel tuo, nelmìo bicchiero è un tema affettuoso, nonda canone ma da musica da camera; nonha nulla di arcaico, ma anzi, anticipa al-quanto sul proprio tempo: ci si crede-

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rebbe nell'andante d'una sonata di Bee-thoven della prima maniera. Beethove-niana è l'intimità commossa dell'armo-nia, beethoveniano il caldo afflato con-solatorio della melodia, che si snodadapprima sul «gruppetto», interamentescritto. Esso si aggira intorno alla tonica(che non è più il solenne mi bemolleprecedente, bensì il più intimo e raccol-to la bemolle); poi ondeggia quasi so-speso sulla dominante (mi bemolle) e in-fine il canto si cala, come in volo plana-to, con parziali risalite, sulla tonica.L'aspetto festivo e pomposo della ceri-monia nuziale si apre per un momento auno spiraglio di tenerissima intimitàamorosa. La Stimmung del pezzo è quel-la consolatoria dei primi andanti bee-

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thoveniani, quasi promessa d'una celestefelicità futura. Si veda, per esempio,nella quarta battuta, la tripla ripetizionedella dominante in orchestra, che con-giunge la prima semifrase alla seconda:si direbbe una firma di Beethoven.

Ma non è nemmeno questa straordi-naria anticipazione che desta più ammi-razione. Certo, metteremo anche questoquartetto di Così fan tutte (opera tantoinvisa a Beethoven e moralisticamentedisprezzata) tra le pagine dove prodigio-samente Mozart preannuncia l'altro gran-de che l'avrebbe seguito nella trinità delclassicismo viennese. E a proposito diquesti accostamenti dove i due astri sisfiorano, già sappiamo da Busoni

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che Mozart, là dove preannunciaBeethoven, è significativo e originale;che Beethoven, dove ricorda Mozart, èinsignificante e plagiario57

Tuttavia è ancora altra la ragionedella grandezza straordinaria di questascena. Scrivendo un canone complicatoe ingegnoso col materiale melodico e ar-monico d'un andante di sonata preotto-centesca, già sul punto di evadere dallostile galante verso l'interiorizzazioneespressiva del preromanticismo, Mozartcompie un'operazione di superiorescienza delle costruzioni musicale, ana-loga a quella che compirà Beethovenquando nella Grande fuga op. 133 con-giungerà in una specie di monstrum dueciviltà musicali: quella della fuga e

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quella della sonata, l'età di Bach e lasua58 Così Mozart, travalicando comeun'aquila le epoche della storia, riesce aeseguire la perfetta calettatura della piùarcaica tra le forme del contrappunto, ilcanone, e la liederistica intimità espres-siva d'un tipo di andante sonatistico, tut-to fondato sulla degustazione approfon-dita delle risorse moderne dell'armonia.Per pura virtù d'intuizione, la cultura en-tra nella creazione, come avviene ai no-stri giorni.

Riprendiamo a seguire il corsodell'opera, dopo questa sosta resa indi-spensabile dall'altezza vertiginosa delquartetto a canone. Arriva il Notaio -naturalmente, Despina mascherata - e lamusica ritorna alla buffoneria, riscattata,

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però, da ogni superficialità d'effetti co-mici, in virtù di quel significato quasisimbolico che hanno in quest'opera lecontraffazioni. Le firme son già state ap-poste al contratto, quand'ecco dietro lascena avvicinarsi un suon di marcia mi-litare, il noto coro Bella vita militar,che aveva portato via alle sorelle i duefidanzati e ora, secondo ogni evidenza,glieli riporta nel momento meno oppor-tuno. Stupore e scompiglio: la musica siriempie di drammatica agitazione, tre-moli, progressioni, tempi sincopati. Idue sposi albanesi vengono nascosti nel-la camera accanto, e ben presto fanno illoro ingresso tutti giulivi i due ufficiali,«richiamati da regio contrordine». Stu-piscono dell'accoglienza attonita e silen-

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ziosa che ricevono dalle loro donne. Gu-glielmo entra, nella camera accanto perposare un baule, e che ci trova? Unuomo, anzi, un notaio! Niente paura: conuna melodia sorniona e cantilenante De-spina rivela l'esser suo. Tornava or oradal ballo mascherato, ed era venuta quaa spogliarsi. Stupore delle sorelle discoprire la loro domestica nel notaioche doveva sposarle agli Albanesi; am-mirazione degli uomini per la prontezzadi spirito della diabolica servetta. MaDon Alfonso si lascia cadere dei fogli,in modo che tutti se n'avvedano. Li rac-coglie Ferrando, e scopre i contratti nu-ziali, con le firme di Dorabella e Fiordi-ligi. Un allegro vivacissimo manifesta lasimulata furia degli uomini, un andante

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la disperazione sincera e supplichevoledelle donne. Con la spada sguainata Fer-rando e Guglielmo piombano nello stan-zino accanto, e un lungo silenzio immo-bilizza la trepidazione delle due donne.Ma i due gelosi rientrano trasformati e,ristabilendo per un momento il chassez-croisez amoroso delle scene precedenti,rinfacciano scherzosamente le provedella loro debolezza alle rispettive vitti-me del loro inganno. Guglielmo, perl'occasione, presentando a Dorabella ilritratto di Ferrando ch'ella gli aveva ce-duto in cambio del ciondolo a forma dicuore, impiega una citazione melodicadalle Nozze di Figaro. Anche Despina,finalmente interdetta e sorpresa, ricevela sua parte di complimenti agrodolci

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per la bravura delle sue trasformazioni.Un rapido sestetto «sottovoce», uno diquei concertati sussurrati che Mozartamava, trae la razionalistica conclusio-ne, dopo che la pace è ritornata fra ledue coppie:

Fortunato l'uom che prendeogni cosa pel buon verso,e tra i casi e le vicendeda ragion guidar si fa.La parola chiave è finalmente pro-

nunciata, dopo che tutta la partituradell'opera, con la sua magrezza essen-ziale, col suo gusto delle simmetrie edegli schematismi, con la lucida nettezzadei profili, con quell'imponderabile sti-listico che la differenzia dalle Nozze diFigaro, non ha fatto che annunziare que-

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sta parola, in quella lingua indiretta econcreta che è l'espressione musicale.Ed è per la presenza di questo messag-gio, che Così fan tutte non si saprebbemai confondere con un semplice diverti-mento di stile rococò.

Eppure, è tutto qui Così fan tutte ?nell'arido trionfo della ragione? Ci vole-va una sensibilità femminile per scopri-re il motivo della segreta pena che per-corre quest'opera buffa. Neanche tanto,com'è stato osservato, che dopo aver ce-lebrato

l'amore sentimentale, l'amore tede-sco, nel Ratto dal serraglio, l'amore-gu-sto, come direbbe Stendhal, nelle Nozzedi Figaro, la passione sensuale e diabo-lica in Don Giovanni, e prima di cele-

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brare nel Flauto magico l'amore subli-me che solleva l'umanità verso i più no-bili ideali, Mozart sciolga qui un inno,di cinica leggerezza, alla Venus vulgiva-ga, insultando il sentimento piti sacro egentile ch'egli conosca: l'amore di don-na59

No, la tristezza di Così fan tutte stanel fatto che la verità, la giusta distribu-zione delle due coppie era quella dellafinzione e non quella della realtà.

Queste donne d'un tempo passatohanno una volta sola intravisto la possi-bilità di scegliere il loro amore, e poil'hanno perduta: impulsivo, spaccone,vanitoso, leggero, Guglielmo era fattoper intendersi con Dorabella, e non conla sua sensibile sposa Fiordiligi che

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conserverà forse a lungo quell'inclina-zione per Ferrando, così tenero e cosìingenuo, e che lei non ha diritto d'amare.La sua giovinezza così presto trascorsasarà sciupata lontano dalla vita edall'amore. Per la forza delle cose que-sti esseri umani ridiventano delle mario-nette nel loro quadro di convenzioni60

Se questo è il significato ultimo diCosì fan tutte, la verità del sentimentoschiacciata dalla «forza delle cose»,cioè dalle convenzioni sociali, alloraecco che il Rousseau, cacciato dallaporta per far largo al razionalismo vol-tairiano di Don Alfonso, rientra dalla fi-nestra, e quest'operina, un tempo tantosprezzata per la sua leggerezza, rischiadi andarsi a collocare accanto a uno dei

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più augusti monumenti della cultura te-desca. Guardiamo le date: Così fan tutteè del 1790, e girò presto e abbastanzafrequentemente nei teatri d'Europa (era aMilano nel 1808, a Parigi nel 1809, aTorino nel 1816). Sarà passato sicura-mente per Weimar, nel cui teatro ducaleGoethe esternava la sua venerazione perMozart. Le affinità elettive sono del180761. Che il tragico deragliamento traEduard e Ottilie, Charlotte e il capitano,abbia le sue radici nel burlesco chassez-croisez di Fiordiligi e Ferrando, di Gu-glielmo e Dorabella ?

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L'Idomeneo: esame dimaturità

(1958)Tra le opere teatrali di Mozart, Ido-

meneo è l'ultima delle giovanili e la pri-ma delle mature. La più matura delleopere giovanili. Come ha scritto Paum-gartner, «un capolavoro di Mozart musi-cista, non ancora di Mozart operista».Abbandonando le perifrasi, Idomeneo èl'ultima opera che Mozart scrive accet-tando le consuetudini teatrali del suotempo. Col Ratto dal serraglio, acco-standosi al genere giovane e assai più li-bero del Singspiel, Mozart comincerà ad

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affacciare e imporre la propria conce-zione personale del teatro musicale, e inseguito la svilupperà fino alla perfezio-ne nella collaborazione con Da Ponte.Punto d'arrivo, il Don Giovanni, quelcapolavoro che non si lascia più misura-re con nessuno degli schemi in uso nellapratica teatrale settecentesca: non è néun'opera seria né un'opera comica.

Invece l'Idomeneo è ancora, inequi-vocabilmente, un'opera seria. Rispetta leformule convenzionali del genere, qualel'avevano elaborato i settecentisti italia-ni, da Alessandro Scarlatti a Piccinni,da Pergolesi a Hasse (italiano d'elezionee di stile), da Vinci e Leo a Jommelli eTraetta, con un pizzico di nuove conce-zioni gluckiane. Rispetto a Mitridate e

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Lucio Silla, le opere serie dell'infanziadi Mozart, c'è in più, sicuramente,l'esperienza della riforma gluckiana;esperienza diffidente e in fondo assaipoco convinta (non passerà molto tem-po, e nelle lettere scritte al padre duran-te la composizione del Ratto dal serra-glio Mozart avrà occasione di manife-stare apertamente la propria poetica tea-trale antitetica alla drammaturgia gluc-kiana: «La musica deve restare sempremusica»); ma per il momento, fa partedella raggiunta maturità di Mozart l'ob-bligo di farci i conti.

Ma, detto questo, ecco quanto biso-gna subito aggiungere a proposito diIdomeneo: ultima opera scritta da Mo-zart accettando gli schemi precostituiti

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dell'opera seria settecentesca, ma, dalpunto di vista musicale, la più bellaopera che sia mai stata scritta entro talischemi. Quando arrivò a Mozart l'ordi-nazione di un'opera seria per il carneva-le 1781 a Monaco di Baviera, si puòdire che egli moriva dalla voglia di scri-vere un'opera. L'orgogliosa sicurezzadel proprio mestiere, acquisita durantel'ultimo viaggio artistico per l'Europa,trabocca irrefrenabile nelle sue compo-sizioni salisburghesi di questo periodo,conferendo loro un tono quasi provoca-torio e tracotante, come di sfida alla me-diocrità dell'ambiente. Si pensi all'ir-ruente fierezza e all'allegria sfrontatadella Sinfonia in do maggiore K. 338.Mai come ora egli si era sentito così

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consapevole della propria superioritàsopra quanti lo circondavano, ma per di-mostrarla appieno ci sarebbe volutaun'opera. E non già un'operina buffa,come La finta giardiniera, bensìun'opera seria, in tutta la pompa dellasua pretensiosa solennità tragica.

La vita era trascorsa anche per lui,gli aveva recato le sue inevitabili espe-rienze: egli aveva varcato la soglia deivent'anni, si era innamorato, aveva sof-ferto, aveva conosciuto lo strazio dellamorte di persone care e lo smacco bru-ciante della delusione amorosa, sentivaurgere in sé tutta una gamma di senti-menti nuovi coi quali avrebbe ben sapu-to, ora, dar vita ai personaggi teatralidella nobile tradizione tragica. Ma ades-

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so che sentiva in sé questa disponibilitàdi passioni, quest'esperienza umana cosìnecessaria al musicista tragico, associa-ta ad una magistrale padronanza del me-stiere e a una ricchezza inesauribiled'ispirazione, ecco che il teatro diventa-va per lui un sogno irraggiungibile, unmiraggio. Più nessuno gli dava dei Mi-tridate e dei Lucio Siila da musicare.Nella quiete provinciale di Salisburgoegli si esasperava a scrivere messe, sin-fonie, sonate, concerti e serenate galanti,proprio adesso che tutto un mondo nuo-vo di sentimenti si agitava nel suo petto.

E questo il semplice segreto dellaricchezza di musica che Mozart riversònelle forme tradizionali del libretto ap-prestatogli dall'abate Varesco, cappella-

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no di corte a Salisburgo. Questi l'avevatratto da una tragedia di Crébillon, del1705, già ridotta a libretto da Danchet emusicata da Campra nel 1712. Anche adammettere che la ruota del tempo, allora,girava meno veloce che al giorno d'oggi,settant'anni non erano pochi. Come se ainostri giorni si fosse dato da musicare aDallapiccola un libretto tratto da Giaco-sa.

Freddo e banale nonostante la gran-diosa nobiltà del soggetto, il lavoro delpedante abate ospitava le tare che già al-lora facevano della vecchia opera seriaun genere condannato. Inoltre pregiudizimoralistici e commerciali indusserol'abate Varesco a modificare la trama,introducendo il lieto fine e sorvolando

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sul fatto che il re di Creta, Idomeneo, èanche lui invaghito della schiava troianaIlia, amata da suo figlio Idamante. Que-sto particolare scabroso prolungavaun'ombra terribile sul nodo centrale del-la vicenda, esemplata sulla storia bibli-ca di Jefte, e cioè il voto fatto da Idome-neo di sacrificare a Poseidone la primapersona che gli verrà incontro in patria,se scamperà dalla tempesta: questa per-sona sarà naturalmente suo figlio.Nell'originale francese la gentile Ilia fi-niva per sottrarsi con la morte alla tragi-ca fatalità del suo destino. Varesco, in-vece, la salvò a liete nozze grazie all'in-tervento di un oracolo quale deus ex ma-china, e sostituì quell'ingrediente dram-matico profondamente unitario, che era

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la passione del vecchio re per la schiavaprigioniera amata da suo figlio, con ladispersiva intrusione di Elettra, piovutanon si sa come da Argo a Creta e vana-mente innamorata di Idamante.

Per di più Mozart dovette tener con-to delle possibilità dei cantanti che ilteatro di Monaco metteva a sua disposi-zione. Protagonista era il tenore AntonRaaff : una celebrità, ma ormai vecchioe piuttosto sfiatato. Aveva quarantadueanni più di Mozart, era il depositariod'una vecchia tradizione, rappresentavaun gusto vocale storicamente determina-to e una scuola gloriosa, specialmente infatto di passaggi di bravura, grazie mi-niaturistiche e vaghezza di piccoli gor-gheggi: ciò che Mozart, nell'irriverente

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gergo casalingo, chiamava i «tagliatel-li». Due anni prima, a Mannheim, Mo-zart aveva scritto per lui un'aria, Se allabbro mio non credi (K. 295), chequello aveva molto gradito e apprezzato.Solo, l'aveva pregato discretamente divolerla accorciare un pochettino, perchélui non era più in grado di «souteniren»così a lungo. Mozart l'aveva subito ac-contentato. Fu allora che scrisse al pa-dre, raccontandogli l'episodio, le famoseparole: «Mi piace che l'aria si adatti alcantante così accuratamente come unabito ben tagliato».

Questo era il protagonista di cui Mo-zart si trovava ora a disporre per la suaprima grande occasione teatrale, conqualche anno in più, e oltre ad aver ri-

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guardo alla sua scarsa lena, bisognavafornirgli arie vecchiotte, in quello stileHasse 1750, cui egli andava debitoredei suoi trionfi passati. Né, del resto,Mozart era molto portato all'espressionedella pomposa solennità regale, che in-vece riusciva così bene a Gluck. Megliolo attraeva la parte amorosa ed elegiacadi Idamante, figlio del re Idomeneo, in-namorato della schiava troiana Ilia, edal padre inconsciamente votato al sa-crificio. Potè scrivere a modo suo, instile arduo e moderno, le parti femmini-li, quella dolce e rassegnata, assoluta-mente mozartiana, di Ilia, e quella diElettra, ancora gluckiana nella sua vee-mente e forsennata tragicità. Ma già que-sta coppia femminile si presenta come

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un'anticipazione di quel duplice aspettodella femminilità che verrà eternato nelDon Giovanni dalla tenera Elvira edall'altera, vendicativa Donna Anna.

Quelle parti erano infatti affidate adintelligenti cantanti, che Mozart cono-sceva bene: Dorotea Wendling e sua co-gnata Elisabetta, care amiche dei tempidi Mannheim, comprensive confidentidella grande passione di Mozart perAloysia Weber. E di Mannheim ritrova-va ora nell'orchestra di Monaco altrivecchi amici: il flautista Wendling, il fa-gottista Ritter, l'oboista Ramm. La loropresenza è responsabile dell'inusitataampiezza che talvolta assumononell'Idomeneo le frasi orchestrali: seavesse dato retta ai suoi amici dell'or-

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chestra, Mozart avrebbe dovuto fare ipreludi più lunghi delle arie! Ma abbon-dava volentieri: l'orchestra di Monacoera ricca ed esperta, possedeva i clari-netti, che a Salisburgo non c'erano, e inverità lo strumentale dell'Idomeneo silascia bene alle spalle anche l'arcaicamagrezza dell'orchestra di Gluck, e se-gna una svolta nella storia del teatro mu-sicale, soprattutto per il magistrale im-piego espressivo degli strumenti a fiato.

Indipendentemente dai meriti o daidifetti dei singoli, la compagnia di cantodisponibile a Monaco, sulle cui possibi-lità ed esigenze il compositore dovevatagliare il piano dell'opera, presentava,coi suoi cantanti di tre sessi, deficienzadi voci basse. Ciò impose un curioso

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slittamento verso l'acuto nell'assegnazio-ne dei registri vocali ai diversi perso-naggi. Sarebbe stato ovvio fare di Ido-meneo e del Gran Sacerdote baritoni obassi, e del giovane innamorato Idaman-te un tenore. Ma a Monaco di tenoric'era abbondanza, e perciò tali dovetteroessere Idomeneo e lo stesso Gran Sacer-dote; e per Idamante Mozart dovette ac-cettare un castrato! Era quindi tutta unagamma di colori particolari, che egli do-vette praticamente studiare sul posto; masi può senz'altro affermare che se l'Ido-meneo non è opera perfettamente riusci-ta dal punto di vista moderno dell'effi-cienza drammatica, una delle ragioni staappunto nella bislacca distribuzione del-le voci. Con le due donne, che avevano

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un timbro ben rispondente alla natura delpersonaggio, le cose riuscirono meglioche coi personaggi maschili. Ilia, il per-sonaggio più vivo dell'opera, canta qua-si sempre nelle due grandi tonalità mo-zartiane: sol minore, la tonalità della di-sperazione e dell'affanno, e mi bemollemaggiore, la tonalità della serena tene-rezza, della nobile e affettuosa effusionedel sentimento. Le melodie di questipersonaggi hanno linee pure, ampie, cal-me, insomma, quella larga sobrietà che èpropria della tragedia. I loro duetti econcertati intrecciano la più sapientericchezza di combinazioni musicali chemai fossero risuonate fino allora sullascena dell'opera seria. E poi c'è il coro,nella cui voce parla spesso il personag-

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gio più imprevisto che si possa pensarenell'opera settecentesca: il mare. La suapresenza è costante e incombente, comeun paesistico basso continuo: dopoMonteverdi, una delle prime apparizionidella Natura profondamente sentite nelteatro d'opera.

La bellezza dell'Idomeneo, dunque,è una bellezza di musica. Musica che an-cora non riesce ad investire interamenteil dramma e a far corpo con esso. Se neserve come pretesto per elevare le pro-prie sublimi costruzioni in una specie dispazio elisio, nel Parnaso dell'arte pura.I sostenitori della natura apollinea diMozart giustamente ne scorgono un ca-polavoro nell'olimpica classicitàdell'Idomeneo. Su quella strada, che era

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stata quella dell'opera seria settecente-sca, la strada metastasiana, tanto per in-tenderci, non si poteva fare di più.L'Idomeneo è l'opera più alta che siamai stata scritta in quello stile. In quelsenso non si poteva andare più avanti. EMozart elaborò allora la propria conce-zione del teatro musicale, con cinque ca-polavori.

Dopo vari rinvìi, l'opera andò inscena il 29 gennaio 1781, e riscosse unottimo successo. L'impressione generalesi potrebbe sintetizzare nella nota frasepronunciata dal principe elettore dopouna delle ultime prove, mentre si com-plimentava con l'autore: «Non si crede-rebbe che in una testolina così piccina cistiano cose così grandi». Singolare elo-

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gio, certo, ma non così rozzo come po-trebbe parere, se si tien presente nonsolo la giovane età di Mozart, ma so-prattutto la sua apparenza senza pretese,la sua incapacità a posare dagrand'uomo, in una parola, la prolungatainfantilità dei suoi modi. La gran novitàdell'Idomeneo, nella sua produzione, èdi mostrare per la prima volta una virilematurità di pensiero. Con l'Idomeneo sicongeda dalla fioritura spontanea deisuoi vent'anni e si lascia definitivamentealle spalle il profumo dell'adolescenza,il sorriso della giovinezza salisburghe-se.

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Il ratto dal serraglio

(1945)La composizione del Ratto dal ser-

raglio si pone in una svolta decisivadella vita di Mozart: ha appena rotto iponti con l'odiato arcivescovo Collore-do e se n'è andato sbattendo la porta.Basta con l'isolamento provinciale diSalisburgo, in mezzo alle sue montagno-le nevose, dove non giunge nulla dellagrande vita teatrale di Monaco e diVienna! Nella capitale danubiana Mozartresterà ora a suo rischio e pericolo;solo, lontano dal sicuro porto familiare,a far fuoco della propria legna. Decisio-ne inaudita per le consuetudini dell'epo-

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ca: specialmente nel mondo musicale te-desco, non si concepiva l'esistenza so-ciale del musicista se non come funzio-nario, regolarmente legato ad un impiegofisso, o presso una corte, o presso unachiesa. O presso un teatro o una compa-gnia d'opera: ma questa soluzione che inItalia alimentava l'esistenza di legioni dimusicisti, in Austria e in Germania erarara.

Mozart dunque si stabilisce a Viennacome - oggi diremmo - un libero profes-sionista, e ciò facendo compie un gestod'incalcolabile portata nella storia so-ciale della musica, anticipando quellalibertà individuale dell'artista che saràprerogativa del romanticismo. Come senon bastasse, Mozart perfeziona la sua

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piccola rivoluzione pubblica con un'al-tra rivoluzione privata, sposandosi di te-sta sua, senza attendere il consenso delpadre riluttante, con Konstanze Weber,sorella minore e in certo senso bruttacopia, modesta e casalinga, di quellaAloysia, cantante emerita e donna d'altaclasse, ch'era stata la passione fiammeg-giante e infelice dei suoi vent'anni. La-sciamo ai biografi il compito di pesaresul bilancino i pro e i contro di questomatrimonio, se Konstanze fu per Mozartla compagna che ci voleva, o una scioc-china un po' frivola che solo parecchianni dopo averlo perduto cominciò adaccorgersi d'essere stata la moglie d'unodei più grandi geni dell'umanità. Certo èche in alcune cose s'accordavano: erano

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tutti e due imprevidenti, spensierati eportati ad intendere la vita come un con-tinuo gioco, il che produceva conseguen-ze disastrose nel campo dell'economiadomestica, ma deve anche aver riempitoil loro quartierino di sposi di fenomenalirisate, d'allegrie comunicative, di giochie di spassi senza fine. «Salute, lunga vitae un cuore allegro» erano le tre cose cheMozart augurava a suo padre alla fined'una lettera, e vi si compendiava il suoideale dell'esistenza.

Quale fortunata astuzia della sorteportò a Mozart, di fresco insediato aVienna a tentare la fortuna, l'occasioned'un lavoro teatrale su un libretto la cuiprotagonista si chiamava Costanza,come la sua sposa così coraggiosamente

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conquistata, contro tanti ostacoli e divie-ti? Il contrappunto tra arte e vita, che di-verrà d'obbligo nei musicisti romantici,e che era praticamente assente in Bach,nel caso di Mozart è capriccioso e sal-tuario. Se v'è un caso in cui esso si af-fermi, è questo. Le ansie e gli affanni delmatrimonio contrastato si riflettono incerta misura nelle sorridenti angosce diBelmonte e Costanza, gli eroi del Sing-spiel tedesco Die Entführung aus demSerail, che Mozart, realizzando final-mente un suo antico sogno di nazionali-smo teatrale, scrisse dall'agosto 1781 almaggio 1782 e che andò in scena alBurgtheater il 16 luglio 1782 con cre-scente successo, nonostante intrighi e ca-bale di rivali invidiosi. Tale riflesso di

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intima partecipazione personale coloradi poesia la sprizzante comicità dellamusica che Mozart compose sui casidella «turcheria» apprestatagli da Ste-phanie il giovane (1741-1800), ispettoredell'Opera di Vienna, su una commediadi Bretzner. Questo autore teatrale, natoa Lipsia nel 1748, non mancò di innalza-re una vibrata protesta per l'uso indebitoche si era fatto del suo lavoro. Vissefino al 1807, forse abbastanza a lungoper rendersi conto dell'inaudita fortunache gli era toccata.

Mozart ha venticinque anni al tempodella composizione del Ratto dal serra-glio: per un precoce come lui è la pienamaturità. Nel gennaio di quel medesimoanno 1781 a Monaco era andato in scena

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l'Idomeneo, un'opera seria in piena re-gola, nella quale Mozart aveva, per cosìdire, toccato un tetto: era la più bellaopera che si potesse scrivere stando en-tro le convenzioni e i limiti del genereopera seria. Un'opera in ogni senso «ma-gistrale»: nel senso buono e anche nelsenso cattivo della parola. Da un puntodi vista esclusivamente musicale, la piùbella opera seria del Settecento. Più dicosì, entro quel genere teatrale, non sipoteva fare. Per far di meglio, bisognavaspezzare il genere. Il melodramma sitrovava allora in uno di quei momentistorici in cui non è più possibile faremeglio quello che si è sempre fatto: perfar meglio, bisogna fare altro.

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Mozart in quei giorni aveva mandatoal diavolo l'arcivescovo Colloredo.Aveva disobbedito al padre, o per lomeno l'aveva per la prima volta piegatoalla propria volontà, facendogli accetta-re, e sia pure in extremis e senza entu-siasmo, il suo matrimonio. Su questaspinta insurrezionale venne spontanea laterza tappa: rompere le consuetudini me-lodrammatiche per realizzare quell'idea-le di teatro che da tempo Mozart vagheg-giava confusamente. Un teatro che nonfosse chiuso nei termini invalicabilidell'opera seria e dell'opera comica, maprendesse dell'una e dell'altra per pro-durre un'immagine fedele della vita,dove il comico e il tragico non stannoseparati, ma si mescolano inestricabil-

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mente in una trama cangiante. Un teatromusicale nuovo per consentire un ritrattodell'uomo, nelle sue infinite possibilitàaccidentali.

La grandezza musicale non basta afar grande l'operista: non bastò - casoesemplare - a Schubert. Ci vuole queldono goldoniano dell'osservazione, per-fino pettegola e indiscreta, che Mozartpossedeva al massimo grado. Tutte lesue lettere ce lo mostrano sempre atten-tissimo allo spettacolo affascinante dellavita e delle persone. Il mondo gli si pre-senta come un palcoscenico, gli uomini ele donne che incontra, come personaggi.Non c'è piccolo tic, o difetto di caratte-re, o imperfezione fisica o singolarità dicomportamento che sfugga all'occhio in-

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quisitivo di quel ragazzo, sempre occu-pato a scrutare il prossimo62 Le lettereche scrive a casa durante i suoi viaggisono gallerie inesauribili di personaggi.E ciò che lo affascina, fino a stregarlo,in questo spettacolo, è la sua infinitamobilità: non ci sono al mondo duecreature uguali. Ogni descrizione che sipossa tentare d'una persona e del suo ca-rattere - l'allegro, il malinconico, il pen-sieroso, e via dicendo - non è che unagenerica approssimazione. Ci sono mi-lioni di maniere d'essere allegro, malin-conico, collerico, goffo, elegante eccete-ra. Il sogno teatrale di Mozart è d'arriva-re al nocciolo dell'individuo, al quidunicum che si cela all'interno d'ognipersona, e ne fa un hic et nunc, qualcosa

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di assolutamente determinato, «oggi equi» nelle coordinate del tempo e dellospazio: ogni essere vivente, per modestoche sia, è un punto d'individuazione incui viene a compendiarsi la situazionestorica. Compito del teatro è di riper-correre a ritroso quella strada, mostrarvil'individuo nella sua specificazione. Ifatti che avvengono agli uomini (e alledonne) sono poi sempre gli stessi: letrentadue trame-base in cui si diceva chesi compendiasse il teatro. È il miracolodell'individuazione che permette di dif-ferenziarle. Per far questo, per insufflareuna concreta vita teatrale nei «ruoli» tra-dizionali dell'opera seria e dell'operacomica - il tiranno eroico, l'amoroso, laprima donna, la servetta, il tutore, la ma-

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dre nobile, il servo sciocco, e tutta l'al-tra fauna del teatro d'opera, non menofissa e immutabile che i soliti leoni, ti-gri, elefanti, pinguini, scimmie, orsibianchi, giraffe e foche dei giardini zoo-logici - per far questo occorreva spezza-re gli schemi entro cui si era irrigidita,da Alessandro Scarlatti in poi, la bipar-tizione del melodramma in serio e comi-co. Questo teatro nuovo Mozart ce l'ave-va in testa confusamente da tempo, edera la passione artistica che bruciava lasua vita. «Non dimentichi il mio deside-rio di scrivere opere, - scriveva al pa-dre il 4 febbraio 1778. - Sono invidiosodi ognuno che le può scrivere; piangereidi dolore quando sento un'aria o vedoun'opera». E pochi mesi prima:

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Ho una voglia irresistibile di scrive-re ancora una volta un'opera... È vero,non si ha una gran somma, però è qual-che cosa e si ha più onore e più creditoche se si danno cento concerti in Germa-nia, e io sono più allegro, perché possocomporre, ciò che in fondo è la mia uni-ca passione e la mia unica gioia... Per-ché appena sento parlare di un'opera,appena sono a teatro o sento delle voci...allora sono subito fuori di me.

Ma fino a questo momento la sua vi-sione non era stata così chiara che glis'imponesse in maniera irresistibile e glidesse il coraggio di rompere con le rin-secchite convenienze e inconvenienzeteatrali. Né Mozart era, artisticamente,un sacrilego, un eversore: nessuno me-

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glio di lui apprezzava il valore della tra-dizione e ci stava naturalmente immerso.Il confuso ideale di teatro nuovo, che quigli attribuiamo, certamente non si confi-gurava per lui come rottura col teatrovecchio, bensì come trasformazione esviluppo. Praticamente si trattava d'unaspecie di ibridazione, che era in corsoanche nella contemporanea opera comi-ca italiana, quella di Piccinni, di Pai-siello e di Cimarosa: conferire all'operacomica la ricchezza di mezzi musicalidell'opera seria (orchestra, grandi voci,dignità e complessità di scrittura), man-tenendole invece la sua freschezza di os-servazione del mondo, l'agilità delle for-me e in particolare la dialogicità deiconcertati o pezzi d'insieme.

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Nell'ebbrezza di quel primo annoviennese, quando la fortuna pareva dav-vero assistere l'audace e giustificare ilcolpo di testa rischiato da Mozart, vennedi per sé, naturalmente, il coraggio ditentare anche l'esperimento del nuovoteatro musicale. L'invito della corte ascrivere un'opera per il Burgtheatergiunse nel momento opportuno, quasi asanzionare materialmente i successi cheMozart stava ottenendo a Vienna nelcampo della musica strumentale edell'esecuzione al cembalo. Il teatro,meta costante di tutta la sua vita, ma daSalisburgo quasi irraggiungibile, sem-brava aprirglisi a Vienna con facilità.Può darsi che la soddisfazione di Mozartsia stata lievemente offuscata dal fatto

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che l'ordinazione fosse quella di unSingspiel, cioè di una forma minore, in-feriore al vero e proprio melodramma,sul piano del prestigio sociale. D'altraparte questa eventuale ombra doveva es-sere fugata dall'opposto vantaggio di po-tere così scrivere finalmente un'opera intedesco. Era questo un desiderio anticoe mai sopito. «Ogni nazione ha la suaopera, - scriverà al padre nel 1783 -perché noi Tedeschi non dovremmoaverla ? Non si può forse cantare in te-desco come in francese e in inglese?»Sei anni prima:

E come sarei amato poi se aiutassi arialzare le sorti del teatro musicale na-zionale in Germania ! E questo acca-drebbe certamente per mezzo mio, per-

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ché quando sentii l'opera tedesca avevogià una voglia immensa di scrivere.

In ogni caso la sorte fece le cose perbene quando fece incontrare Mozart, inquesto momento decisivo, con la formalocale del Singspiel. Era questa una for-ma teatrale di data recente, e pertantonon ancora consolidata entro un rigidoschema di convenzioni, come la secolareopera italiana. Quando Mozart scrisse Ilratto dal serraglio, il genere del Sing-spiel aveva poco più d'un decennio divita né aveva ancora dato luogo a pro-dotti memorandi: stava cercando se stes-so, attraverso i tentativi di Johann AdamHiller (1728-1804) e di Georg Benda(1722-1795), ed era perciò malleabile,aperto a qualunque fecondazione di nuo-

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ve idee teatrali. L'ideale per la febbre dirinnovamento che ardeva in Mozart alprincipio del suo insediamento viennese.Certo, la storia non si fa con i «se», maviene spontaneo di pensare che forse, sea Mozart in questo momento l'imperatoreavesse ordinato un'opera italiana, egliavrebbe ancora scritto un'opera seria inpiena regola, come l'Idomeneo, oun'opera comica tradizionale come Lafinta giardiniera. Invece proprio da po-chi anni, nel 1778, l'imperatore Giusep-pe II, nel quadro delle sue illuministicheriforme, aveva cercato di promuovere arango nazionale l'umile forma indigenadi teatro musicale, il Singspiel, speciedi farsa quasi dialettale (dal punto di vi-sta musicale, ancor più che dal punto di

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vista della lingua), nella quale si alter-navano passi di canto e passi di recita-zione, con un concorso strumentale disolito assai modesto. L'incontro di Mo-zart con la forma del Singspiel fu l'in-contro felice di due giovinezze, e forsefu una tappa necessaria perché il compo-sitore si sentisse poi in grado di portarela sua visione teatrale in seno alla glo-riosa opera italiana. E saranno allora itre capolavori scritti su libretti del DaPonte.

Tutto questo per illustrare la posi-zione singolare del Ratto dal serraglioin seno alla produzione teatrale di Mo-zart. Ha alle spalle altri dodici spettaco-li, tra opere vere e proprie, oratori eazioni teatrali, eppure sembra un'opera

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prima. È l'opera prima di un musicistache aveva già compiuto tutta una carrie-ra tradizionale d'operista, giungendo allavetta dell'Idomeneo: poi aveva fattopelle nuova.

La buffoneria ridanciana del Rattodal serraglio, col suo esotismo di carta-pesta, può magari sembrare una sede unpo' umile per un esperimento teatrale ditanta ambizione. Il comico non è un faci-le articolo d'esportazione. La tragedia ele ragioni del dolore sono uguali dap-pertutto. Ma le ragioni del riso no. Nonsi ride in Italia per le stesse ragioni percui si ride in Francia, in Austria o in In-ghilterra. Opere come II ratto dal serra-glio, così radicate entro una tradizioneindigena di comicità popolare, sono un

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po' come quei vini di cui si dice chevanno bevuti sul posto, perché non reg-gono l'esportazione. Il genere turchesco,che prosperava allora nel teatro euro-peo, e in quello austriaco in modo deltutto particolare, va ricondotto alle sueragioni storiche, per smacchiarlo di queltotale disimpegno che sembra sua prero-gativa. Non erano ancora passaticent'anni dacché le vittorie di Eugenio diSavoia avevano stroncato per semprequello che nel libretto dell'Otello vienchiamato «l'orgoglio musulman». L'Eu-ropa respirava, liberata dalla paura delnemico secolare, che più d'una volta erasalito a minacciarla fin sotto le mura diVienna, e che con le sue fulminee incur-sioni piratesche aveva sparso su tutte le

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coste mediterranee il terrore dei Sarace-ni, e costretto tanti villaggi delle monta-gne liguri e provenzali ad arroccarsi incima a bricchi dei più scomodi, in ran-ghi serrati d'abitazioni simili a fortezze.«Mamma, li Turchi! »: il grido di spa-vento si è tramandato fino ai giorni no-stri.

Con la scomparsa del pericolo, s'eraprodotto un comprensibile movimentopsicologico, simile al rifluire della ma-rea. L'antico nemico, sempre presentenegli animi, accendeva le fantasie con uninteresse divertito che finiva per risol-versi in suo favore. Come spauracchio,il turco ormai faceva ridere, era diventa-to oggetto di allegre facezie. D'altra par-te, cessato l'odio alimentato dal terrore e

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dalla propaganda di guerra, finiva cheun movimento di simpatia rifluiva sulnemico d'un tempo. Ci si rendeva conto,naturalmente, che Turchi e Musulmaninon erano necessariamente degli anticri-sti, ma al contrario anche fra loro s'in-contravano degnissime persone. Popolicommercianti e navigatori, come i Venetie i Dalmati, lo sapevano da tempo. Loroche avevano fiduciari e uomini d'affarisulle rive del Bosforo, con tanto di tur-bante in testa e pantaloni larghi e bab-bucce, non davano alcun peso alle diffe-renze esteriori, badando alla realtà degliuomini che stavano dentro quegli involu-cri pittoreschi. Il polemico riconosci-mento delle possibili virtù dei Turchi,con allusivo riferimento alle sicure ma-

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gagne di tanti cristiani, si inseriva in unalontana e illustre vena cosmopoliticadella cultura europea e risaliva fino airacconti del Novellino e del Decamero-ne: la saviezza di Natan del Cattajo, lagenerosità del Saladino, la storia dei treanelli.

Tutt'altro che una fantasticheria eso-tica senza fondamento, il genere turche-sco ci si rivela invece profondamenteradicato nella coscienza popolare, comeun'allegra vendetta che, cent'anni dopola definitiva liberazione dal pericolo ot-tomano, l'Europa si prendeva del seco-lare nemico, ritraendolo nei suoi caratte-ri di barbarie selvaggia e collerica: equi è la parte di Osmino, guardiano delserraglio, con la sua buffonesca trucu-

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lenza. Ma sullo spauracchio reso inno-cuo dal tempo s'era riversata una sorri-dente simpatia: gli si prestavano nobiliideali umanitari aggiornati secondo idettami della filosofia del secolo. E quiè la parte del generoso Pascià, che finiràper lasciar liberi i due colombi, Costan-za e Belmonte, malgrado le colpe di cuis'era macchiato nei suoi riguardi il pa-dre di Belmonte, il comandante spagnolodi Orano, Lostados.

In Austria, più d'ogni altro paesed'Europa esposta al pericolo e all'in-fluenza musulmana, la musica turca eradiventata un genere ben definito. Conti-nua alternanza di maggiore e minore, el'apparato percussivo di cassa, piatti,triangoli, campanelli eccetera, costitui-

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scono gli elementi specifici di questolieve e pittoresco esotismo, dove l'effet-to comico nasce dalla ferocia selvaggiadel barbaro rilevata nella sua ottusitàdal civile spettatore europeo.

Come attua Mozart la sua espugna-zione del Singspiel, prima, relativamen-te piccola vittoria in confronto a quelleespugnazioni dell'opera italiana che sa-ranno, ben presto, Le nozze di Figaro eDon Giovanni ? Mozart s'impossessa ditutta la freschezza antiretorica, tutta lanaturalezza e la vivacità del genere, manello stesso tempo evade dai limiti dellospettacolo popolare. (Bisogna infattipensare il Singspiel come qualcosa disimile all'operetta, o meglio ancora allarivista dei giorni nostri: si riscontra

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spesso, nella storia del teatro, questaspecie di rinsanguamento dal basso).Egli v'introduce una straordinaria digni-tà e ricchezza di scrittura musicale e,tanto per cominciare, un'orchestra qualeil piccolo genere popolare del Singspielnon s'era mai sognata. Acquista signifi-cato l'aneddoto che sempre si raccontadell'accoglienza fatta all'opera da Giu-seppe II. Congratulandosi col musicista,l'imperatore ritenne di dovergli muovereun appunto: «Troppe note». Al che Mo-zart di rimando: «Neanche una più delnecessario, maestà». È probabile chel'osservazione un po' goffa del sovranorispecchiasse l'impressione del pubbli-co, stupito, e forse sgomento, del flussoinarrestabile di grande musica gettato

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addosso a un modesto divertimento po-polare, simile all'operetta.

Né è da nascondersi che qualchevolta le gracili impalcature teatrali delSingspiel scricchiolano un poco sotto ilpeso d'imponenti arie tripartite, con tan-to di regolare «da capo». La celebre«aria dei martiri» di Costanza, nel se-condo atto, pone alla regia problemi didifficile soluzione, con l'immensa esten-sione del suo preludio orchestrale: figu-rarsi come ci poteva stare, entro le abi-tudini sbrigative del Singspiell Non tuttele arie cascano così a proposito, dalpunto di vista drammaturgico, come larumorosa e buffonesca aria della colleradi Osmino, o le due simmetriche arie ditenerezza e di nostalgia, quasi due sospi-

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ri che si rispondono, di Belmonte e diCostanza nel primo atto. Qualche aria,fornita di giustificazioni musicali piùche drammatiche, viene addirittura sbal-lottata a seconda delle edizioni, senzatrovare una collocazione sicura: cosìl'aria di Belmonte Wenn der FreudeTränen fHessen. Prima opera della ma-turità, o ultima opera della giovinezza?La florida lunghezza delle arie, e inqualche caso anche dei loro preludi stru-mentali, ci fa talvolta avvertiti che unampio versante del Ratto dal serraglioguarda ancora all'Idomeneo più che alleNozze di Figaro, alla poetica dell'ope-ra-concerto più che alla nuova continuitàdrammatico-narrativa della commediamusicale. Anche la prima aria di Blon-

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de, al principio del secondo atto, sembrapiù da concerto che da teatro: serve asospingere la voce del secondo sopranoad altezze vertiginose. Ma con qualegiustezza di carattere esplode invece,come prodotta e catapultata dall'azione,l'allegria di Welche Wonne, welcheLust! Lo stesso si dica per l'aria diOsmino nel terzo atto, O wie will ichtriumphieren. L'aria di Belmonte nelprimo atto, Konstanze, Konstanze, se-guita da O wie ängstlich, o wie feurig,rimescola nell'unità formale sfumatureimponderabili di sentimenti cangianti econtrastanti: la gioia di rivedere trapoco la sposa, il doloroso ricordo dellapassata separazione, l'ansia per l'incertoavvenire e per l'ignoranza di quanto sia

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realmente avvenuto. «I violini - scriveMozart al padre - segnano anche il batti-to del cuore». Tutto ciò si amalgama inun'onda di sentimenti, di rapimento, d'af-fanno che si sottrae ad ogni classifica-zione psicologica, è una realtà concretae storicamente individuata, che nessunoschema verbale potrebbe fissare: solo lamusica, quella determinata musica, ne èla diretta equipollenza, senza che alcundiaframma razionalistico si frappongacome mediatore tra la vita del suono e lavita della coscienza. È il nuovo stile de-gli «affetti spezzati», che si afferma nel-lo stile drammatico e sonatistico dellaseconda metà del Settecento, lasciandosialle spalle l'espressione per blocchi mo-nolitici del cosiddetto stile barocco di

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Corelli e di Vivaldi, di Bach e di Hän-del. Si pensi alle arie della Passione se-condo san Matteo, ognuna delle qualiesaurisce a fondo l'espressione di unsolo sentimento, e si confronti con la in-stabile mobilità espressiva dell'aria diBelmonte. Sono quelle che Torrefrancachiamò le origini italiane del romantici-smo musicale. «Nel crescendo - scrive-va Mozart al padre a proposito diquell'aria - si vede il tremore, il vacilla-re; si vede l'affanno; ma si sentono ancheil sussurro e il sospiro, espressi dai pri-mi violini in sordina e da un flautoall'unisono».

Naturalmente è nel confronto deipersonaggi, e nella loro varia associa-zione in concertati e scene d'insieme,

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che la musica di Mozart dà principal-mente vita a quel nuovo ideale teatralech'egli sentiva urgere in sé. L'opera rea-lizza una sua unità drammatica nellasimmetrica opposizione di personaggiaristocratici e volgari: motivo operisticocaro a Mozart, che gli permetteva d'im-piegare le sue capacità di caratterizza-zione. La tenerezza lieve e sospirosa,venata di elegiaca malinconia, dellacoppia aristocratica, e la comicità farse-sca della coppia dei servi, sono comedue fili di diverso colore che percorro-no tutto l'ordito dell'opera e si congiun-gono in quel capolavoro drammatico epsicologico che è il quartetto del secon-do atto, voluto espressamente da Mozartnella stesura del libretto. I quattro inna-

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morati sono finalmente riuniti. Ma, nellabreve felicità del momento, un molestosospetto si fa strada nei due uomini, chefiniscono per esprimerlo, dopo lungaesitazione, Belmonte con estrema deli-catezza, Pedrillo con la sua incorreggi-bile volgarità. Vorrebbe sapere da Bion-dina se il terribile Osmino non abbiaprobieret und exerzieret su di lei i suoidiritti di padrone. La scena si svolge condeliziosa simmetria settecentesca: Co-stanza rabbrividisce pudica, e ha unasemplice, schietta frase dolorosa. « O,wie du mich betrübst». Ma Biondina al-lunga un ceffone a Pedrillo, dopo di chei due amanti - inginocchiato l'uno, e l'al-tro soffregandosi la guancia - si dichia-rano persuasi e chiedono e ottengono il

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perdono, soave il perdono di Costanza,dispettoso e collerico quello di Biondi-na. Il contrappunto psicologico - castadelicatezza della coppia nobile e rubestaenergia della coppia popolana - è unadelle perfette riuscite teatrali di Mozart.

Per la prima volta il teatro mozartia-no realizza quel singolare connubio d'al-legrezza e di tenera malinconia che eva-de dagli schemi dell'opera seria edell'opera comica, e che costituisce ilsuo fascino segreto. Era il tempo delRührstück, della commedia lacrimosadove l'intenerimento sentimentale perva-de la magnanimità eroica e la stessa co-micità. Pagine di accorata tenerezza con-tengono le arie di Belmonte e di Costan-za (che paga un forte tributo al virtuosi-

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smo vocale e gareggia in acuti con l'al-tro soprano, soprattutto nella vasta e ac-cidentata aria detta «dei martiri». Mo-zart stesso ammise di avere «sacrificatoun pochino quest'aria alla velocità dellagola di Mademoiselle Cavalieri»), Unapopolaresca allegria, una irresistibilevitalità ed energia di autoaffermazione ènel personaggio di Biondina, mentre ilsuo fidanzato Pedrillo si vede gratificatod'una romanza assolutamente straordina-ria per il suo sottile esotismo, non più disuperficiale turcheria, ma romantico etrobadorico. Infine, nel piramidale per-sonaggio del turco Osmino, lo sbraitanteguardiano del serraglio, si sfoga la can-dida, invincibile voglia di divertimentodi quell'eterno bambino che Mozart sep-

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pe rimanere a dispetto di tutte le traver-sie della vita, e viene massimamente af-fermato il carattere di spettacolo popo-lare che è proprio del Singspiel.

Ma se fosse tutto qui, l'opera si ri-durrebbe per l'appunto ad essere nientepiù che un Singspiel arricchito d'alcunenobili arie operistiche, di straordinariafattura e di eccezionale afflato melodico.Invece II ratto dal serraglio è qualcosadi più, è anch'esso, come le future operedi Mozart, un monumento eterno dellacultura e dell'arte. Dov'è, com'è che que-sto spensierato spettacolo popolare sisolleva verso le altezze dei grandi mes-saggi spirituali ? Nel già citato quartettoche chiude il secondo atto, una volta chele due coppie di sposi ritrovati hanno

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superato gli imbarazzanti sospetti e ledonne concedono il perdono per l'offen-siva domanda avanzata dai pretendenti,allora la musica salpa verso un altromondo. L'accento diventa propriamentereligioso, il quartetto operistico suonacome un mottetto sacro, i concenti deilegni hanno qualcosa di organistico. (Ladialettica dei generi musicali è uno degliinfallibili strumenti espressivi di Mo-zart). Si tocca qui una delle radici ne-vralgiche dell'arte di Mozart. Il perdonoè ben altro che quello concesso da Co-stanza e Biondina agli oltraggiosi so-spetti dei fidanzati. È un perdono univer-sale, un'assoluzione del genere umano,che viene mondato, in un empito di caldaindulgenza, dal peccato originale. È il

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regresso all'età dell'oro, il ricupero delparadiso perduto, la rivendicazione deldiritto a una felicità da godere qui, suquesta terra, secondo l'ideologia del giu-snaturalismo settecentesco. Mozart nonsapeva niente di queste faccende, ma re-golarmente la sua musica andava a bat-terci, quando il teatro la coinvolgevanello spettacolo degli affanni e dei tor-menti delle creature. Il caldo senso di fi-lantropia di Mozart non perdeva occa-sione per intonare il suo «seid um-schlungen, Millionen»: abbracciatevi, omilioni.

E il canto della felicità ritrovatasuona nell'altro momento altissimodell'opera, le fiabesche strofette delvaudeville finale, ripetute a turno da cia-

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scun personaggio, quasi come un circo-lare incantesimo. Tutti i nodi della vi-cenda sono ormai sciolti, è questo ilcanto di grazie per l'inattesa generositàdel Pascià. E nel suo piglio sentenziosoe fiabesco la melodia ha il potere di rie-vocare le passate traversie dei quattroinnamorati facendole ricontemplare perun'ultima volta dal porto della raggiuntafelicità. Realtà e finzione scenica si me-scolano in un incredibile clima irreale:c'è la gioia del lieto fine e la punta dimalinconia della festa che finisce, delsipario che sta per cadere. È il momentoin cui il buon burattinaio esce dalla suabaracca e tiene ai bambini un deliziososermoncino, che dissipi in loro l'illusio-ne dello spettacolo e li mandi a casa più

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saggi e più buoni. È in certo modo ilpunto d'incontro delle due realtà: quellascenica e quella che tra poco accoglieràlo spettatore, quando, infilatosi il sopra-bito, uscirà dalle luci del teatro nel fred-do e nella nebbia delle vie cittadine. Emai la realtà della finzione scenica èparsa tanto vivida e allucinante, comeora che viene consapevolmente messa aconfronto col senso della sua caducità,col presagio della prossima fine.

Il ratto dal serraglio presenta unacaratteristica specifica, dovuta appuntoal suo carattere di Singspiel, l'impiegodella parola recitata, insolito nell'operalirica tradizionale. L'uso teatrale ne ha,in verità, ridotto al minimo le apparizio-ni, sfrondando largamente i passi recita-

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ti. Solo il personaggio del Pascià, che,com'è noto, non canta, ha una tirata d'unacerta ampiezza. Del resto le inserzionidel parlato sono collocate con abilitànei punti di sosta, dove servono quasi dacesure tra episodi musicali distinti, equasi da pedana di lancio per la musicache seguirà. Per non parlare del primoesempio, nella canzone di Osmino e suoduetto con Belmonte, dove Mozart si ègiovato del parlato per un allucinante ef-fetto teatrale. Osmino è arrampicato suuna scala e sta cogliendo fichi da un al-bero. Intanto canta una sua canzoncina,di strofette amorose, ognuna terminatada un «trallallera». Arriva Belmonte,che cerca il modo per penetrare nel pa-lazzo, e quando quello ha finito la prima

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strofa, lo interpella, parlando: «Ehi,amico, è questa la casa del Pascià Se-lim?» Il turcaccio sgarbato non gli dà ri-sposta, e continuando a cogliere i suoifichi attacca la seconda strofa della suatiritera. Dopo l'ultimo «trallallera» Bel-monte chiama di nuovo, e Osmino loguarda, poi gli volta le spalle e ricomin-cia a coglier fichi e a cantare la terzastrofa. Qui il parlato di Belmonte è ladimensione naturale dello spettacolo, eOsmino canta non perché siamo inun'opera lirica, ma perché l'azione ri-chiede che qui egli debba cantare, permanifestare la sua sgarberia verso lostraniero. Se si trattasse d'una commediadi prosa, Osmino, in questa scena, do-vrebbe cantare qualche couplet. Quan-

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do, alla fine della terza strofa, Belmonteè stufo d'aspettare e si mette ad impreca-re, allora comincia a cantare pure lui, edè come se i due mondi teatrali, quellodella commedia e quello del melodram-ma, qui confluissero e si trapassasse dalprimo nel secondo. È come un fenomenodi illusione ottica, abilmente addotto esfruttato, tra i generi teatrali. Basterebbeun trucco di questo genere a documenta-re la passione teatrale di Mozart, la suainesausta passione del palcoscenico:grande uomo di teatro, non meno chegrande musicista.

La circostanza che Mozart abbiascritto Il ratto dal serraglio a Vienna,per la prima volta emancipato dalla tute-la patema, ci vale una fortuna straordi-

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naria, e cioè le frequenti lettere con cuiegli informava il padre, rimasto a Sali-sburgo, dei progressi del suo lavoro.Abbiamo quindi per II ratto quello dicui si sente così dolorosamente la man-canza per le grandi opere italiane diMozart: qualche informazione diretta sulsuo lavoro. Il primo annuncio è datato I°agosto 1781:

Ier l'altro Stephanie mi ha dato un li-bretto da mettere in musica. Devo con-fessare che, per quanto possa essere cat-tivo con altra gente, che non conosco,con me è un buon amico. Il libro è moltobuono. Il soggetto è turco e si chiamaBelmonte e Costanza o II ratto dal ser-raglio. La sinfonia, il finale del primoatto e la chiusa del coro li farò in stile

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turco. Canteranno Mademoiselle Cava-lieri, Mademoiselle Teyber, MonsieurFischer, Monsieur Adamberger, Mon-sieur Dauer e Monsieur Walter. Sonotanto contento di comporre questo sog-getto che l'aria della Cavalieri e quelladi Adamberger e il terzetto del primoatto sono già finiti. Il tempo è breve...,ma le circostanze legate al momento incui si darà l'opera e tante altre cose ral-legrano così il mio spirito che corrosempre al tavolo con ardentissimo desi-derio e vi rimango con la gioia più viva.

Nella lettera del 26 settembre soncontenute le preziose dichiarazioni diMozart sulle sue convinzioni teatrali, lesole su cui si possa fondare qualcosacome una poetica mozartiana, e che per

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il loro rapporto d'opposizione con leprogrammatiche dichiarazioni premesseda Gluck alla partitura àzWAlceste costi-tuiscono una specie di crocevia storiconella storia del melodramma e della ma-niera di concepirlo. Mozart sta lavoran-do all'aria di Osmino, l'aria furibonda incui egli minaccia di squartare, impicca-re, impalare tutti i cristiani e gli impor-tuni che vengono a turbare la regolaritàdel serraglio.

La collera d'Osmino - dice Mozart -viene portata al comico perché la musi-ca turca è adattata alla circostanza... Poiuna persona accesa da collera così vivatrapassa ordine, misura e mira; non si ri-conosce più e così non bisogna ricono-scere nemmeno la musica. Ma poiché le

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passioni anche violente non devono maiarrivare fino al disgusto, così pure lamusica, anche nel momento più terribile,non deve mai offendere l'orecchio, masempre far godere e rimanere sempremusica.

Insieme alla storica affermazione:«Io non so, ma in un'opera la poesiadeve essere assolutamente la devota fi-glia della musica», contenuta in altra let-tera, del 13 ottobre, abbiamo qui i testisacri d'una concezione dell'opera oppo-sta a quella sostenuta da Gluck. («Pensairestringere la musica al suo vero ufficiodi servire la poesia per l'espressione»,scrive Gluck nella prefazione dell'Alce-ste). Da una parte abbiamo la concezio-ne dell'opera come festa, interamente ca-

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lata nell'autonomia di forme musicali;dall'altra vediamo iniziare la concezionedel dramma musicale. Da una parte il fi-lone di Rossini e dell'opera italiana;dall'altra Wagner con tutte le sue conse-guenze. Conseguenze che quel mozartia-no e rossiniano impenitente di Stendhalnon avrebbe tardato a divinare consguardo d'aquila, quando nel suo fonda-mentale edonismo ammoniva che se inmusica «si sacrifica a qualche altra in-tenzione il piacere fisico ch'essa ci devedare innanzi tutto, quello che si sentenon è più musica: è un rumore che vienead offendere il nostro orecchio sottopretesto di commuoverci l'anima»63

Come se avesse già previsto, con unpresago orecchio interno, Wagner,

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Schönberg, Erwartung e Die glücklicheHand, il Wozzeck di Berg e Lulu ! Primache le due vie future del teatro d'opera sidipartissero da questo nodo. Stendhalaveva già fatto la sua scelta. E per con-tro un modesto poète de boudoir delSettecento, Joseph Dorat (1734-1780),aveva già saputo fare la scelta opposta:

Il échappe parfois des sons à ladouleur,

qui sontfaux pour l'oreille, maisvrais pour le coeur.

Tra Stendhal e Dorat si definisce ildispluvio delle sorti future per l'operalirica.

Proprio alla radice di questo croce-via sta II ratto dal serraglio, la primaopera della totale originalità di Mozart,

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svincolato dagli schemi ormai vetustidel melodramma italiano del Settecento.Un'opera di maturità, s'è detto, che hatutta la freschezza della giovinezza. Diquesta situazione in certo senso privile-giata, nessuno s'è reso conto così benecome un altro musicista, Cari Maria vonWeber.

Credo di scorgere in quest'opera -egli scrisse - ciò che sono per ogniuomo gli anni felici della giovinezza, lacui bella epoca non si può mai ricupera-re, mentre, d'altra parte, nel correggercidai difetti di quell'età, ci sfuggono cosepreziose che non possiamo più ritrovare.Oso perfino esprimere la convinzioneche nel Ratto Mozart ha raggiunto la ma-turità dell'esperienza artistica, e in se-

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guito è soltanto l'esperienza del mondoche continua a produrre. Il mondo era indiritto d'attendere da lui molte operecome Figaro o Don Giovanni. Ma quan-to al Ratto dal serraglio egli non avreb-be potuto, con tutta la migliore volontà,scriverne un secondo64

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La clemenza di Tito: tra neoclassici-smo e restaurazione

(1981)Nell'ultima estate della vita di Mo-

zart, mentre era intento a musicare il li-bretto di Schikaneder per II flauto ma-gico, gli giunse da Praga l'invito a com-porre rapidamente un'opera seria perl'incoronazione del nuovo imperatore,Leopoldo II, che si recava ad assumerela corona di Boemia. Per le feste dell'in-coronazione imperiale a Vienna e perquelle di Francoforte, l'anno prima, Mo-zart non era stato nemmeno invitato.Aveva composto il Concerto per piano-forte in re maggiore K. 537 e si era re-

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cato a Francoforte a proprie spese pereseguirlo. Il nuovo imperatore non ave-va per lui nemmeno quell'affettuosa in-dulgenza che Giuseppe II gli portava,come a un bambino, senza rendersi contodella sua grandezza.

Praga invece gli era amica e lo am-mirava. L'opera di circostanza per l'in-coronazione del re di Boemia la voleva-no da lui. Ma gli imponevano il libretto:La clemenza di Tito, di Metastasio, sog-getto inevitabile per celebrazioni dina-stiche. Purtroppo era un testo vecchio dicinquant'anni, e perciò fu ritoccato, se-condo le nuove esigenze del gusto tea-trale, da Caterino Mazzola, poeta allacorte di Sassonia, che in quel tempo sitrovava a Vienna in sostituzione di Da

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Ponte, costretto ad allontanarsi dalla ca-pitale per certi suoi trascorsi. Nel cata-logo delle proprie opere Mozart registròLa clemenza di Tito su poesia del Meta-stasio, «ridotta a vera opera dal signorMazzolà». Che cosa intendeva con que-sta strana espressione ? Non erano vereopere quelle che Caldara, Leo, Hasse,Gluck, Jommelli e tanti altri avevanoscritto su quel testo ?

Oltre a tagliare il dramma in due atti,anziché in tre, Mazzola introdusse qual-che occasione di duetti e terzetti e grandiconcertati di fine d'atto in quella sfilzaimplacabile d'arie con recitativo ch'erail dramma originale di Metastasio. Era-no venticinque arie. Mazzolà ne salvòsette (e sono i numeri 2, 6, 8, 9, 16, 20 e

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21 dello spartito di Mozart); ne sostituìcinque nuove, e introdusse otto insieme,tra duetti, terzetti e i due finali. Fu su ri-chiesta di Mozart che Mazzolà operòquesti ritocchi ? Sembra ovvio pensarlo,anche se non si sa nulla di sicuro sullacollaborazione tra poeta e musicista: vi-vevano nella stessa città, e quindi tuttosi sarà svolto a voce, in colloqui di la-voro. Ma i ritocchi di Mazzolà vannoproprio nel senso della drammaturgiamozartiana: l'attivazione di dialoghi mu-sicali tra personaggi era stata proprio lagrande innovazione messa a punto daMozart nel quadro dell'opera comica.

Ma pur con questi aggiustamenti dellibretto, Mozart ricadeva ora nel binarioobbligato dell'opera seria, genere dal

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quale era evaso fabbricandosi, a suon dicapolavori, un tipo di teatro musicale amodo suo, che non era né opera seria néopera comica, e congiungeva la ricchez-za musicale dell'una con la fresca natu-ralezza dell'altra. Lo schema dell'operaseria già gli andava stretto dieci anniprima, quando aveva scritto l'Idomeneo.Ma allora egli non aveva ancora formu-lato la propria concezione di teatro per-sonale, e inoltre là c'era lo slancio, c'erala felicità di avere ottenuto finalmenteuna commissione importante. Perché,per quanto l'opera seria fosse ormaisclerotizzata e rinsecchita, «una reliquiafossile di strati culturali anteriori»65

essa conservava tuttavia supremo presti-gio nella gerarchia sociale dei generi

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teatrali. Che la grande città di Monacogli ordinasse, dopo La finta giardinie-ra, nientemeno che un Idomeneo, era perMozart una promozione ed egli l'avevaaccolta con entusiasmo. Ora, invece, ri-tornare all'opera seria, significava retro-cedere. L'Idomeneo era stato, si, un'ope-ra seria in piena regola, ma guardavaavanti. La clemenza di Tito guarda in-dietro. È un caso artistico di restaurazio-ne, quando la restaurazione politica eraancora di là da venire.

Questa è la ragione fondamentaledella scarsa stima in cui è tenuta - salvocasi di più o meno paradossali rivaluta-zioni - rispetto alle altre opere della ma-turità mozartiana. «Un pezzo da museo»la definisce brutalmente Edward Dent66

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A ciò si aggiungono altri motivi contin-genti, come la fretta con cui fu composta,incuneandosi nella fantasia già tutta oc-cupata dal Flauto magico. I biografi so-levano tramandarsi un calcolo secondocui La clemenza di Tito sarebbe statacomposta in diciotto giorni - soltantodue di più di quanti ne occorsero a Ros-sini per il Barbiere - affidando al disce-polo Siissmayr la stesura degli intermi-nabili recitativi secchi e magari anche lastrumentazione, se non addirittura lacomposizione, d'alcune arie del sorbet-to, cioè l'aria che bisognava assegnareanche ai personaggi secondari.

Quest'argomento della fretta dannatacon cui l'opera sarebbe stata compostaora è un po' ridimensionato dalla sco-

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perta di Paumgartner, che nei registrigiornalieri dove si teneva conto dell'in-gresso di forestieri in Vienna, l'impresa-rio di Praga Guardasoni, grande amicodi Mozart, risulta essere transitato per laNeutor il ro luglio67 Sembra verosimileche fosse venuto per conferire a Mozartl'incarico e prendere accordi. Poichél'opera fu rappresentata il 6 settembre,due mesi sembrano un lasso di tempoabbastanza ragionevole, nelle consuetu-dini dell'epoca, per la composizione el'allestimento. D'altra parte bisogna met-tere in conto il tempo richiesto per lemodificazioni del libretto e l'incertezzain cui Mozart si trovava circa la compa-gnia di canto che avrebbe trovato a Pra-ga. Gli ultimi dubbi furono sciolti sol-

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tanto il giorno in cui egli giunse a Pragainsieme con Konstanze e Siissmayr, cioèil 28 agosto. Per un po' non seppe nem-meno se per Sesto, uno dei personaggiprincipali, avrebbe avuto un tenore,come pare avrebbe desiderato, o un ca-strato, come poi fu, o una donna.

La singolare concisione delle arie,salvo due, quasi tutte in forma bipartitaalla francese, e la relativa modestia del-lo strumentale può forse essere dovutaoltre che alla fretta, a considerazioni diriguardo verso le limitate possibilità dicomprensione musicale dei monarchi acui l'opera era dedicata. Mozart nonaveva certo dimenticato il giudizio diGiuseppe II sul Ratto dal serraglio:«Troppe note! » A corte non amavano la

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musica complicata. Figurarsi LeopoldoII, tanto meno aperto e intelligente di suofratello! Ma se in Mozart ci fu questocalcolo, si rivelò un'inutil precauzione,ché l'imperatrice, d'estrazione napoleta-na, giudicò La clemenza di Tito «unaporcheria tedesca».

La natura dell'opera seria, governatada regole fisse, è tale che un po' di con-tabilità è indispensabile per addentrarsiin un suo esemplare e individuarne la fi-sionomia. La clemenza di Tito prevedesei personaggi, di cui uno è il protagoni-sta in titolo (tenore), e due, Sesto e Vi-tellia, sono in realtà i personaggi princi-pali, i veicoli del contenuto drammaticoche pure esiste entro le rinsecchite for-me del poema metastasiano. (Erano ri-

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spettivamente un castrato, oggi un mez-zosoprano o contralto, e un soprano),Poi c'è la coppia di Annio (voce femmi-nile) e Servilia, sorella di Sesto, la cuivicenda amorosa s'intreccia parzialmen-te e si subordina a quella principale,quando Tito, rinunciando a sposare perragion di stato la regina orientale Bere-nice (che non appare nel dramma), pre-sceglie per un momento a sposa la genti-le Servilia, che invece è innamoratissi-ma del suo Annio.

Tito è naturalmente il personaggioche ha la maggior dotazione di pezzi mu-sicali. Possiede ben tre arie (Sesto e Vi-tellia due), più un pezzo che praticamen-te è un'altra aria, poiché è un «a solo»introdotto all'interno di un coro (n. 15,

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nel secondo atto). Possiede ben due re-citativi obbligati (cioè accompagnatidall'orchestra, anziché dal clavicemba-lo), uno dei quali, a metà del secondoatto, tra il n. 17 e il n. 18, non reca nu-mero, sicché i ventisei pezzi musicalidell'opera sono in realtà ventisette. Co-mincia con le parole: «Che orrori chetradimento! che nera infedeltà! » e viensubito dopo la seconda aria di Annio, Tufosti tradito: l'inizio è folgorante, similea un grido, poi man mano che procedecala molto d'interesse. Infine Tito parte-cipa a un terzetto (con Sesto e Publio) ea uno solo dei finali (non al primo, che èquello della congiura contro di lui, edegli è ovviamente assente).

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Vitellia, figlia del defunto imperato-re Vitellio, è il vero motore di quel pocoche si muove in questo statico «drammaserio per musica» (così designato nel li-bretto originale). Divorata dall'ambizio-ne del trono, schiuma di rabbia vendica-tiva contro Tito, che non ha pensato disposarla e passa nei suoi progetti matri-moniali da Berenice a Servilia.Dell'amore sottomesso che le porta ildebole Sesto si serve per sospingerlo adattizzare una rivolta e a commettere ti-rannicidio. Pur nelle forme paludate delmelodramma metastasiano, quest'inquie-ta donna non manca d'un pizzico di de-moniaco a mezza strada tra Lady Macbe-th e certe femmine insopportabilidell'opera russa, da Marfa della Kovàn-

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scina a Renata dell' Angelo di fuoco. Lesono assegnate due arie: Deh, se piacermi vuoi, rivolta a Sesto (n. 2), e il gran-de rondò, con corno di bassetto obbliga-to, Non più di fiori vaghe catene, super-ba, una delle più belle arie di Mozart,trasognata nel delirio, veramente subli-me nel sentimento tragico della morte.(Non è da escludere che Stravinskijl'avesse presente nella Carriera di unlibertino, quando immaginò la chetacantafavola del demente Tom Rakewellsul rozzo giaciglio del manicomio). Pareche quest'aria fosse già precomposta,poiché risulta che la diletta amica pra-ghese di Mozart, Josepha Dusek, avreb-be cantato in un concerto del 26 aprile1791 «ein Rondò von Herrn Mozart mit

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obligatem Bassete-Horn». L'uso con-certante dello strumento obbligato erainfatti rimasto una prerogativa delle arieda concerto più che di quelle teatrali, eciò getta tra l'altro una luce rivelatricesu tutta La clemenza di Tito, le cui arie,infatti, con o senza strumento obbligato,rispecchiano piuttosto la poeticadell'aria da concerto, che non quellapropriamente drammatica e teatrale.

Oltre alle due arie, Vitellia possiedein proprio un importante recitativo ac-compagnato, che precede la grande aria-rondò, e segna nell'animo del personag-gio l'incrinatura del pentimento che laporterà all'autoaccusa per salvare Sestodalla pena capitale: unico embrione diesplorazione psicologica in un dramma

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dove i caratteri dei personaggi sono fis-sati una tantum, in un'immutabile stati-cità. Inoltre Vitellia partecipa a un duet-to (con Sesto, n. 1 dell'opera), e a dueterzetti: uno con Annio e Publio, dovelei spadroneggia in termini assolutamen-te solistici, e uno con Sesto e Publio,che è in realtà quasi un duetto, dove Pu-blio se ne sta in disparte, di sfondo. Infi-ne, naturalmente, Vitellia partecipa a en-trambi i finali.

Infine Sesto è l'altro personaggio unpo' vivo dell'opera, anche lui insignitodi due arie e un recitativo accompagna-to. Quest'ultimo genere è, sia nell'operaseria che comica, la medaglia al valoreche distingue i personaggi principali.Questo di Sesto, che introduce al finale

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primo, è drammaticissimo, agitato attra-verso sentimenti contrastanti, perfetta-mente in accordo con le parole: «Chetumulto ho nel cor! Palpito, agghiac-cio, | M'incammino, m'arresto [...] Ionon credea che fosse | Si difficile im-presa esser malvagio ». Le due arie diSesto sono entrambe tra i valori maggio-ri dell'opera. Una, rivolta a Vitellia, ècon clarinetto obbligato (la presenza inorchestra del clarinettista viennese An-ton Stadler, amico di Mozart e confratel-lo massone, sarà stata determinante perl'inclusione dell'aria di Vitellia con cor-no di bassetto e per l'aggiunta di questa).È l'aria dell'amore di Sesto per Vitelliae della capitolazione di fronte alle sueassurde pretese. «Parto, ma tu, ben mio,

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| Meco ritoma in pace», dice Sesto allafanatica donna, acconsentendo ad ucci-dere il proprio amico più caro, Tito.Nella sezione centrale dell'aria il senti-mento di Sesto si libra in una specie diestatico rapimento. Come una «conver-sazione sognata», è stato rilevato con fi-nezza, con una Vitellia immaginaria dicui il clarinetto concreta la presenza os-sessiva68 L'altra aria di Sesto, un'aria-rondò di vasta estensione, viene nel se-condo atto, al n. 19, ed è rivolta a Tito,dopo il drammatico recitativo a due, incui l'imperatore inquisisce l'antico ami-co per giungere a una spiegazione delsuo complotto scellerato. È anche questaun'aria calma, visionaria, dove alla di-sperata decisione di morte, per l'accetta-

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zione della condanna, si mesce il ricor-do doloroso dell'antica amicizia. «Tuttaquesta parte è uno di quei teneri quadridi felicità perduta, che costituivano unodei motivi prediletti dell'opera seria»69

E, aggiungiamo, della Stimmung fonda-mentale dell'arte mozartiana.

Sesto prende pure parte a due duetti:uno, quello già ricordato all'iniziodell'opera con Vitellia, molto sostenutoe pomposo; l'altro con Annio (Deh,prendi un dolce amplesso), più gentile eaffabile, ma in fondo privo anch'esso divera intimità. Partecipa anche a due ter-zetti: uno con Vitellia e Publio, quest'ul-timo molto in disparte, e l'altro con Tito,e Publio, assai drammatico, con insertidi recitativo accompagnato. C'è sempre,

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nella Clemenza di Tito, il tentativo ditrasformare i concertati in scene, per en-trate successive e distinte in modo da ot-tenere una specie di dialogo alternato,ma sempre con comode botte e rispostedi una strofa ciascuno. Naturalmente Se-sto opera in entrambi i finali, sebbene siallontani un momento dal primo, per an-dare a compiere il supposto tirannicidio(e invece si sbaglia e uccide Lentulo,per via d'uno scambio d'abiti chenell'opera non si vede, mentre c'era neldramma di Metastasio).

Il finale primo è il vero punto culmi-nante di tutta l'opera, combinato nell'ar-rangiamento di Mazzolà in modo da per-mettere una di quelle grandi scene d'in-sieme di cui Mozart aveva il segreto.

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Ma mentre nelle Nozze di Figaro e nelDon Giovanni questi finali animatissimisi svolgevano in chiave di commedia(Da Ponte diceva che il finale d'atto eraormai giunto a porsi come «un piccioldramma nel dramma», una commedianella commedia) e consistevano in unoscambio dialogico fittissimo attraversoil quale progrediva l'azione, qui inveceil finale del primo atto è una grandiosascena di tumulto innalzata a statura ditragedia. Vi si agitano sentimenti contra-stanti, e disparate idee musicali cozzanoinsieme e nello stesso tempo si alimen-tano della reciproca opposizione. Lascena si svolge sullo sfondo dell'incen-dio appiccato dai congiurati al Campi-doglio, che però non viene realistica-

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mente descritto dalla musica. Vi alludela presenza del coro, da lontano, soprail quale risaltano le voci dei cinque per-sonaggi, dilaniati da diverse passioni,con una tecnica che par quasi ricordarequella strumentale del «concerto gros-so», fondato sulla contrapposizione del«tutto» e del «concertino». È la primavolta che Mozart inserisce il coro in unfinale alla stregua delle singole voci so-liste. La condotta della scena è di pariefficacia sia dal punto di vista dramma-tico che da quello musicale: per una vol-ta i due principi del melodramma ritor-nano a coincidere altrettanto bene chenelle Nozze di Figaro. Quando l'agita-zione dei sentimenti di Sesto, deciso aldelitto, par giunta all'estremo livello tol-

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lerabile e quasi ci si chiede come l'in-tensità potrà ancora progredire, si ha ilcolpo di genio d'una pausa generale, epoi la calma si ristabilisce a poco apoco dopo il ritorno di Sesto dal suppo-sto tirannicidio.

Poco significative quasi tutte le ariedei personaggi minori, che naturalmentenon posseggono recitativi accompagnati.Ma Annio è accreditato di due arie, unarivolta a Sesto (Torna di Tito a lato),che in apertura del secondo atto «ci ri-porta di nuovo sul terreno della conven-zione»70dopo la gluckiana potenza dram-matica del finale primo, e tuttavia non ècosì modesta come l'altra aria ch'eglicanta poco dopo, rivolto a Tito, Tu fostitradito; aria che presenta qualche remi-

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niscenza melodica del personaggio diDonna Elvira nel Don Giovanni, ma as-sai stanca e sbiadita nella sua solennitàprotocollare. Oltre a partecipare natu-ralmente ai due finali, e a un terzetto conVitellia e Publio, dove la donna si fa laparte del leone, Annio ha insieme conServilia quello che è l'unico duettod'amore di tutta l'opera (Ah, perdona alprimo affetto). È designato quale «duet-tino», così come l'altro duetto Deh,pren-di un dolce amplesso, con Sesto, chetanto piaceva a Shelley. (La clemenza diTito ebbe nella cultura inglese una fortu-na superiore a quella incontrata in qua-lunque altro paese). Entrambi i «duetti-ni» introducono nei paludamenti classicidell'opera seria un clima più affabile e

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più intimo, quasi da Singspiel, che nonsi sa bene quanto s'accordi col tono ge-nerale dell'opera, ma certamente costi-tuisce un refrigerio.

Oltre al suo duettino con Annio, Ser-vilia ha una sola aria, S'altro che lacri-me, rivolta a Vitellia in un momento cru-ciale di questo personaggio, cioè primadel grande recitativo accompagnato cheporta al suo pentimento e, di conseguen-za, al grande rondò Non piti di fiori. Inun tempo quasi di minuetto, l'aria di Ser-vilia partecipa di quel clima affettuoso,più da opera comica che da opera seria,che è proprio dei personaggi minori diquest'opera, e qui funziona come un effi-cace reagente per sciogliere la furia

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vendicativa di Vitellia e tirarla giù daitrampoli dell'impettito stile tragico.

Publio ha una sola aria, obbligatoriaper ragioni d'ordine sindacale, ma deltutto inutile e insignificante, e partecipa,oltre che ai due finali, a ben tre terzetti,con Vitellia e Annio, con Sesto e Vitel-lia, con Sesto e Tito, dove la sua presen-za è drammaticamente superflua, ma lasua voce di basso è necessaria per pun-tellare l'ordito musicale.

Mentre l'orchestra della Clemenzadi Tito è generalmente assai lontana dal-la variopinta ricchezza delle precedentiopere di Mozart, il coro vanta una pre-senza, scenica ma soprattutto musicale,assai superiore, e paragonabile invece aquella ch'esso presenta nel Flauto magi-

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co, opera alla quale rimanda spesso an-che lo stile di canto del protagonistaTito. Là dove non appaia davvero quelmagnanimo sovrano di cartapesta che,come scriveva Zelter a Goethe, è semprepronto ad innamorarsi di tutte le ragazzeche non ne vogliono sapere di lui, ricor-da nella sua magnanimità e «clemenza»la solennità ieratica di Sarastro, ancor-ché le convenzioni teatrali gli abbianoappioppato quella voce di tenore chegiustamente Mozart avrebbe desideratoper Sesto.

I lunghissimi recitativi secchi ches'interpongono tra un'aria e l'altra lungoquasi tutta l'opera (e tra l'altro la comin-ciano, in modo quanto mai deludente)sono la palla al piede della Clemenza di

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Tito dal punto di vista della resa teatra-le, ancor più che la qualità accademica econvenzionale di molte arie. Tuttaviauno dei recitativi permette di misurarequale fior di drammaturgo fosse il trop-po facilmente vilipeso Metastasio. E,nel secondo atto, il dialogo tra Sesto el'imperatore, dove questi chiede unaspiegazione, da solo a solo, all'amicotraditore, e gli scava inquisitivamentenell'anima, e lo condanna a malincuore,e quello accetta, felice di potersi almenoliberare l'animo dalla colpa, e bacia lamano del sovrano-amico che lo giudica,sì che poi fiorisce naturalmente la bellaaria Deh, per questo istante solo. Unpezzo di teatro, quel recitativo a due,che fa accapponare la pelle e non ha

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niente da invidiare a Shakespeare. Nonper niente Voltaire considerava questascena, nel dramma di Metastasio, comeuno dei più alti momenti teatrali del se-colo.

Soltanto in prossimità dei finali, especialmente del finale secondo, i reci-tativi secchi si tirano da parte consen-tendo alla musica d'impugnare la situa-zione drammatica: il blocco che comin-cia con l'aria di Servilia e prosegue conl'intenso recitativo accompagnato di Vi-tellia, seguito dal suo sublime, trasogna-to rondò, per trascorrere poi genialmen-te nell'entrata del coro, è un esempio dialtissimo teatro musicale, compatto esenza soste, che purtroppo non si prolun-ga fino alla chiusa vera e propria, piut-

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tosto convenzionale dopo l'ultimo recita-tivo accompagnato di Tito, musicalmenteespressivo, ma disgraziatamente quasiridicolo per situazione e parole («Mache giorno è mai questo? Al puntoistesso | Che assolvo un reo, ne scoproun altro?»).

Naturalmente, questa descrizione to-pografica dell'opera e questo florilegioindicativo dei suoi passi migliori sonocondotti secondo un'ottica tradizionale epresuppongono che nel teatro d'opera lamusica sia al servizio del dramma, o perlo meno concorra alla sua definizione. Èpossibile, per chi ci crede, un'altra inter-pretazione che permette magari di salva-re tutta l'opera in blocco, proponendolaa modello d'una categoria del gusto,

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svincolata da banali esigenze di verosi-miglianza drammatica e ancorata invecealle spiagge iperboree del sublime, contutto quel che di gelido la parola com-porta: una categoria di astratta perfezio-ne formale in sé conchiusa, sideralmentelontana dal sudore e dagli affanni deltroppo umano. Il Paradiso, come fu sug-gerito da un poeta71 statico e inalterabi-le, rispetto a quell'Inferno che sono lemosse vicende umane del Don Giovannie delle Nozze. Le grazie rispetto ai Se-polcri.

«Rancidi argomenti» definisce PaoloIsotta quelli consueti che abbiamo quielencato a spiegazione della minor fortu-na incontrata dalla Clemenza di Tito ri-spetto al Flauto magico o al Don Gio-

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vanni72 la fretta, il libretto obbligato, lacontemporanea composizione del Flautomagico, magari le condizioni di salute.«Non sanno quanto vadano vicini alvero i poveri di spirito che sentenzianodella Clemenza di Tito come opera mor-ta». Perché, secondo questo entusiasticoammiratore dei suoi «marmorei rabe-schi», «la morte imprime il suo sigillosull'inattualità della Clemenza di Tito. Esolo la morte può essere la chiave percomprendere il sublime di quest'operadestinata a pochi. Il culto delle forme èdi chi si è già distaccato da ogni sostan-za terrena», ivi compresa «la superbiadell'io». In quest'opera, che è «l'operadella stasi, l'opera nella quale i perso-naggi sono dipinti nell'esemplare immo-

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bilità dei ritratti in posa eroica», Mozart«impiega le sue forze per rifugiarsinell'impersonalità». Vi si esplica quellapoetica del tardo stile, «nel quale il ge-nio si esprime per locuzioni quasi logo-rate dall'uso, fissate nella sclerosi, ep-pure portate dall'impassibilità ad un im-prevedibile grado di universalità».

Sulla scia di questo tipo d'interpreta-zione della Clemenza di Tito si presentaallora assai forte la tentazione intellet-tualistica d'un avventuroso aggancio diMozart al gusto neoclassico che stavaallora per coprire del suo gelido am-manto arte e cultura dell'età napoleonicae della restaurazione. La cronologia loconsentirebbe, anzi, le date sembranoquasi suggerirlo. La clemenza di Tito è

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del 1791. Dal 1783 al '89 si allineano itre capolavori che stampano l'orma delneoclassicismo nelle arti figurative:Giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David, monumento funebre a Cle-mente XlV del Canova, progetto di Le-doux per la Barrière de la Villette a Pa-rigi.

Non che essere «l'ultima opera seriadella storia della musica»73 come scriveil romanziere Wolfgang Hildesheimer,La clemenza di Tito guarderebbe avantianche lei, e sarebbe il germe delle operedi Spontini e di Cherubini, ignote, aquanto pare, allo scrittore tedesco. L'ul-timo Mozart alfiere e precursore delneoclassicismo: quale colpo da maestro,quale «scoop» nella caccia affannosa a

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punti di vista critici originali, che nonsiano ancora sciupati dal consenso uni-versale! Eppure non è possibile aderireall'invito, sol che si tenga presente la di-versa situazione nella musica e nelle al-tre arti dove il neoclassicismo ebbesede. Nelle arti figurative e nell'architet-tura il neoclassicismo rompeva col ma-nierismo rococò e con i postumi del ba-rocco, reinstaurando il gusto della sem-plicità di linee e forme. Anche in lettera-tura il neoclassicismo di Vincenzo Montitirava il collo ai precedenti bamboleg-giamenti dell'Arcadia. In musica invecenon era così. La clemenza di Tito è unaricaduta nel passato prossimo (l'operaseria), che le altre arti negavano e chiu-devano con la severa cura ricostituente

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del neoclassicismo. La clemenza di Titoaccantona e respinge un'arte nuova, fre-sca, piena di salute, com'era quella deicapolavori mozartiani dal Ratto dal ser-raglio fino al Flauto magico, per tentarel'improbabile risurrezione d'un generedefunto.

Certamente non si vuole escludere apriori che il restauro dell'opera seria acui Mozart fu indotto per esterne motiva-zioni contingenti possa essere stato co-lorito da un riflesso inconsapevole diquanto veniva allora maturando nellacultura europea: il genio non ha bisognodi contatti diretti e di esplicite dichiara-zioni per appropriarsi di quanto ènell'aria. Ma sembra tuttavia più reali-stico sdrammatizzare il «caso» che si è

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voluto istituire su La clemenza di Titomediante argomentazioni sottilissime. Anoi, poveri di spirito, esse sembrano piùche altro pretesti e occasioni di bellaletteratura allo scopo di rovesciare lafrittata, cioè per fare apparire un beneciò che generalmente è considerato di-fetto e male (stasi, immobilità, sclerosi,la morte, l'impersonalità, i ritratti inposa eroica). Conviene sempre abbotto-narsi stretto quando qualcuno comincia avantare la superiorità del Paradisosull'Inferno. Anche per chi non aspiri adessere annoverato fra i pochi eletti a cuisi schiudono le riservate delizie del pa-radiso neoclassico, col suo gelo marmo-reo e col gusto cimiteriale della morte,La clemenza di Tito riserva pur sempre,

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nel suo ambito di «tragico decorati-vo»74, quel considerevole ammontare digratificazione estetica tradizionale checi si può attendere dall'opera di un Mo-zart nella pienezza della maturità artisti-ca, un Mozart che stava scrivendo IIflauto magico e si accingeva al Re-quiem.

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V

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Mehr Mozart!

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(1981-1987)

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I «canoni» di Mozart

(1981)

I.

Quando la musica europea fece i suoiprimi tentativi di sortire dall'omofoniaassoluta del canto gregoriano con le for-me dell ' Organum, della diafonia e deldiscanto, si trattava di sovrapporre a sestessa una medesima melodia a interval-lo di quarta, di quinta o di ottava, oppu-re anche melodie diverse o diversamen-te procedenti (nel discanto), ma semprein maniera omo-ritmica, cioè nota contronota, donde il nome di contrappunto

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(punctum contra punctum). Praticamen-te la polifonia di quella che si chiamal'Ars antiqua e che domina i secoli xii exm si svolge entro questo regime, e unodei segni di evoluzione che distinguonol'Ars Nova del Trecento è la comparsa,inizialmente assai timida e limitata (sipotrebbe dire: sperimentale), del princi-pio di imitazione, per cui nel canto a piùvoci queste si distinguono e imitano sestesse riprendendo, a distanza, la mede-sima melodia. La dislocazione della me-lodia rispetto a se stessa è il meccani-smo essenziale di questo nuovo modo dicomporre, in confronto alla piatta so-vrapposizione omoritmica dell'Ars anti-qua, ed è un principio di diversificazio-ne nell'identità, una molla interna attra-

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verso la quale la musica passa dalla sta-ticità medioevale al dinamismo progres-sivo dei tempi nuovi che si affacciavanocon l'Umanesimo e il Rinascimento.

La forma di imitazione polifonicaallo stato puro è il canone, così detto ap-punto perché impersona la norma, la re-gola di tal modo di comporre, o piùesattamente, di cantare (in quei tempi lacreazione musicale era contemporaneaall'esecuzione stessa e avveniva in senoai cori, cantorie e cappelle). In esso leparti si muovono in stretta imitazione,generalmente per intervallo d'ottava (maanche di quinta o altro), a distanza va-riabile da canone a canone, ma fissaall'interno del canone stesso, distanzache in seguito si sarebbe potuta descri-

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vere come di mezza battuta, una battuta opiù (ma allora le battute non c'erano).

Si sarebbe perciò tentati di definireil canone come un procedimento musica-le destinato a improntare di sé tutta lagrande polifonia dei secoli xv e xvi: unmodo di comporre e di disporre le voci,piuttosto che una forma. Ma conviene ri-servare per tale procedimento il nomeastratto di imitazione, perché è innegabi-le che il canone si affaccia nella storiaper mezzo di piccole composizioni spe-cificamente formate e ben distinte dallaforma allora imperante del mottetto. Nonsi chiamava però canone, bensì portavanomi vari che tutti alludevano al motorotatorio (cantus rotabilis) delle vociche si inseguivano l'una con l'altra come

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il cane fa con la lepre: rota, rondellus,caccia (caga, ebasse, chace) e perfinofuga. Il più famoso esempio è il canoneinglese a 4 voci Sumer is icumen in, untempo esageratamente retrodatato, e cheora si ritiene sorto nel convento di Rea-ding intorno al 1300. Esso è sorprenden-te sia per il terrestre sentimento dellanatura che le parole denotano descriven-do l'arrivo dell'estate, sia per l'armonio-sa eufonia dei suoi intervalli di terza esesta che la polifonia insulare largamen-te ammetteva, mentre quella del conti-nente restava ligia all'arcaica durezzadelle consonanze perfette di quarta equinta. Press'a poco alla stessa epoca ri-sale la Caga de duobus vel trìbus conte-nuta nel De speculatone musìces di

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Walter Odington, e forse ancor più anti-co potrebbe essere il canone a 3 vociHé, Dieu, celle m'a tolu mon ami, diRenart le Nouvel, assegnato da JohannesWolf al 1288.

Come forma a sé stante, il canone sipresenta nel Trecento quale tipica Ge-sellschaftskunst, spesso associata adespressioni facete (Herr Wirt, uns dü-stet also sehre, canone tedesco del prin-cipio del Quattrocento), e terreno di gio-co prediletto per le prodezze del con-trappunto ingegnoso. Fra i venti canonilasciati da Guillaume de Machault(1300-1377), è famoso quello retrogra-do Ma fin est mon commencement: a 3voci, com'era in quel tempo generalmen-te la norma, il contratenor è associato a

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una voce senza parole, e perciò proba-bilmente strumentale, le cui note sono lestesse del contratenor, ma in ordine ro-vesciato; inoltre il contratenor dura esat-tamente la metà di detta voce superiore enella seconda parte del rondeau è daleggersi all'incontrano.

Ma col tempo il canone, se non ces-sa di essere una piccola forma a sé stan-te, legata per lo più a svaghi di società ea sfoggi di bravura professionale, pene-tra a poco a poco come principio fecon-datore nella musica polifonica, ed è tipi-co di questa nuova situazione il fattoche, mentre di Guillaume de Machaultpossediamo venti composizioni ben di-stinte in forma di canone, invece, un se-colo dopo, i 29 canoni di Guillaume Du-

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fay (1400-1474) ce li dobbiamo andarea cercare dentro le sue composizioni,per lo più nelle canzoni e nei mottetti, eotto nelle messe.

Il Quattrocento fiammingo è la gran-de età del canone. Nelle mani di Oke-ghem, di Pierre de la Rue, di Josquindes Près, di Isaak, di Jean Mouton, essopuò dar vita magari a intere composizio-ni di vasto respiro (la Missa prolatio-num di Okeghem, la Missa ad fugam indiapente di Josquin) e si arricchisce ditutti gli artifici dell'imitazione di cui ifiamminghi erano sottili maestri. Il piùsemplice procedimento di canone èquello per moto retto all'unisono (tipo lacanzoncina infantile di Fra Martinocampanaro o, in Francia, Frère Jac-

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ques), e altrettanto semplice è quelloall'ottava, mentre i canoni alla quinta oalla quarta, oltre alla difficoltà d'esecu-zione, devono definirsi canoni irregolariperché le trasposizioni delle voci nonpossono essere assolutamente esatte sen-za compromettere l'unità tonale del pez-zo. Ma gli ingegnosi maestri fiamminghidel contrappunto estendono la praticadel canone a ogni sorta di acrobaziecombinatorie: canoni per moto contra-rio, canoni retrogradi, canoni per au-mentazione (ritmica) e per diminuzione,cioè con valori di durata diversi nellevarie voci. Si sviluppa nel Quattrocentofiammingo la specie particolare del ca-none enigmatico (di cui Ma fin est moncommencement era stato l'antesignano):

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canoni, cioè, dei quali viene fornito sol-tanto il tema, la melodia; la sua distribu-zione attraverso le varie voci onde for-mare la composizione si deve scoprirecon la soluzione d'un indovinello conse-gnato nelle parole di un motto. «Vade re-tro Satana» indica appunto il Krebs,cioè il canone retrogado. Oppure: «Toutà coup m'ont tourné le dos». O ancora:«eundo et redeundo», scritto su una terzavoce che si ferma a metà delle altre duee deve essere continuata tornando all'in-dietro. «Clama ne cesses» significa chele pause contenute nella melodia debbo-no in un'altra voce essere abolite e lenote cantate di seguito. «Esloigné suisde vous, belle maitresse», reca un mano-scritto italiano della prima metà del

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Quattrocento, per indicare che la partedel tenor deve essere dedotta dal cantus,leggendola all'ottava inferiore e allaquarta. «Je suis defait, si vous ne me re-faites», implorava un altro canone enig-matico. Il grande teorico Tinctoris, nelTerminorum musicae diffinitorium(1477), ne dava appunto la definizione:«Canon est regula voluntatem composi-toris sub obscuritate quadam osten-dens»75

Sterili giochi d'un ingegno puramentecombinatorio ? Ma giustamente è statoosservato che nei canoni enigmatici sirispecchiano il costruttivismo e la razio-nalità presenti nella teologia liturgicadell'epoca e che nella sua massima con-centrazione intellettuale l'arte del canone

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allude all'ordinamento divino del mon-do.

Col rinascimento, cominciando lamusica, anche polifonica, a legarsi inqualche modo alla parola e all'espres-sione degli affetti (musica reservata), lafortuna del canone diminuisce (anche senell'opera di Palestrina se ne riconosco-no 130 casi, tra cui un'intera Missa adfugam). A poco a poco il canone vienerelegato al rango di esercizio e tale ca-rattere assume negli esempi scolasticidei teorici musicali. Di Orlando di Las-so si conosce il canone scherzoso O là,oche buon eco (1581), ma di lui scrivevasignificativamente, nel 1587, GallusDressler:

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Hic ad fugas ubique se alligarenon patitur, sed praecipue suavitatisest studiosus et verbis Harmoniamapte et convenienter per decorumapplicat76

Del testo il fatto stesso che il canonecercasse una sorta di giustificazione na-turalistica nel fenomeno dell'eco dicemolto sulla decadenza della sua funzioneautonoma e vitale in seno alla creazionemusicale.

Qualche maggior favore esso con-servò nelle tendenze conservatrici delluteranesimo, per esempio presso Jo-hann Walther (1496-1570), collaborato-re musicale del riformatore protestante,ma questa stessa sopravvivenza di segno

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tardo-gotico in funzione antiromana eantirinascimentale indica appunto che ilcanone stava uscendo dalla strada mae-stra del progresso storico e culturale es'avviava a diventare un binario morto,un capitolo marginale, sia pure curioso ebizzarro, della musica. Suo rifugio di-venta l'insegnamento scolastico, come sivede negli Instrumentische Gesänge diAgricola (148r). Ad uso scolastico sifanno raccolte di canoni precedenti, cioèfiamminghi, e l'abitudine si protrae attra-verso tutto il Seicento e buona parte delSettecento: l'imbalsamazione del cano-ne, come un relitto al di fuori della vivacorrente musicale, è cominciata.

Non sono ancora ben chiarite le re-lazioni che durante l'età barocca si pote-

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rono stabilire tra il gesuitismo romano ela tendenza mistico-astratta dell'arte delcanone: relazioni non molto dissimili,per qualità retrograda ed antistorica, daquelle manifestatesi nella cultura neces-sariamente reazionaria del luteranesimo.Manco a dirlo, il canone non potevamancare di considerazione nell' Arte delcontrappunto (1589) del canonico Artu-si, nemico di Monteverdi, ed esso haparte nelle tardive sopravvivenze poli-foniche della scuola romana, per esem-pio nella Missa Burghesia «Quem di-cunt hominem» di Giovanni FrancescoAnerio (1567-1625 ca). Non trascurad'occuparsi del canone nella sua Pratti-ca di musica (1592 a 1622) il pesareseLudovico Zacconi, attivo nell'area arti-

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stica veneziana. Un autentico specialistasi dimostra il romano Pier FrancescoValentini (ca 1570-1654), autore di unCanone nel modo di Salomone a 90voci, e di altro Canone sopra le paroledel Salve Regina «lllos tuos» con le ri-soluzioni a 2,3,4 e 5 voci (e contiene labellezza di 2000 possibilità di risoluzio-ni). Il fantasioso poligrafo padre Atana-sio Kircher elogiò queste prodezze nellasua Musurgia universalis (1650), checontiene un capitolo dedicato allo «sty-lus canonicus». Il violinista Marco Uc-cellini, così importante nei primi svilup-pi della sonata e del basso continuo, sidilettò d'inserire nei suoi Sinfonici Con-certi a due, tre e quattro stromenti(1667) un Canon communis nel quale

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uno sonarà tutte le note dalla riga dimezo in su; l'altro sonarà tutte le notedalla riga di mezo, e un Secundo canon adue violini, l'uno principia à sonare nelprincipio e il secondo violino cominciaà sonare nel fine.

E potevano mancare i canoni negliingegnosi Artificii musicali del grandeGiovanni Battista Vitali, padre di quelTommaso al quale oggi si vorrebbe to-gliere la gloria della famosa Ciacconaper violino e basso continuo ? Anzi,sono annunciati fin dal titolo: «ne' qualisi contengono canoni in diverse maniere,Contrapuncti doppi, Invenzioni curiose,Capritii e Sonate».

Mentre l'arte espelle da sé il con-trappunto attraverso il trionfo del basso

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continuo e del canto accompagnato nellostile di melodramma e di cantata, il ca-none si trincera in un suo angoluccio dimusica riservata, non nel senso progres-sivo che questo termine aveva avuto nelrinascimento, di apertura all'espressionedegli affetti nel connubio con la parola,ma proprio nel senso di chiusura pru-denziale entro un rinsecchito giardinettodi artifici. Al contrappunto, defunto nel-la pratica musicale, si faceva un funeraledi prima classe. A parole, tutti gli tribu-tavano omaggio. Non c'era mestieranteteatrale e cucinatore di ariette belcanti-stiche il quale non venisse salutato neisonetti gratulatori e nella lapide mortua-ria con gli epiteti di «polifonista insi-gne» e «maestro del contrappunto», an-

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che se di fatto non avrebbe saputo muo-vere insieme due parti reali. In Germa-nia proprio il canone divenne simbolo dimaestria musicale e pertanto i ritratti deicompositori si fregiavano d'un loro ca-none: oltre che di Praetorius, di Scheidt,di Thomas Selle, di Capricornus e di Jo-hann Gottfried Walther, possediamo ilPorträtskanon di Bach, il quale nellaOfferta musicale aveva disposto, tradue formidabili Ricercari a 3 e a 6 voci,cinque Canones diversi super thema re-gium (cioè lo scultoreo tema fornitoglida Federico II di Prussia quand'egli eraandato a visitarlo nella corte di Po-tsdam) e quattro Tbematis Regii Elabo-rationes canonicae, e vi aveva ancheinserito i suoi bravi giochetti di parole,

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reminiscenti delle antiche formule fiam-minghe di canoni enigmatici: crescenti-bus notulis crescat fortuna Regis, ac-canto a un canone per aumentazione;quaerendo invenietis. E ci sono canonia specchio, canoni per moto contrario,canoni retrogradi. Sono per lo più a 2voci, salvo la Fuga canonica in epidia-pente, che è a 3, e un canone a 4. Ancorpiù esplicitamente nell'Arte della fuga i4 canoni, tutti a due voci, designano untipo di contrappunto minore, in confron-to alla complessità dei 19 Contrapuncti,tutti a 4 voci e assai più estesi. Il sottoti-tolo dell'Offerta musicale (Regis JussuCanones Et Reliqua Canonica Arte Re-soluta), oltre a fare riferimento esplicitoall'arte del canone, reca in acrostico,

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con una delle solite ingegnosità tardo-fiamminghe, la parola chiave dell'arte diBach: Ricercar, che egli, nel suo arcai-smo conservatore, preferiva alla parolaFuga.

Bach solleva il canone dal piccolorecinto delle acutezze scolastiche nellastratosfera d'una musica speculativa,concepita come supremo esercizio intel-lettuale e sganciata da qualsiasi inten-zione espressiva come anche, in fondo,da propositi artistici nel senso normaledella parola. Ce l'avevano però già av-viata alcuni italiani come Vitali e, forse,il veneziano Antonio Caldara (1670-1736), autore fecondissimo di melo-drammi e di cantate, ma anche dottissi-mo nell'arte del contrappunto. Ancora

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non risulta chiaro alla musicologia il va-lore e la portata che si debbano attribui-re ai cento canoni contenuti nei suoi Di-vertimenti musicali per campagna . Ca-noni all'unissono a 3,4,5,6 e 9 voci. Di-venuto vice-Kapellmeister a Vienna, ac-canto al dottissimo Fux, egli importò inAustria quel gusto del contrappunto in-gegnoso che stranamente continuava afiorire in Italia, patria frivola del melo-dramma, come retaggio di preti, maestridi cappella, insegnanti, vecchi artigianidella musica. E stranamente il canone,questo relitto arcaico d'una musica chepareva tramontata per sempre, sopravvi-ve meglio nelle cattoliche Italia e Au-stria, che non nella Germania luterana,dove Philipp Emanuel Bach trattava suo

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padre poco caritatevolmente di «alte Pe-rücke», e dove fin dal 1722 Matthesonaveva sentenziato, nella Critica musica,che il canone è «zum Lehren nützlich,doch für Kirche, Kammer und Oper un-tauglich, ein sinnloses Ohren-krauen»77.

Secoli della Empfindsamkeit, Settee Ottocento non sono certo favorevoli aun serio impiego, positivo, del canonenell'arte musicale. Ma esso sopravviveappunto in qualità di scherzo ingegnosodell'arte nei Gelegenheitskanons, cano-ni d'occasione, cioè specie di giochi disocietà circoscritti a un ambiente di spe-cialisti e riservati a pochi eletti. Haydnci teneva tanto ai propri 42 canoni, chese li era fatti incorniciare e li teneva ap-pesi in camera da letto. Nelle Haydine il

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Carpani riferisce che i «canoni berne-schi» di padre Martini avevano largadiffusione in Austria. Nella corporazio-ne dei musicanti tali giochi si sono per-petuati fino ad oggi, o almeno fino a ieri,e in tempi relativamente recenti non eradifficile imbattersi in organisti o diretto-ri d'orchestra o maestri sostituiti che,dopo aver vuotato alcune bottiglie, s'im-pegnavano a far coincidere in perfettocontrappunto l'ouverture dei Maestricanfon con l'aria di Escamillo nellaCarmen.

È chiaro che Mozart, figlio d'un mu-sicista ed egli stesso musicante stipen-diato fin dall'infanzia, cresciuto quasiesclusivamente in mezzo a professionistidella musica, dovette avere prestissimo

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conoscenza di questa isolata sopravvi-venza dello stile contrappuntistico perimitazione, altrimenti disprezzato escomparso dalla vita musicale del suotempo. Suo padre Leopold, insegnante diviolino e teorico musicale, immerso finoal collo nella professione quale compo-sitore di corte e vice-Kapellmeisterdell'arcivescovo di Salisburgo, si eracopiato sette canoni dai Divertimentimusicali per campagna di Antonio Cal-dara. I testi di tre, fra questi sette canoni,serviranno un giorno a Mozart per le suesole composizioni di questo tipo in lin-gua italiana. E in Italia avvenne il suoprimo contatto con la forma italiana delcanone, durante il grande viaggio del1769-1771, che lo portò tra l'altro a Bo-

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logna, per un soggiorno abbastanza lun-go alla scuola di padre Martini, celebra-to maestro di un contrappunto all'italia-na, cioè di una semplice ma solida scrit-tura a tre voci con la quale quel dottissi-mo studioso cercava di contrastare l'in-vasione dello stile melodrammatico dicanto e accompagnamento, senza d'altraparte proporre l'anacronistica restaura-zione d'una polifonia alla Palestrina,come in quei tempi aveva predicato ilpedante e ferratissimo teorico vienneseJohann Joseph Fux (1660-1741).

Padre Martini non era meno dotto diFux. Attendeva a una enorme Storia del-la musica - una delle prime dopo gliesempi inglesi del Burney e di Hawkins-che in tre grossi volumi si affacciava

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appena agli esordi della musica in Euro-pa. Nell'altra grande sua opera, Esem-plare ossia saggio fondamentale prati-co di contrappunto (1774-75), mostravauna profonda conoscenza dei testi dellapolifonia fiamminga e italiana e ne for-niva analisi ancor oggi valide e vera-mente «esemplari». Ma era squisitamen-te italiano e cattolico, perciò uomo dimondo, e conciliante: non pretendeva af-fatto di cambiar la faccia alla musica delsuo tempo né costringerla a risalire lachina dei secoli verso un'impossibile re-staurazione dello stile severo. (E forsenon è soltanto ironia del caso che, contutta la dotta musica che scrisse, la suafama di compositore sia affidata soprat-tutto a una galante Gavotta). La profon-

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da conoscenza e ammirazione per i ca-polavori polifonici del rinascimento sela teneva per sé, e per pochi sapienticolleghi pari suoi. Tutto quello che siproponeva era di persuadere i composi-tori del suo tempo, sia di teatro che stru-mentisti, che un'ordinata scrittura a trevoci, sopra un basso fondamentale e unavoce intermedia, non avrebbe minima-mente impedito lo sfoggio di tutte le gra-zie melodiche e ritmiche in cui si deli-ziava la musica settecentesca, e nellostesso tempo le avrebbe conferito unasolidità, una coerenza e una qualità bensuperiori a quelle che essi ottenevanocon la semplice sovrapposizione delleloro graziose melodie sopra un basso al-

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bertino o altra formula banale di accom-pagnamento passivo.

Quest'uomo illustre, capostipite ditutto un lignaggio di preti musicistidell'Emilia e Romagna, che molto feceroper salvare le sorti d'un contrappuntosotterraneo in seno all'Italia melodram-matica, e che arrivano fino ai primi mae-stri dell'infanzia di Rossini (Tesei eMazzei), fu il provvidenziale anfitrionemusicale che l'Italia offri a Mozart du-rante il suo primo viaggio nella peniso-la, all'età tra i 13 e i 14 anni. Nel 1770Leopoldo Mozart e il figlio si trattenne-ro dal 20 luglio fino a metà ottobre inBologna, dove avevano già fatto unabreve visita dal 24 al 29 marzo. Durantequesto periodo padre Martini si prese di

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vero affetto per il prodigioso fanciulloaustriaco, di cui aveva già riconosciutoil valore durante il breve soggiorno pre-cedente: riversò su di lui tutta la suascienza del contrappunto, lo aiutò, inmaniera non perfettamente corretta,nell'esame di ammissione per la nominaa membro dell'Accademia Filarmonica(l'esame consisteva nella composizioned'un mottetto a 4 voci in stile severo, go-vernato da regole accademiche e ammuf-fite, sulla base di un'antifona gregoria-na). Amore e stima perfettamente ricam-biati, perché Mozart, ritornato a Sali-sburgo, si mantenne in affettuosa corri-spondenza con quello che consideravasuo maestro; ancora nel 1776 gli manda-va in esame il proprio offertorio Miserì-

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cordias Domini, scusandosi d'essere co-stretto a conformarsi alle particolari esi-genze del gusto salisburghese per la mu-sica sacra.

Fu nel quadro giovanile di questascoperta d'un contrappunto all'italiana,affabile anziché arcigno, che Mozart siaccostò alla forma del canone. Nel 1757padre Martini aveva pubblicato il primovolume della sua Storia della Musica, estava per pubblicare il secondo proprionell'anno in cui i Mozart lo vennero a vi-sitare. Certamente essi poterono vedernele bozze presso di lui. Ora, sia in questosecondo volume, sia in quello preceden-te, ogni capitolo era tipograficamenteornato, al principio e alla fine, dallastampa di un canone enigmatico, rac-

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chiuso entro una squisita cornice di stilerococò. Quattro di questi canoni enigma-tici Mozart li risolse, forse ancora du-rante il suo soggiorno bolognese o piùverosimilmente quando ebbe fatto ritor-no a Salisburgo, in forma di canoni, percosì dire, astratti, a scopo di studio, os-sia senza un testo da cantare. I testi val-gono solo a designare l'incipit dei mo-delli martiniani, e sono: Incipe Mena-lios mecum mea tibia versus, dall'ottavaegloga delle Bucoliche; Cantate Domi-no omnis terra, per cui, stranamente,Mozart prese il testo da uno dei canonidel primo volume della Storia del Mar-tini, ma le prescrizioni enigmatiche perrisolvere l'arduo canone a 9 voci (Pertemis canite vocibus) le prese invece

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dal canone enigmatico che orna le primepagine del secondo volume. Dal primovolume viene il canone Confitebor tibiDomine, alla cui realizzazione a duevoci, più una terza facoltativa (Tertiapars, si placet) dava norma il motto bi-blico Clama ne cesses, in uso fin daltempi dei fiamminghi per prescrivere lasoppressione delle pause. Infine vieneda Anacreonte il verso Thebana bellacantus Troiana cantat alter, le scritteTer voce ciemus e Voce ter insonuit gui-dano alla formazione d'un doppio cano-ne a sei voci per tre soprani e tre tenori.

Veramente, prima ancora di questistudiosi esperimenti, che il vecchio ca-talogo Kochel raccoglieva sotto il nume-ro 89a II (il nuovo Köchel-Einstein 73t),

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Mozart in Italia si era cimentato per laprima volta col canone in un bellissimoKyrie, composto forse a Roma, ma sottol'influenza della conoscenza fatta a Fi-renze, nella prima settimana d'aprile1770, del marchese di Ligniville, singo-lare personaggio, ciambellano e diretto-re della musica di corte presso l'arcidu-ca Leopoldo, cultore di musica antica eda Mozart stesso ricordato, più tardi,come «il più forte contrappuntista d'Ita-lia tutta». Secondo il Tagliavini, «nei ca-noni del Kyrie in sol per cinque sopraniK. 89 è evidente l'influsso del Lignivil-le»78 di cui Mozart si era copiato partidello Stabat Mater a canone (accoltecome opera sua nel K. Anh. 238) e che aFirenze «gli aveva presentato le più dif-

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ficili fughe e gli aveva proposto i temipiù difficili», come racconta alla moglieLeopoldo Mozart in una lettera del 3aprile 1770. Nega invece quest'influen-za, affermata già a suo tempo da OttoJahn, il curatore dei canoni nel nuovoopera omnia mozartiano79 Albert Dun-ning, secondo il quale sia lo Stabat Ma-ter sia il Salve Regina, entrambi a cano-ne, del nobile compositore fiorentino«mostrano, pur nella ingegnosità dellastruttura, monotonia del melos e una cer-ta rilassatezza ritmica, che difficilmentesi potrebbero mettere in rapporto con lacondotta musicale del Kyrie».

Per dire la verità, e checché ne siadell'influenza di Ligniville, uniformitàmelodica e una certa rilassatezza del rit-

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mo, assai piano e privo di scatti, si po-trebbero benissimo additare, in sensopositivo, come caratteri di questo gioiel-lo trascurato della musica sacra di Mo-zart. Il Kyrie K. 89 si pone come un cor-rispettivo giovanile dell'Ave verum qua-le capolavoro purissimo di ispirazionereligiosa, infinitamente più autentica chequella sciorinata nelle edonistiche Mes-se (e altre composizioni liturgiche sali-sburghesi). Si tratta in realtà di tre cano-ni, secondo la struttura tripartita Kyrieeleison - Christe eleison - Kyrie elei-son. Le cinque voci bianche si libranopiane, circolando dolcemente in unaspecie di altipiano melodico sul qualeemerge periodicamente la vetta di unlieve acuto ritornante: non un acuto

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ostentato, ma piuttosto un punto di mas-sima altezza, raggiunto per gradi conti-gui. Tanto più spicca, nella generale ca-stità di questo procedere melodico pernote congiunte, la presenza di una terzaascendente, emessa quasi con sforzo,che nel primo canone richiama irresisti-bilmente un certo giro di frase melodicotipico della polifonia prerinascimentale,della scuola di Dufay. Accresce que-st'impressione un procedimento dellapolifonia antica: la tonica sistematica-mente alterata quando la melodia ha cor-so ascendente, e ristabilita con bequadroquando la melodia discende. Questacondotta modale conferisce alla compo-sizione un profumo arcaico, che non sisa se si debba ascrivere all'influenza del

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dotto Ligniville. In ogni caso un fatto vastabilito ben chiaramente per intendereil senso artistico di questo come deglialtri canoni di Mozart, anche quelli pro-fani e di tutt'altro carattere. L'arcaismoche contraddistingue queste composizio-ni non è un arcaismo di ritorno, per unfenomeno di revival, bensì è un arcai-smo, si potrebbe dire, per imbalsama-zione: qualche cosa che è rimasto anni-dato e sepolto nelle pieghe della storiaattraverso la persistenza di usanze pro-fessionali e quasi corporative.

II.

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La divisione musicologica dei canoni diMozart in textierte Kanons, cioè canonidichiaratamente vocali, e untextierteKanons, cioè canoni per così dire astrat-ti, e destinati apertamente a esecuzionestrumentale, è esteriore e formalistica.Val meglio distinguere, in seno alle 31composizioni di questo tipo lasciate daMozart, il gruppo ben compatto ed evi-dentissimo dei Gelegenheitskanons, ocanoni scherzosi, destinati al consumoprivato tra amici in un'ora di letizia do-mestica, e gli altri canoni: religiosi (eallora, naturalmente, con testo), oppuredi studio (e allora untextierte, quando -come vedremo - l'interesse editorialenon abbia provveduto a rivestirli di testiposticci).

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Il grosso dei Gelegenheitskanons diMozart si divide in due gruppi compatti,riconducibili uno al primi tempi dellaresidenza a Vienna, cioè al 1782, e unaltro a cinque o sei anni dopo: di que-st'ultimo fanno parte dieci canoni cheMozart annotò sotto l'unica data «Wien,2 September 1788» nel catalogo ch'egliteneva, più o meno accuratamente, delleproprie composizioni, e vi mescolò cu-riosamente un Alleluja (K. 553) e un AveMaria (K. 554) con lavori scherzosi sutesti ultraprofani, per non dire sconci.

Il Gelegenheitskanon va ricondottoall'ambiente viennese di Mozart, alla suavita di relazione, alla Geselligkeit chevolentieri si riuniva intorno ai freschisposi, Wolfgang e Konstanze, per un co-

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mune gusto dello spasso e del diverti-mento. Mozart amava il ballo, il punch,il biliardo. E amava soprattutto l'alle-gria, lo scherzo e il gioco.

Frequentavano la loro casa musici-sti, come il clarinettista Anton Stadler oil cornista Punto, malcapitato oggetto diallegre beffe, ma v'erano medici comeSiegmund Barisani, di famiglia salisbur-ghese, o altri professionisti come l'ami-cissimo Gottfried von Jacquin, figliod'un celebre botanico e compagno quasiquotidiano di Mozart e Konstanze, chescarrozzava per Vienna nella propriavettura. E lui l'occasione dell'umoristicoterzetto vocale Lieber Mandl, wo ist'sBandi? (K. 441), che tanta luce gettasulla gioconda intimità quotidiana del

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giovane Mozart-ménage. «Io non ho spo-sato la Mia per vivere in dispiaceri e inliti, ma in pace e allegri». Così scrivevaMozart al padre, proprio di quei tempi,il 31 agosto 1782. Quella irresistibileinclinazione al piacere che nelle opereteatrali trova voce in indimenticabiliduettini nel ritmo di 6/8, quasi rivendi-cazione d'un paradiso perduto, cheall'uomo era dovuto, e riflesso del mitodell'età dell'oro, rinfrescato dalla sette-centesca teoria del diritto dell'uomo allafelicità, è la base della disposizione in-fantile dell'animo che in Mozart si pro-lunga assai oltre i limiti consuetidell'età. Anzi, completamente non sispegne mai, e sol che si trovi a suo agiocol corrispondente (solo, cioè, che si

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tratti d'una persona con la quale non sia-no intervenuti rapporti di quelli che lagente assennata chiama «seri», «d'affa-ri»), per esempio con la cugina, e con lasposa nei primi anni di matrimonio) lotroviamo anche in età matura pronto ascherzare fanciullescamente, a riferirebarzellette, a buffoneggiare con le paro-le e con la sintassi, storpiandole in unfuoco di fila di freddure e di doppi sen-si. Fa parte di questa disposizione infan-tile la tante volte ricordata coprolalia diMozart, cioè quel gusto assolutamentepuerile di dire e scrivere parolaccepoco pulite, gusto che conferisce unaspetto sorprendente a non poche suelettere alla sorella e soprattutto alla cu-ginetta.

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Ciò porta un fiero colpo alla tesid'un legame causalistico tra carattere earte, se si pensa alla sovrana purezza edistinzione della musica mozartiana, maè una contraddizione soltanto apparente,di facile spiegazione da un punto di vistapsicologico. Alcune delle espressionipiù crude usate nei canoni scherzosi sitrovano con insistenza nelle lettere diMozart. Per esempio, alla «dilettissimacuginetta, cuginina» (5 novembre 1777):«Ora poi le auguro buona notte, cachi aletto tonando; dorma sana; stiri il culofino alla bocca». Oppure, al padre stes-so annunciava burlescamente da Mann-heim il 14 novembre 1777:

Io Johannes Chrisostomus Ama-deus Wolfgangus Sigismunde Mo-

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zart mi dò per colpevole di esserevenuto a casa ier l'altro e ieri (e an-che più sovente) dopo la mezzanottee che dalle 10 fino alla detta ora, daCannabich in presenza e en Compa-gnie dei Cannabich, con la dettaconsorte e figlia, con il sig. tesorie-re Ramm e Lang, spesso e... non dif-ficilmente, anzi molto facilmente,ho fatto dei versi! e davvero soloporcherie, cioè di merda, di cacare eleccar culo e proprio con pensieri,parole e... fatti80

Queste citazioni introducono nel cli-ma d'alcuni dei più spregiudicati Gesel-ligkeitkanons. L'irriverente buona nottealla cuginetta di Augsburg viene ripreso,quasi testualmente, nel Bona nox (K.561), il solo di questi canoni allegri di

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cui si sia conservato intero il testo, buf-fonescamente poliglotta. Perché altri-menti gli editori Breitkopf e Härtel, pub-blicando i canoni di Mozart nel 1804, nesottoposero i testi a pudibonda censura,o meglio li sostituirono, lasciando notosolamente l'incipit, spesso più che suffi-ciente a rendersi conto del carattere chedoveva avere il testo originale. General-mente l'arbitrio censorio dell'editore nonè particolarmente pregiudizievole, datoche nel canone, per la natura stessa dellasua struttura musicale, con sovrapposi-zione sempre più fitta delle voci, le pa-role si possono poco percepire. Maqualche volta l'Umtextierung riesce di-sastrosa, per esempio nel caso del Ca-none K. 233, in cui gli editori, alle pa-

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role «Leck mir den Arsch fein rechtschön sauber» sostituirono un idillicoelogio del vino: «Nichts labt mich mehrals Wein». Ora si dà il caso che questocanone non presenta uno dei soliti temibuffi, popolareschi e un po' angolosi chedi solito hanno i Gelegenheitskanons,ma ha invece un tema melodicamente ri-cercato e fine, che dopo un inizio quasisolenne (lo spazio di una settima percor-so e scandito attraverso tre intervalli di-scendenti: di quarta, terza e seconda) sisolleva in una caratteristica formula me-lodica di stile galante, caratterizzata daun'inserzione cromatica: una cadenza co-munissima anche nello stile melodram-matico. Ora la comicità della composi-zione sta nel contrasto tra tanta squisi-

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tezza melodica e lo sconcio invito a lec-care il culo « fein recht schön sauber»:aggettivi e avverbi riproducono carica-turalmente, con acerba parola, il caratte-re zuccheroso della melodia. Sottopo-nendovi un testo altrettanto arcadico ezuccheroso, l'effetto va distrutto.

Come scrisse egregiamente loStorck, l'effetto comico dei canoni mo-zartiani «riposa principalmente sullaconcomitanza del modo di parlare piùordinario con la forma più elaborata»81

E qui entra in gioco appunto quell'arcai-smo naturale che l'antico genere recavaannidato in sé, non cercato dal composi-tore per un proposito di rievocazionestoricistica. La parodia, insomma, non èdi ordine musicale, come avviene nella

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musica al quadrato, ma piuttosto verba-le: nasce dal connubio forzato di unaforma solenne, conservatasi intatta nellasua antiquità, con gli scherzi sfrontati diparole volgari e quotidiane.

Tale connubio è volutamente accen-tuato nel Canone Leck mich im Arsch(K. 231). Qui le quattro sillabe dellosconcio invito sono distribuite su quattronote lunghe (semibrevi) che hanno unaforte analogia con quella formula diquattro semibrevi, dedotta da un'antifonagregoriana, che Mozart usò quasi simbo-licamente dodici 0 tredici volte in variecomposizioni, dandole poi gloriosa con-sacrazione nel finale contrappuntisticodella Jupiter. Queste quattro note forma-no un pes affidato a turno a due delle sei

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voci, ed esso si sottende a tutto l'arcodella composizione secondo un'usanzacanonica antichissima (anche il vecchiocanone inglese Sumeris icumen in pre-senta,un pes costante che sottostà al vi-luppo imitativo delle altre voci). È chia-ro che la comicità sta nel contrasto tral'oscenità delle parole e la solennità ri-tuale della formula melodica. Sostituen-do alle parole originali un generico«Lasst froh uns sein! », quasi solenneanch'esso, gli editori rovinarono tutto.

Di un altro canone umtextiert daglieditori, Bei der Hitz im Sommer ess ich(K. 234) non è possibile comprendere leragioni della Umtextierung in «Essen,trinken, das erhält den Leib». Il primoverso, unico conservato, non illumina

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sulla possibile oscenità di quelli che loseguivano. Su questo canone a 3 voci,databile verosimilmente da Vienna,1782, pesa qualche sospetto d'inautenti-cità: il ductus melodico presenta infattiqualche rigidità, non umoristica, deri-vante dalla triade maggiore spezzata concui ha inizio, triade che si ripete natural-mente in tutte le entrate successive.

In verità, la tematica di questi canoniè spesso rigida, ma d'una rigidezza bru-sca e scherzosa, non solenne: quasi ru-stica e popolaresca in contrasto con laseverità della forma. È il caso d'alcunicanoni su testo buffonesco, ma non scon-cio, che immettono nel cuore della Ge-selligkeit viennese di Mozart. Uno èLieber Freistädtler, lieber Gaulimauli

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(K. 232) in cui l'amico e scolaro di Mo-zart, Jakob Freistädtler, gratificato delbuffo nomignolo di Gauli Mauli, vieneinterrogato dove vada. (Forse un po' allamaniera di certi sornioni canti popolaricome: «Ou vas-tu Basile, | Sur ton che-val monté? | Je m'en vais à la ville, | Levendre au marché»). Forse va da Finta ?forse va da Sculteti ? Tutti personaggireali, Josef von Finta, cornetta nel primoreggimento degli Ussari, poi luogotenen-te e infine Wachtmeister della GuardiaUngherese a Vienna fino al 1790, figuratra i sottoscrittori di tre concerti mozar-tiani nella casa Trattner il 17, 24 e 31marzo 1784. Ferdinand von Sculteti eraconsigliere di cancelleria e alto buro-crate nell'amministrazione ungherese a

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Vienna. No, Freistädtler non va né daFinta né da Sculteti, bensì va da Kitscha(e qui nessuno ha potuto individuare ilpersonaggio; probabilmente si tratta diun'allusione maliziosa). E, aggiunge fie-ramente, colui che ci va non è Freistäd-tler, né tanto meno Gaulimauli, né lo Sta-chelschwein (porcospino, altro nomi-gnolo affibbiato da Mozart all'allievo),bensì è nientemeno che il signor von Li-lienfeld. (Era una mania mozartianaquella di affibbiare nomignoli burleschiai suoi amici. Costanza era, come si sa,Stanzi Marini: Stanzi derivato evidente-mente dal suo nome, ma di dove venisseMarini, vattelapesca).

Tutto il pasticciato testo mozartianoha certamente qualche oscuro riferimen-

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to con l'abbozzo, puramente letterario,d'una farsa Der Salzburger Lump inWien, dov'era appunto questione di Frei-städtler, designato ora come Herr Sta-chelschwein, ora come Intriguant. Poi-ché in questo abbozzo, pur in mezzo atanta allegria, Mozart menziona la mortedel padre di Freistädtler, ed è noto cheessa avvenne il 4 luglio 1787, saviamen-te il Dunning prende questa data cometerminus post quem della composizione,l'altro termine restando il i° ottobre, datadella partenza di Mozart per la messa inscena del Don Giovanni a Praga.

La melodia di Lieber Freistädtler ètipica, quasi emblematica del generesornione e popolaresco usato da Mozartin questi canoni burleschi: generalmente

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un inizio lento, a note lunghe, cui segueuna breve melodia più sciolta, in valoripiù brevi, ben contrassegnata da un ictusacuto, uno zenit melodico che ricorreuna sola volta nel corso della melodia ene costituisce il tetto, o piuttosto la gu-glia: trattandosi di melodie brevi, ripe-tute ossessivamente attraverso il giocodelle parti, lo zenit melodico si stampacome un segnale inconfondibile. D'altraparte l'alternativa costante della zonalenta con la zona veloce della melodiaproduce un movimento d'altalena che ètipico di questi canoni scherzosi (non cen'è neanche l'ombra, invece, nel movi-mento piano, appena ondulante, del Ky-rie e di altri canoni d'argomento sacro).

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Forte analogia col Freistädtler pre-sentano altri due canoni, entrambi conriferimento al Prater, cioè al parco di di-vertimenti viennese, dove non c'era an-cora evidentemente la grande ruota gire-vole, ma dove si esibiva il teatro dei bu-rattini del Kasperl, la marionetta che im-persona lo spirito allegro e goderecciodella città. Uno è Grechtelt's Enk (K.556), a 4 voci con risposta all'unisono, el'altro è Geh'n toirim Prater (K. 558),anch'esso a 4 voci e all'unisono, dove ilPrater è oggetto d'una descrizione nonpropriamente lusinghiera, dicendosi chevi sono «Haufen voll Dreck», e cheinoltre l'orso è crepato e il Kasperl èmalato. In quest'ultimo canone la melo-dia reca due caratteri salienti: uno la ca-

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lata al grave nella ripetizione dell'invitoa andare «zum Kasperl», e l'altro, l'an-damento scorrevole, quasi dinoccolato,dalla risposta popolaresca: «Der Ka-sperl ist krank, der Bär ist verreckt».

Stesso tipo di melodia duretta, a spi-goli, in Grechtelt's Enk, dove il contras-segno marcante è lo zenit melodico rag-giunto sulla tonica alle parole «zumPrater» e «was blauscht der?», que-st'ultima su una pungente e sbarazzinatriade perfetta di sol maggiore (tale è iltono del pezzo), tosto rivoltata e calatad'una terza. Entrambi i canoni furono re-gistrati da Mozart nel suo catalogo sottola data, certamente a posteriori, di Vien-na 2 settembre 1788.

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Uno dei più famosi doppi sensi poli-linguistici di Mozart è quello del Cano-ne Difficile lectu mihi Mars (K. 559).Queste oscure parole latine danno occa-sione a una grave melodia, aperta da unsolenne intervallo di quinta ascendente,cui risponde, dopo tre battute, l'omologodiscendente. A questa proclamazione al-tisonante, prevalentemente in valori diminima, segue un codicillo più svelto, insemiminime, sulle insensate parole etjonicu difficile. Insensate, ma fin troppochiare quando nelle ripetizioni della tec-nica canonica le sillabe finiscono perdisporsi nell'iterazione della parola «cu-joni». E la prima frase, proposta all'ese-cuzione del tenorista bavarese JohannNepomuk Peyerl, di cui erano ben note

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agli amici certe difficoltà e inesattezzedi pronuncia, si trasformava in buon te-desco come segue: «Difficile leckst dumich im Arsch», cioè: «difficilmente milecchi nel sedere». Alla fine del foglio ilpovero cantore trovava l'invito a voltarpagina: dall'altra parte c'era un nuovoCanone a 4 voci, sulle parole O, du ese-lhafter Peyerl (K. 560a), che con ritmotracotante e spigolosa condotta melodi-ca, a energiche accentuazioni, lo invita-va a compiere la solita funzione. La va-riante O, du eselhafter Martin! O, dumartinhafter Esel non muta che il nome(e la tonalità del pezzo, in sol maggiore,mentre O, du eselhafter Peyerl e notatoin fa maggiore). Può darsi che lo scherzofosse stato trasferito ad altro zimbello (e

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in questo caso l'Einstein suggerisce po-tesse trattarsi di Philipp Jacob Martin,impresario dei concerti di Mozart allaMehlgrube e nell'Augarten). La prefe-renza accordata di solito dai cori a que-sta versione è dovuta probabilmente aragioni eufoniche di migliore e più so-nante pronuncia.

Col già citato Bona nox (K. 561) siricasca in pieno nella pornografia dia-lettale e polilinguistica del lessico fami-gliare di Mozart, e in quel tipo di melo-dia da canone caratterizzata da una testadi tema a valori lunghi, seguita da un piùrapido snocciolamento di note, con ef-fetto di altalena attraverso l'incrociodelle voci (che sono quattro, con entrateall'unisono). Zenit melodico ben marca-

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to, toccato una volta sola nel corso ditutta la melodia, sull'ultima sillaba delleparole «liebe Lotte», che rima buffone-scamente con «buona notte».

Abbiamo lasciato da parte due cano-ni sacri, che si trovano stranamente elen-cati nell'autocatalogo di Mozart sotto ladata del 2 settembre 1788, in mezzo atante buffonate. Sono l'Alleluja K. 553 el'Ave Maria K. 554. Grandioso e quasipalestriniano il primo, che si fonda suuna intonazione gregoriana dopo l'Epi-stola nella liturgia del Sabato santo.Esso sfrutta il contrasto tra vocalizzo sunote lunghe e sillabato su note brevi.Soave, dolcissimo il secondo, con unche di galante e di settecentesco nellacadenza che chiude il primo e il secondo

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dei quattro incisi ond'è composto, armo-nizzata per terze. Questo canone si trovascolpito su una tavola di pietra all'ester-no del chiostro di Bernried sul lago diStarnberg, in seguito a una tradizione,dimostrata poi leggendaria, che Mozartl'avesse colà composto, durante una vi-sita occasionale, mentre si trovava aMonaco per l'Idomeneo, cioè tra il 1780e il 1781.

Restano, fra i canoni sicuramentevocali, cioè fra i «textierte Kanons»,quattro componimenti su testi italiani.Tre sono compresi nell'autocatalogo diMozart, sotto la data 2 settembre 1788,ma è lecito supporre che risalgano aepoca molto precedente. Essi adottano itesti italiani di tre dei sette canoni di

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Caldara che Leopoldo Mozart si era co-piato dai Divertimenti musicali percampagna. Sono: Lacrimoso son io (K.555), Nascoso è il mio sol (K. 557) eCaro beli'idol mio (K. 562). Non si puònegare che l'uso della lingua italiana, esoprattutto la smanceria amorosa deiversi, tolgano a questi canoni alquantodella freschezza che posseggono quellidialettali e sboccati. Specialmente alprimo, in la minore, dove la chiave com-positiva sta nel contrasto tra lo slargovocalizzante sulla terza sillaba e il silla-bismo, o semisillabismo, con cui sonointonate le altre parole. Il testo ebbemolta popolarità, e fu intonato da altricompositori, fino a Schubert.

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In Nascoso è il mio sol, anch'esso a4 voci come il precedente, con rispostaall'unisono, si nota ancora la tonalità mi-nore (fa) e il cromatismo degradanted'un passo che esprime dolore: «piange-te voi il mio duol». Non è escluso chequest'uso espressivo del cromatismo ve-nisse suggerito a Mozart dagli esempi diCaldara, come pure qualche spunto me-lodico. Al Dunning ciò pare soprattuttoverosimile per Caro bell'idol mio (K.562), a causa dell 'incipit ondeggianteentro lo spazio d'una terza minore, comeinfatti avviene, in altro tono, purenell'omonimo canone di Caldara.

In questi canoni italiani la severitàcontrappuntistica si tinge, non già di po-polaresca comicità, come avviene nei

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canoni viennesi, bensì d'una certa galan-teria settecentesca, in bilico tra sensuali-tà e compunzione. Ciò appare special-mente in Caro bell'idol mio, a 3 voci: lasoavità erotica mista a malinconia isti-tuisce un clima non lontano dai deliziosiduettini femminili di Così fan tutte. Nonmanca la tipica cadenza galante che giàavevamo notato nell'Ave Maria K. 554.Anche qui essa è condotta dal moto del-le parti a combinarsi con se stessa in ar-moniose e suadenti terze e conclude nel-la solita chiusa gentilmente semitonale.Il vocalizzo di terze su «Non ti scordardi me», e la scaletta di terze alternateche s'arrampica in una voce alla fined'ogni episodio per rilanciare le altredue, determinano un clima musicale che

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sa di teatro, più che in qualunque altrodei canoni mozartiani.

Non è invece incluso nell'autocatalo-go mozartiano l'altro Canone su testo ita-liano, V'amo di core teneramente (K.348), che non si sa bene se ascrivere algruppo dei primi anni viennesi, 1782, oa quello del 1788. L'omissione fece pen-sare che Mozart lo stimasse meno deglialtri, o che non fosse originale. C'è làsopra tutta una storia che risale alla ve-dova di Mozart. In una lettera del 10 set-tembre 1800 all'editore André, Konstan-ze ne parla come di un frammento, com-pletato da qualcuno (che sarebbe statoMaximilian Stadler, organista e compo-sitore sacro). Costui avrebbe smentito ledicerie diffuse su questo prezioso relit-

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to, che secondo alcuni sarebbe stato unpezzo a due voci e non un vero e propriocanone. Invece, ribatteva lo Stadler, sitrattava veramente d'un canone, e dei piùcomplessi, essendo nientemeno che a 12voci. «E possibile - continuava Konstan-ze riferendo il parere di un misteriosoN. N., che sarebbe appunto lo Stadler -che il tema non sia di Mozart; ma l'ela-borazione è sicuramente sua, perché suaè la scrittura e lui stesso ci ha fatto den-tro delle correzioni».

Suo o no che sia il tema, e anche am-mettendo che l'idea d'una trattazione acosì gran numero di voci potesse esserevenuta a Mozart dalla conoscenza delcanone di padre Martini, Iste est Davida 16 voci (quattro cori a 4 voci), anche

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ammettendo tutto ciò, resta l'insolitospessore fonico delle 12 voci, ripartitein tre cori a 4 voci, che conferisce aV'amo di core un caldo afflato affettivo,una cordialità perfettamente consonaallo spunto iniziale delle parole.

III.

Sono dunque sedici i canoni dichiarata-mente vocali di Mozart, dieci dei qualielencati nel catalogo alla data 2 settem-bre 1788, e gli altri, ad eccezione delgiovanile Kyrie, da assegnare a due pe-riodi del soggiorno a Vienna, cioè al1782 e al 1786. Restano i canoni senzaparole o di studio, e sono dieci, oltre a

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quelli giovanili, cioè i quattro canonienigmatici dedotti da vignette della Sto-ria di padre Martini e un altro Canoneastratto a 4 voci, in la maggiore, compo-sto forse a Roma nell'aprile 1770, chenel catalogo Kochel spartisce coi quat-tro suddetti l'indicazione 89a con l'ag-giunta di un II romano. È un piccolo di-vertimento, un po' monotono, col princi-pio stesso della tecnica canonica, degu-stata e sottolineata nell'ostinata risorgen-za d'una frase di sei note ascendenti nel-lo spazio d'una sesta maggiore.

Fra i rimanenti canoni senza testo,riconducibili anch'essi ai primi anni diVienna, cioè al 1782, ve n'è un gruppo di5 ai quali gli editori Breitkopf è Härtelsi arrogarono l'iniziativa di applicare te-

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sti poetici, evidentemente a scopo com-merciale, al fine di poterli vendere aglistessi gruppi corali che potevano avereinteresse ai precedenti canoni vocali. Ditre fra questi cinque canoni travestiti sipossiede il manoscritto, chiaramenteprivo di testo vocale, e sono il K. 347 a6 voci e i K. 507 e 508 a 3 voci, asse-gnabili a data posteriore al 3 giugno1786. Per gli altri due non si possiedemanoscritto, e si conoscono solo attra-verso la prima edizione delle operecomplete, pubblicata da Breitkopf eHärtel. Ma nel vecchio catalogo mano-scritto delle composizioni originali diMozart, gli editori dichiarano onesta-mente che nei manoscritti, da loro cono-sciuti, tali due canoni (K. 229 e 230) re-

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cavano esplicitamente l'indicazione«ohne Text».

Per travestirli da canoni vocali essiscelsero due poesie di Ludwig Christo-ph Heinrich Hölty, il delicato lirico te-desco vissuto tra il 1748 e il 1776. Nonsi può dire che sia stata una cattiva scel-ta, specialmente per il primo di essi, Ca-none a 3 voci, in do minore, caratteriz-zato all'inizio dalla scivolata cromaticaentro uno spazio di quarta: la discesacromatica di quarta era un'espressionetipica di lutto nella semantica musicalesettecentesca, e il Dunning ricordal'esempio d'un canone di padre Martini,Quando giunge l'ora amara | Dipartirda questa vita. Le parole di Hölty la-mentano la partenza di una persona cara:

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«Sie ist dahin die Sängerin, | Die Ma-ienlieder tönte! » Ma per adattare le sil-labe alla melodia preesistente gli editoridovettero imbottire i versi con frequentiripetizioni di parole. La frase cromaticadegradante dell'inizio costituisce soltan-to una specie di testata, a carattere lut-tuoso e trenodico: in seguito il canone,abbastanza esteso, si svolge su una nuo-va idea circolante fra le tre voci (consi-gliabile siano tutte voci bianche) in unaspecie di equilibrio ritmico e dinamico,librandosi sospese per lo più in regioneacuta. Al lutto dell'inizio succede, in-somma, una dolce e rassegnata malinco-nia.

Per il Canone K. 230, pur esso in dominore, a due sole voci, il testo di Hölty,

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scelto dagli editori («Selig, selig alleDie im Herrn entschliefen! ») è un veroe proprio epitaffio per la morte di unamico: dopo l'affermazione iniziale del-la tonalità di do minore, le due voci s'in-seguono dolcemente, e con una certa mo-notonia, lungo una malinconica frase di-scendente.

Tanto è indigente il precedente cano-ne, che però si era guadagnato l'ammira-zione del dotto Albrechtsberger, nellasua stesura a 2 voci, altrettanto è fonica-mente corposo il breve Canone K. 347,a 6 voci, cui gli editori affibbiarono untesto a carattere conviviale: « Wo derperlende Wein im Glase blinkt». Il ca-none in questione è un esempio tipico diquell'effetto che abbiamo detto di altale-

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na. Esso si ottiene con un incipit di va-lori lunghi (in questo caso due semibre-vi), tosto seguiti da valori più brevi (inquesto caso minime e semiminime): sic-ché avviene che la spaziatura vuota del-la testa di tema, sempre proposta da unadelle sei voci, viene riempita dal vociodelle altre parti generandosi, appunto, uneffetto di altalena tra staticità e movi-mento, tra lentezza e rapidità.

I Canoni a 3 voci K. 507 e 508,composti a Vienna nel 1786, fanno parted'un gruppo di canoni che l'allievo in-glese di Mozart, Thomas Attwood, co-piò nel proprio quaderno, modificando-ne talvolta un poco la condotta, a titolodi esercizio. Gli editori vi apposero duetesti generici. Ma il carattere astratto, di

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studio, delle due composizioni è eviden-te: il semplice accenno alla «serenità»,stilato da Härtel, e l'invito alle «cure» divolare lontano, non trovano riscontro neltono più serioso che lieto della musica.E manifesta esercitazione è il brevissi-mo Canone K. 508, attrezzato dall'edito-re Härtel con le parole: «Auf das Wohlaller Freunde! jeder lebe hoch!» Da no-tare che, mentre generalmente le entratedei canoni di Mozart sono quasi sempreall'unisono, in questo breve Canone a 3voci le entrate avvengono alla seconda ealla sesta inferiore.

Un ultimo canone con testo apocrifo,cioè editoriale, è il K. 228, che nono-stante il basso numero di catalogo, sem-bra da ascrivere al 1787 (infatti nelle ul-

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time edizioni del Kochel-Verzeichnissreca il numero 515b). Gli editori vi ap-posero le parole: «Ach! zu kurz ist un-ser Lebenslauf! Kaum entstanden hör'nwir auf ». Un lamento sulla brevità dellavita, testo che nella sua genericità nonstona con la qualità dolcissima, piena dinostalgia e di soavità, della breve frasemusicale. È un canone doppio a 4 voci,cioè due canoni a 2 voci con rispostaalla quarta e alla quinta inferiore, armo-niosamente sovrapposti. Esso ci è per-venuto in un manoscritto autografo, sottoforma di canone enigmatico, dedicatoall'amico Gottfried von Jacquin in data24 aprile 1787 (che non è necessaria-mente la data della composizione), conle parole: «Don't never forget your true

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und faithful friend Wolfgang Amadé Mo-zart». Sono due righi di musica, ognunodei quali contiene una delle melodie delcanone doppio. Sopra, a guisa di titolo,è scritto: «Canone a 4 voci». La soluzio-ne, cioè la composizione del canonestesso, è lasciata alla sagacia del desti-natario o del lettore.

Un grande studioso come il Notte-bohm ha pensato che a questo canonepotesse riferirsi un episodio raccontatodal Rochlitz, prezioso poligrafo musica-le di Lipsia, vissuto tra il 1769 e il1842, e noto soprattutto per le sue rela-zioni con Beethoven. Sembra poco pro-babile che il racconto del Rochlitz possadavvero avere riguardo a questo canone;forse esso rinvia ad altro canone dop-

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pio, perduto. Deve tuttavia essere citatoper la luce che getta sopra l'uso del ca-none in qualità di dotto intrattenimentomusicale per intenditori. Raccontò dun-que il Rochlitz, nella «Allgemeine musi-kalische Zeitung» del 1860-61, ap. 450sgg., quanto segue:

Mozart cenò la sera, prima di par-tire da Lipsia per Berlino, dondepensava di ritornare entro pochigiorni presso il Kantor Boles, nellacui casa egli aveva dimorato a lungoe volentieri, mostrandosi molto se-reno. Gli albergatori, che la sua par-tenza rendeva tristi, lo pregarono dilasciar loro un rigo per ricordo; luisi fece beffe del loro piagnucolare edisse che avrebbe preferito dormire,piuttosto che scrivere. Tuttavia alla

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fine si fece dare un foglio di cartada musica.. lo strappò in due parti esi sedette a scrivere; non più a lungodi cinque o sei minuti. Poi diede alpadre l'una, al figlio l'altra metà. Suun foglietto stava un canone a 3voci, in note lunghe, senza parole; acantarlo suonava magnificamente,molto lamentoso. Sul secondo fo-glietto c'era pure un canone a 3 vocisenza parole, ma in semicrome,molto bizzarro. Come ci si accorseche entrambi potevano essere canta-ti contemporaneamente, Mozart al-lora scrisse il testo. Sotto l'uno:«Addio, ci rivedremo! » Sotto l'al-tro: «E continuate a piangere, comevecchie donnette! » Così vennerocantati ancora una volta. Non è adire quale ridente, eppure profondoeffetto, quasi incisivamente corruc-

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ciato, eppure insieme eccelsamentecomico, questo produsse sopra tuttinoi. E, non mi sbaglio, anche su dilui, perché con un'espressione delvolto quasi selvatica esclamò im-provvisamente: «Addio, ragazzi! », evia.

Osserva il Dunning che con una certafatica le parole suddette si possonoadattare alle rispettive melodie del ca-none enigmatico regalato a Gottfried vonJacquin, e che, soprattutto, non pare pos-sibile cavarne una soluzione di canone a6 voci (tre più tre). Né le due melodiedel Canone K. 228 sembrano corrispon-dere al contrasto espressivo chiaramenteadditato nelle parole citate.

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Unico canone di Mozart con esplici-ta e indiscussa destinazione strumentaleè il K. Anh. 191, a due violini, viola ebasso, di così sapiente e studiosa scrit-tura da scoraggiare con la sua rigidezzaogni velleità di trasformazione vocale.Le voci entrano alla seconda inferiore,degradando perciò dal sol al re, natural-mente col distacco d'ottava richiestodalla viola e dal violoncello.

IV.

Prescindendo da alcuni frammenti e ab-bozzi (per lo più abbozzi dei canoni finqui descritti) questo è tutto quanto Mo-zart contribuì alla più antica e più rigo-

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rosa tecnica di scrittura per imitazionecontrappuntistica, intesa come vera epropria forma a sé stante: canoni puri,cioè, siano essi destinati all'esecuzione,vocale o strumentale, oppure per cosìdire astratti, cioè destinati allo studio eall'esercitazione polifonica. Va da sé chenell'insieme della sua opera sono invecerintracciabili casi di canoni applicati,cioè passi di opere d'ampia struttura, neiquali viene usato l'artificio compositivodel canone. Esso viene allora immersonella vita della musica in senso lato, an-ziché essere sottoposto a una specie dicoltura in vitro, come un monstrum, unrelitto venerabile del passato, il cui rin-secchimento può essere riscattato o dauna specie di sottolineatura caricaturale,

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nel contrasto con parole generalmenteburlesche, oppure da un soffio di realeispirazione diretta, per lo più di naturareligiosa, inserita nelle pieghe d'una pa-rodia dello stile antico, non tanto cerca-to per vezzo culturale, quanto piuttostospontaneamente e miracolosamente ri-trovato attraverso vene segrete della sto-ria e canali sotterranei della tradizione.

Questi casi di canoni applicati nonsono poi molti, perché lo stile dellaclassicità viennese era tutto teso allosfruttamento delle risorse offerte dall'ar-monia, tuttora rinvigorita dal tempera-mento della scala, e perciò non indulge-va al contrappunto. Tuttavia anche questicasi si presentano sostanzialmente di-stribuiti in due categorie che potremmo

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descrivere, grosso modo, come sacra eprofana, seriosa e faceta. Del primocaso si trovano esempi, ovviamente, nelRequiem, e precisamente nel Rex tre-mendae maiestatis e nel Recordare.

Di impiego del canone in componi-menti profani, due casi riguardano il tea-tro, sede generalmente poco indicata perospitare saggi di bravura contrappunti-stica. Uno è nel second'atto delle Nozzedi Figaro, scena sesta, là dove l'arrivoimprevisto del conte costringe la contes-sa ad occultare precipitosamente Cheru-bino, che insieme con Susanna essa sta-va travestendo in abiti femminili permandarlo all'appuntamento notturno colconte, secondo il piano architettato daFigaro. Si determina un terzetto (allegro

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spiritoso, in do maggiore), dove si fron-teggiano il conte, furente, e la contessa,sbigottita. Susanna s'avanza in un secon-do tempo dalla camera dove, secondo lacontessa, «un abito da sposa | Provandoella si sta». Su queste parole la contessainizia, in maggiore, una frase semplicis-sima, quasi esclusivamente un ritmo, cheben presto, trascorrendo nell'inquieta to-nalità di sol minore, riunisce le tre vociin un insieme con inizio a canone.«Chiarissima è la cosa» comincia ilconte. «Bruttissima è la cosa» soprav-viene la contessa. «Capisco qualchecosa» entra per ultima Susanna. L'effettodel breve canone è di mistero e di stupo-re: l'intrigo avvolge i tre personagginell'ignoranza reciproca della situazio-

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ne; Susanna, appena arrivata dall'altracamera, è quella che ne sa meno di tutti;il conte ha molti sospetti e arde dal desi-derio di chiarirli; la contessa è quellache sa tutto, ma è anche la più imbaraz-zata, perché sapendo quello che gli altriignorano, e cioè che nel gabinetto èchiuso Cherubino, sta sulle spine e cercadisperatamente qualche scappatoia.

Questa situazione instabile e diversi-ficata, che mai un dialogo teatrale riu-scirebbe da solo a rendere, risulta per-fettamente nella ripetizione a canonedelle lugubri e spioventi linee vocali.C'è un senso di mistero e d'intrico, a cuidà rilievo il diligente contrappunto a trevoci, cui si applicano oboi e fagotti,quasi legando i fili d'una ragnatela. L'en-

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trata nel tono di sol maggiore segna lafine di questo piccolo incubo. Il canonedelle tre voci si ripete a rovescio. Que-sta volta comincia Susanna: «Capiscoqualche cosa». Continua la contessa:«Bruttissima è la cosa». Entra per ulti-mo il conte, ma ormai l'atmosfera op-pressiva del sol minore è sparita, gli ar-chi avviano un motivo vivace che occul-ta praticamente il filamentoso contrap-punto a tre voci dei legni, e quando icantanti si trovano riuniti sopra una figu-ra oscillante di due note (batt. 50),all'unisono con l'orchestra, una dellevoci femminili se ne spicca con un aereovocalizzo cromaticamente ascendente,seguito da una pausa generale di una bat-

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tuta e mezza, appena rotta da un timidoaccordo perfetto degli archi.

Si ha così una specie di cadenza so-spesa, dopo la quale la frase giunge ra-pidamente a termine sulla tonica.

L'altro impiego di canone in una sce-na teatrale si ha nell'ultima scena diCosì fan tutte, nel brindisi degli sposi almomento delle false nozze tra le duecoppie incrociate. Questo canone straor-dinario si riallaccia a quel tipo di musi-ca di società, che Mozart praticava nellacerchia dei suoi amici con scherzi qualiLieber Freistädtler, Geh 'n wir im Pra-ter, O du eselhafter Peierl. È anche que-sto un canone a tre voci, perché deiquattro personaggi implicati uno, Gu-glielmo, il baritono, di temperamento

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più collerico e rude che il suo amicoFerrando, non sa unirsi a lui nella finzio-ne (che per le due donne non è finzioneaffatto, ma realtà), e invece di farsicoinvolgere nelle spire circolari del ca-none, dapprima tace, poi inserisce i suoicommenti stizzosi: «Ahi bevessero deltossico | Queste volpi senza onor», se-questrandosi anche musicalmente dalconsorzio amichevole. Sicché ci trovia-mo in presenza di un quartetto che è co-struito da un canone a 3 voci, più unavoce extra canone.

Straordinaria è la convenienza tea-trale e scenica, l'opportunità drammatica(in senso lato), con cui una forma tantoestranea al melodramma quale il canone,viene piegata alle esigenze della situa-

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zione: caso esemplare di quella miraco-losa coincidenza di musica e azione, diquell'armonia prestabilita fra le esigenzedella forma e quelle della narrazione,che è il segreto e la grandezza 828. Sia-mo nello splendido salone dove prestoDespina, travestita da burlesco notaio,celebrerà le false nozze delle sue pa-droncine coi due ospiti albanesi. I servi-tori hanno preparato le mense per il ban-chetto «con ricchezza e nobiltà». DonAlfonso approva: «Bravi! bravi! ottima-mente! | Che abbondanza, che elegan-za! » Sulla tovaglia preziosa del lungotavolo brillano i cristalli, sfavillano idoppieri. Si attende l'arrivo delle cop-pie nuziali e al loro ingresso il coro deiservitori e dei musicanti intona il solen-

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ne benvenuto, Andante, in mi bemollemaggiore: «Benedetti i doppi coniugi ele nobili sposine». Sembra un momentodi suprema felicità e di gioia, e noi, chesappiamo il trucco, come Don Alfonso eDespina che l'hanno messo in atto, vi-viamo questo momento divisi tra l'ab-bandono all'allegria generale e l'ansiosaconsapevolezza dell'inganno: tanta festaè falsa, e dovrà finire in una catastrofe.

Sarà un caso, o sarà sottilissimaastuzia del malizioso librettista, che leprime parole pronunciate dai quattrosposi nel loro splendido ingresso sanci-scano proprio questa situazione di men-zogna: «Come 'par' che qui prometta |Tutto gioia e tutto amore! » Il quartettodegli sposi prolunga la solennità del

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tono di mi bemolle maggiore già intro-dotto dal prologo corale della scena.Sull'intima compattezza delle armonie,che simula una concordia inesistente,svetta l'acuto svolazzo di Fiordiligi, poiemulato, più brevemente, da Ferrando: ec'è già una specie di embrionale presen-timento di canone nella guisa con cui levoci del soprano e del tenore s'inseguo-no evadendo per un momento dall'armo-nia collettiva del quartetto. Poi irrompeil coro coi suoi auguri, quindi il discor-so passa di nuovo ai protagonisti, con unepisodio di sbalorditivo colorito russo,prima introdotto dall'orchestra, poi ri-preso dai due uomini: l'ostinazione rit-mica, quasi testarda e paesana, dei breviincisi ripetuti, il gusto iterativo e la coc-

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ciuta ricaduta di tonica-dominante, allu-dono per un momento, con allucinanteanticipazione, a un'atmosfera di festivitàbarbarica tipo Boris Godunov. Casualecombinazione di note, oppure - conside-rando che l'episodio musicale non è ri-preso dalle due donne nella loro rispo-sta, ma si riferisce esclusivamente aidue finti albanesi - possibile ricorso diMozart a qualche fonte occasionale dicolorito esotico, non impossibile, dopotutto, nel pittoresco crogiuolo di razzedella capitale asburgica ?

Gli sposi occupano ora il primo pia-no della scena e della musica, in un ra-pimento progressivo d'estasi quasi piùerotica che nuziale. La cerimonia delbrindisi, col contatto incrociato dei bic-

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chieri, diventa quasi simbolo della con-giunzione carnale nel matrimonio: la mu-sica si arresta in una sperduta, vaneg-giante ripetizione della settima di domi-nante sulla ripetizione inebbriata delleparole «tocca, bevi, bevi, tocca».

A questo punto, dopo una corona disospensione, fiorisce il canone straordi-nario. Fiordiligi intona: «E nel tuo, nelmio bicchiero | Si sommerga ogni pen-siero...» (a questo punto entra, con lemedesime parole e la medesima melo-dia, Ferrando, tenore) «... e non restipiù memoria | Del passato ai nostricor». A questo punto, sempre Fiordiligi,per un momento sola, e senza orchestra,opera la congiunzione con la frase chesegue, per mezzo di tre note di transizio-

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ne («Ah, no, non...») e qui interviene nelcanone Dorabella, con la melodia prece-dente, mentre Fiordiligi va ad attestarsisulla tonica per farne discendere la se-conda frase del canone, subito ripresada Ferrando, alla dominante e a distanzaravvicinata. Soltanto dopo tre battuteFerrando perviene ad assumere la se-conda frase nella sua forma piena, men-tre Fiordiligi la sta terminando e Dora-bella, invece, indugia ancora nella primafrase. Quando tutti e tre hanno concluso,Fiordiligi e Ferrando la seconda fase eDorabella la prima, tocca allora a Fer-rando di rilanciare, con le tre note ditransizione («Ah, no, non») l'episodiosuccessivo, che vede Fiordiligi ritornataalla prima frase e Ferrando e Dorabella

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attaccare, nell'ordine, la formulazionesimmetrica della seconda frase. È quiche Guglielmo, fino a questo momentotaciturno nel suo dispetto, inserisce ilsuo collerico commento, sotto forma dicomplementi armonici del canone a trevoci, del cui tessuto non fanno parte:sono integrazioni, per così dire,dall'esterno; il canone si svolge stretta-mente per conto proprio, e Guglielmoapprofitta delle sue pause e dei suoi in-terstizi per collocare le sue chiose,estranee alla legge canonica. Intuizione,questa, che ha del miracoloso: il geniodrammatico assurge qui a misura di ge-nio storico. Si pensi infatti: le due donnecredono nella felicità del momento chestanno vivendo; Ferrando non ci crede,

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ma finge di crederci, e perciò si adeguaalla norma del canone che Fiordiligi haproposto. Guglielmo non ci crede né safingere di crederci, e perciò esce fuori,esorbita dalla regola canonica, introduceun altro linguaggio musicale, e precisa-mente il linguaggio contemporaneo, illinguaggio dell'armonia in uso al tempodi Mozart, mentre gli altri tre, o avvoltinell'inganno (le due donne), o nella fin-zione (Ferrando), si servono d'un lin-guaggio passato, l'imitazione canonica,secondo il procedimento della parodia.Volendo spingere l'interpretazione finoad estremi di sottigliezza, che del restonon sono incompatibili, a livello d'intui-zione inconscia, col genio di Mozart, sipotrebbe affermare che il personaggio

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che finge (Ferrando) e i due che credonoalla finzione (le donne) si esprimono inregime di parodia stilistica; quello chenon sa fingere, il rozzo Guglielmo, siesprime in linguaggio presente, attuale.

«Il dopo-Mozart» sarebbe forsel'espressione più esatta per tradurre il ti-tolo d'un recente libro di Gernot Gruber,docente nella Scuola superiore di musi-ca a Monaco, curatore del Flauto magi-co nella nuova edizione delle operecomplete: Mozart in der Nachwelt (Re-sidenz-Verlag, Salzburg und Wien 1985,pp. 320). Straordinario argomento. L'im-magine di Mozart quale si è venuta for-mando e trasformando nei due secoli se-guiti alla sua morte è una sonda per lostudio della nostra civiltà, una cartina di

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tornasole per riconoscere noi stessi.Dimmi come vedi Mozart, e ti dirò chisei. L'autore di questa densa e fitta ricer-ca la suddivide in soli quattro capitoli, iquali non recano altri titoli che date la-pidarie: prima del 1800; 1800-1830;1830-1900; dal 1900 al presente. Non cisono ripartizioni, diciamo così, verticalidella materia: fatti e idee, ricerca e pen-siero, cronaca e storia, tutto è mescolatoin un discorso densissimo e inestricabi-le. Quando si fa storia sul serio non c'èdicotomia di documentazione e interpre-tazione. Tuttavia, data la natura quasimagmatica dell'esposizione, qualchestacco almeno tipografico fra gli argo-menti; o qualche titolino marginale, nonguasterebbe.

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Il primo capitolo, ovviamente, èquasi tutto fatti. Descrive la solerte atti-vità d'un gruppetto di fedeli per tenere invita la memoria dell'artista troppo pre-sto scomparso. Konstanze (e in concor-renza con lei la sorella di Mozart, Nan-nerl), van Swieten, lo stesso Haydn,Eberl, Süssmayr, e perfino una certa be-nigna attenzione di Federico Guglielmodi Prussia. Prima esecuzione del Re-quiem, completato alla bell'e meglio, il14 dicembre 1793: figurava come autoreil conte Walsegg, che l'aveva ordinato epagato. Si estende a poco a poco un sot-terraneo movimento d'opinione, coi pri-mi concerti celebrativi, presto anche acarattere ufficiale.

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Povera Konstanze! Forse l'abbiamocalunniata sostenendo che non avevacompreso la grandezza dello strano ma-rito che le era toccato in sorte. Anzi, fuil prototipo di quella categoria socialeconosciuta come «vedova del Maestro».Autentico, o tardivo e antedatato il la-mento che vergò sul suo taccuino rien-trando in casa affranta il 5 dicembre1791 ? «Amatissimo sposo, Mozart indi-menticabile per me e per tutta l'Europa!anche per te è finita! per sempre finita!...O Dio! per otto anni ci unì il più tenero,e d'ora innanzi infrangibile legame. Oh!possa io presto riunirmi a te. La tua ad-doloratissima sposa Constance Mozartnata Weber». Anche a voler dar retta airicercatori più maligni, se alcuni anni

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dopo si rese conto di quel che avevaperduto e uscì in quello sfogo postumo,non ci sarebbe niente di male. Ma poi,perché mai?

C'erano tante cose da fare in queiprimi anni del dopo-morte per la liqui-dazione dell'eredità di Mozart. Non ave-va lasciato il becco d'un quattrino, ma unenorme patrimonio artistico da ammini-strare. Rivelatesi presto vane le speran-ze di fare dei figli nuovi fanciulli prodi-gio (si veda il lavoro di Walter Hummel,Bärenreiter 1956), c'era il grande com-pito della pubblicazione e gestione delleopere. La promozione di esecuzioni. Latraduzione dei libretti di Da Ponte. (Lamaggior fortuna iniziale del Flauto ma-gico non è tanto dovuta a segrete rispon-

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denze con l'anima e il Geist dell'arte te-desca, quanto semplicemente alla lin-gua).

La fortuna teatrale di Mozart nel pri-mo decennio va sotto il segno del classi-cismo ed è alimentata da interventi comequelli di Schiller, di Goethe, di Chri-stian Gottfried Körner. Intorno al 1794-95 assiste a una curiosa «titomania». Laclemenza di Tito e l'Idomeneo sembranoopere più serie, più importanti che Lenozze di Figaro o, dio guardi !, Così fantutte. Si va formando l'immagine di Mo-zart come un classico. Gli si erigonomonumenti (il primo a Graz, 1792, nelgiardino d'un massone; il secondo a Tie-furt, presso Weimar, nel 1799). Nel1796 viene coniata una medaglia in ar-

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gento. Un'incisione (riprodotta nel libro)ce ne mostra il busto drappeggiato daantico romano, con una testa che pareBruto o Cassio.

Mentre cresce la grandezza dell'ope-ra, impallidisce e si smarrisce la figuradell'uomo. Friedrich Schlichtegroll, au-tore d'un primo necrologio biografico suinformazioni attinte da Nannerl e non daKonstanze, conia il nefasto cliché, so-pravvissuto fino ai film, ai romanzieri eai teatranti dell'età nostra: «Nella suaarte, presto uomo; in tutti gli altri rap-porti, sempre un bambino. Al pianoforte,un essere superiore; altrimenti un uomosempre distratto, sempre scherzoso (tän-delnd)». Rochlitz ne sottolinea la naturadi «genio infantile», che non sa perché

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le sue opere «prendano questa e non al-tra forma»: lui appartiene a una sfera su-periore. La Unschuldigkeit del genio.

La classicizzazione di Mozart pro-gredisce, ovviamente, nell'età dell'Impe-ro e della Restaurazione. La deutscheEntwicklung della sua immagine avvie-ne sotto il segno della grandezza edell'eccelso. Nel 1800 esce da Breitkopf& Härtelt il primo volume delle operecomplete. Nella «Allgemeine musikali-sche Zeitung» Friedrich Rochlitz sostie-ne il primato di Mozart strumentale.Nell'opera - dice - all'estero c'è chi puòcompetere. Salvo che nella fedelissimaPraga, le opere comiche di Mozart, sonosempre sottoquotate rispetto a quelle se-rie. Si apprezzano le trascrizioni da

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Händel (ma presto l'incipiente storici-smo comincerà a trovarci da dire), siriesuma il Daviddepenitente, e soprat-tutto si esalta il Requiem: eseguito adAmburgo nel 1803 per i funerali diKlopstock, tende a piazzarsi come«composizione di stato». Si fa di tuttoper combinare a Mozart un decorosoaspetto da grand'uomo. Di certe serafi-che arie delle opere si procurano assur-di travestimenti religiosi. Delle compo-sizioni strumentali i Concerti per piano-forte conservano la loro fortuna meglioche le Sinfonie. (Diversamente andrannole cose quando il Romanticismo intro-durrà l'esaltazione del virtuosismo tra-scendentale).

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Si trasformano i criteri per la messain scena delle opere comiche, compliceil fatto che al loro tempo erano di sog-getto contemporaneo, e adesso invecediventano «storiche». Erano rococò sen-za saperlo. Adesso è come se avesseromangiato la mela: diventano rococò. LaSehnsucht nach Grösse dello stile Im-pero porta alla monumentalizzazionedelle opere. Il flauto magico viene egit-tizzato e sarastrizzato. Personaggi comeLeporello, Papageno, Papagena vengonoquasi messi in ombra: disturbano. Il se-stetto finale del Don Giovanni è fre-quentemente soppresso. Per studiosicome Rochlitz, Lippert, il Don Giovanniè un dramma tout court, non un drammagiocoso: niente lieto fine! Si fa strada la

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tendenza a disprezzare i libretti di Da

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Ponte. Herder, nell'Adrastea (1801), sene esce con questa fesseria:

Quanto ti compiangiamo, magicoMozart, nei tuoi Così fan tutte, Fi-garo, Don Giovanni e così via! Lenote ci portano in cielo, la vista del-le scene in Purgatorio, se non piùgiù ancora.

Comincia il vezzo intellettualisticodi vedere un abisso tra la musica subli-me e i libretti cattivi. La Dramatisie-rung der Oper bussa alla porta.

Si affacciano i primi accenni (nelconservatore Niemetschek, 1808) al cli-ché apollineo: la luce serena della musi-ca di Mozart contro il caotico disordinedella vita moderna, il sole contro le te-nebre. In un taccuino del 1816 Schubert

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esala un inno sulle «belle impressioniche restano nell'anima» ascoltando in unconcerto musica di Mozart.

Nelle oscurità di questa vita ci mo-strano un chiaro, luminoso orizzonte dibellezza, in cui speriamo con fiducia. OhMozart, immortale Mozart, quante equanto infinite tali benefiche impressionid'una vita migliore tu hai stampato nellenostre anime!

Il culto dell'eroismo, scatenato dalpassaggio di Napoleone e teorizzato daCarlyle, continua a tenere alta la quota-zione delle opere serie. Nel r8o6 il goe-thiano Reichardt riteneva l'Idomeneo «lapiù pura opera d'arte che Mozart avessemai composto», e il Rochlitz nel 1824indica nell'eccelso (erhaben) una delle

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quattro categorie della musica di Mo-zart: ne sono esempio, naturalmente,Clemenza di Tito e Idomeneo. Alla ca-tegoria dell'eccelso viene ascritto pureil genere sinfonico, soprattutto graziealla Jupiter; naturalmente non c'è postoné attenzione per capolavori giovanilicome la K. 201, la K. i8r, la K. 338. Ifrequenti paragoni con Orfeo e conApollo preludono all'istituzione d'un ti-pico cliché dell'interpretazione mozar-tiana. Una medaglia lo ritrae come «im-mortale prediletto da Apollo». Nieme-tschek è forse il primo a parlare di Mo-zart come «il nostro Raffaello della mu-sica». Alloro, maschera satirica e lirastilizzata lo adornano in un'incisione acolori di John Chapman per la Encyclo-

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paedia Londiniensis del 1817. Fin ver-so il 1830, in sostanza, l'immagine diMozart non muta, ma ne viene semplice-mente protetta la grandezza, e monumen-talizzata. Anche idealizzata nell'appa-renza raffaellesca, apollinea e rococò.Risale a Goethe l'immagine del «ravis-sant petit marquis à culotte noire», colviolino appoggiato su un ginocchio, chemanderà in bestia Pierre-Jean Jouve.

Ma è lo stesso Niemetschek, cosìconservatore, ad avanzare forse per pri-mo il riferimento a Shakespeare, moltomeno bamboleggiante che quello a Raf-faello. Schubart, il padre dell'esteticamusicale, morto lo stesso anno che Mo-zart, aveva già sentito «la lingua deglispiriti di Shakespeare» nella scena del

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cimitero del Don Giovanni («Dramatur-gische Blättern», Francoforte 1789). An-che Rochlitz, che pure è autore d'un sag-gio su Mozart und Raphael, trova sha-kespeariana la potenza del primo finalenella Clemenza di Tito (meglio avrebbefatto a citare lo straordinario dialogo re-citativo di Tito e Vitellio, ma qui unaparte del merito spetta a Metastasio). Incerti suoi Musikalische Fragmente del1802 lo storico della letteratura FranzHorn afferma che Mozart è l'unico fra gliartisti moderni che «sopporta il confron-to con Shakespeare», e attribuisce a luiil dono dell'ironia, mal tentata da Grétry.Sulla traccia shakespeariana si buttano iromantici: Treitschke, Brentano, Tieck,Hoffmann, Eichendorff. La fortunata rie-

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laborazione di Così fan tutte del Trei-tschke a Berlino nel r 805 suggeriva em-brionali confronti di Don Alfonso conProspero, di Despina con Ariele.Dell'accostamento a Shakespeare il po-vero Mozart finiva per subire anche glieffetti negativi. Già nel 1801 un certoTriest lamentava in Shakespeare anacro-nismi, scene d'orrore e infrazioni alleregole dell'arte, come quella dell'unitàd'azione, e in Mozart analoghe infrazionicontro le leggi del reiner Satz, carenzadi «educazione scientifica» e mancanzadi «raffinatezza del gusto». Mettendosiproprio agli antipodi dell'elogio che gliaveva tributato Haydn: «Gusto e altissi-ma scienza della composizione».

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Col romanticismo si istituisce un in-terscambio di musica e letteratura. Nellanovella di Hoffmann sul Don Giovanni(1813) l'opera diventa ispiratrice dellafantasia poetica. Il perfido suggerimentohoffmanniano d'un'attrazione segreta diDonna Anna verso Don Giovanni va dipari passo con la trasformazione radica-le che la grandissima Schröder-Devrientopera sul personaggio «da fanciulla pie-na, di sentimento a eroina tragica». Nelracconto Das Marmorbild di Eichen-dorff83il personaggio di Florio è proba-bilmente un rispecchiamento di Cherubi-no.

Wackenroder e Tieck iniziano la ri-valutazione della musica strumentale,nel senso d'una idea di «musica assolu-

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ta». Per Tieck la musica strumentale«fantastica giocando e senza scopo, ep-pure raggiunge lo scopo più alto, segue isuoi oscuri impulsi ed esprime il piùprofondo, il più meraviglioso per mezzodel suo baloccarsi». Giustamente nota ilGruber che comincia qui a fondarsi lafrühromantische Metaphysik della mu-sica strumentale.

L'immagine di musicista «importan-te» e socialmente eccellente che il primodopo-Mozart aveva cercato di accredi-tare soprattutto coi melodrammi seri econ la musica sacra, sta andando in pez-zi perché il vero Mozart spunta fuori ene spezza il guscio. Tieck, nel Phanta-sus, ne censura la musica religiosa. Hof-fmann, nel saggio Alte und neue Kir-

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chenmusik, ritiene che le Messe di Mo-zart siano le sue opere più deboli. Sicorreggerà un poco nei Serapionsbrüder(1819). In ogni caso salva ed esalta ilRequiem, che non vorrebbe ascoltare insale da concerto. Nel 1825 susciteràviolente reazioni il saggio di GottfriedWeber, Über die Echtheit des Mozarts-chen Requiems. Ma più che attraversogli spiragli offerti dalla musica sacra, laromantica irruzione dell' überirdischenavviene attraverso il Don Giovanni, ched'ora innanzi diventa quasi esclusivoprotagonista e motore del nuovo Mo-zart-Bild.

Nella fittissima tessitura del libro diGruber affaccendato a seguire temi si-multanei e diversi, l'appassionante storia

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della nuova immagine di Mozart devecedere un poco il passo ad argomenti di-spersivi, che riguardano la ricezionedell'opera del compositore nella vitamusicale e teatrale dell'Ottocento e neivari paesi d'Europa. Le degenerazioniesecutive, come un Tamino interpretatodal soprano mahleriano Anna Milder-Hauptmann, o le famigerate rappresenta-zioni parigine, che facevano digrignare identi a Berlioz. Il flauto magico tenutosu di giri, sarastrizzato e iperegittizzatoper farne una tragèdie lyrique intitolataLes mystères d'Isis (la Francia si ripren-deva con gli interessi quel poco o tantoche col Séthos di Terrasson aveva con-tribuito alla confezione del libretto).Non mancavano nemmeno ritocchi musi-

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cali: strumentazione più pomposa, tempisolenni oppure ultravivaci (già Rochlitzaveva iniziato la polemica sui «tempi»mozartiani e le tentazioni romantiche del«rubato»: la ricerca del sensazionaletendeva a far rallentare i tempi lenti eaccelerare quelli rapidi). Eppure nonmancavano in Francia gli intelletti apertiall'arte di Mozart: Madame de Staël,Grétry (che tuttavia non trova mai occa-sione di nominarlo nelle sue lunghe Me-morie), Stendhal, uno dei pochi ad esal-tare Le nozze di Figaro, Lamartine, ildotto Fétis, che definisce il Don Gio-vanni un'opera rivoluzionaria. Per ana-lizzare l'Andante moderato del Quartettoin re minore e dimostrarne l'espressivi-tà, il Momigny vi sottoponeva un testo

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con una scena drammatica tra Didone edEnea!

In Inghilterra la ricezione di Mozartfu un po' lenta, e ancor più in Italia, for-se per gelosia. «Le patriotisme d'anti-chambre, - scrive Stendhal, - qui est lagrande maladie morale des Italiens, seréveilla dans toute sa fureur»84

Non mancano rigurgiti di critica ne-gativa. Con quarant'anni di ritardo sipubblica la stroncatura di Giuseppe Sar-ti al Quartetto «delle dissonanze». Peg-gio ancora la «penosa analisi» che ne fa,in «Caecilia» 1832, Gottfried Weber[Über eine besonders merkwürdigeStelle in einem Mozartschen Quartettaus C). E buono anche lo svizzero Näge-li, musico, editore di musica, poeta e

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pensatore della cerchia di Pestalozzi!«Mozart è, con tutta la sua indiscutibilegenialità, il più privo di stile fra gli au-tori celebri».

La vera nuova concezione di Mozartmaturerà intorno al 1900 e dopo. Tra il1830 e il 1900 muta piuttosto il gusto,ossia il concetto del bello, e l'arte diMozart deve fronteggiare le nuove ten-denze, il Grand-Opé-ra e la sua «musi-que terrible», restando in posizione didifesa. Si vede Mozart sopraffatto dallabeethovenite nel racconto Das Musikfestoder die Beethovener (1838) di Grie-penkerl, dedicato a Meyerbeer.

Nel dramma Don Giovanni e Faustdi Grabbe la congiunzione dei due mitisegna l'acme della concezione «seriosa»

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di Don Giovanni nell'Ottocento. «DonGiovanni diventa un mito d'uomini d'ec-cezione; personifica un criterio di vita,l'audacia che osa l'estremo, incondizio-natamente». Oltre a Grabbe, Gautier Du-mas Puskin Zorrilla Lenau sviluppanoquesto punto di vista. Per Gustav Kühne(Eine Quarantäne im Irrenhaus, 1835)Mozart ha fatto di Don Giovanni «ilprincipio vitale, il Lebenstrieb personi-ficato», fino a raffigurarlo come «un de-mone incarnato». La parola è detta, cheavrà tanto seguito, fino a quando AlfredHeuß si farà esplicito profeta del demo-nico mozartiano, nel 150° anniversariodella nascita.

Kühne preannuncia Kierkegaard, chenon amava IL flauto magico proprio per

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gli stessi motivi per cui idolatrava ilDon Giovanni. In racconti, drammi,poemi quest'opera produce una riccaprogenie letteraria, e anche musicale(Dargomizskij; il poema sinfonico diStrauss ha fonti in Lenau, perciò è un ni-pote, non figlio dell'opera di Mozart).Costituiscono un capitolo grottesco, in-torno al 1835, le trasformazioni, attua-lizzazioni e tedeschizzazioni di AntonZuccalmaglio (nomen est omen!). Ido-meneo diventa Der Hof in Melun altempo della guerra dei 100 anni, e Titodiventa Karl in Pavia (1837). NellaBearbeitung del Ratto dal serraglioBelmonte diventa Cervantes, catturatoda pirati turchi mentre ritorna dalla bat-taglia di Lepanto!

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Verso la metà del secolo l'immaginedi Mozart sembra andare incontro a unapericolosa canonizzazione quale emble-ma di gusti reazionari. Poca parte haMozart nei Musikfeste che sempre piùfrequenti si aprono alla produzione tede-sca contemporanea. Abbondano invecemonumenti, medaglie commemorative.Mozart-Stiftungen. Il rifacimento dellaHofoper a Vienna s'inaugura col DonGiovanni il 29 giugno 1869. Comincia ilrito degli anniversari: 1841, 1856, 1891,ed è soltanto una mezza verità che sianobloss lehre Fassaden. Promuovono stu-di, ricerche e ripensamenti, come si ve-drà anche nei due del nostro secolo. Alcentenario si legano lavori per diverseragioni insigni come la deliziosa novella

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di Mörike Mozart in viaggio per Pragae la monumentale biografia critica diJahn. Quella di Nissen, pubblicata po-stuma nel 1829 da Konstanze nuovamen-te vedova, era stata biasimata come «acritica raccolta di materiali» e verràpoi stesa in una biografia letteraria dalnobile russo Ulibisev, col criteriodell'armonia tra arte e vita: Mozart erasimboleggiato in Don Giovanni e suopadre Leopold nel Commendatore (idearipresa nel recente film di Forman85.Storico e moralista, amico di Mommsen,antiwagneriano e antiberlioziano, OttoJahn fonda coi suoi tre volumi (1856-59) la Mozart-Forschung. Il musicista«viene nobilitato a modello educativo»secondo un ideale di conformismo che

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peserà come una cappa di piombo finoal rifacimento di Hermann Abert (1919)che nella prefazione tirerà le sommedelle trasformazioni avvenute nell'imma-gine di Mozart, grazie al movimento del-le idee, ma anche in seguito all'assiduaricerca e scoperta di nuove fonti. Nelsecondo centenario seguirà l'esplosivareazione antiJahn dell'inglese AlexanderHyatt King. Ma per ora il perbenismoconservatore si fa di Mozart un emble-ma.

Grillparzer vagheggia un Mozart-Cherubino, un Raffaello pittore di Ma-donne. Simboli di conservazione, Haydne Mozart diventano «l'età dell'oro». Pri-ma favoriti dal gusto Impero, Idomeneoe Tito si avvantaggiano ora della pole-

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mica contro la Zukunftmusik, solletican-do il konservative Musikgeschmack.Wolzogen padre86 schierato su posizioniantitetiche a quelle del figlio, futuro con-tabile dei Leit-motìven, parla di «cate-chismo della musica» da Palestrina aMozart. La classicità di Mozart diventapasto della moda e della Beckmesserei(Hanslick, però, apprezzava più DonGiovanni che II ratto dal serraglio).Nelle sue Feldblumen Adalbert Stifterdescrive un gioco di società pro e controMozart. Quadri, acquerelli, manifesti,miniature. I pittori fanno la loro partenell'idealizzazione del Mozart-Bild:Moritz von Schwind, Ingres. Con la fon-dazione del Festival di Salisburgo sigiungerà alle stagnole dei Mozart-Ku-

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gel. Tanto Hegel che Schopenhauer sonomozartiani in funzione conservatrice:«Ich, Scho penhauer, bleibe Rossini undMozart treu». In fondo, anche i musicistilo vedono così, come l'immagine dellalegge. Per Chopin e per Delacroix Mo-zart è «una forza disciplinatrice controla volontà elementare di espressione».Schumann giudica Mendelssohn un Mo-zart redivivo, conciliatore delle contrad-dizioni dell'epoca, e nella Sinfonia insol minore vede librarsi la grazia elleni-ca. Berlioz non era troppo tenero perMozart, solo da vecchio comincerà an-che lui a idealizzarlo. «Difficile da fis-sare il Mozart-Bild di Brahms, perchéera uomo alieno da dichiarazioni pro-grammatiche»; lascia sperare il meglio

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la sua nota venerazione per il Don Gio-vanni e il suo rifiuto ostinato ad andarloa vedere in teatro per paura che glielosciupassero. Nelle feste del centenario aVienna, di cui diresse i concerti, FranzLiszt pronunciò un discorso commemo-rativo nel quale l'immagine reazionariadi Mozart simbolo di perfezione è con-trobilanciata dall'oggettività di un'ammi-razione strettamente professionale per il«colpo d'occhio divinatorio nell'impiegoe scelta dei mezzi». Nella Fantasia sulDon Giovanni, prima per uno (1841),poi per due pianoforti (1877), se si bam-boleggia felicemente intorno a «Là cidarem la mano», c'è anche però una forteconsapevolezza dell'aspetto demonico.

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Wagner non fornisce un'immagine diMozart molto favorevole nella costru-zione storica di Opera e dramma. Pareche una volta, ascoltando Le nozze diFigaro, sia sbottato: «Ach! eine toteWelt! » (giurerei che sarà avvenuto nellavoluttuosa scena della vestizione femmi-nile di Cherubino). Eppure, eppure... In-tanto, sarà proprio vero che «nelle sueopere difficilmente l'ascoltatore puòpercepire un suono mozartiano» ? O nonci sarebbe un posticino anche per lui nelparagrafo dedicato ai numerosi epigonimozartiani, Hummel, Spohr, il Webercomico, Lortzing, e nella stessa cerchiawagneriana Cornelius e Humperdinck?(Quanto Flauto magico in Hansel eGretell ) Il declamato di Sarastro, ma

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soprattutto dello Sprecher o guardianodel tempio non è comunemente additatocome la fonte del recitativo tedesco edella melodia infinita ? E pare che Wag-ner suonasse molto Mozart durante lacomposizione del Parsifal. Si chiede ilGruber: «Che fosse una specie di anti-doto catartico contro il suo lavoro?Specchio d'una nostalgia verso la musi-ca assoluta ?» Definiva infatti Mozart«il più assoluto di tutti i musicisti». Delresto, nonostante lo sciagurato elogio dinon aver scritto per Tito la stessa musicadi Così fan tutte, non si può mettere indubbio l'intelligenza mozartiana d'unoche ha paragonato la natura artistica diMozart alla chiara, limpida, inconturbatasuperficie d'uno specchio d'acqua, sotto

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la quale però sta il profondo infinitomare dei sentimenti e del desiderio. Pra-ticamente, aveva capito tutto, anche senon sempre sapeva applicare la sua for-mula e riconoscerla nella realtà dei fattiartistici.

La ribellione antiwagneriana di Nie-tzsche lo conduce alle soglie dell'intui-zione di una nuova musica che preludealla rinascita dell'attualità di Mozart alprincipio del nostro secolo. Ma a diffe-renza dell'ambiguo elogio di Carmen,«il Mozart-Bild di Nietzsche resta sem-pre idealistico e astratto, non si accostamai a singole opere».

I progressi della ricerca storica siaccompagnano alla trasformazione delgusto. Nel 1862 vede la luce il Catalogo

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Kochel (la nuova edizione di Walderseesarà del 1905 e quella, per il momentodefinitiva, di Einstein del 1965, ma nonsi può dire che, insieme all'enorme ar-ricchimento d'informazione e smantella-mento d'errori, abbiano portato chiarez-za). L'immagine dell'uomo, prima anne-gata nel luogo comune del genio-fanciul-lo, comincia a sollecitare la ricerca nonmeno che le opere. Le Lettere di Mozart,prima pubblicate da Ludwig Nohl, ven-gono riedite meglio dallo Schiedermairnel 1914, finché si giungerà ai giorni no-stri ai cinque volumi della Gesamtau-sgabe di Wilhelm A. Bauer e Otto ErichDeutsch. Vengono tratti in luce ancheaspetti che prima venivano pudicamenteoccultati e l'allegro turpiloquio delle let-

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tere, specialmente quelle alla Bäsle, lacuginetta di Augusta, fornirà materia ditardiva meraviglia a romanzieri (Hilde-sheimer), autori drammatici (Shaffer) ecineasti (Milos Forman).

Zurück zu Mozart! era stato il mottodell'interpretazione reazionaria durantele polemiche contro la Zukunftmusik.All'inizio del nuovo secolo il direttored'orchestra Weingartner conia il contro-motto: Vorwärts zu Mozart! Nell'antitesiè racchiuso il senso di tutto il cambia-mento di gusto operato nel trapasso daOtto a Novecento. Mehr Mozart! chiedeil pianista e maestro di pianoforte Ru-dolf Maria Breithaupt. Mozart come an-tidoto e toccasana nella liberazione mu-sicale dell'uomo moderno. Busoni è

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l'araldo di questa nuova concezione. Lamusica di Mahler, nella sua tormentatacomplessità, se ne allontana eppure neaccentua la nostalgia. Si dice che Ma-hler sia morto col nome di Mozart sullelabbra. Per lui il Don Giovanni eraun'autentica tragedia e II flauto magico«eine deutsche Mysterienoper». Inesora-bile nell'espungere dal Don Giovanni ilsestetto finale, che pure Gounod giudica-va «non drammatico» e contributo allaconvenzione (soltanto Shaw, in mezzo atutta questa gente seriosa, si batteva perla conservazione del sestetto). TantoMahler che Gounod tuttavia si schiera-vano per la purezza delle esecuzioni. Siaffermava la spinta verso la Werktreue.Nel 1896 il Don Giovanni diretto da

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Hermann Levi e messo in scena da ErnstPossart nella cornice d'epoca del TeatroCuvillié a Monaco, con orchestrazioneripulita e ricondotta all'originale, si pro-poneva di rivolgere «lo sguardo ad fon-tes con gli occhi della filologia e dellastoria», riconducendo dopo cent'anni ilcapolavoro alla sua purezza originaria.(Però ad eseguirlo nel testo italiano nonci pensavano ancora).

Per Mahler la forte ripresa delleNozze di Figaro e di Così fan tutte erada mettere in relazione col tenace entu-siasmo per il rococò inteso come antite-si al presente foriero di crisi. Intuivacosì quella constatata attitudine dell'artedi Mozart ad albeggiare come immagined'un mondo più sereno sotto l'oppressio-

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ne di tempi cattivi. Meno male che la re-cisa affermazione del demoniaco mozar-tiano da parte di Alfred Heuß e l'indagi-ne degli strati profondi della sua arte,sotto la superficie di limpido specchiod'acqua, operata dalla biografia criticadi Hermann Abert e da quella di Wy-zewa e Saint -Foix contrastava i bambo-leggiamenti connessi col culto del roco-cò, esemplarmente fissati da Cajkovskijnel divertimento danzato della Donna dipicche. Strauss e Hofmannsthal, il cuiallomatico87rapporto intellettuale trova-va nell'amore di Mozart il massimo co-mun denominatore, nel Cavaliere dellarosa si rifecero alle Nozze di Figaro enella Donna senz'ombra al Flauto ma-gico. Anche per loro Mozart era ormai

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una meta, non un paradiso del passato.Un zurück zu Mozart, ebbe ad affermareHoffmansthal, sarebbe stato altrettantoimpossibile che un zurück zu den Grie-chen.

Se lascia un po' perplessi il proposi-to del pittore Max Slevogt di rappresen-tare La clemenza di Tito in costumi ro-cocò (a meno di prenderlo come un'alle-gra vendetta contro la sopravvalutazionedi cui le opere serie avevano sempre go-duto per ragioni di rango sociale), le sueincisioni per Il Flauto magico mescola-no incipit musicali e figure con autenticagenialità d'interpretazione. (Da notareche Slevogt si era convertito a Mozartdopo essere stato un wagneriano arrab-biato. In seguito non smise mai più di

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occuparsi del Don Giovanni e del Flau-to, collaborando fortemente alla trasfor-mazione della messa in scena che maturòin quegli anni).

Letterati e musicisti cooperano nellafondazione del festival di Salisburgo(preceduto nel 1870 dall'istituzione delMozarteum). La spinta al rinnovamentodell'immagine di Mozart è generalmentepiù forte nell'area tedesca meridionale;Berlino resta più a lungo attaccata allevecchie abitudini. Ma Brecht e Weill in-tendono Le nozze di Figaro come unesempio di Zeit-Oper e verosimilmentesi ispirano alle «moralità» del Flautomagico. In Francia, dopo il culto mozar-tiano di Gounod, non è men rilevante laWahlverwandschaft di Debussy, che ve-

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deva in Mozart un genio del gusto e inBeethoven un genio senza gusto.

Scrittori e filosofi sviluppano laconcezione dell'arte di Mozart come ri-medio contro la disperazione e i disastridelle guerre. Dilthey, Karl Kraus, ErnstBloch (Geist der Utopie, 1923 e 1973)contrappongono Mozart al mondo assur-do, come un ideale. Hermann Hesse88

nel Lupo della steppa, denuncia la fata-lità del destino tedesco nel suo «rappor-to irrazionale con la musica, rapportoche induce lo spirito dell'uomo a sogna-re d'una lingua senza parole, invece dipromuovere il logos».

Le celebrazioni del 1941 tendono,tanto in Germania come negli altri paesi,una specie di doppio suono. Si avvalora

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ed approfondisce l'immagine di Mozartcome rifugio, Zuflucht, che però non èsoltanto evasione, ma incipiente costru-zione di un altro ideale di vita. Al prin-cipio della guerra precedente HermannCohen, in uno studio su L'idea dramma-tica nei testi operistici di Mozart(1915) aveva esaltato Il flauto magicoperché ritorna dall'estetico all'etico(esattamente il motivo per cui non loamava Kierkegaard).

Oggi, scandagliata la stratificazioneprofonda della sua musica e ricondottol'uomo da una figura ideale alla misuradella realtà quotidiana, Mozart è il com-pagno più assiduo dell'uomo moderno, enon già come motivo d'evasione, macome continua lezione ed esperienza.

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Non Bach, non Beethoven, non Wagneroccupano tanto posto nell'immaginariodel nostro tempo. Quella cronologia del-la comprensione musicale che Edwin Fi-scher aveva tracciato con riferimento alsingolo individuo - prima l'entusiasmoper Beethoven che ti fa trascurare il mitee inoffensivo Mozart, poi i sortilegi diDebussy e della musica moderna che tene allontanano, e infine un bel giorno,sulla quarantina, scopri che in Mozartc'era tutto, bastava saperlo trovare -,quella cronologia dell'intendimento indi-viduale che Edwin Fischer attribuivaagli individui vale anche per le genera-zioni, e per la nostra la luce si sta facen-do. Ci avvediamo che Mozart è qualchecosa di più che un grande artista: è una

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categoria dello spirito. Tutto un modo diessere e di comportarsi, tutto un atteg-giamento e un costume di solidarietàumana, di bontà e di rifiuto della sopraf-fazione si compendiano nel suo stile mu-sicale. Se Beethoven è la pugnace vo-lontà eroica di opporsi all'ingiustiziadella sorte e ai soprusi degli uomini,Mozart è la filantropia nel senso lettera-le della parola: è l'amore fraternodell'uomo, la spontanea incapacità adesercitare ingiustizie e soprusi, Mozart èil bisogno di simpatia e di calore d'affet-to.

Bisognava che l'umanità passasse at-traverso gli orrori della guerra, e cono-scesse i lager, l'atomica, le camere a gase i bombardamenti a tappeto, le macerie

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oscenamente rivelate delle case distruttee tutte le altre infamie che continuano adeliziarci, perché la luce si facesse e unsempre maggior numero di persone im-parassero a cogliere la parola che Mo-zart ci dice e il tono della sua voce, si-mile a quello dei tre Fanciulli che nelleprove estreme accorrono dall'aria insoccorso di Tamino, Pamina e Papage-no: quel miscuglio tante volte segnalatodi infantile allegrezza e d'inspiegabilemalinconia, quella facoltà di riso tra lelacrime, quella ilarità nella tristezza eviceversa. Questa parola è, come s'èdetto, l'amore per l'uomo, l'affetto per lecreature, animali compresi. Quel presa-gio di trascendenza che qualcuno amavedere nella sua arte, così terrena e ce-

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lestiale ad un tempo, è la nostalgia indi-struttibile d'un paradiso ingiustamenteperduto, il mito classico dell'etàdell'oro, la coscienza originaria del Pa-radiso terrestre: cioè la fede a dispettodi tutte le crudeli smentite della vita, inun mondo di bontà e di concordia, dovel'uomo sia all'uomo fratello e non lupo.

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Sarti contro Mozart

(1987)

I. Mozart dodecafonico?

Tra gli innumerevoli musicisti che oc-chieggiano dal Settecento affinché ci ri-cordiamo concretamente di loro (piùgrande di tutti, Boccherini), il cinemato-grafo riusci a portare per un momento inprimo piano Antonio Salieri, il quale delresto un posticino nella storia, e sia puredisonorevole, se l'era assicurato perconto suo, con la fama calunniosa d'ave-re avvelenato Mozart.

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Sempre nella luce riflessa dell'astromozartiano sopravvive una pallida me-moria dell'operista Giuseppe Sarti(1729-1802), ai suoi tempi tanto famosoche l'imperatrice Caterina lo chiamò inRussia, dove visse quasi vent'anni con-tribuendo persino alla nascita dell'operanazionale in quel lontano paese e musi-cando, tra l'altro, anche un libretto dellastessa imperatrice89 Il suo maggior suc-cesso, Tra i due litiganti il terzo gode(1781) forni il secondo dei tre pezzi diTafelmusik onde un'orchestrina di legnisul palcoscenico allieta la cena panta-gruelica di don Giovanni. E Leporello,mentre cerca di trafugare un pezzo di fa-giano, annuncia con voce strozzata: «Ev-vivano i litiganti! »

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L'opera era recentissima, e Mozartnutriva dunque stima, forse simpatia peril collega italiano, che frequentò duranteil suo passaggio a Vienna. « Sarti», scri-veva al padre il 9 giugno 1784, «è unonesto e brav'uomo. Gli ho suonato mol-to e infine gli ho fatto anche delle Varia-zioni su una sua Aria» (erano le otto Va-riazioni sull'aria «Come un agnello» K.460, appunto dall'opera comica Tra idue litiganti) «che gli sono molto pia-ciute».

Mozart, che di solito era mal dispo-sto verso gli italiani, questa volta non ri-poneva bene la sua bontà. Quando gli fa-ceva l'onore di citarlo nel Don Giovan-ni, non sapeva che il «bravo e onesto»Sarti, notevole studioso di problemi

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d'acustica e di teoria musicale, non sololo criticava, ma letteralmente lo rinnega-va, in un Esame acustico fatto sopradue frammenti di Mozart (non pubblica-to, allora; fu poi, pubblicato parzialmen-te, in tedesco, nella «Allgemeine musi-kalische Zeitung» del 1832 e 1834).

Associandosi al coro di critichescandalizzate, con cui era stato accoltoil cosiddetto «Quartetto delle dissonan-ze» (K. 465 in do maggiore), Sarti usci-va in questa stupefacente asserzione:

Da questi due passi» (l'altro appar-teneva al Quartetto in re minore K. 421)«possiamo giudicare che il compositore,che io non conosco e non desidero cono-scere, è soltanto un tastierista dall'orec-chio guasto, un settatore90del falso si-

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stema che suddivide l'ottava in dodicisemitoni.

Messa giù così, isolata, come acca-de talvolta di trovarla citata in biografiedi Mozart, questa frase ha un suono sba-lorditivo. Sembra che accusi Mozart didodecafonia, anticipando le virtuose de-precazioni dei parrucconi d'oggi. Così laintese per esempio Greither, nel suo purottimo libriccino su Mozart, lasciandosiandare a questo incredibile commento:

Così, nel 1785, Sarti rimproverava aMozart di essere un «dodecafonico»: daciò risulta che già allora si pensava allapossibilità di comporre serialmente91

Ma non si trattava di quella serie di12 note che Milhaud scoprì nel DonGiovanni in corrispondenza col severo

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monito del Commentatore: «Non si pa-sce di cibo mortale»92 Quale senso tra-dizionale e scolastico avesse invecequella frase apparentemente profeticadel Sarti lo chiarisce uno studio di Patri-zio Barbieri su Giuseppe Sarti fisicoacustico e teorico musicale, compresonel sostanzioso volume di Atti del Con-vegno internazionale su Giuseppe Sartimusicista faentino, tenutosi a Faenzadal 25 al 27 novembre 1983: una delletante iniziative di cultura musicale pro-mosse dalla Regione Emilia-Romagna.

Ne risulta che il Sarti veniva sempli-cemente conducendo una tardiva batta-glia di retroguardia contro l'adozionedel temperamento equabile inventato dalWerckmeister e trionfalmente insediato

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dai 24 + 24 Preludi e Fughe del Clavi-cembalo ben temperato.

Col vocabolo spregiativo KlavieristSarti designava in genere i suonatori distrumenti a tastiera, cui non è possibileseguire esattamente l'ordinamento natu-rale della scala diatonica, com'è conces-so invece alla voce e agli strumenti adarco.

Tanta ostilità per il temperamentoequabile suona, alla fine del Settecento,stranamente in ritardo. Perché, invece diprendersela col povero Mozart, Sartinon se la prendeva con Bach per il Cla-vicembalo ben temperato? Forse perchénon lo aveva mai sentito nominare. Oforse perché egli rimproverava a Mozartl'impiego del temperamento equabile in

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un quartetto d'archi, dove effettivamentenon è necessario. Ché, se si fosse tratta-to di clavicembalo o di altro disprezzatostrumento a tastiera, qual diritto di pro-testare avrebbe avuto lui, che di sonateper clavicembalo ne scrisse ventiquattro? (Tre le ha pubblicate Ricordi, nellacollana Maestri italiani della tastiera,sempre sotto il patrocinio del comune diFaenza e del Comitato per le onoranze aSarti, di cui ricorreva il duecentocin-quantesimo anniversario della nascitanel 1979). Del resto, questo fenomenos'inquadra in un ampio movimento di re-sistenza opposto dai seguaci dell'ancienrégime musicale, in Austria guidati dalFux e in Italia da padre Martini, troppointelligente musicista quest'ultimo per

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non capire quale frana sarebbe seguitaove cominciassero a muoversi le pietrefondamentali dell'edificio armonico tra-dizionale.

II. Incertezza delle fonti.

L'originale italiano dell'attacco di Sartiè perduto. Si sa che intorno al 1830 esi-steva l'autografo a Milano, e pure unacopia. Oggi lo si conosce soltanto attra-verso una traduzione tedesca, che serbaparecchie frasi a guisa di citazione nellalingua originale.

La prima notizia del manoscritto diSarti si ebbe nella «Allgemeine musika-lische Zeitung» di Lipsia del 12 agosto

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1824 (Sarti era morto nel 1802). Facevaparte d'una corrispondenza da Milanointitolata Notizie di manoscritti. Riguar-da una Theorie de l'harmonie simulta-née et successive, manoscritto di duepiccoli quaderni in quarto.

Questa trattazione che il celebreoperista, e Kapellmeister alla corte rus-sa, Giuseppe Sarti, scrisse per una damamilanese, la possiede il signor Karl So-liva, del quale s'è già parlato nella ru-brica milanese. Questo stesso Sartiscrisse anche Osservazioni critiche so-pra un quartetto di Mozart, circa duefogli in quarto. Questo manoscritto lopossiede Asioli, e il signor Soliva ne hauna copia. Il Quartetto di cui si parla co-mincia in questo modo - (seguono 8 bat-

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tute dell'adagio introduttivo del Quartet-to in do maggiore K. 465), - ed è, se nonsbaglio, uno di quelli dedicati a Haydn.Non conosco questa critica, ma mi si as-sicura, dal signor Soliva e anche da KarlMozart, figlio del Grande (che ne haavuto visione), che è redatta in tono osti-le. Tra l'altro Sarti vi afferma che Mo-zart aveva solo un talento di suonatoredi pianoforte. La critica si chiude con leseguenti parole: «si può far di più perfar stonare i professori?»93 con riferi-mento specialmente a quell'inizio delQuartetto94Corrispondente milanese del-la «Allgemeine Musikalische Zeitung»di Lipsia era Pietro Lichtenthal, nato aPressburg nel 1780 e residente a Milanodal 1810 al 1853, con funzione di censo-

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re nel Lombardo-Veneto. Era divenutoun personaggio assai influente nella vitamusicale milanese. Il suo Dizionario ebibliografia della musica, pubblicato aMilano nel 1826, sopravviveva ancoraal principio del nostro secolo. Il musici-sta Carlo Evasio Soliva (1792-1853)era un tipo di piemontese giramondo chenel 1824, a Vienna, bazzicava intorno aBeethoven dedicandogli un Trio stru-mentale e ricevendone il contraccambiod'un piccolo Canone a lui dedicato95 AVarsavia insegnò canto e diresse l'orche-stra alla «prima» del Concerto in mi mi-nore di Chopin; a Pietroburgo dedicò unaltro Trio all'imperatore Alessandro, aParigi frequentava George Sand e vennepoi sepolto al Pére Lachaise di fronte

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alla tomba di Bellini. Una sua opera, Latesta di bronzo, su libretto del giovaneFelice Romani, venne riesumata allaPiccola Scala il 19 marzo 1980, nel qua-dro delle celebrazioni su Stendhal a Mi-lano. Era stato allievo di BonifazioAsioli, il celebre teorico e didatta musi-cale, che è un po' il padre spirituale ditutto questo gruppo di musicisti a Milanoalla vigilia del romanticismo. Come ri-sulta dalla notizia pubblicata dal Deu-tsch, il corrispondente milanese della«Deutsche Allgemeine Zeitung» si eragià occupato di lui in un precedente nu-mero del giornale di Lipsia e lì, a quantopare, lo aveva chiamato Carlo Oliva.

Due anni dopo l'anticipazione occa-sionale fornita con le Nachrichten von

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Manuskripten del 1824, il corrispon-dente milanese del giornale di Lipsia ri-torna di proposito sull'argomento di quellibello nel quale Sarti aveva denunciato«ben 19 "errori" in sole 36 battute» d'unQuartetto di Mozart96 Bonifazio Asioliera morto il 18 maggio 1832, ed eccoche già nel numero del 6 giugno la«Leipziger musikalische Zeitung» pub-blica, ad opera del solito corrispondenteda Milano, una traduzione (più esatta-mente, purtroppo, un Auszug: estratto?compendio?) Il titolo suona appunto:Auszug dal manoscritto di Sarti, in cuiMozart viene aspramente criticato(Dalnostro corrispondente milanese).Lo scrittore ricorda d'essere stato il pri-mo a segnalare, nello stesso giornale, il

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manoscritto di Sarti e gli errori di Mo-zart in esso biasimati. Due anni dopo lasegnalazione passò anche nella Biblio-grafia della musica (la cui prima edi-zione è appunto del 1826). Come lo les-se il grande Fétis, allora scoppiò loscandalo. La «Leipziger musikalischeZeitung» pubblicò alcune difese, e cosìla rivista «Caecilia» (organo della casaeditrice Schott), ma in realtà nessuno nesapeva niente di preciso, se non Asioli,proprietario del manoscritto.

Da tempo - scrive l'articolista -l'avevo pregato di fornirmene una copia,ma invano: non voleva diffonderlo per-ché Sarti vi si comporta duramente ver-so Mozart. Poiché ora sono riuscito adottenerlo97 ecco l'annunciato Auszug, nel

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quale si tratta anche di un altro passo diMozart, oltre quello citato. Quello cheho davanti, di sei pagine in folio, conesempi musicali, che tuttavia non ritengooriginali, reca il titolo: Esame acusticofatto sopra due frammenti di Mozart daGiuseppe Sarti. Comincia con le parole:«Essendomi venuto sotto gli occhi qual-che frammento di musica istrumentale»,e finisce: «Dirò anch'io come l'immorta-le Rousseau: De la musique à faire bou-cher les oreilles». Firmato: GiuseppeSarti.

Segue lo Auszug (forse più compen-dio che estratto) dell'Esame acustico.Esso si basa su due regole fondamentalidei vecchi maestri, e cioè: le consonan-ze perfette non devono procedere per

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moto parallelo (Sarti dice: «la perfettanon deve andare di movimento diretto»),poiché ciò produce estinzione dell'armo-nia; rigoroso divieto delle dissonanze.La prima regola - commenta il Lichten-thal - è arbitraria, poiché la mancanzadell'armonia non offende l'orecchio. Percontro la dissonanza è contraria alloscopo della musica, cioè piacere. «Certicompositori recenti si fanno un vanto dinon osservare queste regole, per infasti-dirci con barbarismi, come essi credo-no». Secondo loro, si tratterebbe soltan-to di evitare la successione di quinte.«Ma questa regola è arbitraria, essendosoltanto una conseguenza della primamassima già ricordata». Importante èprincipalmente evitare le dissonanze.

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Chi le fa - dice Sarti - deve avere «leorecchie foderate di ferro»98.

Certamente gli antichi maestri ne tol-leravano alcune a titolo di licenze, la-sciando giudice l'orecchio, poiché se-condo loro non si può dare un composi-tore che non abbia un buon orecchio. «Si sbagliavano ! da quando i barbari cisi mettono a voler comporre musica,vengono fuori certi passi che fanno rab-brividire».

Fortunatamente, «la Fisico-matema-tica99 ci insegna, senza bisogno di far ri-corso all'orecchio, quali dissonanze sia-no da tollerare e quali da evitare». E quisegue la definizione dell'apotome e delminimo e dei loro rivolti. L'apotome,chiamata anche semitono minore o falso

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unissono, è «quello che si fa col medesi-mo nome», come fa - fa diesis, mi - mibemolle. Minimo è un intervallo con duediversi «nomi di grado»100, dei qualil'inferiore ha il diesis e il superiore ilbemolle, come re diesis - mi bemolle, fadiesis - sol bemolle. (Non pare che Sartisapesse, nonostante le sue cognizionid'acustica, che la nota inferiore diesizza-ta è lievemente più alta che quella supe-riore bemollizzata).

È chiaro che le dissonanze di questogenere appartengono alle più orribili,sebbene ci siano casi in cui esse nasco-stamente non producono effetti così di-sgustosi, ma questo è un altro discorso.

Segue l'esame della ventidue battutedi quell'adagio in do maggiore, ripro-

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dotto nelle pagine della rivista, che val-se al Quartetto il soprannome di «Quar-tetto delle dissonanze» e produsse unamezza rivoluzione nell'ambiente musica-le viennese. Pare che nel 1785, quando iQuartetti dedicati a Haydn furono stam-pati, naturalmente in parti staccate perl'esecuzione, non in partitura, molticlienti, respingessero le parti all'editore,credendo ci fossero errori di stampa.(Del resto, un'eventuale trascrizione perpianoforte fornirebbe una visione ancorapiù raccapricciante che non la partiturao l'ascolto, dove la logica del contrap-punto lineare può mascherare e attutirela crudezza degli incontri dissonanti).Ancora nell'Ottocento importanti musi-cologi come il Fétis, o cultori di Mozart

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come l'Ulibisev tentarono seriamente di«correggere» la dissonanza più arduache appare nella seconda e nella sestabattuta, addolcendo il la e il sol del pri-mo violino con un bemolle e limitandonela durata ! Quel la e quel sol che - comedisse il violinista inglese Wilson Cob-bett (1847-1937) con immagine poi eter-namente ripetuta -«tagliano come spadedi fuoco le sfere di do e si bemolle mi-nori, false relazioni che hanno dato amolti musicisti ortodossi la tentazione dicorreggerle».

Poiché non si tratta neanche tantodelle dissonanze, facilmente maschera-bili, quanto dell'angosciosa incertezzatonale, del marasma armonico che gravasu tutta la pagina, e che dovette confon-

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dere le idee agli intelligenti dilettantiviennesi dell'età giuseppina. Prima ditutto, il Quartetto è dichiarato di do mag-giore, e anche l'adagio introduttivo nonreca accidenti in chiave; ma non presen-ta vere affermazioni esplicite di do mag-giore.

Si tratta - si chiede uno studioso - dido maggiore o di do minore ? Che signi-fica la nota alterata della viola e del se-condo violino (la bemolle e mi bemolle)in rapporto col do iniziale del violon-cello ? Ugualmente, qual è il significatodel sol bemolle e del re dei suddettistrumenti in rapporto al si bemolle cheinterviene nel violoncello alla quintabattuta ? Siamo qui in domaggiore e poi

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in sol bemolle, o in do minore oppure siminore?101.

Haydn, richiesto di dire cosa ne pen-sasse, se la cavò diplomaticamente af-fermando che se Mozart aveva scrittoquesto, doveva avere le sue buone ra-gioni. Come dire: io non ci capisconiente, ma stimo troppo Mozart per rite-nere che abbia commesso un errore.(Del resto se ne sarebbe ricordato moltianni dopo per la descrizione musicaledel Caos nel Preludio della Creazione).

Infatti, più che quella dura ma occa-sionale dissonanza di seconda maggiore(l'Apotome di Sarti) che si produce nel-la seconda e sesta battuta tra primo vio-lino e viola (e si rinnova un grado piùsotto all'inizio della terza e settima bat-

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tuta), ciò che dovette sgomentare i con-temporanei e anche adesso conserva lasua nichilistica efficacia, è l'effetto dicaos, di oscurità angosciosa che si spri-giona da questa Introduzione. La tonicaaffermata dal pedale di violoncello è to-sto messa in discussione da un la dellaviola, cui segue un mi bemolle del se-condo violino e infine, come una folgo-re, esplode il famoso la del primo violi-no. Dopo di che, armonicamente, è notte,e infatti ecco che il basso, abbandonatala tonica, si mette a scendere cromatica-mente: Si, si bemolle, la naturale, la be-molle, Sol, Fa, mi bemolle. Come se ilterreno venisse a mancare sotto i piedi.Siamo in un clima angoscioso da Mortee trasfigurazione102.

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Con un excursus armonico di analo-ga cupezza, dalla tonica tosto oscuratafino alla chiarificazione della dominan-te, comincerà infatti il Requiem del1791. È solo dalla nona alla sedicesimabattuta che, grazie a una frase cromaticaascendente proposta dalla viola, e poiraccolta dal primo violino, infine dalcello, attraverso tentativi e spinte suc-cessive il discorso perviene alla domi-nante, Sol, e finalmente l'orizzonte dellatonica si chiarisce. L'allegro può comin-ciare, nella limpida e innocente tonalitàdi do maggiore. Ecco il primo tema li-brarsi serenamente, fornito, come scriveil Saint-Foix, di «una specie di potereascensionale che lo rende, in certomodo, più leggero dell'aria, e bastano le

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prime due battute per far sentire la suaattitudine a vogare, a planare nello spa-zio»103. Quasi oseremmo dire, aggiungeil Saint-Foix, che l'arrivo del movimentovivace «appare troppo semplice, dopol'audacia complessa del preludio».

Ma ritorniamo all'astioso «esameacustico» eseguito dal Sarti sul dibattutoadagio d'introduzione.

Il mi che non va in fa dopo il mi be-molle è un dichiarato Apotome monodi-co, e uno dei più grossi errori musicali.Per fare un simile trapasso bisognerebbeche il mi bemolle diventasse re diesis, ilche anche qui avrebbe potuto avvenire,se il mi bemolle non fosse stato assolu-tamente determinato dal re nel primoquarto di battuta e di entrambe le battute

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precedenti 2 e 3; ma così è impossibileche l'ascoltatore creda di sentire re die-sis e che gli venga risparmiata l'«orribi-le sensazione»104 all'entrata del mi. Nonsi creda infatti (come credono molti ta-stieristi) che mi bemolle e re diesis sia-no un solo suono; è un intervallo realema, come insegna la scienza dell'armo-nia, il più ripugnante che si possa dare.

Stranissimo che una scienza possainformare se un rapporto sonoro sia ri-pugnante o gradevole, ma era questo ilchiodo fisso delle argomentazioni diSarti. Non si dimentichi, del resto, cheancora Bonifazio Asioli, altro tenace di-fensore dello stile antico, pubblicherànel 1811 Osservazioni sul temperamen-to proprio degli istromenti stabili diret-

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te agli accordatori di clavincembalo eorgano e poi ci tornerà su, vent'annidopo, nei Primi insegnamenti di viola,e primi esercizi d'arco per il Violino,con un Disinganno sulle osservazionifatte sul temperamento proprio degliistromenti stabili.

III. Una polemica storica.

La pubblicazione postuma delle astiosecritiche di Sarti a due Quartetti di Mo-zart suscitò un vespaio tremendo. Lostesso corrispondente che l'aveva curatanella «Musikalische Zeitung» di Lipsia,secondo ogni verosimiglianza il Lichten-thal, vi appose una Anmerkung (osser-

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vazione) che comincia: «Il tutto respirainvidia. Ogni Maestro italiano che sap-pia qualcosa di più che gli altri Maestriitaliani, si gonfia e s'immagina grande ecelebre, così fu anche per Sarti». Secon-do il commentatore, con questa requisi-toria scritta per una dama milanese105,Sarti, allora maestro di cappella nelDuomo di Milano, avrebbe voluto reagi-re patriotticamente contro una suppostainfatuazione dell'ambiente musicale mi-lanese, memore della presenza di Mo-zart bambino al tempo del Mitridate,dell'Ascanio in Alba e del Lucio Siila,per i sei Quartetti dedicati a Haydn.

Sostanzialmente d'accordo, invece,con le critiche sartiane il Fétis, che arri-vò a supporre errori di stampa, o perfino

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una falsa posizione del primo violinonell'Introduzione (adagio) del Quartettoin do maggiore. Lo seguì in tali opinioniil russo Ulibisev, un adoratore di Mo-zart. L'immagine apollineo-edonistica diMozart che si tramandava nei superstiticultori del classicismo settecentesco nonpoteva tollerare l'intrusione di una mac-chia romantica nell'armonia, d'audaciaquasi sperimentale, dei Quartetti.

Il dotto Gottfried Weber (1779-1839), magistrato e musicista, che diri-geva la rivista «Caecilia», sottoposel'incriminato adagio introduttivo delQuartetto in do maggiore a un'analisi disettanta pagine nella terza edizione(1834) della sua Theorie der Tometz-kumt in quattro volumi. Nelle pagine

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della «Revue Musicale», (fondata daFétis) e nelle annate '32 e '33 della«Allgemeine musikalische Zeitung» sisvolse una dotta polemica. Per l'autenti-cità della versione contestata preseroparte Perne106, Leduc, della nota fami-glia di editori, e Balthasar von Wehr.L'adagio del Quartetto in do maggioredivenne la cartina di tornasole per cui sidistinguevano i neóteroi romantici daineoclassici e settecentisti tardivi. OttoJahn vi dedicò una trattazione speciale.Riemann l'esaminò nel primo volumedella sua grande Kompositionslehre,Ignaz Reimann lo ricorda nei suoi Musi-kalische Rückblicke (1900), JohannesSchreyer vi dedicò due paragrafi dellasua Harmonielehre (1924). Abert natu-

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ralmente ne fa ampia menzione rilevan-do la «terribile tensione interna» ingene-rata dall'incertezza tonale dell'Introdu-zione che «tende alla tonalità della do-minante raggiungendola infine dopo es-sersi profondamente immersa nella re-gione della sottodominante»107.

Questa è infatti la diagnosi del passoche sembrò ai contemporanei inesplica-bile.

Stanche e rassegnate le due parti me-diane si accingono a circoscrivere laquinta della tonica e della dominante,quando, come spada lampeggiante, entrain falsa relazione il la del primo violino.Quanto impallidirebbe questa entrata sela si volesse «correggere» con un la be-

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molle e per giunta accorciarla di una se-miminima!

Ed ecco il commento dello storicoche subentra all'analisi tecnica: «L'epo-ca che in Mozart voleva vedere l'ottimi-sta a tutti i costi, non sapeva certo darsiragione di quest'adagio».

Alle idee di Abert si appoggia natu-ralmente (o viceversa?) il suo discepoloRudolf Gerber (1899-1957) in un magi-strale saggio sui problemi armonici neiQuartetti di Mozart, che dice parole de-cisive anche sulle stranezze della conte-stata Introduzione al K. 465 e ne allargal'analisi fino a un'interpretazione struttu-rale dell'arte di Mozart108. Senza la soli-ta pretesa apologetica di attribuireall'artista esaminato tutti i meriti di que-

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sto mondo anche se antitetici - il biancoe il nero, il romantico e il classico, ladottrina e la naturalezza -egli riconoscela scarsa inclinazione di Mozart, a diffe-renza di Haydn, per il lavoro tematico,specialmente nelle Durchführungen, disolito brevi.

Qui Mozart rimane uno schietto fi-glio del fantasioso Sud, al quale non rie-sce di far predominare l'economia tema-tica e di sottoporsi negli sviluppi allacostrizione logico-dogmatica del cosid-detto lavoro tematico.

(Qualchecosa di simile si può vede-re, cum granu salis, anche in Schubert ein Bruckner). La novità esibita da Mo-zart nei sei Quartetti dedicati a Haydn simanifesta piuttosto nell'«impiego di sin-

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golari collegamenti armonici: si potreb-be quasi dire nella subordinazione di se-zioni (Formteile) tematico-costruttiveall'effetto perfino coloristico di fenome-ni armonici». Si osserva una specie di«isolamento della Harmonik», conside-rata in sé e per sé, non subordinata aivalori costruttivi.

Si pensi infatti all'armonia di Haydne di Beethoven (escluso, naturalmente, ilterzo stile). È un'armonia che si potreb-be dire «mirata». Serve per andare dauna tonalità all'altra. Cade a proposito ilracconto che l'abate Carpani forniscedel modus operandi di Haydn. Quandocomponeva una sinfonia, prima ancorad'aver scritto una nota, Haydn si fissavauna tabella di marcia delle armonie,

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cioè delle tonalità che intendeva tocca-re. Poi procedeva a inventare i temi.L'armonia di Mozart divaga volentieri.Grazie alla frequenza della cadenza d'in-ganno, con ritardo della conclusioneprevista, «alla fine di uno svolgimento,dove psicologicamente ci si aspetta unestinguersi (ausklingen) del movimen-to», l'armonia di Mozart si ferma a go-dere di se stessa e delle proprie vario-pinte possibilità, ma ciò facendo «pro-duce un'intensificazione dell'affetto».

La libertà armonica di Mozart si ri-specchia, per contrario, nella scarsa vo-cazione metrica.

Innumerevoli esempi potrebbero di-mostrare che in Mozart le irregolaritàmetriche in rarissimi casi dipendono dal

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piacere di effetti puramente metrici,come invece è il caso in Haydn e inBeethoven.

In questi la struttura metrica comeprimaria forza formatrice (Gestaltung-skraft) occupa un maggior spazio che inMozart. Ciò prova che il senso della lo-gica, quale si fa valere appunto nell'ela-borazione dell'elemento formale-archi-tettonico, era in quei maestri assai piùsviluppato che in Mozart. Perciò le com-plicazioni metriche non sono da spiegarein lui da punti di vista di pura metrica,perché il suo gusto artistico non miravaaffatto alla produzione di effetti metrici.Lo schema metrico era per lui chiara-mente un medium troppo ristretto, senzasenso, ed egli era spinto assai più a dare

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sfogo ai suoi ostacoli psichici attraversola specifica arte della formazione melo-dica e della successione armonica.

Uno strumento essenziale della va-ghezza e libertà armoniche di Mozartsono le cadenze ottenute con l'aiuto diinterpretazione enarmonica, proprioquella che Sarti non voleva ammettere.Essa è il mezzo per congiungere due re-gioni tonali. Ciò avviene specialmentequando la chiusa non è un accordo mag-giore ma minore e perciò non comportacadenza.

Con l'entrata di un accordo in minoresi determina una specie di vuoto, si po-trebbe quasi dire un velo della meta ar-monica. Questa crisi, o «tregua armoni-

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ca», viene poi sempre superata dopo al-cune battute.

La relazione per terze (Terzver-wandschaft) è la tecnica con cui Mozartottiene le «recessioni nel decorso armo-nico, per le quali improvvisamente spa-risce la meta della modulazione, e l'ulte-riore sviluppo segue in tutt'altra direzio-ne». L'intervallo di terza mette in rela-zione due complessi armonici perfetta-mente autonomi. L'annullamento di unsuono nella triade precedente, graziealla comune presenza di questo suono indue armonie successive, determina incerto modo un vacuum sonoro nel qualele forze si radunano. Di questo illusioni-stico effetto armonico della Terzver-

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wandschaft Gerber cerca di dedurre laqualità estetica.

Negli accordi per relazioni di terzele impressioni di colore si affermano inmodo straordinario. Realmente con taliarmonie si collega l'impressione d'ungioco di colore (Farbenspiel) uno scam-bio di colori. Ciò porta all'immediataconseguenza che a questo processo ar-monico si collega la qualità del magico:l'ascoltatore viene improvvisamente col-locato in un'altra condizione psichica,che si potrebbe definire come irreale edi sogno. Certamente anche il cromati-smo contribuisce alla produzione di si-mili immagini d'accordi i cui suoni fon-damentali sono separati da tre o quattrogenerazioni di quinta, ma non è da consi-

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derarsi come il principiutn agens. Que-sto è da cercare piuttosto nelle armoniestesse come originali riflessi psichici.L'incantesimo che irradia da tali combi-nazioni sonore è la ragione profondadella loro esistenza, non la «tensione»della «spinta lineare» tra i singoli suoni.

Nel finale del Quartetto in do mag-giore, dopo uno sviluppo in sol maggio-re, Mozart introduce un terzo tema in labemolle, tosto ripetuto in re bemolle(sesta napoletana) e conchiuso in domaggiore.

Già dal punto di vista formale-archi-tettonico l'introduzione di un terzo temaè un difetto - così commenta Gerber -che intralcia piuttosto che promuoverelo sviluppo delle proporzioni formali.

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Ma Mozart non bada alla logica formale,bensì gioca, dimenticando tutto il resto,con effetti armonici.

E spesso lega al gioco di colori ar-monici un colorismo strumentale. Mozartpensa in modo assolutamente tonale, mala tonalità è soggetta a forti circonlocu-zioni (stark umschrieben), il che dipen-de dalla natura della parentela per terze.

Qual è il significato di tutte questeparticolarità e apparenti irregolarità ar-moniche ?

La volontà di disturbare l'immanenteregolarità del decorso armonico attra-verso svolte ( Wendungen) inattese ver-so lontane regioni tonali e con ciò fareintervenire, in luogo del flusso organico,un moto interiore che può agire come di-

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sturbo della forma. La continuità armo-nica non è in questo caso subordinata auna compattezza (Gebundenheit) finaliz-zata delle singole parti, cioè a un princi-pio formale architettonico, ma si spiegaindipendente da ciò, in quanto trae da sestessa le leggi del proprio corso, e nonin considerazione della forma totale. Ilgenio creatore non è spinto dall'impulsoa subordinare le parti elementaridell'opera d'arte a una categoria supe-riore, cioè l'unità formale, bensì dallatendenza a fare uscire le parti stesse daltutto e considerarle come scopo a sestesse nella forma artistica.

E allora, Mozart frammentista e co-lorista ? In ogni caso, non un ossessiona-to della forma. Fra tanti elogi che si

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sono spesi sulla sua arte, la qualifica diarchitetto non è delle più frequenti.«Questo impulso al gioco [Spieltrieb],come Kant e Schiller l'hanno definito, èun aspetto preminente della sua persona-lità artistica». Nella classicità di Mozartil concetto estetico non coincide perfet-tamente con quello vigente nell'antichitàe nel rinascimento italiano, dove il fatto-re estetico si esaurisce nella bellezzaquale manifestazione di una legge.

Esso vi è piuttosto diametralmenteopposto, in quanto la coerenza (Gebun-denheit) organica, l'ordinamento delleparti in proporzioni perfette non vi sonoin prima linea esemplari per le forme ar-tistiche come qui, ma entrano ancora inconsiderazione punti di vista extra-arti-

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stici di natura fisico-biologica. Entrambiquesti principi formali - noi diremmol'apollineo e il dionisiaco - si trovano inMozart genialmente appaiati, e perfinoquesta relazione antinomica tra il senti-mento formale classico e quello nord-germanico, che gli ha procurato tantebattaglie interiori, lascia facilmente ri-conoscere l'impulso sintetico, ma in sélacerato [zwiespaltig] dello spirito te-desco.

IV. Colorismo armonico.

Il Gerber porta poi la sua attenzioneproprio sull'altro passo che aveva susci-tato l'acerba censura di Sarti.

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L'inizio dello sviluppo nel Quartettoin re minore K. 421 porta il tema princi-pale in mi maggiore, sesta napoletanadella tonalità fondamentale. Già questacircostanza è significativa e qui bisognasottolineare che in Mozart il mutamentodi sensibile [Leittomvechselklang] dellasubdominante inferiore gioca un ruolonon indifferente».

Questo procedimento - continua Ger-ber, il cui aggrovigliato pensiero analiti-co non è probabilmente mai stato presoin considerazione nella ricerca mozar-tiana in Italia -

può destare l'impressione d'un com-pleto cambiamento di direzione, com'è ilcaso della relazione per terze di duecomplessi d'armonie. Ancor più notevo-

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le che l'entrata del mi bemolle (comesottodominante maggiore del tono fonda-mentale e sottodominante della sottodo-minante nella chiusa dell'esposizione) alprincipio dello svolgimento nel suddettoQuartetto è ora da una parte un completoimmergersi nella regione di sottodomi-nante, ma soprattutto un'immediata e bru-sca contrapposizione di ancora un'altragenerazione di dominante e di sottodo-minante molto distante del centro tonale.Che Mozart prediliga le inflessioni disottodominante è solo condizionatamentevero, spesso i pensieri conclusivi allafine dell'esposizione o della ripresa ri-conducono la sottodominante, ma di unasistematica inclinazione alla tonalitàpiagale non si può interamente parlare.

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Assai più caratteristico è invece il coz-zare d'una generazione di sottodominanteinsieme con una generazione di domi-nante ugualmente discosta. Il senso dellatonalità passa allora fortemente in se-cond'ordine, poiché il centro tonale vie-ne iscritto in un ampio cerchio. [...]

Si noti il magico effetto di terza nel-la seconda battuta (mi bemolle do be-molle) e soprattutto la modulazione a laminore sopra la doppia dominante di mibemolle grazie al doppio senso enarmo-nico di re diesis in mi bemolle per pas-sare in la minore. Il Kurth ha perfetta-mente ragione quando afferma che «losforzo di sottrarsi al senso della fonda-mentale» è tipico dell'armonia romanti-ca, e non si può che concordare con la

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sua asserzione che «la frequenza con cuiviene toccata la tonica è uno dei criteriessenziali per tutte le epoche stilisti-che». Molto dubbia è invece la sua con-seguenza che nessuna età si tiene cosìsaldamente sulla tonica come il «giova-ne classicismo». Questo va bene perMozart solo a metà, perché proprio neiQuartetti si afferma la spinta a nascon-dere i pilastri fondamentali con «divaga-zioni tonali». L'armonia di Mozart è do-minata da un dualismo, che da una partesi manifesta in solido senso tonale, mad'altra parte cerca di sfuggire ai vincolitonali e porta in sé i germi dell'atonalità.

Si tenga presente che questo discor-so risale al principio degli anni Venti,quando il concetto di atonalità era agli

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albori e la sua pratica veniva considera-ta una novità scandalosa. Ma della «au-dacia armonica» di Mozart sono pieni idiscorsi degli studiosi, specialmentequando si accostano alla famigerata In-troduzione del Quartetto in do maggiore,segnalata negativamente dal Sarti. Losforzo degli studiosi moderni va in dire-zione opposta e cerca le vie per giustifi-care ciò che il cocciuto difensore deltemperamento naturale fraintendeva conconsequenziaria ortodossia. Già il Saint-Foix, nel quarto volume del grande Mo-zart iniziato con Théodor de Wyzewa,l'adduce a prova «delle audacie che pre-senta spesso il linguaggio armonico diMozart», tanto che, avvenuta la chiarifi-cazione delle ultime battute, l'arrivo dell

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'allegro, così limpido, così chiaramentemelodico, «appare quasi troppo sempli-ce, dopo le complesse audacie del pre-ludio»109.

Quasi timida ci pare la diagnosi diFranose Gervais, studiosa di alcuniaspetti del linguaggio armonico di Mo-zart, che pure vi discerne la presenza di«una forza modulante centrifuga», quasiun «universo tonale in espansione». Mapoi sembra lasciarsi prendere la manodal solito cliché del divino fanciullo,spiegando con indulgenza che

Mozart il tonalissimo, Mozart ilclassicissimo, ma anche Mozart il granbirichino [très espiègle] sembra talvoltaprender piacere a sviarci un po' quandonoi lo seguiamo nei sentieri, tuttavia

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così battuti, della tonalità. Uno dei suoiprocedimenti favoriti, in questi casi, èl'impiego del cromatismo.

(Si veda la già ricordata discesacromatica del basso nelle prime dodicibattute della famosa Introduzione Ada-gio). Cromatismo melodico, prima ditutto, cromatismo armonico. Certo, moltaacqua è passata sotto i ponti, dal tempodell'acerba censura di Sarti. Ora, «ciòche colpisce anzitutto, in quest'armonia,sono certe audacie di scrittura, certi in-contri di note arditi, che sfiorano la dis-sonanza»110.

Altro che sfiorare! L'astiosa malevo-lenza di Sarti misurava forse megliol'entità dei danni prodotti dal birichinonel linguaggio armonico tradizionale. Lo

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stesso Gerber è costretto ad ammettereche, dal limitato punto di vista della suaortodossia, la posizione negativa delSarti era in certo senso inattaccabile:nelle sedici battute iniziali della famosaIntroduzione del K. 465,

non si può a prima vista concluderenulla con un'analisi armonica, ma tutto ilcomplesso risulta giudicabile solo dalpunto di vista dell'analisi melodica.

Quest'ultima permette allo studiosodi mostrare, con sottile e circostanziatoimpiego, come «l'aspra contrapposizio-ne di suoni lontani dal centro tonale»,appartenenti alla dominante e alla sotto-dominante, sia un tratto profondo dell'ar-monia mozartiana. Ma

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la violenta e contrastata successionedi questi suoni eterogenei non corrispon-de in alcun modo alle linee direttive diuna logica armonica che serva i principiarchitettonico-formali. Gli aggregati ac-cordali sono qui soltanto risultati casua-li, e si deve riconoscere che dal punto divista dell'artista creatore il senso melo-dico lineare deve qui valere come forzaformativa primaria.

Tanto più decisiva e spontanea simanifesta la prevalenza della formazio-ne melodica, e tanto meno il rapportofunzionale delle successioni d'accordi siincardina intorno a un centro tonale. Nonsul terreno armonico ma su quello melo-dico si manifesta l'impulso al gioco, ilmozartiano Spieltrieb. «Le complicazio-

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ni armoniche sono soltanto conseguenzedi un procedimento originario che sisvolge nel quadro della melodica».

Pur respingendo la «moda scientifi-ca» di appiccicare agli artisti etichetteapprossimative come romantico, classi-co, galante, barocco, Gerber deve rico-noscere che con l'accentuazione dellostile lineare melodico Mozart si allonta-na dal principio formale classico. Se ilbello consiste aristotelicamente di «leg-ge e ordine» e se l'ideale di forma clas-sico si esplica, secondo il Wölfflin, nel-la «articolazione individuale di tutti isingoli momenti» subordinata all'idea diun ordine regolare, allora bisogna am-mettere il potenziale non-classicismodel colorismo armonico di Mozart con

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la sua incertezza tonale, la sua idealeZwecklosigkeit, cioè la mancanza di finerettilineamente perseguito.

Mozart ama piegare il discorso ar-monico, nel momento di cadenzare, inun'altra direzione e perciò abbandona latonica originaria. In molti casi la tonicadesiderata ritorna ancora, ma non inalte-rata, bensì fiancheggiata dalla settima eperfino dalla nona. Il punto di riposo di-venta subito partenza di nuovo movi-mento.

Specialmente negli sviluppi la so-vrapposizione della settima alla triadetonale chiude in sé la tendenza a una ri-soluzione non prevista.

Impallidisce così il centro tonaled'ogni frase sequenziale, cosicché si ge-

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nera l'impressione di una certa insicu-rezza, d'un vacillare iridescente. Tuttociò configura un'immagine del «classi-cissimo» Mozart assai più vicinaall'ideale nordico-tedesco che non aquello classico-mediterraneo.

Un moderno, sebbene non si possacerto affibbiargli la qualifica di speri-mentale, perché a tutte queste innovazio-ni egli è mosso unicamente dallo Spiel-trieb, entro la sfera sensuale del piaceresonoro. Come s'è detto: colorismo armo-nico.

All'analisi armonica dell'Introduzio-ne nel Quartetto in do maggiore K. 465dedicò un saggio111 il versatile organistasvizzero Antoine-Elisée Cherbuliez, alquale una laurea in ingegneria non impe-

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dì di diventare pure violoncellista e so-prattutto fecondissimo musicologo.Anch'egli si appoggia, naturalmente,all'interpretazione del Gerber, già antici-pata con sintesi magistrale da Abert112:

L'Introduzione tende alla tonalitàdella dominante, raggiungendola in-fine dopo essersi profondamenteimmersa nella regione della sotto-dominante.

Anche Cherbuliez rifà la storia dello«scandalo» destato dall'Introduzione delQuartetto in do maggiore, particolarmen-te dalle prime quattro battute con le «te-mibili dissonanze» la bemolle - la natu-rale tra viola e primo violino al princi-pio (e corrispondentemente, un tono più

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sotto, sol bemolle - sol naturale nellequattro battute successive, per evidenteripetizione del taglio formale stabilitonelle battute iniziali). Quel fulmineo einspiegabile la - scrive Cherbuliez - «èin certo modo un panno rosso, che eccitala vena critica» degli analizzatori. «Per ivecchi teorici, che credono al dogmadell'eterna serenità di Mozart predilettodagli dèi in un mondo di serafica bellez-za» quel la «è un tale urto che essi pre-feriscono non crederci e lo correggonoin la bemolle». E Abert già aveva am-monito:

Quanto impallidirebbe questa entratase la si volesse «correggere» con un labemolle e per giunta accorciarla di unasemiminima! Così com'è, essa introduce

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nella caotica oscurità dell'atmosfera untratto di prepotente energia. Per due vol-te si ha questa violenta deformazione,che con il suo crescendo denota una ter-ribile tensione interiore. La liberazionetarda a venire; senza posa il basso conti-nua a scendere, trascinando con sé la ri-luttante linea melodica del primo violi-no. Neppure una nuova rincorsa cromati-ca, ripresa anche dal basso, conducealla meta.

Taglienti accenti dinamici chiudonol'adagio sulla dominante, senza alcunachiarificazione. Non si tratta quindi diun temporale passeggero, di quelli chepurificano l'aria, bensì dell'atmosfera difondo di tutto il Quartetto.

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Opinione un po' forte, che contrastasingolarmente con quella espressa dalSaint-Foix. Sembra prudente restringerlaall'enigmatica Introduzione, senza esten-derla a tutto il Quartetto. Allora si puòcondividere pienamente la chiusa: «È ilquadro di un'anima oppressa da oscuripresentimenti, che cerca invano di domi-nare»113.

Perciò, o «correggere il passo incri-minato, o scorgervi la prova di un'auda-cia inaudita; di una Stimmung demonia-ca o tragica, di un lampo di romantici-smo nell'animo dell'uomo rococò ch'eraMozart»114. Così Cherbuliez, facendoancora eco alle limpide constatazioni diAbert: «Un'epoca che in Mozart volevavedere l'ottimista a tutti i costi, non sa-

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peva certo darsi ragione di quest'ada-gio»115.

Anche Cherbuliez riconosce l'impo-tenza della microanalisi a venire a capodel rompicapo armonico di questo ada-gio che dovrebbe essere in do maggioree in cui di do maggiore non si trovaneanche un accordo.

Da un secolo e mezzo - egli scrive -questo adagio si pone come un problemadell'ascolto, dell'esperienza sonora edell'analisi e il più o meno aperto rim-provero che già ai tempi di Mozart erastato mosso, e cioè che quelle pochebattute tradissero «orecchie foderated'acciaio» (Grunsky, Musikgeschichtedes 18. Jahrhunderts, II, 1914, p. 107)non è ancora mai stato messo a tacere116.

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In quegli anni anche da altre parti(Otto Keller, nel suo Wolfgang AmadeusMozart, 1926) si ammetteva che quellaIntroduzione non si presta bene a un'ana-lisi armonica e che la sua struttura tecni-co-modulatoria aveva bisogno di esserechiarita in senso cinetico di linearitàmelodica.

Per Cherbuliez l'adagio introduttivodel K. 465 ha un sostanziale carattere efunzione di dominante, fatto che secondolui non è sufficientemente riconosciutoda Gerber, per il quale esso è una rudecontrapposizione di suoni di dominantee di sottodominante, rivelando un trattoprofondo dell'armonia mozartiana, cioè«l'immediata giustapposizione d'armonieche giacciono lontano dal centro tona-

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le», sicché questo diventa irriconoscibi-le, e da esso la condotta armonica si sla-neia ampiamente verso le zone della do-minante e della sottodominante.

Il procedimento della sesta napoleta-na (accordo sulla sottodominante forma-to da una terza minore e a una sesta mi-nore), che da più di due secoli s'è irrag-giato da Napoli e attraverso l'Italia sututte le sedi della musica occidentale è,secondo Cherbuliez, la chiave delle co-siddette audacie armoniche mozartiane.Esso comporta infatti un effetto di disso-nanza la cui correttezza è per così direufficialmente riconosciuta e legittimatadai grandi maestri: ai tempi di Mozartera ormai una pratica quotidiana e glipermetteva d'inseguire effetti di colori-

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smo armonico senz'alcuna pretesa disperimentalismo, bensì come un mezzoespressivo, esplorazione di zone oscuredell'anima che trovano attraverso questaformula lo spiraglio per venire alla luce.

Lo Cherbuliez si addentra poi in unacomplicatissima ipotesi d'un simile pro-cedimento nelle battute iniziali del K.465, col tema fondamentale in un domaggiore che dapprima è apparente espontanea terza d'una sesta napoletana dila bemolle e poi spontanea settima d'unaccordo di settima di dominante, sul chel'accordo di sol maggiore entra come lo-cale e momentanea tonica. Questo signi-ficherebbe che le prime quattro battutesiano da intendere in sol maggiore, con-

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fermandosi il generale impianto domi-nantico di queste battute d'introduzione.

L'inizio del Quartetto sarebbe perciòuna Nebenkadenz (con l'accordo di sestanapoletana e la sua libera risoluzione sulrelativo accordo di settima di dominan-te) all'interno della regione dominanticadella tonalità fondamentale di do mag-giore.

Nelle quattro battute seguenti c'è unaNebenkadenz costruita in modo perfetta-mente analogo all'interno della regionedi sottodominante di do maggiore (conla serie d'accordi di sol bemolle, qualesettima di dominante di fa maggiore inseconda posizione, e accordo di fa mag-giore.

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Il centro tonale di do maggiore vienecosì fiancheggiato (umspielt) dalla partedi dominante e dalla parte di sottodomi-nante in ragione d'una formula cadenzalein sé molto semplice, di forte effetto dis-sonante, che inoltre permette ancora lacatena d'accordi di sesta cromaticamentediscendente e perciò esercitante unospeciale effetto estetico.

In breve, sia che si tratti, come vuoleGerber, della sovrapposizione brutale(schroffe) della regione di dominante edella regione di sottodominante, sia chesi tratti, come suggerisce con laboriosaanalisi Cherbuliez, di estremo sfrutta-mento del legittimo procedimento di se-sta napoletana, resta che in pratica sitratta sempre di lunghi soggiorni nelle

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regioni di sottodominante e di dominan-te, da intendere principalmente secondouna ragione di colorito sonoro e non distrutturalismo compositivo, klanglick enon satztechnisch. Perciò Mozart figuracome un Maradona che segni una valan-ga di goals da posizioni «scorrette», poii tecnici si affannano a dimostrare cheno, che no, tutto era in ordine, basta ri-costruire l'origine e il processo dei suoimovimenti.

V. L'alea e il numero.

Una ragione storica e stilistica dello stu-pore prodotto dalle audacie armonichedi Mozart risiede nella maledizione di

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quella etichetta galante e apollinea cheegli si portò dietro nell'età neoclassica;ben documentata da Gruber nella suatrattazione delle diverse immagini diMozart che si sono succedute nelle fasisuccessive della cultura europea117. Ilfamigerato adagio introduttivo del Quar-tetto in do maggiore e quasi per intero ilQuartetto in re minore sono, come il Ky-rie di Monaco e come il Concerto in reminore K. 466, come la Fantasia e laSonata in do minore K. 475 e 457, comele due Sinfonie in sol minore e comemezzo Don Giovanni, documenti del de-moniaco: poli negativi della psiche mo-zartiana, serbatoi dello spleen, del pes-simismo, regni delle ombre, il popolonebbioso dei Cimmeri.

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Chi mai avrebbe potuto allora divi-nare questi aspetti dell'arte mozartiana,che soltanto alle generazioni dei roman-tici cominciarono a rivelarsi ? Non certoSarti, esatto figlio del suo tempo, anchese dotato di singolari anticipazioni, masul piano della teoria musicale, non del-la prassi compositiva, e del resto, anchecome teorico, abbarbicato all'àncoradella tradizione.

Che fosse un personaggio non comu-ne, specialmente per quelle sue curiositàscientifiche che lo apparentano agli inte-ressi armonici e acustici di Tartini, que-sto risulta chiaro dallo studio del Bar-bieri118. Se sulla faccenda del tempera-mento equabile si trovava in posizionideprecabilmente arretrate, c'è invece

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qualche aspetto per cui Sarti sembradavvero antivedere, magari sul pianodello scherzo e della bizzarria, alcunifra gli aspetti più contestati dell'avan-guardia contemporanea. Per esempio, lamusica aleatoria.

I contatti tra la musica e la matemati-ca non potevano fare a meno di attirarela curiosità del Settecento sopra il mi-raggio di comporre per mezzo del calco-lo numerico. È noto che viene attribuitoanche a Mozart un apocrifo Metodo percomporre minuetti e altre danze per mez-zo dei dadi. Ora il Barbieri ci ricordaopportunamente che l'abate Carpani,mentre attribuiva anche a Haydn un me-todo per «reggere aritmeticamente l'arti-ficio della composizione», aggiungeva:

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«Una tal maniera di comporre per basinumeriche fu qualche volta adoperatadal bravissimo Sarti». Ma - continuava -chi ne fece la prova ebbe a convincersiche «nel Sarti questo giuoco altro nonera che un facile mezzo per trarre dimolto danaro dai grandi con poco fatica,ma che i suoi capi d'opera con tutt'altrovenissero composti che con fredde com-binazioni aritmetiche».

Altrettanto vale per Haydn. Ricono-sciuto che anche in lui l'uso dei calcoliera «cosa certa», il Carpani ne sminui-sce l'importanza con gli stessi discorsi,le stesse argomentazioni che noi usiamoper giustificare gli artifici seriali diSchönberg e compagni.

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Questo metodo avrebbe dovuto ina-ridire la vena e agghiacciare la fantasiadel compositore; ma la vena d'Haydn eratroppo doviziosa, e la sua fantasia trop-po ardente per essere ammorzata; e d'al-tronde egli non si serviva di questo me-todo che per tessere l'ossatura del com-ponimento. Stava poi al suo spirito dar-gli anima e bellezza119.

Anche nei nostri tempi abbiamo vi-sto il vincolo totale della serializzazionedi tutti i parametri capovolgersi nell'op-posto, cioè nella libertà della composi-zione aleatoria. Questa gente del Sette-cento aveva già vissuto lo stesso feno-meno. Sempre il Carpani ricorda che,come i Carracci si vantavano di sapersviluppare le loro grandi composizioni

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pittoriche da alcune linee tracciate sullacarta a casaccio, così

Haydn gettava egli pure all'azzardoalcune note sulle carte di musica, e nesegnava le battute. Queste note doveva-no servire di note fondamentali, e riem-pir si dovevano le lacune con altre notea piacere, dal che poi ne riuscisse tuttoinsieme un pensier musicale regolare evago. Si dice che anche il Sarti facessequesto giuoco.

Il Barbieri cita due lettere di Cateri-na II riportate da Robert-Aloys Moosernei suoi preziosi Annali sulla vita musi-cale a Pietroburgo nel Settecento. Il 15aprile 1785 l'imperatrice, che nel frat-tempo aveva trasferito al principe Poté-mkin i servizi del musicista italiano,

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scrive a Grimm (il letterato che avevapropiziato la visita di Mozart bambino aParigi): «Forse potrei mandarvi l'aria diSarti, composta su alcuni punti gettati acasaccio dal principe Potémkin». E unanno dopo, mandandogli realmente alcu-ne composizioni di Sarti, spiega: « I se-gni delle note in inchiostro rosso sonostati fatti dal principe in persona, e poiSarti ha composto questi pezzi».

Davvero che non c'è mai niente dinuovo sotto il sole. Ci siamo tanto scan-dalizzati negli anni ruggenti dell'avan-guardia quando Cage e Bussotti scrive-vano composizioni a partire dalle mac-chioline casuali della carta da musica,ed ecco che Sarti, il preteso denigratoredella dodecafonia di Mozart, faceva gli

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stessi giochetti. Non per niente la musicadel suo capolavoro incorrerà ai nostritempi nella sintomatica condanna d'unostudioso che non aveva più simpatia perle stravaganze dell'avanguardia di quan-ta lui ne avesse per le «audacie armoni-che» di Mozart. «Il suo valore è mera-mente lineare, strumentale, ritmico; manullo in rapporto alla situazione»120.Sintomatico giudizio di Andrea DellaCorte, uno dei pochi studiosi (o forsel'unico ?) che Tra i due litiganti se losia almeno andato a leggere. Tout setient, tutto concorda.

PARTE IVIL TEATRO DI MOZART (1956-1981)p. 203 La geometria amorosa di

«Così fan tutte» 239 L '«Idomeneo» :

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esame di maturità 246 II ratto dal ser-raglio

264 «La clemenza di Tito»:tra neo-classicismo e restaurazione

PARTE V MEHR MOZART! (1981-1987)

281 I «canoni» di Mozart 315 Lafortuna di Mozart 332 Sarti contro Mo-zart

359 Indice dei nomiStampato per conto della Casa edi-

trice Einaudi presso Mondadori Prin-ting S.p.A., Stabilimento N.S.M., Cles(Trento) nel mese di gennaio 2006

C.L. 18088Edizione Anno12345678 2006 2007 2008 2009

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1)Cesare Pavese, lettera a Er-nesto de Martino, Torino,18 novembre 1949. ↵

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2)Fedele D'Amico, I casi del-la musica, Il Saggiatore,Milano 1962, p. 396. ↵

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3)Il Mozart di Arione passerà,con qualche modifica, ai tipidi Studio Tesi, Pordenone1980. ↵

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4)[A. de Lamartine, Le poètemourant, Nouvelles médi-tations poétiques, in CEu-vrespoétiques complètes,Gallimard, Paris 1963, p.147: «Je chantais, mesamis, comme l'homme re-spire, comme l'oiseau gé-mit, comme le vent soupire,comme l'eau murmure encoulant»]. ↵

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5)[Leo Ferrero (1903-33), ni-pote di Cesare Lombroso,cofondatore della rivista«Solaria», a Parigi sul finiredegli anni Venti, fu in con-tatto con Valéry]. ↵

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6)Intendi: cantanti. ↵

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7)M. von Weber, Cari Mariavon Weber, vol. III, Leipzig1866, p. ↵

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8)Pierre-Jean Jouve, Gra-nàeur actuelle de Mozart,in «La Nouvelle Revue fra-nçaise», I° novembre 1937,p. 772. ↵

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9)[Alfred Heuß, Das dämoni-sche Element in MozartsWerken, in «Zeitschrift derInternationalen Musikge-sellschaft» (ZIMG), VII,1906]. ↵

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10)[André Suarès, scrittore emusicologo francese, espo-nente della «Nouvelle Re-vue Française», appartenevaal milieu di Paul Claudel,André Gide e Henri Ghéon:Mila aveva polemizzato conlui in una «lettera aperta»Risposta ad André Suarès(«La Rassegna Musicale»,1936, n. 4) contestandone ildisprezzo per la musica ita-liana, manifestato dal Suarèssulla «Revue Musicale»]. ↵

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11)Il romanticismo come feno-meno storico, fissato entrocerti limiti cronologici, nonè niente affatto l'invasionedell'io, il crescente indivi-dualismo dell'arte, come datante parti si viene affer-mando e poco saviamentedeprecando. Può darsi chequesto si voglia intenderequando si parla del romanti-cismo come momento eter-no dell'arte. Ma allora è unaverità lapalissiana, che hapermesso i facili sofismi dicoloro che si dilettano ascoprire il romanticismo ditutta l'arte nota, da Omero ingiù. ↵

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12)[Igor' F. Stravinskij, Poéti-que musicale sous formede six legons, Harvard Uni-versity Press, CambridgeMass. 1942 (trad. it. 1971).Cfr. M. Mila, CompagnoStrawinski, Einaudi, Torino1983]. ↵

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13)[Cfr. supra, parte prima, p.8 nota i]. ↵

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14)E. T. A. Hoffmann, Von Gio-vanni (1812), in Scritti mu-sicali, a cura di G. Pierotti eA. Ulm, Rinascimento delLibro, Firenze 1931/XI, pp.33- 55: edizione postillata eannotata da Mila (Collezio-ne privata Massimo Mila).Ch. Baudelaire, Don Jua-naux Enfers, in Les fleursdu mal, Spleen et Ideale,XV, IAC, Lyon 1942, p. 13(Collezione privata Massi-mo Mila)]. ↵

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15)Non ci si faccia un'idea del-la musica del Flauto magi-co da quella della prodigiosaouverture, di cui affermòWyzewa che, «scritta daMozart alla vigilia dellamorte, ce lo rivela intento ascoprire orizzonti artisticiche gli erano sconosciutiquando scriveva l'opera tremesi innanzi» (T. Wyzewa eG. Saint-Foix, Mozart, Pari-gi 1912, p. xi). ↵

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16)[S. Kierkegaard, Enten-El-ler, vol. I, Gli stadi eroticiimmediati ovvero il musi-cale erotico, trad. it. a curadi A. Cortese, Adelphi, Mi-lano 1974, p. 109]. ↵

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17)[In un celebre dipinto diFrancois-Xavier Fabre(1802), i tipi Didot sonol'elemento iconico caratte-rizzante l'amicizia intellet-tuale tra Alfieri e la Albany;nel ritratto a loro destinato,l'abate di Caluso tiene tra lemani il quarto volume delletragedie alfieriane nell'edi-zione Didot e in bella evi-denza una lettera indirizzata«A Madame Comtesse d'Al-bany Princesse de Stol-berg»]. ↵

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18)[G. W. Leibniz, Lettera aChristian Goldbach, inEpistolae ad diversos, 17apprile 17r2 (.Musica estexercitium arithmeticae oc-cultum nescientis senume-rare animi), Breitkopf,Leipzig, vol. I, pp. 239-42].↵

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19)H. Engel, Mozart und Bee-thoven, in «Neues Mozart-Jahrbuch», II, p. 42, GustavBosse Verlag, Regensburg1942. ↵

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20)R. Rolland, Mozart d'aprèsses lettres, in Musiciensd'autrefois, pp. 281- 282,Librairie Hachette, Paris1927. Scritto nel 1893 epubblicato nel 1903 dalla«Revue d'Art dramatique».↵

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21)Engel, Mozart und Beetho-ven cit., p. 41. ↵

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22)H. Ritter von Srbik, Mo-zarts Erleben des politi-schen Antlitzes Europas, in«Neues Mozart-Jahrbuch»cit., p. 25. ↵

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23)«E ora le do una notizia cheforse saprà già, cioè cheVoltaire, quel birbo senza ti-mor di Dio è crepato comeun maiale - ecco la ricom-pensa ! » Così al padre, daParigi, il 3 luglio 1778. Mabisogna tener presente chenelle lettere al padre Mozartsi curava sempre d'atteggiar-si a costumato giovane, disani principi morali, patriot-tici e religiosi. ↵

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24)Gioco di parole sul nomeStein, pietra. ↵

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25)Rolland, Mozart d'aprèsses lettres cit., p. 279. ↵

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26)H. Abert, GesammelteSchriften und Vorträge,Halle 1929, p. 476. ↵

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27)Rolland, Mozart d'aprèsses lettres cit., pp. 281 e285. ↵

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28)[Erminio Macario (Torino,1902-1980), attor comico eautore di riviste, commediemusicali e avanspettacolonella Torino del Novecen-to]. ↵

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29)[Festival di Lucerna: nasce,come quello di Zurigo, nel1938, nel periodo che pre-cede la Seconda guerramondiale, le Internationa-len Musikfesternwochen diLucerna sorgono come rea-zione al bando della Germa-nia e dell'Austria dei musi-cisti invisi al nazismo]. ↵

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30)[Festival di Musica Contem-poranea di Venezia: nascenel settembre 1930, asso-ciato alla Biennale d'arte:nel 1942, dopo dodici anni,l'ottava edizione del Festivalveneziano, ne segnò il crol-lo e la temporanea chiusura]↵

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31)[Festival di Salisburgo: fon-dato nel 1920. Nel marzo1938, con l'Anschluss letruppe del Reich a cavalloattraversano il ponte sullaSalzach e imboccano la Lin-zer Gasse nello sventolio dibandiere con la croce unci-nata, acclamate da una follastrabocchevole che salutacol braccio teso; le manife-stazioni già preparate annun-ciavano la presenza di BrunoWalter e di Arturo Toscani-ni, sostituita nei nuovi mani-festi, da Hans Knappertbu-sch, Karl Böhm e VittorioGui. Il Festival chiuderà nel1943 per ordine di Goeb-

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bels, ministro delle Propa-ganda e della Cultura delTerzo Reich, che aveva pro-clamato in quel momento la«guerra totale»]. ↵

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32)[Mark Wayne Clark, genera-le statunitense, comandantedelle truppe americane in-viate in Gran Bretagna; dal1943 al 1945, diresse lacampagna d'Italia, alla testadella V Armata. Dal 2 luglio1945 fu a capo della zonad'occupazione americana inAustria fino al 15 giugno1947.

Ernst Rüdiger, principedi Starhemberg, uomo poli-tico austriaco. Propugnatoredell'Anchluss. Era legato aMussolini e vicepresidentedel governo Dolfuss, parte-cipò al conflitto mondialecome ufficiale nell'aviazio-

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ne francese; nel dopoguerrasi rifugiò in Argentina e nel1955 ottenne il permesso diritornare in patria, dopo es-sere rientrato in possessodei beni che gli erano staticonfiscati.

Rudolf Hess, strettocollaboratore di Hitler, nel1925 fu il suo aiutante per-sonale. Hitler che lo nomi-nò suo sostituto nel maggio1933 e suo successore il i°settembre 1939. Al Tribuna-le di Norimberga, nell'otto-bre 1946, fu condannatoall'ergastolo, come crimina-le di guerra: si suicidò nelcarcere di Spandau, a Berli-no, nel 1987]. ↵

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33)[Karl Böhm (Graz, 28 ago-sto 1894 - Salisburgo, 14agosto 1981), direttored'orchestra austriaco; nel1921 Bruno Walter lo chia-mò a Monaco. Fu nominatodirettore dell'Opera di Dre-sda (1934-1942) a rimpiaz-zare Busch, cacciato per gliavvenimenti politici; colla-borò con Richard Strass perle prime mondiali delle sueopere. Nel 1938 partecipòal Festival di Salisburgo,dove tornò assiduamente,con il Don Giovanni.

Clemens Krauss (Vien-na, 31 marzo 1893 - Messi-co, 16 maggio 1954), diret-

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tore d'orchestra austriaco;dal 1922 al 1924, all'Operadi Vienna, divenne interpre-te ed amico di RichardStrauss; fu direttore genera-le della musica a Monaco(1937-1943); dopo la finedella guerra fu interdettodalla direzione d'orchestrafino al 1947, per la sua col-laborazione col regime na-zista. In seguito riorganizzòil Mozarteum di Salisburgo.

Herbert von Karajan(Salisburgo, 1908 - Anif,Salisburgo, 1989), durantel'ocupazione tedesca diresseall'Opéra di Parigi; nel 1946per il suo collaborazioni-smo nazista, fu interdettoper un anno dalla direzione

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d'orchestra; nel 1948 debut-ta al Festival di Salisburgocon le Nozze di Figaro]. ↵

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34)[Bernhardt Paumgartner(Vienna, 14 novembre 1887- Salisburgo, 27 luglio1971), allievo di BrunoWalter. Direttore al Mozar-teum di Salisburgo dal 1917al 1938 e dal 1945 al 1953e poi nel i960 presidentedel Festival, di cui fu tra ifondatori. Fondamentale ilsuo Mozart (1927)]. ↵

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35)[Arturo Toscanini dopo lapresa di potere hitleriana,nel 1933, si rifiutò di diri-gere ancora a Bayreuth e nel1938, dopo tre anni di pre-senza al Festival, abbandonòSalisburgo per protestarecontro l'annessione nazistadell'Austria alla Germania(e fu prontamente sostituitoda Vittorio Gui, cui l'An-schluss non aveva creatoproblemi di ordine mora-le)]. ↵

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36)[Ezio Pinza, basso italiano,rinunciò a una carriera dicorridore ciclista per stu-diare canto al Conservatoriodi Bologna; Bruno Walter lochiamò al Festival di Sali-sburgo nel 1934] ↵

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37)[Cfr. supra, parte prima, p.8 nota 1]. ↵

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38)D. Milhaud, Lettre ouverteàLuigi Dallapiccola, in «LaRassegna Musicale», XXIII(1953), p. 41. ↵

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39)L. Dallapiccola, Appuntisulla scena della statua nel«Don Giovanni», in «LaRassegna Musicale», XX(1950), p. 115. ↵

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40)A. Schönberg, Harmonie-lehre, Universal-Edition,Vienna 1922, p. 393 ↵

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41)A. Einstein, Mozart. Il ca-rattere e l'opera, G. Ricor-di & C., Milano 1951, p.158. ↵

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42)Dallapiccola, Appunti cit.,p. 107. ↵

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43)Einstein, Mozart cit., pp.155-56. ↵

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44)Ibid., p. 158. ↵

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45)A. von Arneth, GeschichteMaria Theresias, Vili, p.621. Cit. in Einstein, Mo-zart cit., p. 153. ↵

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46)F. Torrefranca, Le originiitaliane del Romanticismomusicale, Fratelli BoccaEditori, Torino 1930, pp.337 e 339. ↵

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47)Einstein, Mozart cit., p.140. ↵

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48)F. Werfel, Verdi. Il romanzodell'opera, Fratelli TrevesEditori, Milano 1929, p.279: «Verdi portava semprecon sé un libriccino di an-notazioni legato in verde,che non gli serviva però perprendere appunti, ma perscrivere delle minute. Egliaveva l'abitudine di scrivereogni giorno una fuga. Quan-do un quaderno era pieno, logettava via, perché conside-rava la più modesta ispira-zione più della migliorecosa preparata, e lo scriverefughe era per lui come unaterapia, come una lubrifica-zione del suo meccanismo

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musicale interno, forse an-che come un'ironica peni-tenza di suoi antichi peccatioperistici». ↵

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49)J. Witold, Mozart méconnu,Editions Le Bon Plaisir, Li-brairie Plön, Parigi 1954, p.99. ↵

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50). D'Amico, Classicità diMozart, in «Il Contempora-neo», III, 5 (4 febbraio1956). ↵

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51)Mozart, Epistolario, Fratel-li Bocca Editori, Torino1927, p. 115 (lettera 6 di-cembre 1777). ↵

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52)H. Ghéon, Promenadesavec Mozart, Desclée DeBrouwer, Paris 1932, pp.360-61. ↵

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53)H. Mayer, Versuche überdie Oper, Suhrkamp, Frank-furt am Main 1981, pp. 18-48. ↵

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54)Questa interpretazione diCosì fan tutte, come com-media delle menzogne,scandalizzò profondamenteil musicologo Guido Pan-nain, al quale pareva be-stemmia asserire che tra lesue facoltà la musica avessepure quella di mentire. Perlui l'aria di Fiordiligi Comescoglio immoto resta - unodei culmini dell'ironia diCosì fan tutte, come vedre-mo - era da prendere allalettera, modellata dall'agita-zione dell'anima: «Un'ariaimmensa», che «segna a ca-ratteri fiammanti una dataincancellabile tra quelle di

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Alceste e di Giulia» (l'eroi-na della Vestale). Cfr. G.Pannain, Da Monteverdi aWagner, Ricordi, Milano1955, p. 77. ↵

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55)Giustamente CharlesOsborne (Tutte le opere diMozart, Sansoni, Firenze1982, pp. 365-66) osservache nella precedente aria diDorabella la situazione è lastessa e l'intento è ugual-mente caricaturale, ma è ne-cessario che nell'esecuzio-ne la cantante «esageri l'ele-mento di parodia, se non sivuole che vada perduto, per-ché è assolutamente possi-bile ascoltare Smanie im-placabili come un'aria per-fettamente seria inserita inun'opera comica». (Ed èquesto il motivo del suo mi-nor valore). Invece l'aria di

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Fiordiligi «è troppo marcataper poter essere fraintesa oper aver bisogno di ulterioreenfasi nell'esecuzione». ↵

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56)E. Dent, Mozarts Opern,Erich Reiss Verlag, Berlin1922, p. 180 (trad. it.dall'inglese di L. Ferrari, Ilteatro di Mozart, a cura diP. Isotta, Rusconi, Milano1979, pp. 272-87 e pas-sim). ↵

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57)F. Busoni, Che cosa ci hadato Beethoven?, in Losguardo lieto, Il Saggiatore,Milano 1977, p. 305. ↵

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58)Cfr. M. Mila, Lettura dellaGrande Fuga op. 133, inScritti in onore di LuigiRonga, Ricciardi, Milano-Napoli 1973, pp. 343-67. ↵

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59)J.-G. Prod'Homme, W. A.Mozart. Sa vie et ses teu-vres, Delagrave, Paris 1925,p. 368. Il libro non è cheuna traduction-adaptationdel libro omonimo di ArthurSchurig uscito in secondaedizione rifatta nel 1923.Cita, sostanzialmente con-sentendo, alcuni dei più ca-tastrofici granchi della gran-de musicologia tedesca aproposito di Così fan tutte.Per Hanslick (Die moderneOper, Berlin 1874, p. 44)l'opera «non regge più sullascena, nonostante i numero-si pezzi incantevoli, cheproducono un effetto così

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delizioso in concerto». Ciòsarebbe dovuto al fatto che«abbiamo preso l'abitudined'una musica d'opera piùforte, più incisiva e piùviva». Come dire che dopoMeyerbeer non c'è più po-sto per Mozart. E Kretzsch-mar, nella celeberrima Ge-schichte der Oper (1919),assicura che «non manche-rebbe nulla alla gloria diMozart se egli non avessescritto Così fan tutte». Cer-tamente, «vi sono alcunibuoni pezzi nel genere ele-giaco, ma, in genere, que-st'opera è nutrita delle bri-ciole della tavola degli Ita-liani o di Figaro e di DonGiovanni». Non c'è slancio,

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e molti passi indicano chia-ramente che Mozart «vi si ètorturato, che questa com-media gli era antipatica». ↵

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60)M. Cadieu, Mozart, Se-ghers, Paris 1966, p. 136.L'intuizione che l'artificialedisposizione delle coppie inCosì fan tutte fosse quellagiusta per la verità del cuo-re, l'aveva già avuta il genti-luomo russo Alexandr Di-mitrijevic Ulibisev nellaNouvelle biographie deMozart (1844), ma princi-palmente in base a conside-razioni di convenienza tea-trale: «Le seconde coppiesono quelle giuste, e rime-diano a un errore preceden-te - errore evidenziato dallatrasgressione a una prassiprecisa dell'opera, che vuole

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l'accoppiamento obbligato-rio della prima donna e deltenore-amoroso» (p. 361).Anche Edward Dent accennaalle affinità Dorabella-Gu-glielmo, Fiordiligi-Ferran-do, quali si manifestano nelduetto femminile Prenderòquel brunettino (MozartsOpern cit., p. 180). Infine aqualcosa di simile si avvici-na il Paumgartner (Mozart,Einaudi, Torino 1978, p.453): «Ma quando alfine lecoppie, lasciate sole dailoro intermediari, si ritrova-no, le mani nelle mani, con-fuse e smarrite, la comicasituazione assume all'im-provviso un significato piùprofondo». ↵

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61)[A Massimo Mila si deveuna esemplare traduzionedelle Die Wahlverwand-tschaften, Einaudi, Torino1943]. ↵

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62)Cfr. supra, parte seconda,M. Mila, Le idee di Mozart,pp. 141 sgg. ↵

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63)Cfr. L. Magnani, Stendhal ela musica della felicità, inLe frontiere della musica,Ricciardi, Milano-Napoli1957, pp. 72-94. ↵

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64)[Cfr. supra, parte prima, p.46 nota 4]. ↵

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65)A. Einstein, Mozart. Il ca-rattere e l'opera, Ricordi,Milano 1951, p. 415 ↵

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66)E. Dent, Il teatro di Mozart,Rusconi, Milano 1979, p.300. ↵

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67)B. Paumgartner, Mozart, Ei-naudi, Torino 1978, p. 471.↵

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68)R. Stricker, Mozart et sesopéras, Gallimard, Paris1980, p. 304. ↵

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69)H. Abert, W.A.Mozart, Brei-tkopf & Härtel, Leipzig1956, vol. II, p. 613. ↵

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70)Ibid., p. 611. ↵

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71)G. Vigolo, La clemenza diTito di W.A. Mozart, in «Ra-diocorriere», novembre1956. ↵

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72)P. Isotta, L'opera morta, in Isentieri della musica, Mon-dadori, Milano 1978, pp.116-20. ↵

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73)W. Hildesheimer, Mozart,Sansoni, Firenze 1979, p.354. ↵

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74)R. Stricker, Mozart et sesopéras cit., p. 303. ↵

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75)«Canone è una regola chemostra sotto una certa oscu-rità l'intenzione del compo-sitore». ↵

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76)«Questi non si lascia ovun-que annettere alle fughe, maprincipalmente si cura dellasoavità ed applica alle paro-le l'armonia in modo adattoe conveniente per decoro».↵

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77)«Utile per l'apprendimento,ma per chiesa, camera eopera inadatto, un insensatograttamento d'orecchio». ↵

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78)In Mozart in Italia. I viaggic le lettere a cura di G. Bar-blan e di A. Della Corte, Ri-cordi, Milano 1956, p. 117.↵

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79)Wolfgang Amadeus Mozart,Neue Ausgabe sämtlicherWerke. Serie III: Liedermehrstimmige Gesänge,Kanons. Werkgruppe 10:Kanons, Vorgelegt von Al-bert Dunning. ↵

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80)In realtà la traduzione italia-na di questa lettera in A. Al-bertini, Mozart. Epistola-rio, Bocca, Torino 1927, èsbagliata nell'ultima frase ene capovolge il senso. Mo-zart scrive: «aber nicht mitwercken», cioè assicura dinon essere andato oltre leparole. ↵

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81)K. Storck, Mozart, Sein Le-ben und Schaffen, GreinerPfeiffer, Stoccarda s.a., p.406. ↵

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82)Soltanto la sopravvivenzadella mentalità romantica,inguaribilmente attaccataalla concezione del drammawagneriano, poteva portareun grande come Furtwänglerad affermazioni incredibilicome le seguenti: «Mozartcompone soltanto ciò chestimola in lui il musicista; ilresto, lo affida al recitati-vo... Nei pezzi chiusi dellesue opere... all'azione appar-tiene, come massimo, sol-tanto una parte, diciamo trequarti, di ciascun brano; l'ul-timo quarto appartiene allamusica sola» (W. Furtwän-

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gler, Suono e parola, Fogo-la, Torino 1977, p. 91). ↵

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83)[Il racconto fantastico di Jo-seph von Eichendorff, DasMarmorbild, scritto nel1817, fu pubblicato nel«Frauentaschenbuch» del1819, e successivamente,insieme al fortunatissimoTaugenichts (il Buonanul-la), nell'edizione berlinesedel 1826. Ora in traduzioneitaliana, La statua di mar-mo, a cura di A. Giubertoni,Novecento, Palermo 1989].↵

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84)[Stendhal, Vie de Rossini,Calmann Lévy, Paris s.d., p.24]. ↵

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85)[Il film fu recensito da Mila,in «La Stampa», i° marzo1985, p. 25]. ↵

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86)[Alfred von Wolzogen(1823-1883), musicologoconservatore, era il padre diHans von Wolzogen (1848-1938), esponente di un wag-nerismo legato strettamentealla cerchia di Bayreuth]. ↵

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87)[Il termine «allomatico»,coniato da Hugo von Hof-mannsthal per designare ilsuo rapporto collaborativocon Richard Strauss, erafondativo di una «diversitàelettiva» tra il poeta-libret-tista e il compositore. Cfr.A. Giubertoni, L'ombra traHofmannsthal e Strauss, in«Nuova Rivista MusicaleItaliana», 1980, n. 2, pp.205-15, e ancora Hofmann-sthal-Strauss: le diversitàelettive, in «Belfagor», fase.1, gennaio 1980, pp. 67-72].↵

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88)[L'attenzione di MassimoMila per gli scritti di Hesse,aveva fatto conoscere ai let-tori italiani il Siddharta,tradotto negli anni di guerra,edito da Frassinelli, Torino,nel 1945, e destinato a di-ventare un oggetto di cultoininterrotto per le nuove ge-nerazioni, ora pubblicatonelle edizioni Adelphi, Mi-lano]. ↵

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89)R.-A. Mooser, Annales dela musique et des musi-ciens en Russie au XVIIIsiècle, Ed. Mont Blanc, Ge-nève 1951, vol. II, pp. 415-50 e 463-79. ↵

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90)Entrambe le espressioni initaliano nel testo. ↵

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91)A. Greither, Mozart, Einau-di, Torino 1968. ↵

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92)D. Milhaud, Lettre ouverteà Luigi Vallapiccola, in «LaRassegna Musicale», XXIII(gennaio 1953). ↵

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93)In italiano nel testo. ↵

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94)Citato in O. E. Deutsch,Sartis Streichschrift gegenMozart, in «Mozart- Jahrbu-ch 1962/63», Salzburg1964, pp. 7-13. ↵

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95)L. van Beethoven, LudwigVan Beethovens Konversa-tionshefte, Band 6, VEBDeutscher Verlag für Musik,Leipzig 1974, pp. 261-62.↵

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96)P. Barbieri, Giuseppe Sartifisico acustico e teoricomusicale, in Giuseppe Sartimusicista faentino, «Attidel Convegno internazionaleFaenza, 25-27 novembre1983», Mucchi editore,Modena 1986. ↵

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97)Evidentemente per la recen-te morte di Bonifazio Asio-li. ↵

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98)In italiano nel testo. ↵

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99)In italiano nel testo. ↵

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100)In italiano nel testo. ↵

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101)A.-El. Cherbuliez, Zur har-monichen Analyse der Ein-leitung von Mozarts C-DurStreichquartett, in Berichtder musikwissenschaftli-chen Tagung der Interna-tionalen Stiftung Mozar-teum in Salzburg 1931, acura di E. Schenk, Breitkopf& Härtel, Leipzig 1932, pp.103-11. ↵

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102)[A. Shönberg, WerklärteNacht (1899), poema sinfo-nico che segue il passsaggioalla dissoluzione della tona-lità]. ↵

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103)G. de Saint-Foix, Wolf gangAmédée Mozart. Sa vie mu-sicale et soti oeuvre. Essaide biographie critique, 5voll., Desclée de Brouwer,Paris 1936-46, IV. L'épa-nouissement. 1784-1788,pp. 76-77. ↵

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104)In italiano nel testo ↵

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105)Anche Lichtenthal avevaesordito nella carriera pub-blicistica con una Harmo-nik für Damen (1806), se-condo una formula illumini-stica di divulgazione cuiaveva pagato omaggio, franoi, Algarotti, col dialogoNewtonianismo per leDame (1737).

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106)F.-L. Perne, 1772-1832, co-rista, contrabbassista, com-positore e musicologo, bi-bliotecario al Conservatoi-re, in relazione col Fétis. ↵

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107)H. Abert, Mozart. La matu-rità 1783-1791, Il Saggia-tore, Milano 1985, p. 159.↵

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108)R. Gerber, HarmonischeProbleme in Mozarts Strei-chquartetten, in «MozartJahrbuch», II, a cura di H.Abert, Drei Masken Verlag,1924. ↵

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109)Saint-Foix, Wolfgang Amé-dée Mozart cit. ↵

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110)F. Gervais, Le langage har-monique de Mozart, in Mo-zart. L'année Mozart enFrance, ed. La Revue Musi-cale (Richard Masse), Pari-gi 1956, pp. 195-206. ↵

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111)Cfr. nota 13. ↵

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112)Sarebbe interessante stabili-re se la scultorea interpreta-zione fornita da Abert sitrovasse già nella prima edi-zione del suo splendidoMozart, 1919- 1921, o se visia entrata in qualcuna dellesette edizioni successive: inquesto caso, dopo il labo-rioso e fondamentale saggiodi Gerber, accolto nella se-conda annata dei «Mozart-jahrbuch», 1924, «herausge-geben» da Hermann Abert.Comunque stiano le cose, siavverte su questo argomentoun fecondo scambio d'ideetra maestro e discepolo. ↵

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113)H. Abert, Mozart. La matu-rità II1783-1791, Il Saggia-tore, Milano 1985, pp. 159-60. ↵

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114)Cherbuliez, Zur harmoni-chen Analyse der Einlei-tung von Mozarts C- DurStreichquartett cit., pp.105-6. ↵

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115)Abert, Mozart. La maturitàcit., p. 159. ↵

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116)herbuliez, Zur harmonichenAnalyse der Einleitung vonMozarts C- Dur Streich-quartett cit., p. 103. ↵

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117)G. Gruber, Mozart in derNachwelt, Residenz-Verlag,Salzburg-Wien 1985. C£r.supra, M. Mila, La fortunadi Mozart, pp. 315 sgg. ↵

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118)Cfr. nota 8. ↵

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119)Le Haydine ovvero Letteresu la vita e le opere del ce-lebre maestro GiuseppeHaydn di Giuseppe Carpani,Milano, da Candido Bucci-nelli stampatore e cartaro,1812, Lettera terza, passim,specialmente pp. 36-42. ↵

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120)A. Della Corte, L'opera co-mica italiana nel '700, La-terza, Bari 1923, vol. II, p.77. ↵

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Indice

Nota del curatore

Bibliografia essenziale

Prime pubblicazioni dei saggicontenuti nel volume:

Mozart

I.

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Wolfgang Amadeus Mozart(1945)

II.

La Mozart Renaissance (1941-1946)

Mozart e i mozartiani

Programma per un circolomozartiano

Mozart e Lamartine

Le idee di Mozart

Il Festival di Salisburgo

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III.

Mozart nel bicentenario dellanascita

(Giubileo 1956)

La religione dell'uomo

La fortuna e il significato diMozart

Il respiro di Mozart

IV.

Il teatro di Mozart

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(1956-1981)

La geometria amorosa diCosì fan tutte

L'Idomeneo: esame di maturità

Il ratto dal serraglio

La clemenza di Tito: tra neo-classicismo e restaurazione

V

Mehr Mozart!

(1981-1987)

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I «canoni» di Mozart

I.

II.

III.

IV.

Sarti contro Mozart

I. Mozart dodecafonico?

II. Incertezza delle fonti.

III. Una polemica storica.

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IV. Colorismo armonico.

V. L'alea e il numero.

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