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MEDIACLASSICA - UN PORTALE PER LE LINGUE CLASSICHE Il declino della Grecia delle poleis: dalla presa di Melo alla sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso. Lettura in parallelo di estratti da Tucidide e Senofonte. di Stefania Adiletta CLASSE E DISCIPLINA II Liceo classico (IV anno). Lezione di letteratura greca (percorso tematico relativo alla storiografia greca di età classica). PROGRAMMAZIONE All’interno del programma di letteratura greca si ipotizza di dedicare circa otto ore ad un percorso di approfondimento relativo al confronto tra la storiografia tucididea e quella di Senofonte, al fine di illustrare, attraverso un’analisi degli aspetti linguistici, stilistici e culturali, le differenze di sensibilità e di interessi dei due storici. PREREQUISITI Conoscenza degli elementi essenziali della storiografia di Tucidide e di Senofonte: - struttura e composizione delle Storie di Tucidide; - struttura e composizione delle Elleniche di Senofonte. Conoscenza dei principali eventi della storia greca: - la guerra del Peloponneso; - la fondazione della Lega delio-attica e la politica imperialistica ateniese (fino alla sconfitta nella battaglia di Egospotami). Lettura integrale in italiano della narrazione della presa di Melo (THUC. V 84-116) e della caduta di Atene dopo Egospotami (XEN., Hell. II 2, 3-23), per avere un quadro complessivo delle vicende analizzate negli estratti proposti in lingua originale.

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Page 1: MEDIACLASSICA - UN PORTALE PER LE LINGUE CLASSICHE

MEDIACLASSICA - UN PORTALE PER LE LINGUE CLASSICHE

Il declino della Grecia delle poleis: dalla presa di Melo alla sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso. Lettura in parallelo di estratti da Tucidide e Senofonte.

di Stefania Adiletta

CLASSE E DISCIPLINA II Liceo classico (IV anno).

Lezione di letteratura greca (percorso tematico

relativo alla storiografia greca di età classica).

PROGRAMMAZIONE All’interno del programma di letteratura greca si

ipotizza di dedicare circa otto ore ad un percorso di

approfondimento relativo al confronto tra la

storiografia tucididea e quella di Senofonte, al fine

di illustrare, attraverso un’analisi degli aspetti

linguistici, stilistici e culturali, le differenze di

sensibilità e di interessi dei due storici.

PREREQUISITI Conoscenza degli elementi essenziali della

storiografia di Tucidide e di Senofonte:

- struttura e composizione delle Storie di Tucidide;

- struttura e composizione delle Elleniche di

Senofonte.

Conoscenza dei principali eventi della storia greca:

- la guerra del Peloponneso;

- la fondazione della Lega delio-attica e la politica

imperialistica ateniese (fino alla sconfitta nella

battaglia di Egospotami).

Lettura integrale in italiano della narrazione della

presa di Melo (THUC. V 84-116) e della caduta di

Atene dopo Egospotami (XEN., Hell. II 2, 3-23), per

avere un quadro complessivo delle vicende

analizzate negli estratti proposti in lingua originale.

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OBIETTIVI Saper commentare il testo in relazione ai diversi

livelli (morfosintattico, lessicale, stilistico-

retorico e tematico).

Individuare gli elementi che rivelano la novità del

mondo concettuale tucidideo (idee politiche e

religioso-esistenziali), con riferimento alla

politica estera di Atene.

Individuare gli elementi che rivelano le novità

delle Elleniche, le caratteristiche ed i limiti del

filolaconismo di Senofonte.

Indicare analogie e differenze tra il metodo

storiografico tucidideo e la storiografia di

Senofonte.

CONTENUTI

TUCIDIDE, Storie V 84, 1-3; V 89, 1: il dialogo dei Melii

e degli Ateniesi.

Contestualizzazione del passo all’interno

dell’opera: struttura del libro V (in particolare dei

capitoli 84-116, relativi alla presa di Melo) e

analisi dei temi principali che emergono dal

confronto tra i legati di Atene e i magistrati di

Melo.

SENOFONTE, Elleniche II 10-12; 14-17; 19-23: assedio

e resa di Atene.

Contestualizzazione del passo all’interno

dell’opera: differenza tra i primi due libri delle

Elleniche e i successivi.

Diversa prospettiva di Tucidide rispetto a

Senofonte: la centralità della polis nel pensiero

tucidideo in opposizione all’individualismo e al

cosmopolitismo pre-ellenistico di Senofonte.

Individuazione delle peculiarità linguistiche,

morfosintattiche e stilistiche di Tucidide e di

Senofonte.

STRATEGIE

DIDATTICHE

E STRUMENTI

Lezione frontale e interattiva:

contestualizzazione dei brani selezionati; lettura

diretta e traduzione del testo, commento secondo i

diversi livelli di lettura (morfosintattico, lessicale,

stilistico-retorico e tematico).

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© Loescher editore - Torino mediaclassica.loescher.it 3

STRATEGIE

DIDATTICHE

E STRUMENTI

Attività di laboratorio sul testo:

analisi del lessico in riferimento al mondo

concettuale di Tucidide e di Senofonte.

Testi di supporto forniti in fotocopia; cartina

geografica; tavola cronologica della storia greca (ed

in particolare della guerra del Peloponneso).

Strumenti didattici: dizionario greco-italiano;

dizionario etimologico della lingua greca; atlante

storico.

PERCORSI

DI APPROFONDIMENTO

E DI ECCELLENZA

Si ipotizzano due percorsi di approfondimento:

- Il riferimento alla “legge del più forte” da parte

degli Ateniesi nel dialogo con i Melii permette di

richiamare la filosofia politica di Hobbes (“homo

homini lupus”).

- La presentazione della guerra del Peloponneso

come prodotto di una necessità storica, dettata

dalla contrapposizione di due blocchi, quello

ateniese e quello spartano, richiama la

contrapposizione, durante la “guerra fredda”, tra

USA ed URSS.

IPOTESI DI VERIFICA Verifica orale nell’ambito di un’interrogazione sulla

storiografia greca di età classica.

PERCORSO DI

RECUPERO

Si articola in due parti:

- Assegnazione (in due tempi) della traduzione dei

testi commentati in classe: THUC. V 85, 1-3 e 89, 1

e XEN., Hell. II 2, 10-23.

- Redazione di un’analisi scritta dei testi

precedentemente tradotti, in cui individuare e

commentare le tematiche e gli aspetti stilistico-

retorici che evidenziano le scelte metodologiche

di Tucidide e Senofonte e le differenze di

sensibilità ed interessi tra i due.

Sia la traduzione che l’analisi vanno verificate dal

docente nel corso di un’interrogazione orale.

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Introduzione

La presente proposta didattica, destinata ad un secondo Liceo classico (IV

anno), si inserisce all’interno di un percorso di approfondimento sulla storiografia

di età classica: esso prevede la lettura di estratti dalle Storie di Tucidide e dalle

Elleniche di Senofonte, relativi rispettivamente all’esemplare vicenda dell’isola di

Melo e alla caduta di Atene in seguito alla battaglia navale di Egospotami, allo

scopo di evidenziare la parabola discendente della Grecia classica1.

Si ipotizza di riservare alla presentazione di questo percorso tematico un totale

di otto ore, articolate in quattro lezioni (ciascuna di due ore). Il percorso è

presentato alla classe in parallelo con lo studio della storiografia greca, al fine di

far cogliere le relazioni di ogni testo con il contesto storico, culturale e letterario di

riferimento. La scelta del tema è caduta sul declino della polis alla fine del V secolo

a.C.: la narrazione della presa di Melo permette di rilevare la centralità del punto di

vista statale nella storiografia di Tucidide (la cui storia è primariamente storia

politico-militare2) mentre nel racconto della capitolazione di Atene offerto da

Senofonte emerge la nuova tendenza individualista e cosmopolita caratteristica

dell’età ellenistica (evidente nell’attenzione riservata alle singole personalità che si

alternano sulla scena politica3); la lettura integrale in italiano dei capitoli relativi

alla presa di Melo (Thuc. V 84-116) e della caduta di Atene dopo Egospotami (Xen.,

Hell. II 2, 3-23) – oltre ad offrire un quadro complessivo delle vicende analizzate

negli estratti proposti in lingua originale – mira ad evidenziare, al contempo, le

1 L’esasperazione della politica imperialistica ateniese porta la polis alla rovina; dopo la disfatta

di Atene, né Sparta né Tebe sono in grado di mantenere l’egemonia del mondo greco: dal 404 a.C. emergono prepotentemente quelle “terze forze” (Corinto, Argo e Tebe), che avevano già rivendicato un loro spazio nel corso della guerra del Peloponneso; è, infatti, proprio Tebe ad essere protagonista dell’ultimo tentativo, da parte di una polis, di ottenere l’egemonia panellenica. Dal IV secolo a.C. si assiste al risveglio e alla progressiva affermazione degli Stati federali, che – grazie alla maggiore estensione territoriale e alle maggiori risorse economiche e demografiche – accrescono la loro importanza rispetto al mondo delle poleis. Il mondo greco del IV secolo non è più un mondo bipolare – caratterizzato dal dualismo tra Atene e Sparta come dall’opposizione tra Greci e Persiani – ma è un mondo policentrico, caratterizzato dalla «ricerca fallita di un equilibrio» (M. Sordi). Cfr. C. BEARZOT, Manuale di storia greca, Bologna 2005, pp. 147-148.

2 Per Tucidide la forza viva che anima tutta la storia è l’uomo: lo storico ateniese vede le grandi personalità (Temistocle, Pericle, Cleone, ecc.) nella loro azione politica, escludendo tutti gli altri aspetti della vita individuale. Sulla scorta del principio aristotelico secondo il quale l’uomo è un “essere vivente per natura politico” (ζῷον πολιτικόν), al centro dell’interesse tucidideo più dei singoli individui c’è lo Stato, inteso come collettività politica: in tal senso, egli percepisce la lotta tra Atene e Sparta – che costituiscono due entità statali ben distinte – come la lotta tra due individualità. Per Tucidide sono fondamentali le ὀργαί (“passioni”) dell’uomo: poiché la più importante gli appare il desiderio di predominio sugli altri, egli conclude che l’imperialismo nasce da una necessità intrinseca dello spirito umano, vale a dire quella di dominare sugli altri.

3 In primo piano Senofonte mette i condottieri e li descrive minutamente con le loro virtù e i loro vizi: egli si serve dei discorsi allo scopo di caratterizzare meglio le singole personalità (in particolare, si diffonde su persone con cui era in amicizia stretta, ad esempio Agesilao) mentre manca uno sguardo di sintesi sugli avvenimenti più importanti sia della storia greca sia della storia persiana.

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differenze metodologiche tra la storiografia tucididea e quella di Senofonte;

pertanto, l’analisi linguistica, morfosintattica e stilistica dei brani proposti in lingua

originale ha l’obiettivo di portare in primo piano le differenze di sensibilità ed

interessi tra i due storici.

Si ipotizza di strutturare il percorso come segue.

La prima lezione è dedicata alla lettura dei passi estratti da Tucidide (V 84, 13;

89, 1), relativi alla soluzione diplomatica proposta da Atene e all’esplicitazione

della politica di potenza perseguita dalla polis attica.

La seconda lezione – a partire dalla lettura integrale in italiano dei capitoli

tucididei relativi alla vicenda di Melo (V 84-116), precedentemente assegnati

come compito a casa – prevede un’analisi critica dell’intero passo: nel lungo

dialogo, Tucidide propone un’amara riflessione sugli esiti dell’imperialismo

ateniese, ormai preoccupato solo dell’utile immediato ed indifferente ad ogni

valore.

Nella terza lezione vengono analizzati brani scelti dal secondo libro delle

Elleniche di Senofonte (Hell. II 10-12; 14-17; 19-23): dopo l’approfondimento

sulla politica contingente, proposto nel corso della seconda lezione, il presente

intervento didattico è destinato principalmente all’analisi linguistica,

morfosintattica e stilistica del testo (anche in ragione della lunghezza

dell’estratto).

La quarta e ultima lezione prevede una ricapitolazione delle tematiche

affrontate, attraverso il confronto dei testi analizzati in lingua originale: le

differenze linguistiche e stilistiche rivelano il diverso mondo concettuale di

Tucidide e Senofonte.

L’obiettivo è accompagnare gli studenti nell’acquisizione delle competenze critico-

letterarie (comprensione piena e consapevole delle tematiche che emergono dai

testi selezionati, in considerazione delle civiltà cui essi appartengono) e della

capacità di interpretare e storicizzare (cogliere le relazioni di ciascun testo con il

contesto storico, culturale e letterario di riferimento).

Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi: la presa di Melo4

La presa di Melo avviene nel corso della guerra del Peloponneso: come è noto, il

conflitto vede opposte – dal 431 al 404 a.C. – le due principali poleis del mondo

greco, Atene e Sparta. Nonostante la pace di Nicia del 421 a.C. – che aveva posto

fine alla prima fase del conflitto (la cosiddetta “guerra archidamica”) – le ostilità

non erano state accantonate: nel 416 a.C. Atene decide di assoggettare Melo (oggi

Milo), piccola isola delle Cicladi, poiché i Melii, in quanto coloni degli Spartani, non

4 Cfr. ALLEGATO 1.

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avevano aderito (a differenza delle altre isole dell’Egeo) alla Lega delio-attica: gli

Ateniesi – ritenendo che la neutralità di Melo danneggiasse la polis agli occhi degli

altri sudditi (V 92-95) – già nel 424 a.C. avevano tentato di sottomettere l’isola,

inviando sessanta triremi e duemila opliti sotto il comando di Nicia, tuttavia la

resistenza degli isolani li aveva convinti a desistere5.

La narrazione tucididea si apre con un complemento di tempo determinato

(τοῦ δ'ἐπιγιγνομένου θέρους), da collegare all’indicazione dell’anno di guerra

fornita in chiusura del capitolo precedente (καὶ πέμπτον καὶ δέκατον ἔτος τῷ

πολέμῳ ἐτελεύτα, cap. 83): è l’estate del quindicesimo anno di guerra6 e, prima di

prendere le armi, gli Ateniesi inviano ambasciatori per intavolare trattative volte a

risolvere diplomaticamente la questione; i Melii, però, non conducono i legati

ateniesi davanti al popolo ma li invitano a parlare solo davanti ai magistrati e agli

oligarchi (ἐν δὲ ταῖς ἀρχαῖς καὶ τοῖς ὀλίγοις λέγειν ἐκέλευον περὶ ὧν ἥκουσιν)7: la

delegazione ateniese interpreta il fatto che il dibattito non avvenga al cospetto del

popolo come un segno del timore dei Melii che la massa (πλῆθος) possa lasciarsi

convincere dalle argomentazioni avversarie8; vengono discusse subito le modalità

della discussione tra le due delegazioni: anziché una ξυνεχὴς ῥῆσις (“discorso

continuato”), gli Ateniesi suggeriscono di articolare il confronto in brevi unità

5 THUC. III 91. 6 L’informazione temporale permette un approfondimento sul sistema di riferimenti cronologici

elaborato da Tucidide: dopo aver stabilito l’inizio della guerra, egli data gli eventi successivi contando il numero di anni trascorsi dall’inizio del conflitto e, poi, dividendo ogni anno in inverno ed estate. Cfr. TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, I (M.I. FINLEY - F. FERRARI - G. DAVERIO ROCCHI curr.), Milano 1984, p. 23. La ricostruzione cronologica è un’operazione complessa in quanto le città greche avevano calendari diversi: Tucidide – piuttosto che servirsi del calendario attico (con il rischio di essere compreso solo dai lettori attici) – sceglie di raccontare i fatti anno per anno, indicando se erano avvenuti nel primo, nel secondo o in un altro anno di guerra e se erano avvenuti d’inverno o d’estate (specificando se il grano in erba era maturo, se si stava formando la spiga e se era la fine della buona stagione). L’anno di inizio, da cui dipende l’individuazione di quelli successivi, è fissato con cura, non attraverso il riferimento all’Olimpiade (usata per il computo cronologico solo dall’età ellenistica, per iniziativa di Eratostene), ma specificando sia il nome dell’eforo spartano, sia quello della sacerdotessa argiva di Era, sia dell’arconte eponimo ateniese. Cfr. G.A. PRIVITERA - R. PRETAGOSTINI, Storia e forme della letteratura greca. Età arcaica e classica, I, Milano 1997, p. 390.

7 Al plurale ἀρχαί indica le “autorità statali”, al singolare il termine ἀρχή è comunemente adoperato in riferimento all’impero ateniese; gli ὀλίγοι erano i pochi cittadini aventi diritto di voto, in quanto Melo, essendo colonia spartana, aveva verosimilmente un ordinamento oligarchico. Cfr. M. PINTACUDA - R. TROMBINO, Hellenes. Percorsi tematici nei testi greci, II 1. Antologia di storici, Firenze 1998, p. 253.

8 Il timore di un ἀπάτη (“inganno”), operato dagli Ateniesi nei confronti del popolo, va ricollegato alla valenza psicagogica del λόγος: come mostrato dai sofisti, la parola ha il potere di educare la mente umana, di orientare e modificare il pensiero del singolo. Cfr. THUC. V 85, 1: (…) μὴ ξυνεχεῖ ῥήσει οἱ πολλοὶ ἐπαγωγὰ καὶ ἀνέλεγκτα ἐσάπαξ ἀκούσαντες ἡμῶν ἀπατηθῶσιν (…). Il vocabolo πλῆθος significa propriamente “massa”, “quantità” e si ricollega alla radice πλα-/πλη-(θ) comune al verbo πίμπλημι (“riempire”) e ai vocaboli πλέως e πλήρης (“pieno”); in latino derivano i termini plenus, impleo e plebs.

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contrapposte, opponendo risposte puntuali ai singoli argomenti (καθ' ἕκαστον)9. I

Melii, sebbene scettici sulla reale utilità delle trattative diplomatiche (consci dei

preparativi di guerra dei loro avversari e del fatto che, indipendentemente

dall’esito del dibattito, saranno costretti a scegliere tra la guerra e la schiavitù)

accettano comunque di intavolare le trattative, perfino secondo le modalità

proposte dai legati di Atene.

Nella prima parte del dialogo, gli Ateniesi esplicitano la loro visione fredda e

spietata della realtà, giustificando la loro egemonia non più alla luce dell’apporto

offerto nelle guerre persiane ma facendo appello alla legge del più forte (sostenuta

in quegli anni dai sofisti, ed in particolare da Crizia); rifiutando uno dei temi

tradizionali della propaganda politica ateniese, essi ribadiscono che il mondo non è

retto dalla giustizia (τὸ δίκαιον) ma dalla forza (δύναμις)10: gli Stati sono destinati

a prevalere o a soccombere, in quanto è legge di natura che sia il più forte a

dominare; pertanto mostrare ed esercitare la propria forza da parte del potente

non solo è lecito ma anche politicamente vantaggioso11. I Melii – appellandosi

dapprima al concetto di utile (τὸ ξυμφέρον) e, poi, alle ragioni dell’onore e della

morale – tentano di convincere Atene ad assumere una posizione più moderata (V

100) e, nella fase conclusiva del dialogo, esprimono la loro speranza

nell’imponderabilità della guerra, che può determinare esiti che le rispettive

potenze in campo non lascerebbero mai supporre (V 96-103). La sorte, però, per

gli Ateniesi non rientra tra i fattori degni di considerazione: ai Melii – che

confidano nella τύχη, poiché gli dèi non possono abbandonare uomini innocenti

che si oppongono a chi viola il giusto – i legati ateniesi oppongono un

atteggiamento derisorio soprattutto verso “i soccorsi invisibili della mantica, gli

oracoli, e il fumoso corredo che li accompagna: risorse che suscitano l’illusione, e

affrettano il disastro”12. Alla fiducia dei Melii in un intervento amico spartano (“per

9 La struttura del dialogo richiama il ritmo sostenuto delle sticomitie teatrali (cioè le battute di

un solo verso, alternate tra due attori). L’attenzione riservata alle modalità di svolgimento del dibattito si spiega considerando che l’arte della parola (di cui gli Ateniesi erano maestri) è considerata un’arma potentissima per il potere di seduzione che essa riesce ad esercitare sull’animo dell’uomo (indipendentemente dalla validità contenutistica del singolo discorso). Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 254.

10 Sebbene la propaganda politica ateniese di età classica fosse solita esaltare il successo della polis sui Persiani, evidenziando (anche fino all’esagerazione) il debito dell’intera Grecia verso Atene, Tucidide, attribuendo ai legati ateniesi a Melo il ripudio di ogni tendenza autocelebrativa, propone una critica indiretta di tali formule propagandistiche. Cfr. L. CANFORA (cur.), Erodoto, Tucidide, Senofonte. Letture critiche, Milano 1975, p. 37.

11 Il riferimento alla legge del più forte compare altresì nelle parole di Trasimaco nella Repubblica platonica (338c) “io affermo che la giustizia non è altro che l’interesse del più forte”.

12 THUC. V 103, 2. Tale irrisione rivela lo scetticismo tucidideo – opposto alla religiosità erodotea e frutto dell’influenza sofistica (cfr. infra) – nei confronti del sovrannaturale. L’atteggiamento laico dello storico emerge anche in altre riflessioni: nel mondo divino (come in quello umano) prevale l’impulso a dominare ricorrendo alla forza (οὗ ἂν κρατῇ ἅρχειν); tale legge – secondo la consueta concezione tucididea dell’immutabilità dei comportamenti umani – non è di certo stata istituita

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dovere di consanguineità e per sentimento d’onore”, V 104), gli Ateniesi replicano

ricordando l’inaffidabilità di Sparta (“i Lacedemoni, di solito, sono valorosi quando

sono chiamati in causa loro stessi e le loro consuetudini patrie, mentre sul loro

modo di comportarsi con gli altri popoli ci sarebbe molto da dire”, V 104-105),

secondo un tema topico nella letteratura e nel teatro attico di fine V sec. a.C.13. I

Melii, ribadendo che i Lacedemoni potrebbero attaccare Atene stessa o i suoi

alleati ancora non colpiti da Brasida (V 106-110), rievocano la vittoriosa

spedizione in Tracia e nella penisola calcidica del 424 a.C. guidata dal generale

spartano, che era costata l’esilio allo stesso Tucidide14; tuttavia, gli Ateniesi

smontano l’irrazionale fiducia di salvezza degli isolani e, nel loro ultimo e

perentorio intervento, invitano gli avversari a considerare le cose con prudenza

(σωφρόνως), poiché l’aver provocato “un nemico troppo poderoso” mette a rischio

la loro stessa sopravvivenza (V 101): è inutile confidare negli dèi poiché la legge

divina e quella umana coincidono (V 105, 2) ed è malriposta anche la speranza di

un soccorso spartano, in quanto i Lacedemoni, pur essendo valorosi quando sono

chiamati in causa, per il resto sono soliti “considerare onesto ciò che è gradito e

giusto ciò che utile” (V 105, 4). Dopo la ῥῆσις conclusiva degli Ateniesi (V 111),

Tucidide riferisce che al rifiuto dei Melii rispetto a richieste “moderate” (μέτρια) di

Atene – che chiedeva di sottoscrivere un’alleanza, che pur prevedendo il

pagamento del tributo (ὑποτελεῖς), avrebbe permesso loro di conservare la

propria indipendenza politica – segue l’assedio dell’isola: i Melii sono costretti alla

resa senza condizioni; gli Ateniesi sterminano i maschi adulti e mettono in vendita

donne e bambini, stanziando sull’isola una guarnigione di cinquecento coloni (V

116). Secondo Plutarco, fu Alcibiade – stratego insieme a Nicia nel 417/6 a.C. – il

primo sostenitore dello sterminio dei Melii; a differenza di Nicia, che riteneva

prioritario riconquistare le posizioni perdute nella penisola calcidica, Alcibiade

dagli Ateniesi, né essi sono stati i primi ad applicarla, poiché è sempre esistita. Cfr. PINTACUDA -

TROMBINO, Hellenes, cit., p. 258. 13 Se Aristofane (Ach. 307) definiva gli Spartani “gente di cui non esiste né altare né fede né

giuramento” (trad. Cantarella), Euripide (Andr. 445-453) faceva pronunciare ad Andromaca una vera e propria invettiva contro di loro (“Fra tutti i mortali esecratissima gente di Sparta, principi di inganni, consiglieri di frode, tessitori di malefatte, genti oblique, senza freschezza mai, che fra raggiri sempre avvolgete il pensier, quanto ingiusto è che felici voi siate nell’Ellade! Quali orrori tra voi mancano? (…) Ah, maledetti!”, trad. Romagnoli). Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 258.

14 Tucidide è un personaggio di spicco della scena politica ateniese: appartenente all’alta aristocrazia, discende da una famiglia originaria della Tracia; è imparentato sia con Cimone (figlio del vincitore di Maratona, Milziade, del genos dei Filaidi) sia con Tucidide di Melesia, antagonista di Pericle; possiede territori in Tracia e l’appalto delle miniere d’oro del Pangeo: pertanto, nel 424 a.C. eletto stratego, viene inviato in Tracia (in virtù dei suoi interessi economici nella regione), insieme al collega Eucle, proprio per impedire che Brasida si impadronisca di Anfipoli (la principale polis della Calcidica); tuttavia, lo scarso contingente ateniese non riesce ad evitare che la città cada in mano spartana (IV 102-106) e, per questo, allo scadere della sua carica, Tucidide viene condannato ad un lunghissimo esilio (V 26, 5).

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voleva estendere l’egemonia di Atene, accrescendo così il suo stesso potere15:

l’intervento a Melo dunque rivela come all’interno della cerchia di Alcibiade

maturino i progetti espansionistici che porteranno al disastro della successiva

spedizione in Sicilia, che segnerà l’inizio della fine dell’imperialismo ateniese16.

Tucidide, attraverso il dibattito tra i Melii e gli Ateniesi, evidenzia

«l’imperialismo ateniese nella sua logica estrema e all’apogeo della sua

consapevolezza»17; egli, pur cercando di mantenere una posizione oggettiva, priva

di intenti apologetici rispetto alla politica di Atene, non arriva ad una reale

comprensione del dramma dei Melii: non giustifica la repressione di Atene contro

Melo, ma sembra accettare il comportamento ateniese, quando lo presenta come

corrispondente alla legge di natura.

La riflessione sulla vicenda di Melo permette un inquadramento più ampio

della storiografia tucididea: le idee politiche e religioso-esistenziali dello storico

(espresse nel dialogo dei Melii soprattutto in riferimento alla politica estera di

Atene) evidenziano l’estrema novità del suo pensiero. Tucidide è considerato a

ragione il più importante storico dell’antichità: la sua trattazione della guerra del

Peloponneso segna l’inizio della storiografia critica ed è, al tempo stesso, il primo

esempio a noi pervenuto di una monografia storica.

Per comprendere le innovazioni del mondo concettuale tucidideo è

fondamentale inquadrare il contesto culturale di riferimento. Lo storico vive nella

seconda metà del V secolo a.C.: l’epoca, dal punto di vista politico, della democrazia

radicale ateniese, della crescente sopraffazione da parte di Atene degli alleati

nell’ambito della Lega delio-attica e del grande conflitto con Sparta; dal punto di

vista storico-culturale, è il secolo della filosofia sofistica, caratterizzata dallo

scetticismo e dal relativismo dei valori tradizionali (si pensi alla celebre massima

di Protagora “l’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono, per ciò che

sono, di quelle che non sono, per ciò che non sono”18). L’influenza della sofistica è

evidente su Tucidide, il quale elimina totalmente il divino dalla storia, sforzandosi

di dare una spiegazione razionale alle cose; inoltre, analogamente ai sofisti, che

sostenevano la dottrina del diritto naturale del più forte e alla questione se fosse

da preferire il giusto o l’utile rispondevano privilegiando quest’ultimo, anche lo

15 PLUT., Alc. 16, 5. Cfr. H. BERVE, Storia greca, II, Roma - Bari 1976, p. 448. Una durissima

condanna dell’irrazionale violenza della guerra viene esplicitata da Euripide nelle Troiane (messe in scena nel 415 a.C.), laddove Cassandra ammonisce “chi ha giudizio deve evitare la guerra” (v. 400). Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 262.

16 Per Tucidide, Alcibiade è «il figlio più genuino dello spirito intraprendente degli Ateniesi» ma è anche «l’antitesi di Pericle»: la causa ultima della disfatta di Atene risiede «nella decomposizione del senso dello Stato proprio dell’antica Atene ad opera dell’egoismo e dello spirito di parte». Cfr. A. CARDINALE, Il modello greco. Lo specchio e la maschera: antologia della letteratura greca, II. Età attica, Napoli 1994, p. 634.

17 W. JAEGER, Paideia. La formazione dell’uomo greco, I, (trad. it.) Firenze 1982, p. 673. 18 Fr. 81 B1 Diels-Kranz (trad. Giannantoni).

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storico è convinto che l’intera storia sia una lotta di tutti contro tutti, in cui il più

forte cerca sempre di sopraffare il più debole19.

Che Tucidide sia figlio del suo tempo, è evidente anche sul piano metodologico:

sulla scorta della nuova medicina ippocratica e dei nuovi apporti delle scienze

naturali, egli non utilizza mai il verbo erodoteo ἱστορεῖν (“ricercare”) bensì

adopera l’equivalente ζητεῖν (“investigare”); non esamina i dati come se fossero

soltanto veri o falsi, ma come degli indizi (τεκμήρια) attraverso cui si può arrivare

a trovare (εύρεῖν) la verità, poiché considera che lo scopo primario della storia

debba essere la ricerca della verità (ζήτησις τῆς ἀληθείας): la storiografia è per lui

una meditazione sulle leggi che governano il rapporto tra gli Stati. L’analisi dei

comportamenti politico-militari osservati nella guerra del Peloponneso diventa

una riflessione programmatica più generale sui meccanismi della politica: come si

è visto, uno degli esempi più significativi è costituito dal dialogo dei Melii e degli

Ateniesi, dove la discussione verte intorno ai concetti di giusto (cui si appellano i

Melii) e di utile (sostenuto dagli Ateniesi)20; peraltro il caso di Melo, portato alla

ribalta da Tucidide, viene riproposto con valore paradigmatico nei decenni

successivi, nell’ambito nel dibattito relativo all’atteggiamento imperialistico di

Atene nei confronti degli alleati: se Isocrate, nel Panegirico (110-114), difende

l’operato di Atene spiegando che Melo era una delle poche città ad aver meritato

una punizione del genere, la sorte dolorosa dei Melii, rievocata nelle Troiane di

Euripide, torna alla memoria degli Ateniesi – secondo Senofonte (Hell. II 2, 10) –,

19 MEISTER, La storiografia greca. Dalle origini alla fine dell’Ellenismo, (trad. it.), Roma - Bari 2008,

pp. 47-49. 20 Per rendere la contrapposizione tra due punti di vista, Tucidide sceglie la forma dialogica,

inusuale in un’opera storica ma destinata a grande fortuna nella letteratura filosofica (si pensi ai dialoghi di Platone). Il dialogo in forma drammatica (basato su un vero e proprio contraddittorio, in cui, senza alcuna didascalia introduttiva, si alternano le affermazioni dell’una e dell’altra parte) è un’innovazione tucididea, criticata da Dionigi di Alicarnasso, il quale compose un trattato Περὶ τοῦ Θουκυδίδου χαρακτῆρος (Sullo stile di Tucidide): il retore (Th. 37-41) condannava la scelta della tecnica dialogica, per l’oscurità dello stile e per il fatto che gli argomenti proposti dalla delegazione ateniese non sarebbero stati appropriati e sarebbero stati addirittura indegni di qualsiasi greco; Dionigi ipotizzava, altresì, che Tucidide avesse composto il dialogo per vendicarsi della condanna all’esilio, sottolineando, al contempo, come lo storico non disponesse di notizie attendibili sui fatti poiché bandito da Atene. In realtà, le critiche del retore rientrano nel tentativo di scoraggiare l’imitazione dello storico da parte degli oratori del suo tempo e derivano dalle tendenze stilistiche di età romana, che rifiutano il ricorso alla forma drammatica nelle opere storiografiche. Tuttavia, l’insolita forma narrativa – che, peraltro, costituisce un unicum nell’opera dello storico ateniese – di solito spiegata come un influsso delle antilogie sofistiche (cfr. infra), è stata talvolta ricollegata all’incompletezza del quinto libro, che – come l’ottavo – presenta tracce di revisione solo parziale. Cfr. L.E. ROSSI - R. NICOLAI, Corso integrato di letteratura greca, II, Milano 2006, p. 487. G. Grote [History of Greece. From the Earliest Period to the Close of the Generation Contemporary with Alexander the Great, II, London 1869, p. 163] ha ipotizzato che il dialogo costituisse in origine un brano a sé, destinato alla recitazione e, solo in seguito, inserito nell’opera: in tal senso, vi si potrebbe scorgere un dialogo affine a quello proposto nell’anonima Costituzione degli Ateniesi, prodotto della pubblicistica in prosa, in circolazione tra le eterie aristocratiche in opposizione alla democrazia imperialista ateniese. Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 250.

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dopo la sconfitta di Egospotami, quando “essi temono di dover subire quel che

avevano fatto ai Melii, coloni degli Spartani...”.

La sofistica trova riflesso in Tucidide anche sul piano stilistico: egli prende

come modello i δισσοὶ λόγοι di Protagora (secondo il quale “intorno ad ogni

oggetto vi sono due ragionamenti contrapposti”21) e trascrive i discorsi e le

repliche, mostrando i punti di vista dell’una e dell’altra parte; l’influsso della

sofistica si rivela altresì nell’uso frequente delle antitesi (sul modello di Gorgia di

Lentini). Lo stile serrato, ricco di antitesi e parallelismi, si esprime anche

attraverso l’uso frequente di γνῶμαι ed è stemperato da un raffinato ricorso alla

variatio: a tal proposito, si può notare, in V 89, 1, la variatio nelle congiunzioni

dichiarative (ἢ ὅτι - ἢ ὡς).

Che Tucidide venga considerato già nell’antichità uno dei massimi

rappresentanti dello stile elevato, severo e incalzante, in grado di descrivere i

sentimenti più violenti, cioè il πάθος, trova conferma in Dionigi di Alicarnasso,

secondo il quale i principali tratti dello stile tucidideo sono il largo impiego di

parole arcaiche e rare, di vocaboli complessi e di figure retoriche (antitesi,

iperbato, variatio, litote, allitterazione, parisosi, paronomasia ecc.); la αὐστηρὰ

ἀρμονία sul piano della compositio; il ricorso ad una costruzione sintattica

frammentata e complessa, in quanto ricca di anacoluti ed iperbati, insieme ad una

forma espressiva serrata e coincisa. Tucidide adegua il suo stile all’importanza

della materia: esso è più lineare e scorrevole nella descrizione degli eventi e più

articolato nell’esposizione dei discorsi, frutto di una più ardua attività di

ragionamento e dove sembra palesarsi, più apertamente che altrove, il suo

pensiero politico; lo specifico stile dei discorsi (che, come è noto, non venivano

recitati di fronte ad un pubblico22) ne rivela il carattere esemplare: da un lato, essi

dovevano contenere il maggior numero possibile di concetti generali appropriati

alla circostanza e, dall’altro, dovevano rispondere ad una richiesta di brevità

21 Fr. 80 B6a Diels-Kranz (trad. Giannantoni). 22 Il canale di comunicazione scelto da Tucidide merita alcune osservazioni: a differenza delle

Storie erodotee, che – sebbene messe per iscritto – presuppongono il destinatario dell’ἀκρόασις (“ascolto”), dell’oralità e dell’auralità, l’opera di Tucidide prevede una diversa destinazione; nel proemio, il verbo ξυνέγραψε (“compose”) ribadisce che le Storie tucididee vengono non solo composte per iscritto ma anche pensate per essere comunicate in forma scritta ai lettori. Come il teatro greco, che viene comunicato oralmente (anche se si basa su un testo scritto), deve trattare di argomenti lontani dalla quotidianità (si ricordi La presa di Mileto del poeta tragico Frinico, che, messa in scena ad una distanza temporale troppo breve dagli eventi, sconvolge il pubblico ateniese al punto che l’autore viene condannato al pagamento di una multa di mille dracme e a non rappresentare più il dramma), così la storiografia, che ricorre al canale dell’oralità, deve trasmettere messaggi e temi sfumati da una congrua distanza temporale (o da una forma favolistica); pertanto, è evidente che la storiografia tucididea, narrando del conflitto epocale tra Atene e Sparta non possa essere trasmessa oralmente, in quanto la ricaduta emotiva delle tematiche affrontate richiede, da parte del pubblico, una rielaborazione (anche catartica), possibile solo attraverso la scrittura. Cfr. L. CANFORA, La letteratura politica e la storiografia, in «Lo spazio letterario della Grecia antica», I, Roma 1992, p. 458.

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necessaria alla memorizzazione23. Sul piano lessicale, la predilezione per i

sostantivi astratti (oltre che per infiniti, aggettivi e participi neutri sostantivati) e

per le voci arcaiche, la creazione di neologismi (soprattutto sostantivi astratti in -

σις e verbi composti, in particolare con ἀντι-, legati ad una rappresentazione

antitetica del reale), la presenza di termini tecnici (medici, militari e marinareschi)

e della lingua colloquiale e la relativa scarsità di espressioni e di citazioni poetiche,

permette un’attività laboratoriale sul testo, finalizzata all’analisi del lessico in

riferimento al mondo concettuale di Tucidide. Sotto il profilo sintattico, vanno

segnalati i frequenti costrutti nominali e participiali (che evidenziano la tendenza

all’astrazione e alla teorizzazione dello storico) e, in generale, l’inconcinnitas

(Tucidide non si interessa del ritmo del periodo e preferisce ricorrere a

proposizioni parentetiche, alternando costrutti diversi e variando di continuo

l’ordine delle parole): ad esempio in V 89, 1, la congiunzione ὡς introduce una

dichiarativa retta da un verbo di dire sottinteso, ricavabile ad sensum dal

precedente ὀνομάτων. Infine, la lingua adoperata, cioè il dialetto attico (ἀρχαία

ἀτθίς) presenta ancora -σσ- invece di -ττ-, -ρσ- invece di -ρρ-, ξύν invece di σύν:

non è chiaro se si tratti di una voluta scelta stilistica arcaicizzante o se lo storico

abbia preferito sprovincializzare la sua lingua evitando gli atticismi più evidenti; in

ogni caso, il ricorso, talvolta, a forme di dialetto ionico – che si ritrovano, peraltro

anche nella tragedia e nel Corpus Hippocraticum – lungi dall’essere riconducibile

all’esperienza erodotea, sembra da ricollegare all’elasticità della lingua colta

dell’Atene di fine V secolo a.C.24.

Assedio e caduta di Atene25

Nel secondo capitolo del secondo libro delle Elleniche, Senofonte racconta gli

ultimi episodi della guerra del Peloponneso: nel 404 a.C. gli Ateniesi non sanno più

che fare, temono di “dover subire la sorte inflitta agli abitanti di Melo, coloni

spartani, quando li assoggettarono dopo un lungo assedio e, ancora, agli abitanti di

Istiea, di Sicione, di Torone, di Egina e molte altre popolazioni della Grecia”26;

tuttavia decidono di proseguire la resistenza e, pur alle strette, pretendono ancora

23 In ogni caso, Tucidide ribadisce che i testi dei discorsi da lui riportati non sono fedelissimi, ma

che, per la maggior parte, si tratta di sue ricostruzioni congetturali: essi, peraltro, sono ispirati al concetto di ξυμπάση γνώμη (“storia generale”); tale genericità è confermata in V 84, 3 dall’uso del pronome τοιάδε (“cose di questo tipo”) in luogo di τάδε (“queste cose”).

24 Cfr. ROSSI - NICOLAI, Corso integrato di letteratura greca, cit., pp. 456-457. Per un’analisi esaustiva degli aspetti linguistici e stilistici di Tucidide si vedano: A. MEILLET, Lineamenti di storia della lingua greca, Torino 2003 e O. HOFFMANN - A. DEBRUNNER - A. SCHERER, Storia della lingua greca, I. Fino alla fine dell’epoca classica, Napoli 1969.

25 Cfr. ALLEGATO 2. 26 XEN., Hell. II 2, 3.

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di dettare condizioni: inviano un’ambasceria al re Agide, dichiarandosi disponibili

a stringere un’alleanza con Sparta a patto di conservare le Mura e il Pireo, ma gli

Spartani rispediscono al mittente tali proposte27.

La narrazione – sobria e coincisa – descrive dall’esterno l’agonia di Atene. Il

brano si apre con gli Ateniesi assediati (πολιορκούμενοι, II 2, 10) per terra e per

mare: la situazione volge al peggio soprattutto a causa della mancanza di grano,

poiché la perdita del controllo marittimo, dopo Egospotami, e la fortificazione del

demo di Decelea da parte degli Spartani, impediscono l’arrivo di rifornimenti28. La

condizione di accerchiamento della polis è ribadita dall’utilizzo dei verbi

πολιορκέω (da πόλις + ἕρκος “chiusura”)29 e ἀπορέω (da ἀ privativo + πόρος “via

d’uscita”, “espediente”) “essere senza risorse”. Gli Ateniesi temono di subire lo

stesso trattamento inflitto con ingiustizia e prepotenza (ὕβριν) agli abitanti di

tante piccole città30: il valore durativo dell’imperfetto ἠδίκουν (da ἀδικέω,

composto da ἀ privativo + δίκη “giustizia”) sottolinea la continuità nel tempo delle

violazioni operate dagli Ateniesi ai danni delle poleis filospartane, mentre il

vocabolo ὕβρις richiama il concetto etico-religioso della tracotanza (del

superamento dei limiti imposti dagli dèi alla natura umana), al centro, peraltro, del

teatro tragico di Eschilo31. Gli Ateniesi continuano a resistere: restituiscono i diritti

di cittadinanza a quanti ne erano stati privati allo scopo di mobilitare tutte le forze

27 La decisione di rifiutare l’imposizione spartana viene presa dal governo democratico ateniese,

guidato da Cleofonte (un fabbricante di strumenti musicali, erede della tradizione demagogica di Cleone ed Iperbolo), il quale non viene mai menzionato nelle Elleniche, verosimilmente per l’antipatia di Senofonte verso i democratici radicali; di costui siamo informati dalla tradizione oratoria, in particolare da Lisia (che, nell’orazione Contro Agorato, ci dà notizia del processo intentato ad Atene contro di lui) e da Eschine.

28 In II 2, 10, l’infinito (con valore finale-consecutivo) μὴ παθεῖν può essere inteso come un verbum impediendi; παθεῖν (infinito aoristo II attivo da πάσχω) deriva dalla radice -παθ/-πενθ/-πονθ, comune ai vocaboli πάθος (“emozione”, “turbamento”) e πένθος (“dolore”, “afflizione”, “lutto”) e trova un parallelo nel latino patior e patientia.

29 Dal verbo πολιορκέω derivano i sostantivi πολιορκία (“assedio”) e πολιορκητής (“assediatore”, che diviene l’epiteto del sovrano macedone Demetrio I, detto appunto Poliorcete).

30 In II 2, 10, il sintagma ἀλλὰ διὰ τὴν ὕβριν rivela un palese anacoluto, il termine μικροπολίτας (“cittadino di una piccola città”, composto di μίκρος e πόλις) è attestato per la prima volta in Aristofane (Hipp. 817); l’imperfetto συνεμάχουν (da συμμαχέω) condivide la stessa radice di σύμμαχος (da σύν + μάχη “battaglia”).

31 Il riferimento alla ὕβρις rinvia alla questione più generale circa la paternità dei primi libri delle Elleniche: l’opera prende anche il titolo di Παραλειπόμενα τῆς Θουκιδίδου ξυγγραφῆς (Aggiunte alla storia di Tucidide), poiché Senofonte si riallaccia immediatamente a Tucidide, riprendendo la narrazione laddove questi l’aveva interrotta (autunno del 411 a.C.) e arrivando fino alla battaglia di Mantinea (362 a.C.). Sebbene da una prima lettura del testo sembri emergere una prospettiva religiosa ben lontana dal pensiero laico di Tucidide (nel senso che Senofonte mostrerebbe, da una parte, di credere in una τίσις (“punizione”) imposta dagli dèi a quanti peccano di ὕβρις e, dall’altra, polemizzerebbe contro le violazioni del governo democratico ateniese), la questione è controversa: se si accoglie la possibilità (largamente condivisa) che Senofonte si sia limitato a pubblicare i Paralipomeni di Tucidide, il riferimento alla ὕβρις va inteso, invece, come un semplice rimprovero (sul piano etico) per i soprusi operati in passato da Atene. Cfr. PINTACUDA -

TROMBINO, Hellenes, cit., p. 294.

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residue contro i nemici32; Atene è disposta a rinunciare alla sua indipendenza e a

sottoscrivere un’alleanza offensiva e difensiva con Sparta (che significa

condividere la politica estera della polis peloponnesiaca), ma rifiuta l’idea di

abbattere le Lunghe Mura e le fortificazioni del Pireo: su istigazione di Cleofonte, la

polis, sebbene sull’orlo del baratro, vuole ancora dettare condizioni, poiché l’unica

speranza di potersi risollevare è legata alla necessità di conservare l’apparato

difensivo intatto33. Solo quando vengono meno del tutto i cereali (ἐπεὶ δὲ

παντελῶς ἤδη ὁ σῖτος ἐπελελοίπει, II 2, 11), gli Ateniesi inviano un’ambasceria ad

Agide34; se la decisione del sovrano di rinviare gli ambasciatori ateniesi a Sparta è

corretta dal punto di vista costituzionale, in quanto l’organo decisionale spartano è

il collegio degli efori, tuttavia, è evidente la strategia temporeggiatrice sottesa

dietro questo rinvio: gli Spartani vogliono perdere tempo per logorare le ultime

risorse ateniesi35. In questo frangente, a Sellasia – una località della Laconia, a nord

di Sparta, presso il confine dell’Arcadia –, gli ambasciatori ateniesi vengono

bloccati prima di entrare a Sparta: la sagace risposta del collegio eforico alle

richieste ateniesi (καὶ εἴ τι δέονται εἰρήνης, κάλλιον ἥκειν βουλευσαμένους “che li

invitava, se davvero volevano la pace, a tornare dopo aver deciso meglio”)

sottolinea l’assurda arroganza delle pretese addotte36; è inaccettabile per Sparta,

32 In II 2, 11, il riferimento è all’ ἀτιμία, cioè la privazione dei diritti civili, rivolta – con il decreto

di Patroclide – contro coloro che avevano partecipato alla rivoluzione oligarchica del 411 a.C. Ἐπιτίμους è un complemento predicativo dell’oggetto e – come il precedente ἀτίμους – è un aggettivo sostantivato che si ricollega al vocabolo τιμή, nell’accezione di “onore”, “possesso dei diritti”; il verbo διελέγοντο (da διαλέγω) si ricollega al vocabolo διαλλαγῆς (da διαλλάσσω nel senso di “riconciliare”, “mettere d’accordo” da cui deriva il sostantivo διαλλακτής “mediatore”, “conciliatore”), che indica un cambiamento (nelle relazioni) e dunque una riconciliazione, un accordo.

33 La costruzione delle Lunghe Mura, voluta da Temistocle, – avviata nel 479 a.C., all’indomani delle guerre persiane, viene completata nel 462 a.C.: esse, collegando l’asty al porto del Pireo (per una lunghezza di circa sette chilometri), assicurano ad Atene la protezione da eventuali attacchi via terra e garantiscono, al contempo, un accesso sicuro per i rifornimenti che giungono via mare.

34 Tuttavia, dal momento che, prima della capitolazione definitiva, trascorrono vari mesi, l’ipotesi di una totale mancanza di generi di sostentamento appare inverosimile.

35 L’espressione ἔπεμψαν πρέσβεις (II 2, 11) appartiene al linguaggio diplomatico: il verbo πέμπω (“mandare”, “inviare”) può sia reggere il complemento oggetto (come in questo caso, πρέσβεις) sia essere usato assolutamente, nel senso di “mandare un messaggero”, “mandare ad avvertire”; dalla radice πεμπ-/πομπ- derivano i sostantivi πομπή (“spedizione”, “scorta”, “processione”) e πομπός (“accompagnatore”, “guida”), il verbo πομπεύω (“scortare”, “condurre in processione”) ed i vocaboli italiani “pompa”, “pomposità”, “pomposo”; il sostantivo plurale πρέσβεις (pur derivando da πρέσβυς, -εως “anziano”, “vecchio”), nell’accezione di “ambasciatore”, “legato” ricorre, al singolare, al vocabolo πρεσβευτής; ad esso è legato il verbo πρεσβεύω (sia nell’accezione di “essere più anziano”, sia nel significato di “essere ambasciatore”, “svolgere una missione diplomatica”): in italiano derivano i vocaboli “presbite”, “presbitero”, “prete”, in tedesco “Priester” (“sacerdote”) e in inglese “priest” (“prete”). Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 299.

36 Gli efori sono cinque e vengono eletti dall’apella (ovvero l’assemblea popolare spartana) tra tutti i cittadini: la loro istituzione viene ricondotta talvolta al mitico legislatore Licurgo, talvolta al re riformatore Teopompo (VIII sec. a.C.) Essi restano in carica un anno ma hanno ampi poteri di controllo (sui re, sull’amministrazione del tesoro, sull’educazione dei giovani); presiedono, inoltre, l’apella e hanno competenza giudiziaria sulle questioni patrimoniali: la loro importanza è

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che aveva di fatto vinto la guerra, permettere che Atene mantenga le Mura e il

Pireo. Il netto rifiuto alle irrealistiche proposte ateniesi getta la polis attica nel

caos37: vittima del clima di nervosismo ed intolleranza ad Atene è il buleuta

Archestrato, arrestato poiché sosteneva pubblicamente che la scelta migliore era

fare la pace con gli Spartani, accettando la richiesta (in questo momento, tutto

sommato, moderata) di abbattere le Mura per un tratto di dieci stadi (cioè 1800

metri)38. A questo punto entra in gioco Teramene (noto per il suo trasformismo

politico: protagonista del colpo di Stato oligarchico del 411 a.C. e artefice della

restaurazione democratica, successiva all’abbattimento del Governo dei

Quattrocento). Atene si trova assediata per terra, dai re Pausania II e Agide, e per

mare, da Lisandro, priva di risorse alimentari, senza più navi e appoggio dagli

alleati: Teramene chiede di essere inviato da Lisandro per ottenere condizioni di

pace più favorevoli, ma il suo vero obiettivo è instaurare ad Atene un regime

oligarchico filospartano39. È ormai la primavera del 404 a.C.: gli Spartani

continuano la loro strategia di logoramento; dopo tre mesi – come aveva fatto

Agide – Lisandro esorta Teramene a rivolgersi agli efori. Gli Ateniesi, non

comprendendo il doppio gioco di Teramene, lo eleggono ambasciatore

αὐτοκράτωρ (“plenipotenziario”) a Sparta, insieme ad altri nove legati, che però

non hanno alcuna rilevanza nelle trattative: Atene è ora in balìa degli Spartani, a

causa dell’assurda convergenza tra l’incoscienza dei demagoghi (in particolare di

Cleofonte) e le ambigue trame degli oligarchici. A Sellasia – nel corso di

confermata dal fatto che per i re è fondamentale godere dell’appoggio della maggioranza del collegio eforico e, non di rado, il cambiamento del collegio degli efori determina svolte significative nella politica spartana. Il termine ἔφορος deriva dal verbo ἐφοράω (“sorvegliare”, “osservare dall’alto”) e corrisponde al latino episcopus.

37 A capo della democrazia c’è Cleofonte (uomo eticamente integro ed onesto ma criticabile per la sua caparbietà), il quale tenta ancora, ma inutilmente, di resistere (costringendo Atene a subire più crudeli condizioni di pace) «perché l’amor di patria lo spingeva ad un cieco fanatismo». Cfr. G. DE SANCTIS, Storia dei Greci dalle origini alla fine del V secolo, II, Firenze 1940, p. 402. Il verbo ἀνδραποδίζω (II 2, 14) è comunemente adoperato nell’accezione di “ridurre in schiavitù”, “asservire”; compare in Erodoto (I 151, 2) e spesso in Tucidide (ad es. I 98; III 36, 2; ecc.), da esso derivano i vocaboli ἀνδράποδον (“prigioniero di guerra venduto schiavo”), composto verosimilmente da ἀνήρ + πούς “piede” (secondo il costume in base al quale il vincitore metteva un piede sul collo del vinto) o da ἀνήρ + πέδον (“suolo”, “terra”); si vedano anche ἀνδραποδισμός (“asservimento”, “vendita in schivitù”), ἀνδραποδιστής (“asservitore”, “mercante di schiavi”), l’aggettivo ἀνδραποδώδης (“servile”) e il sostantivo ἀνδραποδωδία (“servilismo”). Cfr. PINTACUDA -

TROMBINO, Hellenes, cit., p. 29963. 38 La βουλή di Atene, dopo la riforma di Clistene del 508 a.C., si compone di 500 membri:

ognuna delle dieci tribù attiche fornisce cinquanta buleuti, i quali vengono sorteggiati – restando in carica per un anno – tra tutti i cittadini di età superiore ai trent’anni che godono dei pieni diritti civili e politici; il consiglio – che siede in permanenza – ha funzione probuleumatica (predispone, cioè, le proposte di legge da presentare in ecclesia).

39 Tale svolta politica si concretizza, dopo la capitolazione di Atene, con l’imposizione di un governo affidato ad un collegio di trenta uomini, soprannominati – per il carattere dispotico della loro politica – Trenta Tiranni, tra cui lo stesso Teramene e Crizia (lo zio di Platone, che in seguito condanna a morte Teramene, accusandolo di un nuovo tentativo di sovvertire il regime a favore di uno più moderato).

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un’assemblea di tutti gli alleati della Lega peloponnesiaca, convocata dagli efori

spartani – alcune poleis (in particolare Tebe e Corinto), in odio ad Atene, ne

chiedono la distruzione (e la schiavitù dei suoi abitanti)40, incontrando però

l’opposizione di Sparta (dettata da ragioni di opportunità politica, in quanto

l’eliminazione di Atene avrebbe favorito l’affermazione delle cosiddette “terze

forze”, rappresentate principalmente proprio da Tebani e Corinzi, cfr. supra), che,

tuttavia, ora impone durissime condizioni di pace (la demolizione delle Lunghe

Mura e delle fortificazioni del Pireo, la consegna della flotta, il richiamo dei

fuoriusciti oligarchici, la rinuncia ai possedimenti esteri, la sottoscrizione di

un’alleanza con Sparta)41. Come previsto da Teramene, quando Lisandro entra ad

Atene, imponendo l’abolizione della democrazia e il ritorno alla πάτριος πολιτεία

(“la costituzione dei padri”), che privilegia le classi più ricche, la debole

opposizione democratica non può nulla: tuttavia l’esistenza (e l’eventuale

significato) di una clausola secondo la quale Atene avrebbe dovuto governarsi

secondo le tradizioni patrie è molto discussa; è certo è che – dopo l’allontanamento

forzato dalla scena politica di Cleofonte, che viene estromesso con false accuse

subito dopo l’avvio delle trattative con Sparta – Teramene non trova alcun ostacolo

nel far deliberare l’ecclesia a favore della resa incondizionata42. Il 16 Munichione

(aprile - maggio) del 404 a.C. Atene capitola: in un clima trionfante, Lisandro entra

40 Il verbo σπένδω (“offrire una libagione”, II 2, 19) al medio assume valore di “concludere un

accordo sotto la garanzia di una libagione destinata al dio”: le libagioni (σπονδαί), infatti, consistevano nel versare latte, miele, acqua o vino su un altare o a terra, come offerta agli dèi. L’infinito presente ἐξαιρεῖν – come il precedente σπένδεσθαι – sottolinea la durata dell’azione, nel senso di “distruggere definitivamente”; il complemento oggetto (αὐτούς) si ricava ad sensum dal precedente Ἀθηναίοις.

41 ISOC. XIV 31. Il testo dell’accordo è conservato da Plutarco (Lis. 14): anche se la formula era quella tipica delle alleanze difensive ed offensive, essa tradiva la categorica imposizione di Sparta, divenuta ormai nuova città egemone. In II 2, 20, il sintagma ἐφ' ᾧ (corrispondente al latino ea condicione ut) regge l’infinito ἕπεσθαι (il cui soggetto sottinteso è τοὺς Ἀθηναίους) e dal quale dipendono i quattro participi congiunti intermedi: καθελόντας (participio aoristo da καθαιρέω), παραδόντας (da παραδίδωμι), φυγάδας καθέντας (da καθίημι, usato nel senso tecnico di “richiamare dall’esilio”, “far ritornare in patria”; φυγάδας, accusativo plurale da φυγάς “esule”, deriva dal verbo φεύγω, nel senso di “andare in esilio”) e νομίζοντας (participio presente con variatio rispetto ai precedenti tre participi aoristi, per sottolineare la continuità di quest’azione opposta alla momentaneità delle altre).

42 La narrazione della distruzione delle Mura offerta da Plutarco (Lis. 15) è pressoché identica al racconto senofonteo. Il paragrafo 23 abbonda di termini tecnici: καταπλέω è un termine marinaresco che significa “approdare”, “navigare verso terra”, “entrare in porto”, mentre il verbo κάτειμι ha qui il significato giuridico di “rimpratriare”; l’imperfetto κατέσκαπτον (da κατασκάπτω) sottolinea la durata dell’azione, con variatio rispetto ai verbi, all’infinto, precedentemente usati per indicare l’abbattimento delle fortificazioni (καθελεῖν, parr. 15 e 20; περιαιρεῖν, par. 22); il termine προθυμίᾳ è frequente in Tucidide: la προθυμίᾳ (“zelo”, “ardore”, “stimolo”) è connessa al possesso dell’ ἀρχή e va riferita all’atteggiamento “dinamico” e costruttivo degli Ateniesi, in opposizione alla rigidità degli Spartani (di solito restii ad intraprendere lunghe iniziative lontane dal Peloponneso); in tal senso, se il brano appartiene agli appunti di Tucidide, è possibile che sia stato usato deliberatamente allo scopo di sottolineare il capovolgimento della situazione alla fine della guerra, quando sono gli Spartani ad essere caratterizzati dalla προθυμίᾳ mentre gli Ateniesi sono, al contrario, in preda all’ἀθυμία. Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 299.

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al Pireo, portando con sé gli esuli oligarchici e avviando la distruzione delle Lunghe

Mura, al suono del flauto, “perché erano in molti a pensare che quel giorno segnava

l’inizio della libertà per la Grecia” (II 2, 23). In realtà, l’esito finale del conflitto è

negativo per tutti i Greci: l’incredibile numero di vittime, le devastazioni delle

campagne e le distruzioni dei monumenti cittadini determinano un

deterioramento economico e sociale che investe tutto il mondo greco.

Senofonte è considerato il maggior rappresentante dell’ ἀφέλεια (“semplicità”),

la purezza cristallina della sua espressione gli vale l’epiteto “ape attica” o “Musa

attica”: tuttavia, sebbene il suo stile appaia sempre limpido e schietto, la lingua

adoperata dallo storico è contaminata da forme e vocaboli provenienti da ambiti

dialettali diversi, come dorismi, ionismi e termini della ormai prossima κοινὴ

διάλεκτος (lingua comune) ellenistica; la mancanza di uniformità nella lingua di

Senofonte va ricollegata alle sue vicende biografiche, poiché l’allontanamento da

Atene lo porta a perdere il contatto con l’attico puro e il soggiorno in paesi

stranieri influenza, non solo la sua ideologia politica, ma anche la sua lingua43.

Senofonte è uno scrittore “poligrafo”, autore di opere di argomento storico,

biografico, etico-politico e tecnico: questa varietà dei generi letterari e la

lontananza dalla polis, «che contraddistingue la sua vita di soldato e di esule, e i

suoi ideali politici rivolti ad una monarchia universale di chiara impronta pre-

ellenistica, fanno di Senofonte una singolare figura di uomo e di scrittore che

anticipa atteggiamenti, aspetti e caratteri propri dell’età ellenistica»44.

Le Elleniche costituiscono uno snodo fondamentale nell’ambito della letteratura

storiografica greca di età classica, in quanto sanciscono la nascita di un nuovo

genere storiografico: aldilà della discontinuità tra i primi due libri (di presunta

mano tucididea) e il resto dell’opera, esse sono caratterizzate da una duplice

tendenza destinata ad influenzare la storiografia successiva; in primo luogo,

Senofonte racconta i fatti dal punto di vista della polis che detiene, di volta in volta,

43 Senofonte nasce ad Atene tra il 430 e il 425 a.C., in una famiglia di rango equestre; di

tendenza conservatrice ed oligarchica, è ostile alla democrazia. L’incontro con Socrate costituisce un evento capitale nella vita dello storico: Diogene Laerzio (II 48) racconta che il filosofo, imbattutosi in Senofonte, gli ostruisce il passaggio con un bastone, chiedendogli dove si formino gli uomini virtuosi; poiché questi non sa rispondere, Socrate lo invita a seguirlo e da allora Senofonte diventa suo discepolo. La seconda svolta nella vita di Senofonte avviene nel 401 a.C., quando prende parte, su invito dell’amico Prosseno di Tebe, alla spedizione di Ciro il Giovane contro il fratello Artaserse, re dei Persiani. Senofonte chiede consiglio a Socrate, il quale gli suggerisce di interrogare l’oracolo di Delfi; tuttavia, egli non chiede all’oracolo se può arruolarsi, ma – avendo già deciso di partire – chiede invece a quale dio offrire sacrifici affinché il viaggio abbia esisto positivo. Questo episodio mostra l’indipendenza del discepolo nei confronti del maestro; si tratta di due spiritualità antitetiche: Socrate non si è mai allontanato dalla polis, Senofonte, al contrario, è il prototipo dell’avventuriero caratteristico dell’Ellenismo. Nel 371 a.C., in seguito alla sconfitta di Sparta a Leuttra ad opera di Tebe, in Senofonte inizia a venir meno la fiducia per Sparta, peraltro già diminuita con la fondazione della seconda lega navale di Atene (377 a.C.): l’aumentare di questa sfiducia e la perdita del figlio Grillo (che muore combattendo a Mantinea in favore di Atene, nel 362 a.C.) accentuano nello storico la sensibilità religiosa e l’influsso socratico.

44 Cfr. ROSSI - NICOLAI, Corso integrato di letteratura greca, cit., p. 496.

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l’egemonia (ovvero dal punto di vista di Sparta, fino alla battaglia di Leuttra nel

371 a.C., e di Tebe, fino alla battaglia di Mantinea, nel 362 a.C.) e, in seconda

istanza, lo storico esalta il ruolo delle personalità politiche dominanti (in

particolare di Agesilao ma anche degli Ateniesi Ificrate e Cabria). Nondimeno, nelle

Elleniche, si avverte un’analisi sempre più pessimistica circa la situazione politica

greca, poiché dopo la sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso, né Sparta né

Tebe riescono ad evitare il declino del mondo delle libere poleis. Pertanto, la scelta

di concludere l’opera con il racconto della battaglia di Mantinea (che sancisce

l’ultima esperienza di egemonia panellenica di una polis, Tebe) esplicita l’immagine

di una Grecia in preda al caos, alla ricerca di un’identità perduta.

Se paragoniamo Senofonte a Tucidide notiamo la loro profonda diversità: sia

nella narrazione sia nei discorsi, Senofonte piuttosto che il punto di vista statale,

che è fondamentale per Tucidide, privilegia quello individuale, in linea con il

progressivo affermarsi delle tendenze individualistiche che, attraverso le nuove

esperienze del IV secolo a.C., dà origine all’Ellenismo.

Anche se lo stile, la chiarezza e la semplicità ne rendono gradevole la lettura,

tuttavia nel tentativo di analizzare le ragioni degli eventi, Senofonte resta spesso

alla superficie (talvolta chiama in causa gli dèi)45; sebbene la differenza qualitativa

rispetto a Tucidide sia evidente, l’opera di Senofonte va analizzata alla luce delle

sue specifiche concezioni storiografiche, tenendo presente che: a) la narrazione di

Senofonte non mira alla completezza ma rivela una visione pragmatica della

storia46; b) Senofonte non persegue un’indagine sistematica delle fonti ma spesso i

suoi informatori sono casuali; c) le Elleniche hanno talvolta – come l’Anabasi – un

carattere memorialistico, nel senso che lo storico si sofferma ampiamente sulle sue

esperienze; d) Senofonte appare il primo psicologo e pedagogo militare della

storia, poiché è interessato, in primo luogo, alle grandi personalità storiche e alla

loro analisi psicologica; e) la sua opera si caratterizza per una lingua semplice e

disadorna, esente dalla retorica imperante ai suoi tempi47.

Si ipotizza di condurre la lezione in maniera frontale, tuttavia per stimolare

l’interazione degli studenti è possibile proporre attività di laboratorio sul testo, da

svolgere in classe durante la lezione (o da ultimare come compito a casa): si chiede

alla classe di soffermarsi sulle scelte lessicali operate da Tucidide e Senofonte

(prestando attenzione ai numerosi termini tecnici del linguaggio giuridico, politico

e militare); si richiede la compilazione di una scheda sinottica per confrontare i

due estratti analizzati: sulla base delle indicazioni del docente, l’analisi dei vocaboli

deve essere condotta a più livelli (etimologico, semantico, storico, letterario, ecc.).

45 Il tramonto di Sparta, ad esempio, è spiegato come una punizione divina per la rottura della

pace del re (V 4, 1). 46 P. KRAFFT, Vier Beispiele des Xenophontischen in Xenophons Hellenika, in «RhM» 110, 1967, pp.

103ss. 47 MEISTER, La storiografia greca, cit., p. 83.

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Pur nella consapevolezza che il percorso si presta ad un confronto con i diversi

fenomeni imperialistici che hanno segnato la storia dell’umanità

(dall’espansionismo romano fino i movimenti coloniali di età moderna e

contemporanea), si propongono due possibili proposte di approfondimento: il

riferimento alla “legge del più forte” da parte degli Ateniesi nel dialogo con i Melii

permette di richiamare la filosofia politica di Hobbes (“homo homini lupus”)48; la

presentazione della guerra del Peloponneso come prodotto di una necessità

storica, dettata dalla contrapposizione di due blocchi, quello ateniese e quello

spartano, richiama la contrapposizione, durante la “guerra fredda”, tra USA ed

URSS49.

I contenuti di questa lezione vanno verificati oralmente nell’ambito delle

interrogazioni di letteratura greca relative alla storiografia di età classica.

Interessa verificare la capacità degli studenti di analizzare un testo storiografico,

secondo diverse angolazioni (tenendo conto in particolare degli aspetti tematici e

di quelli linguistici e stilistico-retorici) nonché la capacità di procedere ad un

confronto tra gli autori analizzati, rilevandone differenze e aspetti di continuità; si

vuole accertare, inoltre, che gli alunni siano in grado di applicare operativamente

le conoscenze acquisite, formulando in maniera critica e autonoma interpretazioni

corrette sul testo esaminato.

Un possibile percorso di recupero può essere articolato in due momenti: una

prima verifica formativa prevede la traduzione (in due tempi) dei passi

commentati in classe, prima dei capitoli tucididei (V 85, 1-3 e 89, 1) e

successivamente degli estratti di Senofonte (Hell. II 2, 10-23); la traduzione va

svolta a casa, singolarmente, affinché, esercitandosi autonomamente, lo studente

possa assimilare meglio i contenuti presentati in classe; tale traduzione va quindi

verificata nel corso dell’interrogazione orale. Una seconda verifica formativa

prevede la redazione dell’analisi scritta dei testi precedentemente tradotti, in cui

individuare e commentare le tematiche e gli aspetti stilistico-retorici, che

evidenziano le scelte metodologiche di Tucidide e Senofonte e le differenze di

sensibilità ed interessi tra i due: anche quest’analisi va verificata dal docente nel

corso dell’interrogazione orale.

L’interrogazione orale, sia in relazione alla verifica curricolare sia per il

percorso di recupero, mira a verificare in primo luogo la capacità dello studente di

48 Si ipotizza la lettura, in traduzione italiana, dei capitoli XIII (“La condizione naturale

dell’umanità riguardo alla sua felicità e alla sua miseria”), XIV (“La prima e la seconda legge naturale ed i contratti”) e XXI (“La libertà dei sudditi”) del Leviatano di T. Hobbes. L’edizione di riferimento è T. HOBBES, Il Leviatano, A. Pacchi (a cura di), Roma - Bari 2008.

49 Si ipotizza la lettura, in traduzione italiana, di un brano estratto dalle memorie di W. Churchill (relativo alle zone d’influenza nell’Europa post-bellica): W. CHURCHILL, La seconda guerra mondiale, IX. L’onda della vittoria, Milano 1970, pp. 261-263. Un ulteriore spunto di riflessione circa il dibattito relativo alla guerra fredda è offerto dalla storica Elena Aga Rossi (E.A. ROSSI (cur.), Gli Stati Uniti e le origini della guerra fredda, Bologna 1984, pp. 15-29).

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analizzare sul piano morfosintattico, lessicale e stilistico-retorico i testi analizzati;

interessa verificare, inoltre, che il discente sia in grado di discutere criticamente le

principali tematiche che emergono all’interno della storiografia ateniese nel

passaggio tra V e IV sec. a.C.50.

50 Per la valutazione della verifica orale cfr. ALLEGATO 3.

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ALLEGATO 1

THUC. V 84, 1-3: καὶ ἐπὶ Μῆλον τὴν νῆσον Ἀθηναῖοι ἐστράτευσαν (...). οἱ δὲ Μήλιοι

Λακεδαιμονίων μέν εἰσιν ἄποικοι, τῶν δ' Ἀθηναίων οὐκ ἤθελον ὑπακούειν ὥσπερ

οἱ ἄλλοι νησιῶται, ἀλλὰ τὸ μὲν πρῶτον οὐδετέρων ὄντες ἡσύχαζον, ἔπειτα ὡς

αὐτοὺς ἠνάγκαζον οἱ Ἀθηναῖοι δῃοῦντες τὴν γῆν, ἐς πόλεμον φανερὸν

κατέστησαν. στρατοπεδευσάμενοι οὖν ἐς τὴν γῆν αὐτῶν τῇ παρασκευῇ ταύτῃ οἱ

στρατηγοὶ Κλεομήδης τε ὁ Λυκομήδους καὶ Τεισίας ὁ Τεισιμάχου, πρὶν ἀδικεῖν τι

τῆς γῆς, λόγους πρῶτον ποιησομένους ἔπεμψαν πρέσβεις. οὓς οἱ Μήλιοι πρὸς μὲν

τὸ πλῆθος οὐκ ἤγαγον, ἐν δὲ ταῖς ἀρχαῖς καὶ τοῖς ὀλίγοις λέγειν ἐκέλευον περὶ ὧν

ἥκουσιν. οἱ δὲ τῶν Ἀθηναίων πρέσβεις ἔλεγον τοιάδε.

V 89: {ΑΘ.} Ἡμεῖς τοίνυν οὔτε αὐτοὶ μετ' ὀνομάτων καλῶν, ὡς ἢ δικαίως τὸν

Μῆδον καταλύσαντες ἄρχομεν ἢ ἀδικούμενοι νῦν ἐπεξερχόμεθα, λόγων μῆκος

ἄπιστον παρέξομεν, οὔθ' ὑμᾶς ἀξιοῦμεν ἢ ὅτι Λακεδαιμονίων ἄποικοι ὄντες οὐ

ξυνεστρατεύσατε ἢ ὡς ἡμᾶς οὐδὲν ἠδικήκατε λέγοντας οἴεσθαι πείσειν, τὰ δυνατὰ

δ' ἐξ ὧν ἑκάτεροι ἀληθῶς φρονοῦμεν διαπράσεσθαι, ἐπισταμένους πρὸς εἰδότας

ὅτι δίκαια μὲν ἐν τῷ ἀνθρωπείῳ λόγῳ ἀπὸ τῆς ἴσης ἀνάγκης κρίνεται, δυνατὰ δὲ

οἱ προύχοντες πράσσουσι καὶ οἱ ἀσθενεῖς ξυγχωροῦσιν.

V 84, 1-3: E gli Ateniesi fecero una spedizione contro l’isola di Melo (…); i Melii infatti

sono coloni dei Lacedemoni e non volevano sottostare ad Atene come gli altri isolani,

ma dapprima se ne stavano tranquilli in quanto neutrali, poi, costretti dagli Ateniesi

che ne devastavano la terra, si volsero ad una guerra aperta. Invasa la terra e

accampatisi con questi armamenti, gli strateghi Cleomede di Licomede e Tisia di

Tisimaco, prima di fare qualche danno inviarono ambasciatori per intavolare una

discussione. Ma i Melii non li condussero davanti al popolo, bensì li invitarono a

parlare su quegli affari per i quali erano venuti, stando davanti ai magistrati e agli

oligarchi. (…)

V 89: ATENIESI: Noi dunque non vi offriremo una non persuasiva lungaggine di parole

con l’aiuto di belle frasi, cioè che il nostro impero è giusto perché abbiamo abbattuto i

Medi o che ora perseguiamo il nostro diritto perché siamo stati offesi; ma ugualmente

pretendiamo che, neppure voi crediate di persuaderci dicendoci che, per quanto

coloni dei Lacedemoni, non vi siete uniti a loro per farci guerra o non ci avete fatto

alcun torto. Pretendiamo invece che si mandi ad effetto ciò che è possibile a seconda

della reale convinzione che ha ciascuno di noi, ché noi siamo certi, di fronte a voi,

persone informate, che nelle considerazioni umane il diritto è riconosciuto in seguito

ad una uguale necessità per le due parti, mentre chi è più forte fa quello che può e chi è

più debole cede.

(Traduzione italiana a cura di F. Ferrari)

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ALLEGATO 2

XENOPHON, Hellenica II 2, 10: Οἱ δ' Ἀθηναῖοι πολιορκούμενοι κατὰ γῆν καὶ κατὰ

θάλατταν ἠπόρουν τί χρὴ ποιεῖν, οὔτε νεῶν οὔτε συμμάχων αὐτοῖς ὄντων οὔτε

σίτου· ἐνόμιζον δὲ οὐδεμίαν εἶναι σωτηρίαν †εἰ μὴ παθεῖν ἃ οὐ τιμωρούμενοι

ἐποίησαν, ἀλλὰ διὰ τὴν ὕβριν ἠδίκουν ἀνθρώπους μικροπολίτας οὐδ' ἐπὶ μιᾷ αἰτίᾳ

ἑτέρᾳ ἢ ὅτι ἐκείνοις συνεμάχουν. 11: διὰ ταῦτα τοὺς ἀτίμους ἐπιτίμους

ποιήσαντες ἐκαρτέρουν, καὶ ἀποθνῃσκόντων ἐν τῇ πόλει λιμῷ πολλῶν οὐ

διελέγοντο περὶ διαλλαγῆς. ἐπεὶ δὲ παντελῶς ἤδη ὁ σῖτος ἐπελελοίπει, ἔπεμψαν

πρέσβεις παρ' Ἆγιν, βουλόμενοι σύμμαχοι εἶναι Λακεδαιμονίοις ἔχοντες τὰ τείχη

καὶ τὸν Πειραιᾶ, καὶ ἐπὶ τούτοις συνθήκας ποιεῖσθαι. 12: ὁ δὲ αὐτοὺς εἰς

Λακεδαίμονα ἐκέλευεν ἰέναι· οὐ γὰρ εἶναι κύριος αὐτός. ἐπεὶ δ' ἀπήγγειλαν οἱ

πρέσβεις ταῦτα τοῖς Ἀθηναίοις, ἔπεμψαν αὐτοὺς εἰς Λακεδαίμονα. (...) 14: οἱ δὲ

πρέσβεις ἐπεὶ ἧκον οἴκαδε καὶ ἀπήγγειλαν ταῦτα εἰς τὴν πόλιν, ἀθυμία ἐνέπεσε

πᾶσιν· ᾤοντο γὰρ ἀνδραποδισθήσεσθαι, καὶ ἕως ἂν πέμπωσιν ἑτέρους πρέσβεις,

πολλοὺς τῷ λιμῷ ἀπολεῖσθαι. 15: περὶ δὲ τῶν τειχῶν τῆς καθαιρέσεως οὐδεὶς

ἐβούλετο συμβουλεύειν· (…) 16: τοιούτων δὲ ὄντων Θηραμένης εἶπεν ἐν ἐκκλησίᾳ

ὅτι εἰ βούλονται αὐτὸν πέμψαι παρὰ Λύσανδρον (…) πεμφθεὶς δὲ διέτριβε παρὰ

Λυσάνδρῳ τρεῖς μῆνας καὶ πλείω, ἐπιτηρῶν ὁπότε Ἀθηναῖοι ἔμελλον διὰ τὸ

ἐπιλελοιπέναι τὸν σῖτον ἅπαντα ὅ τι τις λέγοι ὁμολογήσειν. 17: ἐπεὶ δὲ ἧκε

τετάρτῳ μηνί, ἀπήγγειλεν ἐν ἐκκλησίᾳ ὅτι αὐτὸν Λύσανδρος τέως μὲν κατέχοι,

εἶτα κελεύοι εἰς Λακεδαίμονα ἰέναι· (…) μετὰ ταῦτα ᾑρέθη πρεσβευτὴς εἰς

Λακεδαίμονα αὐτοκράτωρ δέκατος αὐτός. 19: (…) ἐν Σελλασίᾳ, (…) ἐκκλησίαν

ἐποίησαν, ἐν ᾗ ἀντέλεγον Κορίνθιοι καὶ Θηβαῖοι μάλιστα, πολλοὶ δὲ καὶ ἄλλοι τῶν

Ἑλλήνων, μὴ σπένδεσθαι Ἀθηναίοις, ἀλλ' ἐξαιρεῖν. 20: Λακεδαιμόνιοι δὲ οὐκ

ἔφασαν πόλιν Ἑλληνίδα ἀνδραποδιεῖν μέγα ἀγαθὸν εἰργασμένην ἐν τοῖς μεγίστοις

κινδύνοις γενομένοις τῇ Ἑλλάδι, ἀλλ' ἐποιοῦντο εἰρήνην ἐφ' ᾧ τά τε μακρὰ τείχη

καὶ τὸν Πειραιᾶ καθελόντας καὶ τὰς ναῦς πλὴν δώδεκα παραδόντας καὶ τοὺς

φυγάδας καθέντας τὸν αὐτὸν ἐχθρὸν καὶ φίλον νομίζοντας Λακεδαιμονίοις

ἕπεσθαι καὶ κατὰ γῆν καὶ κατὰ θάλατταν ὅποι ἂν ἡγῶνται. 21: Θηραμένης δὲ καὶ

οἱ σὺν αὐτῷ πρέσβεις ἐπανέφερον ταῦτα εἰς τὰς Ἀθήνας. (…) 22: (…) προηγόρει δὲ

αὐτῶν Θηραμένης, λέγων ὡς χρὴ πείθεσθαι Λακεδαιμονίοις καὶ τὰ τείχη

περιαιρεῖν. ἀντειπόντων δέ τινων αὐτῷ, πολὺ δὲ πλειόνων συνεπαινεσάντων,

ἔδοξε δέχεσθαι τὴν εἰρήνην. 23: μετὰ δὲ ταῦτα Λύσανδρός τε κατέπλει εἰς τὸν

Πειραιᾶ καὶ οἱ φυγάδες κατῇσαν καὶ τὰ τείχη κατέσκαπτον ὑπ' αὐλητρίδων πολλῇ

προθυμίᾳ, νομίζοντες ἐκείνην τὴν ἡμέραν τῇ Ἑλλάδι ἄρχειν τῆς ἐλευθερίας.

10: Gli Ateniesi, assediati per terra e per mare, non sapevano come sbloccare la

situazione privi com’erano di navi, di alleati e di cereali. Ritenevano che non vi fosse

scampo dalla sorte che essi stessi avevano inflitto alle popolazioni di piccole città, non

perché provocati ma per desiderio di sopraffazione, senza nessun altro motivo che la

loro alleanza con Sparta. 11: Per questo avevano restituito il diritto di cittadinanza a

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quanti ne erano stati privati e opponevano una strenua resistenza; nonostante la fame

che mieteva un alto numero di vittime non parlavano di resa. Quando i cereali vennero

a mancare del tutto mandarono un’ambasceria ad Agide, con la missione di presentare

una richiesta di alleanza, a patto di conservare le Mura e il Pireo, in questi termini

erano disposti a trattare. 12: Agide li invitò a recarsi a Sparta, perché egli non aveva

pieni poteri. Quando gli ambasciatori ebbero riportato la risposta ad Atene, furono

inviati a Sparta. (…) 14: Non appena gli ambasciatori, rimpatriati, riferirono l’esito

della missione alla cittadinanza, si diffuse un grande scoramento; gli Ateniesi si

prefiguravano ormai una condizione di schiavitù e, in attesa del ritorno di un’altra

ambasceria, molti morirono di fame. Quanto alla distruzione delle Mura nessuno

voleva presentare proposte in tal senso. (…) 16: La situazione era a questo punto

quando Teramene, in ecclesia, propose di essere inviato da Lisandro (…). Fu mandato

e rimase presso Lisandro per più di tre mesi, in attesa che gli Ateniesi, completamente

privi di cereali, accettassero qualsiasi accordo. 17: Ritornò nel quarto mese e riferì in

ecclesia che Lisandro lo aveva trattenuto per tutto quel tempo e che ora gli ingiungeva

di recarsi a Sparta (…). Pertanto fu nominato ambasciatore plenipotenziario a Sparta

insieme ad altri nove. (…) 19: (…) a Sellasia, (…) si tenne un’assemblea, nella quale, in

modo particolare Corinzi e Tebani, ma anche altri rappresentanti di numerose città

della Grecia, si opponevano all’apertura di trattative con gli Ateniesi, sostenendo la

tesi della distruzione totale della città avversaria. Gli Spartani, invece si dicevano

contrari alla riduzione in schiavitù di una città greca che tanto aveva fatto nei

momenti di più grave pericolo per la Grecia e preferivano addivenire una soluzione di

pace, ferme restando queste condizioni: distruzione delle Lunghe Mura e di quelle del

Pireo, consegna della flotta, tranne dodici navi, rientro degli esuli, accettazione degli

stessi amici e nemici di Sparta; gli Ateniesi dovevano inoltre riconoscere l’obbligo a

partecipare a tutte le spedizioni marittime e terrestri di Sparta, sotto il suo comando.

21: Teramene e i colleghi riferirono queste condizioni ad Atene. (…) 22: (…) per primo

parlò Teramene, per sostenere la necessità di aderire alle proposte spartane e di

distruggere le Mura. Vi fu qualche opposizione, ma la maggior parte fu d’accordo e si

votò di accettare la pace. Lisandro entrò al Pireo, gli esuli tornarono e le Mura furono

demolite al suono delle flautiste, in mezzo ad un grande entusiasmo, perché erano in

molti a pensare che quel giorno segnava l’inizio della libertà per la Grecia.

(Traduzione italiana a cura di A. Cardinale)

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ALLEGATO 3

GRIGLIA DI VALUTAZIONE DELL’INTERROGAZIONE ORALE51

0 - 0.5 Non

sufficiente

0.5 - 1 Sufficiente

1 - 1.5 Buono

1.5 - 2 Ottimo

a) Capacità di interpretazione del testo e

qualità della traduzione.

b) Capacità di analisi testuale

(conoscenze morfosintattiche, lessicali e

stilistico retoriche).

c) Conoscenza degli argomenti trattati.

d) Competenza nell’utilizzo del lessico

specifico.

e) Capacità di rielaborazione critica delle

conoscenze (saper contestualizzare,

interpretare ed effettuare collegamenti).

PUNTEGGIO TOTALE

VOTO FINALE (in decimi)

51 Si è scelto di assegnare un massimo di due punti per ciascuna voce: la somma dei rispettivi

punteggi corrisponde al voto finale espresso in decimi.

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BIBLIOGRAFIA DI STUDIO

(per il docente)

EDIZIONI

Tucidide:

HUDE C., Thucydides. Historiae, I-II, Leipzig 1913-19252.

JONES H.S. - POWELL J.E., Thucydides. Historiae, I-II, Oxford 1951-1953.

Senofonte:

MARCHANT E.C., Xenophontis Opera omnia, I-V, Oxford 1901-1921.

STUDI

BREITENBACH H.R., Xenophon von Athen 6), in RE IX A2, 1967, coll. 1569-1928.

BEARZOT C., Federalismo e autonomia nelle Elleniche di Senofonte, Milano 2004.

BEARZOT C., Manuale di storia greca, Bologna 2005, pp. 111-177.

CAGNAZZI S., La spedizione ateniese contro Melo del 416 a.C. Realtà e propaganda,

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CAGNETTA S., Riforma della dialettica agonale nel dialogo dei Meli, in «QS» 32, 1990,

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CANFORA L., Tucidide continuato, Padova 1970.

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CANFORA L. (cur.), Il dialogo dei Meli e degli Ateniesi, Venezia 1991.

CARDINALE A., Il modello greco. Lo specchio e la maschera: antologia della letteratura

greca, II. Età attica, Napoli 1994.

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DAVERIO ROCCHI G. - CAVALLI M., Il Peloponneso di Senofonte. Giornate di studio del

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