mensile di informazione e azione missionaria · 2017. 9. 14. · la redazione di popoli e missione,...

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DOSSIER I misteri del deep web Negli abissi di internet ATTUALITÀ Apolidia: Come fantasmi PRIMO PIANO Zika virus La zanzara che non perdona La vittoria dei vinti In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 4 MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA ANNO XXX APRILE 2016

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DOSSIERI misteri del deep web

Negli abissi di internet

ATTUALITÀApolidia:Come fantasmi

PRIMO PIANOZika virusLa zanzara che non perdona

La vittoria dei vinti

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Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

4M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E A Z I O N E M I S S I O N A R I A

ANNO XXX

APRILE2016

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIATrib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica. Editore: Fondazione di religione MISSIO Direttore responsabile: GIULIO ALBANESERedazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis. Segreteria: Emanuela Picchierini,[email protected]; tel. 06 6650261 - 06 66502678; fax 06 66410314. Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma. Abbonamenti: [email protected]; tel. 06 66502632; fax 06 66410314. Hanno collaborato a questo numero: Giuseppe Andreozzi, ChiaraAnguissola, Mario Bandera, Marco Bassani, Roberto Bàrbera, FrancescoBeschi, Franz Coriasco, Francesco De Palma, Francesca Lancini, Paolo Manzo,Enzo Nucci, Giuseppe Sangiorgi, Barbara Speca, Alez Zappalà.

Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile.Foto di copertina: Deshakalyan Chowdhury / Afp

Foto: Afp Photo / Ye Aung Thuye Aung Thu / Afp, Afp Photo / DimitarDilkoffpertura, Vsc / Science Photo Library, Afp Photo / Greg Wood, Afp Photo /Facebook , Afp Photo / Jean-Philippe Ksiazek, Afp Photo / Ho / Al-Furqan Media,Dimitar Dilkoff / Afp, Kts / Science Photo Library, Dirk Waem / Belga Mag /Belga, Ho / Presidenza Iraniana / Afp, Afp Photo / Evaristo Sa Evaristo Sa / Afp,Afp Photo / Evaristo Sa, Rafael Ochoa / Nurphoto, Tim Graham / Robert HardingHeritage / Robertharding, Saleh Al-Obeidi / Afp, Archivio Missio (a cura diSimone Lentini), Nmarritz, Utenriksdepartementet Ud, Anlara, Center ForAmerican Progress, Thierry Ehrmann, Gaetano Borgo, Aris Oikonomou / Sooc,Paolo Annechini, Borchi-Ana, Afp Photo / Jeff Pachoud, Afp Photo / Asif Hassan,Francesco De Palma, Comunità Di Sant'egidio San Salvador, Vicariato ApostolicoDell'Arabia Meridionale, Comboni Press, Associazione Solidaria, Alex Zappalà.

Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00;Sostenitore € 50,00; Estero € 40,00.Modalità di abbonamento:- Versamento sul C.C.P. 63062327 intestato a Missio o bonifico

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Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione StampaPeriodica Italiana.Chiuso in tipografia il 17/03/16Supplementi elettronici di Popoli e Missione:MissioNews (www.missioitalia.it)La Strada (www.giovani.missioitalia.it)

Fondazione MissioDirezione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie

Via Aurelia, 796 - 00165 RomaTel. 06 6650261 - Fax 06 66410314E-mail: [email protected]

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Tesoriere: Dr. Giuseppe Calcagno

Responsabile riviste e Ufficio stampa: P. Giulio Albanese, M.C.C.I

Missio – adulti e famiglie(Pontificia Opera della Propagazione delle Fede)Segretario nazionale: Don Mario Vincoli

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Missio – giovaniSegretario nazionale: Alessandro Zappalà

CON I MISSIONARI A SERVIZIO DEI PIÙ POVERI:

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Sulla questione libica l’opinionepubblica è divisa. Da una partefigurano gli interventisti che vor-

rebbero un’azione militare di contrasto;dall’altra le colombe che ribadiscono ilprincipio costituzionale sancito nell’ar-ticolo 11 laddove si legge, a scanso diequivoci, che «l’Italia ripudia la guerracome strumento di offesa alla libertàdegli altri popoli e come mezzo di riso-luzione delle controversie internazionali;consente, in condizioni di parità congli altri Stati, alle limitazioni di sovranitànecessarie ad un ordinamento che as-sicuri la pace e la giustizia fra le nazioni;promuove e favorisce le organizzazioniinternazionali rivolte a tale scopo».La redazione di Popoli e Missione, cheda anni ha un filo diretto con i nostrimissionari e missionarie che operanonelle periferie del mondo, di fronte allatragedia che attanaglia il popolo libiconon è indifferente. Anzitutto, vi è laconsapevolezza del disastro causatodalla pretesa anglo-francese di rove-sciare, nel 2011, il regime di Gheddafi.Un’iniziativa irresponsabile che ha fattocadere, per così dire, la Libia dallapadella nella brace. Ciò ha determinatol’implosione dell’intero Paese, lasciandolosprofondare nell’anarchia, con una ga-lassia di formazioni armate che si con-tendono il controllo del territorio. Stadi fatto che oggi la pluralità di attorisul campo libico aumenta a dismisurail rischio che si creino roccaforti o ca-liffati, cioè luoghi alla mercé di forma-zioni criminali prive di qualunque le-

gittimazione. Pertanto occorre evitaredi ripetere gli errori già commessi inSomalia e in Iraq, eludendo, per esempio,quei dispositivi estranei all’arte delladiplomazia, che tuttora inibiscono unaseria azione di politica estera. Ecco per-ché è vitale rilanciare a tutti i costi undialogo tra le diverse componenti, quellea base regionale e quelle a base tribale,il governo/i governi, i gruppi armati,ecc., coinvolgendo maggiormente nellasoluzione della crisi armata anche ledue potenze laiche regionali: Egitto eAlgeria. Anche perché, a scanso di equi-voci, lo Stato Islamico non sta conqui-stando la Libia. Semmai, il problema èun altro. Oggi in quel territorio nord-africano, grande sei volte l’Italia, com-battono un qualcosa come 200mila ar-mati che continuano a massacrarsi traloro. Una guerra fratricida, all’internodella quale alcune fazioni hanno adot-tato il marchio “Isis” in franchising,per ottenere visibilità e attirare reclute.Sarebbe pertanto un grave errore in-tervenire militarmente, come occidentali,nel caos libico in quanto l’interventosortirebbe l’effetto devastante di coa-gulare sotto il vessillo jihadista le in-numerevoli forze eversive attualmentedispiegate sul campo. Provocherebbe,insomma, l’ennesima “guerra santa”contro l’invasore, poco importa che sitratti di contingenti tradizionali o diforze speciali pilotate dall’intelligence.Il buon senso, piuttosto, suggerisce che,trattandosi di un conflitto asimmetrico,è fondamentale bloccare i flussi di

EDITORIALE

Libia, tragedia infinita

di GIULIO [email protected]

(Segue a pag. 2)

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Indice

EDITORIALE

1 _ Libia, tragedia infinita di Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ Zika virus La zanzara che non perdona di Miela Fagiolo D’Attilia

ATTUALITÀ

8 _ L’intesa tra Farc e governo colombiano Senza pace non c’è giustizia di Paolo Manzo

11 _ Il fenomeno dell’apolidia

Come fantasmi di Chiara Pellicci

FOCUS14 _ Identità europea e futuro del continente

Europa e Africa,destino comune

di Giuseppe Sangiorgi

L’INCHIESTA18 _ L’Iran dopo le elezioni Teheran: ritorno al futuro di Ilaria De Bonis

SCATTI DAL MONDO

22 _ Il martirio delle suore di Madre Teresa La vittoria dei vinti A cura di Emanuela Picchierini Testo di Giulio Albanese

PANORAMA

26 _ No al caporalato La libertà del pomodoro di Ilaria De Bonis

DOSSIER

29 _ I misteri del deep web

Cosa scorre negli abissi di internet? di Roberto Bàrbera

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

37 _ Viaggio nei Centri missionari diocesani Padova: filo diretto col Brasile di Ilaria De Bonis

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denaro che arrivano ai gruppi armati (opera-zione peraltro tutt’altro che impossibile poichéoggi, nell’epoca digitale, i flussi di denarosono tracciabili).«La guerra – come dice papa Francesco - è unaffare». Pertanto, ci si domanda: «Chi dà lorole armi?». C’è tutta una rete di interessi, dovedietro ci sono i soldi o il potere. Occorredunque colpire anche i traffici che alimentanoi miliziani, compresi i jihadisti che fanno rife-rimento allo Stato Islamico. Essi, certamente,devono parte del loro arsenale al saccheggiodei depositi di armi e munizioni del discioltoesercito di Gheddafi. Ma ricevono sostegno -è bene sottolinearlo - anche dai salafiti dimatrice saudita e, in generale, dalle petro-monarchie del Golfo.E cosa dire del Sudan? Proprio da questoPaese, secondo fonti indipendenti della societàcivile sudanese, partirebbero convogli destinatiall’Isis e ad altre formazioni jihadiste. Unacosa è certa: nessuna regola del diritto inter-nazionale autorizza uno o più Stati (incluso ilnostro) a ricorrere unilateralmente all’usodella forza per cambiare un regime o la formadi governo di un altro Stato. In un solo casosarebbe possibile ipotizzare una missione dipace internazionale in Libia: qualora avvenissecon il placet del Consiglio di Sicurezza dell’Onue dietro la precisa richiesta delle autorità go-vernative locali. Non resta che sperare forte-mente in un rilancio del processo di pace,nella consapevolezza, come diceva san GiovanniPaolo II, che la guerra è sempre e comunque«un’avventura senza ritorno».

(Segue da pag. 2)

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39 _ Disagio giovanile in America Latina La colomba della pace al posto del tatuaggio di Francesco De Palma

OPERE DI MISERICORDIA

43 _ Confortare i dubbiosi Dubito ergo sum

di Miela Fagiolo D’Attilia45 _ L’altra edicola Il Giubileo della misericordia nel mondo Non solo Porte Sante di Ilaria De Bonis

48 _ Posta dei missionari Le tante Maria Eduarda a cura di Chiara Pellicci

RUBRICHE51 _ Libri I sandali del beato Sandro Dordi di Barbara Speca

51 _ Il santo più invocato al mondo di Chiara Anguissola

52 _ Ciak dal mondo Fuocoammare Lampedusa, cuore del Mediterraneo di Miela Fagiolo D’Attilia54 _ Musica MAÎTRE GIMS Pop islamico di Franz Coriasco

VITA DI MISSIO

55 _ Solidarietà delle Pontificie Opere Missionarie Le giovani Adivasi della Missione di Manor di Miela Fagiolo D’Attilia

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OSSERVATORI

ASIA PAG. 7

Paramilitari filippinidi Francesca Lancini

DONNE IN FRONTIERA PAG. 13

Anja e il piccolo ndokidi Miela Fagiolo D’Attilia

MEDIO ORIENTE PAG. 17

Erdogan alla corte d’Europadi Ilaria De Bonis

GOOD NEWS PAG. 21

La diplomazia dell’hummusdi Chiara Pellicci

AFRICA PAG. 47

Il Niño che uccidedi Enzo Nucci

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56 _ Campagna Missio, Focsiv, Caritas In Rwanda la speranza si autofinanzia di Miela Fagiolo D’Attilia

58 _ La misericordia, porta della missione di Francesco Beschi

59 _ Missio Giovani Conoscere la missione di Alex Zappalà

MISSIONARIAMENTE

62 _ Intenzione missionaria Con i nostri fratelli africani di Mario Bandera

63 _ Inserto PUM E il chierichetto chiese... di Giuseppe Andreozzi

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PRIMO PIANO Zika virus

I l Brasile è il primo grande Paesetoccato dal virus Zika, della cui dif-fusione è diventato epicentro. Il

virus sarebbe stato introdotto da inso-spettabili turisti provenienti da regioniinfette dell’Asia, durante i Mondiali dicalcio del 2014. E ora ci sono pesantitimori per i prossimi Giochi olimpici,anche se il Comitato organizzatore as-sicura che il clima secco di quel periodoridurrà la proliferazione delle zanzareincriminate. Ma il presidente della So-

cietà brasiliana della lotta alla dengue,l’infettivologo Artur Timerman, mettein guardia sul rischio contagio che diqui al 2020 potrebbe avere come con-seguenza «dai 70mila ai 100mila bambinimicrocefali». In assenza di un vaccino,

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

La zanzara che non perdona

La zanzara che non perdona

il Brasile si è concentrato sulla lottaalla zanzara killer che sta mostrandouna straordinaria capacità di resistenza,visto che è tornata ad uccidere dopoessere stata debellata per ben due voltenel 1955 e nel 1973.

Disinfestazione contro la zanzara Aedes aegypti, nella città di Gama in Brasile.

Tramontata l’emergenza Ebola, è l’ora di Zikavirus che provoca una febbre pericolosasoprattutto per le donne in gravidanza e per lemalformazioni cerebrali che può causare nei feti.Dalla primavera del 2015 è scoppiata in Brasileuna forte epidemia che si è propagata ad altriPaesi latinoamericani.

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GUERRA A ZIKAE ora, con i Giochi olimpici alle portenon c’è più tempo per rimandare laguerra, perché l’habitat naturale in cuil’Aedes aegypti prolifera è quello cheTimerman descrive così: «Qui al climacaldo e piovoso si aggiunge l’urbaniz-zazione disordinata, la mancanza di in-frastrutture fognarie e di trattamentodei rifiuti». Ecco che lo scorso febbraiola presidente Dilma Rousseff ribadiscedavanti al mondo che «il caso dellaZika non comprometterà losvolgimento dell’Olim-piade di Rio. Da quisino all’inizio deiGiochi, otterre-mo successi ri-levanti in que-sto campo,con lo stermi-nio delle zan-zare che causanoil virus». E ha subitomobilitato l’esercito,inviato nelle zone colpite.A São Paulo sono arrivati 220milasoldati ed équipe specializzate per sen-sibilizzare la popolazione a rischio con-

liano ha confermato il legame di cau-salità tra il virus e un aumento di casidi microcefalia tra i neonati, per orapiù di quattromila, concentrati nel Nord-est, contro i 147 casi registrati nel 2014.

ESPANSIONE DEL VIRUS IN SUD AMERICAAnche la Colombia è entrata nell’occhiodel ciclone con una serie di morti chesi sono verificate a metà dello scorsofebbraio, causate, secondo l’Istituto na-zionale di Sanità, dalla zanzara killer.Altri decessi dovuti ad una prima dia-gnosi, alla sindrome di Guillain Barrè,sono invece stati riferiti allo Zika virus.Da parte sua, il ministro della Sanitàcolombiano, Alejandro Gaviria, ha espres-so la preoccupazione delle autorità sulrischio mortalità dei casi di contagio

tagio. La siccità che continua dal 2015costringe la popolazione a fare provvistedi acqua, a raccogliere l’acqua piovanaper avere delle riserve a disposizione.Questi piccoli o grandi bacini si sonotrasformati in veri e propri vivai diinsetti e varie specie di zanzare. Addi-rittura basta una bottiglia di birra vuotalasciata all’angolo di una strada, pertrovare il liquido sul fondo pieno dilarve pronte a schiudersi. Endemica nelPaese, la dengue (o influenza tropicale,

ndr) ha battuto un record didiffusione con 1,6 milioni

di casi dall’aprile2015 in Sud Ame-

rica. Da partesua, Zika ha giàcontagiato al-meno mezzomilione di per-

sone, a cui siaggiungono più

di 20mila casi so-spetti di febbre chi-

kungunya. In Brasile i mortiper dengue nel 2015 sono ufficialmente863, ma ormai la vera paura è focalizzatasu Zika. Il Ministero della Salute brasi- »

Sopra:

Reparto di prevenzioneper le donnein gravidanza a Tegucigalpa, inHonduras. Confermato dalMinistero della Salute brasiliano il legame tra lo ZiKa virus e lasindrome contratta dalle donne ingravidanza.

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l’Aedes aegypti è presente in tutti iPaesi delle Americhe ad eccezione delCile e del Canada, ma che per ora èstato individuato solo in 21 delle 55 na-zioni americane. Di fronte ad un rischiodi simile portata, lo stesso papa Francesco,interrogato dai giornalisti, nel viaggiodi ritorno dal suo ultimo viaggio apo-stolico in Messico, ha detto che non bi-sogna confondere il fatto di evitare unagravidanza a rischio con l’aborto: «L’abor-to non è un male minore, è un crimine,un male assoluto. Sul male minore,

della Sanità (Oms) parla di 3-4 milionidi casi solo nelle Americhe. «Il virus sipropaga in maniera esplosiva» dichiarala direttrice generale dell’Oms, MargaretChan, che ha indetto il 1° febbraioscorso una riunione d’emergenza perdecidere se proclamare un’emergenzamondiale, come accadde per Ebola. Perquesto si è pronunciata per la restrizionedelle «donazioni di sangue da parte deiviaggiatori provenienti dai Paesi a rischioper prevenire la diffusione incontrollatadel contagio». Sempre l’Oms avverte che

registrati: al 30 gennaio scorso, 2.116donne incinta risultavano infettate. Gliospedali stanno attrezzando corsie diisolamento e di osservazione dei casisospetti. La paura di una nuova pandemiac’è, inutile negarlo. E il fatto che il virusscateni i suoi effetti sui nascituri nelgrembo materno, lo rende ancora piùodioso. Una quindicina di Paesi latinoa-mericani entrano nella mappa delle areedel mondo a rischio Zika. Mentre i primicasi di donne incinte contagiate appaionogià in Europa, l’Organizzazione mondiale

PRIMO PIANO

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Zika virus

M entre El Niño causa una delle peggiorisiccità, il Sud delle Filippine continua a

essere teatro di una guerra dimenticata. L’isolapiù meridionale di Mindanao è anche la piùpovera dell’arcipelago, ma non di risorse. Unparadosso che nasconde interessi economicie abusi. Nell’ultimo anno, si legge nel reportagedi Lennart Hofman di Irin News, circa 700 in-digeni sono stati costretti ad abbandonare leloro case per gli attacchi mortali dei gruppiparamilitari. L’esercito governativo dice di nonavere alcuna relazione con questi ultimi e dicombattere solamente il New People’s Army(NPA), gruppo guerrigliero comunista attivodal 1969.Ma la realtà è più complessa. Ci sono numerosiindizi che collegano le azioni criminali dei pa-ramilitari dell’Alamara e della Magahat BaganiForce all’esercito. Johnny Pimental, governatoredella provincia Surigao del Sur, ha accusatole forze armate filippine di aver creato «unmostro», cioè i paramilitari, reclutandoli fragli indigeni stessi.Inoltre la maggior parte delle vittime di bom-bardamenti, uccisioni e sparizioni sommarieè Lumads, un termine collettivo indicante gliindigeni e fra loro numerosi attivisti. Molti Lu-mads si oppongono allo sfruttamento minerariocondotto da aziende straniere sotto la prote-zione dell’esercito. Secondo gli attivisti, i pa-ramilitari condurrebbero il lavoro sporco disgomberare le loro terre ancestrali, ormaiampiamente militarizzate.I soldati minacciano gli indigeni e le intimidazionivengono attuate da persone non ben identifi-cate. Quando l’esercito bombarda i villaggi,afferma di attaccare gli elementi dell’NPA, manon ci sarebbero riscontri di questi ultimi neiluoghi colpiti. Sebbene il braccio armato delpartito comunista abbia reclutato dei Lumads,oggi l’NPA appare una scusa per attacchi dialtro tipo. Centinaia di sfollati si sono rifugiatinella Chiesa protestante di Davao. L’inviataspeciale dell’Onu, Chaloka Beyani, ha espressopreoccupazione per i legami tra forze armatee paramilitari, ma l’unica inchiesta giudiziariaannunciata a settembre dello scorso annosembra essersi arenata.

di Francesca Lancini

PARAMILITARIFILIPPINI

OSSERVATORIO

ASIA

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non si conosce ancora bene il sistema diespansione del contagio tra esseri umani.Il virus è stato individuato in Nigerianegli anni Settanta, poi in Uganda,Egitto, Sierra Leone, Gabon, Malesia, Fi-lippine, Thailandia, Vietnam. Le primeepidemie sono state registrate nel 2007in alcune regioni della Micronesia, inColombia e in Nuova Caledonia. La ma-lattia virale infatti è tipica delle areetropicali e subtropicali in cui proliferaquesto genere di insetti e appartieneallo stesso ceppo della febbre gialla edella dengue. Quando infetta l’organismo,arriva alle membrane cellulari e colonizzamolto rapidamente le cellule. Dopo unaincubazione che può andare dai tre aidieci giorni, può apparire la febbre, rea-zione immunitaria e sintomo del contagiovirale, insieme a dolori muscolari, maldi testa e a volte eruzioni cutanee. Avolte invece la malattia è asintomaticae per questo più pericolosa. Il virus puòinfatti provocare malattie neurologicheche possono portare alla paralisi e mal-formazioni ai feti per le mamme in gra-vidanza che vengono contagiate.Oggi non esiste un vaccino capace difermare Zika virus. Ma c’è chi sta scom-mettendo su una mutazione transgenicadella malefica Aedes aegypti che di-venterebbe una vera e propria terminatordei sui simili pericolosi per l’uomo. Ilprogetto della società inglese Oxitecprevede la creazione di una nuova Aedes,nome in codice “OX513A”, capace ditrasmettere alla sua progenie un genein grado di farla morire prima di giungerealla fase della riproduzione. L’idea sembrageniale e la sperimentazione nei quartieridi Piracicaba, una cittadina della provinciadi São Paulo, sta funzionando. L’infetti-vologo Artur Timerman, però, ha qualchedubbio: «Non sappiamo ancora nullasulla performance di OX513A in cittàgrandi come São Paulo o Rio de Janeiro.Senza parlare poi del rischio di una suc-cessiva mutazione dell’insetto che farebbedi questa zanzara modificata un vettoredi malattie ancora più potente del suoalter ego selvaggio».

evitare la gravidanza, parliamo in terminidi conflitti tra il quinto e il sesto co-mandamento. Paolo VI, il grande, in unasituazione difficile in Africa, ha permessoalle suore di usare gli anticoncezionalinei casi di violenza». E in ogni caso èimportante trovare il modo di fermarela malattia, di mettere a punto deivaccini, ha concluso.

COS’È ZIKA VIRUSZika virus si trasmette attraverso la pun-tura della malefica Aedes aegypti, ma

Soldati ispezionano le abitazioni perverificare le circostanze che favoriscono laproliferazione della zanzara. Sono circa220mila i militari inviati dalla presidenteRousseff a São Paulo per cercare diarginare la diffusione dell’insetto.

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ATTUALITÀ L’intesa tra Farc e governo colombiano

tra la vita e la morte, tra il rimanere e iltrasformarsi in una sfollata o, peggio, inun’emigrante bambina.La storica pace, che dopo quasi quattroanni di negoziati sembra essere ad unpasso in Colombia, oggi ha molti sup-porter. In primis papa Francesco, che, diritorno dal Messico, ha promesso unviaggio a Bogotá. Anche Rosmira, stancadi fare la guerra, potrà finalmente starecon sua figlia, nata tre anni fa nella

di PAOLO [email protected]

selva e, da allora, affidata alle cure diuna famiglia di contadini.Da quando il 23 settembre dello scorsoanno è stato firmato l’ultimo accordo dipace sulla giustizia di transizione (con-cederà l’amnistia ai guerriglieri che nonsi sono macchiati di crimini di guerra,lesa umanità o genocidio in cambio dellaloro smobilitazione), manca solo il pattofinale da sottoscrivere e sottoporre, poi,a referendum affinché la popolazione

Nella valle del Magdalena Mediosono più di 40 anni che si com-batte, quasi da quando esistono

le Forze armate rivoluzionarie (Farc) dellaColombia. Rosmira oggi di anni ne ha 29ma porta il fucile in spalla da quandoera appena una bambina, fatta entrare11enne, a forza, nel gruppo guerriglieropiù “antico” dell’America Latina. L’ideologia- nel suo come in tanti altri casi diminori combattenti - non c’entra nulladato che a quell’età si gioca con le bam-bole o con le macchinine ma, di certo,non si fa la “rivoluzione”. Costretta al-l’inizio, poi Rosmira nella guerriglia c’èrimasta di sua volontà, perché per decenniin molte zone della Colombia, come ilMagdalena Medio, stringere un kala-shnikov in mano e stare sotto la protezionedi un gruppo armato ha significato mol-tissimo e, sovente, ha segnato la differenza

Senza pacenon c’è giustizia

Senza pacenon c’è giustizia

Colloqui di Pace ad Oslo nel 2012.

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A fianco:

Armi sequestrate alle Farc dalla Polizianazionale colombiana.

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rurale di Marquetalia, trai dipartimenti di Huila eCauca, nel Sud del Paese.Da quel massacro riuscivaa salvarsi Manuel Maru-landa, alias Tirofijo. Fului, assieme ad altri cam-pesinos, a fondare quelgiorno stesso le Farc che,da allora, non hanno piùabbandonato le armi.

L’OMICIDIO GAITANPer capire l’origine delconflitto armato colom-biano bisogna però an-

dare ancora più indietro nel tempo, esat-tamente al 9 aprile 1948. Quel giornoJorge Eliécer Gaitán, un avvocato liberaleche voleva fare la riforma agraria pertogliere dalla miseria milioni di suoi con-cittadini campesinos, veniva ucciso pocoprima di incontrarsi con un giovanissimoFidel Castro.Con l’omicidio Gaitán ebbe inizio l’“infernocolombiano” ed i successivi 16 anni sa-rebbero passati alla storia come il periodode “La Violenza”. Degli 11 milioni diabitanti che nel 1948 vivevano in Co-lombia, due milioni fuggirono all’esteronei 16 anni de “La Violenza”, mentrenegli scontri feroci tra gli esponenti delpartito liberale di Gaitán e quelli delpartito conservatore i morti furono oltre200mila.

colombiana possa avere l’ultima parolae scegliere tra la pace e la guerra.

UN LUNGO CONFLITTORimborsi alle vittime del conflitto, ab-bandono del narcotraffico, riforma agraria,smobilitazione e riconsegna delle armi,reinserimento nella vita civile e politicadei combattenti. Sono molti i punti sucui l’intesa tra Farc e governo colombianoè già stata raggiunta da quando, nel no-vembre 2012 e con la mediazione diNorvegia e Croce Rossa Internazionale, ileader della guerriglia annunciarono l’in-tenzione di farla finita con un conflittooramai fuori dal tempo perché “figlio”della Guerra Fredda. Già, perché la violenzatra lo Stato e le Farc, che insanguina laColombia, va avanti oramai da oltre 52anni. Era infatti il 27 maggio 1964quando furono massacrati 200 contadinie altri duemila finirono in carcere in se-guito all’attacco portato da 16mila soldatidell’esercito regolare contro la popolazione

Da allora cinque milioni e 280mila co-lombiani sono stati costretti a scappareall’estero, in tutto quasi il 10% della po-polazione - i dati sono forniti dalla ongCodhes che si occupa di diritti umani –un’enormità con dietro storie di dolore edi tragedie umane mai raccontate. Imorti, invece, sono stati decine di migliaia,al pari dei sequestrati, come nel casodell’ex candidata alla presidenza, la fran-co-colombiana Ingrid Betancourt, co-stretta a vivere nella selva per oltre seianni.

LOTTA SENZA QUARTIERELa valle del Magdalena Medio dove viveRosmira, la guerrigliera mamma, è quelladove più feroce è stata la guerra traStato, gruppi paramilitari e Farc. Proprioqui infatti, nel centro della Colombia, »

Dopo 52 anni di guerra tra lo Stato e le Forzearmate rivoluzionarie (Farc) che insanguinala Colombia, l’accordo di pace del 23settembre dello scorso anno ha aperto unnuovo capitolo nella storia del Paese. E ora siguarda al patto finale da sottoscrivere esottoporre, poi, a referendum popolare.

Omaggio alle vittime del conflitto, durato circa40 anni, tra il Governo colombiano e le ForzeArmate Rivoluzionarie della Colombia (Farc).

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fa, ma anche all’Esercito di liberazionenazionale (Eln), (che al momento in cuiandiamo in stampa non partecipa al-l’accordo di pace) e alle bande criminali(bacrim) – è stata ed è la vendita di co-caina purissima, soprattutto per il mercatostatunitense ed europeo.

MEDIAZIONE DI PACEOltre alla Norvegia e alla Croce RossaInternazionale gli altri intermediari fon-damentali per la pace verso cui si avviala Colombia sono stati Cuba (che non acaso ha ospitato all’Avana i negoziatidegli ultimi tre anni), il Venezuela boli-variano a cui le Farc si ispirano politica-mente, gli Stati Uniti e, soprattutto dalpunto di vista umanitario, la Santa Sede.Non è un caso che dopo lo storico ap-peasement tra Stati Uniti e Cuba, an-nunciato nel dicembre 2014 in contem-poranea e diretta televisiva dai presidentiBarack Obama e Raúl Castro, neanche48 ore dopo le Farc annunciassero per laprima volta un altrettanto storico «cessateil fuoco, unilaterale e a tempo indeter-minato». Da allora i passi avanti sonostati molti, compreso il viaggiodi Santos alla Casa Bianca, ainizio febbraio scorso, duranteil quale il leader politico hachiesto a Barack Obama ditogliere dalla lista delle or-ganizzazioni terroristiche leFarc. Lo stesso presidente co-lombiano ha poi incontrato ivescovi alla centesima riu-

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A sinistra:

Ingrid Betancourt, rapita il 23febbraio 2002 dalla guerrigliadelle Farc e liberata dallaprigionia il 2 luglio 2008.

A destra:

Manuel Marulanda, alias Tirofijo,il fondatore delle Farc.

ATTUALITÀ L’intesa tra Farc e governo colombiano

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a fine anni Settanta Ramón Isaza Arango,detto “El Viejo” (“il Vecchio” in italiano,ndr), fondò le Autodifese unite della Co-lombia (Auc). Il primo squadrone dellamorte nato per combattere, a suon dimassacri, le Farc ed i sequestri dellaguerriglia comunista, nell’indifferenzaquando non con la complicità del governo.Una lotta senza quartiere e disumana,fatta non solo di ideologia ma, soprattutto,per contendersi uno dei corridoi migliori– quello del Magdalena Medio, per l’ap-punto – al fine di esportare cocaina edimportare armi, attraverso il porto diBarranquilla. Già, perché oltre ai rapimentie al pizzo chiesto ad aziende e commer-cianti in cambio di “protezione”, l’altrafonte di sostentamento di qualsiasi gruppoarmato operante in Colombia – dalleFarc alle Auc smobilitate qualche anno

nione plenaria della Conferenza episcopalecolombiana (Cec), per chiedere loro dicontinuare ad appoggiare la pace. Uncontributo fondamentale quello dellaChiesa cattolica, soprattutto dopo le po-lemiche fomentate dall’ex presidente Ál-varo Uribe, ex amico ed alleato di Santos,sull’accordo tra governo e guerriglia sul-l’amnistia in cambio della verità sui mas-sacri compiuti e della smobilitazione contotale consegna delle armi. Per monsignorLuis Augusto Castro Quiroga, presidentedella Cec, «la giustizia di transizione ac-cordata tra Farc e governo è stata creataper poter passare dalla sponda dellaguerra a quella della pace. Non è comela giustizia penale che, però, sovente èstato il nostro problema, visto che ognunola interpreta a modo suo e noi colombianine abbiamo sofferto le conseguenze».In altre parole, senza il perdono non puòesserci pace, senza pace non esiste giu-stizia. È così in tutte le guerre e quellacolombiana, che dura da 52 anni, non faeccezione. Anche per questo papa Fran-cesco ha espresso il desiderio di volare inColombia nel 2017.

Il presidente della Colombia, Manuel Santos.

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Come fantasmiSono almeno 10 milioni gli apolidi nel mondo.Privi di una cittadinanza e quindi dei dirittifondamentali che ne derivano – come accedereall’istruzione, ai servizi sanitari o possedere unaproprietà – per questi uomini e donne invisibili èvietato sposarsi, registrare la nascita di un figlio,votare, viaggiare e fare qualunque altra cosa perla quale è indispensabile un documento. Senzapassaporto, sono come fantasmi.

Il fenomeno dell’apolidia

di CHIARA [email protected]

Paese di provenienza, né quella delloStato in cui sono emigrati. Un esempio:i figli nati da madri siriane rimaste solesi trovano senza cittadinanza in quantola legge siriana permette solo ai padridi trasmetterla. Ma sono tanti i Paesi almondo in cui il riconoscimento

problema si fa ancora più grave quandoa subirlo sono i bambini.Dei 10 milioni di apolidi nel mondo,già oggi quasi la metà sono minori. Ilproblema per loro si acuisce in quantospesso non possono ottenere la citta-dinanza dei propri genitori o del proprio

S ostenere che il problema del-l’apolidia, cioè di coloro che nonhanno mai avuto nessuna citta-

dinanza o l’hanno persa, sia un feno-meno dei nostri giorni è del tutto par-ziale. Gli apolidi, infatti, ci sono semprestati sin dall’antichità. Ma quello chesta accadendo negli ultimi mesi è unavera e propria esplosione del problema.A denunciarlo è la Campagna “#Nonesisto” del Consiglio italiano per i rifu-giati (Cir), che fa presente come ilrischio di apolidia - cioè di finire inuna condizione in cui non si è consideraticittadini da nessuno Stato – potrebberiguardare anche molti dei rifugiati chestanno arrivando in Europa dall’Africasubsahariana e dal Medio Oriente. E il »

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In quanto apolidi, i Ro-hingya non possono spo-sarsi, avere proprietà,viaggiare, votare, ricono-scere i propri figli. In-somma, non possono fareniente che preveda unaformale identità.Spostandosi dall’Estremoal Medio Oriente, e pre-cisamente nella città diGerusalemme, troviamoaltri apolidi. Qui la con-dizione anomala dei cit-tadini arabi, che vivononella parte Est della CittàSanta, è dovuta al fattoche quest’area – secondoil diritto internazionale –non appartiene allo Statod’Israele ma neppure aiTerritori sotto il controllodell’Autorità nazionale pa-lestinese, poiché la “que-stione Gerusalemme” con-

tinua ad essere da oltre 60 anni unadelle diatribe aperte per la risoluzionedel conflitto arabo-israeliano. Così, puravendo la carta d’identità israeliana inquanto “residenti permanenti” nellaCittà Santa, i circa 250mila arabi diGerusalemme non godono di nessunacittadinanza, perché non sono consi-derati né alla stregua dei palestinesidella West Bank, né cittadini dello Statod’Israele. La differenza è palesata anchevisivamente: gli abitanti arabi di Geru-salemme hanno un passaporto di coloreblu, tanto da essere chiamati anche“arabi blu”, mentre chi vive nei Territoripalestinesi (e quindi ha cittadinanzapalestinese) ne ha uno di colore verde.Ma apolidi non solo si nasce: si puòanche diventare. Lo testimonia la storiadi Sandokan, uscito dall’anonimato gra-zie alla Campagna “#Non esisto” delCir. Ha 40 anni ed oggi vive con lamoglie e quattro figli al campo de LaBarbuta a Roma. È nato in Italia da ge-nitori rom, tra i primi ad arrivare inItalia negli anni Sessanta. Come figlio,

dei diritti si tramanda di padre in figlio,escludendo le madri: una restrizione,questa, che può creare facilmente lecondizioni affinché un bambino diventiapolide.L’apolidia dipende da cause moltodiverse tra loro, a seconda delle pro-blematiche che affliggono i vari Paesiin cui questo rischio tocca tutti o partedei cittadini.I Rohingya, per esempio, minoranzaetnica di religione islamica che vivenella regione di Rakhine in Myanmar,non hanno nessuna cittadinanza inquanto il loro Stato sostiene che sianocittadini del vicino Bangladesh, scappatidurante la colonizzazione britannica.Dei circa due milioni di Rohingya, unoè scappato nei Paesi limitrofi con tuttele conseguenze di chi è rifugiato, pe-raltro in condizioni umanitarie dram-matiche; l’altro vive ancora in Myanmar,senza nessun riconoscimento civile daparte del governo, e sottomesso aduna violenta persecuzione ad operadella maggioranza buddista del Paese.

ha preso la cittadinanza jugoslava delpadre. Ma al compimento del 18esimoanno d’età, al momento di diventarecittadino italiano, ecco la sorpresa:avrebbe avuto bisogno di un documentorilasciato dal suo Paese di origine, im-possibile da ottenere perché la Jugoslaviain quegli anni si stava dissolvendo inuna guerra. Non solo: per la Bosnia, invia di costruzione, Sandokan non esi-steva. Ma neppure per l’Italia. «Mi sonosentito invisibile. Nato in Italia, sonoandato a scuola, i miei amici erano ita-liani. Pensavo di diventarlo anch’io, ap-pena maggiorenne. Non mi sarei maiaspettato di ritrovarmi così. Per me èstato un punto di non ritorno», confessaSandokan. Da maggiorenne era diventatoun fantasma. E lo è tuttora, insieme aisuoi figli.Storie come questa ce ne sono moltissime,tutte affogate nelle periferie, in mezzoalle sofferenze e alle umiliazioni di chi,suo malgrado, ne è protagonista.Ma l’apolidia non è un fatto esclusivodei nostri tempi. Sin dall’antichità esi-stevano gli apolidi: nell’Impero romano,per esempio, gli schiavi non godevanodella cittadinanza. Per ogni epoca èpossibile trovare un caso di apolidia

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ATTUALITÀ

Il mercato di Gerusalemme. I circa 250mila arabi che vivononella Città Santa non godono di nessuna cittadinanza.

Quasi la metà degli apolidinel mondo sono minori,soprattutto migranti.

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la presentazione di vari documenti,spesso impossibili da reperire proprioper le difficili condizioni in cui vive unapolide: ecco che percorrere questa viadiventa molte volte impraticabile. Laseconda, invece, è più frequentementeutilizzata, anche se i tempi si allunganoa dismisura e, con essi, i costi da soste-nere: molti, quindi, non possono per-mettersela. Ecco perché dal 25 novembrescorso è al vaglio della CommissioneDiritti umani del Senato della Repubblicaun nuovo disegno di legge sul ricono-scimento dello status di apolide, pre-sentato dal Cir e dall’Alto Commissariatodelle Nazioni Unite per i Rifugiati(Unhcr). Se tale proposta si trasformassein giurisprudenza, sarebbe garantita«una procedura semplice e accessibileper il riconoscimento dello status diapolidia – si legge sul sito della Cam-pagna “#Non esisto” - facilitando quindil’identificazione delle persone apolidipresenti in Italia e assicurando loro ilgodimento dei diritti fondamentali euna vita dignitosa». Allora, finalmente,le circa 15mila persone, che in Italiaesistono di fatto ma non civilmente,non si sentirebbero più fantasmi invi-sibili.

passato alla storia. Venendo al secoloscorso, lo stesso Einstein per cinqueanni fu apolide, in quanto rinunciò allacittadinanza tedesca (prima di acquisirequella svizzera e poi statunitense).Oggi con l’espressione “apolidi” si indi-cano due situazioni molto diverse traloro: quella in cui una persona, senzauno Stato che si faccia carico dei suoidiritti, vive privata del riconoscimentoformale della propria condizione e, diconseguenza, di ogni diritto; oppurequella in cui una persona senza citta-dinanza ottiene un riconoscimento dellostatus di apolidia da parte del Paese diaccoglienza, che gli garantisce così l’ac-cesso a documenti e diritti.Ogni nazione ha la sua legislazione inmateria, ma a livello internazionale esi-stono due Convenzioni al riguardo:quella del 1954 definisce lo status dellepersone apolidi; quella del 1961 impegnagli Stati firmatari a mettere in praticapolitiche che riducano il fenomeno del-l’apolidia.In Italia, per il riconoscimento dellostatus di apolide, si possono seguiredue procedure: una per via ammini-strativa e l’altra per via giudiziaria. Laprima è la meno onerosa, ma richiede

Il fenomeno dell’apolidia

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S cheletrico, infestato dai vermi, abbandonatoper strada, dove per otto mesi è soprav-

vissuto mangiando rifiuti. Così la cooperantedanese Anja Ringgren Lovén ha trovato unbambino di due anni scacciato dalla famigliaperché considerato uno ndoki, un piccolostregone. È accaduto a gennaio scorso nellestrade di Uyo, nel Sud della Nigeria. Fondatricedella ong African Children’s Aid Educationand Development Foundation, Anja ha creatotre anni fa un Centro per gli orfani e i bambiniabbandonati in Nigeria ed è riuscita a salvareil piccolo, portandolo subito nell’ospedale piùvicino, dove ha ricevuto trasfusioni, acqua ecibo. Dopo due settimane Hope – “speranza”è il nome che gli è stato dato - è riuscito a se-dersi sul suo lettino e perfino a sorridere trale braccia della sua salvatrice, che ha detto:«È l’esperienza più bella della mia vita. Hopeè forte, reagisce bene alle cure, presto potràavere una vita normale». Ogni giorno Anja hapostato su Facebook le immagini della guari-gione del piccolo lanciando un appello perraccogliere i fondi per curarlo. In un paio digiorni ha ricevuto oltre un milione di dollarida tutto il mondo. «Con i soldi ricevuti possiamocurare Hope e molti altri bambini condannatial suo destino - ha detto la cooperante -. Vo-gliamo costruire un ospedale pediatrico e sal-vare tanti altri piccoli da torture e violenze as-surde».Quello dei bambini stregoni, vittime di violenzefisiche e psicologiche, di torture e abbandoni,è un fenomeno diffuso e in aumento in alcuneregioni d’Africa. Secondo un rapporto del-l’Unicef basta un handicap, una malformazioneo un comportamento particolare a far accusaremolti bambini innocenti di stregoneria. In Ni-geria la piaga dei piccoli ndoki è molto diffusae la maledizione, che porta all’abbandonodelle famiglie, colpisce molti bambini anchein Somalia e in Darfur (Sudan). In Nigeriaogni anno in migliaia sono abbandonati perquesta ragione. Solo a Kinshasa nel 2010 ipiccoli ndoki erano più di 23mila, mentre conil resto del Congo si arriva a 25mila.

di Miela Fagiolo D’Attilia

ANJA E IL PICCOLONDOKI

OSSERVATORIO

DONNE INFRONTIERA

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FOCUS

Europa e Africa, Europa e Africa, destino comune

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Identità europea e futuro del continente

una bomba demografica destinata asconvolgere l’Europa, se questa nonprenderà atto della situazione costruen-do le risposte necessarie, ad iniziaredalla ripresa del progetto dell’Unioneeuro-mediterranea (43 Paesi che insiemesono un quarto del Pil mondiale) edalla consapevolezza che quello di Eu-ropa e Africa è diventato un destinocomune. La crescente pressione migra-toria di questi anni verso l’Europa, allaquale si aggiunge quella provenientedal Medio Oriente per l’imbarbarimentodei suoi conflitti regionali, è solo l’an-tefatto dello scenario che si preannuncia.Rispondere con i muri, col filo spinato,con il contingentamento settimanaledegli ingressi riservati alla disperataumanità che bussa alle porte, è inutileprima che ingeneroso. “Speranza peruna vita”, la fotografia del neonatofatto passare tra il filo spinato, scattatadi notte al confine tra Serbia e Ungheria,vincitrice dell’edizione 2016 del Worldpress photo, parla più di qualsiasi di-scorso. Perché il nuovo razzismo ècontro i poveri.

L’EUROPA E LA POLITICA DEL DONOAlcuni anni fa, chi scrive curò per la ri-vista Civitas un confronto sull’Europatra il cardinale Achille Silvestrini e lostorico Gabriele De Rosa. Era il 2004,l’Unione era appena passata da 15 a25 Paesi rispetto ai 28 di oggi. Con unriferimento del tutto attuale, il cardinaleSilvestrini faceva all’epoca questa con-siderazione: «L’Inghilterra non riescead essere né con l’Europa né contro.Arriva spesso in ritardo sulle grandiscelte europee senza mai abbandonarledel tutto. Un colpo paradossale sarebbedi affidare la presidenza della Com-missione europea a Tony Blair per vederecosa fa». Dunque il contrario di Brexit.A sua volta, il professor De Rosa, conun riferimento altrettanto attuale, sin-tetizzava nella parola “dare” la nuovapolitica dell’Unione: «Deve cominciareuna fase nuova in cui l’Europa impari adare: a dare senza ricevere, perché »

di GIUSEPPE [email protected]

C he cosa avverrà il 23 giugno2016? Il referendum sulla per-manenza dell’Inghilterra nel-

l’Unione Europea sarà un momentodella verità sullo stato dell’Unione e lesue prospettive. L’interrogativo che ac-compagna l’esito del voto passa attra-

La grettezza degliaccordi di Dublino hafinito percompromettere laliberalità di quelli diSchengen.L’immigrazione è ilprincipale problemaeuropeo, perché è quelloche più mette alla proval’odierna impalcaturapolitica, istituzionale emorale dell’Unione.

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Il campo profughi di Calais,conosciuto come la“Giungla”, dove moltemigliaia di profughistazionano con la speranza diarrivare in Gran Bretagna.

verso le divisioni dei cittadini ma anchedel partito conservatore inglese. Il con-trasto fra il primo ministro David Ca-meron, favorevole all’Unione, e i contrari- cinque ministri del suo governo e ilsindaco di Londra, Boris Johnson - ri-flette l’antico dilemma inglese se guar-dare verso la Manica e il Vecchio Con-tinente o verso l’Oceano e il NuovoContinente. Qualcuno ha notato comeperfino la bionda scapigliatura di BorisJohnson sembri la gemella di quella diDonald Trump. E già Winston Churchillnegli anni Quaranta del secolo scorso,prima del discorso di Fulton, avevaavanzato la possibilità che l’Inghilterrasi unisse in federazione con gli Usa.Di qui a pochi mesi sapremo dunque ilrisultato di Brexit e quanto questopeserà sul futuro dell’Unione. Ma pro-viamo a porre anche un’altra domanda:che cosa sarà l’Europa non del giugno2016, ma del giugno 2050? Sono menodi 35 anni: non un lontano domani maquello imminente dei nostri figli enipoti, al quale è chiamata a guardareuna accorta progettazione politica. Unarisposta la forniscono i calcoli di ungrande demografo, il professor AntonioGolini. Secondo queste stime tendenziali,nel 2050 l’Europa geografica, Russiacompresa, vedrà ridurre i suoi abitantidagli attuali 730 milioni a meno di700. Del tutto inverse sono le tendenzenel continente africano: gli abitantidel Nord Africa saliranno dagli attualioltre 200 milioni a oltre 300 e quellidella fascia subsahariana passerannoda 900 milioni a un miliardo e 750mila.

AFRICA, BOMBA DEMOGRAFICALa fascia subsahariana concentra po-polazioni tra le più povere del mondoche, se i problemi di acqua, di cibo, dienergia e di alcune forme base di so-pravvivenza economica e di protezionesociale non troveranno soluzione, spin-geranno sempre più all’esodo verso iPaesi dove c’è la risposta a questa do-manda di permanenza in vita. Quellache si prepara a esplodere è dunque

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FOCUSFOCUS

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giustamente assegnato all’Unione Eu-ropea il Premio Nobel per la pace. Giu-stamente perché l’Europa, dopo esserestata il principale teatro di due guerremondiali, da oltre 60 anni è divenutala più grande area stabilizzata di pacedel mondo. Un risultato storico: allearmi si è sostituita la diplomazia e aiconflitti la collaborazione. Ora l’Europadella pace deve diventare l’Europa del-l’integrazione: della piena consapevo-lezza di sé come modello di convivenza,di libertà, di accoglienza. L’Italia è dentroquesto gioco e, per la sua proiezionenel Mediterraneo, è al centro degli av-venimenti e delle relazioni che leganotra loro i Paesi che si affacciano suquesto mare. Perciò noi, non solo noima noi più degli altri, siamo coinvolti.All’inizio del secolo scorso lo spiegavacon efficacia Luigi Sturzo. È una culturaprima ancora di una visione politica.Ed è un percorso, iniziato negli anniQuaranta con Alcide De Gasperi, cheha visto coincidere idealità di matrice

ha ricevuto già molto. È necessario chel’Europa non si chiuda in se stessa allaricerca di un benessere più diffuso egarantito quando ai suoi confini meri-dionali c’è disparità e discriminazione.Ecco perché l’Europa dovrebbe inco-minciare a fare una politica il cuitermine principale è donare. L’Europaha già ricevuto».Il dono, sosteneva Theodor Adorno, èla violazione del principio di scambio.Nei Minima Moralia aggiungeva cheper costruire una società migliore civuole l’amore nei rapporti sociali. Unasocietà migliore intesa non come oasipacifica ma come resistenza consapevolealla strumentalizzazione e al disprezzodella vita umana: l’altruismo che diventavalore economico, un dibattito nuova-mente attuale. Uno dei prossimi santisociali sarà monsignor Luigi Di Liegro.Sarà il primo a esserlo degli immigrati,come a suo tempo lo furono dei nostriemigrati Giovanni Battista Scalabrini,Francesca Calabrini, Geremia Bonomelli,don Giovanni Bosco. Negli anni Ottantamonsignor Di Liegro dette vita al Dossierstatistico sull’immigrazione della Caritasromana per smentire, dati alla mano,una serie di luoghi comuni che ancoraoggi in parte persistono: l’immigrazionevista come una emergenza e non unarealtà, un costo e non anche una op-portunità, un’intrusione e non ancheun accrescimento umano e culturale.

L’IMMIGRAZIONE? È UN TRAPIANTO«La realtà delle cose dimostra che l’im-migrazione è necessaria e conveniente– sostiene il professor Golini - maquanta e di che tipo? L’immigrazione èun trapianto sociale che ha regole ana-loghe a quello biologico: un trapiantoche va preparato e poi accuratamenteseguito». Questo è il metodo di lavoroche l’Unione europea deve fare suonella dialettica fra le tre articolazioniche la compongono: il Parlamento, laCommissione e la Conferenza dei capidi Stato e di Governo. Nel 2012 è stato

cattolica con altre egualmente soste-nitrici della medesima prospettiva fe-deralista: un nome per tutti è quello diAltiero Spinelli, con Ernesto Rossi autoredel Manifesto di Ventotene.

DAL PASSATO AGLI SCENARI FUTURIPer venire alla cronaca, il governo ita-liano ha proposto recentemente unpiano per un rilancio dell’Unione Eu-ropea. Pubblicato il 22 febbraio scorsosul sito internet della Presidenza delConsiglio, sono nove cartelle scritte ininglese con il titolo “A shared europeanpolicy strategy for growth, jobs andstability”. I punti possono essere indicatisinteticamente così: istituzioni comu-nitarie più forti, misure per favorire lacrescita, misure per aumentare gli in-vestimenti, completamento dell’unionebancaria, rafforzamento del mercatounico, mercato del lavoro, politiche peri migranti e i richiedenti asilo. Elaboratodal Ministero dell’Economia, il pianomuove da un approccio economico per

Profughi ammassatilungo il confinegreco-macedone.

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Identità europea e futuro del continente

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eletto dal Parlamento europeo, e unParlamento europeo eletto sulla basedi liste europee e non più nazionali. Alreferendum inglese di giugno prossimosi dovrebbe opporre una iniziativa dialtro segno: se i Paesi che iniziarononell’ultimo dopoguerra il percorso eu-ropeo - Belgio, Olanda, Lussemburgo,Italia, Germania e Francia - riunendosi,annunciassero la comune volontà dicostituirsi da subito in Federazionedegli Stati Uniti d’Europa, invitandogli altri dell’Unione ad aderire anch’essiall’iniziativa, altro che Brexit.

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generare ricadute politiche, secondo lalogica avviata con la moneta unica maanche con gli interrogativi che a questalogica restano legati. Nel giugno 2012sono stati presentati alla Camera deiDeputati i risultati di una ricerca sullepolitiche della coesione europea. La ri-cerca rilevava come i punti critici diqueste politiche fossero «la conseguenzadella debolezza di una politica econo-mica e finanziaria dell’Europa non sup-portata da una Unione che sia ancheUnione politica».Unione politica significa un governo

D a una parte c’è un Paese sempre piùsoggetto a censura. Il caso del quotidiano

Zaman e del Feza Media Group è solo l’ul-timo capitolo di una saga che ha per prota-gonisti il sultano Erdogan e la soppressionedel libero pensiero in Turchia. Zaman (forsel’ultimo dei giornali critici col governo) èstato accusato di connivenza col terrorismoe costretto ad invertire linea editoriale. Dal5 marzo scorso ha un nuovo direttore e lostesso volto di tutti gli altri media fedeli alpresidente. Niente più informazione libera.Dall’altro lato, c’è una Turchia che siede alposto d’onore nei vertici europei: detta leggesull’accoglienza ai migranti e chiede soldi ai28 riuniti in sessioni straordinarie. Ottenendoascolto e considerazione. Questa Europache rifiutò l’ingresso di Ankara fra i 27 Statidell’Unione nei primi anni del Duemila, mo-tivando il proprio no con il ricorso allaretorica delle radici comuni cristiane, è lastessa che accetta di prendere ordini dalministro dal premier Davoutoglu. Pur di de-responsabilizzarsi sul fronte migranti, èpronta a chiudere un occhio sulle malefatteturche. Erdogan rischia appena di «incassarequalche timido rimbrotto sull’ennesimo,grave episodio di repressione contro lalibertà di stampa, ma ha il coltello dallaparte del manico», scrive Tonia Mastrobuoni.La Turchia si assumerà forse l’onere di “ac-cogliere” i richiedenti asilo rientrati dallaGrecia al posto di altri Paesi dell’Unione.Tanto basta a sorvolare su tutto il resto.Così mentre «Ankara chiede il raddoppioda 3 a 6 miliardi degli aiuti Ue, la liberaliz-zazione dei visti per i cittadini turchi anticipataa giugno e l’accelerazione dei negoziati diadesione», in Turchia la situazione esplode.I docenti universitari finiscono dietro lesbarre per aver scritto una lettera di protestacontro la guerra ai curdi; i giornalisti subi-scono censure. Leggo un tweet di SevgiAkarcesme del Today Zaman: «In redazionei giornalisti lavorano sotto sorveglianza dellapolizia, il consiglio d’amministrazione è ri-mosso. Alcuni non hanno internet». Evvivale radici cristiane dell’Unione.

di Ilaria De Bonis

ERDOGAN ALLACORTE D’EUROPA

OSSERVATORIO

MEDIO ORIENTE

L’aumento demografico in Africae la povertà favoriranno semprepiù l’esodo verso altri Paesi.

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L’INCHIESTA L’Iran dopo le elezioni

ventato semplicissimo - racconta Sac-chetti -; inoltre avevano costruito stradenuove, allungato la linea della metro-politana, iniziava una sensibilità specialeper l’ambientalismo. A mano a mano,ogni volta che ci tornavo, notavo unpezzetto in più». Oggi queste differenzesono più marcate che mai.«Se rientrerà presto nel circuito bancariointernazionale e riuscirà a regolamentarela questione dei visti e dello scambiocommerciale, l’Iran, che rimane sempreuna Repubblica Islamica – spiega Sac-chetti - potrà però fare i conti con unarealtà nuova». Più moderna grazie allafine delle sanzioni sul nucleare. Più in

È un Paese che cambia a vista d’oc-chio: almeno nelle grandi città.Lo skyline di Teheran è in continua

trasformazione. Bloomberg scrive cheuno dei bistrot più chic della capitale,il Monsoon, dove si mangiano sushi,calamari e toast integrali, è la patriadella cucina fusion. E non è l’unico.«Somiglia più ad un ristorante di Man-hattan che ad uno della RepubblicaIslamica», scrive. In città le differenze sinotano da un anno all’altro. Stile, ar-chitettura, locali, parchi. Divertimenti.

Libertà di movimento. Tutto si trasformae cresce.«Nel 2012 ero a Teheran, volevo mandareun sms a casa, ma non partiva. Il sistemaera bloccato, perché si votava per quelleelezioni parlamentari ed avevano impostouna censura totale. Il clima era di pauraper eventuali attacchi esterni. Ci sonotornato due anni dopo, quando avevaappena vinto Rouhani e il Paese era giàun altro». A parlarne con noi è AntonelloSacchetti, giornalista ed esperto di Iran,autore del blog Diruz che punta a farconoscere la cultura persiana e la politicairaniana agli italiani. «Già nel 2014 te-lefonare e mandare messaggi era di-

di ILARIA DE [email protected]

L’Iran al voto ha mostrato di preferire imoderati agli estremisti. È stato unplebiscito per Hassan Rouhani. Ma orail Paese dovrà vedersela con iconservatori legati alla Guida supremaKhamenei. Lo scontro è soprattuttoeconomico: liberismo ed “economia diresistenza” si confrontano.

Teheran:ritorno al futuro

Teheran:ritorno al futuro

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contatto con l’Occidente.Ma il Paese della Guida suprema (sistemacomplesso e ibrido questo, dove l’aya-tollah Khamenei ha un potere anchepiù forte rispetto a quello del presidente)non è così lineare come pensiamo.

ROUHANI IL MODERATO«I veri riformisti sono pochissimi in par-lamento», precisa Sacchetti. Le ultimeelezioni hanno visto piuttosto vincerela figura e la lista elettorale dell’attualepresidente, e indicato con chiarezzal’intenzione del popolo di premiare imoderati. «Io non direi che in Iran hannovinto i riformisti: direi piuttosto che ha

vinto proprio Rouhani. È stato unaspecie di referendum su di lui – spiegaancora -. Nei prossimi 15 mesi il presi-dente potrà certamente contare su unParlamento meno ostile».Si è votato anche per l’Assemblea degliEsperti composta da 88 esperti di dirittoislamico, che sono più vicini ideologi-camente al conservatorismo della Guidasuprema. In questa prima tornata elet-torale (del 27 febbraio scorso, ndr) imoderati hanno avuto la meglio sugliintransigenti conservatori. Anche perchéi cosiddetti “pragmatici” (conservatoridi formazione) si sono candidati nella“Lista della Speranza” di Rouhani. Al

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momento in cui scriviamo non c’è stataancora la seconda tornata elettorale(29 aprile, ndr) che vedrà la composizionedefinitiva dei seggi. Ma l’orientamentogenerale è già chiaro: il popolo iranianovuole aprirsi finalmente al mondo euscire dall’isolamento. Cominciare a fareaffari col business internazionale e stareal passo con i tempi. Rouhani è il migliorgarante di questo nuovo corso. Tuttavia,avverte Sacchetti, usare le nostre cate-gorie politiche può portare fuori stra-da.

LA VITTORIA DI TELEGRAM

«La definizione di riformisti/conservatorio destra/sinistra non si può applicareall’Iran. Nella lista che ha vinto leelezioni a Teheran, ad esempio, il capo-lista è un riformista vero, ma tra i vin-citori c’è anche Motahari che è un con-servatore dissidente, eppure si è candi-dato con i riformisti». Com’è stato pos-sibile? E cosa comporterà questo mixdi candidature?L’Economist spiega che il Consiglio deiGuardiani della Costituzione (compostoda sei teologi e sei giuristi), che vigilasulla compatibilità delle leggi con laCostituzione islamica, ha messo al bandomolti candidati riformisti sia al Parla-mento che all’Assemblea degli Esperti.«Ma i riformisti sono stati più furbi diloro: hanno compilato un elenco degliesclusi e quando hanno finito i lorocandidati hanno riempito le liste con ipiù innocui dei loro rivali. Hanno »

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zadeh e ha 31 anni. Dopolauree e master nel RegnoUnito è tornata in patria.Di lei Bloomberg scriveche «è la donna che staridisegnando il futuro pe-trolifero dell’Iran».«Nonostante la sua età –scrive il settimanale fi-nanziario – ha già colti-vato un’ampia rete di par-tner industriali durante isuoi anni all’Istituto pergli Studi sull’Energia diOxford». È tornata a casaper guidare una aziendadi consulenza, la EnergyPioneers, che ha sede siaa Teheran che a Londra.L’Iran spera di guadagnare100 miliardi di dollari da-gli investimenti esteri in petrolio e gasnei prossimi cinque anni.Tuttavia lo scontro di poteri e di visioniinterne è molto forte: la strada nonsarà tutta in discesa per Rouhani e i li-

beristi. Dall’altra parte cisono i quasi “autarchici”.Un settimanale come For-tune, ad esempio, mettein guardia: «L’establi-shment ha finora cercatodi trovare un terreno co-mune tra due grandi si-stemi di pensiero (in cam-po economico, ndr): unoè quello che fa capo a“Vision 2025”, una road-

map per lo sviluppo sociale, economico,politico e culturale del Paese, che puntaa fare dell’Iran la prima economia re-gionale interamente basata sull’infor-mazione e la conoscenza. L’altro è ladottrina dell’“Economia di resistenza”dell’ayatollah Khamenei. Che definisceun percorso basato sulla produzione in-terna, la diminuzione della dipendenzadal petrolio, l’aumento dell’export nonpetrolifero». In altre parole: «Rouhani ei suoi alleati favoriscono una interdi-pendenza economica con il mondoesterno; il leader supremo e i suoi alleaticonservatori temono l’influenza eco-nomica occidentale, vista come mezzodi infiltrazione culturale».

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L’INCHIESTA

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fatto accordi con i conservatori prag-matici». Così è nata la Lista della Spe-ranza. E questo risultato sarà un successoanche per l’elezione del prossimo aya-tollah: «L’Assemblea degli Esperti, elettaa suffragio universale, ha una funzioneimportante: è l’organo che può metteresotto impeachment o destituire la Gui-da», spiega Sacchetti. Perciò il suo orien-tamento non è affatto indifferente alsistema.Poiché Khamenei ha già 76 anni e sidice sia malato, è probabile che questaAssemblea degli Esperti sarà quella cheeleggerà la prossima guida, che è ancheComandante delle forze armate, e hal’ultima parola sull’entrata in guerra,ma non gode di un potere assoluto.«Anzitutto, c’è da ridefinire la nostranomenclatura occidentale», suggerisceanche l’analista Karim Sadjapour, in-tervistato dall’Atlantic. Per capire chel’Iran è un sistema a parte, complesso efatto di più anime. L’economia segueuna sua logica ma non è estranea alleinfluenze dei conservatori. La tendenzagenerale è comunque oggi quella diaprire le frontiere.

LA REGINA DEL PETROLIO«Le compagnie straniere dovrebberoaprire immediatamente uffici a Teheran,comprare quote delle compagnie localiche possono diventare loro agenti eaiutarle nella gestione del business»,suggerisce B.M. Hazrati, amministratoredelegato della Arsa International Con-struction. Ma «sfortunata-mente – aggiunge - ci ve-dono ancora come 15 annifa». Questo però non è sem-pre vero.I pregiudizi occidentali sul-l’Iran sono destinati a crol-lare. Anche quelli sulle don-ne: la figura di punta delmondo del petrolio iraniano,ad esempio, è una donna esi chiama Elham Hassan-

A fianco:

Il presidente iranianoHassan Rouhani,

circondato da guardie delcorpo e sostenitori.

Sotto:

Elham Hassanzadeh è allaguida della Energy

Pioneers, azienda diconsulenza petrolifera.

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Ma la cosa finora più evidente e anchequella più rassicurante è che «questo si-stema qui – conclude Sacchetti - èriuscito ad alimentare l’affezione del po-polo al sistema stesso. Dopo le elezionidel 2009 si pensava che nessuno sarebbepiù andato a votare e invece no… Gliiraniani votano e il loro voto è statopremiato! È un Paese complesso che èriuscito a coinvolgere un intero popolonel voto». Per la verità anche grazie allarivoluzione digitale che stavolta ha persinoaggirato la censura: mentre Whatsapppuò essere bloccato e Facebook criptato,Telegram no. Proprio questo sistema dichat, nato in Russia, ha consentito allacampagna elettorale dei moderati di

avere una efficacia: «Quasi tutti usanoTelegram: e questo è stato fondamentale.Il 90% dei riformisti è stato fatto fuorialle elezioni, ma nonostante ciò la Listadella Speranza ha fatto il boom». È statauna campagna elettorale giocata tantis-simo sul passaparola digitale con Telegram:il messaggio politico dei candidati esclusidal dibattito elettorale è arrivato tramitechat. Il popolo giovane e moderno dell’Iranha veicolato e ricevuto contenuti. Segnodella voglia di partecipare e di esserci.Nonostante censure e tentativi di ap-piattire il dibattito. E l’interesse per unIran moderno prosegue dopo le elezioni.Per noi sarà sufficiente osservare meglioquel che succederà.

L’Iran dopo le elezioni

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L’hummus - una salsa di ceci mista acrema di semi di sesamo (detta tahina),

succo di limone, aglio, alcune spezie e tantoottimo olio di oliva – non solo ha la partico-larità di accomunare tutto il Medio Orientema si caratterizza anche e soprattutto per lamodalità con cui viene consumata: la siserve in tavola in un piatto colmo e i com-mensali, ciascuno con un pezzetto di pita(pane morbido tondo e basso, anch’esso ti-pico dei Paesi mediorientali, usato per ac-compagnare varie pietanze), attingono tuttidallo stesso recipiente. Insomma, l’hummusunisce i commensali non solo per il gusto,ma anche per le modalità con cui la tradizioneinsegna a cibarsene. Ecco perché la singolareiniziativa di Kobi Tzafrir, proposta nel suobar in un centro commerciale a Nord di TelAviv (Israele), è stata ribattezzata “Diplomaziadell’hummus”: consiste nel garantire unosconto del 50% sull’hummus servito, solose condiviso da un arabo e da un ebreoseduti allo stesso tavolo.Quando a Tzafrir è venuta in mente la sin-golare idea, era lo scorso ottobre: in Israeleera scoppiata la cosiddetta “intifada deicoltelli” e l’avversione contro gli arabi erasalita alle stelle. L’iniziativa doveva servireproprio a stemperare gli animi: «I giornali,le televisioni, i social network parlano con-tinuamente di estremisti, e sembra che quitutto sia brutto e pericoloso. Voglio dimo-strare che non è così: generalizzare è sba-gliato», ha spiegato il geniale ristoratore aigiornalisti che hanno preso d’assalto il suobar per raccontare questa storia singolare.L’Agenzia Redattore Sociale, che in Italia hadiffuso la notizia, riporta che in questi mesigli affari del locale sono aumentati del20%: segno che la paura dell’altro, arabood ebreo che sia, di fronte ad un buon piat-to di hummus passa in secondo piano.Segno, anche, che queste due popolazioni -che condividono la stessa terra e gli stessigusti - sono molto più affini di quello che sipensa.

di Chiara Pellicci

LA DIPLOMAZIA DELL’HUMMUS

OSSERVATORIO

GOODNEWS

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LA VITTORIA DEI VINTI

Davvero una bella notizia! Madre Teresa di Calcutta sarà proclamatasanta da papa Francesco il prossimo 4 settembre. La notiziaufficiale è stata diffusa il 15 marzo scorso, in coincidenza dellafirma, da parte del santo padre, del decreto di canonizzazionedella fondatrice delle Missionarie della carità, durante il Concistoroordinario. La canonizzazione è prevista a Roma, in piazza sanPietro, anche se l’episcopato indiano sperava avvenisse a Calcutta.Sarà uno dei momenti culminanti del Giubileo della Misericordia.A questo proposito sovviene quanto disse di lei quello straordinarioosservatore del Novecento che è stato Sergio Zavoli: «Una donnache credeva negli uomini prima di ritrovare quegli uomini in Dio».

Ecco che allora la santità di questa eccellenza missionaria restaviva ed efficace nella capacità di estendere nel tempo e nellospazio, attraverso la discepolanza, il suo carisma a servizio degliultimi, di coloro che vivono nei bassifondi della Storia. Lungi daogni retorica, è in questa prospettiva di fede che diventa intelligibileil martirio delle sue quattro consorelle, avvenuto il 4 marzoscorso, compiuto da un commando di estremisti islamici che haattaccato la casa di riposo da loro gestita, nella città yemenita diAden. Si chiamavano Suor Annselna, (57 anni, India), suorMargarita (44 anni, Ruanda) Suor Reginette (32 anni, Ruanda) esuor Judith (41 anni, Kenya). Difficile, se non addirittura impossibile,umanamente parlando, trovare una sorta di legittimazione razionaleche riesca a mitigare il dolore dell’anima. Si tratta, in effetti,

S C A T T I D A L M O N D O

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A cura di EMANUELA [email protected]

Testo di GIULIO [email protected]

IL MARTIRIO DELLE SUORE DI MADRE TERESA

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della causa del Regno - deve stare con i piedi per terra, inperiferia, dove non è possibile delegare al cielo ciò che spetta aciascuno di noi e alle nostre stesse comunità. Dove MadreTeresa e le sue consorelle di Aden erano e restano, donne chehanno vissuto in umiltà e pienezza questa responsabilità battesimale.Nella consapevolezza, come la stessa Madre Teresa ebbe a direche: «Ieri non è più, domani non è ancora. Non abbiamo che ilgiorno d’oggi. Cominciamo».

di un mistero imperscrutabile, quello pasquale, che sancisce ilparadosso evangelico: il trionfo della vita sulla morte, “la vittoriadei vinti”, rispetto a cui è dovere di ogni credente preservarne lamemoria. Una cosa è certa, qualora noi uomini e donne del TerzoMillennio avessimo la tentazione di farci da parte, se non ci inte-ressasse prolungare la vita dei martiri con la nostra testimonianza,da quel momento il nostro sarà un cristianesimo formale, ma nonsostanziale. Ecco perché la Chiesa - il popolo di Dio a servizio

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S C A T T I D A L M O N D O

Suor Annselna, suor Reginette, suor Judith e suor Margarita.

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IL MARTIRIO DELLE SUORE DI MADRE TERESA

La casa di riposo per anziani dove il 4 marzo scorso un commando di estremistiislamici ha ucciso le quattro suoreMissionarie della Carità in Yemen.

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A chi li ha visti fare le conserve di pomodoro, in aperta campagna, aiutati da mam-me e nonni, con i pentoloni di rame e le bottiglie di birra riciclate, è sembrato di

tornare indietro di 50 anni. Qualcuno deve aver pensato che fosse un set cinemato-grafico. E invece era proprio vero: una decina di ragazzi pugliesi, assieme ad alcunigiovani dell’Eritrea, del Ghana e di altri Paesi africani, con l’etichetta Sfrutta Zero, aluglio scorso hanno confezionato centinaia di conserve di salsa rossa, comprando ipomodori da chi non sfrutta la manodopera. E non lavora con il caporalato.È il progetto Netzanet di Bari, finanziato con il crowdfunding nel 2014 e realizzato dal-l’associazione Solidaria in rete con altre associazioni del Sud. Che nel 2015 diventaun progetto comune con una etichetta comune: Sfrutta Zero.«In questi ultimi due anni abbiamo trasformato circa 26 quintali di pomodori: 10 nel1014 e oltre 16 l’anno dopo. La prima volta li abbiamo acquistati da Abdul, giovanemigrante che si è sottratto al caporalato e coltiva un pezzo di terra vicino Venosa; l’al-tra metà l’abbiamo presa dalle campagne di Giuseppe, laureato in lettere e socio diSolidaria che ha scelto questo lavoro vista l’impossibilità di fare l’insegnante. Col-lettivamente decidiamo la retribuzione del lavoro che svolgiamo. La dignità per noi è

Netzanet è unprogetto finanziato

con il crowdfunding

per produrre barattolidi salsa di pomodoro

coltivati al di fuoridelle logiche di

sfruttamento deibraccianti in Puglia.

La libertà del po

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centrale», ci spiega Maria Amodeo, 25anni, studentessa universitaria barese, an-che lei socia di Solidaria. Il prezzo giusto è quello stabilito da chicompra i pomodori non sottocosto.La grande distribuzione organizzata attra-verso l’utilizzo dei caporali paga poche de-cine di euro al giorno. Il che significa cheil lavoro del bracciante normalmente è sot-topagato. Nonostante la sveglia alle cin-que del mattino, la schiena piegata al soleper dieci ore al giorno, la fatica di racco-gliere pomodori nei filari, senza tregua, conla mannaia del tempo e della quantità. «Icontadini – che sono sempre più anche ita-liani – vengono pagati una miseria. Vivia-

mo tutti sotto lo stessocielo di precarietà», diceMaria.Questo progetto nasceproprio con l’intento disfondare un muro. Ose vogliamo con l’idea diinventare un “fuori merca-to”, fatto da una rete di perso-ne che dal mercato verrebberosfruttate. E uccise. Sono i mi-granti, i precari, i disoccupati, gli stu-denti senza grandi prospettive da-vanti.«L’obiettivo del progetto Sfrutta

Zero – dicono gli attivisti di “Diritti a

Sud”- è incidere sulle filiere agro-alimen-tari, oggi nelle mani delle mafie, per pro-vare a cambiare le relazioni non solo tradatore di lavoro e dipendente ma anche traproduttori e consumatori, tra campagna ecittà».«È un lavoro che richiede tempo e noi nonabbiamo la pretesa di creare un sistemaalternativo a quello capitalistico – puntua-lizza subito Maria che pur essendo una so-gnatrice sa stare coi piedi per terra -; madentro questo sistema ci sono delle fallee noi ci infiliamo in questo varco».Come nasce il progetto Netzanet? Non sitratta di un’idea estemporanea. Netzanet

(libertà, in tigrino) è il progetto madre diautoproduzione dal quale è poi nato Sfrut-

ta Zero (l’etichetta che si trova sulle bot-tigline di pomodoro, ndr).Tutto inizia nel 2008, quando Solidaria diBari, costituita da 20 persone (rifugiati po-litici e giovani italiani) inizia a sostenere i

migranti attraverso per-corsi di inclusione. «Il primo anno abbiamovoluto trasformare i po-modori all’interno dell’ex

liceo classico Socratedi Bari, oggi

»

pomodoro »

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ti. Nardò è lo stesso Comune del Salen-to dove lo scorso anno è morto Moham-med, bracciante stagionale di 47 anni cheha lasciato moglie e due figli in Sicilia. Ave-va fatto la raccolta delle patate a Siracu-sa e poi quella dei pomodori in Puglia. Nonha retto alle tante ore di fatica sotto il sole,senza pause.«La sera prima di morire ha cenato nelghetto; il giorno dopo alle 13, o alle 16, èmorto», avevano denunciato i ragazzi diDiritti a Sud. Quei pomodori raccolti colsangue degli uomini costano cinque eurola cassa: 350 chili di oro rosso pagati po-chi euro, da cui bisogna togliere la quotaper il caporale e quella per il trasportato-re nei campi. Oggi nelle campagne di Nar-dò, duemila piantine di pomodoro stannogià crescendo, coltivate con cura, sudue terreni che erano incolti e che i pro-prietari hanno affidato a Diritti a Sud.Quando si è insieme, e in rete, le idee pro-liferano: per il 2017 i ragazzi di Solidariavorrebbero prendere in affitto un terrenoe mettersi a coltivare la terra assieme aimigranti: «Accedere ad un terreno colti-vabile non è facile ma è quello che voglia-mo. Noi siamo dei sognatori…», confidaMaria. E noi sappiamo che i sogni collet-tivi si realizzano sempre.

La trasformazione dei pomodori in salsaè lunga e laboriosa: si inizia immergendo-li in una grande tinozza piena d’acqua, poili si taglia e li si mette in un calderone perla cottura. Infine bisogna passarli e filtrar-li e imbottigliarli con le foglie di basilico.Un lavoro che l’estate prossima coinvol-gerà un’intera comunità di persone.«Quest’anno i pomodori li compreremo aNardò, un grosso comune vicino Bari e dal-la cooperativa Diritti a Sud», che cerca ditutelare i diritti dei braccianti e dei migran-

casa dei migranti, grazie ad un progetto diautorecupero d’intesa col Comune». Netzanet è dunque il frutto di anni di lavo-ro con i migranti, l’associazionismo e leoccupazioni abitative. È la confluenza distorie, idee, energie e percorsi con com-pagni di strada che entrano a far parte del-la rete.Maria dice che ha la consapevolezza di ap-partenere ad una nuova classe sociale, fat-ta di persone accomunate dal vivere sul-la propria pelle gli effetti della crisi. I migranti e gli italiani precarisono socialmente identici nonantagonisti: «Anziché stare dasoli noi preferiamo praticarecollettivamente».Nel 2016 l’autoproduzione disalsa cresce ancora e Sfrutta

Zero rilancia: «Anziché in aper-ta campagna saremo da metàagosto ad imbottigliare salsa neilocali di una masseria vicinoBari», racconta ancora Maria,che invita tutti a prender parteall’evento. «I proprietari fannoparte di una realtà di Orti socia-li. Dovremmo riuscire a produr-ne 25 quintali per circa 2.500vasetti di salsa. La novità è cheandremo avanti anche grazie adun progetto finanziato dallaChiesa Valdese», dice.

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I MISTERI DEL DEEP WEB

di Roberto Bà[email protected] P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 6

NEI CANALI DELLE “RETI PARALLELE” A INTERNET SI VENDONO ARMI,DOCUMENTI FALSI, DROGHE DI OGNI GENERE, ESSERI UMANI, BAMBINIVITTIME DELLA PEDOPORNOGRAFIA. È LA CRIMINALITÀ GLOBALIZZATACHE NAVIGA NEI MARKET PLACE ON LINE DELL’ILLEGALITÀ. E IL DEEPWEB È LO SPECCHIO CIBERNETICO DI UN SEMPRE PIÙ MISTERIOSO DEEPWORLD, QUEL PIANETA PROFONDO CHE NON RIESCE PIÙ A TROVARE LOSPAZIO PER ESSERE RACCONTATO AI CITTADINI, A NORD COME A SUD.

Cosa scorre negli abissi di internet?

Cosa scorre negli abissi di internet?

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in comune, si innamorano, si lasciano, sfoganoantichi dolori e nuove felicità. Bene, il nostroamico adesso è proprio certo di avere chiaro quelche avviene sul pianeta ed anche di più.Non gli interessa che nello stesso momento, dallaSiria allʼIraq, dalla Libia allʼEgitto o allʼAfghanistan,dalla Nigeria al Centrafrica, dalla Somalia al Sudaned in decine di altri Paesi, milizie armate o gruppidi guerriglieri combattono la loro guerra quotidianafatta di stragi, attentati, morti e feriti. Conflitti chemietono vittime a migliaia, quasi sempre inermicittadini civili. Non gli interessa perché di questecose si parla poco e soprattutto male, senza ap-

A l mattino il signor Rossi accende il pc e siconnette ad internet. Lui è convinto di avere

la chiave giusta per entrare nel centro del mondo.Un click, Google e subito tutto è lì, con la sua cro-naca di pace e di guerra, di tragedie, ricette, oro-scopi, gossip.Subito dopo, Rossi parte per il tour dei cosiddettisocial network: Facebook, Twitter, Google+, Pin-terest, Flikr, Linkedin, Myspace, Instagram, Youtube,Vimeo, Tumblr.Lì, nelle presunte nuove polis cibernetiche, le“persone” lanciano appelli, stringono amicizie,scambiano pareri ed opinioni, decidono vacanze

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profondire o con lʼunico obiettivo di indicare chi èbuono e chi è cattivo, a seconda degli orientamentipolitici di chi racconta i fatti.Il signor Rossi neppure immagina che a Washingtone Mosca, a Londra, Parigi e Pechino indaffaratistrateghi studiano come “governare” il pianeta esoprattutto senza che nessuno se ne accorga. Edinfine, poi, è del tutto impossibile anche solo fargliimmaginare che il movimento del suo mouse è insincronia perfetta con un altro mouse, quello cheAbu Bakr al-Baghdadi manovra per comunicareal suo esercito la tattica del giorno dal suo quartiergenerale segreto chissà dove.Abu Bakr al-Baghdadi? Chi è costui? È il capodello Stato islamico, al-Dawla al-Islāmiyya, ai piùnoto col vecchio acronimo Isis, Islamic State ofIraq and Syria, in arabo ad-Dawla al-Islāmiyya fīal-ʿIrāq wa l-Shām, ovvero Dāʿish o Daesh. In-somma, quelli che tutti i giornali e telegiornalichiamano i “tagliagole”. Per concludere, il signorRossi non sa che, mentre lui “smanetta” col suocomputer, il centro del mondo vero è molto lontanoda lui. Ed anche è allʼoscuro del fatto che la suaamata rete non è affatto la torre della trasparenzadalla quale è affascinato.

Web e terrorismoIn questi ultimi mesi, dallʼattentato di Parigi delgennaio 2015 al giornale satirico Charlie Hebdo

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agli altri avvenuti in seguito, si è sviluppato un for-tissimo timore per il terrorismo. «Gente di tutto ilmondo, il momento è grave. Il 7 gennaio 2015, lalibertà di espressione è stata attaccata. I terroristihanno fatto irruzione negli uffici della rivista CharlieHebdo e assassinato diversi designer, giornalistie due poliziotti. Attoniti e sconvolti, non possiamolasciarci abbattere. È nostro dovere reagire. Siamotutti colpiti dalla morte di Cabus, Charb, Tignous eWolinsky, artisti di talento che sono stati massacratiper le loro opinioni e per la libertà di stampa.Charlie Hebdo, una figura storica del giornalismosatirico, è stato preso di mira da sicari vigliacchi.Anonymous ha sempre combattuto per la libertàdi espressione e la libertà di stampa». Tra i nuoviprotagonisti del web non può mancare Anonymous.Di che si tratta, cosa indica questa parola? La-sciamolo spiegare a loro stessi: «Anonymous èun collettivo e come tale non possiede unagerarchia propria. I contributi dei partecipanti ven-gono dati solo sulla volontà comune di un cam-biamento globale. I nostri sostenitori e collaboratorisono non solo esperti di sicurezza informatica e siriconoscono nello spirito dellʼhacktivismo, maanche normali cittadini che contribuiscono contraduzioni di testi in varie lingue, designer

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di Giulio [email protected]

D read pirate, pseudonimo del 30enne californiano RossUlbrich, è stato acciuffato, condannato all’ergastolo e al ri-

sarcimento di 184 milioni di dollari. Il “Signore della Silk Road2.0” è stato individuato dopo una lunga operazione dell’FBI cheha chiuso il market place del deep web (o darknet che dir sivoglia) che faceva affari per un milione di dollari di bitcoin e180mila euro in ogni tipo di traffico illecito: soldi, armi, droghe,documenti falsi, oro e argento. Era il 6 novembre 2014 e, due oredopo il blocco, era già entrata in attività la “Silk Road 3.0”.Unarete internazionale di gestori insospettabili, che come in un bazarvirtuale, tenevano la loro “vetrina” accanto a quella di altri mercaticome Hydra, Cloud 9, BlueSky, Pandora, Alpaca, The Hub.Targata “made in Italy”, Babylon non era da meno. Come ha di-

OPERAZIONI DELLA POLIZIA POSTALE ITALIANA IN DARKNET

mostrato l’operazione della Polizia postale italiana che, nel luglio2015, ha portato al primo sequestro in Europa di un vero eproprio mercato virtuale nascosto nella darknet.Il lavoro è partito molto prima, grazie all’impegno degli agentisotto copertura del Centro nazionale per il contrasto della pedo-pornografia on line (CNCPO), fin dagli anni Novanta terrenopilota delle investigazioni sul cybercrime. Le indagini su Babylon,durate tre anni, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafiadella Procura della Repubblica di Roma, si sono «focalizzate sucomunità pedofile presenti nella Rete Tor - si legge in uncomunicato – e hanno consentito alla Polizia di Stato, per laprima volta in Italia, in collaborazione con Europol, di individuare

Così fu espugnata Babylon

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un market placedell’illecito, ove sonopresenti attività ille-gali di ogni genere.Anche i traffici dellapedopornografia siricongiungono allenuove frontiere del-l’e-commerce illegaleche utilizzano il deepweb, quello non se-gnalato dai motori

di ricerca, ove la cybercriminalità gestisce volumi di affari faraoniciscanditi dalla cryptomoneta bitcoin».

In questo paradiso telematico in cui vige l’assoluta anonimizzazionedi tutte le connessioni, gli investigatori hanno esaminato alcunetracce informatiche per risalire, leggiamo ancora nel comunicatodella Polizia postale, «ad una fonte rivelatrice da scardinare edopo laboriosi tentativi hanno individuato un hidden service(servizio web anonimizzato) all’interno della Rete Tor, gestitodall’Italia. Complesse perquisizioni informatiche, contestuali a

grafici che producono materiali e locandine, cheeditano e compongono video o anche solo chipartecipa alle discussioni nei nostri canali offrendoidee e consigli».

Libertà di opinioneIl collettivo quindi a proposito del terrorismo di Isisha le idee chiarissime: «Non smetteremo mai.Anonymous ricorda ad ogni cittadino quanto la li-bertà di stampa sia uno dei principi fondamentalidella democrazia. È responsabilità di tutti difenderla.Abbiamo sempre lottato per la libertà di espressione.Non ci fermeremo ora. Attaccare la libertà diespressione è attaccare Anonymous. Noi non lopermettiamo. Tutte le aziende e le organizzazioni

connesse a questi attacchi terroristici sʼaspettinouna reazione massiccia di Anonymous. Vi rintrac-ceremo. Vi troveremo e non ci fermeremo mai.Noi siamo Anonymous. Noi siamo la Legione. Noinon perdoniamo. Noi non dimentichiamo. Aspet-tateci». Insomma, per gli informatici ed i sostenitoridi questo gruppo anche in internet cʼè la guerra.É una guerra dura contro il Califfato di Abu Bakral-Baghdadi. Ed anche questo il signor Rossi nonlo sa. Lo Stato islamico organizza un gran numerodi iniziative in rete non solo per rendere note lesue posizioni, ma soprattutto per reclutare sostenitorio chi vuole far parte della milizia vera e propria. IlCaliffato ha elaborato una strategia più complessadi quelle messe in piedi nel passato da altre forze

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EBquelle domiciliari, condotte in Campania con il supporto dicolleghi dell’Europol, a carico del gestore degli spazi web Tor(dove le comunità pedofile scambiano informazioni per reperireil “materiale di nuova produzione”), hanno confermato l’ipotesiinvestigativa principale: Babylon, il market place tra i più gettonatiper i traffici illeciti del darknet, era gestito da un italiano. Oltre allavendita di armi, passaporti di diverse nazionalità, di documenti diidentità, carte di credito e buoni pasto falsi, carte pay tv satellitari,servizi di hacking, il sito ospitava circa 210 venditori di droga. Ilbusiness annoverava anche i traffici di stupefacenti relativi alservizio web di “Pablo Escobar”. Di assoluta novità il rinvenimentodi 14mila wallet di cryptomoneta bitcoin - portafogli virtuali -sottoposti a sequestro, che ha consentito di ricostruire il volumedi affari. Analisi forensi del materiale in sequestro hanno permesso

l’evoluzione delle indagini nei canali di cooperazione internazionalee la prosecuzione della collaborazione con Europol e con FBI».Su Babylon si potevano acquistare kit di hackeraggio, manualiper clonazioni di carte di credito, manuali per mantenere la navi-gazione internettiana in anonimato. Insomma una vera autostradaper la criminalità internazionale con 14mila iscritti di tutte lenazionalità. La dottoressa Elvira D’Amato, vicequestore aggiunto

terroriste. LʼIsis, infatti, si rivolge anche a cittadinioccidentali, a quei giovani emarginati che vivononelle periferie degradate delle grandi città. Sonoragazzi che non trovano nessuna opportunità persentire un legame di appartenenza alle societàdelle quali fanno parte e che facilmente si lascianoattrarre dalle follie dellʼintegralismo. Non si devedimenticare come lʼOccidente, il cosiddetto Nord

del mondo, sia abitato “soltanto” da un miliardo e200 milioni di individui, pur disponendo di una ric-chezza quasi 19 volte più alta di quella di qualsiasialtro essere umano che dimori sul pianeta.

La propaganda digitale del CaliffatoIl Sud, la parte povera della Terra, è abitato daoltre quattro miliardi di individui e rappresenta »

Anonymous è un collettivo nato con loscopo di tutelare la veridicità e la libertà distampa e di informazione in internet.

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e direttore del CNCPO (recentemente insignita dal presidenteMattarella dell’onorificenza al Merito della Repubblica per essersidistinta per il suo impegno civile), parlando delle best practices

per evitare reati in rete spiega che «il nostro obiettivo, peraltrocondiviso a livello internazionale, è identificare gli utenti darknet,chi c’è dietro lo scambio di materiale illecito frutto di abusisessuali di piccole vittime; le indagini sottocopertura per il contrastoalla pedopornografia sono ancora una volta la “porta d’accesso”al mondo parallelo della Rete anche nei luoghi più impervi comeil deep web. I risultati investigativi hanno dimostrato che l’anonimatonon è un’arma invincibile». Il servizio del CNCPO è particolarmenteattivo sul fonte dell’investigazione sull’uso di sistemi di anonimiz-zazione della navigazione, prime fra tutti le cosiddette Reti Tor, lereti alternative e i canali del web profondo. Nel febbraio 2014, incollaborazione con la Procura della Repubblica, è stata portata atermine l’operazione “Sleeping dogs” che ha permesso l’identifi-cazione di una quindicina di soggetti responsabili di produzione e

solo il 16% dellʼintero Prodotto interno lordo delnostro pianeta.A questa differenza immensa di opportunità trauna minoranza ricchissima ed una maggioranzapoverissima si deve aggiungere, dopo lʼultimagrande crisi economico-finanziaria, una crescitaesponenziale della povertà e dellʼemarginazionenello stesso Nord, dove sono aumentate le diffe-renze tra ricchi e poveri e dove le fasce di giovani,le cui origini familiari sono nordafricane o comunqueextra europee, soffrono un disagio sociale inam-missibile. Isis lavora anche con internet per con-vogliare quei ragazzi nati in Occidente e per tra-sformarli in propri militanti.Lo scopo è disintegrare la sicurezza del Nord, or-ganizzando azioni terroristiche di cellule direttedirettamente dal “comando centrale” o compiuteda “lupi solitari” coinvolti dalla propaganda digitaledel Califfato e pianificata da esperti spesso formatisinegli Stati Uniti, in Francia o Regno Unito. Eccoperché la rete in questo scenario ha un ruolo im-portante e perché Anonymous ha dichiarato lasua guerra.Ma la vicenda non si esaurisce qui e come in tuttele cose esistono i “segreti”.Oltre la “piccola internet”, quella che tutti conosconoe nella quale si naviga anche attraverso Google ograzie alle informazioni trovate sui social, esisteuna “grande internet”, un mondo occulto che sichiama deep web, in italiano “web profondo”.

Profondo webGià oltre 15 anni fa si stimava che nella retefossero disponibili oltre 550 miliardi di documenti.Di questi, il potente motore di ricerca di MountainView, ne ha trovati solo due miliardi, ossia meno

Abu Bakr al Baghdadi, autoproclamato califfo dello Statoislamico, utilizza la “rete” per fornire indicazioni al suoesercito ma anche per reclutare nuovi affiliati e sostenitori.

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dellʼ1%. Gli altri dati sono sconosciuti, o megliosono reperibili solo per chi sa muoversi nelletenebre della cibernetica. Così nel deep web sipossono comperare con estrema facilità documentifalsi, armi, sostanze stupefacenti, organi, persino

esseri umani. Come nella società materiale nellemaglie della “rete profonda” regna lʼassoluta ille-galità. Il fatto è che, se colpire la azioni dellʼIsis odi altri gruppi terroristici nel web “noto” è possibile,non altrettanto facile, se non impossibile, è sman-tellare le organizzazioni criminali che si muovononel “web profondo”. Questo vuol dire che chiunquepuò trovare il modo per comperare un “vero” pas-saporto americano o olandese o belga o di qualsiasialtro Paese e superare frontiere e controlli. Chechiunque, arrivato a destinazione, può trovareunʼarma pronta o esplosivo che lo aspettano. Chereperire documenti sul come costruire ordigni, or-ganizzare azioni violente, mettere in piedi omicidimirati è possibile con lo stesso mouse e la stessaconnessione che il signor Rossi usa per guardarele foto di suo nipote su Facebook. Questo problemaapre un dubbio colossale sulla libera circolazionedelle informazioni. Chi pensa sia sufficiente stringerei controlli di polizia nella “società reale” e limitarela navigazione su internet non comprende lo »

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divulgazione di materiale pedopornografico, certi di rimanereanonimi navigando nelle reti sommerse del deep web. Si leggenel comunicato di annuncio del successo dell’operazione daparte della Polizia postale che «sono le darknet i nuovi circuitidella rete più prossimi ai reali produttori del materiale pedopor-nografico, ovvero a soggetti che abusano di piccole vittime edadoperano la propria “merce di scambio” come effetto moltiplicatoredi nuovi abusi su commissione. Le reti legate alla pedofilia, aitraffici illeciti di armi, di esseri umani, di droga, di denaro sporcoed i gruppi terroristici si avvantaggiano, a livello transnazionale,dei sistemi più efficaci della comunicazione globale; anche ilmercato più turpe della pedopornografia oggi viaggia sottotracciaed utilizza le reti nascoste nel deep web, garante dell’anonimatoper gli internauti che lo popolano». (a cura di M.F.D’A.)

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da affrontare e sui quali molti leader politici sonodel tutto impreparati. Non sarà possibile sconfiggerela violenza affidandosi alla sola attività di investi-gazione e repressione. La violenza nasce da quel-lʼimmenso canyon che separa Nord e Sud, dal di-sagio sociale, dallʼemarginazione, dal razzismo.Senza affrontare lo squilibrio tra i due mondi, lalotta per la pace è sconfitta in partenza.Il deep web è lo specchio cibernetico di un semprepiù misterioso deep world, quel pianeta profondoche non riesce più a trovare lo spazio per essereraccontato ai cittadini, a Nord come a Sud. Certo,in questo scenario internet, la sua diffusione, lapotenza della rete di trasmissione di dati giocanoun ruolo cruciale, ma se al più presto non siapriranno le finestre sullʼimmenso buco nero cheriguarda il futuro del pianeta, il rischio che il purprecario equilibrio salti del tutto potrebbe diventareuna tragica realtà.

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stato delle cose. Per le forze di polizia ed i servizisegreti è impossibile controllare miliardi di persone,figurarsi catalogare decine di miliardi di documentiin circolazione nelle reti informatiche.

Armi non virtualiE poi, come arrivano le armi sul mercato clandestino?Come ci arrivano i documenti di identità falsi maverosimili? E chi sono gli esperti “in chiaro” checollaborano alla redazione “in nero” dei manualiindispensabili per costruire bombe ed ordigni vari?Ancora, si tratta di azioni messe in atto da organiz-zazioni terroristiche o succede a volte che ad uti-lizzare il deep web siano i servizi segreti di Paesi“buoni”, che agiscono per mettere in crisi altrigoverni o aziende di nazioni concorrenti o governiconsiderati ostili? Il terrorismo, la lotta al terrorismo,le azioni di contrasto, come quelle di Anonymousnel web, sono diventati argomenti molto complessi

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«I ponti esistono ma il problemadella missione non sono i ponti.Sono le persone che non col-

gono l’occasione missionaria e non liusano abbastanza…». Don Lucio Nico-letto, fidei donum della diocesi di Padovain missione in Brasile dal 2005, ci parladella sua esperienza ormai decennale. Edi come vorrebbe che fosse messa afrutto anche in Italia. Lo raggiungo altelefono in una giornata particolare: lavigilia di un viaggio in una delle zonemeno conosciute del Brasile, Roraima.Don Lucio, il suo compagno di missionedon Benedetto Maria Zampieri, e donGaetano Borgo, direttore del Cmd di Pa-dova, sono pronti al decollo da Rio, perrispondere all’invito dei vescovi e stringeregli ultimi accordi prima di partire peruna nuova missione in questa spettacolarezona del Nord, al confine con il Vene-zuela.

Lo Stato di Roraima è conosciuto pae-saggisticamente per la sua omonimamontagna piatta: in qualunque partedella Gran Savana ci si trovi è impossibilenon lasciarsi incantare dalla vista diquesto immenso monte che forma unlabirinto di valli, gole e altipiani. Lo Statoin questione è però travagliato dallalotta intestina che la popolazione indigenada anni conduce in difesa della MadreTerra. Gli Yanomami, i Makuxi, i Patamona,gli Ingaricò del Roraima hanno bisognodi tutto il supporto missionario.In una lettera congiunta pubblicata daimissionari della Consolata tempo fahanno scritto: «Viviamo sotto la minacciacostante di essere invasi da latifondisti,risicoltori, garimpeiros (cercatori d’oro,ndr), industriali del legname e delleminiere (nazionali e multinazionali): sonoquesti i maggiori responsabili della di-struzione dell’ambiente e della nostrasopravvivenza».Mentre don Lucio mi spiega queste coseaccendendo la mia curiosità e la

Padova: filo diretto col Brasile

di ILARIA DE [email protected]

Il Centro missionario diocesano (Cmd)di Padova è in sinergia con i suoimissionari nel mondo: il direttore, don Gaetano Borgo, dal Brasile, ci racconta perché le antennemissionarie sono così importanti.

Padova: filo diretto col Brasile

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀViaggio nei Centri

missionari diocesani

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voglia di vedere meglio, sento l’entu-siasmo nella sua voce per l’inizio di unanuova vita.«A partire da metà giugno saremo tragli Indios delle comunità fluviali rurali.Indigeni, terra e diritti in Amazzonia:temi che mettono in evidenza un nuovofronte missionario, quello che chiamereiazione socio-trasformatrice del Vangelo».Una nuova versione della Teologia dellaliberazione.Eppure sento anche un po’ di disagioquando parliamo di quanto poco laChiesa approfitti di questo e di altri“ponti missionari”. «Mi rendo conto chealle volte chi approfitta di più della miatestimonianza, della mia presenza, sonocoloro che vivono fuori dalla Chiesa eche hanno sete di sapere e di vedere»,dice don Lucio.Ma allora, ci chiediamo, cosa deve fareun Centro missionario diocesano peressere davvero all’altezza dei suoi mis-sionari nel mondo? Risponde don GaetanoBorgo che gestisce uno dei Centri piùall’avanguardia al Nord. «Ogni missionarioè un’ottima antenna – ci spiega - Noistiamo puntando sui giovani e sullascuola di animazione missionaria, che èun’esperienza da condividere e raccontareportando i ragazzi in missione».Don Gaetano sa bene che il missionario«non è un prete esotico che vive lontano»,da aiutare con qualche donazione o

tutt’al più da ricordare nella preghiera. Èpiuttosto una grande risorsa, se messonella condizione di non perdere i contatticol resto della Chiesa. «Chi rientra – dicedon Gaetano - può avere delle chiavi dilettura per capire meglio il mondo». Bi-sogna che questa parte di mondo abbiaperò la stessa voglia di aprire gli occhi. Edi agire. «La funzione svolta dai missionariè fondamentale per le nostre comunitàcristiane, che spesso sono accovacciate.La missione va vissuta con creatività.Non è detto che il Cmd non possa farlo.Il rientrato è chiamato a fare dono della

missione e chi rimane è chiamato ad ac-cettare il dono». A Padova ad esempio larealtà virtuale, i blog e i social aiutano ipartenti a non sentirsi avulsi e lontani:«Abbiamo stabilito un filo diretto con ilnostro ex vescovo, monsignor AntonioMattiazzo, ad esempio, partito per l’Etiopiache aggiorna con continuità il suo blog».Il Cmd di Padova non è un ufficio dovesi sbrigano delle pratiche, ma piuttosto«un centro dove sono chiamate a confluiretutte le forze missionarie esistenti nelladiocesi e sul territorio. È contempora-neamente luogo e strumento privilegiatodella coscienza e dell’impegno missionariodella Chiesa padovana». Per esempioascoltando le parole di don Lucio o didon Benedetto, (ma come loro decine dialtri missionari della diocesi impegnati

in un dono missionario affascinante), sicomprende molto di più del Brasile edella sua gente.«Sono arrivato nel 2005 alla periferia diRio - racconta don Benedetto -. Il mioservizio è diviso tra parrocchie, Seminarioe settore giovani. Questi giovani fannoeco ad un desiderio profondo di crederenel Vangelo: il ragazzo carioca è pienodi energia ed è solare. La sua vita sisvolge praticamente in strada, luogo direlazioni ma anche di contraddizioni ecriminalità. C’è una gioventù ferita.Mentre dentro la Chiesa la gioventù bra-

siliana che sente il peso della propostareligiosa si sente protagonista di unanuova Chiesa e corrisponde ad una lineapastorale che il Brasile vuole sviluppare.È l’azione socio-trasformatrice del Van-gelo».Benedetto non è arrivato in Brasile damolto tempo: «Sono qui dall’8 settembrescorso e sono stato tre mesi in Brasiliaper studiare portoghese e tematiche in-digene, ho vissuto anche una settimanain una famiglia brasiliana dove ho capitoun pochino meglio alcune dinamichedella struttura famigliare brasiliana e poisarò per un mese in missione con igiovani in Rondonia».La voglia di conoscere ci spingerebbe adincontrarli di persona quando sarannoin Italia.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀViaggio nei Centri

missionari diocesani

A destra, don Lucio Nicoletto e don Benedetto Maria Zampieri, missionari in Brasile.

Don Gaetano Borgo, direttore del Cmd di Padova.

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L a storia di William Quijano - Samyper gli amici - è quella di un gio-vane salvadoregno che, in un con-

testo difficile e violento, non perde lasperanza, non si fa frenare dalla paura,investe sull’educazione alla pace e allanon violenza.William nasce il 7 luglio 1988 a SanSalvador. Perde il padre all’età di 14anni e si trasferisce con la madre nelsobborgo di Apopa, a una ventina dichilometri dalla capitale. È un ra-

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La colombadella paceal posto deltatuaggio

La colombadella pace

di FRANCESCO DE [email protected]

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Disagio giovanile in America Latina

La sfida dell’aggregazione di molti giovani, a rischionelle metropoli latinoamericane, è il principaleimpegno delle Scuole della Pace, fondate dallaComunità di Sant’Egidio. In El Salvador la storia diWilliam, un ragazzo di Apopa (un sobborgo dellacapitale), che frequentava una di queste scuole,racconta le speranze e i drammi di intere generazioniesposte alla violenza delle maras, gang giovanili.

William Quijano asinistra nella foto.

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gazzo come tanti, solo più alto, piùespansivo. Come altri sogna un futuromigliore per sé e la propria famiglia.Continua perciò a studiare, si diplomaall’Instituto Nacional de Apopa e tentala strada dell’università, facoltà di Legge.Ma non ce la fa a mantenersi agli studi.Quando gli si offre l’occasione di unimpiego a tempo pieno, come promodorsportivo presso il Comune di Apopa,opta per il lavoro.Non diversamente dagli altri giovanidella cittadina, William soffre un am-biente che - scrive in un quaderno cuiaffida riflessioni sparse - «è divenutoestremamente violento, accade unamorte dietro l’altra; e non esiste unacoscienza sociale che sostenga la gen-te».L’America Latina si affaccia infatti al-l’inizio del Millennio come un continente

alla ricerca di nuovi riferimenti ed equi-libri. Alle antiche questioni sociali, ancorairrisolte, si aggiungono altre drammaticheferite, la penetrazione delle narcomafiee l’esplosione del disagio giovanile, av-velenato dal fascino della violenza.Così sono nate le maras, gang che at-traggono una giovane generazione sra-dicata, poco scolarizzata, senza pro-spettive chiare per il futuro. Si affermanocon la sottomissione e il terrore, maconferiscono rispetto a chi vi aderisce,danno identità a chi non ce l’ha. Alconfronto armato politico-ideologicodei decenni Sessanta, Settanta, Ottanta,si sono sostituiti la guerra tra bande,l’assassinio come scommessa e la violenzadiffusa. El Salvador, Paese di circa seimilioni di abitanti, registra ogni annomigliaia di omicidi: 3.332 nei primi settemesi del 2015, ad esempio, cioè 16

vittime al giorno.Le maras fanno adepti tra i minori,anche giovanissimi. Prosperano come ilfrutto amaro di una violenza seminataper decenni, sono il surrogato di unsogno di successo e di ricchezza.La risposta degli Stati centroamericanial fenomeno è stata fondamentalmenterepressiva. Emblematici i nomi di duepacchetti anti-gangs messi in campoda El Salvador: Mano Dura e SuperMano Dura. E però, nonostante gli arresti,al di là delle dichiarazioni forti, non siintravede la fine della violenza. Forsequel che manca non è una mano dura,ma una mano amica, da tendere agiovani e adolescenti prima che siatroppo tardi. La Comunità di Sant’Egidiosi occupa da anni di questi giovani a ri-schio. Ha compreso che la sfida si giocasul terreno dell’aggregazione, della pa-

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La sua adesione gioiosa e comunicativaè importante per la Comunità del Sal-vador. Tra coloro che si recano a Romanel 2006 per un tempo di fraternità e diformazione, c’è anche William, che tornaad Apopa entusiasta di quel che havisto e ascoltato. Il 2006 è in effetti unanno importante per William, centralenella costruzione di un “io” più maturo,più consapevole, nell’elaborazione delsuo sogno largo e umano per i giovanidi Apopa. E non solo per il viaggio inItalia.Ricorderà M.: «Doveva essere l’anno cheandò a Roma. Mi raccontò della faidache era scoppiata tra il suo pasaje e ilpasaje vicino. Tutto era cominciato percolpa di un ragazzo della sua zona, che,ubriaco, aveva dato fastidio a un altroche viveva più lontano, gli aveva toltoil cappello, la cachucha. Una cosa daniente, quindi. Ma quanto si era arrab-biato quell’altro! E quali tragiche con-seguenze tutto questo avrebbe avuto! Idue pasajes si erano dichiarati guerra:minacce, scontri, omicidi… Mi disse: “Nehanno uccisi sei, l’altro giorno, e ora cisarà la rappresaglia”. Era triste, schiacciatodall’enormità, dall’assurdità di quanto

ternità e dell’autorevolezza.Le Scuole della Pace costituiscono laprincipale articolazione di questo im-pegno di vicinanza partecipe e di edu-cazione alternativa. Centri gratuiti, do-poscuola che sostengono il bambino ol’adolescente nell’inserimento e nel suc-cesso scolastico propongono un itinerariodi crescita sano e pacifico. Sono scuole,ma anche scuole di pace, di convivenza,di rispetto di sé e dell’altro. In esse lacolomba della pace sulla maglietta osul berretto prende in tanti il posto deltatuaggio sulla carne, marchio dell’af-filiazione alla mara.William aveva conosciuto Sant’Egidionel 2005, a 16 anni e poco più. La Co-munità, che era nata a San Salvador, siradicava allora ad Apopa. William, alto,imponente, non scommette sulla fisicità,ma sulla parola, sulla comunicatività esulla simpatia. Nel Paese degli scontriegli coltiva l’arte dell’incontro, con in-genuità, con trasporto, senza paura. DiràK.: «Lo ricordo sempre col sorriso, nonriesco a figurarmelo triste. Era allegro,scherzoso. Viveva una gioia profonda».

Disagio giovanile in America Latina

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stava avvenendo. Erano morti dei giovaniche conosceva e tutto per una cachucha!Fu a partire da quel momento che presecoscienza di come ad Apopa ci fosse bi-sogno di un protagonismo differente.Si convinse che doveva fare qualcosa,prese forza nella preghiera, vide nellaScuola della Pace la strada per unadignità nuova, ad Apopa e ovunque».Di domenica William inizia ad andare aSan Salvador. Un po’ da “battitore libero”,una volta alla Scuola della Pace di SanJosé, l’altra a quella del Bambular, poi aChanmico, e così via.«Era entregato dalla Scuola della Pace -dirà F. - «Aveva scritto: “Il mondo èpieno di violenza. Perciò dobbiamo la-vorare per la pace, partendo dai bambini.Dobbiamo avere il coraggio di esseremaestri, perché un Paese che non hascuole o maestri è senza futuro e spe-ranza. Le Scuole della Pace sono santuariper porre un argine alla violenza e allapovertà”».William parlava a tutti del suo sogno.Che Apopa cambiasse, che divenissecome il Bambular, dove anni di presenzadella Scuola della Pace avevano fatto sìche le maras non attecchissero. »

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William, nel 2006, duranteil suo viaggio a Roma.

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ma era vero che con William i giovani sisentivano voluti bene, protetti, sicuri;per qualsiasi consiglio si rivolgevano alui».In potenza erano cuori strappati allemaras, menti più libere. E questo nonpoteva non dare fastidio a chi contavainvece di perpetuare il proprio controllo

su Apopa e sui suoi giovani abitanti.Forse allora qualcuno mette William nelmirino: occorreva dare una lezione achi aveva osato porsi come aperto con-corrente di un potere oscuro e violento.O forse il meccanismo del male agiscesenza uno scopo preciso, per noia, perscommessa, per invidia. Fatto sta che lasera del 28 settembre 2009 William èraggiunto da alcuni colpi di arma dafuoco nel pasaje, a due passi da casasua. La madre sente gli spari e si precipitanel vicolo, ma le ferite sono troppogravi: il giovane promodor del Comunedi Apopa, il “gigante buono” della Scuoladella Pace di Sant’Egidio, muore pocodopo l’arrivo in ospedale.La morte di William Quijano resta avvoltanel mistero. Non si è mai saputo chifossero i due che gli si parano innanzinel pasaje, che spezzano la sua vita.Quel che si sa è che il sogno di William,giovane figlio di Sant’Egidio in El Salvador,parla ancora. La sua vicenda, pur tragica,spinge a credere che si può costruireun’altra America Latina, libera dall’incubodelle maras. Nella periferia esistenziale- come amerebbe dire papa Francesco -di Apopa, William ha testimoniato lasua speranza in un mondo diverso, fon-dato su valori più pacifici e umani.

Era come un miracolo di Sant’Egidio,quello, che poteva e doveva essere re-plicato altrove. Questa era la «coscienzasociale» - per richiamare le parole stessedi William - che era andata maturandoin lui, e che il giovane sperava potessefarsi cultura e prassi per tutta una ge-nerazione.L’impegno di William per la trasforma-zione di Apopa si fa anche lavoro civile.Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009riceve dal Comune la proposta di farparte dell’équipe di promodores sportiviche, nell’ottica dell’amministrazione,avrebbe dovuto allontanare i minoridall’abbraccio delle maras, coinvolgendoliin qualcosa di più sano. William accetta:gli ultimi mesi della sua vita lo vedrannomuoversi per Apopa con S. e altri colleghi,per contattare le associazioni sportive,favorire la loro presa sugli adolescenti,impostare con questi ultimi un discorsopiù ampio. Dai racconti di S. emerge lapaternità che William esercitava versoquei minori: «A volte lo chiamavano“papá Samy”. Lo dicevano per scherzo,

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀDisagio giovanile in America Latina

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È una delle opere di misericordiameno conosciute e citate. Forseperché “confortare i dubbiosi”

non produce risultati visibili come il“dare da mangiare agli affamati “ o il“dare da bere agli assetati”. Eppure ildubbio invisibile e persistente galleggiaovunque in una società sempre più in-

dividualista e autoreferenziale, doveconfortare e lasciarsi confortare pre-suppone una relazione di stima e fiduciatra le persone. In una dimensione divicinanza e di ascolto che fa riferimentoall’esortazione fatta ai sacerdoti dapapa Francesco: «Questo io vi chiedo:essere pastori con l’odore delle pecore,pastori in mezzo al proprio gregge, epescatori di uomini».Per illustrare questa opera di miseri-cordia abbiamo interpellato un pastore

OPERE DI MISERICORDIA

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

INTERVISTA A PADRE GIUSEPPE CREA, MISSIONARIO COMBONIANO E PSICOTERAPEUTA

Dubito ergo sum

che è anche uno specialista: padreGiuseppe Crea, missionario comboniano,psicologo e psicoterapeuta, autore dinumerosi libri, l’ultimo dei quali, frescodi stampa, si intitola “Tonache ferite.Forme di disagio nella vita religiosa esacerdotale”.Spiega padre Crea, che si è assuntoquesta particolare forma di missione:«Uno dei problemi più diffusi del nostrotempo è un disorientamento generale,dovuto a fattori storici come la crisi »

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Confortare i dubbiosi

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all’Università pontificia salesiana diRoma -. Il più frequente riguarda laperdita di significato delle cose che sifanno, che si possiedono. Ad esempio, igiovani nel contesto accademico, i ven-tenni di oggi (già una generazione“vecchia” rispetto agli adolescenti)hanno tante opportunità – il computer,

il cellulare, condizione familiarebenestante, affetti, ecc. - manon sanno come gestirle. Comese il troppo avere finisca per di-sperdere il senso delle cose. Comese non si riuscisse più a discernere,a dare delle priorità. I dubbi piùdiffusi fanno capo all’incapacitàdi fare delle scelte che durinonel tempo perché devono esserecredibili per chi le fa. Ad esempio,non basta innamorarsi di unapersona per una settimana: l’amo-re vero è altro, dura nel tempo».Ma perché la prova del temposembra ed è così difficile? Forseperché l’homo tecnologicus ètroppo stimolato da messaggidiversi e a volte in contraddizionetra loro? O forse perché si chiedetroppo alla vita che ha comunquedegli standard definiti, personalie “limitati”, rispetto alle atteseche potevano concepire le ge-nerazioni precedenti alla nostra?«Dai bisogni indotti dalla pub-blicità allo stimolo ad assumerei più diversi stili di vita, sembratutto si ponga sullo stesso pianodi approccio, come se si potesse

cambiare personalità come si fa con gliabiti – conclude Crea -. Alla base ditanti problemi c’è la solitudine di moltiragazzi, come se fossero precocementesollecitati ad essere autorisolutori deiloro dubbi perché non c’è nessuno che,quando ne hanno bisogno, sia al lorofianco. Bisogna rischiare nel rivendicareil diritto di essere ascoltati. Altrimentisi resta una entità isolata in una societàin cui c’è tanto chiasso e troppa indif-ferenza».

dei valori, la globalizzazione, il confrontotra culture diverse, la sfiducia nelleistituzioni, la mancanza di credibilitàin molte realtà di riferimento in cui fi-nora si era creduto».Ma da cosa nasce questo senso di spae-samento collettivo? «Ci sono tante vocie tanta dispersione dei messaggi chefiniscono per disorientare per-ché si dimentica cosa è es-senziale nella vita. I valori ciricordano questa ricerca del-l’essenziale, di ciò che vale:l’orientamento della creaturaverso il creatore. Una sceltache diventa stimolo anche peri dubbiosi. Orientare ed edu-care, soprattutto laddove c’èuna situazione di incertezza,vuol dire riscoprire le propriecertezze da proporre agli altri.Manca la voce, quella auto-revole del padre».Negli anni Settanta si parlavadella crisi, dell’assenza dellafigura paterna, e negli anniOttanta Francesco Guccini can-tava “Dio è morto”. Oggi nelrelativismo etico imperante,sembra che ci si sia abituatiall’idea di questa assenza…Padre Crea annuisce: «Sì, il re-lativismo di chi dovrebbeorientare crea ulteriore con-fusione e dissociazione. Da uncerto punto di vista il relati-vismo – inteso come capacitàdi non assolutizzare - puòsembrare quasi una conquista, ma è unproblema se manca una certezza orien-tativa di fondo, per cogliere il significatodei valori che ci vengono dal Vangelo,dal credo religioso ma anche dall’essereuomini e donne che educano gli altri.Se l’uomo non riscopre il suo esserepadre, il figlio cerca altrove referenticredibili».In realtà ci sono tanti giovani chehanno bisogno di riscoprire la voglia didedicare la vita ad amare, ad impegnarsi.

Vogliono avere accanto genitori che siassumano il loro ruolo, educatori chesappiano essere tali attraverso l’esempioe non le parole. I dubbiosi voglionopersone che li incoraggino. «Papa Fran-cesco ci insegna che i dubbi, le difficoltàe i conflitti – spiega padre Crea - sonoparte inevitabile dell’esistenza umana.

Sarebbe innaturale non avere bisognodi una persona che ci incoraggi arialzarci dalle cadute della vita. Il papaci dice che nella vita “cadere è naturale”per invitare chi ascolta ad aiutare chisi trova in difficoltà lungo il cammi-no».Che dubbi sente esprimere più fre-quentemente, come sacerdote e psico-terapeuta? «I dubbi si collegano allefragilità della persona - risponde Crea,che insegna Tecniche psicodiagnostiche

OPERE DI MISERICORDIA Confortare i dubbiosi

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L’altra

«Mentre sostavo davanti a quella porta pensavo acome possa essere potente un simbolo. La mi-sericordia e l’apertura delle porte hanno molto

più in comune l’una con l’altra di quanto si pensi. E hannomolto da dire a quanti vivono malattie e dolori di ogni genere.C’è l’azione tangibile di una porta che si apre per lasciarentrare il medico che ci curerà o l’infermiera che controllerà inostri segnali vitali».L’editoriale di Maureen Pratt sul Catholic Courier spiega inmodo semplice i significati di questo Giubileo nel mondo. Isuoi effetti si sentono a distanza, in modo diversificato. IlGiubileo di papa Francesco non è centralizzato e lascia spazioalla libertà e alla creatività delle Chiese nel mondo: è comeun sasso nello stagno che manifesta i suoi effetti

edicola

di ILARIA DE [email protected]

LA NOTIZIA

L’ANNO DEL GIUBILEOSTRAORDINARIO DELLAMISERICORDIA STA DANDO FRUTTISPARSI NEL MONDO. NON SITRATTA SOLO DELL’ATTO SIMBOLICODI APRIRE LE PORTE SANTE, MAANCHE DEI TANTI PICCOLI ATTI DICARITÀ E MISERICORDIA CHE SISTANNO LIBERANDO IN OGNIPARTE DEL GLOBO. ANCHE INAMERICA. NE PARLA LA STAMPACATTOLICA. MA NON SOLO…

Il Giubileo della misericordia nel mondo

»

Veduta aerea della basilicadell’Immacolata Concezione

a Washington.

NON SOLO PORTE SANTENON SOLO PORTE SANTE

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L’altraconcentrici in ogni angolo di universo.Il quotidiano di Rochester ricorda l’aper-tura di una porta santa “straordinaria”:quella della basilica del National Shrinedell’Immacolata Concezione di Washin-gton. Si tratta di un luogo molto amatoin America ed è anche la più grandechiesa degli Stati Uniti.Ma, soprattutto, i quotidiani cattoliciamericani puntano l’attenzione sui si-gnificati e le conseguenze che l’annodel Giubileo sta avendo sui cuori dellagente. «Considererò la mia malattia comeuna porta e troverò modi attraverso iquali guadagnare pazienza ed empatia– scrive sempre Maureen Pratt - Aiuterògli altri a scoprire porte nelle loro vite eil modo di raggiungere un benesseresalutare».Il Catholic News Service, con la pennadel domenicano padre Karol Glatz, pastorein Ohio, scrive che «dopo aver aperto le

Porte Sante di Roma per dar avvio al-l’Anno della Misericordia, papa Francescoha spinto molto in là questi corridoiumanitari inviando centinaia di “mis-sionari della misericordia” in ogni angolodella terra». E la terra quest’anno seminaperdono, apertura di cuori e riconcilia-zione. Almeno dentro la Chiesa, il chenon è poca cosa. «La loro missionespeciale è essere un testimone viventedella vicinanza di Dio e dell’amore perbussare alle porte dei cuori della gentee consentire a Dio di entrarvi».Decine sono le iniziative che le singolediocesi nel mondo stanno prendendo susuggerimento di Francesco: oltre allePorte Sante delle chiese ci sono quelledelle scuole. La Catholic Review raccontadi un’iniziativa molto carina, con laquale i bambini della scuola Saint Mar-garet di Bel Air, nell’arcidiocesi di Balti-mora, sono stati coinvolti a decorare le

porte delle classi con ritagli e collage difoto i cui fumetti contengono frasi sultema della misericordia.«Gli studenti ricevono dei “biglietti dipace” per dei piccoli atti di misericordia– scrive la Catholic Review – comequello di Collin Moore, un ragazzo diquinta elementare che ha invitato uncompagno di classe a giocare a soccernonostante fosse stato sospeso». Il Ca-tholic Sun si sofferma sul significatodella quaresima in relazione al Giubileo.L’articolo si intitola: “La quaresima vavissuta ‘più intensamente’ nell’Anno dellaMisericordia”. E spiega che essendo «unperiodo di penitenza che prepara il cuorea ricevere la grazia, per molte personequesto potrà accadere attraverso piccolisacrifici personali». Lo stesso giornalededica un altro pezzo al sacramentodella comunione e ricorda che tre par-rocchie della diocesi sono state aperte

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cancelli di una prigione per celebrareuna messa o per una visita mi chiedosempre: “Perché loro e non me?”. “Dovreiesserci io lì. Merito di stare lì”».Il New Yorker chiude con una conside-razione molto sottile: «La Chiesa dellaquale Bergoglio è divenuto papa treanni fa, era essa stessa una porta chiusa.Come papa, Francesco ha trovato una“sottile fessura”. L’ha spinta in avanti e,con sorpresa di tutti, la porta inizia amuoversi, ad oscillare, aperta…».Ma a parte alcuni editoriali, sui massmedia aconfessionali internazionali èpiuttosto difficile trovare analisi e reportsugli effetti di questo Giubileo.A notarlo è il quotidiano Il Tempo chescrive: «Del tutto ignorato il “fatto storico”dai media francesi, a partire da Le Mondecosì come dai colleghi tedeschi del Bild.Sul londinese The Times l’ultima notiziadal Vaticano risale al 6 novembre e parladello scandalo Vatileaks 2, praticamentestesso trattamento riservato dal TheGuardian».

Il Giubileo della misericordia nel mondo

per 24 ore il 4 e 5 marzo per l’adorazionee la confessione.Oltre ai gesti di misericordia simbolici epersonali, ci sono iniziative e richiestedi atti di misericordia globale, comequella lanciata dall’Associazione delleFamiglie Francescane dell’India (Affi),segnalata dalla Radio Vaticana per li-berare mille prigionieri nel Paese. Sulsuo sito Radio Vaticana scrive: «I superiorigenerali dei Francescani si sono con-centrati in particolare nella liberazionedi quei carcerati che soffrono da anni inprigione per crimini minori. Attraversouna negoziazione intrapresa con le au-torità governative, i Francescani stannolavorando non solo per liberare questepersone ma anche per incoraggiarle adavere vite dignitose e piene di speranza».Persino The New Yorker – settimanaledella sinistra radical chic americana,tradizionalmente laico - dedica un articoloalla misericordia del papa e al suo libro“Il nome di Dio è misericordia” e cita lesue parole: «Ogni volta che varco i

I l Niño è tornato a colpire il continente afri-cano: è anche uno dei più forti registrati

fino ad oggi. Il fenomeno climatico sta provo-cando la siccità che ha già messo in ginocchiomolti Paesi. L’attuale stagione delle piogge èstata infatti la più secca degli ultimi 35 anni.Ma il ciclone porta con sé anche inondazioni,incendi, raccolti saltati, diffusione di malattiee virus. E tutto questo si coniuga con l’au-mento stellare dei prezzi dei beni di primanecessità che devono essere importati. Se-condo gli esperti, si sta vivendo una situazionemolto simile a quella del 1997-98 quando nellasola Etiopia morirono duemila persone.Le Nazioni Unite avvertono che gli effetti delNiño si faranno sentire ancora per anni, men-tre prevedono una crisi alimentare di dimen-sioni mondiali che coinvolgerà quasi 100 mi-lioni di persone in Africa, Asia e AmericaLatina. Quest’anno nel continente africano lecarestie potrebbero coinvolgere da subito 14milioni di abitanti. Per fine anno si prevedeche in Etiopia ci saranno 18 milioni di biso-gnosi di assistenza alimentare, di cui un terzobambini. In Somalia due terzi della popola-zione vivono già in situazioni disastrose, men-tre in Kenya inondazioni e piogge stanno ag-gravando le condizioni di vita nelle aree colpitedal colera. Il Malawi sta affrontando la peggiorcrisi alimentare degli ultimi nove anni. Ma lamancanza di cibo sta creando emergenze an-che in Lesotho (dove il 34% dei bambini sonoorfani e un adulto su quattro è contagiatodall’Hiv) e nello Zimbabwe messo in ginocchioda una siccità che ha prosciugato le fonti d’ac-qua, aumentando il rischio di colera e diarrea.In Angola un milione e 400mila personestanno pagando il prezzo del cambiamentoclimatico, mentre 800mila vivono una situa-zione di incertezza alimentare.Secondo il World Food Programme, il pros-simo anno la crisi alimentare coinvolgerà an-che 40 milioni di persone che vivono nellezone rurali e nove milioni che abitano invecenei centri urbani di Mozambico, Sudafrica,Zambia e Swaziland.Gli effetti si sentiranno anche in Europa conl’aumento dei prezzi del cibo.

di Enzo Nucci

IL NIÑO CHE UCCIDE

OSSERVATORIO

AFRICA

Indiani detenuti per crimini minori.Per loro chiede la liberazione, con unatto di misericordia, l’Associazionedelle Famiglie Francescane dell’India.

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con qualche problemafisico e pochissimapredisposizione al la-voro regolare, è arri-vata nella mia casadiversi mesi fa, chie-dendo l’elemosina,perché non aveva niente per sfamare iquattro figli, che vivono con lei. Comespesso succede, aveva lasciato in pegnoil bancomat della “Borsa Famiglia” (unsussidio governativo di sostegno sociale,ndr) al negoziante, che le aveva vendutoil cibo senza che la donna avesse i soldiper pagare. Risultato: il personaggio,

D allo Stato brasiliano del Maran-hão, voglio raccontarvi la storiadi Maria Eduarda. E’ una bella

bambina, “morena”, diremmo noi inItalia, ma qui si dice “negra”, per viadell’etnia afro. Ha 11 anni ed è la quartadi sette fratelli, tutti uniti dalla stessamadre, ma i padri… solo Dio sa quantisono. La madre, certamente cresciutain un contesto familiare povero dadiversi punti di vista, dopo tutto questogirovagare di compagno in compagno,

a cura diCHIARA PELLICCI

[email protected]

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

Le tanteMariaEduarda

che in Italia si chiame-rebbe usuraio, è andatoavanti per mesi a rice-vere direttamente i soldidel programma gover-nativo e, allo stessotempo, aumentando il

debito della signora visto che continuavaa venderle il cibo. Quando il tipo hadetto basta, la mamma di Eduarda, conquattro bocche da sfamare, è rimastasenza cibo e senza i sussidi governativi.Da allora la storia si è arricchita dimolti e variegati particolari, che ov-viamente vi risparmio. Sta di fatto che,

Don Marco Bassani.

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dopo aver dato i primi aiuti, tento diintervenire a vari livelli, per promuoverela sua emancipazione (o liberazione, sevogliamo usare un’espressione più teo-logica). Risultati? Praticamente viciniallo zero assoluto. Per fare un esempio:la donna è riuscita a fare una visita or-topedica per ottenere qualche formad’invalidità, solo perché noi l’abbiamoportata - materialmente, non metafo-ricamente - dentro lo studio dell’orto-pedico.Al tempo stesso, la mamma di Eduarda,per non fare i conti con me e le miesollecitazioni ad assumersi le sue re-sponsabilità, ha cominciato a mandarmila bambina, per chiedere varie formedi aiuto ed elemosina. E qui cascal’asino: come fai a non aiutare unabella bambina, con due occhioni neri,che ti dice che a casa sua non c’èniente da mangiare per cena?Dopo i primi contatti, comincio ad irri-tarmi per questo “giochetto” della mam-ma: tento in tutti i modi di rompere

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Posta dei missionari

questo cerchio perverso, minacciandodi far ricorso alle strutture governativeche si occupano dei minori abbandonati.Una sera, che non potrò mai dimenticare,Maria Eduarda, con la discrezione deipoveri e senza dire una parola, si è de-filata dal mio studio con gli occhi pienidi lacrime, perché avevo accennato aquesto possibile esito.Quando ha saputo che dovevo venirein Italia, ha moltiplicato le visite, pursenza chiedere niente. In realtà la suapaura era che non tornassi più. Ungiorno, improvvisamente e senza alcunmotivo apparente, mi ha chiesto quandome ne andrò in Italia. Io le ho spiegatoche, per il momento, non c’è questaprevisione, ma solo la possibilità diun’altra vacanza nei prossimi mesi. Lei,parzialmente sollevata, mi dice: «Pensoche, quando te ne andrai, morirò disaudade (che è ben più che la nostalgia,ndr)».Il vero problema, che mi spiazza deci-samente, è che Maria Eduarda in me

non cerca più tanto e solo qualcosa damangiare, bensì quel papà che forsenon ha neanche conosciuto. In questiultimi giorni ha cambiato un po’ gliorari e sta arrivando al mattino presto,mentre sto facendo colazione. E cosìfacciamo colazione assieme. Ma, mentremi sta davanti, e mi guarda con i suoiocchioni neri, infinite domande mi pas-sano per la testa. E’ giusto assecondarlain questo suo bisogno, per altro naturale?Fino a che punto? E poi, quando dovròlasciarla, che dolore ci toccherà sop-portare? E gli altri bambini? Sì, perchélei non è né l’unica, né un caso raro. Avolte mi sembra di non riuscire a gestireil flusso di questi bambini che entranoed escono nella mia vita, sia a partiredalle loro situazioni concrete, sia dallapresenza di nuove figure che creanoconflitti, rotture, ritorni e quant’altro.Al di là delle infinite sfumature di si-tuazioni e sentimenti, il dato comune èla ricerca del padre perduto. Senza volerscomodare la psicanalisi o la teologia, »

La città di Grajaù.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Posta dei missionari

figli, che decidono di vivere il loroamore nel Signore. Il resto dei matrimonireligiosi, pur non essendo molti, sonol’ultima tappa di cammini molto piùtortuosi e turbolenti. Con l’aggravanteche molti dei suddetti matrimoni sonomotivati dal desiderio di fare da padrinia qualche battezzando.Ma la domanda inquietante per me è:perché la fede in Gesù Cristo non segnala vita dei battezzati, al punto di orien-tarne le scelte fondamentali? Perchénoi cristiani, praticamente, non facciamomolta differenza nei contesti in cui vi-viamo. Sì, perché, se nelle questionieconomiche la fede l’abbiamo messa insoffitta da molti secoli, negli ultimi de-cenni stiamo facendo la stessa cosacon la famiglia (non sto parlando delMagistero della Chiesa, ma della pratica).A mio avviso la questione più radicalee urgente è ripensare forme e camminiche risveglino il gusto e l’orgoglio diformare “famiglie nel Signore”; dovel’orgoglio non vuole alludere a formedi autoesaltazione, bensì al coraggiomissionario di essere e dirsi di Cristo,con tutte le conseguenze del caso.

Don Marco Bassani

fidei donum della diocesi di Milano

Diocesi di Grajaù (Brasile)

ciò su cui vorrei soffermare l’attenzioneè il bisogno profondo di questa figuraper l’essere umano e, al tempo stesso,la sua quasi totale evanescenza, perlo-meno nel contesto brasiliano. Secoli dimaschilismo, ancora fortemente presenti,hanno ridotto la forza, il coraggio e ladeterminazione del maschile alla violenzacieca e al privilegio tra i sessi; maquesta violenza e questo privilegiohanno rinchiuso il maschio nelle sueesagerazioni, togliendogli il contattocon la vita reale e le sue mille contrad-dizioni. Basti pensare che qui in Brasileil 37,3 % dei nuclei familiari sono sottola responsabilità di una donna sola. Sepoi aggiungiamo a questo dato il fattoche, nella maggior parte dei casi, anchequando è presente fisicamente, l’uomoè sostanzialmente assente dal processoeducativo e, più in generale, dalla ge-stione della vita famigliare, allora risultachiaro da dove spuntano le “MariaEduarda & C”.Questi fenomeni, sommati ad altri diorigine più femminile, generano un dif-fuso e onnipresente matriarcalismo,non meno pericoloso del ben noto pa-triarcalismo. Al tempo stesso, la rispostadialettica di questa tendenza è l’omo-

sessualità dilagante. Ma non è su questoaspetto che voglio portare l’accento.La mia ultima riflessione vorrebbe sof-fermarsi sulla nostra capacità, comecomunità cristiane, di generare famiglie“secondo il Vangelo”. Nell’area pastoraledi mia competenza, su di una popola-zione di circa ottomila abitanti, conun’età media ben più bassa dell’Italia,quando va bene celebro uno o duematrimoni all’anno “come Dio comanda”,ovvero un giovane e una giovane senza

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N ella biografia di don Dordi, recentementebeatificato, “Sandali che profumano di

Vangelo. Alessandro Dordi, martirio di unprete missionario”, di Arturo Bellini - un sa-cerdote vicino alla Comunità missionaria deiPreti del Paradiso alla quale appartenevadon Sandro – si legge: «Non mi ritengo perniente importante; è il Signore che opera inogni persona. Non ci domanda di portare,di imporre la verità, ci chiede solo di esseretestimoni, siamo veramente servi inutili, so-prattutto se orgogliosi». Don Sandro era

Arturo BelliniSANDALI CHE PROFUMANO DI VANGELOMarcianum Press Venezia - € 13,00e-book disponibile

I sandali del beatoSandro Dordi

con i doni e i limiti dei fratelli e delle sorelleche Dio ci ha posto accanto. All’interno dellemissioni, ad esempio, agire con mentalitàoccidentale non favorisce la formazione dicomunità aperte e impegnate nel camminodei popoli. «Non si può non passare attraversola loro cultura, mentalità e ideologia», dicedon Sandro riferendosi ai popoli delle missioni.Al contrario «è molto meglio entrare nel loromodo di pensare e con loro camminare per-ché si sentano capaci e si entusiasmino.Diversamente, correremmo il rischio di cam-minare da soli e non educheremmo». L’evan-gelizzazione richiede molta pazienza. «Cam-biare prospettiva» è quello che ci vuole. Scri-veva don Sandro dalla missione in Perù:«Da parte mia sto modificando la mentalitàacquisita in Europa, con l’intento di operareuna conversione dei miei schemi efficientisti,per pormi al passo con questo mondo».

Barbara Speca

R affaele Iaria, giornalista e scrittore,racconta un brevissimo periodo della

vita di padre Pio, focalizzandosi su “quei”giorni tra agosto e settembre di un centinaiodi anni fa. Il libro prende, infatti, in consi-derazione solo il brevissimo periodo cheva dal 10 agosto 1910, cioè dalla sua or-dinazione sacerdotale a Benevento, al 14agosto, giorno della sua prima messa aPietrelcina, fino ai primi di settembre dellostesso anno quando, a Piana Romana diPietrelcina, ricevette le prime stimmate "in-visibili" ma non per questo meno dolorose.Questo studio tralascia appositamente l’ope-ra del santo cappuccino nei 52 anni a SanGiovanni Rotondo, dove muore nel 1968,a 81 anni. «Ci vediamo tra cent’anni»: cosìpadre Pio il 17 febbraio 1917 avrebbe dettoai suoi paesani prima di lasciare per sempre

tiene il record delsanto più invocatoal mondo.Nel penultimo ca-pitolo, Raffaele Ia-ria traccia unaguida ai luoghi davisitare per chi, tu-rista o pellegrino, passi nella terra del santo,il Sannio. Nell'ultimo capitolo viene descrittoil rapporto avuto da padre Pio con i papidel suo tempo fino a quelli dei giorni no-stri.

Chiara Anguissola

Il santo più invocato al mondo

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Pietrelcina. Oggi le sue spo-glie, dopo essere stateesposte a Roma per il Giu-bileo della Misericordia, sisono fermate nella sua terra,prima di tornare a San Giovanni Rotondo.Padre Pio fu un grande comunicatore econfessore, passava intere giornate in con-fessionale, e fece della messa il cuore delsuo sacerdozio. Il santo di Pietrelcina haesercitato il suo ministero in tre direzioni:«Celebrazione della Santa Messa, ammi-nistrazione del sacramento della riconci-liazione, direzione delle anime». Amava direche era il Signore che operava per mezzodi lui, tanto che nel 1953, nel giorno delsuo 50esimo della vestizione, scrive: «Faròpiù rumore da morto che da vivo», e padrePio, insieme a sant’Antonio di Padova, de-

convinto che senza umiltà l’amore rimanebloccato. Solo attraverso l’umiltà, il cristianopuò sperimentare la carità ed essere credibile.Non era un prete da convegni e nutriva unparticolare rifiuto per la pastorale esercitataa tavolino. Preferiva sporcarsi le mani, viveretra la gente, anche lavorando in fabbrica oimpegnandosi nelle missioni (Burundi ePerù). Sentiva come una necessità fonda-mentale l’«entrare nella mentalità della gente,comprenderne le dinamiche e valutare ciòche poteva essere un frutto del Regno e ciòche invece non era secondo il progetto diDio». Don Dordi era inoltre convinto che lavia del Vangelo non si percorre da soli mainsieme ai fratelli, nella comunità e soprattutto

Raffaele Iaria

PADRE PIO. “QUEI” GIORNI A PIETRELCINATau Editrice - € 6,00

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U n lungo applauso a Gianfranco Rosiper l’Orso d’oro ricevuto alla 66esima

edizione del Festival di Berlino, per il do-cufilm “Fuocoammare” dedicato all’acco-glienza ai profughi da parte dell’isola diLampedusa e dei suoi abitanti. Ricevendoil premio, il regista italiano (nato in Eritreanel 1964) Rosi ha dichiarato che «il PremioNobel agli abitanti di Lampedusa e Lesbosarebbe una scelta giusta e un gesto sim-bolico importante. Consegnarlo non a unindividuo ma a un popolo. I lampedusaniin questi 20 anni hanno accolto migranti,senza mai fermarsi». Vincitore del Leoned’oro nel 2013 a Venezia per “SacroG.R.A.”, Rosi ha realizzato l’unico titoloitaliano in concorso alla prestigiosa ker-

messe cinematografica tedesca, dopo piùdi un anno di permanenza a Lampedusaper documentare gli sbarchi. L’idea delregista era quella di «raccontare la tragediamentre sta accadendo, perché ognuno dinoi deve fare qualcosa - ha detto Rosi -.Il progetto riguardava inizialmente la rea-lizzazione di un corto, ma dopo un periododi sopralluoghi ho capito che non bastavaa raccontare l’isola, l’identità dei suoi abi-tanti, ma quello che va oltre loro, la Storiache si compie sotto i nostri occhi». Poiha incontrato un uomo di straordinariasemplicità e umanità, da oltre 20 anni me-dico condotto dell’isola, eroe nascostonel quotidiano per rispondere alle più dram-matiche emergenze. È Pietro Bartòlo, adaprire a Rosi le porte al cuore vero dell’isola,a persone, luoghi e situazioni altrimenti

FUOCOAMMARE

irraggiungibili. Sempre sullo sfondo del-l’orizzonte del mare, nell’alternanza di albee tramonti in quel fazzoletto di terra piùvicino all’Africa che alle coste siciliane, incui convivono più pacificamente di quantosi possa immaginare due mondi: quellodegli isolani e quello degli immigrati.Con il linguaggio asciutto del documentarioe l’abile cucitura di eventi e persone distantie sconosciute tra loro, Rosi ha realizzatoun film ricco di contenuti e scevro di enfasiche parte dalle vicende di Samuele (Sa-muele Pucillo), un 12enne lampedusanoche costruisce fionde mentre intorno suc-cede il finimondo. Sale tra cespugli in altoalla costa rocciosa, dove il vento sembraportare odori e voci dell’altra sponda delMediterraneo. Sa che lo aspetta un futuroda pescatore come suo padre, e primaancora il nonno, ma soffre di mal di mare

LAMPEDUSA,CUORE DELMEDITERRANEO

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i sopravvissuti sono coperti,guardati, curati, inviati ai centridi accoglienza. L’umanità deglioperatori abbraccia la dispera-zione, lo sfinimento, la morte.Ma c’è anche qualche nota disperanza in chi mette finalmentepiede sulla terraferma, comespiega Rosi: «C’è un momentofortissimo nel film. È la testi-monianza di un gruppo di ni-

geriani fuggiti dalla guerra e dalla dispe-razione che cantano un rap. Le parole di-cono: “Lì non c’era più la speranza e alloraho dovuto affrontare il mare per trovarequella speranza”. Ecco, noi abbiamo ildovere di non soffocare quella speranza».“Fuocoammare” (una produzione italo-francese, 01 Distribution e Luce Cinecittà)è il titolo di una canzone della Secondaguerra mondiale e significativamente èstato scelto per raccontare una guerra deinostri giorni, con morti, dispersi e tantasofferenza. Contro un nemico terribile:l’indifferenza. Lampedusa è diventato un“porto franco”, una icona di accoglienza,la voce della coscienza di una Europa cherischia di chiudersi in se stessa. GianfrancoRosi ha girato il mondo per raccontareluoghi e persone invisibili: dai barcaioliindiani (“Boatman”, 1993) ai drop out del

e per questo va a passeggiare al porto,sul pontile che dondola tra i motopesche-recci ancorati. Di pomeriggio Samuele fai compiti mentre zia Maria sferruzza al-l’uncinetto e dedica canzoni d’amore asuo marito alla radio locale. Di sera l’obiet-tivo ci mostra un sub che si immerge perraccogliere ricci attaccati al fondale roc-cioso. Poi ecco la sala operativa della Ma-rina, gli Sos disperati dai gommoni inmare, l’hangar dell’elicottero che si apre,il soccorso ai migranti, sfiniti, spaventati,a volte morti per soffocamento nelle stivesenz’aria dei natanti che affrontano il maresotto il disumano comando di trafficantidi uomini. Per morire bruciati dalla benzinae dai suoi vapori soffocanti si pagano 800euro, prezzo di terza classe, per chi nondispone di 1.000-1.500 euro per potersipermettere un posto all’aperto. All’arrivo,

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deserto americano (“Below Sea level”,

2008), ai trafficanti messicani (“El sica-

rio- room 164”, 2010) fino alla faunaumana che gravita intorno al Raccordoanulare della capitale (“Sacro G.R.A.”,2013). Da Roma a Lampedusa il passonon è stato né breve né indolore. Comeracconta lo stesso regista: «Una volta incentinaia si buttarono in mare per salvarealtrettanti naufraghi. Il dottor Pietro Bartòloera lì, le sue parole mi sono entrate nelcuore. Come quando su una nave caricac’era una donna incinta che non era riuscitaa partorire, stretta tra la folla. Bartòlo at-trezzò una piccola sala operatoria e fecenascere la bimba. Quando uscì dall’am-bulatorio, sfinito, trovò ad aspettarlo 50lampedusane con pannolini e vestitini.Quella bimba oggi si chiama Gift, dono, eabita con la mamma a Palermo. Questostato d’animo appartiene non solo a Lam-pedusa ma alla Sicilia e ai siciliani. Sonoarrivate migliaia di persone e non ho sentitonessuno a Palermo o Catania parlare dibarriere. Quelle barriere fisiche e mentaliche alcuni Stati d’Europa innalzano, ver-gognosamente, oggi. L’accoglienza è laprima cosa che ho imparato dai lampe-dusani».

Miela Fagiolo D’Attilia

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A Il resto è storia recente: grazie a “Est-ce

que tu m’aimes?” la sua fama ha superatoi confini francesi, facendolo sbarcareanche all’ultimo Festival di Sanremo.Il suo recente lavoro rispecchia le dueanime di questo immigrato sui generis

sposatosi giovanissimo (oggi è già padredi quattro bambini) e dal carattere assaimeno ombroso di tanti coetanei meno ta-lentuosi e fortunati: da un lato la schiettezzarutilante del rap e l’ipertrofia les-sicale dellacultura hip-

hop, e dall’altral’immediatezzaestroversa delblack-pop con-temporaneo. Macon una visione

della vita in cui il disincantonon esclude la speranza eil pragmatismo non mor-tifica i sogni. Per molti versiMaître Gims incarna laperfetta esemplificazionedi quanto labili possanoessere oggi i confini –e i destini – che sepa-rano una bella favolada una tragedia nel-

l’Europa contemporanea.Questione di fortuna e disuccesso certamente, maanche di indole, di deter-minazione, di educazione,di faticosa ricerca di unproprio percorso esisten-ziale libero dagli stereotipidi chi s’ostina a guardareil mondo come un ring. Intutto ciò il Nostro è ancorain attesa d’ottenere la cit-

tadinanza francese, ma, a questo punto,si suppone che per lui non sia più cosìimportante…

Franz Coriasco

[email protected]

MAÎTRE GIMS

Popvenienti dalla Guinea,un maliano, un ivo-riano e un francese.Il giovane Gims si èconvertito alla religioneislamica, ma poco apoco ha smussato gliardori barricaderi, svi-luppando una visione del-la vita assai più moderatae dialogica nei confrontidella cultura e dei co-stumi occidentali.Tre anni fa, pur conti-nuando la sua avven-tura con la succitataband hip-hop (che nelfrattempo aveva co-minciato ad ottenereun buon successo inFrancia), ha avviatola sua carriera da so-lista, pubblicando Subliminal, un albumcapace di vendere un milione di copie.Non pago, di lì a poco il vulcanico ragaz-zone congolese ha lanciato una linea d’ab-bigliamento chiamata Vortex e una propriaetichetta discografica.

islamicoÈ una delle supernova più luminose delnuovo pop europeo. Maître Gims,

nome d’arte del 30enne Gandhi Djuna,ha fatto il botto grazie a un singolo for-midabile, “Est-ce que tu m’aimes?” chesta intasando l’etere europeo da mesi, ea un doppio cd, “Mon cœur avait raison”,che risulta uno dei più venduti e scaricatidi questa stagione. Una storia, la sua, in-sieme anomala e oltremodo significativa.Nato a Kinshasa nella Repubblica Demo-cratica del Congo nel 1986, il piccoloGandhi è cresciuto in una famiglia cristianaarrivata clandestinamente in Francia quan-do aveva appena due anni. Dal padre,leader del gruppo etno-pop dei PapaWemba, ha preso l’amore per la musicadelle proprie radici, a cui, crescendo, haaggiunto la passione per il rap e i grandidella negritudine pop.Un’adolescenza comunque tutt’altro chefacile, fatta di ribellione e difficoltà d’inte-grazione, nella quale il giovanotto ha respiratotutte le inquietudini delle banlieue, i cuiumori non hanno tardato a trovare sfogoin canzoni scorbutiche nei suoni e carta-vetrate nei testi. All’alba del nuovo millennioha messo insieme una band, i Sexion d’As-

sault, con la quale ha cominciato a farsiconoscere nell’ambito della scena under-

ground parigina. Otto elementi: oltre a lui,due musicisti di origine senegalese, tre pro-

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Vademecum del Centro missionario

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PER AIUTARE I MISSIONARI E LE CHIESEDEL SUD DEL MONDO ATTRAVERSO LE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE:- Bonifico bancario sul c/c n. 115511

intestato alla Fondazione Missio pressoBanca Etica (IBAN: IT 55 I 05018 03200 000000115511)

- Conto Corrente Postale n. 63062855intestato a Missio - Pontificie OpereMissionarie, via Aurelia 796 – 00165 Roma

(informazioni: [email protected] –06/66502620)

Sono l’organismo ufficiale della Chiesa cattolica per aiutare le missioni e le Chiese del Sud delmondo nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza di carità. Approvate e fatte proprie dallaSanta Sede nel 1922, sono presenti in 132 Paesi. In Italia operano nell’ambito della FondazioneMissio, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana.Attraverso un fondo di solidarietà costituito dalle offerte dei fedeli di tutto il mondo provvedono a:• finanziare gli studi e la formazione di seminaristi, novizi, novizie e catechisti;• costruire e mantenere luoghi di culto, seminari, monasteri e strutture parrocchiali per le attività

pastorali;• promuovere l’assistenza sanitaria, l’educazione scolastica e la formazione cristiana di bambini e

ragazzi;• sostenere i mass-media cattolici locali (tv, radio, stampa, ecc.);• fornire mezzi di trasporto ai missionari (vetture, moto, biciclette, barche).

PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE

A poco più di 100 chilometri dallacapitale Bombay, lungo la stradache va verso Ahmadabad, oltre

una fila di colline, la foresta si trasformain giungla. Qui si trovano numerosi inse-diamenti di comunità tribali di Adivasi, chepossiedono piccoli pezzi di terra collina-re e rocciosa, grazie ai quali possono pro-curarsi quel poco che serve per vivere. GliAdivasi, ovvero i “popoli originari” dell’In-dia, hanno origini che si perdono nellanotte dei tempi, sono circa 450 gruppi et-nici differenti, diffusi in tutto il Paese dicui costituiscono l’8% della popolazione.Per tradizione, vivono di ciò che la natu-ra offre loro e per questo hanno solo lostretto necessario per la sopravvivenza.Suor Irene Alphonso, delle Figlie della Cro-ce, si occupa dell’accoglienza e dell’edu-

GRAZIE AMICIGRAZIE AMICISolidarietà delle Pontificie Opere Missionarie

CHI FA UN’OFFERTA PER LA MISSIONE UNIVERSALE ATTRAVERSO LE

PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE ITALIANE CONTRIBUISCE ALLA

SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE CHE ARRIVA FINO AGLI ESTREMI CONFINI

DELLA TERRA. GRAZIE ALLA GENEROSITÀ DI CHI DONA, OGNI ANNO

VENGONO REALIZZATI PROGETTI DI DISPENSARI, ASILI, SCUOLE, SEMINARI,

CHIESE IN TUTTI I PAESI DEL SUD DEL MONDO. BASTA APRIRE L’ATLANTE

DELLA MISSIONE PER SCOPRIRE DOVE UOMINI, DONNE E BAMBINI DI TUTTE

LE RAZZE E LE CULTURE RICEVONO L’AIUTO CHE PARTE DALL’ITALIA.

VITA DI MISSIO

INDIALe giovani Adivasi della Missione di Manor

vengono mandati a svolgere lavori dome-stici. Nel Centro Jyoti Niwas le Figlie del-la Croce, grazie al sussidio della Pontifi-cia Opera della Santa Infanzia, cercano di«offrire alle bambine un'opportunità diformazione con lo scopo dello sviluppocomplessivo della società tribale, in par-ticolare delle donne e delle ragazze a cuidiamo istruzione che permetterà a tut-to il nucleo familiare di migliorare le con-dizioni di vita». Per il contributo dell’Ope-ra della Santa Infanzia, suor Irene ringra-zia profondamente gli amici che contri-buiscono da tutto il mondo.

Miela Fagiolo D’Attilia

cazione scolastica di circa 80 ragazze e ra-gazzi tribali accolti nello Jyoti Niwas diPalgar Taluka, dove sorge la missione diManor.Siamo nel distretto di Thane dello Statodi Maharashtra e suor Irene spiega l’im-portanza del loro servizio ai giovani adi-vasi: «La nostra gente dei villaggi dellazona è povera. Sono operai che fanno la-vori occasionali o stagionali, vivono allagiornata e non sono in grado di mette-re insieme due pasti al giorno». A causadella grande povertà, i genitori hanno dif-ficoltà ad educare i loro figli, non posso-no permetterselo. Nella maggior parte deivillaggi ci sono scuole primarie ma il li-vello è molto basso. Spesso i bambini sonotenuti a pascolare il bestiame o a pren-dersi cura dei fratelli più piccoli; a volte

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I l villaggio di Nkanka si trova nel di-stretto di Rusiki della provincia oc-cidentale del Rwanda e, grazie ad un

gemellaggio con la diocesi di Reggio Ca-labria – Bova, ha proposto la realizza-zione di un allevamento di maiali perl’autosostentamento dei bambini ospi-tati dal Centro disabili mentali Urgug-wiro. La coordinatrice del progetto è Lu-cia Consuelo Ceribelli, laica fidei donum,

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

ka non è che uno dei tanti progetti incorso per le microrealizzazioni giubila-ri della Campagna “Il diritto di rimane-re nella propria terra” che vede impe-gnate la Fondazione Missio, Caritasitaliana e la Federazione degli Organi-smi Cristiani Servizio InternazionaleVolontario (Focsiv) in una importanteiniziativa comune, nata in risposta alpunto 7 del Vademecum approvatodal Consiglio permanente della Confe-renza Episcopale italiana (“Indicazionialle diocesi italiane circa l’accoglienzadei richiedenti asilo e rifugiati”).

bergamasca di nascita, dal 2008 inRwanda, che spiega: «L’allevamento dimaiali è una attività che produce red-dito per il Centro, per l’acquisto di ma-teriali di falegnameria per fabbricarepiccole attrezzature per la fisioterapiae del materiale medico-sanitario. Abbia-mo in cura 52 bambini e le loro fami-glie, ma qui si svolgono anche attivitàdi formazione professionale e oltre 45ragazzi vengono istruiti con nuovi me-todi di lavoro nell’ambito della falegna-meria».Quello che viene dal villaggio di Nkan-

In Rwanda la speranza siautofinanzia

In Rwanda la speranza siautofinanzia

VITA DI MISSIO

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Vademecum del Centro missionario

Il Rwanda è uno degli Stati più poverial mondo (indice di povertà IPU-1 del44,5%) e si estende su un territorio pre-valentemente montuoso - 26.338 chi-lometri quadrati - senza sbocchi sulmare e con una densità di popolazionetra le più elevate del continente africa-no a causa della salubrità del clima.Dopo i difficilissimi anni del conflitto et-nico tra Hutu e Tutsi, che hanno segna-to questa regione con il sangue di ungenocidio, la tendenza demografica èora in rapida crescita e si prevede cheentro il 2050 il Rwanda raggiungerà i

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epilettici, con problemi neurologici,ipovedenti, non udenti. Gli obiettivi delcentro sono: assicurare la presa in ca-rico psico-sociale dei bambini disabili;suscitare la presa di coscienza del bam-bino come una persona uguale alle al-tre; aiutare i bambini ad avere un livel-lo di studio elementare frequentando lescuole; rendere autonoma la personacon una disabilità; promuovere la mo-rale, l’igiene, il rispetto le relazioni in-terpersonali».Ma il Centro è stato creato soprattut-to per aiutare i bambini con problemimentali ed epilettici perché la popola-zione e le famiglie vedono ancora oggiun bambino disabile come una maledi-zione, un castigo del Signore, e così sonodiscriminati e rinchiusi nelle case. «Daun paio di anni sentiamo che è aumen-tata la richiesta di aiuto» dice la volon-taria bergamasca, che aggiunge: «Ibambini con problemi fisici sono rifiu-tati dalle famiglie perché ritengono cheil bambino non serva a niente: non po-trà mai aiutare a coltivare, a cercare le-gna e acqua per la cucina. Allora il ser-vizio di fisioterapia è iniziato nel mag-gio 2015 e ha deciso d’aiutare gratui-tamente queste famiglie per poter cu-rare il proprio figlio, perché la povertànon permette loro la cura ospedalieraspesso a causa di mancanza di soldi perpagare il servizio».

17 milioni di abitanti. Il Paese dipendeancora molto da finanziamenti esteri ela maggior parte della gente vive in con-dizioni di sopravvivenza a causa di di-versi fattori: quelli territoriali come ladistanza dal mare, quelli economici le-gati all’esportazione del tè e del caffèe quelli sociopolitici che rendono la si-tuazione di politica interna ancoraestremamente precaria.Tra gli obiettivi governativi di sviluppofinanziati con sovvenzioni estere, siintende programmare l’aumento dellaproduttività soprattutto agricola, l’esten-sione della superficie coltivabile (che co-munque rimane esigua rispetto alla po-polazione) e l’intensificazione dei rap-porti commerciali con l’estero.

LE ATTIVITÀ DELLA PARROCCHIA DI NKANKALa parrocchia di Nkanka è stata fonda-ta nel 1975 e fa parte della diocesi diCyangugu. La sua popolazione è di62.725 abitanti, di cui 34.965 sono di re-ligione cattolica. Una parte della popo-lazione abita sulle tre isole: Nkombo (lapiù grande), Ishywa e Gihaya. Per arri-vare su queste isole bisogna attraversa-re il mare con un battello o una piro-ga, con grande rischio di naufragio.Per avvicinarsi sempre di più ai poveri,la parrocchia di Nkanka ha elaborato unprogetto di presa in carico per bambi-ni con problemi mentali per integrarlinella società. Il Centre Urugwiro per di-sabili ha iniziato la sua attività a settem-bre 2004 e dall’anno 2007 il coordina-mento delle attività e la responsabilitàdel Centro sono stati presi in gestionedalla volontaria missionaria Lucia Con-suelo Ceribelli che racconta: «Ognimattina alle 7,30 i bambini arrivano alCentro per ritornare nelle proprie fami-glie alle 15,30. Per il momento siamo ingrado di ospitare in totale 185 bambi-ni e ragazzi, di cui 95 femmine e 90 ma-schi con diverse tipologie di disabilità:

Campagna Missio, Caritas, Focsiv

PER CONTRIBUIRE:BONIFICO BANCARIO A FAVORE DICARITAS ITALIANABanca Popolare Etica - Via Parigi 17, RomaCodice IBAN: IT29 U050 1803 2000 0000 0011 113Codice BIC/SWIFT: CCRTIT2T84AoppureVersamento su c/c postale numero 347013intestato a: CARITAS ITALIANA, Via Aurelia 796 00165 Roma

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Q uando si lascia correre il rac-conto della missione è quasiimpossibile non rimanere

coinvolti. Dapprima la curiosità, poi ilfascino e ancora la meraviglia, alla fineuna serie infinita di domande che in-terrogano la vita e il suo presente, lescelte e il suo futuro. Qualcosa di scon-volgente che fa appello alla profon-dità di ciascuno. Si fa strada da subi-to una prima convinzione: la missio-ne non è per i superficiali. Forse è pro-prio questa la provocazione più for-te che oggi povertà, ingiustizia, vio-lenza consegnano ad una realtà doveè difficile lasciare spazio al cuore, dovele preoccupazioni sociali ed economi-

VITA DI MISSIO

che tentano di oscurare l’universodella convivenza e ridurre ogni rela-zione al profitto, al guadagno, allasoddisfazione personale. L’appello allaprofondità conduce immediatamentea quella capacità del cuore che chia-miamo misericordia.Proprio la misericordia è la porta del-la missione: questa seconda convinzio-ne lascia spazio a tutto il “fare” la ca-rità che non è immediatamenteun’opera, una struttura, un progetto,ma una relazione autentica, libera egratuita, connotata teologicamentenel mistero stesso di Dio come di co-lui che dà un senso alla vita. Nulla al-lora è estraneo alla misericordia, per-ché tutto concorre a dare qualitàalla vita dell’uomo indigente e ricco,capace e in disagio, sicuro e segnato

dalla precarietà. Ogni riduzione osurrogato illude della possibilità di unasalvezza umana che si affida a provedi forza e di coraggio destinate a con-sumarsi nel tempo.La misericordia, può essere questa laterza convinzione, porta la persona auna fede matura. Dà volto a quel “di-scepolo missionario” che papa France-sco continuamente evoca come figu-ra del cristiano di sempre, come incar-nazione del credente oggi. E quandoun’opera di misericordia tocca la car-ne vince ogni resistenza, ogni pudo-re, e lascia dietro di sé il profumo stes-so di Dio.

La misericordia,porta della missioneMonsignor Francesco Beschi, vescovo diBergamo, presidente della Fondazione Missioe della Commissione episcopale perl'evangelizzazione dei popoli e la cooperazionetra le Chiese della Cei, spiega come lamisericordia sia la vera chiave dell’approccioumano a Dio. Queste righe che aprono il libro “Opere di luce” di Luigi Ginami e VaniaDe Luca, aiutano a capire come misericordia e missione siano inscindibilmente edinamicamente legate tra loro.

di FRANCESCO [email protected]

Monsignor FrancescoBeschi in Malawi.

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LUNGO I SENTIERI DELLA MISSIONEÈ dunque inscindibile il legame tra mis-sione e misericordia; molto di più que-ste due dimensioni della vita rivelanoil volto vero della comunità cristiana ela rendono capace di mettersi al servi-zio del Vangelo senza porre condizio-ni e oltre le proprie capacità.Noi apparteniamo alla missione. Quan-do i nostri occhi vedono, le nostre manipossono stringerne altre e i piedi per-corrono i sentieri delle missioni, allo-ra tutto questo produce un turbine eci fa ritrovare la bellezza dell’umanitàe della sua storia, la responsabilità checi appartiene per custodire il bene co-

mune, la vita de-gli ultimi che vin-ce ogni tentazio-ne di egoismo. Uno sguardo, un abbrac-cio, una parola diventano segni di re-sponsabilità; un sorriso, una paccasulle spalle, un tratto di strada insiemesono indiscussa ricchezza ovunque nelmondo.

STRUMENTI DI MISERICORDIANoi siamo strumenti di misericordia.Nella misura in cui sappiamo ricevereil dono possiamo diventarne dispensa-tori. Nella misura in cui siamo consa-pevoli del bisogno riusciamo a intercet-

tare il grido di chi ci sta accanto. Ed èla misericordia che fa la differenza tral’abbondanza della possibilità e l’offer-ta del necessario. L’icona di quellavecchietta del Vangelo che «ha datotutto quello che aveva per vivere»non è un soprammobile di prestigio daguardare da lontano, ma appello ad unavita misericordiosa.Questa la quarta convinzione che cipermette di balbettare l’esperienza diun “nuovo umanesimo”, per compierel’esodo dalle opere di misericordia a uncuore misericordioso. Proprio il raccon-

to ci affida questapossibilità. Il fattoche qualcuno vivasulla pelle le con-vinzioni che ab-biamo elencato ele vesta di carne,convince sempredi più che l’espe-rienza missionarianon può che arric-chire ciascuno ele comunità.Non si tratta solodi realizzare pro-getti, di dare spa-zio a una solida-rietà capace di al-leviare le soffe-renze umane, madi abitare la do-

manda di senso che ogni tipo di pover-tà provoca rispetto alla pienezza del-la vita. In questo spazio la misericordiaha tutta la dinamica della missione.È una provocazione, qualcosa che al-larga gli orizzonti, che rende il respirodella fede ancora più profondo. È unascommessa da giocare con sé stessi allaluce di un racconto che, nell’intrecciodi esistenza e fede, riconsegna la vitaa chi crede che valga la pena fare delprossimo una ragione di vita e a que-sta speranza affida il suo tempo.

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VITA DI MISSIOA

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L o scorso dicembre un gruppo di volontari del Centromissionario diocesano di Nardò-Gallipoli, guidati dal vi-

cedirettore don Giuseppe Venneri, si sono recati a Pajule,arcidiocesi di Gulu nel Nord Uganda. L’esperienza, duratadal 17 dicembre al 4 gennaio scorsi, ha avuto come obiet-tivo quello di ufficializzare un rapporto di cooperazione mis-sionaria con l’arcidiocesi di Gulu. Per questo motivo i vo-lontari, prima di recarsi a Pajule, hanno incontrato a Gulu mon-signor John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu, al qualehanno spiegato i motivi della visita e consegnato una let-tera ufficiale di saluti da parte del vescovo di Nardò-Gal-lipoli, monsignor Fernando Filograna, che ha donato un ca-lice a monsignor Odama per sottolineare la fraternità uni-versale nella Chiesa che nasce dall’Eucaristia.Durante il soggiorno, i volontari hanno inaugurato una strut-tura nella città di Pajule dove opera da anni l’organizzazio-

Uganda, tra i bambini di Pajule

S ono tanti i Centri missionari diocesani o i gruppi parrocchiali che du-rante l’anno promuovono delle visite missionarie nei Paesi del mon-do dove sostengono progetti di cooperazione o di solidarietà. Sono espe-rienze utili per far sì che tra le diocesi non si instauri solo un legameeconomico (certamente importante) ma anche e soprattutto una rela-zione d’amicizia e di fraternità. A questi viaggi prendono spesso partegiovani attratti dall’idea di poter trascorrere del tempo in villaggi remo-ti oltreoceano, che scoprono la bellezza della condivisione, dello stareinsieme ad altri giovani di altre culture ma con i medesimi sogni. Que-ste esperienze diventano dunque occasione per crescere nella fede, perporsi nuove domande e raggiungere insperate risposte esistenziali.La lettura che vi proponiamo è la testimonianza di alcuni ragazzi di Mis-sio Giovani Nardò-Gallipoli che lo scorso dicembre hanno vissuto un viag-gio simile, in Uganda, dove da poco hanno cominciato un progetto dicooperazione e di solidarietà. Chissà che per alcuni di loro non sia sta-to il primo viaggio di una lunga esperienza missionaria…

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CONOSCERE LA MISSIONECONOSCERE LA MISSIONE

ne Peace Togheter Uganda (PTU), che si spende per ga-rantire a bambini e ragazzi il diritto allo studio attraverso ilsostegno economico e sociale alle famiglie, per incentiva-re la frequenza scolastica con il sistema del sostegno a di-stanza.

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la diocesi di Nardò che, inserendosi nei progetti di forma-zione diocesani, potranno effettuare esperienze missiona-rie.I nostri volontari hanno visitato le famiglie e i bambini chesono sostenuti a distanza dalle famiglie della diocesi e daun gruppo di famiglie di Barletta. Ad oggi, sono circa 120i bambini sostenuti nello studio. Entrare nelle case di que-sti bambini, spesso capanne, è stata un’esperienza unicae di grande incontro con Cristo povero e umile. Un altroobiettivo è stato raggiunto grazie al ripristino del mulino diproprietà di PTU da tempo non utilizzabile perché in ava-ria. Grazie al ripristino in attività del mulino e con il guada-gno ottenuto dalla macina del grano e del riso, l’organiz-zazione PTU ha potuto assumere una maestra per garanti-re ai bambini un sostegno allo studio extra scolastico.Siamo felici per questa opportunità che abbiamo donatoa PTU e ai bambini di Pajule ma soprattutto per l’esperien-za vissuta. A Pajule abbiamo incontrato persone che sot-to la guida saggia e amorevole di padre Leonsyo Akena, fon-datore di PTU, vogliono garantire un futuro ai bambini di Pa-jule e dei villaggi vicini, sono protesi a superare gli anni buidella guerra civile e soprattutto hanno la voglia e l’entusia-smo di collaborare per far sì che questo rapporto di coo-perazione duri nel tempo. Abbiamo vissuto un’esperien-za di grande integrazione, svolgendo lavori per la casa e con-frontandosi soprattutto con le autorità civili che hanno ga-rantito il sostegno al nostro lavoro e a quello dei fratelli ugan-desi.Attraverso la consegna di medicinali pediatrici alla localeclinica, abbiamo garantito un anno di cure ai bambini vit-time della malaria. Anche per questo abbiamo già avviatola raccolta fondi per la costruzione di un dispensario sani-tario. A Pajule abbiamo incontrato una Chiesa matura, di-namica e gioiosa che ha insegnato tanto a noi “occidenta-li”, forse un po’ troppo abituati alla nostra vita comoda, eincapace, talvolta, di spendersi ed esporsi con coraggio peril Vangelo.Oggi abbiamo un sogno per il quale già stiamo lavorando:realizzare una scuola su un terreno donato dai villaggi in-torno a Pajule. Un ringraziamento particolare va soprattut-to al nostro vescovo Fernando, che ha creduto nel proget-to e incessantemente sostiene il Centro missionario dioce-sano con vera sollecitudine apostolica. Ad maiora!

Missio Giovani di Nardò-Gallipoli

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La struttura, composta da 12 stanze, sala incontri, cucina eservizi igienici, riconosciuta per il grande tetto azzurro, oggiè un punto di riferimento a Pajule. Fino a dicembre era unrudere che riportava i segni della sanguinosa guerra civileimperversata in Nord Uganda fino al 2009. Oggi, grazie allagenerosità di due coniugi di Nardò e di tanti altri benefat-tori, è un luogo di aggregazione sociale. La casa dal tettoazzurro è una struttura capace di accogliere i volontari del-

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Intenzioni

Un’intenzione di preghieracome questa è una diquelle che contiene tutta

la realtà del Continente nero cor-rendo però il rischio che l’inten-zione di preghiera sia così astrattada non toccare il cuore del pro-blema che si vuole presentare al Si-gnore.Cominciamo col dire che le trage-die che attraversano diversi Paesiafricani, colpiscono ampie fascedella popolazione di molte nazioni.Conflitti etnici, tribali, guerre dibassa o alta intensità toccano interecomunità da vicino e causano pa-recchia sofferenza alla gente inno-cente che purtroppo ha la sfortunadi trovarsi nel posto sbagliato almomento sbagliato. Per quanto ri-guarda i cristiani si assommano al-tre considerazioni che al solo pen-sarci fanno accapponare la pelle.Solo per citare degli esempi, bastipensare a coloro che sono stati rapitida Boko Haram in Nigeria o aglistudenti cristiani di Nairobi chesono stati separati dai loro coetaneimusulmani per essere seviziati e giu-stiziati. Si potrebbero elencare altre

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di MARIO [email protected]

situazioni di dolore e sofferenza in-ferte ai cristiani in terra d’Africa,ma i due casi sopra esposti lascianointuire quanto sia difficile per i cri-stiani vivere una vita normale. Se aquanto esposto si aggiunge che idue Paesi che in Africa hanno lapercentuale più alta di cristiani sonoil Rwanda e il Burundi, si arriva alparadosso di vedere che sono pro-prio quelli che hanno patito e sof-ferto una delle tragedie più brutalia causa dell’odio etnico tra Hutu eTutsi, con migliaia di morti, mi-lioni di sfollati e un fiume di sangueche ha bagnato le verdi colline diqueste due minuscole nazioni.Con queste scarne pennellate suquelle che sono le cicatrici ancora

aperte dell’Africa di oggi, è evidenteche i cristiani del Continente sianosempre più incoraggiati a dare testi-monianza di amore e di fede inGesù, impegnandosi e lavorandoper creare condizioni di pace e giu-stizia in Paesi finora martoriati daviolenza e sofferenze.I cristiani sono nel mondo proprioper rendere testimonianza del mes-saggio di amore e di tenerezza diGesù Cristo. Forse non li cono-sciamo pienamente, ma sono mol-teplici i casi in cui i cristiani hannorisposto con il perdono alla ven-detta, dopo essere stati vilipesi, ol-traggiati e uccisi.Questa è la strada che bisogna per-correre affinché si costruisca unmondo che viva nella giustizia enella pace. A tale proposito, alleloro preghiere vanno unite anchele nostre.

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I N T E N Z I O N E M I S S I O N A R I A

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PERCHÉ I CRISTIANID’AFRICA DIANOTESTIMONIANZA DIAMORE E DI FEDE INGESÙ CRISTO IN MEZZOAI CONFLITTIPOLITICO-RELIGIOSI.

Con i nostrifratelli africani

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dal punto di vista dei suoi interessi,ho saputo rispondere in modo corret-to, certo, ma solo con accento e con-tenuti “professionali”.Una delle acquisizioni fondamenta-li che insegna l’esperienza missiona-ria è invece l’universalità di Cristo.Non tanto nella sua formulazionedogmatica. Ma per come si può rico-noscere quando la verità di Gesù vie-ne compresa nelle differenze di spi-ritualità e cultura. L’attrattiva della suaumanità non di rado riesce a far brec-cia anche in chi nega la sua divinità.Non c’è tanto da scherzare di frontealla domanda ingenua di un bambi-no. Anzi, come il Maestro ha chiesto,c’è da diventare come loro se voglia-mo entrare nella logica del Regno diDio.Il Figlio eletto di Dio dunque “gio-cò” a rimpiattino per 30 anni a Na-zareth. Ma non è difficile riconosce-re che gare del genere continuò a di-sputarle con la samaritana, Na- »

E il chierichettochiese...

P O N T I F I C I A U N I O N E M I S S I O N A R I A

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te se vi trovo subito! Tana per Pietro,ti ho visto mentre ti nascondevi die-tro la capanna che stai costruendo.Mosè ed Elia venite fuori dallanube!». Il ragazzino continuava apuntarmi, lasciandosi contagiare dalsorriso che leggeva sul mio volto. Horisposto benevolo: «No, Gesù non

giocava a rimpiatti-no. Ma coi suoiapostoli viveva sem-pre tante belle av-venture». E lui dirimbalzo: «Perchéallora prima haidetto che è rimastonascosto a Naza-reth per 30 anni?».Ecco cosa lo avevacolpito, scatenan-do la sua fervidaimmaginazione!Il resto della messaè trascorso senza al-

tre sorprese. Ma stasera quei due in-terrogativi sono ancora lì e continua-no a scavarmi dentro. Evidentemen-te le semplici parole della mia rispo-sta non sono bastate neppure a me.A un ragazzino che guardava a Gesù

di GIUSEPPE [email protected]

«Ma Gesù giocava maia rimpiattino con gliapostoli?». A chie-

derlo è il più piccolo tra quanti miaiutano all’altare. Sgomitando perfarsi ascoltare e vedere, riesce quasisempre ad ottenere il servizio chevuole. Stamani ha conquistato ilprimo sedile alla de-stra del celebrante e,per nulla intimoritodalla grandiosa scenadella trasfigurazioneraccontata dal Van-gelo, finita l’omelia,ha strattonato la ca-sula e non ha fattomancare la sua istin-tiva richiesta.Detta così, a brucia-pelo, mentre stavoriprendendo fiato eidee per il proseguodell’eucaristia, la do-manda sostenuta da due occhioni cheattendevano solo un sì o un no, haavuto il potere di farmi immaginareun impossibile scenario sul monte Ta-bor: «Giovanni e Giacomo, se statesempre insieme poi non vi lamenta-

NON C’È DASCHERZARE DIFRONTE ALLA

DOMANDA INGENUADI UN BAMBINO.

ANZI, COME ILMAESTRO HA

CHIESTO, C’È DADIVENTARE COME

LORO SE VOGLIAMOENTRARE NELLA

LOGICA DEL REGNODI DIO.

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tanaele, il cieco nato e altri ancora.M’immagino cosa può dire la miapiccola birba di un Gesù consegna-to nelle mani di chi vuole ucciderlo.In quell’occasione a nascondersiandò Lui. E tutti i suoi apostoli fal-lirono il riconoscimento. Magari perqualche errata idea della sua gloria.Non discutevano forse, mentre lo se-guivano verso Gerusalemme, su chitra loro fosse il più grande? E così,quando li travolse quel treno in cor-sa che fu il suo arresto, preferirono lafuga. Quel giorno vinse un centurio-ne. Forse perché non conosceva le pa-role grandi che in Israele si dicevanodel Messia e, visto ciò che era acca-duto, «dava gloria a Dio dicendo: ve-ramente quest’uomo era giusto!»(Luca 23,47). Da quel momento lacroce, ogni croce, è il nascondino pereccellenza di Dio. Solo chi non ha fa-miliarità con Lui, si attarda a cercar-lo altrove.È forse anche per questoche papa Francesco,concludendo il di-scorso alla Chiesaitaliana convocata aFirenze per l’ulti-mo Convegno

comune, fornisce ragioni per l’allegriae l’umorismo, anche nel mezzo di unavita tante volte molto dura».Quando la Misericordia giocò a na-scondino, ergendosi in piena vista sul-la croce, sembrando quasi invisibile,addirittura assente, gridò a gran voceper l’umanità intera il suo: «Tana li-bera tutti!», travalicando ogni tempoed ogni spazio. Una gara di libertà of-ferta anche a noi, oggi!Sarà pure un “gioco”, ma se come gio-catore partecipa Dio, il premio è si-curo. Lo sa anche il mio piccolo e in-teressato chierichetto.

ecclesiale nazionale, ha detto: «Mi pia-ce una Chiesa italiana inquieta, sem-pre più vicina agli abbandonati, ai di-menticati, agli imperfetti. Desiderouna Chiesa lieta col volto di mamma,che comprende, accompagna, acca-rezza. Sognate anche voi questaChiesa, credete in essa, innovatecon libertà. L’umanesimo cristianoche siete chiamati a vivere afferma ra-dicalmente la dignità di ogni perso-na come Figlio di Dio, stabilisce traogni essere umano una fondamenta-le fraternità, insegna a comprendereil lavoro, ad abitare il creato come casa

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A distanza di sette anni, la Fondazione Missioti ha affidato nuovamente il Segretariato nazio-nale della Pontificia Unione Missionaria (Pum)ed oggi torni ad essere responsabile di MissioConsacrati. Ci racconti cosa hai fatto nel frat-tempo, da quando ci hai salutato a quando seitornato?«L’esperienza di comunità missionaria vissuta a

Missio mi aveva spinto ad uscire ancora affinché quanto il Si-gnore mi aveva dato potesse essere messo a servizio dellaChiesa in Papua Nuova Guinea. Là ho ripreso quindi il mio im-pegno nel Seminario nazionale di Banz come insegnante di Teo-logia fondamentale e decano. Dopo due anni mi è stato chiestoun servizio presso l’Università statale UOG di Goroka dove hocontinuato ad insegnare Teologia, ma il mio compito primarioè stato quello di essere cappellano degli oltre 5mila studenti. Conloro e con lo staff accademico ho fatto una profonda esperienzadi servizio fino al totale coinvolgimento nella vita di tutti. Propriorecentemente ho ricevuto una e-mail da un professore del-l’Università che mi diceva che gli studenti e lo staff ancora ri-cordano le speranze e le lotte di quegli anni, che hanno avutocome risultato una nuova gestione dell’Università. Mi è costato

parecchio, ma alla fineha vinto la giustizia el’amore.Adesso c’è un work in

progress: l’UniversitàFederico II di Napoli haaccettato il mio invito astabilire una Facoltà diMedicina e Chirurgiapresso l’UniversitàDWU di Madang. Icorsi condotti dai pro-fessori di Napoli sonoiniziati il 15 febbraioscorso. Dovrò seguireprogrammi e docenti,ma la generosità na-poletana mi permetteràdi por tare a termineanche quest’ultimo impegno per la Papua Nuova Guinea».

Quali sono le tue aspettative per il prossimo futuro relativa-mente alla Pum? Qual è il tuo programma per Missio Con-sacrati?«La Pum è sollecitazione alla santità sacerdotale missionaria.Solo i santi sono veri missionari. Il beato Paolo Manna aveva unsolo programma in mente: dare a tutta la Chiesa uomini e

donne sante, perché tutto il mondo venisse al Regnodi Cristo. Il mio programma? Prendere la Croce e se-guire il Crocifisso invogliando a fare altrettanto tuttiquelli che il Signore ha messo in uscita verso ilmondo, perché ai poveri di Cristo venga donato ildono più grande che ci è stato passato: la fede».

Pensi di poter riallacciare il filo dove lo avevi la-sciato sette anni fa nel tuo servizio a Missio o viviquesto incarico come un nuovo inizio?«Non dovrò fare molto per riallacciare il filo, perchénon si è mai interrotto. Durante questi anni ho avutola gioia di continuare a vivere la missione con tanti se-minaristi, sacerdoti, suore e laici che mi hanno aiutato,incoraggiato, pregato e amato perché fossi capace dirispondere al mio Signore e all’umanità, servendoumilmente dovunque egli mi mandava. Devo cambiareparecchio in me e spero di farlo con l’aiuto di tuttiquelli che lo Spirito mi metterà accanto».

C.P.

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Andata e ritornoINTERVISTA A DON CIRO BIONDI, SEGRETARIO NAZIONALE DELLA PUM

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SIGNIFICATOE’ una palestra per tenere in allenamento di mesein mese gli occhi e il cuore aperti sul mondo,imparando a far tesoro di quanto insegna ilVangelo.

MODALITÀL’invio del primo numero avverrà in un unicopacco, recapitato in parrocchia, perché il giornodella celebrazione del Sacramento il parrocopossa consegnare a mano ad ogni ragazzo unacopia della rivista.Dal mese successivo, ogni ragazzo la riceverà acasa propria.

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