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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito ANNO XXVII APRILE 2013 4 DOSSIER Cultura missionaria Emi insider FOCUS Erri De Luca Operaio della scrittura Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 ATTUALITÀ Argentina Tra i poveri d Habemus Papam FRANCESCO Habemus Papam FRANCESCO el Chaco

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Page 1: MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA · Don Autuoro succede così a Don Gianni Cesena, direttore uscente di Missio. confessarlo, abbiamo lasciato nel cassetto. Siamo, dunque,

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ANNO XXVII

APRILE2013 4

DOSSIERCultura missionariaEmi insider

FOCUSErri De LucaOperaio della scrittura

Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

ATTUALITÀArgentinaTra i poveri d

Habemus Papam

FRANCESCOHabemus Papam

FRANCESCO

el Chaco

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIATrib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica. Editore: Associazione Amici della Propaganda Missionaria (APM) Presidente (APM): GIOVANNI ATTILIO CESENALa rivista è promossa dalla Fondazione Missio, organismo pastorale della CEI.Direttore responsabile: GIULIO ALBANESERedazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis. Segreteria: Emanuela Picchierini. Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma. Abbonamenti: 06 66502632. Hanno collaborato a questo numero: Chiara Anguissola, Mario Bandera,Roberto Bàrbera, Marco Benedettelli, Roberto Catalano, Francesco Ceriotti, Azia Ciairano Franz Coriasco, Francesca Lancini, Martina Luise, Luciana Maci, Paolo Manzo, Pier Maria Mazzola, Enzo Nucci, Cecilia Peduzzi, Alfonso Raimo,Fabio Riccardi, Filippo Rizzatello, Alex Zappalà, Raffaello Zordan. Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile.Foto di copertina: Afp Photo / Filippo Monteforte.Foto: Afp Photo / Str, Afp Photo / Phil Moore, Afp Photo / Marco Longari, Afp Photo /Gabriel Bouys, Afp Photo / Simon Maina, Afp Photo / Martin Bernetti, Afp Photo / PeterParchi, Afp Photo / Mustafa Abdi, Afp Photo / Gabriel Bouys, Afp Photo / Sia Kambou,Afp Photo / Giuseppe Cacace, Afp Photo / Gabriel Bouys, Afp Photo / Vincenzo Pinto,Afp Photo / Osservatore Romano", Giulio Albanese, Giuseppe Andreozzi, Ansesgob,Gianni Cesena, Paolo Manzo, Roberto Catalano, Ugo Pozzoli, PHplus, Archivio EMI, Erri De Luca, Fe Y Alegria, Archivio Missio, Amedeo Cristino, Cecilia Peduzzi, Carlo Montedoro, Filippo Rizzatello, Ed Insieme di Renato Brucoli, Eugenio Di Giovine.Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00;Benemerito € 30,00; Estero € 40,00.Modalità di abbonamento: versamento su C.C.P. 70031968 intestato aPopoli e Missione oppure bonifico bancario intestato a Popoli e Missione

Cod. IBAN IT 57 K 07601 03200 000070031968Stampa: Graffietti stampati - S.S. Umbro Casentinese km 4,5 - Montefiascone (VT)Manoscritti e fotografie anche se non pubblicati non si restituiscono.

Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana.Chiuso in tipografia il 25-03-2013Supplementi elettronici di Popoli e Missione:MissioNews (www.missioitalia.it)La Strada (www.giovani.missioitalia.it)

Fondazione MissioSezione Pontificie Opere Missionarie

Via Aurelia, 796 - 00165 Roma

Don Giovanni Attilio Cesena, DirettoreDr. Tommaso Galizia, Vice DirettoreDon Valerio Bersano, Segretario Nazionale dell’Opera per la Propagazionedella Fede (C.C.P. 63062723)Don Alfonso Raimo, Segretario Nazionale dell’Opera di S. Pietro Apostolo (C.C.P. 63062772) e della Pontificia Unione Missionaria (C.C.P. 63062525)Segretario Nazionale dell’Opera dell’Infanzia Missionaria (C.C.P. 63062632)Alessandro Zappalà, Segretario Nazionale Missio Giovani (C.C.P. 63062855)

Numeri telefonici PP.OO.MM.Segreteria di Direzione 06 6650261Amministrazione 06 66502628/9P. Opera Propagazione della Fede 06 66502626/7P. Opera S. Pietro Apostolo 06 66502621/2P. Opera Infanzia Missionaria 06 66502644/5/6P. Unione Missionaria 06 66502674Missio Giovani 06 66502640Opera Apostolica 06 66502641Fax 06 66410314

“Popoli e Missione”Centralino 06 6650261Direzione e Redazione 06 66502623/4Segreteria 06 66502678Settore abbonamenti 06 66502632Fax 06 66410314

Indirizzi e-mailPresidente Missio [email protected] Missio [email protected] Missio [email protected] Missio [email protected] Propagaz. della Fede [email protected]. Pietro Apostolo [email protected] Infanzia Missionaria [email protected] Unione Missionaria Clero [email protected] Opera Apostolica [email protected] Missio Giovani [email protected] e Missione (Redazione) [email protected] Popoli e Missione (Direttore) [email protected] [email protected] Amministrazione [email protected]

PER AIUTARE I MISSIONARI E LE GIOVANI CHIESELa Fondazione MISSIO, costituita il 31 gennaio 2005 dalla Conferenza Episcopale Italiana, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22febbraio 2006, è abilitata a ricevere Eredità e Legati anche a nome e per conto delle Pontificie Opere Missionarie. Queste le formule da usare:

PER UN LEGATO· di beni mobili

«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia796, a titolo di Legato la somma di €... (o titoli, polizze, ecc.) per i fini istituzio-nali dell'Ente».

· di beni immobili

«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia796, l'immobile sito in ... per i fini istituzionali dell'Ente».

Per ogni chiarimento si può consultare un notaio di fiducia o l'Amministrazione di MISSIO (tel. 06 66502629; e-mail: [email protected])

PER UNA EREDITÀ«... nomino mio erede universale la Fondazione di Religione MISSIO, con sedea Roma in Via Aurelia 796, lasciando ad essa tutti i miei beni (oppure specifi-care quali) per i fini istituzionali dell'Ente. Così dispongo annullando ogni miaprecedente disposizione testamentaria». È possibile ricorrere al testamento semplice nello forma di scrittura privata o condizione che

sia interamente scritto a mano dal testatore, in maniera chiara e leggibile. È necessario inol-

tre che la sottoscrizione autografo posto allo fine delle disposizioni contenga nome e cogno-

me del testatore oltre alla indicazione del luogo, del giorno, mese e anno in cui il testamento

viene scritto.

INTENZIONI SS. MESSE

l Missionari e i Sacerdoti delle giovani Chiese ringraziano per l’invio di offerte per la celebrazione di Sante Messe, anche Gregoriane. La Direzionedelle Pontificie Opere Missionarie raccomanda questo gesto di carità e di comunione con chi serve la Chiesa nei luoghi di prima evangelizzazione.

Sul ccp n. 63062855 specificare: SS. MESSE PER I MISSIONARI · BANCA ETICA - CONTO FONDAZIONE DI RELIGIONE MISSIO - CIN I -ABI 05018 - CAB 03200 - c/c115511 - Cod. IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511

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G razie al coraggio di BenedettoXVI, ora abbiamo Francesco,come 266esimo successore di

Pietro, primo papa non europeo dopo1272 anni (l’ultimo papa non europeoè stato Gregorio III, siriano, morto nel741). Appena uscito dalla clausura delConclave, Francesco ha fatto breccianel cuore della gente.Non solo dei fedeli convenuti sotto lapioggia a Piazza San Pietro, ma davverofino agli estremi confini. Infrangendole previsioni dei giornalisti vaticanisti,lo Spirito Santo ha fatto rivivere allaChiesa una nuova Pentecoste. In effetti,il mese scorso, in piena Quaresima,quasi contravvenendo al ritmo del-l’anno liturgico, siamo stati testimonidi un evento pasquale che segnerà, cer-tamente, l’agognato cambiamento.Quello che riguarda i nostri comporta-menti e, soprattutto, il nostro modo diessere seguaci di Cristo. Il cammino erastato indicato con umiltà da papa Rat-zinger, il quale passerà alla storia per ilsuo coraggio, non di “desacralizzare” ilministero petrino come qualcuno haerroneamente pensato e scritto, ma di“demitizzarlo”, restituendolo alla suaoriginale matrice, quella del suo pecu-liare servizio alla Chiesa di Cristo.Gesuita, argentino di origini italiane,Jorge Mario Bergoglio, la sera del 13marzo, indossava la talare bianca e una

croce di ferro. Affacciandosi dalla log-gia centrale della basilica, il suo sguardosprizzava sobrietà e pacatezza. Augu-rando ai presenti un conviviale e percerti versi disarmante “buona sera” atutti, ha parlato a braccio con sempli-cità e immediatezza, riuscendo col sor-riso ad andare al di là di ogni formali-smo. Il nome che ha scelto per il suopontificato la dice lunga, evocando lospirito del poverello d’Assisi, ma anchequello di Francesco Saverio, apostolodelle Indie. Invocando la comunionecon tutte le Chiese nel mondo, comevescovo dell’Urbe, ha chiesto la pre-ghiera del popolo, per essere fino infondo primus inter pares (primo tra ipari), all’insegna della fraternità uni-versale. C’era davvero bisogno di un pa-store come lui, in questo nostro tempo,segnato da una crescente crisi di valori,anche all’interno delle nostre comunità.L’abbiamo scritto tante volte nei nostrieditoriali: occorre voltare pagina esiamo certi che il rilancio della missione,di cui papa Francesco s’è già fatto in-terprete, sarà un compito condiviso, ri-volto alla periferia, dove i poveri vivonoimmersi nei bassifondi della Storia. Maora che habemus Papam, occorre pas-sare dalle parole ai fatti, mettendo inpratica la Parola di Dio e facendo tesorodel dettato conciliare, quello del Vati-cano II, che troppe volte, dobbiamo

EDITORIALE

Habemus Papam,

di GIULIO [email protected]

(Segue a pag. 2)

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Deo gratiasDeo gratias

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Indice

EDITORIALE

1 _ Habemus Papam,

Deo gratias

di Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ Don Tonino Bello a 20 anni dalla morteIn piedi costruttori di pace!di Chiara Pellicci

ATTUALITÀ

8 _ Guinea BissauTra narcos

e malgovernodi Fabio Riccardi

11 _ Viaggio in ArgentinaNel Chaco, tra i poveri di Resistenciadi Paolo Manzo

FOCUS

14 _ Erri De LucaOperaio della scritturadi Miela Fagiolo D’Attilia

L’INCHIESTA

18 _ Energie rinnovabili e business

Pechino alla conquista del sole d’Africadi Ilaria De Bonis

SCATTI DAL MONDO

22 _ Benvenuto al nuovo vescovo di RomaA cura di Emanuela PicchieriniTesto di Pierluigi Natalia

PANORAMA

26 _ Incidenti d’auto, flagello d’Africa di Luciana Maci

DOSSIER

29 _ Quaranta anni di cultura missionariaEmi insider

di Pier Maria Mazzola

37 _ Filo diretto con l’economia“Secondo welfare” e lotta alla povertà di Ilaria De Bonis

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DON MICHELE AUTUORONUOVO DIRETTORE MISSIODon Michele Autuoro è stato nominatodirettore dell’Ufficio per la Cooperazionemissionaria tra le Chiese della Cei. È dun-que anche direttore generale di Missio, anorma dell’ar t.7 dello statuto internodella fondazione. Il sacerdote ha 47 annied è parroco di S. Maria della Mercede diSant’Orsola a Chiaia (diocesi di Napoli).Don Autuoro succede così a Don GianniCesena, direttore uscente di Missio.

confessarlo, abbiamo lasciato nelcassetto. Siamo, dunque, orgo-gliosi di averlo come guida neldifficile cammino che la societàplanetaria sta attraversando. Lagente ha fame e sete di Dio echiede di essere confermata nel-la fede. Ma solo riacquistandocredibilità saremo in grado di cor-rispondere al Mandatum novumdi Nostro Signore, quel precettodell’amore di cui i nostri missio-nari sono testimoni, in giro per ilmondo. E guardando a papaFrancesco e a tutti loro, siamoconvinti che abbiamo ancoramolto da imparare. Si tratta so-prattutto di prendere coscienzadelle proprie responsabilità bat-tesimali, assumendo atteggia-menti protesi all’ascolto, al dia-logo e al servizio. Non dunque uncristianesimo algido e ingessato,arroccato solo e unicamente suposizioni dottrinali, ma inclusivo,capace di trasformare il mondocon la forza della testimonianza.Perciò dopo il tonante extra om-nes è il caso di augurarsi intraomnes, “tutti dentro”, spalancan-do le porte del proprio cuore alCristo risorto.

(Segue a pag. 2)

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VITA DI MISSIO

58 _ Missio RagazziTutti a convegnoa cura di Chiara Pellicci

61 _ Missio GiovaniChiamati a seguirlo di Alex Zappalà

62 _ Intenzione missionariaLa speranza che non deludedi Francesco Ceriotti

63 _ Inserto PUMMissione nella gioiadi Alfonso Raimo

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

38 _ Vita di slum

Thai e baraccopoli a Bangkokdi Roberto Catalano

41 _ Educazione dei giovani in America LatinaFe y Alegria

un’onda di energiadi Paolo Manzo

44 _ MutamentiMedioevo digitaleUn futuro senza memoria?di Luciana Maci

46 _ L’altra edicolaTensioni interreligioseZanzibar, paradiso amarodi Ilaria De Bonis

49 _ Posta dei missionariDa Milano al Niger e viceversaa cura di Chiara Pellicci

RUBRICHE

52 _ ControcorrenteI missionari e la cannada pescadi Mario Bandera

53 _ MusicaUn uragano di musicadi Franz Coriasco

54 _ LibriIl flauto del pastoredi Chiara Anguissola

54 _ La fede passa da internetdi Martina Luise

55 _ Riflessioni sull’esistenzadi Martina Luise

55 _ Storia di un leaderdi Marco Benedettelli

56 _ Ciak dal mondoRe della terra selvaggiaLa legge della sopravvivenzadi Miela Fagiolo D’Attilia

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22

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OSSERVATORI

AMERICA LATINA PAG. 6

L’insostenibile peso del petroliodi Paolo Manzo

MEDIO ORIENTE PAG. 17

Il terrore di Re Abdallahdi Ilaria De Bonis

GOOD NEWS PAG. 19

I frutti cinesi dell’Anno della Fededi Chiara Pellicci

AFRICA PAG. 21

Pirati della Somaliadi Enzo Nucci

BALCANI PAG. 28

Atene dissanguatadi Roberto Bàrbera

ASIA PAG. 39

Perseguitatidi Francesca Lancini

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PRIMO PIANO Don Tonino Bello a 20 anni dalla morte

«P iù che un film su don Tonino,questo è un film da don Toni-no» parola di Carlo Montedoro,

referente regionale della Puglia per PaxChristi, e collaboratore alla produzionedel docufilm appena uscito su monsignorBello, vescovo di Molfetta. In occasionedel 20esimo anniversario del suo diesnatalis – era il 20 aprile 1993 – il movi-mento cattolico internazionale per lapace, di cui don Tonino Bello è stato

presidente nazionale dal novembre 1985alla morte, ha voluto realizzare un me-diometraggio per divulgare pensiero eopera di un vescovo che ha semprevoluto essere chiamato “don”, anziché“monsignore” (per rinunciare ai «segnidel potere» e far parlare il «potere deisegni», come lui stesso amava dire); hascelto la croce vescovile in legno d’olivoe per anello la fede di sua madre; non hamai avuto persone al suo servizio; hadato ospitalità in episcopio agli sfrattati;ha aperto un centro di accoglienza perimmigrati con una piccola moschea per

i fratelli musulmani… e tanto altro. Sudon Tonino Bello la bibliografia contagià centinaia e centinaia di opere; la fil-mografia molte meno. Quello che “L’animaattesa” ha appena regalato al pubblico -il medio metraggio è stato presentato loscorso 19 marzo in prima visione alBif&st, il Bari International Film Festival,terza vetrina italiana del cinema, dopoVenezia e Roma - è un “film di finzione”(chiamato più comunemente fiction) cheparte dalle suggestioni di don Tonino ele attualizza ai nostri giorni, in una storiascritta dal regista salentino Edoardo Win-speare e interpretata da attori profes-sionisti come Carlo Bruni e Nunzia An-tonino. Non si tratta di un lavoro a ca-rattere biografico, ma di un’opera sulpensiero e l’azione di don Tonino, sia sulpiano della denuncia nei confronti di unmodello economico ingiusto e fuori con-trollo «che – usando parole da lui pro-nunciate a Verona il 30 aprile 1989 -produce dipendenza, fame, miseria neiSud del mondo e la distruzione dell’am-biente naturale», sia sul piano dell’an-

All’ingresso dell’emiciclo che abbraccia la tomba di don Tonino Bello campeggia

la scritta con l’esortazione che era solito ripeterespesso: “In piedi costruttori di pace!”.

In piediIn piedicostruttori

di pace!di CHIARA PELLICCI

[email protected]

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Sopra:

La campagna “Adotta un fotogramma per don Tonino Bello” ha permesso la realizzazionedel medio metraggio coinvolgendo centinaia ecentinaia di persone che hanno contribuitoeconomicamente a quest’opera.

Il 20 aprile 1993, a soli 58 anni, gli occhi di donTonino Bello, vescovo di Molfetta, si chiudonoalla terra e si aprono al cielo. Con la suascomparsa, però, non esce di scena una figura di fede,attenta ai bisognosi, innamorata della pace, appassionatadi umanità. Piuttosto prende ancora più forza il suo mottoepiscopale: “Ascoltino gli umili e si rallegrino”. Lo dimostrano la fama di santità che si è diffusa tra i fedeli(è in corso la causa di beatificazione) e il successo dellacampagna “Adotta un fotogramma per don Tonino Bello”che ha permesso la realizzazione del film “L’anima attesa”.

don Bello e nella singolare parte di unangelo. L’emiciclo che sembra abbracciarele spoglie di don Tonino svela la chiavedi lettura e le modalità attuate per laproduzione del medio metraggio: centinaiae centinaia di persone hanno contribuitoalle spese, adottando un fotogramma.Un modo per far sì che non solo i conte-nuti, ma anche la produzione dell’operaparlasse di lui, inducendo a fare rete,condividendo un sogno.Il primo soggetto ad entrare in questaavventura è stata Banca Etica: «Ci piacericordarlo – spiega Carlo Montedoro -perché una banca che sostiene un progettoche parte dal basso, dal sano principioche l’economia deve essere al serviziodell’uomo, ci sembra una delle tantetessere che compongono il mosaico

Quello che “L’animaattesa” ha appenaregalato al pubblico è un “film di finzione”che parte dallesuggestioni di donTonino e le attualizzaai nostri giorni.

nuncio per favorire un radicale cambia-mento dei modelli di sviluppo e riportarel’uomo al centro di ogni scelta. Il filmsottolinea anche il particolare legametra don Tonino e la terra di Puglia, madree nutrice della sua poesia e della suaforza di cambiamento,con le tante contrad-dizioni e le ineguaglia-bili ricchezze.

UN PICCOLO GRANDEMIRACOLOIl “vescovo dei poverie dei giovani” è sepoltonella sua terra natale,ad Alessano, un paesedel Salento meridio-nale. Lo ha desideratolui stesso, scegliendo«la nuda terra, comegli antichi patriarchi»– diceva – e accantoalla sua mamma. Per isalentini il legame conla terra d’origine è mol-to forte e lo è ancoradi più per chi vive nellazona del Capo di Leuca,luogo del “finis terrae”,dove finisce l’Italia epoi c’è solo il mare. Latomba si trova al centro di un piccoloanfiteatro per ricordare che don Toninoera ed è sempre “in mezzo” alla gente,non semplicemente “con” o “tra” la gente,

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impastato e profumato di umanità.Il luogo della sepoltura di don Toninocompare anche nel film, accanto ad unbambino con la fisarmonica (strumentoche il vescovo non ha mai smesso disuonare), dalle sembianze identiche a

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PRIMO PIANO

ha permesso che l’opera si realizzassepartendo davvero dal nulla».

L’ONU DEI POPOLIIn Puglia non sono pochi coloro chehanno conosciuto personalmente donTonino Bello. Carlo e Gemma sono traquesti. Pur essendo oggi marito e moglie,lo hanno incontrato separatamente, daragazzi: lui durante il servizio civile inCaritas; lei in parrocchia. Momenti ordinari,ma riempiti dalla forza dirompente dellasemplicità di quel vescovo, che conqui-stava i cuori di chi lo incontrava.Il ricordo e gli insegnamenti di don Bellosono indelebili anche in chi ha vissutocon lui una delle esperienze più intensee difficili della sua vita: la “Marcia dei500” in una Sarajevo assediata dai serbinel dicembre 1992. Don Tonino era statooperato di tumore allo stomaco un annoprima e le sue condizioni di salute nonerano stabili. Quel giorno, però, sullabanchina del porto di Ancona dove si ri-trovarono i pacifisti in partenza, c’eraanche lui. Uomini e donne di ogni età,fede, credo politico, rimasero stupiti:«Sarei venuto anche con le flebo» dissecon gli occhi pieni di luce. Mario Cian-

della pace». Poi moltissima altra genteha contribuito alla realizzazione dell’opera.«Ricordo una signora nei pressi di un su-permercato – continua Gemma D’Am-brosio, moglie di Carlo, anche lei delPunto Pace Pax Christi di Bari - cheaveva in tasca solo 10 euro per la spesa.Senza esitazione ci ha detto: “La spesala farò un’altra volta, ora è importantecontribuire per far conoscere il più pos-sibile don Tonino”. E poi i rappresentantidei genitori di una scuola primaria diBari, in prossimità del Natale scorso,hanno donato 124 euro, cifra non “ar-rotondata”: quei 4 euro danno la misuradi quanti hanno desiderato sentirsi pro-tagonisti di questa esperienza». Ma tragli adottanti dei fotogrammi ci sonoanche comunità parrocchiali, gruppi, as-sociazioni cattoliche e non. Persino artistiche hanno offerto una replica del lorospettacolo per raccogliere fondi. «Insomma– conclude Carlo - un piccolo “miracolo”

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Sotto:

Una scena del film “L’anima attesa” prodottoda Pax Christi Italia (con la regia di Edoardo

Winspeare) in occasione del 20esimoanniversario della morte di don Tonino Bello.

L’ economia verde? Potrebbe essere lasoluzione per uscire dalla crisi in un

mondo sempre più inquinato se è veroche, nel solo Brasile, la green economycrea in media tre milioni di nuovi posti dilavoro l’anno. Questi e molti altri dati sonocontenuti nell’ultimo studio pubblicato dal-l’Organizzazione internazionale del lavoro(Oil), dal titolo “La sfida della promozionedelle imprese sostenibili in America Latinae nei Caraibi”.Secondo l’organizzazione dell’Onu trasfor-mare il sistema produttivo in modo soste-nibile servirebbe non solo a preservarel’ambiente ma, contrariamente a quantosostenuto sino ad oggi da molti analistilegati al “modello petrolifero”, aumenterebbeutili delle imprese ed occupazione. Per l’Oilil settore privato genera circa 200 milionidi posti di lavoro nella regione latinoame-ricana e caraibica, dando vita a 59 milionidi imprese, la maggior parte delle qualisono microimprese. E se i due giganti lati-noamericani, ossia il Messico ed il Brasile,potranno ridurre di un terzo le emissionidi anidride carbonica entro il 2030 conuna produzione sostenibile e creando nuoviposti di lavoro, lo studio dell’Oil lancia al-meno due allarmi urgenti. Il primo riguardale foreste dal momento che, tra il 2000 e il2010, l’America Latina ha letteralmente bru-ciato quattro milioni di ettari di boschil’anno: un rischio enorme non solo perl’ambiente ma anche per la futura crescitasostenibile di Paesi come Brasile, Messico,Guyana, Paraguay, Bolivia e Cile che, propriodalla green economy , traggono più vantaggi.Il secondo allarme, invece, è sullo smalti-mento dei rifiuti solidi. Fatta eccezione perla Colombia, infatti, dove chi ricicla l’im-mondizia è stato riconosciuto per leggecome imprenditore ottenendo una serie divantaggi, gli altri Paesi sono ancora indietroanni luce e rischiano di vedere le loro areeurbane periferiche sommerse da rifiuti.

di Paolo Manzo

L’INSOSTENIBILE PESO DEL PETROLIO

OSSERVATORIO

AMERICALATINA

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masero un po’ perplessi del suo atteg-giamento – confessa Ciancarella – e luise ne accorse. Ma continuò imperterrito.Poi, durante l’omelia della Messa celebratasulla nave nel viaggio di ritorno, spiegò:“Il Natale non è quello che siamo soliti

vivere noi cristiani, alzandocialle 10 di mattina per poiabbuffarsi in un pranzo diinterminabili ore. Il Nataleè la precipitazione dell’im-possibile nella storia del-l’uomo. Quale migliore au-gurio per queste persone?”.Allora ci costrinse a guardarela costa che si stava allon-tanando e a gridare tuttiinsieme: “Buon Natale, Sa-

rajevo!”. In quella Messa, a cui don Toninovolle con forza che partecipassimo tutti,mentre i cattolici ricevevano l’eucaristia,i non credenti furono invitati a spezzare,condividere e consumare il pane che gliabitanti di Sarajevo ci avevano regalatocome saluto e ringraziamento» concludeCiancarella con l’immagine ancora stam-pata negli occhi.

DON TONINO, SERVO DI DIO“Ascoltino gli umili e si rallegrino”: eraquesto il motto episcopale di don ToninoBello. Esortazione più che attesa, sia du-rante la sua breve vita, sia nei 20 annidalla morte. Lo conferma anche donMimmo Amato, sacerdote della diocesidi Molfetta e vice postulatore della causadi beatificazione del vescovo: «Cinqueanni fa si è aperto il processo per una

forte fama di santità diffusatra i fedeli. Man mano che siva avanti, la testimonianzaevangelica di don Tonino sidiffonde anche a chi non l’haconosciuto personalmente ediventa per tanti un vero rife-rimento per la propria vita spi-rituale. Lui è stato un vescovodel post-Concilio (Vaticano II,ndr), che ha attuato in pienezzae in concreto nella sua diocesii dettami conciliari: un testi-

mone di santità». La fase diocesana delprocesso, con la raccolta di materialeappartenuto a don Tonino (lettere, ma-noscritti, ecc.) e l’ascolto di testimoni,dovrebbe concludersi entro la fine diquest’anno: «Il materiale che arriva dallaPuglia, dal resto d’Italia e persino davarie parti del mondo è tantissimo», con-fessa don Mimmo Amato. A dimostrazionedi come la fama di don Tonino oltrepassii confini nazionali basti fare l’esempio diun’ultima, in ordine di tempo, pubblica-zione di suoi scritti tradotti in ungherese,grazie ad un sacerdote rimasto affascinatodal suo messaggio.Anche nella sua diocesi c’è una forteattesa per l’esito della causa: tutte leparrocchie pregano quotidianamente atal fine e non mancano occasioni specialiper ricordare la figura di questo “servodi Dio”. Per i più giovani sono statemesse a punto due attività: un musicalprodotto dalla diocesi e inscenato dairagazzi di Molfetta e dintorni; un progettodal titolo “Conosci don Tonino?” a cuihanno aderito tutte le scuole con video,disegni, poesie, scritti ispirati dalla suafigura. Un modo per far conoscere ilmessaggio di questo uomo straordinarioe rinnovarne la memoria nei giovani.Perché diventino costruttori di pace.

carella era uno dei 500 che parteciparonoall’“Onu dei popoli”: «Nella Messa allavigilia dell’ingresso in città, don Toninoci introdusse all’idea di poter perdere lavita: lo fece senza retorica, senza eroismo,ma con una grande consapevolezza del-l’essere cristiano». Anche du-rante l’attesa di ottenere ilpermesso di entrare in città,don Tonino non perdeva tem-po per incontrare, ascoltare,comprendere, stare accanto.Né si accontentava del parlaredi pace: sentiva l’esigenza direnderla visibile nelle azioni.Aveva la capacità di stare vi-cino ai non credenti senzapaternalismi: i suoi gesti eranoveri e le sue parole pure. Fino ad ostinarsiad augurare «Buon Natale!» a tutti, la-sciando Sarajevo: c’erano cristiani, maanche musulmani, ebrei e non credenti,diseredati, disperati. «Molti dei 500 ri-

Don Tonino Bello a 20 anni dalla morte

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È il saggio di Sergio Paronetto, vicepresidente di Pax Christi Italia, che inoltre 300 pagine presenta con legge-rezza e passione la nonviolenza di donTonino Bello, scaturita dal Vangelo ematurata con le esperienze di un padredella Chiesa post-conciliare. Con laprefazione di monsignor Luigi Bettazzi -che non esita a descriversi come unodei suoi maestri, ritrovatosi poi suodiscepolo – il libro raccoglie idee, azio-ni, sofferenze, attese di un profetadella pace, da cuiil futuro può soloimparare.

PROFETA DELLA PACE

Sergio ParonettoTonino Bello, maestro di nonviolenzaEdizioni PaolineEuro 20,00

In Puglia non sonopochi coloro chehanno conosciutopersonalmentedon Tonino Bello.Carlo e Gemmasono tra questi.

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Tra narcos emalgoverno

Tra narcos emalgoverno

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ATTUALITÀ Guinea Bissau

Negli ultimi anni la Guinea Bissau è finitapiù volte sulle pagine dei giornaliinternazionali per due ragioni: colpi di statoe traffico di droga. Realtà che hannoinfluenzato pesantemente la vita del Paese.

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noma, lontana dall’in-fluenza del governo. Aquesta situazione politicasi è aggiunto il trafficodella droga provenientedal Sud America, che dallaGuinea Bissau raggiungein parte l’Europa e in parteil Mali. La Guinea Bissauè il Paese ideale per il traf-fico di droga: governo de-bole, popolazione poverae militari a corto di risorse,quindi disponibili a colla-borare con i narcotraffi-canti.Il governo di Rui Barros siè posto alcuni obiettiviprioritari: avviare un pro-cesso elettorale, migliorarela condizione della popo-

lazione e riformare la struttura dell’am-ministrazione pubblica.Il primo obiettivo sembra troppo com-plicato da raggiungere: infatti l’UnioneEuropea - su pressione del Portogalloche chiede la ripresa del processo elettoraleed appoggia Carlos Gomes jr - ha assuntoun atteggiamento ostile e ha sospeso

Carlos Gomes Junior,conosciuto anchecome “Cadogo”,

ex primo Ministrodella Guinea Bissau.

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Nell’aprile 2012, nell’intervallo trail primo ed il secondo turno delleelezioni presidenziali in Guinea

Bissau, i militari sono intervenuti per in-terrompere il processo elettorale e CarlosGomes jr, primo ministro e leader delpartito di maggioranza PAIGC, che è can-didato con il maggior numero di voti, èstato costretto ad espatriare insieme alpresidente del Parlamento. I militarihanno formato una giunta che si è ado-perata per installare un governo civile.Sono stati interpellati in molti: alcunihanno risposto positivamente, in parti-colare Manuel Serifo Nhamadjo e RuiDuarte de Barros che diventeranno ri-

di FABIO RICCARDI*[email protected]

spettivamente presidentedella Repubblica e primoministro di un governo ditransizione.Il colpo di Stato che hainterrotto il processo elet-torale, ha posto fine allavita del governo di CarlosGomes jr che governavail Paese ininterrottamenteda alcuni anni. I giudizisull’operato di Gomes sonovari, ma molti concordanosul fatto che nell’ultimoperiodo aveva radicalizzatolo scontro con le opposi-zioni ed in particolare convarie fazioni delle forzearmate. Inoltre il pernodella sua politica era l’al-leanza con l’Angola cheaveva anche inviato 600 militari acquar-tierati in un hotel a poche centinaia dimetri dall’ufficio del primo ministro. Lapresenza militare angolana ha concessomaggiore autonomia al governo rispettoalle forze armate e questo non potevapiacere ad uno Stato Maggiore da anniabituato ad operare in una sfera auto- »

L’amministrazionepubblica è allo sfascio:per mesi non sonostati pagati gli stipendiai dipendenti chedichiarano scioperilunghi anche interesettimane.Particolarmente colpitisono i settori dellasanità e della scuolache operano in unacondizione di grandedifficoltà.

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ATTUALITÀ

gli aiuti. Si tratta di un blocco decisivoperché tradizionalmente l’Unione Europeaaveva finanziato i processi elettorali, diconseguenza il governo ha dovuto ri-mandare le elezioni a data da destinarsi.La chiusura dell’Unione Europea ha ancheparzialmente ostacolatoil tentativo di migliorarela condizione della po-polazione, vista l’inter-ruzione dei finanzia-menti anche a scopoumanitario. La posizioneeuropea è controbilan-ciata dagli Stati Uniti iquali, sminuendo il pro-blema elettorale, ap-poggiano il governo neltentativo di migliorarela possibilità di controllo

cui sono coinvolti anche i militari. La ri-forma dell’amministrazione pubblica,quindi, è strettamente connessa alla ri-forma delle forze armate dove – comeovvio - il governo non può operare vistoil rapporto di dipendenza assoluta daimilitari.Che si può fare, dunque? La soluzionenon sarà trovata se non con un interventoserio della comunità internazionale. Alcontrario, si assiste al processo opposto:si è detto dell’Unione Europea, ma anchela Francia stanno riducendo la propriapresenza, così come la Spagna. L’Italia èrappresentata principalmente da orga-nizzazioni non governative e dai religiosi.L’azione della Cina è finalizzata soltantoall’aspetto commerciale e la Russia, sep-pure presente, non ha lasciato ancoraun segno. Gli Usa, invece, si stanno muo-vendo in controtendenza e stanno ren-dendo più evidente la loro presenza, cosìcome le Nazioni Unite che recentementehanno nominato come rappresentantedel Segretario generale in Guinea Bissau,Josè Ramos-Horta, premio Nobel per lapace ed ex presidente di Timor Est.L’intervento della comunità internazionaleè cruciale: la Guinea Bissau non riusciràa trovare la strada di una soluzione senon con un intervento dall’esterno che– spesso pacificamente - sappia rafforzarele parti migliori della società guineanaed ostacolare un processo di involuzionedel Paese che va avanti da 15 anni esembra inarrestabile.

* esperto di politiche africane e impegnato neicolloqui internazioneli di pace per la Comunitàdi Sant’Egidio

delle vie della droga. Per gli Usa la lottaal narcotraffico in Africa occidentale èfondamentale in quanto questo è con-nesso al finanziamento dei gruppi ter-roristici operanti nel cuore dell’Africasettentrionale.

L’amministrazione pubblicaè allo sfascio: per mesinon vengono pagati glistipendi ai dipendenti chedichiarano scioperi lunghianche intere settimane.Particolarmente colpitisono i settori della sanitàe della scuola che operanoin una condizione di gran-de difficoltà. Le scarse ri-sorse economiche vengonodrenate da fenomeni dicorruzione generalizzati in

La Guinea Bissau è il Paese ideale per il traffico di droga:governo debole,popolazione povera e militari a corto di risorse, quindidisponibili a collaborarecon i narcotrafficanti.

Il colpo di Stato che ha interrotto il processo elettorale ha posto fine alla vita del governo di Carlos Gomes jr,ininterrottamente al potere da alcuni anni.

Guinea Bissau

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Viaggio in Argentina

Giselle ha 28 anni ma a guardare il suo viso scavato e i denti semi-distrutti ne dimostra più di 50. L’ultimo dei suoi tre figli ha appenaquattro mesi ma già soffre di convulsioni e quando le chiedo

come mai, lei risponde indicando il tetto in laminato d’amianto chericopre la sua “casa”: «È il calore, perché qui, d’estate, la temperaturasupera i 40 gradi». Giselle è una delle 160mila persone che a Resistencia, lacapitale del Chaco, vive in un asientamento, ovvero un “insediamento”,un modo più elegante per indicare una baraccopoli rispetto all’oramai

fuori moda e poco politicamente correttovillas miserias. «Che peccato che pur cam-biando le parole la realtà si ostini a rimanerela stessa», commenta Giselle con un sorrisoamaro. Chaco merece más, che tradotto si-gnifica “il Chaco merita di più”. Questo ilnome pieno di speranza e di promesse dellacoalizione che, nel 2007, aveva portato JorgeMilton Capitanich, Coqui per gli amici, allaguida della regione più povera dell’Argentina,il Chaco di Giselle per l’appunto. Oggi Capi-tanich continua a fare il governatore perchénel 2011 è stato rieletto, questa volta tra lefila dello stesso partito della presidenteCristina Kirchner di cui è diventato nel frat-tempo un fedelissimo. Purtroppo, propriocome sei anni fa, il Chaco continua a“meritare di più” perché quasi nessuna dellepromesse fatte da Coqui è stata mantenuta.Il 70% del Chaco continua ad essere senzaacqua, nonostante il 42% dei confini

Nel Chaco,

di Resistenciatra i poveri

di PAOLO [email protected]

»

Mentre il mondo festeggia papaFrancesco, nella regione più poveradell’Argentina la gente ripete lo slogan “il Chaco merita di più” con cui Milton Capitanich è statorieletto governatore, come esponentedel partito della presidente CristinaKirchner. La capitale della regione,dove la corruzione è diventata quasiendemica, è Resistencia, che lasciaintuire quali siano le condizioni nellebaraccopoli.

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ATTUALITÀ

della regione sia delimitato da grandifiumi, le promesse di un acquedotto dadecenni sono solo “sulla carta”, i 43milaindios ufficialmente censiti delle etnietobas e wichi seguitano a fare la fame e,troppo spesso, a morire d’inedia e malattie- un’assurdità per un Paese ricco comel’Argentina - mentre la corruzione non èstata combattuta ma, anzi, è diventataquasi endemica.

TRASFORMISMO POLITICOUna sorpresa? No, perché il curriculumdel governatore del Chaco è quasi unagaranzia d’insuccesso. Alla fine degli anniNovanta, infatti, Capitanich era l’uomodi fiducia di Carlos Menem e difendevacon dichiarazioni roboanti la convertibilitàdel peso col dollaro e l’as-surdo cambio “uno a uno”che poi, nel dicembre2001 diventò insostenibile,portando il Paese ex gra-naio del mondo nel ba-ratro del fallimento. Nel2002, come capo di ga-binetto dell’allora presi-dente Eduardo CabezónDuhalde, el Coqui riesce

a portare a compimento la svalutazionepiù selvaggia mai conosciuta nella storiadel Paese del tango dopodiché, tempoappena due anni (e siamo nel 2004),aderisce con il massimo fervore al governodi Néstor Kirchner, l’ex “delfino” diDuhalde entrato però in rotta di collisionecon lui per la conquista del potere aBuenos Aires e provincia. Insomma, se

c’è un politico dispostoa qualsiasi compro-messo pur di rimanereal potere, questi è l’uo-mo del Chaco, el CoquiCapitanich, mentre, sec’è un luogo insalubrein Argentina, questi èl’“insediamento 29 diagosto” dove vive Gi-selle, che si trova a

Per avere diritto alla casa popolare ènecessaria la ricevutache attesti il salario negli asientamentos, maquasi nessuno ce l’ha.

A fianco:

Milton Capitanich ela presidentedell’ArgentinaCristina Kirchner.

meno di cinque chilometri dalla Casadel Governo e dal centro cittadino diResistencia, il «capoluogo regionale cir-condato da almeno 200 baraccopoli»spiega Rolando Núñez dell’ong NelsonMandela.«Se calcoliamo che su 380mila abitanti,160mila vivono negli asientamentos,ecco dimostrato che quasi un abitantesu due di Resistencia vive in baracca» cispiega. Difficile, insomma, trovare unluogo così degradante in Argentina,anche perché il “29 di agosto” è statocostruito a pochi metri dalla cosiddettalaguna d’ossigenazione del sistema cloa-cale, in parole più semplici, al fianco deldepuratore delle fogne di Resistencia.Tradotto? Il terreno non è abitabile e,dunque, Giselle e le altre migliaia di per-sone che vivono qui dovrebbero essere

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del Chaco che entrano in prima elemen-tare, infatti, appena 25 riescono a finirele medie. Numeri choc cui si aggiunge lapercentuale dell’analfabetismo tra la po-polazione indigena, che supera l’80%, lostesso livello siderale di15 anni fa quando allapresidenza c’era il liberistaCarlos Menem e non lapresidente “del popolo”,Cristina Kirchner.

PIANI SOCIALI«Chi vive nelle baraccopolinon ha un lavoro stabilee, dunque, non può aspi-rare ad avere una casapopolare del Plan de Vi-vienda de la Nación, ilpiano amministrato dalla regione». Aspiegarci l’assurdo delle regole burocratichesecondo le quali proprio chi vive tra lelamiere d’amianto non può concorreread una casa popolare è un funzionariodel comune che ci chiede l’anonimato. Ilmotivo è semplice: «Per la casa popolare

spostate altrove, magari nelle case popolariche il governatore avrebbe potuto co-struire con i soldi che, invece, ha usatoper ristrutturare lo stadio cittadino es-sendo, ça va sans dire, anche il presidentedella locale squadra di calcio.

LE CONTRADDIZIONI DEL CHACOIl dato più incredibile, però, è che la ca-pitale del Chaco, almeno secondo lestatistiche ufficiali che contrastano conqualsiasi raziocinio, sarebbe la città conil minor numero di disoccupati dell’interaArgentina ed avrebbe quasi il pieno im-piego. La verità è che qui ci sono 100milapersone con relative famiglie che di-pendono dallo Stato per mangiare, men-tre nel Chaco altre 400mila dipendonodai piani sociali. «Se il kirchnerismo hacerti comportamenti a livello nazionale»spiega il deputato del partito Libres delSur, Carlos Martínez, «la provincia delChaco credo sia l’apice di questi com-portamenti». A girare per la città e aparlare con le persone, infatti, l’opinioneunanime è che Resistencia sia invece lacittà con il tasso di disoccupa-zione più alto del Paese.Per non contraddire l’Indec, l’Istatargentino accusato di dare numerifalsi, e per così dire “unificare lebugie”, Capitanich ha preso unadecisione abbastanza insolita: hachiuso l’istituto statistico pro-vinciale che lui stesso aveva crea-to. E così nel Chaco, poverissimonella realtà, ricchissimo e senzadisoccupazione in teoria, dal 2009non si rileva più l’indice dei prezzial consumo, elemento indispen-sabile per misurare sia il cosiddetto“paniere base” che gli indici dipovertà ed indigenza. Grazie aimissionari cattolici e alle ongche tentano di ovviare alle tantecarenze pubbliche, sappiamo percerto che oggi anche l’abbandonoscolastico da queste parti è ilpiù alto del Paese: su 100 bambini

è necessaria la ricevuta che attesti ilsalario ma, ripeto, negli asientamentoscome quello del “29 di agosto” nessunoo quasi ce l’ha». Corruzione, inefficienza,ipocrisia. Per dare un’idea del livello d’in-

digenza che c’è a Resistencia,basti ricordare che qui sonostate distribuite nel solo 2012oltre 100mila “carte alimen-tari” da 100 pesos al mese,l’equivalente di 10 euro alcambio nero che tutti usano,mentre al cambio ufficialel’importo in euro raddoppia.Su una popolazione di380mila abitanti significache oltre un abitante suquattro ha bisogno del sus-sidio statale per raggiungere

le mille calorie necessarie ogni giornoper nutrirsi. Tra Resistencia e BuenosAires ci sono meno di mille chilometri,chissà mai se un giorno alla Casa Rosadala presidente Kirchner s’interesserà anchedi Giselle e della miseria del “29 diagosto” in cui è costretta a vivere?

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Viaggio in Argentina

«Se calcoliamo che su 380mila abitanti,160mila vivono negliasientamentos, eccodimostrato che quasi un abitante su due di Resistencia vive in baracca».

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FOCUS Erri De Luca

Operaiodellascrittura

Operaiodellascrittura

Erri De Luca, popolare ecelebrato scrittorenapoletano, in una lungachiacchierata cheabbiamo raccolto per inostri lettori, parla dipace, di migrazioni, di Dioe della sua inesauribilericerca di spiritualità.

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di MIELA FAGIOLO D’ATTILIA

[email protected]

vittime della guerra in Bosnia Erzegovinae poi il volontario in Tanzania per realizzareun progetto umanitario. Ma soprattuttocome scrittore di quasi 60 racconti dal1989 ad oggi, senza dimenticare tre rac-colte di versi, quattro opere teatrali, diecitraduzioni tratte dalla lettura in ebraicoantico (imparato come autodidatta) dellaBibbia, e ora anche sceneggiatore di duecorti cinematografici. Natoa Napoli da una famigliadella borghesia parteno-pea, Enrico, per gli amiciErri, in piena stagione ses-santottina, a 18 anni lasciatutto per entrare nelle filadi Lotta Continua, il mo-vimento di operai e stu-denti in cui milita attiva-mente. Una scelta che loporta fuori dalla cerchiadella famiglia e dalle sueradici culturali: Napoli. Piùche una città, un micro-cosmo che ha formato il suo modo diessere e in cui torna per ritrovare le sueradici.Proprio nella sua città lo abbiamo in-contrato alla consegna del “Premio Napolicittà di pace 2013” a cui ha partecipatocome “ospite d’onore”, data la sua ritrosiaper le manifestazioni celebratorie. Popolaree rarefatto narratore di destini umani,De Luca è molto amato dai lettori. Con isuoi 63 anni portati con l’asciutta sem-plicità del rocciatore di montagna, DeLuca scruta il mondo con sguardo dabambino, ora severo, ora curioso, alcentro di un viso segnato dalle rughe.Erri ha già vissuto molte vite, ma tornasempre al punto di partenza. «Napoli? Èuna “città teatrale” quasi per forza, data

l’intensa realtà abitativa - dice -. In unposto così la comunicazione deve essereveloce e intrecciata ad altre comunicazioniper percepire segnali di ciò che accadeintorno. Napoli è il laboratorio avanzatodi ciò che succede in giro per il mondo».Le frasi dello scrittore suonano spoglie,essenziali e solenni al tempo stesso, rias-sumendo tanti significati in un grumo di

parole in armonia traloro. Citatissimi nel web,i suoi aforismi sono uninvito a fermarsi a ri-flettere sui significatinascosti della vita. Qualepuò essere infatti “Ilpeso della farfalla” o “Ilcontrario di uno”, soloper citare due dei suoiromanzi più famosi?«Considero valore ogniforma di vita: la neve,la fragola, la mosca –dice -. Considero valore

il regno minerale, l'assemblea delle stelle.Considero valore quello che domani nonvarrà più niente e quello che oggi valeancora poco. Considero valore tutte leferite. Considero valore risparmiare acqua,riparare un paio di scarpe, tacere intempo, accorrere a un grido, chiederepermesso prima di sedersi, provare gra-titudine senza ricordarsi di che. Considerovalore il viaggio del vagabondo, la clausuradella monaca, la pazienza del condannato,qualunque colpa sia. Considero valorel'uso del verbo amare e l'ipotesi cheesista un creatore. Molti di questi valorinon ho conosciuto». Malgrado la suascrittura sia permeata dalla ricerca deltrascendente, e che questa ricerca loabbia portato a cercare le parole »

T ra le molte definizioni che si po-trebbero tentare per un perso-naggio come Erri De Luca, quella

che sembra calzargli meglio è “operaiodella scrittura”. Nel suo libro “Non ora,non qui” racconta di avere speso il suocorpo come “forza lavoro”, facendo ilmuratore, il camionista, il magazziniere.Ma anche l’autista di camion dei convogliche portavano aiuti umanitari ai civili

Con i suoi 63 anniportati con l’asciuttasemplicità del rocciatoredi montagna, De Lucascruta il mondo consguardo da bambino,ora severo, ora curioso,al centro di un visosegnato dalle rughe.

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FOCUSFOCUS

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ABBIAMO AMATOSulla realtà di quel popolo in movimento che sono oggi i migranti,

De Luca ha scritto nel 2011 un testo che in pochi tratti racconta il

percorso esistenziale dell’umanità.

Abbiamo amato l’Odissea, Moby Dick, Robinson Crusoe, i viaggi di Sindbad e diConrad, siamo stati dalla parte dei corsari e dei rivoluzionari. Cosa ci fa difetto pernon stare con gli acrobati di oggi, saltatori di fili spinati e di deserti, accatastati inviaggio nelle camere a gas delle stive, in celle frigorifere, in container, legati aisemiassi di autocarri? Cosa ci manca per un applauso in cuore, per un caffè cor-retto al portatore di suo padre in spalla e di suo figlio in braccio portato via dallecittà di Troia, svuotate dalle fiamme? Benedetto il viaggio che vi porta, il MareRosso che vi lascia uscire, l’onore che ci fate bussando alla finestra.

originali della Bibbia, con la ca-parbia umiltà di chi impara dasolo una lingua arcaica, De Lucasi definisce un non-credente,spiegando di non essere ateoperché chi si dichiara tale «esclu-de la divinità non solo dallasua vita ma anche da quelladegli altri. Come non credentepenso invece che qualcuno cheha fede può avere una notizia,una intimità con Dio che ionon possiedo». Ma che nonsmette di cercare nelle paginedella Scrittura, intravedendoquesta notizia a tratti più chiaramente,in episodi come quello della distruzionedella Torre di Babele. In “Una nuvolacome tappeto” (1994) scrive: «Per esserechiamato con molti nomi, Dio disfece latorre, la grandezza posticcia di uominiridotti a maestranze. Scelse di esserenominato in mille lingue perché non siesaurisse la ricerca. È ancora lì, alla su-perficie del caos».Dell’Antico Testamento, De Luca è colpitodalla notizia dell’avvento del monoteismo,con l’apparizione di Dio che «sbaragliatutti i politeismi che c’erano prima, senzala forza militare degli eserciti o il poteredi un impero. Si è imposto attraversoquella storia e quella parola che è venutoa comunicare. Dio dice le cose che poiavvengono. Dice “sia luce” e la luce si

accende: è la sua parola che fa accaderegli eventi, è la sua parola che ha la re-sponsabilità delle cose create. Noi abbiamobisogno di parole che sappiano assumersila responsabilità del loro significato. An-cora di più oggi, quando sembra cheognuno possa dire ciò che vuole e smen-tirsi il giorno dopo, mentre tutti si con-gratulano con lui per la precisazione…».Icona moderna dell’uomo alla ricerca diDio, Erri indaga nelle storie umane conla tenacia del rocciatore di montagneripide. Ne ha scalate parecchie nella suavita (è salito anche sull’Himalaya) e nonha smesso di farlo nemmeno dopo il tri-plice arresto cardiaco che racconta nelromanzo “Il peso della farfalla”. E ci rac-conta «quella sensazione di un cuoreche viene fermato da un peso leggeris-

simo, da una goccia, la far-falla che si posa, che smettedi battere le ali. È l’interru-zione del cuore. Quel pesoè quello del cuore quandosi ferma». Due mesi dopoaver attraversato l’antica-mera della morte, eccolo dinuovo su una parete roc-ciosa (come racconta nelromanzo “Le stelle non fan-no il turno di notte”) perreagire, immergendosi nuo-vamente nella «bellezza checura, quella assoluta che

dobbiamo andare a cercare. Posso rac-contare solo storie del mio passato, maprima devo averle dimenticate per ri-scoprirle. Non sono capace di raccontare

Dell’AnticoTestamento, De Luca è colpitodalla notiziadell’avvento del monoteismo, con l’apparizione di Dio che sbaraglia tutti i politeismi.

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Erri De Luca

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le storie del villaggio e io traducevo inkiswahili qualche proverbio napoletano».Attraverso l’intenso viaggio dell’esistenza,Erri è abituato a portare con sé un ba-gaglio leggero, perché - spiega - «allamia età bisogna portare poco peso edessere di poco ingombro. Viaggio è unaparola importante che va usata con par-simonia, preferisco dire che mi sposto.Viaggio è quello dei pellegrini che rag-giungono la meta desiderata. Viaggio èquello dei migratori che si spostano apiedi da un continente all’altro senzabiglietto di ritorno. Quelli che partonosu natanti di fortuna verso un Nordsommario. Portandosi dietro tutto quelloche hanno potuto salvare da una espul-sione, lasciandosi dietro un bucato infiamme, oppure una miseria infame». Laconvivenza e la pace sono percorsi ine-vitabili per un mondo che voglia guardareal futuro. «Appartengo alla prima gene-razione che, nell’ultimo dopoguerra, nonè stata spedita al massacro su un frontecombattendo un’altra generazione digiovani dichiarati nemici. I nostri padri,usciti vivi da quella immensa distruzionedi massa, hanno scritto nella Costituzione

della Repubblica la ma-ledizione della parolaguerra. La pace è l’in-terruzione delle guerre,è il momento in cui sicostruiscono ponti tragli uomini e per la veritàinvidio al papa il titolodi pontefice che allalettera vuol dire “fab-bricante di ponti”». Eper costruire i ponti civogliono mani instan-

cabili, rese callose dall’esperienza, nodosedalla fatica. Mani di uomini “invincibili”.Coloro, cioè, che «non sono vincitori aoltranza, ma che, continuamente sconfitti,non la smettono di rimettersi in piediper battersi di nuovo, per necessità, peraffrontare l’ennesima sconfitta. Rischiandoil ridicolo anche. Ma senza lasciare maiil proprio posto».

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una cosa che non sia passata attraversoil corpo».Della sua esperienza come volontario inTanzania nel 1983 parla con una certaritrosia, proprio perché nel villaggio incui era andato per montare pale eolichedi vecchio stampo che producevanoenergia per tirare su l’acqua dai pozziabbandonati, ha dovuto abbandonare ilcampo per problemi fisici: «Mi sono am-malato di malaria e ho contratto l’ameba.Così mi hanno rispedito indietro perchéero inutilizzabile. È stata una sconfittafisica e io combatto queste mie sconfitteil più possibile. Mi spingeva il desideriodi essere utile in qualche modo. Starecon la gente era bello: la sera ci siriuniva sotto un mandorlo indiano e, trauna zanzara e l’altra, mi raccontavano

L’ agenzia Onu per i rifugiati ha annuncia-to che i profughi siriani hanno appena

superato quota un milione e il numero è increscita. Nella vicina Giordania oltre 2milapersone varcano ogni giorno il confine perapprodare allo Zaatari refugee camp, sullesabbie di un deserto maledetto. Nel Paesedell’ashemita re Abdallah (e della consorteRania) le maree umane terrorizzate dallaguerra di Assad ammontano ormai a400mila persone. Non che la Giordania sianuova all’arrivo di profughi: gli iracheni pas-sarono il confine in più di un’occasione e ipalestinesi sono ormai di casa. Ma stavolta ètutto oltre misura. Usando un termine piùche figurativo, spiraling, Antonio Guterres, acapo dell’Unhcr, ha detto che «la Siria s’avviaverso un disastro di proporzioni gigante-sche». Il dramma della guerra civile, cioè, hagià da un pezzo intaccato Libano, Turchia e,per l’appunto, la Giordania. Le immagini didonne col capo coperto, bimbi al collo, inco-lonnate in lunghe file in marcia verso la terragiordana (dove il re, un tempo alleato diAssad, ora preme per mettere fine al conflit-to anche impegnandosi militarmente), fannotalmente parte della quotidianità che quasinon ci si indigna più. Eppure parlano da sole.«Grazie a Dio ho salvato la mia famiglia –racconta un siriano di 70 anni al quotidianoturco Hurriyet –. I miei sette figli e 20 nipotisono tutti con me in questo campo. Noncredo che potrò mai rivedere casa, ma credoche le nostre preghiere avranno la meglio ei miei figli, con i loro figli un giorno ritorne-ranno in patria». A fronte di quest’emorragiadi profughi siriani, re Abdallah è seriamentepreoccupato per le finanze fragili del suoStato a due passi dalla travagliata Palestina(e da Israele, col quale infatti cerca alleanzestrategiche). L’equilibrio è precario per latenuta di un regno da sempre vicinoall’Occidente, che non possiede più, però, ilcieco consenso della popolazione giordana.E che appena pochi mesi fa sembrava ad unsoffio dalla sua Primavera.

di Ilaria De Bonis

IL TERRORE DI RE ABDALLAH

OSSERVATORIO

MEDIO ORIENTE

«Mi sono ammalatodi malaria e hocontratto l’ameba.Così mi hannorispedito indietroperché eroinutilizzabile».

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L’INCHIESTA

La Cina è di nuovo leader mondiale negliinvestimenti in energie rinnovabili e puntamoltissimo sul solare, seguita dagli Stati Uniti. Ma il mercato europeo e quello americano per icinesi sono sbarrati da pesanti misure antidumping

e sanzioni contro la “concorrenza sleale”. Per ilsolare made in China non rimane che l’enormebusiness d’Africa, dove il sole non manca mai.

S un Guanbin sa che il futuro del fo-tovoltaico cinese è in Africa. E sache la Cina andrà dove l’antidum-

ping europeo non la inseguirà.Il Segretario generale della Camera diCommercio cinese già due anni fa ave-va annunciato investimenti per oltre100 milioni di dollari in progetti nel cam-po dell’energia solare in 40 Paesi africa-ni. Oggi questo business è ancora più ne-cessario a Pechino. Non solo perché il solein Africa non tradisce mai, ma soprattut-to perché il mercato in Europa e negli Sta-ti Uniti è bloccato dalle sanzioni impo-ste dall’Ue contro la Cina per concorren-za sleale, e da tariffe doganali in rialzo.Inoltre in patria è esploso lo scandalo del-le fabbriche “tossiche” di pannelli solarinella provincia di Zheijang. Quelle che per

di ILARIA DE [email protected]

Energie rinnovabili e business

Pechinoalla conquista

del sole d’Africa

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ed è più economica di quella della mag-gior parte dei Paesi europei», ha detto Pa-scal Gasunzu, ambasciatore del Burun-di in Cina. Uno dei maggiori incentivi peri governi africani è che questi ed altri in-vestimenti cinesi (come nel settore idroe-lettrico) non comportano per loro mol-ti vincoli. Ossia il mercato è mercato enon richiede troppe garanzie e condizio-nalità legate a questioni ambientali, al ri-spetto dei diritti umani o alla governan-ce democratica.Eppure le incognite sono moltissime: è

sufficiente dire “pannellisolari” per essere certi chearrivi energia in Africa? Equesta opzione è davverocosì “pulita”? Il suo busi-ness, chi avvantaggia? In-fine: perché i pannelli madein China costano tantopoco rispetto agli altri?«La tecnologia solare diper sé è molto costosa epoco efficiente – chiariscesubito Emanuela Colombo,

ingegnere nucleare e professore associa-to presso il Dipartimento Energia al Po-litecnico di Milano e Delegato del Ret-tore per la cooperazione allo Sviluppo –.Se dovessimo fare una classifica dell’ef-ficienza delle varie fonti d’energia puli-ta, al primo posto troveremmo l’idroelet-trico, a seguire le biomasse, poi l’eolicoe infine il solare. Ma spesso in Africa ilvillaggio tanto fortunato da pos-

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produrre fonti pulite d’energia inquina-no più del petrolio, come nel caso dellaJinkoSolar.Ecco allora che a Garissa, nel nord delKenya, il sogno cinese fatto di miglia-ia di pannelli solari in silicio a buon mer-cato, per un totale di 50 MW di ener-gia elettrica prodotta ogni anno, diven-ta realtà. Per avere un’idea della poten-za si pensi che in Europa un megawattbasta ad alimentare tra le 500 e le mil-le abitazioni.Kangping Chen, amministratore delega-to della JinkoSolar – che for-nirà supporto tecnico almega impianto keniano, edè uno dei leader della discus-sa Solar Valley cinese - cre-de moltissimo nell’espan-sione di Pechino in Africa.Tanto da dichiarare che «laJinkoSolar avrà un ruolochiave nella crescente do-manda di fornitura di ener-gia solare dal Kenya». Lostesso Sun Guanbin avevadetto senza tante edulcorazioni qualcheanno fa che «la Cina ha bisogno che nuo-vi mercati emergenti consumino prodot-ti legati all’energia solare».D’altro lato la classe dirigente africanastrizza con piacere l’occhio alla Cina chele fornisce i pannelli fotovoltaici più eco-nomici mai visti sul mercato internazio-nale: «L’industria solare cinese si stasviluppando in modo veramente rapido »

D iventare annunciatori della Buona No-vella nei confronti dei propri colleghi,

dei vicini di casa, dei parenti, degli amici.Non (solo) a parole, ma con un gesto con-creto. È quanto stanno facendo in questoAnno della Fede, voluto dal papa emerito Be-nedetto XVI dall’11 ottobre 2012 al 24 no-vembre 2013, i parrocchiani della comunitàdella Medaglia Miracolosa di Pechino, invitatia procurarsi ogni mese due copie della Bib-bia e a regalarle a chi non la conosce. È unmodo fattivo per mettere in atto quell’esor-tazione a «confessare la fede in pienezza econ rinnovata convinzione» contenuta nellaLettera apostolica Porta Fidei con la quale èstato indetto l’Anno della Fede, esortazionerivolta a tutti i fedeli. E i cattolici cinesi dellaparrocchia dedicata alla Medaglia Miraco-losa sembrano averla presa molto sul serio,se è vero che hanno già donato quasi 1000copie ai non cristiani loro concittadini. Nonsolo: nelle mani dei destinatari, oltre allaBibbia, viene messo il bollettino parrocchiale,come invito a partecipare alle iniziative dellacomunità, e altro materiale missionario utileper approfondire.L’esortazione a donare due Bibbie al mese èsolo una delle tante iniziative proposte, tuttetese ad offrire occasioni di incontro tra cre-denti e non credenti e visibilità al particolareperiodo che i cattolici stanno vivendo. Traqueste, segnaliamo il concerto “Luce dellaFede”, tenutosi per festeggiare i primi 100giorni del particolare Anno, e l’evento che hapuntato i riflettori sul senso della vita consa-crata delle religiose, organizzato per i se-condi 100.Al di là del programma in cantiere, i buonifrutti di questa iniziativa si sono già visti: nu-merose, infatti, sono state le nuove iscrizionial corso di catechismo per adulti. Segno chei tanti parrocchiani cinesi, che hanno dato se-guito all’invito di donare due Bibbie al meseai non credenti, sono diventati in qualchemodo “pescatori di uomini”.

di Chiara Pellicci

I FRUTTI CINESIDELL’ANNO DELLA FEDE

OSSERVATORIO

GOODNEWS

È sufficiente dire“pannelli solari” per essere certi che arrivi energia in Africa? E questaopzione è davverocosì “pulita”?

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Sopra:

Pannelli solari per illuminare le strade di Modagiscio, Somalia.

la consapevolezza delle aziende che in-vestono in Africa aumenta, anche perchél’opinione pubblica è molto più desta e leclassi dirigenti africane migliorano ilproprio approccio ad uno sviluppo uma-no che per prima cosa attivi le risorse lo-cali».Il quotidiano The Guardian scrive che unodegli impianti di energia solare più este-si d’Africa nascerà in Ghana entro otto-bre 2015 e produrrà 155 megawatt dienergia. La società che fornisce i pannel-li non è cinese stavolta, è britannica e sichiama Blue Energy. Per ora sembra unavera e propria gara a chi piazza più pan-nelli sul terreno: una competizione sino-europea con pochi precedenti.È fuor di dubbio che l’Africa abbia dav-vero fame d’energia. Ma come sfamarlaè un dibattito ancora aperto.L’ultimo report della Irena (InternationalRenewable Energy Agency), intitolatoAfrica’s renewable future, appena pub-blicato, avverte che «se proseguiranno gliattuali trend di sviluppo africano, alme-

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sederle tutte e in misura considerevole èmolto raro. Perciò in diversi casi non ri-mane che il sole. Dal punto di vista tec-nico-scientifico non è, a priori, la fontenecessariamente migliore, ma in mancan-za d’altro va benissimo usare l’energia so-lare».Il problema nasce quando si pretende disfruttare la luce o il calore del sole in ma-niera intensiva, disseminando ovunque,appunto, in zone desertiche o in piccolivillaggi rurali, i pannelli solari come se fos-sero da soli generatori di energia all’in-finito o portatori di sviluppo economico,senza considerare la connessione o menoad una rete nazionale, la manutenzionedegli impianti, i costi delle batterie, l’uti-lizzo a fini produttivi. Questa mancanza di attenzione è tipicadi moltissime aziende, anche europee, cheinvestirebbero ancora più volentieri se ilmercato fosse per loro tanto favorevolequanto lo è per Pechino. «Le cose stanno lentamente cambiando– avverte tuttavia Emanuela Colombo-;

L’INCHIESTA

no 600 milioni di persone nelle aree ru-rali non avranno accesso all’elettricità daqui al 2030». Dunque, ben vengano po-litiche che favoriscono le energie rinno-vabili, ma con criterio.L’Irena prevede che la quota di energie pu-lite in Africa possa incrementarsi dal 17%del 2009 al 50% nel 2030. La potenza del-l’energia pulita totale installata potreb-be crescere dagli attuali 28 GW a oltre 800giga entro il 2050. Il fotovoltaico avreb-be una quota di 245 gigawatt, l’eolico 242,l’idroelettrico 149 gigawatt e le biomas-se 69. Soprattutto, quindi, invita a tene-re in considerazione la varietà delle fon-ti disponibili, senza escludere un’integra-zione tra biomasse, idroelettrico, solare,eolico e geotermico. La soluzione miglio-re rimane il mix d’energia.È questa la conclusione cui giungono an-che gli esperti e gli scienziati italiani im-

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luppo», ribadisce Emanuela Colombo. Espiega che la strada migliore è quella delpotenziamento della ricerca universita-ria e della formazione di studenti e tec-nici africani nel campo delle energie so-stenibili.«La Cina esporta un modello di societàche si fa guidare da una dinamica pre-valentemente economica e tiene in se-condo piano la promozione umana».Per sviluppo s’intende l’uso dell’energiarinnovabile anche a fini produttivi: pic-coli impianti integrati per dare il via a del-le micro-imprese che usano elettricità ocalore per cucinare, per lavorare e per ali-mentare gli impianti. Come in uno dei

riusciti casi di co-gene-razione realizzati inMauritania in alcunefabbriche dello zucche-ro, alimentate grazie al-l’energia ricavata dalprodotto di scarto dellacanna da zucchero, labagasse.Il calore e l’elettricitàcosì ottenuti consento-no di far andare avantiquesti impianti ricavan-do energia dalle stessebiomasse.«L’Africa vive una cresci-ta demografica soste-

nuta e senza precedenti. Entro il 2050 ilcontinente ospiterà almeno due miliar-di di persone – il doppio della popolazio-ne attuale –; il 40% vivrà in aree rura-li», scrive ancora l’Irena.«Nel 2010 590 milioni di africani non ave-vano accesso (il 57% del totale) all’elet-tricità e 700 milioni vivevano senza at-trezzature pulite e sicure per cucinare. Sequesti trend proseguono, nel 2030 ci sa-ranno ancora 655 milioni di persone inAfrica senza alcun accesso alle fontid’energia». Una prospettiva deprimente.Perché l’energia – esattamente come l’ac-qua, il cibo, la salute e l’istruzione – devepoter essere un diritto per tutti.

Energie rinnovabili e business

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Il problema nascequando si pretende di sfruttare il calore delsole in manieraintensiva, disseminandoovunque, in zonedesertiche o in piccolivillaggi rurali, i pannelli solari come se fosserodi per sé generatori di energia all’infinito.

pegnati nella ricerca, come quelli del Po-litecnico di Milano.Un’altra obiezione generalmente mossaall’uso estensivo del fotovoltaico è: sep-pure i mega-impianti solari fossero col-legati ad una rete e dunque portasseroelettricità e luce nelle case (circostanzache nella maggior parte dei villaggi èesclusa), chi garantirebbe la manutenzio-ne degli impianti una volta installati ipannelli? E poi: come smaltire le scoriedopo l’esaurimento dei pannelli, che inmedia hanno una vita di 20 anni?Non va dimenticato a proposito dell’Afri-ca che «la tecnologia è sempre uno stru-mento, ma il vero fine deve essere lo svi-

N on è casuale che la sua elezione nel set-tembre 2012 a presidente della Somalia

abbia aperto una stagione di speranze per re-stituire pace e normalità ad un Paese marto-riato da 21 anni di guerra civile. Così HassanSheikh Mohamoud si è fatto promotore diuna amnistia per i giovani pirati somali, conla speranza di poter offrire loro opportunitàlavorative. Il presidente ha precisato che l'of-ferta è rivolta solo ai giovani e non ai capi,molti dei quali sono ricercati dall’Interpol. Has-san Sheikh Mohamoud rivela che sono in cor-so negoziati indiretti con i pirati, condotti at-traverso gli anziani e i notabili dei vari clan.Ed ha aggiunto che con questa offerta ha giàottenuto la liberazione di sei ostaggi, mentrespera di liberarne altri 24 grazie alle offertedi lavoro. Il presidente somalo si appella allacomunità internazionale per ottenere aiuti inquesta nuova strategia. Un ruolo importan-te lo starebbe svolgendo Mohamed Abdi Has-san, detto afweyne, bocca larga, un famosopirata autore di clamorosi sequestri, ritirato-si a vita privata e passato al servizio del go-verno. L’ex bandito sarebbe uno dei media-tori della nuova strategia, il punto di contat-to con i predoni del mare.L’Unodc, l’ufficio delle Nazioni Unite per la dro-ga ed il crimine, ha espresso perplessità sul-l’amnistia. «La priorità è liberare gli ostaggi, por-tare davanti ai tribunali i responsabili degli at-tacchi e condannarli» ha affermato il respon-sabile dell’organismo.Lo scorso anno il numero complessivo degliattacchi ha registrato una flessione rispetto al2011 sia per l’attività di pattugliamento delleforze navali della comunità internazionale nel-le acque dell’Oceano Indiano infestate dai ban-diti, sia per l’adozione di misure difensive piùefficaci delle navi mercantili. Ma questo dispie-gamento di mezzi militari e l’aumento verti-ginoso delle polizze assicurative (che si riflet-te sui costi di trasporto delle merci) è un prez-zo alto per la comunità internazionale, già inginocchio per la crisi. Forse l’amnistia non fer-merà la pirateria, ma perché non tentare lastrada del “pentitismo” retribuito? Sicura-mente sarà più economico.

di Enzo Nucci

PIRATI DELLASOMALIA

OSSERVATORIO

AFRICA

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S C A T T I D A L M O N D O

A cura di EMANUELA [email protected]

Testo di PIERLUIGI [email protected]

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BENVENUTO AL NUOVO VESCOVO DI ROMA

IL GESUITA CHE SCELSE FRANCESCO

Un gesuita che ha scelto di chiamarsi Francesco. Già questosegnala che il pontificato di Jorge Mario Bergoglio avrà tra isuoi capisaldi il discernimento proprio dei figli di Ignazio di Lo-yola e il primato evangelico della povertà del Santo di Assisi.Le sue prime parole sono state da vescovo di Roma, la Chie-sa che presiede nella carità, secondo l’espressione di sant’Igna-zio di Antiochia che ha citato.Vescovo di Roma, dunque, con tutto quello che comporta an-che in termini di collegialità e di rapporto con il popolo di Dio,di ascolto dei suoi bisogni, di comprensione della sua fatica.Vescovo il cui primato si misura appunto in termini d’amore.Soprattutto questo fa del papa una voce importante, anche nelpanorama dei rapporti internazionali, e una guida per tanta par-te dell’umanità nella sua ricerca di senso.Nella prima omelia, a braccio, tenuta ai cardinali il giorno dopol’elezione, Francesco ha ricordato che la Chiesa non è un’or-ganizzazione non governativa benefica. Non è chiamata soloa dare ai poveri, ma ad avere uno stile di povertà radicato nel-l’amore. Del resto, quando il 20 maggio 1992 Giovanni Pao-lo II lo nominò vescovo ausiliare di Buenos Aires, Bergogliosi scelse come motto “Miserando atque eligendo” (scusan-do e scegliendo), un motto che si è sempre tradotto nella suavita nello scusare le debolezze umane e nello scegliere i po-veri come pietra di paragone dell’essere cristiani. «La mia gen-te è povera e io sono uno di loro», ha detto più di una volta.Ai suoi preti ha sempre raccomandato coraggio apostolico,porte aperte a tutti e soprattutto misericordia, come ha fattoanche con i confessori di Santa Maria Maggiore, dove si è re-cato il giorno dopo l’elezione a portare fiori e preghiere a Ma-ria. E quando cita la giustizia sociale, invita per prima cosa ariscoprire le Beatitudini. Il suo progetto è semplice: se si se-gue Cristo, si capisce che calpestare la dignità di una perso-na è peccato grave.La scelta del primo papa venuto da oltreoceano è stata lettada più parti come un riconoscimento nel Conclave della vi-talità delle Chiese latinoamericane. Ma è anche una svolta pertutto il Sud del mondo e per la cattolicità, cioè l’universalitàdella Chiesa. Una scelta da misurare nelle situazioni più cri-tiche, cioè soprattutto in Africa, ancora teatro di irrisolte tra-gedie, pretesti per altre «guerre» finalizzate all’accumulo diricchezze, che toccano quindi gli equilibri sociali dei singoliPaesi e del mondo. »

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Città del Vaticano, 20 marzo 2013. Papa Francesco

incontra in udienza privata il Patriarca

ortodosso ecumenicoBartolomeo I.

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S C A T T I D A L M O N D O

Dalla Nigeria, dove le comunità cristiane sono tra quelle che subiscono più violenze nel mondo, il presidente del Parlamento,Aminu Waziri Tambuwal, ha detto che la scelta di Bergoglio «dovrebbe essere un momento di profonda riflessione per l’uma-nità» nel suo sforzo di «raggiungere la pace e l’armonia globale».Le parole di Waziri contengono una speranza e una certezza. La speranza del Sud del mondo – e l’Africa ne è la parte più de-vastata – in un papa che ha scelto di chiamarsi Francesco. Perché, se i nomi hanno un senso, questo annuncia anche volon-tà di dialogo con tutti, a partire dall’islam. Francesco, che in epoca di Crociate si reca dal sultano Salah el Din, è infatti il pegnodi una storia fatta d’amore anche nei suoi periodi più cupi. E oggi, a giudizio di molti, è uno di quelli.La certezza è che nell’Africa, anzi nelle Afriche delle contraddizioni, ci sono molte ferite da risanare, spirali di vendette da inter-rompere, giustizia sociale e autentico sviluppo umano da promuovere. La Chiesa, in un panorama ad altissimo tasso di peri-colosità, ha fatto e fa la sua parte, schierandosi con i più poveri e gli emarginati, incitando alla solidarietà e al reciproco rispet-to. La voce del vescovo di Roma può portare rinnovato sostegno, indirizzare su più convinti e convincenti sentieri di pace. Può,soprattutto, dare voce alla speranza degli umili, di arginare l’arroganza di poteri che considerano ovvio basare i rapporti tra po-poli e persone sulla forza, sull’interesse dei pochi che hanno troppo, sulla fatica dei moltissimi che non hanno nulla.

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BENVENUTO AL NUOVO VESCOVO DI ROMA

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PAN

ORAM

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G li incidenti stradali rischiano di diventare il flagello del XXI secolo, so-prattutto nei Paesi emergenti. «Ogni tanto nella storia dell’umanità –

ha detto una volta Desmond Tutu, arcivescovo emerito di Cape Town ePremio Nobel per la Pace 1984 - arriva un’epidemia killer che non è ri-conosciuta come tale, e quindi non è combattuta, finché non è troppo tar-di. L’Hiv/Aids, che sta devastando l’Africa sub-sahariana, è una di que-ste. Gli incidenti stradali hanno la potenzialità di essere la prossima». Lagravità della situazione a livello globale, e in particolare per gli Stati a bas-so e medio reddito, è confermata dal rapporto Global status report on road

safety 2013: supporting a decade of action, pubblicato nel marzo scor-so dal Who/Oms (Organizzazione mondiale della Sanità). Dal lungo e ar-ticolato dossier, realizzato con informazioni provenienti da 182 Paesi (ov-

Incidenti d’auto, flagello d’AfricaIncidenti d’auto, flagello d’Africa

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Gli incidenti stradali sono l’ottavacausa di morte nel mondo e la

prima tra i giovanissimi: lo rivelaun report dell’Organizzazione

mondiale della Sanità. In Africa irischi aumentano: perdono la vita

in conseguenza di un incidentestradale circa 24 persone ogni

100mila abitanti. Più del doppiorispetto all’Europa, dove, per le

stesse ragioni, muoiono oltre 10 persone ogni 100mila.

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vero il 99% dei 6,8 miliardi di abitanti delmondo), emerge che gli incidenti strada-li sono la prima causa di morte per i gio-vani tra i 14 e i 29 anni e l’ottava causadi decesso nel mondo. E, se non saran-no adottati provvedimenti, secondo l’Omspotrebbero diventare la quinta causa di de-cesso intorno al 2030.Nei Paesi in cui è scarsa o assente la le-gislazione in materia, si muore molto dipiù. E questo è vero soprattutto perl’Africa. Qui il rischio di perdere la vita, in

conseguenza delle ferite da incidentestradale, precisa l’Oms, tocca circa 24persone ogni 100mila abitanti. Più deldoppio rispetto all’Europa dove, per lestesse ragioni, muoiono 10,3 personeogni 100mila.«Non siamo tutti uguali di fronte agli in-cidenti stradali», è il commento di Etien-ne Krug, capo del dipartimento dell’Omsper la prevenzione di violenze e danni. Dalrapporto si evince infatti come i Paesi amedio reddito che si stanno rapidamen-te motorizzando, specialmente quelli in

Africa e in Medio Oriente, registrano il nu-mero più elevato di decessi.In tutto il pianeta, riferisce l’organizzazio-ne, sono stati un miliardo e 240mila i “ca-duti sulla strada” del 2010, dato simile aquello registrato da un analogo rapportorisalente al 2007. Nell’arco diquesti tre anni 88 nazioni sonostate capaci di ridurre i deces-si, mentre in altre 87 le vittimesono aumentate. Nel frattempoil numero dei veicoli immatrico-lati è cresciuto del 15% a livel-lo globale.Alcuni gruppi sono partico-larmente a rischio. Il 59% del-le vittime di scontri tra autovei-coli è tra i 15 e i 44 anni, il 77%è di sesso maschile. Pedoni e

in stato di ebbrezza, l’eccesso di veloci-tà, il mancato uso del casco per i moto-ciclisti, delle cinture di sicurezza e dei di-spositivi di sicurezza per i bambini.A questi fattori di rischio si devono aggiun-gere altri importanti elementi come gli stan-

dard di sicurezza degli au-toveicoli, la vigilanza sul-le infrastrutture stradali,le policies relative a pedo-ni e ciclisti e l’assistenzaospedaliera. Ma è semprel’Africa il continente più arischio.«In Africa – prosegue Krug– assistiamo a sviluppoeconomico, costruzionedi nuove strade, importa-zione di autovetture. Ci

ciclisti rappresentano il 27% dei “caduti”.In alcuni Paesi questa quota raggiunge ad-dirittura il 75%, a dimostrazione dellapropensione di alcuni governi a trascura-re completamente i diritti degli utentimeno protetti a favore del trasporto suquattro ruote. Al cuore del problema, se-condo l’Oms, c’è soprattutto la carenza dileggi. Solo 28 Stati, pari al 7% della po-polazione mondiale, possiedono una legi-slazione sulla sicurezza stradale comple-ta, in grado di affrontare i cinque princi-pali fattori di rischio sulla strada: la guida

»

In Africa il rischiodi perdere la vita, a causa delle feriteda incidentestradale, precisal’Oms, tocca circa24 persone ogni100mila abitanti.

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sono sempre nuove persone che inizianoa guidare, ma tutto questo non è accom-pagnato dalle necessarie misure» di pre-venzione e protezione. In par ticolarel’esperto descrive numerosi villaggi afri-cani in cui le vecchie strade sono state ri-coperte d’asfalto, così «le automobilisono in grado di attraversare il paese conuna velocità di quattro o cinque volte su-periore rispetto a prima, ma allo stessotempo non è stato fatto niente per favori-re coloro che vanno a piedi e non è faci-le attraversare la strada in modo sicuro.Perciò sale costantemente il numero dimorti e feriti».Grida di dolore arrivano in particolare daSudafrica, Nigeria e Uganda. In Sudafrica,in testa alla triste classifica dei morti afri-cani per incidenti stradali (13.768 nel 2009secondo il Global Report dell’Oms), il pro-blema è salito alla ribalta delle cronacheinternazionali a poche ore dall’inizio dei

Mondiali di calcio a Johannesburg nel2010. L’ex presidente del Paese, NelsonMandela, fu costretto ad annullare la pre-senza alla cerimonia di apertura perchéun’amatissima pronipote di 13 anni era ri-masta vittima di un pirata della strada nelquartiere di Soweto. L’uomo, risultatoubriaco, fu arrestato e incriminato per omi-cidio colposo.Al secondo posto tra i Paesi africani piùpericolosi c’è la Nigeria, con 4.065 dece-duti. Da una ricerca di Jcn Consulting èemerso che gran parte delle persone chemuoiono ogni anno sulle strade nigerianesono teenager che si recano a scuola op-pure ne escono per tornare a casa. Terzonella blacklist degli Stati africani elencatidall’Oms è l’Uganda, con 2.954 morti nel2009. In questa nazione è evidente che,negli anni, la questione si è aggravata: nel2011, secondo i dati raccolti dalla polizialocale, 3.343 persone hanno perso la vitaper incidenti stradali, tra cui 630 bambi-ni, e altri 14mila sono rimasti feriti.Un po’ meno grave la situazione, sempresecondo l’Oms, in Etiopia, Kenya e Tan-zania. Va anche sottolineato che non in tut-ti i Paesi africani è facile raccogliere datiaffidabili sulla mortalità da traffico. Lo sot-tolinea Shanta Devajaran, capo economi-sta della World Bank Africa, che si spin-ge a fare previsioni sulle morti on the road

nell’Africa sub-sahariana: «Potrebberosalire – dice - anche dell’80% entro il 2020se non si prenderanno provvedimentiper mettere in sicurezza le strade e garan-tire una corretta circolazione stradale».Naturalmente, oltre ai costi in termini di viteumane, ci sono anche quelli economici.Secondo uno studio del 2004 di Oms eBanca Mondiale, i soldi gettati al vento permancanza di sicurezza stradale sonopari, in molti Paesi del mondo, a una quo-ta oscillante tra l’1 e il 3% del Pil (Prodot-to interno lordo, l’intera ricchezza prodot-ta da una nazione). La questione è sottogli occhi di tutti e i primi ad esserne con-sapevoli sono i diretti interessati. Non acaso, in Africa, circola un detto: «I germinon uccidono gli africani; solo le auto pos-sono farlo».

I Balcani stanno subendo con durezza icontraccolpi della crisi finanziaria mon-

diale. Se ovunque si scorgono gravi segnalidi disagio, è la Grecia a mostrare sempre dipiù ferite drammatiche. La “cura” di risana-mento del bilancio imposta dall'UnioneEuropea, dalla Banca mondiale e dal Fondomonetario internazionale ha decisamentetravolto il Paese. L'Europa unita e solidale,il sogno di Spinelli, Adenauer, Bech, DeGasperi, Schuman, Spaak e tanti altri, sem-bra essersi frantumato nell'impatto controgli interessi prevalenti delle economie piùforti, quella tedesca prima delle altre. Cosìalla fine del febbraio scorso, la Svizzera hadeciso di ridurre le donazioni di sangue allaGrecia, di cui è principale fornitore. Atene,stritolata dalla manovra di “riassetto delbilancio”, non è in grado, infatti, di pagarecinque milioni di franchi (circa quattromilioni di euro) di “arretrati” agli elvetici.L'operazione di “risparmio sul sangue”comincerà nel 2015 e, secondo quanto anti-cipato dall'agenzia di stampa Swissinfo,porterà ad un dimezzamento delle fornitu-re entro il 2020. Intanto i tagli al bilanciodella sanità hanno praticamente paralizza-to la sanità pubblica ellenica. E adesso èarrivata anche la "paura trasfusione".Rudolf Schwabe, direttore delle donazionidi sangue della Croce Rossa svizzera, haspiegato che il «sangue viene donato gra-tis», ma Atene non riesce a coprire i costiamministrativi e di laboratorio compresinell'invio. La necessità di sangue dellaGrecia è di 700mila unità l'anno e dalCentro nazionale ne arrivano tra le 600milae le 670mila. Dal 2015 la ConfederazioneElvetica ne fornirà 2.500 in meno. In Grecia,che si rifornisce di sangue dalla Svizzera sindagli anni '70, circa il 10% della popolazio-ne soffre di talassemia, una malattia eredi-taria del sangue che impedisce a chi ne èaffetto di donarlo. Il pareggio di bilanciovale la vita dei cittadini se l'Europa è davve-ro una comunità?

di Roberto Bàrbera

ATENE DISSANGUATA

OSSERVATORIO

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di Pier Maria [email protected] 29P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

QUARANTA ANNI DI CULTURA MISSIONARIA

Emiinsider

UNO SGUARDO DAL DIDENTRO SULLA EMI,L’EDITRICE BOLOGNESE“MISSIONARIA PERECCELLENZA”, PERRITROVARE TITOLI E AUTORI,MA ANCHE RESPONSABILI EMISSIONARI CHE HANNO“SCRITTO” I SUOI 40 ANNIDI STORIA. DALLA PRIMAPUBBLICAZIONE DI UNDIZIONARIO KISWAHILI –ITALIANO, FINO ALLA PIÙRECENTE LISTA DI VOLUMIPUBBLICATI, NONMANCANO FIRME E TITOLICELEBRI DI AUTORI ITALIANIE STRANIERI CHE DIVERSEGENERAZIONI DIMISSIONARI, LAICI OCONSACRATI, HANNOTENUTO FRA LE MANI,SFOGLIATO E CONSULTATO.

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A l momento in cui scrivo, siamo a “N.A. 2 880”.“N.A” sta, nel gergo Emi, per “numero d’archivio”.

Non sostituisce l’Isbn, che è il codice a 1 3 cifre cheidentifica univocamente ogni libro a livello internazionale,ma rappresenta un pratico punto di riferimento perla gestione interna. Tra l’altro suggerisce al volo, in-crociandolo con l’anno di edizione, a che puntodella storia dell’editrice siamo. Frugando negli scaffalidell’archivio, troviamo infatti che il numero uno della

Emi, diventata “ufficiale” nell’au-tunno del 1977, dopo quattroanni di rodaggio, è un volumettorilegato in car tone telato. Sefacciamo i conti, sono media-mente 80 volumi l’anno tranovità, ristampe e riedizioni.Un ordine di grandezza chefa rientrare l’Emi tra i medieditori (negli ultimi anni laproduzione si è assestatasui 50 titoli annui).Ebbene, quel numero unoè un vocabolario kiswahili- italiano firmato VittorioMerlo Pick, ripropostodall’Emi dopo una pre-

cedente edizione da parte dei missionari della Con-solata. Seguono Processo ad Addis Abeba di WalbertBühlmann, il cappuccino tedesco che aveva g iàconiato l’espressione “terza Chiesa”, e Un uomo perl’Africa, biografia del fondatore dei missionari dellaConsolata scritta da padre Giovanni Bonzanino, cheaveva conosciuto don Giuseppe Allamano di persona.Troviamo poi titoli di spiritualità missionaria, nonchésulla cooperazione tra le Chiese (che stava diventandoil nuovo nome della missione, anche se non tuttierano d’accordo), testi di Gandhi e di F ollereau, eMaria del villaggio delle formiche, il libro di MatsuiToru pubblicato prima dai missionari saveriani e poidalla Emi con cui raggiungerà le otto edizioni (senzacontare l’omonimo film di Heinosuke Gosho, ripropostopiù tardi dall’Emivideo in vhs).

Scritti dei missionariSono da subito palesi i grandi filoni che per decennicaratterizzeranno l’editrice: le lingue e culture “altre”,oggetto di ricerca e studio serio, uno dei punti diforza della tradizione missionaria (in seguito unacollana prenderà il nome di “Biblioteca scientifica”); itemi specifici della missione, affrontati sia per dareun supplemento d’anima alla vita della Chiesa italianae alla spiritualità dei singoli cristiani, sia (vedi

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Bühlmann) in chiave autocritica (eraancora aperto il dibattito postconciliaresul come e il perché dell’invio di mis-sionari nel “terzo mondo”); quindi bio-grafie, testimonianze e scritti che vengono“dal campo”: missionari e missionariedi prima grandezza oppure semiscono-sciuti, accanto a figure gigantesche come

l’Abbé Pierre, in grado di scuotere chiunquele udisse e di provocare molti a mettersi in gioco perrispondere alla sfida di un mondo spaccato (unquinto della popolazione che vive alle spalle dei«dannati della terra»). Tra queste voci non mancanoquelle dell’emisfero Sud: oltre al citato Gandhi, pen-

A FIANCO: Stand EMI al salone del libro di Torino.

siamo al beninese Alber t Tévoèdjré, con quel suogioiellino intitolato La povertà, ricchezza dei popoli.

Temi chiavePiù che proseguire la lista, è a questo punto più inte-ressante – a proposito dei g randi temi chiave e delsignificato di un’editrice che vi si dedica a tempopieno – consultare la T reccani. Nell’Enciclopediaitaliana abbiamo scovato una voce che ci riguardada vicino: “Orizzonti missionari, coloniali, terzomondisti”.«Un tema per lungo tempo lasciato sullo sfondonegli studi intorno al processo di costruzione nazionaleitaliano e nelle analisi sulle relazioni tra istituzionistatuali ed ecclesiastiche − esordisce l’autore dellemma − riguarda il collegamento tra l’evoluzionedelle vicende politiche e culturali italiane e la proiezionemissionaria della Chiesa nazionale in quelli che untempo si definivano i “territori esterni”». Scorrendoquello che si presenta come un sagg io dal tagliostorico (parte integrante di Cristiani d’Italia, l’operacoordinata nel 2 011 per la T reccani da Alber toMelloni), Massimo De Giuseppe parla anche dell’Emi,osservata nei suoi anni sorgivi: «L’idea di accompagnarele iniziative missionarie con la costruzione di unanuova sensibilità intorno ai problemi sociali dei Paesipoveri, avvicinando il tema dell’evangelizzazione aquello della lotta alla fame, non solo contribuiva

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E I BAMBINI?Pur pubblicando anche titoli “alti”, l’Emi ha pervocazione quella di raggiungere non l’accademia maun ampio pubblico. Così non sono mai mancatianche libri per ragazzi. Ha trovato particolare accoglienzala collana “Favole dal mondo”, attiva dagli anniNovanta e con diversi titoli tuttora disponibili, alcunidei quali bilingui (arabo-italiano, cinese-italiano, ecc.).Anche i nuovi stili di vita sono stati resi accessibili aipiù piccoli, in particolare con Fiabe nei barattoli diMarco Aime, dal 2011 in una nuova, più accattivante edizione dopo quella del1999 andata a ruba, mentre Ai giovani figli del pianeta è dedicato ai preadolescentidal Centro Nuovo modello di sviluppo. Altri titoli significativi sono quelli dedicatial rispetto per l’acqua, dall’elegante Acqua bell’acqua, con pagine dei miglioriscrittori e illustratori per ragazzi oltre a un cd-audio allegato, al libro-gioco-laboratorio Ma dove sarà il tesoro del pirata Mustafà?Torna inoltre come sempre, per l’Avvento/Natale e per la Quaresima/Pasqua, un colorato (esuper-economico) sussidio, curato negli ultimi anni dalla redazione del PM - Il PiccoloMissionario, per dare ai bambini l’opportunità di vivere consapevolmente e in manieraattualizzata, attraverso un tema-guida sempre diverso, i tempi forti della Chiesa.

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Sono da subito palesi igrandi filoni che perdecenni caratterizzerannol'editrice: le lingue eculture “altre”, oggetto diricerca e studio serio, unodei punti di forza dellatradizione missionaria.

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Laboratorio editorialea cura di Raffaello Zordan

«L’ Emi è insieme un osservatorio e un laboratorio. Consentedi cogliere le trasformazioni della realtà sociale ed ec-

clesiale e ha gli strumenti per elaborare riflessioni e proposte».È il giudizio lusinghiero del comboniano Giovanni Munari – 62anni, per una trentina missionario in Brasile – sull’editrice mis-sionaria che ha diretto dal 2008 al 2012.«È il Concilio Vaticano II, che ha rappresentato una svolta, unarivoluzione copernicana, che non è stato ancora sufficientementecapito e assimilato. Prima la missione parlava al mondo,insegnava, aveva una verità da proporre anche a livello sociale.Con il Vaticano II è cambiata la prospettiva: la Chiesa non è piùal centro, sono le varie realtà che compongono il mondo adessere al centro. E con questo mondo bisogna interagire,entrare in dialogo».

Soffermiamoci sullo stallo del Vaticano II. Quali lericadute sulla missione?

«Se si prendono le ri-flessioni che in occa-sione del Vaticano II laChiesa fa su se stessae sul mondo, c’è unapproccio fortementecritico e innovativo. Seinvece si prendono leriflessioni sulla missio-ne, risultano piuttostosmussate, poco incisivee con lo sguardo alpanorama preconcilia-re. Intendo dire che ildocumento del VaticanoII sulla missione non è in sintonia con le costituzioni sullaChiesa e il suo dialogo con il mondo. Ribadisco. Col Vaticano II,e sono trascorsi 50 anni, sono state poste le basi per una rivo-luzione copernicana. Ma per cogliere in pieno questi grandiprincipi di cambiamento ci vuole dedizione e tempo. Ora incampo missionario questo non è ancora accaduto. E si continuaIN

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L’idea diaccompagnare leiniziative missionariecon la costruzione diuna nuova sensibilitàintorno ai problemisociali dei Paesipoveri, offriva anchenuove chiavi dilettura al pubblico.

a rideclinare l’idea della vecchia missione di civiltà nelcontesto del bipolarismo e l’esperienza missionarianella stagione del dopo-Bandung (la città indonesianain cui si tenne nel 1955 una Conferenza afroasiaticadecisiva per la decolonizzazione, ndr) e del boomdell’antropologia evoluzionista e strutturalista; offrivaanche nuove chiavi di lettura al pubblico della penisola,che avrebbero travalicato anche i confini politici del-

l’adesione italiana al blocco occidentale, rimettendonein discussione la stessa natura profonda».

Fermenti conciliariIn concreto «per avere una perce zione dei fermentimissionari tra il pontificato pacelliano e quello giovanneo»,l’autore fa riferimento alle pubblicazioni edite da com-boniani, saveriani, Consolata e Pime «dalla metà degli

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A DESTRA: Lorenzo Fazzini, giornalista, direttore della Editrice missionariaitaliana, è succeduto a padre Giovanni Munari, affiancando il direttoreeditoriale padre Pier Maria Mazzola.

a cercare ispirazione e risposte più nelle sane tradizioni chenelle nuove prospettive. Questi sono i nodi centrali per chi famissione oggi. Una missione bloccata, che non fa più presa suigiovani e che non sa andare molto oltre alla tradizionaleplantatio ecclesiae».

Quindi la missio dell’Emi dovrebbe essere quella dicontribuire a un recupero dello spirito del Vaticano II?«Questo è esattamente il grande nodo che l’Emi ha cercato diaffrontare perché è il nodo da sciogliere. O partendo da questanuova lettura che ci è venuta dal Concilio si cambia impostazione,il che significa cambiare tutto, oppure continueremo a porci ead affrontare i problemi con un taglio che appartiene all’epocapreconciliare. Questo vale anche per i comboniani: le contrad-dizioni che l’istituto oggi vive risalgono a quel nodo».

In questo contesto, non è pensabile di costruire una re-lazione più forte tra Emi e riviste missionarie?«Oggi le riviste missionarie riflettono la crisi degli Istituti. Quindisono più espressione di un mondo in stallo che una risorsa dautilizzare. Bisognerebbe che questi discorsi venissero fatti a

livello generale e che gli Istituti capissero l’urgenza di dare uncolpo di reni. Di qui potrebbe venire un rinnovamento delle ri-viste».

Se dovesse delineare una prospettiva per l’Emi, come ladescriverebbe?«Mentre sono centinaia le case editrici e le librerie che chiudono,l’Emi tira avanti senza bisogno di aiuti esterni. Ciò significa cheil prodotto c’è, che la qualità c’è, che un mercato, seppur dinicchia, c’è. Significa che nella Chiesa e nella società italiana cisono persone alla ricerca di nuove prospettive.Quando sono uscito dall’Emi ho detto a chi subentrava: la casaeditrice ha creato una propria storia, un proprio percorso e unapropria sensibilità. Il futuro dell’Emi è restare Emi. Cioè, seriesce a percorrere questa linea di frontiera all’interno dellaChiesa – linea fatta di dialogo coraggioso con il mondo, diproposte alternative anche a livello teologico (abbiamo cominciatoa farlo sulla Bibbia e sulla vita religiosa), di nuove praticheecclesiali, di esperienze missionarie innovative, di approfondimentisu temi quali lo sviluppo, l’ambiente, i conflitti, il disarmo – hasenz’altro un futuro».

anni Cinquanta», precisando che l’idea di un primocoordinamento editoriale «fu del comboniano RomeoPanciroli, di padre Piero Gheddo del Pime, del saverianoWalter Gardini e di padre Igino Tubaldo per la Consolata».De Giuseppe precisa anche i nomi delle prime duecollane di quell’esperienza: “Studi missionari” e “Croceviadei popoli”. Se la prima era di interesse più interno,l’altra «offriva una serie di spunti interessanti e dinovità in vista di una più piena ricezione dei temi ter-zomondisti nell’immaginario culturale dei cattoliciitaliani. Innanzitutto si rivolgeva esplicitamente ai laici,chiedendone una mobilitazione dentro e fuori i confinieuropei».In un clima oramai conciliare, ossia di dibattito con-traddistinto da una vivace interazione Chiesa-mondo,«le nuove e nascenti pulsioni terzomondiste arricchivanola stessa missionarietà di nuovi elementi interculturalie, a loro modo, democratizzanti». Insomma missionarietànon è solo “dare” ma al tempo stesso accogliere lecose nuove. È infatti nell’anno 1 964, puntualizza DeGiuseppe, che, «mentre la Emi pubblicava tre testi

simbolici quali Concilio e Terzo mondo di Gheddo,Una battaglia diversa dalle altre di Raoul Follereau eContro la fame di Philippe Farine, proprio nella sedemilanese del Pime nasceva su iniziativa dei quattroIstituti missionari un nuovo tipo di movimento d’impegnosociale, ribattezzato Mani Tese; questo, federato traun’associazione laica e una missionaria, aveva l’obiettivodi condurre con metodo e continuità una campagna »

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contro la fame. Era il preludioa una nuova fase nella storiadella missionarietà italiana chenegli anni a venire avrebberidefinito le sintesi ed i rapportitra le appartenenze politiche,sociali e religiose e la costru-zione di immaginari nazionalie globali».Anche Melloni cita l’Emi nelsuo articolo su “L’editoria re-ligiosa del secondo Novecen-to”. L’editrice di Bologna rap-presenta un caso più unicoche raro, negli anni Settanta,di «collaborazione fra editori»,anzi di «alleanza significativa»che «fa capolino nel marzo1973». I quattro missionarisuccitati «disegnano una casaattenta alle voci del pacifismo,del terzomondismo, delle teo-logie della liberazione e delleprassi di povertà, a partire dailibri dell’Abbé Pierre, che dal 1983 torneranno al centrodella produzione con la nuova dire zione di FrancescoGrasselli e Pino Mariani».

Nuovi stili di vitaDa allora ne è stata fatta di strada. Alcuni ambiti si sonoprogressivamente ristretti, come quello linguistico equello etnografico. È infatti andata scemando la tradizionedelle monografie sui popoli, e l’antropolog ia culturaleha preso altre strade. Si sono invece imposti i filoni deinuovi stili di vita, del rispetto per il creato, dell’economiaalternativa, delle migrazioni e dell’intercultura: tematichela cui urgenza è raddoppiata a fronte della globalizzazione,in un continuo interrogarsi su come valorizzare ciò chedi buono quest’ultima porta con sé e su come resistereinvece a quanto di negativo compor ta per lavoratori,popoli e ambiente. P er la stessa anima dell’umanità,consumata dalla mercificazione e dall’individualismo.C’è un altro mondo possibile da progettare. Anchequeste non sono, in fondo, che nuove declinazionidello spirito Emi delle origini.

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C on il rischio di far tortoagli altri, segnaliamo cin-

que autori che, nella produzio-ne recente dell’Emi, possiamo

considerare “di punta”. Li citia-mo per il loro tipo di proposte

innovative, che l’editrice ha fattoproprie. Lucia Cosmetico ci fa riflet-

tere, con stile sbrigliato, sulle nostrenozioni di sicurezza e insicurezza,

mostrandoci che non sono affattocosì scontate e ci sarebbe anzi interes-

se ad essere maggiormente “insicuri”. Èl’Elogio dell’insicurezza. Un altro Elogio,

questa volta dell’esuberanza, viene ele-vato da Christoph Baker, “rivelazione”

Emi con Ozio, lentezza e nostalgia (2006). Scrittura vivace etemi serissimi anche in Gianpaolo Trevisi, un poliziotto cheguarda agli immigrati mettendosi dalla loro parte e lo fa conmano leggera, con felice vena narrativa: Fogli di via e, per ibambini, La casa delle cose.La pedagogia della lumaca di Gianfranco Zavalloni, prematu-ramente scomparso, è il classico caso di libro che corre con leproprie gambe, senza una riga di pubblicità e grazie a un reti-colare passaparola. Disegna i tratti di una scuola «lenta e non-violenta» con levità e divertimento, lasciando trapelare unagrossa esperienza educativa alle spalle. Fenomeno simile dipassaparola ha trascinato De André in classe: MassimilianoLepratti ha trasformato il cantautore in “strumento didattico”,proponendo un approccio a diverse materie scolastiche attra-verso l’opera del cantautore genovese.

AUTORI DI PUNTAA DESTRA: I prodotti editoriali EMI presentati a “TerraFutura”, mostra-convegno internazionale,giunta quest’anno alla decima edizione.

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non solo la propria salute e il portafoglio, ma anche −attraverso le nostre scelte quotidiane − i diritti degliesclusi e la salvaguardia del pianeta, il g rande benecomune.L’altro versante in cui si manifestail bisogno di rispondere a do-mande nuove è quello educativo,in particolare nella dimensionedell’interculturalità. Avvalendosiin particolare delle competenzecatalizzate dalla rivista specia-listica Cem Mondialità editadai saveriani, l’Emi dà vita adiverse collane sia praticheche di riflessione rivolte almondo della scuola e del-l’educazione in generale.

Teologia e mondialitàUna parola, infine, sullaproduzione teologica.

Nella ricerca di nuovi e più “convincenti” argomenti dadepositare nei libri, si nota un progressivo spostamentodi accento: se ai primordi c’era l’ansia di por tare alpubblico italiano conoscenze e riflessioni venute dalSud del mondo, oggi si avverte in maniera crescentel’importanza di pubblicare cose con cui il lettorenostrano si possa identificare immediatamente, chelo conducano, sì, a tener presente l’orizzonte mondialee a coltivare un sentimento di fraternità universale, maa partire dalle sue dirette preoccupazioni, dal suocontesto a corto raggio.

I diritti degli esclusiNon è un caso che, nell’editoria in generale, guide emanuali oggi funzionino meglio della sagg istica “im-portante” e dell’alta letteratura. P er questo non devestupire che nell’Emi ogg i siano presenti anche unaGuida ai detersivi bioallegri o all’interpretazione criticadelle etichette dei prodotti da supermercato: sono“stratagemmi” che servono a tenere sveglia l’attenzionea “un altro mondo possibile”. Perché c’è da proteggere

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che con un dossier (1986) di documenti de-dicati al “caso” sollevato dal suo Chiesa:carisma e potere − sta per tornare a brevel’opera ultima Al cuore del cristianesimo. Epoi José Comblin ( La forza della Parola,1989); Eleazar López Hernández (Teologiaindia, 2004); Gustavo Gutiérrez, di cui, dopoPoveri (2006), nel prossimo autunno usciràun lavoro sorprendente: a quattro mani conGerhard Müller, l’attuale prefetto della Con-gregazione per la dottrina dalla fede che,quand’era vescovo di Ratisbona, dichiarava«ortodosso» il padre della teolog ia della libe-razione a motivo della sua «ortoprassi». Senzadimenticare il teologo brasiliano di orig inecoreana Jung Mo Sung (Dio in un’economiasenza cuore, 2000) e Marcelo Barros, ormaiun habitué per l’editrice (citiamo appena IlVangelo che libera, commento a Luca dopoil fortunato Baule dello scriba su Matteo,

mentre sono in preparazione altri due titoli).

Emi.itSpostandoci nel Nord anglofono del continente, èormai di riferimento la serie di otto libri nati nell’ambientedella Sojourners Community statunitense, originali peril loro stile di mettere le Scritture in rapporto con l’eco-nomia e la politica. Un titolo per tutti: L’impero svelatodi Wes Howard-Brook e Anthony Gwyther (2001).E qui mettiamo un punto finale. Circa 800 titoli “vivi”e una cinquantina di collane non sono sintetizzabili inpoche righe. Nel sito Emi.it, che attende un opportunorinnovamento grafico e tecnico, il catalogo è consultabileintegralmente. Uno sguardo su come è organizzata laproduzione editoriale è possibile cliccando “Settori eCollane”; “Percorsi di lettura”

Non vanno cercati qui i titoli più venduti, ma perun’editrice come questa sono quelli che danno “lalinea”. È anche vero che l’Emi è per sua naturapluralistica – ne sono proprietari 15 gruppi diversi e leporte restano aperte a ulteriori ingressi – e nel suo ca-talogo si potranno individuare opere che rispecchianoposizioni divergenti. È comunque evidente un filorosso di autori e titoli accomunati dal tentativo dibattere nuove vie. P ochi esempi bastano a renderel’idea. Dal Jean-Marc Ela di Questo è il tempo deglieredi (1983; del teologo e sociologo camerunesel’Emi ha proposto di recente il sagg io dedicato aCheikh Anta Diop), al Tissa Balasuriya (mancato nelloscorso gennaio) di Teologia planetaria (1986).Numerosi soprattutto i latinoamericani: Battesimo disangue di Frei Bettoarrivò in Italia con l’Eminel 1983, ben primache Sperling & K upferlo rieditasse nel 2 000(ed è tornato all’Emidue anni fa con Quel-l’uomo chiamato Gesù);di Leonardo Boff − pre-sente con qualche titolonegli anni Ottanta e an-

Nell’aprile del 1973 nasceva l’Editrice Missionaria Italiana

(Emi). Dopo quattro decenni ecco una doppia occasione per

fare il punto su come e perché fare libri missionari.

Mercoledì 3 aprile si tiene a Verona un confronto tra padre

Alex Zanotelli, missionario comboniano, e l’attore-regista Moni Ovadia: “Fare cose con le

idee. Dialogo sul mondo che vorremmo”.

Mercoledì 10 aprile, invece, all’Università Cattolica di Milano è in programma una tavola

rotonda sul tema « Missione di carta? Quarant’anni di Editrice Missionaria Italiana».

Intervengono Giuliano Vigini, direttore dell’Editrice Bibliografica e tra i massimi esperti di

editoria in Italia; padre Giulio Albanese, direttore di Popoli e Missione, e Toni Capuozzo,

giornalista, inviato speciale del Tg5. È prevista una testimonianza di padre Piero Gheddo, giorna-

lista e missionario del Pime, tra i fondatori dell’Emi. Coordina Roberto Cicala, docente di Editoria

libraria e multimediale della Cattolica.

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APPUNTAM

ENTI

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Filo direttoCON L’ECONOMIA

È un dato di fatto che la riparti-zione del nostro welfare fra le di-verse componenti della spesa

sociale è decisamente squilibrata a fa-vore della previdenza, a discapito di al-tri fondamentali capitoli. «Il welfarepubblico è oggi oggetto di tagli, ridefi-nizioni in senso restrittivo e misure chene diminuiscono la capacità», ci spiegaFranca Maino, anche direttrice del la-boratorio “Percorsi di secondo wel-fare”. Per liberare risorse da destinareal “primo welfare” (e al contempo de-dicare attenzione ad altre emergenzesociali), entrano in gioco nuovi protago-nisti che fanno rete: fondazioni banca-rie e di comunità, imprese, sindacati,Terzo settore, Comuni, volontariato,che, sedendo tutti attorno ad unostesso tavolo, elaborano progetti aforte connotazione territoriale.

Perché il nostro Stato sociale è cosìmal messo? «I programmi di welfare in Italia hannocontinuato per anni ad erogare presta-zioni molto generose per la tutela di ri-schi già largamente coperti. Gli attualiproblemi, a mio avviso, non vengonotanto dalla sanità quanto dalla previ-

denza. L’Italia non è riuscita a correggere gli squilibri diun sistema di protezione sociale disfunzionale. Il pro-blema è trovare risorse per la disoccupazione, la lottaall’esclusione sociale, la famiglia, i minori».

In che modo i privati possono occuparsi di welfare?«Assodato che l’ambizione ultima, sul fronte del wel-fare nazionale, è quella di arrivare comunque all’intro-duzione di programmi universalistici come il redditominimo, per farlo è necessario liberare risorse. Come?Ad esempio, oggi le aziende si trovano a fare i conti

con lavoratori esposti pesantemente alla crisi econo-mica. Non potendo aumentare le loro retribuzioni,possono però pensare, grazie a degli sgravi fiscali, abenefit o a misure di welfare aziendale che offrano tu-tele integrative ai dipendenti».

Che ruolo hanno gli enti locali nell’ipotesi di “se-condo welfare”?«Un ruolo sempre maggiore. Gli enti locali sono com-petenti in un importante pezzo di welfare ma hannosempre meno risorse. Dunque, Comuni, consorzi diComuni, province e regioni possono cercare di favo-rire la sinergia con enti non pubblici. Tra questi, inprima linea, le fondazioni bancarie e di comunità».

Fondazioni e banche stanno già realizzando pro-getti interessanti. Qualche esempio?«Sì, le fondazioni di origine bancaria hanno per statutoil compito di utilizzare risorse per vari progetti. Tuttehanno un capitolo sociale di sostegno alla persona eal territorio. A partire dal 2008 molte hanno spostatorisorse (che prima andavano più che altro alla vocecultura) verso il sociale. Ne sono nati progetti inediticome quello del Fondo di emergenza lavoro promossodalla Fondazione della comunità del novarese in col-laborazione con Fondazione Banca Popolare di No-vara, sindacati, prefettura, provincia, Comune, diocesidi Novara. È un esempio perfetto di “secondo wel-fare” perché vede impegnati tutti i soggetti interes-sati sia nella fase di erogazione delle risorse che dielaborazione delle idee».

Un progetto ben riuscito di lotta alla povertà?«Quello dell’Emporio Parma che dal 2010 cerca di as-sistere persone in difficoltà economica grazie ad unmarket solidale e ad altre iniziative che aiutano 700 fa-miglie, il 70% delle quali straniere. Nasce in seguitoad un bando regionale dell’Emilia Romagna».

di Ilaria De [email protected]

L’INTERVISTA: FRANCA MAINO

A FRONTE DI UNO STATOSOCIALE SEMPRE

PIÙ IN SOFFERENZA, È ALLOSTUDIO UN PERCORSO

DI “SECONDO WELFARE” CHE STA DANDO OTTIMI

RISULTATI. DA QUESTOLABORATORIO DI IDEE

NASCONO VIRTUOSIPROGETTI SOCIALI DI

LOTTA ALLA POVERTÀ. NE PARLIAMO CON

FRANCA MAINO,RICERCATRICE PRESSO IL

DIPARTIMENTO DI SCIENZESOCIALI E POLITICHE

DELL’UNIVERSITÀ DI MILANO.

“SECONDO WELFARE” E LOTTA ALLA POVERTÀ

Franca Maino

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K hlong Toei è una zona dell’areaportuale di Bangkok. Un tempoqui si estendeva una coltivazione

di banane e di orchidee, manella seconda metà del se-colo scorso con la costru-zione del nuovo porto, si èsviluppato un agglomeratodi capanne e baracche, chehanno formato uno deglislum più noti della metro-poli thailandese.La storia me la raccontaPrateep Ungsongtham Hata,una donna buddhista sulla

sessantina, elegante e dai tratti delicatitipici dei thai. Mi accoglie alle portedell’asilo, costruito davanti al centrodella Duang Prateep Foundation, un’ini-ziativa che ha cambiato il volto dellazona e della gente che ci abita. Con lei

ci sono una cinquantinadi marmocchi nelle lorodivise rosa, tutti ordinata-mente accovacciati sul pa-vimento in cemento del-l’asilo. Mi accolgono con ilcaratteristico saluto thai econ piccole, bellissime ghir-lande. Questi bambini, daglisguardi dolcissimi caratte-rizzati da dignità e fierezza,vivono in un ambiente pu-

di ROBERTO [email protected]

Vita di slumMISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

Thai ebaraccopoli

a Bangkok

Thai ebaraccopoli

a Bangkok

lito e curato nei dettagli, dove s’insegnasecondo il metodo Montessori.L’asilo è una delle 17 realizzazioni dellaFondazione, il cui nome significa Luceche brilla ed illumina la via, con unlogo che rappresenta “il fior di loto e la

Addentrandosinei vicoli delloslum, si capiscecome Prateepsia un punto di riferimento perl’intera comunità.

Nella zona portuale diBangkok, in una popolosabaraccopoli, lavora Prateep,buddhista sulla sessantina,che ha dato vita alla Duang

Prateep Foundation, iniziativache ha cambiato il voltodella zona e della gente chevi abita. Il sogno di questadonna è quello di vederetutti i bambini dellabaraccopoli vivereun’esistenza dignitosa e conpari opportunità rispetto aglialtri. E Prateep si impegnaperché tutto ciò si realizzi.

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ad andare alle elementari, era obbliga-torio vestire l’uniforme. La famiglia po-teva permettersene una sola. Per questoandavano a scuola a giorni alterni, ve-stendo l’unica divisa. Un giorno l’inse-gnante, accortasi della cosa, fece visitaalla famiglia e offrì alle due piccole difrequentare la scuola gratuitamente.A causa della povertà reale della famigliale due bambine dovevano anche lavorare.«Sono stata in una fabbrica di fuochiartificiali e in un’altra dove toglievo laruggine da relitti di navi e barche» ri-corda la donna thai. Un episodio restavivo nella mente di Prateep: un uomo

precipitò da un’altezzapari al terzo piano diuna casa. La scena didolore che vide e legrida che sentì le fecerocapire che la vita deipoveri non vale nulla.Lei voleva cambiare lecose…Prateep racconta que-sta storia mentre en-triamo nel cuore dellabaraccopoli, oggi ormaipiù che dignitosa, dopoanni di lotte sociali eimpegno nella promo-zione umana e ambien-tale. Passiamo davantiad un grosso centroscolastico dove, su

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M igliaia di boat people. Cinquecentomorti in mare nell’ultimo anno.

Circa 120mila sfollati. Altre centinaia dimigliaia di profughi nei Paesi vicini.Dozzine di vittime e interi villaggi bruciati.Il popolo dei Rohingya, di origine indo-ariana e di religione musulmana che vivenel Myanmar (ex Birmania) a maggioranzasino-tibetana buddista, è considerato dalleNazioni Unite «uno dei più perseguitati delpianeta». Nonostante gli abusi sianoaumentati dal giugno 2012, questi “indesi-derati” continuano a non fare notizia. Solopoche organizzazioni umanitarie se neprendono cura. L’Unhcr li assiste dal 2005.La Croce Rossa Internazionale è da pocoriuscita a entrare nelle carceri dove sonotorturati e lasciati morire, mentre i Medicisenza frontiere insistono per essereammessi nei campi profughi.C’è la questione secolare e complessadell’etnia, che neppure gli sforzi di demo-cratizzazione in corso riescono a risolvere.Le autorità birmane, che hanno semprefomentato il nazionalismo buddista, si sen-tono ancora libere di uccidere, costringereai lavori forzati o espellere i gruppi dellezone più remote. A maggior ragione sequesti ultimi non hanno mai avuto la citta-dinanza, sono stati considerati collabora-zionisti dei colonizzatori britannici o addi-rittura jihadisti, come i Rohingya. È vero, cisono elementi separatisti vicini agli estremi-sti islamici, ma ciò non giustifica la repres-sione che da alcuni è chiamata «genoci-dio». A sconcertare è soprattutto un fatto:le tensioni comunitarie sono alimentate daalcuni degli stessi monaci buddisti chemanifestarono per la liberazione di AungSan Suu Kyi, l’eroina della democrazia orain Parlamento e aspirante presidente. Lodenunciano anche i cristiani delle MissioniStraniere di Parigi. Intanto piccole barche inlegno sfidano le acque del Golfo delBengala, dirigendosi verso Bangladesh, SriLanka, Thailandia, Malesia, Indonesia. E,proprio come nel Mare Nostrum, sonospesso respinte e abbandonate al lorodestino.

di Francesca Lancini

PERSEGUITATI

OSSERVATORIO

ASIA

»

A fianco:

Prateep Ungsongtham Hata, fondatrice della Duang Prateep Foundation.

Sotto:

L’interno della baraccopoli di Khlong Toei,nella zona portuale di Bangkok.

fiamma”. Ci sono anche centri socialiche mirano al recupero di giovani vittimedella droga e dell’alcolismo. Inoltre si ècostituito un centro per la terza età.«Fra qualche settimana rientrerà laprima dei nostri studenti che ha ottenutoun dottorato di ricerca negli Usa», dicePrateep con un tono che tradisce grandesoddisfazione.Tutto è cominciato da questa donna eda sua sorella, Mingporn, di qualcheanno più grande, entrambe nate e cre-sciute nella grande baraccopoli di KhlongToei. La maggiore cominciò a frequentarela scuola solo all’età di 11 anni econtinuò fino alla classe ottava senza,poi, poter trovare un lavoro. Prateep,più fortunata, per entrare alle elementaridovette fare un anno preparatorio,camminando ogni giorno per cinquechilometri fino alla scuola materna.Quando, poi, entrambe cominciarono

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Vita di slumMISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

Nelle foto:

Alcune immagini delle alunne della signora Prateep nella scuola montessoriana.

teep ne divenne la direttrice.Un secondo momento decisivo è statola sorprendente assegnazione alla gio-vane maestra del prestigioso MagsaysayAward nel 1978. I 20mila dollari, previstidal premio assegnato ogni anno a ope-ratori e riformatori sociali dell’Asia, fu-rono devoluti immediatamente alla co-stituzione della Duang Prateep Foun-dation. “Le esperienze del passato assi-curano una visione per il futuro” recitauno dei motti della fondazione. «Il miosogno – ha dichiarato recentementePrateep – è quello di vedere tutti ibambini vivere una esistenza degna econ pari opportunità. Finché vivrò,voglio lottare per i diritti di questibambini».

un fazzoletto di terra, oggiormai parte della grandescuola, si è giocato il mo-mento decisivo nella vitadelle due sorelle. Qui det-tero vita alla One-Baht-A-Day School, dove i bambinidella baraccopoli avrebberopotuto studiare pagandoun solo baht, la monetathailandese, al giorno. Si trattava diuna scuola illegale, come avrebberosentenziato le autorità qualche tempodopo, ma che voleva preparare i piccoliad entrare alle elementari. «Avevocapito che solo l’educazione può aiutare»afferma con chiarezza la donna thai.Addentrandosi nei vicoli dello slum, sicapisce come Prateep sia un punto diriferimento per l’intera comunità. Cisono piccoli che tornano da scuola,anziani dalla pelle incartapecorita, madallo sguardo sereno che salutano giun-gendo le mani e inchinandosi, altrisaluti arrivano dall’interno delle ba-racche. Ci sono negozietti che vendonodi tutto e motociclisti che si destreg-giano abilmente nelle viuzze. La zona

«Il mio sogno è quello divedere tutti i bambini vivereuna esistenza degna e conpari opportunità. Finchévivrò, voglio lottare per i diritti di questi bambini».

è immersa nelle paludi, ma l’acqua èun deterrente perché, con il legno concui tutto è costruito, gli incendi sonofatali.«Negli anni Settanta - continua Prateep- le autorità decisero di confiscaretutto il terreno per allargare il porto.Si cominciarono a vedere i risultatidella scolarità. Alcuni degli abitantiformarono un comitato della baracco-poli per lottare per i propri diritti». Lacosa fu tutt’altro che facile. La scuola,che aveva dato vita ad una nuova ge-nerazione di gente a Khlong Toei, fudichiarata illegale. Le trattative conti-nuarono a lungo fino a quando il go-verno cedette e finalmente nel 1976le autorità riconobbero la scuola. Pra-

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Educazione dei giovani in America Latina

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vero molto speciale, Fe y Alegría. Educarecon fede e allegria, una miscela semplicequanto esplosiva, messa a punto da ungesuita coraggioso e precursore deitempi, nel lontano 1955. Padre JoséMaría Vélaz viveva a Caracas, città al-l’epoca ancora più ricca e ancora più la-cerata dalle divisioni sociali: da un latoun’élite bianca potente e miliardaria,dall’altro una massa di poveri, invisibilia tutti.È in questo contesto così socialmenteingiusto che padre José decide di co-minciare un viaggio nuovo di cam-

«È una grande opportunità nonsolo per me ma per tutti noi.Per la prima volta ci è stato

mostrato un cammino diverso e offertauna chance». A parlare è Maria doSocorro, 36 anni, che vive in uno degliStati più poveri del Brasile, il Cearà.Maria è una delle migliaia di persone,adulti e giovani, che hanno usufruitodal 1955 ad oggi in tutta l’AmericaLatina di un programma educativo dav-

Fe y AlegriaFe y Alegriaun’onda

di energiadi PAOLO MANZO

[email protected]

»

Fondato dal gesuitapadre Josè Maria Vélaznel 1955, Fe y Alegria èun programma diformazione, cui moltepersone nei Paesilatinoamericani devonoistruzione e inserimentosociale. A quasi 60 annidalla nascita, è diventata la piùgrande organizzazionenon governativadell’America Latina incampo educativo.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

biamento, a partire dall’educazione. Fey Alegría nasce, dunque, con una con-notazione ben precisa: puntare all’istru-zione di bambini e adolescenti dei quar-tieri più poveri di Caracas.Il gesuita forma così un gruppo di col-

laboratori stretti, sceltitra gli universitari chelo accompagnanocome volontari nellevisite nei barrios. Lasvolta avviene quan-do un muratore Abra-ham Reyes e sua mo-glie Patrizia, genitoridi otto figli, decidonodi donare metà dellaloro casa al sacerdote.Nasce così la primascuola di Fe y Alegríaa Caracas, nel quar-tiere Catia, oggi inti-tolata appunto adAbraham Reyes.FyA, come da tutti

oggi viene affettuosamente abbreviato,più che un’associazione, è un movimentovero e proprio, un’onda piena di energia

capace di travolgere ed estendere a mac-chia d’olio i valori dell’educazione po-polare e della promozione sociale. Oggi,quasi 60 anni dopo, è diventata la piùgrande organizzazione non governativadell’America Latina in campo educativo.È presente in 19 Paesi, in Sudamerica,nei Paesi caraibici, in Ciad (Africa) e inSpagna. Dal 2001 anche in Italia per laformazione dei migranti latinoamericani.Quando è iniziato il flusso migratoriodall’America Latina verso l’Europa, infatti,sono arrivate molte persone, giovani,ma soprattutto donne in cerca di con-dizioni di vita migliori, che hanno lasciatoi loro figli nei Paesi d’origine. Per questomotivo due insegnanti dell’Ecuador, Nar-cisa e Pilar Soria, grazie anche all’appoggiodell’Università Gregoriana, hanno cercatoun modo di dare formazione a questepersone attraverso un corso di Scienzecommerciali e amministrazione che, conl’integrazione dell’italiano, ricalca la pro-grammazione didattica ecuadoriana maè riconosciuto anche in Italia. Di recentesono state aperte altre due sedi a Milanoe a Genova. Per non parlare poi di unprogramma di studi, rivolto ai detenuti

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Sopra:

Studenti della scuola Fe y Alegria inPerù. L’organizzazione non

governativa è presente nel Paeselatinoamericano da circa 40 anni.

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Fe y Alegría

nasce con unaconnotazione ben precisa:puntareall’istruzione di bambini eadolescenti dei quartieri più poveri di Caracas.

latinoamericani nel carcere di Rebibbia.Il bilancio globale di Fe y Alegría è im-pressionante. Un milione di giovani sonoseguiti dal movimento nei circa 2milacentri guidati da 35mila docenti ed edu-catori. Il cuore pulsante del movimentorimane e continua a battere in AmericaLatina dove i progetti e soprattutto leadesioni crescono a vista d’occhio. «Mihanno dato quello che io neanche potevodesiderare - dichiara Julyana Duarte -una ragazzina brasiliana di 17 anni delloStato di Amazonas -. Grazie a loro sonopotuta entrare all’università e si è apertoper me un mondo nuovissimo». Molti diquesti studenti diventeranno poi edu-catori, il più delle volte proprio per Fe yAlegría. «Da quando ero bambino volevocambiare le cose nel mio quartiere de-gradato - racconta Wilton Oliveira dos

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più successo, oltre allo spagnolo, anchela matematica. In Venezuela, dove Fe yAlegría è nato, il progetto negli anni, apartire dal 1973, si è avvalso della forza

comunicativa della radio.Su richiesta di molti gio-vani e comunità isolatedel Paese in cui l’accessoall’educazione era moltodifficile, attraverso l’edu-cazione a distanza, viaradio, molti di loro sonoriusciti a formarsi, por-tando così a termine illoro percorso scolasticoe professionale e riu-scendo a superare le dif-ficoltà dell’isolamentodelle proprie comunitàe della povertà. Questainiziativa ha avuto così

tanto successo che attualmente il progettosi avvale di ben nove emittenti radiofo-niche e copre aree del Paese in cui nessunaltro istituto educativo è ancora pre-sente.

In Cile Fe y Alegría esiste appenadal 2005 con otto Centri ma haraggiunto subito una grande famaper essere luogo di sperimenta-zione delle punte più innovativedell’educazione, a partire dagliatelier di scrittura creativa. Losviluppo della creatività individualeal fine di una trasformazione so-ciale, insomma, è diventato unodei punti chiave dell’orizzonte sucui si muove Fe y Alegría. Lo di-mostra uno dei progetti più recentiche ha permesso a decine di bam-bini di trasformarsi in artisti digraffiti per colorare il loro quar-tiere, Nossa Senhora da Vitória,ad Ilhéus, nella città di Bahia(Brasile). Insomma, il pensiero dipadre José in questi anni non solonon è morto ma si è moltiplicato:«Educare è dare alle persone laloro pienezza, permettendo lorodi costruire un mondo più solidalee giusto».

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Educazione dei giovani in America Latina

Santos, 26 anni, del Minas Gerais -. Sonoentrato come studente, adesso insegno:ora le cose posso davvero cambiarle».Come spiegano gli educatori, dal Brasilealla Bolivia passando per il Cile, solo perfare qualche esempio, la proposta delmovimento è allo stesso tempo pedago-gica e sociale con l’obiettivo a lungotermine di creare dei cittadini responsabilie democratici, agenti di trasformazionenel contesto in cui vivono e operano.Questo spiega perché oltre all’importanzadi una metodologia educativa inclusiva,che accoglie e integra le differenze invecedi accentuarle, è molto importante l’azionesu tutto il contesto sociale. Nel progettocosì sono coinvolti non solo i bambinima anche i genitori e le loro famiglie, lasocietà appunto.«L’idea che abbiamo è che l’educazioneè il più grande processo creativo chepermetta all’essere umano di svilupparsi»spiega Lara, educatrice in Venezuela, «maper questo ha bisogno di coniugarsi conil senso della partecipazione, della soli-darietà: valori, questi, che rimandano

alla relazione e dunque al contesto so-ciale». Una profonda azione comunitaria,che si avvale di linguaggi diversi, appro-dando anche a quelli più creativi come ilteatro e la danza.La filosofia educativa mes-sa in piedi da padre Josènegli anni Cinquanta èevoluta e si è adeguata aitempi. In Brasile, per esem-pio, ha sposato i presup-posti educativi del piùgrande pedagogo del Pae-se del samba, Paulo Freire,sostenitore della cosid-detta “Pedagogia proble-maticista”, una pedagogiache non offre verità as-solute ma allena all’eser-cizio del dubbio per farapprodare lo studente ailidi meravigliosi della libertà di pensieroe del libero arbitrio. In Colombia Fe yAlegría esiste dal 1971 e oggi si occupadi 72mila studenti in una sessantina discuole. Tra le discipline che riscuotono

Un milione di giovaniviene seguito dalmovimento nei circaduemila centri guidatida 35mila docenti ed educatori. Il cuore pulsante del movimentocontinua a batterein America Latina.

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MUTAMENTI

pour la recherche nucléaire (Cern) diGinevra. Ma non è l’unico, clamorosocaso di perdita dei dati.Le immagini dello sbarco su Marte delViking nel 1976 furono conservate dallaNasa, l’ente spaziale statunitense, innastri magnetici inutilizzati per unadecina d’anni e diventati poi illeggibiliperché codificati in formato sconosciuto.Solo dopo molto tempo si riuscì a re-cuperare i filmati con il ricorso alle ap-parecchiature originali rinvenute in unmuseo della scienza. Per non parlaredella perdita di dati personali: sono

probabilmente centinaia di migliaia glistudenti universitari degli anni Ottantache scrissero le tesi di laurea su floppydisk i cui lettori sono ormai fuori pro-duzione da oltre 20 anni, con il risultatoche adesso non sarebbe nemmeno pos-sibile rileggerle in video.Episodi del genere hanno indotto gliesperti a parlare del rischio di unaDigital Dark Age, un nuovo medioevoin cui si rischia di disperdere al ventodocumenti born-digital (nati digitali),così come quelli convertiti da analogicia digitali, lasciando i posteri privi di

F orse un giorno andremo a cercareil nostro passato nella rete e nontroveremo più niente. La prima

pagina web del mondo, quella chedette ufficialmente il via al World WideWeb il 6 agosto 1991, è sparita da in-ternet: l’url originario (in pratica l’in-dirizzo online) rimanda a un sito moltopiù recente, dove si può soltanto leggerequalche dettaglio sulla storica scopertadi Tim Berners-Lee al Conseil européen

di LUCIANA [email protected]

Un futurosenza memoria?

Un futurosenza memoria?

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Medioevo digitale

che i maggiori enti impegnati nellaconservazione digitale stanno già fa-cendo.Ci sono, però, rischi più stringenti: l’ob-solescenza di hardware e software,quella dei supporti e dei formati elet-tronici. Per affrontare questi problemigli scienziati hanno escogitato unaserie di soluzioni tecnologiche. E intantoqualcuno nel mondo sista preoccupando di ana-lizzare, catalogare ed ar-chiviare i dati digitali, sem-pre più numerosi e semprepiù “sfuggenti” perché incontinua trasformazione.Uno degli esempi più in-teressanti è lo statunitenseInternet Archive, fondatonel 1996 a San Franciscoda Bwester Kahle. L’orga-nizzazione no profit, chesi finanzia attraverso do-nazioni, ha già digitaliz-zato milioni di libri e cer-cato di raccogliere tuttociò che è stato pubblicatosu pagine web negli ultimi15 anni nel pianeta, perun totale di oltre 150 miliardi di pagine.Il sito ospita la Wayback Machine, sortadi motore di ricerca in grado di farcivedere, ad esempio, com’era strutturatauna pagina web del sito di Misna,l’agenzia giornalistica missionaria, neldicembre 1998. Sempre in Usa la Libraryof Congress, enorme biblioteca di Wa-shington che vanta oltre 151,8 milionidi esemplari (libri, video, mappe, ma-noscritti, ecc.), conserva nei suoi archiviweb circa 10mila siti, molti dei quali diproprietà del governo statunitense:progetto avviato nel 2000 grazie acirca 100 milioni di dollari di finanzia-mento pubblico. In Italia una dellerealtà più significative è il Polo di con-servazione del Notariato. Finora i notaihanno conservato copia cartacea ditutti gli atti digitali, ma in vista di un

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futuro senza carta stanno mettendo apunto un sistema di conservazione cheduri almeno fino al prossimo secolo.Anche la Biblioteca Vaticana è all’avan-guardia in questo campo: dal febbraioscorso chiunque può sfogliare sul propriocomputer, pagina dopo pagina, i 256codici miniati che fanno parte delFondo Palatino della Biblioteca Apo-

stolica Vaticana. Questi ra-rissimi manoscritti (tra cuitesti di Dante, Petrarca eCicerone) sono conservatiin un bunker sotto il PalazzoApostolico ma il passaggioal digitale li ha resi final-mente fruibili sul sitowww.vaticanlibrary.va. L’ini-ziativa è parte di un impo-nente progetto mirato adigitalizzare i circa 80milamanoscritti antichi (40 mi-lioni di pagine) in possessodella Biblioteca. Ogni sin-gola pagina verrà “foto-grafata” ad altissima riso-luzione ed archiviata in unparticolare formato, il Fle-xible image transport sy-

stem (Fits), in uso in ambienti scientificie militari, che dà garanzie di essereleggibile anche tra 100 anni.Ma il rischio di perdita dei dati sembraancora più concreto se si guarda ai do-cumenti personali. Dei grandi personaggidel passato abbiamo conservato carteggi,appunti e testi sparsi. Ma, se fosserovissuti oggi, dove avrebbero scritto leloro annotazioni i Leonardo Da Vinci, iloro diari le Anna Frank e le loro letterele Santa Caterina da Siena del XXI se-colo? Cosa resterà di e-mail, blog ecommenti sui social network dei piùgrandi, fragile quanto contemporaneatestimonianza della loro genialità nellaquotidianità? Panta rei (“tutto scorre”),diceva Eraclito. Ma sulla rete tuttosembra scorrere in modo troppo veloce.E soprattutto senza lasciare traccia.

Uno degli esempipiù interessanti è lo statunitenseInternet Archive,fondato nel 1996 a San Francisco daBwester Kahle.L’organizzazioneno profit, che sifinanzia attraversodonazioni, ha già digitalizzatomilioni di libri.

Il digitale e la retehanno un grosso limite:dati e informazioni siperdono nell’etere e allalunga non ne rimanepiù traccia. Siamodavvero al cospetto diuna Digital Dark Age, un nuovo medioevodove rischiano di finire i nativi digitali?

qualsiasi eredità culturale.Uno dei principali timori è che gli ele-menti raccolti in un data center possanoessere spazzati via da eventi naturalicome terremoti, inondazioni o altredevastazioni. Sarebbe la replica di quelloche accadde alla Biblioteca d’Alessandria,considerata la più grande e ricca delmondo antico, che andò distrutta pro-babilmente più volte tra il 48 a.C. e il642 d.C. Ma, nel caso di catastrofi, lasoluzione è piuttosto semplice: è suffi-ciente conservare gli stessi dati in diversidata center sparsi per il mondo, cosa

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L’altra

differenza del resto della Tanzania. Accade che questi estre-misti populisti (Uamsho nasce nel 2001) tengano in pugno imoderati, manipolando il popolo tramite lo strumento dellapaura, come spiega Zakaria.«Incitano i musulmani moderati a sollevarsi, facendo loro cre-dere d’essere tenuti ai margini dai cristiani nel campo dell’istru-zione, del lavoro e anche delle attività economiche. Ma que-sto non è realistico: Zanzibar è quasi tutta musulmana. Comepotrebbero i cristiani dominare se anche lo volessero? La ve-rità è che gli islamici radicali vogliono espellere i cristiani e pren-dere il loro posto. E il mio timore è che se la violenza cresce,

L e palme e l’azzurro cristallino delle acque di Zanzibarnon bastano a farne un paradiso. Da troppo temponell’isola indipendentista della Tanzania si registrano

omicidi mirati: sacerdoti uccisi, cristiani minacciati, incendi dichiese. Violenze inaudite rivendicate sostanzialmente dalgruppo fondamentalista islamico Uamsho, che in lingua swa-hili significa “risveglio”. Dopo l’ultima drammatica esecu-zione, quella di padre Evarist Mushi, lo scorso 18 febbraio, uc-ciso sulla soglia della chiesa di Betras, la stampa africana si èinterrogata sui motivi storici, e anche sociali, che hanno po-larizzato il Paese, spaccandolo in due, lungo una faglia che ap-pare esclusivamente religiosa. Nonostante cristiani e musul-mani non si siano mai odiati.Ecco un parere dell’editorialista tanzanese del Daily News lo-cale, Tony Zakaria: «Perché un ristretto gruppo di estremistista causando tanti problemi al resto della popolazione in que-sti ultimi anni? – si chiede, e ci risponde in una mail -. La sen-sazione è che la maggior parte dei musulmani non ha nullacontro i cristiani e i cattolici in particolare». Zanzibar è un ar-cipelago della Tanzania dove oltre il 95% della popolazioneappartiene all’islam e dove i cristiani sono vera minoranza, a

edicola

di ILARIA DE [email protected]

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LA NOTIZIA

L’ARCIPELAGO DI ZANZIBAR (PARTEDELLA TANZANIA A MAGGIORANZACRISTIANA) DA SEMPRE METATURISTICA DI PRIM’ORDINE, È SCOSSODA TENSIONI RELIGIOSE E DA EPISODIDI VIOLENZA ESTREMA NEI CONFRONTIDEI CRISTIANI. IL MOVIMENTOISLAMICO RADICALE UAMSHO HAPRESO IL SOPRAVVENTO E MANIPOLALA MAGGIORANZA MUSULMANA. MAL’ODIO RELIGIOSO NON C’ENTRA. LASTAMPA AFRICANA SI INTERROGASULLE RAGIONI PROFONDE.

ZANZIBAR, PARADISO AMARO

ZANZIBAR, PARADISO AMARO

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to riempito. In seguito è stato rimpiazzato con «l’affiliazionereligiosa» e qui sono sorte le prime tensioni.Makulilo compie un’operazione storica interessante: va a ri-pescare episodi di violenza contro i musulmani, tornando in-dietro nel tempo. Ci mostra un dato che la stampa occiden-tale ignora. Fino agli anni Novanta la Tanzania è stata in gra-do di gestire molto bene le diversità religiose, senza tensionie conflitti. Cos’è successo dopo? Il 13 febbraio 1998 un epi-sodio molto cruento segna la svolta in peggio: è noto comeMwembechai killings. In seguito a disordini che si erano re-gistrati alcuni giorni prima, e alla denuncia fatta da un

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Tensioni interreligiose

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il seme dell’odio germoglierà anche da parte dei cristiani».Perché il Paese sia così connotato in senso religioso, tanto dapolarizzare e influenzare la politica, lo spiega molto bene il ri-cercatore universitario tanzanese Ernest Boniface Makulilo, chein un suo lavoro intitolato Religion tensions in Tanzania: Chri-stians versus Muslims, pubblicato per intero dal social net-work Academia.edu scrive: «L’assenza di politiche etniche halasciato spazio a politiche religiose. La gente vive insieme e inarmonia nei villaggi. Il problema è che lo sradicamento del-le politiche etniche nella vita socio-economica ha lasciato unvuoto. The vacuum was not filled». Ossia, il vuoto non è sta-

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sacerdote cattolico a Dar es Salaam, la polizia tanzanese, il 13febbraio di quell’anno, interviene in una moschea, col sospet-to che si siano rifugiati al suo interno «ruffians and criminals»,‘mascalzoni e criminali’. Arresta donne e anziani, crea panico e scompiglio. La gentereagisce, la polizia spara lacrimogeni e poi proiettili sulla fol-la, uccidendo quattro persone. Questo eccidio è uno spartiac-que: da qui in poi le tensioni crescono e vengono interpreta-te sempre più come un divario tra cristiani e musulmani.Tornando ai nostri giorni, la stampa africana evidenzia chela politica attuale è tutta caratterizzata dalla religione: i dueprincipali partiti politici sono uno cristiano (Chama Cha Ma-pinduzi, CCM) e l’altro islamico (Civic United Front, CUF).Il britannico The Independent, in un recente lungo repor-tage, non a caso titolato Trouble in paradise, racconta che«le elezioni sono state occasione di scontri violenti tra il par-tito al potere, CCM e l’opposizione del CUF. Due anni fa, quan-do si è formato un governo di unità nazionale che ha mes-so fine agli scontri, il vuoto politico è stato riempito da unmovimento islamico». Ancora un political vacuum, ancoraviolenza radicale di matrice islamica.L’Independent fa anche una considerazione sul reclutamen-to di persone da parte degli estremisti: «È facile reclutare gen-te a Zanzibar a causa della povertà» dice Hothma Masoud,procuratore generale dell’isola. «Ci sono elementi dell’islam

radicale qui, ma precedentemente trovavano difficile otte-nere un sostegno corposo».Anche il portale internazionale Internationl Business Timesinsiste sull’argomento della povertà: la discordia a Zanzibarè esacerbata dalla sua dipendenza dal turismo. «Zanzibar, fa-mosa per il suo mix di culture arabe e africane, è una metaturistica di prim’ordine per gli occidentali. Hotel di lusso ebar trendy si trovano a poche miglia da scenari di povertàendemica e questa stridente contrapposizione ha aiutato apotenziare il sentimento estremista».E ancora: «Al di fuori delle stradine pittoresche di Stone Town,lontano dalle sdraio e dagli ombrelloni degli hotel vista mare,oltre un terzo della popolazione vive in estrema povertà. L’am-pio sottoproletariato dei villaggi rurali o quello che condi-vide appartamenti nei casermoni di epoca sovietica, affron-ta problemi che di certo non compaiono nelle brochure tu-ristiche».Infine un articolo del portale internazionale World Watch Mo-nitor elenca tutte le violazioni cui sono soggetti i cristianirealmente molto discriminati: le conversioni dall’islam al cri-stianesimo sono seriamente punite. Ne sa qualcosa Yusuf Ab-dalla, 23 anni, scappato a Moshi, nella Tanzania continen-tale, dopo che la sua famiglia ha minacciato di ucciderlo es-sendosi convertito al cristianesimo nell’ottobre 2010, dopoaver ascoltato il Vangelo alla radio.

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L’altraedicola

Tensioni interreligiose

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Posta dei missionari

a cura diCHIARA PELLICCI

[email protected]

Da Milano al Niger e viceversa

in compagnia dei guardiani e del re-sponsabile del Centro.La presenza di Mouhammadoune, cheora ha 16 anni ma continua a soffrire didisturbi mentali, ci ha aiutato a metterea fuoco la centralità dell’essere-legamenel donare. Mouhammadoune è volutovenire nella capitale (un giorno e mezzodi viaggio) per incontrarci, nonostanteche soffra moltissimo il mal d’auto. E’arrivato a Niamey in condizioni pie-tose: aveva rimesso tutto il viaggio eprima dell’arrivo si era fatto anche unbisogno addosso. Il suo maestro Gou-mour, una volta raggiunto il CAM, lo haspogliato, lavato, asciugato e rivestito:vedendo tutto ciò ho capito quanto

R ecentemente sono tornata aNiamey (capitale del Niger) alCentro di Accoglienza Missio-

naria (CAM). Ero con mia figlia Madel.Non ci siamo mai mosse da lì a causadell’insicurezza generata dalle guerrein Libia e in Mali. Sono venuti a tro-varci, stando alloggiati anche loro alCAM, due ragazzi della scuola di TanBarogan, Mouhammadoune e Ofin, e iloro due maestri, Goumour e Ahmed(vedi box, a pag. 51). Abbiamo condi-viso le nostre giornate assieme a loro e

davvero lo avesse preso a cuore. La con-divisione di questa forte esperienza,anche con Ofin e Ahmed che mi hannoaiutato a lavare i vestiti di Mouhamma-doune, ha comunicato più di quantoavremmo potuto fare con le parole:stare vicini a Mouhammadoune ci hapermesso di capire l’importanza dellafiducia e dell’affetto.Non c’è miglior dialogo tra credenti chequello di condividere un agire, perchéper i musulmani la fede è innanzituttouna prassi, non una teologia. Allora ac-cogliere i bambini a scuola a Tan Baro-gan, dando un’attenzione supplemen-tare a chi soffre, ci permette di sentircitutti figli dello stesso Dio, che ci »

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in una capanna di stracci e paglia as-sieme alla madre e alla nonna, con unletto di bastoni e giunchi e una solapentola).Grazie al legame tra noi e i maestri, si èsviluppata una piena fiducia anchenella gestione dei soldi e nella scelta dicome utilizzarli: i maestri hanno capitoche a Milano e in giro per l’Italia li rac-cogliamo con fatica e non sappiamoquanti ne avremo a disposizione per ilfuturo. Tutto ciò ha fatto sì che le pic-cole somme si “moltiplicassero” dandograndi frutti e che si riuscisse a valoriz-zare le forme di solidarietà presenti tra

la popolazione. Per esempio: i due ra-gazzi che studiano alle medie nella cit-tadina di Abalak per pranzo vanno amangiare da qualche parente o cono-scente che può offrire loro una ciotoladi riso… Così ci siamo affidati alle loro“risorse” relazionali. Quando si fa undono, è sempre presente il rischio divoler “riempire” l’altro, dimenticandoquanto sia importante il bisogno di ri-cevere qualcosa in cambio, in termini diaffetto.Ora speriamo di riuscire ad aiutare an-che Abdoulay, il fratello minore di Mou-hammadoune: anche lui soffre di di-

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

accoglie e ci ama così come siamo.Mantenere dall’Italia un contatto co-stante con i bambini e i ragazzi di TanBarogan, nonostante non ci sia internete quindi la comunicazione sia moltopiù lenta e non sempre possibile, hapermesso di far comprendere al mae-stro Goumour l’importanza della rela-zione affettiva per il funzionamentodella scuola ed in particolar modo perMouhammadoune. Nell’ultimo anno delmio insegnamento nella scuola di TanBarogan avevo intuito che Mouham-madoune aveva sviluppato delle difesepsicotiche a causa della morte di suamadre (avvenuta quando lui aveva circatre anni) e che per questo da allora ma-nifestava un comportamento antiso-ciale che lo allontanava dagli altri. Sonostate la frequentazione della scuola e,successivamente, la scelta di Goumourdi continuare ad accogliere e seguirequesto bambino, che gli hanno per-messo di recuperare fiducia nell’am-biente. Con gli anni il suo comporta-mento è migliorato molto e il ragazzoha finalmente acquistato dignità agliocchi di tutti, anche se un recuperocompleto è molto lento. So che ogni

sera Mouhammadoune va a trovareGoumour e si mette a chiacchierare conlui.Goumour ed ora anche Ahmed (il se-condo maestro che lavora da due anninella scuola) hanno compreso l’impor-tanza di esserci, di costruire un legamecon i ragazzi. Questa loro presenza diascolto ha permesso ad Ahmed di ac-corgersi che Ofin (uno dei due ragazziche va in prima media) un giorno avevafatto finta di andare a scuola ma nonera entrato… Così il maestro è riuscitoad andare a parlargli e adesso cerca diseguirlo persino nei compiti (Ofin vive

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sturbi psicotici e deficit mentale. Io,quando ero maestra a Tan Barogan, nonero riuscita ad inserirlo nella scuola,perché da sola non ero in grado di ge-stire entrambi i fratelli, essendo anchemolto violenti. Adesso i due insegnantistanno cercando di introdurlo tra i ra-gazzi, ma è molto difficile perché nonriesce a stare in un ambiente con delleregole ed è aggressivo verso gli altri.Goumour cercherà di aprire una casellapostale a Tahoua, città a 200 km daAbalak: speriamo così di riuscire a scri-vere delle lettere per sostenere il lorosforzo educativo e per comunicare coni bambini. Una psicologa infantile diMilano si è offerta di dare sostegno aimaestri di Tan Barogan attraverso unoscambio epistolare.

Cecilia Peduzzi

Milano - Niger

Posta dei missionari

In basso a sinistra:

Madel, figlia di Cecilia, e Mouhammadoune mentre giocano nel cortile del Centro di Accoglienza Missionaria di Niamey durante l’ultimo viaggio in Niger.

Gli alunni della scuola di Tan Baroganindossano le magliette realizzate daicompagni di scuola di Madel (a Milano) e fatte arrivare ai loro coetanei nigerini come segno di amicizia.

SEI ANNI NELLA SCUOLA DI TAN BAROGANUna silenziosa presenza cristiana in terra musulmana

Q uando nel 2006 fu costruita la scuola a Tan Barogan, uno dei pri-mi bambini a frequentarla è stato Mouhammadoune: aveva nove anni

e veniva isolato da tutti perché soffriva di disturbi mentali. Il suo desti-no sarebbe stato quello di finire legato ad un albero. Ma il padre, Ham-matan, quando gli dissi che lo avrei iscritto a scuola, rimase colpito e con-tento (nonostante che gli altri uomini gli dicessero di non iscriverlo). Ognimattina, prima di entrare a scuola, andavo nella sua capanna di fango epaglia, gli lavavo le mani e il naso in una bacinella di acqua terrosa e poicamminavamo mano nella mano tra le capre e gli asini fino ad arrivarein classe. Il primo anno è stata una lotta quotidiana perché Mouhamma-doune non era abituato a stare con gli altri (che lo deridevano) e dove-vo abbracciarlo forte per calmarlo ed impedirgli di picchiare.

Sono passati sei anni e Mouhammadoune è ancora a scuola perché il mae-stro che mi ha succeduto, Goumour, ha accettato la sfida di accoglier-lo in classe (unico caso in tutto il Niger). Ora ha 16 anni, non arriveràmai a raggiungere gli obiettivi formativi, ma ha imparato a stare insie-me agli altri con dignità: la scuola gli ha permesso di venire riconosciu-to come essere umano degno di amore, come tutti gli altri.Non solo: la presenza di Mouhammadoune (ultimo fra gli ultimi) aiuta adare un senso, un orientamento alla scuola. Quando lo ho rivisto (in unodei miei viaggi in Niger) ho sentito come una grazia il suo essere lì in mez-zo a noi…Per entrare in relazione con Mouhammadoune è stata necessaria unacondivisione di vita nella povertà di mezzi (una vita radicalmente più so-bria) che ha poi permesso di costruire una fiducia reciproca rimasta neltempo, nonostante non possa più vivere con loro.

Cecilia Peduzzi

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Nella pagina accanto:

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U n detto attribuito al leader cineseMao Tze Tung afferma: «Se un

uomo ha fame e tu gli dai un pesce lo sfamiper un giorno; se invece gli insegni a pescare,lo sfami per tutta la vita».Sulla falsariga di questa affermazione schieree generazioni di missionari hanno passato laloro esistenza dando pesci agli affamati e in-segnando loro a pescare. In molti casi hannopersino regalato a chi ne era privo canna,lenza, filo, ami e tutto l’occorrente necessarioper pescare. Purtroppo in alcune circostanzele persone che hanno avuto questa opportunità,una volta recatesi al lago a pescare l’hannotrovato recintato. Pertanto si sono posti il pro-blema: come reagire di fronte a questa im-prevista e anomala situazione? Dopo lunghediscussioni e riflessioni, hanno deciso di at-trezzarsi con pinze e tenaglie per reciderel’odioso e malvagio filo spinato. Una voltaarrivati al lago, dopo aver pescato tutto il giorno

e riempito ceste e carriole di varietà ittiche di ogni genere, con tanta soddisfazione questilavoratori si sono diretti al luogo dove vendere il frutto della loro fatica. Giunti al mercato, liattendeva un’amara sorpresa: il prezzo di ciò che volevano vendere era fissato da altri e nonda loro che avevano lavorato; in parole povere, era la ferrea legge del mercato a fissare ilcosto del prodotto e non chi aveva faticato.Queste poche righe contengono un messaggio chiaro ed inequivocabile, in quanto in campomissionario sul primo e secondo aspetto siamo fortissimi, non ci batte nessuno. Sul terzoaspetto, invece, prevale una certa prudenza e cautela, perché mettersi contro la gente chetende il filo spinato per proteggere ciò che è suo (dopo essersi appropriato della roba altrui) èsempre un qualcosa che rompe l’armonia esistente, la convivenza pacifica, la comunioneecclesiale. Sul quarto passaggio, infine, siamo completamente spiazzati, ovvero alla mercé dichi domina l’abbietta, quanto potente e cinica “mano invisibile” del neo-liberismo economico,già vaticinata da Adam Smith.Se vogliamo uscire da questa crisi, bisogna avere il coraggio di affrontare nelle sedi opportunei cammini che portano ad un autentico cambiamento delle leggi che regolano la finanza inter-nazionale e il mercato globale. Le norme devono essere approvate da tutti e da tutti accettate.Accumulare fortune manipolando le leggi che regolano la finanza e l’economia mondiale allespalle dei più deboli non è affatto etico, né tantomeno evangelico. Imparare ad affrontare larealtà che le mutate situazioni internazionali pongono ai cristiani e in modo particolare aimissionari è una sfida alla quale non possiamo sottrarci, pena lo svilimento del nostro impegnoa servizio dei poveri e dei sofferenti.

Mario [email protected]

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I missionarie la cannada pesca

I missionarie la cannada pesca

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E nel coniugare spetta-colo e solidarietà, gliamericani, si sa, sonsempre stati maestri.Fin dai tempi del miticoconcerto per il Ban-gladesh promosso daGeorge Harrison nellontano 1971; pernon dire di altre im-prese memorabilicome Usa for Africa eLive Aid del decennio seguente, o del piùrecente Live Earth organizzato nel 2007per sensibilizzare l’opinione pubblica suitemi del surriscaldamento globale.A tirare le fila dell’evento, stavolta c’era laRobin Hood Foundation, un’organizzazionestatunitense impegnata da 25 anni nel-l’assistenza ai diseredati che continuanoa popolare anche uno degli Stati più ricchi

del mondo. Il copione di sempre: un megaconcerto benefico stipato di star altisonantii cui proventi (del cd appena pubblicato edi un probabile dvd in arrivo) verranno in-teramente devoluti, dedotte le spese, achi più ha sofferto i danni dell’uragano.Così, a tempo di record, la sera del 12 di-cembre dello scorso anno, un Madison

Square Garden stipato da un pubblico en-tusiasta e particolarmente ben disposto,ha accolto una buona porzione del gotha

del pop rock contemporaneo. C’era ov-viamente il boss Springsteen, da semprein prima linea in eventi di questo tipo, maanche Paul Mc Cartney ed Eric Clapton;

c’erano i Rolling Stones e Alicia Keys,Jon Bon Jovi eBilly Joel; e, arendere più gu-stoso il tutto,duetti da sognocome quello tra illeader dei PinkFloyd, Roger Wa-ters, e quello dei Pe-arl Jam Eddie Ved-der, o quello tra il lea-

der dei Coldplay,Chris Martin, e quellodei Rem Michael Sti-pe. Insomma, una not-te da ricordare (quasisei ore di musica) ben

sintetizzata in questo 12-12-12 The Concert

for Sandy Relief, da poco pubblicato intutto il mondo. Motivo di più, almeno perchi può permetterselo, di investire unaventina di euro per un’opera benemeritaoltreché davvero memorabile.

Franz Coriasco

[email protected]

USI

CA

Sandy. Un nome gentile per uno degliuragani più catastrofici di questi ultimi

anni. Le immagini di quella fine di ottobredello scorso anno ce le abbiamo ancoratutti negli occhi: dalla Giamaica a Cuba, epoi su verso Miami e le coste della Florida,e poi ancora più su, fino a devastare NewYork e il New Jersey. Una catastrofe naturale(ma figlia anche di decenni di trascuratezzaecologica planetaria) capace di fare quasi200 vittime e oltre 60 miliardi di dollari didanni. Migliaia di senzatetto, intere famigliefinite sul lastrico, aziende ridotte in unamen ad un cumulo di rottami.Con la complicità – benemerita, una voltatanto – dei consueti bailamme mediaticifilo catastrofisti, l’evento ha lasciato ilsegno nelle coscienze di molti, scatenandoinfinite gare di solidarietà perfino nel ca-priccioso ed egocentrico caravanserragliodello show business.

Un uraganodi musica

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S ette sfide per i cri-stiani dei nostri gior-

ni. Questo il tema di “Iola penso così…” di donAntonio Mazzi a colloquiocon Antonio Carriero. Nelvolume le sfide divengonoi capitoli in cui con do-mande e risposte si pro-pongono le riflessioni ele provocazioni dei nostritempi. Si ripercorre unalunga lista di sfide con

cui gli uomini di fede devono confrontarsi: come essere cristianiconnessi, coraggiosi; come essere cristiani nell’amore e neltempo, in famiglia; come essere cristiani a scuola; come esserecristiani felici e salvati. Talvolta queste sfide assumono un aspetto

anche pungente, come nel caso della risposta alla domanda:«La famiglia oggi può ancora educare?». Don Antonio, infatti,risponde: «La famiglia o educa o non è famiglia. Nell’animo diciascuno di noi - non solo di chi è sposato o di chi è prete comeme – il bisogno di educare fa parte del nostro Dna. Un adultoche non educa non è neanche un adulto. Un adulto che non tra-smette niente di serio agli altri, vuol dire che è un adulto “morto”,che non è mai diventato grande. Pensare ad una famiglia chenon educa è inconcepibile».Altra tematica quanto mai attuale è il mondo di internet e alladomanda: «credi sia importante passare da internet, prima opoi?», la risposta di don Antonio è: «La paura per questo stru-mento non fa parte del bagaglio dell’avamposto. Già il Vangelosi lamentava perché i figli delle tenebre erano più svegli deifigli della luce. Perciò penso che dovremmo affrontare il nemicocon le stesse armi, non scappando come facciamo spesso evolentieri. Bisogna conoscere il web». Martina Luise

Don Antonio Mazzi

e Antonio Carriero

IO LA PENSO COSÌEdizioni Elledici€ 7,00

F ranco Masserdotti - “un profeta delgiorno prima” come ama definirlo il

suo amico Marco Giovannini nella prefazionedel libro “Il flauto invece del bastone”, scrittoda Giovanni Munari e Francesco Pierli - «èstato un uomo capace di equilibrare il saperdire con il saper fare, un uomo dell’onestàintellettuale e della testimonianza in primapersona, un uomo dell’essere e non del-l’apparire». Nel dipinto donatogli in occasionedella consacrazione a vescovo, una pittricelo immortala come Buon Pastore munitonon di bastone ma di flauto. Un flauto cheunisce le persone dal suono gradevole eche «fa capire che il pastore deve amarela bellezza, conoscere la tenerezza, devefar prevalere l’affetto sul ragionamento».Un uomo ricordato per il suo costante ser-vizio verso tutti, poiché «gli strumenti dellasua testimonianza sono stati gioia, amore,tolleranza e disponibilità…».

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Giovanni Munari e Francesco PierliIL FLAUTO INVECE DEL BASTONEVITA DI MONSIGNOR FRANCO MASSERDOTTIEdizioni EMI - € 12,00

Il flauto del pastore

Morì inaspettatamente in un giorno di set-tembre del 2006 in un banale incidentestradale. Aveva 65 anni. «Per lo Stato bra-siliano – diceva - dovrei andare in pensione,ma nel Regno di Dio nessuno va in pen-sione. Per Dio dobbiamo continuare a la-vorare». Ha lasciato un grande vuoto chel’associazione Dom Franco costituita nel2005 dal gruppo di vecchi e fedeli amicicerca di colmare dando «continuità al suolavoro... i suoi progetti sono i nostri, la suadiocesi è la nostra diocesi e l’associazioneuno strumento di servizio, non più per so-stenere un amico ma per proseguire la suatestimonianza».

Chiara Anguissola

Il libro racconta la vita del grande comu-nicatore bresciano, missionario combonianoin Brasile, soprattutto nel Nord-est, doveera vescovo di una diocesi di 70mila chi-lometri, con parrocchie sparse in un raggiodi 300 chilometri. Si è battuto contro il la-tifondismo reazionario, le violenze ai con-tadini e le ingiustizie sociali di quel Paese.«Guardava con simpatia Lula (il presidentedel Brasile)e il suo percorso, ma non glipiaceva che prendesse misure populistee assistenzialiste». Avrebbe voluto interventistrutturali che permettessero l’accesso allaterra, al lavoro, allo studio, alle opportunità.Solo così «il Brasile avrebbe imboccato lastrada della crescita e delle trasformazioni».

La fede passa da internet

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tura dei villaggi»,scrive Silvia Turrin.È nella formula del-l’ujamaa, il comuni-tarismo agricolo che arriva a coinvolgere246 villaggi, che Nyerere articola la suaidea di socialismo, una terza via distantetanto dal capitalismo quanto dal comunismoreale del blocco a Est di quegli anni. Lasua interpretazione del socialismo, sottolineal’autrice del libro, coincide con quella delprimo cristianesimo descritto negli Attidegli Apostoli dove si inneggia alla vita co-munitaria. Quando la Tanzania attraversadelle difficoltà economiche, Nyerere rifiutafermamente l’intervento del Fmi, pur dinon rinunciare alla propria sovranità politica.Nel 1999, al momento delle sue dimissioni,il Paese è alfabetizzato al 91% e vanta unreddito pro capite di 240 euro a persona.

L e biografie dei grandi uomini sonoletture essenziali per capire la storia

dei Paesi che hanno guidato. Succede an-che per “Nyerere, il maestro”, volumedenso e ritmato scritto dalla giornalistaSilvia Cinzia Turrin, che ripercorre la vitapolitica di Julius Kambarage Nyerere (1922-1999), leader storico della Tanzania. Lanascita sulle rive del Lago Vittoria. La fon-dazione del Tanu, partito multirazziale degliintellettuali tanzaniani. Il trionfo alle elezionidel 1960 che portano all’indipendenza dal-l’Inghilterra. E poi, a seguire, tutte le vicendepolitiche africane e internazionali dentrocui la giovane Tanzania si muove. Quelladi Nyerere è una delle storie più illuminatedel socialismo africano, un leader ferma-mente convito della necessità di «contaresulle proprie forze e recuperare lo spiritotradizionale di comunità, basato sulla strut-

Storia di un leader

LIB

RI

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«P er me la fede coincide con la stessa esistenza, con lamia dimensione biologica. Forse è così anche per chi

non crede, o crede di non credere, mentre crede in altre cosee in altra maniera: chi può dirsi veramente ateo? Assolutamente

ateo? Crederà nell’uomo, adesempio, e nel suo avvenire, eciò è molto importante. Comun-que sia, rispettiamo e non fac-ciamo nessuna politica di an-nessione: è già così difficile pernoi essere cristiani». Così scrivepadre Maria Turoldo nel suo libro“Il mistero del tempo” (Edizioni

Messaggero Padova). Scomparso oltre 20 anni fa, Turoldo èstato uno dei più rappresentativi esponenti di un rinnovamentonel cristianesimo della seconda metà del ‘900, che gli è valsoil controverso titolo di “coscienza inquieta della Chiesa”. Lariedizione di questo libro, che si presenta come un’antologiain cui troviamo anche delle poesie, ci permette di parteciparela volontà dell’autore di trattare i misteri dell’esistenza umana.Padre Turoldo spiega da subito il significato del titolo dato aquesta raccolta di riflessioni e nel prologo scrive: «Non intendoparlare propriamente del tempo, del mistero del tempo, diquesta vita per tutti oscura: tremendo enigma del male, d’amoree morte, di festa e dolore, come ho cantato altrove. Intendoinvece parlare delle verità rivelate che splendono sul nostrocapo come costellazioni; verità che la liturgia propone allanostra riflessione mensilmente, a conforto della nostra fede.Saranno appena pensieri detti ad alta voce, nel proposito diaiutarci a sperare e dare un senso a questa esistenza. Nullapiù, e sarebbe già molto se ci riuscissi». Mantiene intatta lasua modernità questo prete diverso e anticonvenzionale, conla forza e l’onestà intellettuale di chi cerca di tenere vivi il mes-saggio e la testimonianza umana e cristiana. Ciò che ha ispiratola sua vita può ancora smuovere il cuore e le mani di ognipersona onesta e sincera.

Martina Luise

Riflessioni sull’esistenza

David Maria Turoldo

IL MISTERO DEL TEMPOEdizioni Messaggero Padova€ 16,00

Silvia Cinzia Turrin

NYERERE, IL MAESTROEdizioni Emi - € 15,00

Risultati importanti, che crollano quando,con l’uscita del presidente dalla vita pub-blica, si insediano governi più sfrenatamenteneoliberisti. Per arricchire ancora la com-prensione delle idee politiche di Nyerere,il volume conta anche due intensi articoliscritti in gioventù da Marco Biagi.

Marco Benedettelli

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CIA

K D

AL

MO

ND

O R E D E L L A T E R R A S E L V

A rmata di stivaloni da pioggia e sguardovolitivo, una bambina attraversa da

sola la foresta pluviale comunicando congli animali. Hushpuppy ha cinque anni eadora ascoltare il cuore dei granchi avvi-cinando la loro pancia alle sue orecchie.Già dalle prime immagini dell’opera primadel regista newyorkese Benh Zeitlin, sicapisce che Il “Re della terra selvaggia”non è un film come gli altri. A partire dal-l’attenzione che la piccola attrice Quven-zhané Wallis (che oggi ha nove anni,candidata agli Oscar e agli Academy

Awards) riesce acatalizzare su disé, interpretandoil ruolo della pro-tagonista dellastoria ambientatanelle paludi dellaLouisiana, fuoriNew Orleans. Quivive una minoran-za di persone, metà afro e metà bianchi,irriducibilmente determinate a non ab-bandonare la loro terra, anzi le paludi at-

traversate dai ca-nali del grande del-ta del fiume Mis-sissippi. La popo-lazione di quelloche viene chiamatoil Bathub (la tinoz-za) vive in barac-che malmesse incui sembra essersi

rifugiata una umanità residuale, sconfittadalla logica della civiltà dei consumi edel falso benessere. Non c’è lavoro né

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La legge della sopravvLa legge della sopravv

Il documentario “Mare Chiuso” racconta la storia di migrantiafricani intercettati dalle autorità militari italiane vicino allecoste italiane tra il 2009 e il 2010 e respinti in Libia in baseagli accordi del governo italiano con l’allora presidenteGheddafi. Tre anni dopo, l’opera di Stefano Liberti e AndreaSegre, proposta da Minimum Fax e ZaLab in un cofanettoche comprende un libro, curato dagli stessi autori, dà la parolaagli uomini e alle donne che vissero quel tragico “viaggiodella speranza” finito per molti nelle prigioni libiche. “Mare

Chiuso” è la testimonianza della violazione dei diritti umanida parte dell’Italia, sancita da una condanna della Corteeuropea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo e pagata esclusi-vamente dagli sfortunati migranti partiti dalla Somalia, dal-l’Eritrea, dalla Tunisia e dalla Libia stessa.Il viaggio attraverso il deserto è molto rischioso a causa deipredoni che pattugliano indisturbati la zona Nord-est delSahara. Una volta giunti a Tripoli per partire verso l’Europa,la situazione è peggiore: il racconto della vita nei carceri diTweishe e Zliten fa ancora inumidire gli occhi di Mahad comeuno shock indimenticabile. «Parti mosso solo dalla speranza.È una cosa davvero pericolosa» dice una donna. Eppure le

Testimoni del rifiuto

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un uragano scompensa gli equilibri delBathub e mentre la natura si rivolta contutte le sue forze, come in una favolaecologica, si vedono immagini dei ghiacciaiche si sciolgono e di misteriosi animalipreistorici che si risvegliano dall’ombradei millenni o forse solo dalle paure diuna bambina.Il film, elogiato negli Usa da Barak Obama,è una metafora della parabola di vita chedall’infanzia approda alla maturità.Attraverso la consapevolezzadel dolore, l’assunzione di

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scuola, ma si vive di pesce e i bambinistudiano con una donna che si dedica araccogliere i piccoli della comunità. Wink(Dwight Henry) è il papà di Hushpuppy,uomo rude e solitario, che si occupacome può della figlia dopo essere statoabbandonato dalla moglie. Quando l’uomoscopre di essere malato di cuore e vicinoalla morte, diventa più severo con labambina, per temprarla e renderla capacedi sopravvivere in un contesto naturaletanto difficile in cui ognuno può e devecontare solo sulle sue forze. L’arrivo di

responsabilità verso se stessi e gli altri.Infatti la minoranza della “terra selvaggia”per restare unita e riconoscersi nei suoivalori condivisi ha bisogno di un re giustoe coraggioso. E questa volta il “re” è unabambina, forte come la vita.

Miela Fagiolo D’Attilia

[email protected]

V A G G I A

vivenzavivenza

immagini dei fuggiaschi ammucchiati uno sull’altro, impegnatia cantare e pregare, a battere le mani ritmicamente in mezzoallo sterminato orizzonte del mare, sono davvero struggenti.«Non so dire per quanto tempo abbiamo viaggiato. Ad uncerto punto si è avvicinata una grossa nave italiana. Abbiamopensato che le nostre sofferenze erano finite. Eravamo felici».Invece era solo l’inizio di un nuovo capitolo dell’eterna odisseadel passaggio nei Centri di accoglienza, della ricerca dei do-cumenti, dei parenti già arrivati o in attesa di arrivare. Vitesospese in attesa di un finale amaro. Senza speranza e senzagiustizia.

M.F.D’A.

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VITA DI MISSIO

A nimatori, educatori, catechisti,parroci, direttori dei Centri mis-sionari diocesani, incaricati Poim

(Pontificia Opera Infanzia Missionaria),famiglie… Gli 80 partecipanti al Conve-gno nazionale organizzato da Missio Ra-gazzi dall’8 al 10 marzo scorso a Romasono intervenuti a diverso titolo, ma tutticon uno stesso obiettivo condiviso:quello di rendere consapevoli i propriragazzi della loro identità missionaria.

Sì, perché i ragazzi missionari non sonoquelli che hanno una particolare tes-sera, appartengono ad una determinataorganizzazione o hanno una vocazioneulteriore. Sono tutti i bambini battezzati,in quanto la missionarietà è una dimen-sione costitutiva del cristiano e dellaChiesa, non è per gli addetti ai lavori.Con questa convinzione in comune e uni-ti intorno al tema dell’evento - “Con Gesùimparo a credere”, slogan della Giorna-ta Missionaria dei Ragazzi (GMR) 2013 -i partecipanti si sono apprestati ad appro-fondire la tematica grazie alla relazioneintroduttiva del professor Carmelo Doto-

lo, teologo e docente sia alla PontificiaUniversità Urbaniana che alla PontificiaUniversità Gregoriana. Non è stato diffi-cile focalizzare l’attenzione sul modellodi Gesù come credente: «Nella nostra con-cezione pensiamo che per il Messia sia sta-to tutto facile. Ma leggendo i Vangeli sipercepisce che non è così: occorre risco-prire il modo di Gesù di essere credente,a partire dalla sua relazione con il Padre».Come modello di credente, infatti, il Fi-glio di Dio ci pone di fronte alle relazio-ni: è in cammino, incontra, tocca, si la-scia toccare… Tutto sta nella dimensio-ne relazionale, che diventa pedagogica.

a cura diCHIARA PELLICCI

[email protected]

Tutti a convegnoTutti a convegno

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Vademecum del Centro missionario diocesano

Scena del musical

“Ogni uomo èchiamato a far festa

con Dio” realizzato dairagazzi del catechismo

della parrocchia diPorcari (LU).

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E allora, pensando ai ragazzi, credere «èessere teneri; è la capacità di far frutta-re i propri talenti; implica un cambiamen-to di atteggiamento; non può prescinde-re dalla realtà in cui si vive, ma può aiu-tare a camminare verso quello che nonsiamo e vogliamo diventare… insomma,credere è conquistare la nostra umanità:è la capacità di creare relazioni».Di «umanizzazione della fede» ha parla-to anche monsignor Gianni Cesena, diret-tore di Missio, che ha tenuto il fil rougedella tre giorni e ha introdotto gli inter-venti del ricco programma della tre gior-ni. Tra questi, sono da segnalare quelli del-

la tavola rotonda dal titolo: “Come vive-re la fede nella vita quotidiana facendo-la diventare espressione missionaria ne-gli ambiti di vita dei ragazzi missionari”.Un tema dipanato analizzando il signifi-cato dell’unica missione (farsi annuncia-tori della Buona Novella) nelle tante mo-dalità e altrettante sfaccettature deivari ambiti che ciascun ragazzo si trovaa vivere quotidianamente, come famiglia,scuola, parrocchia, tempo libero. In que-sto contesto hanno portato la loro testi-monianza: la famiglia Balestreri e la fa-miglia Di Giovine, entrambe fidei donumdella diocesi di Milano, che hanno vissu-to vari anni in America Latina (vedibox); Gabriella Matricardi, insegnante direligione nell’istituto comprensivo diTorrimpietra (Fiumicino), che ha sottoli-neato come sia possibile essere “pescato-ri di uomini” anche in un contesto laico

come quello di una scuola statale; Cin-zia Vultaggio, Brunella Catelli, Chiara DelCarlo, Fabrizia Giannotti, catechiste del-la parrocchia di Porcari (diocesi di Lucca)che stanno tentando di fare della missio-ne il paradigma della pastorale locale, ac-compagnando i loro ragazzi da chi nonviene in chiesa, uscendo dalle mura deilocali parrocchiali, trovando nuovi modidi farsi prossimi nelle diverse realtà;Ismaila Mbaye, giovane artista senegale-se, percussionista nella KilimangiaroBand della trasmissione di Rai3 “Alle fal-de del Kilimangiaro”, che cerca di far co-noscere tra i bambini delle scuole italia-ne il bello della cultura africana a parti-re dai suoi ritmi.Tutti gli interventi hanno sottolineatocome sia possibile essere missionari nel-le diverse strade del mondo sulle qualiognuno si trova a camminare a diver-

«L a comunione dei fratelliè la prima forma di te-stimonianza evangelica» silegge nell’introduzione del libro“Missione formato famiglia”scritto da Eugenio ed Elisa-betta Di Giovine una volta rien-trati dal Venezuela, dove sonoandati come fidei donum delladiocesi di Milano, sulle orme diChiara e Francesco d’Assisi. En-trambi, infatti, fanno parte del-l’Ordine Francescano Secolare(OFS) ed è proprio per farsi po-veri tra i poveri che hanno rifiu-tato l’offerta di vivere in semina-rio, scegliendo invece una casupolain un barrio di Guanare. Nono-stante stessero aspettando lanascita della secondogenita, Sara,venuta al mondo poco dopo nel-l’ospedale locale.

«Moltissimi qui in Italia – raccontaEugenio - quando comunicavamola nostra idea di partire per la mis-sione, ci dicevano: “Ma cosa an-

date a fare? Andate a dare fasti-dio!”. Avevamo già Teresa, ancorapiccola, e Sara in arrivo. Ma noiabbiamo tenuto fede alla nostrascelta e siamo partiti lo stesso».Eugenio ed Elisabetta ci tengono asottolineare che non sono personespeciali: «Dio non sceglie chi è ca-pace, ma rende capace chi sce-glie».

Missio RagazziEUGENIO ED ELISABETTA DI GIOVINEIn Venezuela per testimoniare il Vangelo

»

Elisabetta Di Giovine in una gita con la

famiglia durante gli anni passati in Venezuela.

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se portare il proprio contributo in ordi-ne all’animazione e alla formazione da svi-luppare nel tema in questione. Con losguardo puntato sul futuro, le conclusio-ni dei lavori del convegno sono state sin-tetizzate da monsignor Cesena, con l’au-gurio che il bagaglio di quanto appresoe condiviso nella tre giorni potesse diven-tare la “bombola di ossigeno” che aiutaa camminare sulle strade del mondo.

VITA DI MISSIO

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CONVEGNO MISSIONARIONAZIONALE DEI SEMINARISTI

S i svolge dal 12 al 15 aprile pressoil Centro Giovanni XXIII di Frascati

(Roma) il 57esimo Convegno missio-nario nazionale dei Seminaristi dal ti-tolo “Per fede anche noi”. Il convegnoorganizzato da Missio Consacrati èun’occasione di incontro e di confrontoper i Gruppi di animazione missionaria(GAMIS) dei Seminari maggiori d’Italiaper approfondire la figura di Cristo mis-sionario. I lavori iniziano sabato 13aprile con il saluto e l’introduzione alconvegno da par te di don AlfonsoRaimo, Segretario nazionale di MissioConsacrati e della Pontificia Opera diSan Pietro Apostolo; aiutati poi da pa-dre Mario Menin, saveriano, direttoredelle riviste Missione Oggi e Ad Gen-

tes, i partecipanti si confrontano conuna riflessione su “Quale missioneoggi”. Una tavola rotonda permetterà diascoltare molte testimonianze di mis-sione vissute in diversi contesti; la gior-nata si concluderà con l’adorazioneeucaristica guidata da padre LorenzoSnider della Società Missioni Africane(Sma), insieme ad altri animatori impe-gnati nelle visite dei Seminari, comepadre Alberto Rovelli dei Missionarid’Africa (Padri Bianchi) e padre Ste-fano Berton, saveriano. Per domenica14 aprile è in programma una visita alMonastero Esarchico di Santa Maria diGrottaferrata (meglio conosciuto an-che come Abbazia Greca di San Nilo),guidata dal Gruppo archeologico la-tino (Gal). Sarà anche l’occasione perapprofondire la spiritualità della comu-nità cattolica di rito bizantino-grecoche rappresenta la Congregazioned'Italia dei Monaci Basiliani, istituzionecreata nella Chiesa Cattolica per riunirei monasteri di rito bizantino presentinell'Italia meridionale.L’animazione dei momenti liturgici èstata affidata al GAMIS del PontificioCollegio Leoniano di Anagni (FR).

Filippo Rizzatello

Missio Ragazzi

compimento. «Essere fa-miglia, tenere aperta lapropria casa a tutti, fre-quentare l’ambulatoriomedico del quartiere, ilmercato, la scuola locale hacontribuito a farci accetta-re da tutti» racconta Gio-vanni, precisando che sonoi bambini ad essere la por-ta della famiglia sul mondo,una sorta di chiave che aprei segreti della casa.Quando Chiara racconta del-la loro partenza dice: «Bene-detta la chiamavano la “volon-taria involontaria”. Effettiva-mente, come sempre accadecon i figli piccoli, sono i genito-ri a decidere per loro. Ma noi cisiamo detti: “Cos’è il meglio per

i nostri figli?” e ci siamo risposti: “Ivalori dell’accoglienza, della condivi-sione, della compassione, che non èpietà”. E così è stato perché la no-stra casa era sempre aperta, perchéquello che c’era per pranzo, cena, me-renda lo si condivideva con tutti, per-ché il “mio” gioco diventava il “nostro”.Altri genitori, magari, avrebbero rispo-sto che il meglio era la scuola più for-mativa o l’igiene più garantito. Peròsiamo contenti di aver fatto questascelta».

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GIOVANNI E CHIARA BALESTRERIIn Perù famiglia tra le famiglie

Parrocchiani tra i parrocchiani, fa-miglia tra le famiglie. È questo lo

spirito che ha contraddistinto Chia-ra e Giovanni Balestreri nei loro cin-que anni di permanenza in Perù comefidei donum della diocesi di Milano.Rientrati da poco più di due mesi, contre bambine, di cui l’ultima, Silvia, natalà, a Sayan (diocesi di Huacho) i gio-vani sposi hanno fatto vita di parroc-chia, inseriti pienamente nel conte-sto locale, senza un particolare pro-getto ideato in Italia da portare a

so titolo, “strade del mondo” che costitui-scono anche il tema della prossima Gior-nata Missionaria Mondiale, in calendarioper domenica 20 ottobre 2013. Per i ra-gazzi, lo slogan scelto per la prossima GMR(adattato, perché sia a misura di bambi-no) è “Destinazione mondo”. Ampio spa-zio è stato dato ai lavori di gruppo, per-ché ciascun partecipante, in rappresen-tanza della diocesi di provenienza, potes-

Chiara e Giovanni Balestreri accolgono nella loro casa di Sayan (Perù) il cardinaleTettamanzi, allora vescovo di Milano.

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DIALEX ZAPPALÀ* - [email protected]

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U na fede che non ti porta a rischiare non è la fedein Gesù Cristo. Una fede che ti fa stare comodo,seduto, mai scomposto, una fede che risponde

sempre a tutti i tuoi perché, una fede che non si rinno-va, che non si aggiorna, una fede stantia, obsoleta, unafede che basta a se stessa, non è la fede in Gesù diNazareth, che ha stravolto la logica di ogni religione noncerto per crearne un’altra che prendesse il suo nome ma

SPAZIOGIOVANICHIAMATI

A SEGUIRLOCHIAMATIA SEGUIRLO

per rendere vivo e autentico un rapporto con Dio Padre.La fede viva ti stimola sempre ad osare nuove strade, arischiare l’incomprensione pur di mantenere la fedeltà alVangelo. La fede non si ingabbia dentro strutture ocomandamenti induriti dall’egoismo e dalle smanie dipotere ma genera libertà per tutti, accoglienza gratuita eincondizionata, genera famiglia dove c’è posto per tutti.Ecco perché una fede così ha bisogno di essere confer-mata ogni giorno, è necessario gridare il proprio «ecco-mi» tutta la vita e per farlo occorre decidere la propriastrada e partire!La vocazione non è una strada con un bivio, matrimonioo vita religiosa, ma è un unico sentiero che conduce allafelicità piena, alla gioia gratuita, alla realizzazione perso-nale in tutto. È la vocazione alla sequela l’unica a cuisiamo chiamati. A seguirlo, ad essere suoi discepoli equindi protagonisti di un cambiamento non solo a paro-le ma con i fatti.L’indimenticabile don Tonino Bello, di cui ricordiamo inquesto mese i 20 anni dalla prematura scomparsa (vediarticolo a pag. 4), scriveva ai giovani così: «Il Signore cel’ha anche con te! Ciò che ti chiede è soltanto che,ovunque tu vada, in qualsiasi angolo tu consumi l’esi-stenza, possa diffondere attorno a te il buon profumo diCristo. Che ti lasci scavare l’anima dalle lacrime dellagente. Che ti impegni a vivere la vita come un dono enon come un peso. Che ti decida finalmente a cammi-nare sulle vie del Vangelo, missionario di giustizia e dipace».In questo tempo di Pasqua, sia nostro impegno scavaredentro ognuno di noi e rispondere con fiducia e corag-gio il nostro «sì!».

*Segretario nazionale Missio Giovani

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VITA DI MISSIO

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Intenzione missionaria

di FRANCESCO [email protected]

Aprile 2013

La speranzache non delude

mette nel cuore di chi riceve il batte-simo.La preghiera a cui invita l’intenzionedel mese, oltre che un aiuto che si dàalle comunità Chiese di quei territori,è una provvidenziale occasione per ri-flettere su questa virtù che il batte-simo ci ha donato unitamente allafede e alla carità, per mezzo dello Spi-rito Santo. Pertanto questa virtù devecaratterizzare la vita terrena del cri-stiano e della comunità dei credenti.Le attese di questa virtù non riguar-dano le cose che passano, proprie deltempo. Il suo orizzonte è la metaverso cui deve tendere il camminoterrestre del credente: l’eternità el’infinito amore di Dio in cui si verràimmersi.La speranza, afferma san Paolo nellalettera ai Romani, è una virtù che“non delude”, perché lo Spirito Santo,che è la sua fonte privilegiata, è statoriversato nei nostri cuori, e la illu-mina, la fortifica ed opera medianteessa l’unità del corpo mistico di Cri-sto: «Un solo corpo e un solo spiritocome una sola è la speranza allaquale siete stati chiamati, quella dellavostra vocazione» (Ef 4,4).Fondata sull’infinito amore di Dio, lasperanza cristiana comunica sicurezza,conforto, gioia e fierezza. E, se la sivive, non si lascia abbattere dalle sof-ferenze presenti nel tempo ma dona laforza di sopportarle con una costanzache la prova e la conferma.

gnore, Cristo, nei vostri cuori, prontisempre a rispondere a chiunque vidomandi ragione della speranza che èin voi».È una raccomandazione che vale an-che ai nostri giorni. La speranza è unavirtù teologale che lo Spirito Santo

L’ intenzione di questo mese ri-chiama quanto san Pietronella sua prima lettera racco-

manda ai credenti: «Adorate il Si-

Perché le Chieseparticolari dei territoridi missione sianosegno e strumento di speranza e di risurrezione

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cristiana che è già annuncio e cherende credibile l’annunciatore. L’an-nunciatore della Buona Novelladeve «essere un uomo che ha trova-to in Cristo la vera speranza». Que-sta speranza ci è stata donata perchépotessimo ridonarla con gioia in«ogni tempo e ad ogni latitudine»(TMA). La caratteristica di ognivita missionaria autentica, infatti, èla «gioia interiore che viene dallafede». Paolo VI invitò a conservare

«la dolce e confor-tante gioia d’evange-lizzare, anche quan-do occorre seminarenelle lacrime» (EN).Auspicava che ilmondo del nostrotempo, spesso an-gosciato e senza spe-

ranza, potesse «ricevere la Buona No-vella non da evangelizzatori tristi escoraggiati, impazienti e ansiosi,ma da ministri del Vangelo, la cuivita irradi fervore, che abbiano perprimi ricevuto in loro la gioia delCristo» (EN). Tra gli ostacoli che im-pediscono una efficace opera dievangelizzazione, individuò la man-

di ALFONSO [email protected]

N ella enciclica RedemptorisMissio Giovanni Paolo IIdelineò il profilo del mis-

sionario, cogliendo nell’intima co-munione con Cristo quell’elemen-to che caratterizza un servizio inter-pretato come via da percorrere inte-ramente e che ha il suo punto di ar-rivo ai piedi della Croce. Nel far pro-pri gli stessi sentimenti che furonodi Cristo Gesù, nello sforzo di far-si “tutto a tutti”, al missionario èchiesto «di rinunziarea se stesso e a tuttoquello che in prece-denza possedeva inproprio» perché nellapovertà che rende li-beri possa ripetere consan Paolo: «Tutto iofaccio per il Vange-lo...» (1 Cor 9,22). Egli è “l’uomodella carità” che testimonia l’amo-re di Dio verso tutti e il “fratello uni-versale”, che manifesta la sollecitu-dine della Chiesa per tutti i popolie per tutti gli uomini, specie i piùpiccoli e poveri. Per il pontefice, ilmissionario è soprattutto l’uomo del-le beatitudini. Incarna quella gioia

P O N T I F I C I A U N I O N E M I S S I O N A R I A

I N S E R T O P U M

Missionenella gioia

canza di entusiasmo e di fervore, tan-to più grave perché nasce dal di den-tro, che «si manifesta nella negligen-za e soprattutto nella mancanza digioia e di speranza». Esortò tutti co-loro che a diverso titolo e livello sonoimpegnati nell’evangelizzazione adalimentare il fervore dello spirito.Nella Novo Millennio Ineunte Gio-vanni Paolo II affermò che proprioil mandato missionario ci introdu-ce nel Terzo millennio riproponen-doci lo stesso entusiasmo che fu pro-prio dei cristiani della prima ora.Possiamo contare sulla forza dellostesso Spirito, che fu effuso a Pen-tecoste e ci spinge oggi a ripartire sor-retti dalla speranza «che non delu-de». La missione della Chiesa èopera dello Spirito Santo, il quale in-fonde negli evangelizzatori una«tranquilla audacia» e una inimma-ginabile capacità di testimoniareGesù con “franchezza”. »

NÉ CON TRISTEZZA,NÉ PER FORZA,

MA NELLA GIOIAPORTIAMO LA BUONA

NOTIZIA, PERCHÉ«DIO AMA CHI DONA

CON GIOIA».

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Poiché tra i doni dello Spirito,come ricorda san Paolo ai Galati, c’èanche la gioia, possiamo giustamen-te ritenere che l’audacia e la fran-chezza devono essere sostenute dal-la gioia, naturale condimento di unapietanza che potrebbe risultarepoco desiderabile se offerta nella se-verità di un volto oscurato dalla tri-stezza. Il missionario non è asetti-co ed impassibile messaggero di unannuncio, ma è il documento viven-te sul quale Dio ha posto il suo si-gillo di autenticità. Non è sempli-cemente un annunciatore, ma è luistesso annuncio. Non è il portato-re di una gioiosa notizia, ma è luistesso gioiosa notizia di una salvez-za già realizzata nella sua persona eofferta a tutti. La gioia, dunque, ècondizione indispensabile di credi-bilità e predispone all’ascolto e al-l’accoglienza del messaggio perché«Dio, prima ancora di manifestar-si personalmente mediante la rive-lazione, dispone l’intelligenza e ilcuore della sua creatura all’incon-tro con la gioia, nello stesso tempoche con la verità» (Gaudete in Do-mino).

P O N T I F I C I A U N I O N E M I S S I O N A R I A

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GAMIS ANAGNI

È lecito supporre che in un incontro sul tema dei Gamis, ad un cer-to punto qualcuno domandi: «Insomma, in quale Paese siete mis-

sionari?». Una domanda che a primo impatto fa pensare che l’in-terlocutore non abbia capito, ma che in realtà fornisce l'occasioneper approfondire meglio l'identità del Gruppo. Per noi seminaristi diAnagni è l'occasione per riscoprire la natura missionaria che ognicristiano ha, e per fare questo abbiamo pensato ad alcune iniziati-ve che possono aiutarci a capire meglio questa “caratteristica bat-

tesimale”. Nell’Anno della Fede abbiamo pensato di approfondire iltema della missione con i documenti del Concilio grazie all'aiuto dialcuni esperti. Altra iniziativa è vivere la natura missionaria nella pre-ghiera, mensilmente offerta alla nostra comunità del Seminario, op-pure prendendoci carico di richieste di fratelli che possono così con-tare sul nostro sostegno e aiuto. Una volta al mese viene inoltre pro-posto un film per conoscere e approfondire alcune tematiche im-portanti sull'uomo. Grazie al nostro bar possiamo sostenere alcu-ni progetti missionari e informare gli studenti dell'Istituto teologicotramite una bacheca sulla quale si possono trovare notizie, rifles-sioni e biografie di cristiani che hanno da dire molto sulla missio-

Identità di Gruppo

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discepoli, nella calda intimità di unacena fece loro la consegna della suagioia: «Vi ho detto queste cose per-ché la mia gioia sia in voi e la vostragioia sia piena» (Gv 15,11).Né con tristezza, né per forza, manella gioia portiamo la buona noti-zia, perché «Dio ama chi dona congioia» (2 Cor 9,7).

I N S E R T O P U M

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L ’Usmi della Lombardia ha or-ganizzato nel gennaio scorso

un seminario: le Superiore genera-li e provinciali degli Istituti presen-ti in Lombardia si sono confronta-te sulle iniziative in programma inquesto Anno della Fede e di memo-ria del Vaticano II.Dalla condivisione delle esperien-ze è emerso un cuore comune: lapriorità della missione a tutto cam-po. Abbiamo colto un rinnovatoslancio, radicato nella convinzioneche la scelta della missione (nellaforma anche dell’invio-coopera-zione fra le Chiese, oltre che della“nuova evangelizzazione”) puòdare respiro alle nostre comunità,ringiovanirle, rinvigorire la fede el’identità carismatica, dare nuovo

entusiasmo e nuove motivazioni(RMi, 21).A questo proposito vorrei segnala-re la scelta significativa del Capito-lo generale delle Suore ClarisseFrancescane Missionarie del SS.Sacramento, fondate da madreSerafina Farolfi nel 1898 alla Badiadi Bertinoro (Forlì) e oggi presentiin Italia, Spagna, Romania, Argen-tina, Brasile, Perù, Bolivia, India, Gui-nea Bissau. Il Capitolo del 2012 haredatto un “Documento missiona-rio” presentandolo in questi termi-ni: «È il frutto di un impegno e di unlavoro condiviso, nello scopo una-nime di crescere nella missionarie-tà [...]. Nel cammino capitolare l’ecodelle parole della nostra Venerabi-le fondatrice: “Andate, accendete,

portate a tutti l’Amo-re di Gesù Eucari-stia” ci ha tenute de-ste, ci ha rese asser-tive e creative nel-l’elaborazione di que-sto documento. Esso,poi, dovrà ispirare ilprogetto missionariodi ogni Provincia affin-ché la nostra mis-sionarietà sappia in-carnarsi in forme concrete e ade-guate, nei luoghi in cui siamo pre-senti, nell’oggi di Dio e della storia».Un compito esigente che la Provin-cia d’Italia (con sede a Bologna) stasvolgendo con responsabilità e in-traprendenza. “Andare, accendere,portare”: tre verbi missionari che al-

tre congregazioni, forse, stanno co-niugando. Non sarebbe bello met-tere in rete le diverse esperienze eavviare un dialogo tra noi? La reda-zione attende.

Suor Azia CiairanoResponsabile animazione

missionaria USMI

RELIGIOSE

ANDARE, ACCENDERE, PORTARE…

ne. Per sostenere le missioni abbiamo prodotto anche della birra erealizzato delle icone che vendiamo nelle grandi occasioni del no-stro Seminario. Nel novembre dello scorso anno abbiamo ricevu-to la visita di padre Stefano Berton che ci ha dato la possibilità diriflettere sulla missione con dei preziosi consigli. Attualmente ci stia-mo preparando per il Convegno Missionario Nazionale dei Semina-risti al quale diamo un contributo in ciò che riguarda l’animazionedelle serate e della Liturgia. Ci sarebbero molte cose da racconta-re, ma ci fermiamo qui consapevoli che la cosa più importante èassumere un atteggiamento missionario, una vita missionaria. Chealtro non è che la vita stessa di Cristo.

Non si confonda questa gioia conl’incoscienza o la mancanza di com-passione. Gesù, che provava profon-da compassione davanti alle folle cheinstancabilmente lo seguivano e chesi commuoveva fino alle lacrime, eragioioso e accogliente e desiderava chelo fossero anche i suoi discepoli. Lisgridò quando non seppero accoglie-

re i bambini chiassosi e festanti e stig-matizzò il comportamento forte-mente compassato di chi non sape-va ballare al suono del flauto (Lc7,32) e aveva apostrofato la suagioia come quella di un mangioneo un beone (Lc 7, 33). Proprioquando la coltre della tristezza po-teva avvolgere e soffocare il cuore dei

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IDEAIn occasione di Prime Confessioni e Prime Comunioni, regalaIL PONTE D’ORO.Come ricordo di quanto celebrato, anziché donare un oggettoche spesso finisce in un cassetto, la parrocchia può offrire unregalo che si rinnova di mese in mese per un anno: l’abbo-namento a ciascun ragazzo.

SIGNIFICATOÈ un modo per invitare chi ha ricevuto il Sacramento amettere in pratica ciò che ha vissuto in un’occasione cosìimportante per la sua vita di cristiano, tenendo occhi ecuore aperti sul mondo e imparando a farsi prossimo dichi vive lontano.

MODALITÀL’invio del primo numero avverrà in un unico pacco, reca-pitato in parrocchia, perché il giorno della celebrazione delSacramento il parroco possa consegnare a mano ad ogniragazzo una copia della rivista.Dal mese successivo, ogni ragazzo la riceverà a casa propria.

COSTIUna proposta speciale prevede prezzi speciali (più bassidel costo standard dell’abbonamento). Per saperne di più, contatta la Redazione scrivendo a [email protected] Po

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Anno XVI - Marzo 2013 - Numero 3

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