multidisciplinarietà sempre più un must · psicologo, un cardiologo e così via, ... man mano che...

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Cronicità, vita media e nuove conoscenze richiedono interventi trasversali e la creazione di équipe multidisciplinari fluide, capaci di mutare a seconda delle esigenze del paziente Stefania Somare E Multidisciplinarietà Sempre più un must M ultidisciplinare'', "trasversale", "multiprofessionale": ecco alcune delle parole di maggiore uso in ambito medico negli ultimi anni. Stanno cambiando l'approccio al paziente e la visione della malattia, il paziente viene visto nella sua interezza: dopo un periodo in cui ogni medico specialista guardava solo al suo ambito di competenza, si è tornati a valutare più aspetti della vita e della malattia del paziente. E per farlo è necessario che medici di specialità diverse si parlino e collaborino in équipe trasversali Di questa necessità si parla molto negli ultimi tempi anche all'interno delle società scientifiche di ambito ortopedico. Il concetto di équipe fluida Le figure che ruotano attorno alle problematiche ortopediche sono principalmente il fisiatra, il chirurgo ortopedico, il fisioterapista. Affermazione vera solo in parte Lo confermano il dottor Giuseppe Andreoletti, responsabile di ortopedia del Policlinico San Marco di Zingonia (BG), e la dottoressa Claudia Ceravolo, fisiatra nella stessa struttura. Due professionisti abituati a collaborare quotidianamente per il bene dei propri assistiti e a farlo anche con altre figure mediche. «Il concetto di multidisciplinarietà sta iniziando a farsi sentire anche nel nostro ambito», interviene il dottor Andreoletti, «sia per quanto riguarda il miglioramento dell atto chirurgico e perioperatono sia per gli aspetti diagnostico e riabilitativo. Se ci pensate, unire esperti di differenti branche mediche è il solo modo per poter rispondere adeguatamente all'esigenza di salute di ogni paziente. h cosi, se il soggetto è un bambino, ci sarà bisogno di un pediatra e in sala operatoria, di un anestesista pediatrico. Ma anche, a seconda dei casi, di un neurologo, se il bambino presenta problematiche neurologiche, di uno psicologo, di un logopedista e così via. Se il soggetto è anziano la situazione è ancora più complessa, perché - se per esempio il problema da trattare è un esito di ictus-oltre al neurologo è necessario rapportarsi anche con un geriatra, ma anche con un cardiologo, uno pneumologo, un diabetologo, poiché spesso nei soggetti anziani si presentano delle comorbidità che devono essere tenute in considerazione sia in fase operatoria sia in tutte le altre fasi del percorso terapeutico». Non finisce qui, però: non ci si deve dimenticare degli ingegneri biomeccanici che conoscono i nuovi impianti presenti sul mercato e i materiali da utilizzare, così come degli ortopedici ultraspecialisti, se si deve trattare una mano, un'anca un piede, un ginocchio. Importanti anche i medici trasfusionali, che devono dare indicazioni nei soggetti che hanno perso molto sangue durante l'intervento, «hondamentale è, altresì, la collaborazione con l'anestesista, non solo per la fase operatoria, ma anche per la gestione del dolore. I passi avanti fatti in anestesiologia sono stati fondamentali per migliorare la ripresa dei pazienti che oggi, dopo un intervento chirurgico, tornano in movimento prima e possono intraprendere presto il percorso di riabilitazione». Se oggi si afferma l'esigenza di lavorare insieme per ottenere risultati migliori il motivo va ricercato anche nei cambiamenti tecnologici e nelle nuove pratiche operatone, sempre meno invasive «La schiera dei pazienti che possono essere sottoposti a interventi ortopedici è notevolmente aumentata», spiega REGISTRO OSTEOPATI D'ITALIA

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Page 1: Multidisciplinarietà Sempre più un must · psicologo, un cardiologo e così via, ... Man mano che la collaborazione tra specialisti prosegue, la comunicazione diventa più semplice,

Cronicità, vita media e nuove conoscenze richiedono interventi

trasversali e la creazione di équipe

multidisciplinari fluide, capaci di mutare a seconda delle

esigenze del paziente

Stefania Somare E

Multidisciplinarietà Sempre più un must

Multidisciplinare'',

"trasversale",

"multiprofessionale":

ecco alcune delle parole

di maggiore uso in

ambito medico negli ultimi anni. Stanno

cambiando l'approccio al paziente e la

visione della malattia, il paziente viene

visto nella sua interezza: dopo un periodo

in cui ogni medico specialista guardava

solo al suo ambito di competenza, si è

tornati a valutare più aspetti della vita e

della malattia del paziente. E per farlo è

necessario che medici di specialità diverse

si parlino e collaborino in équipe trasversali

Di questa necessità si parla molto negli

ultimi tempi anche all'interno delle società

scientifiche di ambito ortopedico.

Il concetto di équipe fluida Le figure che ruotano attorno alle

problematiche ortopediche sono

principalmente il fisiatra, il chirurgo

ortopedico, il fisioterapista. Affermazione

vera solo in parte Lo confermano il dottor

Giuseppe Andreoletti, responsabile di

ortopedia del Policlinico San Marco

di Zingonia (BG), e la dottoressa

Claudia Ceravolo, fisiatra nella stessa

struttura. Due professionisti abituati

a collaborare quotidianamente per

il bene dei propri assistiti e a farlo

anche con altre figure mediche.

«Il concetto di multidisciplinarietà sta

iniziando a farsi sentire anche nel nostro

ambito», interviene il dottor Andreoletti,

«sia per quanto riguarda il miglioramento

dell atto chirurgico e perioperatono sia

per gli aspetti diagnostico e riabilitativo.

Se ci pensate, unire esperti di differenti

branche mediche è il solo modo per

poter rispondere adeguatamente

all'esigenza di salute di ogni paziente.

h cosi, se il soggetto è un bambino, ci

sarà bisogno di un pediatra e in sala

operatoria, di un anestesista pediatrico.

Ma anche, a seconda dei casi, di un

neurologo, se il bambino presenta

problematiche neurologiche, di uno

psicologo, di un logopedista e così via.

Se il soggetto è anziano la situazione

è ancora più complessa, perché - se

per esempio il problema da trattare è

un esito di ictus-oltre al neurologo è

necessario rapportarsi anche con un

geriatra, ma anche con un cardiologo,

uno pneumologo, un diabetologo,

poiché spesso nei soggetti anziani

si presentano delle comorbidità che

devono essere tenute in considerazione

sia in fase operatoria sia in tutte le

altre fasi del percorso terapeutico».

Non finisce qui, però: non ci si deve

dimenticare degli ingegneri biomeccanici

che conoscono i nuovi impianti presenti

sul mercato e i materiali da utilizzare, così

come degli ortopedici ultraspecialisti, se

si deve trattare una mano, un'anca un

piede, un ginocchio. Importanti anche

i medici trasfusionali, che devono dare

indicazioni nei soggetti che hanno perso

molto sangue durante l'intervento,

«hondamentale è, altresì, la

collaborazione con l'anestesista, non solo

per la fase operatoria, ma anche per la

gestione del dolore. I passi avanti fatti in

anestesiologia sono stati fondamentali per

migliorare la ripresa dei pazienti che oggi,

dopo un intervento chirurgico, tornano in

movimento prima e possono intraprendere

presto il percorso di riabilitazione».

Se oggi si afferma l'esigenza di

lavorare insieme per ottenere

risultati migliori il motivo va ricercato

anche nei cambiamenti tecnologici

e nelle nuove pratiche operatone,

sempre meno invasive

«La schiera dei pazienti che possono

essere sottoposti a interventi ortopedici

è notevolmente aumentata», spiega

REGISTRO OSTEOPATI D'ITALIA

Page 2: Multidisciplinarietà Sempre più un must · psicologo, un cardiologo e così via, ... Man mano che la collaborazione tra specialisti prosegue, la comunicazione diventa più semplice,

Claudia Ceravolo, «e questo richiede

capacità di trattarli Grazie ai tempi

più ridotti in sala operatoria, oggi

un cardiopatico o un soggetto con

insufficienza respiratoria può essere

sottoposto a intervento. Lo stesso vale,

per esempio, per un grande anziano con

frattura al femore: certo, presenta delle

comorbidità che devono essere tenute in

considerazione durante tutto il percorso

terapeutico, ma può essere operato».

«Lo stesso si può dire della riabilitazione

la tecnologia e le tecniche fisioterapiche

sono migliorate al punto da favorire la

ripresa della deambulazione anche nei

pazienti complessi (per esempio, soggetti

con la malattia di Parkinson o siti di ictus).

Oggi si possono riabilitare individui che

in passato sarebbero stati tutta la vita

in strutture riabilitative, senza compiere

progressi. Oggi si possono riabilitare

anche soggetti con problematiche

comportamentali, lavorando insieme a

psicologi e psichiatri. Ancora una volta,

questi pazienti devono essere trattati a

360°, considerando tutte le loro esigenze.

Parlare di équipe multidisciplinare

è, in un certo senso, limitante. Forse

sarebbe meglio parlare di équipe aperta,

fluida: occorre saperla modificare a

seconda delle esigenze del paziente».

Perché ciò sia possibile è importante

potersi affidare a procedure conosciute

da tutti i membri dell'equipe e

avere un vocabolario comune: la

comunicazione è essenziale.

Protocolli standard e un vocabolario comune La realtà del Policlinico di Zingonia è

abbastanza rara in ambito ortopedico: qui

l'ortopedico e il fisiatra lavorano gomito a

gomito, spesso facendo insieme il giro dei

pazienti. «Sappiamo che la nostra è una

situazione privilegiata. Per vari motivi»,

Claudia Ceravolo

spiega Giuseppe Andreoletti. «In primo

uogo, io e Claudia Ceravolo lavoriamo

nsieme tutti i giorni, il che significa che

ci capiamo molto rapidamente Inoltre,

essendo questo un Policlinico, quando

abbiamo bisogno di un confronto

con un geriatra, un neurologo, uno

psicologo, un cardiologo e così via,

possiamo chiamare esperti interni,

con cui siamo abituati a interfacciarci.

Questo semplifica notevolmente la

comunicazione Infine facendo parte di

una stessa struttura ospedaliera, i nostri

protocolli sono condivisi. Forse anche

per questa ragione, pur essendo piccoli,

abbiamo alte richieste di entrare nel

nostro reparto da parte dei pazienti».

Questa facilità è valida anche per tutto

'ambito riabilitativo, ovviamente. Lo

conferma Claudia Ceravolo: «il nostro

reparto di riabilitazione è integrato nel

reparto di Ortopedia e il paziente viene

valutato da entrambe le figure. Non

viene mai abbandonato dall'ortopedico,

lo sono la responsabile del progetto

riabilitativo, che è personalizzato: devo

quindi consultare vari esperti a seconda

delle necessità del paziente. La parte

riabilitativa è nelle mani del fisioterapista

e del massofisioterapista, che fanno

sia terapia fisica sia terapia manuale e

kinesioterapica L'obiettivo è restituire

Giuseppe Andreoletti

autonomia al paziente, prima con ausili

e poi senza. Alle dimissioni la persona

in cura deve potersi vestire da sola,

salire e scendere le scale, andare in

bagno da sola. Inoltre devono essere

rispettati dei parametri di movimento,

diversi a seconda dell'articolazione

coinvolta». E mentre la riabilitazione

prosegue, il fisiatra deve evitare che il

soggetto incorra in complicanze post­

operatorie e, se accade, deve rivolgersi

a chi di competenza. Per quanto riguarda

le protesi, a Zingonia c'è un'officina

ortopedica interna alla struttura, il che

semplifica anche la collaborazione

con il tecnico ortopedico che, di fatto,

viene interpellato per decidere quale

sia la soluzione migliore per lo specifico

paziente e non solo per preparare

l'ausilio. Che cosa accade quando le

condizioni non sono così favorevoli?

«Probabilmente inizialmente tutto è

più complesso», ammette Claudia

Ceravolo. «Quando gli specialisti

non sono della stessa struttura, ci

possono essere linee guida diverse,

un modo di pensare anche differente.

Allora è essenziale specificare i propri

metodi interpretativi prima di avviare la

collaborazione, così come evidenziare

le strategie e obiettivi. Altro aspetto

che può aiutare è avere una cartella

REGISTRO OSTEOPATI D'ITALIA

Page 3: Multidisciplinarietà Sempre più un must · psicologo, un cardiologo e così via, ... Man mano che la collaborazione tra specialisti prosegue, la comunicazione diventa più semplice,

clinica molto chiara, che possa aiutare

lo specialista esterno a farsi una idea

corretta della situazione del paziente».

Man mano che la collaborazione

tra specialisti prosegue, la

comunicazione diventa più semplice,

ovviamente... ma nel mezzo occorre

prestarvi molta attenzione.

Il ruolo del tecnico ortopedico Giuseppe Andreoletti è certo

dell'importanza del tecnico ortopedico

all'interno di questa équipe aperta:

«potersi affidare a un bravo tecnico

ortopedico è di grande importanza. Noi

medici ortopedici abbiamo bisogno di

questa figura e della sua competenza

nel suggerire quali ausili usare per

assicurare una mobilizzazione precoce

e sicura al paziente, oltre che per il loro

confezionamento. Ciò vale che si stia

parlando di mano, polso, colonna, anca,

ginocchio, piede. Il tecnico ortopedico

è fondamentale e noi ci lavoriamo

quotidianamente. Penso che la figura

del tecnico ortopedico sarà sempre più

importante nelle equipe ortopediche».

Una certezza che hanno gli stessi

tecnici ortopedici, anche se nella pratica

quotidiana esistono delle limitazioni al

lavoro in equipe per chi non è interno a

una struttura ospedaliera. Andrea Lauria,

del Laboratorio Ortopedico Globosan

di Collegno (TO), sottolinea: «la nostra

figura deve avere un ruolo centrale nella

fase riabilitativa del soggetto, soprattutto

se si parla di grandi anziani e disabili

e di soggetti che possono necessitare

di ausili di supporto all'indipendenza a

lungo termine. Per alcuni soggetti si parla

anche di anni. Il nostro dovrebbe essere

un ruolo anche decisionale, nel senso che

dovremmo fare parte del team riabilitativo

dando il nostro contributo anche in

termini di progettazione. Una cosa che

Paola Sciomachen

purtroppo, avviene ancora poco, per

varie ragioni. La prima è di carattere

pratico. Il tecnico ortopedico è la sola

figura sanitaria che non lavora in struttura

ospedaliera, tranne rare eccezioni: ciò

rende più difficile creare collaborazioni

stabili con i reparti di ortopedia e fisiatria.

Inoltre, se io volessi creare uno spazio

interno alla mia azienda dove far venire

un ortopedico per visitare i miei clienti,

non potrei farlo. La legge me lo vieta. Il

problema di fondo è che la nostra figura

è commerciale e sanitaria in uno e un

negozio commerciale non può ospitare

un medico al proprio interno. Dico di più:

teoricamente, la legge vieterebbe anche

a un medico ortopedico di dire al proprio

paziente in quale officina ortopedica

recarsi. Il paziente deve essere libero

di scegliere, sempre perché facciamo

parte del settore commerciale».

Esistono quindi dei problemi pratici alla

diffusione di collaborazioni attive tra

tecnico ortopedico e reparti di ortopedia.

Problemi che potrebbero essere risolti,

Andrea Lauria

nel tempo. Andrea Lauria suggerisce,

per esempio, di modificare il percorso

di formazione del tecnico ortopedico

avvicinandolo a quello anglosassone, nel

quale si deve scegliere se operare con il

SSN o lavorare in ambito commerciale.

«Limitazione legislative a parte, credo

che se i medici hanno ancora qualche

pregiudizio nei nostri confronti, è perché

nel tempo ci siamo presentati come

bravi artigiani, ma spendendo male

le altre nostre competenze. Il tecnico

ortopedico è certamente un artigiano,

ma altamente qualificato e, oltre a saper

creare un tutore o una protesi, deve

conoscere bene l'anatomia, la fisiologia e

anche le patologie a carico dell'apparato

neuromuscolare, in modo da parlare con

un medico con cognizione di causa.

Insomma, come categoria dobbiamo far

capire ai medici che il nostro contributo

in equipe riabilitativa può fare la

differenza e che siamo disposti anche

ad ammodernare le nostre metodiche

di lavoro. Noi siamo il vero tramite

REGISTRO OSTEOPATI D'ITALIA

Page 4: Multidisciplinarietà Sempre più un must · psicologo, un cardiologo e così via, ... Man mano che la collaborazione tra specialisti prosegue, la comunicazione diventa più semplice,

tra paziente e medico. Conosciamo i

materiali, le tecnologie per utilizzarli al

meglio e sappiamo indicare la soluzione

migliore per ogni singolo paziente».

Forse un ulteriore aiuto, nel sostenere

questa importante collaborazione,

potrebbe venire dalla formazione

universitaria: «si potrebbe pensare

a creare un dialogo tra medici

laureandi e tecnico ortopedico in

formazione si dall'università. I nuovi

professionisti potrebbero quindi essere

predisposti a parlare e collaborare,

anche perché avrebbero già un

linguaggio comune da usare».

Come il tecnico ortopedico, vi è

un'altra figura che per diverse ragioni

si trova oggi a dover riabilitare il proprio

nome per poter collaborare a viso

aperto con le équipe riabilitative, e

non solo. Si tratta degli osteopati.

Osteopatia per ridare equilibrio al corpo Da qualche mese, con la legge 3/2018, la

figura dell'osteopata è stata riconosciuta

anche in Italia come professione

sanitaria. La legge prevede la successiva

emanazione dei decreti attuativi per la

definizione delle competenze e dell'iter

formativo dell'osteopata, un passaggio

che potrà inserire l'osteopata a pieno

titolo nelle equipe che lavorano in sinergia

per affrontare la complessità delle cure

dei pazienti. Quando abbiamo chiesto a

Giuseppe Andreoletti cosa ne pensasse

della figura dell'osteopata, con grande

sincerità ha dichiarato l'importanza che

il medico sappia di cosa si occupa

questa figura e che vi siano competenze

ben definite che non possono essere

valicate. In altre parole, ha evidenziato

la necessità di chiarezza. Una necessità

ben capita e condivisa anche da Paola

Sciomachen, osteopatae presidente del

IL DOLORE CRONICO Esiste una condizione che rende la vita un vero inferno: si tratta del dolore cronico, da cui sono affette parecchie persone. La riabilitazione può essere utile per intervenire su questo disagio, così come l'osteopatia, ogni via per le proprie competenze. E probabilmente la collaborazione tra le due figure potrebbe dare risultati migliori, a vantaggio del paziente. In particolare, il fisioterapista può intervenire, come sottolineato dall'Associazione Fisioterapisti Italiani (AIFI), «con una serie di strategie innovative che contribuiscono alla demodulazione di fenomeni sottostanti al dolore cronico, come la sensibilizzazione centrale e periferica». Sul dolore cronico funziona bene anche l'osteopatia, assicura Paola Sciomachen, osteopata e Presidente del Registro Osteopati d'Italia (ROI) e a tal proposito le Linee Guida sulla Lombalgia 1 evidenziano che l'osteopatia rappresenta una delle terapie più efficaci per la cura del dolore lombare acuto e cronico.

Registro degli Osteopati d'Italia (ROI):

«negli ultimi anni sempre più italiani si

sono rivolti all'osteopatia per affrontare

problematiche legate principalmente al

dolore cronico, acuto o subacuto - si parla

di 10 milioni, secondo l'Indagine Eumetra

Monterosa 2016 "Gli italiani e l'osteopatia"

- perché porta effettivamente dei

benefici ai pazienti. Credo sia importante

definire la nostra identità, individuare le

competenze e la formazione necessaria

per raggiungerle, prima di tutto per

tutelare i pazienti e anche per dare una

giusta dignità ai professionisti. A seguito

dell'emanazione dei decreti attuativi che

definiranno il profilo professionale e la

formazione, avremo un corso di laurea

universitario e saremo integrati a pieno

titolo nel sistema sanitario nazionale.

Come già detto più volte, l'osteopatia

non si sovrappone né si sostituisce ad

altre professioni sanitarie, in quanto ha

un proprio ragionamento clinico che si

differenzia dalle altre, ma le affianca in

modo complementare e sinergico».

E in effetti, esistono già collaborazioni

proficue tra fisioterapisti e osteopati

che, lavorando sulle proprie

competenze, riescono a rendere il

paziente autonomo in meno tempo.

«Inoltre, il ruolo dell'osteopata è di

individuare lo squilibrio di uno o più sistemi

che possono aver causato l'insorgere

del dolore. Attraverso una palpazione

percettiva e un intervento esclusivamente

manuale l'osteopata ripristina il normale

funzionamento dell'organismo. Riusciamo

a ridurre sia il numero che l'intensità delle

crisi dolorose, di fatto migliorando la

qualità della vita di chi si rivolge a noi».

Essendo una professione da poco

riconosciuta, l'osteopatia potrebbe

impiegare del tempo a entrare appieno

nelle equipe riabilitative e ospedaliere,

ma l'intento del ROI è di favorire questo

passaggio, aprendo anche il dialogo

con gli altri attori per una migliore

informazione e collaborazione.

«Ecco perché vorrei sottolineare che,

come osteopati, possiamo collaborare

anche ad altri livelli del percorso

terapeutico di un paziente ortopedico o

neurologico, che sia bambino o anziano.

Nella mia esperienza collaboro con

fisioterapisti, logopedisti e neurologi,

lavorando su bambini con diverse

problematiche E otteniamo dei risultati

molto soddisfacenti. Auspico che questo

possa divenire esperienza comune».

Poi, e questo vale per tutte le professioni,

il percorso universitario è senza dubbio

fondamentale, ma c'è una componente

individuale innata, quando si opera con

il paziente. Una dote che permette, tra

laureati ad alcuni di riuscire e ad altri di

restare nelle file degli "ignoti". Per finire,

vediamo quale è il ruolo del fisioterapista

in questo discorso di lavoro collaborativo.

REGISTRO OSTEOPATI D'ITALIA

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Il professionista della riabilitazione Lavorano quotidianamente con persone che devono imparare da capo a usare un arto, a camminare, o, più semplicemente, che devono rinforzare una parte del corpo per poter stare meglio. Comunemente li chiamiamo fisioterapisti, anche se il dottor Andreoletti sottolinea che dovremmo chiamarli "professionisti della riabilitazione" Conosciamo meglio questa figura. «Il fisioterapista è il professionista sanitario che si occupa della prevenzione, valutazione, cura, riabilitazione, abilitazione di disfunzioni di vari sistemi corporei, tra cui quello muscolo scheletrico, conseguenti a patologie congenite o acquisite, interventi chirurgici o a condizioni di sovraccarico attraverso l'utilizzo di diverse strategie quali esercizi terapeutici, terapie manuali, terapie fisiche, la proposta e l'addestramento all'uso di ausili e ortesi, l'educazione terapeutica. Nel team ortopedico si nterfaccia maggiormente con lo specialista ortopedico, direttamente o, a seconda dei contesti, in collaborazione con il medico fisiatra», spiega il vicepresidente nazionale dell'Associazione Italiana Fisioterapisti (AIFI), Simone Cecchetto. Tra le altre cose, il fisioterapista lavora con un alto grado di autonomia, come è giusto che sia date le sue competenze. «Il profilo professionale del fisioterapista (DM 741/94) e altre leggi successive (legge 42/99 e legge 251/2000) tracciano una ampia autonomia del fisioterapista: nella valutazione delle disfunzioni che gli eventi patologici e gli eventuali interventi chirurgici hanno indotto nella persona; nella pianificazione degli obiettivi -condivisa con la persona e con il team - e nella scelta delle strategie fisioterapiche da mettere in atto; nel monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi. L'ortopedico e/o il fisiatra indicano la

necessità di fisioterapia e, in genere, per quali obiettivi la prescrivono. L'ortopedico, in caso di intervento chirurgico indica inoltre eventuali vincoli o precauzioni, come una riduzione del carico concesso all'arto inferiore o movimenti da evitare in una particolare fase del percorso di recupero. La scelta degli esercizi e della loro progressione, o l'utilizzo di terapie manuali o di educazione terapeutica, viene definita dal fisioterapista. La nostra figura professionale si interfaccia con l'ortopedico o il fisiatra in particolare qualora riscontri anomalie nella condizione attuale del paziente (le cosiddette "red flags") o deviazioni dalla norma nella progressione del recupero che suggeriscano la necessità di un confronto con lo specialista». Quindi, una volta stabilito il progetto riabilitativo, il fisioterapista lavora in autonomia, mantenendo però il contatto con i medici del paziente per tenerli aggiornati rispetto all'evoluzione della riabilitazione stessa. Quali sono le strategie riabilitative tra cui può scegliere un professionista? Lo spiega Simone Cecchetto: «tra le strategie fisioterapiche troviamo innanzitutto varie forme di terapie manuali come tecniche miofasciali, mobilizzazioni e manipolazioni articolari, tecniche di neurodìnamica, strategie linfodrenanti. A seguire varie forme di esercizi terapeutici per il superamento di disfunzioni qual limitazioni articolari, deficit di forza e resistenza muscolare, deficit di controllo neuromotorio: gli esercizi possono essere a corpo libero o mediante delle strumentazioni semplici o complesse, eseguiti a secco o in acqua per sfruttare i positivi vantaggi del mezzo idrico, condotti dal fisioterapista o il paziente previo addestramento e monitoraggio sulla corretta esecuzione. Possono essere

associate inoltre varie forme dì terapia fisica come elettroterapie antalgiche e di stimolazione, laserterapie, magnetoterapia, ultrasuonoterapie. Spesso in ambito muscolo scheletrico entra in gioco anche la proposta - condivisa in team - di diversi ausili e ortesi, l'addestramento all'uso e la verifica costante della loro efficacia. Infine elemento integrativo del percorso fisioterapico è l'educazione terapeutica mirata a una corretta informazione del paziente sul suo percorso, all'addestramento della corretta esecuzione esercizi e al cambiamento di eventuali comportamenti o credenze errate». Una grande ricchezza di possibilità d intervento che però, non è sempre nota. Scopriamo quindi che anche il fisioterapista, pur esistendo da molto tempo come figura professionale, necessita che i medici siano ben formati per poter lavorare al meglio. Lo conferma Cecchetto: «non è infrequente notare situazioni di ridotta prescrizione di fisioterapia quando sarebbe appropriata o di eccesso di prescrizione quando potrebbe non servire. Crediamo fortemente che solo una intensa collaborazione nel team, fondata su una solida conoscenza delle specificità di ciascun membro e rispettosa delle diverse competenze, possa realmente contribuire al miglioramento continuo dell'appropriatezza prescrittiva e dell'efficacia e efficienza dei percorsi di cura anche in ambito ortopedico». Quindi, l'esigenza è quella di una equipe aperta, fluida e anche capace di dialogare per mantenere sempre alta la formazione di chi la frequenta e la conoscenza delle competenze di ognuno degli specialisti che la forma. Solo in questo modo il lavoro sul paziente, vero centro di tutto il discorso, potrà essere sempre più personalizzato ed efficacie

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REGISTRO OSTEOPATI D'ITALIA