musica domani indice · 32 franca ferrari (a cura di) formare gli insegnanti di musica: alla...

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Ricerche e problemi 3 Colwyn Trevarthen Ritmo e musicalità nella comunicazione educativa 12 Franca Mazzoli Esperienze musicali a misura di bambino Strumenti e tecniche 19 Ilenia Targhettini Scuola e orchestra nell’istruzione di base inglese Pratiche educative 26 Anna Maria Van der Poel Minestrone musicale: un progetto sul tema dell’alimentazione Confronti e dibattiti 32 Franca Ferrari (a cura di) FORMARE GLI INSEGNANTI DI MUSICA: ALLA RICERCA DI CRITERI DI QUALITÀ 34 Alessandra Anceschi Tra sapere pensato e sapere agito 36 Emanuele Pappalardo Conoscenze e abilità: il ruolo delle nuove tecnologie 38 Roberto Neulichedl La possibile centralità del metodo 39 Mario Baroni Conoscenze musicologiche: sono davvero irrinunciabili? Libri e riviste 42 Francesco Bellomi Didattica minimalista [su A. Aloigi Hayes, Alighiero fa le scale, Edizioni Curci] 43 Luca Marconi, DA NON PERDERE 45 Stefania Lucchetti Giochi d’ascolto per stare insieme con la musica [su F. Ferrari, Giochi d’ascolto, Franco Angeli] 45 SCHEDE 46 Roberto Albarea, RASSEGNA PEDAGOGICA Rubriche 7 Augusto Pasquali, MUSICA IN INTERNET : Strumenti di conoscenza 11 Francesco Bellomi, PAROLE CHIAVE: Accordo 18 Arianna Sedioli, L’ATELIER DEI PICCOLI: Pagine di suono 24 Emanuela Perlini - Davide Zambelli, DANZE A SCUOLA: Lesnoto 30 John Paynter, INVENZIONI MUSICALI: Solo ciò che è necessario 41 LETTERE E DOCUMENTI: Un convegno indaga i rapporti fra musica e scuola 48 Annibale Rebaudengo, GIORNALE SIEM: Musica, scuola, famiglia Trimestrale di cultura e pedagogia musicale Organo della Siem Società Italiana per l’Educazione Musicale www.siem-online.it Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 411 del 23.12.1974 - ISSN 0391-4380 Anno XXXIII, numero 128 settembre 2003 Direttore responsabile Rosalba Deriu Redattori Francesco Bellomi e Franca Mazzoli Segretaria di redazione Ilaria Rigoli Comitato di redazione Maurizio Della Casa, Franca Ferrari, Luca Marconi, Ester Seritti Segreteria di redazione Via Dell’Unione, 4 40126 Bologna Tel. 349-6842783 Fax 051-6143964 e-mail: [email protected] Impaginazione e grafica Davide Zambelli Grafica copertina Raffaello Repossi Preparazione pellicole Cierre Grafica Caselle di Sommacampagna - Verona Tel. 045-8580900, Fax 045-8580907 Stampa Stampatre, Torino Editore EDT srl, 19 Via Alfieri, 10121 Torino Amministrazione Tel. 011-5591816, Fax 011-5591824 e-mail: [email protected] Promozione, vendite e abbonamenti Tel. 011-5591831, Fax 011-5591824 e-mail: [email protected] Pubblicità Tel. e Fax 011-9364761 e-mail: [email protected] Un fascicolo Italia e 4,50 - Estero e 6,00 Abbonamenti annuali Italia e 16,00 - Estero e 20,00, comprensivo di quattro fascicoli della rivista. Gli abbonamenti pos- sono essere effettuati inviando assegno non trasferi- bile intestato a EDT srl, versando l'importo sul c.c.p. 24809105 intestato a EDT srl, o tramite carta di cre- dito (Cartasì, Visa, Mastercard) con l’indicazione “Musica Domani”. La rivista è inviata gratuitamen- te ai soci Siem in regola con l’iscrizione. Quote associative Siem per l’anno 2003 Soci ordinari e 31,00 – Studenti e 26,00. Soci sostenitori e 62,00 – Biblioteche e 31,00. Le quote associative si ricevono sul c.c.p. 19005404, intestato a Società Italiana per l’Educazione Musica- le e vanno spedite a: Siem, Via Dell’Unione, 4 – 40126 Bologna. Per comunicazioni e richieste: tel. e fax 011-9364761 – e-mail: [email protected]c.c.p.: 19005404. Iscrizione all’Isme per l’anno 2003 International Society for Music Education Socio individuale, senza rivista, $30; con le riviste $54. Le quote possono essere versate con carte di credito Visa, American Express, Master Card o chè- que bancario a: ISME International Office, PO Box 909, Nedlands, 6909 Western, Australia – fax 00 61-8-9386 2658. Indice Musica Domani

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Page 1: Musica Domani Indice · 32 Franca Ferrari (a cura di) FORMARE GLI INSEGNANTI DI MUSICA: ALLA RICERCA DI CRITERI DI QUALITÀ 34 Alessandra Anceschi Tra sapere pensato e sapere agito

Ricerche e problemi

3 Colwyn TrevarthenRitmo e musicalità nella comunicazione educativa

12 Franca MazzoliEsperienze musicali a misura di bambino

Strumenti e tecniche

19 Ilenia TarghettiniScuola e orchestra nell’istruzione di base inglese

Pratiche educative

26 Anna Maria Van der PoelMinestrone musicale: un progetto sul tema dell’alimentazione

Confronti e dibattiti

32 Franca Ferrari (a cura di)FORMARE GLI INSEGNANTI DI MUSICA:ALLA RICERCA DI CRITERI DI QUALITÀ

34 Alessandra AnceschiTra sapere pensato e sapere agito

36 Emanuele PappalardoConoscenze e abilità: il ruolo delle nuove tecnologie

38 Roberto NeulichedlLa possibile centralità del metodo

39 Mario BaroniConoscenze musicologiche: sono davvero irrinunciabili?

Libri e riviste

42 Francesco BellomiDidattica minimalista[su A. Aloigi Hayes, Alighiero fa le scale, Edizioni Curci]

43 Luca Marconi, DA NON PERDERE

45 Stefania LucchettiGiochi d’ascolto per stare insieme con la musica[su F. Ferrari, Giochi d’ascolto, Franco Angeli]

45 SCHEDE

46 Roberto Albarea, RASSEGNA PEDAGOGICA

Rubriche

7 Augusto Pasquali, MUSICA IN INTERNET: Strumenti di conoscenza11 Francesco Bellomi, PAROLE CHIAVE: Accordo18 Arianna Sedioli, L’ATELIER DEI PICCOLI: Pagine di suono24 Emanuela Perlini - Davide Zambelli, DANZE A SCUOLA: Lesnoto30 John Paynter, INVENZIONI MUSICALI: Solo ciò che è necessario41 LETTERE E DOCUMENTI:

Un convegno indaga i rapporti fra musica e scuola48 Annibale Rebaudengo, GIORNALE SIEM:

Musica, scuola, famiglia

Trimestrale di cultura e pedagogia musicale Organo della Siem

Società Italiana per l’Educazione Musicale

www.siem-online.it

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 411del 23.12.1974 - ISSN 0391-4380

Anno XXXIII, numero 128 settembre 2003

Direttore responsabile Rosalba DeriuRedattori Francesco Bellomi e Franca Mazzoli

Segretaria di redazione Ilaria Rigoli

Comitato di redazione Maurizio Della Casa,Franca Ferrari, Luca Marconi, Ester Seritti

Segreteria di redazioneVia Dell’Unione, 4

40126 BolognaTel. 349-6842783Fax 051-6143964

e-mail: [email protected]

Impaginazione e grafica Davide Zambelli

Grafica copertina Raffaello Repossi

Preparazione pellicole Cierre GraficaCaselle di Sommacampagna - VeronaTel. 045-8580900, Fax 045-8580907

Stampa Stampatre, Torino

Editore EDT srl, 19 Via Alfieri, 10121 Torino

AmministrazioneTel. 011-5591816, Fax 011-5591824

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PubblicitàTel. e Fax 011-9364761

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Un fascicolo Italia e 4,50 - Estero e 6,00

Abbonamenti annualiItalia e 16,00 - Estero e 20,00, comprensivo diquattro fascicoli della rivista. Gli abbonamenti pos-sono essere effettuati inviando assegno non trasferi-bile intestato a EDT srl, versando l'importo sul c.c.p.24809105 intestato a EDT srl, o tramite carta di cre-dito (Cartasì, Visa, Mastercard) con l’indicazione“Musica Domani”. La rivista è inviata gratuitamen-te ai soci Siem in regola con l’iscrizione.

Quote associative Siem per l’anno 2003Soci ordinari e 31,00 – Studenti e 26,00.Soci sostenitori e 62,00 – Biblioteche e 31,00.Le quote associative si ricevono sul c.c.p. 19005404,intestato a Società Italiana per l’Educazione Musica-le e vanno spedite a: Siem, Via Dell’Unione, 4 –40126 Bologna. Per comunicazioni e richieste: tel. efax 011-9364761 – e-mail: [email protected] –c.c.p.: 19005404.

Iscrizione all’Isme per l’anno 2003International Society for Music Education

Socio individuale, senza rivista, $30; con le riviste$54. Le quote possono essere versate con carte dicredito Visa, American Express, Master Card o chè-que bancario a: ISME International Office, PO Box909, Nedlands, 6909 Western, Australia – fax 0061-8-9386 2658.

Indice

MusicaDomani

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l’evoluzione

della musica

Roberto Albarea docente di Pedagogia all’Università di UdineAlessandra Anceschi docente di Educazione musicale nella scuola media, Casina (Reggio Emilia)

Mario Baroni musicologo, Università di BolognaDonatella Bartolini docente di Pedagogia musicale, ModenaFrancesco Bellomi docente di Elementi di composizione per Didattica della musica, Milano

Marco Dal Bon studente al conservatorio di VeronaAugusto Dal Toso docente di Educazione musicale nella scuola media, Vicenza

Franca Ferrari docente di Pedagogia musicale, FrosinoneStefania Lucchetti docente di Pedagogia musicale, Bolzano

Luca Marconi docente di Pedagogia musicale, ComoFranca Mazzoli pedagogista, Bologna

Roberto Neulichedl docente di Pedagogia musicale, AlessandriaEmanuele Pappalardo docente di Elementi di composizione per Didattica della musica, Frosinone

Augusto Pasquali docente di Educazione musicale nella scuola media, BolognaJohn Paynter compositore, East Yorkshire, Inghilterra

Emanuela Perlini docente di Educazione musicale nella scuola media, VeronaAnnibale Rebaudengo docente di Pianoforte, Milano

Arianna Sedioli operatrice musicale, RavennaIlenia Targhettini neolaureata in sociologia, BresciaColwyn Trevarthen docente di Psicologia infantile e Psicobiologia, Università di Edinburgo, Inghilterra

Anna Maria Van der Poel operatrice musicale, AgrigentoDavide Zambelli docente di Educazione musicale nella scuola media, Verona

ERRATA CORRIGE: Emilia Restiglian, collaboratrice dello scorso numero, è docente di Educazione musicale nella scuolamedia a Vicenza e non di Pedagogia musicale.

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Tutti gli animali si muovono con un ritmo. Perché?Perché hanno bisogno di un ritmo per muoversi effi-cientemente. Si può riscontrare il ritmo nella corsa dicani e topi, di piccioni e gazzelle, nel volo dei gabbiani,nella beccata dei polli, nella camminata, nel trotto e nelgaloppo dei cavalli. Inoltre gli animali hanno scatti omomenti di eccitamento che possono durare parecchisecondi. Basti pensare ai salti degli agnelli caratterizza-ti da scatti e pause o al gattino che inseguendo la palli-na studia l’imboscata, l’avvicinarsi e l’attacco.I bambini sono attratti dagli stessi ritmi e dagli scattidi eccitamento che trovano nei giochi di azione e nel-le canzoni scherzose. Bambini molto piccoli, addirit-tura neonati, hanno lo stesso senso ritmico di adultigiocosi e rispondono alle frasi e ai climax presenti inun fatto narrato o nei discorsi affettuosi dei genitori.Con Stephen Malloch, abile musicista ed esperto diacustica musicale (l’analisi delle proprietà fisiche deisuoni), ho fatto descrizioni dettagliate per rappresen-tare il gioco di voci scherzoso fra madri e padri con ibambini (Trevarthen e Malloch, 2002). Con l’aiuto distudenti e di insegnanti di psicologia in Svezia, Gre-cia, Olanda e Francia e di registrazioni di studio fattein molti altri Paesi, tra cui Giappone, Nigeria e India,io e Stephen abbiamo identificato le stesse descrizioniche erano state riportate da Papousek in Germania(Papousek H., 1996; Papousek M., 1994; 1996; Pa-pousek e Papousek, 1981), da Stern e Beebe e i lorocolleghi negli USA (Beebe e altri, 1979; Stern 1999;2000) e abbiamo riscontrato le stesse preferenze diascolto riportate da Trehub e Trainor in Canada(Trainor, 1996; Trehub, 1990; Trehub e altri, 1997).Microanalisi del rapporto tra genitori e bambino ri-velano tempi interpersonali coordinati (Beebe e altri1985), ritmi di protoconversazione e complesse dina-miche relazionali ed emozionali che contribuisconoallo sviluppo di una consapevolezza fiduciosa e re-

sponsabile, propria e altrui (Stern, 2000; Trevarthen,2001a; 2002). Modelli intuitivi di conversazione, gio-chi e canzoni danno ai bambini trame di narrazione edi espressione di facile predizione che aiutano il bam-bino a sviluppare l’attenzione verso i pensieri di altrepersone e verso obiettivi condivisi, (Trevarthen,1999). Senza dubbio siamo nati con un impulso ani-male di movimento e possiamo percepire il carisma el’espressione di un’altra persona attraverso i cambia-menti della sua voce.Persino un bambino prematuro ha un feeling per que-sto impulso e per il ritmo di una frase musicale. Così,sembrerebbe che l’arte di un musicista durante un’e-secuzione o nella composizione tragga ispirazione daltalento vitale presente in tutti gli uomini, talento chedobbiamo sviluppare ogni giorno e soprattutto nellacomunicazione con gli altri. Io e Stephen chiamiamotutto ciò Comunicabilità Musicale. Stephen ha defini-to le sue dimensioni, la struttura correlata del sensoumano del tempo nel muoversi come segue: «Comu-nicabilità Musicale nella comunicazione tra Madre eBambino» (da Malloch, 1999).Gli attributi della comunicazione umana particolar-mente utilizzati nella musica sono tre: ritmo, qualitàe narrazione, che si presentano e svolgono il proprioruolo in modo coordinato. Essi sono stati rilevati nel-le registrazioni delle vocalizzazioni madre/figlio.RITMO. Cadenza regolare intervallata del ritmo, iden-tificata con l’aiuto di diagrammi sonori elaborati daanalisi spettrografiche: serve a coordinare le vocaliz-zazioni unite della madre e del bambino in un unicomomento.QUALITÀ. Sia l’altezza che il profilo melodico che iltimbro producono cambiamenti della qualità nellavoce materna. Diagrammi, derivati da un softwareche usa una costante Q, sono in grado di far vederecome i bambini e le madri strutturano l’esplorazione

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nella comunicazione educativa

Perché i neonati si muovono con la musica ei bambini ballano e cantano? Come puòcurare la musica e come le parole di uninsegnante possono essere musicali?Una serie di ricerche e riflessioni mostraquanti fatti ritmici, melodici, gestuali entrinoin gioco in quel fenomeno estremamentecomplesso che è la comunicazione.Specie in quella finalizzata a uno scopo benpreciso: insegnare e far apprendere.

COLWYN TREVARTHEN

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dell’altezza su piccola e larga scala. Il timbro è misu-rato con una varietà di tecniche acustiche: asprezza,ruvidezza, ampiezza ecc. Abbiamo visto che la vocedi una madre cambia la sua qualità rispondendo aquella del bambino.NARRAZIONE. Ritmo e qualità vocale sono raggruppa-te nelle forme di narrazione emozionale che permet-tono a due persone di condividere, mentre il tempopassa, un punto d’arrivo.Noi esaminiamo il legame musicale che si crea tramadre e figlio. In conclusione la Comunicabilità Mu-sicale è vitale per la comunicazione tra genitori e figli.Gli studi del ritmo, dell’espressione musicale e dei si-gnificati melodici nelle registrazioni sonore di unbambino sono risultati molto utili. Abbiamo impara-to che i bambini non sono solo in grado di risponde-re velocemente, accuratamente, e nel momento giustocon voce e gesti, ma sono in grado di partecipare atti-vamente e in modo preciso a canzoni preferite; i geni-tori sono stupiti e allo stesso tempo felici di cantareintuitivamente in modo che possa piacere ai bambini.Infatti, si può dire che il senso musicale innato deibambini sta nell’“insegnare” all’adulto come stare incontatto con gli elementi musicali di base, come sen-tire e comprendere il senso del tempo, come produrre“storie sonore” che funzionano in ciascuno di noi co-me motivazione, come una sorta di movimento. Co-me sostiene il professore Jon Roar Bjorkvold di Oslo,noi abbiamo una «“musa interna” che comunica pia-cere in tutti i momenti della vita» (Jon Road Bjork-vold, 1992). Io chiamo una componente base di que-sta “musa” con il nome di IMP: Intrinsic Motive Pul-se, impulso emotivo intrinseco (Trevarthen, 1999).Stiamo studiando proprio la comunicazione conl’IMP.Con i gesti, i vocalizzi musicali e la danza, i lattanti ei bambini esprimono spontaneamente se stessi conimmediatezza ed eleganza e questo dimostra come lamente e il corpo inizino a lavorare assieme. Il canto eil ballo celebrano l’esuberanza e l’efficienza con cui ilcervello può far divertire il nostro corpo, compostoda centinaia di muscoli che rendono espressivi i nostrigesti tramite l’insieme dei movimenti al tempo giustoe nell’ordine corretto.Si può ascoltare la musica muovendosi in modo effi-ciente.C’è però un altro punto di vista. La musica tocca ilcuore e genera emozioni. Penetra dentro di noi, at-trae e attiva i nostri sentimenti e la struttura chimicadel cervello (Clynes, 1982). La musica porta inoltreeccitamento, terrore o pace e conforto, tranquillità oimpazienza di agire, gioia di vivere o desiderio di so-gnare; tutto ciò può farci apprendere e guarirci. Lateoria della Comunicabilità Musicale può essere ap-plicata alla musicoterapia e dare un supporto ai mu-sicisti che hanno imparato come usare la propria ar-te per dare una risposta terapeutica ai disturbi men-tali. Si sta dimostrando utile nello studiare come idocenti insegnino meglio associandosi e prendendoparte, assieme agli studenti, a studi emotivamentesoddisfacenti.

Cosa accade quando un bambinoascolta la musica della madre

L’IMP, per quanto riguarda la musicalità, è attivo se ibambini rispondono con vivacità ai suoni musicali, atempo, e condividono l’interesse e le gioie con i com-pagni.I movimenti ritmici degli arti dei neonati sono sincro-nizzati con i discorsi degli adulti e la loro mano do-vrebbe alzarsi e lasciarsi cadere a tempo con la lineamelodica del canto della madre o di una semplice re-gistrazione.La pulsazione ritmica che piace ai bambini è rappre-sentata dai passi, che sono la base di tutti i tempi mu-sicali, dal Presto a tre passi al secondo, che corri-sponde a una camminata molto veloce, al Largo a unpasso al secondo, passo affaticato e abbastanza lento.Protoconversazioni con bambini di sei settimane ruo-tano attorno a tempi lenti come un Adagio (70 pulsa-zioni al minuto). Nei giochi animati la pulsazione ac-celera e raggiunge l’Andante (90 al minuto) o il Mo-derato (120 al minuto). I bambini hanno anche unacomprensione piuttosto intuitiva della melodia. San-dra Trehub (1990) conclude dicendo che «la rappre-sentazione di una melodia da parte dei bambini è sin-tetica e simile a quella adulta» e che gli elementi del-la musica infantile sono:• altezze che ruotano attorno all’ottava che iniziacon il do centrale (262Hz);• profili melodici semplici, unidirezionali o comun-que con pochi salti;• tempi lenti (attorno a 2,5 note al secondo) ed esse-re accompagnata da un ritmo semplice.Questi comportamenti si trovano nelle canzoni infan-tili e nei modelli prosodici usati dai genitori per ecci-tare o tranquillizzare i loro figli.Perché un neonato di due mesi ascolta con interesse idiscorsi o le canzoni della madre, sorridendo e muo-vendosi a tempo? Come può essere che un bambino dipoche settimane, seduto sulle ginocchia della madre inun laboratorio universitario, abbia potuto mostrare in-teresse e accorgersi delle diverse caratteristiche dei variframmenti musicali (altezza, ritmo, armonia) preferen-do la consonanza alla dissonanza? I bambini di cinque,sei mesi riconoscono addirittura le comuni canzoncinedalle prime note ed esprimono per alcune delle prefe-renze. Questi ultimi muovono braccia e gambe a tem-po di musica reagendo a una giga vivace o a una ninnananna con diversi stati d’animo. Un bambino ai primipassi può già cantare e ballare da solo o addirittura in-ventare melodie personali composte da ritmi ciclici orime ricorrenti. Questo dimostra che i bambini nasco-no con una vitalità musicale e che desiderano muover-si a tempo e dilettarsi con vocalizzi musicali per imita-re ed essere imitati o apprezzati. Il fatto che le melodiesiano imparate così velocemente e così ben ricordatepersino dai bambini piccoli, ci dà un’importante indi-cazione sugli aspetti speciali della natura umana. Leforme di comunicazione poetico/musicali sembranorappresentare una strada con cui i bambini possonoacquisire esperienze espressive di altre persone.

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iForse c’è un senso musicale alla base dell’apprendi-mento di tutte le conoscenze umane e, come crede El-lan Dissanayake, esso è un’intima esperienza artistica(Dissanayake, 2000).Prima però dobbiamo farci un’idea di cosa significhimovimento. Personalmente ritengo che si possa capi-re l’importanza della musica risalendo ai movimentidi base degli animali e al loro uso del corpo. Questo èil passato dal quale la natura umana si è evoluta.

La semplice biologia nel movimento

Un animale si muove con uno scopo. Il movimento ri-chiede di organizzare azioni nel futuro, guidate datutti i sensi nel tempo e nello spazio. Anche il sempli-ce movimento di un’ameba è collegato a un senso ditempo e direzione. Il controllo del movimento nel ci-toplasma e nelle membrane cellulari degli animali de-ve sapere (in anticipo) cosa accadrà e quando. Questaè la ragione per cui tutti gli animali devono avere unsenso ritmico. I cervelli di molti animali immaginanoe pensano i movimenti dei loro corpi con un senso fu-turo. La loro coscienza organizza le loro azioni su im-pulsi o ritmi. Il movimento implica un consumo dienergia, che immagazziniamo con l’alimentazione,che non va sprecata. Non bisogna permettere alle for-ze di movimento di diventare troppo grandi da dan-neggiare il corpo, e si deve cercare di evitare incontriaccidentali con qualcosa che potrebbe essere nocivo.Così il movimento deve essere calcolato per guidare ilcorpo attraverso le vie meno dispendiose, valutando irischi dello spreco di energia. Questo è il motivo percui tutti i movimenti importanti sono graziosi, persi-no quelli del più semplice animale. La massa del cor-po e i mezzi attraverso cui si muove – terra, aria o ac-qua – sono trattati in modo pianificato, così i movi-menti hanno una forma utile e desiderata e non fan-no male.

Lo speciale movimento degli uomini

Un’analisi matematica rivela che si può trovare in tuttigli animali una guida o coordinatore di movimenti, atempo e con il corretto dispendio di energie, perfinonei batteri, nelle scorie, nelle api, uccelli e pipistrelli(Lee, 1998). Allora tutti gli animali sono musicali?Non credo.Ci sono due caratteristiche del movimento umano checi rendono unici e ci permettono di fare musica. Intan-to siamo abituati a camminare su due piedi, bilancian-do il nostro corpo, girando la testa e dondolando gliarti con intricati ritmi semi-indipendenti. Questo ritmodella parte superiore del corpo potrebbe essere collega-to vagamente con il ritmo della camminata. In pocheparole noi abbiano un’inusuale poliritmia che sfruttia-mo nella gestualità o manifestiamo nella danza, utiliz-zando la capacità di compiere molti movimenti in se-quenze complicate (Trevarthen, 1999).In secondo luogo sia nella conversazione che nella

danza, comunichiamo storie fantasiose e seducenti.Molti animali comunicano e collaborano socialmenteattraverso segnali ritmici o rispecchiando i movimen-ti di un altro animale (Merker, 1999). In tutte le co-munità, perfino dove convivono culture diverse, c’ècomunicazione di intenti e un rispecchiarsi di motivirilevanti dei movimenti di tutti. Le società umane, co-munque, collaborano nella produzione artistica e nel-lo sviluppo di materiale culturale e in un sistema in-tricato di lingue e rappresentazioni simboliche chetrasmettono significati creati da un numero infinitodi individui e trasmessi ai giovani per molte genera-zioni. Esempi di condivisione culturale possono esse-re il mito, il rituale, la tecnologia, l’arte e la legge(Donald, 2001).Per capire la complessità dei pensieri e delle storie im-maginarie delle quali ognuno di noi è fatto, un adultoo un bambino deve essere in grado di mettere a fuocole intenzioni dei nostri movimenti, deve essere in gradodi ri-presentare oggetti non presenti ed eventi che sononelle nostre percezioni e memorie, in modo che gli altripossano capire cosa abbiamo in mente. Queste storiemimiche e il loro apprezzamento da parte dell’ascolta-tore-spettatore assumono, in modo reciprocamente in-consapevole, una particolare intensità che consiste inuna condivisione di schemi di movimento inventati e ditraduzioni del senso di quei movimenti. In questo pro-cesso di trasmissione di significati da una mente all’al-tra, di narrazione attraverso il movimento, la fusionedei significati attraverso metafore poetiche è fonda-mentale. Le metafore musicali sono irresistibili a un li-vello profondo. Ad esempio, i movimenti del nostrocorpo – mani, faccia, mascelle, labbra, lingua e appa-rato vocale – in una conversazione giornaliera raccon-tano una storia. Tutto ciò assume un senso grazie aun’immediata traduzione che percepisce le immagini ei pensieri celati dietro al movimento. I movimentiumani inconsciamente assumono una forma narrativae cambiano in modo simile a un vero e proprio rac-conto di vicende.Tutte le arti temporali, danza, canto, strumenti musi-cali, teatro, raccontano storie attraverso la mimica; imovimenti del corpo trasmettono le idee, le azioni, laricerca, l’esperienza e il sentimento di se stessi o di unaltro protagonista immaginario. Attenzione: queste ar-ti non devono narrare la storia attraverso le parole.L’essenza dalla comunicazione umana include l’uso diparole che arricchiscono la comunicazione stessa attra-verso la descrizione dettagliata di oggetti, azioni e il lo-ro uso, effetti e qualità. La lingua è certamente la chia-ve per un vasto mondo di pensieri, ma noi possiamosperimentare immediatamente i messaggi musicali co-me storie senza parole, fatte di suono, guidati dall’in-tuizione umana attraverso i gesti e le azioni.

La musicalità dei bambini

Ora può sembrare che compiere movimenti a tempocon controllo cosciente, sapendo ciò che verrà senti-to, visto e udito, sia eccessivamente difficile per la

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mente non ancora formata di un bambino appena na-to; ma non è così. Un bambino di pochi minuti riescea muovere il suo piccolo corpo (occhi, mani, bocca,braccia e testa, busto, gambe e piedi) con una grazio-sa sequenza, come se una danza stesse scorrendo at-traverso il suo corpicino. Ritmo e grazia possono es-sere misurati anche nei movimenti di un feto, cattura-ti da un’ecografia. Se il bambino si muove a scatti,con fremiti, svogliatamente, o senza preoccupazionic’è da allarmarsi: o sta dormendo, o ha problemi conil sistema nervoso. I dottori comunque hanno la pos-sibilità di accertare la salute del nascituro attraversoun’ecografia. La mente di un bambino appena natonon è affatto omogenea, e ha un autocontrollo consi-stente sul movimento del proprio corpo.Tutte le caratteristiche del movimento umano che ab-biamo identificato come uniche possono essere vistenel modo sorprendente in cui un giovane bimbo ap-prende le prime parole con un genitore comprensivo,imitativo e giocoso.Una corrente scientifica si è formata, pochi decennifa, riguardo l’origine innata della musica, partendodalle analisi dei comportamenti nelle discussioni tragenitori e figli e trovando che i lattanti riconoscono epreferiscono i suoni vocalici (Deliège e Sloboda,1996; Trevarthen, 1999). La conclusione è che i bam-bini preferiscono suoni emessi da persone con carat-teristiche musicali, con un ritmo flessibile e con unaqualità narrativa drammatica. I bambini sono naticon una comunicabilità musicale e i compagni piùadulti costruiscono intuitivamente i loro comporta-menti in base alle preferenze musicali (Papousek, M.,1996). Così sono state create attività congiunte nelle qualiobiettivi e divertimento consapevole degli adulti e deibambini si mescolano attraverso l’improvvisazione onella composizione di un pezzo.Le performance genitori-figli mostrano un’ampiagamma di tempi e di caratteri, ma sono tutte caratte-rizzate da poliritmia e da melodiose inflessioni sono-re; queste caratteristiche, combinate in sequenze cicli-che, costituiscono episodi drammaturgici. Alcunecanzoni tipiche dei bambini di diverse culture e linguepossono dimostrare questi punti; i bambini, a 5 o 6mesi, riescono a imparare velocemente canzoni e apartecipare come abili musicisti.

Musica, memoria e storienelle canzoni per bambini

I messaggi trasmessi musicalmente – racconti senzaparole – sono spesso indimenticabili. Questi fissanonella mente esperienze momentanee difficili da scor-dare. Ogni popolo ha una propria cultura musicale etutti usano la musica e la danza per tramandare la lo-ro mitologia e la loro arte da generazione in genera-zione. I più creano e tramandano le tradizioni musi-cali ai giovani senza l’ausilio di registrazioni, ma at-traverso insegnamenti ed esibizioni dal vivo. La musi-ca folk e il jazz vivono e vengono ricordate nei con-

certi (Lomax, 1996; Blacking, 1969; Bjorkvold,1992). Sicuramente esiste un numero illimitato diversioni, ma un bel canto o una danza possono esserericordati in questo modo per molti secoli e tramanda-ti a nuovi ascoltatori o ballerini. Basti pensare a comeha migrato la musica folk. Dal Rajasthan alla Greciae Spagna, dall’Irlanda e dalla Scozia agli USA dove si èmescolata con la musica dei nativi americani, dallaSpagna al Messico e viceversa, dal Portogallo alGiappone e Brasile, dall’Africa in tutto il mondo.La musica dei bambini ha la stessa resistenza, passafelicemente da una cultura all’altra ed è condivisa danonni e nipoti. È altamente significativo che una can-zoncina per bambini, una volta ascoltata con atten-zione, risulti virtualmente indimenticabile come puramusica e che la musica dia alle parole un senso narra-tivo più ricco e più memorabile.La relazione melodia-memoria può spiegare una fun-zione chiave della musicalità o della poetica: la crea-zione di significati globali più condivisibili e più recu-perabili. La ricerca strutturale sulle canzoni per bam-bini in diverse lingue è stata molto utile per capire co-me vengono condivisi gli stati d’animo, gli umori e unracconto legato a un dialogo. La sfrontatezza, l’atten-zione, il sapore e la distrazione di un bambino posso-no essere rispecchiate e modificate da una canzone oda una musica puramente strumentale.Le reazioni alla musica provano che un bambino di 4mesi è attratto facilmente dalla musica: si muove eballa a tempo con mani e gambe e inizia a capire chele canzoni diventano il modo migliore per esprimeresicurezza nel gruppo (Trevarthen, 1999; 2002).Abbiamo raccolto e analizzato baby-songs in moltelingue; esempi dalla Grecia, dall’Italia e dalla Scozia,sono costruiti piuttosto similarmente: sono divisi invarie strofe, ognuna con 4 versi con l’eccezione dellaGrecia caratterizzata da doppi versi, così da ottenerestrofe lunghe il doppio rispetto a quelle italiane o in-glesi. C’è una caratteristica principale che li accomu-na: la rima tra il 2° e 4° verso. Ecco un esempio di canzone scozzese:Clappa, clappa handies, / Mummy’s at the well,Daddy is away to London, / To buy Leanne a bell.Attorno ai 4-6 mesi, i bambini diventano dei veriesperti nel pronosticare il tempo e il ritmo delle can-zoni infantili.Ad esempio, una madre inizia a cantare Round andround the garden, like a teddy bear alla sua Leanne di5 mesi, guardata con ansia dalla figlia. La bambinavocalizza esattamente sulla lunga vocale della parolabear e assembla i suoni delle vocali (Trevarthen e al-tri, 1999).Un ottimo film di Gunilla Preisler (Stoccolma), ri-guardante le reazioni di una bambina cieca di 5 mesiverso due canzoni familiari della madre, ci può spie-gare alcune cose (Trevarthen, 1999). La bambina ècoricata di schiena sul materasso, mentre la madre lasta allattando artificialmente e si diletta a cantare del-le canzoncine. La bimba è cieca dalla nascita e non hamai visto mani di altre persone, ma può accompa-gnare piccole parti della canzone con gesti espressivi

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Sarà perché hanno forme insolite, sarà perché sonooggetti animati da una loro voce, fatto sta che i ragazzisono in genere molto attratti dagli strumenti musicali. Ilpiù delle volte a soddisfare questa curiosità non bastadavvero il poco spazio a essi dedicato dai libri di testoo la buona volontà del docente che si trascina da casaquesto o quello strumento. Sfruttando Internet con laclasse possiamo senz’altro tentare un approccio piùampio e gratificante.Per quanto riguarda gli strumenti musicali presenti inorchestra si può incominciare con l’esplorazione di al-cuni siti in italiano, come ad esempio www.musicali-dea.com/Guida/Ita oppure www.provincia.venezia.it/smac/ipe98/strum.htm, allestito qualche anno addie-tro dalla scuola media annessa al conservatorio di Ve-nezia. Tuttavia essi non raggiungono la completezza dialtri siti in lingua inglese, verso i quali sarà allora benefare rotta se si vuole impostare un lavoro più completoe attraente.Affidiamo ad esempio alla classe il compito di esplora-re in Rete le famiglie orchestrali (archi, legni, ottoni,percussioni), imparando ad associare a ogni strumen-to il suo timbro caratteristico. Fra i tanti siti adatti aquesto scopo segnaliamo datadragon.com/ educa-tion/instruments e library.thinkquest.org/11315/ in-strum.htm, dove sono presenti degli esempi sonori informato wave o aiff che si possono ascoltare diretta-mente o scaricare sul disco rigido.Il lavoro diventa più interessante se ai ragazzi si pre-sentano gli strumenti musicali non come semplici og-getti sonori, ma come straordinarie testimonianze diculture diverse nello spazio e nel tempo: ecco allora

che lo strumento musicale si trasforma davvero in stru-mento di indagine e conoscenza della realtà. Seguen-do questa impostazione si può programmare un’attivi-tà didattica volta a far scoprire alla classe gli strumentimusicali di mondi più o meno lontani dal nostro. Taleattività ben si presta a essere effettuata online a picco-li gruppi: ognuno di questi dovrà esplorare una serie disiti con il compito di redigere per ogni strumento pre-scelto una scheda multimediale, ovvero una tabellache preveda la descrizione scritta dello strumentostesso, una serie di fotografie e/o disegni e, quando èpossibile, qualche esempio audio dimostrativo del tim-bro caratteristico. Il tutto naturalmente da scaricaredalla rete, stando bene attenti a non violare alcuncopyright!I siti che possono essere fruttuosamente consultati so-no naturalmente molti: cominciamo con il consigliarneuno in italiano, Cupa Cupa (www.cupacupa.com/stru-menti/index.asp), che fa parte di un bel portale dedi-cato all’etnomusicologia, ma che purtroppo non offreuna grande scelta e neppure esempi d’ascolto. Cosìcome non ne offre il pur curato www.si.umich.edu/ CHI-CO/instrument, dove tuttavia è possibile trovare un’am-pia rassegna di strumenti da tutto il mondo. Registra-zioni in formato wave da scaricare sul proprio harddisk si possono invece trovare presso il sito denomina-to Musical Instruments of the World (www.eyeneer.com/World/Instruments/index.html).Infine un ultimo consiglio: non tralasciate la consulta-zione di qualche sito commerciale di vendita di stru-menti online, come ad esempio quello della EthnicMusical Instrument Company (www.mid-east.com),che consente di rintracciare foto di strumenti inusualisovente di alta qualità.

Strumenti di conoscenza

AUGUSTO PASQUALI

delle mani che mostrano intelligenza, precisione e tal-volta anticipazione della melodia. La bambina muoveentrambe le mani, tocca i vestiti, la bottiglia e il muo-ve in aria. La mano sinistra è più attiva e in alcunipunti delle canzoni compie gesti delicati intricati cheuniscono le variazioni di pulsazione e melodia conforme appropriate, ondeggiando, estendendo e giran-do le dita. I suoi gesti raccontano il messaggio in mi-mo, non in modo verbale. La bambina riesce quindi aballare su questi momenti drammatici e sul progressodi questo piccolo “mito”. Si può notare che svolgetutto questo con movimenti corretti, quasi come fa-rebbe un direttore d’orchestra allenato.Lei sottolinea l’andamento della storia, accentuando

le note acute, piegandosi da una parte per seguire l’im-peto dell’energia, chiudendo in modo eloquente le di-ta e le mani per simboleggiare la chiusura di una frasemusicale. La cosa ancora più sorprendente consistenella capacità di anticipare con gesti per un terzo di se-condo la melodia e i cambi di ritmo. È chiaro che labimba riconosce le canzoni e che le recita in piccolaparte a memoria: subito dopo l’inizio della secondacanzone la bimba si muove e sorride e questo fa sicu-ramente sorridere anche la madre.È evidente che madre e neonato, a un certo livello, so-no esecutori competenti sullo stesso piano.La bambina è profondamente percettiva e attenta aisottili tratti musicali del canto che non sono rappre-

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i sentabili completamente né nel testo né nella partitu-ra. La canzone cantata dalla madre non è presa dauno spartito, ma è fedele all’intenzione musicale. Leiparla uno svedese corretto, ma non è tanto il testo cheinfluenza la bambina, quanto piuttosto il ritmo e l’e-spressione melodica. Spettrografi mostrano sotti-gliezze di interpretazione che mancano alle notazionimusicali o ai testi scritti delle poesie.L’idea di guardare la coreografia e la comunicazionemusicale allo stesso tempo si sta rivelando molto uti-le nel chiarire come la bambina e la madre possanocoordinare le loro espressioni così precisamente e connaturalezza. Siamo infatti del parere che un bimbopiccolo dovrebbe esprimere se stesso più con gesti de-licati che con la sua voce.Bisogna quindi prestare attenzione alla danza del bim-bo durante un discorso o una canzone della madre.Questo potrebbe essere collegato con lo sviluppo del-l’alfabeto muto dei bambini sordi. Un bimbo sordocon meno di un anno, soprattutto se ha genitori che co-noscono tale linguaggio, potrebbe iniziare a balbettarea gesti attorno ai sei mesi in modo ritmico, come fa unbambino normale quando balbetta (Petitto e Marenet-te, 1991; Petitto e altri, 2002). Mentre le mani studia-no la lingua come la voce, il bambino acquista semprepiù una migliore espressione mimica. È per questo mo-tivo che utilizziamo gesti durante una discussione, co-me supporto alla lingua per una migliore comprensio-ne (Golden-Meadow, 2003). I due sistemi quindi si so-no evoluti in modo complementare.

Il potere della musica di confortare e guarire

Una malattia emozionale è espressa da un esaurimen-to di fiducia e confidenza e da una perdita di stimolial movimento. L’impulso di capire viene infatti osta-colato da paura o collera e viene a mancare il con-trollo. Le espressioni degli altri sono difficili e dure dacapire e da controbattere e la persona malata vienesopraffatta da stanchezza, vergogna e paura. Ci sonoinoltre tipologie di tutti i disordini dello sviluppo deibambini, che vengono contrassegnate, in termini dia-gnostici, come forme di autismo, ADHD, sindrome diDown ecc.Al centro di questi disturbi dello spirito umano e dellasua socievolezza c’è la mancanza di una comunicazio-ne musicale, o di limitazioni nella conversazione musi-cale. Questo è il motivo per cui un esperto di musico-terapia può aiutare dando al paziente forza e confiden-za per i propri sentimenti, sostenendo quelli deboli ecalmando quelli agitati, comunicando stati intersog-gettivi gratificanti e migliorando le performance moto-rie ed emozionali, raggiungendo l’armonia della comu-nicazione interpersonale (Trevarthen e Malloch,2000). La forza della sensibilità musicale comunicativaè maggiormente evidente quando il paziente è seria-mente affetto da handicap mentale o da psicosi e appa-rentemente incapace di azioni volontarie come modifi-care l’espressione in caso di tristezza e panico (Aldrid-ge, 1996; Wigram e De Backer, 1999).

La musica può lavorare molto bene con un bambinotroppo esuberante, intollerante o incapace di parlarein modo da farsi capire dagli altri. Lo si può rendereentusiasta e contento di creare un dialogo musicalecon un partner (Robarts, 1998; Trevarthen, 2001b).In psichiatria, relazionando con chi è privo di spiritod’azione, è necessario cercare di salvare coloro chenon riescono a fare connessioni. Per riuscire non èsufficiente esercitare l’apprezzamento alla vita e l’au-tostima in una attività sociale, ma abbiamo bisognodi sapere di più cosa significhi questo nella vita inter-personale e nel suo sviluppo.L’analisi della musicoterapica può rivelare come lamusica aiuti i pazienti a recuperare il controllo e a di-ventare volonterosi, a comunicare liberamente conun’altra persona (Pavlicevic e Trevarthen, 1989; Pa-vlicevic e altri, 1994).Se una madre non reagisce con precisione ritmica inun dialogo o con espressioni facciali, un bambino didue mesi potrebbe diventare chiuso e disinteressato.Se invece la madre fosse soggetta alla depressionepost-parto troverebbe difficile soddisfare i bisogni delbambino. Abbiamo usato le analisi per dimostrare inche modo il discorso della madre diventa musical-mente stonato. Louiss Robb (1999) ha scoperto chela parlata della madre depressa ha un’intonazionetroppo bassa e manca di una regolarità ritmica suffi-ciente a dare al neonato una piccola possibilità dipartecipazione musicale. Maya Gratier (1999) hascoperto che le madri indiane immigrate a Parigi uti-lizzano un tono di voce più basso con i loro figli ri-spetto alle madri francesi in Francia o a quelle india-ne in India.Evidentemente il semplice fatto di trovarsi fuori dallacomunità natale e dalla propria cultura può renderepiù insicura una madre, anche nell’ambito relaziona-le con il figlio. Sentirsi parte di una comunità è im-portante sia per la felicità del bimbo sia per quelladella madre.

La musicalità nell’insegnamentostimola collaborazione e creatività

In campo educativo riteniamo l’entusiasmo e la con-sapevolezza dell’ansia per lo studio componenti chia-ve per un insegnante che deve essere in grado di vede-re nuove potenzialità nelle quali operare. “Teaching-learning” (insegnare ascoltando) è un’attività colla-borativa, realizzabile efficacemente con gruppi di stu-denti. Come afferma Bruner (1996): «l’insegnamentoè soprattutto intersoggettivo oltre che istruttivo». Lasua motivazione e il suo scopo è la scoperta condivi-sa, non il raggiungimento di traguardi prescritti in uncurriculum che vede l’intero processo con i suoi risul-tati dall’inizio, come il piano della produzione an-nuale in un’azienda. Se le arti creative vengono viste come un essenzialeprodotto della natura umana, piuttosto che un’abilitàacquisita e una serie di formule tradizionali per la co-stituzione di costrutti e racconti, si dovrebbero allora

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trovare standard di bellezza condivisi. Riflettendo suquesto problema, Dissanayake (2000) ha notato chela ricerca dei bambini per un compagno intimo puòcontribuire a capire perché l’arte è importante pressola società umana. Musica, danza, teatro, letteratura earti visive – scultura, pittura, architettura e disegno –sono praticate così intensamente e con tali emozioni,condivise o discusse così prontamente, che il pensierorazionale e il sistema formale di analisi falliscono nelraggiungimento di un giudizio umanitario.La socializzazione dei bambini ai primi passi e la co-struzione di una propria autonomia nel periodo pre-scolastico sono elementi basati su responsabilità edisposizione a imparare e dipendono dalla compren-sione reciproca tra genitori e bambini (Forman e Ko-chanska, 2001). Si presume che questa sensazione distati d’animo espressi durante una comunicazione siaun fattore chiave nello studio scolastico (basato sullacomunicazione tra insegnante e alunno).Anche questo può essere esaminato. Stiamo proget-tando una ricerca con gli insegnanti volta a scoprirecome ottenere una scuola più divertente e più efficaceper quanto riguarda il tono vocale degli insegnanti.Malloch userà programmi per misurare il ritmo e lamusicalità espressiva della conversazione in classe,analizzando i video della registrazione sonora del dia-logo tra insegnante e allievi. Speriamo di chiarire co-me la qualità della comunicazione di un’insegnantepossa aiutare i bambini, pensando, imparando e gua-dagnando sicurezza nel loro capire e nei loro schemi.Riteniamo che questo darà agli insegnanti una mag-giore consapevolezza del proprio metodo d’insegna-mento e agli allievi una maggiore soddisfazione di ap-prendimento. È stato dimostrato che gli insegnantiguadagnano in comprensione, confidenza e migliora-no il lavoro con ragazzi, attratti dal loro modo di co-municare.

Ritmo e armonia nell’ecologia vocale

Erickson, ora professore di etnologia dell’educazionea UCLA, ha riportato in notazione musicale le intera-zioni vocali di un insegnante con un gruppo di bam-bini. Così facendo ha scoperto che le parole accenta-te e le sillabe creavano un senso ritmico nel dialogo,evidente anche nei gesti del corpo e nello spostamen-to dello sguardo. In un effettivo discorso in classe, lesillabe accentate creavano un andamento ritmico equesta coerenza ritmica nella pronuncia mantenevauniti pensiero e linguaggio della classe. Conclude di-cendo che la regolazione del tempo sembra essere ciòche unisce l’intera ecologia dell’interazione nella suaesibizione, in entrambi suo reciproco e complementa-re aspetto (Erickson, 1996).Una focalizzazione sui tempi delle iterazioni nellaconversazione mette in luce la narrazione come unaunità di pensiero (Bruner, 1991).Un ritmo e una prosodia chiari e comprensibili con ibambini piccoli aiutano sia lo studio che il pensierodella lingua. La proposta che facciamo consiste nel-

l’estendere il metodo di studio ritmico e le qualitàemozionali del discorso degli insegnanti a quello deibambini piccoli. Si conosce ancora abbastanza pocoriguardo ai dettagli della risposta del bambino all’in-segnante; la ricerca è infatti focalizzata sull’analisi delcontenuto del discorso dell’insegnante. In uno studiosperimentale fatto a Fife, Scozia, Robb e altri (2003)osservarono che gli insegnanti esperti e competentierano più attenti, umoristici, e davano agli allievi ri-sposte più tolleranti, accomodanti, riconoscenti e me-tacognitive.Stavano sempre in contatto e mantenevano unitol’intero gruppo. L’analisi dello spettro vocale, usatocon i bambini, mostrava che il tempo e la metrica deimessaggi dell’insegnante erano molto importanti. In-segnanti efficaci hanno mostrato maggior sintoniareciproca con gli allievi nel profilo vocale, nella for-mulazioni di frasi coerenti, in scambi di turno nonambigui.Questi risultati indicano che occupandosi della quali-tà della comunicazione nello stesso modo in cui ci sioccupa del contenuto, si può migliorare l’insegna-mento e l’apprendimento. Mettono in luce l’impor-tanza del modo di parlare degli insegnanti e suggeri-scono che i significati emotivi nella voce possono ge-nerare partecipazione, autostima e motivazione.L’esplorazione della musicalità nella vita di un bam-bino conferma l’idea che l’espressione libera e ami-chevole di quello che noi chiamiamo impulso emoti-vo intrinseco del movimento e del sentimento è ne-cessario per lo sviluppo della mente e della saluteemotiva.Questo è il motivo per cui la musica ha un valore uni-co e permanente per l’educazione e per questo la co-municazione musicale può essere una terapia tantopotente. Catherine Bateson, antropologa e linguistache diede il nome alla protoconversazione si convinseche i talenti innati di un bambino sono il fondamentosia dell’apprendimento del linguaggio sia delle «prati-che di benessere rituale» (Bateson, 1979).Tutte le magnifiche creazioni di artisti ed esecutorimusicali provengono dalla stessa fonte innata nellanatura umana, che la scienza psicologica sta appenainiziando a capire.

(traduzione di Marco Dal Bon)

L’articolo riprende il testo apparso in un numero speciale di Mu-sicae Scientiae, the Journal of the European Society for the Co-gnitive Sciences of Music (ERSCOM), intitolato “Rhythm, Musi-cal Narrative, and Origins of Human Communication”, 1999,ISSN 1029-8649.

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Paul McCartney racconta di aver attraversato, quandoera un ragazzo alle prime armi con la musica, tutta lacittà di Londra per andare a casa di un chitarrista chesapeva suonare un accordo fantastico e bellissimo:l’accordo di do settima diminuito. A leggere questa sto-riella viene un po’ da ridere ai musicisti classici, chechiamano questo stesso accordo “accordo di quintaspecie” o settima di sensibile, o settima diminuita sudo, e possono trovarlo accuratamente classificato, eti-chettato e descritto anche nel più banale manuale diarmonia (la scienza degli accordi). Ma la storiella in realtà dice un’altra cosa: che i musi-cisti non classici si innamorano degli accordi peraverli sentiti, qualche volta non sanno nemmeno co-me si chiamano ma li usano; quelli classici invece lidevono studiare sulla carta (dei libri) e solo in qual-che raro caso li riconoscono quando li sentono con leorecchie. Accordo è, per definizione, l’esecuzione contempora-nea di più suoni. Una definizione apparentementechiara e semplice, in realtà problematica come un ni-do di vespe. Perché potrei dire:a) il rumore del traffico che entra in questo momentodalla finestra, fatto dalle sovrapposizione di più suoni,motori, clacson, frenate, sgommate, urla di tassisti ne-vrotici, radio con la techno a tutto volume, una sirenadi ambulanza ecc. è un accordo;b) chiuso nel silenzio di una stanza isolata acustica-mente, emetto un unico piccolo suono con la voce edato che, a voler essere precisi, in questo suono sonopresenti suoni diversi detti armonici, anche questo èun accordo;c) tutti gli strumenti di un’orchestra gigantesca produ-cono contemporaneamente lo stesso suono: è un ac-cordo sì o no?Andare per il sottile dal punto di vista acustico compli-ca maledettamente le cose, inoltre molti serissimi e po-sati musicisti giurano che il rumore del traffico non èun accordo. E allora? Come sempre bisogna fare i con-ti con chi hai davanti, cioè con il contesto culturale. Ilconcetto stesso di accordo (musicale) ha probabil-mente una data di nascita e una storia tutt’altro che li-neare.Per il musicista rinascimentale, ascoltare i tre suoniche compongono l’accordo di re minore, sapere chequesti suoni hanno fra loro dei rapporti matematiciprecisi, verificare che la sonorità complessiva è qual-

cosa di bello e gradevole per l’udito, era probabilmen-te la dimostrazione inequivocabile che esisteva l’armo-nia delle sfere, che l’intero universo era governato darapporti matematici e armoniosi, che Pitagora avevastramaledettamente ragione nelle sue teorie.Oggi la triade di re minore è un costrutto culturale tratanti altri, qualcuno usa ancora costrutti di questo ti-po, altri non più. Quindi esistono musiche dove gli ac-cordi ci sono e sono importanti e accuratamente sele-zionati e costruiti e altre dove gli accordi, pur essen-doci, sono meno importanti e non sono il fattore cru-ciale. L’intera storia della musica occidentale recentepuò essere vista, e di fatto è stata vista spesso, comeuna progressiva conquista di costrutti accordali sem-pre più ricchi e complessi.Molti musicisti hanno addirittura elaborato un sistemadi accordi personale (Hindemith) o hanno trovato ac-cordi “personali” ai quali erano particolarmente affe-zionati (l’accordo mistico di Scriabine, la dominante diGershwin). Altri hanno scritto intere opere musicalielaborando un singolo, meraviglioso accordo (La Sa-gra di Stravinsky). Quando il sistema armonico tonalenon ce l’ha più fatta a raccontare con i propri schemiquello che stava succedendo agli accordi, sono natinuovi approcci descrittivi e classificatori o, come qual-cuno preferisce chiamarli, “agglomerati o insiemi disuoni”, ad esempio la Pitch Set Theory di Allen Fortee altri. Un’applicazione della teoria degli insiemi diKantor all’analisi e teoria musicale.Come ho già detto, la parte della teoria musicale che sioccupa degli accordi si chiama armonia. I manuali diarmonia che sono stati scritti e pubblicati negli ultimisecoli sono diverse migliaia. Dicono quasi tutti le stes-se cose, e in più di qualche caso, sia antico che mo-derno, gli autori si scopiazzano fra loro.Quando qualcuno mi chiede da cosa è meglio comin-ciare lo studio dell’armonia io propongo un esercizioun po’ brutale, assente da tutti i manuali che conosco:«Prendi uno strumento che possa produrre più suonicontemporaneamente, prova delle combinazioni e so-vrapposizioni di suoni a caso, se ne incontri qualcunache ti piace, fermati e annotala sul quaderno. Continuacosì fino a quando non hai riempito almeno un paio diquaderni». Di solito, lo studente che usa le orecchie,arrivato alla quarta pagina ha già le idee chiare su co-sa vuole dal punto di vista degli accordi.Poi si comincia a studiare tutta la storia, ma la fedecieca (e sorda) nel manuale di armonia è un pericoloscongiurato per sempre.

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FRANCESCO BELLOMI

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L’immaginario sonoro di bambini e adulti cambia ra-pidamente, in relazione al trasformarsi dell’ambientein cui si vive e degli oggetti che la cultura e il mercatopropongono e che diventano a poco a poco familiari.I suoni del quotidiano infatti non solo costituisconola colonna sonora che ciascuno associa alla propriastoria e ai significati affettivi e sociali particolari, macostruiscono giorno dopo giorno i nostri gusti musi-cali e le nostre abitudini d’ascolto, anche quando nonne siamo davvero consapevoli, o quando influisconoper contrapposizione.Ciò che cambia nell’esperienza musicale non è dun-que solo la tipologia dei suoni più familiari (oggi pro-babilmente quelli meccanici ed elettronici tendono aprevalere su quelli naturali), ma anche il significatoche ciascuno di noi attribuisce alle varie tipologie:non cambia solo la qualità dei suoni ascoltati, ma an-che le categorie emozionali e simboliche con cui ven-gono percepiti ed elaborati.E in questo trasformarsi dei gusti, talvolta può capi-tare di stupirsi piacevolmente per la raffinatezza che ibambini dimostrano nelle loro scelte musicali. Comead esempio (è capitato in una scuola dell’infanzia,con bambini di quattro e cinque anni) l’eliminazionedella sigla dei loro cartoni preferiti a favore di tre mi-nuti di Stomp, spettacolo di percussioni che mette inscena le potenzialità musicali di oggetti comuni, e cheoffre l’ascolto di una texture ritmica, perfetta e can-giante eseguita da bastoni, considerata decisamentepiù interessante.Questa scelta, apparentemente poco convenzionale, èforse soltanto lontana dall’immaginario musicale chespesso chi parla di educazione continua ad attribuireall’infanzia e invece molto congruente con la realtàsonora contemporanea abitata anche dai più piccoli,e può essere un interessante punto di partenza per in-

terrogarsi sui criteri che oggi determinano gusti ecompetenze musicali dei bambini.

Il quotidiano e la musica

Chi lavora nella scuola ha continuamente l’occasionedi verificare quanto l’ambiente sonoro in cui si vive, esoprattutto la relazione che con esso si stabilisce, con-dizionino i modi di approccio e di conoscenza dellamusica nei bambini. I suoni che li circondano a casa,in strada, a scuola, quelli che incontrano attraverso ilcinema, la televisione, la radio, quelli che produconoin prima persona per svariati motivi (evidenziare unostato d’animo, ricordare qualcuno o qualcosa o an-che semplicemente per il puro piacere di farlo) costi-tuiscono un patrimonio musicale estremamente ete-rogeneo che costruisce la loro cultura musicale, maanche i modi di intenderla.Mi sembra poi importante ricordare che nei bambinil’esperienza musicale è sempre fortemente permeatadal piacere legato alla percezione dei suoni e alla ca-pacità di viverli anche attraverso una corporeità chesa entrare in risonanza con le loro caratteristiche,scoprendone le infinite possibilità combinatorie. Gliadulti si sono invece così allontanati dalle capacitàsensoriali che avevano alla nascita, da non riuscirepiù a percepire la ricchezza degli stimoli sonori pre-senti nell’ambiente, né a comprendere il piacere che ipiù piccoli traggono nello scoprirli. Abituati ad ac-contentarsi di un ruolo di ascoltatori, più o menocompetenti, che prevede l’elaborazione concettualecome unica modalità cognitiva, considerata più evo-luta ed efficace, gli adulti tendono ad attribuire pocovalore alle esperienze sonore che utilizzano il corpo ela sensorialità come strumenti privilegiati.

Esperienze musicalia misura di bambino

In un contesto culturale che sempre piùspesso prevede la multimedialità come formadi comunicazione, è necessario individuaremodalità di intervento educativo checonsiderino l’esperienza extrascolastica deibambini come risorsa per l’apprendimento.In questo articolo, che riprende l’interventopresentato al convegno Siem di Rimini delloscorso aprile, l’autrice suggerisce alcunedirezioni per costruire nuove metodologiedidattiche.

FRANCA MAZZOLI

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iEppure, basta stare accanto a un bambino che esploracon attenzione una scatola di latta o un sonaglio, no-tando l’interesse che lo immobilizza quando per casoviene scoperto un suono nuovo, o la caparbietà concui cerca di ritrovare una, due, tre, infinite volte un ef-fetto desiderato, per il piacere della scoperta che lamanipolazione del suono può regalare. Ed è impor-tante sottolineare che questo piacere legato all’attivitàesplorativa si ricollega a processi di analisi e rielabo-razione degli elementi che entrano in gioco, e quindipossiede già una dimensione simbolica significativa.Al contrario, si tende ancora a considerare le esperien-ze esplorative dei bambini soltanto nei loro aspetti piùconcreti, dimenticando che nei primi anni di vita la di-mensione senso-motoria del gioco ha un ruolo centra-le non solo nell’organizzazione delle azioni, ma anchedel pensiero. La conoscenza passa infatti attraverso lasperimentazione, la ripetizione e l’elaborazione diazioni motorie che costruiscono schemi logici e com-petenze simboliche fondamentali che continueranno aessere importanti (e devono essere alimentate) anchequando verranno acquisiti strumenti cognitivi legati allinguaggio verbale e al pensiero astratto. E poiché og-gi i linguaggi non verbali sono ormai parte integrantedella cultura contemporanea, i più piccoli sono abi-tuati a decodificare suoni e immagini che hanno unruolo essenziale nella comunicazione multimediale, esviluppano forme di pensiero che prevedono non solol’astrazione, ma anche l’immersione come modalità dipercezione ed elaborazione cognitiva. È quindi sempre più urgente che gli adulti diventinoconsapevoli della dimensione cognitiva dell’esperienzacorporea, sensoriale e motoria, che non si limita all’ac-quisizione di competenze legate alla percezione e almovimento, ma costruisce strutture di pensiero e dielaborazione linguistica che i bambini applicano ancheal di fuori dell’ambito senso-motorio, oggi valorizzateda molti ambienti di esperienza (televisione, computer,videogioco), anche se poco considerate a scuola.

Multimedialità e apprendimento

Paradossalmente, nei laboratori di educazione musi-cale proposti nelle scuole (dell’infanzia, elementare emedia), spesso i bambini esprimono un sapere musi-cale fortemente radicato nell’esperienza televisiva, ar-gomentato attraverso convinzioni dedotte da unafruizione attenta e spesso critica. A cinque, sei anni, ad esempio, i consumatori più af-fezionati dei documentari sugli animali, affermanocon grande tranquillità che «quando arrivano i leoni ole tigri si sentono sempre i tamburi» e che invece«quando ci sono i pesci che nuotano si sente quellostrumento come un carillon dei bambini piccoli» (cioèl’arpa, che non è conosciuta come oggetto, ma identi-ficata come timbro). Verso i dieci anni, molti bambiniconoscono empiricamente, ma in modo assai preciso,la funzione della colonna sonora, e sono capaci di sin-tesi efficaci come: «si può sentire anche quello che nonsi vede, e poi ti sembra di averlo visto».

Certo i bambini non sanno definire in termini tecniciquando nell’audio televisivo compaiono suoni in, offe over, ma sanno perfettamente comprendere gli in-tenti narrativi del prodotto che guardano sulla basedei suoni che compongono la colonna sonora, distin-guendo tra quelli che mirano a un effetto realistico oinvece fantastico. Come l’hanno imparato?Semplicemente guardando e ascoltando, cogliendoconnessioni significative tra elementi casuali e ricor-renti, e deducendo a poco a poco la struttura gram-maticale del linguaggio televisivo che li vede spettato-ri più attenti e meno passivi di quanto gli adulti pos-sano pensare.Ovviamente si tratta di un percorso di scoperta e ri-elaborazione del tutto autonomo e sotterraneo, cheutilizza criteri molto diversi da quelli dell’alfabetizza-zione scolastica, perché diverse sono le modalità diapprendimento richieste dai singoli linguaggi. Nei linguaggi che operano per astrazione è infatti lagrammatica, cioè l’insieme di regole che assegnano si-gnificato ai segni e alle loro combinazioni, a guidarele modalità della visione e a trasformare ciò che vienepercepito in messaggio. Nei prodotti multimediali,invece, la combinazione tra visione e ascolto offre lapossibilità di accedere a messaggi complessi anchesenza conoscere la grammatica di riferimento, perchési può leggere il prodotto con strumenti legati allasensorialità, scoprendo a poco a poco le connessionitra i diversi elementi linguistici, fino ad arrivare a pa-droneggiare l’alfabeto di riferimento. Uno stesso testo televisivo può quindi essere letto inmodi molto diversi, in relazione alle strutture di ap-prendimento che si utilizzano: gli adulti, formati dauna cultura prevalentemente alfabetica, tendono a leg-gere i testi secondo un approccio lineare che privilegiala narrazione per sequenze, in coerenza con quantostabilito dalle grammatiche di riferimento acquisite.Al contrario i bambini e i ragazzi, cresciuti in una cul-tura che utilizza logiche di apprendimento per immer-sione, tendono a ricercare particolari e nessi narrativisecondo schemi reticolari, che progressivamente met-tono a fuoco alcuni particolari del testo e li colleganoad altri, secondo criteri arbitrari e personali.Un bambino e un adulto che guardano e ascoltano in-sieme la Tv, spesso non vedono né ascoltano lo stessotesto audiovisivo, perché lo decodificano secondoschemi percettivi e analitici molto diversi. L’adultotenderà a cercare la storia, la linearità, la sequenzacausa/effetto. Il bambino sarà invece più attratto dairapporti figura/sfondo, suono/immagine, da analogievisive e sonore, ritmi sincroni o asincronie.I modi in cui la Tv oggi confeziona la sua componen-te audio, condiziona i bambini nello sviluppo di for-me di pensiero basate sulla combinazione tra visionee ascolto. Perché oltre a rendere presente ciò che nonsi vede, come precedentemente affermato, il suonoviene abitualmente utilizzato nei testi televisivi persottolineare o aggiungere significato emotivo alle im-magini, evidenziare una polisemia, scandire i tempi dichi guarda secondo un ritmo predeterminato. Dun-que la sua presenza e le modalità con cui viene orga-

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i nizzato risultano sempre determinanti nella costru-zione del significato delle immagini e del flusso di pa-role che attraversa continuamente l’audio di qualun-que programma televisivo. E proprio questa varietà di utilizzo e di combinazionetra suoni, musica e immagini risulta spesso l’elemen-to che rende così attraente per i bambini stare davan-ti al televisore, qualunque sia il tipo di programma inonda al momento: perché sono più interessati a capi-re il linguaggio utilizzato che non i singoli contenutiche di volta in volta vengono proposti.Così, nonostante i prodotti della nostra televisione sia-no quasi sempre spazzatura sul piano del contenuti, equindi risultino inevitabilmente insoddisfacenti per gliadulti che li leggono secondo un’ottica alfabetica, il lo-ro standard di alta qualità a livello tecnico coinvolge esoddisfa chi è disposto a immergersi nel ritmo visivo esonoro costruito da apparato scenico, luci, regia, sono-ro, ritmo di montaggio estremamente curati.Per accettare questa differente visione dello stessoprodotto, e conferire dignità cognitiva anche all’espe-rienza televisiva dei bambini, può essere utile ricorda-re la complessità del meccanismo di lettura non alfa-betica, ampiamente acquisita in campo artistico. Datempo infatti l’arte contemporanea ci ha abituato aconsiderare del tutto accettabili anche elaborati “sen-zatitolo” o con titoli-didascalia che indicano soltantoil materiale o la tecnica utilizzati dal’autore. Il mecca-nismo implicito in questo tipo di definizione valoriz-za più l’interpretazione di chi è chiamato a leggerle,ed evidenzia la molteplicità dei significati che posso-no essere attribuiti allo stesso oggetto, senza preferir-ne uno in particolare, ma accogliendo ogni interpre-tazione possibile.È forse questo il segreto per leggere con occhi criticila televisione di oggi, mettendo in secondo piano icontenuti (o criticandoli in modo radicale, unitamen-te a quelli proposti da stampa e radio!), e concen-trando l’analisi sulle modalità linguistiche utilizzate,considerate esse stesse messaggio.

Effetti collaterali

È innegabile che l’onnipresenza quotidiana di suone-rie di telefoni cellulari e attese telefoniche, sigle tele-visive e radiofoniche che propongono strutture musi-cali banalizzate e semplificate nella loro qualità tim-brica e armonica, se forse rende più familiari frasi esequenze melodiche, nello stesso tempo allontana dalpiacere sensoriale che può regalare l’ascolto, appiat-tendo la qualità del suono a una gamma molto ridot-ta. In questo senso la maggiore quantità di occasionidi contatto con materiali musicali non si traduce inuna maggiore capacità di percezione e conoscenza,ma al contrario genera una diffusa incapacità diascoltare e comprendere i fenomeni musicali, troppoincessantemente presenti nella nostra vita per poteressere apprezzati o per lo meno selezionati e distinti,rispetto alla loro diversa qualità. E anche per i bambini, sono troppi gli oggetti a loro

disposizione che producono suono in modo inutile ecasuale dovuto all’inserimento di microchip musicali(nei libri cartonati, nei pupazzi, negli oggetti in pla-stica, addirittura in miniaturizzazioni in plastica distrumenti musicali!) che invece di arricchire le loropossibilità di scoperta, le impoveriscono o addiritturale bloccano. L’onnipresenza di queste nenie ripetitivee immodificabili, che si attivano indipendentementeda ciò che il bambino desidera o intende fare, tendead alienare il valore dei suoni, facilmente riproducibi-li con la tecnologia digitale, ma fuori da un contestosignificativo (perché legato a un’azione diretta e in-tenzionale) e di bassissima qualità timbrica.Perché i bambini possano ricostruire un rapporto si-gnificativo con la musica e i suoni, è quindi necessa-rio da un lato potenziare le occasioni di sperimenta-zione diretta di giochi esplorativi che, mettendo ingioco corpo, oggetti, voce, consenta di ricostruire unlegame personale con la produzione di suono, dall’al-tro cercare di costruire situazioni di confronto e discambio che permettano di saldare l’esperienza diproduzione diretta alle competenze acquisite attra-verso l’ascolto, televisivo e non. In assenza di questa possibilità, credo inevitabile assi-stere a uno scollamento abbastanza pericoloso tra lacultura personale dei bambini e dei ragazzi e quellaufficiale, riconosciuta dalla didattica, a sua volta lon-tana dalla cultura del quotidiano che comunque agi-sce sia comunicando contenuti specifici, sia alfabetiz-zando rispetto a modalità linguistiche in continuaevoluzione.E proprio per questo continuo contatto con prodottiche utilizzano suoni e musiche per assolvere a svaria-te funzioni espressive e comunicative, credo che ibambini abbiano oggi particolarmente bisogno diun’educazione musicale che superi il concetto di pro-pedeutica come preparazione orientata al futuro ac-cesso ai linguaggi musicali codificati, e offra contestie strumenti che consentano di approfondire e com-prendere le esperienze musicali vissute nel quotidia-no, sviluppando una competenza linguistica legataagli interessi (e alle competenze) presenti. Ma la pos-sibilità di collegare le attività di esplorazione e riela-borazione musicale ai modelli linguistici appresi at-traverso l’ascolto (nei quali prevalgono di solito le as-sociazioni suono/immagine che i bambini hanno spe-rimentato giocando con il loro game boy, o con laplaystation, o anche seguendo di puntata in puntata illoro cartone preferito) dipende in larga parte dallacapacità dell’adulto di costruire una situazione di gio-co che consente di esprimere i modelli acquisiti e,progressivamente, variarli secondo criteri differenti,attraverso la ripetizione e il confronto, accolti comepratiche creative.

Supportare e rallentare

Anche in campo musicale, i bambini di oggi sembra-no risentire di un’ipernutrizione che non permette dimetabolizzare correttamente il flusso continuo di sti-

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imoli in entrata e non concede il tempo necessario percomprenderli e acquisirli come patrimonio culturalepersonale, metterne a fuoco caratteristiche linguisti-che e di contenuto, operare scelte consapevoli e real-mente intenzionali. Piccoli e giovanissimi sono seg-menti di mercato molto appetibili, con una capacitàdi decisione propria, anche se mediata dalla disponi-bilità economica dei genitori: capita sempre più spes-so di incontrare bambini al di sotto dei dieci anni, ac-compagnati da genitori rassegnati e non viceversa! Le proposte che il mercato rivolge ai più giovani, at-traverso promozioni coinvolgenti collocate in modostrategico nei palinsesti a loro dedicati, trovano nelflusso comunicativo “troppo pieno” la condizioneideale per ottenere come risposta prevedibile (e previ-sta) un determinato consumo musicale. Ma il rapidoalternarsi delle mode e dei gruppi che trovano il favo-re temporaneo, entusiasta quanto effimero, del pub-blico giovanile, mette in evidenza la sua scarsa inten-zionalità, troppo in subordine a quella ben organiz-zata delle case di produzione, musicali e non. Dunquesi ha l’impressione di un effetto di coinvolgimentomolto epidermico, basato più su un apparato sedutti-vo che non sul valore dei singoli oggetti, potenzial-mente disponibile al confronto e all’integrazione conaltri mondi musicali. Quali percorsi di educazione musicale si possono pro-porre a bambini e ragazzi che vengono a scuola con ilwalk-man, a casa hanno spesso un impianto hi-fi per-sonale, magari sanno masterizzare le loro compilationsu cd o scaricare gli mp3 da Internet, che quotidiana-mente affollano le aule scolastiche, con la testa giàmolto “ben piena” della musica che pensano di averscelto personalmente, ma anche di quella che invece èlegata all’onnipresenza di suoni e musica nel contestocontemporaneo? In che modi la scuola può risponde-re alle loro evidenti esigenze formative, senza disatten-dere il proprio mandato didattico, ma anche evitandodi contrapporre i propri contenuti e modalità cogniti-ve a quelli già così radicati nella loro testa? Se un tempo la qualità dell’insegnamento poteva mi-surarsi anche sulle opportunità di accesso alla musicache poteva offrire, oggi risulta certamente più legataalle possibilità di sperimentare modalità di interazio-ne e di rielaborazione cognitiva in condizioni di at-tenzione congiunta adulto-bambino. In questa logicauna delle funzioni più importanti della scuola oggi èrelativa all’offerta di spazi e tempi funzionali a mette-re a fuoco ciò che di solito i bambini sono costretti aconsumare frettolosamente e in modo confuso, dan-do cioè una concreta possibilità di ascoltare, analiz-zare e rielaborare, azioni indispensabili per apprende-re in modo significativo e duraturo. Per cercare di trasformare la testa “ben piena” deisuoi interlocutori in testa “ben fatta”, capace di svi-luppare forme di pensiero musicale autonome, lascuola dovrebbe forse rinunciare, almeno in parten-za, ai contenuti musicali previsti dalla didattica, percostruire contesti di esplorazione e di ricerca che con-sentano di rivisitare materiali noti con modalità etempi più favorevoli all’elaborazione.

Oltre a organizzare e proporre situazioni di appren-dimento che prevedono il dialogo come modalità discambio prevalente, l’adulto dovrebbe mettere a di-sposizione dei bambini le proprie competenze nonper dare nuovi input, ma per condividere e promuo-vere dall’interno i processi cognitivi già in atto.Gli insegnanti capaci di mettere in relazione forme dipensiero e di elaborazione cognitiva diverse, non ne-cessariamente conflittuali, possono aiutare i bambinia continuare il proprio percorso cognitivo, integran-do il proprio patrimonio di esperienze parallele allascuola con strumenti e opportunità di confronto al-trimenti non facilmente accessibili, indispensabili persviluppare un proprio stile cognitivo originale.

Modelli da rielaborare

Non credo che il valore delle attività musicali dei bam-bini risieda nell’estetica di azioni musicali apparente-mente creative, spesso invece casuali e irripetibili, onell’analogia riscontrabile tra performance infantili eartistiche, più superficiale che di sostanza. Al contrariosono convinta del valore che la costruzione di un lin-guaggio musicale condiviso può assumere nello svilup-po dell’identità di ogni bambino, quando consente dileggere in modo sempre più consapevole e competentei prodotti musicali del proprio contesto culturale. Quando infatti l’esperienza musicale consente di defi-nire progressivamente elementi e regole grammaticalidi un proprio linguaggio, si può disporre di uno stru-mento cognitivo e relazionale potente per leggere ecomprendere sequenze sonore e brani musicali, e perconfezionarne di nuovi, da soli o in gruppo. Dunque l’insegnante deve utilizzare nel suo interven-to strumenti metodologici che consentano di mante-nere una giusta distanza nei confronti dei propri mo-delli musicali, riconoscere quelli dei bambini, e offri-re spazi e tempi adeguati per il confronto e l’elabora-zione di un codice comune che può arricchire il giocodi esplorazione e di scambio.Le considerazioni fin qui fatte ci portano ad afferma-re la necessità di un intervento educativo che sappiaricostruire le condizioni di attenzione congiunta adul-to-bambino nei confronti dei suoni e della musica co-me condizione di base. Non basta quindi dichiarareuna generica disponibilità ad accogliere le competen-ze extrascolastiche dei bambini, ma bisogna sapersiinterrogare sui loro modi di intendere l’esperienzamusicale, aprendo un dialogo capace di far emergerel’immaginario infantile, sconosciuto e lontano dall’e-sperienza scolastica, come patrimonio esperienzialeche può favorire collegamenti e rimandi significativicon le esperienze musicali scolastiche. Quando ven-gono offerti contesti di gioco realmente aperti al dia-logo, le competenze acquisite dai bambini attraversoTv e videogiochi possono facilmente emergere ed es-sere condivise e rielaborate: anche l’ascolto di musicaclassica può infatti ricollegarsi all’esperienza televisi-va, se concediamo ai bambini la possibilità di giocarecon le analogie, facendo emergere associazioni e ri-

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cordi. «Sembra un missile», «Sembra Willy Coyotequando cade giù» hanno commentato due bambini,ascoltando un glissato eseguito da un trio di archi, euno di loro ha aggiunto anche: «Non sapevo che lofaceva il violino. Quasi quasi lo imparo». La distanza che separa l’immaginario legato al violi-no come strumento solista dell’orchestra sinfonica,lontano e inavvicinabile per la maggioranza dei bam-bini, da quello legato alla sua presenza nella colonnasonora dei cartoni, può forse ben rappresentare ladifferenza tra le cornici di riferimento che, applicate auno stesso oggetto musicale, possono avvicinarlo oallontanarlo dall’esperienza infantile. La presenza nel patrimonio musicale contemporaneodi numerosi modelli e stili musicali, tutti fortementecodificati sia come struttura che come modalità esecu-tive, se da un lato tendono a orientare i bambini versoun’imitazione rigida e poco evolutiva dei miti del mo-mento, li portano anche a constatare l’oggettiva ina-deguatezza del loro corpo (e del loro pensiero) rispet-to a modelli costruiti e agiti da adulti. L’impossibilitàdi mettere in pratica modelli troppo complessi, unitaall’assenza di altre opportunità di esperienza più con-gruenti con il proprio immaginario, ma anche con i li-miti della propria corporeità, porta spesso i bambinialla rinuncia di una pratica musicale concreta e infor-me, troppo frustrante rispetto ai modelli noti.Troppo spesso il divario tra il suono immaginato, le-gato all’esperienza d’ascolto, e quello concretamenteagito, legato a una competenza in divenire, diventamotivo di abbandono. Al contrario, quando è con-sentito sperimentare i molti modi possibili di utilizza-re corpo, oggetti, voce per costruire strutture musica-li, in un contesto che sostiene non soltanto i modelligià codificati, ma anche i processi di codificazione in-dividuali e di gruppo, si può realizzare una situazionefortemente innovativa sul piano della didattica, riccadi scoperte per i bambini, ma anche per gli adulti.

È importante imparare a interrogarsi rispetto ai mol-ti modi di leggere i modelli musicali codificati, percreare uno spazio di attenzione che rende possibilecomprendere le modalità particolari dei bambini concui lavoriamo, e scoprire collegamenti e nessi signifi-cativi tra le molte musiche che ci circondano.In questo senso la pratica della ripetizione, intesa co-me schema aperto che non prevede la sola imitazione,ma anche le rielaborazione personale del modello ori-ginale, secondo diverse angolature, può diventare lostrumento metodologico per realizzare percorsi di co-costruzione nei quali bambini e adulti si confrontanodavvero rispetto ai propri modi di vivere la musica.

Dal filmato al gioco

Mi sembra utile a questo proposito fornire alcune in-formazioni relative al percorso sviluppato con ungruppo di bambini della scuola dell’infanzia comuna-le “Don Milani” di Bologna, a partire dalla visionedella performance degli Stomp, che ho precedente-mente citato.Se l’insegnante avesse proposto ai bambini di imitareciò che avevano visto nel filmato, probabilmente il la-voro si sarebbe presto arenato su oggettive difficoltàtecniche, con grande delusione di tutti. Non sarebbe stato certamente possibile, infatti, pre-tendere da bambini dai tre ai cinque anni, privi diqualunque tipo di competenza ritmica e coreutica, lacomprensione e l’esecuzione della complessa sequen-za gestuale interpretata da ballerini-percussionistiprofessionisti. Anche semplificando in modo sostan-ziale il modello iniziale, si sarebbe proposto ai bam-bini un compito irrealizzabile, perché troppo lontanodalle loro effettive competenze, che avrebbe probabil-mente bruciato il desiderio di “fare musica con gli og-getti” nato dalla visione del filmato. Al contrario,

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Quinto Congresso Nazionale di Musicoterapia“Quale scientificità per la musicoterapia: i contributi della ricer-ca”: è questo il titolo del Quinto Congresso Nazionale di Musi-coterapia organizzato dalla ConfIAM (Confederazione ItalianaAssociazioni di Musicoterapia) a Rimini dal 3 al 5 ottobre 2003Informazioni: htpp://www.musicaterapia.it Marzia Mancini: e-mail: [email protected]./fax: 0541/730117Massimo Borghesi: e-mail: [email protected].: 338/7746947

Musica medioevale per la scuolaL’Associazione Culturale Aquila Altera e la scuola media stata-le “Dante Alighieri” di L’Aquila organizzano i corsi: Musica me-dievale e sperimentazione didattica; L’interpretazione dell’arsnova italiana: un approccio formativo e metodologico alla mu-sica del Trecento. I corsi sono rivolti a insegnanti di Educazio-ne musicale e Strumento musicale nella scuola dell’obbligo.Periodo: novembre 2003 – maggio 2004Informazioni: tel.: 0862 411289 cell.: 338 9240701 e-mail: [email protected] - http://digilander.iol.it/aquila.altera

La fiaba di CenerentolaL’Associazione “Accademia Musica” e l’Associazione “Amicidella Musica” di Vittorio Veneto organizzano il Terzo ConcorsoInternazionale di Composizione “Suoni di fiaba”, composizio-ni per l’infanzia da uno a cinque esecutori ispirate alla fiaba diCenerentola. Scadenza: 15 ottobre 2003.Informazioni: tel.: 0438-569310 - fax: [email protected]

La Siem si espandeSi apre una nuova sezione territoriale Siem a Caserta.Il presidente è Angelo Zollo.Via Capitano Laviano 30, 81100 Caserta.tel.: 0823 464628e-mail: [email protected] direttivo della Siem rivolge ai soci della nuova sezione un ca-loroso benvenuto e un augurio di buon lavoro.

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NOTIZIE a cura di Augusto Dal Toso

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l’insegnante ha fornito ai bambini una concreta pos-sibilità per sviluppare questo desiderio, dando spazioal loro corpo, ai loro movimenti, e alle loro idee chepotevano legarsi al bastone come produttore di sono-rità diverse, senza pretendere di riprodurre il campio-nario timbrico ascoltato, forse apprezzato e percepitocome pura magia. Per accogliere i punti di vista dei bambini, l’insegnan-te ha quindi individuato gli elementi presenti nellaperformance degli Stomp che potevano essere ri-gio-cati, secondo regole alla loro portata, nelle attività dilaboratorio musicale. Invece di proporre l’imitazionedel modello di partenza, ha proposto ai bambini dicostruire un proprio modello, utilizzando in modopersonale due elementi: l’oggetto utilizzato, il basto-ne, e lo spazio, inteso come possibilità di muoversi li-beramente con l’oggetto.Evitando di ridurre e semplificare il modello musicaledi partenza, ma trasformandolo in struttura di giocoper bambini, l’insegnante ha potuto riscoprire le loromodalità di esplorazione dell’oggetto, individuandoprogressivamente anche le categorie che organizzava-no l’esperienza, non presenti nel modello di partenza,ma significative nell’esperienza dei bambini.La manipolazione dei bastoni si è subito organizzatasecondo due differenti logiche, definite dai bambinistessi come giochi dei bastoni “silenziosi”, quando ilmovimento non era finalizzato alla produzione disuono, ma alla creazione di traiettorie e movimenticoreografici, e giochi “sonori” quando invece la ri-cerca era finalizzata alla scoperta dei differenti timbriche si potevano produrre con i bastoni. La scoperta diquesta doppia possibilità creativa legata allo stessooggetto, utilizzato in modo diverso, ha creato unamaggiore intenzionalità nei bambini, che di volta involta decidevano modalità e finalità del loro gioco,articolandolo in modo sempre più preciso, funziona-le agli obiettivi specifici: aggiungendo la musicaquando i bastoni erano utilizzati in giochi silenziosi (equindi scoprendo la possibilità di coordinare il pro-prio gesto con il ritmo di musiche diverse), o dandomaggiore spazio all’ascolto delle produzioni indivi-duali, come importante momento di analisi e di con-fronto, quando i bastoni venivano utilizzati in giochisonori.Dopo pochi incontri di laboratorio, in più di un’oc-casione abbiamo potuto notare che l’immaginarioche sosteneva l’attività esplorativa dei bambini, puriniziato con il repertorio di gesti e di suoni presentinella sequenza eseguita dagli Stomp, si era arricchitodei gesti e dei suoni scoperti direttamente, forse menoricchi da un punto di vista timbrico, ma anche moltopiù significativi, perché legati all’esperienza dei singo-li bambini, e alla portata di tutti loro, quindi facil-mente utilizzabili in giochi di dialogo, imitazione, ri-elaborazione.Diventava così più facile alternare momenti dedicatiall’esplorazione individuale, in cui la creatività e ipunti di vista personali potevano sperimentarsi in to-tale autonomia, a momenti di ascolto e interazionedi gruppo. Così a poco a poco, anche grazie al soste-

gno dell’insegnante, che all’inizio di ogni laboratoriomusicale riproponeva all’attenzione del gruppo unasorta di catalogo di azioni (silenziose o sonore) giàindividuate negli incontri precedenti, i bambini han-no imparato a dare maggiore ascolto alle scopertemusicali dei compagni, a sperimentarne variazioniulteriori, a considerare non solo la propria esperien-za, ma anche quella degli altri, patrimonio musicalecondiviso.Col procedere del lavoro, si è giunti alla creazione diun vero e proprio codice, condiviso da tutti, che con-sentiva al gruppo di giocare in modo sempre più ric-co e articolato con i bastoni, creando sequenze silen-ziose e sonore interessanti, individuali, di coppia e dipiccolo gruppo, con una loro coerenza stilistica, cer-tamente non paragonabile a quella dello spettacolodegli Stomp, ma che permetteva al gruppo di identifi-carsi con il lavoro svolto e che, in qualche modo, locollocava in continuità con il filmato che lo avevaispirato, pur svincolato da ogni pretesa imitativa.

Il corpo costruisce la conoscenza

Guardando le sequenze del filmato che, al termine dellaboratorio, è stato realizzato per documentare i gio-chi con i bastoni, silenziosi e sonori, credo si riesca acogliere con molta evidenza la concentrazione deibambini, la loro padronanza rispetto ai movimenti, laloro attenzione nei confronti dei movimenti e dei suo-ni che producono e che vengono prodotti dai compa-gni. Anche nel filmato dei bambini, dunque, possia-mo ritrovare la completezza di un linguaggio certa-mente semplice e basato su competenze motorie e rit-miche di base, ma non per questo banale e privo di si-gnificato.Credo che oggi i bambini, costantemente immersi inuna realtà musicale dominata con sempre più insi-stenza da modelli banali ma tecnicamente perfetti, daassumere in modo rigido, abbiano particolarmentebisogno di trovare a scuola occasioni di analisi e ri-elaborazione che non prevedano l’imitazione di mo-delli dati, ma invece la costruzione di modalità di gio-co e comunicazione condivise e accettino di metterein gioco il corpo come elemento determinante nellacostruzione di conoscenza.È quindi essenziale che gli adulti siano disponibilinon solo a condividere e a strutturare le loro capacitàdi lettura dei suoni, ma anche a costruire situazioni diimmersione musicale differenti da quelle proposte daTv, computer e videogiochi, strutturate e poco riela-borabili, per sperimentare la possibilità di costruiredavvero, in prima persona, ma in una dimensione digruppo, un modo diverso di vivere la musica.Mi auguro quindi che una scuola orientata ad acco-gliere la multimedialità non si orienti a moltiplicare leesperienze di fruizione, già ampiamente presenti nell’e-sperienza dei bambini, ma si attrezzi per offrire situa-zioni per mettere in gioco ciò che si è acquisito, per in-tegrare le conoscenze e garantire il rispetto degli stili dipensiero personali.

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I bambini sono attirati dalle sonorità che li circondanoe, quando trovano un adulto disponibile a metterle ingioco, intraprendono con entusiasmo esperienze diesplorazione e di ascolto.Anche un libro può racchiudere fra le sue pagine sor-prese sonore. Francesco Altan ha scritto e illustratoper i più piccoli una straordinaria storia di ascolti, Si-mone Acchiappasuoni, edito da Emme Edizioni. Il pro-tagonista è un bambino con una grande e singolarepassione: catturare e collezionare suoni che raccoglie,sotto forma di appunti onomatopeici, in un quaderno-diario. L’autore disegna gli ascolti del protagonista met-tendo in primo piano i personaggi di suono che incon-tra nel suo viaggio: dalla sveglia alla goccia che cadedal rubinetto, all’ape che ronza nel giardino. A questesonorità reali e semplici Altan sapientemente affiancascoperte di eventi sonori eccezionali come la ruota del-la bicicletta che forandosi emette un lamentoso psss, olo splash di un castoro che si tuffa in un laghetto, finoa sconfinare nei suoni immaginativi: Simone riesce acaptare con le sue orecchie speciali anche il brrr del-l’albero che, ormai spoglio, trema per il freddo. Questo piccolo e prezioso libro nasce dall’osservazioneattenta dei modi di ascoltare dei bambini. Altan mettein evidenza la loro sensibilità a quei suoni dell’ambien-te, consueti e privi di valore per gli adulti, la loro capa-cità di lasciarsi sorprendere, fino talvolta a scoprireparticolarità sonore sconosciute e i loro modi sponta-nei e liberi di investire di significati simbolici il reale. Ai bambini potremmo narrare questa storia utilizzandosonorità concrete da realizzare dal vivo: procurandociuna vecchia sveglia meccanica, dell’acqua, foglie sec-che, pezzetti di corteccia, una bicicletta, una pompa,si possono ricreare alcune delle scoperte sonore di Si-mone. I piccoli ascolteranno con grande curiosità e at-tenzione ma soprattutto potranno, a loro volta, mani-polare i materiali e gli oggetti utilizzati per la sonorizza-zione. Questo gioco, che possiamo anche chiamaredel rumorista, potrebbe continuare con l’invenzione dimetafore sonore per “dare voce” agli eventi più com-plessi da simulare: come si possono ricreare il frullaredelle ali degli uccelli e il fragore e i boati dei fuochid’artificio? E il tic-tac dell’orologio a pendolo?Per la ricerca si possono mettere a disposizione deibambini oggetti, materiali e strumenti musicali, senzadimenticare l’utilizzo delle onomatopee e degli effettivocali. Le loro proposte, sicuramente fantasiose e va-

riegate, spesso capaci di sorprenderci, non tarderannoad arrivare.La curiosità per i suoni e il piacere per l’ascolto del pro-tagonista del libro possono diventare magicamentecontagiosi. Come il piccolo Simone si potrà andare allascoperta dei paesaggi sonori organizzando un viaggioesplorativo negli spazi della scuola: la sezione, il salone,la cucina, il bagno, la stanza del sonno, il giardino. Conun registratore si potranno catturare: lo scricchiolio del-le sedie, i tonfi dei giocattoli che cadono, il tintinnio deipiatti e dei bicchieri che ballano sul carrello che porta lapappa, lo scroscio dell’acqua dello sciacquone, la mu-sica del carillon, il rombo dei tricicli sulla ghiaia, il cigo-lio regolare dell’altalena; e con una macchina fotografi-ca istantanea si potranno fermare le immagini di questioggetti parlanti. Le registrazioni potranno essere poiproposte ai bambini per giocare a riconoscere le sono-rità dei vari ambienti, abbinandole alle immagini corri-spondenti, in una sorta di tombola uditiva. Utilizzando gommapiuma, stoffa e lana, si potrebbepoi costruire un pupazzo come straordinario compa-gno di giochi d’ascolto. Simone, equipaggiato con unozaino molto capiente, potrebbe periodicamente arriva-re in sezione con un carico di sorprese sonanti, raccol-te nei suoi numerosi viaggi: pentole, coperchi, cuc-chiai e grattugie dalla cucina; carillon, giocattoli mec-canici, trombette e fischietti dalla stanza dei giochi; unmacinino, una macchina da scrivere, un setaccio e unpallottoliere dalla casa della nonna; campanacci di va-rie misure e sassi dalla montagna; conchiglie, sec-chielli e biglie dal mare. Insieme ai souvenir sonori ibambini potrebbero trovare anche ricordi fotografici(Simone ritratto negli ambienti visitati), oppure regi-strazioni audio e video. Con questi materiali si possonoideare giochi per inventare, trasformare, comporre e ri-comporre musiche d’ambiente.Lo zaino di Simone potrebbe anche contenere oggettisconosciuti e misteriosi: una grande zucca vestita disemi intrecciati con fili, un tamburo fatto con la pelle dianimale (ci sono ancora i peli!), un grappolo di stranigusci scuri legati a un bastone, una collana di conchi-glie e pezzi di bambù. Tutte le avventure che parlano dei suoni conosciuti equotidiani e di quelli sconosciuti e lontani, potrebberoessere infine raccontate attraverso la realizzazione dilibri (fotografici, illustrati, pop-up, sensoriali, a collageecc.) come nuove edizioni di questa storia che, nellasua apparente semplicità, riesce a incantare grandi epiccoli.

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ARIANNA SEDIOLI

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Figure esterne professionali, quali musicisti pop, rocke componenti di ensemble, partecipano all’insegna-mento musicale nelle scuole di base inglesi. L’inter-vento di esperti in classe non è un’occasione isolata,ma una pratica prevista e articolata all’interno delcurricolo, fondata su una consolidata tradizione. Al-lo stesso tempo, ogni progetto artistico aperto al pub-blico, che sia un’esposizione al museo, una rassegnateatrale o cinematografica, dispone, con molta pro-babilità, di un dipartimento educativo che mostri airagazzi le fasi di creazione del prodotto artistico. Le attività di collaborazione tra scuola e musicisti so-no un esempio dell’impegno che la scuola si assumenell’ambito creativo e un dispositivo per aprire le mu-ra delle classi al mondo professionale. Un’esperienzache, da un lato, suggella un rapporto collaborativo ditipo professionale – esigenza di una società che siconforma a modelli aziendali; dall’altro lato, è fruttodi una vocazione educativa che incoraggia lo svilup-po e l’espressione personale. Anni di riflessione pedagogica, esperimenti sul campoe quotidiane esigenze in classe, hanno maturato in In-ghilterra un quadro educativo molto apprezzabile incampo musicale. Caratteristica principale del model-lo è l’apertura verso collaborazioni multidisciplinaried extra-scolastiche. Il National Curriculum, diffuso sul territorio inglesedal 1988, con le sue indicazioni per la musica a scuo-la, ha favorito lo sviluppo delle collaborazioni perl’apprendimento nelle sfere di composizione-ascolto-esecuzione, ambiti in cui esso è articolato. I progettieducativi che prevedono l’ausilio di artisti esterni sisono dimostrati un valido aiuto laddove sono statipraticati; in particolar modo presso istituti scolasticipoco toccati dall’erogazione di fondi e sussidi e se-gnati dalla mancanza di stimoli e risorse. La collabo-

razione tra scuola e orchestra in Inghilterra è oggipiù che mai un punto di forza tra le possibilità offer-te nel corso degli studi musicali, ed è riconosciuta daun sostegno governativo morale e finanziario di pri-mo piano. La diffusione dei progetti educativi ha contribuito auna nuova giovinezza della disciplina musicale scola-stica e della posizione che essa occupa nel NationalCurriculum. L’orchestra stessa ha subito notevolicambiamenti: rinnovare la propria immagine e avvi-cinarsi al pubblico le ha permesso di uscire illesa erafforzata da un periodo di crisi di presenze. Quest’i-stituzione è impegnata oggi sia in esperienze musicalitradizionali, sia in progetti che oltrepassano il confi-ne dell’esecuzione artistica. Gli orchestrali si prestanoa compiti inconsueti, offrendo le proprie competenzee sviluppandone di nuove, per dare un sostegno ad al-tre organizzazioni: scuole, centri di cura per malati,anziani, tossicodipendenti, istituti per disabili, carce-ri, e così via. I progetti ben riusciti procurano popo-larità e finanziamenti e, intanto, contribuiscono allacrescita culturale della comunità locale in cui si svol-gono. La società inglese, e l’intero mondo scolastico musi-cale, sono riusciti a salvaguardare così due istituzioniclassiche e mettere in atto in entrambe un processo dicrescita assai interessante.

Un dipartimento educativo nell’orchestra

Il dipartimento educativo è una componente recentedell’orchestra: i primi membri a esso assegnati furo-no assunti agli inizi degli anni Ottanta e provvistidei titoli più disparati. Un bisogno di trasformazio-ne, le spinte di sponsor e finanziatori, o forse una

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heScuola e orchestra

nell’istruzione di base inglese

La realtà inglese è caratterizzata da unastretta collaborazione fra orchestre e scuole:l’intervento degli orchestrali nelle classirappresenta ormai una pratica assaifrequente che ha contribuito alla diffusionedella musica presso il pubblico giovanile, auna rinnovata considerazione della disciplinamusicale nel curricolo e a un allargamentodel pubblico dei concerti.L’articolo illustra tale collaborazione,mostrandone i risultati più significativi.

ILENIA TARGHETTINI

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più radicata propensione per la divulgazione,1 ne de-terminarono la nascita a fianco del dipartimento ar-tistico. Da qui il passo fu breve affinché si suggellas-se un rapporto di partecipazione con la scuola e siapprontassero i primi progetti con artisti presenti inclasse. Varie iniziative di rigenerazione dell’orchestra furonosostenute dall’Arts Council, dalle Regional Arts As-sociations, dalle Local Authorities, e dall’Associationof British Orchestras, come parte di una rigenerazio-ne più ampia: urbana e rurale. Alcune orchestre, al dilà delle questioni di interesse, furono amministrate inmodo visionario e illuminato, con lo scopo di dar for-ma a organismi a servizio della comunità intesa nelsenso più vasto possibile. Gillian Moore, nel 1983, fu la prima persona asse-gnata alla direzione educativa della London Sinfo-nietta, la quale si guadagnò una reputazione interna-zionale per le sue interpretazioni. La Sinfonietta rin-novava il proprio repertorio commissionando brani acompositori di tutte le nazionalità, molti dei qualiscrivevano le proprie opere a contatto con l’orche-stra. L’obiettivo della Moore2 era quello di eliminareil divario tra compositori e interpreti da una parte, epubblico dall’altra, così che la musica del ventesimosecolo fosse alla portata del più vasto pubblico possi-bile. L’ala educativa dell’orchestra, a suo avviso, nonsarebbe stata da considerarsi marginale, poichéavrebbe innescato un duplice processo: avrebbe por-tato beneficio e cambiamento sia a chi ne usufruivasia all’orchestra stessa.3

I programmi educativi

Il dipartimento educativo dell’orchestra aveva il com-pito di far fronte a numerosi problemi, ideare e gesti-re nuove e numerose attività, dentro e fuori all’istitu-zione stessa. Da quando la London Sinfonietta diven-ne in Inghilterra la prima a adottarne uno di ampiaportata, si verificò un’esplosione del lavoro formati-vo e comunitario: progetti con scuole primarie e se-condarie, corsi IN-SET (in-Service Training) per inse-gnanti e musicisti, progetti per adulti in situazioni didisagio.Gradualmente, quasi ogni orchestra inglese formulòun programma educativo di un certo tipo. Tale occa-sione si consolidò nelle orchestre locali come un mo-do per accrescere la propria fama, incrementare ilpubblico, e aiutare i musicisti allo sviluppo di capaci-tà tecniche e creative. Secondo l’indagine “Mapping the Field”,4 commis-sionata dall’Association of British Orchestras, su da-ti raccolti in base a un questionario a cui risposerotrenta orchestre, nel periodo tra il 1994 e il 1995, il66% di esse dichiarava di possedere un programmalavorativo continuo indirizzato all’educazione, il31% definiva il proprio impegno non continuo maregolare, il 3% metteva in atto dei progetti educativioccasionali. Il 60% affermava di regolare l’attivitàeducativa tramite un piano scritto, la cui esistenza

tendeva a intensificare l’impegno a tutti i livelli, e po-neva le basi per un incarico annuale con cui misurarei propri progressi.5

Attraverso i codici di disciplina dei programmi scrit-ti, le orchestre riconoscevano se stesse come una ri-sorsa per scuole e gruppi e mettevano in risalto il ruo-lo dei membri che, lavorando a contatto con la gente,incoraggiavano la creatività musicale di vari tipi dipubblico. Il sostegno a scuole e insegnanti nel portarea frutto il National Curriculum era considerato diimportanza prioritaria: molte orchestre lo ritenevanoun’opportunità per spingere gli studenti a familiariz-zare con il proprio repertorio e, contemporaneamen-te, per dare consigli sulla pratica del mestiere di farmusica.6

I fruitori dei programmi educativi dell’orchestra era-no, oltre alle scuole, l’orchestra stessa, orchestre gio-vanili, orchestre locali, comunità, prigioni, riforma-tori, ospedali, ospizi. Le ragioni per cui gli utenti di-chiaravano importante un particolare progetto in col-laborazione con l’orchestra includevano: la possibili-tà di assistere ai concerti e conoscere i musicisti; iconsigli sulla tecnica strumentale durante la prepara-zione ai concerti; l’opportunità di organizzare perfor-mance miste tra dilettanti e professionisti; la possibi-lità di accedere all’uso di materiale e servizi solita-mente non disponibili; l’occasione di progetti di col-laborazione multi-artistica.I tipi di progetto educativo orchestrale più diffusi era-no i seguenti:7

• progetti educativi a tema specifico in collaborazio-ne con scuole primarie, secondarie e speciali, sulmodello del Discovery Concert,8 i quali si conclude-vano con l’esecuzione, cui partecipavano gli orche-strali e gli studenti, di una composizione che erastata precedentemente studiata e, sovente, con l’ese-cuzione di un pezzo musicale frutto del lavoro delgruppo stesso (lavoro che si era svolto durante l’in-contro precedente al concerto ufficiale, o prima, inincontri appositamente predisposti);

• progetti di collaborazione multi-artistica con inter-venti, per esempio, di danza, arti visive, narrazione;

• progetti che coinvolgevano più di una scuola (da 2a 15), con sessioni separate per ognuna e un incon-tro finale, tra tutti i partecipanti, per una perfor-mance comune;

• progetti di preparazione strumentale per le orche-stre giovanili scolastiche e private, i quali si conclu-devano solitamente con la performance di un grup-po misto di ragazzi e professionisti;

• progetti a lungo termine in un’unica scuola con larealizzazione di workshop e performance miste;

• performance miste in centri artistici e punti di ritrovo; • produzione di manuali o video da distribuire nelle

scuole; • presentazioni e discussioni aperte, precedenti le per-

formance; • sessioni di lavoro tenute dai compositori per com-

pletare pezzi non pubblicati; • preparazione di studenti di grado avanzato; • In-Service Training per insegnanti.

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ti e

tecnic

hePrimi progetti educativi per la scuola

Il primo progetto educativo di collaborazione tra laLondon Sinfonietta e una scuola, previsto dalla Moo-re, ideato e diretto da Richard McNicol,9 con il sup-porto di George Benjamin come “compositore sul po-sto”, segnò la strada per molte tra le successive colla-borazioni. Il progetto era collegato a un festival su E. Varèse e in-cluse, in una prima fase, tre giorni di corso per inse-gnanti. I partecipanti esaminarono gli strumenti pre-visti dall’opera, ne ascoltarono e analizzarono alcuneparti, individuando le strutture ritmiche, lavorandosu frammenti di jazz, costruendo melodie a partire daalcune note, così da essere introdotti nell’impianto dibase del suo stile compositivo. Apprese le fondamen-ta della creazione musicale, fu pianificata una setti-mana di composizione di gruppo per elaborarne inconcreto le potenzialità, imparando cioè a inventarebrani musicali a partire da elementi semplici. In un secondo tempo, i musicisti lavorarono a fiancodei maestri nell’istituto scolastico in cui insegnavano,ricominciando passo per passo il percorso di prepara-zione alla composizione, questa volta rivolgendolo airagazzi. Il risultato del lavoro fu eseguito in pubblicodurante l’introduzione al concerto ufficiale dell’or-chestra.

Discovery Concerts

Assistere a concerti veri e propri è un’opportunità diestrema importanza per le esperienze degli studenti.McNicol, a poco tempo dall’introduzione del diparti-mento educativo della London Sinfonietta, prese adesempio l’esperienza del concerto di Varèse per ap-prontare il modello del Discovery Concert. Le scuole partecipanti a un progetto educativo, riferi-to a un determinato concerto, assegnavano, mesi pri-ma, uno o più maestri a una sessione preliminare IN-SET (In-Service Training), collegata al repertorio mu-sicale dell’evento. In questa circostanza, insegnanti edelementi dell’orchestra lavoravano insieme per esplo-rare il tema centrale del futuro concerto; da allora, imaestri avevano circa due mesi per lavorare in classecon i ragazzi allo stesso soggetto. L’orchestra inviavadel materiale utile e programmava visite dei proprimembri per alimentare l’entusiasmo, sia dei ragazzisia degli insegnanti. La preparazione degli allievi procedeva attraverso unpercorso logico: i partecipanti erano avvicinati a unargomento per comprenderlo a fondo: dal concettoteorico (ad esempio l’armonia) al metodo operativo,fino alle possibilità creative offerte dal poter rappre-sentare nuove idee attraverso la musica suonata. Imaestri coordinavano la lezione, mentre i musicistioffrivano esempi professionali di capacità interpreta-tive e rappresentazioni concettuali, derivate da espe-rienze giornaliere di performance musicali a livellointernazionale. La preparazione a lungo termine, pri-ma dell’evento, doveva assicurare che i ragazzi giun-

gessero alla serata personalmente coinvolti, quasi vipartecipassero in prima persona. «Durante i concerti, la musica doveva essere di livel-lo così alto da infiammarne gli animi: l’ideale era chesi scegliesse di esplorare un unico concetto e lo si illu-strasse da diverse angolazioni, così da renderlo ap-prezzabile nei suoi chiaroscuri».10

Altrettanto importante, nel contesto di presenza ascuola degli elementi dell’orchestra, era che i giovanicompositori avessero la possibilità di ascoltare la pro-pria musica eseguita ai massimi livelli dai professioni-sti. Sebbene gli studenti conoscessero, chi più chi me-no, una notevole serie di nozioni sul comporre, rima-neva loro moltissimo da imparare sul piano pratico.Durante un’interpretazione musicale dal vivo, pote-vano captare sensazioni istantanee di cui tenere con-to per correggere i propri pezzi e crearne di nuovi:l’atmosfera della stanza, l’intensità dell’attenzione delpubblico e dei loro applausi, la serie di domande e icommenti una volta terminata la prova, e così via.Ascoltare la propria musica eseguita dagli strumentidi professionisti era un’esperienza di un’intensità ec-cezionale. Una composizione guadagnava in valore sepresentata a un pubblico, e un giovane alle prime ar-mi con la composizione otteneva esperienza e autosti-ma; i suoni concepiti con la fantasia durante la crea-zione di un pezzo, si trasformavano in suoni reali e nederivavano lezioni pratiche inestimabili.Una situazione esemplare, nel modello di McNicol, siattuava quando gli studenti strumentisti avevano laconcreta possibilità di esibirsi insieme all’orchestra;perché questo avvenisse, si forniva, durante la fase dipresenza a scuola dei professionisti, un arrangiamen-to per strumenti e voci di un pezzo in qualche modorelazionabile al concerto finale. I ragazzi e i musicistieseguivano il pezzo insieme due volte: la prima comeprova, la seconda come interpretazione ufficiale; que-sto per avere la sicurezza che tutti gli studenti parte-cipassero. Il ricordo di aver suonato con una celebreorchestra non sarebbe stato facile da scordare, anchequando il nervosismo era acuto. Un’aula scolasticatrasformata in sala concertistica, inoltre, era un postoappropriato per cominciare una tradizione scolastica:«una volta stabilita una cultura della performance es-sa aveva bisogno di perpetuarsi».11

Il Discovery Concert, adattabile a numerose situazio-ni, capace di contribuire al curricolo scolastico nei trecampi di ascolto-esecuzione-composizione, fu il mo-dello di base per i primi progetti educativi dell’orche-stra e lo rimase anche in seguito, quando esso lasciòla strada a nuove soluzioni e molteplici varianti peraccontentare le necessità delle parti in gioco.

Il ruolo degli orchestrali nell’educazione

Il punto di contatto tra scuola e orchestra è avvenutoin un momento di debolezza per entrambe. Una voltachiarito quest’aspetto, non si può che vagliarne leconseguenze, nell’insieme positive per le istituzionistesse e per l’intera comunità. I benefici per chi pren-

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de parte ai progetti sono sensibili sia a livello indivi-duale che collettivo.12

Per gli insegnanti, una delle possibili e più importanticonseguenze delle collaborazioni con gli orchestrali èla conferma delle attività che compiono in classe.Nelle aree del curricolo in cui si sentono inesperti, co-me la composizione, l’uso della tecnologia o gli eser-cizi vocali, i professionisti in visita possono fornirenuove idee e contributi. La partecipazione offre, aimaestri delle scuole primarie, la possibilità di guada-gnare nuove competenze nello sviluppo di attivitàmusicali con i ragazzi e, ai maestri più esperti, la pos-sibilità di tenersi aggiornati. Molti tra gli insegnanti,inoltre, a seguito di una collaborazione, cominciano ascrivere musica per conto proprio: ciò può dimostrar-si una dote stimolante e apprezzata all’interno di unaclasse di bambini. Per i ragazzi, partecipare a un progetto educativo dicollaborazione tra orchestra e scuola è un’opportuni-tà per constatare che esistono nuovi linguaggi musi-cali, linguaggi che costituiscono lo specifico della sin-gola esperienza dei professionisti in visita e che sonodifficilmente ritrovabili tra le mura scolastiche. Ilcontatto tra allievi e persone realmente competentinell’esecuzione musicale, che comprende il conoscer-ne l’atteggiamento, il modo di sedere e di muoversi,rappresenta una ventata di novità e impulso; influiscesulle loro stesse interpretazioni; contribuisce all’ap-prendimento della notazione, in quanto utile per leesibizioni di gruppo. Il maggior beneficio per i ragaz-zi, tuttavia, è sentirsi parte di una comunità creativa:essi, per esempio, hanno occasione di partecipare auna serata concertistica quasi in veste di compositorie interpreti, poiché le persone sul palco sono i musici-sti con cui hanno precedentemente suonato e improv-visato. I progetti con le scuole rappresentano per i composi-tori una fonte di entrate in termini di denaro, un con-testo sociale favorevole per portare avanti un’operapersonale e un possibile stimolo artistico. A seguitodelle collaborazioni, il loro lavoro si è aperto aun’ampia gamma di influenze; alcuni dichiarano che ipropri pezzi sono ispirati dal coinvolgimento in unparticolare progetto educativo o, nel caso limite, dal-l’idea di un singolo bambino. Gli interpreti sviluppano capacità in nuove direzioni,imparando a essere più flessibili ed efficaci nell’esecu-zione, nella comunicazione verbale, nell’improvvisaree nell’avvicinarsi a stili musicali diversi. Eventual-mente guadagnano una carica di iniziativa, un rinno-vato interesse a esplorare la propria creatività e a rap-portarsi con il pubblico; sviluppano il bisogno dichiarire e diffondere le proprie passioni musicali a unpubblico più vasto. Le collaborazioni, inoltre, offro-no loro maggiori possibilità di accedere a servizi pri-ma preclusi e instaurare una rete di contatti con per-sone e probabili datori di lavoro. Il parere della Moore13 è che la bontà di una collabo-razione tra scuola e orchestra rimanga tale se, a ognilivello della relazione, ognuno mantiene il proprioruolo: è importante che i musicisti professionisti che

lavorano nelle scuole siano un sostegno agli inse-gnanti di ruolo, e mai un loro sostituto. L’esperienzadi gruppo funziona al meglio quando sussiste un rap-porto schietto, in cui ciascuno comprende la forza e ilimiti dell’altro. I progetti falliscono proprio quando iprofessionisti hanno un’idea onnisciente di sé e gli in-segnanti si dimostrano diffidenti nel mettere in cam-po le proprie capacità. L’insegnante deve essere il professionista dell’educa-zione, la persona che conosce i ragazzi e ne ha re-sponsabilità totale sullo sviluppo a lungo termine. Ilmusicista in visita, anche quando è un che buon co-municatore (e non sempre lo è), può offrire qualcosadi molto diverso: una capacità tecnica particolare; aseconda del caso, il suono di un violino, oppure la vo-ce di una cantante d’opera e così via. Tra le varieesperienze in classe per gli allievi, ascoltare personal-mente dei professionisti di buon livello è una risorsaineguagliabile; l’insegnante, partecipando alle variefasi del progetto e presentandolo ai ragazzi, può aiu-tare i ragazzi a entrare in contatto con la musica e lesue tecniche, descrivendole e suggerendo esempi; iltutto rispettando un piano condiviso nella fase di pia-nificazione del progetto.Infine, per quanto riguarda i benefici a livello istitu-zionale, non si può negare che le orchestre inglesi, incrisi di pubblico, abbiano colto nelle collaborazionila strada per risollevare le proprie sorti e, contempo-raneamente, andare incontro alle necessità scolasti-che. L’effetto è stato, oltre la risalita da una crisi co-mune, la demolizione dei concetti classici di concertoe di lezione in classe, trasformati in esperienze del tut-to inusuali e innovative, capaci di adeguarsi alle si-tuazioni e coinvolgere un maggior numero di parteci-panti.

Considerazioni conclusive

Negli ultimi anni il mondo delle orchestre inglesi hasperimentato cambiamenti fondamentali, spesso con-cepiti a partire da programmi inediti, incentrati su or-ganizzazione e sviluppo. La novità più rilevante è stata indubbiamente la rapi-da espansione dei progetti educativi. “Knowing theScore”,14 un’indagine statistica commissionata dal-l’Association of British Orchestras, segnala che tra il1995 e il 1999 si è realizzato un incremento sia delvolume delle attività orchestrali in sala sia di quelleannesse, soprattutto per quanto riguarda i progetti ascuola e su base comunitaria (cresciuti rispettivamen-te, su un campione di venti orchestre, del 206% e del60%). I dati sul pubblico e sulle entrate sono essi stes-si incoraggianti. Ogni anno le orchestre raggiungonoun numero maggiore di ragazzi. La forma, il conte-nuto e la misura dei progetti varia, sebbene esistanodelle componenti comuni, come il modello del Disco-very Concert, i workshop mirati alla valorizzazionedella creatività e le performance di esibizione del la-voro svolto. L’impegno di musicisti professionisti e compositori, e

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l’enfasi con cui i dipartimenti educativi hanno rispo-sto ai progetti di collaborazione, non solo ha rinfor-zato, ma ha potenziato la posizione della musica edelle altre arti a scuola. Secondo l’analisi condotta in “Making Music2000”,15 grazie ai nuovi curricoli musicali e all’inten-sificarsi delle collaborazioni tra scuola e organizza-zioni esterne, si è verificato sul territorio inglese unarresto del precedente calo nel numero di ragazzi ingrado di suonare uno o più strumenti; le lezioni pri-vate sono soggette a una leggera inflessione dei fre-quentanti, a parziale beneficio delle scuole; e, infine, iprivilegi sociali sembrano avere un minor impattosull’accesso strumentale. Il lavoro educativo delle orchestre inglesi è considera-to un esempio di efficienza nel mondo e, a sua volta,ha favorito la programmazione musicale in sala di fe-stival, stagioni tematiche, e opere sempre più varie.16

Esso offre all’intera società la riscoperta di un’istitu-zione fondamentale per la propria identità culturale,una sorta di baluardo contro l’omogeneizzazione e ladispersione di significati cui essa è soggetta. A margine dei benefici rimangono delle questioniaperte. Lo sviluppo futuro delle attività educative del-l’orchestra dipende soprattutto da come esse sarannoaffrontate. Essenziale sarà la risoluzione di questioni legate allagestione dei finanziamenti. I progetti educativi scola-stici sono realizzati grazie alla presenza di orchestra-li, istituti di istruzione e finanziatori: il problema èequilibrarne la relazione per massimizzare il contri-buto dell’orchestra a beneficio di ciascun partecipan-te. L’Art Council of England attraverso lo “Stabilisa-tion Program” sta impegnandosi per il ripristino fi-nanziario dell’orchestra che, in linea di principio, larenderebbe emancipata dalla ricorrente corsa al com-piacimento di sponsor, salvaguardando il livello deiprogetti educativi.Un ulteriore punto chiave, di categorica rilevanza, èche la preparazione dei musicisti che si apprestano aiprogetti educativi, e la valutazione metodica dei pro-getti stessi, diventino una pratica ordinaria. Un passoimportante è che gli artisti siano incoraggiati al dialo-go con il pubblico durante la maturazione professio-nale. Dal settembre 2002, la “Purcell School” ha isti-tuito il programma “Outreach Programme”, che pre-vede l’addestramento di ragazzi della scuola, già se-mi-esperti musicisti, perché sappiano come compor-tarsi nel corso di visite presso classi di altri istituti, asostegno delle lezioni strumentali ordinarie. I proget-ti, in questo caso, hanno anche il vantaggio di non in-cidere economicamente sulle spese del dipartimentomusicale scolastico che li ospita, poiché sono un’oc-casione per i giovani artisti di farsi conoscere.L’orchestra è una risorsa primaria per lo sviluppo cul-turale delle comunità locali e delle scuole che vi ap-partengono. La realizzazione di un’offerta educativamulti-artistica, condivisa e continua è l’obiettivo piùstimolante suggerito da intenzioni teoriche radicate.Il compimento dell’impresa è una missione complessama sempre meno distante, che dovrebbe investire e

trasformare metodi e concetti radicati e costituire unnuovo paradigma per l’insegnamento musicale.

Note1Mi riferisco, in particolare, all’influenza del protestantesimosulla nobilitazione della pratica musicale domestica; il temanon sarà qui affrontato specificatamente. Cfr. Del Grosso De-streri “Alfabetizzazione musicale tra confessioni religiose eistituzioni private: riflessioni storico teoriche”, in La criticasociologica, n. 128, marzo 1999.2 Cit. in A. Everitt, “Joining In”, Calouste Gulbenkian Foun-dation, London, 1997; p. 105.3 Ibidem; p. 1064 Cfr. P. Shaw, “Mapping the Field, a Research Project on theEducation Work of British Orchestras”, ABO, London, 1996.5 Ibidem; pp. 14-15.6 Ibidem; pp. 6-7.7 Ibidem; pp. 8-9.8 Cfr. paragrafo seguente.9 Cfr. il saggio di R. McNicol, “Planning and Presenting or-chestral concerts for young audiences”, in “ABO Workbook –Vol. II: the central written resource for the ABO National Edu-cation Programme 2000”, ABO, London, 2000; pp. 8-11.10 Ibidem; p. 8.11 Ibidem; p. 10.12 Per questo paragrafo ho attinto ripetute informazioni dal-l’articolo di G. Moore, “Class Acts”, in “Music Teacher” (ot-tobre 1992).13 Ibidem.14 Cfr. Emc. Arts/Institute for Cultural Policy & Practice,“Knowing the Score: Association of British Orchestras andABO Trust research into the statistical dimensions of the UK or-chestral sector”, 2000.15 Cfr. Associated Board of the Royal Schools of Music, “Ma-king Music 2000: the Associated Board review of the teachinglearning and playing of Musical Instruments in the UK”,ABRSM, 2000. L’indagine si è svolta attraverso tre progetti: unobasato su interviste a bambini e ragazzi dai 5 ai 14 anni, cheha raccolto 926 unità campionarie, e uno su interviste ad adul-ti (dai 15 anni in poi), con 1955 unità, per accertare se suo-nassero uno strumento e se avessero mai seguito lezioni; un ul-timo progetto focalizzava l’attenzione, invece, su questionaripostali inviati agli insegnanti, per investigarne il profilo carat-teristico (hanno risposto in 1507). I risultati di ognuna delletre categorie sono stati comparati con studi precedenti.16 Cfr. Association of British Orchestras, “ABO Report 2001”,ABO, 2001.

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NOTIZIE a cura di Augusto Dal Toso

Il metodo Orff in ItaliaSuono-Corpo-Emozione-Idea. Strategie d’oggi per l’educa-zione musicale è il titolo del Convegno organizzato dall’Orff-Schulwerk Italiano (OSI) a Roma dal 24 al 26 ottobre 2003presso il Conservatorio di Santa Cecilia. Realizzato con ilcontributo della Fondazione Carl Orff di Monaco, questo pri-mo convegno internazionale in Italia sulle tematiche Orff ve-drà la partecipazione di relatori e docenti dell’Istituto Orff diSalisburgo, della Temple University Philadelphia USA e dellaAssociazione Orff Finlandese. Fra gli argomenti oggetto delle relazioni ci sono alcuni aspet-ti fondamentali dell’Orff-Schulwerk, le esperienze di integra-zione della linea pedagogica orffiana con la multimedialità econ la pedagogia musicale da zero a tre anni, lo sviluppo diuna via italiana e la nascita dall’Orff-Schulwerk Italiano, irapporti tra musica e territorio.

Informazioni:tel.: 06/58202369 fax: 06/[email protected]

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la Lesnoto[MACEDONIA]

EMANUELA PERLINI – DAVIDE ZAMBELLI

A causa della composita etnia di questa regione, sotto-posta nel suo passato a ogni sorta di influssi vicini elontani, gli etnomusicologi hanno individuato influenzenon solo serbe e bulgare, ma anche orientali, in parti-colare nel canto. I ritmi si organizzano in formule diestrema complessità: da una scansione binaria da cuisi formano i 5/8 e 5/16, a una ternaria con un valorepuntato e due reali (la formula più frequente nella mu-sica popolare macedone, 7/8 e 7/16). Nelle canzonisono presenti i 4/4 e le varianti sono ottenute con l’al-lungamento di uno o dell’altro valore della formulastessa (ad esempio 9/8 diviso in 3, 2, 2, 2) fino ad ar-rivare a combinazioni di estrema complessità(10/16+11/16).

Attività sui ritmi asimmetrici. Giochi con la voce. Si può iniziare scegliendo un nomecon due sillabe e uno con tre (con accento sdrucciolo):per esempio Anna e Monica. Mantenendo isocrona ladurata delle sillabe si può giocare a combinare i due no-mi-durata per formare le più svariate combinazioni: daMonica Monica Anna (3+3+2) classico della rumba, alMonica Anna (3+2), un bel 5/4 che può diventare l’ac-compagnamento a Take Five di Brubek (autore che uti-lizza in diverse altre composizioni i ritmi asimmetrici), fi-no ai veri ritmi balcanici di Monica Anna Anna (3+2+2)che può servire come preparazione per questa danza.Provate anche con Monica Monica Anna Anna Anna(3+3+2+2+2), il tempo di Huapango di America dal

Il materiale graficodi queste pagine(in formato pdf)

e la realizzazione,con strumentazione sintetica,

della partitura(in formato midi)

si possono scaricaredalle pagine Web della Siem:

www.siem-online.it.

Posizione di partenza: circolare aperta, direzione an-tioraria, posizione delle braccia a W, partenza con ilpiede dx.Introduzione: 8 misure

9 Passo a dx con dx, chiudere con sx10 Passo a dx con dx, oscillare con sx incrociando

davanti alla dx11 Passo a sx con sx, oscillare con dx incrociando

davanti alla sx.

In œBå si può eseguire la seguente variante: a sua di-screzione il capofila alza il braccio dx per indicare difare un giro su se stessi con due passi (dx, sx) al postodella misura 9.È conveniente introdurre questa variante alternandolaalla sequenza di base per evitare giramenti di testa.

Lesnoto Oro (Ballo semplice) è una danza macedonecon melodia diversa ma stessa struttura [vedi il disco:Hakketoon CD 1989, 1011 - Stichting Nevofoon, Bil-derdijkstraat 20, 9673 GE Winschoten].

9 Passo a dx con dx, molleggiare sul piede dxmentre il sx viene incrociato lentamente davantial dx, passo con sx incrociato davanti al dx

10 Ripetere misura 111 Passo laterale con dx, passo del sx dietro il dx,

portare il peso del corpo sul dx12 Passo a sx con sx, molleggiare su sx mentre il dx

viene incrociato lentamente davanti al sx, pausaRipresa da misura 9

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musical West Side Story di Bernstein. Giochi di movimento. Risulta piacevole e interessanteriportare il lavoro fatto con la voce in attività con sem-plici gesti-suono, da soli, a coppie o a piccoli gruppi.Per esempio: battuta delle proprie mani sulla sillabatonica e battuta delle mani con i compagni sulle altresillabe. Lo stesso gioco può essere riproposto cam-biando e alternando gesti-suono diversi. Inoltre si puòdividere la classe in gruppi di cui uno esegue il batteree l’altro il levare: si prosegue con questi giochi ritmicifino all’esecuzione del solo battere, interiorizzando illevare come pausa.

Proposta esecutivaIntroduzione: melodia1, glockenspiel, basso, pianoA-B: melodia1, glockenspiel, basso, mano sx pianoA-B: melodia1, glockenspiel, basso, piano, legnettiIntroduzione: tutti senza tamburelloA-B: tutti senza glockenspielA-B: tuttiIntroduzione: melodia1-2, glockenspiel, basso, piano.

Le percussioni indicate con 2 e 3 corrispondono ri-spettivamente a legnetti e tamburello; fate ricercare airagazzi una terza percussione (1).

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Che la scuola dell’autonomia sia diventata la scuoladei progetti è ormai risaputo e largamente sperimen-tato da coloro che lavorano nelle e intorno alle nostrescuole, e la scuola elementare certo non fa eccezione.Così sicuramente molti lettori si saranno già trovatinei panni dell’insegnante di educazione al suono che,durante l’anno, viene chiamato a contribuire alla rea-lizzazione di diversi progetti interdisciplinari sui temipiù disparati. Quasi sempre la richiesta prevede an-che la realizzazione di un prodotto finale, “concerta-bile” o comunque proponibile in forma di spettacolo,per dare lustro all’inevitabile incontro conclusivo cheogni progetto prevede. Chi si è trovato in una situazione simile a quella pri-ma descritta, provi a immaginare le problematicheimplicite nella sfida che qui viene narrata.

Il progetto

Alle classi quarte di una scuola elementare di Agri-gento viene proposto, dall’Ufficio Educazione alla Sa-lute dell’Azienda Sanitaria Locale, un progetto inter-disciplinare sul tema dell’alimentazione che dovrebbecoinvolgerle per circa un mese, con vari momenti diincontro con l’equipe dell’AUSL, lavori di ricerca edelaborazione da parte degli alunni, una degustazioneguidata e un momento conclusivo con una partecipa-zione musicale “in tema” da parte degli alunni. Naturalmente, anche l’insegnante di educazione alsuono deve contribuire al progetto, esplorando il te-ma dell’alimentazione dal punto di vista musicale. I vincoli progettuali per la scelta dell’intervento musi-cale riguardano soprattutto le caratteristiche logisti-che, perché il lavoro avrebbe dovuto svolgersi nelleore curriculari, senza rientri pomeridiani, coinvolgeretutti gli alunni senza alcuna selezione, essere realizza-bile nell’arco di un mese e, naturalmente, essere “intema” di alimentazione.

La soluzione più facile, ma anche più scontata, sareb-be stata proporre una carrellata di canzoni sul temadell’alimentazione. I bambini infatti sono stati moltoveloci nel proporre Viva la pappa con pomodoro, Ag-giungi un posto a tavola, La banana dell’amor, Vou-lez vous paté avec moi e altri ancora. Ma un’intuizio-ne mi ha spinto a non limitarmi alla semplice ripro-duzione delle canzoni note, proponendo invece un’e-sperienza di musica-teatro in cui l’attività musicalepotesse collegare all’aspetto sonoro anche elementi didrammatizzazione. Innanzitutto ho pensato di realizzare un brano per-cussivo che serviva per catturare l’attenzione deibambini e coinvolgerli fisicamente. Tra le diverse fon-ti d’ispirazione, il lavoro degli Stomp, gruppo di per-cussionisti che utilizza gli oggetti quotidiani comestrumenti a percussione, recentemente divulgato daalcuni pubblicità televisive, come ad esempio lo spotper Algida Carte D’Or in cui i clienti di un bar, in at-tesa del gelato, suonano i tavolini con i cucchiai, e perFiat Stilo, dove i passeggeri suonano ritmicamente ifinestrini, il bagagliaio, gli sportelli dell’auto.Sulla base di questi esempi è nata l’idea di realizzareun brano percussivo, utilizzando gli oggetti di una ta-vola apparecchiata come strumenti a percussione. Inquesto modo l’ambientazione dal punto di vista co-reografico si era definita da sé: il tutto si sarebbe svol-to in una trattoria con i tavolini apparecchiati. Abbiamo pensato di aprire la scena con i bambini-clienti della trattoria già seduti a tavola. Arrivano poiin scena alcuni compagni ritardatari che il gruppo ac-coglie con l’invito di accomodarsi, cantando la can-zone Aggiungi un posto a tavola. In questo modo ab-biamo creato anche un’apertura che funge da intro-duzione del tema.Per lavorare sulla sequenza successiva, ho pensato diinserire un brano per coro parlato, ispirandomi allaFuga Geografica di Ernst Toch che fa scandire, ritmi-camente e in canone, una rapida successione di nomi

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eeducati

ve Minestrone musicale:un progetto sul tema dell’alimentazione

Un percorso musicale che mette in gioco ilcorpo, la voce e gli oggetti e coinvolgebambini di quarta elementare inizialmentepoco disponibili. La metodologia utilizzatariesce a valorizzare le capacità imitative einventive dell’insegnante e dei bambini,ottenendo risultati significativi e non solospettacolari.

ANNA MARIA VAN DER POEL

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di città e paesi. Noi abbiamo applicato la stessa tec-nica agli ingredienti del minestrone, facendo recitarein sovrapposizione i nomi di tutte le verdure che com-pongono una minestra, creando così l’effetto di uncalderone di verdure in ebollizione. Ovviamente, aquesto punto diventava obbligata la scelta del menudel giorno: nella nostra trattoria si mangiava il mine-strone e quindi i tavoli erano apparecchiati con sco-delle e cucchiai.Sulla base di questi tre elementi si è definito un co-pione articolato in tre parti distinte ma collegate:• un canto di apertura: i bambini aprono la scenacantando Aggiungi un posto a tavola, prendendo po-sto in quattro tavoli apparecchiati per mangiare laminestra;• un canone per coro parlato: conclusa la canzone,arriva in scena l’insegnante-cuoco con la pentola checomunica il piatto del giorno: il minestrone. I bambi-ni, naturalmente, protestano. Segue la ricetta per ilminestrone: i bambini eseguono un canone per coroparlato, il cui testo racconta gli ingredienti e le proce-dure del minestrone: il soffritto con l’olio di oliva, lecipolle e le carote, una carrellata di verdure varie epoi la cottura a fuoco lento;• un brano percussivo poliritmico: dopo aver prepa-rato il minestrone, si prosegue mangiandolo. Utilizzan-do il cucchiaio e la scodella come strumenti a percus-sione, i bambini eseguono un brano poliritmico. Ognitavolata esegue un diverso ostinato ritmico; i ritmi sialternano e si sovrappongono, intrecciandosi con deirumorosi slurp, nello stile di alcuni recenti spot.

Il lavoro

L’esecuzione del canto di apertura, Aggiungi un postoa tavola, non ha presentato grosse difficoltà, in quan-to già noto a quasi tutti i bambini. Per motivi tecnicie di tempo ho deciso di utilizzare soltanto il ritornel-lo, ripetendolo due volte, accompagnandolo con unabase musicale realizzata sulla tastiera.Aggiungi un posto a tavola / Che c’è un amico in piùSe sposti un po’ la seggiola / Stai comodo anche tuGli amici a questo servono / A stare in compagniaSorridi al nuovo ospite / Non farlo andare viaDividi il companatico / Raddoppia l’a-a-a-a l’allegria.

La realizzazione del testo per il coro parlato (la ricet-ta per il minestrone, appunto) è partita invece da unaricerca sulle fasi di preparazione della minestra. Cisiamo chiesti che cosa bisogna fare per ottenere unbuon minestrone, e abbiamo scoperto che bisognainiziare con un soffritto. Quindi, ci vuole dell’olio di oliva. Poi si aggiungonoverdure da soffritto: cipolle, carote, patate e sedano.Ma come, intere? Ma no! Tagliate molto fini. Dopo l’analisi del numero di sillabe di questi ingre-dienti, abbiamo sistemato le tre frasi in modo cheognuno avesse esattamente otto sillabe accentate (ot-to pulsazioni), inserendo delle pause ove necessario:1

Olio, olio di oli va

Cipolle * carote * patate * e sedanoTagliate fine fine * tagliate fine fine *

Così il soffritto poteva essere eseguito sia all’unisono,recitando le tre frasi consecutivamente per favorire lacomprensione da parte del pubblico, ma anche in ca-none o semplicemente sovrapponendo le tre frasi, fa-cendo eseguire ognuna di esse da un diverso gruppo. Una volta ottenuto un profumatissimo soffritto, sia-mo passati all’aggiunta di altre verdure. Per la realizzazione della parte centrale, abbiamo ini-ziato il lavoro con la tabulazione di tutti gli altri in-gredienti del minestrone, suddividendoli in categorieper numero di sillabe. Un’ulteriore suddivisione è sta-ta necessaria per distinguere quelle verdure che han-no l’accento iniziale o finale:

Come per il soffritto, anche questi ingredienti dove-vano essere organizzati in modo da formare frasi diquattro o otto pulsazioni che rendessero le frasi rit-micamente simmetriche e quindi sovrapponibili nelcaso dell’esecuzione a canone. Per comporre un testo vario, i bambini si sono trova-ti a dover fare delle scelte. Quattro parole possono es-sere semplicemente concatenate in successione, cosìformano una frase di quattro pulsazioni come nel se-guente esempio: piselli patate carote cipolle.Ma le stesse parole possono essere alternate con dellepause, creando una frase di 8 pulsazioni:piselli * patate * carote * cipolle *.In alternativa, alcune parole si prestano a un’esecu-zione molto dilatata, facendo coincidere ogni sillabacon una pulsazione: e pa- -ta- -te.

Giocando con le parole, alternando la loro sistema-zione in frasi dilatate e frasi strette e utilizzando dellepause per creare collegamenti e riempimenti, i bambi-ni sono arrivati alla seguente composizione:Aggiungiamo verdure, tante tante verdureAggiungiamo verdure, tante tante verdure* Patate * zucchine * piselli * cavolfiore* Lattuga * lenticchie * fagioli * fagioliniPo – o mo – o popo pomo doroE pa ta te * * * *Sedano * * Broccoli * *Zucchina piselli fagioli lenticchieLattuga carote cipolle patateFagioli piselli lenticchie zucchinaCarote patate lattuga cipollePo – o mo – o popo pomo doroTan- -ta acqua * * * *Sale * * Pepe * *Zucchina piselli fagioli lenticchieLattuga carote cipolle patateFagioli piselli lenticchie zucchina

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3fagioli sedanolattuga broccolipiselli patatecarotecipolle

4cavolfiorefagiolinipomodoro

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Carote patate lattuga cipolleE * pastina, * e * pastina *E * pastina, * e * pastina *

Come il soffritto descritto prima, anche questa secon-da parte della composizione può essere eseguita all’u-nisono o in canone. Noi abbiamo scelto di eseguirlaprima all’unisono per due motivi: favorire la com-prensibilità delle parole, ma soprattutto permettere aibambini di “riscaldarsi”, consolidando bene la perce-zione della pulsazione e arrivando a una scansioneritmica collettiva stabile prima di cimentarsi nell’ese-cuzione a più voci. Per renderla più interessante hoaggiunto variazioni di dinamica. Dopo aver sperimentato l’esecuzione all’unisono, laclasse si è divisa in due ed è partita l’esecuzione a duevoci. Non volendo complicare troppo le cose, ci sia-mo limitati all’esecuzione in canone a due voci, fa-cendo partire il secondo gruppo dopo la prima frasedi otto pulsazioni.

Riflessioni sull’esecuzione

L’esperienza mi ha insegnato che il canone non rendebene se il gruppo è troppo numeroso, o se l’ambienteha un’acustica dispersiva (come ad esempio una pale-stra). In questi casi, l’effetto generale è più vicino auna grande confusione che non a un calderone di ver-dure miste. Quindi, visto che la situazione acustica-mente non era proprio ottimale, abbiamo trovato piùefficace una scansione all’unisono con variazioni di-namiche, piuttosto che un’esecuzione a più voci.Una volta composto il testo ritmico, l’assimilazionenon ha richiesto molto tempo. L’apprendimento è sta-to facilitato da una scrittura del testo accompagnatocon simboli che evidenziavano la pulsazione, nataspontaneamente nella fase della ricerca delle verdure:le sillabe che coincidevano con la pulsazione veniva-no sottolineate. Battendo il tempo con le mani e fa-cendo coincidere ogni battito con una sillaba sottoli-neata, si è riusciti a ottenere una buona scansione rit-mica del testo con poche difficoltà e senza bisogno diricorrere all’uso della notazione ritmica. Una voltaacquisita sicurezza nella lettura ritmica del testo, ci èvoluto poco a dividere la classe in due gruppi per larealizzazione del canone. Ovviamente, ha aiutatomolto il fatto che i bambini erano fisicamente dispo-sti in piccoli gruppi intorno ai tavoli – lo stretto con-tatto oculare di ogni gruppo e l’isolamento fisico da-gli altri gruppi ha facilitato molto l’esecuzione del ca-none da parte dei bambini, che altrimenti si sarebbe-ro facilmente confusi.Per concludere, abbiamo lasciato cuocere il minestro-ne a fuoco lento. In questa terza parte volevo realizza-re l’effetto di una pentola in ebollizione. Ho costruitouna semplice struttura ritmica, utilizzando delle ono-matopee che richiamassero la bollitura, facendo reci-tare ritmicamente a bassa voce. Il primo gruppo avevauna scansione regolare:blub blub blub blub.

Questa scansione ritmica fungeva da riferimento pe-riodico su cui si organizzavano gli altri tre gruppi.Uno a uno si inserivano i tre ritmi, così creando unasovrapposizione graduale. blub * blub *blublubblublubblublubblublub blubedi blubedi blubedi blubedi

Infine, il pezzo forte: la mangiata rumorosa! La fettapiù grossa del tempo di lavoro è stata dedicata allapreparazione della poliritmia.2 In questo caso, nonsono stati gli alunni a creare il brano: ho infatti pro-posto una versione semplificata dell’ Ottetto per Sco-pe di Enrico Strobino,3 che prevedeva quattro celluleritmiche, una per ogni gruppo-tavola:tavolo 1: Dum Tak Tak Taktavolo 2: Tak Tak Tak Dumtavolo 3: Dum Tak DumduTaktavolo 4: Dum Dum Takta Takta

Un primo momento di apprendimento è stato condottoattraverso l’uso del corpo. Per imitazione, i bambinihanno eseguito ogni cellula ritmica con gesti-suono(dum = un colpo sulle cosce, tak = battito di mani). Peraiutare la memorizzazione e la distinzione delle quattrocellule ritmiche, al gesto-suono è stata poi aggiunta lavoce, chiamando i due gesti per nome: dum e tak. Quin-di si è passati alla scrittura delle quattro cellule ritmichealla lavagna. Infine, il tutto è stato tradotto in terministrumentali (dum = colpo di cucchiaio sul tavolo, tak =colpo di cucchiaio sul bordo della scodella).Quando i bambini avevano acquisito una certa padro-nanza dello strumento utilizzato, e ogni tavolo riuscivaa eseguire la propria cellula ritmica senza accelerare,abbiamo iniziato ad alternare e sovrapporre i quattroritmi. Prima, la sovrapposizione di due ritmi: dopo al-cune prove siamo arrivati alla conclusione che la com-binazione più stabile era la sovrapposizione dei ritmi 1e 3. La combinazione 1 e 2, anche se produceva unabella alternanza, tendeva ad accelerare. Poi abbiamosovrapposto anche i gruppi 2 e 4 e anche l’esecuzionesimultanea delle quattro cellule ritmiche. Infine, abbiamo aggiunto uno stacco, da eseguire tut-ti all’unisono, per creare un momento di separazionetra l’esecuzione di un ritmo e un altro. Un colpo for-te sul tavolo, seguito da un rumoroso slurp: un risuc-chio accompagnato del gesto di chi mangia una cuc-chiaiata di minestrone. Uno secondo stacco, invece,fungeva da finale: all’unisono tutti eseguono un ritmoche finisce con il cucchiaio alzato in aria. L’abbiamo battezzato “lo stacco del cartellino rosso”,in parte perché il gesto finale assomigliava a quellodell’arbitro, ma anche perché fungeva da segnale perindicare lo stacco finale. Ed era proprio un cartellinorosso, tirato fuori da una tasca del grembiule che in-dossavo, a indicare la fine:Stacco: Dum * slurp *Stacco finale: Dum Tak Tak Tak

Tak Tak Tak *Mettendo insieme tutti i componenti, siamo arrivatialla stesura della seguente struttura ritmica:

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ritmo 1 stacco ritmo 2 stacco ritmo 3 stacco ritmo 4stacco ritmi 1+3 stacco ritmi 2+4 stacco ritmi 1,2,3+4stacco ritmi 1,2,3+4 stacco ritmi 1,2,3+4 finale.

Alcune note coreografiche

Ho già accennato che la mia idea comprendeva la rea-lizzazione di un lavoro non esclusivamente musicale,ma anche un po’ teatrale. Oltre a suonare e cantare, ibambini facevano fisicamente parte di una scena cheserviva a definire visivamente il tema dell’alimentazio-ne, ma che ha anche aiutato a mantenere viva la parte-cipazione dei bambini, protagonisti di uno spettacolo. Pochi elementi scenografici sono bastati per scatenarela loro fantasia. Abbiamo sistemato in evidenza un car-tellone da trattoria con il menu del giorno: “Minestro-ne (8 2,00)”. La mia postazione da direttore d’orche-stra era camuffata da tavolo di lavoro, stracolmo diverdure e con una pentola grandissima, un mestolo euna brocca d’olio. I tavolini della trattoria erano appa-recchiati con tovaglie a quadri rossi, contrassegnato daun numero: il tavolo che eseguiva il primo ritmo por-tava il numero 1 ed era sistemato alla mia sinistra, il ta-volo che eseguiva il quarto ritmo portava il numero 4ed era sistemato alla mia destra e i tavoli 2 e 3 divisinella parte centrale, davanti a me. Così, per l’esecuzio-ne della poliritmia, i quattro gruppi si trovavano conti-gui, ma distinti dagli altri. Invece per l’esecuzione delcanone per coro parlato, i bambini ai tavoli 1 e 2 face-vano la prima voce e quelli ai tavoli 3 e 4 la e seconda. Poi, i costumi. I bambini avevano un tovagliolo rossovistosamente legato al collo. Ma anch’io ho dovutoinserirmi nella scena, perché i bambini avevano biso-gno che io fossi sul palco per guidarli e dare gli attac-chi, soprattutto per l’esecuzione della poliritmia. Hoquindi indossato un cappello da cuoco e un grembiu-le, trasformandomi nella padrona della trattoria.Durante tutta la prima parte, mentre aspettavano diessere serviti e prima di cantare il canto di apertura,la sala della trattoria era in grande movimento: chiconsultava il menu, chi parlava animatamente al cel-lulare, chi arrivava in ritardo, chi chiacchierava gesti-colando. All’annuncio del menu del giorno da partedell’insegnante-cuoco, il coro di dissenso era unani-me. Dopo l’esecuzione della ricetta per coro parlato,quando facevo il giro dei tavoli con il pentolone, fin-gendo di distribuire la minestra appena preparata, ibambini si sono dimostrati originalissimi nel mimarele varie reazioni: chi ne voleva ancora, chi non ne vo-leva affatto, chi dietro la mia schiena versava il con-tenuto della scodella nella pianta e chi invece si na-scondeva sotto il tavolo per evitare la somministra-zione della propria porzione. Recitavano, ricordava-no o esprimevano un loro punto di vista?

Conclusioni

Dopo un mese di lavoro il bilancio era di 15 scodellespaccate, 5 cucchiai rotti, una maestra sfinita e una

classe entusiasta. L’insieme di musica, parola e gestoè risultata molto efficace. Per quanto riguarda il risultato più visibile, la realiz-zazione dello spettacolo per la manifestazione finale,siamo riusciti a metterne in scena uno originale e di-namico. Ma considero il percorso compiuto per rea-lizzarlo ancora più importante. Lo spettacolo è stato infatti soltanto il prodotto fina-le di un percorso molto articolato che ha permesso aibambini di vivere un’esperienza musicale. Nella fase preparatoria sono stati avviati a sperimen-tare diversi aspetti fondamentali della musica: l’usodella voce, del corpo e degli strumenti, la melodia e laritmica. Inoltre, da un punto di vista didattico, nelmese di lavoro sono stati affrontati tutti gli indicato-ri previsti per l’educazione al suono e raggiunti nu-merosi obiettivi specifici. I bambini hanno imparato a riconoscere semplicistrutture musicali (ritornello-strofa, il canone, la cellu-la ritmica, lo stacco), e a creare ed eseguire semplicicomposizioni ritmiche. Dal punto di vista operativohanno imparato a scandire ritmicamente un testo, aintonare una semplice melodia, a riprodurre per imi-tazione ritmi proposti, a suonare in poliritmia e a re-lazionare musica-gesto-movimento-strumento. Ancheil concetto del rapporto suono-segno è stato rafforza-to, in quanto hanno dovuto trovare un sistema per(di)segnare e leggere i suoni, i silenzi e le sequenze rit-mico-verbali.Infine, la mia soddisfazione personale si colloca nellasfera relazionale che credo nel tempo sarà il risultatopiù importante. In brevissimo tempo sono riuscita amotivare i bambini e a catturare il loro interesse, com-pito che inizialmente si era prospettato assai arduo. Confesso che ci sono stati momenti in cui mi chiede-vo come avessi mai avuto l’idea di chiedere a deibambini di picchiare con i cucchiai sui banchi, o peg-gio ancora sui piatti. Ma sono convinta che è stataproprio la partecipazione molto operativa che la si-tuazione richiedeva a coinvolgere persino il bambinopiù restio. Ricordo bene le prime lezioni, quando ogni mia pro-posta veniva trattata con diffidenza. Cantare? Figu-riamoci! Ma a distanza di solo un mese ho visto quel-la stessa classe montare tavolini, sedie e tovaglie sulpalcoscenico in assoluto silenzio e farsi trovare tuttiseduti a tavola e pronti in pochi minuti. E come can-tavano! E come picchiavano! Un’altra classe nonavrebbe trovato la stessa energia.

Note1 La lettera sottolineata corrisponde alla pulsazione; l’asteri-sco indica la pausa, così come spiegato successivamente.2 Il termine “poliritmia” significa letteralmente “più ritmi”,sottinteso che il metro è costante. Nel nostro esempio, utiliz-ziamo quattro ritmi differenti in un tempo quaternario. 3 In E. Strobino, 2001, Musiche in Cantiere – Proposte per ilLaboratorio Musicale, Franco Angeli, Milano. Nella musicaaraba, per memorizzare i cicli ritmici (wazn) che verranno poisuonati sui tamburi, vengono utilizzate due onomatopee fon-damentali: dum e tak. Il dum corrisponde a un suono più gra-ve e il tak al suono più acuto.

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Poiché la musica ha luogo nel tempo, l’elemento piùcaratteristico di ogni pezzo è la sua durata. Quando ab-biamo ascoltato un brano musicale dall’inizio alla fine eci piace, in gran parte è perché sentiamo che la sua du-rata è giusta. Il contrario è altrettanto vero. Se, prepara-ti a goderci la musica e avendo ascoltato con menteaperta, percepiamo ugualmente che il brano non è pro-prio soddisfacente, è probabile che il compositore nonabbia giudicato in modo corretto la durata più appro-priata agli elementi musicali (melodie, motivi ritmiciecc.) che ha inventato. La causa potrebbe essere lascelta dei materiali e il loro utilizzo troppo a lungo.Quando creiamo un brano musicale dobbiamo esse-re sensibili alla durata, valutare se è necessario piùtempo per sviluppare il pezzo in modo soddisfacenteo se è troppo esteso. La durata non può essere misu-rata o calcolata: bisogna apprendere a giudicarla conl’esperienza. Quanto è lungo un brano corto? Quantoè lungo un brano lungo? Come sappiamo quando ègiusto?La “correttezza” della durata dipende dall’interazionedi più elementi: lo scopo del pezzo o le circostanze incui sarà suonato, le risorse coinvolte (voci, strumenti –forse anche le persone specifiche che suoneranno ilpezzo: il loro livello tecnico o il tipo di suono che sonoin grado di produrre). Molto importante sarà l’idea mu-sicale – un’idea complessiva di come il pezzo suonerà– e i materiali che inventeremo per esprimerla.Qual è la prima decisione che dobbiamo prendere? L’i-dea? Gli strumenti? Dovrà essere un brano lungo o cor-to? Che tipo di elementi melodici e ritmici saranno piùadatti all’idea? Dobbiamo provare a immaginare comesvilupperemo quei materiali per fare in modo che ilbrano completo suoni “giusto” e dobbiamo pensare at-tentamente a come questo potrà essere ultimato: cosadovremo fare precisamente?C’è anche la questione delle proporzioni. Se inventia-mo melodie o elementi ritmici inadatti alla propostamusicale il risultato non sarà soddisfacente. “Grandi”melodie e ritmi concitati probabilmente richiedono piùtempo per svilupparsi. Idee più contenute ed elementisonori delicati potrebbero suonare sbagliati se li utiliz-ziamo troppo a lungo. Gli esercizi che seguono miranoa creare brevi brani musicali, pezzi che dicano ciò chebisogna dire, che suonino giusti, e si concludano inmodo soddisfacente, il tutto in pochi secondi: usandosolo il tempo e il materiale strettamente necessari.

Organizzazione

Dovrebbe essere a disposizione una varietà di stru-menti sufficiente affinché tutti possano scegliere i suo-ni più adatti alla propria idea musicale. Iniziate discu-tendo il tema di ogni consegna. Quindi, quando glialunni hanno suggerito idee per i loro pezzi e questesono state discusse (enfatizzando lo scopo: creare bra-ni corti e convincenti), la classe si divide in gruppi for-mati dagli alunni stessi – due o tre ma non più di cin-que in un gruppo – per realizzare i pezzi. Riservate iltempo sufficiente per ascoltare tutti i brani completi ediscuterli.

Attività

Fra i brani brevi di maggior successo ne troviamo al-cuni che identificano le stazioni radiofoniche. Questisono conosciuti come “Station IDs” e generalmentenon durano più di 3 o 4 secondi. La musica deve es-sere distintiva, deve rimandare immediatamente gliascoltatori allo stile di diffusione della Stazione. Atten-zione: non è la stessa funzione che ha la sigla intro-duttiva di un programma radiofonico o televisivo! Inprimo luogo la Station ID deve essere meno specifica,evocando l’idea generale della programmazione piùche un particolare argomento come lo sport, l’arte o leprevisioni del tempo. In secondo luogo, deve esseremolto corta ma anche compiuta. Lavorando in piccoligruppi, inventate alcune Station IDs.La musica viene usata nei film in molti modi differenti.Talvolta un tema è presente durante l’intero film, permomenti più o meno lunghi a seconda della scena. Oancora, la musica può essere costituita da piccolissimiframmenti d’atmosfera, ciascuno della durata di solipochi secondi, con la funzione di rinforzare l’emozionedel momento: tensione, paura, qualcosa di sinistro chesta per apparire. Lavorando in piccoli gruppi, pensatea scene di film in cui sarebbe d’aiuto aggiungere unbrevissimo pezzo di musica d’atmosfera. Provate a im-maginare varie situazioni che richiedano “atmosfe-re”contrastanti, in ogni caso create un brano musicaleche non duri più di 4 o 5 secondi.Lo haiku è una forma di poesia giapponese che si svi-luppò nel XVI secolo. Ogni poema ha appena 17 silla-be e le parole sono disposte in tre versi: cinque sillabe,sette sillabe, cinque sillabe. In questa breve forma ilpoeta crea una singola immagine: solo un lampo di

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Solo ciò che è necessario

JOHN PAYNTER

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pensiero, un’impressione veloce. Per esempio

Yuki tokete Con lo sciogliersi della neve,Mura ippai no il villaggioKodomo kana è tutto un grido di bimbi.1

Questo breve poema ci dà una forte sensazione dicompletezza. L’immagine globale (idea) è qualcosa ditranquillo e silenzioso che cambia lentamente, dive-nendo attivo e rumoroso. I materiali verbali usati percreare questa immagine sono tutti associati a un pae-saggio invernale. Il materiale principale (comparabile auna melodia, un motivo armonico, o un elemento rit-mico) è neve e questo è attentamente sviluppato nel-l’intera durata dello haiku: (I) tutto è coperto dalla ne-ve, (II) la neve si scioglie perché arriva la bella stagio-ne, (III) la neve sciolta diventa un fiume d’acqua e (IV)questo, successivamente, fa riversare per le strade unfiume eccitato di bambini felici di uscire dopo esserestati a lungo rinchiusi in casa. Una trasformazione co-sì chiara dei materiali soddisfa l’idea, lasciandoci conl’immagine di un’attività gioiosa che si sviluppa gra-dualmente; ma tutto ciò si compie in un brevissimolasso di tempo – la durata dello haiku.Lavorando in piccoli gruppi e usando solo gli strumen-ti (per esempio non le voci), create un breve pezzo dimusica basata si questo haiku. Quali tipi di suoni sce-glierete per suggerire la quiete di un gelido paesaggio?Come si possono sviluppare ed estendere questi suoniper suggerire un graduale scioglimento e il crescere diun fiume che viene poi trasformato nella felicità di

bambini che giocano? Provate a fare queste trasforma-zioni usando principalmente il materiale con cui inizia-te il pezzo.Trovate un altro haiku adatto (o inventatelo voi) e usa-te questo come base per altri brevi pezzi strumentali.

Insegnante

Dopo aver ascoltato e commentato i pezzi degli alunni,suonate e discutete il seguente brano. Attenzione: i se-gni del pedale devono esser rispettati scrupolosamen-te, permettendo ai suoni di crescere e dissolversi esat-tamente come indicato. Gli alunni devono discutere lamusica sulla base di quello che sentono, poiché il bra-no è suonato dall’insegnante e non devono vedere lospartito. È importante ricordare loro che la musica èessenzialmente un’esperienza orale ed è importanteallenarsi ad ascoltare attentamente per esprimere opi-nioni su ciò che percepiamo.In questo brano la trasformazione è sufficientementegraduale? Come è stata ottenuta? Nel caso in cui alcu-ni studenti pensino che la trasformazione non sia statasoddisfacente, possono suggerire come migliorarla?Sentiamo giuste le proporzioni dei materiali? Oppurequesto materiale, come è stato concepito per il piano-forte, è troppo importante per un brano così corto? Selo sentite giusto, è possibile dire perché è così?Altre traduzioni di haiku si trovano ad esempio in Cen-to haiku, Longanesi, Milano, 1982. La musica per lo haiku “Autunno” (parole di Gyodaitradotte dal giapponese [in inglese] da Harold. G. Hen-

derson) composta per voci bianche estrumenti didattici da John Paynter èpubblicata da Universal Edition (Lon-don) Ltd [U.E. 15472 L].Melting di John Paynter è un lavoropiù ampio sull’idea esplorata nell’e-sempio musicale precedente basatosullo haiku “Lo sciogliersi della ne-ve”. Melting è pubblicato da Bo-sworth (London, Frechen, and Wien)in Composers Series 3: collection forpianoforte, ed. Richard Deering [BoE4943].Propongo di far ascoltare alla classeuna registrazione delle Sei bagatelleper quartetto d’archi op. 9 di AntonWebern. Notate in particolare la strut-tura diradata e l’uso drammatico deisilenzi in questi brevissimi pezzi.

Note1 Kobayashi Issa (1763-1827), tradotta dalgiapponese da Irene Iarocci, in Cento hai-ku, Longanesi & C., Milano, 1982.

[Traduzione a cura diPaola Bernardelli]

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Credo che le generazioni di soci Siem che da un tren-tennio a questa parte si alternano alla lettura di Mu-sica Domani abbiano passato l’una all’altra, come iltestimone in una gara di staffetta, il sogno di una pre-senza della musica nella scuola che, dal punto di vistadell’in-segnamento (segnare dentro), sia non solo effi-cace ma, in qualche modo, contagiosa. Ricordo diaver sentito dire alla mia professoressa di educazionemusicale in prima media, cui devo la scelta di aver co-minciato a studiare “seriamente”, che “tutta la scuo-la deve profumare di musica”.Eravamo agli inizi degli anni ’70 e oggi vedo in lei,come in tante colleghe che poi ho conosciuto, quan-to la Siem abbia avuto un ruolo determinante nellacostruzione di un patrimonio di convinzioni comu-ni sulle funzioni e i criteri ispiratori di un buon in-segnamento musicale. Ma quello che un’associazio-ne professionale può fare, per quanto importante, èpiccola cosa rispetto al compito di formazione inte-grata che spetta alle istituzioni nei confronti deimusicisti da poco diplomati e ancora in cerca diuna specializzazione.E se alcune di queste specializzazioni, in assenza diprofili professionali giuridicamente riconosciuti,sono affidate principalmente a istituzioni private divaria natura (è il caso della musicoterapia), dellaformazione dei docenti di musica si occupano almomento due diverse istituzioni pubbliche: i con-servatori, visto che il diploma quadriennale in di-dattica della musica risulta titolo abilitante all’inse-gnamento, in seguito al provvedimento 268 del 25novembre 2002, e le università, attraverso le Scuo-le di Specializzazione dell’Insegnamento Seconda-rio (SSIS) che, non più previste – in quanto consorzidi diverse istituzioni universitarie – dalla riformaMoratti, saranno però verosimilmente sostituite dalauree specialistiche erogate o dagli stessi consorzigià attivati, o da singoli atenei.

La redazione della rivista ha pertanto pensato di fa-re cosa utile stimolando una riflessione sui criteri diqualità in base ai quali è giusto e legittimo confron-tare i percorsi formativi, già esistenti o ancora daistituire, mirati alla specializzazione dei docenti dimusica. Detti criteri possono essere articolati, cre-do, andando da un lato alla ricerca delle competen-ze irrinunciabili che un docente di musica deve mo-strare di possedere e, dall’altro, delle modalità diacquisizione di dette competenze, all’interno dellascuola di formazione.Ho coinvolto in questa prima riflessione colleghiche potessero fornire contributi diversamenteorientati: Alessandra Anceschi, responsabile del-l’organizzazione e supervisione del tirocinio pressola SSIS in educazione musicale voluta a Bologna da-gli atenei dell’Emilia Romagna; Mario Baroni, mu-sicologo e docente universitario ben noto ai lettoridi Musica Domani, coordinatore sin dai suoi inizidella medesima SSIS di Bologna (la prima attivata inItalia per la specializzazione in educazione musica-le); Roberto Neulichedl, docente di Pedagogia dellamusica nella scuola di didattica del conservatorio diAlessandria e membro attivo della segreteria delGruppo Operativo per la Didattica della Musica(ddm-go) nel monitorare e valorizzare le scuole dididattica dei conservatori all’interno del panoramadella formazione musicale nazionale; EmanuelePappalardo, docente di Composizione per la Didat-tica al conservatorio di Frosinone e compositore dimusica elettronica ed elettroacustica.Per quanto mi riguarda, vorrei iniziare il confrontosuggerendo l’attenzione ad alcuni aspetti che riten-go possano rappresentare anche dei criteri di quali-tà. Uno di essi riguarda le modalità di accesso alpercorso formativo e la possibilità-necessità di sele-zionare in ingresso dei candidati all’insegnamentoche siano anche dei veri musicisti. Dal momento

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iti Formare gli insegnanti di musica:

alla ricerca di criteri di qualità

Insegnare a insegnare: è un nodo vitale nelmondo della scuola. Le varie soluzioni esituazioni istituzionali attualmente presentinel panorama italiano vengono analizzate ecommentate da esperti del settore. Tirocinio,tecnologie, metodo e conoscenzemusicologiche sono gli ambiti indagati daidiversi interventi.

a cura di FRANCA FERRARI

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che il lavoro nella scuola non è più, e da tempo, unasoluzione di ripiego, essendo rimasto una delle po-chissime possibilità di impiego nell’istituzione pub-blica, è forse arrivata l’ora di sfatare il luogo comu-ne per cui non è necessario, per insegnare, esseredotati di chissà quali abilità musicali. Mi torna al-l’orecchio il commento incredulo di un collega diconservatorio sulla difficoltà delle prove di selezio-ne per l’accesso alla SSIS del Lazio: «E tutto questoè per insegnare nella scuola media…?!» In realtà, ame sembra proprio che la scuola abbia bisogno dibravi musicisti e constato continuamente che è im-possibile lavorare a formare immagini uditive vive ebrillanti nelle menti degli altri se non si nutre unproprio repertorio, ricco e vivace, di pensieri sono-ro-musicali, da evocare e comporre rapidamente eda restituire con efficacia con la voce e con gli stru-menti. È certamente vero che l’interazione con gliallievi stimola e arricchisce: so bene di essere matu-rata moltissimo, proprio come musicista, lavoran-do in questi ultimi trent’anni anni sui metodi per ladidattica musicale e mettendo alla prova (a voltecon successo e a volte no) le mie personali risorsemusicali per trovare soluzioni ai problemi musicalidegli altri. Nondimeno, credo sia indispensabilepartire avendo già vissuto delle esperienze musicaliforti e ricche, che si desidera comunicare. Questo,per lunghi anni, non è stato il caso di molti diplo-mati di conservatorio che si dedicavano all’insegna-mento nella scuola pubblica.Un secondo aspetto riguarda l’impianto metodolo-gico costruito per consentire allo specializzandol’acquisizione di competenze pedagogico-didattichegenerali e specifiche. Credo che in detto impianto lospecializzando dovrebbe allenarsi a osservare, pro-gettare, realizzare e verificare modelli tra loro di-versificati di programmazione didattica (dai per-corsi curricolari, ai progetti, alle mappe concettua-li…), rispondenti sia per forma che per contenuti adiverse esigenze e contesti, mantenendo sempreun’attenzione alle caratteristiche cognitive e socio-affettive proprie del segmento evolutivo cui si rivol-ge e, dunque, alla pregnanza che l’esperienza musi-cale può assumere in relazione a ciascuna di esse (lamusica e la rappresentazione mentale del tempo, odello spazio, la musica e l’acquisizione di modellidiversi di dinamiche di gruppo, l’esperienza musi-cale nel percorso di costruzione dell’identità perso-nale e collettiva, o nell’elaborazione dei vissutiemotivi ecc.).Sono del parere che, per quanto prezioso sia l’in-contro con pedagogisti e didatti “generali”, oesperti di altre discipline, risulti più efficace affron-tare le problematiche psico-pedagogiche già in rife-rimento all’esperienza musicale, affinando e moti-vando la capacità di riflettere e argomentare su diesse attraverso la ricerca di mediazioni con il pro-prio specifico disciplinare. Infine, ma non certo ultimo, ritengo che il criteriodi qualità essenziale di un percorso che mira a for-mare insegnanti debba consistere in una metodolo-

gia d’insegnamento che è già di per sé un contenu-to, un modello didattico esemplare. In altre parole,penso gli specializzandi abbiano diritto a un con-fronto con i contenuti di natura teorica e speculati-va organizzato in modo tale da offrire quegli stessicontenuti come strumenti di lettura di situazioniconcrete, assunte come campioni dell’esistente.Nello stesso tempo, hanno diritto e bisogno di con-frontarsi con dei modelli di operatività didatticache assumono il loro senso all’interno di quadri co-erenti di conoscenze teoriche, esercitandosi con laguida dei docenti a formulare correlazioni tra la let-tura dei bisogni osservati e interpretati, da un lato,e la progettazione e realizzazione degli interventieducativi, dall’altro. Questo equilibrio tra teoria eprassi, che è sempre arduo cercare, raggiungere emantenere, mi sembra si possa dare più facilmentein situazioni didattiche configurate come una botte-ga, o un laboratorio, in cui insieme si esaminano idati di una situazione, illuminandoli con gli studireperibili in letteratura, si elabora un progetto diintervento che risponda ai bisogni osservati, si met-tono a punto abilità e materiali – musicali e non –necessari al progetto, se ne seguono andamento erisultati. In una bottega, o laboratorio, siffatta, c’èspazio solo per un numero ristretto di figure docen-ti, che lo specializzando sia in grado di riconoscerecome tutoriali e di riferimento.Trovo, in questo senso, che i due ruoli del supervi-sore di tirocinio e del docente di scuola di base in-caricato dell’accoglienza del tirocinante – figure lacui sussistenza, peraltro, appare assai dubbia nelleprospettive della riforma- siano le più “rivoluziona-rie” e interessanti di tutto il progetto SSIS.1 Nellostesso tempo, io stessa ho potuto constatare, con-tribuendo alla SSIS del Lazio con un modulo di 22ore su Fondamenti e metodi dell’educazione musi-cale, lo scollamento tra il mio intervento e quello,egregio, della coordinatrice del tirocinio, con laquale, a rigor di logica, avrei dovuto preoccuparmidi concordare per lo meno l’uso del lessico didatti-co (me ne sono accorta quando qualche studente miha chiesto, perplesso, come mai non chiamavo uni-tà didattica ogni progetto di intervento…). Questoper significare che anche l’interazione tra docenti,sempre faticosa e difficile, risulta ancora più fatico-sa e difficile quando si moltiplichino le aree di in-tervento e le competenze di insegnamento, deman-dando ancora una volta allo studente, e solo a lui,le mediazioni e la costruzione di orizzonti di sensoche ne consentano un’integrazione. (F.F.)

Note 1 Si legga l’intervento di Adriano Colombo “La formazione deidocenti nella scuola dell’autonomia”, sul n. 126 di Musica Do-mani

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Di fronte alla richiesta di esprime-re una mia valutazione sulle cono-scenze e abilità irrinunciabili nellaformazione iniziale dei docenti dimusica, sarei portata a sbrigarme-la piuttosto velocemente compu-tandovi gran parte delle competen-ze approfondite afferenti a diversiambiti: competenze musicali (di ti-po compositivo e di pratica esecu-tivo/improvvisativa strumentale evocale), competenze musicologi-che (conoscenza di musiche dellepiù diverse provenienze, delle lorofunzioni, dei loro contesti), com-petenze didattiche (conoscenza deimezzi e dei metodi implicati nel-l’insegnamento e valutazione dellaloro efficacia), competenze peda-gogiche (intese quale atteggiamen-to del docente volto alla rielabora-zione dell’azione educativa). Non appena però l’attenzione hamodo di posarsi un poco più con-sapevolmente sulla quantità e laqualità delle implicazioni con cuiquesti terreni di conoscenza co-stringono a confrontarci (di frontealle quali non nascondo un certoimbarazzo, individuando – ahimè– punti scoperti della mia forma-zione), s’insinua mal celato il ti-more che il lettore di queste pagi-ne possa essere infastidito dal so-spetto – rinforzando uno dei luo-ghi comuni più frequenti sullaprofessione docente – che il conte-nuto qui espresso sia l’ennesimotentativo di nobilitare all’internodell’area musicale l’operato didat-tico e di rivendicarne un prestigionei confronti di un più riconosciu-to operato artistico. Posta dunque di fronte a questaprospettiva, tenterei di trarmid’impaccio e di limitare il campod’analisi, riconducendo le mie ri-flessioni a un’esperienza che hoavuto la fortuna di costruire nelcorso di questi ultimi tre anni nel-

l’ambito del coordinamento e del-la supervisione del percorso di ti-rocinio della Scuola di Specializza-zione all’Insegnamento Seconda-rio dell’Università di Bologna.Proverei inizialmente a far emer-gere che tipo di competenze il seg-mento formativo che curo (il tiro-cinio, appunto) lasci ancora sco-perte o abbia fatto emergere comeindispensabili, indicando alcunisommari riferimenti ai modellieducativi con cui si è tentato di da-re risposta alle carenze individuatee destinando invece ad altri dibat-titi l’articolazione delle proposterelative a possibili strategie di re-cupero, di sviluppo e di verifica disuddette competenze. Non primaperò di aver brevemente circostan-ziato l’osservatorio che mi ha per-messo di mettere a fuoco taliorientamenti.Considero l’esperienza del tiroci-nio articolata nelle SSIS come unodei tentativi più significativi che inquesti anni si siano compiuti perla costruzione di un percorso diformazione dei docenti. La cosiddetta quarta area (checompleta il curricolo insieme agliinsegnamenti dell’area pedagogi-co-didattica generale, a quellid’indirizzo e ai laboratori), haconsentito per la prima volta inmodo sistematico e strutturato –seppur ancora altamente perfetti-bile – di mediare, collocare e mo-nitorare la congiunzione tra il sa-pere pensato e il sapere agito.L’area che vorrei chiamare – perdirla con Howard Gardner – del-l’apprendistato, si pone come luo-go in cui tradurre sul piano realele competenze acquisite e si rivelail vero banco di prova che portaalla luce, con fondatezza di moti-vazioni, l’idoneità all’eserciziodella funzione docente. Attraversola mediazione di una prospettiva

mimetica di questo segmento for-mativo (è ancora Gardner a sugge-rirlo) – che vede l’apprendista in-segnante riprodurre atteggiamentie comportamenti del tutore acco-gliente – e di una prospettiva tra-sformativa in cui una reiterataprestazione deve invece trovareautonomia di interazione percompiere una trasformazione del-le conoscenze, delle idee, dei con-cetti, si compie, a mio modo di ve-dere, la necessaria collocazionenella bottega delle competenze ac-quisite nell’accademia.Il ruolo di supervisione che ricopromi ha permesso di controllare i par-ticolari di questo atto di mediazio-ne e di fare emergere quali compe-tenze relative ai quattro ambitielencati in apertura (musicale, mu-sicologico, didattico, pedagogico)rimangano ancora scoperte.Le riflessioni che proverò a ordi-nare sono costruite sulla base del-le osservazioni dei percorsi di tiro-cinio di studenti provenienti dallepiù disparate formazioni musicali(diplomati in strumento, diploma-ti in didattica della musica, laurea-ti Dams, con tutte le combinazionidel caso) e offrono quindi una va-sta possibilità di confronto.Partiamo dalle competenze musi-cali. L’osservatorio privilegiato incui valutare le competenze musica-li è proprio la classe accogliente do-ve lo studente costruisce e realizzail proprio progetto di tirocinio. Leriflessioni prodotte dal supervisoresulla base dei verbali di lezione re-lativi al progetto attuato dallo spe-cializzando e gli incontri e i collo-qui intrattenuti al termine del tiro-cinio attuativo dal supervisore stes-so con gli insegnanti che hanno ac-colto gli studenti nelle proprie clas-si, hanno avuto modo di fare emer-gere le seguenti osservazioni.Ciò che maggiormente è apparsocarente è la conoscenza di una di-mensione musicale non parcellizza-ta dalle competenze acquisite a li-vello strumentale, vocale e teorico.Una visione musicale che implichicioè una sorta di pensiero composi-tivo e che consenta di mettere ingioco in ambito didattico le proprieabilità musicali tentando di pro-porle in una prospettiva di comple-tezza. Tale prospettiva dovrebbe

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ALESSANDRA ANCESCHI

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porre un’equilibrata attenzione siaal lato esecutivo/performativo (equindi anche tecnico/interpretati-vo), a quello strutturale e formale,a quello critico e analitico. Unapercezione della musica che con-senta di ricondurre l’atto educativonon solo alla dimensione tecnicama che ampli gli orizzonti a unorientamento più culturale.Sul versante strumentale è invece lapratica improvvisativa (e del suo-nare a orecchio) a rivelare più in-certezze, insieme a una scarsa di-mestichezza delle conoscenze tecni-co/esecutive più elementari di al-meno due strumenti (in particolaredegli strumenti accompagnatori),pratiche entrambe indispensabili alsostegno di qualsiasi attività stru-mentale individuale o di gruppo. Per quanto riguarda invece lecompetenze musicologiche possia-mo dire che la qualità di un’azionedidattica è in gran parte dipenden-te dalla scelta dei materiali utiliz-zati (o meglio dei contenuti mate-riali, per usare il lessico specificodella programmazione). La perti-nenza e la validità didattica deimateriali musicali e degli ascolti èelemento cardine per la costruzio-ne di attività efficaci. Una buonascelta dipende da una folta cono-scenza dei repertori. Ascoltare econoscere più musiche possibili(differenti stili, differenti generi, iloro contesti, le loro funzioni) di-viene competenza imprescindibileper scegliere “la musica giusta” inrelazione a obiettivi e attività, masoprattutto per situare al centrodella formazione di un valore e diun sapere culturale, il prodotto diuna consapevole scelta musicale.Una scarsa conoscenza del reper-torio appare già evidente nelle ri-levazioni dei requisiti in ingressodei futuri docenti. I due anni delpercorso di formazione SSIS, purtentando un recupero che si con-cretizza nella predisposizione dipercorsi d’ascolto guidati, non so-no spesso sufficienti a colmare idebiti emersi e l’impaccio apparein tutta la sua evidenza nel mo-mento in cui lo specializzando po-ne inizio alla costruzione dellatraccia del progetto didattico. Ladifficoltà nella scelta e nel reperi-mento delle musiche rivela spesso

scarsa abitudine e curiosità d’a-scolto di diversi repertori e unaconseguente tendenza a un adatta-mento “forzato” di brani ben co-nosciuti, ma talvolta poco perti-nentemente collocati.Passiamo ora alla questione dellecompetenze didattiche. «Ad inse-gnare non s’impara, agli allievi sitrasmette ciò che si è». Questa è –più o meno – la sintesi delle rifles-sioni sulla formazione docente chemio padre, preside per circa tren-t’anni, ha sempre lasciato traspari-re. Confesso di averla rifiutata piùdi una volta e più di una volta diaverla ripresa in considerazione.Ancora oggi mi si ripropone altale-nante la duplicità di questo aspettoe individuo talvolta serie motiva-zioni per allontanarla (l’esperienzadel tutoraggio nel tirocinio me neha dato l’illusione) e altrettantocorpose ragioni per accoglierla(dopo tutto, un’indole predispostaalla disponibilità, all’incoraggia-mento, al sacrificio, alla pazienzanon la si crea artificialmente; nonsi è sempre sostenuto che l’inse-gnamento è una missione?). Di-chiaro quindi tutte le mie incertez-ze di fronte alle proposte di solu-zione per la costruzione di compe-tenze di tipo didattico.Ciò che unicamente mi sento di af-fermare con parziale sicurezza èche la padronanza di tecniche emetodi di insegnamento e la valu-tazione della loro efficacia può gra-dualmente costruirsi attraversoun’attenta osservazione (e auto-os-servazione) delle relazioni d’inse-gnamento e un’altrettanto puntua-le riflessione sui dati rilevati. Piùche imparare a conoscere tecnichee modalità d’azione, credo sia im-portante sviluppare un’attenzioneall’osservazione e all’analisi delleproprie o altrui azioni didattiche.Il segmento del tirocinio osservati-vo ha, in questo senso, mostratotutte le sue potenzialità. Il periododi osservazione condotto dallostudente nelle classi in cui anchel’azione dell’insegnante viene at-tentamente indagata all’internodel contesto, diviene momentoprivilegiato per raccogliere le in-formazioni necessarie a una defi-nizione dell’itinerario didatticoche abbia come principale criterio

di guida il senso del reale. La ri-flessione condotta sulle azioni di-dattiche che si sono osservatecompiere dal tutor accogliente daun lato, insieme alla ricognizionesulle caratteristiche del contestoche dovrà accogliere l’interventodall’altro, contribuiscono a orien-tare le strategie del futuro docen-te. Mediante incontri collettivi estrumenti predisposti per l’analisie l’autoanalisi, il percorso di tiro-cinio ha tentato di portare a un’at-tenta ricognizione delle tecniche direlazione e di insegnamento neltentativo di valutarne criticamentel’efficacia. Un oculato utilizzo diun metodo osservativo diviene, al-la luce di quanto detto, strumentoindispensabile per una piena presadi coscienza del fatto educativo.Consideriamo ora le competenzepedagogiche. Se si intendono conquesto termine le competenze checircostanziano i fini del processoeducativo e i modi più atti a con-seguirli, va da sé l’implicazioneche per riconoscerli e valutarnel’efficacia sia necessario interro-garsi sulle modalità didattichemesse in pratica. A differenza del-le competenze didattiche, credoche questa attitudine si possa gra-dualmente costruire. Più che dicompetenza, mi sembrerebbe piùcorretto parlare di abitudine, nelsenso che questo tipo di riflessioneè in grado di costruirsi dietro con-tinue sollecitazioni con interroga-zioni, domande, quesiti. È in que-sto senso che la competenza si for-ma, coltivando un’abitudine achiedersi il perché di ogni azione,per trovare conferme o smentite,per imparare a ridefinire i propripassi, per costruire certezze e alcontempo essere pronti a rimetter-le in discussione.Consolidare tale atteggiamentoaiuta a un tempo a rompere lanoia che le routines didattiche e laprassi consolidata inevitabilmentefanno emergere e, dall’altro, avvi-cina l’insegnante a quell’orienta-mento alla ricerca di cui tantol’accademia lamenta la carenza.Il modello didattico-organizzativoche ha inteso provvedere alla co-struzione di questa competenza losi è individuato nella calendarizza-zione settimanale di incontri indi-

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viduali tra lo specializzando e ilsupervisore. La sollecitazione a in-dagare il perché della scelta diogni azione, accompagnata dal-l’incitamento alla valutazione diproposte alternative a quelle indi-viduate, alla conduzione di unadettagliata documentazione deipassi compiuti al fine di una com-parazione tra progetto ideato eprogetto attuato e all’annotazionedi tutte le azioni/reazioni dei di-scenti, hanno teso a collocare inuna dimensione problematica lariflessione del futuro insegnante.Infine qualche parola sulle compe-tenze estetiche.Mi sia consentito, in chiusura, diaggiungere – o meglio – di far usci-

re dal mucchio una sorta di com-petenza che chiamerei appuntoestetica e che ogni docente dovreb-be costruire nella prospettiva bru-neriana di un’educazione culturali-sta. In La cultura dell’educazioneBruner afferma che, stando al datoevolutivo, è la cultura che ci forni-sce gli strumenti per organizzare eper capire il nostro mondo. Vi è, amio modo di vedere, una qualitàdell’esperienza culturale, in parti-colare dell’esperienza artistica, dacui l’azione educativa non puòprescindere e senza la quale ver-rebbe a mancare proprio quellacomprensione del mondo (o di unaparte di esso) di cui Bruner parla.Questa qualità è appunto la quali-

tà estetica, intendendo con questotermine la capacità di un’esperien-za artistica di suscitare curiosità estupore. Senza di ciò, si vanifiche-rebbe irreparabilmente ogni tenta-tivo d’educazione. Senza di ciò ca-drebbe miserabilmente ogni emo-zione e motivazione verso la cono-scenza. Senza di ciò non potrem-mo che rendere ragione a coloroche, come si diceva in apertura, ri-vendicano una posizione di priori-tà del fare arte rispetto al fare di-dattica. Costruire nel docente lacapacità di riconoscere, insinuare,sollecitare un’esperienza estetica,diviene mirabile strategia per ri-condurre l’esperienza scolastica aun’esperienza di vita reale.

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Poiché sono stato interpellato sul-le conoscenze e abilità musicaliche un percorso mirato a formaregli insegnanti di musica dovrebbeassicurare, sento anzitutto il biso-gno di soffermarmi e chiarire, an-che se in via del tutto generale, ilsignificato di questi due sostantivi.Quotidianamente noi siamo sotto-posti a una tempesta di stimoli in-formazionali provenienti dal mon-do esterno. Il primo impatto conquesto magma entropico avvieneattraverso la percezione, che rap-presenta il primo filtro attraversoil quale siamo in grado di ridurreil rumore che ci perturba, di orga-nizzarlo in base alle esigenze delsistema complesso articolare chiu-so quale noi siamo.1

Affinché tali vissuti percettivi pos-sano far parte del nostro bagaglioepistemico, ossia possano concre-tamente trasformarsi in esperien-za, è necessario che via sia un’ana-logia tra lo stimolo esterno e i no-

stri bisogni interni. Per dirla allaBateson, «la cosa nuova deve sod-disfare le esigenze interne di co-erenza dell’organismo»,2 ossia ènecessario che i componenti delmondo esterno siano compatibilicon i nostri. Il sistema rifiuta ciòche non riconosce come funziona-le al proprio equilibrio, al propriobenessere, così come rigetta stimo-li troppo violenti. Il sistema nonriesce ad assorbirli, a metaboliz-zarli. La carica rimane localizzatae l’informazione non circola. Glistimoli devono essere lenti e conti-nui affinché possano essere inte-grati dal sistema.L’essere umano ha conoscenza delmondo esterno solo attraverso lealterazioni di un equilibrio interno.Il processo di metabolizzazione ditali alterazioni può essere più o me-no lungo, facile o faticoso, ma por-terà in ogni caso a ristrutturare unnuovo equilibrio, sempre che leperturbazioni prodotte dagli sti-

moli possano essere riconosciutiossia abbiano componenti compa-tibili con il sistema, ossia con ilcontesto.«Prive di contesto le paro-le e le azioni non hanno alcun si-gnificato (…) Ogni comunicazioneha bisogno di un contesto, senzacontesto non c’è significato».3

Continuità e lentezza sono duefattori da tenere nella massimaconsiderazione in un percorso for-mativo.Ciò comporta la necessitàdi uscire drasticamente da un’otti-ca algoritmica. Chiunque insegnidovrebbe aver capito il senso diciò che sta insegnando. Ogni stu-dente, anche il meno dotato, è ingrado di apprendere e applicareun algoritmo ma ciò non gli con-sentirà di modulare quanto appre-so in relazione ai diversi contesti.Oggi, purtroppo, tutti i percorsiformativi, a qualunque livello sia-no praticati, sono rivolti alla par-cellizzazione del sapere, ossia al-l’apprendimento di formule e ditecniche algoritmiche che limitanopesantemente le potenzialità cheogni studente possiede. Ciò nonvuol dire che non sia necessarioapprendere delle tecniche specifi-che, anzi è necessario poterle al-l’occorrenza esibire nel fare e po-terle giustificare mediante un lin-guaggio appropriato, ma questocorredo di specificità dovrà esseredirettamente derivato da un ambi-

Conoscenze e abilità:il ruolo delle nuove tecnologie

EMANUELE PAPPALARDO

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ttitito epistemico di ampio respiro.

Chi esce da un corso di formazio-ne musicale sa in genere una quan-tità di cose su scale, contrappunto,armonia ecc., ma ignora comple-tamente la grammatica che gli per-metta di cogliere il senso di tuttaquesta informazione. Mi sembra non facciano eccezionea questa impostazione parcelliz-zante del sapere le attuali scuole dispecializzazione, nelle quali risultaconcentrata in un biennio una talequantità di saperi da rendere pres-soché impossibile quel processo dimetabolizzazione, caratterizzatoda continuità e lentezza, di cuiscrivevo poco sopra. Per rimanerenello specifico della formazionemusicale, ritengo che le attualiscuole di Didattica della Musicapotrebbero affrontare corretta-mente il problema di una forma-zione che si basi sulle premesse finqui presentate, sempre che si sia ingrado di instaurare una rete di le-gami autentici con i propri allievi. Il confronto e la discussione collet-tiva sono indispensabili per svilup-pare la capacità di lavorare insie-me. Personalmente dedico buonaparte del monte ore che ho a dispo-sizione per potenziare questa atti-tudine. L’acquisizione di conoscen-ze e abilità non è dunque solo unaquestione di contenuti, ma di me-todo. Il docente, di fatto, interferi-sce direttamente e pesantementecon il campo epistemologico dellostudente e potremmo arrivare a di-re che non c’è formazione che nonsia terapia e non c’è terapia chenon sia formazione: in un percorsoformativo, la “salute” dello stu-dente dipende da quella del docen-te molto di più di quanto studenti edocenti possano immaginare.Ritengo sia necessario che duranteil percorso formativo docente estudente imparino a parlare un lin-guaggio comune e che abbiano unpensiero comune, al di là delle ap-plicazioni di specifiche abilità ac-quisite, i cui interessi centrali sianoil benessere e l’integrità dell’indivi-duo. Ciò equivale in qualche modoa dire che al termine della scuola dispecializzazione lo studente do-vrebbe essere in grado di instaura-re legami autentici con quelli chesaranno i suoi futuri allievi.

Il vero compito di un docente do-vrebbe essere quello di suscitaredomande, perché si è in grado dicapire solo ciò che si è in grado didire e si è in grado di digerire soloquello che si è in grado di fare. Lamaggior parte dell’umanità ha imattoni necessari per fare cose im-portanti, ma è inetta perché nonne capisce l’importanza. Non sipone domande adeguate. Avereuna conoscenza serve a porsi do-mande, ad aumentare le possibili-tà di avere degli scopi. La conoscenza è una dialettica trateoria e prassi. Una teoria che nonsia praticabile risulta una teoriainutile, così come lo è una praticache non sia teorizzabile. Se si pos-siede una conoscenza senza abilitànon si ha una vera conoscenza,bensì una cognizione.Quanto detto fin qui valga comepremessa generale da cui far deri-vare una pedagogia e una didatticaadeguate. Si tratta di premesse en-tro cui contestualizzare anche la se-conda parte della domanda che quimi viene posta, ossia quella relativaall’uso delle nuove tecnologie. Tut-tavia, poiché l’utilizzo dei calcola-tori in un processo formativo musi-cale è abbastanza recente e scarsa-mente esplorato, mi preme, fattesalve le premesse, fornire qualchespunto ulteriore di riflessione.La maggior parte delle scuole ita-liane è oggi dotata di quelle chevengono definite come aule multi-mediali. Tralascio qui una defini-zione di multimedialità, concen-trandomi sull’utilizzo che vienefatto dei calcolatori in ambito mu-sicale. Per quanto mi è dato sape-re, il più delle volte si fa un usoestremamente limitato delle enor-mi potenzialità che le nuove tecno-logie (oggi tutt’altro che nuove) cioffrono anche in ambito audio. Ingenere il computer viene utilizzatoper creare prodotti i cui contenutiricalcano i più logori luoghi comu-ni legati alle applicazioni indu-striali della musica, prodotti cheavrebbero poca giustificazione secreati facendo ricorso a strumentitradizionali, ma che ricevono cre-dito per il solo motivo di aver uti-lizzato un calcolatore. Il calcolato-re va visto come uno strumento,un mezzo come gli altri. Non biso-

gna ideologizzarne l’uso. Tuttavia,esso offre vantaggi che altri stru-menti non possiedono.Il primo vantaggio fra tutti è la pos-sibilità di lavorare sui contenuti az-zerando la necessità di acquisirecompetenze musicali specifiche. At-traverso l’uso di semplici, ma nonbanali, software per la registrazionee l’editing del suono è possibilecomporre, ossia dare concretezza, aprogettualità anche molto comples-se4. E con la stessa facilità è possibi-le ricorrere in tempo reale a provedi commutazione (alterazione diqualche parametro compositivo)che verifichino la coerenza o menodelle proposte analitiche avanzate ene concretizzino le potenzialità invista di uno scopo. Per esempio, è possibile lavorare alcalcolatore in un ottica di composi-zione delle diversità, in contesti neiquali siano presenti persone diver-samente abili, o dedicarsi all’elabo-razione di conflitti interpersonali,che sarebbe difficoltoso affrontarecon altri mezzi e che invece trovanonella composizione al calcolatoredelle modalità relativamente acces-sibili per l’elaborazione di metali-velli. Il calcolatore è dunque unostrumento estremamente flessibile:bisogna saperlo utilizzare in vistadi una attuazione delle premessediscusse precedentemente, per noncadere nuovamente nel rischio discambiare l’acquisizione di compe-tenze con un algoritmo di fram-menti, una sana attività di giococon l’imitazione di sinistre concre-tizzazioni scherzose.

Note 1 Il modello dei Sistemi Complessi Arti-colari Chiusi (SCAC) è una teoria elabora-ta da G. Flaminio Brunelli che trova ap-plicazione in vari ambiti: biologico, eco-nomico, sociale, artistico, musicale ecc. eche considera «l’uomo, e qualsiasi esserevivente, come un sistema chiuso di fun-zioni correlate da uno scopo vitale dovele membra si articolano per rendere at-tuale una possibilità»(G.F. Brunelli).2 Cfr. G. Bateson Mente e natura, Adel-phi, Milano 1984, p. 193.3 Ibid. p. 33.4 Sull’importanza della progettazione,anche in ambito musicale, cfr. B. PorenaPer un orientamento metodologico me-taculturale in IMC un’ipotesi per la com-posizione delle diversità, ossia per la so-pravvivenza, Editoria Università Elettro-nica, Roma 1999, pp. 49-70.

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Negli ultimi decenni molto si è giàdetto e scritto in merito a ciò chedovrebbe qualificare la formazio-ne dei futuri insegnanti e non vi èdubbio che, su questo versante, viè stato un grande dibattito ancheper lo specifico musicale.Dunque, per tentare di aggiungerequalcosa di utile all’ulteriore svi-luppo di questo dibattito, propon-go qui una riflessione espressa-mente centrata su una delle esi-genze primarie che io ho sempreavvertito nel momento della for-mazione degli insegnanti: quella diun approccio metodologico globa-le o integrato. Lo faccio anche apartire da un’osservazione che,con numerosi docenti delle Scuoledi Didattica della Musica, abbia-mo pienamente condiviso affer-mando «la necessità di un’integra-zione originale delle dimensioniteorico e pratica anche come baseper la ricerca metodologica nel-l’ambito della didattica dei lin-guaggi artistici a partire da un’ot-tica profondamente interdiscipli-nare», giungendo alla conclusioneche «per la formazione degli inse-gnanti di discipline artistico-musi-cali, non è sufficiente sommarecompetenze specifiche disciplinarialle competenze psico-pedagogi-che di carattere generale. Si rendo-no necessari nuovi paradigmi ingrado di far interagire in modoproficuo ed originale la dimensio-ne obbligatoriamente pratica dellearti (connessa alle tecniche) conquella necessariamente teoricadella musicologia e delle scienzeeducative».1

In merito a questo aspetto, quindi,vorrei focalizzare a seguire l’atten-zione su due dei punti che ritengonodali:a) la formazione interdisciplinare;b) il rapporto tra prassi e teoria. Le considerazioni che proporrò

nascono dall’osservazione/analisidi due contesti d’esperienza for-mativa nei quali ho avuto la fortu-na di operare: nelle Scuole di Di-dattica della Musica – per oltre 12anni tra Modena, Bolzano edAlessandria – e, per un paio di an-ni, presso la SSIS di Bologna.Nel corso di queste varie esperien-ze, seppur in forma diversa, hoavuto modo di sperimentare alcu-ne attività connesse a diversi mo-menti formativi che, in qualchemodo, potevano rappresentaredelle adeguate occasioni per i duepunti sopra evidenziati. In parti-colare mi riferisco ai momenti dilaboratorio e alle fasi momenti dielaborazione (da parte dello stu-dente) di tesine finalizzate al supe-ramento di esami relativi a modu-li, annualità, esami di passaggio,oppure connesse a prove per l’esa-me finale per il diploma di specia-lizzazione.Entrambi questi due momenti (la-boratori e tesine), infatti, rappre-sentano potenzialmente una du-plice occasione:a) per consentire un’interazionetra le diverse discipline che com-pongono il curricolob) come palestra di elaborazione/applicazione didatticaSul piano del metodo (mi riferiscoqui a quello che connota il percor-so formativo, e non tanto al co-strutto teorico generale e specificoper la musica che dovrà essereposseduto dal futuro insegnante)va osservato che il momento deilaboratori può essere concepitoanche a quattro o più mani. Conquesto non intendo dire che tutti imomenti di laboratorio debbanoessere concepiti su base interdisci-plinare (ogni disciplina necessitainfatti, comunque, dei suoi proprimomenti di sperimentazione pra-tica). Tuttavia ritengo che la pre-

senza di laboratori interdisciplina-ri (condotti quindi in compresen-za) possa risultare straordinaria-mente produttiva sul piano meto-dologico, e ciò per varie ragioni. Ilfatto di costringere i docenti allaprogettazione di momenti condi-visi può avere infatti una duplicericaduta positiva:1. perché costituisce una preziosaoccasione di scambio nella docen-za che, inevitabilmente, tende amodificare lo stesso modus ope-randi dei docenti (tanto all’inter-no, quanto all’esterno delle lororispettive singole discipline);2. perché può costituire un utilemodello di riferimento per gli stu-denti, dimostrando così la fattibi-lità reale di un’organizzazio-ne/progettazione basata su una di-dattica condivisibile di tipo plu-ri/interdisciplinare.Faccio osservare che, sul piano delmetodo, questo primo momentoprevede un’assunzione di respon-sabilità didattica pienamente nellemani dei docenti/formatori. A essispetta infatti la scommessa dellapossibile coesione/interazione traambiti disciplinari diversificati, acavallo tra le loro peculiarità e iloro possibili elementi di contenu-to trasversali ai saperi.Il secondo momento individuato,quello di elaborazione delle cosid-dette tesine da parte dello studen-te, rappresenta un’occasione al-trettanto importante per promuo-vere la possibile interazione a di-stanza tra le discipline. Chi haavuto modo di misurarsi con que-sto tipo di elaborati conoscerà be-nissimo quale sia il problema prin-cipale che emerge: quello della fre-quentemente scarsa capacità dielaborazione autonoma e origina-le dei dati di conoscenza in posses-so dello studente specializzando.Infatti va osservato che, come ri-cordato, se nel caso dei laboratoriinterdisciplinari la responsabilitàdella possibile coesione tra disci-pline spetta al docente/formatore,nel caso delle tesine questa re-sponsabilità si sposta (come è ne-cessario che accada) interamentesullo studente. Ma in questo tipodi elaborazione egli non è lasciatosolo, in quanto può e deve potercontinuare a contare sull’apporto

La possibile centralità del metodo

ROBERTO NEULICHEDL

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scun docente potrà fornire: tantosul piano teorico (negli appropria-ti riferimenti a modelli o paradig-mi e quadri teorici, metodologie,testi, autori, opere ecc.), quanto suquello pratico-operativo (tecnichee didattiche specifiche, modelli diesperienze e di proposte operative,esempi di contenuti materiali di ri-ferimento ecc.).Così congegnati, i due momentipossono porsi su una linea di con-tinuità metodologica per quantoattiene la questione dell’interdisci-plinarità. Ma in questo modo essirisultano anche pienamente fun-zionali a due sostanziali obiettiviche, sebbene non espressamentesino a ora richiamati, costituisco-no a mio avviso due punti qualifi-canti irrinunciabili della attrezza-tura formativa del futuro inse-gnante: a) la capacità di connettere tra lo-ro i vari saperi; b) una solida autonomia proget-tuale in cui teoria e prassi costitui-scono i perni irrinunciabili per lo

sviluppo di una didattica critica econsapevole.È evidente che la questione delmetodo (di studio, d’indagine/ri-cerca, di elaborazione, di realizza-zione ecc.) deve potersi radicare insaperi estremamente solidi (nozio-ni/abilità). Ma è anche vero chequesti saperi aumentano la loroforza in maniera esponenziale nel-la misura in cui, presi di per sè,riescono a produrre significato.Un percorso che ambisca a unaformazione specialistica di alto li-vello, quale quella della quale stia-mo discutendo, dovrebbe dunquequanto meno prevedere dei grossifiltri in ingresso (anche per nonalimentare inutili speranze neglistudenti), individuando con preci-sione quali debbano essere i requi-siti di accesso, per poterli poi ac-certare con ferma determinazione.I pochi anni a disposizione (sianoessi due, tre o quattro) non basta-no per costruire conoscenze e abi-lità contestualmente all’acquisi-zione di un metodo di lavoro tan-to complesso quale è quello richie-

sto a un insegnante. Questo tempopuò invece bastare se viene opera-ta una distinzione netta tra com-petenze che devono già essere pos-sedute, quelle che devono essereapprese in un tempo determinatoe quelle che possono essere appre-se successivamente in modo auto-nomo.Ciò permetterebbe di consentireun maggiore investimento sull’a-spetto che io ho cercato d’indivi-duare quale tratto fondamentaledi questo tipo di percorso formati-vo: quello del metodo.Certo da qui potrebbe partire ladiscussione su quali siano oggi lesedi maggiormente attrezzate percogliere questa sfida formativa,ma questo sarebbe già un altroConfronti e dibattiti.

Note 1 Dal “Dossier sulla formazione degli inse-gnanti di discipline musicali ed artistiche esulle Scuole di Didattica della Musica” deiDocenti di Didattica della Musica – Grup-po Operativo, luglio 2002 (disponibile sulsito: www.geocities.com/ddm_go).

Prima di qualunque considera-zione, mi sembra utile affrontareun’incertezza: mi riferisco al ter-mine musicologia. Dunque michiedo: ma che cos’è la musicolo-gia? Forse quando ho cominciatoa studiare io, i musicologi lo sa-pevano o credevano di saperlo.Oggi molti credono ancora di sa-perlo, ma non si può dire che esi-sta una consapevolezza, condivi-sa da tutti, della natura e deicompiti della disciplina. Per ri-spondere alla domanda devo al-

lora non tanto pensare a ciò chesi crede o si sa della musicologia,quanto piuttosto cercar di capirequante e quali pratiche musico-logiche, cioè quali interessi e tipidi studio, oggi esistano. Ciascu-no, ovviamente, li può cataloga-re come crede, ma, senza entrarenel ginepraio delle etichette inuso, potrei additare alcune cate-gorie se non altro attive e vitali.Ci sono musicologi, diciamo co-sì, “di tradizione” i cui studi siriferiscono alla storia della musi-

ca europea dei secoli passati, maanche del Novecento: praticanodi solito una musicologia di na-tura storica e filologica, con lar-ghi margini lasciati alla criticamusicale. Ci sono musicologi ches’interessano di culture orali, ocomunque non appartenenti allatradizione occidentale, anche sein possesso di documenti scritti:sono gli etnomusicologi. Ce nesono altri che s’interessano dimusiche di massa, o di popularmusic studies come si suol direcon una terminologia anglosas-sone oggi di moda. E poi c’è chinon è interessato a particolari,specifici repertori, ma piuttostoa questioni di metodo, cioè allacosiddetta “musicologia sistema-tica”, termine quanto mai elasti-co in cui tendono a entrare nonsolo studi di analisi e di teoriamusicale, ma interessi particolariche stanno ai confini fra musico-

Conoscenze musicologiche:sono davvero irrinunciabili?

MARIO BARONI

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logia e altre discipline, come lapsicologia, la sociologia, la filo-sofia, la fisica, l’informatica, ladidattica, e perché no, la medici-na. Ciascuna di queste distinzio-ni non costituisce di solito uncompartimento stagno: chi s’in-teressa di jazz, ad esempio, colti-va volentieri conoscenze prove-nienti da più di un settore. Manon posso entrare a questo pun-to in troppo sottili dettagli. Ora dovrei saper dire quali tipi diconoscenze fondamentali dovreb-be avere in campo musicologicoun professore di musica. La primarisposta che mi viene è: tutte. Masubito vorrei sottodistinguere iprofessori che insegnano musicanelle scuole professionali, quelliche insegnano nelle scuole di tuttie quelli che insegnano in istitutipreposti alla formazione di ama-tori (scuole “popolari” di vario ti-po, che esistono e sono fortunata-mente diffuse, anche se dovrebbe-ro godere di uno statuto istituzio-nale più chiaramente riconosciu-to). Per ciascuna di queste catego-rie di scuola alcune competenzepossono servire più di altre. Manon è questo il punto più impor-tante. Vorrei spiegare piuttostoperché secondo me tutte le diversediscipline sono ugualmente im-portanti. La ragione è semplice:un tempo la musica in Europa erauna, con qualche possibile sotto-distinzione.Oggi lo sviluppo delle tecnologiee dei sistemi di comunicazione haprodotto una cultura così com-plessa e molteplice che chi crededi vivere nella situazione di untempo ha un’ottica francamentemiope. Anche un insegnante dipianoforte, ad esempio, non puòpiù totalmente ignorare l’esisten-za, poniamo, dei repertori orali emagari di alcune delle loro tecni-che d’improvvisazione.Dunque, come le musiche sonotante, così le musicologie devonoessere tante, e ciò non solo perquanto si riferisce ai repertori,ma anche per gli altri tipi di sa-pere: chi insegna musica, a qual-siasi livello, deve conoscere e sa-per analizzare i principali mecca-

nismi del linguaggio musicale,deve essere al corrente delle leggidella percezione, dei fenomeni dicircolazione sociale di gusti e sti-li. Insomma deve poter avere ilcontrollo concettuale della disci-plina che insegna. Guai se l’esi-genza di istruzione superiore chesi è diffusa a tutti i livelli di for-mazione degli insegnanti man-casse nel settore musicale. Certo, certo – mi si potrebbe dire– tutte questi sono buoni proposi-ti, e belle parole, ma c’è differenzafra il sogno e la realtà. Allora, percercare di rispondere a questa ra-gionevole obiezione, prendo inesame una seconda questione: ecioè quali siano gli strumenti me-todologici più adeguati per lo svi-luppo della abilità e delle cono-scenze sopra citate all’interno del-le scuole di specializzazione. Maprima di parlare di scuole di spe-cializzazione (discorso, ahimè,molto controverso e difficile, par-ticolarmente nel nostro campo)vorrei dire qualche cosa sugli stru-menti metodologici.Cercando anzitutto di capire se ecome sia possibile l’acquisizionedi conoscenze e pratiche musico-logiche a così ampio raggio. Vor-rei distinguere fra la musicologiaintesa come campo di ricercascientifica e come sapere specia-listico e la musicologia intesa co-me divulgazione (buona divulga-zione). Come in tutte le discipli-ne, c’è e ci deve essere differenzafra un discorso rivolto agli spe-cialisti, un discorso rivolto agliinsegnanti, un discorso rivoltoalle persone curiose o interessa-te. Ai diversi livelli di speciali-smo o di divulgazione devonocorrispondere diversi tipi di lin-guaggio e di dettaglio tecnico.L’importante è che le conoscenzenecessarie esistano e siano repe-ribili da parte di chi le deve dif-fondere: per divulgare qualchecosa bisogna sapere bene che co-sa divulgare. Ma io credo che al-cuni aspetti fondamentali di que-ste conoscenze siano in fase diacquisizione da parte della musi-cologia italiana, anche se forseesiste meno o è meno affermato

il “saper fare” necessario a unabuona ed efficace divulgazione.Il processo di maturazione diquesti saperi e competenze, inItalia, è certamente ancora in-compiuto, tuttavia alcune pre-messe ci sono e forse costituisco-no una buona base di lavoro: ba-sti pensare alla pubblicazionedell’Enciclopedia della musicaEinaudi, ma anche alla vivacitàche cominciano a dimostrare al-cuni settori dell’editoria. Su basidi questo tipo non sarà forse dif-ficile arrivare, in tempi non lun-ghi, alla uscita di veri e proprimanuali di formazione per diver-si tipi di insegnanti.Più incerte, a mio parere, si mo-strano le prospettive del discorsoistituzionale. Chi formerà gli in-segnanti di musica nei prossimianni? E dove? Quanti insegnantioccorreranno? In quali tipi discuola sarà presente la musica?Quali competenze – musicologi-che nel caso che qui sto discuten-do – saranno necessarie a secon-da delle diverse scuole? In questomomento non so cosa risponde-re. Con le scuole di specializza-zione in attesa di chiudere, con lescuole di didattica dei conserva-tori rette da programmi obsoletie in procinto di sfornare quantitàincontrollate di abilitati, con unariforma dei Conservatori di cuinessuno sa nulla, con una scuolache va cercando le risorse per so-pravvivere presso privati di nonsi sa quale orientamento, il dis-corso sulla formazione degli in-segnanti è quantomeno avvoltoin una nebbia fitta, e tutt’altroche promettente.Previsioni realistiche non se nepossono fare. Si vive alla giorna-ta in un piccolo cabotaggio diguida prudente. Questo non to-glie, tuttavia, che innovazionimusicologiche come quelle cheho indicato possano continuare amaturare. È più difficile capirequali ne saranno concretamente idestinatari e quando (e da partedi chi, e con quali tipi di compe-tenze) quei saperi potranno esse-re seriamente utilizzati per la lo-ro formazione.

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Nei giorni 8 e 9 aprile 2003 la Siem sezione territorialedi Bari, e la Scuola di Didattica della Musica del Con-servatorio “Umberto Giordano” di Foggia hanno pro-mosso il primo convegno provinciale rivolto ai dirigentiscolastici e ai docenti coordinatori di Foggia e provin-cia dal titolo: “Musica tra accademia e mondo dellascuola: realtà educative a confronto”.Le due intense giornate di lavoro, svolte presso la sededel conservatorio, hanno visto una considerevole af-fluenza dei partecipanti. Scopo del convegno è statoquello di offrire una panoramica e un approfondimen-to di alcune tematiche pedagogico-didattiche e legisla-tive in un dialogo aperto con le concrete esigenze del-le istituzioni scolastiche. La struttura è stata concepitain modo da proporre ai partecipanti momenti di rifles-sione, attraverso gli interventi dei vari relatori, e mo-menti operativi, prendendo parte ai vari laboratori in-terdisciplinari. Si è previsto, a tal fine, di dividere i pre-senti in tre gruppi in modo che potessero alternarsinelle sezioni laboratoriali. A conclusione dei lavori, eprima del dibattito finale, c’è stato uno spazio aperto aicontributi dei partecipanti. Martedì 8 dopo i saluti del Direttore del conservatorio,Mario Rucci, e la presentazione del convegno da partedi Augusta Dall’Arche, presidente della Siem di Bari, laparola è passata a Carlo Delfrati, che ha constatato co-me, a ogni riforma della scuola, il musicista sia invitatoa dimostrare alla società perché la sua disciplina deb-ba far parte dei curricoli scolastici. Ha ricordato che lastrategia messa in campo più frequentemente è quellache mimetizza, dietro il servizio alle altre discipline,quello che è, invece, un servizio alla persona (la suaeducazione). Ha illustrato, quindi, i motivi su cui si ba-sa l’autonomia della musica e la sua giustificazione co-me disciplina scolastica.Lida Branchesi, ricercatrice dell’Istituto Nazionale diValutazione del Sistema dell’Istruzione (CEDE), ha pre-sentato il Progetto MUSE – Musica e Suono nelle Ele-mentari, un corso ipermediale su cd-rom, per la for-mazione e l’aggiornamento degli insegnanti di scuolaprimaria. Il progetto pilota, all’avanguardia rispetto an-che ai più avanzati sistemi europei, è stato sperimen-tato da circa 5000 insegnanti con ottimi risultati, hasuscitato un grande interesse ed è stato richiesto perricerca da numerose università straniere. Lida Bran-chesi ha offerto spunti di riflessione critica sul percor-so che va dalla progettazione alla disseminazione del-l’ipertesto multimediale e ha presentato le novità piùsignificative e interessanti del Progetto Muse 2000.

Rita Goffredo, del CSA di Bari, membro della commis-sione che si occupa dell’assegnazione dei laboratorimusicali in Puglia, ha ribadito la ferma volontà dellaRegione Puglia di non trascurare questo settore dell’e-ducazione e ha ricordato scopi e finalità dei laboratoristessi.Nel pomeriggio il direttore dell’IRRE Puglia, Franco Ge-smundo, ha evidenziato i percorsi sin qui intrapresidall’Istituto: la realizzazione del piano quinquennaled’aggiornamento sui nuovi programmi della scuola ele-mentare negli anni ’80; la riflessione sulla dimensioneinterculturale della musica, nell’ambito di un più vastoprogetto di definizione di un curricolo interculturale,negli anni ’90. Successivamente sono stati attivati i laboratori interdi-sciplinari, curati dalla Siem: 1) Musica e immagine acura di Nunzia Marinelli e Marcella Taurino; 2) Musi-ca e parole a cura di Augusta dall’Arche; 3) Musica,vita, umanità a cura di Anna Velati e Maria CeciliaSciddurlo. Mercoledì 9 ha aperto la seconda giornata AugustaDall’Arche, docente di Pedagogia musicale nel Con-servatorio di Foggia. Nella sua relazione ha riportato irisultati di un test inviato nelle scuole elementari diFoggia e Provincia, per conoscere la situazione realedella diffusione dell’Educazione al suono e alla musicanella scuola primaria e ha spiegato come da questi sianata l’idea del convegno. I dati acquisiti, infatti, perquanto parziali, hanno dato il via a una serie di rifles-sioni: da quelle di carattere generale a quelle sul ruolodell’insegnante curricolare e sulla opportunità di crea-re rapporti di collaborazione. Ultimo l’intervento di Gabriele Boselli dell’Università diUrbino, volto a sottolineare l’importanza dell’esperien-za estetica in una società caratterizzata dalla disper-sione espressiva della soggettività. Sono proseguiti i laboratori durante la mattinata e il po-meriggio. Infine, si è dato spazio ai contributi dei partecipanti. Inparticolare la professoressa Del Vecchio della ScuolaMedia Statale “G. Bovio” di Foggia ha posto all’atten-zione di tutti un progetto musical-teatrale realizzato incollaborazione con la Scuola di Didattica. Il bilancio di queste due giornate è stato assolutamentepositivo e il convegno si è concluso auspicando un ap-puntamento annuale di incontro e confronto fra tutti co-loro che sono chiamati a operare nel settore musicale.

(Maria Cecilia Sciddurlo)

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i rapporti fra musica e scuola

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Da qualche anno a questa parte,nelle collane didattiche dell’editoriamusicale, si sta diffondendo unanuova tendenza: quella di pubblica-re piccoli manuali, ognuno dei qua-li affronta un insieme molto limita-to di problemi didattici o tecnici.Oltre a questa drastica limitazionedi campo sui contenuti ci sono al-tre scelte editoriali che solitamenteconnotano questi manuali: sono li-bri brevi (60/70 pagine al massi-mo); hanno una grafica molto ric-ca di disegni e colori; usano un lin-guaggio diretto e amichevole o, co-me dicono i marketing, friendly;sono destinati a un pubblico moltogiovane (non oltre il 12/13 anni).Si potrebbe pensare che stiamo assi-stendo a una svolta epocale: il trat-tato o il manuale si stanno trasfor-mando in libri belli e colorati, ac-cattivanti, senza fronzoli ecc.È un vero peccato che questi librioffrano allo stesso tempo al lettoreun’altra serie di ingredienti di tut-t’altra natura: ripropongono glistessi contenuti e le stesse metodo-logie didattiche in auge nei conser-vatori italiani del 1930 (una scuolastrutturalmente fascista in un regi-me fascista, cioè una sorta di fasci-smo al quadrato); pensano che illettore sia un perfetto cretino che sibeve tutto quello che viene raccon-tato senza fiatare (fatevi raccontaredai vostri padri o nonni come eranole scuole e i testi scolastici di queglianni); usano come metodologia di-dattica prevalente il metodo dellaripetizione nuda e cruda (dopo averscritto e letto cinquanta volte che lascala maggiore è formata da due to-ni e un semitono, tre toni e un semi-tono, si chiede nella verifica: come èformata la scala maggiore? Se ri-spondi due toni e un semitono, tretoni e un semitono, l’obiettivo èraggiunto. Se poi non hai la più pal-lida idea di che cosa sia una scala o

a che cosa serva nella musica, que-sto non è un problema del quale cisi debba occupare); costano comegli altri libri, i vecchi e barbosi ma-nuali, e forse anche di più visto chequando leggi 8 13 non ti rendi su-bito conto che sono 26.000 dellevecchie lire, e sembra che costi po-co; sono generalmente scritti dagiovani autori esordienti che firma-no contratti capestro dove si vienepagati a forfait, magari anche conla clausola di non pubblicare nien-t’altro di simile per altri editori nelcorso della propria vita.Il libro di Antonella Aloigi Hayes,Alighiero fa le scale – La tecnicadelle scale esplorando la tonalità, èun testo assolutamente esemplare.In copertina una simpatica tartaru-ga con berretto da baseball e scarpeda ginnastica scende sorridente dauna scala impugnando violino e ar-chetto. Nell’angolo in basso un’an-teprima dei contenuti: «Scale, ar-peggi, canzoni, brani celebri, giochiritmici, quiz e primi spunti percomporre e improvvisare».Nella prefazione si specifica, fra lealtre cose, che il libro è destinatoagli studenti di violino del secondocorso. Che presenta: «un percorsodidattico innovativo…» e che«grande attenzione è rivolta all’in-cremento graduale delle difficoltà.»Entrando poi nel testo ci si rendeconto che effettivamente è vero: lagradualità sembra essere la preoc-cupazione dominante. Natura nonfacit saltus diceva von Linné. Pec-cato che non sia vero, in naturacome in didattica.Forse è per questo che il diesis èspiegato per la prima volta nel testoa pagina 9, con tutta una serie di at-tività percettive, di scrittura, quizeccetera. Purtroppo i diesis sonousati anche prima: a pagina 5 quan-do si chiede di scrivere una scalamaggiore che parta de re e arrivi a

re (in pratica re maggiore); a pagi-na 6 dove la scala e l’arpeggio dire maggiore sono proprio scritti ebisogna suonarli con il violino.Meno male che gli studenti di solitosono curiosi e sbirciano sempre unpo’ avanti nei libri.A pagina 12 mi sono commosso:viene qui spiegato il trucchetto perriconoscere la tonalità guardandol’ultimo diesis: «Guardando l’AR-MATURA [in maiuscolo nel testo,così si segnala che è un terminenuovo e importante nel percorsodi apprendimento n.d.r.] puoi ca-pire la tonalità di un brano. Co-me? È facile: osserva i # in chiave:l’ultimo è la settima nota della sca-la di quella tonalità!» Ma sì, lostesso trucchetto che ci raccontaPozzoli nel suo indimenticato (eindimenticabile) libro di teoriamusicale. Di colpo sono tornatoindietro di trent’anni alla mia bellaclasse di solfeggio, con il professo-re che faceva partire il metronomodurante l’esecuzione collettiva disublimi solfeggi parlati, il profumodel legno dei banchi, la polvere, ipantaloni corti. Ah… i ricordi, co-me ti scombussolano la vita.A pagina 15 viene presentata lamelodia di un brano [la Marcia disoldati dall’Album della gioventùop. 68 di Schumann] che utilizzain molti punti un ritmo appena vi-sto nella pagina precedente in que-sto modo: «Gli amici del ritmo [è iltitolo n.d.r.]. Alighiero e Alfonso,bravo chitarrista, sono grandicampioni di ping-pong. Suona sca-la e arpeggio col ritmo del lorosport. [cantando] “ping” [croma][pausa di croma] “pong” [croma][pausa di croma] “ping” [croma][pausa di croma] “pong”» [croma][pausa di croma]» [segue esempiomusicale e disegno di Alfonso altavolo da ping-pong]. A pagina 15oltre al brano di Schumann c’è unOh Susanna – Tradizionale [ame-ricano? cinese?, iracheno? dell’A-zerbaigian?] che non c’entra unpiffero con tutto il resto. Non uti-lizza il ritmo del “ping-pong”. Èsolo nella stessa tonalità del branoprecedente. Sembra proprio che cifosse un buco da tappare e che cisia stata messa una melodia “dellamisura giusta”.A pagina 16, dopo aver giustamen-

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ste Didattica minimalista

FRANCESCO BELLOMI

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te lavorato sugli intervalli di secon-da, terza e quarta, con attività diascolto e di riconoscimento uditivosulla direzione dell’intervallo si ri-cade nella vecchia abitudine di farriconoscere visivamente il tipo diintervallo sul pentagramma. Nonviene nemmeno suggerito al mae-stro di suonare gli esempi e quindi ilriconoscimento deve essere solo vi-sivo. Così per ben tre batterie diquiz. Alla fine di pagina 17 c’è unamelodia di Haendel [presa da do-ve?]. L’icona dell’orecchio segnalache è una attività di ascolto, quindiil maestro suona e l’allievo ascolta.«Ascolta il seguente brano eseguitodal tuo Maestro! [questa storia deipunti esclamativi anche per dire,che so, “per aprire la porta ruotarela maniglia!” proprio non mi vagiù. Sarà che il punto esclamativo èun inequivocabile simbolo fallico,non so, forse dovrei scavare nel mioinconscio!]. Quali dinamiche sug-gerisci per l’esecuzione? Sperimentavarie possibilità!» [e dagli]. Nellecinque righe precedenti c’è un elen-co di che cosa vogliono dire p = pia-no, f = forte, mp = mezzopiano ecc.Segni che peraltro erano presentianche nelle pagine precedenti inomaggio alla gradualità. In questamelodia di Haendel ci sono inter-valli di seconda, di quarta, di terza.Visto che si stava lavorando su que-sti intervalli non era il caso di far ri-conoscere all’ascolto(!) la presenzadi questi stessi intervalli nella melo-dia? Ad esempio lanciando un urlosovrumano ogni volta che si senteun intervallo di quarta, facendouna capriola per ogni terza, e un de-licato sbattere di ciglia per ogni in-tervallo di seconda?A pagina 21 appare l’improvvisa-zione: «Improvvisa con i valori di[figura della semiminima e della mi-nima] e con le note della scala di solmaggiore. [figura della scala di solmaggiore – che è già stata mostratatre volte nelle pagine immediata-mente precedenti].Quando sei soddisfatto, [e se è unabambina?] scrivi la tua melodia.Quante dominanti hai usato? Ri-cordati di finire sulla tonica.»Mi trovo spesso a lavorare sull’im-provvisazione con allievi già diplo-mati in strumento. Quando chiedodi improvvisare qualcosa su una

scala da loro ben conosciuta, le pri-ma cosa che fanno di solito è suo-nare la scala. Punto. Ci vuole delbello e del buono per fargli capirequanti altri modi ci sono di usareuna scala. Vorrei essere una moscae vedere come se la cava questo al-lievo del secondo anno a improvvi-sare su una scala che ha appena im-parato a suonare. Se è un IsaacStern in erba forse sa già fare tutto eanche di più, ma se è uno normaleforse non gli guasterebbe qualcheidea di supporto.A pagina 22 c’è la partitura di un

Hornpipe. Cos’è un Hornpipe? Mipiacerebbe saperlo come lettore diquesto libro. L’attività proposta èla seguente: «Nel brano che segue,indica con un trattino tutti i semi-toni: Riconosci gli intervalli di se-conda? Indicali con una crocetta![!]». Ora, il brano non può esseresuonato dall’allievo perché troppodifficile rispetto al livello delle pre-cedenti attività esecutive. Non sichiede all’insegnante di suonarloma faccio un appello personale atutti gli insegnanti di violino: viscongiuro e vi supplico di suonar-

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DA NON PERDERE di Luca Marconi

Questo articolo riporta i risultati di una ricerca condotta da VictoriaVaughan nei confronti di un gruppo di 12 studenti universitari ingle-si, che hanno seguito per due ore la settimana per 12 settimane unsuo corso di studio, durante il quale venivano presentati diversi me-todi di analisi musicale. I 12 studenti studiavano già musica da pa-recchi anni, avevano età piuttosto diverse l’uno dall’altro, e avevanogià avuto una prima introduzione all’analisi musicale. Ciascuno diquesti studenti suona uno strumento, anche se alcuni si dedicanosoprattutto a studi di storia della musica o di composizione. Agli stu-denti è stato chiesto di tenere un diario nel quale prendere nota delmodo in cui lo studio dell’analisi incideva sulla loro pratica musicalequotidiana e soprattutto sul loro modo di eseguire il repertorio al qua-le essi si dedicavano. Nei diari degli studenti sono emerse soprattutto quattro tipi di anno-tazioni: osservazioni analitiche (applicazioni delle tecniche analiticheapprese ai brani suonati), riflessioni sull’interpretazione (tentativi diutilizzare i metodi analitici appresi per risolvere problemi esecutivi),enunciazioni di problemi e difficoltà, osservazioni sulla relazione tral’analisi, l’esecuzione e l’ascolto musicale. Le conclusioni alle quali questo saggio giunge sono che l’apprendi-mento di alcuni metodi analitici può essere assai utile a uno studen-te per superare alcuni problemi esecutivi, ma che convenga rivede-re il modo in cui abitualmente viene affrontata l’analisi musicale neicorsi universitari di musica in Inghilterra: invece di limitarsi a pre-sentare una serie di esempi di analisi, lasciando allo studente il com-pito di mettere in relazione l’analisi all’esecuzione, viene suggeritoche sia più opportuno cercare di capire insieme a ogni studente qua-le metodo analitico sia più adatto non solo per il tipo di repertori fre-quentati dallo studente al quale ci si rivolge, ma anche per il tipo diapproccio che tale studente adotta nello studio e nell’esecuzionemusicale.

Victoria Vaughan, “Music analysis in the practice room”, BritishJournal of Music Education, vol. 19 n. 3, novembre 2002, pp. 255-268 (rivista reperibile nelle biblioteche del Dipartimento di Musica eSpettacolo dell’Università di Bologna, del Dipartimento di Storia del-le Arti Visive e della Musica dell’Università di Padova e della Pontifi-cia Università Salesiana).

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ste lo. Ma la domanda che mi turba è:

essendo un brano in re maggiorecompletamente diatonico, senzanemmeno l’ombra di un cromati-smo, gli unici semitoni sono quellifra do# e re e quelli fra fa# e sol.Quando poi si chiede di mettereuna crocetta su tutti gli intervalli diseconda [sia maggiore che minoresuppongo, vista la mancanza di ul-teriori indicazioni] quale obiettivosi vuole perseguire? Forse è cosìevidente che non riesco, o mi rifiu-to, di vederlo: riconoscere gli inter-valli di seconda maggiore e minoresulla carta.A pagina 27 si chiede di inventareuna melodia in do maggiore usan-do solo intervalli di terza che è co-me chiedere di parlare italiano evi-tando accuratamente di usare paro-le con la vocale a: facilissimo!Solo a pagina 31 si chiede di chie-de di usare legnetti e tamburelloper improvvisare ritmi diversiusando un set di durate che com-prende quasi tutto: dall’intero allaterzina di crome alla quartina disemicrome. Non era forse megliocollocare l’improvvisazione ritmi-ca in una fase iniziale? E su un ma-teriale ritmico un po’ più selezio-nato? Per poi passare all’improv-visazione melodica subito dopo?Forse la mia scala della gradualitàè diversa e anomala. Da pagina 32 a pagina 35 si rac-contano gli “effetti speciali”, cioèil pizzicato, la percussione con lavite dell’archetto «sui quattro an-goli del violino», corde doppie eaccordi, i cromatismi [cioè la scalacromatica], il tremolo, sul ponti-cello, col legno, il glissando, gli ar-monici. Che ovviamente vengonousati e fatti sentire dappertuttotranne che sulle scale. Cosa c’en-tra tutto questo con le scale? È ilcapitolo di ricreazione sonora?A pagina 39 vengono velocementepresentati gli intervalli che ancoramancano all’appello: sesta, settimae ottava, ma, analogamente ai ca-pitoli precedenti, sia negli esempi“visivi” sia in quelli auditivi non sidifferenziano e non si distinguonole settime maggiori da quelle mi-nori, le seste maggiori da quelleminori. Solo a pagina 49 si comin-cerà finalmente a distinguere terzemaggiori da terze minori. Da un

punto di vista percettivo c’è unadifferenza enorme tra una sestamaggiore e una sesta minore. Han-no caratteri espressivi completa-mente diversi, hanno colori e fun-zioni comunicative perfino contra-stanti. Che senso ha metterle assie-me sul piano percettivo? Con l’in-tento di semplificare i problemi edi affrontare le difficoltà gradual-mente si produce invece una con-fusione percettiva inaccettabile, oquantomeno pericolosa.Il capolavoro è la pagina finale coni due circoli delle quinte (ascenden-ti e discendenti): identici in tutto eper tutto a quelli di qualsiasi tratta-to di teoria di cento anni fa, ma conuna simpatica tartaruga sorridenteal centro. Forse non ha ancora capi-to di essere prigioniera.Infine il titolo: Alighiero fa le scale –la tecnica delle scale esplorando latonalità non dice tutta la verità. Inrealtà bisognerebbe scrivere, per es-sere precisi: «Alighiero fa le scalemaggiori e minori fino a tre altera-zioni in chiave». Ovviamente le al-tre scale sono troppo difficili per unsecondo anno di violino, e questo èvero. Ma, le altre scale? Modali?Pentafoniche? Di invenzione? Nonesistono. In questo libro brillanoper la loro totale e pneumatica as-senza, così come manca completa-mente qualsiasi tentativo di far ca-pire, anche con termini semplici,che cosa è una scala, a cosa serve,cosa c’entra con la musica.Tutte queste osservazioni sono pe-rò bazzecole. Il problema vero,quello profondo, è la filosofia chec’è dietro. Mostriamo per quattro-centosessanta volte a un bambinoun cartello con un disegno stilizza-to del mare e la scritta MARE e di-ciamo contemporaneamente convoce forte e chiara la parola MARE.Quando faremo una verifica e glimostreremo lo stesso cartello consolo il disegno dirà: MARE! Obiet-tivo raggiunto: ha appreso il con-cetto di mare.Mi sembra che un certo Skinner eprima di lui un certo Pavlov ab-biano raccontato qualcosa di simi-le. Forse è cominciata l’era delneocomportamentismo.Un articolo agghiacciante apparsosu Sette n. 28 (l’inserto del Corrie-re della Sera del 28/11/2002) è un

esempio illuminante di questo an-dazzo. A partire dal titolo: Mam-me, attente: i bambini vanno trat-tati da uomini. Come se solo lemamme si dovessero occupare dieducazione dei figli; come se i figli(le figlie non esistono) avessero ununico modello obbligatorio: ma-schio, razza bianca, middle class.Consolatevi, il resto dell’articoloriesce a fare anche di meglio, conperle come le seguenti: «Puntaresulle emozioni? Altro sbaglio: di-strugge le capacità cerebrali. Le at-tività pedagogiche sono molte eprevedono anche l’ascolto di dueminuti di musica classica per predi-sporre l’udito all’armonia e svilup-pare nei piccoli anche l’orecchiomusicale. Utile strumento per im-parare da subito l’inglese».Un’ultima cosa. Il libro costa 8 13,50. Facciamo quattro conti:se questo libro copre solo un mini-mo segmento del percorso di ap-prendimento della tecnica violini-stica dobbiamo pensare che unprogetto a lungo termine che ab-bracci l’intero percorso di studiviolinistici non potrebbe contaremeno di svariate dozzine di libricome questo. Probabilmente que-sta è un’ottima prospettiva per l’e-ditore ma non credo che lo sia al-trettanto per il portafoglio delconsumatore aspirante violinista.Forse varrebbe la pena di comin-ciare a insegnare il consumo re-sponsabile anche ai musicisti. Sonotuttavia convinto che questo librosia un ottimo libro. Suggerisco atutti i pedagogisti di usarlo comesegue: comperarlo, aprire una pa-gina a caso, leggere attentamente epoi farsi venire tutte le idee possibi-li su come svolgere in altri modi lostesso argomento. Ce ne sono pro-prio tanti. Un esercizio fantasticoper la creatività di ciascuno. Speriamo che qualche responsabiledelle linee editoriali delle varie ca-se editrici si converta. La pedago-gia musicale è un’altra cosa e i mi-racoli, forse, possono accadere.

Antonella Aloigi Hayes, Ali-ghiero fa le scale, Edizioni Cur-ci, Milano, 2002, 8 13,50.

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Una recensione dovrebbe arrivareall’espressione di una valutazionedel testo esaminato solo dopoun’attenta esposizione della strut-turazione dei contenuti. Ma inquesto caso non posso fare a menodi saltare a piè pari all’espressionedi un giudizio: questo libro mi pia-ce, mi ci rispecchio. E credo che ta-le sensazione risulterà condivisaanche dagli altri lettori. Quali so-no le motivazioni di tale adesione?Innanzitutto l’impostazione meto-dologica, dichiaramente ispirataalla teoria delle condotte musicaliproposta da Delalande ma svilup-pata con originalità in riferimentoa una particolare pratica: l’ascoltovissuto in gruppo; un ascolto con-traddistinto da intenzionalità, dapiacere, da compiacimento, in cuila musica funge da tramite per rea-lizzare esperienze di incontro,scambio, trasformazione delle di-namiche relazionali del gruppo. Insecondo luogo l’atteggiamento didisponibilità allo scambio e al con-fronto di identità: un atteggiamen-to non solo dichiarato ma vissutocon coerenza, così come traspareanche dall’adozione di un linguag-gio semplice, scorrevole ma densodi contenuti, nonchè dai riferimen-ti autobiografici disseminati nell’e-sposizione. In terzo luogo l’entu-siasmo evocato dal crescendo diidee e dalla volontà di coinvolgereattivamente il lettore nell’appro-priazione delle proposte didatti-che. Il libro non è corredato dacassetta, ma ciò non si pone comelimite, bensì come strategia finaliz-zata a far assumere un atteggia-mento di ricerca: le musiche pro-poste sono di repertorio, risultan-do pertanto di facile reperibilità;ma ciò che più preme all’autrice èl’esplicitazione delle finalità e delfunzionamento dei giochi, affinchéi lettori possano adattarli a musi-

che appartenenti al proprio perso-nale repertorio d’ascolto. Un per-corso teso a far acquisire quindi al-l’educatore la consapevolezza del-la propria identità musicale, pre-messa indispensabile per l’acquisi-zione di un’autonomia progettualee didattica. Non potrebbe non es-sere che così, visto che i contenutisi richiamano soprattutto alleesperienze condotte dall’autricenell’ambito della scuola di anima-zione musicale di Lecco; la stessacollocazione editoriale dell’operanon è casuale, in quanto i titolicompresi nella collana Idee e ma-

teriali musicali della Franco Ange-li, curata dal Centro Studi Musica-li e Sociali Maurizio Di Benedetto,risultano accomunati da tale im-postazione metodologica. Non si tratta quindi solo di un te-sto di materiali e attività didatti-che: questo è un libro di idee, e, ag-giungerei, anche e soprattutto divalori: quegli ideali di educazionealla cooperazione, all’ascolto reci-proco, che sembrano improvvisa-mente scomparsi nella scuola ri-formata di Donna Letizia. L’impressione iniziale è quella diun taccuino di lavoro, nel quale siritrovano una profusione di espe-rienze e materiali in parte originalie in parte già ripresi in interventiprecedenti. Non si tratta però diun’operazione di riciclaggio: il te-sto infatti è contraddistinto da unimpianto espositivo rigoroso, cosìcome traspare dalle diverse tipolo-gie di giochi che vengono a intrec-ciarsi reciprocamente.Una prima ripartizione dei mate-

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steGiochi d’ascolto

per stare insieme con la musica

STEFANIA LUCCHETTI

SCHEDE

Creatività, partecipazione attiva, approccio ludico: termini che suonanoormai logori e abusati eppure, nella pratica didattica, sono assai rari queitesti capaci di offrire proposte fruibili, efficaci, in grado di sollecitare ef-fettivamente l’insegnante nella sua azione concreta. Tra questi poi, qua-si nessuno tenta di coniugare un approccio metodologico innovativo coni primi passi della pratica strumentale. A colmare questa lacuna ci han-no provato Antonio Giacometti e Mauro Montalbetti con il loro nuovo li-bro Insieme per suonare… Insieme per capire!Il testo – frutto di una evidente e consolidata esperienza didattica – co-struisce un percorso graduale di apprendimento in cui il gioco si uniscealla narrazione, al teatro, al canto, al movimento, ma innanzi tutto all’in-venzione e alla partecipazione dell’allievo. I due autori, infatti, non si li-mitano a proporre materiali finiti e conclusi in se stessi, ma predispon-gono spazi aperti alla manipolazione e all’invenzione dei piccoli allievi.Ogni proposta finisce sempre con i puntini di sospensione, rimane in at-tesa di una azione, di una risposta. Il volume affronta alcuni temi fonda-mentali: ricerca timbrica, controllo ritmico-metrico, organizzazione lin-guistica delle altezze, principi costruttivi della ripetizione e della varia-zione. Integrato da una importante premessa dedicata agli insegnanti (oai genitori curiosi), il testo si presenta ricco di spunti metodologici, anzi,decisamente incentrato più su questi che non sui materiali stessi. Mate-riali volutamente poveri, che intendono infatti ricoprire qui solo un ruolodi stimolo, quasi di pretesto, per sollecitare l’intervento degli allievi, le lo-ro trasformazioni, elaborazioni, riflessioni. (Donatella Bartolini)

Antonio Giacometti, Mauro Montalbetti, Insieme per suonare… In-sieme per capire!, Curci, Milano, 2001, pp. 82.

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riali può essere operata facendo ri-ferimento alla tipologia piagetianadel gioco, così come viene sintetiz-zata efficacemente da Delalande.Li suddivideremo pertanto in: • giochi senso-motori caratterizza-

ti dall’esplorazione spontanea disincronie ritmico-motorie (muo-versi con la musica) e ritmico-verbali (parlare sulla musica);

• giochi simbolici, in cui la musicaviene proposta come simbolo daleggere insieme e da interpretarecon la parola, col gesto;

• giochi di regole, con regole strut-turali ed esecutive da scoprireper suonare, per danzare, per in-ventare;

• giochi con dispositivi, in cui unoggetto (telone, palloncini, fou-lard ecc.) o una tecnica (ombrecorporee, effetti con lavagna lu-minosa e proiettore di diapositi-ve ecc.) serve da catalizzatoredell’attenzione e da stimolo al-l’interpretazione.

Gli animatori esperti ritroverannoqui riunite, e motivate anche consuccosi riferimenti bibliografici,molte di quelle tattiche e strategieaccumulate nei tanti corsi di aggior-namento che hanno riempito il sac-co magico delle loro trovate musi-cali. La sensazione è quella di ritro-varsi a casa, meno isolati, più dispo-nibili allo scambio. Per i neofiti è in-vece un modo per imbattersi in unostimolante crescendo di proposte.Altri possibili raggruppamenti del-le attività proposte sono suggeritidagli indici tematici riportati inappendice. Il primo filone (Dina-miche di gruppo) sofferma l’atten-zione sulle modalità di relazioneattivate dai giochi (diversi ruoli nelgruppo, numero di partecipanti); ilterzo (Riferimenti espliciti a fasced’età particolari) suddivide le atti-vità ripartendole tra bambini dellascuola dell’infanzia e delle elemen-tari, preadolescenti e adolescenti,terza età. Ma il filone a mio parerepiù stimolante è quello relativo aiTratti musicali selezionati dal gio-co. Qui la prospettiva è quella piùspecificatamente disciplinare, rela-tiva quindi all’educazione dell’o-recchio musicale. Possiamo cosìdistinguere tra giochi in cui si pro-pone un approccio globale allamusica e altri in cui le consegne in-

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RASSEGNA PEDAGOGICA di Roberto Albarea

Gayatri Chakavrorty Spivak, filosofa e critica letteraria bengalese, è unastudiosa che insegna negli Stati Uniti; poliglotta ed esponente di quelsettore letterario e scientifico che si indica come post colonial studies,è autrice di un saggio apparso su Aut aut – numero monografico dedi-cato agli equivoci del multiculturalismo – che provocatoriamente si in-titola Re-immaginare il pianeta..La Spivak mette in guardia contro quelle strategie e quelle pratiche chetendono ad addomesticare proprio coloro che si vorrebbe condurreverso l’emancipazione da situazioni di subordinazione: si tratta di unaetica dell’alterità, intesa in senso problematizzante, non classificatorioe non scevro di equivoci. La sua ipotesi è che in una epoca di globaliz-zazione sfrenata il pianeta soprascriva il globo: in altre parole per ope-ra della griglia del capitale elettronico si ottiene qualcosa che assomi-glia a una sfera astratta, tagliata da linee virtuali che vanno a sostituirealtre linee (l’equatore e i tropici, ad esempio); linee virtuali determinateda differenti interessi, non sempre positivi per l’umanità. Il globo è neinostri computer dice la Spivak: «Non ci vive nessuno; e noi pensiamodi poter arrivare a controllare la globalità. Il pianeta è invece sotto il se-gno dell’alterità, appartiene a un altro sistema; e tuttavia noi lo abitia-mo, in prestito» (in Aut aut, p.75). Proprio per recuperare il pianeta e per sviluppare atteggiamenti con-sapevoli di responsabilità, si è deciso di proporre questo testo che si ri-allaccia idealmente e metodologicamente al kit didattico presentato suRassegna pedagogica del numero 122 di questa rivista. Il libro nasce dall’esperienza di un corso di formazione on-line per in-segnanti, educatori e operatori del mondo scolastico e non, svoltosinell’inverno 2002-2003 e dedicato al tema dell’educazione all’acquacome educazione alla cittadinanza attiva. Sia il corso che il libro sono ilrisultato (interessante e gravido di sviluppi) di lavori in corso e si giovadi esperienze e riflessioni di quanti hanno lavorato e lavorano in primapersona su questo tema. Esso assolve a una duplice funzione. La pri-ma è quella di sviluppare momenti di lifelong learning, di cooperazionee di discussone tra insegnanti di varia provenienza culturale e discipli-nare, in modo da attivare competenze e strumenti di interpretazionedella realtà in prospettiva interdisciplinare. La seconda funzione èquella che, usando questo testo come punto di riferimento, tenta di co-struire rapporti di educazione e democrazia tra i tanti e diversi Nord eSud del mondo (è questo il filo conduttore del volume), promuovendocoesione sociale, qualità della vita, aumento della consapevolezza inordine ai problemi del vivere contemporaneo.La prima parte è centrata sull’uso sostenibile dell’acqua, intesa comecampo di possibilità per una narrazione della quotidianità che tengaconto di una visione multicultuale dell’acqua dei suoi elementi simbo-lici nella vita dei popoli. Nella seconda parte vengono esplorati queiluoghi che possono diventare luoghi di partecipazione e di espressio-ne, luoghi in cui costruire nuove forme di socialità nella prospettiva diintegrazione tra scuola e territorio e di partenariato. La terza parte è de-dicata alle questioni educative e scolastiche: si evidenziano le connes-

AA.VV., L’acqua come cittadinanza attiva, a cura di M. Moretuzzo, A.Tosolini, D. Zoletto, EMI, Bologna 2003, pp. 154, e 9,00

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dirizzano l’attenzione su dimensio-ni via via più analitiche: dimensio-ne ritmica (pulsazione, accenti me-trici, accenti ritmici), dimensioniqualitative della texture (movi-mento, dinamica, articolazione),strutturazione fraseologica, oppo-sizioni tra timbri vocali/strumenta-li, connotazioni stilistiche, formamusicale. In questa ripartizionerintraccio il tentativo di porre inrelazione quelle che sono le tradi-zionali dimensioni analitiche musi-cali (parametri del suono, ritmo,melodia, armonia, forma) conquelle che sono le modalità di or-ganizzazione della percezione me-diate da meccanismi gestaltici(raggruppamento, canalizzazione)

particolarmente rilevanti quandoil medium espressivo utilizzato ècostituito dal corpo:1 una prospet-tiva stimolante che permette a mioparere di esplicitare i meccanismifondamentali della comunicazionemusicale (come funziona), renden-doli facilmente accessibili anche achi non è provvisto di competenzamusicale specifica.A chi può servire questo testo? Èstato concepito essenzialmente peranimatori che lavorano con la mu-sica in contesti diversi (scuola/ex-tra-scuola) e con fasce di età diffe-renziate (dalla scuola dell’infanziaalla terza età, con particolare atten-zione alla fascia adolescenziale). Personalmente avevo bisogno di

un testo così strutturato anche peri miei allievi del Corso di Didatti-ca, in modo da trovare riuniti mol-ti spunti di lavoro proposti duran-te i laboratori. La maggior parte delle attività pro-poste non richiede competenzemusicali specifiche ed è per questaragione che a mio parere i fruitoriche trarranno maggior vantaggioda questo lavoro saranno i docentidella scuola di base (scuola dell’in-fanzia, scuola elementare). Moltevolte infatti dopo aver tenuto per-corsi di aggiornamento per inse-gnanti mi sono sentita chiedere: eadesso? Come proseguire? Dovereperire nuovi materiali? Questotesto può soddisfare tali richieste:fornisce molte proposte di ascolti,suggerendo in questo modo deipercorsi che consentiranno alle in-segnanti di allargare la propria co-noscenza del repertorio. Allo stes-so tempo sollecita la riflessione sulfunzionamento della musica e sulledinamiche messe in campo dai gio-chi proposti. In questo modo per-mette di accostarsi a specifici con-tenuti disciplinari della musicaconsentendo di superare il fru-strante senso di inadeguatezza chespesso contraddistingue quei do-centi che dicono di “non saperenulla di musica”. È quindi un buontesto per l’autoformazione dei do-centi in servizio, nonchè per la for-mazione dei futuri insegnanti fre-quentanti i Corsi di laurea in Scien-ze della Formazione Primaria. Insomma, un lavoro che mancava.Un testo agile e scorrevole in su-perficie, ma con una profonditàconcettuale che meriterebbe unapiù accurata esplicitazione in altrasede. Restiamo in trepida attesa.

Note1 Mi permetto di segnalare a questo pro-posito l’analisi della relazione musica/ge-sto esperita nell’ambito dell’ascolto mu-sicale corporeo proposta in S. LucchettiMusica nella scuola dell’infanzia: criterimetodologici per una didattica delle con-dotte musicali, Padova, CLEUP, 2003.

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sioni con l’intercultura e l’educazione alla cittadinanza, i quadri con-cettuali fondativi per l’azione e la pratica con i ragazzi (in tempi di cre-scente complessità), si contestualizzano osservazioni e percorsi nel-l’ambito della scuola dell’autonomia e della didattica per progetti.Si tratta quindi di una ristrutturazione di campi cognitivi, di stati affetti-vi e di orientamenti valoriali, in cui il ruolo della motivazione e della gra-tificazione legata alla competenza accresciuta, è determinante e si sal-da con la percezione e l’immagine di sé. È il rapporto tra esperienza econoscenza (Dewey). L’importante è che l’insegnante e l’educatoresappiano “accordarsi” a questo tipo di procedere, di apprendimento,di ristrutturazione.Come si è sottolineato in precedenza, il pregio e la funzione didatticadi questo testo sta nel provocare idee, creatività e collaborazioni tra in-segnanti che dovrebbero costituire una rete di rimandi tra le discipline:raccordi intrinseci, concettuali ed emotivi, in modo da ritrovare l’acquanei percorsi poliespressivi, nelle osservazioni scientifiche, nei capola-vori della letteratura, nei fenomeni naturali, culturali e storici. Nell’epoca del crollo delle grandi narrazioni, gli educatori e i maestripossono essere essi stessi “raccontatori di mondi”, offrire narrazionicon cui potersi confrontare e, perché no?, anche identificare. Narra-zioni fatte di voci che giocano sui toni e con toni diversi, come in que-sta favola cinese: C’era una volta una rana che viveva in fondo ad un pozzo. Beveva l’ac-qua che lì si trovava e si nutriva di insetti che riusciva a trovare intornoa sé. Un giorno un’allodola venne a posarsi sul bordo del pozzo. «Checosa fai lassù?» chiese la rana. «Mi sono fermata qui un momento abere e a riposare. Ho percorso diecimila li nel cielo e sono un po’ stan-ca» rispose l’allodola. «Ma che cosa dici, guarda il cielo: è grande co-me l’imboccatura del pozzo! Come puoi venirmi a dire che hai volatocosì tanto?» gracidò la rana piuttosto risentita. «Ma no, ti sbagli: il cielo è immenso, si estende da una parte all’altradella Terra a perdita d’occhio, continua oltre le montagne più alte e ilmare più largo. Non riuscirò mai a percorrerlo tutto con le mie piccoleali» disse l’allodola. E la rana, niente affatto convinta: «Amica mia, nonpuoi certo imbrogliare me! So bene quello che dico perché ogni giornoguardo il cielo dal fondo del pozzo!» (p. 130). Ecco, tutto ciò per evitare di guardare l’acqua, il cielo e il mondo sol-tanto dal fondo di un pozzo.

Franca Ferrari, Giochi d’ascol-to. L’ascolto musicale come tec-nica di animazione. Franco An-geli, Milano, 2002, 8 11,50

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Se la disponibilità di collaborazione tra la Siem e ilMIUR è costellata di progetti senza realizzazioni, illusio-ni, qualche buon successo e non poche delusioni,con orgoglio segnaliamo che la nostra serietà nel cam-po della ricerca didattica, la qualità delle nostre pub-blicazioni, la diffusa presenza territoriale delle sezionici mettono nelle condizioni, sempre più spesso, di es-sere interpellati da associazioni, case editrici, enti pri-vati che richiedono la nostra collaborazione. Utilizzan-do un termine di moda, diciamo che siamo diventatipiù “visibili”. Tra i risultati più significativi della colla-borazione con le associazioni che s’interessano allapresenza della musica nella scuola possiamo annove-rare il Convegno nazionale Musica Scuola Famigliasvoltosi a Torino l’11 maggio scorso a cura della Fon-dazione Tancredi Barolo, nel Palazzo tardo-seicente-sco appartenente alla stessa Fondazione. Ci hannocoinvolto in questo convegno l’Associazione Genitori,Insegnanti e Sostenitori del Conservatorio di Torino(AGISCO onlus), l’ANIMUS, un sindacato “in sonno” periniziative appunto sindacali, ma con rinnovato orgoglioculturale, la Fondazione Tancredi di Barolo che pro-muove iniziative in campo pedagogico e ha un archi-vio con 6500 volumi di edizioni italiane e straniere dal-la fine del Settecento alla metà del Novecento, giochi,materiali didattico. Quali sono gli intrecci tra musica, scuola e famigliache legittimano questo tema? La famiglia ha incorag-giato o scoraggiato da sempre l’approccio o il prose-guimento agli studi musicali, ma forse non più o nonmeno che per altre attività espressive, o per altri desti-ni professionali. Ragioni istituzionali? Certo, il rappor-to tra la famiglia e la scuola è un argomento che daitempi dei Decreti delegati degli anni ’70 ha avuto al-terne fortune e adesso, con la riforma della scuola, lafamiglia riemerge come soggetto che negozia con l’i-stituzione scolastica il piano di studi personalizzatodegli allievi. Se anche qui non ci scostiamo dai pro-blemi che vedono coinvolte tutte le discipline, tuttavial’ispettore Luigi Favro ha svolto una documentata rela-zione che ha opportunamente dato la cornice legisla-tiva al convegno. Le specificità che caratterizzano il le-game tra musica, scuola e famiglia, hanno poi visto

due temi preminenti. Il primo e forse il più sorpren-dente nell’emergere in diverse realtà territoriali è l’e-sperienza dei gruppi corali e orchestrali formati da al-lievi, familiari, insegnanti. Nel numero 110 di MusicaDomani, marzo 1999, c’era una testimonianza prove-niente dall’Argentina su questo tema. I laboratori mu-sicali – quelli promossi ai tempi di Berlinguer – hannodato il via in Italia a questa opportunità. MariateresaLietti, tra le mille cose che fa, è anche coordinatrice diun laboratorio musicale in Como e ha formalizzato inuna appassionata comunicazione la promozione del-l’orchestra e del coro di genitori e allievi della scuolacome terreno ideale di relazioni, ascolto, scambio diruoli, collaborazione tra adulti (insegnanti, genitori) epreadolescenti.La formazione musicale dei giovani e l’ambiente fami-liare, le didattiche strumentali che prevedono la pre-senza attiva di un genitore – il metodo Suzuki ne è uneclatante esempio –, il primo approccio musicale coni genitori e, di converso, la figura genitoriale dell’inse-gnante che individualmente cura il proprio allievo, so-no stati il secondo tema del convegno che ha visto lapartecipazione in una tavola rotonda di Marco Ferreri,docente di violoncello esperto del metodo Suzuki, diMarisa Pavone, docente al Dipartimento di Scienzedella Formazione dell’Università di Torino, di MarioUberti promotore del Coro dei genitori degli allievi delconservatorio di Torino. Siamo rimasti tutti coinvoltianche dalla relazione di Pompeo Vagliani, presidentedella Fondazione Tancredi di Barolo, che ci ha com-mentato e illustrato libri e giochi per la musica in fa-miglia tra ’800 e ’900, rari e avvincenti esempi dellacollezione della Fondazione che segnalo a chi per ra-gioni di studio dovesse fare una ricerca su questo ar-gomento. Non vorremmo dimenticare che le due se-zioni del convegno sono state aperte da musiche suo-nate a cantate, manco a dirlo, da un coro di genitori eun’orchestra di bambini e genitori. Tornato stanco, ma contento, come da una gita scola-stica, sono andato a un saggio di una scuola media aindirizzo musicale milanese, la “Negri”. E cosa ascol-to? Un coro formato da bambini delle elementari, ge-nitori, nonni e insegnanti non musicisti accompagnatida un’orchestra studentesca. È proprio il caso di direche la riflessione pedagogica non è in ritardo sullarealtà quotidiana.

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Gio

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em Musica, scuola, famiglia

ANNIBALE REBAUDENGO