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Napoli e la sua costa: contraddizioni di un territorio duale di Michelangelo Russo 61.000 battute spazi inclusi 1. Introduzione. Il waterfront, sullo sfondo La storia delle vicende urbanistiche del waterfront di Napoli degli ultimi venti anni non è facilmente riconducibile a una disciplina unitaria, né a un’idea di progetto organica e complessiva. La frammentazione del territorio costiero dovuta alla presenza di aree specializzate (il porto e le aree industriali, i fasci infrastrutturali a est e a ovest), il dualismo dei soggetti della pianificazione (Comune e Autorità Portuale), il ritardo nella definizione di quadri di pianificazione provinciale e regionale, sono le ragioni dell’assenza di una strategia strutturata e condivisa di valorizzazione della fascia costiera per una città la cui natura morfologica e insediativa è profondamente legata al mare ed al suo waterfront, parte integrante e costitutiva della sua forma e della sua storia. Il territorio costiero, a partire dal secondo dopoguerra, è stato inteso come sovrapposizione di ambiti da trattare in maniera settoriale, oggetto di pianificazioni mirate ad obiettivi specifici, prive di un disegno organico e complessivo. Autorità Portuale, Enti Territoriali Locali e Sovrintendenze hanno alimentato come dimostrano le vicende degli ultimi quindici anni quel paradosso di “incomunicabilità istituzionaleche rappresenta uno dei punti di maggiore debolezza del governo del territorio italiano, in particolare al sud: l’incapacità di creare coordinamento tra le attività di pianificazione e le progettualità in corso e, più in generale, tra gli obiettivi di lungo periodo e le linee guida, ha avuto l’effetto di ritardare uno sviluppo organico del waterfront urbano, di indebolirne una visione strategica entro un distinto quadro di obiettivi e di azioni. Il risultato attuale, a fronte di un processo di sviluppo virtuoso del porto di Napoli come nodo di scambi sempre più attrattivo nel bacino del Mediterraneo, è il mancato rinnovamento delle strutture portuali, ma soprattutto l’incerta integrazione del porto con le strutture urbane, aggravato dall’assenza di un disegno unitario e condiviso in grado di restituire continuità tra la linea di costa e la maglia urbana della città retrostante. Alcune questioni appaiono evidenti, ma non adeguatamente affrontate: innanzitutto il permanere del porto commerciale in una posizione baricentrica della città, sul fronte urbano degli insediamenti di più antico impianto. Il Porto di Napoli, nella molteplicità dei suoi ambiti specializzati, dalla Darsena Acton fino a San Giovanni a Teduccio, rappresenta un recinto invalicabile tra la città storica e il fronte a mare, reso ancora meno permeabile dalla presenza di un’arteria a scorrimento veloce, quale è oggi Via Marina, accesso obbligato alla città dal reticolo autostradale della conurbazione napoletana verso est,. La scelta di mantenere il Porto in questa posizione è tanto più critica quanto più il Porto si sviluppa e richiede spazi e infrastrutture da ampliare per consolidare le attività legate alla logistica, al trasporto merci e al traffico crocieristico: infatti, è sempre più pressante l’esigenza di individuare piattaforme logistiche in collegamento con il porto, laddove quelle esistenti, nell’entroterra – in particolare gli interporti di Nola (Na) e di Marcianise (Ce) richiedono il consolidamento delle linee su ferro, elementi di difficile integrazione con il contesto territoriale. In secondo luogo, la pianificazione della fascia costiera resta competenza dell’Autorità Portuale che, sebbene abbia nel tempo espresso l’intenzione di coordinare la propria pianificazione con quella comunale e urbana 1 , resta un Ente le cui esigenze e i cui obiettivi non riguardano immediatamente la riqualificazione urbana, né in particolare l’integrazione tra il porto e la città. Infine, molte azioni, attività e progetti sono rimaste nell’ultimo ventennio – azioni separate e settoriali, prive di adeguato inquadramento territoriale e di una concreta prospettiva attuativa, resa sempre più 1 Con protocollo di intesa sottoscritto tra l’Autorità Portuale di Napoli ed il Comune di Napoli il 21 novembre 2001, è stato concordato di procedere, di concerto alla predisposizione del Piano urbanistico esecutivo della linea di costa compresa tra Pietrarsa e La Pietra; in particolare è stato previsto di procedere, tra l’altro, all’iniziativa di finanza di progetto relativa all’area ex Corradini onde consentirne la valutazione in linea sia con le attività di pianificazione, programmazione, gestione e organizzazione amministrativa, sia con i rapporti concessori in essere norma delle leggi vigenti in materia. Nel giugno del 2004, Comune di Napoli, Autorità Portuale e Ministero delle Infrastrutture ed R.F.I., hanno siglato poi un protocollo di intesa per la realizzazione del programma innovativo in ambito urbano per la riqualificazione delle aree di Mergellina e di San Giovanni a Teduccio.

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Napoli e la sua costa: contraddizioni di un territorio duale di Michelangelo Russo 61.000 battute spazi inclusi

1. Introduzione. Il waterfront, sullo sfondo

La storia delle vicende urbanistiche del waterfront di Napoli degli ultimi venti anni non è facilmente riconducibile a una disciplina unitaria, né a un’idea di progetto organica e complessiva. La frammentazione del territorio costiero dovuta alla presenza di aree specializzate (il porto e le aree industriali, i fasci infrastrutturali a est e a ovest), il dualismo dei soggetti della pianificazione (Comune e Autorità Portuale), il ritardo nella definizione di quadri di pianificazione provinciale e regionale, sono le ragioni dell’assenza di una strategia strutturata e condivisa di valorizzazione della fascia costiera per una città la cui natura morfologica e insediativa è profondamente legata al mare ed al suo waterfront, parte integrante e costitutiva della sua forma e della sua storia. Il territorio costiero, a partire dal secondo dopoguerra, è stato inteso come sovrapposizione di ambiti da trattare in maniera settoriale, oggetto di pianificazioni mirate ad obiettivi specifici, prive di un disegno organico e complessivo. Autorità Portuale, Enti Territoriali Locali e Sovrintendenze hanno alimentato – come dimostrano le vicende degli ultimi quindici anni – quel paradosso di “incomunicabilità istituzionale” che rappresenta uno dei punti di maggiore debolezza del governo del territorio italiano, in particolare al sud: l’incapacità di creare coordinamento tra le attività di pianificazione e le progettualità in corso e, più in generale, tra gli obiettivi di lungo periodo e le linee guida, ha avuto l’effetto di ritardare uno sviluppo organico del waterfront urbano, di indebolirne una visione strategica entro un distinto quadro di obiettivi e di azioni. Il risultato attuale, a fronte di un processo di sviluppo virtuoso del porto di Napoli come nodo di scambi sempre più attrattivo nel bacino del Mediterraneo, è il mancato rinnovamento delle strutture portuali, ma soprattutto l’incerta integrazione del porto con le strutture urbane, aggravato dall’assenza di un disegno unitario e condiviso in grado di restituire continuità tra la linea di costa e la maglia urbana della città retrostante. Alcune questioni appaiono evidenti, ma non adeguatamente affrontate: innanzitutto il permanere del porto commerciale in una posizione baricentrica della città, sul fronte urbano degli insediamenti di più antico impianto. Il Porto di Napoli, nella molteplicità dei suoi ambiti specializzati, dalla Darsena Acton fino a San Giovanni a Teduccio, rappresenta un recinto invalicabile tra la città storica e il fronte a mare, reso ancora meno permeabile dalla presenza di un’arteria a scorrimento veloce, quale è oggi Via Marina, accesso obbligato alla città dal reticolo autostradale della conurbazione napoletana verso est,. La scelta di mantenere il Porto in questa posizione è tanto più critica quanto più il Porto si sviluppa e richiede spazi e infrastrutture da ampliare per consolidare le attività legate alla logistica, al trasporto merci e al traffico crocieristico: infatti, è sempre più pressante l’esigenza di individuare piattaforme logistiche in collegamento con il porto, laddove quelle esistenti, nell’entroterra – in particolare gli interporti di Nola (Na) e di Marcianise (Ce) – richiedono il consolidamento delle linee su ferro, elementi di difficile integrazione con il contesto territoriale. In secondo luogo, la pianificazione della fascia costiera resta competenza dell’Autorità Portuale che, sebbene abbia nel tempo espresso l’intenzione di coordinare la propria pianificazione con quella comunale e urbana1, resta un Ente le cui esigenze e i cui obiettivi non riguardano immediatamente la riqualificazione urbana, né in particolare l’integrazione tra il porto e la città. Infine, molte azioni, attività e progetti sono rimaste – nell’ultimo ventennio – azioni separate e settoriali, prive di adeguato inquadramento territoriale e di una concreta prospettiva attuativa, resa sempre più

1 Con protocollo di intesa sottoscritto tra l’Autorità Portuale di Napoli ed il Comune di Napoli il 21 novembre 2001, è stato

concordato di procedere, di concerto alla predisposizione del Piano urbanistico esecutivo della linea di costa compresa tra Pietrarsa e La Pietra; in particolare è stato previsto di procedere, tra l’altro, all’iniziativa di finanza di progetto relativa all’area ex Corradini onde consentirne la valutazione in linea sia con le attività di pianificazione, programmazione, gestione e organizzazione amministrativa, sia con i rapporti concessori in essere norma delle leggi vigenti in materia. Nel giugno del 2004, Comune di Napoli, Autorità Portuale e Ministero delle Infrastrutture ed R.F.I., hanno siglato poi un protocollo di intesa per la realizzazione del programma innovativo in ambito urbano per la riqualificazione delle aree di Mergellina e di San Giovanni a Teduccio.

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incerta da molti progetti avviati e sospesi, da scelte condizionate e spesso inappropriate, da proposte che spesso hanno prevalentemente un carattere di propaganda: così, ad esempio, per alcuni anni si è discussa la realizzazione di un tunnel al di sotto della strada costiera, come asse di gronda passante per dare accesso diretto al centro della città: progetto avviato, affidato a un team di professionisti, e poi improvvisamente depennato dall’agenda delle azioni prioritarie; la sistemazione del porto monumentale (concorso 2004-2005), tra ricorsi e contro-ricorsi, già affidato a un gruppo di progettisti di livello internazionale, è stato presentato alla città, ma ad oggi resta un’iniziativa dai tempi e dalle procedure incerte; la stazione di interscambio di piazza Municipio con il collegamento pedonale interrato al porto (progetto di A. Siza), è inserita nel crono-programma della Metropolitana di Napoli, seppure con sfocate relazioni con la più generale sistemazione dell’area monumentale; restano in sospeso i progetti di riqualificazione pedonale dei bordi della Via Marina, il progetto del parco urbano della Marinella a ridosso del Mercato Ittico di L. Cosenza e della caserma settecentesca di Luigi Vanvitelli, verso il bordo orientale del Porto; la definizione dell’ambito Pua di Piazza Mercato; gli interventi a San Giovanni a Teduccio nelle aree industriali dismesse lungo la costa orientale; la definizione delle scelte sul porto turistico e la sistemazione del waterfront di Bagnoli. Una sequenza di progetti impegnativi, dal valore strategico, che coinvolgono parti delicate del tessuto urbano dove è possibile leggere una domanda forte e condivisa di trasformazione: progetti che tuttavia rimangono prevalentemente estranei ad un processo in grado di mettere in tensione visioni, strategie e azioni. Un processo cioè che – in una cornice di pianificazione istituzionale, fondata su un approccio valutativo e sulla costruzione di scelte condivise – dovrebbe assumere un ruolo prioritario, essenziale per dare concretezza ad uno scenario di trasformazione cruciale per il futuro della città. Di contro, questi progetti restano sulla carta come azioni tra loro contigue ma prive di ordinamento strategico, di collegamenti finanziari e di incastri temporali, cioè di gerarchia; appaiono come interventi frammentari, gestiti con un approccio inconsapevolmente incrementalista che non sembra ispirato a nessuna idea condivisa di waterfront. Non sono sufficienti le indicazioni condivisibili del nuovo Piano Regolatore Generale, approvato nel 2004, troppo generiche per essere capaci di avviare e sostenere l’implementazione di azioni e progetti. Il Prg di Napoli individua l’area del Porto Storico2, come ambito i cui destini sono rimandati allo scenario del piano portuale (PRP); nel piano comunale si fa appropriato riferimento ad una visione territoriale che ponga in coerenza i due strumenti in base a tre principi: spostare il baricentro dei traffici commerciali nell’area occidentale dell’ambito portuale, ridefinendo Mergellina come approdo unicamente diportistico, favorendo la costituzione di un nodo di interscambio tra trasporto marittimo e ferroviario; riqualificare e valorizzare il Molo S.Vincenzo, innescando la costituzione di un sistema di spazio pubblico di elevata qualità basato sulla qualificazione delle preesistenze monumentali e storico culturali, pedonalizzato, dalla Stazione Marittima fino a Piazza del Plebiscito; infine, valorizzare i beni architettonici e storico-culturali, e le preesistenze di valore paesistico e ambientale. Questi principi, una volta condivisi dalle due logiche di pianificazione, quella urbanistica comunale e quella portuale, dovrebbero dare luogo all’integrazione necessaria tra i due piani. Lo sviluppo di questi principi dovrebbe consentire uno sviluppo equilibrato del territorio demaniale portuale attraverso il ridisegno di una parte di città per ricostruire la continuità dei tracciati e dei tessuti insediativi urbani, per riaffermare la rilevanza pubblica del Porto non più come infrastruttura di settore, isolata e separata dalle articolazioni della vita urbana, ma come parte integrante della città nelle sue componenti di spazio pubblico e collettivo. Tuttavia questi principi restano retoriche che, fino ad oggi, non hanno orientato alcuna politica concreta ed efficace di trasformazione urbana. A meno di non fare riferimento a politiche settoriali: in questo senso, un segnale di innovazione degli ultimi anni è la programmazione dell’Assessorato ai Trasporti della Regione Campania delle “Linee guida per lo sviluppo del sistema integrato della portualità turistica”. Si tratta di una politica di settore che mira a moltiplicare gli effetti territoriali delle tendenze in atto (così come nel processo di realizzazione della Metropolitana Regionale, una delle pratiche di maggiore successo degli ultimi anni a Napoli), utilizzando le nuove infrastrutture come volano della pianificazione urbanistica e territoriale. Questo programma disegna una nuova distribuzione dei porti turistici sulla fascia costiera

2 Il Prg all’art. 29 della NTA definisce la sottozona Ac – Porto storico.

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regionale, quali attrattori e propulsori di uno sviluppo incentrato sulla valorizzazione delle risorse paesaggistiche per il settore turistico, sui principi di integrazione e di sostenibilità. Uno sforzo importante, tuttavia incapace di sostituirsi alla pianificazione ordinaria, che rilancia il principio di integrazione come pratica piuttosto che come retorica, e ridefinisce il rapporto tra scelte, progetti e visioni urbanistiche in modo che il disegno delle nuove infrastrutture3 possa essere considerato come un motore del cambiamento, come forma dello spazio fisico, come strumento di inquadramento dei flussi e dei movimenti alla scala territoriale. Il waterfront di Napoli coincide con l’evoluzione della sua storia: la città e la sua linea di costa si sono intrecciate nell’unicità di un assetto morfologico che definisce la topografia stessa di Napoli. Il centro storico, la collina di Posillipo, l’orografia dei crateri vulcanici dei Campi Flegrei, sono parti di città che giungono al mare con straordinaria armonia. Il centro storico di Napoli ha origine dalla linea della spiaggia che corrisponde all’attuale Mezzocannone; il porto romano fu insediato nell’area dell’attuale Piazza de Municipio; l’area orientale, al confine con i comuni Vesuviani, si è progressivamente specializzata come porto commerciale, area di industrie e di logistica, sede di grandi raffinerie e depositi dei carburanti. L’area occidentale, verso la regione Flegrea, è stata per anni occupata dall’industria siderurgica di Bagnoli, con una scelta che ha irrimediabilmente deformato la naturale continuità della costa nel golfo di Pozzuoli. Un’idea unitaria di waterfront, a Napoli, si è storicamente confrontata con l’industria ad est e a ovest, e con i suoi insediamenti che hanno costantemente indebolito ogni tentativo pianificato di collegare la linea di costa con il territorio. A Napoli non c’è mai stata una seria volontà di investire la costa urbana con una strategia complessiva di disegno territoriale: pochi tentativi restano sullo sfondo, tra cui il “Piano della via Marittima” (Piano di ricostruzione dei quartieri Porto, Mercato, Pendino, Napoli 1946) redatto da Luigi Cosenza alla metà degli anni ‘40, che conteneva una grande strategia di area vasta per un rinnovato territorio-sistema; il piano è stato con miopia ridotto a “regola edilizia” da una città mai in grado di interpretarne i valori che – a scala metropolitana – avrebbero consentito di ricostruire le speranze di un territorio urbano di grande qualità, intessuto di relazioni strutturali tra urbanistica e architettura. Sul litorale urbano di Napoli sono riconoscibili quattro ambiti, separati e ricchi di identità: il quadrante centro-orientale, che comprende l’area portuale dal Molosiglio a Vigliena, il waterfront industriale-portuale, che si è consolidata come storica barriera tra città e mare; il quadrante centrale dal Molosiglio fino a Mergellina, che comprende Santa Lucia e Via Caracciolo, dove la città si affaccia sull’acqua con il sistema del lungomare; il quadrante centro-occidentale, dove la città si distende sull’acqua con lo scenografico fronte di Posillipo, in una straordinaria integrazione di una storica edilizia residenziale in uno straordinario scenario paesaggistico; infine il quadrante occidentale, che corrisponde alla città industriale di Bagnoli, dove l’area siderurgica si è frapposta come storica barriera tra città e acqua, e dove si attende da anni la realizzazione di un nuovo grande parco naturalistico verso il golfo di Pozzuoli e i Campi Flegrei. Una disamina di questi ambiti, delle loro specificità e dei progetti previsti per la loro trasformazione, può delineare – seppure parzialmente – le ragioni della loro debolezza e inefficacia. Un’inefficacia che risiede prevalentemente in una visione troppo sfocata del waterfront come tema portante della riqualificazione urbana, come grande “bene comune” in grado di diventare una strategia per conferire ordine e temporalità a molti progetti divisi e frammentati. 2. Il Piano Regionale della portualità turistica: inquadramento di area vasta o politica settoriale?

Il Piano per la portualità turistica dell’Assessorato Regionale ai Trasporti Questo piano, pur restando un piano di settore, ha avuto la capacità di estendere i suoi obiettivi e le metodologie adottate verso un approccio integrato con la programmazione urbana; in analogia a quanto a Napoli è stato fatto negli ultimi anni con la costruzione della Metropolitana, è un programma di azioni e interventi che hanno promosso un’azione intersettoriale di intervento mirata ad un’idea di territorio più complessa e diversificata.

3 M. Russo, “Urbanistica della mobilità”, in Belli A. (a cura di), Non è così facile. Politiche urbane a Napoli negli anni ’90,

FrancoAngeli, Milano 2007.

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Infatti, il programma intende sollecitare la progettualità locale attraverso bandi di finanziamento pubblico, inducendo i Comuni a farsi promotori di sviluppo attraverso la gestione diretta dei progetti di iniziative legate alla portualità turistica che hanno prodotto co-pianificazione e avviato concertazioni locali per la costruzione di partenariato pubblico-privato, interrompendo una lungo silenzio della pianificazione istituzionale sui temi del progetto della linea di costa. L’obiettivo di questo programma è stato quello di incrementare le dotazioni infrastrutturali a vantaggio di un settore, quello della nautica da diporto, che ha mostrato negli ultimi anni segni di crescita ed il costante affermarsi di una domanda di posti barca, di portualità e di attrezzature in grado di valorizzare le attrattività territoriali che – collegate ad iniziative del settore turistico – contribuiscono alla costruzione di scenari di sviluppo legati all’uso dei patrimoni paesaggistici e ambientali di una regione che ha i suoi punti di forza nel territorio costiero. La Regione ha così interpretato le nuove competenze regionali che, con il D.lgs. 112/98, dal 2002 riguardano anche la programmazione e la pianificazione delle opere portuali, con la finalità di favorire una cooperazione virtuosa tra le risorse esistenti nel settore della portualità turistica; questi poteri in Campania sono stati ribaditi dalla L. n.3 del 28 marzo 2002. Si tratta di una politica finalizzata ad attivare interventi per la realizzazione di un sistema di porti turistici lungo la linea costiera regionale, da inquadrare in un “sistema integrato” volto ad aumentare la capienza dei posti barca, ma anche a favorire l’intermodalità (con scambi mare-mare, mare-terra e terra-mare) in uno sfondo di sostenibilità ambientale ed economica, finalizzata alla valorizzazione delle risorse patrimoniali, antropiche, paesaggistiche e culturali del territorio regionale della Campania. Queste linee guida hanno avuto una profonda influenza sull’avvio concreto della realizzazione di nuovi porti, preludendo ad una delibera di giunta regionale sulla “programmazione degli interventi sulla portualità turistica da realizzarsi in project financing” che ha privilegiato la costituzione di forme partenariali tra pubblico e privato per il finanziamento e la gestione dei progetti; una delibera che, integrando le risorse del Progetto Integrato Portualità Turistica del POR Campania 2000-2006 (“Sistema Integrato Regionale dei Trasporti”), ha stimolato la redazione da parte dei Comuni di numerosi Studi di Fattibilità, strumenti di studio e di valutazione delle interazioni tra infrastrutture e territorio nella realizzazione dei Porti turistici. L’elemento innovativo di questa manovra è stato costituito dal quadro di indirizzi orientati a valorizzare l’integrazione tra porto e territorio urbanizzato, e a sostituire ad un modello convenzionale di pianificazione infrastrutturale, sempre incline a incedere verso derive tecnocratiche e dirigiste, una processualità in grado di promuovere decisioni ed azioni condivise dai soggetti istituzionali e dalle comunità locali. Il documento regionale interessa tutta la costa regionale dalla Foce del Garigliano al Porto di Sapri, individuando 10 ambiti territoriali, omogenei dal punto di vista dell’”identità territoriale”; in particolare l’ambito napoletano, di competenza dell’Autorità Portuale di Napoli, comprende la fascia costiera di Napoli con il Porto e i porticcioli di Nisida, Posillipo, Mergellina, S,Lucia, Molosiglio e Vigliena. L’integrazione tra il sistema portuale ed il territorio è rivolta alla valorizzazione delle risorse del patrimonio architettonico, culturale e archeologico, dei parchi marini e terrestri e delle riserve protette, delle sorgenti e degli impianti termali; ma anche delle attività tradizionalmente legate alla pesca e alla cantieristica; dei borghi sul mare o comunque delle aree caratterizzate da concentrazioni di attività terziarie legate al tempo libero e al turismo, che si prestano ad un collegamento con l’area portuale. E’ un’esperienza di programmazione che valorizza un’idea di “waterfront” da un lato legata al sistema della portualità turistica, dall’altro in grado di interpretare la fascia costiera come un territorio “doppio”4 costituito da un versante “marino” e da un versante “terrestre”, in cui i porti e gli approdi turistici svolgono il ruolo di “scambiatori” per l’interazione tra i due versanti attraverso l’offerta per il diporto, attraverso un diffuso sistema delle “vie del mare”, ma anche attraverso la loro riqualificazione come attrattori di attività per le popolazioni residenti. Le linee guida individuano l’ambito napoletano come la linea di costa che segna la proiezione a mare della città, rappresentando il luogo di maggiore concentrazione e pressione antropica, in un susseguirsi di tratti dai differenti caratteri morfologici e paesaggistici, segnati da diverse destinazioni funzionali e intensità d’uso. Così, oltre che per l’accessibilità del patrimonio storico-monumentale del centro storico della città,

4 B. Rallo, M. Calabrese, “Porti turistici della Campania: una straordinaria avventura di terra e di mare”, in E. Cascetta (a cura

di), La sfida dei trasporti in Campania. Mobilità integrata e sviluppo sostenibile, Electa Napoli, 2005.

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alcuni tratti di costa saranno valorizzati anche per la funzione balneare a cui si aggiunge, come “funzione di eccellenza”, l’offerta di strutture e servizi idonei ad accogliere grandi imbarcazioni della nautica da diporto. Il programma propone coerenza con gli indirizzi espressi dall’Amministrazione Comunale e definisce la realizzazione di un sistema articolato di interventi, quali:

un grande porto turistico anche per grandi imbarcazioni da diporto tra il Molo S. Vincenzo e il Molosiglio: un “marina urbano” di livello internazionale, connesso con lo straordinario retroterra dei beni culturali e con via Partenope, potrà essere realizzato studiando una soluzione di grande qualità paesaggistica che lasci integro il molo borbonico di S. Vincenzo. La darsena Acton e gli edifici ottocenteschi che ne definiscono la quinta urbana – in corso di dismissione da parte della Marina Militare – costituiscono una potenziale, straordinaria “piazza sul mare” con attività culturali, musei (della marina e dell’emigrazione), ristoranti, spazi per esposizioni. La vicinanza con la stazione marittima, le linee per le isole e per le altre località del golfo, i sistemi di trasporto su ferro ed il collegamento con la stazione ferroviaria e quella della MN nonché con l’aeroporto di Capodichino renderebbero questo polo diportistico particolarmente idoneo anche per l’ormeggio stanziale internazionale;

per Mergellina si prospetta l’ampliamento della sua capacità ricettiva per la nautica stanziale e stagionale, nonché per i maxiyacht e una migliore allocazione dell’attracco delle linee del golfo, dei servizi di sicurezza e della flottiglia peschereccia, tenendo conto della scarsa disponibilità di spazi a terra (in particolare parcheggi);

per Bagnoli-Coroglio viene condivisa la decisione già assunta in sede di Piano Regolatore del Comune di Napoli per un porto inserito nell’ambito del parco e delle funzioni ad esso connesse, dedicato alle attività sportive nautiche;

per Castel dell’Ovo si suggerisce una razionalizzazione ed un ridimensionamento che consenta la riqualificazione degli spazi marini e delle attività sportive, culturali e per il tempo libero presenti all’interno del borgo marinari;

il porticciolo di Vigliena conferma il ruolo di scalo per la nautica da diporto specializzato nel settore cantieristico e delle riparazioni;

infine, gli approdi stagionali di Marechiaro, Riva Fiorita e del Circolo Posillipo, nonché i punti di ormeggio stagionale minori, rappresentano una limitata offerta stagionale, nell’ambito delle funzioni per la pesca e per lo sport esistenti.

Questo programma formula un’idea di “sistema della portualità diportistica” come approdo diffuso e al contempo gerarchizzato che, tuttavia, non può essere realizzato se non in profonda consonanza e coerenza con la programmazione urbanistica di livello urbano; ma, ancora una volta, la frammentazione dei soggetti decisionali e delle competenze amministrative è causa di un’inerzia operativa che segna l’inevitabile ritardo nel coordinare ed avviare un’iniziativa concreta in un clima sempre più conflittuale tra i soggetti imprenditoriali locali, in generale favorevoli ad investire nel tentativo di aggirare ogni intralcio dovuto alla cura del patrimonio ambientale e paesaggistico, e i veti incrociati di ambientalisti e Sovrintendenze, spesso incapaci di andare oltre la cultura del vincolo e della tutela tout court. Posizioni tradizionalmente conflittuali e di parte che dovrebbero trovare punti di incontro in una pianificazione processuale e istituzionale mirata a dare fattibilità ad un progetto legato a un complesso sistema di valori e di interessi non solo privati. 3. Piani e progetti urbani: azioni prive di un quadro d’insieme

3.1 Il porto di Napoli Il Porto di Napoli, dal Molosiglio a Vigliena, dedicato al servizio passeggeri, al cabotaggio ed alle attività commerciali, si estende nella fascia costiera più vicina alla città storica, dove esistono pochi punti di collegamento e frammentarie relazioni visive, percettive e morfologiche tra spazi e architetture, dovuti alla storica barriera che ha segregato il porto dalla città e che, solo a partire dalla fine degli anni ’90, è stata in alcuni tratti ripensata come area permeabile, anche se solo per punti. Il notevole incremento turistico e crocieristico, sostenuto dal rilancio dell’immagine cittadina degli anni ’90, ha prodotto il ripensamento dell’invalicabile frontiera tra città e mare, costituita dal porto, dalle sue recinzioni e dalle forme del suo uso,

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proprio a partire da alcuni interventi minimi e al contempo simbolici: l’abbattimento del muro di recinzione e la realizzazione di provvisorie pensiline in legno (inizialmente su progetto di Stefano Boeri, che nel 1998 fu incaricato dall’Autorità Portuale di redigere un progetto per la zona del molo Beverello) su Via Acton hanno restituito al pubblico l’omonima darsena, in cui oggi ormeggiano i charter a vela e su cui è possibile passeggiare e guardare la straordinaria architettura del Palazzo Reale. La realizzazione di un primo nucleo di attrezzature pubbliche al servizio dei passeggeri che dal Molo Beverello si imbarcano verso le isole del golfo di Napoli, nello spazio antistante il Maschio Angioino, costituisce il punto di partenza e di arrivo per i viaggiatori che visitano il Centro Storico. Queste attrezzature, costituite da un corpo per le biglietterie, bar e ristoro, aree di parcheggio, arredo urbano, panche e pensiline per l’attesa degli aliscafi e dei catamarani – su disegno di Vulcanica Architettura –ridefiniscono un’architettura dello spazio pubblico in un luogo trattato tradizionalmente come varco di passaggio, come dispositivo di transito. Questa fase di aggiustamenti e di modeste ma significative trasformazioni, ha avuto il merito di restituire la vista e – in alcuni punti – l’attraversabilità del fronte portuale, nella parte storica (Molosiglio, Beverello, Acton), ma soprattutto di risvegliare nella cittadinanza un’attesa di uno spazio portuale nuovamente integrato alla città. Dalla fine degli anni ’90, molti progetti sono stati avviati e concepiti, anche se i loro esiti sono ad oggi ancora parziali ed incompleti (i già ricordati progetti per il sottovia di Via Marina, vinto da Arup; il progetto per la nuova stazione di interscambio della linea 6 di A. Siza i Vieira e E. Souto de Moura a piazza Municipio; il masterplan per l’area monumentale del porto di Napoli, vinto nel 2005 da un gruppo di progettazione coordinato da M. Euvè, etc.). Progetti, ad oggi solo in parte realizzati, che interessano il bordo della città, con cui il porto intesse un rapporto denso, legato alla funzione di imbarco e sbarco dei passeggeri, in una fascia che segna continuamente la separazione tra porto e città, con poche soluzioni di continuità (aree di parcheggio e fasci di infrastrutture), allontanando inesorabilmente la città dalla sua linea di costa. Il Piano Regolatore Portuale L’area demaniale è disciplinata dall’Autorità Portuale con un Piano Regolatore Portuale: il PRP vigente, approvato con D.M. n. 2478 del 27.04.1958 e successive varianti, è ormai inadeguato alle notevoli necessità di trasformazioni e di sviluppo sopravvenute in questi anni, ed inoltre non è ancora stato adeguato ai contenuti richiesti dall’art. 5 della legge n. 84/94. L’Autorità portuale ha ovviamente ritenuto indispensabile elaborare un nuovo PRP5, ancora in corso di approvazione, coerente con le finalità e gli obiettivi della legge 84/94, e con le nuove esigenze di sviluppo, adeguamento, riassetto e trasformazione del porto di Napoli, mirando ad un suo rilancio quale scalo marittimo di rilevanza internazionale. Pertanto, dopo la fase di elaborazione e discussione, nel 2000, il Comitato Portuale ha adottato il nuovo PRP in linea con i programmi di riqualificazione e rilancio del porto di Napoli, affermandone la connotazione di porto polifunzionale e puntando ad un suo rilancio quale scalo marittimo di rilevanza internazionale, anche in relazione ai nuovi scenari competitivi.

5 Lo stato di attuazione del PRP. Si sintetizzano qui le fasi già espletate dell’iter approvativo:

• in data 19.12.2000, con delibera n. 77/2000, il Comitato Portuale dell’Autorità Portuale di Napoli approva il nuovo Piano

Regolatore del Porto di Napoli e d’assetto del territorio demaniale marittimo-costiero della Circoscrizione dell’Autorità

Portuale;

• in data 26.07.2002, con delibera n. 261, il Comune di Napoli approvava l’intesa preliminare all’adozione del Piano Regolatore

del Porto di Napoli, prevista dell’art. 5 della legge 28.01.1994 n. 84;

• in data 23.10.2002, con delibera n. 31/2002, il Comitato Portuale, adottava il nuovo Piano Regolatore Portuale;

• con note n. 1630 del 26.02.2003 e n. 3750 del 16.05.2003, l’Autorità Portuale di Napoli trasmetteva al Consiglio Superiore dei

Lavori Pubblici, per l’espressione del relativo parere, il nuovo Piano Regolatore Portuale di Napoli;

• con voto n. 65 del 18.06.2003, l’Assemblea Generale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici si esprimeva nel merito,

rinviando la proposta di PRP affinché fosse integrata ed adeguata secondo le osservazioni, raccomandazioni e prescrizioni

espresse all’interno dello stesso voto;

• con nota n. 5272 del 7.07.2004 l’Autorità Portuale di Napoli trasmetteva al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il nuovo

PRP integrato ed adeguato secondo quanto richiesto;

• con l’ultimo voto n. 203 del 29.10.2004 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici esprimeva il parere favorevole definitivo, con

osservazioni, prescrizioni e raccomandazioni, sulla proposta del PRP di Napoli.

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E’ evidente l’intenzionalità settoriale che mira al rilancio del porto per le sue caratteristiche di infrastruttura piuttosto che per le sue valenze di “parte urbana”: l’Autorità Portuale infatti con il nuovo PRP si è proposta di riaffermare il ruolo del Porto di Napoli come Polo fondamentale nel sistema dei porti del Mediterraneo, anche attraverso uno sviluppo equilibrato dei settori economici operanti al suo interno; di mettere a “sistema” tutte le funzioni e attività diversificate attualmente presenti nel porto, con ampliamenti e potenziamenti di aree e di infrastrutture rispetto a specifiche destinazioni funzionali; di individuare aree di rilevanza “strategica” che assumono un ruolo prioritario e per le quali sono formulate più approfondite ipotesi di riqualificazione. Ultimo obiettivo è quello di realizzare una connessione terra-mare, intesa come sviluppo economico e infrastrutturale del porto con il suo retroterra (aeroporti, interporti, rete ferroviaria, autostrade, ecc.) e sia come costruzione di un più diretto rapporto della città con il mare, anche attraverso la riqualificazione delle aree del waterfront urbano. E’ evidente che quest’ultimo punto, afferma la retorica di una condivisione che appare sempre più un’argomentazione politicamente corretta, lontana dall’esser tradotta in programma concreto da parte di un Ente che mostra finalità e sensibilità chiaramente distanti dalla rivitalizzazione del waterfront come bene comune, di natura prevalentemente urbana. Successivamente, l’Autorità Portuale ha provveduto ad avviare la redazione dello Studio di Impatto Ambientale, prescritto dall’art. 5 della legge n. 84/94, sia con la redazione delle indagini e degli studi necessari, sia richiedendo al Ministero dell’Ambiente e del Territorio la nomina degli “Osservatori” che potessero dare utili suggerimenti per il completamento di detto studio. Dopo una prima audizione è stata modificata la composizione della commissione VIA Ministeriale. Nel frattempo sono stati svolti ulteriori indagini e studi necessari al completamento dello Studio di Impatto Ambientale. Ad oggi si è in attesa della nuova nomina degli osservatori. In relazione alla necessità di ottemperare alle osservazioni ed integrazioni richieste dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, tenendo conto delle nuove esigenze intervenute, si sta portando a conclusione una integrazione del PRP con una dettagliata specificazione normativa e l’aggiornamento dei programmi, soprattutto in relazione alla progettazione del waterfront portuale dell’area dal Piazzale Pisacane al Molo S. Vincenzo, al riassetto e riconfigurazione delle aree industriali e commerciali con le relative delocalizzazioni e infrastrutturazioni, ai nuovi collegamenti stradali e ferroviari. In parallelo ad un processo di pianificazione non ancora approvato e dunque non operativo, l’Autorità Portuale ha definito il Piano Operativo Triennale (2008-2010) che rappresenta il documento fondamentale attraverso cui, in conformità con la legge n. 84/1994, vengono stabiliti gli obiettivi da perseguire nel breve periodo, definendo i piani che ne consentano il raggiungimento e le eventuali verifiche. Le scelte indicate nel Piano sono il frutto del confronto con le istituzioni locali e con le categorie imprenditoriali e sindacali coinvolte, e rappresentano un riferimento fondamentale per qualsiasi intervento mirato allo sviluppo e al potenziamento del sistema portuale di Napoli. Tali scelte derivano dall’ analisi dello scenario del trasporto marittimo, che ha permesso di definire il posizionamento strategico per il porto di Napoli, con riferimento ai tre settori di attività: traffico commerciale, cantieristica, traffico turistico. In tale scenario l’Autorità Portuale, in quanto soggetto istituzionale di governance, ha inteso cogliere le opportunità che gli scenari internazionali offrono, sfruttando le potenzialità esistenti dello scalo nonché trovando nuove soluzioni infrastrutturali (costruzione della darsena di Levante) e logistiche (collegamenti ferroviari con l’Interporto di Nola-Marcianise) per attrarre nuovi flussi di traffici, in una visione sempre più ampia di “sistema portuale” che vede l’ampliamento della circoscrizione territoriale al Porto di Castellammare di Stabia ed il possibile ingresso nella circoscrizione di competenza del Porto di Torre Annunziata, quali ulteriori fattori di sviluppo e di decongestionamento per il Porto di Napoli. I mutamenti rapidi e radicali dello shipping mondiale, richiedono celeri interventi di ammodernamento delle infrastrutture e sovrastrutture degli scali per adeguarle alla nuova domanda del mercato (fondali dei bacini portuali, estensione e pescaggio delle banchine, nuove gru di banchina, aree di stoccaggio, nuove tecnologie informatiche e telematiche, fluidi collegamenti terrestri e ferroviari). Si afferma in maniera sempre più chiara la visione di un porto come “macchina settoriale” piuttosto che come dispositivo urbano, come sistema il cui funzionamento e le cui articolazioni reclamano territori sempre più ampi e configgono con i limiti del contenimento urbano dovuto alla sua posizione e localizzazione, che richiederebbero scelte strategiche e radicali di livello territoriale, dove probabilmente

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solo uno scenario – inattuale – di completa delocalizzazione potrebbe consentire al sistema portuale di dare risposta alla crescente domanda di connessione con un sistema sempre più sofisticato ed esteso di infrastrutture dedicate al trasporto ed alla logistica in spazi specializzati e dedicati. Ed al contempo, consentire alla città di riequilibrare il proprio rapporto strutturale e costitutivo con il fronte sul mare.

Il fronte portuale: la parte monumentale A fronte di una programmazione prevalentemente “settoriale”, alcuni progetti degli ultimi anni si sono caratterizzati per la loro valenza urbana: prima fra tutte la riqualificazione dell’Area Monumentale del Porto di Napoli, che riguarda la parte storica del fronte urbano sul mare, ricco di numerose testimonianze architettoniche ed archeologiche, quali i recenti ritrovamenti dell’antico porto romano a Piazza Municipio, il Maschio Angioino ed il versante della Reggia sul mare. Questo intervento è parte del processo di riorganizzazione dell’area portuale avviato negli ultimi anni per rispondere al costante incremento del traffico passeggeri, che ha prodotto un uso intensivo dello scalo marittimo, utilizzato come punto di snodo del traffico crocieristico nazionale ed internazionale, cabotiero delle Autostrade del Mare e pendolare/turistico dei collegamenti con le località del golfo. Queste dinamiche hanno rafforzato l’idea di sostenere il ruolo della città come porta del Mediterraneo, accrescendone e migliorandone la capacità di accoglienza. Il territorio urbano e costiero della cosiddetta “area monumentale” del Porto di Napoli è risultato il punto di frontiera di due logiche di pianificazione e programmazione differenti e istituzionalmente autonome: quella della pianificazione comunale (definita dal Prg comunale), e quella Portuale, definita dal Piano Regolatore Portuale, strumento di Pianificazione di competenza dell’Autorità Portuale, che delimita l’ambito del porto, e ne disegna l’assetto complessivo, organizzando anche tutte le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica, a tutte le strutture stradali e ferroviarie dedicate alla movimentazione interna. Il tema della riorganizzazione dell’intera area portuale, deve essere in grado di fornire nuove risposte ad una domanda di trasformazione che si esprime da un lato, dal mare, con la progressiva crescita quantitativa e qualitativa della domanda di trasporto, con lo sviluppo del traffico container, con l'incremento dimensionale delle navi, con la redistribuzione dei traffici rispetto alle rotte principali, con la localizzazione del transhipment in pochi scali principali e con l'automazione sempre più spinta nella gestione (fisica, amministrativa e doganale) dei contenitori, con una forte concorrenza nella qualità dei servizi e nel costo delle operazioni portuali. Dall'altro lato, da terra, si afferma sempre più una logica che vede il porto non più esclusivamente come scalo terminale, ma come nodo di una rete intermodale complessa, estesa all'intero territorio circostante e comprendente i servizi e le qualità insediative e ambientali del sistema urbano circostante.

Il dualismo dei piani contrasta con le attuali strategie di coordinamento regionale in Campania volte alla riqualificazione funzionale ed urbanistica del Porto ed al rilancio del suo ruolo come punto di riferimento della complessa geografia politica del bacino del Mediterraneo, come nodo di una rete in grado di creare nuove relazioni e collegamenti con i paesi del nord Africa, per rafforzare il peso di Napoli nel reticolo dei traffici, del trasporto merci, nel settore commerciale e nelle attività industriali delle riparazioni navali, attraverso una decisa politica di investimenti che potenzi le infrastrutture e migliori le capacità di offerta dei servizi portuali; ma soprattutto che affermi questa realtà come nodo strategico dei flussi del turismo internazionale. L’obiettivo che proietta Napoli ed il suo Porto come polo di eccellenza delle reti dei collegamenti internazionali ed intercontinentali, esige che l’area urbana del Porto sia una luogo simbolico capace di segnare l’accesso alla città, di valorizzarne la sua storia di parte strutturante gli insediamenti della città. Il Porto di Napoli deve diventare un polo della mobilità di livello internazionale, ma anche un significativo luogo per la città, integrata con il tessuto e con le testimonianze della storia urbana. Infatti a fronte dell’attuale ruolo dell’area portuale, che si configura come l’anello di una catena trasportistica continua, risulta strategica la scelta di recuperare un passato in cui il porto era anche “emporio”, luogo urbano, oltre che punto di sosta per lo scarico e il carico delle merci. Oggi la competizione non avviene soltanto tra i singoli porti, ma con loro entra in gioco l'intero territorio che li circonda, con il suo potenziale intermodale e di servizio. In questa prospettiva il Porto non deve solo adeguarsi fisicamente

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alle nuove esigenze del ciclo trasportistico, con piazzali sempre più ampi, bacini più profondi e interconnessioni più efficienti, ma deve anche rispondere con coerenza ed efficienza alle domande del mercato e alle sue rapide trasformazioni con spazi flessibili e multifunzionali da riorganizzare e adeguare rapidamente. La velocità di trasformazione delle aree portuali, che in generale sembra più rapida rispetto a quella urbana, è uno dei fattori che rendono il porto un sistema chiuso e separato dalla città. Tuttavia considerare il porto nella sua autonomia, senza interferenze con l'esterno, come infrastruttura settoriale e specialistica, rappresenta un orientamento che – seppure prevalente nella corrente pianificazione portuale – va ribaltato. E’ necessario riscoprire gli antichi legami tra il territorio urbano e il porto, non solo promuovendo una pluralità di iniziative tese al recupero del fronte a mare, ma ridisegnando il waterfront in modo da definire una nuova continuità strutturale tra il tessuto della città esistente e la definizione morfologica e funzionale delle nuove parti; continuità fatta di tracciati, attraversamenti, collegamenti pedonali, sostenuti e connessi da una molteplicità di elementi simbolici ed architettonici. Questi sono i principi sviluppati dal progetto del gruppo coordinato da Michel Euvè (con Rosario Pavia, Guendalina Salimei e altri) vincitore del concorso di progettazione gestito da Nausicaa (Società Consortile per azioni, partecipata dall’Autorità Portuale, dal Comune di Napoli e dalla Regione Campania nata con lo scopo di gestire le trasformazioni del patrimonio territoriale del Porto di Napoli ed in particolare la riqualificazione dell'Area Monumentale del Porto di Napoli) per la riqualificazione dell’area portuale tra la darsena Acton e l’Immacolatella Vecchia; il bando di concorso, del 2005, richiedeva:

l’integrazione tra l’area del porto ed il retrostante tessuto cittadino, con la trasformazione della darsena Acton come porto turistico per il diporto, approdo di rappresentanza integrato con attività turistico-ricreative culturali;

la creazione, lungo il Molo San Vincenzo, di una passeggiata a mare e l’eventuale terminal crocieristico;

la riconversione deli edifici esistenti nell’area militare del Molo San Vincenzo in servizi di terziario avanzato a beneficio dei croceristi e dei diportisti e dell’intera città;

la delocalizzazione delle volumetrie esistenti sul Molo Beverello, realizzando dei servizi a supporto del traffico passeggeri per il golfo;

la realizzazione di parcheggi per gli autobus legati al traffico crocieristico, e quello collegato al traffico cabotiero, prevedendo possibili soluzioni su livelli interrati nel piazzale della Stazione Marittima;

il ridisegno della Calata del Piliero mediante la realizzazione di parcheggi per TIR ed autovetture; la conversione dello storico edificio dell’Imacolatella Vecchia in una struttura museale.

La riorganizzazione dell’intera area monumentale, così come ridefinita dalle regole del concorso, è stata volta al miglioramento delle operazioni di imbarco e sbarco mediante la delocalizzazione degli edifici e dei servizi attualmente localizzati in prossimità delle calate di riva, in aree perimetrali della cinta portuale o di aree doganali che potranno divenire sede privilegiata per la realizzazione di locali destinati a servizi di accoglienza, biglietterie, ristorazione e negozi, accessibili contemporaneamente sia dalla città che dal porto. Per molti mesi l’esito definitivo del concorso di progettazione è stato sospeso a causa di complesse controversie giudiziarie sollevate dal ricorso di alcuni partecipanti; controversie solo di recente concluse con l’aggiudicazione definitiva del progetto al gruppo vincitore del concorso internazionale del 2005. Il progetto preliminare del gruppo di Michel Euvè prevedeva una serie di interventi (da attuarsi con la procedura del projet financing) organizzati in base ad una interpretazione dell’intera fascia portuale come un'area-filtro (filtering line) che consente di garantire l'operatività del porto e, allo stesso tempo, la costruzione di uno spazio pubblico di mediazione tra porto e città non solo per gli utenti del porto, ma per tutti i cittadini. Infatti l’area portuale è intesa dal progetto come interfaccia tra mare e città che permette di riappropriarsi di alcune porzioni significative della città stessa. Il progetto, attraverso un sofisticato disegno di suolo, che lavora sulla profondità e sullo spessore dell’area filtro, ridefinisce il margine città/porto trasformandolo in un sistema di spazi aperti che consentono l’attraversamento tra città e porto, regolandone i flussi.

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Si tratta di un’area-filtro entro cui si incanalano i flussi pedonali provenienti dalla città e dal mare, dilatando la via Marina e garantendo un’ampia apertura visiva verso il mare e le attività interne al porto, con l’obiettivo di stabilire un nuovo dialogo tra città e porto, attraverso la costruzione di nuove centralità, di immagini contemporanee, di ambiti urbani derivati dal riordino funzionale dell’esistente. Si vogliono creare nuove interconnessioni tra le diverse parti del Porto, storicamente definite, integrando ed esaltando le singole identità; ciò comporta il superamento delle conflittualità, ed un lavoro di coerenza tra obiettivi strategici e procedurali in grado di superare la tradizionale separazione tra piano urbanistico e piano portuale. Il progetto ridefinisce un sistema di connessioni di livello territoriale con la direttrice che da piazza Municipio, congiunge idealmente la collina di Castel S. Elmo, con la Stazione Marittima di Bazzani, in continuità con l’asse del progetto di Alvaro Siza in corso di attuazione per collegare il nodo di interscambio della stazione metro di Piazza Municipio con il Porto. Tuttavia, l’assenza di un quadro condiviso di scelte strategiche più ampie sulla fascia costiera richiamate enfaticamente dai Piano urbanistico, rischia di rendere l’insieme delle iniziative in corso una mera sommatoria di interventi individuali. Tre indirizzi fondamentali consentirebbero di ripensare il porto come parte integrata della città: 1. rafforzare la multi-funzionalità delle aree portuali, con una flessibilità di uso delle diverse parti della

infrastruttura portuale, che consenta ad ogni elemento una reversibilità di uso in coerenza con il complessivo sistema delle relazioni funzionali e morfologiche che ne definiscono una visione di assieme. Il perseguimento di tale obiettivo potrebbe far coesistere le diverse funzioni legate al traffico crocieristico, all’industria delle riparazioni navali, al traffico commerciale – cioè i settori in cui è suddivisa l'economia portuale – in un assetto che non sia “immobilizzato” nel tempo, ma che sia in grado di trasformarsi e svilupparsi prefigurando scenari di assetto differenti, variabili in base alle opportunità che dovessero progressivamente manifestarsi.

2. polarizzare gli estremi geografici del porto: le teste di ponte di una nuova configurazione dell’area costiera demaniale (Molo San Vincenzo ad occidente e la Nuova Darsena di Levante ad oriente), ed una strategia mirata al loro rafforzamento, rappresentano la definizione del rapporto tra l’intero sistema portuale e la città, ne chiariscono il limite geografico ed urbano, e definiscono le polarità anche come caratterizzazioni funzionali. In tal senso l’area del porto monumentale e del molo S. Vincenzo, rappresentano l’estremità in cui il porto apre alla sua componente turistica e si lega con il cuore della città. Puntare sulle "ali" del Porto significa rafforzare le due aree da cui dipende il futuro sviluppo del traffico container e crocieristico, e soprattutto caratterizzarlo in diverse e complementari destinazioni funzionali.

3. Rivitalizzare l’esistente, vuol dire rendere efficienti le strutture esistenti organizzando ed ottimizzando i flussi, le percorrenze, la logistica, la mobilità i collegamenti. Ma vuol dire anche lavorare su un palinsesto urbano consolidato, dove ogni ipotesi di trasformazione non può evitare di confrontarsi con la struttura, con gli edifici, le giaciture, i luoghi e gli spazi del porto e della città che – nel reciproco rapporto – rappresentano una storia di lunga durata.

Dal punto di vista urbanistico e ambientale, si tratta di ridisegnare un “bordo conteso” tra programmi, identità e logiche pianificatorie diverse: solo una chiara connotazione morfologica che riguarda la forma del costruito e il disegno del suolo ma anche la relazione tra spazi, luoghi, attività e funzioni, il loro dimensionamento ed i loro collegamenti, consente di rendere coerenti strategie per un porto efficiente, parte organica e coerente della città, luogo collettivo e simbolico, spazio di vita dei cittadini.

3.2 Il PIAU di San Giovanni a Teduccio L’area specializzata del porto ha termine con il grande bacino detto Darsena di Levante, ad est, in località Vigliena, nel tratto che introduce alla linea di costa della città vesuviana (S. Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano, Torre del Greco), uno straordinario paesaggio caratterizzato dalle meraviglie architettoniche del settecentesco “Miglio d’Oro”, dalla linea ferrata della prima ferrovia italiana (la Napoli-Portici del 1839), ed attualmente inquietante brandello di città contemporanea, caratterizzata da un intasamento edilizio selvaggio che ha riempito i pochi vuoti rimasti e le aree di campagna con un’elevatissima densità abitativa, compressa tra linee infrastrutturali in paradossale contiguità con il rischio Vesuvio.

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Da Vigliena (area su cui è ancora visibile –sommerso da edilizia senza qualità – il Forte di Vigliena, la cui distruzione si ebbe a causa dei fatti d'armi della Repubblica Partenopea del 1799, quando i patrioti napoletani vi si asserragliarono, per resistere all'avanzata in città delle truppe sanfediste del cardinale Ruffo) fino a Pietrarsa, in territorio comunale di Napoli, dove i fasci infrastrutturali e le aree industriali definiscono un tratto di costa assolutamente inaccessibile e impraticabile. Questa chiusura è paradossale se si pensa che costituisce il fronte a mare di San Giovanni a Teduccio e Barra, storici quartieri napoletani carichi di edilizia pubblica e relegati ad una condizione periferica di degrado urbano e sociale. Su questo tratto di costa è in corso il progetto attuativo del Prg del 2004, attraverso il PIAU (Programma innovativo in ambito urbano attivato dal Ministero delle Infrastrutture per le aree caratterizzate dalla presenza dei nodi infrastrutturali rilevanti) che definisce il quadro di tutte le occasioni di trasformazione che interessano quest’area: il porto turistico nello specchio d’acqua antistante l’area dismessa Corradini; il nuovo terminale della linea 2 della rete ferroviaria metropolitana, spostato da Gianturco a San Giovanni a Teduccio anche per l’interscambio con la linea di tram; la riconversione energetica della centrale elettrica di Vigliena, trasformata in impianto a ciclo combinato; la colmata della Darsena di Levante, destinata a piazzale container del porto; il recupero alla fruizione pubblica delle spiagge poste sul margine orientale della costa di San Giovanni; la riqualificazione del corso San Giovanni e la riconfigurazione dell’insediamento di edilizia popolare di Taverna del Ferro; la riqualificazione delle aree dismesse Cirio per la realizzazione di un polo universitario per la Federico II. Questi interventi possono diventare l’occasione per riqualificare percorsi pedonali, piazze, spazi pubblici e verde che diventano i nodi di potenziale ricucitura urbana con la parte retrostante, in deficit di servizi e attrezzature ma soprattutto priva di struttura urbana e di legami con il paesaggio. Gli interventi del Piau di San Giovanni mostrano tre punti di rilievo: sviluppano coerentemente le strategie urbane del prg; implementano una metodologia di ascolto con i soggetti locali; puntano sul coinvolgimento del soggetto privato come investitore attraverso il project financing. Il progetto propone una passeggiata continua lungo l’intero tratto di costa: l’immagine complessiva dei percorsi pubblici atti a garantire la riconquista del mare all’uso dei cittadini è quella di una struttura a “pettine”, dove l’asse orizzontale è dato dalla passeggiata a mare le trasversali sono costituite dagli attraversamenti della barriera ferroviaria. Al confine con le aree ferroviarie si localizza inoltre, a una quota rialzata di circa 4 metri un “percorso di mezza costa”: ne deriva una passeggiata panoramica sopraelevata - posta su di un manufatto a scarpate che richiama l’immagine di un bastione, come nelle cinte fortificate di Lucca o di Ferrara. Il bastione, visibile dal corso San Giovanni, rappresenta la parte più consistente di trasformazione degli spazi pubblici a nord della ferrovia: è elemento d’unione, sia di tipo figurale-morfologico che funzionale, tra mare ed entroterra, nonché asse connettivo del sistema di spazi pubblici (le piazze sul corso, le terrazze a mare) posti a due lati della linea ferroviaria. Le risalite principali, in parte meccanizzate, sono a Vigliena, in corrispondenza dell’insediamento universitario, nella piazza San Giovanni verso la terrazza a mare, nel complesso Anm-Corradini, lungo l’asse Alveo artificiale-molo turistico, nel nodo Due Palazzi/Ex Depuratore. All’interno della scarpata si ipotizza di localizzare un sistema di parcheggi pubblici, mentre a San Giovanni Battista il bastione costituisce il rinnovato fondale della piazza, aperto visivamente e funzionalmente verso il mare: l’edificio dell’attuale stazione è destinato a essere sostituito da una nuova struttura che consentirà lo scavalcamento della ferrovia e il collegamento pedonale con la grande terrazza belvedere prevista dal progetto del porto turistico. Lungo il “pettine” di percorsi pubblici si localizzano tre grandi centralità: il parco urbano-archeologico di Vigliena, il “centro di zona” con la stazione-ponte presso l’attuale deposito Anm, il “parco dell’acqua” dove oggi è il depuratore in dismissione.

3.3 Il fronte del Parco di Bagnoli e il porto turistico di Napoli ovest Nel quadrante occidentale il disegno della linea di costa è un tema centrale del progetto del Parco di Bagnoli (definito dalla Variante Occidentale di Napoli, e dal Piano Urbanistico Attuativo del 2003), che interessa l’area dismessa ex Ilva, nella piana tra Bagnoli e le pendici del sistema collinare di Posillipo, verso il golfo di Pozzuoli, l’isola di Nisida e il promontorio di Coroglio. Il Parco, nelle previsioni del Piano, costituisce innanzitutto un luogo da restituire alla città, con funzioni pubbliche e per il tempo libero, attraverso l’opera di risanamento e di valorizzazione di un paesaggio per

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molti anni sede di industrie inquinanti che hanno determinato la frammentazione ambientale e urbana di un waterfront separato dal resto della città. Il sito di Bagnoli è stato destinato ad attività industriali per quasi un secolo, dall’inizio del ‘900 fino al 1991, anno in cui le attività siderurgiche furono dismesse; il progetto del parco riguarda l’organizzazione delle infrastrutture e dello spazio aperto entro cui, dopo una lunga e laboriosa bonifica dei suoli in via di completamento da parte di Bagnolifutura (la Società di Trasformazione Urbana, con la prevalente partecipazione del Comune di Napoli, che gestisce la trasformazione urbanistica dell’area), dovranno essere collocate le funzioni collettive legate al tempo libero (spazi aperti a parco, aree per lo sport e per lo spettacolo, città della musica, porto turistico, alberghi e aree per l’ospitalità), ubicate in parte nei grandi contenitori industriali dismessi. Il piano esecutivo (su disegno del Dipartimento di Urbanistica di Napoli – l’ufficio di piano –, con la consulenza di Francesco Cellini), ha definito la morfologia delle trasformazioni future, individuando i caratteri di una nuova topografia del territorio (l’area del progetto è interessata dalle aree degli ex stabilimenti Ilva, Eternit e dai 14.000 mq dell’area di colmata a mare), per stabilire nuove relazioni strutturali tra il sito e il contesto urbano e paesistico. Nel 2005 Bagnolifutura ha bandito un concorso internazionale per la progettazione del Parco Urbano, vinto dal progetto del gruppo coordinato da Francesco Cellini, che vuole ricondurre al disegno di paesaggio le polarità e le infrastrutture esistenti da integrare con il sistema di spazio pubblico. Ciò è stato possibile attraverso l’organizzazione dei sentieri, ed il recupero dei segni di antico impianto – percorsi, impluvi e vie d’acqua, incisioni orografiche e costiere –, la creazione di campi e di orti, la mappatura simbolica degli spazi di transizione e di attraversamento. Il disegno del paesaggio non risarcisce gli effetti che gli insediamenti industriali hanno cumulato nel tempo, tuttavia l’intreccio di natura e cultura costituisce il punto di partenza per una ricostruzione di una parte di città che per storia, posizione geografica, valenze paesistiche consente di ripensare l’assetto futuro dell’intera città e della sua area metropolitana. Il progetto si pone principalmente l’obiettivo della ricostruzione delle relazioni con la città, nelle sue parti consolidate ed esistenti e in quelle di futura trasformazione, per proporsi come elemento di riqualificazione e di riconnessione dell'intero comparto urbano interessato. La fabbrica ha escluso per decenni la città dal suo perimetro: in particolare ha separato la città occidentale dal suo waterfront. L’attuale progetto del parco ricostituire un sistema di relazioni strutturate (funzionali, percettive, paesaggistiche) tra la spiaggia e la fascia costiera, e le pendici di Posillipo, il sistema urbano che si è stratificato nell’immediato contesto di Bagnoli, le riserve di naturalità ancora presenti in sito e il complessivo sistema delle attrezzature che reinterpretano il ruolo potenziale degli edifici di archeologia industriale. Il piano di Bagnoli – nell’originaria stesura di Variante Occidentale (approvata nel 1998; poi sviluppata e definita dal Piano Urbanistico Attuativo, approvato nel 2004) – sulla la linea di costa compie le scelte più strategiche e al contempo di maggiore valenza simbolica. La prima riguarda riconfigurazione della spiaggia (una spiaggia di sabbia bonificata che caratterizza il paesaggio dunale della costa flegrea, più a ovest), attraverso un’idea di rinaturalizzazione e di recupero dei valori e ambientali e paesistici, che ha avuto molta fortuna negli anni ’90 come idea-traino del nuovo piano. Un’idea che si è tradotta in utopia, poiché la bonifica – per quanto profonda e complessa – non potrà garantire il ripristino di condizioni di assoluta sicurezza tali da consentire la balneazione. Inoltre la rimozione del tessuto edificato lungo la linea di costa (compresa la “Città della Scienza” che dovrebbe essere de localizzata nella parte retrostante del Parco), dei moli industriali e, soprattutto, della “colmata” a mare, un accrescimento artificiale del “parco minerali” realizzato negli anni ’70, una grande piastra di 220 mila metri quadrati costituita da un milione e 240 mila metri cubi di materiali da riempimento composti prevalentemente da pozzolana mista a scorie di lavorazione siderurgica, che si affaccia sul golfo di Pozzuoli. La rimozione della colmata sembra oggi una prospettiva sempre più impegnativa e inattuale in un complessivo bilancio tra costi e benefici, poiché comporta anche notevoli incertezze attuative (legate alle difficoltà di rimozione di una massa così cospicua di materiali ad altissimo rischio inquinante) che rendono questa prospettiva di difficile attuazione, attualmente valutata comparativamente con l’ipotesi di un riuso che consenta di valorizzarne la posizione particolarmente favorevole, affacciato sul golfo di Pozzuoli, verso Procida e Ischia come piattaforma di supporto ad un nuovo porto turistico.

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La seconda scelta critica del Piano riguarda appunto il Porto Turistico, previsto sul lato occidentale della piana di Bagnoli, in prossimità dello storico nucleo urbano del quartiere Giusso, realizzato nei primi anni del ‘900. Il Piano Urbanistico Attuativo recupera la memoria di un’utopia di Lamont Young, fantasmagorico architetto inglese vissuto a Napoli alla fine dell’800, autore di un progetto visionario per un insediamento in forma di paesaggio lagunare in luogo della fabbrica, prevedendo un porto-canale (per una superficie di circa 54.000 mq) ricavato entro la costa sul limite occidentale della spiaggia del parco, sulla linea del bellissimo pontile industriale di recente restaurato e aperto al pubblico come straordinaria promenade protesa nel mare. Si tratta di un porto di capienza limitata rispetto ai posti barca attualmente esistenti nel porto naturale a ridosso di Nisida (che con i suoi pontili stagionali accoglie circa 2000 posti/barca a stagione), che risulta di difficile realizzazione per i rischi di insabbiamento, e la modifica della costa che comporta trasformazioni dei flussi e delle correnti, e che comporta la completa rimozione della colmata con l’insieme dei problemi accennati in precedenza. Il porto è una scelta fondamentale per sollecitare il processo di trasformazione della linea di costa, per gli interessi economici e imprenditoriali che sono legati alla sua realizzazione e per l’effetto volano che questa infrastruttura potrà avere per tutte le attrezzature e le funzioni che sono direttamente e indirettamente collegate alla sua presenza: questo è il motivo per cui nel 2005 l’Autorità Portuale ha bandito l’avviso dell’istanza di concessione demaniale per pervenire ad una Conferenza dei Servizi necessaria per selezionare il progetto e il soggetto per la sua realizzazione del Porto canale. A marzo 2009 Il Tribunale amministrativo regionale ha infatti accolto un ricorso annullando il Piano urbanistico esecutivo di Bagnoli e rimettendo in discussione l'ipotesi della rimozione della colmata per l'impossibilità di procedere alla realizzazione di un porto canale. Una decisione che deriva dalle prescrizioni della Soprintendenza in sede di osservazioni al Pue che, secondo il Tar, sarebbero state ignorate in sede di controdeduzioni al Piano urbanistico esecutivo. 4. Inerzie e difficoltà del progetto pubblico: l’assenza di un’idea di waterfront

Questa situazione di incertezza determina un impasse, che ormai si protrae da molti anni e che sembra riaprire uno spazio decisionale sul destino del waterfront di Bagnoli che, negli ultimi anni, sembra aver subito qualche sussulto solo in occasione di scelte legate ad emergenze o ad eventi eccezionali: così come avvenne nel 2003 in occasione della candidatura di Napoli per la America’s Cup di vela (che, entro il 2007, anno in cui si è disputata la competizione internazionale, avrebbe dovuto vedere tutte le opere a mare realizzate; opere al 2009 ancora non iniziate), persa a vantaggio di Valencia; così come sta avvenendo in questi mesi, con la candidatura – questa volta vinta dal Comune di Napoli – per svolgere a Napoli il Forum internazionale delle culture 2013, con un programma incentrato sulla riqualificazione delle strutture della città occidentale, dotata di grandi attrezzature e di aree dismesse (Mostra d’Oltremare, Collegio Ciano e Bagnoli): in questo scenario di trasformazione urbanistica, si parla con sempre maggiore insistenza6 dell’ipotesi di trasformare la colmata come piattaforma per la piazza degli eventi del forum. Non si tratta solo di una decisione che non riesce ad essere incanalata in un percorso di concreta condivisione istituzionale e di fattibilità economico finanziaria e gestionale: è un segno evidente della debolezza di una pianificazione che non riesce a costruire uno scenario condiviso di “città a mare”, entro cui il Porto dovrà svolgere il suo ruolo di traino per lo sviluppo.

A meno della fascia costiera storica dal Molosiglio a Via Caracciolo e tra Mergellina, Posillipo e Nisida, paesaggio incastonato tra “ville romane e casini di delizia”, tra mito e archeologia, ognuno dei quadranti presi in esame offre risorse e potenzialità trasformative che reclamano azioni mirate alla riconversione di ampi tratti di territorio, che vanno reinventati nella loro forma e nelle loro relazioni in un nuovo waterfront che potrebbe essere l’idea-mosaico, inclusiva e multiscalare che, per la sua potente inerzia identitaria inscritta nell’immagine della città, può valorizzare le sue risorse spesso latenti e frammentate, in un paesaggio regionale che può essere volano di sviluppo economico e sociale per un territorio attrattivo e baricentrico nelle dinamiche euro-mediterranee.

6 O. Lucarelli, “Ultime da Bagnoli: la colmata resta”, La Repubblica, sezione: Napoli, 24 febbraio 2009

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La forza di questo scenario contrasta con la debolezza delle strategie che negli ultimi venti anni sono state impiegate per realizzarlo: quello del waterfront può considerarsi, forse, il grande progetto incompiuto della città ed uno dei punti critici degli ultimi venti anni di urbanistica napoletana. Un progetto che segnala l’incapacità politica e amministrativa di orientare un “pensiero strategico” e intersettoriale in grado di pianificare il lungo periodo; di definire intese strutturali tra le diverse istituzioni; di coinvolgere in modo strutturato la molteplicità dei soggetti locali, portatori di istanze spesso confliggenti, polverizzate, di parte o poco trasparenti; ma senza il cui dialogo, risulta sempre più difficile costruire scelte concrete.

Il waterfront di Napoli è il tema su cui si è definitivamente consumata l’incapacità di utilizzare in termini innovativi il progetto urbano, come processualità in grado di mobilitare risorse e aggregare interessi e soggetti, intorno a idee innovative, progetti e azioni di riconfigurazione di una forma urbana capace di superare il dualismo storico tra città, mare e linea di costa. La pianificazione urbanistica, in una cornice istituzionale sempre più debole e meno coesa, non ha elaborato una convincente idea di waterfront come principio operativo e condiviso attorno al quale coagulare interventi a diverse scale, capaci di essere intersettoriali e al contempo attenti alla forma, ma anche interni ad un processo trasparente e condiviso di formulazione delle scelte. Senza una cultura del “progetto urbano”, quale dispositivo di coordinamento delle trasformazioni fisiche, di “mobilitazione sociale” e di innovazione dello spazio urbano, quale cornice entro cui dare coerenza alle azioni puntuali e collegare le modificazioni urbane ai principi di sviluppo economico e sociale, la modificazione del waterfront si riduce ad uno sterile esercizio di uso incrementale di azioni puntuali e settoriali, in cui è sempre presente il rischio che approcci tradizionalisti e conservativi non vadano oltre una generica cultura del vincolo, manifestando una irrimediabile incapacità di progetto, dunque di valorizzazione, delle risorse e dell’identità del territorio.

Bibliografia Alisio G., Il lungomare, Electa Napoli, 1989 Amirante R., Il porto di Napoli. Studi per la redazione del piano regolatore, Liguori Editore, Napoli 2001 Amirante R., Bruni F., Santangelo M.R., Il Porto, Electa Napoli 1993 Belli A. (a cura di), Non è così facile. Politiche urbane a Napoli negli anni ’90, FrancoAngeli, Milano 2007 Fava N., “Napoli: il vantaggio del ritardo”, Portus 09, Aprile 2005 Giannì R., Ceci F., La strategia urbanistica per la linea di costa della città di Napoli, in M. Casamonti (curatore), “Annali dell’architettura e delle Città”, Motta Edizioni, Milano 2006 Gravagnuolo B., Napoli dal novecento al futuro. Architettura, design e urbanistica, Electa Napoli, Napoli 2008 Gravagnuolo B. (a cura di), Napoli. Il porto e la città: storia e progetti, ESI, Napoli 1994 Pavia R., Salimei G., “Il nuovo waterfront monumentale di Napoli”, Portus 10, 2005 Rallo B., Calabrese M., Porti turistici della Campania: una straordinaria avventura di terra e di mare, in Cascetta E. (a cura di), “La sfida dei trasporti in Campania. Mobilità integrata e sviluppo sostenibile”, Electa Napoli, 2005 Russo M., “Urbanistica della mobilità”, in Belli A. (a cura di), Non è così facile. Politiche urbane a Napoli negli anni ’90, FrancoAngeli, Milano 2007. Gasparrini C., Russo M., “Napoli”, in Piroddi E. (a cura di), Nuovo Manuale di Urbanistica, Mancosu Editore, Roma 2009 Viggiani D., I tempi di Posillipo, dalle ville romane ai “casini di delizia”, Electa Napoli 1989