nelle video • le esplorazioni glaciazione l’universo...

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2 1 lezione Origine ed evoluzione della vita 1 L’Universo è nato più di 13 miliardi di anni fa Il nostro Universo ha avuto origine espandendosi da un singolo punto Si ritiene che l’Universo si sia originato cir- ca 13,8 miliardi di anni fa. Secondo la teoria del Big Bang tutto ha avuto inizio da un singolo punto, all’interno del quale era con- tenuta la materia in uno stato infinitamente denso dove non esistevano atomi. Quando il singolo punto ha cominciato a espander- si, la temperatura dell’Universo in forma- zione era ancora di migliaia di miliardi di gradi, ma via via che aumentava il volume la sua temperatura diminuiva, diventava possibile l’esistenza delle prime particelle sub-atomiche e si definivano le forze che oggi regolano la materia a noi nota. Entro il primo secondo di questo processo, che se- gna anche l’inizio del tempo stesso, si erano formati i protoni e i neutroni (due tipi di par- ticelle stabili, ma a quell’epoca presenti in quantità ridotte) che cominciarono poi ad aggregarsi tra loro formando, assieme agli elettroni, nuove strutture: i nuclei atomici . Quando l’Universo raggiunse all’incirca i 2500 °C, questi nuclei, grazie ai loro protoni carichi positivamente, cominciarono ad at- trarre piccole particelle con carica negativa, gli elettroni , che erano in rapido movimento intorno a essi; si formarono così gli atomi. È a partire da questi atomi che si sono originate col passare del tempo tutte le stelle e i piane- ti del nostro Universo. Il Sistema solare si è formato da un ammasso di polvere e gas Oggi sappiamo che tutti gli elementi chi- mici che compongono la materia presente nell’Universo non sono distribuiti unifor- memente: gran parte di essi, infatti, è con- capitolo La vita sul nostro pianeta è comparsa circa 3,8-4 miliardi di anni fa, probabilmente in acque calde e poco profonde. Nelle risorse digitali Video • Le esplorazioni sulla superficie di Marte • L’ultima glaciazione

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2

1lezione

Origine ed evoluzione della vita

1 L’Universo è nato più di 13 miliardi di anni fa

Il nostro Universo ha avuto origine espandendosi da un singolo punto

Si ritiene che l’Universo si sia originato cir-ca 13,8 miliardi di anni fa. Secondo la teoria del Big Bang tutto ha avuto inizio da un singolo punto, all’interno del quale era con-tenuta la materia in uno stato infinitamente denso dove non esistevano atomi. Quando il singolo punto ha cominciato a espander-si, la temperatura dell’Universo in forma-zione era ancora di migliaia di miliardi di gradi, ma via via che aumentava il volume la sua temperatura diminuiva, diventava possibile l’esistenza delle prime particelle sub-atomiche e si definivano le forze che oggi regolano la materia a noi nota. Entro il primo secondo di questo processo, che se-gna anche l’inizio del tempo stesso, si erano formati i protoni e i neutroni (due tipi di par-ticelle stabili, ma a quell’epoca presenti in quantità ridotte) che cominciarono poi ad aggregarsi tra loro formando, assieme agli elettroni, nuove strutture: i nuclei atomici. Quando l’Universo raggiunse all’incirca i 2500 °C, questi nuclei, grazie ai loro protoni carichi positivamente, cominciarono ad at-trarre piccole particelle con carica negativa, gli elettroni, che erano in rapido movimento intorno a essi; si formarono così gli atomi. È a partire da questi atomi che si sono originate col passare del tempo tutte le stelle e i piane-ti del nostro Universo.

Il Sistema solare si è formato da un ammasso di polvere e gas

Oggi sappiamo che tutti gli elementi chi-mici che compongono la materia presente nell’Universo non sono distribuiti unifor-memente: gran parte di essi, infatti, è con-

capitolo

La vita sul nostro pianeta è comparsa circa 3,8-4 miliardi di anni fa, probabilmente in acque calde e poco profonde.

Nelle risorse digitali

Video• Le esplorazioni

sulla superficie di Marte

• L’ultima glaciazione

3capitolo 1 Origine ed evoluzione della vita

Le teorie attuali ritengono che i pianeti del Sistema solare si siano formati dalla polvere e dai gas che si trovavano intorno al Sole appena nato, attratti dalla forza di gravità esercitata dall’ammasso delle particelle che si andavano aggregando a mano a mano intorno alla grande stella.

Un’immagine notturna della Via Lattea, la galassia di cui fa parte anche il nostro Sole.

2

1

centrata in ammassi chiamati galassie, ciascuna formata da un numero enorme di stelle e da materia interstellare.

Esistono miliardi di galassie, le più gran-di delle quali possono contenere centinaia di miliardi di stelle. La galassia in cui si tro-va il nostro Sistema solare è chiamata Via

Lattea perché, di notte, parte di essa ci appa-re come una fascia dall’aspetto lattiginoso (figura 1). Questa galassia comprende diver-se decine di miliardi di stelle; una di esse, il Sole, occupa una posizione un po’ periferica su uno dei suoi bracci a spirale.

Secondo gli studiosi di cosmologia, il So-le è nato circa 5 miliardi di anni fa e, come le altre stelle, ha avuto origine da un ammasso di polvere e di gas (idrogeno ed elio) che ruo-tavano nello spazio tra le stelle più vecchie. L’enorme nube che sarebbe diventata il Sole si condensò gradualmente a mano a mano che gli atomi di idrogeno e di elio venivano attirati verso il centro della nube dalla for-za di gravità.

Più la nube diventava densa, più al suo in-terno gli atomi si muovevano rapidamente entrando sempre più in collisione tra loro; con l’aumento della temperatura le collisio-ni si fecero progressivamente più violente fino a che gli atomi di idrogeno comincia-rono a scontrarsi con tale forza da fondere i loro nuclei, formando nuovi atomi di elio e liberando energia nucleare. Queste reazioni termonucleari si svolgono tuttora all’inter-no del Sole e sono la fonte dell’energia che si irradia dalla sua turbolenta superficie.

Secondo le attuali teorie, i pianeti si for-marono da gas e polvere in movimento in-torno alla stella appena nata. All’inizio le particelle si ammassarono a caso, ma, una volta diventati più grossi, tali ammassi at-trassero per gravità altre particelle e diedero così origine ai pianeti. L’orbita più vicina al Sole fu percorsa da Mercurio, quella succes-siva da Venere, la terza dalla Terra, la quarta da Marte e così via fino a Urano e Nettuno, i pianeti più distanti (figura 2). Si calcola che

i pianeti, compresa la Terra, si siano formati circa 4,6 miliardi di anni fa.

Durante il periodo di formazione la tem-peratura interna della Terra era molto alta; in seguito il nostro pianeta cominciò a raf-freddarsi a partire dalla superficie, dando così luogo alla crosta esterna. Le rocce più antiche di questo strato, datate con il meto-do degli isotopi radioattivi, risultano avere un’età di circa 4,1 miliardi di anni. È proba-bile che, a quell’epoca, l’atmosfera fosse co-stituita principalmente da idrogeno ed elio, ma col passare del tempo questi elementi si dispersero nello spazio sia perché, essendo due gas molto leggeri, la forza di gravità ter-restre era troppo debole per riuscire a tratte-nerli sia per la temperatura elevata ancora presente sulla Terra, che forniva loro l’ener-gia sufficiente per allontanarsi nello spazio.

In seguito, a partire dai gas sprigionati dai vulcani si sarebbe formato un secondo ti-po di atmosfera, differente sia dall’atmosfera composta da idrogeno ed elio sia da quella at-tuale. Questa atmosfera era ancora ricca d’i-drogeno, un gas però non più libero nell’aria, ma combinato con altri elementi chimici a formare molecole come il metano (CH4). L’ac-qua che fuoriusciva dai geyser sotto forma di gas arricchì l’atmosfera di vapore acqueo; al diminuire della temperatura queste nubi di vapore si sarebbero condensate e avrebbero formato i primi oceani caldi e poco profondi che, col passare del tempo, si estesero fino a coprire gran parte del pianeta.

Rispondi

Nel seguente brano barra

i termini che ritieni errati.

1. L’evoluzione dell’atmosfera terrestre

Si ritiene che la prima atmosfera presente sulla Terra fosse composta soprattutto da ossigeno / idrogeno gassoso che, essendo troppo pesante / leggero, un po’ alla volta solidificò / scomparve lasciando il posto a un’atmosfera più varia e costituita in gran parte da vapore acqueo / ossigeno.

Barra l’affermazione che ritieni errata.

2. Dal Big Bang alla Terra

A Il Sole e i pianeti si sono formati più di 6 miliardi di anni fa.

B Le prime rocce solide del nostro pianeta risalgono a circa 4,1 miliardi di anni fa.

C I primi atomi si formarono quando l’Universo raggiunse i 2500 °C di temperatura.

D L’Universo ha avuto origine dal Big Bang avvenuto circa 13,8 miliardi di anni fa.Mercurio

Venere

Terra

Marte

Giove

Saturno

Urano

Nettuno

4

Tutti gli organismi viventi, sia animali sia vegetali, sono costituiti da cellule simili specializzate nello svolgimento delle diverse funzioni vitali.

Queste cellule, simili a cellule primitive che vivevano in acque calde, sono separate dall’acqua che le circonda dalla membrana cellulare.

3

4

2 Esistono diverse teorie sull’origine della vita

La cellula è l’unità di base di tutti gli esseri viventi

Con il progressivo raffreddamento della Ter-ra e la comparsa sul nostro pianeta di riserve d’acqua allo stato liquido si organizzarono e si svilupparono i primi sistemi viventi.

Se si volesse analizzare il grado di com-plessità della materia vivente, metteremmo al livello più basso di questa ipotetica scala gli atomi; al secondo posto avremmo le mo-

lecole, ossia l’aggregazione di due o più ato-mi, come per esempio la molecola dell’acqua (H2O = 2 atomi di idrogeno e 1 di ossigeno) o quella del diossido di carbonio (CO2 = 1 ato-mo di carbonio e 2 di ossigeno).

A un livello superiore di organizzazione, le molecole possono interagire tra loro per dare origine a strutture complesse e straor-dinariamente organizzate, le cellule (che studieremo più in dettaglio nei prossimi ca-pitoli). La cellula è considerata l’unità di ba-se di tutti gli esseri viventi; uno dei princi-pi fondamentali della biologia è proprio che tutti gli organismi sono formati da una o più cellule simili (figura 3).

Le caratteristiche generali che contrad-distinguono una cellula da altri sistemi chi-mici sono:

• l’esistenza di una membrana (figura 4) che separa la cellula dall’ambiente circostan-te e le permette di mantenere una propria identità chimica;

• la presenza di enzimi, complesse moleco-le che risultano essenziali per lo svolgi-mento delle reazioni chimiche da cui di-pende la vita;

• la capacità di duplicarsi e trasmettere l’in-formazione genetica, dando origine a nuove cellule;

• la possibilità di evolversi grazie a varia-zioni che compaiono nel corso delle ge-nerazioni.

Come sono nate queste caratteristiche? Qua-le di queste apparve per prima e rese possi-bile lo sviluppo delle altre? Nonostante il grande numero di ricerche condotte nel corso di quest’ultimo secolo, nessuna di es-se sembra aver fornito ancora risposte del tutto convincenti.

La prima ipotesi sulla comparsa della vita è attribuita a Oparin

La prima interessante ipotesi riguardo all’o-rigine della vita fu elaborata dal biochimico russo Aleksandr I. Oparin (1894-1980) e ven-ne ripresa dal genetista scozzese J.B. Halda-ne (1892-1964). Secondo questi scienziati, la comparsa della vita sulla Terra fu precedu-ta da una lunga serie di eventi che prende il nome di evoluzione chimica.

lezioneQuali sostanze, e in particolare quali gas, fossero presenti nell’atmosfera primitiva e nei mari durante questo periodo di tempo è, come abbiamo visto, ancora oggi oggetto di discussione. Si è, tuttavia, generalmente d’accordo su due punti fondamentali:

• l’ossigeno libero era quasi del tutto assen-te nell’atmosfera, mentre era ancora ab-bondante l’idrogeno;

• i quattro elementi (idrogeno, ossigeno, carbonio e azoto) che oggi costituiscono più del 95% dei tessuti degli organismi vi-venti erano in qualche modo già disponi-bili nell’atmosfera e nelle acque.

Oltre a questi materiali grezzi, sul nostro pianeta c’era moltissima energia che si ma-nifestava sotto forma di calore, scariche elet-triche, radioattività e radiazioni provenienti dal Sole. Oparin ipotizzò che, in tali condi-zioni, dai gas dell’atmosfera si sarebbero po-tute formare grandi quantità di quelle mole-cole che costituiscono il materiale chimico

5capitolo 1 Origine ed evoluzione della vita

5 Simulando le condizioni della Terra primitiva, l’esperimento di Miller riuscì a dimostrare che le molecole organiche potevano formarsi partendo dalla materia inorganica.

di base dei tessuti viventi, ossia le molecole

organiche; col tempo, esse si sarebbero rac-colte nei mari e nei laghi del pianeta, dando origine a un «brodo primitivo».

L’esperimento di Miller confermò l’ipotesi di Oparin

Oparin pubblicò le sue ipotesi nel 1922, ma la comunità scientifica non diede loro molto credito. A metà del secolo scorso, tuttavia, si ebbe la prima conferma sperimentale dell’i-potesi di Oparin grazie al lavoro di Stanley

Miller, dell’Università di Chicago.Nel suo esperimento (figura 5) Miller si-

mulò in laboratorio le condizioni ambien-tali probabili sulla Terra primitiva facendo circolare, fra un «oceano» posto in basso e una sovrastante «atmosfera», alcuni gas co-me l’idrogeno, il vapore acqueo, il metano e l’ammoniaca. L’«oceano» venne scaldato per far evaporare l’acqua e per spingere i gas dentro i tubi del dispositivo, attraverso cui si fecero passare scariche elettriche che si-mulavano l’azione dei fulmini. Quando i gas fluivano lungo la parte di tubo che era cir-condata da acqua di raffreddamento, il vapo-re acqueo si condensava e tornava allo stato liquido portando con sé qualsiasi molecola organica si fosse formata. Queste molecole si accumulavano in basso, nella porzione di tubo che si ricollegava con l’«oceano».

Dopo 24 ore, circa metà del carbonio pre-sente inizialmente nel metano era stato in-corporato in vari tipi di molecole organiche formando, in particolare, gli amminoacidi, che sono biomolecole fondamentali per gli organismi viventi. L’importanza dell’esperi-mento, perciò, fu quello di aver dimostrato in laboratorio in che modo abbiano potuto formarsi spontaneamente le molecole che sono alla base della vita.

Esperimenti di questo tipo hanno con-fermato che quasi tutte le fonti di energia presenti a quell’epoca (fulmini, radiazioni ultraviolette o ceneri vulcaniche bollenti) avrebbero potuto trasformare le molecole probabilmente presenti sulla superficie ter-restre in composti organici complessi. Con alcune variazioni delle condizioni speri-mentali e del miscuglio dei gas posti nei reci-pienti usati in laboratorio, sono stati prodotti quasi tutti i comuni amminoacidi e anche i componenti essenziali del DNA, la molecola che contiene le informazioni genetiche.

Questi esperimenti non hanno dimostrato che tali composti organici si sono sponta-neamente formati sulla Terra primitiva, ma soltanto che si sarebbero potuti formare. Le prove raccolte sono, tuttavia, molto numero-se e la maggior parte dei biochimici ritiene ora che, date le condizioni esistenti sulla gio-vane Terra, le reazioni chimiche che hanno dato origine agli amminoacidi e ad altre mo-lecole organiche fossero inevitabili.

Le prime cellule si sono formate nei mari

Una volta formatesi, col passare del tempo le molecole organiche sarebbero diventate via via più numerose nei mari e si sarebbero combinate dando luogo a piccoli sistemi. A questo punto, all’evoluzione chimica avrebbe fatto seguito una nuova fase del processo, che Oparin chiamò evoluzione prebiologica.

Questi sistemi avrebbero imparato a scambiare materia ed energia con l’ambiente

e a ottimizzare, al loro interno, l’efficienza di alcune reazioni. Nei sistemi chimici attuali, sia in laboratorio sia negli organismi viven-ti, le molecole e gli aggregati molecolari più stabili tendono a perdurare nel tempo, men-tre i meno stabili scompaiono. Analogamen-te, sulla Terra primitiva i sistemi costituiti da aggregati molecolari che avevano mag-gior stabilità chimica o maggior possibilità di riprodursi sarebbero, col trascorrere del tempo, aumentati di numero rispetto ad al-tri sistemi meno efficienti.

Questo meccanismo, al quale Oparin diede il nome di protoselezione naturale per le analogie con la selezione naturale di Dar-win (vedi capitolo 5), avrebbe favorito un aumento della complessità biochimica e, un po’ alla volta, avrebbe portato all’acqui-sizione di un semplice metabolismo, punto di partenza di tutto il mondo vivente. Opa-rin chiamò questi sistemi coacervati, imma-ginandoli come gocce di olio in sospensione nell’acqua in cui si erano formati.

Fonte di calore per

scaldare l’acqua e riprodurre così i

caldi «oceani» primitivi.

«Atmosfera» contenente gas,

come idrogeno, vapore acqueo, metano e

ammoniaca; scariche elettriche per si-

mulare l’azione dei fulmini.

Sistema di raffreddamen-

to per far tornare l’acqua allo stato

liquido mediante condensazio-

ne.

Beuta per racco-gliere l’acqua con-

tenente gli amminoa-cidi e le altre sostanze

formatesi durante il procedimento.

6

La vita potrebbe avere avuto un’origine extraterrestre

Per saperne di più

1

L’ipotesi dell’origine

extraterrestre della vita fu

formulata per la prima volta

nel 1906 dal fisico e chimico

svedese Svante Arrhenius

(1859-1927). Secondo

tale ipotesi i «germi» della

vita sarebbero arrivati dallo

spazio grazie a meteoriti

staccatisi da pianeti in cui la

vita era già presente.

Nel 1996 la NASA annunciò di aver trovato delle tracce di vita fossile nel meteorite ALH84001, proveniente da

Marte (figura A). La notizia era sconvolgente e il presidente degli Stati Uniti volle addirittura dare l’annuncio della scoperta in televisione. Non solo sembrava provata per la prima volta l’esistenza della vita extra-terrestre, ma era addirittura possibile che, come voleva la teoria della panspermia, la vita sulla Terra fosse arri-vata dal Pianeta Rosso.

Nonostante l’iniziale entusiasmo, oggi la maggior parte degli scienziati ritiene che le microscopiche strutture (figura B) presenti in ALH84001 non siano una prova sufficiente, visto che strutture molto simili formarsi anche in assenza di attività biologica.

Se non vere e proprie forme di vita, molti scienziati sono piuttosto convinti che dallo spazio interstellare potrebbe essere arrivata almeno una parte del materiale organico fon-damentale per i processi che diedero origine alla vita. Alcuni studi dimostrano infatti che le molecole organiche più semplici si sintetizzano spontaneamente e in grande quantità nello spazio, ed è quindi verosimile che esse si siano depositate sulla Terra primitiva, trasportate da comete e meteoriti. Una prova in favore di questa ipotesi è stata la scoperta di ammi-noacidi in un meteorite trovato nel 1969 in Australia (figura C).

Più recentemente, nel 2000, nel lago ghiac-ciato di Tagish in Canada è stato rinvenuto un meteorite proveniente dai confini del Sistema solare. Dall’esame di tale meteorite, i cui fram-menti vennero raccolti immediatamente dopo la sua caduta per evitare eventuali contamina-zioni con materiali terrestri, gli scienziati della NASA hanno accertato la presenza di microca-vità contenenti sostanze organiche.

Successive ricerche portarono lo scienzia-to statunitense Sidney W. Fox a formulare una teoria secondo cui, durante i primi cen-to milioni di anni della Terra, si sarebbero formate strutture, dette microsfere proteinoidi

(scheda 1, figura C), costituite da una mem-brana dentro la quale avvenivano reazioni chimiche analoghe a quelle delle cellule odierne. Queste strutture non erano cellule viventi, perché in esse mancava il patrimo-nio genetico. La formazione delle microsfe-re, però, suggerisce quali processi abbiano potuto dare origine a entità autosufficienti capaci di compiere reazioni chimiche per mantenere la loro integrità fisica e chimica.

Oggi la formazione di microsfere protei-noidi non potrebbe più avvenire perché, a parte la presenza di ossigeno nell’atmosfe-ra, tali microsfere verrebbero subito inge-rite dagli organismi che popolano il nostro pianeta e perché lo strato di ozono presente oggi nella stratosfera impedisce il passaggio di gran parte delle radiazioni ultraviolette.

In disaccordo, però, con le ipotesi sull’ori-gine della vita formulate da Oparin, alcuni scienziati come Fred Hoyle hanno ipotizzato che le forme di vita più semplici attualmente esistenti siano comunque troppo complesse per avere avuto origine sulla Terra e hanno quindi spostato la ricerca dell’origine della vita nello spazio interstellare (vedi scheda 1).

Rispondi

Barra il completamento che ritieni esatto.

1. Nell’atmosfera terrestre, nel corso del tempo

A l’idrogeno ha preso il posto dell’ossigeno gassoso.

B l’idrogeno è rimasto, ma solo combinato ad altri elementi.

C gli atomi d’idrogeno e d’ossigeno sono scomparsi essendo troppo leggeri.

D tra tutti i composti allo stato gassoso sono rimasti solo quelli contenenti ossigeno.

Barra i due completamenti che ritieni esatti.

2. Nel dispositivo utilizzato da Stanley Miller

A il pallone di vetro conteneva i gas che erano presenti nell’atmosfera primitiva.

B la beuta aveva il compito di raccogliere l’acqua di raffreddamento del circuito.

C la miscela di gas introdotti dal tubo chiuso da un rubinetto era di tipo esplosivo.

D il pallone di vetro scaldato sul fuoco conteneva anche una grande quantità di amminoacidi.

E gli elettrodi inseriti nel pallone di vetro servivano per generare scariche elettriche.

Diverse immagini della superficie di Marte inviateci dalle missioni spaziali sembrano confermare che attualmente su questo pianeta non ci siano tracce di vita.

Sul meteorite Murchison, caduto in Australia nel 1969, sono state trovate molecole organiche racchiuse in strutture simili a microsfere proteinoidi.

Una delle strutture osservate nel meteorite ALH84001 grazie al microscopio elettronico. Diversi scienziati pensarono che solo un microorganismo avrebbe potuto realizzarle, ma in realtà è più probabile che siano dovute a processi abiotici.

A C

B

7capitolo 1 Origine ed evoluzione della vita

3 Oggi esistono in natura diversi tipi di cellule

Tutte le cellule possiedono una membrana esterna e materiale ereditario

Qualunque sia stata l’origine delle cellule, tutte le prove a nostra disposizione indicano che non ci sono state interruzioni nel pro-cesso evolutivo che collega le prime sempli-ci cellule apparse sulla Terra con le cellule

lezioneattuali e con gli organismi da esse costituite.

Oggi esistono due differenti tipi di cellu-le, le cellule procariote e quelle eucariote, che hanno però in comune due caratteristi-che fondamentali (figura 6): una membrana esterna, detta membrana cellulare, che separa la cellula dall’ambiente esterno, e il materiale

genetico (l’informazione ereditaria), che di-rige le attività di una cellula e le consente di riprodursi, trasmettendo i suoi caratteri ereditari ai discendenti (come vedremo nel capitolo 4).

Un’importante differenza fra le cellu-le eucariote e quelle procariote risiede nel-le dimensioni: le cellule eucariote sono più grandi (10-100 μm) di quelle procariote (1-10 μm); di conseguenza, possono contene-re un gran numero di strutture circondate da membrana (organuli) che le cellule pro-cariote non hanno. La figura 7 riassume le principali differenze tra i due tipi di cellule.

In sintesi, se confrontiamo le cellule eu-cariote con quelle procariote, le prime risul-

tano evidentemente più complesse. Ciò no-nostante le numerose somiglianze nella loro composizione e nel funzionamento non cre-ano dubbi riguardo il grado di parentela che le unisce.

Le cellule eucariote si sono formate inglobando quelle procariote

Secondo le testimonianze fossili, i primi or-ganismi viventi erano cellule relativamente semplici, somiglianti ai procarioti attuali. I procarioti sono stati quindi l’unica forma di vita sul nostro pianeta prima della com-parsa degli eucarioti. Oggi i procarioti sono rappresentati soprattutto dai batteri, micro-scopici organismi unicellulari che vivono in ogni angolo della biosfera.

Molti biologi pensano che il passaggio dalla cellula procariote a quella eucariote sia stato un evento di enorme importanza biologica nel corso della storia del pianeta,

6 7Disegno e fotografia al microscopio (A) di una cellula procariote (un batterio) che si sta dividendo, e (B) di una cellula eucariote (un’ameba).

Principali differenze tra procarioti (A) ed eucarioti (B).

parete cellulareesterna

membrana cellulare

.

membranacellulare

vacuolo contrattile

nucleo

A

A

B

B

Cellula procariote

Cellula eucariote

cromosomi presente (uno solo)

presenti (più d’uno)

membrana cellulare

presente presente

membrana nucleare

assente presente

organuli circondati da membrana

assenti presenti

parete cellulare

presente presente (solo nelle piante e nei funghi)

Nelle cellule procariote il

materiale geneti-co è presente sotto forma di una grossa

molecola circolare chiamata cro-

mosoma.

Il cromosoma non è contenuto in

un nucleo, ma si trova in una particolare

zona della cellula detta nucle-

oide.

I cromosomi sono circondati da una

doppia membrana, la membrana nucleare, che

li separa dalle altre strutture cellulari e

forma un nucleo distinto.

Nelle cellule euca-riote il patrimonio

genetico è contenuto in un certo numero

di cromosomi lineari.

8

mitocondriocloroplasto

cellula ancestrale

secondo solo alla comparsa delle prime sem-plici forme di vita. Attualmente, vi sono di-verse teorie sul modo in cui questo passag-gio potrebbe essere avvenuto.

Una delle più accreditate è la teoria en-

dosimbiontica formulata alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso dalla geneti-sta Lynn Margulis; secondo questo model-lo, i mitocondri e i cloroplasti, due organuli estremamente importanti per le attuali cel-lule eucariote perché forniscono loro l’ener-gia necessaria a compiere tutte le funzioni vitali, deriverebbero da antichi procarioti che sono stati inglobati in cellule di dimen-sioni maggiori (figura 8).

Qui i procarioti avrebbero dato origine a un rapporto di simbiosi con uno scambio re-ciproco di favori: la cellula più grande avreb-be fornito molecole inorganiche e sali mine-rali, mentre i procarioti avrebbero fornito energia e, in taluni casi, anche molecole or-ganiche. La teoria viene detta «endosimbion-tica» appunto perché prevede una simbiosi, ossia un rapporto vantaggioso, tra due orga-nismi che vivono l’uno all’interno dell’altro.

L’ipotesi che mitocondri e cloroplasti possano discendere da procarioti che, in precedenza, avevano avuto una vita indi-pendente è confermata dal fatto, per esem-pio, che entrambi questi organuli sono gli unici che conservano ancora oggi una picco-la percentuale di materiale genetico al pro-prio interno (mentre tutto il resto è conte-nuto nel nucleo della cellula, come vedremo nel capitolo 3).

I processi che hanno portato alla com-parsa delle prime cellule eucariote sono sta-ti sicuramente molto lenti; si calcola, infatti, che siano occorsi circa 2 miliardi di anni per passare dalle prime cellule procariote (circa 3,5 miliardi di anni fa) alla comparsa di una cellula in possesso di un nucleo delimitato da una membrana (1,5 miliardi di anni fa).

Le cellule si differenziano per le diverse modalità con cui ottengono l’energia

Un’ulteriore caratteristica che distingue le cellule degli organismi moderni sono i due modi in cui soddisfano le loro esigenze energetiche. Gli organismi che dipendono da fonti esterne di molecole organiche per quanto riguarda sia l’energia sia le molecole che servono come materiale da costruzione

8 9Formazione di una cellula eucariote secondo la teoria endosimbiontica.

(A) I cianobatteri sono organismi fotosintetici; nella fotografia si possono osservare diversi esemplari di Nostoc, un cianobatterio filamentoso. (B) I batteri del genere Thiothrix formano colonie filamentose e sono chemiosintetici poiché ottengono energia dalle soluzioni sulfuree che si sprigionano dai fondali oceanici.

sono chiamati eterotrofi (dal greco etero-, che significa «altro», e trophé, «nutrirsi»). Tutti gli animali e i funghi, così come molti organismi unicellulari, sono eterotrofi.

Sono invece detti autotrofi gli organi-smi «che si nutrono da soli», cioè che non hanno bisogno di molecole organiche pro-venienti da fonti esterne per ricavare ener-gia o da usare come materiali da costruzio-ne; infatti, essi sono in grado di sintetizzare, ossia produrre, le proprie molecole organi-che ricche di energia a partire da sostanze inorganiche semplici (vedi scheda 2). Molti autotrofi, tra cui le piante e parecchi tipi di organismi unicellulari, sono fotosinteti-

ci poiché la loro fonte di energia per le rea-zioni di sintesi è il Sole (figura 9A). Alcuni semplici organismi unicellulari sono inve-ce chemiosintetici: essi catturano l’energia liberata da particolari reazioni inorganiche per attivare i loro processi vitali, tra cui la sintesi delle molecole organiche complesse (figura 9B).

La figura 10 mostra un esempio di un attua-le eucariote unicellulare fotosintetico, l’alga Chlamydomonas, che vive comunemente ne-gli stagni di acqua dolce, vicino alla super-ficie dell’acqua dove è maggiore l’intensità luminosa. Questi organismi, che sono pic-coli e si muovono molto rapidamente con un caratteristico movimento a scatti, appaiono verdi per la presenza di clorofilla all’interno del loro unico cloroplasto, di forma irregola-re, che occupa gran parte della cellula.

Rispondi

Barra il completamento che ritieni esatto.

1. A differenza delle cellule eucariote,

le cellule procariote

A hanno una membrana cellulare esterna.

B possiedono numerosi cromosomi.

C sono prive di una membrana nucleare.

D contengono pochi organuli cellulari.

Mitocondri e cloroplasti

all’interno di una cellula vegetale

(fotosinteti-ca).

A

B

Procariote da cui hanno avuto

origine i cloroplasti.

Procarioti da cui hanno avuto origine i

mitocondri.

9capitolo 1 Origine ed evoluzione della vita

parete cellulare

membrana cellulare

cloroplasto

amido

membrananucleare

nucleo

mitocondrio

base del flagello

10 Disegno (A) e fotografia al microscopio (B) di Chlamydomonas, un’alga unicellulare. Questo organismo eucariote contiene un nucleo avvolto da membrana, numerosi organuli e granuli di amido che costituiscono le riserve nutritive dell’organismo.

2. Secondo la teoria endosimbiontica

A una conferma della precedente autonomia delle cellule procariote da quelle eucariote è la presenza di DNA nei mitocondri.

B è probabile che una cellula vegetale abbia stabilito una simbiosi con una cellula animale.

C l’ingresso di batteri nelle cellule eucariote è avvenuto prima dell’evoluzione chimica ipotizzata da Oparin.

D la stretta relazione tra cloroplasti e cellule ospite è evidenziata dal fatto che tali particelle hanno le stesse dimensioni.

3. Gli organismi autotrofi

A dipendono da fonti esterne di molecole organiche per il loro fabbisogno energetico.

B sono in grado di assemblare molecole organiche ricche di energia a partire da composti inorganici.

C sono tutti organismi fotosintetici in grado di catturare l’energia del Sole.

D comprendono solo organismi unicellulari sia fotosintetici sia chemiosintetici.

Le prime cellule erano autotrofe?

Per saperne di più

2

Ricostruire la natura dei

primi viventi comparsi sul

pianeta non è semplice

e gli indizi sono a volte

contrastanti: oggi si

ritiene più probabile che

le prime cellule fossero

chemiosintetiche.

Nonostante la loro relativa semplicità, le prime cellule avevano anch’esse bisogno di un rifornimento continuo

di energia per vivere, crescere e riprodursi. Alcuni scienziati ipotizzano che queste cellule fossero eterotrofe; per nutrirsi esse avrebbero assimilato le molecole organiche presenti nel «brodo» primordiale, le stesse utilizzate dalle cellule per autoassemblarsi.

Secondo questa ipotesi, a mano a mano che le cellule primitive aumentarono di numero, cominciarono a esaurire le molecole complesse da cui dipendeva la loro esistenza e che avevano impiegato milioni di anni per accumularsi. Una volta ridotta la riserva di queste molecole, iniziò una forma di compe-tizione: le cellule che erano in grado di fare un uso efficiente delle limitate fonti di energia allora disponibili avevano più probabilità di sopravvivere e di riprodursi rispetto alle cellule prive di tali capacità. Col passare del tempo comparvero cellule che erano capaci di sintetizzare molecole organiche a partire da semplici sostanze inorganiche.

Le scoperte più recenti, tuttavia, sono più orientate verso l’ipotesi che le prime cellule potessero essere autotrofe, chemiosintetiche o fotosintetiche, piuttosto che eterotrofe. Innanzitutto, sono stati trovati parecchi gruppi differenti di batteri chemiosintetici che avreb-bero potuto essere molto adatti alle condizioni ambientali predominanti sul giovane pianeta. Alcuni di questi batteri, come i metanogeni (figura A), possono vivere soltanto in assenza di ossigeno, una condizione predominante sulla Terra primordiale, ma presente oggi solo in ambienti isolati come i fondali di melma

e fango delle paludi; altri, invece, sono stati trovati nelle profonde fosse oceaniche dove si raccolgono i gas sfuggiti dalle fessure della crosta terrestre. È stato accertato che questi batteri sono i rappresentanti sopravvissuti di gruppi molto antichi di organismi unicellulari.

In secondo luogo, in alcuni esperimenti che simulano le condizioni ambientali della Terra miliardi di anni fa sono state prodotte moleco-le organiche che sono i precursori chimici della clorofilla delle piante; quando queste molecole sono mescolate a molecole organiche semplici in un ambiente privo di ossigeno e illuminato, avvengono reazioni fotosintetiche primitive. Queste reazioni somigliano a quelle che si svolgono in alcuni tipi di batteri fotosintetici.

Attualmente i biologi non sono in grado di risolvere il problema se i primi microfossili fossero eterotrofi o autotrofi, ma è certo che, senza l’evoluzione degli autotrofi, la vita sulla Terra sarebbe presto cessata. In più di 3,5 miliardi di anni dall’origine della vita sulla Terra a oggi, gli autotrofi di maggiore successo (quelli cioè che hanno lasciato il maggior nu-mero di discendenti e si sono diversificati nella maggiore varietà di forme) sono stati quelli che hanno sviluppato un sistema per utilizzare direttamente l’energia del Sole nel processo di fotosintesi. Con la comparsa della fotosintesi il flusso di energia nella biosfera venne ad assumere la sua forma moderna dominante: energia radiante del Sole trasmessa, attra-verso gli autotrofi fotosintetici, a tutte le altre forme di vita.

I batteri metanogeni, che vedete nella fotografia al microscopio, sono in grado di produrre metano (CH4) e acqua (H2O) a partire da anidride carbonica (CO2) e idrogeno gassoso (H2).

A

A

B

10

11 (A) Disegno del 1665 con cui Hooke presentò il suo strumento; (B) immagine al microscopio ottico di un sezione di sughero: Hooke vide un’immagine simile a questa grazie al suo microscopio; (C) un ritratto di Robert Hooke.

parvero sulla Terra, così come sono correlati gli organismi che quelle cellule costituisco-no e i loro predecessori.

Secondo l’attuale formulazione, la teoria

cellulare stabilisce che:

1. tutti gli esseri viventi sono costituiti da una o più cellule;

2. le reazioni chimiche di un organismo vi-vente, compresi i meccanismi di libera-zione dell’energia e le reazioni di biosin-tesi, hanno luogo dentro le cellule;

3. le cellule si originano da altre cellule;4. le cellule contengono le informazioni ere-

ditarie degli organismi di cui fanno par-te, e queste informazioni vengono tra-smesse dalla cellula madre alla cellula figlia.

Grazie ai microscopi si è scoperto un mondo sconosciuto

Una conoscenza approfondita delle cellule procariote ed eucariote è stata resa possibile

solo grazie ai significativi progressi compiu-ti nel campo della microscopia. Senza l’aiu-to di uno strumento ottico, infatti, l’occhio umano è in grado di distinguere oggetti che sono distanti tra loro non meno di 1/10 di millimetro, o 100 micrometri (figura 12). Questa capacità è detta potere di risoluzione; esso corrisponde alla minima distanza che deve sussistere tra due oggetti perché questi possano essere percepiti come effettivamen-te separati.

Per esempio, se si osservano due linee di-stanti fra loro meno di 100 micrometri (μm), esse appariranno come un’unica spessa li-nea; analogamente, due puntini distanti me-no di 100 μm appaiono come un unico pun-tino sfumato. Al contrario, se si osservano a occhio nudo due linee (o due puntini) che distano 120 μm, esse appariranno distingui-bili l’una dall’altra.

La maggior parte delle cellule eucariote ha un diametro compreso tra i 10 e i 30 μm, circa 3-10 volte al di sotto del potere di riso-

4Gran parte delle cellule non è visibile a occhio nudo

Il microscopio ha permesso di formulare la teoria cellulare

Nel diciassettesimo secolo il matematico, fisico, astronomo e naturalista inglese Ro-

bert Hooke (1635-1703), usando un micro-scopio di sua invenzione (figura 11A), notò che il sughero e altri tessuti vegetali erano formati da piccole cavità separate da pareti (figura 11B); egli chiamò queste cavità «cel-le», cioè «piccole stanzette». Il termine «cel-lula» ha assunto il suo attuale significato, cioè «unità di base della materia vivente», soltanto dopo 150 anni dalla scoperta di Ho-oke (figura 11C).

Nel 1838 Matthias J. Schleiden (1804-1881), un botanico tedesco, giunse alla con-clusione che tutti i tessuti vegetali sono costituiti da insiemi organizzati di cellu-le. Nell’anno seguente lo zoologo Theodor Schwann (1810-1882) estese le osservazio-ni di Schleiden ai tessuti animali e propose una base cellulare comune a tutti gli orga-nismi viventi. Nel 1858 l’idea che tutti gli or-ganismi fossero formati da una o più cellu-le assunse un significato ancora più ampio, quando l’anatomopatologo Rudolf Virchow (1821-1902) affermò che le cellule possono essere originate solo da altre cellule pree-sistenti: «Quando una cellula esiste, ci de-ve essere stata una cellula preesistente, pro-prio come un animale si origina solo da un animale e una pianta si origina solo da una pianta».

L’idea di Virchow venne rafforzata e dif-fusa in seguito alle nuove concezioni emerse dalla teoria evoluzionistica di Darwin, pub-blicata nel 1859: esiste una stretta continuità tra le cellule attuali e le prime cellule che ap-

12 Unità di misura usate in microscopia.

lezione

B

C

A

centimetro 1 cm = 1/100 mmillimetro 1 mm = 1/1000 m = 1/10 cmmicrometro* 1 µm = 1/1000 000 m = 1/10000 cmnanometro* 1 nm = 1/1000 000 000 m = 1/10 000 000 cmangstrom** 1 Å = 1/10000 000 000 m = 1/100 000 000 cmoppure 1 m = 102 cm = 103 mm = 106 µm = 109 nm = 1010 Å*I micrometri sono detti talvolta micron (µ) e i nanometri millimicron (mµ), ma ciò è scorretto.**L’angstrom è un’unità di misura vietata dal Sistema Internazionale delle Unità di Misura.

11capitolo 1 Origine ed evoluzione della vita

luzione dell’occhio umano, e le cellule pro-cariote sono ancora più piccole. Per distin-guere le singole cellule, per non parlare della loro struttura interna, noi dobbiamo utiliz-zare strumenti che aumentino il potere di risoluzione. La maggior parte delle nostre conoscenze attuali sulla struttura cellula-re è basata sull’utilizzo di tre differenti tipi di microscopi, che ora vedremo in dettaglio.

I microscopi possono essere ottici o elettronici

Il migliore microscopio ottico (figura 13A) ha un potere di risoluzione di 0,2 μm, o 200 nanometri (nm), migliorando così la visione a occhio nudo di circa 500 volte. È pratica-mente impossibile costruire un microscopio ottico migliore di così; il fattore limitante è la lunghezza d’onda della luce: più corta è la lunghezza d’onda, maggiore è la risoluzio-ne. Le lunghezze d’onda più corte della luce visibile sono di circa 0,4 μm e ciò pone dei

limiti a un microscopio ottico per quanto riguarda la risoluzione.

È necessario fare attenzione a non con-fondere i termini «potere di risoluzione» e «ingrandimento», perché sono due concet-ti diversi. Se scattiamo una fotografia, attra-verso il migliore microscopio ottico, di due linee distanti meno di 0,2 μm (o 200 nm), potremo ingrandire questa fotografia infi-nitamente, ma le due linee continueranno a confondersi; analogamente, usando lenti più potenti, possiamo aumentare l’ingrandi-mento, ma questo non migliorerà il potere di risoluzione e continueremo a vedere sfocato.

Con il microscopio elettronico a tra-

smissione, o TEM, (figura 13B) il potere di risoluzione è stato aumentato di circa 1000 volte rispetto a quello del microsco-pio ottico. Questo è stato possibile usando un’«illuminazione» con lunghezza d’onda molto più corta: questo sistema di illumina-zione è costituito da fasci di elettroni invece che da raggi luminosi. Le aree del campio-

ne in esame che permettono la trasmissione di elettroni (cioè le regioni «trasparenti agli elettroni») appaiono chiare e le aree che di-sperdono elettroni (cioè le regioni «opache agli elettroni») appaiono scure. I microsco-pi elettronici a trasmissione, al momento attuale, offrono un potere di risoluzione di circa 0,2 nm, approssimativamente 500 000 volte maggiore di quello dell’occhio uma-no. Questa grandezza è circa due volte il dia-metro di un atomo di idrogeno. I microsco-pi elettronici producono solo immagini in bianco e nero che, tuttavia, vengono spesso colorate per migliorarne la visione.

Sebbene il potere di risoluzione del mi-

croscopio elettronico a scansione, o SEM, sia soltanto di 10 nm, questo strumento è diventato un mezzo d’indagine di straordi-nario valore per i biologi (figura 13C). Nel microscopio elettronico a scansione gli elet-troni non attraversano il campione, ma so-no riflessi dalla sua superficie, precedente-mente ricoperta da una sottilissima lamina

13

Confronto tra il microscopio ottico (A), il microscopio elettronico a trasmissione (B) e il microscopio elettronico a scansione (C). Le fotografie al SEM e al TEM sono in «falsi colori», ovvero nascono in bianco e nero e vengono ritoccate in un secondo tempo inserendo i colori.

campione

immaginesu schermo

SEM

lente magneticadi proiezione rivelatore

deflettoredel fascio

fascio dielettroni

lente magnetica del condensatore

fontedi elettroni

immagine su schermofluorescente

TEM

lente di proiezione

lentedell’obiettivo

campione

fascio dielettroni

lente delcondensatore

fontedi elettroni

fontedi luce

immagine vistadirettamente

lentedell’oculare

lentedell’obiettivo

campione

microscopio ottico

fascio di luce

lente delcondensatore

A B C

12

Competenza di cittadinanza:

Acquisire e interpretare l’informazione

Molti scienziati hanno contribuito a determinare la «teoria cellulare», la tesi secondo cui ogni organismo

vivente è formato da cellule e che tutte le cellule, anche di organismi molto diversi tra loro, come per esempio un’alga unicellulare e un elefante, sono molto simili tra loro.Completa la seguente tabella cercano infor-mazioni su testi e/o siti idonei. Poi rispondi alle seguenti domande.

A queste domande potete rispondere singolarmente.

1. Quale ritieni sia stato lo scienziato che maggiormente ha contribuito alla formu-lazione della teoria cellulare? Spiega le tue motivazioni.

2. Schleiden e Schwann hanno lavorato in-sieme; per quali aspetti si è differenziato il loro lavoro?

3. Nella tua ricerca di informazioni, hai uti-lizzato un’unica fonte? Se le fonti (come sarebbe auspicabile) sono state diverse, hai trovato contraddizioni nella formula-zione delle singole teorie?

Attiva le competenze

3

Scienziato Scoperta, teoria innovativa, motivo dell’eventuale premio Nobel

Robert Hooke

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Camillo Golgi

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Matthias Schleiden e Theodor Schwann

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Rudolf Virchow

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Hans Driesch

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Santiago Cajal

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

La teoria cellulare

Barra la risposta che ritieni esatta.

2. Quale di queste affermazioni

fa parte della teoria cellulare?

A Gli esseri viventi sono sempre costituiti da cellule eucariote.

B Tutte le cellule sono avvolte da una membrana esterna.

C Le cellule si originano da materiale organico.

D Le cellule contengono informazioni ereditarie che possono essere trasmesse alle cellule figlie.

Barra il completamento che ritieni esatto.

3. Se si volessero riprendere delle immagini

per un documentario in cui si vedano cromosomi

in movimento durante la divisione cellulare,

sarebbe necessario utilizzare

A il microscopio ottico per il suo elevato potere di risoluzione.

B il microscopio ottico perchŽ il preparato • vivo.

C il microscopio elettronico a trasmissione per il suo potere d’ingrandimento.

D il microscopio elettronico a scansione per osservare meglio la superficie dei cromosomi.

metallica, fornendo in questo modo un’im-magine del suo aspetto esterno. Questa im-magine viene amplificata e trasmessa a uno schermo televisivo che permette di ottene-re una visione del campione. Il microsco-pio elettronico a scansione permette rap-presentazioni tridimensionali di cellule e di strutture cellulari talmente vivide da compensare in parte il suo limitato potere di risoluzione. Nella figura 14 si possono os-servare le cellule sessuali maschili (sperma-tozoi) come apparirebbero se osservate con i tre diversi tipi di microscopi.

Rispondi

Barra il completamento che ritieni esatto.

1. Al microscopio ottico sarebbe

impossibile osservare

A il nucleo delle cellule.

B la presenza della parete batterica.

C la struttura della membrana cellulare.

D un globulo bianco.

14

Spermatozoi visti al microscopio ottico (A), al microscopio elettronico a trasmissione (B) e al microscopio elettronico a scansione (C).

20 µm

3 µm

7 µm

A

B

C

13capitolo 1 Origine ed evoluzione della vita

1 2 3

3

4 5

6

6

7 8 9

9

12

10 11 12

14 15 16 17 18 19

20 21 22 23 24 25 26

27 28 29 30

27

Vita acquatica

1 “giorno” = 150 milioni di anni

Prime forme di vita terrestri

Dinosauri, primi mammiferi

Primi uccelli,prime piante con i fiori

28 29 30

13

5 L’evoluzione della vita sulla Terra e le ere geologicheLa vita sulla Terra si è evoluta per tappe successive

Le prime cellule eucariote fecero la loro comparsa su questo pianeta circa 2 miliardi di anni dopo che si erano formate le cellule procariote; si ritiene che, in seguito, furono necessari ancora diverse centinaia di milio-

lezione

16

Riportare la storia della Terra, lunga 4,6 miliardi di anni, su una scala di tempo di 30 giorni ci dà un’idea della immensa durata dei processi produttivi.

La comparsa degli esseri viventi: scale di tempo

15 Synura uvella, un’alga coloniale. Ogni individuo è dotato di un filamento (il flagello) utile per muoversi nell’acqua di acquitrini e stagni in cui nuotano incessantemente, assomigliando a piccole sfere scure.

ni di anni perché da questi organismi uni-cellulari si formassero le prime semplici forme di vita pluricellulari.

Una forma intermedia tra gli organismi unicellulari e pluricellulari è rappresentata da singole cellule riunite in colonie; le colo-nie differiscono dagli organismi effettiva-mente pluricellulari in quanto le loro cellu-le conservano un alto grado di autonomia.

Nelle colonie le cellule sono spesso colle-gate tra loro da filamenti che conferiscono all’aggregato una tale unitarietà da farlo so-migliare a un singolo organismo (figura 15). Le cellule degli organismi pluricellulari, in-vece, differiscono dagli eucarioti unicellu-lari in quanto ogni tipo di cellula è specia-lizzato nel compiere una funzione specifica nella vita dell’organismo; ciò nonostante, ognuna rimane un’unità autosufficiente.

La figura 16 mostra quando dovrebbe-ro essere avvenuti gli eventi fondamenta-li della storia della Terra immaginando 4,6 miliardi di anni condensati in un solo mese.

Compaiono i primi organismi eucarioti come

questi para-meci.

All’inizio dell’era paleozoica le piante

cominciarono a coloniz-zare la terraferma, tra esse

vi era l’equiseto, tuttora presente nei boschi a

clima temperato e nelle foreste.

Si formano le prime cellule pro-

cariote, come questa colonia di cianobat-

teri fossili datati 2,5 miliardi di

anni.

Homo sapiens è

apparso negli ultimi 10 mi-

nuti del 30° giorno.

14

17

Tutti i viventi hanno in comune delle caratteristiche di base

Come abbiamo visto, le condizioni ambien-tali presenti sulla Terra e la disponibilità di acqua allo stato liquido consentirono l’evo-luzione di aggregati chimici via via più com-plessi che divennero le unità di base di tutte le forme di vita comparse su questo pianeta.

Attualmente tutta la vita esistente sulla Terra è presente in una fascia denominata biosfera, che comprende la superficie terre-stre e si estende per circa 8-10 km nello spa-zio e nelle profondità marine. Nella figura 17 illustriamo le caratteristiche comuni a tutti gli organismi che popolano la biosfera.

Notiamo come siano simili la cellu-la di una foglia di granturco (figura 18) e Chlamydomonas (vedi figura 10). Questa cel-lula utilizza la luce del Sole per le sue richie-ste energetiche; tuttavia, è parte di un or-ganismo pluricellulare e dipende da altre cellule per quanto riguarda il nutrimento, la protezione e altre necessità.

Le caratteristiche comuni a tutti gli esseri viventiTutti i viventi usano l’energia per crescere e riprodursi, si evolvono adattandosi all’ambiente e sono in grado di rispondere agli stimoli esterni.

Tutti gli organi-smi, dai più semplici

ai più complessi come gli elefanti e le piante

con fiori, generano discen-denti con patrimonio genetico uguale o molto simile a quello

dei genitori; in questo modo sono trasmesse alla ge-

nerazione successiva le caratteristiche della

propria specie.

Una volta nati, gli organismi animali

e vegetali attraversa-no varie fasi di crescita e

sviluppo per giungere a matura-zione e riprodursi a loro volta.

Questo processo richiede energia, che gli organismi

utilizzano trasforman-dola da una forma a

un’altra.

Tutti gli esseri viventi sono in

grado di rispondere agli stimoli, per esem-

pio i germogli si piegano per ricevere più luce e gli

animali combattono tra loro per delimitare il

proprio territorio.

Le testimonianze fossili a noi pervenute sono relativamente recenti

La comparsa delle prime cellule eucariote avvenne durante quel periodo della storia del nostro pianeta che chiamiamo Precam-

briano, cioè il lunghissimo lasso di tempo che va dall’origine della Terra fino a 543 milioni di anni fa. Il Precambriano viene suddiviso in tre eoni (figura 19): Adeano (prima di 3,8 miliardi di anni fa), Archeano (3,8 - 2,5 miliardi di anni fa) e Proterozoico (2,5 miliardi - 543 milioni di anni fa).

Le nostre conoscenze sull’evoluzione bio-logica che è avvenuta prima della fine del Proterozoico sono pressoché nulle per la quasi assenza di testimonianze fossili, un fatto ben comprensibile se si pensa ai nume-rosi sconvolgimenti geologici che, nel corso del tempo, hanno interessato la Terra.

Più recentemente, invece, la storia del nostro pianeta è abbastanza ricca di reperti, tanto da giustificare un’ulteriore suddivisio-

A

C

B

D

paretecellulare

membranacellulare

cloroplasto

mitocondrio

membrananucleare

nucleo

nucleolo

vacuolo

18 Microfotografia di una cellula vegetale prelevata da una foglia di granturco.

Gli esseri viventi sono adattati

all’ambiente in cui vivono, per esempio il

camaleonte è in grado di mimetizzarsi con l’ambiente circostante mentre il saguaro

riesce a vivere nei deserti perché le sue foglie si

sono trasformate in spine, riducendo la

perdita di acqua.

QUESTA è

15capitolo 1 Origine ed evoluzione della vita

ne dell’eone in cui stiamo vivendo (il Fane-rozoico) in tre unità temporali più brevi, le ere geologiche (Paleozoico, Mesozoico e Ce-nozoico). Le ere geologiche, a loro volta, sono state suddivise in periodi e i periodi, talvolta, in epoche. L’ultima epoca, ossia quella recen-te, è iniziata circa 10 000 anni fa ed è ricca non solo di fossili, ma anche di documenti storici di vario genere.

L’era più antica prende il nome di Paleozoico

Oggi sappiamo che all’inizio dell’era pale-

ozoica, cioè durante il Cambriano (da 543 a 490 milioni di anni fa), erano già presenti due diversi modelli di vita animale. Le più antiche testimonianze di vita animale pro-vengono da reperti fossili trovati in abbon-danza presso le Ediacaran Hills in Australia, mentre le altre più recenti sono state indivi-duate presso una formazione rocciosa det-ta Burgess Shale (figura 20), sulle montagne

del Canada occidentale; questo sito include i fossili di antenati di molti organismi at-tuali. In questa località sono stati rinvenuti reperti di animali sia a corpo molle sia dota-ti di conchiglia; l’eccellente stato di conser-vazione degli organismi rende questo sito davvero unico.

Proprio in quel periodo, circa 543 milio-ni di anni fa, si verificò uno degli eventi più importanti di tutta la storia della vita sulla Terra, la cosiddetta esplosione cambriana; con il termine «esplosione» si vuole indica-re la comparsa relativamente rapida di tut-te quelle specie di organismi che possiamo considerare dirette antenate delle odierne forme di vita. Da questo momento in poi le conoscenze che abbiamo a disposizione sul-la nostra storia passata diventano molto più precise grazie all’elevato numero di reperti fossili che ci sono pervenuti.

Gli altri cinque periodi dell’era paleozoi-ca si distinguono per i diversi eventi che so-no accaduti, tra cui il moltiplicarsi di forme

19

20

Le principali suddivisioni della storia della Terra.

(A) Un gruppo di ricercatori alla Burgess Shale nel Yoho National Park; (B) i trilobiti erano artropodi marini che si estinsero al termine dell’era paleozoica.

LA MAPPA Più RECENTE DEL

WHO, da RIDI-SEGNARE.

Eone

Ad

ea

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ea

no

Pre

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Paleozoico

Ca

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Mesozoico Cenozoico

Pro

tero

zoico

Fanerozoico

Era

Periodo

Epoca

Milioni di anni fa

Ne

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e1

,8

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1

5,3

23

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55

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65

1442062452903544094394905434500

A B

di vita marina e la comparsa sia di un gran numero di piante terrestri sia dei primi ver-tebrati; nell’era paleozoica ha avuto anche inizio la colonizzazione delle terre emerse da parte degli anfibi e sono comparsi i pri-mi rettili.

L’era paleozoica termina circa 245 mi-lioni di anni fa con un avvenimento cata-strofico ancora oggi sconosciuto agli scien-ziati. Un’ipotesi molto accreditata è quella che si sia verificato un drastico e improv-viso cambiamento climatico, dovuto forse a una glaciazione che ha abbassato il livel-lo degli oceani, o all’enorme esplosione di un vulcano in Siberia oppure alla caduta di un meteorite nel territorio dell’attuale Cina Meridionale. Di fatto, questo evento è considerato il più catastrofico di tutta la storia del nostro pianeta e ha dato luogo al-la cosiddetta «estinzione permiana», che ha provocato la scomparsa dell’85-90% del-le specie allora viventi, soprattutto di quel-le marine.

16

Il Mesozoico viene chiamato anche «era dei dinosauri»

L’era mesozoica, che va da 245 a 65 milio-ni di anni fa, viene suddivisa in tre periodi: Triassico, Giurassico e Cretaceo. Si ritiene che il clima nel corso di questa era geologica fosse piuttosto caldo e secco; le terre emerse erano popolate soprattutto da conifere e da rettili; in particolare, a partire dal Giurassico, dal vasto gruppo dei dinosauri che popolavano tutti gli ambienti terrestri e marini con una grande varietà di specie, di cui conosciamo solo una minima parte grazie ai fossili (figu-ra 21). Tuttavia cominciarono a diffondersi anche piccoli mammiferi e i primi uccelli.

Anche il Mesozoico termina con una ca-tastrofe planetaria, forse meno sconvolgen-te di quella che pose fine al Paleozoico, ma più conosciuta: questa catastrofe infatti pro-vocò l’estinzione di tutti i dinosauri a causa di una significativa modificazione climati-ca che portò a un forte abbassamento della temperatura globale.

Il Cenozoico è suddiviso in periodi ed epoche

L’era cenozoica è l’era geologica che com-prende gli ultimi 65 milioni di anni e che, per la grande quantità di reperti fossili e in-formazioni di tipo geologico che la riguar-dano, viene suddivisa non solo in periodi (Paleogene e Neogene), ma anche in epoche. Il Paleogene, infatti, comprende le epoche chiamate Paleocene, Eocene e Oligocene, men-tre fanno parte del Neogene le epoche Mio-

cene, Pliocene, Pleistocene e Olocene.Il clima nel Cenozoico è mediamente più

freddo rispetto all’era precedente e si creano nuovi ambienti naturali; in questi ambien-ti si assiste a un’enorme diffusione delle an-giosperme, ossia delle piante provviste di fiori, che diventeranno ben presto le piante dominanti. Tra gli animali compaiono nu-merose forme nuove di pesci, uccelli e inset-ti e si ha una notevole diversificazione della classe dei mammiferi.

Le attuali forme viventi di piante e ani-

mali sono solo una piccola parte delle specie che si sono originate durante il Cenozoico; molti mammiferi per esempio, soprattutto quelli di dimensioni maggiori, si sono infat-ti estinti nel corso di questa era geologica, probabilmente a causa delle varie glaciazio-ni che si sono succedute soprattutto durante il Pleistocene (figura 22).

Rispondi

Completa la seguente tabella mettendo

in relazione le ere geologiche (lettere)

con gli eventi indicati (numeri).

1. Le ere geologiche

A paleozoico 1 compaiono i primi uccelli

B mesozoico 2 gli anfibi colonizzano le terre emerse

C cenozoico 3 compaiono le piante provviste di fiori

A B C

Barra il simbolo V se ritieni l’affermazione vera,

il simbolo F se la ritieni falsa.

2. Ere, periodi ed epoche

a. Il periodo Carbonifero fa parte dell’era Mesozoica. V F

b. L’era Cenozoica è l’unica suddivisa in periodi ed epoche. V F

c. L’era Mesozoica è iniziata più di 200 milioni di anni fa. V F

d. L’era Paleozoica comprende i periodi Permiano e Cretaceo. V F

e. Nel Pleistocene erano già comparsi i primi ominidi. V F

Completa le definizioni indicando i viventi com-

parsi o scomparsi nelle diverse ere geologiche.

3. La storia della vita sulla Terra

a. Nel . . . . . . . . . . . . . . . compaiono i primi mammiferi.

b. Nel . . . . . . . . . . . . . . . le piante colonizzano le terre emerse.

c. Nel . . . . . . . . . . . . . . . si estinguono i dinosauri.

21 I dinosauri ebbero una grande diffusione durante il periodo Giurassico, ma si estinsero al termine dell’era mesozoica per una catastrofe planetaria che modificò drasticamente il clima.

22

Il mammut è uno dei simboli dell’estinzione del Pleistocene ed era diffuso in Europa, Asia e America settentrionale. Questo esemplare è esposto nell’Anthropological Institute dell’Università di Zurigo.

17capitolo 1 Origine ed evoluzione della vita

Four-billion-year-old chemistry in cells today

Parts of the primordial soup in which life arose have been maintained in our cells today according to scientists at the University of East Anglia and at the University of

Cambridge. Research published in the peer-reviewed Journal of

Biological Chemistry reveals how cells in plants, yeast and very likely also in animals still perform ancient reactions thought to have been responsible for the origin of life - some four billion years ago.

The primordial soup theory suggests that life began in a pond or ocean as a result of the combination of metals, gases from the atmosphere and some form of energy, such as a lightning strike, to make the building blocks of proteins that would then evolve into all species.

The new research shows how small pockets of a cell–known as mitochondria–working as energy suppliers for the cell, continue to perform similar reactions in our bodies today. These reactions involve iron, sulphur and electro-chemistry and are still important for functions such as respiration in animals and photosynthesis in plants.

Lead researcher Dr Janneke Balk, from UEA’s school of Biological Sciences and the John Innes Centre, said, “Cells confine certain bits of dangerous chemistry to specific compartments of the cell.

“For example, small pockets of a cell called mitochondria deal with electrochemistry and also with toxic sulphur metabolism. These are very ancient reactions thought to have been important for the origin of life, in as far as we know from current studies.

“Our research has shown that a toxic sulphur compound is being exported by a mitochondrial transport protein to other parts of the cell. We need sulphur for making iron-sulphur catalysts, again a very ancient chemical process.

“The work shows that parts of the primordial soup in which life arose has been maintained somehow in our cells today, and is in fact harnessed to maintain important biological reactions.”

Answer the following questions.

1. Are ancient reactions thought to have been responsible for the origin of life?

2. What functions do mitochondria perform today?

Adapted from “Four-billion-year-old chemistry in cells today”, news release published on 24 July, 2014, on www.sciencedaily.com

Lesson 1According to the theory of the Big Bang the Universe originated about 13.8 billion years ago by expanding from a point; when the Universe reached 2500°C the various chemical elements gave life to galaxies such as the Milky Way, which contains the Solar System. The Earth originated approximately 4.5 billion years ago, and after a period of slowly cooling a solid crust formed which life appeared on.

Lesson 2At the lowest level of degrees of complexity of matter are the atoms, then molecules, some of which make up the basic struc-tures of life, that is cells.According to Oparin the appearance of life was preceded by a long period when complex organic molecules were formed, a process called pre-biological evolution. Experiments by Miller have shown that organic molecules that are the basis of living systems could have been formed on primitive Earth.

Lesson 3Some theories try to explain the passage from prokaryotes, which have no nuclear membrane, to eukaryotes, which are bigger, more complex and have a nuclear membrane. According to the endosymbiotic theory of evolution symbiosis could have existed between these two types of cells that led to small pro-karyotic cells being engulfed by other larger cells.Cells can be differentiated by the way they obtain energy into heterotrophs (depending on external sources of organic mole-cules) and autotrophs (synthesing energetic organic molecules). The first autotrophs could have been chemosynthetic (use the energy liberated by specific inorganic reactions) or photosynthe-tic (using solar energy to carry out synthesis).

Lesson 4To visualise the cell and sub-cellular structures it is necessary to use microscopes. The three main types of microscope are the optical microscope, the transmission electron microscope and the scanning electron microscope.

Lesson 5Multicellular organisms evolved from unicellular ones; an inter-mediary form is represented by single cells gathered in colonies.Thanks to the testimony of fossils we can trace the appearance of the first eukaryotic cells to Precambrian, but for the history of more recent life we make reference to geological eras: in the Paleozoic there was the Cambrian explosion with an enor-mous development in the forms of life of our ancestors and the conquest of dry land by plants and amphibians; in the Mesozoic dinosaurs and birds appeared; in the Cenozoic the first flowering plants and mammals appeared.

Attività di fine capitolo

1 Biology in English

Summing up

18

Completa la seguente tabella mettendo

in relazione le modalità di elaborazione

dell’energia (lettere) con i rispettivi tipi

di organismi (numeri).

6. Gli organismi e la trasformazione

dell’energia

A autotrofi 1 dipendono da fonti esterne di molecole bio-logiche

B eterotrofi 2 per ottenere energia dipendono da altre reazioni chimiche

C fotosintetici 3 la loro fonte di energia per le reazioni di sintesi è il Sole

D chemiosintetici 4 sintetizzano molecole biologiche a partire da altre più semplici

A B C D

Barra i due completamenti che ritieni esatti.

7. Durante l’era mesozoica

A si ha un enorme diffusione delle angiosperme.

B i primi anfibi colonizzano le terre emerse.

C la vita è ancora limitata all’ambiente acquatico.

D incominciano a diffondersi i primi mammiferi.

E la vegetazione sulla terraferma è costituita soprattutto da conifere.

Rispondi alle seguenti domande.

8. Pensa e ricerca

a. Elenca le principali caratteristiche strutturali di un’alga unicellulare come Chlamydomonas mettendole a confronto con quelle di un organismo procariote e di una qualsiasi pianta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

b. In che modo gli organismi autotrofi ed eterotrofi si procurano l’energia necessaria ai loro processi vitali? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

c. Descrivi gli eventi che, a partire dal Big Bang, hanno portato alla formazione della materia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Completa le seguenti frasi.

1. Le caratteristiche della vita

a. Il cromosoma procariote si trova in una particolare zona della cellula detta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

b. Gli organismi costituiti da cellule che conservano un alto grado di autonomia funzionale sono chiamati . . . . . . . . . . . . . . . .

c. La distanza minima che deve sussistere tra due oggetti perché questi possano essere percepiti come effettivamente separati è detta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

d. Gli organismi che possono essere fotosintetici o chemiosintetici sono detti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Barra il completamento che ritieni esatto.

2. Secondo l’ipotesi di Oparin

A le prime cellule instaurarono un rapporto di simbiosi coi mitocondri e i cloroplasti.

B la comparsa della vita venne preceduta da un lungo processo denominato evoluzione chimica.

C la sintesi delle prime molecole complesse fu favorita dall’impatto di meteoriti sulla superficie terrestre.

D le prime cellule fecero la loro comparsa sulla Terra grazie anche alla totale assenza di fenomeni atmosferici quali le piogge e i temporali.

CONOSCENZE

3. Stanley Miller dimostrò nel suo

esperimento che era possibile, partendo da

semplici molecole non biologiche, ottenere

composti chimici che

A avevano una struttura amminoacidica.

B erano molecole organiche come, per esempio, il metano.

C potevano essere paragonati a cellule primitive.

D potevano essere definiti viventi.

Completa il seguente brano scegliendo

tra i termini elencati in fondo.

4. L’origine degli eucarioti

Secondo la teoria di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . le prime cellule . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . si sarebbero formate in seguito all’ingresso di cellule prive di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . all’interno di altre cellule di dimensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il vantaggio che queste ultime cellule trassero da tale ingresso fu, in base a questa teoria, soprattutto di carattere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

energetico, materiale genetico, procariote, Margulis,

minori, morfologico, nucleo, chemiosintetiche,

Arrhenius, membrana, riproduttivo, analoghe, Fox,

eucariote, maggiori

Di fianco a ogni affermazione scrivi la lettera A

se si riferisce all’era paleozoica, la lettera B se

si riferisce all’era cenozoica, la lettera C se si

riferisce a entrambe oppure la lettera D se non si

riferisce a nessuna delle due ere geologiche.

5. L’evoluzione sulla Terra

a. Sulla terraferma sono presenti anfibi e rettili. (. . . . . . )

b. Ha avuto termine con un’estinzione di massa. (. . . . . . )

c. È avvenuta un’enorme diffusione delle piante angiosperme. (. . . . . . )

d. Viene comunemente suddivisa in periodi ed epoche. (. . . . . . )

e. C’è stata la comparsa dei primi uccelli. (. . . . . . )

Esercizi

19capitolo 1 Origine ed evoluzione della vita

Choose the correct answer.

18. A bacterium that synthesized its own

complex compounds using energy released from

chemical reactions would be categorized as a

A heterotrophic prokaryote.

B chemosynthetic prokaryote.

C photosynthetic eukaryote.

D chemosynthetic eukaryote.

19. Which of these statements does not

describe the formation of the planets?

A They were formed by thermonuclear reaction.

B They were formed from gas and dust remaining after the sun was formed.

C They grew from initial random collections of particles.

D They were formed 4.6 billions years ago.

ABILITÀ

Barra le due risposte che ritieni esatte.

9. Quali di queste caratteristiche

contraddistinguono gli organismi procarioti?

A Il fatto di non essere veri organismi viventi.

B La relativa semplicità delle strutture presenti al loro interno.

C Il fatto di svolgere la fotosintesi clorofilliana e non la respirazione cellulare.

D Il fatto di non possedere acidi nucleici.

E L’assenza di un nucleo ben definito e distinguibile.

Di fianco a ogni affermazione scrivi la lettera

A se essa si riferisce a una cellula animale, la

lettera B se si riferisce a una cellula vegetale, la

lettera C se si riferisce a una cellula procariote

oppure la lettera D se non si riferisce a nessuno

di questi tipi di cellule.

10. Differenze tra cellule

a. Può essere autotrofa, anche se incapace di svolgere alcun processo fotosintetico. (. . . . . . )

b. Contiene speciali molecole che consentono loro di sintetizzare molecole organiche. (. . . . . . )

c. È eterotrofa e il suo materiale genetico è circondato da una membrana nucleare. (. . . . . . )

Nel seguente brano barra i termini

che ritieni errati.

11. La teoria dell’endosimbiosi

Secondo la teoria proposta dalla genetista Margulis, ossia la teoria cellulare / endosimbiontica, le cellule procariote / eucariote si sono originate in seguito al rapporto di simbiosi avvenuto tra cellule più grandi / piccole e primitive forme di vita dotate / prive di nucleo simili ai batteri. Alcune di queste forme di vita capaci di produrre energia / ossigeno si trasformarono all’interno delle altre cellule in cloroplasti / mitocondri in grado di utilizzare l’energia solare.

Barra il completamento che ritieni esatto.

12. Grazie ai suoi esperimenti, S.W. Fox

dimostrò che sulla Terra primitiva

A vi era una atmosfera ossidante che favoriva la sintesi delle biomolecole.

B potrebbero essersi formate autonomamente strutture proteiche in grado di crescere e riprodursi.

C le prime cellule contenevano un acido nucleico in grado di regolare un gran numero di reazioni chimiche.

D il carbonio presente nell’atmosfera poteva essere incorporato in molecole organiche quali gli amminoacidi.

13. Una caratteristica che non appartiene agli

organismi chemiosintetici è il fatto di essere

A costituiti da una sola cellula.

B autotrofi.

C dipendenti dall’assunzione di sostanze organiche esterne.

D in grado di produrre sostanze complesse.

Completa il seguente brano scegliendo

fra i termini elencati in fondo.

14. La fotosintesi in una cellula eucariote

La struttura di una cellula eucariote fotosintetica è piuttosto semplice: all’esterno è circondata da una . . . . . . . . . . . . . . . rigida, internamente alla quale si trova una . . . . . . . . . . . . . . . simile a quella delle cellule vegetali. La cellula sintetizza i propri composti organici grazie alla presenza di . . . . . . . . . . . . . . . e di altri . . . . . . . . . . . . . . . fotosintetici contenuti nel . . . . . . . . . . . . . . . .

clorofilla, nucleo, pigmenti, membrana, DNA,

ossigeno, citoplasma, cloroplasti, mitocondri,

dimensione, parete, ribosomi

Rispondi alle seguenti domande.

15. Pensa e ricerca

a. Quale attività è in grado di svolgere un organismo chemiosintetico? Che cosa ha in comune con un organismo fotosintetico e per quale aspetto si differenzia? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

b. Metti in evidenza le differenze tra un microscopio ottico e uno elettronico precisando quale dei due tipi di microscopio utilizzeresti per osservare: un batterio, un vacuolo, un lisosoma, una molecola d’acqua. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

c. Che cosa hanno in comune una cellula autotrofa e una cellula eterotrofa e che cosa, invece, le distingue? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Per impadronirti del lessico biologico di questo

capitolo, scrivi sul quaderno le definizioni dei

seguenti termini.

16. Le parole della Biologia

Big Bang – evoluzione chimica – teoria di Oparin – esperimento di Miller – evoluzione prebiologica – coacervati – cellule procariote – cellule eucariote – teoria endosimbiontica – respirazione cellulare – fotosintesi clorofilliana – organismo autotrofo – organismo eterotrofo – organismo chemiosinteti-co – colonia – era geologica – glaciazione

Costruisci una mappa concettuale ponendo al

centro un box con il termine cellula eucariote

e quindi collega tra loro i seguenti termini

(scrivendo sulle frecce di unione il motivo della

relazione).

17. La tua mappacellule procariote – membrana nucleare – organuli – autotrofe – eterotrofe – microscopio

Nelle risorse digitali:

• Riassunto di fine capitolo

• Mappa interattiva

• Audio in inglese

• Esercizi interattivi

186

10lezione

Da Mendel alla genetica moderna

1Lo studio della genetica è iniziato con Mendel

La trasmissione delle caratteristiche ereditarie segue regole ben precise

Lo studio scientifico dell’ereditarietà, noto

come genetica, ha avuto inizio nella prima

metà del secolo scorso con la riscoperta del

lavoro di Mendel. Prima di allora, la trasmis-

sione delle somiglianze fisiche tra genitori e

figli era considerata più che altro una curio-

sità che rispondeva a leggi del tutto scono-

sciute; ciò nonostante, le popolazioni uma-

ne avevano già imparato a coltivare piante e

allevare animali cercando di ottenere parti-

colari caratteristiche, come un tipo di lana

più folta e morbida nelle pecore o nelle capre

(figura 1) oppure una struttura corporea più

massiccia per i bovini da carne.

Ai tempi in cui Darwin stava ultiman-

do la sua opera fondamentale, L’Origine delle

Specie, in cui proponeva una concezione evo-

lutiva della natura, Gregor Johann Men-del (1822-1884) cominciava a studiare la tra-

smissione delle caratteristiche ereditarie,

chiedendosi se questo processo avesse rego-

le precise o fosse solo frutto della casualità.

Il suo lavoro, svolto nel giardino di un tran-

quillo monastero nella città austro-ungarica

di Brünn (oggi Brno, nella Repubblica Ceca),

segnò l’inizio della genetica moderna.

Intorno alla metà dell’Ottocento gli stu-

diosi già sapevano che entrambi i genitori

contribuiscono alla determinazione delle

caratteristiche della prole, e che questi con-

tributi vengono portati dai gameti, cioè dalla

cellula uovo femminile e dallo spermatozoo

maschile. Mendel ebbe però il grande merito

di dimostrare che i caratteri ereditari sono

trasmessi come unità distinte che passano

capitolo

Una prova del fatto che certi caratteri siano trasmessi da una generazione all’altra è la somiglianza tra genitori e figli.

1 minuto di biologia• La prima legge

di Mendel• La seconda legge

di Mendel• La terza legge

di Mendel

Nelle risorse digitali

187capitolo 10 Da Mendel alla genetica moderna

L’uomo ha imparato ad allevare gli animali in modo da ottenere determinate caratteristiche, come la capra d’Angora (A), da cui proviene l’omonima lana, e la capra da latte (B).

Gregor Mendel (indicato dalla freccia) in una fotografia del 1862.

da una generazione all’altra in modo indi-

pendente le une dalle altre.

Sebbene qualche decennio dopo le teorie

di Mendel si siano rivelate geniali e del tutto

innovative, esse non vennero capite dai suoi

contemporanei: i suoi esperimenti, infatti,

furono resi noti per la prima volta nel 1865

in occasione di una riunione della Società di

Storia Naturale di Brünn, ma gli studi con-

dotti da Mendel furono ignorati per ben 35

anni, periodo durante il quale egli si dedicò

ai suoi doveri di abate, non ricevendo, prima

della sua morte, alcun riconoscimento scien-

tifico per le sue scoperte.

Mendel fu il primo a utilizzare un corretto metodo scientifico

Per i suoi esperimenti sulla trasmissione

ereditaria, Mendel scelse la comune pianta

di pisello (figura 2). La scelta si rivelò otti-

ma: queste piante, infatti, erano facilmen-

1

2

B

A

Indicazioni Nazionali per le Scienze:

Effettuare connessioni logiche

Spesso si dice che uno scienziato

e il suo lavoro siano il prodotto di

un’epoca e, se non fosse mai esistito

quel dato scienziato, probabilmente altri

studiosi, svolgendo ricerche analoghe, sa-

rebbero arrivati alle stesse conclusioni. For-

se questo si è verificato per quanto riguarda

Darwin, il quale giunse a sviluppare la sua

teoria evolutiva quasi contemporaneamente

ad altri scienziati. Ritieni che sia stato così

anche per Mendel?

Fai una ricerca storica che riesca a col-

locare Mendel (1822-1884) all’interno del

mondo culturale e scientifico intorno alla

metà del 1800 (figura A), specificando quali

erano allora le conoscenze in ambito chimico

e fisico, biochimico, biologico e anche riguar-

do alla conoscenza delle patologie e delle

relative terapie.

Una volta eseguito il lavoro di ricerca,

pensi di poterti esprimere in merito all’origi-

nalità dell’operato di Mendel? Fu secondo te

un grande innovatore, oppure altri contem-

poranei avrebbero potuto giungere ai suoi

stessi risultati?

Il pensiero scientifico all’epoca di Mendel

Attiva le competenze

1(A) Una pianta di piselli con fiori bianchi e baccelli non ancora maturi; (B) dopo l’impollinazione, i fiori (viola in questa varietà) si trasformano nei baccelli (C), ossia i frutti che contengono i piselli (i semi).

A

B

A

C

188

te reperibili in commercio, erano facili da

coltivare e, se tenute nelle serre, crescevano

rapidamente producendo molte generazioni

nell’arco di un solo anno. Le differenti varie-

tà avevano caratteristiche nettamente diver-

se tra loro, che rimanevano inalterate da un

raccolto all’altro; le piante che conservavano

sempre gli stessi caratteri di generazione in

generazione, senza che comparissero carat-

teri nuovi, vennero chiamate da Mendel

linee pure.

La scelta delle piante di pisello risultò

vantaggiosa anche perché il fiore di questa

specie può autoimpollinarsi (figura 3A) ed

è quindi possibile effettuare in laboratorio

l’impollinazione incrociata e controllata tra

individui diversi (figura 3B) senza che i ri-

sultati vengano falsati da altre impollinazio-

ni spontanee.

Oltre che per i risultati da lui ottenu-

ti, l’importanza di Mendel è legata anche

all’introduzione, nella realizzazione dei suoi

esperimenti, di un nuovo metodo scienti-

Impostazione del lavoro sperimentale di Mendel.

3

fico. Infatti, per effettuare le fecondazioni

artificiali mediante l’incrocio di piante con

i caratteri da lui scelti, egli utilizzò un meto-

do di lavoro oggettivo e basato sulle seguen-

ti regole:

• utilizzò nei suoi esperimenti solo caratte-

ri ereditari netti (come il colore del fiore,

bianco o viola nel caso dei piselli) e scar-

tò le caratteristiche incerte (come la gran-

dezza o il colore delle foglie);

• studiò i discendenti non solo della prima

generazione, ma anche della seconda e

delle generazioni successive;

• per la prima volta nel campo della biolo-

gia, egli analizzò i dati ottenuti con logi-

ca matematica;

• descrisse i suoi esperimenti in modo così

chiaro che in seguito fu possibile per altri

scienziati ripeterli e verificarli.

Queste regole sono alla base del metodo

scientifico che anche oggi è usato dai ricer-

catori di tutto il mondo.

Con un pennello Mendel prelevò il

polline di un fiore e lo posò sull’ovario di

un altro fiore, fe-condandolo.

Per evitare che il fiore oggetto del

suo esperimento si autoimpollinasse, Men-del tagliò le antere prima

della loro maturazione evitando così la

formazione di polline.

A

B

Rispondi

Barra il completamento che ritieni esatto.

1. Le linee pure di Mendel erano individui che

A non erano in grado di autoimpollinarsi.

B presentavano caratteri identici di generazione in generazione.

C per impollinazione davano sempre discendenti con caratteristiche miste.

D venivano prodotti attraverso l’impollinazione incrociata.

Barra il completamento che ritieni errato.

2. Il metodo scientifico adottato

da Mendel prevedeva

A una descrizione degli esperimenti che consentisse di ripeterli e verificarli.

B l’analisi dei dati ottenuti anche prendendo in considerazione caratteristiche come la grandezza delle foglie.

C lo studio dei discendenti non solo della prima generazione, ma anche della seconda e delle generazioni successive.

D l’utilizzo esclusivamente di caratteri ereditari netti come il colore del fiore.

Dopo la fecondazione gli

zigoti si dividono per mitosi dando origine ai

semi, in questo caso i piselli, e l’ovario si

trasforma nel baccello.

L’estremità dell’ovario su cui si attaccano

i granuli di polline.

Le antere sono filamenti da cui

fuoriescono i granuli di polline, strutture

che portano i ga-meti maschili.

All’interno dell’ovario si

formano le cellule uovo, ossia i

gameti fem-minili.

189capitolo 10 Da Mendel alla genetica moderna

P

semi gialli(linea pura)

F1

F2

semi verdi(linea pura)

Caratteri delle piante di pisello considerati da Mendel nei suoi esperimenti.

Uno dei vari incroci eseguiti da Mendel nei suoi primi esperimenti sulle piante di pisello.

2La trasmissione dei caratteri segue regole precise

La prima legge di Mendel viene detta legge della dominanza

Mendel cominciò col prendere in considera-

zione 32 differenti tipi di piante di pisello; le

osservò per parecchi anni prima di iniziare

a incrociarle e a prendere nota del numero

4 5

Mendel trasferì il polline dalle antere di una pianta agli ovari

dei fiori di un’al-tra pianta.

Dall’incrocio fra le piante

della generazione P ottenne solo

piante con semi gialli.

Mendel lasciò che

le piante si autoimpolli-

nassero.

Dall’autoim-pollinazione

della generazione F1

ottenne piante con semi gialli e verdi

in proporzione 3:1.

e delle caratteristiche dei discendenti. In

seguito alle sue prime osservazioni, egli

selezionò sette caratteri che mostravano,

nelle diverse varietà di piante, due aspetti

nettamente differenti (figura 4). Una varie-

tà, per esempio, produceva sempre semi gial-

li, mentre un’altra produceva sempre semi

verdi; in una varietà i semi maturi avevano

un aspetto rugoso, mentre in un’altra varie-

tà erano lisci, una pianta aveva fiori bianchi

e in un’altra varietà erano viola, e così via.

Come abbiamo visto nella figura 3, Men-

del eseguì i suoi incroci sperimentali aspor-

tando da un fiore le antere contenenti il pol-

line e deponendolo sopra l’ovario di un altro

fiore, di varietà diversa, a cui le antere era-

no state tolte; sia i fiori così impollinati sia

quelli da cui erano state raccolte le antere

costituivano la generazione P (o parentale).

Mendel osservò con attenzione le caratte-

ristiche delle piante nate da questi incroci e

trovò che nella prima generazione F1, ossia

la prima generazione filiale, tutti i discen-

denti mostravano solamente uno dei due ca-

ratteri presenti nei genitori; l’altro carattere

era del tutto e inaspettatamente scomparso.

Per esempio, i semi prodotti in seguito all’in-

crocio tra linee pure di piante con semi gial-

li e linee pure di piante con semi verdi erano

tutti gialli (figura 5). Tutte le caratteristiche,

come i semi gialli, che comparivano nella

generazione F1 in seguito all’incrocio di due

linee pure diverse furono chiamate da Men-

del caratteri dominanti (vedi scheda 2).

Mendel si chiese che cosa succedeva a

quei caratteri, come il colore verde del se-

me, che erano presenti nella generazione P

e che scomparivano però nella F1. Egli lasciò

quindi che le piante della F1 si autoimpolli-

nassero, permise cioè ai gameti maschili di

fecondare quelli femminili dello stesso fio-

re, e vide che le caratteristiche sparite nella

prima generazione riapparivano nella secon-

da generazione F2. Questi caratteri, presenti

nella generazione parentale (P) e ricomparsi

poi nella F2, dovevano in qualche modo es-

lezione

CarattereGenerazione PDominante Recessivo

Colore del seme giallo verde

Forma del seme liscio rugoso

Colore del baccello verde giallo

Forma del baccello rigonfio grinzoso

Colore del fiore viola bianco

Ubicazione del fiore assiale terminale

Altezza del fusto alto nano

190

tipo di gameti

V

V

tipo di gameti

v

v

tipo di gameti

V

V

v

v

Segregazione (o separazione) degli alleli nella formazione dei gameti come conseguenza delle meiosi.

6

sere ancora presenti nella generazione F1,

sebbene non si fossero manifestati. Mendel

chiamò caratteri recessivi queste caratteri-

stiche che possono rimanere nascoste nella

generazione F1.

In base a questi primi esperimenti Men-

del dedusse la sua prima legge, ovvero la leg-ge della dominanza:

dall’incrocio tra due individui che differiscono

per una sola coppia di caratteri si ottengono tutti

individui che mostrano il carattere dominante.

Nella generazione F2 i caratteri dominanti e

recessivi comparivano sempre nel rapporto

di 3 : 1.

La seconda legge di Mendel è detta legge della segregazione

Come mai i caratteri recessivi scompariva-

no del tutto per poi riapparire di nuovo e

sempre in proporzioni costanti?

Fu nel rispondere a questo quesito che

Mendel dette il suo contributo più impor-

tante. Egli intuì infatti che la comparsa e

la scomparsa dei caratteri recessivi e le lo-

ro proporzioni costanti nella generazione

F2 potevano essere spiegate ipotizzando che

ogni «unità ereditaria» fosse costituita da

due componenti; ogni componente di ogni

coppia poteva manifestarsi oppure no, ma

era comunque presente e poteva essere tra-

smessa alla generazione successiva.

Nelle cellule le due componenti, che

Mendel chiamava fattori, di ogni unità ere-

ditaria si trovavano insieme, venivano ere-

ditate una dal padre e l’altra dalla madre, e

formavano una coppia di caratteri, ma si se-

paravano di nuovo quando le piante matu-

re F1 producevano i gameti formando due ti-

pi di cellule sessuali, ognuna con una sola

componente per ogni coppia.

La seconda legge di Mendel, o legge della segregazione (figura 6), afferma che:

ogni individuo ha coppie di fattori per ogni unità

ereditaria e i membri di una coppia segregano

(cioè si separano) nella formazione dei gameti.

L’aspetto più straordinario del lavoro di

Mendel fu che egli, pur non avendo idea di

cosa fossero i cromosomi e il DNA, riuscì a

comprendere prima di chiunque altro che

alla base del processo della riproduzione ses-

suata ci sono la meiosi e la fecondazione. Egli

intuì infatti l’esistenza delle cellule diploidi

Pianta eterozi-

gote per il colore del

fiore.

Pianta omozigote

dominante VV con fiori

viola.

Tutti i gameti maschili e fem-

minili contengono l’allele V per il

fiore viola.

Tutti i gameti

maschili e femminili conten-

gono l’allele v per il fiore

bianco.

Metà dei gameti ma-

schili e femmili contiene l’allele V

e metà con-tiene v.

Pianta omozigote

recessiva vv con fiori

bianchi.

Nonostante alcuni persistenti «miti»,

solo una manciata i caratteri nella

nostra specie sono determinati

da una semplice eredità di tipo dominante-

recessivo. Per esempio l’albinismo oculocu-

taneo, una condizione caratterizzata da una

mancanza di pigmenti nella pelle, nei peli e

nei capelli, è in genere dovuta a mutazioni

recessive (figura A).

Un carattere dominante è invece la

capacità di produrre l’enzima lattasi, grazie

al quale è digerito lo zucchero lattosio

contenuto nel latte, anche in età adul-

ta. Nella maggioranza delle popolazioni

umane l’espressione del gene della lattasi

diminuisce dopo lo svezzamento, ma nelle

ultime migliaia di anni in alcune popolazioni,

soprattutto del Nord Europa, si è affer-

mata una mutazione dominante chiamata

persistenza della lattasi, che mantiene elevata

la produzione dell’enzima per tutta la vita.

La diffusione di questa mutazione si deve

alla selezione naturale, poiché la capacità di

digerire facilmente il latte in età adulta si è

rivelata vantaggiosa nelle popolazioni che

già utilizzavano i suoi derivati fermentati (e

quindi con minor lattosio), come i formaggi.

Pochissimi caratteri umani seguono la legge della dominanza

Per saperne di pi•2

Un ragazzo afroamericano albino.

e dei cromosomi omologhi (vedi capitolo 4),

e si rese conto che i gameti (aploidi) devono

contenere la metà delle informazioni eredi-

tarie delle altre cellule del corpo; dopo la fe-

condazione, le due componenti di ciascuna

unità ereditaria, portate separatamente dai

due gameti, si uniscono nella formazione

dello zigote (diploide). Oggi queste unità

ereditarie vengono chiamate geni.

Nel genotipo gli alleli per un carattere possono essere uguali o diversi

Come si deduce dal lavoro di Mendel, posso-

no esistere forme diverse di uno stesso gene

alle quali corrisponde un determinato carat-

tere: per esempio, semi lisci o semi rugosi

oppure fiori bianchi o fiori viola; queste for-

me alternative sono definite alleli. Nei testi

di biologia gli alleli sono rappresentati con

delle lettere: per convenzione le lettere maiu-

scole sono utilizzate per i caratteri dominan-

Come vedremo, i caratteri

umani vengono ereditati in

maniera piuttosto complessa.

A

191capitolo 10 Da Mendel alla genetica moderna

La maggior parte dei gatti domestici è a pelo corto perché l’allele per questa caratteristica è dominante e quindi il fenotipo si manifesta anche negli eterozigoti.

La legge della segregazione (A) e il quadrato di Punnett che la illustra (B).

organismo determina il suo fenotipo; il fe-notipo è definito come l’insieme delle carat-

teristiche che si manifestano, anche se non

sempre sono facilmente osservabili, come il

colore di un fiore. Invece, l’assetto genetico

di un organismo per un particolare caratte-

re è chiamato genotipo; il genotipo viene

indicato dalla combinazione allelica indi-

cata da una coppia di lettere (per esempio,

VV, Vv oppure vv).

Con un semplice schema si possono determinare i genotipi dei discendenti

Come abbiamo visto, quando piante di pi-

sello omozigoti per i «fiori viola» sono in-

crociate con piante omozigoti per i «fiori

bianchi», nascono soltanto piante con fiori

viola; tuttavia, ogni pianta di questa genera-

zione F1 porta sia un allele per il colore viola

sia un allele per il bianco. Come saranno il

genotipo e il fenotipo della generazione F2

7 8

ti e quelle minuscole per i caratteri recessivi.

Perciò, per esempio, se il colore viola è domi-

nante sul bianco, l’allele per i fiori viola può

essere rappresentato dalla lettera V (maiu-

scolo) e l’allele per i fiori bianchi dalla stessa

lettera v, ma in minuscolo.

In ogni organismo si trova una delle se-

guenti tre combinazioni possibili dei due

alleli relativi a uno stesso carattere: se i

due alleli sono uguali (per esempio, VV o

vv), allora l’organismo è detto omozigote

per quel particolare carattere (omozigote

dominante oppure omozigote recessivo),

mentre, se i due alleli sono diversi tra loro

(per esempio, Vv), l’organismo è detto ete-rozigote per quel carattere. Un allele domi-

nante manifesta la sua particolare caratte-

ristica non solo nella condizione omozigote

dominante, ma anche in quella eterozigo-

te (figura 7); la caratteristica di un allele

recessivo, invece, può apparire solamente

nella forma omozigote.

Il modo in cui un gene si esprime in un

se la generazione F1 si autoimpollina? Uno

dei modi più semplici per prevedere i tipi di

discendenti che si possono produrre da tale

incrocio è quello di impostare uno schema

chiamato quadrato di Punnett (figura 8).

In questo caso, dal quadrato di Punnett si

può ricavare che il rapporto genotipico della

F2 è 1:2:1, cioè un individuo omozigote domi-

nante, due individui eterozigoti e un indivi-

duo omozigote recessivo. Invece, il rappor-

to fenotipico della F2 è 3:1, cioè tre individui

con fiori viola e un individuo con fiori bian-

chi. Il rapporto genotipico 1:2:1 si legge «uno

a due a uno», mentre il rapporto fenotipico

3:1 si legge «tre a uno».

La terza legge di Mendel è detta legge dell’assortimento indipendente

Proseguendo nei suoi studi, Mendel si chiese

se i caratteri vengano ereditati singolarmen-

te oppure se si influenzino tra loro; diede

gameti maschili F1

gameti femminili F1

vV

Vv

generazione P

F1

autoimpollinazione

tipo di gameti

× vvVV

omozigote dominantefiori viola

omozigote recessivofiori bianchi

il fenotipo di F1 è viola

v

vvv

V

V

Vv

VV Vv

F2

quadrato di Punnett

gameti femminili

gameti maschili

A

B

Il quadrato di Punnett de-

ve il suo nome al genetista britannico

Reginald Punnett (1875-1967).

192

x

gametimaschili F

1

gametifemminili F

1

gameti

LLGG llgg

LG lg

P

F1

F2

fenotipo

lisciogiallo

liscioverde

rugosogiallo

rugosoverde

LlGg

autofecondazione

LlGg

LlGg

lGLg

LlGG

Llgg

LLGg

llGg

LLGG

LLggLLGg

LlGG

LlggLlGg llGg llgg

LlGg llGG

LG

lg

lG

Lg

LG lg

fenotipo: 9 semi lisci gialli 3 semi lisci e verdi 3 semi rugosi e gialli1 seme rugoso e verde

anche i caratteri «giallo» e «verde» (416 gial-

li e 140 verdi). Ma i caratteri relativi al colore

e alla forma del seme, originariamente riu-

niti in una certa combinazione («giallo con

liscio» e «verde con rugoso»), si comportava-

no come se fossero completamente indipen-

denti l’uno dall’altro, dando origine a combi-

nazioni anche del tipo «giallo con rugoso» e

«verde con liscio» (figura 9).

In base ai risultati ottenuti da Mendel,

si può enunciare la sua terza legge, o legge dell’assortimento indipendente:

quando si formano i gameti, gli alleli di un gene

segregano (si separano) indipendentemente dagli

alleli di un altro gene.

Nella costruzione di un quadrato di Punnett

con due caratteri invece che uno, bisogna

inserire sul lato sinistro e sul lato alto del

quadrato le possibili combinazioni di game-

ti che l’incrocio può generare partendo dai

genotipi degli individui maschio, indicato

con ♂, e femmina ♀.

perciò inizio a una seconda fase di lavoro e

prese in considerazione gli incroci tra piante

di pisello che differivano per due caratteri:

per esempio, un genitore con semi lisci e

gialli e l’altro con semi rugosi e verdi. I ca-

ratteri «liscio» e «giallo» sono dominanti,

mentre «rugoso» e «verde» sono recessivi.

Incrociò queste due linee pure e osservò

che tutti i semi prodotti erano gialli e lisci.

Come per il suo primo esperimento, anche

questa volta Mendel, proseguendo con gli

incroci, fece in modo che i fiori delle piante

F1 si autoimpollinassero e ottenne nella F

2

un numero di semi pari a 556.

Nonostante fossero comparse nuove

combinazioni di caratteri, i risultati di que-

sto esperimento non erano in contraddi-

zione con i precedenti risultati ottenuti da

Mendel. Se i due caratteri, ossia il colore e

la forma del seme, venissero considerati in-

dipendentemente, «liscio» e «rugoso» com-

parirebbero ancora nello stesso rapporto fe-

notipico di 3:1 (423 lisci e 133 rugosi), come

La figura 10 mostra come, in un incrocio tra

due semi, uno con gli alleli tutti dominanti

per il colore e la forma dei semi e uno con gli

alleli tutti recessivi, i fenotipi della F2 sareb-

bero in media nel rapporto di 9:3:3:1, ossia:

• 9/16 semi con entrambi i caratteri domi-

nanti (giallo e liscio);

• 3/16 semi con il primo carattere dominan-

te e il secondo recessivo (giallo e rugoso);

• 3/16 semi con il primo carattere recessi-

vo e il secondo dominante (verde e liscio);

• 1/16 semi con entrambi i caratteri reces-

sivi (verde e rugoso).

Rispondi

Barra il completamento che ritieni esatto.

1. Un allele è dominante o recessivo se

A si manifesta con un’alta o bassa frequenza.

B è ereditato dal padre o dalla madre.

C è ereditato più o meno facilmente da uno dei due genitori.

D determina il fenotipo quando si trova in coppia con un allele diverso.

Legge dell’assortimento indipendente illustrata con il quadrato di Punnett.

Risultati ottenuti nella generazione F

2 in seguito all’autoimpollinazione

delle piante F1.

109

Numero dei semi Aspetto dei semi

315 lisci-gialli (entrambi dominanti)

32 rugosi-verdi (entrambi recessivi)

101 rugosi-gialli (il primo recessivo e il secondo dominante)

108 lisci-verdi (il primo dominante e il secondo recessivo)

L’autoimpollinazione di P. sativum: i granuli

di polline (in giallo) provenienti dagli organi

maschili, o stami, si sono posati sull’organo femminile (in verde)

detto pistillo; la fotografia al microscopio elettronico a

scansione è ingrandita circa 80 volte.

193capitolo 10 Da Mendel alla genetica moderna

2. Secondo la legge della segregazione,

incrociando un individuo omozigote dominante

con uno omozigote recessivo, nella generazione

F1 si otterrà

A una prole interamente omozigote dominante.

B solo individui con genotipo eterozigote.

C figli omozigoti ed eterozigoti nel rapporto fenotipico di 3:1.

D un figlio omozigote recessivo ogni 3 che presentano il carattere dominante.

3. Nel rapporto fenotipico 9:3:3:1 della F2

A i numeri 3 e 3 rappresentano gli individui con entrambi gli alleli eterozigoti.

B 3 individui hanno un carattere omozigote dominante e gli altri 3 hanno entrambi i caratteri recessivi.

C non è rappresentato il genotipo completamente omozigote recessivo.

D il numero 9 corrisponde a individui che presentano almeno un allele dominante per ognuno dei due caratteri.

Barra la risposta che ritieni esatta.

4. Quale dei seguenti casi rispecchia

fedelmente le leggi di Mendel?

A Nell’individuo eterozigote si manifesta il carattere dominante.

B Un allele non è pienamente dominante sull’altro.

C Un carattere è dato dall’espressione di un numero di alleli superiore a due.

D Il fenotipo non è l’espressione diretta del genotipo.

Barra le due risposte che ritieni esatte.

5. Quali risultati ottenne Mendel nella

generazione F1 ottenuta dall’incrocio tra una

pianta di pisello omozigote dominante per

il colore dei semi e una pianta omozigote

recessiva?

A Nel fenotipo appariva solo uno dei due diversi caratteri presenti nei genitori.

B Era presente un solo genotipo e un solo fenotipo.

C Il carattere che era diverso nei genitori compariva in forma intermedia.

D Era presente un solo fenotipo, ma i genotipi erano due, uno omozigote dominante e l’altro eterozigote.

E A causa della segregazione degli alleli, si presentava l’intera gamma di possibili genotipi.

3Diverse malattie umane hanno origini genetiche

Gran parte delle malattie autosomiche sono causate da un allele recessivo

Le leggi della genetica valgono per le piante

di pisello quanto, ovviamente, per gli altri

organismi, esseri umani compresi; vedia-

mo ora alcune delle più importanti malat-

tie umane che vengono ereditate in base

alle leggi mendeliane. Tutte le malattie recessive portate dagli autosomi (ossia, tutti

i cromosomi tranne quelli sessuali) si ma-

nifestano solo se sono presenti nel genotipo

in forma omozigote; gli individui eterozigo-

ti per il relativo gene sono di solito privi di

sintomi perché domina il carattere «sano»

su quello «malato».

Una delle malattie ereditarie più studia-

te che si comporta come un carattere men-

deliano recessivo è la fenilchetonuria, o

PKU. Agli individui affetti da PKU manca

un enzima indispensabile per la demolizio-

ne dell’amminoacido fenilalanina. Quando

questo enzima è assente o difettoso, la feni-

lalanina, accumulandosi nella circolazione

sanguigna, può provocare un danno alle cel-

lule del sistema nervoso degli embrioni e dei

neonati; la conseguenza è un grave ritardo

mentale. Circa 1 neonato su 10 000 è omozi-

gote per questo allele, che è più comune tra

gli individui originari dell’Europa setten-

trionale.

In Italia viene effettuato un test di rou-

tine per scoprire, tra i neonati, eventua-

li omozigoti PKU. Gli individui colpiti da

questa malattia genetica devono sottoporsi

a una dieta molto rigorosa a basso contenuto

di fenilalanina per tutta la vita; questa die-

ta permette agli omozigoti PKU di crescere

normalmente poiché prevede quantità di

fenilalanina sufficienti a soddisfare le esi-

lezionegenze alimentari, ma non tali da produrre

accumuli tossici. Oggi, molti cibi e bevande

con dolcificanti artificiali recano la scritta

«Contiene una fonte di fenilalanina» (figu-

ra 11), indicazione di vitale importanza per

le persone affette da questa malattia.

Di recente è stato allestito un test biochi-

mico che, abbinato all’amniocentesi, permet-

te di identificare la PKU già nel feto in via di

sviluppo. In questi casi la futura madre vie-

ne sottoposta a una dieta povera di fenilala-

nina per i restanti mesi di gravidanza; in tal

modo, è possibile proteggere il suo bambino

dagli effetti prenatali della PKU.

Un’altra malattia neurologica che si pre-

senta soltanto negli individui omozigoti per

un allele recessivo è la malattia di Tay-Sa-chs (figura 12 a pagina seguente). Come nel

caso della PKU, gli omozigoti per questa ma-

lattia appaiono normali alla nascita e per i

primi mesi di vita. Tuttavia, a circa otto me-

si compaiono i primi sintomi di una forte

apatia, cui segue, entro il primo anno di vi-

La fenilalanina è contenuta in molti dolcificanti alimentari.

11

«Contiene una fonte di

fenilalanina» è un’indicazione obbliga-toria nell’etichetta

se questa sostanza è presente

nell’alimento.

194

sanoportatoremalato

padre madre

portatore sano

portatore sano portatore sano

portatrice sana

sano malato

prole

ta, una forma di cecità. I bambini colpiti da

questa malattia riescono a sopravvivere in

genere solo per alcuni anni.

Nell’organismo di questi bambini non

viene prodotto l’enzima esosaminidasi A nor-

malmente presente nei lisosomi, per cui le

loro cellule cerebrali si riempiono di sostan-

ze lipidiche che non vengono demolite; di

conseguenza, le cellule si gonfiano e muo-

iono. Anche se oggi si conoscono quali sono

i geni difettosi che provocano la malattia,

non è ancora disponibile alcuna terapia per

la malattia di Tay-Sachs.

Mentre in una popolazione generica la

malattia di Tay-Sachs è piuttosto rara (1 su

300 000 nati), la sua incidenza è molto alta

(1 su 3600 nati) tra gli ebrei askenaziti, un’et-

nia originaria dell’Europa orientale e cen-

trale che oggi costituisce più del 90% della

popolazione ebraica americana.

Altre forme patologiche gravi causate

da un allele recessivo allo stato omozigote

sono l’anemia falciforme e l’anemia medi-

terranea. L’anemia falciforme è provocata

da globuli rossi a forma di falce contenen-

ti un’emoglobina anomala (figura 13); tale

anomalia è causata dalla sostituzione di un

amminoacido con un altro nella struttura

proteica primaria (vedi capitolo 2). La pre-

senza di questi globuli rossi di forma par-

ticolare rende difficoltosa la circolazione e

provoca occlusioni nei vasi sanguigni; di

conseguenza, si manifestano diversi sinto-

mi quali debolezza, anemia, dolori e febbre,

calo delle funzioni mentali, paralisi, reuma-

tismi, insufficienza renale e danni a diver-

si organi interni. Questo tipo di anemia ha

un’alta incidenza (1 su 400 nati) in partico-

lare tra gli individui afro-americani.

L’anemia mediterranea, nota anche co-

me talassemia, è molto diffusa tra i vari grup-

pi etnici presenti nell’area mediterranea; in

Italia, le zone di maggiore diffusione sono

il delta del Po, la Sardegna e la Sicilia, con

un’incidenza tra il 9 e il 14% della popolazio-

ne. L’anemia mediterranea è di solito asin-

A differenza di quelli sani che hanno una forma tondeggiante (A), i globuli a forma di falce hanno più difficoltà nel fluire dentro i piccolissimi capillari (B).

Possibile trasmissione della malattia di Tay-Sachs da due genitori sani.

1312

tomatica nella forma eterozigote, mentre si

manifesta nella forma omozigote recessiva;

i sintomi compaiono a circa 6 mesi di vita

con pallore, febbre, debolezza e ritardo nel-

lo sviluppo osseo. La talassemia è causata

da globuli rossi detti microcitici (molto pic-

coli) che non sono in grado di sintetizzare

emoglobina; per questo motivo, la malattia

è piuttosto grave e sono necessarie continue

trasfusioni.

La fibrosi cistica è una malattia geneti-

ca molto comune soprattutto tra gli indivi-

dui di discendenza europea (1 su 2000 nati)

e colpisce le cellule specializzate nella pro-

duzione di muco; a causa del quantitativo ec-

cessivo di muco denso che finisce nei pol-

moni, per le persone affette da fibrosi cistica

diventa più difficile respirare (figura 14).

L’unica terapia è quella di svuotare perio-

dicamente i polmoni in vari modi, per esem-

pio con specifiche pompe oppure tramite in-

terventi chirurgici o anche con l’aiuto della

fisioterapia.

Globuli rossi con emoglobina

normale.

Globuli rossi con emoglobina

mutata.

I malati di fibrosi cistica si sottopongono a fisioterapia per liberare dal muco in eccesso il sistema respiratorio.

14

A

B

195capitolo 10 Da Mendel alla genetica moderna

madre

cellule uovo

spermatozoi(due tipi)

figli sani figli malati

padre

sano

malato

cromosoma con allele difettoso

cromosomi con alleli normali

Se il padre è affetto da una malattia dominante, i figli hanno il 50% di probabilità di sviluppare la malattia.

Un uomo affetto da nanismo acondroplastico.

15

16Completa la tabella mettendo in corrispondenza

le malattie genetiche (lettere) con le rispettive

caratteristiche (numeri).

3. Malattie con origine genetica

A fibrosi cistica 1 si manifesta in genere in persone non più adole-scenti

B malattia di Tay-Sachs

2 obbliga il paziente a seguire una dieta molto rigorosa

C anemia falciforme

3 è molto diffusa tra gli ebrei originari dell’Europa orientale

D corea di Huntington

4 si deve a un errore nella sequenza amminoacidica dell’emoglobina

E fenilchetonuria

5 è causata da globuli rossi microcitici e poveri di emoglobina

F anemia mediterranea

6 colpisce le cellule spe-cializzate nella produzione di muco

A B C D E F

Alcune malattie autosomiche sono provocate da un allele dominante

Le malattie determinate da alleli dominanti

sono piuttosto rare sia perché, essendo in ge-

nere molto gravi, gli individui colpiti di solito

non sono in grado di riprodursi sia perché tali

malattie si manifestano anche negli indivi-

dui eterozigoti e sono perciò già osservabili

nei genitori (le malattie recessive, invece,

possono comparire nei figli omozigoti, ma

non manifestarsi nei genitori eterozigoti).

Forse la malattia ereditaria più nota pro-

vocata da un allele dominante è la corea di Huntington, una malattia progressiva che

porta alla distruzione delle cellule cerebrali

e alla morte dell’individuo dopo circa 10-20

anni dalla comparsa dei primi sintomi. Co-

me si può facilmente calcolare, ogni bambi-

no che abbia il padre affetto da questa ma-

lattia ha il 50% di probabilità di ereditarla

(figura 15). A differenza di altre malattie

provocate da alleli dominanti, i primi sin-

tomi compaiono generalmente dopo i 30 an-

ni di età, quando gran parte degli individui

malati ha già avuto figli e può avere, in que-

sto modo, già trasmesso la malattia.

Il nanismo acondroplastico è l’anoma-

lia più comune causata da un allele domi-

nante; gli individui affetti sono di statura

molto bassa, mostrano un viso caratterizza-

to da una fronte sporgente e da un appiatti-

mento del ponte nasale, e hanno arti parti-

colarmente corti che rendono disarmonico

il corpo (figura 16). Se un individuo è etero-

zigote per questo carattere, pur essendo fe-

notipicamente nano, con un partner sano

avrà il 50% di probabilità di avere figli di

statura normale.

Rispondi

Barra il completamento che ritieni esatto.

1. Negli individui affetti da PKU è assente

A il pigmento melanina.

B l’enzima che demolisce la fenilalanina.

C l’ormone della crescita.

D l’enzima esosaminidasi A.

Barra i due completamenti che ritieni esatti.

2. Tra le malattie genetiche che colpiscono il

sistema nervoso ci sono

A l’anemia mediterranea.

B la fenilchetonuria.

C la fibrosi cistica.

D la corea di Huntington.

E la malattia di Tay-Sachs.

F1

I fiori della generazione F2

presentano un fenotipo intermediotra i colori della generazione P.

Non ci sono alleli dominanti.

nella generazione F2

tornano ad apparire i fenotipi della generazione P

196

4 Il lavoro di Mendel ebbe importanti sviluppi

Esistono diverse eccezioni alle leggi di Mendel

Negli anni che seguirono la riscoperta, agli

inizi del Novecento, dell’opera di Mendel,

vennero condotte numerosissime ricerche

nel campo della genetica che confermarono

in linea di massima la validità del suo lavo-

ro; gli studi e i relativi risultati ottenuti in

questo periodo, durato alcuni decenni, co-

stituiscono il nucleo centrale della genetica classica, cioè di quel ramo della biologia che

si è occupata prevalentemente di ampliare i

concetti sviluppati dalle teorie mendeliane.

Molti di questi studi, in realtà, dimostra-

rono che i criteri che regolano l’ereditarietà

non sono sempre così semplici e lineari come

i risultati riportati da Mendel avevano indi-

cato. Questo fatto non è sorprendente perché,

come abbiamo visto, Mendel aveva accurata-

mente selezionato soltanto quei caratteri che

mostravano differenze ben definite. Col pas-

sare del tempo, e in seguito a studi sempre più

ampi e approfonditi, gli scienziati si accorsero

per esempio che la maggior parte dei caratte-

ri è sicuramente influenzata da più di un gene,

proprio come la maggior parte dei geni può

influenzare più di un carattere. Una delle sco-

perte forse più sorprendenti fu che i geni pos-

sono subire improvvisi cambiamenti.

Le mutazioni sono variazioni dell’assetto genetico

Nel 1902 un botanico olandese, Hugo de Vri-

es, rese noti i risultati dei suoi studi relativi

all’ereditarietà mendeliana. Lo scienziato

aveva usato come organismo modello la

pianta Oenothera lamarckiana, conosciuta an-

Hugo de Vries compì molti esperimenti sulla trasmissione ereditaria dei caratteri sulla rapunzia a grandi fiori (Oenothera lamarckiana).

ll genotipo delle bocche di leone rosa è eterozigote per il colore dei petali; in questi fiori compare la caratteristica intermedia tra rosso e bianco poiché entrambi i colori non sono dominanti.

17

18

La rapunzia ha grandi fiori e, a

differenza del pisello, sviluppa frequentemente nuovi caratteri non pre-

senti nel suo patrimonio genetico, che Hugo

de Vries chiamò mutazioni.

gameti della generazione P

R r

autofecondazione

P

F1

R

R

r

r

gameti femminili

della generazione F

1

gameti maschili

della generazione F

1

RR

rr

Rr

Rr

RR rr

Rr

lezioneche come rapunzia a grandi fiori (figura 17).

La trasmissione ereditaria in questa pianta

sembrava seguire un modello ordinato e pre-

vedibile come nella pianta di pisello; a volte,

però, appariva un carattere che non era pre-

sente in nessuno dei due genitori né in alcun

antenato di quella particolare pianta.

De Vries ipotizzò che tali caratteri compa-

rissero in seguito a improvvisi cambiamenti

avvenuti nei geni e che le caratteristiche de-

terminate da un gene modificato fossero poi

trasmesse come ogni altro carattere eredita-

rio. De Vries chiamò tali bruschi cambiamen-

ti ereditari mutazioni e gli organismi con ta-

li mutazioni furono detti mutanti.

Dominanza incompleta e codominanza sono interazioni tra alleli dello stesso gene

A mano a mano che gli studi di genetica pro-

cedevano, divenne sempre più chiaro che le

caratteristiche dominanti e recessive non

I fiori della generazione F1

presentano un fenotipo intermediotra i colori della generazione Pperché non c’è una dominanza.

F2

nella generazione F2

tornano ad apparire i fenotipi della generazione P.

197capitolo 10 Da Mendel alla genetica moderna

sono sempre così nette come i sette caratte-

ri studiati da Mendel nella pianta di pisello.

Talvolta, alcune caratteristiche sembrano

mescolarsi: per esempio, incrociando una

pianta di bocca di leone con fiori rossi con

un’altra con fiori bianchi si producono ete-

rozigoti di colore rosa (figura 18).

Questo fenomeno, in cui il fenotipo

dell’eterozigote mostra caratteristiche in-

termedie tra quelle dei due omozigoti, è det-

to dominanza incompleta ed è il risultato

degli effetti combinati di sostanze prodot-

te nel citoplasma su indicazione dei geni

(in questo caso, i pigmenti sintetizzati dal-

le cellule dei petali del fiore). Quando alle

bocche di leone eterozigoti di colore rosa si

lascia la possibilità di autofecondarsi, i ca-

ratteri «fiore rosso» e «fiore bianco» ricom-

paiono, mostrando che i relativi alleli, come

aveva affermato Mendel, rimangono distin-

ti e inalterati.

In altri casi, al contrario, gli alleli posso-

no manifestare il fenomeno della codomi-

nanza, con organismi eterozigoti che non

mostrano fenotipi intermedi, ma esprimo-

no contemporaneamente entrambi i fenoti-

pi omozigoti. Un esempio familiare è il san-

gue umano di gruppo AB, in cui i globuli

rossi presentano le caratteristiche relative

sia al gruppo sanguigno di tipo A sia a quel-

lo di tipo B.

Un gene può possedere più di due forme alleliche

Ogni organismo diploide può avere soltanto

due alleli per ogni gene, ma in una popola-

zione di organismi possono essere presenti

più di due forme alleliche relative a uno

stesso gene; si hanno perciò alleli multipli

che derivano da differenti mutazioni dello

stesso gene, come nel caso dei gruppi san-

guigni (vedi scheda 3). Un altro esempio di

alleli multipli riguarda il colore del mantel-

lo dei conigli che è determinato da un sin-

golo gene di cui si conoscono quattro alleli

differenti; ogni coniglio ha solo due alleli

per questo gene, ma le diverse combinazioni

di questi alleli producono mantelli di colori

diversi (figura 19).

L’eredità poligenica è un’interazione tra alleli di geni diversi

Oltre alle interazioni che avvengono tra alleli

dello stesso gene, ci sono anche le interazioni

tra alleli di geni differenti. Per esempio, alcu-

ni caratteri, come la statura, il colore della

pelle, il tasso metabolico e il comportamen-

to, sono il risultato complessivo degli effetti

combinati di molti geni; questo fenomeno è

detto eredità poligenica.

Se si riportano su un grafico le differen-

ze riscontrate in un certo numero di indivi-

dui per un carattere su cui agiscono più geni

(per esempio, l’altezza dell’uomo), si ottiene

una curva come quella rappresentata nella

figura 20.

Il colore del mantello dei conigli può assumere diverse colorazioni in base alla combinazione degli alleli.

19

A

B

C

D

Grafico che illustra le frequenze delle diverse stature umane.

20

statura (cm)

150 160 170 180 190 200

5

10

15

20

25

La curva a campana

rappresenta la percentuale del-

le stature più frequenti.

198

Il colore della pelle umana presenta una grande varietà, dalla carnagione chiara delle popolazioni nord-europee a quella scurissima dell’Africa centrale o di alcune regioni indiane.

21

Anche il colore della pelle umana, aspetto

fenotipico che prevede un’ampia gamma di

sfumature nelle diverse popolazioni (figura

21), è un carattere che subisce lo stesso tipo

di controllo da parte di molti geni.

Un singolo gene può avere effetti multipli

La maggior parte dei caratteri è influenzata

dall’interazione di diversi geni, ma può ac-

cadere che, viceversa, un singolo gene abbia

effetti multipli sul fenotipo di un organismo

influenzando un certo numero di caratteri-

stiche: questo fenomeno è detto pleiotropia.

Un esempio di pleiotropia è dato dall’a-

nemia falciforme, una malattia autosomica

recessiva che, come abbiamo visto nelle pa-

gine precedenti, è causata da un allele difet-

toso; non permettendo la corretta sintesi

dell’emoglobina, questo tipo di anemia pro-

voca molteplici cambiamenti nel fenotipo di

un individuo.

Dal punto di vista fenotipico i gruppi

sanguigni sono caratterizzati da

particolari polisaccaridi, chiamati

appunto A e B, che si trovano sulla superficie

dei globuli rossi e da specifici anticorpi presenti

nel plasma sanguigno.

Come si vede nella figura A, i globuli rossi di

un individuo possono avere sulla loro superfi-

cie un solo tipo di polisaccaride (gruppo san-

guigno A oppure B), possono averli entrambi

(gruppo sanguigno AB), oppure nessuno dei

due (gruppo 0). Conoscere il proprio gruppo

sanguigno è importante nel caso di una tra-

sfusione di sangue; infatti, se sui globuli rossi

del donatore è presente un tipo di polisac-

caride che non c’è sulla superficie dei globuli

rossi del ricevente, nel sangue di quest’ultimo

compaiono proteine, chiamate anticorpi,

che tenderanno ad attaccarsi ai globuli rossi

estranei dando origine ad ammassi in grado

di occludere i vasi sanguigni, provocando la

morte dell’organismo ricevente.

Gli alleli A e B sono codominanti, mentre

l’allele 0 è recessivo; così, gli individui con

gruppo sanguigno di tipo A hanno o due alleli

A oppure un allele A e uno 0, e i loro globuli

I gruppi sanguigni umani sono il risultato di alleli multipli

La nostra salute

3

Basi genetiche dei gruppi sanguigni umani.

Negli esseri umani i quattro principali gruppi

sanguigni (A, B, AB e 0), cioè i quattro fenotipi

per questo carattere, sono determinati da un

unico gene che ha tre alleli (A, B e 0).

rossi portano il polisaccaride A. Il plasma di

queste persone non contiene anticorpi contro

il polisaccaride A, dato che si trova sui propri

globuli rossi, ma possiede anticorpi contro il

polisaccaride B; perciò, essi possono ricevere

sangue di gruppo sia A sia 0. Gli individui con

sangue di tipo B hanno il polisaccaride B sui

loro globuli rossi e, nel plasma, anticorpi contro

il polisaccaride A; essi possono ricevere solo

sangue di tipo B o 0. Gli individui con sangue

di tipo AB hanno entrambi i polisaccaridi, ma

nessuno dei due anticorpi (A e B) e, pertan-

to, possono ricevere sangue da qualunque

donatore; viceversa, gli individui di gruppo 0

non hanno nessuno dei due polisaccaridi, ma

hanno sia anticorpi A sia anticorpi B; possono

ricevere sangue solo dal gruppo 0, ma possono

donare sangue a chiunque, indipendentemen-

te dal gruppo sanguigno, e vengono perciò

definiti donatori universali.

A

Fenotipo Genotipo

Polisaccaridi sulla superficie del globulo rosso

Anticorpi presenti nel plasma sanguigno

Reazione con anticorpo A B

Possibilità di trasfusionidonatore → ricevente

0 00 no no 0 → A/B/AB/0

A AA, 0A sì no A → A/AB

B BB, 0B no sì B → B/AB

AB AB sì sì AB→ AB

anticorpo A

anticorpo B

anticorpo A

anticorpo B

199capitolo 10 Da Mendel alla genetica moderna

Nel ranuncolo d’acqua, le foglie larghe e galleggianti differiscono molto sia per la forma sia per la fisiologia da quelle filiformi simili a radici che si sviluppano sott’acqua.

22

I caratteri genetici possono essere influenzati dall’ambiente

L’espressione di un gene è sempre il risulta-

to della sua interazione con l’ambiente. Per

fare un esempio banale, una pianticella può

avere la capacità genetica di diventare verde,

fiorire e fruttificare, ma non diventerà mai

verde se è tenuta al buio, e non produrrà fiori

e frutti se non saranno soddisfatte certe pre-

cise condizioni ambientali.

Un esempio molto significativo è dato

dal ranuncolo d’acqua (Ranunculus aquatilis)

che cresce negli stagni sommerso per metà:

sebbene tutte le foglie siano geneticamente

identiche, presentano importanti differen-

ze (figura 22).

Un fattore che spesso influisce sull’e-

spressione genica è la temperatura. Le pri-

mule che crescono in montagna ad alte quo-

te hanno i fiori rosa/rossi a temperatura

ambiente, ma hanno fiori bianchi se cresco-

no a temperature superiori ai 25 °C. I gatti

siamesi, così i conigli dell’Himalaya, hanno

normalmente le orecchie, le zampe anterio-

ri, il naso e la coda di colore scuro (figura 23);

tuttavia, quando questi animali si trovano a

vivere in luoghi in cui la temperatura supe-

ra i 35 °C, il mantello diventa completamen-

te bianco.

Rispondi

Barra il completamento che ritieni esatto.

1. Nel caso della dominanza incompleta,

dall’incrocio di due linee pure, una dominante e

una recessiva

A nella F1 si manifesta di solito il carattere dominante, ma a volte anche quello recessivo.

B i genotipi della F2 sono tutti eterozigoti, ma fenotipicamente diversi.

C avviene una mescolanza di caratteri che nelle generazioni successive non seguirˆ pi• le leggi di Mendel.

D nella F2 il rapporto genotipico di 1:2:1 • uguale al rapporto fenotipico.

2. Nel caso della codominanza

A non esiste l’individuo eterozigote.

B sono presenti alleli multipli, ma tutti in forma recessiva.

C nell’eterozigote vengono espressi entrambi gli alleli.

D la prole manifesta il carattere in forma intermedia in quanto entrambi gli alleli sono dominanti.

3. L’ereditˆ poligenica consiste

A nella contemporanea presenza di due alleli dominanti in un eterozigote.

B nella manifestazione nella F1 di un carattere intermedio a quello presente nei due genitori.

C nell’effetto sommativo di pi• geni che hanno effetto su un unico carattere.

D nel fatto che un allele produce diversi aspetti fenotipici diversi tra loro.

Di fianco alle seguenti frasi scrivi A se la carat-

teristica descritta • riferita al fenomeno della

pleiotropia, la lettera B se • riferita all’ereditˆ

poligenica, la lettera C se riferita a entrambi i

fenomeni oppure la lettera D se non • riferita a

nessuno dei due.

4. Alleli ed ereditarietˆ

a. L’allele che determina l’anemia falciforme • responsabile di diversi effetti fenotipici, quali problemi cardiaci, ai polmoni, alle articolazioni e ai reni. (. . . . . . )

b. Vi sono tre differenti alleli per determinare il gruppo sanguigno, ma ciascun individuo ne possiede solo due. (. . . . . . )

c. Il fenotipo dell’individuo eterozigote risulta differente da quello di entrambi i genitori omozigoti. (. . . . . . )

d. La variazione continua della statura di una popolazione pu˜ essere rappresentata con una curva a campana. (. . . . . . )

e. La fenilchetonuria • caratterizzata da alti livelli di fenilalanina nel sangue e provoca vari disturbi tra cui una ridotta pigmentazione della pelle. (. . . . . . )

23 Se un gatto siamese viene allevato a temperature più alte di quelle a cui è abituato, tende a diventare completamente bianco.

200

lezione

5Conferme successive delle teorie mendeliane

Esiste una relazione tra le teorie di Mendel e il processo di meiosi

Come abbiamo già visto in questo capitolo,

soltanto agli inizi del secolo scorso i biologi

furono in grado di capire l’importanza de-

gli esperimenti di Mendel. Nell’arco di poco

tempo i suoi studi vennero riscoperti da al-

cuni scienziati che, lavorando indipenden-

temente l’uno dall’altro, avevano conseguito

risultati simili.

Durante gli anni in cui gli esperimenti di

Mendel vennero ignorati furono fatti mol-

ti progressi nel campo della microscopia e,

quindi, anche nello studio della struttura

della cellula (la citologia). Fu in questo pe-

riodo, per esempio, che vennero individuati

i cromosomi, e furono osservati e annotati

per la prima volta i loro movimenti durante

la mitosi e la meiosi.

Nel 1902, il biologo statunitense Walter Sutton stava studiando la produzione di ga-

meti nei maschi di cavalletta quando, osser-

vando il processo meiotico, egli notò non so-

lo che i cromosomi risultavano appaiati sin

dall’inizio della prima divisione meiotica,

ma anche che i due cromosomi che costitu-

ivano ogni coppia si assomigliavano note-

volmente. Nelle cellule diploidi, come egli

osservò, i cromosomi sembravano essere a

coppie (figura 26).

Sutton fu colpito dal parallelismo fra

quanto stava osservando e la legge di Men-

del sulla segregazione. In seguito il signifi-

cato di questo parallelismo divenne chia-

ro: Sutton suppose che i cromosomi fossero

portatori dei geni e che i due alleli di ogni

gene si trovassero sui cromosomi omolo-

ghi; concluse quindi che gli alleli rimango-

no sempre indipendenti e vengono separati

nella meiosi I quando si separano i cromo-

somi omologhi (figura 27), spiegando la leg-

ge di Mendel della segregazione degli alleli.

La legge di Mendel sull’assortimento in-

dipendente afferma invece che gli alleli di

geni differenti segregano indipendentemen-

te gli uni dagli altri. Sutton ritenne che an-

che questa affermazione poteva essere giu-

sta a patto però, e questa è una condizione

importante, che i geni non fossero situati

sulla stessa coppia di cromosomi omologhi;

infatti, se due alleli diversi si trovano sullo

stesso cromosoma, durante la meiosi fini-

Osservando i cromosomi di una cellula umana durante la profase della mitosi o della meiosi, è facile osservare che sono presenti in coppie, simili per forma e dimensione.

Quando, al momento della fecondazione, i gameti si fondono, si possono formare nuove combinazioni di alleli.

Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta, è ancora oggi oggetto di numerosi studi sull’ereditarietà dei caratteri.

26

27 28

I cromosomi si appaiano all’inizio

della meiosi: nel riquadro si vede

un cariotipo umano.

201capitolo 10 Da Mendel alla genetica moderna

Uno degli incroci eseguiti da Morgan tra una femmina di moscerino eterozigote con occhi rossi e un maschio con occhi bianchi.

29

scono quasi sempre nello stesso gamete. In

base a queste considerazioni Sutton ritenne

che i fattori descritti da Mendel fossero por-

tati dai cromosomi.

Il sesso di un individuo è determinato da una coppia di cromosomi

Ancora alcuni anni dopo la pubblicazione

degli studi di Sutton e di altri citologi, gran

parte dei ricercatori continuava a pensare che

i geni non avessero una realtà fisica e che le

conclusioni a cui era giunto Sutton fossero

poco attinenti agli studi sull’ereditarietà. Il

contributo decisivo per risolvere la questione

della localizzazione dei geni sui cromosomi

venne dalle ricerche effettuate sul mosceri-

no della frutta Drosophila melanogaster (figura

28); grazie agli esperimenti di incrocio con-

dotti su questo piccolo insetto, venne dimo-

strato che certi caratteri ereditari dipendono

dal sesso, cioè che i loro geni sono presenti

senza alcun dubbio sui cromosomi sessuali.

Come aveva osservato Sutton, i cromo-

somi di un organismo diploide sono presen-

ti in coppie. In tutte le coppie, tranne una, i

cromosomi sono uguali nei maschi e nelle

femmine e, come abbiamo visto nel capito-

lo 4, sono detti autosomi; una coppia di cro-

mosomi, invece, differisce a seconda che si

trovi in un maschio o in una femmina: i cro-

mosomi di questa coppia sono detti cromo-somi sessuali.

Nei mammiferi, uomo compreso, e in

molti altri gruppi di animali è la femmina

ad avere i due cromosomi sessuali uguali;

essi sono detti cromosomi X e la femmina

risulta perciò XX. I cromosomi sessuali del

maschio sono costituiti da un cromosoma X

(uguale al cromosoma X della femmina) e da

un cromosoma chiamato Y; perciò i maschi

di queste specie sono indicati con XY.

Quando nei maschi XY si formano i ga-

meti per meiosi, metà degli spermatozoi

possiede un cromosoma X e metà un cromo-

soma Y; nelle femmine, invece, tutti i game-

ti prodotti contengono un cromosoma X. Il

sesso dei figli dipende, quindi, dal fatto che

il gamete femminile venga fecondato dal ga-

mete maschile portatore del cromosoma X

oppure da quello portatore del cromosoma

Y; è, perciò, il padre e non la madre a determi-

nare il sesso dei figli. Dal momento che vie-

ne prodotto un numero uguale di spermato-

zoi X e Y, per la Drosophila come per l’uomo

c’è in teoria la stessa probabilità di avere di-

scendenti maschi o femmine.

Morgan condusse i suoi studi sui geni portati dai cromosomi sessuali

I geni che si trovano sui cromosomi sessuali

portano informazioni ereditarie che, per le

caratteristiche dei cromosomi su cui si tro-

vano, non seguono in modo regolare le leggi

mendeliane; si parla in questo caso di carat-teri legati al sesso. Il primo scienziato che si

accorse dell’anomalia nella trasmissione di

questi caratteri fu T.H. Morgan, un biologo

statunitense che scelse di utilizzare per i suoi

esperimenti il moscerino della frutta Droso-

phila melanogaster come organismo modello;

tra i numerosi vantaggi dell’utilizzare questi

insetti ci sono non solo la facilità e la velocità

con cui si riproducono, ma anche il fatto che

Drosophila ha solo quattro paia di cromosomi.

Come primo obiettivo, i ricercatori del labo-

ratorio di Morgan tentarono di individuare

eventuali differenze genetiche presenti tra

i vari moscerini impiegati per gli esperi-

menti di incrocio, simili a quelli condotti

da Mendel sulle piante di pisello. Una del-

le più vistose e importanti caratteristiche

dei moscerini della frutta è il colore rosso

brillante degli occhi, un carattere legato ai

cromosomi sessuali e presente sul cromoso-

ma X. Un giorno comparve nella colonia un

mutante: un moscerino con occhi bianchi. Il

mutante, un maschio, fu incrociato con una

femmina con occhi rossi e tutta la genera-

zione F1 nacque con occhi di colore rosso:

il fenotipo occhi bianchi sembrava essere

recessivo. Se uno dei due alleli per il colore

degli occhi trasmette il colore bianco, le fem-

mine eterozigoti, avendo due cromosomi X,

hanno occhi rossi, mentre i maschi, avendo

un solo cromosoma X, manifestano sempre

il carattere recessivo. Un esempio di questa

ereditarietà è illustrato nella figura 29.

gametifemminili

x

femmina (F1)

occhi rossi

maschiodi partenza

occhi bianchi

gametimaschili YXb

XB

Xb

XB Xb XB Y

Xb Xb Xb Y

XB Xb Xb Y

testcross

Le fem-mine della

prima genera-zione filiale sono

eterozigoti con «occhi

rossi».

Il simbolo Xb

rappresenta l’allele per il carattere

dominante «occhi rossi», mentre il simbolo X

b è l’allele

per il carattere recessivo che corrisponde al

fenotipo «occhi bianchi».

I caratteri legati al sesso

cioè ai cromosomi sessuali, non seguono

le regole delle leggi mendeliane.

I maschi hanno invece gli occhi

bianchi perchè il loro unico cromosoma

X è portatore del carattere

recessivo.

202

Il cromosoma Y porta meno geni del cromosoma X

Tra i geni umani presenti sui cromosomi ses-

suali vi sono, per esempio, quelli che permet-

tono la produzione degli spermatozoi; essi si

trovano solo sul cromosoma Y e sono assenti

sul cromosoma X. Nella specie umana, tutta-

via, è più facile che si verifichi la situazione

opposta, ossia che alcuni geni siano presenti

sul cromosoma X e assenti sul cromosoma Y,

poiché quest’ultimo è molto più piccolo e por-

ta un numero decisamente inferiore di infor-

mazioni genetiche rispetto al cromosoma X.

L’ereditarietà dei caratteri recessivi lega-

ti al cromosoma X è un tipo di ereditarietà

particolarmente studiata in relazione ad al-

cune malattie dell’uomo come il daltonismo

e l’emofilia; a differenza della modalità di tra-

smissione dei caratteri valida per gli autoso-

mi, si può notare che:

• le femmine eterozigoti, dette portatri-

ci sane, sono fenotipicamente normali

in quanto la presenza nelle loro cellule

dell’allele sano dominante, posto su uno

dei due cromosomi X, permette al loro or-

ganismo di svolgere normalmente le pro-

prie funzioni;

• i maschi, invece, se portatori dell’allele

recessivo, manifestano nel fenotipo la

malattia perché, essendo il cromosoma

Y privo dell’allele per quel carattere, es-

si ne possiedono di fatto uno solo, ossia

l’allele malato;

• se un uomo sano e una donna eterozigote

hanno dei figli, le figlie hanno il 50% del-

le probabilità di essere sane e il 50% di es-

sere portatrici sane, mentre i figli hanno

il 50% delle probabilità di essere sani e il

50% di essere malati (figura 30);

• una donna può manifestare la malattia

solo se il suo genotipo è nella forma omo-

zigote recessiva (figura 31), condizione

possibile nel caso in cui essa erediti un

cromosoma X portatore del gene recessi-

vo sia dalla madre sia dal padre.

Esistono diverse malattie umane legate ai cromosomi sessuali

Un esempio di ereditarietà legata al sesso è

il daltonismo che consiste nell’incapacità

di percepire in modo corretto alcuni colori

fondamentali, come il rosso e il verde (figu-

ra 32). I geni che controllano la sensibilità

alla luce rossa e verde sono entrambi posti

sul cromosoma X. Se una persona di sesso

maschile ha un gene difettoso per il colore

verde, egli non potrà distinguere il colore

verde dal rosso; allo stesso modo, un difet-

to del gene per il rosso fa apparire il colore

rosso come verde. Le femmine eterozigoti

hanno una visione normale, mentre quel-

le omozigoti recessive per il daltonismo,

avendo entrambi i cromosomi X portatori

di alleli difettosi, non distinguono il rosso

dal verde.

Esistono diversi tipi di daltonismo: l’in-

capacità di percepire il colore verde è detta

deuteranopia, altre forme di daltonismo sono

la protanopia (per il colore rosso) e la tritano-

Albero genealogico in cui la madre è eterozigote per il daltonismo.

Quadrato di Punnett che illustra la modalità con cui una donna, ereditando sia dalla madre sia dal padre il cromosoma X difettoso, manifesta la malattia in quanto è omozigote per quel carattere.

30 31femmina normale

femmina portatrice sana

maschio daltonico

maschio normale

XYXX

XY XX XX XX XY

P

F1

F2

XX XX XY XY

XY

XX XX XY XY

Y

meiosi meiosi

cromosoma X normale

cromosoma Y

cromosoma X con l’allele del daltonismo

sano

daltonica

X X X Y

X Y

X Y

X X

X X

X

XX

daltonicoportatrice

Metà dei figli ma-schi è malata e metà

delle figlie femmi-ne è portatrice

sana.

I nipoti della coppia: le figlie

dell’uomo malato sono portatrici sane,

mentre i figli maschi sono sani in quanto

non ereditano il cromosoma X

del padre.

203capitolo 10 Da Mendel alla genetica moderna

padre sano

sano

portatore

malato

figliosano

figliasana

figliaportatrice

figliomalato

madre portatrice

X XX Y

pia (per il colore blu). Non sono ancora note

cure per le varie forme di daltonismo, ma è

stato elaborato un software apposito dedica-

to a chi soffre di daltonismo e le lenti corret-

tive per daltonici.

Un altro esempio è quello dell’emofilia,

che comprende un gruppo di malattie in cui

il sangue non coagula normalmente. La co-

agulazione del sangue avviene grazie a un

importante gruppo di proteine, di cui fa par-

te la proteina nota come Fattore VIII; se il ge-

ne per questa proteina è difettoso, vi posso-

no essere problemi di coagulazione. Per gli

individui affetti da questo tipo di emofilia,

anche le ferite più superficiali comporta-

no il rischio di morte per emorragia. Oggi

è disponibile un tipo di Fattore VIII, sinte-

tizzato grazie alle tecniche dell’ingegne-

ria genetica, che può essere somministrato

agli individui malati per ridurre gli effetti

negativi della malattia. Come per il dalto-

nismo, anche le femmine eterozigoti non

manifestano alcun problema, ma possono

trasmettere la malattia ai loro figli maschi.

Nelle figlie femmine eterozigoti l’allele sa-

no è dominante e quindi la coagulazione del

sangue è normale.

L’emofilia ha afflitto alcune famiglie re-

ali in Europa fin dal diciannovesimo secolo;

la regina Vittoria fu probabilmente la porta-

trice sana che diffuse l’emofilia tra le più im-

portanti dinastie reali europee (figura 33),

poichè molti dei suoi numerosi figli e nipoti

si imparentarono con altri nobili.

La distrofia muscolare di Duchenne

è una forma di distrofia che provoca gravi

problemi ai muscoli volontari; le persone

che ne sono affette vanno incontro a una de-

bolezza progressiva che infine le costringe

sulla sedia a rotelle (figura 34). Questo tipo

di distrofia, che ha un’incidenza di un bam-

bino malato su 3500 circa, colpisce i maschi

a partire dai 2/5 anni. La gravità della ma-

lattia è tale da impedire in genere ai maschi

malati di avere figli e quindi di trasmettere

alle figlie il cromosoma X con l’allele mala-

to. Nel dicembre del 1987 Louis Kunkel ha

identificato e isolato una proteina, chiama-

ta distrofina, che è difettosa (o addirittura

assente) nei pazienti colpiti da distrofia mu-

scolare. Alcune tra le ricerche più recenti

su questa malattia prevedono l’impianto di

cellule staminali capaci di promuovere la ri-

generazione del tessuto muscolare, mentre

altre si basano sulla sperimentazione di far-

maci contenenti una proteina, l’utrofina,

che potrebbe compensare in qualche modo

l’assenza di distrofina.

Dopo la sindrome di Down (vedi capitolo

4), la sindrome dell’X fragile è la causa più

frequente di ritardo mentale nei maschi. Il

nome deriva dall’osservazione del cariotipo:

in metafase mitotica, il cromosoma X sem-

bra avere un punto di rottura (zona fragile)

a livello del braccio lungo. La sindrome del-

l’X fragile colpisce in forma leggera anche

1/3 delle femmine eterozigoti e, perciò, è da

considerarsi una forma parzialmente domi-

nante (figura 35).

Trasmissione del cromosoma X fragile.

Dipinto che raffigura la famiglia della regina Vittoria d’Inghilterra; sua nipote Alessandra sposò Nicola, l’ultimo zar di Russia. Il principe Alexis, unico figlio maschio dello zar Nicola II e di Alessandra, ereditò l’emofilia dalla madre.

I daltonici, non distinguendo il rosso dal verde, non vedono il numero raffigurato in questo disegno.

35

33

32 La distrofia muscolare di Duchenne è una malattia prevalentemente maschile in quanto è assai difficile trovare femmine omozigoti.

34

204

Indicazioni Nazionali per le Scienze:

Acquisire e interpretare l’informazione

Cerca informazioni in merito alle nuove

possibili terapie sui malati di distrofia

di Duchenne, cerca di apprendere se

sono in corso ricerche e se vengono prodotti

nuovi farmaci.

Una volta acquisiti i dati richiesti, leggi

con attenzione il brano qui sotto riportato ed

esprimi un tuo parere in merito.

“I settori di ricerca delle grandi case far-

maceutiche mondiali hanno spesso poca

attenzione per le malattie rare, in quanto

gli ingenti fondi utilizzati per la ricerca non

verrebbero poi risarciti tramite l’acquisto di

un numero limitato di farmaci.”

Esprimi un commento su questa affer-

mazione, che sia personale, ma che tenga

anche conto delle tue ricerche in merito,

ponendoti sia dalla parte delle multinazio-

nali farmaceutiche sia dalla parte di una

famiglia con un figlio portatore di una pa-

tologia grave come la distrofia di Duchenne

(figura A).

Prospettive per i malati di distrofia di Duchenne

Attiva le competenze

4Il favismo, un’altra malattia legata al cro-

mosoma X, è dovuto alla carenza conge-

nita di un enzima normalmente presente

nei globuli rossi (il glucosio-6-fosfato de-

idrogenasi). Questa carenza in genere non

crea particolari problemi, ma, quando un

individuo affetto da questa malattia in-

gerisce determinati alimenti vegetali, in

particolare le fave fresche, oppure alcuni

farmaci, come o l’acido salicilico (aspirina,

figura 36), che inibiscono l’attività di que-

sto enzima, la sua carenza diventa così gra-

ve da generare un’improvvisa distruzione

dei globuli rossi (emolisi) e, quindi, la com-

parsa di una forte anemia e di conseguenze

anche più gravi.

Il favismo è particolarmente diffuso in

Africa (dove raggiunge una frequnza del

20% degli individui), ma anche nel bacino

del Mediterraneo dove, in alcune zone co-

me la Grecia o la Sardegna, può avere una

frequenza molto alta (fino al 30% degli in-

dividui).

Rispondi

Barra il completamento che ritieni esatto.

1. La teoria cromosomica dell’ereditarietà

conferma le leggi di Mendel in quanto

A i geni sono posti sui cromosomi, e questi durante la meiosi vanno incontro a segregazione.

B i caratteri recessivi che non si manifestano non sono portati dai cromosomi.

C verifica che all’interno di ogni coppia di alleli è sempre presente un carattere dominante e uno recessivo.

D dimostra che, se i genitori sono omozigoti, i figli della F1 sono tutti eterozigoti.

2. Un gene legato al cromosoma

X viene trasmesso dal padre a

A metà dei suoi figli maschi.

B metà delle sue figlie femmine.

C tutti i suoi figli maschi.

D tutte le sue figlie femmine.

3. Il sesso di un figlio può essere

determinato solo

A dal padre perché la madre fornisce minor patrimonio genetico.

B dal padre perché solo il maschio può fornire il cromosoma Y.

C dalla madre perché possiede due cromosomi X che può trasmettere tramite i gameti.

D dalla madre perché il cromosoma Y paterno contiene poche informazioni ereditarie.

4. Nella specie umana

A la femmina è caratterizzata dalla presenza di 23 autosomi e due cromosomi X.

B gli individui hanno sempre 46 cromosomi, più due cromosomi sessuali.

C il maschio è caratterizzato dalla presenza di 44 autosomi più due cromosomi sessuali X e Y.

D i maschi si differenziano geneticamente dalle femmine a causa di geni presenti sugli autosomi.

5. I caratteri legati al sesso come il colore

degli occhi dei moscerini della frutta

A risiedono sul cromosoma X, ma si manifestano prevalentemente nei maschi.

B vengono trasmessi da padre in figlio in quanto presenti solo sul cromosoma Y.

C sono caratteri recessivi che si manifestano solo negli omozigoti.

D si manifestano solo nelle femmine in quanto presenti sul cromosoma X.

Un bambino affetto da distrofia muscolare di Duchenne, una malattia grave e progressiva.

La carenza di un enzima, normalmente presente nei globuli rossi, è responsabile del favismo, una malattia legata al cromosoma X. Gli individui carenti di questo enzima devono necessariamente evitare l’assunzione di alcuni legumi come fave e piselli ed evitare l’assunzione di alcuni farmaci, tra cui l’acido salicilico contenuto nell’aspirina.

36

A

205capitolo 10 Da Mendel alla genetica moderna

Genetics: from peas to diseases

The great contribution of Gregor Mendel, the «father of

genetics», was to show that inheritance follows predictable

patterns. His experimental subject was very ordinary – the

common garden pea, Pisum sativum – and the traits he selected

for study were unremarkable: flower colour and seed shape, for

example. But the principles he discovered opened the flood-gates

for the studies that have come to be known as classical genetics.

Mendel’s discoveries have important modern applications in

medical genetics, the study of inherited disorders. One human

disorder that follows a Mendelian pattern of inheritance is

Huntington’s disease, which causes a progressive destruction

of brain cells, ending in death within 10 to 20 years of the onset

of symptoms. Most human hereditary disorders are evident at

birth or in early infancy, but Huntington’s usually first manifests

itself among individuals in their 30s and 40s. One consequence

of this late onset is that the individual often already has

children who, in turn, carry the same hidden trait. According to

Mendelian principles, any child of a man or woman who develops

Huntington’s has a fifty-fifty chance of also developing the

disorder.

Researches into Huntington’s disease have led geneticists

to the shores of Lake Maracaibo in Venezuela. Among the

inhabitants of a remote village, reachable only by small fishing

boats, are more than 100 individuals with Huntington’s and

another 1000 who are at high risk for the disorder. All are

descendants of a single woman, Maria Concepción Soto: she lived

in the early nineteenth century and is thought to have inherited

the disorder from a German sailor who was her father.

In recent years, geneticists have compiled a pedigree (a

detailed chart) tracing the family relationships and incidence of

Huntington’s among almost 10 000 individuals. This pedigree has

made it possible to predict which children in the population are

at a high risk of eventually developing the disease.

Answer the following questions.1. Why are Mendel and his discoveries so important for genetics?

2. At what age can Huntington’s disease manifest itself?

Adapted from Helena Curtis & N. Sue Barnes, Invitation to Biology Fifth Edition, Worth Publishers.

Lesson 1The father of genetics was Mendel, who introduced a new

scientific method. He studied the descendents of successive

generations using only clear-cut hereditary characteristics and

for the first time in biology analysed the data with mathematical

logic and described the procedures in such a way that they could

be repeated.

Lesson 2Mendel cross-bred plants by removing the anthers with pollen

from a flower and placing them on the ovary of another flower

from which the anthers had been removed. The pollinated flower

and the flower from which the anthers were taken are genera-tion P (parent).

In the first offspring generation (F1) all the descendents display

only one of the two parents’ characters (dominant character).

With self-pollination of F1 the parental characteristics reappear

in the second generation F2 (recessive character).

The Law of Segregation states that individuals have pairs of

factors for each hereditary unit (gene), which separate during

gamete formation.

There are different forms of the same character (alleles): if both

alleles are the same the organism is homozygous, if they are

different it is heterozygous.

The way a gene is expressed is the phenotype, while the genetic

makeup is the genotype.

According to the Law of Independent Assortment during gam-

ete formation the alleles of the genes segregate independently.

Lesson 3All recessive diseases carried by autosomes are only manifest-

ed in homozygotes.

One disease of this type is sickle-cell anaemia, caused by red

blood cells which are sickle-shaped, making circulation difficult.

A disease due to a dominant allele is Huntington’s chorea, which

causes death 10-20 years after it appears.

Lesson 4Mutations are sudden hereditary changes, which occur in mu-tant organisms.

In incomplete dominance the phenotypic character of the hete-

rozygote is intermediate to the phenotypes of the homozygotes.

Co-dominance occurs in heterozygotes which simultaneously

express the homozygous phenotypes.

Alleles of different genes can interact to effect one phenotypic

character (polygenic inheritance), while a single gene can effect

multiple phenotypic traits (pleiotropy)

Lesson 5The chromosomes of a diploid organism are present in pairs.

Chromosomes are the same in males and females (autosomes)

in all pairs except one; the pair of sex chromosomes are different

depending on gender and carry information which does not

follow Mendelian laws (sex-linked characters). One example is

colour blindness: the genes that control sensitivity to colour

are on the X chromosome: if a male has one defective gene he is

colour blind, while only recessive homozygous females are.

Attività di fine capitolo

Biology in English

Summing up

10

206

Completa le seguenti frasi.

6. La trasmissione dei caratteri

a. L’assetto genetico di un individuo rappresenta il suo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

b. I bruschi cambiamenti che avvengono nei geni e che vengono trasmessi alla prole sono detti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

c. È definito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . il carattere che non si manifesta nel fenotipo dell’eterozigote.

d. Le forme diverse di uno stesso gene sono dette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

e. Se per un determinato carattere i due alleli sono uguali, l’organismo è detto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Completa la seguente tabella mettendo

in relazione le malattie genetiche (lettere)

con le rispettive peculiarità (numeri).

7. Le malattie di origine genetica

A PKU 1 manca l’enzima che

demolisce un lipide nelle

cellule cerebrali

B malattia di

Tay-Sachs

2 c’è un’incapacità di pro-

durre il pigmento melanina

C anemia

falciforme

3 i globuli rossi di forma

anomala ostruiscono i vasi

sanguigni

D talassemia 4 manca l’enzima per

la demolizione della

fenilalanina

E fibrosi cistica 5 un allele dominante

porta alla distruzione delle

cellule cerebrali

F albinismo 6 eccessiva produzione di

muco denso nei polmoni

G corea

di Huntington

7 ci sono problemi nella

sintesi di emoglobina

A B C D E F G

Rispondi alle seguenti domande.

8. Pensa e ricerca

a. Descrivi le principali malattie genetiche umane che vengono trasmesse come caratteri dominanti.

b. Quali sono le caratteristiche distintive di un allele dominante oppure recessivo? Che cosa indicano i termini genotipo e fenotipo?

c. Spiega il significato della legge della segregazione di Mendel?

Completa la tabella mettendo in corrispondenza

i termini (lettere) con le rispettive caratteristi-

che (numeri).

1. La genetica

A eredità polige-

nica

1 a un solo gene corrispon-

dono molteplici effetti

B pleiotropia 2 gli eterozigoti presen-

tano entrambe le forme

fenotipiche

C alleli multipli 3 gli eterozigoti hanno

fenotipo intermedio tra

quelli omozigoti

D dominanza

incompleta

4 ne sono un esempio il

daltonismo e l’emofilia

E codominanza 5 sono presenti più di

due forme alleliche di uno

stesso gene

F caratteri legati

al sesso

6 i caratteri sono prodotti

dagli effetti combinati di

più geni

A B C D E F

Barra il completamento che ritieni esatto.

2. Negli esperimenti di Mendel le linee

pure erano costituite da

A individui omozigoti dominanti oppure recessivi.

B caratteristiche che comparivano in modo graduale.

C varietà di piante di piselli con solo caratteristiche dominanti.

D tipi di piante che presentavano caratteri nuovi.

CONOSCENZE

3. La legge della segregazione di Mendel

fornisce dati relativi

A alla tendenza dell’espressione di alcuni geni a «saltare» una generazione.

B all’espressione dominante negli eterozigoti di alcuni alleli su altri.

C alla separazione di una coppia di alleli in due gameti diversi.

D alla definizione di due nuovi termini scientifici: fenotipo e genotipo.

4. La maggior parte dei geni legati al sesso

A risiede sul cromosoma Y, perciò si manifesta solo nei maschi.

B risiede sul cromosoma X e si manifesta nei maschi o nelle femmine omozigoti.

C viene trasmessa solo dai maschi e si manifesta solo nelle femmine.

D presenta alleli recessivi che si manifestano sia nei maschi sia nelle femmine in quanto legati al cromosoma X.

Barra le due risposte che ritieni esatte.

5. Quali risultati ottenne Mendel nella

generazione F1 ottenuta dall’incrocio tra una

pianta di pisello omozigote dominante per

il colore dei semi e una pianta omozigote

recessiva?

A Nel fenotipo appariva solo uno dei due diversi caratteri presenti nei genitori.

B Era presente un solo genotipo e un solo fenotipo.

C Il carattere che era diverso nei genitori compariva in forma intermedia.

D Era presente un solo fenotipo, ma i genotipi erano due, uno omozigote dominante e l’altro eterozigote.

E A causa della segregazione degli alleli, si presentava l’intera gamma di possibili genotipi.

Esercizi

207capitolo 10 Da Mendel alla genetica moderna

Nelle risorse digitali:

• Riassunto di fine capitolo

• Mappa interattiva

• Audio in inglese

• Esercizi interattivi

Rispondi alle seguenti domande.

16. Pensa e ricerca

a. Un ragazzo è emofiliaco, ma né i suoi genitori né i nonni sono affetti da tale malattia. Come si spiega? Qual è il genotipo dei suoi genitori e dei suoi nonni?

b. Perché nella generazione F1 Mendel ottenne sempre individui che presentavano solo uno dei due diversi fenotipi dei genitori?

c. Perché da una femmina XX e da un maschio XY, nonostante la maggior presenza di cromosomi X, c’è «solo» il 50% di probabilità di avere figlie femmine?

Per impadronirti del lessico biologico

di questo capitolo, scrivi sul quaderno le defini-

zioni dei seguenti termini.

17. Le parole della Biologia

gene - dominante - recessivo -omozigote - eterozigote - alleli - genotipo - fenotipo - mutazione - dominanza incompleta - codominanza - alleli multipli - eredità poligenica - pleiotropia - autosomi - cromosomi sessuali - caratteri legati al sesso - daltonismo - emofilia - portatore sano - distrofia muscolare di Duchenne - sindrome dell’X fragile - favismo

Costruisci una mappa concettuale ponendo al

centro un box con il termine caratteri legati al sesso e quindi collega tra loro i seguenti termini

(scrivendo sulle frecce di unione il motivo della

relazione).

18. La tua mappa

XX – XY – Morgan – Drosophila melanogaster – emofilia – daltonismo – distrofia muscolare di Duchenne

Choose the correct answer.

19. The passing on of biological instruction

from parents to offspring is called

A genetics.

B heredity.

C segregation.

D independent assortment.

ABILITÀ

Di fianco a ogni affermazione scrivi la lettera A

se essa si riferisce a una mutazione, la lettera B

se si riferisce alla codominanza, la lettera C se

si riferisce agli alleli multipli oppure la lettera D

se non si riferisce a nessuna dei tre fenomeni

indicati.

9. Alcuni esempi di trasmissione dei caratteri

a. Nel sangue umano il gruppo umano AB presenta le caratteristiche sia del gruppo A sia del gruppo B. (. . . . . . )

b. I gruppi sanguigni umani sono determinati da un unico gene che presenta tre forme alleliche: A, B e 0. (. . . . . . )

c. Da una bocca di leone con fiori di colore rosso incrociata con una con fiori bianchi nasce una pianta con fiori di colore rosa. (. . . . . . )

d. De Vries studiò piante di rapunzia in cui comparivano caratteri non presenti nei genitori e in nessun antenato. (. . . . . . )

Nel seguente brano

barra i termini che ritieni errati.

10. Il metodo scientifico

Il colore rosso nei fiori delle dalie è dominante su quello giallo. Se incrociando un fiore di genotipo / fenotipo rosso con un fiore giallo, si ottenessero solo fiori rossi / gialli, si potrebbe dedurre che, nella generazione così ottenuta, tali fiori sarebbero omozigoti / eterozigoti per quel carattere e che i fiori della generazione F1 / F2, frutto di una autoimpollinazione, potrebbero dare origine in prevalenza / anche a discendenti omozigoti recessivi, cioè di fenotipo rosso / giallo.

11. Le malattie di origine genetica

Alcune malattie genetiche umane vengono ereditate in modo uguale / diverso se portate da uomini o donne, in quanto i loro alleli sono presenti sui cromosomi sessuali / sugli autosomi. L’emofilia è una malattia dominante / recessiva causata da un gene presente sul cromosoma X / Y. Tra i figli maschi la probabilità che la malattia compaia nel fenotipo è minore / maggiore rispetto alle figlie poiché è possibile / impossibile che essi siano portatori sani.

Barra i due completamenti che ritieni esatti.

12. In base agli studi di Mendel sulla

generazione F1 derivante dall’incrocio tra due

piante di pisello, una a fiore rosso e una a fiore

bianco, si potrebbe concludere che

A risulta evidente il mescolamento dei caratteri dei genitori.

B si presenta solo uno dei caratteri dei genitori.

C si presenta un solo genotipo, ma due fenotipi.

D si presenta un solo fenotipo, ma due genotipi.

E si presenta un solo fenotipo e un solo genotipo.

13. Nel caso di una dominanza incompleta,

incrociando una pianta di bocca di leone rossa

(dominante) con una bianca (recessiva)

A nella F2 si possono avere solo fiori rosa, quale risultato della contemporanea dominanza dei due alleli.

B si avranno generazioni successive tutte a fiore rosa in quanto è definitivo il mescolamento del carattere rosso con quello bianco.

C nella F1 si possono avere solo fiori rosa, in quanto gli eterozigoti presentano caratteristiche intermedie.

D nella F2 può nascere una pianta a fiori rossi e sarebbe certamente omozigote.

E si avrà una proporzione di piante di colore rosso inversa rispetto a quella attesa dalla prima legge di Mendel.

Barra il completamento che ritieni esatto.

14. Dall’incrocio tra due piante di pisello,

una omozigote dominante e l’altra omozigote

recessiva per entrambi i caratteri, Mendel

ottenne nella F2 il rapporto 9:3:3:1 in cui

risultava che

A 3 erano gialli e lisci, e 1 era verde e rugoso.

B 3 erano verdi e rugosi, e 9 lisci e gialli.

C 3 erano gialli e lisci, e 3 erano verdi e rugosi.

D 9 erano lisci e gialli e 1 era rugoso e verde.

Completa il seguente brano scegliendo tra i

termini elencati in fondo.

15. La distrofia di Duchenne

La distrofia muscolare di Duchenne è una malattia a trasmissione ereditaria. Se presente nel genotipo, nelle donne questa malattia si manifesta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . in quanto è . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ; perciò, le donne si ammalano solo se il loro genotipo è . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nei maschi, invece, la distrofia si manifesta perché essi possiedono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . per quel carattere.

spesso, omozigote recessivo, due omologhi, sempre,

due alleli, recessiva, eterozigote, raramente,

autosomica, un unico allele, omozigote dominante