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Nevio Edizione

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Forme materiali e ideologie del mondo antico 41

Collana diretta da Enrico Flores

E N R I C O F L O R E S

CN. NAEVI BELLVM POENICVM

Introduzione, Edizione critica e Versione italiana

Controfrontespizio INDICE

Introduzione p. 9

Cn. Naeui Bellum Poenicum "

Fragmenta dubia "

Conspectus librorum "

Conspectus editionum "

INTRODUZIONE*

Quasi sicuramente avevano ragione il polacco Strzelecki 1 ss. e Mariotti 83 s. a pensare che il titolo originario fosse pressappoco Carmen belli Poenici, divenuto poi a partire da Ottavio Lampadione, nella seconda met del II sec. a. C., Belli Punici libri contemporaneamente alla trasformazione del carmen continuum in una divi-sione in sette libri. Questo poema trattava della I guerra punica, e comprendeva, a partire da poco prima della met del I libro e continuando in buona parte del III, la cosiddetta archeologia, con le vicende della fuga di Enea da Troia, l'incontro con Didone e le successive origini di Roma, e fu iniziato a scrivere posteriormente all'inizio della II guerra punica, nel 218 a. C., presumibilmente anche come memento, e sprone, per la intera res publica romana nell'immane scontro in atto contro i Cartaginesi.

Finora si pensato che il carmen continuum dovesse comprendere non pi di

3.500-4.200 saturni, considerato che la divisione in sette libri effettuata da Lampa- dione doveva partire dalla dimensione all'epoca di un uolumen, corrispondente ad un

___________________

*Le pagine che seguono sono il frutto degli oltre quarantanni di insegnamento di discipline quali Filologia classica, Letteratura latina e Storia della lingua latina. Con esse completo ledizione critica del trio Ennio, Andronico e Nevio, secondo il mio ordine temporale di pubblicazione.

libro, di non pi di 500-600 versi quali in media i singoli libri omerici nel periodo alessandrino. Ernst A. Schmidt ha riassunto nel 1979 ci che si sa sul problema dell'estensione del B. P., ribadendo che si trattava di circa 4.000 saturni in origine in un sol uolumen. In questi ultimi tempi mi sono per andato convincendo che tale estensione anche per il B. P. va ulteriormente ridotta a poco pi di quella, per me presumibile, dell'Odusia andronichiana, anch'essa in un solo uolumen che non avr superato i 1.500 saturni = 1.100-1.200 linee di papiro, corrispondenti a poco pi di un paio di libri omerici. Quindi il B. P. sar stato di circa 1.900-2.000 saturni = 1.400-1.500 linee di papiro, estensione compatibile con quella di un uolumen in papiro dell'epoca e corrispondente ad un uolumen omerico abbracciante tre libri: su tutto ci vd. anche Flores3 82 ss. e Suerbaum2 156 ss.

Come per l' Odusia di Livio Andronico, il B. P. fu un'opera scritta ma per una destinazione eminentemente orale, e ci l' ho ripetutamente documentato nell'Intro- duzione alla mia edizione dell' Odusia e nei volumi pubblicati dal 1974 in poi (vd. in Bibliografia).

Al riguardo, necessario innanzi tutto chiarire il quadro antropologico nel quale inserita la scrittura di Nevio. Nel mondo antico era predominante, rispetto alla scrittura assai rara in una societ in prevalenza completamente analfabeta, l'oralit nella comunicazione. I processi che portano a qualcosa di scritto e alla sua comprensione sono costosissimi, e all'epoca di Nevio, e gi qualche decennio prima con Andronico, gli unici detentori della scrittura sono gli scribae con i quali si identificano sino alla fine del III sec. a. C. gli stessi poeti. Questo vuol anche dire, in generale, che i processi mentali possono organizzare il materiale verbale senza far ricorso alla scrittura, mentre noi moderni, alfabetizzati fin dall'infanzia, organizziamo il materiale verbale a partire da un universo scritto. Oggi c' una reversibilit dallo scritto all'orale.

Il nostro pensiero quindi organizzato, in prevalenza, a partire da un sostegno scritto, anche quando si manifesta in modalit orale. Nel mondo antico, invece, il pensiero, manifestandosi oralmente, ha perci strutture di fondo che prescindono dalla scrittura. E' noto che la memoria nelle popolazioni analfabete sviluppatissima, e i processi di memorizzazione, nel mondo antico, sono aspetti vistosissimi proprio nei poeti che, anche quando esiste gi la scrittura, compongono oralmente con il sostegno delle strutture ritmiche e metriche. L' importanza di quest'ultime legata cos, in buona sostanza, anche alle esigenze di raccogliere i materiali verbali e di memorizzare ci che si va componendo. Le strutture metriche hanno la funzione di organizzazione del pensiero poetico.

A livello conscio-inconscio le onomatopee, le allitterazioni, le assonanze, le iterazioni e la formularit, le ridondanze, l'anafora e l'epanafora o l'epanalepsi, il che lo stesso, insomma tutte le figure retoriche, sono i meccanismi con i quali un poeta-orale organizza il pensiero in una societ orale, la quale gi di per s utilizza normalmente tali meccanismi. Queste strutture, supporto per organizzare il materiale linguistico, sono nel poeta intensificate al massimo, sono la forma di questo pensiero e, in definitiva, il pensiero stesso. Non si pu prescindere nell'analisi del pensiero da queste forme. Per la nostra cultura contemporanea tutto ci sembra posticcio, artefatto, prodotto di un lavorio di secondo grado, mentre invece questi processi sono irriflessi e inconsci nel poeta antico a composizione orale, anche se poi essa viene affidata e consegnata alla scrittura, insomma il pensiero stesso che organizzato in quel modo. Del resto sappiamo che anche la scrittura non poetica, o in prosa, veniva pi spesso dettata ad un copista da un autore antico, piuttosto che dallo stesso manoscritta in persona prima.

La composizione scritta di un poeta latino-arcaico avviene, in conclusione, prima nella sua mente ed oralmente, ed poi consegnata alla scrittura, anche mediante la quale il poeta reciter a memoria, ci che ha composto, al pubblico degli ascoltatori. Sorge perci un problema di fondo riguardo al Bellum Poenicum in esame, cio che questo poema, come gi l' Odusia di Andronico, stato sempre analizzato prescindendo dai dati su esposti, con un testo quindi che stato organizzato in una forma orale, perch comunque destinato ad una comunicazione orale.

A questo punto c' un discorso da fare sul 'popolare' nella lingua latina arcaica e sulla lingua d'uso, e sulla definizione di questa categoria che ha, forse, un'estensione maggiore che per es. in altre epoche pi acculturate. Nel latino arcaico fino a Nevio la lingua d'uso non ha propriamente un livello dotto ed uno popolare. Si veda il caso delle ventuno commedie di Plauto (un autore con il quale, giovane, collabor da vecchio Nevio) il cui linguaggio sostanzialmente lingua d'uso, altrimenti non sarebbe stato compreso dal pubblico di massa latino-italico che assisteva alle sue recite. La lingua dei carmina sacrali ha dietro di s una lunga tradizione, e tuttavia per quanto arcaica tuttora, all'epoca di Nevio, lingua dell'uso, e non solo sacrale, se vero che ben viva nell'epica andronichiana e neviana, destinata eminentemente all'oralit; cos come la lingua d'uso condiziona la lingua del dettato legale, si veda la sinonimicit e la ridondanza ancora nel S. c. de Bacchanalibus. L'arcaismo neviano (o andronichiano) non perci da intendersi nel senso di un'espressione caduta del tutto in disuso, poich essa ancora viva nel livello del linguaggio sacrale che con destinatario di massa e non elitario; l'arcaismo linguistico tale non tanto rispetto all'uso contemporaneo di Nevio, quanto al carico di tradizione linguistica latino-italica del quale gravato.

Il testo di Nevio stato riscritto nelle epoche posteriori secondo le norme fonematiche e ortografiche allora vigenti, e della grafia del testo originario perci ben poche tracce sono giunte fino a noi. Si veda il pi recente lavoro di Safarewicz 1980 che ha confrontato la lingua del B. P. con le testimonianze epigrafiche contemporanee, come aveva gi fatto nel 1965 per Andronico.

D'altro canto il letterario non ancora codificato in quanto tale, almeno finch il testo, sebbene scritto, affidato all'oralit, ad una destinazione prevalentemente orale. La vera cesura tra letterario e non-letterario a partire da Ennio. Nevio detto poeta, e non pi scriba, al modo di Magna Grecia (Flores2 118 ss.) almeno dal 207 a. C. E' questo probabilmemte il momento del trapasso, dal testo scritto per la diffusione orale, anche al testo scritto per la diffusione scritta. Nevio tuttavia appartiene ancora al primo versante, poeta in quanto compone, e consegna la sua composizione allo scritto, non perch i suoi scritti siano destinati ad un pubblico colto, ad una diffusione soltanto scritta ed elitaria. Allora il popolare, la categoria dalla quale siamo partiti, a livello strettamente linguistico non facilmente separabile dal dotto, dall'elitario. Il linguaggio che usano Andronico come Nevio non solo inteso da un intero popolo (schiavi compresi, come avviene in Plauto), ma in partenza una lingua d'uso nei suoi elementi fondamentali, una lingua d'uso di determinate funzioni culturali, una lingua tuttavia di livelli funzionali ancora affidati prevalentemente all'oralit, alla conoscenza di massa.

Se non si riconosce ci, si continuer ad immaginare un'acculturazione linguistica affidata da Nevio o, prima, da Andronico ad un linguaggio dotto. Ancora fino al S. c. de Bacchanalibus la lingua scritta il riflesso immediato di una cultura orale di massa. Saltano cos, per intendere questa lingua, le categorie moderne di popolare, di letterario, di arcaico, che presuppongono tutta una polarit oppositiva di dotto, non-letterario, di contemporaneo e recente. E a partire da questo quadro di considerazioni, allora, vanno riviste tutte le acquisizioni cui si finora pervenuti in ordine al linguaggio di quest'epoca. Ridondanza e sinonimicit, epanafora, figure etimologiche, omeoteleuto, l'importanza rivestita dal significante e dall'organizza- zione formale, in una parola le strutture linguistiche di queste residue testimonianze, non sono da leggersi come lingua d'arte, prodotto linguistico dovuto all'intenzionalit del poeta.

Questi, in una misura rilevante al massimo grado, parla una lingua gi data, comune a lui e al suo ascoltatore di massa, sulla quale tutt'al pi interviene per adeguarla alle strutture metriche del suo messaggio poetico, piuttosto che modificarla profondamente o costruirla sempre ex novo in funzione di una presupposta, ed inesistente, in realt, letterariet, anche se poi non sono mancate costruzioni o neoformazioni linguistiche di Nevio e Andronico mutuate dalla cultura letteraria greca. Esse sono letterarie, in quanto, certo, prodotto di alta filologia e capacit linguistica di Andronico e Nevio, letterarie in quanto calco dalla letteratura greca, ma la loro funzione non immediatamente e in modo riconoscibile letteraria.

Se tutto ci vero, almeno per questi aspetti, e rispetto a questi parametri, noi possiamo rinvenire non solo, e non tanto, l'individualit di uno scrittore o di un poeta, quanto la cultura, le categorie linguistiche, le strutture mentali di un'intera societ, non soltanto quelle dello strato, o della classe, sociale dominante. E' la totalit antropologico-culturale di tutta una societ quale espressa dalla lingua.

Di ci abbiamo pi di una verifica e controprova. Non a caso i linguisti e i filologi hanno studiato i diversi livelli e le diverse funzioni della lingua latina di questo periodo, partendo da un presupposto, mai dichiarato ma implicitamente sottinteso. Cio la compatibilit fra loro di questi livelli, la loro interscambiabilit, la fondamentale, starei per dire ontologica, omogeneit di testimonianze cosiddette letterarie (Andronico, Nevio), sacrali, giuridico-legali, epigrafico-sepolcrali, rituali ecc. Per quanto si individuino ben distinti livelli funzionali, oltre il bilinguismo e la variet linguistica, si scopre, da quest'altro punto di vista, una omogeneit di fondo sul piano della lingua d'uso. La lingua dei carmina sacrali non sar stata molto dissimile, strutturalmente, da quella dei carmina convivalia (quale per es. rinvenibile persino nell'epigrafe per Lucio Scipione Barbato), ed ben presente nell'epica di Andronico o Nevio, o ancora nel dettato del S. c. de Bacchanalibus. Certo l'importanza del momento religioso in quest'epoca, come rilevato da noi (Flores3 103-148) e da pi parti con larga documentazione, pu spiegare l'origine dell'elemento unificante, di per s tuttavia insufficiente a chiarire tutto ci. Poich in definitiva anche il linguaggio sacrale non che una particolare funzionalizzazione di un linguaggio che rimane ancora parecchio indifferenziato e totale rispetto alle complesse articolazioni del sociale, esso stesso in via di assestamenti al suo interno.

E' quindi, per questo verso, il linguaggio di una societ dominata dal valore d'uso, anche se nei fatti il valore di scambio sta progressivamente allargando la sua riproduzione (Flores2 passim). E si sa che le grandi trasformazioni linguistiche di fondo intervengono solo gradualmente e con ritardi, soprattutto in questo periodo, rispetto all'incalzare di quelle dell'economico e del sociale, il che ovviamente non significa poi che non sia possibile cogliere anche lo svolgersi del processo laddove questo trovi una pi o meno immediata registrazione linguistica. Qui si vuole soltanto segnalare il problema delle persistenze dei relitti ideologici del passato anche nella lingua: il famigerato Stalin diceva pressappoco "Compagni, attenzione! noi parliamo ancora la lingua di Pushkin", con tutto ci che ne consegue. Qui si vuole soltanto sottolineare una linea di tendenza della produzione linguistica rispetto alla produzione dell'economico e del sociale. Omologie s, ma anche scarti dovuti ai ritardi della registrazione linguistica che giunge in questi casi a processi gi definiti.

Del resto non sarebbe passata una generazione e il quadro linguistico si sarebbe mutato in modo rivoluzionario, e corrispondente ed omologo alle profonde modifiche dell'economico-sociale intervenute dopo la definitiva vittoria romana del 202 a. C. Importantissima rimane, comunque, la testimonianza delle preces, con la presenza di linguaggio neviano, pronunziate da Scipione nel 204 a. C. e riportate da Tito Livio a 29. 27. 1 ss. certamente con parecchi adattamenti grafici e stilistici, ma sostanzial-mente riproducenti il testo antico. Le preces, se lette nel senso da noi indicato finora, sono una summa di tutti i procedimenti linguistici e strutturali di quest'epoca (vd. Flores3 141-148).

A ci si aggiunga, in quelle analisi che tendono a scorgere una selezione linguistica effettuata dall'autore, con la pi grande intenzionalit, in vista del raggiun-

gimento di un massimo di letterariet, che mal fondata rispetto all'epoca neviana sia l'istituita correlazione fra le tre categorie della selezione linguistica, intenzionalit, e letterariet, sia il rinvenimento e la definizione di queste stesse categorie, cos come nel corso di queste pagine ci siamo sforzati di dimostrare. Se le cose stanno cos, allora non s potr parlare n di intenzionale o meno conseguimento di uno stile elevato, n al contrario dello stile cronachistico. Per quanto fram-mentarie, le testimonianze neviane non sono leggibili rispetto a queste categorie vali-

de a partire da altre epoche e da differenti momenti storici. La lingua del B. P. descrivibile unicamente e soltanto come una lingua dell'uso, al cui interno pu essere individuata una pluralit di componenti non gerarchizzabili rispetto ad una presunta categoria della letterariet. Gli stessi strati linguistici, se di stratificazione in senso

diacronico si pu e si deve parlare, sono nel B. P. proprio quelli che si presentano nella contemporanea lingua dell'uso, e identificabili unicamente rispetto alle funzioni appunto d'uso, per cui parlare di stile elevato o meno significherebbe istituire rispetto al referente letteratura una presunta gerarchia di tali funzioni d'uso, che a mio avviso del tutto eccessivo ammettere per il B. P. di Nevio.

Ma si dir che Nevio era pure considerato dai suoi contemporanei prima un uates e poi alla fine della vita un poeta, e che bisogner allora pure ammettere che doveva essere autore di una qualche poesia. Premesso che sul valore per quest'epoca del termine poeta, in riferimento proprio a Nevio, ci siamo gi dilungati altrove, chiarendone a sufficienza tutte le significazioni storiche, va almeno richiamato il senso ultimo che il far poesia assume per quest'epoca. Cio una composizione scritta a destinazione eminentemente orale, di carmina, come in questo caso del B. P. del genere epico-orale, che si innesti nel solco della tradizione latino-italica, sfruttandone strutture metriche (il saturnio) e linguistiche (lingua dell'uso), con il nuovo apporto del contatto linguistico con il greco contemporaneo. Nevio infatti un bilingue, e c' in lui una presenza della cultura greca della tradizione letteraria, che viene non tanto trasposta meccanicamente in ambito latino-italico (e come poi, se i due momenti linguistici di partenza sono storicamente situati a livelli cos differenziati?), quanto rifunzionalizzata, per quella parte che era possibile, all'interno delle strutture, latino-italiche, metriche e linguistiche date. E' questo un discorso che abbiamo gi affrontato per la cosiddetta traduzione di Livio Andronico.

Nevio non un poeta greco dal V sec. a. C. in poi, e neanche un poeta-letterato in lingua latina comparabile con i contemporanei poeti ellenistici. Persino se avesse scritto poesia in greco, in latino non pu attingere che livelli di scrittura completamente diversi, poich scrive in una lingua di una societ estremamente diversa, e per un pubblico differente. Usare le categorie di stile elevato, letterario, significa, in altri termini, ridurre le nostre possibilit di ricostruzione della complessit di questa diversa societ e lingua. Significa magari poter cogliere anche qualche singolo aspetto riducibile ad una mera letterariet, secondo i nostri parametri di giudizio, tuttavia restringendo e completamente falsando il quadro complessivo della ricostruzione.

Altrimenti bisogna riqualificare la funzione del letterario rispetto a quest'epoca: per non finire in un circolo vizioso, si dovrebbe tutt'al pi puntare alla identificazione di elementi di stile dell'epica ellenistica antecedente a Nevio, che abbiano in greco funzione letteraria e che Nevio ha trasposto o tentato di trasporre in latino. Questa pu essere la strada pi praticabile, perch quella teatrale troppo ambigua, anche sul versante greco, rispetto alla funzione letteraria a causa della sua unica destinazione orale. Ora, come epica ellenistica, Nevio potrebbe aver tenuto presente Apollonio Rodio: su ci si veda in particolare Mariotti2 10 ss. Comunque Mariotti 19 ss. e, soprattutto, 54, insiste in prevalenza su aspetti strutturali, e meno su quelli di stile, per i rapporti Nevio-Apollonio Rodio. Per il poema epico-storico poi, oltre il precedente di Cherilo di Samo del V a. C., che aveva parlato della guerra di Atene contro Serse, c' Riano di Creta (Messeniache o Storia di Messene), coetaneo di Nevio, e che questi pu anche non aver conosciuto. Gli altri referenti storiografici per il Nevio epico non servono a definire la sua presunta letterariet.

D'altro canto se si va ad analizzare il modo di organizzarsi dei contenuti dell'epica neviana, per quanto scarsi siano i frammenti pervenuti, sono individuabili alcuni nuclei di immagini pi ricorrenti che a loro volta trovano anche nella struttura linguistica una corrispondente forma di iterazione. Sono per es. i nuclei dei temi del pianto, dell'oro, del rituale religioso (Flores3 135-140). E' del poeta il fin la meraviglia, ma in questo caso il far stupire tale perch c' un destinatario di massa che ascolta e aspira ad esser stupito, le cui attese sono legate alla spettacolarit del narrato, attirato da ci che gli pi consono, il pianto come manifestazione esteriore del reagire agli eventi e che era gi parte della narrazione omerica, l'oro come parametro pi elevato della materialit e del valore di scambio, il terrore e la venerazione per il sacro e gli di in generale.

Come ho scritto nella mia Introduzione all'edizione dell' Odusia di Andronico, p. XIX: "A ci si aggiunga il problema delluso prevalente della paratassi in Nevio, anche se in questo attestata pure lipotassi. La mancata prospettiva in Barchiesi 369-370 di una lingua orale fattasi scritta in Nevio ma per un uso orale, comporta che lillustre studioso sostenesse che la forte presenza della paratassi nel B. P. era non gi il riflesso della lingua orale, e della struttura paratattica dominante, ma il riflesso storico di una visione severamente stilizzata e schematizzata del mondo e dei suoi valori. Nevio non condizionato nelluso della paratassi da nessuna visione del mondo, ma soltanto dalla lingua duso dellepoca che in prevalenza paratattica".

Il linguaggio epico di Nevio, in definitiva, va abbassato dal presunto livello epi- co- letterario al livello del linguaggio comico e lingua dell'uso, con derivazioni anche

dal linguaggio tragico, i cui contenuti in Nevio erano non soltanto quelli della tragedia classica ma anche, presumibilmente, di quella ellenistica e pi spettacolare. Allora si spiegano cos gli stessi elementi che caratterizzano come in una unit i tre linguaggi: epico, comico, tragico. Essi si presentano come un'unica tipologia del significante, funzionalizzata a diverse occasioni di spettacolo, a diversi contenuti. Insomma non sono linguaggi intrinsecamente differenziati: stesso significante, stessa lingua dell'uso. In proposito vorrei ricordare che la parola teatrale, comica o tragica in Andronico e Nevio, e soltanto comica in Plauto, quella di un teatro gestuale che coinvolge il corpo dell'attore ma non il volto coperto dalla maschera, che caratterizza il personaggio. Non perci un teatro del volto e dello sguardo, ma del corpo e della voce. E' un teatro della lingua parlata e talora cantata, per cui il gestuale pu anche essere implicato nella parola dell'attore, come sar accaduto anche nella recitazione dell'epos neviano per il fr. XXXV "dove i toni della voce ed il gesto, e persino lo sguardo, accompagnavano la dizione epica, la sostanziavano rendendola pi esplicita e variamente connotandola" (Flores3 140).

Lo svolgersi della dizione, quindi, suggerisce la gestualit scenica. Attraverso le parole dell'attore l'autore fa passare ogni indicazione scenica. Il testo plautino, cos come ci stato trasmesso, e sar stato anche per quello di Andronico e Nevio, sempre un copione teatrale e non un testo per una lettura individuale a domicilio. La sua socialit funzionale alla scena e al pubblico del teatro. Il plaisir del testo rinasce ogni volta, in modo eminente, in questo spazio e per questo destinatario. Il canto e la musica sono parte integrante del dramma come della commedia. Poich un teatro della maschera, in conclusione, sono la parola e il gesto che veicolano sentimenti, emozioni ecc. La parola a sua volta constata ed esplicita continuamente. E' un teatro tautologico se letto senza la maschera. L'assenza del volto e dello sguardo rende invece sempre necessaria la constatazione, l' iterazione. Il presupporre una recitazione in coerenza con la maschera recupera il semantema di questo linguaggio, restituisce il suo significato antropologico, lo sottrae alla banalizzazione linguistica.

Una testimonianza di Liu. 7. 2. 8-10 attesta che Andronico era suorum carmi- num actor ma, avendo persa la voce, fece ricorso ad un giovane che cantasse con la

musica di un flautista, cos accompagnando il 'canticum' con un gesticolare alquanto pi espressivo, aliquanto magis uigente motu. Da questa testimonianza appare chiaro che la gestualit, la quale era parte importantissima della recitazione, Andronico, si presume da vecchio, la riservasse a se stesso. Ci si dice anche nel presupposto che Andronico e Nevio recitassero persino i propri poemi epici, accompagnandoli con la gestualit.

Dopo Nevio le distanze fra i tre linguaggi, della commedia, della tragedia e dell'epica tenderanno ad aumentare in progressione, anche se ancora, almeno all'inizio del II sec., il significante arcaico tuttora unificato. Ma con Nevio se il processo di differenziazione gi iniziato, certo in corso per taluni aspetti, non affatto concluso. Il significante permane tuttora unitario; finanche nella rivoluzione letteraria enniana tende questo significante a condizionare ogni altra soluzione ricercata dallo scrittore (Flores2 61 ss.). In genere, la scienza linguistica, e la critica di questi ultimi cento anni o poco pi, tesi a cogliere il processo di costruzione di una letteratura in lingua latina, hanno puntato l'obiettivo sempre e soltanto sulla diffrence, sul progressivo costruirsi di linguaggi differenziati, su quanto vi era di innovativo. E' in qualche misura sfuggito quale era il quadro unitario di partenza, quanto rimaneva di tale quadro pur dopo la traslazione in lingua latina dei tre generi, comico, tragico ed epico, a partire da Livio Andronico, quali erano infine i sistemi linguistici e culturali che comunque condizionavano l'acculturazione. Quindi anche quale era il sistema di aspettative, linguistiche, mentali, antropologiche, al cui interno si inserivano tali operazioni culturali.

Quanto al testo del B. P. iniziamo con il frg. nouem Ioues etc. come si fa tradi-zionalmente, pensando che Nevio si sia rivolto alle nove Camenae, al posto delle Musae, invece che alla singola Camena, come gi Andronico, in base in particolare anche alla testimonianza di Terenziano Mauro, riportata nell'intero contesto in apparato, che eguaglia alle Camenae appunto le nouem sorores. Il concordes neviano stato giustamente considerato un calco, anche semantico aggiungo, dell' o|mofronev di Esiodo, Theog. 60 e, se si mette in relazione alla dea Concordia, se ne possono trarre anche conseguenze in ordine al momento nel quale il poema fu iniziato. Infatti nel 216 a. C. fu dedicato un tempio alla Concordia (Liv. 23. 21. 3), sebbene gi nel 367 (cf. P.W.R.E. s. v.) il riconoscimento del suo culto si era realizzato attraverso la promessa di un tempio, culto sanzionante la pace tra patrizi e plebei, cos come nel 216 l'atto cultuale serviva a richiamare sentimenti di concordia ciuilis o sociale dopo le catastrofiche sconfitte negli ultimi due anni.

Dopo una affermazione autobiografica del poeta, che diceva di aver militato nell'esercito romano durante la prima guerra punica, materia del suo carmen, poniamo come terzo frammento quello che consacra i Feziali i quali dichiarano la guerra a Cartagine nel 263 a. Cr. Al riguardo molto importante lanalisi di Liv. I 24. 6: Fetialis erat M. Valerius; is patrem patratum Sp. Fusium fecit, uerbena caput capillosque tangens (Ogilvie ed.). Il passo contiene elementi chiaramente databili, con quel Fusium antecedente alla rotacizzazione della sibilante, che pu essere anche di IV sec. a. Cr.; il feziale tocca con una uerbena capo e capelli creando Spurio Fusio patrem patratum, cio capo dei Feziali. La uerbena ha quindi poteri sacromagici, in questo caso gi sagmen; queste considerazioni valgono in favore di uerbenas nel passo neviano come accusativo (e non genit., come vuole il Leo 35 in nt. 3, preceduto dubitativamente dal Merry 23): presero i ramoscelli e le vermene come sagmina, perch avessero le funzioni di sagmina. In sostanza nel frg. III si tratta di tre termini interrelati, per la loro funzione, fra di loro e tutti perci in accusativo, in una apparente ridondanza, giustificata dalla precisione linguistica elencativa del rituale. Anche qui si pu parlare di lingua delluso, allitterazione (su- / sa-) e assonanza (-men me men-) incluse, come per es. nel frg. tramandato da Frontone e riportato in Morel p. 5 Flamen, sume samentum, e, ad avviso di Leo 31 in nt. 2 e di Morel, possibile primo colon di saturnio. Comunque sui fondamentali rapporti dello storico Tito Livio con lAnnalistica e la tradizione, anche linguistica, latino-arcaica, con precise formule orali, cio del dettato orale, vd. anche quanto diremo infra.

Segue come quarto fr. il ricordo di Manio Valerio, il console appunto di quell'anno, che guida una parte dell'esercito nella spedizione militare in Sicilia. Poich il fr. dato da Carisio come appartenente al I libro, vale per questo caso, come per tutta la nostra ricostruzione del B. P., attenersi ai dati della tradizione ms. (cf. al riguardo Berchem 24, Strzelecki 7 ss. e Mariotti2 13)11, dove questa indichi esplicitamente i vari libri, come abbiamo sempre fatto, tranne nel caso del fr. su Prochyta. E con ci penso che, a partire da Strzelecki, sia venuto il momento di porre fine ad una pi che secolare discussione, prolissa, cavillosa e in definitiva sterile, sulla possibile struttura del B. P., che ha poi condizionato, come evidente, anche l'ordine dei frammenti stessi.

Il fr. di Manio Valerio ha richiamato in antico l'attenzione dei grammatici per

exerciti, come genitivo per exercitus, in sostanza una forma della lingua dell'uso,

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11 Contra Vahlen 6, gi nel 1854, convinto che "qui his testimoniis (scil. i dati della tradizione ms.) superstitiosius adhaereat", e dava quindi inizio al libro primo con il fr. di Anchise che prende gli auspicii, nel falso presupposto che il B. P. iniziasse con la parte mitica.

molto comune nel latino arcaico per influsso della II declinazione. Il frammento di solito considerato come "prosa cronachistica", " 'prosa' appena segnata dal ritmo

quantitativo e verbale" (Barchiesi 395)12, e anche il resto dell'analisi di Barchiesi individua due livelli stilistici, l'uno di "stile fattuale" l'altro di "elaborazione stilistica pi o meno elevata [] una forma di oratoria nobile e scolpita che [] possiamo designare col termine di 'poesia' ". Nonostante il metter le mani avanti rispetto a negate "implicazioni crociane", in effetti qui si riproduce il classico schema di lettura crociana, parti strutturali di livello non elevato, e nuclei poetici limitati e circoscritti.

Il pubblico di Nevio ascoltava, sentiva, la sua poesia con categorie di giudizio che non sono quelle che i critici moderni vorrebbero attribuirgli. Qui pi che le estetiche, romantiche e crociane o meno che siano, occorrono strumenti linguistico-antropologici. E quanto poi ai sentimenti, al pathos ecc., essi, se vi sono stati, avranno interessato sia i contenuti cronachistici che quelli mitici, e per questo riguardo, e per quel che ne sappiamo, poteva per Nevio e per il suo pubblico essere elevata, e poetica (cf. anche Luck 270), persino la nuda esposizione dell'inizio della I punica con quel "Manius Valerius / consul partem exerciti in expeditionem / ducit"; ma apparir evidente come per questa strada di lettura critica non si va molto lontano, anzi non si fa un passo avanti, per raggiungere acquisizioni che siano incontrovertibili e non affidate alle n o s t r e categorie di giudizio (estetiche, ideologiche ecc.): spunti in questo senso anche in Mariotti 71 s.

Seguono poi due frammenti che riguardano gli inizi della guerra, in particolare

l'assedio di Agrigento (Strzelecki 10 sq.) del 262 a. C., ai quali fa sguito il fram-mento sulla Gigantomachia che il tramite al passaggio alla vicenda eneadica, con l'incontro con Didone e le origini mitiche del contrasto fra Cartaginesi e Romani. Il pretesto presumibile il contesto con la descrizione (cf., ben prima di H. Frnkel 59-61, Bergk1 191 che si fonda su Diodor. Sic. XIII 82. 4.), qui riportata nei tre versi

residui 8-10, del frontone orientale del tempio di Zeus Olimpio in Agrigento, mentre in quello occidentale c'era descritta la caduta di Troia (cf. anche Frassinetti 246 s. nonch Villa 141 e passim). I tre saturni si presentano interessanti rispetto al tipo di lingua di Nevio. Per il Mariotti 57 ss. i nomi dei Titani, degli Atlantes, Runcus e Purpureus sono "prestiti popolari" della "tradizione greco-italica", il che equivale a dire che erano della lingua dell'uso. Per Barchiesi 291 s. in filii Terras la desinenza arcaica intenzionale "nobilitando l'espressione", ma secondo Ong 77, nel suo libro su Oralit e scrittura, un linguaggio poetico orale in qualunque paese e tempo si presenta con arcaismi per compresi dagli ascoltatori finch vengono usati dai poeti, segno che in qualche modo erano ancora parte della lingua d'uso, anche se nei singoli testi orali erano parte essenziale della tradizione orale ereditata dal poeta orale.

Anche per Nevio, erede di tutta una lingua poetica orale in saturni, non si pu parlare in questo caso per la forma di genitivo in as, pur ammesso che non fosse pi della lingua d'uso del suo tempo, di un arcaismo intenzionale per ottenere effetti letterari. Del resto lo stesso Barchiesi poi, e contraddittoriamente, ammette che per l'espressione sopraddetta in Nevio "pu aver contribuito quello che sembra fosse un vero e proprio schema tradizionale del saturnio, con la collocazione di filius (filia) all'inizio del secondo colon", il che vale a dire che si trattava di un'espressione formulare bella e buona, propria come infinite altre della dizione poetica orale e nel solco gi di tutta una tradizione.

Verso la met del primo libro (Flores1 41) o poco prima, come oggi sono portato a credere, era inserito linizio del lunghissimo excursus della cosiddetta 'archeologia', che si protraeva fino ad oltre la prima met del terzo libro. Questa parte, riguardante oltre due libri su sette, sopravvissuta in 31 frammenti, ed la pi ampia rispetto ai poco pi di due libri che la conservano, evidentemente per il maggiore interesse che la parte eneadica aveva per i grammatici postvirgiliani. Nei primi due frammenti (non so con quanto fondamento considerati descrizione del frontone del tempio agrigentino: cf. Villa cit.), resi noti nel 1600 da Pierre Daniel, in appendice all'edizione di Servio, la scoperta dei quali si deve peraltro allo Scioppius, si possono evidenziare gli aspetti fonici del significante, quali ad es. nel fr. VIII la prevalenza dei suoni b e t con la ripetizione dello stesso termine in diverso caso, amborum-ambae, tra questi poi intervallato exibant richiamato dal successivo, e di significato analogo, abeuntes, mentre al v. 3 flentes rafforzato da lacrimis cum multis. Queste, tutte caratteristiche di una dizione orale, con una ridondanza di fondo da doversi leggere certo non come momento di "letterariet". Non posso qui che ricordare quanto gi scritto nell'Indroduzione al mio Andronico, con l'esempio dell'oralistica riguardante la poesia africana, quale raccolta da Leopold Senghor13 che insiste su queste iterazioni foniche, allitterazioni, assonanze ecc.14, e quanto ha riassunto sulla poesia orale Paul Zumthor15, per il quale il momento delliterazione un contrassegno costante. E tale iterazione si estende a ripetizioni di strofi, di frasi o di interi versi, di gruppi prosodici o sintagmatici ecc. Nei primi dell'800, nel 1823, Bothe 96 espungeva abeuntes perch "putida explicatio" essendoci gi exibant, soggiacendo cos all'ideologia estetica dominante, in pieno romanticismo tedesco. Quanto al Troiad del v. 2 tutt'altro che "un arcaismo consapevole" (Barchiesi 353)

considerato che ancora nel S. c. de Bacchanalibus si registra sistematicamente la presenza del -d finale all'ablativo, segno che nella lingua almeno scritta era la forma

diffusa e non certo ricercata "esclusivamente per fini d'arte" (Mariotti 64).

Se nel fr. VIII il nucleo tematico prevalente, oltre quello della fuga in un "notturno" ben evidenziato da Barchiesi 352 s., quello del pianto, nel fr. IX c' l'oro,

fuggivano da Troia, exibant ripetuto, cum auro, il che se sul piano della realt poco verisimile in una situazione di pericolo imminente e di fuga improvvisa, aveva la funzione di impressionare gli ascoltatori. In tutti i frammenti residui, di Nevio e meno _________________

3 l. senghor, LAfrica-madre, Alfabeta 6, 70, 1985, 3.14 S'intenda, aggiungo in quanto italo-libico, anche la poesia araba popolare, e ovviamente orale.

15 p. zumthor, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, tr. it. Bologna 1984 (ed. fr. 1983), 172 ss. e passim.

di Andronico, c' il richiamo, quasi ossessionante, all'oro16, in un periodo come quello della seconda guerra punica nel quale l'oro non ancora usato a Roma per la monetazione, per la quale in uso il bronzo e soltanto a partire dal 214 a. Cr. compare il denaro d'argento, del valore di dieci assi di bronzo (teoria Mattingly-Buttrey, in Heurgon 334-5). L'oro monetato esisteva per gi a Cartagine, la rivale, per influsso dall'area ellenistica, e questo ci fa capire come in Roma, in questo periodo, l'oro era estremamente raro, e quindi il metallo nobile per eccellenza, ogget-

to dei sogni di tutto un pubblico.

Dopo lo scatenarsi della tempesta e la preghiera di Anchise (frr. X-XI), per quest'ultima c' da notare che l'espunzione in passato di uno o due deum dimostra soltanto la totale incomprensione della scrittura neviana e che la pietas prima che dell'Enea virgiliano gi dell'Anchise neviano, ci sono i due frammenti XII-XIII nei quali Venere si rivolge al padre Giove. Gli domanda perch mai ha permesso che la sua stirpe, con il riferimento al fatto che Enea era in definitiva suo figlio, venisse cos perseguitata, interpretando noi genus non in riferimento a Giove, alla linea Giove-Venere-Enea, come inteso da altri. In tal senso la domanda di Venere al padre acquista pi forza, e la minima correzione, sisti, dello Zander preferibile rispetto allo scontato genuisti dello Scaligero (con la precedente integrazione me) e allodisti di Leo, troppo forte in confronto alle testimonianze di Omero e Virgilio, ma che ha avuto pi fortuna grazie al nome del grande studioso della latinit arcaica.

Problemi pi complessi pongono i due frammenti XIV-XV con la risposta di Giove (vd. anche il fr. X). Nel primo lei di ei uenit in mentem potrebbe riferirsi ad una divinit in opposizione ad hominum fortunas. Mi sembra pi congrua lopposizione del soggetto logico ei rispetto alloggetto hominum, dando ad ei come referente una divinit, piuttosto che una riflessione di un uomo sul destino degli altri uomini, come ha pensato Marmorale 241 s. in riferimento ad Enea nella sua allocu-zione ai compagni dopo la tempesta. Inoltre il fr. XIV in discussione, e congruente con il fr. X, tramandato da Prisciano come appartenente al I libro, e il dubbio di Morel, seguito da Mariotti 112, sulleodem spettante ad totum carmen, non ad librum I infondato, e infine ei riferito a Ioui ci sta alla perfezione in questo quadro di rapporti fra di che si preoccupano degli esseri umani.

E c ancora un altro argomento contro lattribuzione ad Enea dellei, perch nella sua presunta allocuzione ai compagni il passo dellEneide I 198 ss. richiamato dal Servio Danielino (cf. fr. XVII) presuppone un discorso diretto, mentre qui siamo in pieno discorso indiretto. Daltro canto nelleconomia del I libro una riflessione siffatta potevano farla o una divinit come Venere o Giove17, o tuttal pi Anchise il capo della spedizione, lo stesso che nel fr. XVII rivolgerebbe lesortazione ai socii, e non certo Enea. In tal caso si confronti Ioui uenit in mentem di Seneca Apoc. 9. 1, in un contesto dove poco prima citato Ennio, e potrebbe lei neviano riferirsi proprio a Giove, e da qui la ripresa in Seneca di un verso famoso del latino arcaico. Lo stesso Strzelecki 36 s. aveva daltronde gi pensato a Giove che aveva volto lanimo alle sventure dei Troiani.

Nel fr. XV, attribuito da Macrobio, si faccia attenzione, al libro primo, a nostro avviso, come gi vide Klussmann 44, il sguito della risposta di Giove che rassicura Venere che i Troiani allarrivo in Italia, loro destinazione finale, incontreranno soltanto uomini che vivono nelle selve, con una scarsa acculturazione tecnica anche nella guerra, per cui non sar difficile avere su di loro il sopravvento (cf. anche Godel 277). Nellinterpretazione vulgata belli inertes si riferisce ai pi antichi abitanti del Lazio e di Roma (Schtte 74) o dell Italia (Vahlen, L. Mueller 165) Ma questi abitanti, cos come gli Aborigeni del re Latino, saranno stati incontrati da Enea non prima del libro III del B. P. Inoltre per Strzelecki 17 Nevio non poteva rappresentare gli antichi abitanti del Lazio diversamente da Virgilio, Aen. 9. 603 ss., dove gli Italici sono un durum genus; Scevola Mariotti 38 obietta per che il verso si pu riferire al Lazio o allItalia di Saturno, mentre per Barchiesi 378 il carattere del biov e\pi Kronou proprio lignoranza [in-ers] delle arti (quella bellica inclusa), e quindi linesistenza delle citt e la vita nelle selve [silvicolae].

Strzelecki1 63 s. aveva per in precedenza ribattuto che nei poeti dell'et augustea gli uomini dellet di Saturno non sono visti come silvicolae, ma come viventi nelle citt. Iners tuttavia per Barchiesi 378 vale non tanto sine arte ma quanto privo di a\reth, per cui si oppone a fortis, o fortissimus vir, come sinonimo di ignavus o di imbellis.

Ma per noi potrebbe anche significare, se pensiamo che sia calco dal greco della koin, cio un calco dalla lingua duso, privi della conoscenza delle tecniche della guerra, perci non uguale a imbelli, ma senza il possesso delle tecniche di guerra che portavano da Troia Enea e compagni che sono il referente oppositivo dei belli inertes con la loro ars bellica18. Questo caso pu rientrare in quelli di bilinguismo in Nevio o lingue in contatto (Weinreich) con connessa sensibilizzazione ai calchi e al significante in genere. Si tratta in definitiva, e pi in generale, della cultura greca che passa, viene trasferita, in una lingua non ancora di cultura, ma comunque per unoperazione culturale, come il latino arcaico dellepoca di Nevio, e per di pi anche attraverso mediazioni linguistiche contemporanee come quelle del greco di Magna Grecia.

Nellambito di una possibile teoria del bilinguismo in Nevio e nel B. P. i calchi dal greco, o interferenza, toccano tutti gli ambiti linguistici e culturali, e viceversa do-

ve minore o nulla linterferenza associativa la lingua neviana latino-italica (cf.

Weinreich 105). C comunque da considerare un aspetto fondamentale: tutti i grecis-

mi neviani sono della lingua delluso dello scrittore come dei suoi ascoltatori, perch lingua scritta ma a destinazione orale, e quindi, lo ripetiamo per lennesima volta, con la possibilit di comprensione, anche minima, da parte del destinatario.

Il Danielino (fr. XVI) al v. 1, 170 dell'Eneide, dove si dice che Enea ripara in un

golfo della Libia con sette navi superstiti, commenta che diversamente in Nevio si diceva che Enea aveva unam navem fatta da Mercurio. Qui contrariamente a chi ha pensato che ad Enea in Nevio fosse rimasta una sola nave, credo che bisogna intendere che soltanto la nave di Enea era stata fatta da Mercurio (vd. anche Klussmann 43 e Strzelecki2 XXIV s.), dal momento che tutte le azioni militari successive presuppongono molti pi uomini trasportati da pi navi.

Quanto al fr. XVII, sembra alla fine che il peggio sia passato, con lallocuzione di Anchise ai compagni, finita la spaventosa tempesta, e con il fr. XVIII la scena cambia del tutto ed ormai Cartagine la prima duratura tappa del lungo viaggio. Con i frammenti XIX-XXI, con i quali si conclude il libro primo, potrebbe alludersi alla descrizione del banchetto dato ai Troiani dalla regina Didone (il fr. XIX stato opportunamente confrontato da Kunz 13 con Omero, G 247-248: krhth%ra faeinon cruseia kupella), e alle vesti di questa, mentre con il fr. XXII siamo ormai nel II libro, se accettiamo uno dei dati di alcune centinaia di codd. di Prisciano. Comunque anche la eventuale assegnazione al I libro (cf. Barchiesi 483 s.), come in molte altre centinaia di codd., non cambierebbe la sostanza delle cose.

Il fr. dai pi, gi dall'800 (cf. Klussmann 50), riferito alla persona di Enea che, dopo aver attraversato tante vicissitudini, grazie alla dea Fortuna si nello spirito acquietato. Ma c stato chi come il Marmorale 247 dice che "in questo fr. , con molta probabilit, il responso favorevole dato dalla Sibilla ad Enea"19, in ci seguendo il Baehrens, ma il soggetto chiaramente la Fortuna e non la Sibilla, e inoltre con questa ci verremmo a trovare nel III libro, anche se Marmorale non esclude, con Alfonsi rec. alla sua I ed. in "Dioniso" 10, 1947, 322 (10 dell'estr.), che la persona in oggetto possa essere Didone.

Nel fr. XXII compare per la seconda volta il lessema mens anche qui in associazione alla fortuna. A me sembra che qui il soggetto agente sia personificato, e che si tratti appunto della dea Fortuna e non della fortuna come caso o il buon andamento (effettivo) delle cose (Mariotti 97: cf. anche Barchiesi 484 s.). Del resto il culto della dea Fortuna risale gi all'epoca della monarchia, con Anco Marzio che per primo a lei dedic un tempio (Plut. de fort. Rom. 5). Quanto alla mens, se pu essere o diventare "quieta" oppure no, non una struttura statica ma ontologicamente dinamica, qualcosa che organizza razionalmente il pensiero, ne pure il deposito, ma anche soggetta alle passioni. Prisciano parte nel tramandare il fr. da inquies come negativo di quies (simplex in usu), per cui possiamo rilevare gli aspetti dinamici anche nella connotazione.

E' peraltro da notare che proprio in questi anni in cui Nevio scrive il B. P., nell'anno 217 a. C., dopo la clades del lago Trasimeno del mese di giugno si decise che venissero votate "aedes Veneri Erucinae ac Menti", come annota Tito Livio a XXII. 9. 10, per cui "Menti aedem T. Otacilius praetor uouit", l. c. 10. 10, un passo fondamentale per Mens. Poco prima, nello stesso paragrafo Livio scrive: "Veneri Erucinae aedem Q. Fabius Maximus dictator uouit, quia ita ex fatalibus libris (scil. quelli sibillini) editum erat, ut is uoueret cuius maximum imperium in ciuitate esset"20. Questo il commento di Pastorino 41 al passo liviano: "Alla Venere di Erice i libri sibillini associano una divinit astratta, Mens che sarebbe la riflessione e il giudizio, contrari alla folle temerit. Mens sarebbe, cio, quello che mancato al con-sole Flaminio [lo sconfitto del Trasimeno], ma che proprio di Quinto Fabio Massimo". E c' di pi, perch per Schilling 252 poich i libri sibillini citano prima la Venere di Erice e poi Mens, e con questa si deve intendere la saggezza di Enea, il figlio della dea, c' quindi il seguire, da parte di quelli, un ovvio ordine di importanza fra le due divinit.

Al riguardo inoltre importante il discorso di Mello sul culto della Mens Bona la cui origine latino-italica, anche se compare soprattutto in ambiente magnogreco, in particolare a Paestum, e si pu insistere sulla drammaticit di questa opposizione po-

lare, razionalit (mens che si divinizza e si promette in voto e le si erige un tempio) vs. caso, che in quest'epoca di scontri sanguinosi e di cocenti sconfitte contro il Poenus sembra segnare la storia contemporanea a Nevio. Come ha scritto Mello 56 "fior cos il culto di Mens in relazione all' amentia che si attribu allo sconfitto C. Flaminio e nella quale si volle riconoscere la causa essenziale della disfatta".

La divinizzazione di Mens a sua volta connotata come Bona, in opposizione a una mens mala che si rifiuta e si vuole respinta dallo spazio umano. Anche per il rapporto mens fortuna non mi sembra ci sia qualche precedente culturale greco a partire da tuch , per cui si pu evidenziare la novit dell'antropologia di Nevio della quale l'autore portatore e nello stesso tempo prodotto. La concettualizzazione di mens non trova, infatti, un precedente, anche linguistico, immediato in greco. Cos come la divinizzazione di Mens in quest'epoca una specificit del mondo culturale e religioso latino, come con estrema attenzione ha evidenziato Mello.

Ci siamo indugiati nella ricostruzione storica di questi aspetti, coevi al momento della composizione del B. P., per chiarire maggiormente il suo sostrato linguistico, culturale, religioso e in definitiva antropologico, e nel caso specifico del fr. XXII la verisimiglianza che il personaggio in questione sia Enea, figlio appunto di Venere, la mens del quale stata quietata21 dalla Fortuna.

Quanto al fr. XXIII ha avuto una quache fortuna l'ipotesi, gi molto diffusa nell' 800, del Leo1 82 in n. 8 come quella che l'interrogante sia un ospite italico di Enea (cf. anche Serrao 521 ss.), ma oggi si per lo pi concordi nell'individuare Didone nel soggetto che interroga Enea (vd. in particolare tutta la discussione in Paratore 224 ss.), con un linguaggio dove blande anche per noi da assorbire piuttosto nel linguaggio sacrale, e complessivamente nella semantica della preghiera, senza pensare a linguaggio letterario, come ha mirabilmente chiosato Barchiesi 480 richiamando a giusta ragione il passo di Orazio, ep. II. 1. 134-5 "poscit opem chorus docta prece blandus", che trova un precedente nel blanda uoce uocabam di Ennio Ann. 51 Flores, citato da Mariotti 34 in n. 24.

Con i frr. XXIV-XXVII solitamente (cf. Leo1 81 in nt. 4) si pensato ad un Concilio degli di di tipo cosmico per decidere del futuro dei Troiani e di Cartagine, e, contro le obiezioni di Mariotti 96 (non verosimile la partecipazione a concili di una divinit infernale come Proserpina), valgono anche per noi le decisive considerazioni di tipo storico-religioso e documentario di Barchiesi 424 ss., n in verit si vede come tutto landamento dei frr., nel caso contrario ad un concilio, possa accordarsi con uneventuale kfrasis rappresentata in qualche altra parte del poema.

Ai due frr. tradizionali attribuiti a questo concilio se ne sono aggiunti altri due, frr. XXV e XXVII, quello su Dite recuperato brillantemente da Barchiesi1 e dalla sua ed., e quello su Diana ripescato dallo Strzelecki3 65-68 sulla base di uneccezionale testimonianza di Macrobio e alla rivalutazione fattane dal probo studioso tedesco Fleckeisen nel lontano 1861, quasi completamente ignorata per circa un secolo.

E interessante nel fr. XXVI il sovraccarico di epiteti di Apollo contro luso precedente omerico e successivo (virgiliano) a Nevio, per cui gli epiteti erano al massimo due. Barchiesi 433 ss., in una perfetta illustrazione del fr., ricorda gli epiteti della preghiera e anche gli esempi poetici di latino arcaico. Il procedimento in Nevio per sospensione, per cui il nome del dio viene alla fine, e la paratassi, tutto ci conferma loralit della tecnica, meglio: una tecnica che lavora su materiali destinati alloralit e su materiali che sono gi di per s orali, perch gli attributi del dio cos numerosi sono della lingua delluso sacrale, litanie ecc. La esatta comprensione di questi frammenti va, ancora una volta, affidata pi che al mero confronto con la grande cultura greca, confinandoli in una lettura direzionata sul letterario, ad una ricostruzione di categorie linguistiche e antropologiche contemporanee a Nevio che li immetta in un contesto di cultura orale piuttosto che di tradizione letteraria. Qui analisi linguistica e analisi antropologica sono le facce della stessa medaglia.

Questi frr., comunque, riguarderebbero ancora il II libro. Dai frr. XXVIII e seguenti si ricava che i Troiani sono giunti in Italia, sulla costa campana, e ci troviamo pertanto nel III libro. Con il fr. XXVIII, scoperto dal Savage nel 1925, tra gli scoli inediti di un manoscritto parigino di Virgilio, si tratta della figura di Anchise al quale secondo Nevio Venere aveva dato dei libri futura continentes. Come ho messo in rilievo in Flores3 132, Anchise perci un conoscitore del libro del futuro, un libro che non tanto una metafora quanto la materialit di uolumina contenenti profezie, che per lepoca in cui Nevio scrive hanno richiamato i libri Sibyllini che tanta importanza ebbero in Roma nel periodo della II guerra punica, come sappiamo da Tito Livio. Il poeta a composizione scritta Nevio, nellaffidare alla destinazione orale del suo pubblico il testo scritto del B. P., costruisce la storia di un lontanissimo passato dei Romani proiettando in esso la funzione primaria che il testo scritto era venuto assumendo, per i poeti in lingua latina negli ultimi decenni, ma nella cultura latina da tempo immemorabile I libri che contengono il futuro, affidati ad Anchise da Venere, fanno rientrare Anchise e le origini pi antiche dei Romani in una civilt della scrittura venuta nel Lazio insieme con i Troiani.

Il fr. in base allo scolio, e al passo virgiliano cui si riferisce, riguarda lapprodo, in Nevio, di Anchise ed i suoi in Italia, destinata ad essere la fine delle loro peregrinazioni. Seguono il frammento sulla Sibilla Cimmeria, o cumana (per il quale vd. Flores3 103-118, in part. 108 dove ricordato, come gi in parte Spangenberg 192, Ps.-Aurelius Victor, Or. gent. Rom. 10. 1, dipendente in modo indiretto da Nevio, per Enea venuto a chiedere de statu fortunarum suarum), quello su Procida, e quelli con i successivi preparativi per la fondazione di Lavinio, in particolare il fr. XXXI che, a torto condiderato da taluni, come Buechner e Blnsdorf, di opera neviana incerta, per me chiarisce un aspetto del culto quale appare nel fr. XXXIV sulla fondazione di Lavinio (i vasi sacri sulla mensa dei Penati) e infine il fr. XXXII.

In questultimo, praedicit castus viene solitamente riferito allastinenza dal cibo, in realt in due epigrafi di et allincica di fine III sec. e inizio di II a. Cr. castus si riferisce allastinenza sessuale, probabilmente da una puerpera: esse sono CIL I2 360 P. Rutilius M. F. | Iunonei Loucina | dedit meretod | Diouos castud dove castud sta per castum con caduta di m ed ipercorrettismo con d; CIL I2 361 Iunone Loucinai | Diouis castud facitud. Il saturnio neviano che a mio avviso riguarda lattivit sacerdotale di Anchise, chiaramente riportato da Nonio in una forma linguistica modernizzata, potrebbe nascondere, dietro lerroneo diuas dei mss., la correzione dinas dovuta al Leo 39 in n. 3 in base, erratamente, a Pl. Truc. 30722 (da lui stesso ricostruito, non saprei con quanto fondamento, con dinarum contro duarum dei codd., da Lindsay peraltro nelled. oxoniense respinto), ma potrebe finanche nascondere, a mio avviso, loriginario Diouos = Iouis, la divinit che impone le astinenze sessuali in onore di Giunone Lucina.

Per il fr. XXXIII da segnalare che la forma Lucetium, come epiteto per Giove, e attribuita a Nevio da Gellio trova un esatto corrispettivo nel Carmen Saliare come tramandato da Macrobio Sat. I. 15. 14. Il problema per nasce dal fatto che la testimonianza di Terenzio Scauro, del II sec. d. Cr., per il Carmen d la forma Leucesie che appare ben pi arcaica della prima. Come ha scritto Barchiesi 541 Lorigine osca dellepiteto ci ricorda che Nevio era certamente campano, come osserva il Latte nellarticolo (RE XIII I, 1926, col. 1613) a cui si pu rinviare per una prima indicazione (e per il rapporto col Leucesie del frammento Saliare). Quanto al presunto oschismo per Lucetium, accreditato gi in antico da Seru. ad Aen. 9. 567 Lucetium solum hoc nomen est (perch in Virgilio nome proprio di persona), quod dictum a Vergilio in nullo alio reperitur auctore. sane lingua Osca Lucetius est Iuppiter, dictus a luce, esso era stato gi dimostrato falso da Enrico Cocchia 279-80 nel lontano 1924, e questo sgombra il campo dallipotesi che il termine in quanto osco potesse essere stato scritto dal poeta campano. Sul termine sono pi di recente tornati i linguisti Durante 199 che lo data allVIII-VII sec., e ritiene che il testo del carme ha subito interventi intesi a latinizzare caratteri sabino-italici, e Peruzzi 77 nt. 65 per il quale Leucesie potrebbe avere la sua fonte in Samotracia, da cui provenivano i salii. Per quel che mi riguarda non escludo che Nevio possa aver scritto Leucesium e non la forma pi recente, poi impostasi nella tradizione grammaticale da Gellio in poi. C poi la fondazione di Lavinio ad opera di Anchise (fr. XXXIV, su cui Flores3 119-133). Questi un rex augur, che nel nostro fr. si appresta a compiere sacrifici per i Penati i quali, a causa della loro solennit e per il modo descritto, fanno propendere per un tipo di cerimonia pubblica che si svolge allaperto, con un rito dellimmolare che ricollega alle Vestali e al connesso culto dei Penati a Lavinio. Dietro il gesto lento e grave di Anchise, in questo caso quasi un rex sacrorum, tratteggiaato quindi un rituale ed un culto romano coevo a Nevio, qui adattato per descrivere una cerimonia che appunto quella della fondazione di Lavinio, con la dedica ai Penati venuti da Troia: si veda per tutto ci anche Varrone, de l. L. 5. 144 oppidum quod primum conditum in Latio stirpis Romanae Lauinium: nam ibi dii Penates nostri.

Quanto al fr. XXXV Mariotti 70 ha scritto: Nevio inizia invece (scil. col v. 40) una nuova frase in asindeto, ripetendo con enfasi nome e titolo dellalto personag-gio, e infatti manus supplito, a torto, fin dallo Stephanus, si pu sottintendere e va senzaltro salvato isque della tr. ms. Anche importante il passaggio dal perfetto allimperfetto, per il quale ultimo Mariotti ricorda casi anche in Nevio ed Ennio, e in analogo contesto di descrizioni di scene religiose.

Qui la difesa del testo tradito e linterpretazione di Mariotti vanno benissimo con loralit, e da essa sono perfettamente motivate, nel senso appunto che si presuppone un ascoltatore, per cui la ripresa dopo isque, e al verso successivo, con titolo e nome del re Amulio, si spiega nel quadro della recitazione orale, e in esso si deve intendere il manus sottinteso a suas grazie al gesticolare di chi recitava il poema, fosse lAutore stesso o un altro attore. C sempre un doppio livello in questepica ancora legata alloralit, quello dellaedo o recitatore che narra, e quello dei suoi personaggi che parlano o gestiscono, e col gesto o con lo sguardo, poich non cera la maschera come nelle espressioni teatrali tragiche o comiche, alludono e sottintendono (cf. Flores3 140 e leccezionale Bertolini 146 ss.).

Ancora a questo libro III appartengono i 3 frr. riguardanti le vicende fino alla fondazione di Roma ad opera di Romolo, nipote di Enea per parte della figlia.

Nel fr. XXXVIII, Balatium usato da Nevio per Palatium sarebbe per Mariotti 65 un falso arcaismo, una ricostruzione appunto di Nevio, il che non credo, poich respingo gli arcaismi intenzionali in questi primi scrittori, e meno che mai penserei che Nevio abbia voluto crearne uno del tutto falso. Si sar trattato per Balatium di una forma popolare dellepoca di Nevio.

Dal IV libro in poi seguo per lo pi, salvo contrario avviso, l'ordine dei frr. dato da Morel che per questa parte storica si basava, giustamente, soprattutto sul Cichorius. Per il fr. XXXIX va innanzi tutto ristabilita (Flores3 143 s.) la lezione concorde dei mss. proicerent, contro tutte le presunte correzioni, o meglio corruzioni, dallUmanesimo in poi, avanzate a causa della totale incomprensione del verso.

Secondo Mariotti 102, infatti, il fr. XXXIX appartenente probabilmente allinizio del IV libro, se non alla fine del III, data lincertezza dei codd. di Nonio che lo tramandano, uno dei frammenti pi oscuri perch incerto se atrocia valga cruda, come vorrebbe Nonio, o piuttosto infausta. In effetti (Flores3 145) ricerche linguistiche anche recenti hanno dimostrato lo stretto rapporto, anche etimologico, di crudus con cruor e il crudus in definitiva connesso a ci che ancora sanguinante. Vittore Pisani aveva a sua volta fatto nel 1935 il passo decisivo, mettendo in connessione atrox allarcaico *aser = sangue, per cui atrox = che ha aspetto di sangue, sanguinolento, e quindi crudo . Inoltre in Tito Livio crudus compare soltanto nella iunctura cruda exta di 29. 27. 5 che, caesa uictima, Scipione Africano in mare proiecit al momento della partenza per lAfrica, nel 204. a. Cr. Come ho scritto in passato (Flores3 147), nel verso neviano il gettare a mare (proicerent), da parte dei ministri del sacrificio, le viscere della vittima appena uccisa (atrocia exta), si riferiva probabilmente a un atto sacrificale compiuto dal comandante di una spedizione nel momento (simul) che si apprestava a mettersi per mare. Il passo era incluso nellinizio della parte storica, in base alla trad. ms., e quindi poteva essere relativo alla spedizione di C. Duilio del 260.

Come in tanti altri frr. anche nel fr. XL vi uno stretto rapporto fra il testo trdito, e le varie interpretazioni che se ne danno, fino a cercare nuove soluzioni attraverso la modifica del testo. Qui il problema linterpretazione di uirum e il valore da dare a praetor. Per Mariotti 67 uirum giustamente da intendere come uirorum e praetor nel senso arcaico di facente funzione di consul (cf. Varro de l. L. V 87 praetor dictus qui praeiret exercitui) = capo dellesercito. Del resto Cichorius 33 aveva identificato negli avvenimenti del 260 a. Cr. il caso di un praetor che fu messo a capo dellesercito a causa dellimpedimento dei due consoli, luno fatto prigioniero e laltro a capo della flotta (per limportanza, comunque, del praetor nella Roma arcaica si veda Dumzil 109). In favore dellinterpretazione di Mariotti valgano anche queste mie considerazioni. Nevio era campano di Capua, e qui fino allabolizione del municipio nel 211 a. C. il potere supremo e leponimia sono detenuti da un praetor Campanus unico (Liv. 23. 7), interpretatio latina del titolo epicorio di meddss tvtiks kapvans [= praetor publicus Capuanus per Vetter 80] attestato nelle iscrizioni (Letta 38). Nevio qui potrebbe aver dinanzi il modello contemporaneo della sua Capua. Tutto ci comporta che nel fr. il praetor potrebbe essere appunto un meddss capuano alla testa di truppe ausiliarie romane, fra le quali militava lo stesso Nevio. Cichorius 33 comunque assegna il fr. allanno 260. Quanto all auspicat auspicium prosperum vorrei segnalare la voce auspicium della P.W.R.E. c. 2580 (Stuttgart 1896) dove lo stesso G. Wissowa parla a giusta ragione di signa impetrativa e si veda anche Catalano 79 ss. e passim.

Per il fr. XLI, considerato dai pi recenti studiosi quali Mariotti 138 s., Barchiesi 532, Buechner e Blnsdorf, di autore incerto, ma gi da Cichorius 33 ss., Morel, Altheim 4 ss., Strzelecki1 73, attribuito con qualche fondamento, a nostro avviso, a Nevio, c solo il problema dellattribuzione della corona navale a C. Atilius Sarranus dopo la battaglia navale di Mylae nel 260 a. Cr., come voleva appunto il Cichorius, che aveva contribuito a ricostruire il passo di Nevio, o come sosteneva lAltheim M. Atilius Regulus nel 256 o ancora A. Atilius Calatinus nel giro degli stessi anni.

Nel fr. XLII il termine neutro Samnite, scil. probabilmente uolgus, coniato a dire di Prisciano da Nevio, ha fatto pensare al Cichorius 36 s., sulla base di Orosio 4. 7. 12 e Zonara 8. 11. 8, ad un episodio del 259 a. Cr. in cui a Roma ci fu un complotto di 3.000 schiavi e 4.000 socii nauales che erano per Zonara appunto Sauni%tai (sic), Sanniti.

Per il fr. XLIII, che si riferisce alla spedizione a Malta del console C. Atilius Regulus nel 257 a. Cr., vd. Mariotti 72 nt. 46 per la difesa di exercitus contro Vahlen e in polemica con Leo 39 in nt. 5, costituendo cos il fr. su due saturni e mezzo. Quanto a Barchiesi 236, che riduce il frammento a due saturni dopo aver espunto exercitus, li considera stilisticamente elaborati: allitterazione, omeoteleuto, paratassi asindetica sono impiegati in funzione di un determinato effetto; la scelta e la collocazione delle parole non casuale [] e qui vuole contribuire a dare il senso incalzante degli avvenimenti, il piombare e il dilagare di una violenza rapida e incontrastata. Non saprei quanto sia storica questa moderna lettura del frammento tutta giocata a partire dai nostri valori estetici. Vorrei tuttavia sottolineare, ancora una volta, che, se di s t i l e si tratta, era in sostanza lo stile di tutta una tradizione di carmina latino-italici, epicizzanti o religiosi che fossero, e direi di tutta una lingua di c u l t u r a o r a l e nel suo complesso (allitterazioni, omeoteleuto ecc.: si veda Durante 203 per il Carme Saliare). Quanto poi al trikwlon di termini sinonimici urit, populatur, uastat Barchiesi 240 (come gi Mariotti 72 in nt. 46) ricorda giustamente il saturnio tramandato dallo Ps.-Cesio Basso VI 265. 28-29 = 10. 16-17 Keil1: fundit fugat prosternit maximas legiones come appartenente alle tabulae triumphales, in particolare quella di Acilio Glabrione per il trionfo del 190 a. Cr., per il quale saturnio vorrei ricordare anche Liv. 1. 10 exercitum fundit fugatque, che dimostra come siffatti nessi allitteranti avevano una tradizione e una vita linguistica antica e duratura.

Il richiamo di Barchiesi, ed altri consimili che si possono addurre per Nevio o per altre testimonianze arcaiche, dimostra, dopo tutto, quanto la lingua dellepos neviano fosse inserita in una tradizione linguistica data, rispetto alla quale abbastanza impervio definire gli scarti individuali, nel caso neviani, per meglio caratterizzarne un suo presunto stile. Per il quale ultimo, stante la scarsezza documentaria, ogni ipotesi del tutto indiziaria, e con il rischio di partenza di assegnare al poeta categorie estetiche, di giudizio, di intenzionalit, di selezione, ecc., non si sa poi fino a che punto del critico moderno piuttosto che del poeta latino-arcaico, per cui Barchiesi 337 giudica un Nevio creatore di tradizione piuttosto che determinato dalla tradizione.

Per tutto questo discorso sulle strutture di iterazione, non ci stancheremo di ripeterlo, bisogna tener conto di una lingua orale riversata nella scrittura ma con destinatario orale e di massa23. Meno che mai si tratta di una ripresa da una lingua di cultura (Omero, epica postomerica in generale, per cui vd. Havelock passim e Gentili 30 ss.), di procedimenti che vengono perci adottati in unaltra lingua, tuttora ad un livello dislocato a ben diversa altezza. Qualcosa del genere soltanto antistorico il supporlo. Sono invece quelli della ripetizione, cos come altri aspetti tecnici che stiamo illustrando, tipici procedimenti di una lingua a destinazione orale, che affida alla memorizzazione, e quindi alle tecniche ad essa connesse, la sua sopravvivenza nello spazio e nel tempo. Al momento del trapasso dalloralit alla scrittura tali procedimenti vengono fedelmente registrati attraverso la letterale trascrizione dal testo orale: vedi per es. le Tabulae Iguvinae per lumbro e le formule dei carmina cos conservatesi anche nei testi scritti. Se quindi c qualcosa di meccanico nellautore di un testo ormai scritto proprio questa strutturazione di base che Nevio,

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23 Riprendo qui quanto detto in Flores1 36 in nt. 15: Che il B. P. avesse un destinatario di massa abbastanza scontato per S. A. Osrov in Vestnik Moscovskogo Universiteta I, 1958, 131 ss.: contro una tale ricostruzione invece Barchiesi 232, al quale replica Paratore1 131 e nt. 42, difendendo la possibilit di una diffusione di massa con ulteriori osservazioni.

cos come Andronico, derivano dalla tradizione di cultura orale latino-italica, e nella quale calano i nuovi contenuti di cultura. Infine, per quel che riguarda il termine concinnat, su cui vd. Mariotti 143 ss., esso appartiene a mio avviso alla lingua delluso marinaro (= stiva), da qui tutti i fraintendimenti nati.

Da un punto di vista linguistico direi che la scarsa fortuna successiva dellepos neviano in saturni fu dovuta proprio allestremo condizionamento della tradizione che

continua con Nevio ma si interrompe, e abbastanza nettamente, gi con Ennio, o almeno assume in questultimo forme cos innovative da far battere laccento su queste pi che sul resto della tradizione latino-italica arcaica, in Ennio peraltro pure presente (cf. Flores2 61 ss.). Quanto al fr. XLIV, soltanto un frustolo, apparteneva a un contesto chiaramente cultuale, ed tradito da Nonio per la forma arcaica danunt, in alternativa a quella innovativa dant, che compariva anche in Plauto, Pacuvio e Cecilio Stazio. Barchiesi 534 sottolinea che danunt nella sede riservata (secondo la nota tesi di Jacobsohn) alle parole estranee alla lingua viva. Barchiesi ricorda anche che in Nevio il gnt. arcaico in -as compare in clausola e che appartengono allepos arcaico altre forme similari come nequinont (Liv. Andr. fr. 12 Flores: in clausola di primo colon) e, aggiungo: non sempre in clausola, prodinunt ad inizio di verso e redinunt forse in clausola (Ennio Ann. 161 e 511 Flores). Ma credo invece che allepoca di Nevio il gnt. in as e danunt fossero ancora vivi nella lingua delluso, coesistessero con le forme innovative in ai e dant, essendo ancora un momento di notevole fluidit di forme linguistiche, e quella innovativa non si ancora imposta in modo esclusivo e normalizzante sul piano morfologico.

C anche da dire che molte volte, nella tradizione manoscritta, la forma pi arcaica scomparsa a favore di quella innovativa, e per es. in Plauto se in Curc. 124 danunt correzione degli editori, escluso Lindsay, per dant attestato dalla tr. ms., in Rud. 1229, invece, il cod. B, cio il Palatinus Vaticanus 1615, ha dant contro danunt dant CD, con la scriptura duplex e la correzione che ha la forma innovativa (cf. ed. del Leo, Berolini 1896), quindi c stato anche in Plauto, come in tutti i testi latino-arcaici, un progressivo ringiovanimento del testo. E c di pi, perch ancora intorno al 150 a. Cr. in una epigrafe di tipo cultuale, CIL I2 1531, compare la forma danunt: donu danunt Hercolei maxsume mereto, testo che per Warmington IV, pp. 82-83, sarebbe un saturnio (vd. anche Kruschwitz 116 ss.). In conclusione, la variet linguistica un carattere dominante nellepoca neviana. Dant e danunt convivono, e il fatto che dant prenda il sopravvento in sguito non deve per questo farci ritenere danunt gi arcaico al tempo di Nevio. Il testo plautino, dove per lo pi maggiormente affermata la forma innovativa, che poi si affermer definitivamente, rispetto a quella tradizionale, non pu essere addotto in pro di un arcaismo di forme gi tale allepoca di Nevio. E ci anche per due ottime ragioni: a) le frequenze maggiormente attestate per la forma innovativa sono basate sul testo di Plauto che, almeno nel canone varroniano, si conservato pressoch integralmente, mentre del testo neviano, o di altri testi contemporanei, sono sopravvissuti soltanto dei relitti. Il calcolo delle frequenze, per le forme innovative e no, quindi falsato in partenza, perch basato sul testo portatore delle frequenze innovative e senza possibilit di riscontro di tali frequenze sugli altri testi coevi, soprattutto, in questo caso, su Nevio e in particolare il B. P. b) Lo stesso testo plautino, dal quale si ricavano le pi alte frequenze per la forma innovativa (dant contro danunt), deve esser assai spesso sospettato di modernizzazione delle forme pi tradizionali e ancora di epoca plautina. Poich il testo di Plauto fu continuamente ripreso in teatro, e per un periodo di tempo molto esteso, possiamo dire con certezza che molte forme pi arcaiche vennero ringiovanite per rendere il testo comprensibile agli spettatori del tempo posteriore a Plauto. Gli stessi ardui problemi di prosodia e metrica plautine, talora non facilmente risolvibili, spesso possono essere stati originati da modernizzazioni delle forme linguistiche (su tutta questa materia cf. Questa 98 ss.).

E quindi metodologicamente pi corretto assumere almeno un atteggiamento di prudente sospensione del giudizio in ordine alla arcaicit, sentita come tale, della forma danunt gi allepoca di Nevio, contro la forma dant in modo presuntivo affermatasi definitivamente gi in questepoca. Da qui poi a trarne tutte le implica-zioni di ordine estetico relative alluso della lingua presuntivamente arcaica da parte di Nevio, per ricavarne effetti espressivi, di sottolineatura di particolari contenuti, se il passo stato breve per i critici, si tratta ora di vederne chiaramente lincon-sistenza e infondatezza di partenza. Direi che in ordine alla presenza in Nevio di diverse stratificazioni della lingua delluso, ivi incluse le alternanze morfologiche, possiamo sostenere soltanto questo: le distinte tipologie di tale lingua, risalenti a distinte tradizioni di lingua duso, sono linguisticamente e intrinsecamente funzionali appunto a diversi ambiti e contesti, a diversi contenuti insomma. Se prevalgono quelli cultuali allora prevarr una lingua duso cultuale, e cos via.

Di questo soltanto mi sembra si possa dire che Nevio fosse consapevole, e non certo di una ricerca di effetti, che categoria del tutto moderna. E quello di Nevio un funzionalismo non tanto ricercato programmaticamente, quanto dettato dalla forza della lingua delluso nei singoli ambiti di cultura, e ci in termini anche strettamente antropologici.

E in sostanza proprio questa la variet linguistica coeva, cio di differenti livelli di lingua duso, persino di differenti morfologie ancora vive e contemporanea-mente compresenti. Soltanto quando le strutture materiali, che poi significa essenzial-mente economiche, ideologiche e culturali della societ romana tendono a unificare, in qualche misura, i differenti livelli, a selezionare e poi imporre una lingua di cultura stabile e normalizzata, si potr parlare di uso intenzionale di forme arcaiche o di forme moderne. Ma siamo gi, e di molto, al dopo Ennio. A proposito del fr. XLV Barchiesi 403 ha scritto: appare sintomatico che vicissatim ricorra una sola volta in Plauto (se si trascura Poen. prol. 46, di autenticit discussa), e per giunta in un passo di violenta espressivit, rilevata anche dallallitterazione: Stich. 532 nos potius oneremus nosmet vicissatim voluptatibus... Leccezionalit di questuso risulta evidente dal contrasto con i sedici esempi plautini di uicissim, che la forma classica dellavverbio... Se ne pu concludere che la forma in -atim era gi estranea al parlato quotidiano al tempo del Bellum Poenicum, e poteva contribuire con una certa nobilt arcaica a sottolineare un effetto, fosse esso serio o comico.

Stesso discorso da farsi, per Barchiesi, per contemptim del fr. XLIX (vd. infra), ma allo studioso si pu rispondere che proprio il passo di Poen. prol. 46 autentico o no che sia (se non autentico addirittura della met del II sec. a. Cr., cio di una ripresa teatrale) dimostra che in Plauto c una tendenza a privilegiare nelluso uicissim rispetto a uicissatim, e non che questultimo fosse ormai arcaico allepoca dello Stichus, cio nel 200 a. Cr. Che uicissatim abbia vita meno lunga di uicissim un dato di fatto, ma che su queste basi si possa sostenere che era gi estraneo al parlato allepoca di Nevio non ritengo si sia autorizzati a pensarlo.

La tesi degli arcaismi neviani, ancora una volta, viziata com da considerazioni di ordine estetico moderno (nobilt arcaica per la ricerca di certi effetti), riguardo alla costruzione dello stile epico neviano, questa tesi si rivela improduttiva. E c infine da notare che stato probabilmente luso poetico ad affermare uicissim a scapito del troppo lungo uicissatim. Il saturnio neviano, comunque, sembrerebbe appartenere ad un discorso indiretto e, per concludere, quanto al problema delle frequenze nelle attestazioni, una frequenza pi bassa non significa necessariamente arcaismo.

Per quel che riguarda i frr. XLVI e XLVII ho parlato in Flores2 46-60 del lessico della violenza e la formazione dei valori che qui, ripetendomi, riassumo. Lattenzione della critica si soffermata a lungo su queste due coppie di saturni e, sul piano pi strettamente linguistico, su stupro/stuprum e loro contestualizzazione in un ambito di valori militari e civili, del tutto inconsueto rispetto a quello nel quale il termine vive la sua millenaria storia, con il valore di violenza sessuale, se non gi a partire da Plauto certo da unepoca non molto posteriore. Lo stuprum secondo i frammenti di Nevio colpirebbe, nel primo caso, le singole individualit dei soldati romani se tornassero presso i loro concittadini, dopo essere stati riscattati una volta arresisi al nemico; ancora lo stuprum, connotato di magnum, ricadrebbe nellaltro caso sul populus, lintera collettivit quindi, se questa abbandonasse alla loro sorte quei valorosi soldati, senza un intervento militare risolutore. Al limite, i due episodi, se riferentisi alle medesime vicende della resistenza vittoriosa (anche per i sopraggiunti rinforzi) di Clupea, nel 255 a. Cr., potrebbero essere anche collegati fra loro.

Il termine stuprum riguarda un campo semantico di non-valori, denota un rapporto illecito secondo la legge, civile o sacra che sia, e la moralit che questa impone (cf. Flores2 49 ss.). Il trapasso quindi, come nel primo dei frammenti neviani, ad unassolutizzazione di questo non-valore (stuprum) riferita a soldati sconfitti, fatti prigionieri e poi riscattati, pi comprensibile. E il discorso vale anche per laltro frammento neviano.

Il passaggio dal significato di stuprum come violazione di una norma giuridica (illecito rapporto) a quello di violazione di una norma etica (disonore militare o civile) si pu registrare in un corso di anni ben identificabile (cf. Flores2 l. c.): dal 218 in poi, epoca della composizione del B. P. neviano, in effetti gli stessi anni per i quali ci attestata la presenza di stuprum con il primo significato.

Si pu, a questo punto, tracciare una linea pi definita per stuprum che nei quattro passi, di Appio (qui aequi corr. Baehrens- animi conpotem esse, nequid fraudis stuprique ferocia pariat), nel Nelei carmen (foede stupreque castigor cotidie), ambedue tramandati da Festo nel passo in oggetto (418. 8 ss. Lindsay), e in Nevio sembra rientrare sempre e soltanto nei confini della Umgangssprache. Si tratta di uno stuprum in passato come violenza fisica, materiale, non ancora sessuale, come in Appio e nel Nelei carmen, e invece in Nevio si tratta della violazione di una norma di comportamento, etica in senso lato (la legge dell onore militare o civile), che comporta un valore negativo per chi la compie (un disonore).

La prassi del riscatto dei prigionieri di guerra non fu sconosciuta antecedente-mente al 216 a. Cr., fu per respinta in quellanno, stando a Livio 22. 61 e a Polibio 6. 58, con argomenti anche ideologici, cos come durissima fu anche la condizione successiva di quei combattenti di Canne salvatisi con la fuga, a causa della posizione del senato nei loro confronti ancora negli anni seguenti (Livio 25. 5-7).

Verrebbe fatto di pensare che Nevio, scrivendo della I guerra punica in questi primi anni di drammatiche sconfitte romane nella II, abbia avuto locchio al presente, sia stato in qualche modo sollecitato dal seguito convulso degli avvenimenti contemporanei. Non siamo perci daccordo con Barchiesi 443, sul fatto che come documento spirituale e formale, il testo (scil. del primo frg. neviano) consente, e quasi consiglia, una lettura che astragga dalloccasione contingente: parole di un insigne studioso di Nevio, attento peraltro a tante interrelazioni fra testo neviano e storia, in questultimo caso per concedente di nuovo credito, forse involon-tariamente, ad unastrazione di letttura che ha di continuo perseguitato i testi frammentari in generale, e i frammenti neviani in particolare24.

(Aver astoricamente ipostatizzato tanta letteratura frammentaria del mondo antico ha, fra laltro, contribuito al formarsi di deteriori ideologie del classico, oscurando, o impedendo, la ricostruzione - o almeno il tentativo di ricostruzione, seppure con tutti i limiti che ci comporta, anche per lo stato delle fonti - dei vettori semantici, ideologici ecc. di questa letteratura, un compito che per certa latinit arcaica ancora urgenza primaria).

Aver di mira il presente significava dire in quel fatidico 216 (o, al limite, negli anni immediatamente successivi) che, di fronte alla piega presa dalla guerra, con il susseguirsi dei disastri militari e con Annibale alle porte, non si sarebbero pi riscattati i propri soldati fatti prigionieri. Che o morissero sul posto o ritornassero a

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24 Borghini nel suo articolo, dedicato a Barchiesi, partendo da questo e da Mariotti scrive che questi, nel primo fr., cio 42 Morel = 46 Flores, vi riconoscono una tonalit epigrafica (p. 168), per cui pu parlare del tono epico, da un lato, e il registro ufficiale o epigrafico di riferimento (quello che crea lillusione dellobiettivit) (p. 169). Per la verit, non vedo nessun registro epigrafico, perch al solito il complesso della lingua duso che va piuttosto tenuto presente, nonch tutto ci che ho detto in Flores2 46-60. Larticolo di Borghini porta alla fine la data del 1976, anche se stato pubblicato nel 1979, e sembra essere proprio in polemica con me, pur se qua e l sembra tener conto del mio discorso senza peraltro citarmi.

In definitiva, il referente cos identificato (ilregistro epigrafico) tale per noi lettori moderni per i quali si sono salvate solo alcune coordinate del sistema linguistico dellepoca neviana. Il destinatario di massa di un testo scritto come il B. P., ma a destinazione orale, non aveva dinanzi referenti epigrafici, che presuppongono unalfabetizzazione di massa del tutto inesistente allepoca. Pi valido invece mi sembra il discorso di Borghini a proposito del movimento di ricomposizione dei milites nellambito dei popularis (p. 167).

casa vincitori, n cerano altre alternative. Proiettare tale situazione del presente nel passato della I guerra punica significava qualificare, anche per il presente, una prigio-

nia di guerra con susseguente riscatto come disonore, stuprum, come appunto nel primo frammento; ci non esimeva peraltro, il caso del secondo frammento neviano, dallandare in soccorso, avendone le forze, alle truppe momen-taneamente in difficolt, pena anche qui lessere colpiti da stuprum.

Se tutto ci vero, allora il segno stuprum viene a trovarsi, nellideologia ne-viana, al centro di un complesso sistema di significazioni: il reticolo a partire da un nucleo centrale in cui si agglutina il potere senatoriale e statale, e nel quale convivono e si scontrano anche opposte linee di intervento politico e militare relative allo scoppio della II guerra punica e sua posteriore conduzione. Sappiamo che Nevio non era, certo, schierato con i settori scipionici, pronti a cogliere o a creare loccasione per rinnovare lo scontro con Cartagine in funzione dellegemonia mediterranea, ma la vittoria del partito dellintervento e le successive sconfitte militari coinvolgono anche lopposizione interna nella difesa contro il cartaginese. Pur permanendo nel B. P. una polemica antioligarchica che prendeva a pretesto e a bersaglio protagonisti della I guerra punica per denunziare quelli della II, c tuttavia in Nevio una accettazione della guerra che da offensiva divenuta difensiva della res Romana, dellorganizza-zione statale romana.

Nessun interesse in Nevio, che pure era Campanus, nei confronti di progetti, alternativi a quello romano, di egemonia in Italia, quale questo che stava mettendo in piedi il carataginese con le defezioni degli alleati di Roma anche pi tradizionali. La produzione di valori e di ideologia non pu, quindi, essere direzionata nel testo neviano che verso la difesa dellegemonia romana, nei fatti verso il suo consolida-mento, anche se fino al termine della vita la lotta di Nevio contro gli Scipioni, il suo esilio ecc., mostrano che per il poeta quel progetto di egemonia doveva significare tuttaltro che unespansione oltre mare, un militarismo oltranzistico, e una gestione del potere in senso oligarchico e antipopolare.

Quanto ai frr. XLVIII e XLIX, pur essendo di un solo saturnio, sono stati tuttavia interessanti i vari tentativi di identificazione dei due personaggi soggetti dellazione descritta. Per il primo, da Nonio assegnato al VI libro, si tratterebbe di avvenimenti fra il 250 e il 246, per cui il Cichorius 43 ss. mostra con parecchio fondamento che sarebbe il console L. Metellus che nel 250 attir il Cartaginese sotto le mura di Panormo battendolo; per il secondo frammento sembra abbastanza pacifico per gli studiosi neviani, soprattutto dopo la ricostruzione di Cichorius 45 preceduto da von Scala25, che il console in questione quello del 249, P. Claudius Pulcher, che fu fra laltro responsabile della sconfitta navale di Drepano.

Dal confronto quasi letterale con Diodoro XXIV. 3 si ricava che questo console verso di ed uomini si comport in modo tale che u|peroptikov h& (= superbiter) kai katefronei pantwn (= contemptim). (Detto fra parentesi, qui Diodoro dipende da Filino ed probabile che anche Nevio conoscesse Filino, lo storico che fu un ufficiale greco, mercenario di Cartagine, e nella sua opera storica filocartaginese). C comunque anche un aspetto politico nelle parole di Nevio, in qualche misura antipatrizio, e forse anche del risentimento personale se vero che, come vuole lo stesso Cichorius, ci sarebbe stata da parte di Nevio una esperienza diretta della superbia di Claudio Pulcro, avendo il poeta militato fra i socii romani, proprio quelli che il console Claudio Pulcro faceva bastonare. Quanto al termine contemptim secondo Eduard Fraenkel, in P.W.R.E., Supplbd. VI 638, anche qui si tratterebbe di un arcaismo intenzionale di Nevio e confronta Plauto, Poen. 537 ne nos contemptim conteras. Non escluderei, come vuole Fraenkel, una imitazione plautina da Nevio, del discepolo e collaboratore dal maestro, ma penserei anche ad unespressione abbastanza comune contemptim conterere, con un nesso allitterante anchesso della lingua duso. Nel passo del Poen. 537 pu anche

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25 R. von Scala in Festschrift zur Wiener Philologen Versammlung, Innsbruck 1893: cito di ripor-to perch, nonostante le ricerche, risultato a me inaccessibile.

ammettersi che ci sia una imitazione, ma per questa via non possiamo sapere se contemptim arcaico o no gi allepoca di Nevio e Plauto, ma in Persa 547, pure addotto a confronto, Ut contemptim carnufex non c alcuna possibilit di imitazione da Nevio, bens si tratta di una lingua compresa dalle masse che andavano a teatro, quindi di una lingua duso comune: si veda come commenta Erich Woytek, nella sua edizione con Kommentar, Wien 1982, p. 343, lintera espressione: Affektische Elli-

pse eines verbum dicendi.

Per lo stile del frammento, accusato di essere cronaca in versi, valgono le considerazioni gi fatte per il fr. IV, alle quali si aggiunga che, come gi detto in Flores1 42, la struttura poetica del saturnio assolve in Nevio a funzioni che noi siamo soliti riferire anche alla prosa, che per allepoca in cui egli scrive non aveva ancora raggiunto un momento di autonoma configurazione, tale da porsi come decisa alternativa alla struttura poetica. In altri termini, Nevio aveva a disposizione unicamente lo strumento della struttura poetica e in questa, e solo in questa, poteva calare i contenuti pi diversi, compresa la cosiddetta cronaca, o il giudizio politico.

Per il fr. L la datazione dellepisodio storico cui si riferisce controversa (Barchiesi 408): per il Cichorius 46, con il confronto puntuale di Diodoro XXIV 1.7, ci si riferirebbe a navi da trasporto romane alla fonda nella rada di Finziade nellanno 249, tesi cui aderiscono sia Barchiesi che Marmorale 254. Laltra ipotesi, altrettanto suggestiva, stata av