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Un’analisi della Carta dei diritti universali del lavoro Cgil e una prima traccia verso un’ agenda comune di obiettivi programmatici per una nuova stagione di mobilitazione e conflitto

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Indice

pag. 3: Nuovo lavoro, nuovo welfare: per i diritti di tutte e tutti

pag. 7: Nuovo statuto delle lavoratrici e dei lavoratori: una scheda di analisi

pag. 7: Titolo I - Diritti fondamentali, tutele e garanzie di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori

pag. 14: Titolo II - Disciplina attuativa degli articoli 39 e 46 della Costituzione

pag. 16: Titolo III - Riforma dei contratti e dei rapporti di lavoro e disposizioni per l’effettiva tutela dei diritti

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Nuovo Lavoro, Nuovo WelfarePer i diritti di tutte e tutti

Un’analisi della Carta dei diritti universali del lavoro Cgil e una prima traccia verso un’ agenda comune di obiettivi programmatici per una nuova stagione di mobilitazione e conflitto.

La Cgil ha iniziato la consultazione degli iscritti sulla proposta di un Nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori: un documento molto importante che non soltanto include per la prima volta il lavoro autonomo non imprenditoriale, ma ambisce a riunificare l'intero mondo del lavoro attraverso una riscrittura complessiva del diritto del lavoro che poggia su due pilastri: l'affermazione di diritti e tutele universalmente validi e la definizione di una quadro di agibilità per la contrattazione che interviene a riequilibrare i rapporti di forza fra lavoro e impresa/committente.

Abbiamo realizzato questa scheda tecnica senza pretese divulgative, di approfondimento o di spiegazione esaustiva del dibattito sindacale e giuridico che sta dietro ogni articoli. Altri pareri più autorevoli possono svolgere queste funzioni molto meglio di noi. Intendiamo, invece, individuare quei punti cruciali del testo presentato dalla Cgil che meritano un confronto nel merito fra le riflessioni elaborate dentro il sindacato e quanto prodotto da altre realtà sociali di rappresentanza o di movimento, in particolare del mondo studentesco e del lavoro autonomo, atipico e precario, a partire dalla Carta del lavoro autonomo e indipendente della Coalizione 27 Febbraio. Non si tratta soltanto di emendare o implementare un testo di proposta, ma di tracciare le convergenze possibili sui punti programmatici di nuovi conflitti e di una nuova stagione di mobilitazione per l'estensione universali dei diritti e delle protezioni sociali, per redistribuire il potere dall'alto verso il basso della società, per il miglioramento delle condizioni materiali di tutte e tutti.

Questi i nostri punti centrali da cui pensiamo si debba partire, alla luce dei bisogni sociali più urgenti individuati nella nostra riflessione, e che costituiscono un’ulteriore opportunità di confronto e interlocuzione con la proposta della Cgil e con la progettualità che abbiamo contribuito a definire dentro la Coalizione 27 Febbraio. Soprattutto, rappresentano per noi i possibili punti di convergenza per individuare una strategia comune:

• ·Diritto all’istruzione e alla formazione: non ci rivolgiamo soltanto al disastrato sistema di diritto allo studio nella scuola pubblica e negli atenei. E’ necessario ragionare sul diritto alla formazione di chi lavora in carriere sempre più condizionate dall’aggiornamento e dall’innovazione tecnologica. Questo riguarda in primo luogo i “knowledge workers”, il lavoro cognitivo ed intellettuale, ma è una realtà che coinvolge settori crescenti di produzione e mestieri. Rilanciare e attualizzare la battaglia storica per le 150 ore e sancire la

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necessità di una strategia pubblica e inclusiva sulla formazione continua risultano elementi centrali per contrastare la privatizzazione – sempre più onerosa in termini economici – dell’aggiornamento professionale e l’impossibilità materiale di acquisire nuove conoscenze e nuovi saperi. A questo si aggiunge la necessità, soprattutto dentro le università, di individuare nuovi strumenti e servizi per fronteggiare il sensibile aumento negli anni della crisi di studenti-lavoratori (che devono svolgere prevalentemente “lavoretti”, termine che nasconde spesso sfruttamento e sommerso economico, per pagarsi gli studi) e di lavoratori-studenti (occupati in vario modo che intendono completare gli studi o aprire un nuovo percorso formativo).

Su questo terreno, la Carta dei diritti universali del Lavoro proposta dalla Cgil indica degli spunti importanti sulla rimozione degli ostacoli economici nell’accesso all’istruzione scolastica e universitaria e alla formazione continua lungo tutto l’arco della vita e della carriera professionale.

• Tra Formazione e lavoro: dobbiamo affrontare evoluzioni complesse e insidiose. La linearità fordista dei periodi di vita nettamente separati tra formazione, lavoro e pensione è saltata per larghi strati della società, con lo sviluppo di identità multiple (soggetti che contemporaneamente studiano e lavorano) e un bisogno formativo che non si esaurisce alla fine della filiera formativa classica. Alternanza Scuola-Lavoro, stage, tirocini, praticantato e percorsi di abilitazione e specializzazione: campi specifici con evidenti differenze, ma vale per tutti l’urgenza di costruire diritti e tutele universali.

In particolare, è necessario individuare le tutele legali per mettere al bando il lavoro gratuito o sottopagato mascherato da formazione per accumulare esperienza e competenze per l’accesso al salario, nonché criteri effettivi per garantire la qualità del momento formativo di queste esperienze. Come opportunamente individuato tanto dalla Carta dei diritti universali del Lavoro della Cgil quanto dalla Carta del lavoro autonomo e indipendente della Coalizione 27 Febbraio, questa battaglia si deve tradurre nella contrattualizzazione e nell’accesso a diritti salariali e previdenziali per il praticantato di accesso alle professioni ordinistiche, mentre altri rapporti giuridici come il tirocinio formativo e l’alternanza scuola-lavoro non devono costituire rapporto di lavoro, ma devono essere coperti da un quadro chiaro di diritti e tutele (indennità e rimborso spese, piano formativo individuale, apprendimento in situazione produttiva in locali specifici, separati dall’ambiente produttivo vero e proprio.

Infine, praticare con decisione la strada della contrattazione inclusiva per ricomprendere tutte le figure che operano attorno a un sito produttivo o a uno studio professionale o che contribuiscono alla realizzazione di un’opera immateriale;

• Contrattazione: la contrattazione collettiva sta subendo da anni un attacco feroce sul quale anche in questo articolo abbiamo provato ad avanzare alcune riflessioni. Riteniamo che la contrattazione collettiva debba restare centrale nella definizione di diritti, tutele e trattamenti salariali inderogabili. Al tempo stesso, è fondamentale aprire lo spazio della contrattazione

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collettiva e l’enunciazione di una serie di diritti esigibili per la contrattazione individuale nel rapporto di committenza fra lavoratore autonomo e committente. Da questo punto di vista, è importante approfondire le possibili forme di relazione fra sindacato e nuove forme di auto rappresentanza del lavoro precario, atipico e professionale che si sono sviluppare fuori dal sindacato, nell’ottica di garantire, da un lato, il diritto di tutte e tutti alla contrattazione della propria condizione lavorativa e, dall’altro, la tenuta del principio confederale della riunificazione del mondo del lavoro.

• Salario minimo ed equo compenso: il lavoro gratuito o sottopagato rappresenta un dispositivo di sfruttamento potentissimo, pertanto deve stare al centro di una battaglia senza quartiere per metterlo fuori legge, tanto nel lavoro subordinato che nel lavoro autonomo. La proporzione del compenso sulla base della qualità e della quantità del lavoro svolto si deve accompagnare all’affermazione del salario minimo, affinché non sia possibile prevedere compensi al di sotto di quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali, anche con riferimento al lavoro autonomo.

L’impossibilità di applicare per tutte le tipologie di lavoro o di mansione un accordo collettivo impone una riflessione sul salario minimo per legge, che sancisca come al di sotto di una certa cifra non si parla più di retribuzione adeguata ma di sfruttamento. Al tempo stesso, la strategia internazionale di crescita ordo-liberale basata su esportazioni e svalutazione competitiva del costo del lavoro rende ancora più decisiva la parola d’ordine di un salario minimo europeo;

• Ammortizzatori sociali: il Jobs Act partiva dalla promessa (inaccettabile) di smantellare il diritto del lavoro classico, centrato sulla difesa del posto di lavoro, per passare a un sistema di universale di sostegno al reddito e di politiche attive. Se il Governo Renzi è stato più che efficace nell’abolizione dell’articolo 18, sul garantire alla parte datoriale mano libera su demansionamento e controllo a distanza dei dipendenti, la pietra di scambio di un’estensione universale degli ammortizzatori sociali non si è minimamente prodotta.

Il nostro sistema di protezione sociale resta profondamente iniquo, insufficiente ed escludente. La riforma renziana ha introdotto due nuovi ammortizzatori sociali (NASPI e DIS-COLL) sottraendo risorse ad altri benefici (cassa integrazione, mobilità ecc.). Chiediamo in primis che questi strumenti vengano estesi, per consentire ai lavoratori intermittenti – che non arrivano al minimo contributivo richiesto per accedere alla NASPI – dottorandi e precari della ricerca – ingiustamente esclusi dal beneficio della DIS-COLL – siano sostenuti in caso dell’interruzione del rapporto di lavoro. Inoltre, per i parasubordinati in generale è necessario uscire dalla logica dell’una tantum, come si è ancora una volta registrato con la DIS-COLL, e prevedere strumenti per la continuità di reddito per i lavoratori autonomi a partita IVA, questione scomparsa dal Jobs Act e non affrontata nemmeno nel Ddl sul lavoro autonomo collegato alla Legge di Stabilità;

• Reddito minimo: infine, resta decisivo il tema dell’introduzione di un reddito contro la

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precarietà, i ricatti e le disuguaglianze. Si tratta per noi della pietra angolare di una riforma complessiva del welfare che punta a redistribuire risorse dall’alto verso il basso della società e a concepire le prestazioni sociali oltre il meccanismo assicurativo, affermando la centralità della fiscalità generale. Una misura che punta alla realizzazione dell’emancipazione individuale e che intende affrontare le trasformazione del mercato del lavoro contemporanee, dove i confini fra lavoro e non-lavoro si fanno sempre più sfumati e incerti.

Un reddito universale, erogato su base individuale per superare la tradizione familista del nostro welfare e puntare sull’autonomia sociale dei soggetti, pensato come strumento modulare in grado di declinarsi come reddito di formazione e in forma di erogazione di servizi gratuiti, che non sia condizionato all’accettazione della prima offerta di lavoro, indipendentemente dal profilo formativo o dal trattamento contrattuale e salariale. Questa è una priorità assoluta per eliminare davvero la povertà e la marginalità sociale, nonché per redistribuire la ricchezza e spezzare l’isolamento, la fragilità e il ricatto della precarietà.

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Carta dei Diritti universali del Lavoro – Nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori

Una scheda di analisi

Titolo I – Diritti fondamentali, tutele e garanzie di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori

Il Titolo I definisce i diritti che risultano validi universalmente per tutto il mondo del lavoro. Nell'Articolo 1 si definisce il campo di applicazione, che include tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori subordinati, il lavoro autonomo e parasubordinato, le attività socialmente utili e chi presta manodopera secondo relazioni giuridiche che non costituiscono un rapporto di lavoro, come i tirocini, gli stages, i percorsi di abilitazione alle professioni. Si afferma subito un principio importante: nella tensione verso l'universalità dei diritti, il Titolo I si occupa anche del lavoro autonomo, per decenni stretto nella morsa dell'attività imprenditoriale e delle false partite IVA anche nella visione sindacale, e di quei rapporti di formazione-lavoro che sempre più spesso si traducono in sfruttamento, assenza di tutele, lavoro gratuito e per niente formativo.

Resta, invece, da approfondire la tutela dei professionisti degli ordini: esiste una differenza materiale decisiva dentro chi esercita una professione ordinistica (avvocati, architetti, ecc.) fra chi è proprietario di un grande studio professionale e gode di un reddito annuo elevato e chi presta il proprio lavoro negli studi di altri e percepisce redditi medio-bassi. Individuare i diritti e le tutele che garantiscono i lavoratori professionisti che rientrano nella seconda casistica rappresenta un obiettivo che non può stare al di fuori di una proposta complessiva di diritti universali del lavoro.

Di seguito il contenuto degli articoli:

Diritto al lavoro (articolo 2): diritto di tutti a svolgere un lavoro o una professione scelti liberamente, contro il lavoro forzato o obbligatorio. Diritto a servizi gratuiti di collocamento e di prestazioni in materia di orientamento e di aiuto nella ricerca di un lavoro adeguato, secondo i livelli essenziali delle prestazioni stabiliti dallo Stato

Diritto ad un lavoro decente e dignitoso (articolo 3): diritto a un lavoro dignitoso e con condizioni di lavoro eque

Diritto a condizioni di lavoro chiare e trasparenti (articolo 4): diritto a condizioni contrattuali chiare e trasparenti formulate per scritto, diritto del lavoratore al risarcimento del danno da parte del datore di lavoro o del committente inadempiente

Diritto a un compenso equo e proporzionato (articolo 5): diritto universale a un compenso

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equo, in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Il compenso fissato dalle parti non può essere inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali o dagli accordi collettivi stipulati dalle associazioni di lavoratori autonomi, quando applicabili. In mancanza di accordi collettivi applicabili, il lavoro autonomo può chiedere al giudice di determinare l'equo compenso.

Il tema del salario minimo e dell'equo compenso ci sembra decisivo, in un contesto socio-economico dove anche la timida ripresa dell'occupazione risulta fortemente connotata da bassi compensi, lavoro sottopagato, se non gratuito. In questo articolo si definisce il diritto delle associazioni di rappresentanza sindacale del lavoro autonomo di contrattare le condizioni di lavoro del proprio settore a livello nazionale. Uno stimolo interessante che riconosce l'agibilità sindacale all'autorganizzazione del lavoro atipico e professionale nel definire sotto quale soglia di compenso non si deve scendere.

La proposta di statuto della Cgil indica le definizione del salario minimo dentro la contrattazione nazionale e applica lo stesso principio al lavoro autonomo, salvo aggiungere il ricorso al giudice nei casi dove gli accordi nazionali non sono applicabili. Questa specificazione risulta problematica e rende molto meno esigibile il diritto a un equo compenso nei rapporti di lavoro o di committenza che non fanno riferimento ad accordi collettivi. Il dibattito sul salario minimo non può non considerare l'offensiva che il Governo promette da tempo: salario minimo per legge (presumibilmente al ribasso) per togliere potere alla contrattazione dei corpi sociali intermedi. Tuttavia, per un efficacia universale della lotta contro il lavoro gratuito e sottopagato ci sembra necessario rivendicare la definizione del salario minimo e dell'equo compenso garantiti per legge, con riferimento estensivo ai contratti collettivi nazionali. Un dibattito che deve avere un respiro almeno europeo e richiedere l'istituzione di un salario minimo europeo, contro le opportunità di sfruttamento che la mobilità del capitale garantisce alla parte datoriale e contro la svalutazione competitiva del costo del lavoro come strategia imprenditoriale.

Diritto al riposo (articolo 8): definizione del riposo minimo giornaliero in 11 ore, del riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive, del riposo annuale di almeno 4 settimane. Previsione di regole per il diritto al riposo negli accordi collettivi stipulati dalle associazioni dei lavoratori autonomi

Diritto alla conciliazione tra vita familiare e vita professionale (articolo 9): diritto a permessi retribuiti e a prestazioni previdenziali per la genitorialità di tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori; conciliazione fra lavoro e responsabilità familiari attraverso congedi, riduzioni di orario o altre forme stabilite dai contratti collettivi e dagli accordi collettivi stipulati dalle associazioni dei lavoratori autonomi o dalla legge

Questo articolo afferma i diritti connessi alla genitorialità per tutti i lavoratori, compresi i lavoratori autonomi, definendo un quadro per l’esigibilità effettiva di prestazioni di fatto negate a una fetta consistente del mondo del lavoro (così come l’articolo precedente riguardante il diritto al riposo). Tuttavia, sul tema della conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro è sempre più urgente una discussione che vada oltre il riconoscimento delle esigenze legate alla dimensione della famiglia tradizionale: su questo terreno servono istituti giuridici che non soltanto riconoscano a pieno i diritti

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civili e i diritti sociali di tutte le coppie e delle convivenze, ma anche una battaglia per la legittimazione di diritti universali per la libertà, l’emancipazione e le esigenze di vita dell’individuo.

Diritto alle pari opportunità tra donna e uomo in materia di lavoro e professione (articolo 10): parità di trattamento e di opportunità tra lavoratrici e lavoratori. Possibilità di vantaggi specifici per l’uno o l’altro sesso nel caso in cui risulti sottorappresentato

Diritto a non essere discriminato (articolo 11): diritto a non essere discriminati nell’accesso al lavoro e nel corso del rapporto di lavoro sulla base di convinzioni personali, attività sindacale o politica, credo religioso, sesso e scelte sessuali, stato matrimoniale di famiglia o di gravidanza, dell’orientamento sessuale, della residenza, dello stato di salute, della cittadinanza, della nazionalità, delle condizioni sociali. ecc.

Interessante la definizione delle aree che interessano questo diritto, non limitato alle condizioni di accesso al lavoro, alla retribuzione, alle condizioni di lavoro e alla carriera lavorativa, ma esteso all’accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, alla protezione sociale (sicurezza e assistenza sanitaria), alle prestazioni sociali, all’istruzione, all’accesso a beni e servizi (incluso l’alloggio)

Diritto di riservatezza e divieto di controlli a distanza (articolo 12): vietato l’uso di impianti audiovisivi e di ogni altro mezzo per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, a parte i mezzi di controllo richiesti per la sicurezza del lavoro e la tutela del patrimonio aziendale solo sulla base di accordi conclusi con la rappresentanza sindacaleQuesto articolo punta a cancellare la norma introdotta dal Jobs Act che istituisce il controllo a distanza sul lavoratori e sui macchinari connessi alla prestazione lavorativa.

Diritto a soluzioni ragionevoli in caso di disabilità oppure di malattia di lunga durata (articolo 15): tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici che a causa di disabilità o di malattie di lunga durata subiscano menomazioni fisiche o mentali tali da ostacolare la piena partecipazione alla vita professionale hanno diritto a soluzioni materiali e organizzative, come la modifica degli orari e dei tempi di lavoro, per garantire l’accesso al lavoro e allo svolgimento della prestazione lavorativa

Diritto ai saperi (articolo 17): diritto all’accesso al sistema della conoscenza e alla formazione continua per tutto l’arco della vita, rimuovendo gli ostacoli legati alle condizioni economiche e sociali. Gratuità dell’istruzione ai fini dell’assolvimento scolastico, adeguate garanzie per la fruizione delle attività didattiche delle università e dell’alta formazione ai lavoratori studenti e agli studenti lavoratori. Diritto all’accesso a nuove tecnologie digitali, per combattere l’esclusione sociale prodotta dal digital divide. Formazione continua come componente essenziale dell’attività di lavoro: tutti i lavoratori hanno diritto a congedi e ad altre agevolazioni per la formazione, secondo le previsioni di legge e dei contratti collettivi o accordi collettivi stipulati dalle associazioni dei lavoratori autonomi.

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Ci sembra particolarmente interessante che la proposta di carta dei diritti universali si concentri sul tema dell’accesso al sapere, all’istruzione obbligatoria e all’alta formazione, alla formazione continua per tutto l’arco della vita e alle nuove tecnologie digitali. Affermare questo principio generale deve innanzitutto rimarcare il carattere dell’accesso ai saperi come strumento decisivo per la lotta al contrasto delle disuguaglianze e della marginalità sociale.

La necessità di individuare garanzie per la fruizione delle attività didattiche per studenti lavoratori e lavoratori studenti, opportunamente individuati come soggetti in condizione diversa e con bisogni specifici, affronta non soltanto il nodo del diritto allo studio in senso stretto, ma anche il potenziamento dei supporti alla didattica, della flessibilità dei tempi di studio, dei servizi di tutoraggio e orientamento.Sull’università e sull’alta formazione è, però, fondamentale approfondire la questione dell’accesso ai corsi di studio: fra un diritto allo studio gravemente sotto finanziato (e sempre più concepito come intervento residuale per i redditi bassi) e una delle tassazioni della popolazione studentesca più alta d’Europa, l’Università pubblica ha subito un processo di radicale trasformazione verso un modello sempre più escludente ed elitario, che rafforza le disuguaglianza anziché assumere la funzione di infrastruttura sociale per l’emancipazione di tutte e tutti e per una società basata sul ruolo centrale dei saperi e della ricerca anche in relazione allo sviluppo e alla struttura produttiva. Risulta necessario aggredire questo punto, come giustamente si ribadisce per la scuola dell’obbligo, attraverso un ripensamento del diritto allo studio verso nell’ottica di un welfare compiutamente universale e, guardando anche ai modelli internazionali, l’apertura di una battaglia generale per la gratuità dell’alta formazione.

Per quanto riguarda la formazione continua, questa risulta di fatto assente tanto nella strategia del Pubblico che in quella delle imprese. Troppo spesso questo terreno viene occupato dal mercato privato della formazione, aggiornamento e riqualificazione professionale, con un aggravio dei costi e un orientamento fortemente connotato sulla continua accumulazione di certificazioni di status validi per l’accesso al lavoro – diventando talvolta premessa necessaria per l’accesso anche al salario – e la progressione di carriera nell’attuale sistema produttivo e del terziario. Risulta invece urgente sottolineare con chiarezza la necessità di una nuova strategia pubblica per la formazione continua, che garantisca in primo luogo il diritto di chi lavora alla formazione lungo tutto l’arco della vita, quindi anche operando per la rimozione degli ostacoli economici e sociali esistenti nell’esercizio di questo diritto, e impedisca alle imprese di strumentalizzare questo processo come ulteriore strumento di sfruttamento e stratificazione.

Il riferimento in questo articolo al livelli essenziali, al netto delle competenze delle Regioni, deve esplicitare che questi devono essere definiti dallo Stato oltre l’articolato della carta dei diritti universali del lavoro.

Diritto alla tutela delle invenzioni e delle opere dell’ingegno (articolo 18): diritto di specifica e adeguata remunerazione per le invenzioni e le opere dell’ingegno realizzate nello svolgimento del lavoro, nonché ad un equo compenso in caso di ulteriore utilizzazione economica da parte del datore di

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lavoro o del committente.

E’ importante definire la tutela del diritto d’autore, con particolare riferimento alla difesa dei diritti di chi ha realizzato innovazione sociale con il proprio lavoro rispetto allo sfruttamento economico da parte del datore di lavoro o del committente. In questo senso deve essere concepita una revisione delle attuali leggi in tema di invenzioni e diritto d’autore, fortemente inadeguate alla tutela del lavoro intellettuale, nonché della libertà di accesso, riproduzione e condivisione della conoscenza e delle innovazioni.

Diritto al sostegno dei redditi da lavoro (articolo 20): diritto in caso di disoccupazione volontaria e di contrazione dell’attività produttiva ad un sistema assicurativo di sostegno al reddito. Delega al Governo a disciplinare questo diritto per il lavoro autonomo

L’articolo sancisce il principio dell’universalizzazione degli ammortizzatori sociali, prevedendo l’istituzione di nuovi strumenti di sostegno al reddito anche per il lavoro autonomo: un’importante affermazione in netto contrasto con quanto fatto dal Governo con il Jobs Act.Pur non essendo di fronte a un testo che intende affrontare in maniera complessiva gli assi fondamentali per una riforma del welfare, l’indicazione che si dà è quella del sistema assicurativo per chi perde il lavoro, approccio che non coglie il carattere sempre più intermittente del lavoro e la discontinuità di reddito come tratto sempre più caratterizzante larghe fasce del mercato del lavoro attuale. E’ proprio il mondo del non-lavoro e del lavoro intermittente e precario a rischiare di risultare il grande assente dalla carta universali dei diritti del lavoro: questo rischio emerge con chiarezza quando si parla di sostegno al reddito solo attraverso la strada del meccanismo assicurativo. Proprio di fronte alla trasformazione del mercato del lavoro, è necessario aprire un ragionamento sul reddito minimo come forma di sostegno universale al reddito, oltre il meccanismo assicurativo e il welfare che discende dalla prestazione lavorativa, in un’ottica redistributiva della ricchezza attraverso il finanziamento dalla fiscalità generale e contro il ricatto della marginalità sociale e della precarietà.

Diritto a un’adeguata tutela pensionistica (articolo 21): diritto alla completa totalizzazione, ricongiunzione e riunificazione dei periodi contributivi a fini pensionistici. Sistema contributivo con forme di solidarietà per aumentare l’importo delle pensioni che non garantiscono quanto necessario per le esigenze di vita.

Il sistema contributivo con il carattere sempre più strutturale dell’intermittenza di reddito e capacità contributiva si traduce in un’ipoteca gravissima sul futuro degli attuali lavoratori, in particolare i più giovani. Solo qualche mese fa il presidente INPS Tito Boeri denunciava il rischio che le pensioni degli attuali trentenni diventeranno realtà in media a 70 anni con importi del 25% inferiori a quelli attuali: affermazioni confermate anche dal Ministro Poletti e che aggravano un quadro già oggi molto preoccupante sul tasso di povertà crescente fra i pensionati. Riteniamo imprescindibile stabilire una pensione minima di cittadinanza come indicato nella Carta dei Diritti e dei Principi del Lavoro Autonomo e Indipendente della Coalizione 27 febbraio, da finanziare con il taglio delle pensioni d’oro e interventi solidaristici, ma anche ricorrendo alla fiscalità generale in senso redistributivo.

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Libertà di organizzazione sindacale, di negoziazione e di azione collettiva e di rappresentanza degli interessi del lavoro (articolo 23): diritto di tutti i lavoratori di organizzarsi liberamente, di negoziare e di ricorrere ad azioni collettive per la tutela dei propri interessi sindacali e professionali. Organizzazioni sindacali e associazioni dei lavoratori autonomi possono concludere contratti e accordi collettivi.

Il diritto alla contrattazione collettiva della condizione di lavoro viene ribadito ed esteso al lavoro autonomo, riconoscendo il ruolo delle associazioni professionali e sindacali dei lavoratori autonomi. Ci sembra un aspetto interessante, non un punto di arrivo ma una strada tutta da approfondire: quella della relazione tra la prospettiva del sindacato confederale che ambisce a rappresentare tutte le tipologie di lavoro e le forme di sindacalismo sociale e di rappresentanza professionale che sono sorte fuori dal sindacato. Se da un lato il diritto all’auto-rappresentanza e all’auto-organizzazione va ribadito anche in sede negoziale e di contrattazione, risulta imprescindibile mettere al centro della prospettiva sindacale la riunificazione del mondo del lavoro, contro le chiusure e le degenerazioni di carattere corporativo o settoriale.

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Titolo II – Disciplina attuativa degli articoli 39 e 46 della Costituzione

Il Titolo II dello Statuto è diviso in due parti: la prima, in attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, è sulla registrazione dei sindacati, sulla rappresentanza sindacale e sulla contrattazione collettiva ad efficacia generale; la seconda, in attuazione dell’articolo 46 della Costituzione, è sulla partecipazione dei lavoratori alle decisioni e ai risultati delle imprese.

Dall’articolo 27 all’articolo 28 si definiscono le disposizioni legislative per l’attuazione dei commi 2, 3 e 4 dell’articolo 39 della Costituzione: registrazione dei sindacati dei lavoratori, ordinamento interno su base democratica come condizione necessaria alla registrazione, possibilità di stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria erga omnes. La proposta Cgil prevede l’istituzione della Commissione per la registrazione delle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro e per l’accertamento della rappresentatività ai fini della contrattazione collettiva ad efficacia generale: la sua funzione è di vigilanza sui dati rilevanti per registrazione e rappresentatività.

Le associazioni sindacali dei lavoratori presentano istanza di registrazione, che può essere respinta solo in caso di manifesta inosservanza di requisiti di democraticità (elettività cariche associative, libertà incondizionata di recesso dell’associato, metodo collegiale nell’assunzione delle decisioni, ecc.).Passati 150 giorni dal decreto di nomina della Commissione, possono essere indette le elezioni per l’istituzione di Rappresentanza Unitarie Sindacali (RUS) presso i datori di lavoro con più di 15 dipendenti da una o più associazioni sindacali registrate a livello nazionale o a richiesta del 20% dei lavoratori occupati presso lo stesso datore di lavoro. Le RUS stipulano i contratti collettivi ad efficacia generale a livello di singolo datore di lavoro. Se presso un singolo datore di lavoro non si procede alla costituzione delle RUS, hanno diritto a costituire Rappresentanza Sindacali Aziendali (RSA) le associazioni sindacali registrate a livello nazionale che aderiscono ad associazioni sindacali registrate di confederale e con un numero di iscritti pari almeno al 10% del totale dei lavoratori iscritti ad associazioni sindacali operante in quell’ambito. Qualora siano definiti ambiti contrattuali di sito, filiera o distretto possono essere indette elezioni per l’istituzione di Rappresentanze Unitarie Sindacali Territoriali (RUST): l’attività di contrattazione collettiva delle RUST ha efficacia sull’intero ambito di sito o filiera, negoziando quindi le condizioni di lavoro di tutti i lavoratori coinvolti nel processo produttivo.La mancata attuazione storica dell’articolo 39 della Costituzione è da ricercare in un insieme di motivazioni e di interessi diversi fra loro e in parte contrastanti: la contrarietà di Cisl e Uil, che sarebbero risultate minoritarie nella rappresentanza unitaria, si somma alla diffidenza generalizzata verso un sistema rigido di controllo governativo sull’attività sindacale. L’articolo costituzionale, infatti, è di fatto una mediazione fra le istanze di continuità con il modello corporativo pre-esistente e la spinta verso il riconoscimento di un diritto alla contrattazione sindacale di livello confederale e di ambito produttivo con efficacia generale per redistribuire potere dall’impresa al lavoro.

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La proposta Cgil punta a mantenere un equilibrio fra il mantenimento di un’autonomia organizzativa delle organizzazioni sindacali, al netto dei principi di democraticità, e il riconoscimento dell’efficacia generale della contrattazione collettiva. Secondo la Carta dei diritti univerali del lavoro, infatti, la validità dei contratti collettivi si basa sul principio dell’applicazione erga omnes: sono validi per tutti i lavoratori e datori di lavoro appartenenti al relativo livello e ambito contrattuale. I contratti collettivi stipulati a livello inferiore a quello nazionale devono osservare le prescrizioni dei contratti collettivi ad efficacia generale di livello nazionale, che a loro volta non possono derogare in maniera peggiorativa quanto previsto dai contratti ad efficacia generale di livello interconfederale. Questa disposizione sancisce l’abrogazione del celebre Articolo 8 della manovra finanziaria dell’agosto 2011 (D.L 13 agosto 2011, n.138): cavallo di battaglia dell’allora Ministro Sacconi del Governo Berlusconi, ha introdotto la possibilità per la contrattazione aziendale di derogare ai contratti nazionali e addirittura alle leggi dello Stato.

Gli articoli 39 e 40 della proposta Cgil definiscono disposizioni legislative per l’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende. In particolare, vengono indicati i doveri dell’impresa di informazione, consultazione e contrattazione dei lavoratori finalizzati al controllo delle decisioni delle imprese e la funzione della contrattazione collettiva nel prevedere la partecipazione individuale dei lavoratori agli utili dell’impresa societaria, attraverso l’assegnazione a titolo gratuito di azioni o altri strumenti finanziari

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Titolo III – Riforma dei contratti e dei rapporti di lavoro e disposizioni per l’effettiva tutela dei diritti

Il Titolo III interviene sulle tipologie contrattuali, rivedendo l’intera normativa recentemente riformata dal Jobs Act con il decreto attuativo del 15 giugno 2015, n. 81.

Si definiscono innanzitutto principi generali e l’estensione delle tutele dei lavoratori subordinati ai lavoratori autonomi. La forma comune di rapporto di lavoro è individuata nel contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e si stabilisce che il periodo di prova può durare massimo 9 mesi (15 in casi particolari dove è presente la manifesta necessità dell’acquisizione di competenze che il lavoratore non possiede all’inizio del rapporto), dà diritto a un’indennità in caso di recesso da parte del datore di lavoro nel corso o alla scadenza del periodo. La disciplina prevista per il contratto di lavoro subordinato si applica alle collaborazione coordinate e continuative e ai contratti di lavoro autonomo che prevedano l’obbligo del lavoratore autonomo di compiere un’opera con lavoro proprio, con durata complessiva di più di sei mesi annuo e il cui compenso costituisce più del 60% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti. In sostanza, le tutele contrattuali, salariali e previdenziali del lavoro subordinato vengono estese ai parasubordinati e al lavoro autonomo con caratteristiche di dipendenza economica.

La Parte II è dedicata alla revisione della disciplina dei contratti di lavoro:

Contratto di apprendistato (Capo I): contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con obbligazioni a contenuto formativo. Si ribadisce la funzione volta a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.Tre tipologie: a) apprendistato per il diploma professionale e per il diploma di istruzione secondaria superiore; b) apprendistato professionalizzante; c) apprendistato di alta formazione e ricerca.Il contratto deve contenere il piano formativo individuale, mentre il datore di lavoro si carica della retribuzione delle ore di formazione e deve accreditare la propria capacità formativa sulla base di requisiti e procedure pubbliche definite attraverso il confronto con le parti sociali.Gli apprendisti non possono superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate in servizio.

Oltre alla normativa generale, risultano decisive due indicazioni previste dalla proposta Cgil. La revisione della normativa sull’apprendistato prova a contrastare le disposizioni degli interventi governativi (Jobs Act e Buona Scuola) sulla sperimentazione dell’utilizzo dell’apprendistato per l’assolvimento dell’obbligo formativo e sul depotenziamento degli obblighi formativi e degli oneri salariali del datore di lavoro. Cancellando l’apprendistato per la qualifica, si dispone che il contratto di apprendistato finalizzato al conseguimento di un diploma professionale e di un diploma di istruzione secondaria sia rivolto solo a giovani entro il compimento dei 25 anni e che hanno già assolto l’obbligo scolastico. La visione del Ministro Poletti e di Confindustria per cui il modello duale

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si traduce nella messa a lavoro degli studenti prima dell’assolvimento dell’obbligo formativo a disposizione delle esigenze di profitto a breve termine delle imprese, senza un progetto formativo in grado di sviluppare capacità trasversali e laboratoriali, anziché competenze strettamente legate all’attuale assetto produttivo. In particolare, il decreto legislativo 81/2015, in attuazione del Jobs Act, ha ulteriormente abbassato a 15 anni il limite minimo di età per l’apprendistato sperimentale per la qualifica, accentuando la tendenza a scaricare quote crescenti di formazione sul mercato del lavoro e delle imprese. Si tratta di una spunta ancora più dequalificante se pensiamo al basso tasso di investimenti in formazione, ricerca e innovazione che si registrano nelle aziende e imprese italiane. Al contrario, ne potranno beneficiare i datori di lavoro, felici di poter forzare la formazione dei giovani alle proprie esigenze produttive e, di fatto, di poter sfruttare in produzione manodopera a basso costo. Contrastare la visione del Governo, quindi, è un obiettivo centrale per affermare una via alta della formazione tecnica e professionale e togliere terreno alle forzature verso lo sfruttamento, l’impiego di manodopera a basso costo, i percorsi che sviluppano basse competenze e scarsa crescita formativa.

Inoltre, il contratto di apprendistato di alta formazione e di ricerca è previsto per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche: un’affermazione decisiva per la contrattualizzazione dei percorsi abilitanti per l’accesso alle professioni (per esempio, il praticantato negli studi legali), che attualmente si traducono in vero e proprio lavoro senza il riconoscimento di diritti e tutele contrattuali, a partire dal diritto a un equo compenso. La contrattualizzazione del praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche ci sembra la strada più opportuna per una battaglia contro lo svilimento dei percorsi di formazione professionale e il lavoro gratuito in questo ambito. Guardando oltre e prendendo atto dell’eterogeneità delle forme di prestazione di manodopera a metà tra formazione e lavoro (stage, tirocini, alternanza scuola lavoro, percorsi abilitanti e di specializzazione), riteniamo necessario un approccio che tenga fermi principi universali (rifiuto del lavoro gratuito e senza tutele; qualità del percorso formativo; accessibilità economica) individuando soluzioni di tutela specifiche per ciascun caso: se è importante andare verso la contrattualizzazione di alcune condizioni per l’accesso al salario e al welfare, altri rapporti giuridici come il tirocinio formativo e l’alternanza scuola-lavoro non devono costituire rapporto di lavoro, ma devono essere coperti da un quadro chiaro di diritti e tutele (indennità e rimborso spese, piano formativo individuale, apprendimento in situazione produttiva in locali specifici, separati dall’ambiente produttivo vero e proprio.

Contratto di lavoro a tempo determinato (Capo II): definizione delle esigenze per le quali può essere apposto un termine al contratto di lavoro subordinato. Periodo massimo di 36 mesi, salvo diversa previsione dei contratti collettivi di lavoro.Possibilità di proroga e di rinnovo del contratto a tempo determinato, a condizione di non sforare il limite massimo dei 36 mesi e di giustificare le esigenze della proroga e del mantenimento di un termine al rapporto di lavoro.Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza, la parte datoriale è tenuta a corrispondere una retribuzione maggiorata pari al 20% fino al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno

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ulteriore fino al trentesimo.Diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato; congedo di maternità concorre a determinare il periodo di attività lavorativa per il diritto di precedenza; in caso di violazione del diritto di precedenza, il lavoratore ha diritto all’assunzione a tempo indeterminato

Il contratto di lavoro subordinato a termine è stato profondamente rivisto dal DL Poletti nel maggio 2014, normativa sostanzialmente recepiti dal decreto attuativo del Jobs Act. Il contratto a termine è stato de facto liberalizzato ed elevato a norma del mercato del lavoro, attraverso l’allentamento dei vincoli formativi, l’aumento delle possibilità di rinnovo, l’eliminazione della “causale”. Diventa fondamentale regolare il ricorso al contratto a tempo determinato eliminando le possibilità di abuso della parte datoriale e il meccanismo ricattatorio che produce sul lavoro precario: in particolare, l’obbligo di giustificare la scelta del contratto a tempo determinato in base a provate esigenze produttive o di inserimento ci sembra centrale per ridurre gli spazi di sfruttamento per aziende e imprese. Inoltre, la Carta dei diritti universali definisce due principi fondamentali: la pari retribuzione e l’inquadramento a pari livello all’atto dell’assunzione, indipendentemente dal genere, e diritto alla formazione permanente a carico dell’azienda.

Somministrazione di lavoro subordinato (Capo III): definito come contratto a termine con la necessità di provare le esigenze (le stesse del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato) per cui si ricorre alla somministrazione; compenso agganciato al contratto collettivo che si applica all’azienda interessata e stesso compenso delle maestranze presenti all’interno dell’azienda.Parificazione delle norme e dei diritti previdenziali nella somministrazione come nel contratto a termine standard.Divieto di applicare contratti di somministrazione nella PA.

Oltre alla definizione della parità di diritti in relazione ai compensi e alla previdenza sociale, la proposta Cgil dispone che i lavoratori che operano presso vari utilizzatori della somministrazione hanno diritto di assemblea fra loro: la parcellizzazione del lavoro attraverso la somministrazione ha determinato non solo una frammentazione fra lavoro subordinato e lavoro somministrato in una sola azienda, ma anche la frammentazione fra lavoratori che fanno riferimento ad un unico somministratore ma operano presso vari utilizzatori. Il risultato più evidente è l’attacco alle garanzie collettive e alla forza contrattuale del lavoro di negoziare le proprie condizioni, processo da invertire con l’equità retributiva e previdenziale, ma anche con la conquista di nuovi diritti sindacali.

Lavoro a tempo parziale (Capo IV): contratto di lavoro subordinato a tempo parziale in forma scritta con indicazione esatta di tempo di lavoro e retribuzione; inquadramento salariale e previdenziale come un lavoratore a tempo pieno; computo per intero dell’anzianità ai fini della pensione; ore eccedenti pagate con maggiorazione non inferiore al 15%.

Lavoro occasionale (Capo V): prestazione di lavoro di natura occasionale o saltuaria nell’ambito dei piccoli lavori di tipo domestico-familiare e della realizzazione da parte di privati di manifestazioni socaili,

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sportive, caritatevoli, culturali. Possono svolgerlo studenti, pensionati, inoccupati e disoccupati che non percepiscono ammortizzatori sociali. Periodo di impiego non superiore a 40 giorni nel corso dell’anno solare e relativi compensi non superiori a 2.500€.

L’aumento del tetto economico per il lavoro accessorio e la liberazione del ricorso ai voucher sono stati fra gli aspetti più problematici del Jobs Act. Di fatto, sono state rafforzate le zone grigie del mercato del lavoro che prevedono una rottura fra lavoro e diritti sanciti nei contratti collettivi, fra lavoro ed equo compenso, fra lavoro e previdenza sociale.

Introdotti per regolamentare prestazioni di lavoro occasionale svolte fuori dalla regolarità, i voucher sono stati trasformati in una nuova frontiere di precariato e di sfruttamento, in uno strumento per non riconoscere diritti e tutele al lavoro. Non è un caso che dal 2008 ad oggi i prestatori di lavoro accessorio siano passati da neppure 25.000 a 1 milione, in un contesto sociale dove la povertà materiale si è spostata all’interno del regime del salario a causa dell’espansione del lavoro sottopagato o gratuito.

Pertanto, è fondamentale ridurre il tetto massimo di retribuzione annua dal lavoro accessorio (attualmente fissato a 7.000€ dal Jobs Act) e definire i casi limitati nei quali si può ricorrere ai voucher.

La Parte III del Titolo III è dedicata alla revisione della disciplina di alcuni istituti del rapporto di

lavoro. In particolare, viene definita la durata massima della giornata lavorativa e la reintroduzione ed estensione a tutti i lavoratori e tempo indeterminato del diritto di reintegra (articolo 18) contro licenziamenti per i quali il giudice dichiara che il giustificato motivo soggettivo non sussiste.Vengono, infine, abrogate le norme in contrasto con le disposizioni della Carta dei diritti universali del Lavoro (Jobs Act, DL Sacconi e Collegato Lavoro).

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