nuto revelli - ricordo in morte - repubblica 06.02.2004.pdf

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D opo Alessandro Galante Garrone, dopo Norberto Bobbio anche Nuto Re- velli ci ha fisicamente la- sciato. Ma, come loro, ci lascia un'eredità cultu- rale e morale destinata a restare. Pensare a quello che è forse il libro in cui egli ha maggiormente espresso se stesso, La guerra dei poveri, mi fa venire in mente, prima di ogni altro libro, Un anno sull'al- tipiano di Emilio Lussu. Perché entrambi, con eguale energia umana e intellettuale seppure con diversa scrittura, hanno sa- puto straordinariamente rac- contare la vicenda degli umili e dei diseredati trascinati a com- battere e morire per una causa che non era la loro e per la quale pure, condotti al macello, paga- rono più di tutti. Due libri nei quali dalla tragedia nasce una nuova volontà di lotta e riscatto, che nel racconto di Revelli pren- de il volto della lotta di resisten- za al nazifascismo. Il ricordo dei morti diventa il lievito spirituale della rivolta in nome di un mon- do migliore. Nelle pagine de La guerra dei poveri in cui parla del luglio 1943, Revelli dice che al crollo del fascismo gli venne dal petto «un urlo» come se lo avessero «ferito». L'urlo era di odio e di- sprezzo per i tedeschi, i fascisti, i gerarchi «imboscati e vigliac- chi», ma era anche bruciante ro- vello per i «poveri morti di Rus- sia» con cui aveva condiviso tut- to: «morti per nulla?». Affinché non fossero morti per nulla, ec- co la risposta, bisognava che i vi- vi andassero sulle montagne, a far pagare il conto ai tedeschi e agli italiani che avevano tradito e continuavano a tradire il pro- prio popolo. Nel marzo 1943, nelle parole conclusive del suo diario di guerra, si era rivolto ai colpevoli della catastrofe lan- ciando il grido di guerra che sa- rebbe diventato quello dei parti- giani: «Mai tardi...a farvi fuori!». A tenere ferma la memoria del fascismo, della guerra, della Re- sistenza, Revelli ha dedicato la sua esistenza. E, oltre a scrivere pagine indimenticabili, ha rac- colto le testimonianze di tanti altri commilitoni. Ma per lui, vissuto nel Cuneese - terra di probi e forti lavoratori della ter- ra - un'esigenza fortissimamen- te sentita fu altresì il dar voce a coloro che appartenevano a quello che definì «il mondo dei vinti»: ascoltandoli, aiutandoli a ricordare, a ordinare idee, a tra- smettere le loro sofferenze e le loro speranze. Così le vite dei contadini e delle contadine del- le montagne, delle Langhe, del- le pianure, delle colline della sua e loro terra - che sarebbero altri- menti rimaste sepolte, dimenti- cate - trovarono la voce attraver- so la penna di Revelli. Il quale fe- ce in tal modo opera assai meri- toria anche per gli studiosi di storia orale, un campo in cui si mostrò un maestro. Nel discorso tenuto quando gli venne conferita la laurea ho- noris causa, Revelli pronunciò parole che rivelano il senso inte- ro della sua attività di scrittore: «Volevo che i giovani sapessero, capissero, aprissero gli occhi. Guai se i giovani di oggi dovesse- ro crescere nell'ignoranza, co- me eravamo cresciuti noi della "generazione del Littorio". Oggi la libertà li aiuta, li protegge. La libertà è un bene immenso, sen- za libertà non si vive, si vegeta». LA REPUBBLICA 43 VENERDÌ 6 FEBBRAIO 2004 «H a sentito? E' morto Nuto Revel- li». Ho sentito. «Lo conosceva?». Sì, certo. Stessa città, Cuneo, stessa lunga età, stesso reggimento alpini, il secondo, stessa guerra quella fascista, persa. Stessa banda partigiana, Italia libera di Giustizia e Libertà, stessa passione per la storia di casa nostra, stessi rimpianti, stes- sa amarezza. «E allora che cosa può dirci di lui?». Era, uno di quei personaggi piemon- tesi che più ci pensi e più ti appaiono im- prevedibili, indefinibili. Comunque mi proverò. Per cominciare era uno che si interessa agli umili, nella tradizione dei santi piemontesi, voglio dire uno che senza respingere la storia ari- stocratica, militare del suo paese, sente però un fortissimo interes- se per l'altra faccia della sua sto- ria, per quelli “che nome non hanno” i contadini, i vinti, i di- spersi, i poveri. Lo stesso interes- se dei santi sociali del Risorgi- mento, alla don Bosco, alla Cotto- lengo, non di compassione ma di giustizia. C'erano anche loro, il grosso della pena, della resistenza, della sopravvivenza è stato fatto da lo- ro, noi ci siamo perché c'erano loro. E qui esce fuori l'imprevedibile di Nuto: il ricer- catore storico quasi unico nel nostro paese, serio, metodico, instancabile. Faccio un esempio. Viene a sapere che nella campa- gna di Cuneo circola una favola militare, come altre lasciate dai soldati stranieri ar- rivati nella città dei sette assedi, la favola del “tedesco buono”. Da cosa può partire? Da un lembo di camicia bianca rimasto impi- gliato in un cespuglio sul greto del torrente Gesso, vicino alla città. E' tutto ciò che resta del “tedesco buono” amico dei contadini. Nessuno ricorda il suo nome, da dove ve- nisse, chi lo ha ucciso e che interesse possa avere la sua storia nel pandemonio della guerra partigiana. Ma Nuto si aggrappa a quel lembo di camicia bianca e non lo mol- la più, trova il nome del “tedesco buono”, la sua città Warburg, i suoi parenti, trova an- che i tre partigiani che lo hanno ucciso, ca- sualmente trovandoselo di fronte all'im- provviso. Solo di questi tre non farà il nome nel libro Il disperso di Warburg. L'ho cono- sciuto bene Nuto? Sì e no. Bene come un compagno di vita, non come uno dalla complessità difficilmente prevedibile, comprensibile. Un comandante partigia- no stampato, indiscutibile, coraggioso e calmo, audace e riflessivo, robusto, alto, quello che ti fa sentir sicuro anche quando sei braccato, circondato, una fine testa po- litica ma alla fine della guerra quando tutti cercano scorciatoie alle loro ambizioni ti dicono che ha messo su un magazzino di ferramenta, che campa del suo commer- ciando ferro. Non per diventare un pa- droncino ma per poter continuare a scopri- re la storia degli umili. La storia dei soldati morti o dispersi in Russia, quelli della atro- ce ritirata di La strada del Davai, li aveva an- cora negli occhi ma come documentarsi su quelli de L'ultimo fronte su tutti gli altri? La fortuna a volte premia i perseveranti. Viene a sapere che il distretto militare di Cuneo sta per vendere a una industria grafica di Borgo San Dalmazzo, come carta straccia dodici sacchi di lettere di combattenti ai lo- ro familiari, fermate alla censura e comun- que non inoltrate. Le userà per L'ultimo fronte e alla intimazione di un genera- le di consegnarle all'archi- vio militare, risponde: «Le ho comperate per renderle note invece che mandarle come voi al macero». Non aveva nessuna vo- glia di fare il politico Nuto ma aveva una fine testa poli- tica. Aveva capito per dire ciò che storici e politici di chiara fama non avevano mai ca- pito, che le vere protagoniste della cultura contadina erano le donne le «reggiore» del- l'economia, «l'anello for- te» di una società povera ed emarginata, le custodi delle memorie. L'Anello forte è dell'85. La ricerca di Nuto, instancabile, quoti- diana durava da quaranta anni e sarebbe continuata fino a che le forze lo avrebbero sorretto. Degli scrittori piemontesi e in partico- lare cuneesi, Nuto aveva come Einaudi, Gorresio, Fenoglio, Arpino, Cordero, Bian- co, Bobbio la necessità di scrivere l'italiano come una lingua straniera, diversa dal pie- montese materno. Mai di getto, mai ribol- lente come l'acqua che corre, sempre in certo modo controllata clas- sica per chiarezza e per im- pianto. Come era toccato agli Alfieri, ai Balbo, ai Solaro, ai Robilant, ai «consiglieri» dei principi sabaudi di lingua francese. Politi- camente Nuto, come la maggior parte di noi formati nella guerra partigiana era di te- sta quadra, per dire fermi nella scelta del settembre '43, ma non ingenui, non esenti dalle delusioni della storia. Decisi però a non tradire la nostra. Ex partigiani, figli e ni- poti, cittadini memori ricordano oggi Nuto davanti al monumento alla Resistenza. Poi chi vuole, va al cimitero, alle basse di Stura. Una vita per testimoniare la storia GIORGIO BOCCA Nuto Revelli e, in basso, in una foto giovanile LO SCRITTORE È MORTO A 84 ANNI Nuto Revelli è morto la scorsa notte nell’ospedale di Cuneo. Aveva 84 anni. Tra i suoi titoli più celebri, Mai tardi. Diario di un alpino in Russia del 1946, La guerra dei poveri del '62 e Il mondo dei vinti del '77. Gli ultimi suoi libri sono Il disperso di Marburg (1994), Il prete giu- sto (1998), Le due guerre (2003). RAPPRESENTÒ IL MONDO DEGLI UMILI LA SUA EREDITÀ MORALE MASSIMO L. SALVADORI Nuto REVELLI Ha raccontato in libri memorabili la ritirata di Russia, la Resistenza e la vita contadina Pubblichiamo parte di una lettera inedita di Nuto Revelli a Daniele Ponchiroli, dirigente della casa editrice Einaudi. La lettera risale al 1972 e si riferisce al libro La strada del Davai. C aro Daniele, ti chiedo di avere tanta pazienza. Più leggo la pre- messa più mi crescono i dubbi. (…) A pag. 56, I riga, aggiungo: «Con Livio parlo spesso delle armi nascoste. Spareremo soltanto se vincerà, con un colpo di Stato, la monarchia!». Un amico, partigiano e penalista, di- ce che potrei beccarmi una denuncia, che potrebbero chiedermi conto oggi di quelle armi nascoste. La cosa non mi spaventa, per il tristissimo motivo che da oltre venticinque anni quelle armi le abbiamo perdute di vista e sono ormai diventate concime. Comunque ci fac- cio un pensierino. Ho tempo fino alle prime bozze, gradirei anche un tuo pa- rere. Se non mi mettevano la pulce nel- l’orecchio a tutto pensavo ma non a un’eventualità del genere. Perdonami, ma è sempre così, quan- do si arriva vicino alla conclusione. Ti ringrazio e saluto molto cordialmente. Nuto QUELLE ARMI NASCOSTE DOPO LA GUERRA Una lettera inedita del 1972 a proposito del libro “La strada del Davai” www.kataweb.it KATAWEB ARTE. I musei, le gallerie, le mostre in Italia e nel mondo. Tutto a regola d’arte.

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Page 1: Nuto Revelli - Ricordo In Morte - Repubblica 06.02.2004.pdf

Dopo AlessandroGalante Garrone,dopo Norberto

Bobbio anche Nuto Re-velli ci ha fisicamente la-sciato. Ma, come loro, cilascia un'eredità cultu-rale e morale destinata arestare.

Pensare a quello che èforse il libro in cui egli ha

maggiormente espresso sestesso, La guerra dei poveri,

mi fa venire in mente, prima diogni altro libro, Un anno sull'al-tipiano di Emilio Lussu. Perchéentrambi, con eguale energiaumana e intellettuale seppurecon diversa scrittura, hanno sa-puto straordinariamente rac-contare la vicenda degli umili edei diseredati trascinati a com-battere e morire per una causache non era la loro e per la qualepure, condotti al macello, paga-rono più di tutti. Due libri neiquali dalla tragedia nasce unanuova volontà di lotta e riscatto,che nel racconto di Revelli pren-de il volto della lotta di resisten-za al nazifascismo. Il ricordo deimorti diventa il lievito spiritualedella rivolta in nome di un mon-do migliore.

Nelle pagine de La guerra deipoveri in cui parla del luglio1943, Revelli dice che al crollodel fascismo gli venne dal petto«un urlo» come se lo avessero«ferito». L'urlo era di odio e di-sprezzo per i tedeschi, i fascisti, igerarchi «imboscati e vigliac-chi», ma era anche bruciante ro-vello per i «poveri morti di Rus-sia» con cui aveva condiviso tut-to: «morti per nulla?». Affinchénon fossero morti per nulla, ec-co la risposta, bisognava che i vi-vi andassero sulle montagne, afar pagare il conto ai tedeschi eagli italiani che avevano traditoe continuavano a tradire il pro-prio popolo. Nel marzo 1943,nelle parole conclusive del suodiario di guerra, si era rivolto aicolpevoli della catastrofe lan-ciando il grido di guerra che sa-rebbe diventato quello dei parti-giani: «Mai tardi...a farvi fuori!».

A tenere ferma la memoria delfascismo, della guerra, della Re-sistenza, Revelli ha dedicato lasua esistenza. E, oltre a scriverepagine indimenticabili, ha rac-colto le testimonianze di tantialtri commilitoni. Ma per lui,vissuto nel Cuneese - terra diprobi e forti lavoratori della ter-ra - un'esigenza fortissimamen-te sentita fu altresì il dar voce acoloro che appartenevano aquello che definì «il mondo deivinti»: ascoltandoli, aiutandoli aricordare, a ordinare idee, a tra-smettere le loro sofferenze e leloro speranze. Così le vite deicontadini e delle contadine del-le montagne, delle Langhe, del-le pianure, delle colline della suae loro terra - che sarebbero altri-menti rimaste sepolte, dimenti-cate - trovarono la voce attraver-so la penna di Revelli. Il quale fe-ce in tal modo opera assai meri-toria anche per gli studiosi distoria orale, un campo in cui simostrò un maestro.

Nel discorso tenuto quandogli venne conferita la laurea ho-noris causa, Revelli pronunciòparole che rivelano il senso inte-ro della sua attività di scrittore:«Volevo che i giovani sapessero,capissero, aprissero gli occhi.Guai se i giovani di oggi dovesse-ro crescere nell'ignoranza, co-me eravamo cresciuti noi della"generazione del Littorio". Oggila libertà li aiuta, li protegge. Lalibertà è un bene immenso, sen-za libertà non si vive, si vegeta».

LA REPUBBLICA 43VENERDÌ 6 FEBBRAIO 2004

«Ha sentito? E' morto Nuto Revel-li». Ho sentito. «Lo conosceva?».Sì, certo. Stessa città, Cuneo,

stessa lunga età, stesso reggimento alpini,il secondo, stessa guerra quella fascista,persa. Stessa banda partigiana, Italia liberadi Giustizia e Libertà, stessa passione per lastoria di casa nostra, stessi rimpianti, stes-sa amarezza. «E allora che cosa può dirci dilui?». Era, uno di quei personaggi piemon-tesi che più ci pensi e più ti appaiono im-prevedibili, indefinibili. Comunque miproverò. Per cominciare era uno che siinteressa agli umili, nella tradizionedei santi piemontesi, voglio dire unoche senza respingere la storia ari-stocratica, militare del suo paese,sente però un fortissimo interes-se per l'altra faccia della sua sto-ria, per quelli “che nome nonhanno” i contadini, i vinti, i di-spersi, i poveri. Lo stesso interes-se dei santi sociali del Risorgi-mento, alla don Bosco, alla Cotto-lengo, non di compassione ma digiustizia. C'erano anche loro, ilgrosso della pena, della resistenza,della sopravvivenza è stato fatto da lo-ro, noi ci siamo perché c'erano loro. E quiesce fuori l'imprevedibile di Nuto: il ricer-catore storico quasi unico nel nostro paese,serio, metodico, instancabile. Faccio unesempio. Viene a sapere che nella campa-gna di Cuneo circola una favola militare,come altre lasciate dai soldati stranieri ar-rivati nella città dei sette assedi, la favola del“tedesco buono”. Da cosa può partire? Daun lembo di camicia bianca rimasto impi-gliato in un cespuglio sul greto del torrenteGesso, vicino alla città. E' tutto ciò che restadel “tedesco buono” amico dei contadini.Nessuno ricorda il suo nome, da dove ve-nisse, chi lo ha ucciso e che interesse possaavere la sua storia nel pandemonio dellaguerra partigiana. Ma Nuto si aggrappa aquel lembo di camicia bianca e non lo mol-la più, trova il nome del “tedesco buono”, lasua città Warburg, i suoi parenti, trova an-che i tre partigiani che lo hanno ucciso, ca-sualmente trovandoselo di fronte all'im-provviso. Solo di questi tre non farà il nomenel libro Il disperso di Warburg. L'ho cono-sciuto bene Nuto? Sì e no. Bene come uncompagno di vita, non come uno dallacomplessità difficilmente prevedibile,comprensibile. Un comandante partigia-no stampato, indiscutibile, coraggioso ecalmo, audace e riflessivo, robusto, alto,quello che ti fa sentir sicuro anche quandosei braccato, circondato, una fine testa po-litica ma alla fine della guerra quando tutticercano scorciatoie alle loro ambizioni tidicono che ha messo su un magazzino diferramenta, che campa del suo commer-ciando ferro. Non per diventare un pa-droncino ma per poter continuare a scopri-re la storia degli umili. La storia dei soldatimorti o dispersi in Russia, quelli della atro-ce ritirata di La strada del Davai, li aveva an-cora negli occhi ma come documentarsi suquelli de L'ultimo fronte su tutti gli altri? Lafortuna a volte premia i perseveranti. Vienea sapere che il distretto militare di Cuneosta per vendere a una industria grafica diBorgo San Dalmazzo, come carta stracciadodici sacchi di lettere di combattenti ai lo-ro familiari, fermate alla censura e comun-que non inoltrate. Le useràper L'ultimo fronte e allaintimazione di un genera-le di consegnarle all'archi-vio militare, risponde: «Leho comperate per renderle

note invece che mandarlecome voi al macero».

Non aveva nessuna vo-glia di fare il politico Nutoma aveva una fine testa poli-tica. Aveva capito per dire ciò che storici epolitici di chiara fama non avevano mai ca-pito, che le vere protagoniste della culturacontadina erano le donne le «reggiore» del-

l'economia, «l'anello for-te» di una società poveraed emarginata, le custodidelle memorie. L'Anelloforte è dell'85. La ricerca diNuto, instancabile, quoti-

diana durava da quaranta anni e sarebbecontinuata fino a che le forze lo avrebberosorretto.

Degli scrittori piemontesi e in partico-lare cuneesi, Nuto aveva come Einaudi,Gorresio, Fenoglio, Arpino, Cordero, Bian-co, Bobbio la necessità di scrivere l'italianocome una lingua straniera, diversa dal pie-montese materno. Mai di getto, mai ribol-lente come l'acqua che corre, sempre in

certo modo controllata clas-sica per chiarezza e per im-pianto. Come era toccato agliAlfieri, ai Balbo, ai Solaro, aiRobilant, ai «consiglieri» dei

principi sabaudi di lingua francese. Politi-camente Nuto, come la maggior parte dinoi formati nella guerra partigiana era di te-sta quadra, per dire fermi nella scelta delsettembre '43, ma non ingenui, non esentidalle delusioni della storia. Decisi però anon tradire la nostra. Ex partigiani, figli e ni-poti, cittadini memori ricordano oggi Nutodavanti al monumento alla Resistenza. Poichi vuole, va al cimitero, alle basse di Stura.

Una vita per testimoniare la storiaGIORGIO BOCCA

Nuto Revelli e, in basso,in una foto giovanileLO SCRITTORE È MORTO A 84 ANNI

Nuto Revelli è morto la scorsa notte nell’ospedale diCuneo. Aveva 84 anni. Tra i suoi titoli più celebri, Maitardi. Diario di un alpino in Russia del 1946, La guerradei poveri del '62 e Il mondo dei vinti del '77. Gli ultimisuoi libri sono Il disperso di Marburg(1994), Il prete giu-sto (1998), Le due guerre (2003).

RAPPRESENTÒIL MONDO

DEGLI UMILI

LA SUA EREDITÀ MORALE

MASSIMO L. SALVADORI

Nuto

REVELLI

Ha raccontato in libri memorabili la ritirata di Russia, la Resistenza e la vita contadina

Pubblichiamo parte di unalettera inedita di Nuto Revellia Daniele Ponchiroli,dirigente della casa editriceEinaudi. La lettera risale al1972 e si riferisce al libro Lastrada del Davai.

Caro Daniele, ti chiedo di averetanta pazienza. Più leggo la pre-messa più mi crescono i dubbi.

(…) A pag. 56, I riga, aggiungo: «ConLivio parlo spesso delle armi nascoste.Spareremo soltanto se vincerà, con uncolpo di Stato, la monarchia!».

Un amico, partigiano e penalista, di-

ce che potrei beccarmi una denuncia,che potrebbero chiedermi conto oggidi quelle armi nascoste. La cosa non mispaventa, per il tristissimo motivo cheda oltre venticinque anni quelle armi leabbiamo perdute di vista e sono ormaidiventate concime. Comunque ci fac-cio un pensierino. Ho tempo fino alleprime bozze, gradirei anche un tuo pa-rere. Se non mi mettevano la pulce nel-l’orecchio a tutto pensavo ma non aun’eventualità del genere.

Perdonami, ma è sempre così, quan-do si arriva vicino alla conclusione. Tiringrazio e saluto molto cordialmente.

Nuto

QUELLE ARMI NASCOSTE DOPO LA GUERRAUna lettera inedita del 1972 a proposito del libro “La strada del Davai”

www.kataweb.it KATAWEB ARTE. I musei, le gallerie, le mostre in Italia e nel mondo. Tutto a regola d’arte.

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44 LA REPUBBLICA VENERDÌ 6 FEBBRAIO 2004C U L T U R A

La fase d’incubazione delrazzismo fascista si vachiarendo, attraverso i

tasselli documentari che anco-ra oggi, a decenni di distanza,gli archivi via via risospingonoin superficie, in un mosaicosempre più inquietante, checonsente di appurare genesi eintensità dell’antiebraismo.

Le sanzionilegislative del1938 furonoinfatti prece-dute da unbattage ideo-logico, con l’e-purazione deiranghi del par-tito e delle or-ganizzazioni fasciste in genereda elementi «razzialmente im-puri». La versione dei provve-dimenti legislativi introdotticome fulmine a ciel sereno, piùper imitazione della Germaniahitleriana che per intima con-vinzione, è contraddetta dauna mole di carteggi soltantooggi consultabili presso l’Ar-chivio centrale dello Stato,provenienti dal Ministero perla stampa e propaganda (rettonel 1936-39 da Dino Alfieri, a fi-ne maggio 1937 avrebbe as-sunto la denominazione di Mi-nistero della Cultura popola-re).

Uno tra i fascicoli più em-blematici del fondo riguardaRegime Fascista, il quotidianodiretto da Roberto Farinacci.La corrispondenza tra il gerar-

ca e il ministero scopre i risvol-ti della battaglia propagandi-stica sferrata l’estate 1936 dalfoglio cremonese, con una ma-novra in due tempi: ai pesantiattacchi farinacciani doveva-no infatti seguire gli interventidi alcuni ebrei di sentimenti fa-scisti, per avviare una laceran-te polemica intestina.

I primi vio-lenti articoli die s o r t a z i o n eall’odio razzi-sta furono va-lutati positiva-mente negliambienti mi-nisteriali, inquanto prepa-

ravano il terreno all’emana-zione di misure discriminato-rie, tranne ingenerare inquie-tanti dubbi sull’ortodossia delcriterio di Farinacci sulla di-stinzione degli ebrei in duecampi — a seconda dell’atteg-giamento assunto da ciascunodi essi verso il regime — con-traddicendo in tal modo lostesso presupposto razzisticodell’impostazione fascista.

Il Ministero per la stampa epropaganda impose dunquel’altolà al fanatico gerarca, or-dinandogli di troncare la scon-veniente campagna-stampa. Il26 settembre Farinacci chieseal ministro Alfieri una dilazio-ne, riservandosi l’utilizzo diun’arma segreta, ovvero l’in-tervento disgregatore prepa-rato con assoluta freddezza:

«Quando io ho cominciato astuzzicare gli ebrei, avevo giàconcertato con tre o quattroebrei spregiudicati che ad uncerto momento sarebbero in-tervenuti nella polemica peraumentare la confusione e percreare la lotta ... intestina fra icorreligionari. Nel momentopiù spassoso, mi è giunto il tuoveto».

Il gerarca si era venuto a tro-vare in una posizione difficile:avendo egli commissionatouno scritto al nipote del granrabbino Elia Benamozegh, in-tendeva ad ogni costo pubbli-carlo e si appellò pertanto aMussolini: «Ora io pregherei ilDuce che mi desse il “via” al-

LA CHIESA CATTOLICAÈ TOTALITARIA?

STAMANE A TORINO UN SEMINARIO A PORTE CHIUSE SUL DIFFICILE RAPPORTO CON LA MODERNITÀ

MARCO POLITI

Torino

«Sarà una cosa tempestosa». Franco Bol-giani, storico del cristianesimo, presi-dente della Fondazione Michele Pelle-

grino (il famoso arcivescovo di Torino negli annidal 1965 al 1977), prevede scontri assai polemicial seminario a porte chiuse che si terrà stamane aTorino sul tema Chiesa cattolica e modernità. So-no invitati e interverranno di persona o con co-municazioni alcuni fra i nomi più belli della ri-cerca storiografica, sociologica e giuridica sulcattolicesimo. Da Zagrebelsky a Miccoli, daScoppola a Paolo Prodi, da Margiotta Broglio aElia, Conso, Garelli, Recuperati.

C'è odor di zolfo perché la relazione introdut-tiva di Vincenzo Ferrone, ordinario di Storia mo-derna, è tutt'altro che asettica ma accusa frontal-mente la Chiesa e soprattutto il papato di nonaver fatto i conti fino in fondo con l'Illuminismoe la Rivoluzione francese e di ergersi a difensoredei diritti umani senza aver sinceramente svisce-rato la propria opposizione dura e reazionaria -prolungatasi nell'arco di due secoli - all'affer-marsi di quei principi, che oggipropugna come se fosse l'unicointerprete autorizzato.

Si può dimenticare, sostieneFerrone che non insiste nem-meno tanto sul Sillabo di Pio IXperché sarebbe come spararesull'ambulanza, che un ponte-fice come Leone XIII nella suaenciclica Libertas irride ancorasprezzantemente i diritti fon-damentali? «Non è assoluta-mente lecito - scrive papa Peccinel 1888 - invocare, difendere,concedere una ibrida libertà dipensiero, di stampa, di parola,d'insegnamento o di culto co-me se fossero altrettanti dirittiche la natura ha attribuito al-l'uomo...». Se poi accade che laChiesa si adegui a «certe mo-derne libertà», continua il pon-tefice nella medesima encicli-ca, è solo per motivi di opportu-nità.

In verità, sottolinea il relato-re, sarà solo l'immane tragediadell'Olocausto e l'esito rovino-so dei totalitarismi del Nove-cento a costringere la Chiesacattolica ad accettare piena-mente la democrazia e a ren-derla persuasa di un'intransi-gente difesa dei diritti umani.Presa di mira dalla relazione è larivisitazione del passato adopera di un filone della storio-grafia cattolica, che intravedenel concilio di Trento e nella dualità di potere frail regime ecclesiastico e il regime politico un po-tente fattore di modernizzazione. Anzi secondoalcuni, persino il delirio teocratico di GregorioVII, scatenando le reazioni dei laici contro i chie-rici, avrebbe «finito per fornire ai principi lo stes-so prototipo del futuro stato moderno». Troppo!La nuova apologetica finirebbe per «liquidare persempre l'ingombrante pratica dell'Illuminismo,del suo programma di modernizzazione fondatosull'autonomia e sui diritti dell'uomo», rilan-ciando invece la stantia presentazione di unRousseau padre naturale dei totalitarismi.

La miccia esplosiva del convegno sta nel fattoche in realtà è Giovanni Paolo II che viene messosul banco degli accusati per il suo attacco fronta-le ai parlamenti che osano legiferare in materia suaborto o eutanasia. «La democrazia - ha scrittoGiovanni Paolo II nell'enciclica Evangelium Vi-tae - ad onta delle sue regole, cammina sulla stra-da di un sostanziale totalitarismo», quando votain materia in contrasto con l'etica sostenuta dal-la Chiesa. Qui emerge, è detto nella relazione, «ilcontrasto irriducibile tra Chiesa e Stato su chidebba essere l'autorità ultima e sovrana nel cam-po dei diritti».

Francesco Margiotta Broglio, che modererà ildibattito, invita a tenere presente l'orizzonte eu-

ropeo dove le posizione vaticane sono diluite,molto più che da noi, in un pluralismo che ormaipermea totalmente la società occidentale.

Ma in una comunità così imperniata sulla me-moria come la Chiesa cattolica ogni lettura o ri-lettura della storia ha un suo peso. Sicuramentel'azione vigorosa di papa Wojtyla in difesa dei di-ritti umani ha trasformato il ruolo stesso del pa-pato nel XXI secolo. Agli occhi del mondo il ro-mano pontefice è percepito come portavoce deidiritti della persona e dei popoli e difensore dellapace. Il Papa stesso ha capito che ciò non sareb-be stato possibile senza il solenne mea culpa del2000 per gli errori e gli orrori commessi dallaChiesa nei secoli. Eppure questo salto acrobaticooltre il fiume della storia non è privo di zone gri-gie. Il Papa stesso parla di errori di «alcuni figli»della Chiesa e all'interno dell'istituzione eccle-siastica c'è uno zoccolo consistente di vescovi ecardinali del tutto refrattari ad ammissioni auto-critiche. Di più, Giovanni Paolo II ha sempre ri-badito di considerare lo sviluppo del pensiero eu-ropeo da Cartesio all'Illuminismo come ispirato

ad un «programma anti-cristia-no», con una dicotomia così ra-dicale che finisce per ripropor-re la visione di una Chiesa"maestra" al di sopra della sto-ria. Non ci sarebbero anche ri-cadute nella cronaca legislativaitaliana, come la pretesa di im-porre l'inaccettabile obbligo al-la donna di impiantare un em-brione pur malato, se non vi fos-se alle spalle il pressing incal-zante di un'istituzione eccle-siastica convinta di essere l'in-terprete assoluta del dirittonaturale.

Un intellettuale e studiosocattolico come Pietro Scoppolainvita a guardare più in là. «L'e-redità della rivoluzione del 1789- farà sapere stamane - non èproprietà esclusiva di nessuno,è di tutta la cultura europea, èanche dei cristiani», in un qua-dro di maturazione da cuiemergono tanti elementi: lacomplessità di una Chiesa nonriducibile al solo ruolo del pon-tefice, le lacerazioni che hannoattraversato la stessa comunitàecclesiale, l'intuizione del pen-siero cattolico di «antitesi, limi-ti, germi di concezioni totalita-rie presenti nella concezione il-luministica».

Ma Scoppola fa un passo piùin là, toccando il grande tabùdel pontificato wojtyliano. «Re-

sta da chiedersi - afferma lo storico - perché il ri-conoscimento dei diritti soggettivi da parte dellaChiesa non diventi anche riconoscimento dei di-ritti dei cristiani "nella" Chiesa. Perché, ad esem-pio, non valga in alcune sue congregazioni e pro-cedure quel diritto alla difesa che è riconosciutoessenziale nei tribunali degli Stati».

E' una formulazione fin troppo misericordio-sa. Negli ultimi venticinque anni si è assistito al-l'interno della Chiesa cattolica ad una sistemati-ca liquidazione delle personalità critiche senzache mai fossero attivate pienamente le regole diequo "processo" che pur sono previste dagli stes-si ordinamenti ecclesiastici.

«E' un problema in larga misura aperto», sug-gerisce Scoppola. Non sarà risolto, probabilmen-te, se non quando la gerarchia ecclesiastica avràrielaborato seriamente il proprio passato. Nean-che settant'anni fa Pio XI dichiarava tranquilla-mente: «Se c'è un regime totalitario, totalitario difatto e di diritto, è il regime della Chiesa, perchél'uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deveappartenerle, dato che l'uomo è creatura delBuon Dio... E il rappresentante delle idee, deipensieri e dei diritti di Dio, non è che la Chiesa».

Settant'anni sono dietro l'angolo in una sto-ria millenaria. Un solo esame di coscienza nonbasta.

San Pietro

L’accusa è sostenutada Vincenzo Ferrone,

intervengono ScoppolaMiccoli, Elia e Conso

La campagna contro gli ebreiSopra, Mussolini con (da sinistra)Buffarini Guidi, Starace e Alfieri(Istituto Luce Alinari, da “Il duceproibito”, Mondadori). Sopra il titolo,Starace (a sinistra)

Nuove cartemostrano la lunga

incubazionedel razzismo

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LA REPUBBLICA 45VENERDÌ 6 FEBBRAIO 2004 C U L T U R A

l’allegato articolo. Anche per-ché non saprei come giustifi-care la non pubblicazione, do-po averlo provocato; né vorreidire che Roma mi ha invitato anon insistere nella polemicaper non far credere agli ebreiche il Regime interviene con-tro chi ogni tanto li scudiscia».Paradigmatica — e per certiversi profetica — la conclusio-ne della lettera: «Siccome saràinevitabile che contro questarazza infida si dovrà un giornoprendere posizione, è meglioavere anche il pretesto di affer-mare che contro l’atteggia-mento infido degli ebrei italia-ni sono insorti alcuni stessicorreligionari».

Il pezzo di cui Farinacci au-spicava la pubblicazione erafirmato da Gino Benamozegh es’intitolava Scissione!, confi-gurandosi per l’appunto comeun appello alla divisione dellacomunità ebraica e alla suariaggregazione su basi squisi-tamente fasciste: «Unitevi oitaliani di religione ebraica edistinguetevi dagli ebrei di na-zionalità ebraica!».

Dino Alfieri pur con qualcheperplessità accondiscese alprogetto, con una motivazioneindicativa delle intime convin-zioni del ministro della Stam-pa: «Pubblichi pure comechiusura — Va bene per au-mentare la confusione, ma

conferma l’equivoco d’impo-stazione del problema: non sitratta di vedere se tra quellagente vi sono i buoni e i cattivi;la questione è più profonda: èproblema di razza». Non stupi-sce, alla luce di simili conside-razioni, l’attivismo dispiegatodi lì a un biennio da Alfieri nel-la persecuzione antiebraica,senza distinzione tra «i buoni ei cattivi». Tregiorni più tardiil quotidianocremonese ri-produceva ilcontroversoarticolo di Be-namozegh echiudeva mo-m e n t a n e a -mente l’offensiva antiebraica,rinviata a tempi più consoni.

Gli articoli di Regime Fasci-sta suscitarono reazionipreoccupate fuori d’Italia. Se-condo le informazioni raccoltedall’Ufficio politico della Mili-zia, «gli ebrei americani» si al-larmarono e per ritorsione pe-nalizzarono gli immigrati ita-liani; anche questo rapporto(trascritto a fianco) trasudarazzismo, confermando la pe-netrazione di salde convinzio-ni discriminatorie nell’appa-rato del regime.

Lo scambio epistolare Fari-nacci-Alfieri — cui fanno cor-redo altri documenti inclusinel medesimo fondo archivi-stico, essi pure inediti — è si-gnificativo per una serie di ra-

gioni: 1) il contesto temporale,precedente di due anni l’ema-nazione della legislazione raz-ziale; 2) la comprova del carat-tere autonomo del razzismofascista; 3) la dimostrazioneche, dietro le divisioni ingene-ratesi in seno all’ebraismo ita-liano, stavano le ciniche ma-novre di Farinacci; 4) la perce-zione, nella comunità ebraica

statunitense,che nell’Italiadel 1936 si fos-se avviata unapolitica raz-ziale; 5) il rilie-vo assunto davalutazioni dinatura oppor-tunistica per

velare le più acute e intempe-stive manifestazioni razzisti-che di Regime Fascista; 6) la ri-velazione dei reali sentimentiantiebraici nutriti da gerarchi eda funzionari di primo piano,dal ministro Alfieri ai verticidella Milizia; 7) la concordanzadi due personaggi ritenuti co-munemente «alternativi», mache dal 1936 al 1943 concorse-ro alla persecuzione razzista.

C’è quanto basta per revisio-nare la vulgata buonista chevorrebbe ridurre l’antisemiti-smo a fattore d’importazione esostanzialmente di facciata,incidente di percorso di un re-gime altrimenti rispettabileper l’affermazione dei valorinazionali e la mitezza verso glioppositori.

IL FASCISMOANTISEMITA

PRIMA DEL ’38MIMMO FRANZINELLI

Fin dal 1936 Farinaccicoinvolge il ministro

Alfieri in una campagnadi odio razziale che

prevede l’uso strumentaledi ebrei fascisti

Ecco il documento dell’Ufficio politico della Miliziaconservato all’Archivio Centrale dello Stato.

Roma, li 10 ottobre 1936. Viene segnalato che, in seguito ad un arti-colo pubblicato dal giornale Regime Fascista, si è manifestata fra gliebrei americani una sorda irritazione contro l’Italia, essendosi per-suasi che anche nel nostro Paese è stata iniziata una persecuzionecontro la loro razza. Questa irritazione comincia ad avere i suoi effettia danno dei nostri connazionali colà residenti, perché israeliti che so-no a capo di aziende cercano di sbarazzarsi del personale italiano chehanno alla loro dipendenza. Data la potenza che hanno gli israeliti intutti i campi dell’industria e degli affari, questa loro ostilità potràmettere sul lastrico molti nostri connazionali.

“E ORA GLI EBREI D’AMERICASONO IRRITATI DALL’ITALIA”

UN DOCUMENTOINEDITO

L’antisemitismonon è un fattore

di importazione comevorrebbe la vulgata

Eun giorno, all'improvvi-so... Signore e signori, ec-co a voi Madama Poesia.

Fino a quindici giorni fa per in-contrarla bisognava girare die-tro ai pilastri delle librerie, scaf-fali nascosti e abitati da una fol-la di coste magroline, dalla gra-fica ridotta all'evanescenza,sintomi colpevoli di una scle-rosi a plaquette. Il bianco dellecopertine e delle pagine - tuttoquel bianco - abbacinava conl'eleganza di un esilio. Compropoesia, ho un'anima. Leggopoesia, ho due anime. Scrivopoesie, ho una task force di ani-me.

Ma appunto all'im-provviso, senza averpotuto sentire l'or-chestra che si accor-dava sul la e il tic-chettio della bac-chetta del mae-stro, gli ottoni del-la poesia hannoattaccato il lorof o r t i s s i m o .Mezzi di versifi-cazione dimassa inon-dano le edi-cole di esa-metri edenjambement, i massxenia ci indicano la strada. Re-citate, gente, recitate. DylanThomas non chiede più unamaschera: Oh, make me amarketing...

"Poesia!" bisognerebbeesclamarlo ad alta voce, fino asentire stridere la voce, comeKrapp strilla "Bobina!" all'ini-zio della pièce di Beckett sulsuo "Ultimo nastro". Oppureconcedere, avendo fama di gio-catori: "Poe, e sia...". Poetessa,Poe e Tessa. Soprattutto resi-stere per una volta, nella solen-nità declamatoria dell'occa-sione, dal ripetere quel che si èperaltro sempre sostenuto,sulle Muse e sulla musica dellinguaggio, e sulla loro intrin-seca necessità. Il discorso cheera valido fino a ieri (e che ritor-nerà a esserlo dopodomani)ora è soffocato dai decibel. Sen-tire parlare tanto di poesia favenire il sospetto che sia torna-to Natale, che lo scolaro dellafamiglia sia salito ancora unavolta sulla sedia, e torturando-si le mani dietro la schiena e ba-sculando a destra e sinistra,beccheggiando avanti e indie-tro ripeta ancora con voce sten-ta che si ferma e accelera insen-satamente i versi del compito

di Natale, nell'improvviso si-lenzio delle forchette e dei col-telli.

E allora sì, la poesia è una bel-la cosa: bellicosa. La sua di-mensione sociale la tramorti-sce un po', il tentativo di farneun Evento la rende anche lieve-mente grottesca, l'equivoco èin agguato. Poco male, lo èsempre. Ma quando si conse-gna materiale facilmente in-fiammabile occorre pure daredelle indicazioni all'utente.

L'idea benefica e salvificadella poesia è il principale fra gliequivoci. Il poeta, «giocolieredi parole, oracolo fatale, poten-za impotente» di cui parla Blan-

chot non cucina prelibatezzeche mellificano le

papille e cor-roborano la

digestione. LaCoca Cola è

più buona dellapoesia, la cy-

clette fa espelle-re più tossine, la

playstation è piùstimolante, la tisa-

na ti sana, ed è piùrilassante. La poe-

sia è un antiginnasti-ca dolorosa, che pur-

troppo va fatta con esul proprio corpo, na-

turalmente se lo si desi-dera. Ma si può "desiderare" lapoesia? Provarne la mancanza,"avere la mancanza" (come di-cono a volte i bambini) certo sipuò, ma non è detto che sia au-gurabile e soprattutto non è"poetico". La poesia stessa nonè "poetica". Ogni volta che unapoesia va giù liscia, rivolgersi alproprio medico. Ogni volta chela poesia fa sospirare alla luna,guardarsi il dito. Odi barbare, epoi muori. La poesia non dice ildolore, lo evoca e lo provoca; lasua gioia, sgomenta. Il baciodelle parole in rima manda al-l'aria ogni idea di senso, ognipacificazione, fa scandalo emale. Pensare di amarla è comedichiararsi innamorato di unaslavina, farsi consolare da unflagello.

Un giorno, a Passaparola, aun concorrente fu domandato«Era solitario quello di Leopar-di. Incomincia per P». Lo sven-turato (giocoliere di parole,oracolo fatale, potenza impo-tente) rispose: "Piacere". Ilarepotenza del qui pro quo, svo-lazzo di passero solitario, sen-tenza di onanismo incomuni-cante. Quella, era la P di Poesia.

È ANDATO letteralmente a ruba ieri il primo vo-lume dell’Antologia della poesia italiana Einaudi,curata da Carlo Ossola e Cesare Segre, dedicato alDuecento e Trecento e molti, non trovando al mo-mento più copie, hanno telefonato alle nostre re-dazioni. Sarà comunque ancora possibile trovarenuove copie da oggi. Un grande successo cultu-rale, data l’altezza indiscutibile dell’opera . Che,lo ricordiamo, è articolata in sei volumi e copre unarco di otto secoli, arrivando ai giorni nostri.

Ogni volume, venduto con il giornale, costa9,90 euro in più.

IL SUCCESSODELLA POESIA

IN EDICOLA IL PRIMO VOLUME DELL’ANTOLOGIA

SE I VERSI SONO BELLICOSISTEFANO BARTEZZAGHI

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46 LA REPUBBLICA VENERDÌ 6 FEBBRAIO 2004C U L T U R A

FRANCO MARCOALDI

IL CASTOROCINEMACOMPIE

TRENT’ANNI

LA STORIA DELLA COLLANA TOPTEN

I LIBRI PIÙ VENDUTIDELLA SETTIMANA

L E N O V I T À IN C L A S S I F I C A

IN TESTA LACORNWELL INCALZATA DADANBROWN

NOVITÀ NOVITÀ

NEWENTRY

SALE SCENDE STABILE RIENTRO NUOVO

(1) SETTIMANE DI PRESENZA IN CLASSIFICA

L E G E N D A

PAOLO D’AGOSTINI

L’editoria consacrata alcinema è condannata alghetto salvo rarissimi

esempi come la leggendaria in-tervista di Truffaut a Hitchcock oil fortunato Dizionario di PaoloMereghetti, ma coloro che sannosia pur a occhio e croce che cosaè il Castoro si contano molto piùnumerosi della sparuta setta dichi frequenta i banchi specializ-zati nelle Feltrinelli. Il Castoro-cinema nasce come collana del-la Nuova Italia nel 1974. A rischiopensione, viene rilevata nel 1993da un nuovo editore che ne pren-de il nome, Editrice il Castoro, econtinua a pubblicare le mono-grafie sui registi ma apre anchealtre linee, sul cinema e non solo.Centro della nuova iniziativa èuna giovane, Renata Gorgani,ma la direzione dei libretti qua-drati resta al fondatore FernaldoDi Giammatteo.

Dunque ecco perché domeni-ca a Milano (Spazio Oberdan,viale Vittorio Veneto 2, ore 19) sifesteggia con un libro enigmati-camente intitolato Dieci/Trenta.Doppio compleanno, approssi-mativo il primo, tondo tondol’altro. Il volume è occasione diripercorrere una piccola grandestoria. La storia di un’iniziativaunica per vastità e longevità, ar-rivata oggi a quota 213 titoli spec-chio dei tempi in cui sono staticoncepiti e realizzati, più neutriquelli vicini più faziosi quelli lon-tani: quanti biografati prematu-ramente malgrado la spietatasorveglianza del patron, quantiimportanti buchi ai danni di ci-neasti non alla moda. Una storiache alla resa dei conti e nono-stante tirature medie di duemilacopie - ma calcoliamo che sottola direzione Veltroni quaranta ri-stampe furono veicolate dall’U-nità - ha portato nelle case italia-ne milioni di saggi sul cinema.Una storia che vanta i suoi boom,in testa il Kubrickdi Enrico Ghez-zi e il Morettidi Flavio De Bernar-dinis.

Ma la sorpresa di questo rega-lo di doppio compleanno è l’ab-bondante e maliziosa riprodu-zione della corrispondenza - chea lungo fu epistolario cartaceo epostale, niente fax, tanto menoe-mail - attraverso la quale i pro-ponenti, pieni di soggezione maanche di presunzione, si davanoin pasto al patron Fernaldo, ap-postato come un cerbero pater-nalista e piemontesemente mili-taresco tra il villino primo Nove-cento della Nuova Italia a Roma ele sue itineranti residenze priva-te di Firenze, Bologna, Romastessa. Inflessibile subito e ancorpiù dopo, quando si trattava distrigliare i ritardatari (tutti o qua-si) e di rigettare gli intollerabilieccessi di furore cinéphile, di se-miologia, di psicanalisi. Il Casto-ro è stato palestra e iniziazionecritica per due e ormai forse an-che tre generazioni, ha coinvoltopiù di cento autori. I primi volu-metti portano firme poi diventa-te famose e per non far torto anessuno citiamo solo il com-pianto Alberto Farassino e il suomitico “numero 2” Godard.

L’epistolario con frizzante cat-tiveria collazionato da Silvia Pa-reti farà simpaticamente arrossi-re parecchi (sottoscritto inclu-so). Suppliche, tirate d’orecchi,proposte assurde, rifiuti sdegna-ti, contorsioni lessicali, crudelirichiami alla realtà, si susseguo-no senza pietà. Ma chi non ambi-va all’ammissione nel circolo deicastoristi - vezzo dei più prolificiil fregiarsi di tre, quattro, perfinocinque titoli come di stellette - enon era per questo disposto alleforche caudine dell’implacabileFernaldo? La cui bestia nera nu-mero 1 è stato probabilmenteproprio il delirante/geniale in-ventore di Blob e Fuori Orario:«Suona le trombe, oggi porto allaNuova Italia Kubrick…Ti ho ma-ledetto meno del previsto, il ma-noscritto era (abbastanza) ordi-nato, non troppo incasinato… Tiringrazio per la pazienza, peraver disciplinato la follia senzaucciderla, per aver fatto un Ca-storo di pregio». Per chi vi ha mi-litato anticamente resta un’om-bra di nostalgia per l’indigenzaeditoriale della vecchia formula,ormai sostituita da una veste tan-to più accattivante - le fotografie,perfino! - da apparire lussuosa.

NON è facile trovare un uomo di Chiesaproteso a difendere i migliori valori reli-giosi tralasciando l’istituzione da cui so-no scaturiti, tanto da incrociare quellanuova morale che Jacques Derrida defi-nisce «religione senza religione». E anco-ra meno facile è trovare un uomo di Chie-sa capace di riconoscere le enormi diffi-coltà del cristianesimo nel passare dallavecchia posizione di predominio cultu-rale ad uno scenario compiutamentepluralista: «È noto che quando le rivolu-zioni della storia minacciano delle isti-tuzioni nate per diffondere grandi idee,tali istituzioni si difendono ritirandosidietro le mura di cinta, a scapito dei va-lori che intendevano promuovere. A quelpunto il loro unico scopo diventa la so-pravvivenza, piuttosto che la diffusionedei loro ideali migliori».

No, non è facile, ma proprio per questo

è tanto più interessante il libro Sul per-dono (traduzione di Marcello Monaldi,pagg. 92, euro 10, Ponte alle Grazie) scrit-to da Richard Holloway, per quattordicianni vescovo di Edimburgo, teologo ecommentatore (di Guardian e Times). Ilperdono, tema cristiano per eccellenza,viene affrontato da Holloway con spiritolaico. L’ex vescovo di Edimburgo è perfet-tamente consapevole del fatto che unamamma a cui hanno stuprato una figlia,o un popolo che ha subito un terrificanteattacco terrorista, facciano un’immensafatica a perdonare. E rispetta queste dif-ficoltà. Ma ricorda anche, con la Arendt,

che soltanto perdonando le proprie colpee quelle altrui possiamo liberarci dal gio-go del passato e aprirci nuovamente alfuturo.

«Perdonare l’imperdonabile», perusare un’altra immagine di Derrida, nonè cosa da tutti. Eppure proprio quel gesto,aggiunge Holloway con l’orgoglio del cri-stiano, «può disattivare la turbina dellafollia e della vendetta e invitarci, con in-finita mitezza, ad andare incontro al fu-turo». Soltanto anime straordinarie so-no capaci di arrivare a tanto, ma quandocompaiono sulla scena dobbiamo essereloro infinitamente grati. Anche perchénessun esercizio di Realpolitik raggiun-ge risultati ugualmente alti. Un esempioper tutti: Nelson Mandela, il quale, dopo18 anni di durissima prigionia, ha ante-posto la benevolenza alla vendetta. E hasalvato così il proprio paese.

Nella top ten di questa settimana, molteconferme e due new entry. Rimangonoinvariate le prime posizioni, con Cal-

liphora di Patricia Cornwell in testa, incalza-to da Dan Brown con Il codice da Vinci. Di se-guito si confermano Cento colpi di spazzola diMelissa P. e Come smettere di farsi le seghementali e godersi la vitadi Giulio C. Giacobbe.

In quinta posizione troviamo la prima newentry: Pamela di Samuel Richardson. Scrittonel 1740, e coronato subito da uno straordi-nario successo, è un romanzo sentimentale,molto audace per l’epoca. Narra le vicende diuna giovane cameriera che, resistendo ad in-finiti tentivi di seduzione e di stupro da partedel padrone, riesce infine a farsi sposare dalui.

La seconda novità si rintraccia al nono gra-dino. Questo è stato. Una famiglia italiana neilager di Piera Sonnino è la rielaborazione diun dattiloscritto composto negli anni ’60 dal-la stessa autrice, ebrea genovese deportata adAuschwitz con tutta la famiglia e unica so-pravvissuta. Rimane stabile, in sesta posizio-ne, Mark Haddon con Lo strano caso del caneucciso a mezzanotte. Scende Il sangue dei vin-tidi Pansa (settimo), seguito da Io non ho pau-ra di Ammaniti. Chiude la top ten Undici mi-nuti di Paulo Coelho.

La classifica è stata curata da Eurisko. Fon-te dati: 230 librerie aderenti al servizio Arian-na di Informazioni Editoriali e un campionedi controllo. Le vendite si riferiscono al perio-do dal 26 gennaio al primo febbraio 2004. Patricia Cornwell in un disegno di Jatosti

L E N O T I Z I EALL’AUDITORIUM DI ROMAGLI SCRITTORI SCANDINAVIROMA - Il mondo scandinavo sarà protago-nista del Festival Zero Gradi, in programmadal 10 al 15 febbraio all’Auditorium Parcodella Musica di Renzo Piano. Un’ampia se-zione sarà dedicata alla letteratura: la casaeditrice Iperborea di Milano, l’unica in Italiaspecializzata nel settore, organizza una seriedi incontri con i suoi autori più noti e più ama-ti dal pubblico italiano, chiamati a rappre-sentare ciascuno il loro paese: Arto Paasilin-na per la Finlandia (nella foto), Björn Larssonper la Svezia, Einar Már Gudmundsson perl’Islanda, Erlend Loe per la Norvegia, e JørnRiel per la Danimarca, che per la prima voltapresenta un libro nel nostro Paese.

DAL 10 AL 15FEBBRAIOAL “FESTIVAL ZERO

GRADI” LO SVEDESE

BJÖRN LARSSON E

IL FINLANDESE ARTO

PAASILINNA

I PROFETI DELLA BIBBIASECONDO GIACOMO DEBENEDETTIGIACOMO Debenedetti ha vissuto il suo lavo-ro di critico letterario non solo con competen-za, ma con passione e calore. Tra i saggi giova-nili, all’inizio sulla rivista da lui fondata a 21 an-ni Primo tempo e poi su altre pubblicazioni, vene furono diversi in cui cercò di approfondireil significato dell’ebraismo e il valore del sioni-smo, e da cui scaturì anche un ciclo di confe-renze sui profeti di Israele. Sulla sua idea diprofetismo biblico, ora torna la rivista CiviltàCattolica, che sarà domani in libreria con unsaggio di Antonio Spadaro dedicato a questotema, argomento ritenuto essenziale anche daArnaldo Momigliano per tracciare un’analisicompleta dell’opera del critico piemontese .

IL CRITICOLA RIVISTA “CIVILTÀ

CATTOLICA” ESCE

ORA CON UN SAGGIO

DI ANTONIO

SPADARO SU

DEBENEDETTI

LA LEGGEREZZA

DEL PERDONO

NARRATIVA ITALIANAN° AUTORE TITOLO EDITORE PREZZO PUNTI1 MELISSA P. CENTO COLPI DI SPAZZOLA PRIMA DI ANDARE A DORMIRE FAZI € 9,50 842 AMMANITI IO NON HO PAURA EINAUDI € 9,00 383 GIUTTARI SCARABEO RIZZOLI € 15,00 274 MANFREDI L’ISOLA DEI MORTI MARSILIO € 8,00 245 MANFREDI IL TIRANNO MONDADORI € 18,60 216 MASTROCOLA UNA BARCA NEL BOSCO GUANDA € 14,50 18

NARRATIVA STRANIERA1 CORNWELL CALLIPHORA MONDADORI € 18,60 1002 BROWN IL CODICE DA VINCI MONDADORI € 18,60 983 RICHARDSON PAMELA FRASSINELLI € 12,00 504 HADDON LO STRANO CASO DEL CANE UCCISO A MEZZANOTTE EINAUDI € 16,00 495 COELHO UNDICI MINUTI BOMPIANI € 15,00 336 STEEL ATTO DI FEDE SPERLING & KUPFER € 17,00 26

SAGGISTICA1 PANSA IL SANGUE DEI VINTI SPERLING & KUPFER € 17,00 472 SONNINO QUESTO È STATO IL SAGGIATORE € 10,00 353 AUGIAS I SEGRETI DI LONDRA MONDADORI € 18,00 234 ANDREOLI LETTERA A UN ADOLESCENTE RIZZOLI € 9,50 235 BIAGI LETTERA D’AMORE A UNA RAGAZZA DI UNA VOLTA RIZZOLI € 16,00 146 PADOAN COME UNA RANA D’INVERNO BOMPIANI € 7,50 12

VARIA1 GIACOBBE COME SMETTERE DI FARSI LE SEGHE... PONTE ALLE GRAZIE € 9,00 652 MILITELLO GIULIETTA È ‘NA ZOCCOLA KOWALSKI € 10,00 323 GREIVE IL LIBRO BLU DELLE COCCOLE MONDADORI € 10,00 294 GREIVE COCCOLIAMOCI MONDADORI € 10,00 295 ROWLING HARRY POTTER E L’ORDINE DELLA FENICE SALANI € 24,00 296 TOTTI TUTTE LE BARZELLETTE SU TOTTI... MONDADORI € 9,00 24

TASCABILI 1 FALETTI IO UCCIDO BALDINI CASTOLDI DALAI € 7,90 542 LEVI SE QUESTO E’ UN UOMO - LA TREGUA EINAUDI € 9,00 493 RÜTTER BARZAGHI UN BAMBINO PIANGE ANCORA TEA € 8,00 274 BOBBIO DESTRA E SINISTRA DONZELLI € 13,00 265 ROTH LA MACCHIA UMANA EINAUDI € 10,80 226 DE SAINT-EXUPÉRY IL PICCOLO PRINCIPE BOMPIANI € 6,50 19

SUPERTASCABILI1 CORNWELL RITRATTO DI UN ASSASSINO MONDADORI € 4,60 262 MAZZANTINI NON TI MUOVERE MONDADORI € 4,90 213 CONNELLY GHIACCIO NERO PIEMME € 4,90 174 PRESTON-CHILD LA STANZA DEGLI ORRORI RL LIBRI € 4,60 165 SMITH IL SETTIMO PAPIRO RL LIBRI € 4,60 166 RANKIN DIETRO LA NEBBIA RL LIBRI € 4,60 13

PATRICIA CORNWELLCalliphoraMONDADORI - € 18,60 416 PAGINELe mosche necrofaghe Calliphorapotrebbero essere un lontano ricordo perKay Scarpetta che si è trasferita in Floridacon un lavoro da consulente free lance.Mala morte di una ricca signora in Louisianaben presto mostra inquietanti collegamenticon la scomparsa di numerose donne nellazona di Baton Rouge.

DAN BROWNIl codice da VinciMONDADORI - € 18,60 523 PAGINEParigi,Museo del Louvre.Nella GrandeGalleria, il vecchio curatore Saunlère vieneferito a morte. La scena che si presenta agliocchi dei primi soccorritori èagghiacciante: il vecchio disteso sulmarmo è riuscito,prima di morire,ascrivere alcuni numeri,poche parole esoltanto un nome: Robert Langdon.

MELISSA P.Cento colpi di spazzola prima di andarea dormireFAZI - € 9,50 143 PAGINECatania,Sicilia, sedici anni. Un diario, la scopertadi un mondo nuovo e diverso: il proprio corpo diadolescente,un viaggio, una ricerca. Il desiderio diafferrare quel sentimento che è l’amore,imprendibile, inafferrabile.L’illusione di trovarlo inmolti letti, in molti corpi.

GIULIO C. GIACOBBECome smettere di farsi le seghe mentalie godersi la vitaPONTE ALLE GRAZIE - € 9,00 121 PAGINEDietro a questo titolo provocatorio si nascondeun manuale “pret-a-porter”che utilizzatecniche yoga,buddhiste e zen.Eliminando ilpensiero nevrotico (le seghe mentali) eritornando a quella realtà da cui esso ciallontana,possiamo imparare a godere dellavita e delle cose che ci stanno intorno.

SAMUEL RICHARDSONPamelaFRASSINELLI - € 12,00 672 PAGINE“Pamela” (1740) è il prototipo del romanzoborghese e del romanzo sentimentale,ma èanche molto audace per la sua epoca,perchéha il coraggio di prendere per eroina unagraziosa giovane cameriera che, resistendo ainfiniti tentativi di seduzione, riesce adaccalappiare e sposare il suo ricco padrone.

MARK HADDONLo strano caso del cane ucciso amezzanotteEINAUDI - € 16,00 247 PAGINEChristopher è un quindicenne colpito da unaforma di autismo.Ha una mentestraordinariamente matematica maassolutamente non avvezza ai rapporti umani.Il suo eroe è Sherlock Holmes. Il ragazzo iniziaun’indagine e finisce per scoprire lettererecenti della madre che credeva morta.

GIAMPAOLO PANSAIl sangue dei vinti. Quello che accaddein Italia dopo il 25 aprileSPERLING & KUPFER - € 17,00 380 PAGINEPansa si avventura su un terreno minato,socchiudendo porte che ancora oggi moltivorrebbero tenere sbarrate: indaga nellepieghe di episodi e circostanze che videro,nell’immediato dopoguerra,migliaia diitaliani vittime delle persecuzioni e dellevendette di partigiani e antifascisti.

NICCOLO’ AMMANITIIo non ho pauraEINAUDI - € 9,00 219 PAGINENel silenzio della campagna pugliese, inun’estate caldissima,un gruppo di bambinigioca in mezzo ai campi di grano.E uno diloro,Michele, scopre che il male esiste,cheè terribilmente reale e ha una facciapeggiore dell’incubo più brutto che unbambino possa immaginare.

PIERA SONNINOQuesto è stato. Una famigli italiana neilagerIL SAGGIATORE - € 10,00 125 PAGINELa famiglia Sonnino fu costretta adaffrontare, incredula, i primi ostacoli ediscriminazioni conseguenti alle leggirazziali. Con l’arrivo ad Auschwitz iprotagonisti di questo drammasprofondarono in “un mare di fango.Unapazzia gelida,buia, fangosa”. E lì si consumòla tragedia.Piera fu l’unica a tornare.

PAULO COELHOUndici minutiBOMPIANI - € 15,00 260 PAGINE“Undici minuti” racconta la storia di Maria,una ragazza brasiliana che,seguendo ilmiraggio di una vita più facile, si trasferisceda Rio de Janeiro a Ginevra dove,dopo iltentativo di lavorare come modella,comincia a esercitare la prostituzione.Saràuno dei suoi clienti ad aprirle le porte di unanuova consapevolezza.

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