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Bollettino Ottobre - Dicembre 2011 4

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BollettinoOttobre - Dicembre

20114

Direttore responsabile: Baffoni don RedeoSped. in abbonamento postale 70%Filiale di Forlì

Direz. Amministr.: Curia Vescovile, via IV Novembre, 35Rimini – Tel. 0541.24244Pubblicazione TrimestraleCon approvazione ecclesiastica

Progetto grafico e impaginazione - KaleidonStampa: Tipolito Garattoni - Rimini

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BollettinoOttobre - Dicembre

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Indice

Bollettino Diocesano 2011 - n.4

Atti del Vescovo .......................................................................................................................5

Omelie ......................................................................................................................................... 7

Interventi ..................................................................................................................................41

Lettere e messaggi ..................................................................................................................53

Decreti e Nomine ................................................................................................................... 57

Visita Pastorale ......................................................................................................................63

Diario del Vescovo ................................................................................................................ 85

Attività del Presbiterio .......................................................................................................95

Organismi Pastorali ...........................................................................................................105

Avvenimenti Diocesani ..................................................................................................... 123

Necrologi ................................................................................................................................129

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Atti del Vescovo

• Omelie Perché amo questa Chiesa ................................................................................................... 7Francesco: una missione di felicità ..................................................................................10Beati i miti ..............................................................................................................................13Diaconi: professionisti del servizio ...................................................................................17Il battesimo: trasparenza di piena umanità ..................................................................21In memoria di Marco Simoncelli ......................................................................................26Cristiani laici: profeti del quotidiano ...............................................................................29Rivolti verso il Volto ...............................................................................................................32L'incanto del Natale ..............................................................................................................35"Vediamo questo avvenimento" .......................................................................................38

• Interventi Messaggio del Vescovo alle Autorità Cittadine per la festa di san Gaudenzo ...42Comunicato circa l'Oasi S. Rita, di Casinina ..................................................................49"Educare al lavoro dignitoso".............................................................................................51

• Lettere e Messaggi Lettera del Vescovo ai sacerdoti per san Gaudenzo ...................................................54Invito alla settimana di fraternità presbiterale ..............................................................56

• Decreti e nomine............................................................................................57

• Visita Pastorale .................................................................................................63

• Diario del Vescovo ........................................................................................85

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Omelie

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Un cantico, ritagliato dal rotolo del grande Isaia, che abbiamo ascoltato nella 1.a lettura; un salmo, il n. 79, che abbiamo recitato con il versetto respon-soriale: “La vigna del Signore è la casa d’Israele”; una storia, la parabola dei vignaioli omicidi, riportata dal vangelo appena proclamato. Lamento ardente di un innamorato deluso e tradito, il celebre canto della vigna del profeta Isaia racconta lo sfogo amaro di Dio nei confronti del popolo eletto, descritto come “la sua piantagione preferita”. L’implacabile collera divina raggiunge l’apice del-lo sdegno nella strofa finale del canto, che, per riprodurre la sonorità del testo ebraico, si potrebbe rendere così: Dio “si aspettava il diritto / ed ecco il delitto; // attendeva giustizia, / ed ecco invece nequizia”. Nel salmo responsoriale non è più Dio a scagliare l’invettiva contro il popolo, ma è il popolo a indirizzare una supplica angosciata a Dio per l’umiliante degrado della vigna, devastata e ridot-ta a una landa di ululati solitari: “Dio degli eserciti, ritorna! / Guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna, / proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, / il germoglio che ti sei coltivato”.

1. Quando Dio viene colpito al cuoreNella parabola dei vignaioli omicidi l’evangelista Matteo, come già aveva

fatto Marco, ricostruisce il racconto di Gesù sulla falsariga del cantico del pro-feta. Ma a un certo punto se ne distacca: il compimento della profezia non è mai la sua fotocopia esatta per filo e per segno. Nell’allegoria di Isaia il padrone della vigna si aspettava uva pregiata, e si è ritrovato invece uva scadente. Nella parabola Gesù non fa questione di frutti buoni o cattivi, ma di rifiuto dei diritti del proprietario. I contadini non vogliono riconoscere il padrone come tale: fanno e disfanno come se la vigna fosse di loro proprietà. Ecco il peccato di Israele: non consiste in una generica disobbedienza del popolo al suo Signore, ma in una colpa ben più grave: Israele ha caparbiamente rispedito i portavoce di Dio - i profeti - al loro mittente e, alla fine, ha fatto fuori addirittura il suo inviato speciale, il Messia.

Da una parte sta dunque il tenace amore di Dio per Israele, dall’altra parte sta l’altrettanto ostinato rifiuto da parte di Israele del suo Dio, un rifiuto te-

Perché amo questa ChiesaPerché è la vigna innestata sulla vera vite, CristoOmelia dal Vescovo in occasione della candidatura agli ordini sacri dei seminaristi Stefano Battarra, Daniele Leoni, Andrea Scognami-glio e dell'aspirante al diaconato permanente, Mauro VanniRimini, 2 ottobre 2011

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Atti del Vescovo

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stardo e accanito che di fronte al figlio ereditario si fa livido, perfido, fino ad arrivare alla spietata violenza estrema: “Uccidiamolo e avremo la sua eredità”. C’è dunque un motivo in più per disfarsi del figlio: è la sua identità di figlio. “Lo gettarono fuori della vigna e lo uccisero”. Il confronto con la versione di Marco ci consente una osservazione di notevole interesse: mentre là si legge che prima lo uccisero e poi lo gettarono fuori della vigna (12,8), qui in Matteo la succes-sione è invertita. Probabilmente non si tratta di un dettaglio fortuito, ma di un ritocco calcolato, intenzionalmente costruito dall’evangelista per offrire ai suoi lettori una trasparente allusione a quanto sta per succedere a Gesù. “Conduci quel bestemmiatore fuori dall’accampamento - si legge nel Levitico (24,14) - e tutta la comunità lo lapiderà”. Venire uccisi dopo essere stati trascinati fuori dall’accampamento o dalla città è la sorte dei bestemmiatori e degli adulteri. Anche il martire Stefano fu trascinato fuori dalla città e poi lapidato. Così pure Gesù, come si legge in un suggestivo passo della Lettera agli Ebrei (13,12): “per santificare il popolo con il proprio sangue, subì la passione fuori della porta della città”.

2. Perché amo questa ChiesaRitorniamo alla vigna. Nell’immaginario tradizionale questa metafora inten-

sa e altamente espressiva veniva abitualmente collegata alle vocazioni di spe-ciale consacrazione, di quanti come sacerdoti o religiosi e religiose si considera-vano chiamati a lavorare appunto “nella vigna del Signore”. Ma Giovanni Paolo II ha esplicitamente ha allargato questa immagine ai cristiani laici, quando ha dedicato loro l’appello di Gesù: “Andate anche voi a lavorare nella mia vigna”. Questa lettura “a banda larga” dell’immagine della vigna mi offre lo spunto per espormi al pungolo di una domanda provocante: perché amo la Chiesa e ci rimango? Nella risposta vorrei intercettare l’onda lunga di papa Benedetto che, recentemente, durante il volo diretto in Germania ha dichiarato ai giornalisti che si può “capire” come, di fronte a crimini quali gli abusi sui minori commessi da sacerdoti, uno dica: “Questa non è la mia Chiesa”. Allo stesso tempo tuttavia “è importante stare nella Chiesa, che è la rete del Signore” e così “imparare a sopportare anche gli scandali e a combattere questi abusi”.

Allora, perché amo la Chiesa? Amo la Chiesa perché Cristo l’ha amata, non perché l’abbia trovata amabile, ma l’ha resa amabile perché l’ha amata. Ha dato se stesso per renderla santa e immacolata, e non perché già lo fosse. Amo questa Chiesa e ci rimango, perché Cristo ci rimane e non se ne separa, al punto da formare con lei un solo corpo, un solo spirito. Amo questa Chiesa e mi auguro di restarci fino all’ultimo istante della mia povera vita, quando spero di morire come umile suo figlio. Amo questa Chiesa e non mi è mai neanche lontanamente passato per la testa di lasciarla, perché so per certo che Dio non ripudierà più la sua vigna e non ci sarà mai un “terzo Israele” dopo il popolo ebraico e quello cristiano.

Amo questa Chiesa e non mi straccio le vesti per la sporcizia che scopro in lei, dal momento che è pure la mia. Amo questa Chiesa e non mi risulta duro sopportarne infedeltà e lentezze, dal momento che anch’essa sopporta me, con i miei insopportabili ritardi e le mie stucchevoli, incresciose stupidaggini. Amo

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Omelie

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questa Chiesa perché in essa faccio l’esperienza rigenerante di essere perdona-to dai miei peccati. Infatti “nulla può rimettere la Chiesa senza Cristo, ma Cristo non vuole rimettere nulla senza la Chiesa” (Isacco della Stella).

Amo questa Chiesa, perché le miserie di ogni ordine e grado che l’hanno af-flitta e che l’affliggono anche oggi, se lette in ottica di fede, paradossalmente ne esaltano la credibilità, perché sono come le ombre che dimostrano la presenza del sole. Le tenebre più dense non hanno mai spento la luce della verità che la Chiesa porta in sé. E le umiliazioni più cocenti, procuratele dai suoi avversari o provocate dai suoi stessi peccati, possono provvidenzialmente diventare, grazie all’amore geloso ed esigente del suo Sposo, la via stretta e ripida perché da umiliata la Sposa diventi più umile e più credibile.

Amo questa Chiesa e preferisco navigare il mare della vita sulla sua barca fragile e fuori moda, perché - come ho fatto incidere nel mio stemma episco-pale - è il grande pesce, Cristo, che la sorregge, è lo Spirito che gonfia le sue vele, è il Padre che la spinge verso il porto finale, è Maria la stella polare che le traccia la rotta. Sì, preferisco questa umile imbarcazione alle micidiali corazzate da guerra che seminano distruzione e morte. La preferisco pure alle superac-cessoriate navi da crociera, che vanno e vanno, ma da dove e verso dove più non sanno.

3. A voi candidati al diaconato e al presbiteratoMa ora, prima di concludere questi pensieri, debbo onorare un debito con-

tratto con voi, Daniele, Stefano, Andrea, Marco nel momento di accettare il vo-stro proposito. Voi sapete che il rito di ammissione tra i candidati al diaconato e al presbiterato manifesta pubblicamente l’orientamento vocazionale di coloro che aspirano agli ordini sacri. Mi ispiro pertanto ancora una volta al vangelo della vigna, che interpreto ora “a banda stretta”, per consegnarvi un messaggio, rivolto specificamente a voi, carissimi. E’ un augurio che spero non dimentiche-rete mai nel proseguire il vostro cammino formativo. Vi auguro di non farvi mai contagiare dalla “sindrome dei padroni” della vigna, ma di prepararvi ad essere legali rappresentanti del suo unico proprietario e Signore, umili grati lieti colla-boratori del suo Figlio diletto, fedeli amministratori della porzione di vigna che un giorno a Dio piacendo vi verrà affidata.

Santa Maria del cammino vi guardi, vi custodisca e vi dedichi uno dei suoi più dolci e teneri sorrisi.

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Atti del Vescovo

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Il vangelo è un messaggio di gioia. Gesù è il primo evangelista, è il più forte e formidabile evangelizzatore. E’ lui che ha intonato quel cantus firmus della pace e della gioia qual è il vangelo, e che poi i santi di generazione in generazio-ne hanno ripreso facendovi eco con il “quinto vangelo” della loro vita, e hanno continuato nei secoli. Di quel canto Francesco d’Assisi è senz’altro l’esecutore più fedele e, insieme, l’interprete più originale.

1. Senza stare a fare le lagne sulla nequizia di questi tempi - si sarebbe det-

to in passato - “di morta fede e di empietà trionfante”, non c’ è dubbio che noi viviamo in una stagione di crisi acuta, vasta, pervasiva. Ecco, la prima cosa che ci dice Francesco è di non aver paura della crisi. Perché dovremmo avere paura? La missione della Chiesa, il cammino delle nostre comunità, la nostra stessa vita personale sono saldamente ancorate alla storia di Cristo. E la vita di Gesù è stata segnata dalla crisi. In effetti la sua missione giunge alla crisi definitiva nell’ultima Cena. A quel punto il Maestro di Nazaret era stato già scaricato dalle folle, stava per essere processato e condannato dal potere religioso e politico, e ora il suo stesso gruppo - i Dodici - è sul punto di esplodere: Giuda l’ha appena venduto, Pietro sta per rinnegarlo, gli altri taglieranno ben presto la corda. La vita di Gesù è miseramente avviata verso il crack finale. Ma è proprio in quel momento che Gesù compie il gesto più carico di speranza: prende il pane e il calice del vino, ne fa il segno reale della sua vita e del suo sangue, e si dona irreversibilmente ai discepoli e a tutta l’umanità. Quando la comunità sta per disgregarsi, lui celebra una nuova alleanza.

La Chiesa stessa è nata da una crisi e da una offerta d’amore: Gesù non solo trasforma il pane nel suo corpo, ma trasforma anche la violenza in perdo-no, tramuta la consegna per tradimento in un’autoconsegna d’amore. In ogni eucaristia la Chiesa celebra e attualizza la memoria di questa crisi affrontata e felicemente superata. La Chiesa sa bene che seguire il suo Signore crocifisso significa per lei anche passare attraverso delle crisi.

Anche il tempo di Francesco d’Assisi è stato un tempo di profondi rivolgi-menti, ma è proprio grazie alla testimonianza radicale e al fermento del suo messaggio se quella crisi, che poteva destabilizzare l’intera società e portare la Chiesa che “era tutta in rovina” ad uno sfacelo totale, si è trasformata invece in una inattesa e sorprendente occasione di rinnovamento.

Francesco: una missione di felicitàOmelia tenuta dal Vescovo nella Basilica Cattedrale in occasione della festa di s. Francesco d’AssisiRimini, 4 ottobre 2011

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Omelie

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Ecco il primo messaggio di Francesco: non avere paura della crisi. Non sia-mo noi i discepoli di colui che “ha vinto il mondo?”. E allora dobbiamo andare per il mondo - come recita la Regola - “in gioia e letizia”. Quest’anno si celebra l’VIII centenario della fondazione dell’Ordine e dell’origine della missione fran-cescana. Mi sembra di intuire che al cuore della vostra missione, carissime so-relle e fratelli francescani, ci sia la gioia di Francesco e Chiara d’Assisi. Del resto nessuno crederà a un predicatore che porti una buona notizia con una faccia da funerale. Come ha scritto Nietzsche: “Il discepolo di Cristo dovrebbe sem-brare un redento”. Un frate o una suora triste non potrebbe far parte dell’Ordine francescano!

2. E’ su questa “perfetta letizia” che vorrei qui brevemente riflettere con voi,

religiose e religiosi, ma anche sacerdoti e fedeli laici, che vi riferite alla spiritua-lità del Poverello d’Assisi.

E’ vero: le persone saranno attirate al vangelo se troveranno in noi una gioia altrimenti inspiegabile, che non avrebbe alcun senso se Dio non ci amasse, se Gesù non fosse morto per noi e non fosse risorto per comunicarci il suo santo Spirito. Francesco si portava dentro una fame acuta di vita, una pungente sete di felicità, un insopprimibile bisogno di amore. Dell’amore, in senso attivo e passivo, cioè di essere amato e di amare. E ha scoperto che al cuore della vita di Dio sta una incontenibile gioia. Lo dico con le parole di un mistico medievale: “Il Padre sorride al Figlio e il Figlio sorride al Padre, e il sorriso genere piacere e il piacere genera gioia, e la gioia genera amore” (Meister Eckhart). Questo mistico afferma pure che la gioia di Dio è simile a quella di un cavallo che galoppa per il prato, scalciando in aria per puro divertimento.

La gioia di Francesco è stata quella di un uomo povero che accoglieva ogni cosa come un dono. Dal momento che non possedeva nulla, ha vissuto in un mondo di totale generosità. Il mendicare è stato per lui ben più che un atteg-giamento di ingenua fiducia nella bontà altrui o di candido ottimismo. Era un modo di stare al mondo, quel suo guardare con stupore i doni che Dio nella sua misericordia gli concedeva gratuitamente: pane e acqua, aria e luce, fratelli e sorelle, caldo e perfino freddo, vita e perfino morte. Francesco “ha insegnato la grammatica della gratitudine” (G. Chesterton). Essere povero e mendicante era vivere in un mondo di doni, di fratelli e di sorelle, di frate sole, di sora acqua e addirittura di nostra sora morte corporale.

La gioia francescana offre una sfida al nostro villaggio globale e al nostro mondo postmoderno. Viviamo in un tempo che ha tristemente cancellato ogni sogno di futuro. Io sono cresciuto all’interno di una cultura che ancora credeva che l’umanità stava andando verso il sole dell’avvenire e faceva del mito dell’e-terno progresso la sua bandiera fiammante. Per alcuni si trattava del paradiso capitalista, per altri del paradiso socialista. Cinquant’anni dopo quei sogni si sono in gran parte rivelati illusori. La guerra fredda è finita, il muro di Berlino è caduto, ma sono cadute anche le Torri Gemelle, e lo tsunami della crisi finan-ziaria ha fatto piazza pulita di miti e utopie, e ha trasformato i sogni più radiosi e i miraggi più ammalianti in altrettanti incubi spaventosi. Comunque se un vecchio mondo è finito, anche la storia è finita. Viviamo nella “generazione di

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Atti del Vescovo

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oggi” (today’s generation), che ha una maledetta paura di pensare al domani.Francesco insegna: la perfetta letizia è possibile, se ci sentiamo amati da

Dio Padre, l’altissimo onnipotente e bon Signore, e se amiamo i fratelli in vera carità. Possiamo essere felici se ci prendiamo cura della felicità degli altri. Quan-do frate Ranieri stava attraversando un momento di sofferenza atroce e di pe-nosa depressione, aveva bisogno anche solo che Francesco gli dicesse che gli voleva bene, cosa che fece prontamente: “Frate Ranieri, carissimo figlio mio, io ti voglio bene di un amore speciale; io ti voglio bene più che a tutti i frati di que-sto mondo”. Figli e figlie di Francesco e di Chiara, permettetemi una domanda: mostrate questa cura per i vostri fratelli e le vostre sorelle? E noi tutti apriamo gli occhi del cuore per guardare i fratelli e le sorelle con gli occhi di Dio?

Dicevo più su che il segreto della perfetta letizia francescana si trova nella gratitudine: accogliere tutto come dono, anche la crisi, anche il disagio, perfino la prova, addirittura il dolore. San Francesco ha insegnato non tanto con la lin-gua, ma con gesti simbolici, con comportamenti consapevoli e determinati, e perfino con atteggiamenti inconsci, al punto che “si potrebbe dire - ha scritto il Celano - che era diventato tutto lingua (per proclamare il vangelo)”. Ecco, san Francesco ha capito e insegnato con fatti di vangelo che non si dà opposizione tra l’amore per Dio e l’amore per le creature, dal momento che non si dà op-posizione tra il Creatore e le creature. Piuttosto si dà opposizione tra l’amare le creature con Dio e in Dio, e l’amarle senza Dio e contro Dio.

Questa lezione ci riguarda tutti. La vorrei formulare con le parole di una poesia di delicato candore francescano:

Piangendo Francesco disse un giorno a Gesù: “Amo il sole, amo le stelle, amo Chiara e le sorelle, amo il cuore degli uomini, amo tutte le cose belle... O Signore, mi devi perdonare, perché te solo io vorrei amare”. Sorridendo il Signore gli rispose così: “Amo il sole, amo le stelle, amo Chiara e le sorelle, amo il cuore degli uomini, amo tutte le cose belle... O Francesco, non devi piangere più, perché io amo ciò che ami tu”.

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Omelie

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Caro Alberto,io non so bene come funzionino le cose lassù da voi, ma mi piace immagi-

nare che ci debba pur essere da qualche parte nella Gerusalemme celeste un ampio, comodo balcone dal quale - non saprei dire se a turno o tutti insieme - voi, beati, angeli e santi, vi potete affacciare per scrutare dall’alto l’intero pa-norama del nostro minuscolo globo terrestre. Tu ricorderai certamente di aver incontrato nella Divina Commedia - quando frequentavi qui, a Rimini, il Liceo Classico “Giulio Cesare” - quel verso in cui il sommo poeta descrive la terra, inquadrata in lontananza dal cielo, come “l’aiuola che ci fa tanto feroci”. Penso che, se si trovasse a scrivere oggi il suo sovrumano poema, Dante userebbe senz’altro la stessa espressione, ma sarebbe costretto a cambiare la metafora dell’aiuola. Infatti il villaggio globale del terzo millennio non solo non rassomi-glia più a un incantevole giardino, ma semmai fa venire alla mente una giungla feroce, che oltretutto, e soprattutto a causa del devastante degrado ambienta-le, risulta un pianeta sporco e inabitabile, un mondo sempre meno “mondo” e sempre più “in-mondo”, insomma un gigantesco immondezzaio, altro che aiuola fiorita e verdeggiante!

In effetti oggi sulla terra il tasso di violenza rispetto al passato remoto di secoli addietro, ma rispetto anche al passato prossimo degli anni della tua esistenza terrena, è aumentato vertiginosamente, a livello esponenziale. Tu hai conosciuto gli orrori della seconda guerra mondiale, sei rimasto agghiac-ciato per l’ecatombe dell’Olocausto, per le bombe atomiche sul Giappone. Poi, come sai, si è registrata una escalation progressiva di guerre civili e coloniali. Ogni giorno muoiono per fame e malattie infettive ben 26mila bambini, 1 ogni tre secondi, e nella sola Rimini si contano ogni anno oltre 800 aborti, in media più di 2 al giorno.

Oggi la violenza è globale. Tre delle più grandi multinazionali sono espor-tatrici di droga, armi e prostituzione. E sono alimentate dall’immensa povertà e diseguaglianza del mondo, che spinge i contadini di tutto il pianeta a coltivare cocaina, eroina, e costringe milioni di donne e bambini a mettere in vendita i loro organi. Qualche settimana fa abbiamo ricordato l’11 settembre 2001, quando questa violenza è esplosa davanti ai nostri occhi. Quel giorno la vio-lenza è entrata nelle nostre case.

Beati i mitiIn occasione della festa del beato Alberto Marvelli il Ve-scovo ha scritto anche quest'anno una lettera aperta al Beato per commentare la terza delle otto beatitudiniRimini, 5 ottobre 2011

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Atti del Vescovo

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Ma c’è di più e di peggio. Quando i nostri fratelli e sorelle della Repubblica democratica del Congo soffrono per via della guerra, questa si collega ai paesi occidentali che vendono armi in cambio di diamanti. La morte di milioni di per-sone a causa dell’Aids è collegata alla resistenza delle industrie farmaceutiche a produrre versioni più economiche che consentano ai poveri di acquistarle. Del resto un’ora di caos nel traffico, la coda allo sportello affollato, le cronache metropolitane, i tiggì sugli agguati a Kabul, nel Darfur o in Cecenia ci rendono consapevoli al riguardo.Allora mi domando: che cosa significa per noi cristia-ni del terzo millennio far risuonare il vangelo della terza beatitudine: “Beati i miti, perché avranno in eredità la terra?”. Cosa ha voluto dire Gesù esaltando la beatitudine della mitezza? Miti, pacifici, mansueti sono nella Bibbia gli umili e i poveri che non hanno né la volontà né i mezzi per farsi giustizia da soli. Gesù è il prototipo di questi miti, al punto da poter esclamare: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Al suo tempo la Palestina era percorsa da fremiti di violenza zelota verso le classi ricche del posto e verso i dominatori romani. Zeloti e sicari erano i talebani del tempo. Gesù però rifiutò decisamen-te ogni sollecitazione in questo senso: fuggì quando vennero per farlo re, per metterlo a capo di un movimento di resistenza armata (Gv 6,15). A Pietro, nel Getsemani, disse: “Rimetti la spada nel fodero, perché chi di spada ferisce, di spada perisce” (Mt 26,52) rinunciando così a opporre qualsiasi resistenza alla sua cattura. Alla violenza non oppose violenza; contrappose il martirio, cioè la testimonianza: “Sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37).

Tuttavia dobbiamo stare attenti a non strumentalizzare la parola di Gesù, il quale ha rifiutato, sì, la violenza in tutte le sue forme: non soltanto la vio-lenza nella reazione della vittima che la subisce, ma anche e prima ancora del responsabile che la provoca. Ha pronunciato un no alla vendetta da parte di chi viene colpito sulla guancia, ma prima ancora ha gridato un no molto più tremendo alla violenza di chi colpisce sulla guancia.

Caro Alberto, aiutami ora a leggere questa beatitudine della mitezza con qualche brano di quel quinto vangelo, rappresentato dalla tua vita.

All’indomani della seconda guerra mondiale, scrivevi:«L’uomo ha perso il senso della propria dignità, dimentica il valore della

vita. Troppe violenze, conseguenza della guerra. Esempi dei campi di concen-tramento tedeschi, esempi nella vita pratica di ogni giorno: assassini, furti, vio-lenze, rapine, minacce, immoralità dilagante ed imperante. Ritornare ai principi cristiani ed umani di fratellanza. Non è con la spada che si risolvono le questio-ni, né con la violenza».

Ma tu sapevi bene che per vincere fuori di sé il male con il bene, bisogna sconfiggere la violenza dentro di sé. Nel tuo Diario annotavi:

«Devo assolutamente vincere i miei scatti di impazienza, ed usare invece con tutti una amorevole pazienza, ed una carità ardente. Prima di agire devo pensare a quello che faccio, e devo altresì considerare come io mi sarei com-portato trovandomi nella tale occasione. Devo assolutamente perdere il vizio di giudicare il prossimo, se non voglio poi essere giudicato da Dio» (18 settem-bre 1938).

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Ed ecco come ti ha descritto uno dei tuoi discepoli più fedeli, il nostro mi-tissimo e amatissimo don Fausto Lanfranchi:

«Ha una spiccata personalità; serio e affabile, riflessivo e insieme cordial-mente espansivo; sincero, generoso, sempre sereno e ottimista; ride e scherza volentieri; dolce di modi; “con lui non si può bisticciare”. Sempre attento agli altri e pronto a metterne in rilievo i pregi. Umile, non polemico, capace di difendere con calore le sue convinzioni, ma alieno da ogni atteggiamento di giudizio altezzoso, pronto invece ad aiutare tutti. Di lui colpisce soprattutto lo sguardo limpido e al tempo stesso penetrante e profondo, buono, che lo di-stingue da tutti gli altri giovani. Uno sguardo che pare vedere dentro, non per giudicare, semmai per aiutare».

Ma tu non sei mai stato un ingenuo buonista o un candido tenerone. Non sopportavi soprusi o violenze, soprattutto se offendono la fede. Ritenevi che se c’è un’aggressione, bisogna difendersi e reprimerla. Avevi braccia forti, ma più forte era l’impeto del tuo cuore nel difendere il tuo mite e dolcissimo Signore. Racconta il tuo biografo che un sabato, come al solito, tornavi da Bologna. Ti dissero che alcuni giovinastri avevano fatto quello di cui da tempo si vantava-no: distrutto il quadro del Sacro Cuore che era nella sala dell’Azione Cattolica. Tu ti proponesti di dar loro una buona lezione e intanto mettesti subito un altro quadro. Il sabato seguente, mentre ti trovavi con i compagni sul piazzale della chiesa, ti dicono: “Eccoli! Passano ora per strada”. In fretta ti togliesti la giacca, li abbordasti con parole e piombasti loro addosso con una buona dose di pugni “perché impariate a non far mai più queste cose!”.

Caro Alberto, io non so se dopo ti sarai andato a confessare per quell’ec-cesso di zelo. Comunque penso che hai superato il test dell’eroicità delle virtù umane e cristiane nel processo canonico alla Congregazione per le cause dei santi, perché devono aver interpretato quel gesto piuttosto caloroso come una legittima difesa del tuo inerme buon Signore.

Ora in conclusione, permettimi di tornare al nostro oggi. Oggi mitezza è parola “silenziata” nel linguaggio corrente, come lo sono le parole sorelle: umiltà, dolcezza, tolleranza, pazienza. Il nostro tempo si potrebbe definire la stagione dell’urlo, come si desume dai salotti televisivi, dai titoloni dei giornali, dai roventi dibattiti politici. Addio tolleranza, non-violenza, addio dialogo. Ha ragione sempre chi vince e vince sempre il più forte. Per lo più si pensa che mitezza e affini valgano solo dentro i recinti delle chiese. Fuori invece tocca fare i conti con la realtà, e allora è tutta un’altra musica, o meglio è tutto - non sussurri - ma urla e grida, lotta continua, spietata guerriglia urbana. Ma ciò che preoccupa e dispiace è che anche in casa nostra una sorta di paura della mitezza abbia contagiato perfino le chiese. Si è giunti a pensare che servono i muscoli forti anche tra cristiani della stessa parrocchia, tra cattolici dei diversi schieramenti. Si grida “W il Papa!”, ma quanti sanno imitare la disarmata dol-cezza di Benedetto XVI, che sa far rimare così bene severità con amabilità e fermezza con pacatezza?

Caro Alberto, permettimi una raccomandazione: abbi un occhio di riguardo per i nostri giovani cristiani. Aiutali a crescere vigorosi senza mai diventare vio-lenti, benevoli senza mai diventare arrendevoli, pazienti senza mai diventare

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né indignati né rassegnati. Chiedi al tuo e nostro onnipotente, amabilissimo Gesù di ottenere per tutti e ognuno di loro la grazia di una mite fortezza e di una forte mitezza.

Ti abbraccio.

Tuo, di cuore

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1. Un invito a nozze: l’invito è firmato personalmente da Dio Padre, le noz-ze dicono lo sposalizio tra suo Figlio e la nostra povera umanità, il banchetto vorrebbe raccontare il vorticoso turbinio della festa, per il gran giorno inaugu-rale del regno di Dio. Tutto è pronto: lo sterminato salone - sfavillante di luci, addobbato per le grandi occasioni, copiosamente inondato dagli aromi e dagli odori forti che vengono dalle cucine della reggia - è stipato all’inverosimile dal-le lunghe tavolate magnificamente imbandite. Di minuto in minuto l’attesa si va facendo via via più nervosa: l’ora è passata, ma tutte le sedie continuano a restare desolatamente vuote: gli invitati hanno respinto l’invito al mittente. Che tristezza! la festa allora andrà all’aria? Ecco la prima sorpresa: il rifiuto degli invi-tati delude il re e lo irrita, ma non lo disarma. Il diniego dei convitati non arresta l’amore di Dio. Neanche Dio può restare solo. E subito rilancia l’invito. Ecco il secondo colpo di scena: il re dà ordine ai servi di andare ai crocicchi delle strade e di chiamare tutti, buoni e cattivi, a venire alle nozze. E così finalmente la sala si riempie. Ecco l’ultimo scoop: un invitato viene scoperto senza l’abito nuziale e il re lo fa espellere. Il ritrovarsi dentro la sala non è una garanzia per nessuno: non si va alla festa in tuta da lavoro; fuor di metafora bisogna essere in ordine, convertiti, vigilanti. Altrimenti la festa irrimediabilmente si guasta...

2. L’ordinazione diaconale che ci apprestiamo a celebrare ci offre l’assist per evidenziare un elemento che rimane un po’ in secondo piano nella parabola, ed è il particolare dei servi del re. Si suppone che abbiano dovuto preparare il pranzo e ora sono pronti per servirlo, ma, data l’emergenza, vengono spediti a recapitare l’invito per le nozze del principe ereditario.

In effetti il fattore “servi-servizio” ricorre quasi sempre nei vangeli ogni volta che viene affrescata l’immagine del banchetto. Leggiamo nel vangelo di Luca:

“Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi (è l’abbigliamento dei servi) e le lampade accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Lc 12,35-37).

Diaconi: professionisti del servizioOmelia tenuta dal Vescovo in occasione della ordinazio-ne diaconale di Eugenio FacondiniRimini, Basilica Cattedrale, 8 ottobre 2011

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E quando durante l’ultima cena si scatena l’ennesima bagarre tra i discepoli su chi di loro sia da considerare il più grande, il Maestro prende in contropiede i Dodici e rovescia la domanda: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). Se teniamo presente che la parola ebraica rabbì- maestro, let-teralmente andrebbe tradotta “mio grande”, e ricordiamo che toccava ai disce-poli servire il maestro che sedeva a tavola, capiamo la risposta di Gesù: è lui il vero maestro, il vero “grande”, proprio perché si mette dalla parte del discepolo e si fa servo, ossia umile e piccolo.

L’esemplificazione plastica di questi messaggi sul servizio evangelico si ha nella lavanda dei piedi, quando Gesù depone il mantello (il tallìt) del maestro, prende un asciugamano, se lo cinge attorno alla vita e si mette ad espletare quel servizio che i discepoli rendevano al maestro quando rientrava in casa: il pediluvio. Dopo aver fatto il giro dei discepoli, Gesù si riveste da maestro, in-dossa quindi nuovamente il tallìt, poi si mette a sedere - ossia “sale in cattedra” - e tiene la lezione:

“Capite bene quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le metterete in pratica” (Gv 13,13-17).

3. Diacono, lo sappiamo, significa servo, e il camice che il diacono indossa dice la sua volontà di essere e rimanere “a servizio” nella Chiesa, sempre e solo ministro, appunto servo. Il colore bianco del camice richiama la veste candida del battesimo, e indica il desiderio e l’impegno di voler prestare un servizio che resti incontaminato, non sporcato da alcuna macchia. Sì, perché in effetti il rischio è serio: il rischio che il servizio venga macchiato da alcune pecche sulle quali bisogna attentamente vigilare. Ecco due di queste possibili macchie.

Una prima è il mito ubriacante dell’efficienza. E’ la sindrome di Marta. L’e-vangelista ritrae Marta come “distolta per i molti servizi”. Al suo sfogo di recri-minazione contro la sorella Maria, beatamente accoccolata ai piedi del Signore, Gesù ricorda che il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare l’a-scolto. Forse Luca sta pensando alla comunità di Gerusalemme che deve essere una comunità di servizio, ma anche - e soprattutto - di ascolto. Il servizio delle mense non è più importante dell’ascolto della Parola. Ed è curioso notare che proprio a quel punto nel libro degli Atti si narra l’istituzione dei Sette che la tradizione posteriore identificherà con i primi diaconi. Ma resta vero anche per i diaconi che il primo servizio lo devono rendere alla mensa della Parola, come si desume dal fatto che il loro ministero specifico nella Messa è la proclamazione del santo vangelo. Né si deve temere che il primato dell’ascolto induca a tra-scurare l’impegno storico per la cosiddetta “promozione umana”. Infatti non è il discepolo in ascolto che evade dalla storia, ma quello che si disperde in cose di superficie. Il diacono annuncia una salvezza compiuta per noi da Gesù, non una

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salvezza compiuta da noi, in memoria o in onore di Gesù. Questa verità non induce a sminuire l’impegno, ma a fondarlo e a viverlo con piena dedizione.

Una seconda macchia che rischia di deturpare il camice del diacono si po-trebbe chiamare la “sindrome del mercenario”. E’ la malattia del figlio maggiore, di cui si parla nella parabola del padre misericordioso. Ricordiamo: la rabbia del primogenito è data dall’odioso confronto con il fratello minore. Mentre quel di-sgraziato ha combinato una caterva di disastri e tuttavia è stato servito, riverito e trattato con tutti gli onori, “io - sbotta lui con il padre - ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai dato un capretto per far festa con i miei amici” (Lc 15,29). Il peccato del figlio non è stato quello di aver fatto il suo dovere, ma di averlo fatto con un cuore da salariato e non da figlio, come risulta dal fatto che ora sbatte spudoratamente in faccia al padre l’estratto-conto. Insomma è un figlio che rifiuta di partecipare alla festa per il fratello perduto e ritrovato, ritenendola ingiusta, addirittura un torto fatto alla sua “giustizia”, alla sua obbedienza e al suo lavoro. Quindi, pensa, se il trasgres-sore è trattato a quel modo, a che serve essere giusti?

L’antivirus per questa tentazione insidiosa è la gratuità. E’ la gratuità che permette di trasformare la fedeltà in dono e non in puntigliosa rivalsa, l’obbe-dienza in gioia e mai in penoso dovere, la fatica in cordiale solidarietà e non in una ragione di schifiltosa separazione.

4. Ci sarebbero altre macchie da esaminare, oltre l’efficientismo e il mercan-tilismo, e si tratta ancora di altri “ismi” seducenti e tossici, come il narcisismo morboso e autoreferenziale, il vittimismo eternamente scontento, petulante e borbottone, eccetera. Ma forse ora è il caso di voltare pagina con queste brutte copie di diaconi-servi, per dedicarci ad un breve sguardo contemplativo di una icona positiva del servizio, Maria di Nazaret, l’immagine più vicina al modello perfetto, Gesù, il servo del Signore, e la più vicina a noi.

E’ sorprendente notare che l’appellativo di “serva del Signore” non trovi posto nella lunga serie delle litanie lauretane, dove il titolo mariano preferito è piuttosto quello di regina. Eppure l’appellativo di “serva” è l’unico che Maria si sia dato da sola e per ben due volte. La prima, quando chiude il circuito del dialogo con Gabriele, l’inviato speciale di Dio, mandato a recapitarle quel mes-saggio da capogiro: concepire e generare il Messia. In risposta all’angelo che l’a-veva ossequiata con la qualifica strabiliante di “piena di grazia”, Maria favorisce il suo biglietto da visita: “Eccomi, sono la serva del Signore”. La seconda volta, quando dopo essere stata fregiata da Elisabetta con il titolo più vertiginoso per una donna ebrea - quello di “Madre del Signore” - Maria intona il Magnificat e afferma che Dio “ha guardato l’umiltà della sua serva”. E’ questo appellativo, così autoreferenziato, che mi fa osare di rivolgere a Maria questa preghiera per te, carissimo Eugenio, per tutti i diaconi, non solo quelli permanenti, ma anche per quei ministri ordinati ai quali né il presbiterato e neanche l’episcopato pos-sono cancellare il diaconato.

“Santa Maria, serva del Signore, tu che ti sei consegnata anima e corpo a lui e sei entrata come umile domestica nel casato del figlio di Davide, ammettici alla scuola di quel diaconato permanente di cui sei stata impareggiabile mae-stra e coerente, gioiosa testimone.

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Santa Maria, serva della Parola, serva a tal punto che, oltre ad ascoltarla e custodirla nel tuo cuore, l’hai accolta incarnata nel tuo grembo, non ti stancare di ricordarci che solo se ci sentiremo sempre e soltanto poveri servi, solo se qualsiasi cosa tuo Figlio ci dirà noi la faremo, solo allora potremo partecipare al banchetto nuziale, dove lui stesso ci farà accomodare a mensa e passerà a servirci.

Santa Maria, serva della Chiesa, che dopo esserti dichiarata ancella di Dio sei corsa a farti ancella di Elisabetta, donaci i tuoi occhi vigili e il tuo limpido cuore per intercettare sotto le mentite spoglie dei poveri e degli oppressi la ve-lata, trasparente presenza del gran Re. E aiutaci a credere che è meglio essere trattati da figli che non da dipendenti, e da figli gratuitamente amati, anziché da burocrati fiscalmente risarciti o, peggio, da mercenari venali e profumatamente ripagati. Tu regina e serva, tu che regni servendo e servi regnando, sii tu bene-detta fra tutte le donne, di generazione in generazione, e benedetto sia il frutto del tuo grembo, nei secoli dei secoli. Amen”.

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C’è una vita più umana di quella cristiana? Noi crediamo che no, non c’è. Certo, la sequela di Gesù domanda una conversione radicale, con tutta una impegnativa sequenza di cambiamenti faticosi e sofferti. Richiede distacchi do-lorosi e duri allenamenti. Esige serietà e piena concentrazione. Vuole coerenza, fedeltà collaudata e rodata disciplina, intesa etimologicamente come stile di vita del discepolo. In una parola il vangelo è e resta croce. Ma è anche risur-rezione. Perciò è e resta una bella notizia. Anzi, la notizia più sorprendente e appagante. Se accetti di scommettere la vita sul vangelo, perdi uno e guadagni cento. Vendi le tue cianfrusaglie e compri la perla preziosa. Ti privi del tuo magro gruzzoletto per cui hai dovuto sputare sangue e sudore, e così diventi il fortunato proprietario del campo, dove hai scoperto per incanto un tesoro da favola. Sì, quella cristiana è una vita risolta con formula piena, la formula delle “tre b”: è la vita più bella, buona, beata, purché vissuta con umiltà e grato stupore, senza se e senza ma. Una vita praticata da discepoli innamorati, non da portaborse depressi, da facchini stressati, o da mercenari svenduti e peren-nemente arrabbiati. Ma là dove non si fanno sconti alla radicalità evangelica, il centuplo promesso da Gesù splende in tutta la sua straripante interezza.

1. Io non so, sorelle e fratelli miei carissimi, come sia avvenuta la prima evangelizzazione a Rimini. Mi piace però pensare che quando Gaudenzo vi ar-rivò, probabilmente qualche scintilla del gran fuoco del vangelo che da circa tre secoli stava incendiando le coste del Mediterraneo, doveva essere già rim-balzata nell’Ariminum del tempo. L’aveva portata un mercante di passaggio? o una nobile patrizia data in sposa a qualche funzionario imperiale? oppure un esperto, rinomato chirurgo venuto qui ad impiantare la sua domus, con tanto di clinica e di studio annesso? Comunque sia, quando - probabilmente sul fi-nire della persecuzione di Diocleziano - Gaudentius sbarcò sul nostro lido o vi arrivò per la Via Aemilia, una sia pur piccola comunità cristiana doveva già essere stata avviata. Ora, non c’è bisogno di affidarsi a fantasie stravaganti per immaginare come il giovane vescovo abbia impostato la sua missio apostolica. Penso che due in particolare siano state le risorse della strategia pastorale da lui adottata: la predicazione e la testimonianza. L’obiettivo di s. Gaudenzo era quello di mostrare che il vangelo è pienezza di umanità. Doveva perciò dimo-strare che nessun dio è più umano del Dio cristiano - ecco l’evangelizzazione - e

Il battesimo: trasparenza di piena umanitàMessaggio del Vescovo per la festa di san GaudenzoRimini, 14 ottobre 2011

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poteva farlo in modo credibile e attraente solo attraverso la testimonianza di laici battezzati, i quali con la loro vita potevano mostrare che la fede cristiana è trasparenza di piena umanità. In una parola Gaudenzo doveva poter rispondere a due domande, che i riminesi pagani e idolatri rivolgevano ai primi cristiani: ma è proprio vero che questa vostra nuova fede risponde ai bisogni profondi dell’uomo? e che questa risposta è più convincente e soddisfacente di quella stoica o di quella epicurea?

Assumiamo questi interrogativi e proviamo a rispondervi, ponendo subito sul tappeto una questione preliminare: di che cosa ha bisogno l’uomo di ieri e di sempre, quello delle palafitte e dei grattacieli, dei graffiti rupestri e degli ipad più sofisticati?

2. L’uomo ha fame di vita, è l’unico animale al mondo che avverte la morte come una ingiustizia odiosa, insopportabile. Gesù non si è dichiarato una sorta di “pronto soccorso”, ma si è autocertificato come la vita, da lui qualificata spes-so come eterna, un aggettivo con due significati. Denota la durata della vita. Gesù dona una vita che vince la morte, una vita senza fine, in contrapposizione all’esistenza effimera e caduca che sembra invece essere il nostro irrimediabile destino. E poi l’aggettivo “eterna” denota la qualità della vita: dono di Cristo non è una vita qualsiasi, ma la stessa vita di Dio partecipata all’uomo, una vita riuscita e compiuta, in contrapposizione all’esistenza frammentaria e ripetiti-va, che continuamente ci delude. Con Cristo la vita non è più, come direbbe Qohelet, un inutile, frustrante girare in tondo. Senza Cristo la vita non è più vita. Senza di lui, certo si può esistere, ma non vivere. Una riga prima dell’incipit del nostro brano evangelico, Gesù afferma perentoriamente: “Io sono venuto per-ché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

Ma per vivere, noi abbiamo bisogno di amore. Siamo fatti per sentirci ama-ti e per amare. Come risponde la fede a questo bisogno più vitale dell’aria, dell’acqua, del pane? Non con teorie fredde e astratte, o con vaghe, nebbiose utopie, ma con una storia reale, puntuale e concretissima: la storia di Gesù, nato in Betlemme di Giudea quando ad Ariminum si stava cominciando a innalzare l’arco di Augusto, e crocifisso morto risorto quando, sempre ad Ariminum, si stava finendo di costruire il ponte di Tiberio. Tutte le religioni, poteva dire Gau-denzo e possiamo ripetere anche noi, dicono che l’uomo deve servire Dio, che dovrebbe baciargli i piedi se lui si degnasse di apparirgli, che dovrebbe perfino strisciare pancia a terra per adorarlo, e dovrebbe finanche togliersi il pane di bocca per dimostrargli la sua sottomissione o per ottenere la sua sospirata, sa-latissima protezione. Ma solo il cristianesimo annuncia un Dio che è sceso dal trono, si è spogliato della sua gloria, si è rivelato, ma come capovolto rispetto al senso comune. E’ venuto in persona tra di noi non a farsi lavare i piedi, ma a lavare i nostri, e ci ha amati fino a farsi crocifiggere per noi. Abbiamo ascoltato poco fa: Gesù è il buon pastore. Per cinque volte nel brano evangelico ricorre il verbo offrire: “Io offro la mia vita”. A lui importano le pecore, tutte, l’una come le novantanove. E’ il pastore innamorato del gregge: offre la vita e soffre da morire fintanto che soffre ogni sua pecora. Non ce la fa a stare bene da solo, con i beati, nei pascoli del cielo, e scende nella nostra valle oscura perché ama passare il suo cielo sulla terra fino a quando non ha messo in salvo ogni pecora

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del suo gregge. E’ un pastore fanatico della nostra dignità: ci tratta da pecorelle, non da pecoroni.

3. Per poter conoscere l’amore, l’uomo ha bisogno di incontrare la verità. Solo Gesù dice: “Io sono la verità”.Gesù lo può ben dire, perché quello che dice e che fa, la sua stessa persona sono la perfetta trasparenza di Dio, tanto da poter assicurare a Filippo: “Chi vede me, vede il Padre”. (Gv 14,9). In Gesù il Dio invisibile si è fatto palpabile e accessibile, rivelandosi con il volto dell’amore, della solidarietà, del gratuito dono di sé. Presentandosi come la verità, Gesù si mostra come lo specchio in cui l’uomo non solo può scoprire come è fatto Dio, ma anche come siamo fatti noi. Ecco al riguardo un luminoso pensiero di Pa-scal: “All’infuori di Cristo non sappiamo né che cos’è la nostra vita né che cos’è la nostra morte né che cos’è Dio né che cosa siamo noi”.

Se incontra la verità, all’uomo si spalanca l’orizzonte della libertà. Lo ha detto Gesù: “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32). Lo spazio della libertà - e non la sua negazione - è l’appartenenza all’unico Signore. Chi adora il vero Dio e piega le sue ginocchia davanti a Cristo, è più facilmente in grado di sottrarsi alla schiavitù seducente e soffocante dei molti idoli. Se è vero che la libertà non si realizza nel ripiegamento morboso sul proprio io, ma nel limpido dono di sé, allora si comprende che il fiore della libertà sboccia e cresce sulla terra della giustizia, della solidarietà e della volontaria consegna di sé. E la certezza che la piena realizzazione si trova nel mondo futuro libera l’uomo dall’ansia del possesso, dall’affannosa ricerca del piacere, dall’illusione di trovare pienezza e appagamento in cose che non possono offrirla: condizione, questa, non soltan-to per conoscere la libertà, ma per gustare veramente la bellezza delle creatu-re.

4. Noi abbiamo sete di vita, di amore, di verità, di libertà, di bellezza. In una parola abbiamo fame di senso e di speranza. Ci portiamo in cuore un sogno di felicità e di futuro. A questa sete di Assoluto, a questo bisogno di Infinito, noi cristiani diamo un volto e un nome: il volto di Dio, il nome di Gesù Cristo. Ma in concreto come e da che cosa si distinguono i cristiani nella vita quotidiana come nelle grandi svolte della vita? A questa domanda ha riposto un testo mol-to antico, la Lettera a Diogneto. Io non so, sorelle e fratelli miei, se san Gauden-zo conoscesse questo testo. Penso però che se fosse vissuto ai nostri giorni, vi si sarebbe ispirato e forse avrebbe risposto così.

“I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per vestito”. Ma si riconoscono. Da che cosa dunque si riconoscono?

I cristiani si riconoscono da come vivono il quotidiano. Abitano case in condomini o in quartieri, come tutti, ma non fanno della casa l’idolo della loro vita. Le loro case si riconoscono dal clima che vi si respira, dalla sobrietà dell’ar-redo, dalla funzionalità alla famiglia numerosa e all’ospitalità, dalla presenza di segni religiosi, con la Bibbia e il Crocifisso in bella evidenza. I cristiani coltivano buoni rapporti con il vicinato e non mostrano alcuna propensione alle liti di condominio o alle cause civili. Inoltre i cristiani sperimentano, come tutti, che ogni giornata è una corsa contro il tempo. Il lavoro, il traffico, le anticamere, le code prosciugano le riserve della pazienza, azzerano le risorse della gratuità, sclerotizzano l’elasticità nell’affrontare contrattempi e imprevisti. Ma riuscendo

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a trovare il tempo per la vita di fede, come la preghiera e l’attenzione ai poveri, i cristiani riescono a vivere la fede nel tempo, e affrontando ogni giornata come fosse l’ultima, sono sempre in attesa del Signore che viene, e di conseguenza sono liberi e sciolti nell’uso dei beni terreni.

I cristiani si riconoscono da come vivono il lavoro. I discepoli di Cristo la-vorano come tutti, ma lavorano per vivere, non vivono per lavorare. Sono liberi dall’ansia di produrre e dall’avidità di possedere. Non sacrificano al lavoro i beni primari, come l’armonia nella coppia, l’attenzione ai figli, l’assistenza ai genitori anziani. Se sono imprenditori, tengono sempre presente che l’uomo viene prima del lavoro e il lavoro prima del capitale. Oltre al giusto trattamento economico, assicurano ai lavoratori una dignitosa qualità della vita e li trattano come corresponsabili dell’impresa. Se sono lavoratori, non cadono nella piaga dell’assenteismo e, in caso di lotta sindacale, non si schierano contro qualcuno, ma sempre e solo per la giustizia.

I cristiani si riconoscono da come vivono il rapporto con i soldi. Il denaro è un pessimo padrone, ma può essere un buon servitore, purché lo si usi con distacco, purché si viva con sobrietà, si evitino scorciatoie nel guadagno, mon-danità nella spesa. Se invece, avendo di che mangiare, di che vestire e una casa da abitare, i cristiani non sono contenti, è segno che qualcosa nella loro fede non va. I cristiani sanno che, se non pagano le tasse, violano il settimo coman-damento che vieta di rubare, e sono coscienti che occorre il massimo scrupolo nella pronta e piena retribuzione dei dipendenti. Ma soprattutto sanno che il superfluo dei ricchi è il necessario dei poveri.

I cristiani si riconoscono da come vivono gli affetti. I discepoli di Cristo non cedono né alle sessuomanie né alle sessuofobie. Sanno che l’amore tra l’uomo e la donna è uno dei più grandi doni di Dio e viene da lui consacrato nel sacra-mento del matrimonio. Scelgono di sposarsi “nel Signore” e solo nel matrimo-nio ritengono lecito il pieno esercizio della vita sessuale, ma si dissociano da ogni forma di disprezzo per le ragazze madri, i divorziati risposati, i conviventi, gli omosessuali. I cristiani rispettano e difendono la vita: per questo dicono no all’aborto e all’eutanasia.

I cristiani si riconoscono da come vivono la fragilità. Non si illudono né pretendono che la protezione del Signore li risparmi dalle prove della vita, dalla croce di limiti, di crisi, dalla malattia e dalla morte, ma non disperano mai, anzi si abbandonano al misterioso ma sempre benevolo disegno del Padre, nella certezza che Dio può ricavare un bene infinitamente più grande anche dal male più atroce. Credono che “tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio” (Rm 8,28).

I cristiani si riconoscono da come vivono la festa e ogni domenica. Per loro la domenica non è il week-end, ma il giorno del Signore. Le vacanze di Pasqua non sono l’occasione per andare in crociera, ma per partecipare in chiesa alla passione e risurrezione di Gesù, e per rivivere il loro battesimo. Con il riposo settimanale noi cristiani dedichiamo il tempo all’incontro con il Signore e con la comunità cristiana nell’eucaristia; facciamo spazio alla comunione in famiglia, alla relazione con il creato, alla solidarietà con i poveri.

Infine i cristiani si riconoscono da come vivono la passione e l’impegno

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per la cittadinanza. Il sentirsi pellegrini in cammino verso la Gerusalemme ce-leste non li rende latitanti o indifferenti circa le sorti della città terrena. Sanno di essere obbligati in coscienza a osservare le leggi giuste, a partecipare re-sponsabilmente alla vita civile sociale e politica, a contribuire al bene comune, per la crescita integrale di ogni uomo e dell’intera società. Quando assumono democraticamente responsabilità politiche e amministrative, hanno a cuore il disinteresse personale; rifiutano concussione, corruzione e voto di scambio; non cedono al ricatto dei poteri forti e di quelli occulti; fanno proprie le neces-sità dei poveri; non ricorrono alla menzogna e alla calunnia come strumento di lotta contro gli avversari; rispettano tutti, a cominciare dai fratelli nella fede che appartengono ad altri schieramenti.

In conclusione, noi cristiani crediamo che “chi segue Cristo, l’uomo perfet-to, si fa lui pure più uomo” (GS 22).

Ritorna allora la domanda iniziale: c’è una vita più umana di quella cristiana? Che san Gaudenzo ci aiuti a mostrare a quanti cercano Dio nelle nostre

terre che la vita cristiana è bella, buona, beata, proprio perché è la più umana. Buon nuovo anno pastorale, santa Chiesa di Dio che vivi in Rimini!

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Vorrei accostarmi al vostro dolore, carissimi papà Paolo e mamma Ros-sella, carissime Martina e Kate, e vorrei farlo con tutta la tenerezza che voi meritate e con il garbo di cui sono capace. Chi vi parla, non ha vissuto il dolore lacerante che vi brucia in cuore, ma permettetemi di venire a voi con l’abbrac-cio di tutti, con la preghiera di molti.

Vi confesso che, per il groviglio dei sentimenti che mi si arruffano in cuore, ho fatto fatica a trovare le parole più giuste per questo momento. Fatemi citare allora quelle del nostro piccolo, grande Don Oreste Benzi. Il giorno che morì, il 2 novembre di quattro anni fa, di fronte alla sua salma appena composta, trovammo scritte sul suo libretto, Pane quotidiano, questo pensiero profetico: “Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa vita, li apro all’infinito di Dio”. So di condividere con voi, spero con tutti, questa in-crollabile certezza: quando un nostro amico non vive più, vive di più.

Ora, carissime sorelle, fratelli e amici, fate sottoscrivere anche a me le pa-role di papà Paolo: “Dicono che Dio trapianti in cielo i fiori più belli, per non farli appassire. Credo che sia così”. Passatemi un pennarello per far firmare anche a me lo striscione dei tantissimi amici: “Marco, ora insegna agli angeli ad impennare”. Fatemi rileggere ad alta voce le parole ritrovate ieri sul libro del nostro PuntoGiovane di Riccione, dove all’età di 18 anni, Marco aveva parteci-pato a una settimana di convivenza con i suoi compagni di liceo. Durante quei giorni aveva scritto: “Sono stato il ‘folletto’ - così si chiama, da noi, il ragazzo che prega per un altro durante la convivenza - più scandaloso che la storia ricordi. Non ti prometto che pregherò per te in futuro, perché sicuramente me ne dimenticherei. Però lo farò questa sera, prima di andare a letto e cercherò di fare in modo che la mia preghiera valga anche per tutte le volte che non la dirò”. Negli stessi giorni una compagna di classe gli aveva scritto: “Quando ho scoperto che saresti stato tu il mio ‘protetto’ sono stata contenta. Tu, a diffe-renza di molti altri, sei uno che non pretende dagli altri”.

Personalmente ho incontrato Marco una volta sola, l’8 dicembre dell’anno scorso, alla cresima della sorella Martina, ma ora che ho scoperto la sua schiet-tezza e la sua bontà schiva e delicata, mi prende un amaro rimpianto: quello di non aver provato a diventargli amico. Sono sicuro che un amico così libero,

In memoria di Marco SimoncelliOmelia pronunciata dal Vescovo in occasione dei funera-li di Marco SimoncelliCoriano, 27 ottobre 2011

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trasparente, generoso, non mi avrebbe respinto per il solo fatto di essere io anziano o vescovo, anzi con lui avrei potuto anche discutere e perfino litigare, di quelle belle litigate che si possono fare solo tra amici.

Ma adesso, fratelli miei, permettetemi che mi senta anch’io percuotere il cuore da quella domanda inesorabile: perché Marco si è schiantato domenica scorsa alle 9,55 sull’asfalto dell’autodromo di Sepang? Io non posso cavarme-la ora con risposte preconfezionate, reperibili sulla bancarella delle formule pronte per l’uso. Sì, alle volte noi credenti pensiamo di svignarcela con l’allu-sione enigmatica a una indecifrabile volontà di Dio. Ci ripetiamo, instancabili: “è la volontà di Dio”, e non ci rendiamo conto che, sbandierando parole senza cuore, rischiamo di far bestemmiare il suo santo nome. Il mio animo si ribella all’idea volgare di un Dio che si autodenomina “amante della vita”, che mi si rivela come il Dio che “ha creato l’uomo per l’immortalità” (Sap 2,23”) e poi si apposta dietro la curva per sorprendermi con un colpo gobbo o una vile rappresaglia. Permettetemi di ridire sottovoce a me e a voi qual è questa be-nedetta volontà di Dio, non con parole mie, ma con le parole pronunciate un giorno da suo Figlio, sotto i cieli alti e limpidi della Palestina, mentre a Rimini si stava ultimando il ponte di Tiberio: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato. Che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti nell’ul-timo giorno” (Gv 6,39).

Datemi un po’ del vostro coraggio e aiutatemi ad abbinare, a quello di Marco, il nome dolcissimo del Maestro mio e vostro. Voi lo conoscete: il suo nome non è di quelli che condannano a morte; lui si chiama Gesù, che signifi-ca “Dio-Salva”. Dove stava allora Gesù-Dio-Salva in quell’istante fatale in cui il corpo di Marco ha cessato di vivere? Stava là, pronto per impedire che Marco cadesse nel baratro del nulla e per dargli uno “strappo” alla volta del cielo. Sì, Gesù è il nome benedetto del Figlio di Dio che ha preferito me, te, ognuno di noi viventi, tra la sterminata folla degli esseri ibernati nell’abisso del niente. Gesù è il nome del Figlio di Dio, mandato dal Padre come inviato speciale sulla terra, non a fare prediche sul dolore e sulla morte, ma a condividere la nostra fragilità, fino a morirne. E’ il nome del Figlio di Dio che si è lasciato inchiodare su una croce per stringerci tutti nel suo immenso, tenerissimo abbraccio, e ci ha offerto il segno più grande dell’amore: dare la vita per i fratelli. Gesù non è venuto a tenere corsi di etica sul dolore né a salvarci dal dolore, ma ci ha salvati nel dolore - perché lo ha riempito di senso - e lo ha fatto con il suo sangue innocente. Gesù è il nome del Figlio di Dio che ci ha amati con l’amore più incredibile e ha definitivamente sconfitto la morte con la sua risurrezione. Perciò è sempre là, all’imbocco del tunnel della morte, pronto per afferrarci e portarci a godere la gioia senza più se e senza più ma.

Gesù, che registra sul suo diario perfino un bicchiere d’acqua fresca dato con amore, domenica scorsa stava là a dire a Marco: “Grazie, per tutte le volte che mi hai abbracciato nei fratellini disabili della Piccola Famiglia di Monte-tauro. Grazie, Marco, per tutte le volte che mi hai fatto divertire tanto, come quando hai partecipato alla gara delle karatelle nella festa patronale della tua parrocchia. Grazie, perché tutte le volte che hai fatto queste cose ai miei fratelli più piccoli, tu le hai fatte a me”.

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Ora, permettimi, caro Marco, di rivolgermi direttamente a te. La sera prima della gara hai detto che desideravi vincere il gran premio per salire sul gradino più alto del podio, perché lì ti avrebbero visto meglio tutti. A noi ora addolora non riuscire a vederti, ma ci dà pace e ci fa provare un brivido di gioia la spe-ranza di saperci inquadrati da te, dal podio più alto che ci sia. Lasciaci allora dire un’ultima semplicissima parola: Addio, Marco. E’ una parola scomposta dal dolore, ricomposta dalla speranza: a-Dio!

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Omelie

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Tra il fondamento e il compimento: è qui che si colloca il cammino del cristiano nella storia, nel suo spessore tridimensionale di passato, presente, futuro. Qualcuno dice che è il presente lo spazio proprio dei laici cristiani, un presente che si distende tra la memoria del passato (carisma tipico dei pastori) e l’attesa del futuro (specifico carisma dei religiosi). Ma se è vero che il batte-simo è il tratto identificativo di base di ogni discepolo di Cristo - sia laico, sia pastore, sia consacrato - allora si deve dire che ogni cristiano laico, in quanto battezzato, vive immerso nel grande fiume dell’amore che attraversa la storia. E dunque anche ai cristiani laici appartiene la memoria del passato come pure l’attesa del futuro, ma questa memoria e questa attesa i fedeli laici sono chia-mati a viverle nel presente: “Annunciamo la tua morte, o Signore; proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”.

1. Il rischio per tutti noi credenti è quello di dimenticare sia da dove ve-niamo che verso dove siamo diretti; ed è per questo che la parola del Signore, ci sollecita continuamente a vigilare, a non andare in letargo, e per questo ci pungola continuamente ci esorta con tre verbi all’... in-finito: ricordare, vigilare, attendere. Vigilare, ricordando l’evento della prima venuta del Signore; attende-re l’evento della sua ultima venuta.

“Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi - ci ha detto il Signore -: quando già germogliano, capite da voi stessi, guardandoli che l’estate è vicina”.

Oggi, penultimo giorno dell’Anno liturgico, la Chiesa chiude il cerchio: ci fa ritornare alla foce del fiume della storia per sbilanciarci verso il suo estuario. Non per nulla proprio da domani sera l’Anno liturgico riprenderà il suo corso cominciando proprio dal messaggio evangelico di questa sera. Abbiamo quindi una oscillazione pendolare: dall’evento di duemila anni fa al compimento finale, e dal compimento all’evento.

Per noi che rischiamo di vivere di solo presente - life is now! ripete am-miccante uno slogan della pubblicità televisiva - la liturgia apre una breccia nel muro del tempo, perché possiamo guardare oltre. Ma quando il presente diventa il frammento puntiforme, non affonda più le radici nell’evento e non si sbilancia più verso il frutto del compimento, allora il fine della storia diventa ineluttabilmente la fine totale, una fine drammatica e desolante. Detto con altra

Cristiani laici: profeti del quotidianoOmelia tenuta dal Vescovo nel corso della s. Messa per le Aggregazioni LaicaliBasilica Cattedrale, 25 novembre 2011

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metafora: senza la visione periscopica della storia, un presente che non trasfor-ma continuamente la massa del passato in energia di futuro, diventa uno zero, e la storia uno zibaldone di storie abortite e azzerate.

2. In positivo, la fede cristiana ci ricorda che la fine sarà un... inizio senza fine: Cristo verrà per l’ultima volta “con grande potenza e gloria”. La sua manife-stazione sarà il traguardo di ogni esistenza umana e di tutta la storia: il Crocifis-so-Risorto darà senso a tutto e chiarirà il senso di tutto. Verrà come “giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio” (At 10,42): allora crollerà lo scenario falso e spietato di questo mondo, apparirà Cristo come il vero Vincitore nella lotta tra il bene e il male, e tutti “saremo giudicati sull’amore” (san Giovanni della Croce).

“Ciascuno raccoglierà quello che ha seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito racco-glierà vita eterna” (Gal 6,7-8). L’egoismo causa la morte; la carità genera la vita. E così “saremo sempre con il Signore” (1Ts 4,17), in piena armonia con Dio, con gli altri, con noi stessi: nella gioia perfetta si acquieterà finalmente il desiderio sconfinato del nostro cuore perennemente inquieto, spesso ripiegato sull’effi-mero, ma pur sempre spalancato sull’infinito. Allora sarà la fine: una festa senza fine, il giorno senza tramonto.

Questa fede è tutt’altro che alienante: “l’attesa delle ultime cose implica l’impegno per le penultime” (Bonhoeffer). La salvezza nella storia e oltre la storia fonda l’originalità dell’atteggiamento cristiano nei confronti delle realtà terrene. Rispetto al non credente, il cristiano ha motivi ancora più forti per im-pegnarsi nel costruire la “civiltà dell’amore”: “Il cristiano che trascura i suoi im-pegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in serio pericolo la propria salvezza eterna”: ecco una delle perle più preziose dello scrigno del concilio Vaticano II (GS 43). Attendere con speranza e fiducia il pieno compimento dell’umano “travaglio” significa rimboccarsi le ma-niche per l’azione. “Il cristiano è sempre come seduto sul bordo estremo della sua sedia. Seduto su quello che dispone di un appoggio sicuro: la speranza. All’estremo bordo della sedia, perché è pronto ad alzarsi e a pagare di persona” (G. Danneels). Chiaro e limpido: il sofà del “mollaccione” non si addice all’arre-do di casa di un cristiano doc.

L’Eucaristia è il viatico che ci dà la sicurezza di partecipare fin da ora alla realtà della vita nuova, e “ci prepara il frutto di una eternità beata”. Preghiamo perché ogni giorno attendiamo la manifestazione gloriosa del Signore: fiduciosi nella speranza, operosi nella carità.

3. Riandiamo al tema dell’anno pastorale in corso: “Immersi nel Suo amore. C’è una vita più umana di quella cristiana?”.

La memoria del passato, l’attesa del compimento, la vigilanza nel presente rendono la nostra storia una divina avventura, e perciò ne fanno la storia più umana.

Quando la vita è illuminata da questa certezza, allora diventa un pellegri-naggio, non un fortunoso vagabondaggio, e neanche una più o meno piacevole gita turistica: quindi non dobbiamo mai illuderci di essere già arrivati e non

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Omelie

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possiamo mai dimenticarci di dove siamo diretti. Perché il Signore viene! La vita che ci è donata è la più umana perché ci attrezza per il “santo viag-

gio” con un equipaggiamento leggero, con la “bisaccia del pellegrino”, munita dell’essenziale, per cui ci muoviamo di tappa in tappa, non ci spostiamo di pol-trona in poltrona. Perché il Signore viene!

La vita cristiana è la più umana perché ci fa considerare gli altri – familiari, amici, colleghi – nostri compagni di pellegrinaggio: quindi ci fa amare ognuno come un fratello avuto in dono senza mai bramare di possedere alcuno come proprietà privata; ci fa servire tutti, ma non asservire nessuno. Perché il Signore viene!

La vita cristiana è la più umana perché ci fa ritenere la salute, il lavoro, il denaro, il divertimento per quello che sono: non come privilegi da difendere, ma come doni da condividere; come dei mezzi utili per il pellegrinaggio, non come le mete ultime del cammino. Perché il Signore viene!

La vita cristiana è la più umana perché ci porta a compiere il servizio che ci è richiesto, come fosse l’ultimo, ma sempre come “servi inutili”: con i fianchi cinti e le lucerne accese. E sempre pronti a ripiegare le tende per andare là dove siamo chiamati, senza accasarci mai da nessuna parte, fin quando non arrivere-mo al giorno beato dell’incontro definitivo. Perché il Signore viene!

La vita cristiana è la più umana perché ci fa guardare al futuro non come a un fato incombente e implacabile, né come ad un destino fortuito, volubile e capriccioso; ci fa sperare che la sofferenza, la malattia, la morte e tutte le cata-strofi, naturali o sociali, non siano l’ultima parola della storia.

La vita cristiana è la più umana perché ci aiuta a ricevere, guardare e ono-rare le creature “come se al presente uscissero dalle mani di Dio” (GS 35); ci convince pure – secondo una ardita espressione – che vale la pena piantare un seme oggi, anche se si sapesse che il mondo finirà domani (Lutero).

La vita cristiana è la più umana perché è la più laica: fa di voi laici i profeti del quotidiano, che vivono con semplicità, senza chiasso, senza integralismi o fondamentalismi il Vangelo nella vita di tutti i giorni.

Intanto, nell’attesa di nuovi cieli e nuova terra, ogni seguace di Cristo pro-segue il suo pellegrinaggio verso la patria. Esorta s. Agostino: “Canta dunque come il viandante, canta e cammina, senza deviare, senza indietreggiare, senza voltarti. Qui canta nella speranza, lassù canterai nel possesso. Questo è l’alleluia della strada, quello l’alleluia della patria”.

Maran athà: il Signore viene. Maranà tha: vieni, Signore Gesù!

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Due voci attraversano il campo uditivo del vangelo appena proclamato: la voce aspra e tagliente di Giovanni Battista e quella non meno asciutta ma felice dell’evangelista Marco. Giovanni annuncia la venuta dell’Atteso; Marco procla-ma l’identità del Venuto. Il Battista grida la buona notizia dell’arrivo imminente di Uno “più forte di lui”. L’evangelista comunica il lieto messaggio o “vangelo” di quell’Uno ormai venuto in mezzo a noi: è Gesù, il Messia (Cristo), il Figlio di Dio in persona. Ambedue richiedono la conversione, ambedue reclamano che si prenda sul serio l’evento prossimo venturo o già avvenuto. Ma per il primo la conversione richiesta a quanti accorrevano al Giordano è la condizione perché l’incontro con il Messia accada. Per l’altro, l’evangelista, la conversione è piutto-sto la conseguenza del fatto che l’evento è già accaduto. Oggi carissimi fratelli e sorelle, a queste due voci, se ne aggiunge una terza. Non è una voce “fuori campo”: è la voce di suor Serena, che davanti a questa assemblea, promette oggi un sì totale, senza calcoli e senza riserve, senza pretese e senza rimpianti, insomma senza se e senza ma. Oggi questa nostra sorella dichiara solenne-mente il suo sì radioso e raggiante, al suo unico Sposo e Signore.

1. Cara suor Serena, mi hai raccontato che la tua vita trascorreva tranquilla - come quella di tanti altri nel tuo paesino, Guastalla, nella bassa reggiana - tra famiglia, scuola, parrocchia, calcio e danza classica. Poi hai cominciato ad av-vertire che tutto questo non ti bastava. Come mai? eppure si trattava di cose tutt’altro che brutte e cattive. Ma né l’onestà e neanche la bontà ci regalano la felicità. Tu ti portavi dentro un’arsura bruciante: eri assetata di un amore puro, incontaminato, assoluto. Negli anni in cui una ragazza custodisce in corpo e in cuore la promessa della donna che sarà, devi avere sperimentato la spina dell’i-nappagamento e deve averti preso la vertigine del nulla. A che serve amare, la-vorare, sacrificarsi - ti sarai detta - se poi la morte mi fa lo sgambetto dietro una curva e in un attimo mi scippa tutto quello che ho amato, scoperto, sognato e faticosamente costruito? Stavi per dare ragione ad Emil Cioran, filosofo rumeno, il quale a proposito della morte, ha scritto: “Non c’è un altro problema. Non ho fatto niente nella mia vita proprio perché ero al tempo stesso liberato e para-lizzato da quel pensiero della morte. Non si può avere un mestiere quando si pensa alla morte; si può soltanto vivere come ho vissuto io, al margine di tutto,

Rivolti verso il VoltoOmelia tenuta dal Vescovo in occasione della professio-ne perpetua di Sr Serena Vasconi della Congregazione delle Suore Francescane dell'Immacolata di Palagano Villa Verucchio, 4 dicembre 2011

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come un parassita”. No, finire per vivere “al margine di tutto, come un parassi-ta”, a te proprio non andava.

Fu allora che ti raggiunse una notizia, la buona notizia. Non fu una formula ferrea, troppo gelida e dura per accendere il cuore. Non fu un sogno al car-diopalmo che, appena apri gli occhi alla vita, ti si scioglie tra le mani come un cubetto di ghiaccio. Fu una bella notizia, la più bella, questa: che Uno ti aveva amato e aveva sacrificato la sua vita per salvare la tua. Fu allora che ti lasciasti abbagliare dal suo Volto e incontrasti l’amore. Me lo hai raccontato tu: “E’ stato il fermarmi per tanto tempo davanti al Crocifisso della mia chiesa a farmi ap-prendere l’amore con il quale ero amata, e come questo amore era superiore all’amore stesso per un ragazzo. L’amore di Cristo ha superato l’amore per una creatura!”. E come per ogni folgorazione d’amore, tu ti porti tatuata sul cuore la data dell’incontro fatale: era il 4 ottobre 2002.

E la morte? La morte è un fatto della vita. In my beginning is my end (Nel mio inizio è la mia fine). E’ stato così anche per lui, il tuo amatissimo Sposo crocifisso, l’unico tra i fondatori di grandi religioni a morire martire, ma senza neanche l’aureola del martirio. Sì, lui è morto per dare tutto, e tutto ha dato. Neanche il suo corpo ha tenuto per sé, neanche l’ultima stilla di sangue ha trat-tenuto: Prendete, mangiate; prendete, bevete. Perché il tuo Amato è fatto così: non chiede sacrifici per sé, ma sacrifica se stesso per te. Ma è anche l’unico ad essere tornato vivo dal regno dei morti, ed è tornato a noi più vivo di prima. Gesù di Nazaret è realmente e corporalmente risorto, e perciò di lui tu non solo puoi dire: “Mi ha amato con un cuore di carne e ha dato se stesso per me”, ma: “Anche oggi mi ama con cuore d’uomo e mi amerà ancora, domani e tutti i giorni, fino al mio ultimo respiro”. Non dubitarne mai: lui non farà della tua vita una fine, ma il passaggio per una vita senza fine: In my end is my beginning (Th. S. Eliot).

2. Quel giorno fatale, il tuo giorno più lungo prima di questo di oggi davvero indimenticabile, tu hai aperto il guscio della tua piccola conchiglia e vi ha visto dentro brillare la perla preziosa: la perla del segreto della vita. Il segreto è l’a-more di Gesù. Ti sei sentita amata, gratuitamente e teneramente amata dal tuo Amato; hai creduto al suo amore; ti sei buttata tra le sue braccia in uno slancio vertiginoso e gli hai sussurrato tra lacrime di gioia: “Prima di conoscere te, io non esistevo”. E cosi hai sperimentato quanto siano vere anche per te quelle sue parole che non passeranno mai, anche quando il cielo e la terra passeran-no: “Serena, io sono venuto perché tu abbia la vita e l’abbia in pienezza” (cfr Gv 10,10). Deve essere stato proprio così: lui ha pronunciato il tuo nome e tu hai provato a pelle il brivido dell’innamoramento. Di schianto hai realizzato che la tua vita non si sarebbe più impantanata nella palude della noia, non si sarebbe più persa tra le sabbie mobili di una specie di anoressia esistenziale, non sareb-be più discesa ineluttabilmente verso il baratro del nulla. Anzi hai visto la tua vita risalire la china e “scorrere verso l’alto” (Giovanni Paolo II). Perché la vera vecchiaia è l’egoismo; la sclerosi più grave è l’indurimento del cuore; la paresi totalmente irrecuperabile è il congelamento dell’anima.

Quel giorno fortunato tu, suor Serena carissima, hai mosso i primi passi sul sentiero ripido della conversione. Domanda: ma come ci si converte? Risposta:

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la conversione è tutta questione di cuore. Dunque ci si converte come ci si innamora. E quando una ragazza come te si innamora di uno Sposo di sangue come Gesù, allora davanti a sé non si ha più il miraggio della nostra piccola poltrona, del nostro nido caldo dorato, mentre fuori di noi geme il pianto dei depressi e urla il dolore dei disperati. Così hai finito per innamorarti dei poveri, gli amici dello Sposo, i suoi prediletti. E amando loro, hai messo la tua fragile spalla sotto la loro croce, ma a quel punto hai trovato il tesoro, il favoloso tesoro della gioia. Allora hai dato via tutto, hai scommesso sull’amore del tuo Gesù, e invaghita di lui, hai scoperto che croce non è uguale a meno vita, meno amore, meno felicità. Hai invece indovinato la formula magica dell’appagamento: “più Dio è uguale a più Io”.

Così la pianticella della tua giovane vita ha cominciato a fiorire. A proposi-to mi torna qui alla mente quanto scriveva Dietrich Bonhoeffer, nel carcere di Tegel, prima di venire impiccato dai nazisti. Scriveva: “Non ci interessa una vita che non faccia fiorire l’umano. Un divino cui non corrisponda il rigoglio dell’u-mano, non merita che ad esso ci dedichiamo”.

Mi hai anche scritto: “In questi tre anni a Villa Verucchio, l’immersione nel quotidiano di tante famiglie e di tanti ragazzi ha realizzato il dono di Dio nella mia vita: il desiderio di spendermi per gli altri per condividere con ciascuno la ricchezza che ho conosciuto e sperimentato. La chiamata di Dio è per stare con lui e per andare verso i fratelli, e se questa passione è davvero dono suo, sono certa che ne permetterà la realizzazione”.

Queste parole raccontano il tuo sogno, ma dicono pure la nostra preghiera. Sogno e preghiera nutrite dalla grande, indefettibile promessa: “Nulla mai potrà separarci dall’amore di Cristo”, ha scritto s. Paolo, ma questa è la verità di Dio sulla tua vita. Nulla - mai: due parole minuscole, ma firmate dal tuo Sposo a caratteri di sangue e che a noi, cara suor Serena, ci fanno fare salti di gioia. Be-ata te che hai creduto! Fortunata te che ti sei lasciata sedurre dal Volto del più bello tra i figli dell’uomo e non hai più potuto fare a meno di seguirlo. Lascia che ti diciamo anche noi: nulla mai ti potrà separare dal Suo amore. Aiutaci ad augurarti: nulla mai guasti la tua festa! E sarà festa anche per tutti noi.

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Nel presepe classico della tradizione italiana c’è un personaggio che non può assolutamente mancare: lo stupìto. E’ un pastorello che tiene la mano a vi-siera sugli occhi: viene generalmente posizionato su una collinetta di muschio, e guarda incantato, a debita distanza, la scena stupefacente della natività. Nel lessico cristiano, alla voce stupore si trova un rimando: “vedi alla voce Natale”. E’ così: a Natale non ci si imbatte in un Dio che incute terrore, semina panico, scaglia implacabile folgori e fulmini, come un Giove eternamente infuriato che stringe in una mano un fascio di saette fiammeggianti, sempre pronte per l’uso. No, il primo messaggio che l’angelo rivolge ai pastori sommersi dalla luce che piove dal cielo e intimoriti per quello spettacolo grandioso è invece rassicuran-te: “Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia”. E il segno per identificare quel neonato come il Salvatore Messia e Signore, non è una serie infinita di effetti speciali. Il segno è piuttosto un normalissimo bebé, “avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”, né più né meno come un cucciolo qualunque di una qualunque coppia di pastori appena nato: tenero e fragile come loro, che dorme e succhia il latte come loro, che come loro ha per culla una ordinaria, semplicissima mangiatoia.

1. Di Dio non dobbiamo avere più paura Passano gli anni, ma del Natale non riusciamo a stancarci. Non è forse

perché la ricorrenza risveglia in noi sentimenti di tenerezza, di misericordia, di fiducia? Certo, ma a me sembra che il motivo di tanto fascino sia ancora più pro-fondo: il Natale viene puntualmente a ricordarci che di Dio non dobbiamo avere paura. Un bambino incute forse terrore a qualcuno? No, perché può guardarti solo dal basso. E’ chi ci guarda dall’alto in basso che ci mette paura. Ecco il mi-stero del Natale: Dio non è un sovrano altezzoso che ci guarda dall’alto del suo irraggiungibile piedistallo. Scende nel nostro abisso. “Per noi uomini discese dal cielo”, anzi è sceso ancora più giù di tutti noi, ed è venuto a dirci: “Non abbiate paura. Io sono nato per voi. Non abbiate paura: il Padre mio vi ama”.

Questa è la lieta notizia del Natale: Dio è nostro Padre e noi siamo i suoi figli. Parola di Gesù! “Guardate quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!”, scrive sbigottito l’apostolo Giovanni. Sono parole percorse da una vertigine mozzafiato, quasi di incredula sorpresa: “quale grande amore!”. In effetti quello di Dio Padre è un amore così grande che più grande non si può. Lo stupore è dovuto al fatto che l’attributo di Padre sia per Dio non uno dei tanti che gli si possano o debbano attribuire -

L'incanto del NataleLo stupore di diventare figliOmelia tenuta dal Vescovo nella Messa della Notte di NataleRimini, Basilica Cattedrale, 2011

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come l’Infinito, l’Immenso, l’Eterno, l’Onnipotente eccetera - ma che Padre sia il suo nome proprio, e che noi siamo suoi figli per davvero!

Noi cristiani siamo talmente abituati a dire e a ridire che siamo figli di Dio, che ormai questa formuletta è diventata una sorta di chewing-gum che più si mastica e più perde sapore. Quando si dice l’abitudine: è proprio vero che la nemica mortale dello stupore è l’assuefazione. Per farci capire la grandezza smisurata e l’indicibile bellezza dell’essere figli di Dio, san Paolo ci sbalordisce ulteriormente facendoci ascoltare lo stesso grido di Gesù, il quale, quando pre-gava, si rivolgeva a Dio chiamandolo Abbà, Papà mio, Babbo caro. Ecco la prova che siamo figli, esplode Paolo: è il fatto che quel grido di tenerezza lanciato da Gesù - Abbà - ora risuona nei nostri cuori. La conclusione che ne tira l’Apostolo è abbagliante: quindi non siamo più schiavi. Nemmeno di Dio siamo più schiavi! Comportarci da schiavi nei suoi confronti è cosa che lo colpisce al cuore e lo of-fende a morte. Vivere da figli o invece da schiavi fa una bella differenza. Questa differenza la si onora già dal tono di voce che usiamo per parlare di Dio o per parlare a Dio. Se Dio viene creduto come Padre-Papà, allora il tono di voce dirà affidamento a lui. Se invece Dio viene pensato come un Faraone, allora la voce dirà assoggettamento. Il Faraone è uno che rende schiavi. E lo schiavo è uno al quale il Faraone toglie la vita, perché ai suoi occhi non è nessuno. Oppure qualcuno, gliela toglie, per eccesso di zelo, volendo così compiacere il Faraone.

2. Solo il Dio di Gesù è veramente PadreTra il tenero affidamento di un figlio al babbo e l’assoggettamento sotto-

messo di un servo al suo signore scorre tutta la differenza che fa del cristiane-simo una religione unica, talmente originale da essere diversa da tutte le altre.

Il Dio cristiano è del tutto originale rispetto alle divinità pagane. E’ vero che i latini chiamavano Giove, Juppiter - nome che deriva da Zeus Pater - ma intende-vano per “padre” l’autorità superiore, e niente più. Ad esempio, in Omero, nello stesso verso Giove è invocato insieme come “nostro padre e sovrano supremo” (Odissea, 1,45). Del resto, appena si pensi a ciò che significava nel mondo latino la figura severa del paterfamilias, che aveva diritto di vita o di morte su tutti i singoli membri del gruppo familiare - dalla moglie agli schiavi - ci si rende conto che l’antichità ignorava anche la sola idea di una figura paterna esclusivamente connotata dalla bontà, ma vi congiungeva sempre quella di potere.

Il Dio cristiano è originale rispetto all’Islam. Secondo il Corano, Allàh non ha mai generato nessuno. Nell’elenco tradizionale dei Novantanove Nomi di Allàh, quello di Padre è totalmente assente. E’ vero che ogni sura del Corano inizia con la formula “Nel nome di Allàh clemente e misericordioso (ar-Rachmàn waar-Rachìm)”, ma la clemenza e la misericordia qui invocate non sono quelle di un padre affettuoso, bensì quelle di un sovrano benevolo.

Il Dio cristiano è originale anche rispetto al Dio ebraico: il Dio di Mosè, di Davide, di Isaia, per quanto clemente e misericordioso, è pur sempre un Dio che quando viene a visitare la creazione, i monti si sciolgono come cera, e nessuno può vederlo senza rimanerne tramortito. Gesù invece ci presenta un Dio in cui la paternità - una paternità tenera e misericordiosa, addirittura “materna” - è asso-lutamente primaria: basti pensare alla parabola del figlio prodigo, che dovrebbe

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essere meglio etichettata del padre misericordioso, in cui la bontà del padre non ha limiti, neanche le sfacciate pretese di un figlio snaturato, neanche il suo com-portamento depravato, neanche il suo - alla fin fine - interessato ravvedimento.

3. Giovani, aiutateci a fissare la stella di NatalePermettetemi ora, fratelli e sorelle, di dedicare in conclusione un pensiero

ai giovani. Lo sappiamo: i giovani di oggi si sentono orfani. Si percepiscono di-sorientati in universo illimitato, si ritrovano soli e smarriti nel villaggio globale. I maestri del nulla hanno loro insegnato che discendono dalla scimmia e sono destinati ad andare a finire nella buia voragine dello zero assoluto. E i giovani sono le vittime più esposte e più indifese di questa catastrofica crisi finanziaria che sta scippando loro un futuro all’altezza di una piena umanità.

Vorrei allora rivolgermi ai giovani cristiani e lanciare questo messaggio dall’u-mile e povera capanna di Betlemme.

Cari giovani, da troppi anni il Natale in Occidente era diventato il Natale del dell’abbondanza extra-large, del consumismo godereccio, addirittura dello spre-co più sfacciato. Ora voi avete la possibilità di far vedere a noi adulti che di fronte a questa crisi non siete rassegnati. Magari sarete pure giustamente indignati, ma vi sentite anzitutto impegnati a coglierne le opportunità e a raccoglierne le sfide che essa rilancia, per riscoprire valori come la speranza, la sobrietà, la solidarie-tà. Diteci con il linguaggio dei comportamenti coerenti e con il lessico dei fatti concreti che non è Natale per chi fa tragedie per non riuscire a fare bella figura con i regali dispendiosi degli altri anni. Non è Natale per chi si commuove alla televisione di fronte ai bambini ridotti a pelle e ossa per il dramma della fame, e poi è scontento di una tavolata meno affollata di prelibatezze. Non è Natale per chi ha paura di andare in giro senza vestiti griffati all’ultima moda, ma con le scarpe e i jeans dell’anno scorso e con il vecchio modello di telefonino.

Ma soprattutto fateci vedere che siete ancora capaci di lasciarvi afferrare da quel brivido di stupore che ci regala il Natale di Gesù, lo stupore di quanti lo hanno accolto e nel battesimo sono stati immersi nel suo amore, sono diventati figli di Dio e si riconoscono fratelli nel suo nome. Fateci vedere con fatti di vange-lo che credete nella possibilità di realizzare la società del gratuito, come hanno dimostrato gli “angeli del fango” nei giorni dell’alluvione di Genova, come ci hanno fatto toccare con mano i giovani della GMG di Madrid, così come ci stan-no facendo vedere i tantissimi giovani impegnati nel mondo delle associazioni e del volontariato, come pure i non pochi giovani di talento che stanno dando il loro contributo ad uscire dal tunnel della crisi non per tornare alla situazione precedente, ma per cambiare rotta e avviarci verso la società del bene comune e dell’economia di comunione.

La gioia del Natale sia la prova del nove della vostra fiducia e la luce della stella cometa aiuti voi - e noi adulti attraverso di voi - a non tenere la testa bassa, nemmeno quando è buio.

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Qual è il sentimento più appropriato per il Natale, forse la paura? No, di certo. E’ vero che le profezie annunciavano che quando Dio sarebbe venuto a visitare la terra, le montagne avrebbero tremato, gli abissi si sarebbero sconvolti, sarebbe scoppiato l’uragano. Ma il messaggio dell’angelo ai pastori è tutt’altro che allarmante: “Non temete, non abbiate paura”. Non è certamente il sacro ter-rore la risposta al messaggio del Natale. Sarà allora il ricordo struggente di una infanzia perduta, di una pace impossibile, di una innocenza irrecuperabile? No, a Natale non siamo condannati ad ammalarci di malinconia. L’angelo questa notte ci ha annunciato “una grande gioia”, e la gioia sta alla nostalgia come il giubilo sta al rimpianto. La reazione giusta di fronte alla Parola fatta carne, davanti a quel bambino avvolto in fasce e adagiato nella mangiatoia, è lo stupore, che i pastori provano come un brivido a pelle e che contagiano a quanti incontrano: “Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori”. Sì, è lo stupore la reazione proporzionata all’evento stupefacente del Natale. Altrimenti rischia-mo di cadere nella stanca, passiva ripetitività di una routine piatta e annoiata.

Tentiamo allora di “vedere questo avvenimento che il Signore ci ha fatto co-noscere”, come dicono i pastori di Betlemme, ponendoci alcune domande che ci aiutano a scavare nel messaggio del Natale.

1. Che cosa è realmente avvenuto a Natale? A una lettura di superficie si dovrebbe dire che è avvenuto poco, infinita-

mente troppo poco. Se si rappresentano in scala i 4,5 miliardi di anni di vita della terra con un anno solare, si osserva che i mammiferi vi compaiono solo a metà dicembre, un protouomo verso le nove di sera del 31 dicembre, l’homo sapiens una decina di minuti prima di mezzanotte, il sapiens sapiens tre minuti prima di capodanno e la civiltà neolitica durante l’ultimo minuto. Socrate, Alessandro Ma-gno e Gesù Cristo si accalcano nell’ultima manciata di secondi. Quindi la nascita di Gesù di Nazaret, riportata in questa scala, occuperebbe appena un millesimo di secondo. E se ogni millesimo di secondo si può paragonare a un microscopi-co granellino di sabbia tra i miliardi di miliardi di granellini che compongono la sconfinata distesa della storia, allora si potrebbe dire che nel meccanismo per-fettamente oliato del sistema è caduto un granello infinitesimale, ma sufficiente a cambiare il corso dell’umanità.

Abbiamo ascoltato: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto Legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4). In modo ancora più scul-

"Vediamo questo avvenimento"Natale: cosa è accaduto, come e perché? Omelia pronunciata dal Vescovo nella Messa del giorno di NataleRimini, Basilica Cattedrale, 25 dicembre 2011

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Omelie

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toreo l’evangelista Giovanni proclama: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).

Ecco che cosa è avvenuto a Natale: Dio è finalmente venuto in mezzo a noi. L’atteso non ha portato ritardo, il promesso è arrivato puntualissimo. Se questo è vero, allora è altrettanto vero che ormai tutto cambia.

A Natale cambia l’indirizzo di Dio: la sua residenza non è più a Gerusalem-me, nel sacro recinto del magnifico tempio ricostruito da Erode, ma a Betlemme, in Galilea, e perciò sotto ogni latitudine della terra, dovunque nasce vive lotta e spera un figlio d’uomo.

A Natale cambia il senso della storia: non verso una inarrestabile decadenza, ma verso una pienezza insuperabile. E cambiano i protagonisti degli eventi che contano veramente: chi decide il destino dell’uomo non è l’imperatore di Roma e neanche suo figlio, ma quel piccolo bambino che è appena nato fragile e po-vero a Betlemme. La storia riparte dagli ultimi.

A Natale cambia il canale di comunicazione tra Dio e l’uomo: Dio non parla più attraverso i profeti, ma tramite il Figlio fatto uomo. “Dio che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebr 1,1s).

2. Come è avvenuto?Se Natale è quell’evento che realmente è, come è avvenuto quanto è avve-

nuto? Se a Natale Gesù ci ha portato Dio, come ce lo ha portato? Se a Natale in Gesù ci ha parlato Dio, come ci ha parlato? Dobbiamo rispondere: non da Dio. Il Figlio di Dio ci ha parlato di Dio, ci ha portato Dio, ma non da Dio, bensì da uomo. “Pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, diventando simile agli uomini” (Fil 2,6s). Se Gesù fosse venuto da Dio, non si sarebbe fatto capire, non si sarebbe fatto real-mente intercettare. E’ venuto in forma di uomo, ma in quale di forma di uomo è venuto?

Se fosse toccato a Mosè preparare il protocollo della sua visita, forse lo avrebbe immaginato come un generale invincibile, capace di sbaragliare tutti i faraoni del mondo, impegnato a tagliare in due tutti i mari della terra per farvi passare all’asciutto gli umiliati, i poveri e gli oppressi.

Se fosse toccato a Giovanni Battista dettargli l’agenda, probabilmente lo avrebbe fatto venire come un giudice inflessibile, che insedia il tribunale di Dio per fare pulizia nella sua aia e incenerire le erbacce della sporcizia umana con fuoco inestinguibile.

Se fosse toccato a rabbi Gamaliele, il maestro di Saulo di Tarso, forse lo avrebbe fatto venire come un rabbi erudito e ben ferrato, che distribuisce pillole di saggezza dall’alto della sua cattedra magistrale a discepoli affamati di regole e di rubriche, per non incorrere neanche nell’infrazione più minuziosa.

Se fosse toccato a Caifa, forse gli avrebbe fissato un protocollo esatto e me-ticoloso per un sommo sacerdote d.o.c. che si voglia scrupolosamente impecca-bile sotto il profilo della più puntigliosa purità rituale e cultuale.

Se fosse toccato a Simone lo Zelota, forse gli avrebbe scritto il copione del Messia, certo, ma di un Messia che avrebbe dovuto spodestare la coorte romana

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agli ordini di Ponzio Pilato, per restaurare il glorioso regno di Israele. Niente di tutto questo. Il Figlio di Dio è apparso in mezzo a noi non da Dio,

ma da uomo, anzi “assumendo una condizione di servo, facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,7.8). “Da ricco che era, si è fatto povero” per noi (2Cor 8,9). E’ venuto come un piccolo bambino, inerme e biso-gnoso di tutto. Un bambino come tanti, che i pastori devono poter riconoscere come fosse un loro figlio, il quale, quando nasceva, veniva “avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia”, quindi senza alcun tratto strabiliante da esibire. Lo straordinario del Natale è il paradosso che la manifestazione del divino si priva di ogni straordinarietà.

3. Perché è avvenuto?Lo ripeteremo tra poco, in ginocchio: “per noi uomini e per la nostra salvezza

discese dal cielo”. Gesù si è fatto come noi per farci come lui. Si è unito al destino di ogni uomo per associare ogni uomo al proprio destino. L’evento dell’incarna-zione è la prova del nove del più gratuito amore da parte di Dio, che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. E l’assoluta gratuità della venuta di Gesù in mezzo a noi è ulteriormente confermata dal “sacrificio” che questa “operazione” gli è costata, come canta estasiato s. Alfonso: “Ahi quanto ti costò l’avermi amato!”.

Non possiamo però dimenticare che l’evento del Natale sia un evento datato, non solo all’origine ma anche nella ricorrenza. Il Natale è avvenuto più di duemila anni fa in uno dei periodi più crudi della storia, ma anche oggi la sua ricorrenza cade in un momento drammatico, a causa della devastante crisi finanziaria.

Non c’è Natale senza gioia, ma è possibile la gioia in questo Natale? Se lo chiediamo al nostro beato Alberto Marvelli, ci potrebbe rispondere che anche gli ultimi Natali della sua vita sono stati particolarmente critici. Erano i Natali della guerra, dei bombardamenti aerei e navali che hanno distrutto Rimini al 90%, pro-curando oltre mille vittime civili. Poi sono venuti gli anni difficili e pesanti della ri-costruzione e Alberto è stato l’ingegnere manovale della carità. Cosa ha permesso ad Alberto di esprimere tanta solidarietà, sia a livello individuale che ecclesiale e politico? A mio avviso sono stati due fattori: la coscienza di appartenere al popolo di Dio, la gioia come frutto della carità cristiana.

Gesù non è venuto ad aprire un’accademia di devoti, ma per fare di noi il suo popolo. A noi popolo di Dio in cammino tocca testimoniare il plus-valore della fede nel messaggio del Natale, che è questo: Dio è Padre e sa far convergere al bene tutto, anche le prove più dure. Gesù è il Signore della storia e, se ci lasciamo guidare da lui, abbiamo motivo di sperare nel futuro. Noi siamo tutti figli dell’uni-co Padre e siamo chiamati ad essere la luce del mondo.

La gioia del Natale dunque è possibile, purché le nostre lampade abbiano a portata di mano l’ossigeno della fede, il combustibile della carità, la scintilla della speranza. Che questa fiamma riaccesa a Natale non si spenga mai più: nel nostro cuore, nella nostra città, nel nostro paese, nel mondo intero.

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Distinte Autorità, Illustri Signori, Gentili Signore!Ancora una volta la festività del santo Patrono della nostra città ci offre

la gradita, preziosa occasione per riflettere insieme su problemi e prospettive riguardanti aree di comune interesse, che non possono non vedere noi, titolari di cariche pubbliche - pur nei rispettivi ambiti e ai vari livelli di responsabilità - sensibili e interessati al bene delle persone, famiglie, gruppi e comunità, che siamo chiamati a servire.

Ma prima di entrare in argomento, permettetemi di condividere con voi un pensiero breve, ma ponderato sul valore non solo religioso, ma anche civile della festività patronale. Se è vero che ogni festa non assolve semplicemente una funzione pratica, per altro non trascurabile, come può essere il bisogno di riposo, di svago o di scambio - si pensi per esempio a una vacanza o a una fiera - ma riveste un pregnante significato simbolico, allora è da ricordare l’alto valore identitario che assume una festa patronale. Mi spiego con un riferimento diretto al nostro patrono. Celebrare san Gaudenzo per noi riminesi significa riconoscere nel fondatore della nostra Chiesa locale non solo un modello di umanità compiuta, ma anche il portatore di un ideale di città a misura d’uomo, una comunità civile, tollerante, solidale, accogliente. Se teniamo presente che Gaudenzo proveniva da Efeso, quindi da un’area di lingua greca, che poi si è fatto cristiano e, dopo aver soggiornato a Roma, è approdato a Rimini, allora nella sua persona e nella sua storia noi vediamo come concentrato un mondo di simboli, di valori, di risorse, le cui radici affondano nei tre colli – il Partenone, il Gòlgota, il Campidoglio - su cui è costruita la nostra civiltà europea. Trasferire la ricorrenza di s. Gaudenzo, come di s. Ambrogio, di s. Petronio, di s. Apollinare, alla domenica seguente, equivale a scolorire quella festività, di fatto a trascu-rarla: a che pro? quanto effettivamente ci si guadagna? a chi giova oscurare la tradizione da cui veniamo, indebolire le radici della nostra cultura, frammentare il nucleo del patrimonio di un ethos condiviso?

Avrete certamente saputo che in occasione della festa del beato A. Marvelli ho consegnato ai giovani della Diocesi una lettera pastorale, di cui mi è gradito farvi omaggio al termine di questo incontro. Ho pensato di scrivere direttamen-te ai nostri giovani, perché me li vedo troppo spesso dipinti come disincantati, cinici, delusi, pragmatici, ma che, ogni volta che li incontro, li ritrovo sempre

Messaggio del Vescovo alle Autorità Cittadine per la festa di san GaudenzoIntervento del Vescovo in occasione dell’inaugurazione della nuova sede della Libreria La PaginaRimini, 23 settembre 2011

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più puliti, più sani, più assetati di felicità, e anche più liberi e più veri di quanto i media e un certo cliché del mondo adulto vorrebbero far credere. Proprio ai nostri giovani riminesi vorrei dedicare la riflessione che in questa edizione della festa patronale, vengo a condividere con voi.

Innanzitutto vorrei dire quello che la nostra Chiesa sta facendo e intende fare con i nostri giovani e per i nostri giovani. La nostra ordinaria attività for-mativa risulta varia e molteplice, disegnata com’è su un tappeto di incontri di catechesi e attività di oratorio, di gruppi associativi e di volontariato, di campi-scuola, di strutture educative come le molte scuole paritarie di matrice cattolica con circa 1.500 iscritti, di centri di formazione quali l’ENAIP, convitti universitari, il Centro Universitario Diocesano (il C.U.D.), l’Istituto Superiore di Scienze Reli-giose, il PuntoGiovane di Riccione, senza dimenticare il consistente potenziale educativo rappresentato dal nostro Centro delle Comunicazioni Sociali con il-Ponte, RadioIcaro, IcaroRiminiTV, e altro - molto altro - ancora. Inoltre nei mesi scorsi abbiamo dato vita a un convegno sulla sfida educativa - a cui diversi dei presenti hanno partecipato - per impostare il cammino di questo decennio, secondo le indicazioni dei Vescovi italiani.

Non facciamo fatica a riconoscere quanto un’attività così intensa ed estesa abbia un cospicuo valore sociale aggiunto, in quanto è mirata a formare non solo dei cristiani adulti e maturi, ma anche dei cittadini liberi e forti. Questa attività si può riassumere nell’immagine della Cattedrale, simbolo eloquente del molto che la Chiesa ha da ricevere dai giovani e del molto che ha da offri-re loro. E’ importante che la Cattedrale sia e resti idealmente sempre aperta, perché la soglia di ingresso sia transitabile in senso bidirezionale, per dire ai giovani che sono dentro: “andate in Città” e a quelli che sono fuori: “entrate in Chiesa”. Per i giovani, entrare in Chiesa significa riconoscere che le domande del cuore umano e i problemi della convivenza civile hanno una ineliminabile dimensione spirituale e trascendente. L’uomo e Dio non sono in alternativa o in proporzione inversa, ma stanno insieme: se l’uomo perde Dio, perde se stesso; se ritrova se stesso, ritrova Dio. Nello stesso tempo, per i giovani della Città, entrare in Chiesa significa misurarsi con la statura di Cristo – l’uomo nuovo, il più umano che ci sia - specchiarsi nella sua storia, aprirsi al suo mistero. Signi-fica anche interrogare la Chiesa sul suo messaggio e sulla coerenza della sua testimonianza. Sì, interrogarla criticamente anche sulle sue manchevolezze e su certi comportamenti poco cristiani e poco umani, da parte di chi dovrebbe pre-cedere tutti con l’esempio “perché non venga nascosto l’autentico volto di Dio” (cfr GS 19). D’altra parte, per i giovani “entrare in Città” significa riversarsi nelle strade, come dice il Vangelo, e chiamare ciechi, storpi, sordi, per invitare tutti al banchetto del Regno. Significa, fuor di metafora, vincere la paura che parlare di poveri, di disoccupati, di immigrati senza casa o senza lavoro, di drogati o di depressi, sia fare il verso al linguaggio di moda, prendere la tangente della denuncia demagogica, fare del sociologismo gratuito, tradire Cristo per l’uomo. Entrare nella Città significa piuttosto non chiudersi in sagrestia, ma battersi perché la Città sia più civitas, più civile e abitabile, perché l’uomo sia più uomo, perché i giovani siano più giovani, perché il mondo sia più “mondo”.

Ora permettetemi di riflettere con voi sul rapporto giovani e politica. In

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genere si dice: i giovani sono disaffezionati dalla politica. Domandiamoci: di chi è la colpa? Se “disaffezionati” è un verbo al passivo, chi è il soggetto attivo e responsabile di questa disaffezione?

La prima cosa da fare per restituire ai giovani i loro sogni e il loro futuro è bonificare la palude da questa malaria che ci sta ammorbando tutti. Infatti la crisi che sta mietendo vittime soprattutto tra i giovani, prima che finanziaria e politica, è una crisi morale. E’ vero: ad inquinare l’aria del cielo di Rimini sono anche le nubi tossiche che vengono dall’area nazionale e internazionale - con lo scandaloso degrado etico, quale si evince dall’andazzo di chi dovrebbe rendere credibile la politica e invece la rende sempre più nauseante per la gente onesta e operosa. Ma chi ci impedisce di attivare noi, qui a Rimini, delle iniziative che in senso metaforico potremmo chiamare “anti-smog”? Penso in concreto al supe-ramento della logica dello scambio, della rendita, e dell’appartenenza. In altre parole, deve cessare quel logoro costume che misura il valore delle persone e delle iniziative sulla base di quanto “portano” in termini di consenso elettorale o sul fatto di essere legate a cordate di “amici”.

Inoltre si dovrà ampliare la funzione dei Comuni nella lotta all’evasione fiscale, che quindi dovrà coordinarsi con l’ agenzia delle entrate e la guardia di finanza al fine di individuare i redditi occultati. Come incentivo, nel recente decreto anticrisi, è previsto che la totalità delle somme recuperate a bilancio sia destinato ai Comuni, tenuto conto che tali introiti saranno considerati al di fuori del calcolo del patto di stabilità interno per gli enti locali. Questa strada ci pare debba essere percorsa con equilibrio e determinazione, non esitando, per paura di perdere consenso elettorale, a intervenire su gruppi e lobby che dell’evasione fiscale hanno fatto un’abitudine consolidata.

Si dovrà superare anche la subcultura della rendita per attivare il circuito virtuoso di una impresa non più imitativa ma innovativa: è, questo, uno dei modi per rivolgersi ai giovani della nostra città sollecitandone la creatività, l’im-pegno e l’intelligenza. Essere innovativi vuol dire infatti battere strade nuove, facendo crescere la società. E come non vedere nei giovani i principali attori di quella innovazione di cui sentiamo così fortemente il bisogno?

Tra le questioni che richiedono attenta e costante vigilanza, insieme ad energici provvedimenti preventivi e, laddove necessario, repressivi, è certamen-te l’ormai dimostrata presenza pluriennale nel nostro territorio di organizzazio-ni criminali di stampo mafioso. Le notizie di cronaca giudiziaria recentemente emerse ci dicono di questa inquietante presenza, che attenta al tessuto sano dell’economia locale precludendone un reale sviluppo e, cosa altrettanto grave, minacciando di avvelenare il cuore e la mente della nostra comunità con l’ide-ologia violenta del denaro e del potere fini a se stessi e del disprezzo assoluto per la vita umana. Ritenere che un tale fenomeno non possa realmente attec-chire nel nostro territorio rischia di essere una pericolosa sottovalutazione delle capacità adattative della piovra e del potere di corruzione di cui questa dispone grazie alle ingenti risorse finanziarie di cui è proprietaria, e che risultano estre-mamente appetibili in tempi di crisi economica e morale.

In positivo, il tema “giovani e politica” implica, a mio avviso, due scelte irrinunciabili: fare politica con i giovani e fare politiche per i giovani. E’ urgente

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promuovere una politica con i giovani, senza slogan e al di là delle apparte-nenze partitiche. Papa Benedetto non si stanca di ripetere – l’ha fatto ancora domenica scorsa a Reggio Calabria – che l’Italia ha bisogno di «una nuova generazione di uomini e donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte, ma il bene comune». Fare la politica con i giovani non significa buttare nel mezzo nomi nuovi, quando le idee e soprattutto i giochi e i sistemi di potere restano gli stessi. Non dimentichiamo mai che Rimini è ripartita dopo la guerra con politici come Alberto Marvelli, l’Italia con padri costituenti appena venten-ni. Fare politica con i giovani non significa però cadere in giovanilismi facili e irresponsabili: i giovani sono sempre più svegli di quanto noi adulti pensiamo, e si rendono ben conto se dietro le nostre parole c’è una volontà reale di ascol-tarli, di confrontarsi e mettersi davvero in gioco per le loro giuste esigenze, per le loro proposte e dunque per la loro vita. Coinvolgere i giovani nella politica significa valorizzarli e sostenerli nella vita quotidiana: perché – lo sappiamo - si fa politica dal basso, sul luogo di lavoro, nel modo di vivere la famiglia, le rela-zioni, l’accoglienza del povero e del diverso. In tutti questi ambiti, le idee e le esperienze dei giovani possono aiutarci. Quanti di loro, ad esempio, impegnati regolarmente nel volontariato, smentiscono l’idea di “bamboccioni” che se ne fanno certi adulti.

Ma i giovani oggi, come sempre, hanno bisogno di modelli. Mi mette tri-stezza sentire in bocca a ragazzi che manifestano in questo autunno caldo (non solo in senso meteorologico) - anche se per motivi giusti - slogan vecchi di decenni, ereditati da ideologie – dell’una come dell’altra parte politica – che non esistono più nel mondo reale, sconfitte dai fatti e dalla storia. Ancora, pen-siamo a cosa è successo quando è morto Steve Jobs: le sue parole, le sue idee sono rimbalzate da una parte all’altra del pianeta, grazie anche ai giovani, che le hanno postate su Facebook o su Twitter. Non entro nel merito di questa figura, che ha sicuramente rivoluzionato il mondo della tecnologia negli ultimi 30 anni. Questi fenomeni, però, la dicono lunga su quanto i giovani sentano il bisogno di guide ideali e vicine. Figure che purtroppo mancano nel panorama politico e culturale del nostro Paese. O se ci sono, non hanno spazio.

Il mondo adulto nel suo insieme, quello della politica, dell’economia, dell’e-ducazione e della società civile, deve avere il coraggio di proporre ai giovani mete alte, un ideale di vita buona, che ponga al centro il valore integrale della persona umana e l’impegno disinteressato per il bene comune. Questa propo-sta per essere credibile richiede però di essere, più che predicata, praticata con scelte personali e collettive serie e coerenti.

Vorrei ora passare ad un’altra considerazione. Snocciolare numeri è una pratica arida e può risultare sterile se non consideriamo i volti e le storie che ci sono dietro e danno “carne” a questi numeri. Però, è un fatto che negli ultimi tre anni è aumentato in modo esponenziale il numero di giovani riminesi emi-grati all’estero in cerca di fortuna. Molti di loro hanno una laurea. Perché vanno via? Sicuramente perché qui non trovano il lavoro. Ma anche perché le loro idee non trovano spazio in questo territorio. Gli ultimi dati Istat parlano di un 10% di disoccupati tra i 25 e i 34 anni in provincia a fine 2010, percentuale che si è quasi raddoppiata in 6 anni. Una tendenza simile riguarda la fascia d’età più

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bassa (15-24 anni), anche se in quel caso la percentuale di disoccupati è più del doppio. D’altra parte, quest’anno la nostra università accoglierà il 20% di matri-cole in più rispetto all’anno passato. Questo significa che nonostante la crisi, i giovani continuano a sperare e a sognare il futuro. Alla nostra comunità spetta accogliere quelli che vengono da fuori. A questo proposito, è da accogliere con estremo favore il recente accordo tra università, comune e agenzia delle entrate contro gli affitti in nero agli studenti. Ed è nostro compito sforzarci perché sia il nostro territorio a offrire opportunità di lavoro per i nostri giovani. La prima fonte di ricchezza economica per Rimini è il turismo? Allora, attiviamoci perché in quel campo si aprano maggiori e nuove opportunità. Nel film “The social network” (sulla storia del fondatore di Facebook), il rettore di Harvard dice che «i migliori studenti di Harvard non sono quelli che quando escono di qui trovano lavoro, ma quelli che quando escono si inventano un lavoro». E allora, diamo vita a una concreta sinergia tra scuola e mondo del lavoro, tra università, amministrazioni e imprese, perché ci sia davvero spazio a Rimini per questa cre-atività. Ne consegue una partecipazione che, ben al di là della condivisione dei frutti del lavoro, dovrebbe comportare un’autentica dimensione comunitaria a livello di progetti, di iniziative e di responsabilità. I giovani devono pensare, ide-are, osare. Gli adulti devono dare loro spazio e risorse per realizzarli. Apriamo a Rimini un laboratorio di idee, di progetti, di realizzazioni virtuose. Diamo credi-to, anche finanziario, alle loro proposte. «La bassa crescita dell’Italia negli ultimi anni è anche riflesso delle sempre più scarse opportunità offerte alle giovani generazioni di contribuire allo sviluppo economico e sociale con la loro capa-cità innovativa, la loro conoscenza, il loro entusiasmo», ha detto pochi giorni fa l’ormai ex-governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi.

Non posso tralasciare qui un cenno alla questione università di Rimini. In-scritto nell’alveo fondamentale della conoscenza e della cultura, senza delle quali un popolo, una comunità civile, non hanno possibilità di crescita, il tema del Polo Scientifico Didattico di Rimini e delle sue prospettive di sviluppo rap-presenta un punto di attenzione cruciale per la nostra città. La Diocesi stessa, cogliendone tutto il rilievo, ha negli anni stabilito, attraverso le proprie articola-zioni, un positivo rapporto con la sede universitaria. Il radicamento sul territorio, il potenziamento della ricerca, l’auspicata presenza di qualificati dipartimenti, la proficua integrazione con il tessuto culturale locale, le esigenze di studenti e docenti costituiscono alcuni dei più importanti punti di lavoro su cui Rimini è chiamata a rispondere in maniera corale. Non si tratta di difendere un vessillo, ma di affermare – rendendone possibile la continuità e l’incremento - la pre-senza attiva e reale di uno strumento che definirei essenziale per la formazione dei giovani. Tutti sappiamo quanto complessi siano i problemi da affrontare e i percorsi da compiere; sono sicuro che un impegno convinto e comune potrà consentire di individuare soluzioni adeguate per una evoluzione positiva dell’in-sediamento universitario riminese.

Un’altra delicata e complessa questione che merita almeno un passaggio da parte mia, è la questione Carim. Nell’attuale situazione economica riminese non si può tacere il rilievo del rapporto tra mondo produttivo e mondo del cre-dito. In tale contesto, la fase di temporanea difficoltà attraversata dal maggiore

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istituto bancario locale contribuisce ad acuire le preoccupazioni per le prospet-tive di sviluppo economico e finanziario della comunità e del territorio riminese. Come non auspicare, allora, che la Città e la Provincia – nelle loro componenti economiche, culturali, sociali ed istituzionali - sappiano mettere in comune tut-te le loro migliori energie, in ausilio della Fondazione Cassa di Risparmio, per difendere e accompagnare fuori dalle criticità contingenti gli strumenti che, sto-ricamente, si sono rivelati più utili per aiutare la crescita di famiglie, operatori, imprese del territorio riminese? È un metodo di mutualità che appartiene alla migliore tradizione di questa terra e che dobbiamo sempre più riscoprire ed alimentare per attraversare e superare le difficoltà di questa stagione.

Chi vi parla si rende conto di quanto pesino sulla possibilità di iniziativa e di promozione degli Enti locali i tagli nei fondi governativi, previsti dalla manovra finanziaria. Eppure siamo consapevoli che la difficoltà nel reperire risorse non può essere invocata come giustificazione per l’inazione e la mancata assunzio-ne delle proprie responsabilità, né può giustificare il venire meno del dovere di un’amministrazione attenta al bene comune e capace di scelte coraggiose ed oneste. Proprio le situazioni di difficoltà possono, anzi, debbono diventare, l’occasione per superare sprechi ed inefficienze, puntare all’essenziale investen-do su ciò che davvero conta, intraprendere con determinazione quella nuova e promettente via dell’amministrazione condivisa che vede nella sussidiarietà circolare (cioè la triangolazione tra enti pubblici, business community e organiz-zazioni della società civile sia per la co-progettazione sia per la co-produzione dei servizi di qualità sociale) una promettente e nuova pista di lavoro culturale e politico. Questo è importante non solo perché in periodi di crisi la flessibilità della società civile e la sua capacità di mobilitare risorse aggiuntive permettono di dare una risposta a bisogni che altrimenti rimarrebbero inevasi, ma soprat-tutto perché vediamo che solo una mobilitazione corale ed una comunitaria assunzione di responsabilità ci consentirà di superare le difficoltà e guardare al futuro con fiducia.

In tal senso, il recente Piano Strategico del Comune di Rimini rappresenta un esempio riuscito di forum deliberativo, al quale hanno attivamente parteci-pato e contribuito numerosi rappresentanti della società civile, delle aggrega-zioni laicali cattoliche e delle diverse associazioni di volontariato, nel tentativo di garantire con coerenza l’elaborazione di orientamenti e proposte, offrire un contributo specifico alla costruzione del bene comune, favorendo una cultu-ra della riconciliazione e della solidarietà. Tale lavoro va continuato e salutia-mo con favore il nuovo impulso dato al Piano in questi mesi, augurandoci che quanto prima si passi alla “fase 2”, quella delle decisioni concrete e attuative.

Noi adulti, spesso con nostalgia, disincanto, delusione e forse anche rasse-gnazione, diciamo che i giovani sono il futuro, Chiediamo loro di sognare anche per noi. Buttarsi, osare, puntare verso l’orizzonte per superarlo dovrebbe essere nel loro Dna. La realtà, però, sempre più spesso taglia le gambe a questi sogni. Perché “col diploma non vai da nessuna parte”, si dice. “Perché dopo 13 anni di scuola, 5 di università, specializzazioni e abilitazioni, al massimo troverai chi è disponibile a farti fare uno stage gratuito, senza possibilità di assunzione”. Le

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gambe a questi sogni dobbiamo allora mettercele anche noi. Dare fiducia: inco-raggiare, consigliare. Perché i giovani hanno bisogno di guide: a livello umano e professionale oltre che spirituale. Oggi c’è bisogno di coraggio, anche se molte scelte sono dominate dalla paura: paura di sbagliare, paura delle conseguenze, paura più in generale di un futuro incerto e poco roseo. Un cantautore molto amato dai giovani, Jovanotti, nell’ultimo singolo scrive: “Ho due chiavi per la stessa porta. Per aprire al coraggio e alla paura”.

Che nella nostra Città si chiuda la porta alla paura e si apra alla speranza e al coraggio!

Rimini, 14 ottobre 2011

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Interventi

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In località San Leo di Auditore (PU), nel territorio della parrocchia di Casi-nina (al confine con Mercatale di Sassocorvaro, della Diocesi di San Marino-Montefeltro), la signora Dionisia Salucci e la sua famiglia, titolari di un labora-torio di pasta fresca, accanto a questo hanno costruito una celletta in onore di S. Rita.

Successivamente vi sono state collocate altre immagini sacre (la Madonna, il Sacro Cuore, il Cristo morto...). E’ stata collocata anche una grande croce e costruita una “piscina” (con acqua che dalle ultime analisi di laboratorio è stata dichiarata potabile, mentre all’inizio non lo era).

Tutto questo si dice dovuto a presunte apparizioni e rivelazioni alla signora Salucci, raccontate in diversi opuscoli da lei scritti e fatti pubblicare.

Viene pure detto che questi opuscoli sono stati esaminati dal Vescovo Luigi Negri, senza nessuna osservazione o riserva dottrinale. Ma il Vicario Ge-nerale, Mons. Elio Cicioni ha precisato che il Vescovo non ha mai dato alcuna approvazione.

In questi anni, e soprattutto in questo ultimo periodo, si è sviluppato un notevole afflusso di fedeli, non solo per pregare ma anche, comprensibilmen-te, per il racconto e l’attesa di possibili guarigioni. E’ stata celebrata diverse volte l’Eucaristia, il 22 di ogni mese, in onore di S. Rita (poiché il 22 maggio S. Rita viene festeggiata nella chiesa parrocchiale, in questa località da alcuni anni viene festeggiata il secondo sabato di giugno).

Mercoledì scorso, 19 ottobre, il Vescovo, dopo aver esaminato gli opusco-li, dopo aver sentito il parroco e diverse altre testimonianze, ha incontrato la signora Salucci.

Il Vescovo ha sottolineato che il suo compito, in questo momento e sem-pre, è di garantire l’autenticità di un cammino di fede; non deve né approvare né reprimere, ma vigilare, per evitare forme ambigue di religiosità e che si creino illusorie attese di fatti straordinari e di guarigioni.

A conclusione del colloquio lungo e disteso, il Vescovo ha fissato alcuni punti precisi:

1. La Messa può essere celebrata una volta all’anno, in occasione della

Comunicato circa l'Oasi S. Rita, di Casinina

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festa di S. Rita e dal parroco. Nessun altro sacerdote è autorizzato a celebrare.

2. La gente può fermarsi a pregare, come davanti ad ogni immagine sacra nelle edicole: ma non può essere organizzato nessun momento pub-blico.

3. Nella celletta rimarrà unicamente l’immagine di S. Rita, a cui è dedicata: vanno quindi tolte le numerose altre immagini che vi si trovano.

4. Sarà interrotto l’accesso alla piscina. L’acqua sarà usata esclusivamente dalla famiglia Salucci.

La signora Salucci ha accolto con disponibilità le indicazioni del Vescovo e l’invito a continuare un cammino di fede, negli elementi fondamentali che la Chiesa ci indica (Parola, Sacramenti, Magistero...). La signora, assieme al mari-to, frequenta il Cammino neocatecumenale presso la Parrocchia del Porto, di Pesaro.

Il parroco, e anche gli altri sacerdoti, hanno il compito di curare e verificare, che ci si attenga con correttezza a queste indicazioni.

Rimini 21 ottobre 2011

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Interventi

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Onorata e lieta di ospitare il vostro Convegno, la nostra Diocesi, nel nuovo anno pastorale appena avviato con la festa del patrono San Gaudenzo, in linea con le indicazioni della CEI per il decennio in corso, ha lanciato l’Anno del Batte-simo con questo slogan: “Immersi nel Suo amore”, con il sottotitolo in forma di domanda: “C’è una vita più umana di quella cristiana?”. Questo interrogativo è ispirato al passo della Gaudium et Spes: “Chi segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo” (n. 41). Nella Lettera a Diogneto si afferma testualmente: “I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per vestito”. Ma si riconoscono. Da che cosa dunque si riconoscono?

I cristiani si riconoscono da come vivono il quotidiano, da come vivono gli affetti, la fragilità, la festa, la partecipazione alla vita della città. Si riconoscono anche da come vivono il lavoro. I discepoli di Cristo lavorano come tutti, ma lavorano per vivere, non vivono per lavorare. Sono liberi dall’ansia di produrre e dall’avidità di possedere. Non sacrificano al lavoro i beni primari, come l’ar-monia nella coppia, l’attenzione ai figli, l’assistenza ai genitori anziani. Se sono imprenditori, tengono sempre presente che l’uomo viene prima del lavoro e il lavoro prima del capitale. Oltre al giusto trattamento economico, assicurano ai lavoratori una dignitosa qualità della vita e li trattano come corresponsabili dell’impresa. Se sono lavoratori, non cadono nella piaga dell’assenteismo e, in caso di lotta sindacale, non si schierano contro qualcuno, ma sempre e solo per la giustizia.

L’ideale cristiano è l’economia di comunione: la circolazione dei beni mate-riali contribuisce alla edificazione della comunità: “E’ con i nostri patrimoni che diventiamo fratelli” (Tertulliano, Apologetico, 39,10). La caritas in veritate dei e tra i cristiani non punta solo sulla solidarietà, ma anche sulla fraternità. E va ol-tre la giustizia. La giustizia guarda ai diritti degli altri, la carità alle loro necessità. All’abbraccio di Don Oreste Benzi il barbone non ha diritto, ma ne ha bisogno. E il “Don” gli apre il cuore, le braccia, la casa...

Nel loro recente convegno dei primi del settembre scorso, tenuto a Castel-

gandolfo, le Acli hanno parlato di lavoro “scomposto”. A “scomporre” il lavoro è la precarizzazione dei percorsi lavorativi, la moltiplicazione delle condizioni giuridico contrattuali, l’immaterialità dei prodotti e dei capitali, l’individualizza-

"Educare al lavoro dignitoso"Saluto del Vescovo ai partecipanti al Convegno nazionale dei Direttori diocesani della Pastorale del lavoro

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zione dell’esperienza. Ma è soprattutto il fatto che il lavoro fatica sempre più a ritrovare il suo significato cristiano, che è profondamente umano. A confermare quanto il lavoro sia davvero “scomposto” sono arrivati i dati forniti dall’Ires, l’istituto di ricerca delle Acli. Fissata come retribuzione media giornaliera di un lavoratore dipendente la quota di € 82, si scopre che un dirigente guadagna 340 euro in più al giorno, un quadro ne percepisce 111, un impiegato 6. Un operaio, invece, in tasca un salario giornaliero di 16 euro inferiore alla media, un apprendista ben 31 euro sotto la media. I manager percepiscono all’anno 128.000 euro in più degli operai. Poi c’è il lavoro sommerso. Sono irregolari 12 posti di lavoro su 100 (18% al Sud, 27% in Calabria). E le grandi imprese? Mentre in Germania sono lo 0,5% e in Gran Bretagna lo 0,4%, in Italia sono un esile 0,1%. Quasi un lavoratore su quattro (23%) è occupato non a orario pieno o a tempo indeterminato. Due milioni e 700.000 persone (il 12%) lavorano a tempo parziale, l’11% è atipico. Il lavoro a tempo parziale interessa di più le donne (1 milione e 800.000). Il 48% dei lavoratori atipici ha fra i 30 e i 49 anni. In Italia i disoccupati di lunga durata (almeno 24 mesi) superano il 45% del totale dei disoccupati.

Passare dal lavoro scomposto e indecente ad educare al lavoro decente e dignitoso si deve. Vi auguro che questi giorni di convegno ci aiutiate tutti anche a capire perché e come si può.

Rimini, 25 ottobre 2011

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Lettere e Messaggi

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Ai Sacerdoti, ai Diaconi, alle Persone consacrate, ai Fedeli laici della Diocesi

Cari Fratelli e Amici,mancano ormai pochi giorni alla solennità di San Gaudenzo, patrono della

nostra Diocesi. Con questa celebrazione daremo solennemente inizio al nuovo Anno Pastorale che la grazia del Signore ci concede per avanzare sulla strada della conversione personale e comunitaria, e per mostrare che, “immersi nel suo amore” col Battesimo, possiamo vivere un’esistenza pienamente umana. Desi-dero rinnovare a voi personalmente e alle vostre comunità un caloroso invito a partecipare ad un appuntamento così importante per la nostra Chiesa. Ricordo i momenti:

Domenica 9 ottobre, alle ore 21, in Cattedrale, concerto di musica sacra: Missa Pacis (Amintore Galli).

Giovedì 13 ottobre, alle ore 21, in sala Manzoni: Assemblea dei consigli pastorali parrocchiali per la presentazione del nuovo anno, con il tema che ne offre l’ispirazione centrale e i momenti principali che ne scandiranno il per-corso. Sarà anche l’occasione per presentare in modo sintetico ai laici il lavoro di riflessione in corso nella nostra Diocesi sull’Iniziazione Cristiana, che si apre anche ad alcune sperimentazioni. In questa occasione, come lo scorso anno, verrà distribuito il libretto di presentazione degli Uffici Pastorali e il calendario dei prossimi mesi. La partecipazione sia al completo di ogni Consiglio o almeno di larghe delegazioni.

Venerdì 14 ottobre, alle ore 17.30, in Cattedrale: Concelebrazione Euca-ristica nella solennità del santo patrono. In questa liturgia verrà richiamato il Battesimo nel quale siamo nati a vita nuova. Anche quest’anno sarà consegnata ai partecipanti una pagella con la preghiera composta appositamente, che verrà recitata coralmente dai presenti.

Prima della Concelebrazione, dalle 15.30 alle 17, c’è la possibilità di vistare la nuova sede della Libreria Diocesana La Pagina, in via Mentana 24, e di ritirare

Lettera del Vescovo ai sacerdoti per la festa di san Gaudenzo

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Lettere e Messaggi

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il primo volume della Storia della Chiesa Riminese, offerto in omaggio a tutti i sacerdoti

La solennità di San Gaudenzo è l’occasione attraverso cui la nostra Chiesa si ritrova e si manifesta nella sua unità: che il senso della Diocesi fiorisca nel cuore di tutti i pastori e i fedeli della comunità cristiana riminese!

Vi aspetto con il forte desiderio di rivedervi, e vi benedico di cuore

Rimini, 3 ottobre 2011

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Atti del Vescovo

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Il primo dono che come presbiterio diocesano siamo chiamati ad offrire ai nostri fratelli e sorelle battezzati, e in particolare ai fedeli che ci sono affidati, è la testimonianza della nostra comunione fraterna.

Lo sappiamo: la comunione non è un idillio sdolcinato né un vago senti-mento: è fare spazio ai fratelli, portando “i pesi gli uni degli altri”, respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, diffidenza, gelosie. Ancora una volta ci mettiamo in ascolto della Novo Mil-lennio Ineunte: “Prima di promuovere iniziative concrete occorre programmare una spiritualità della comunione, facendola emergere in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali”, quindi anche nel presbiterio (n. 43).

Prima di tutto fratelli: fu la conclusione delle due settimane di Loreto 2008. Ma fu molto di più di un enunciato programmatico. Si è trattato di una strada che il Signore ci ha riaperto e che abbiamo sperimentato anche negli anni successivi come una esperienza buona, praticabile, concreta. Molti l’hanno definita una grazia. E come tale la vogliamo rivivere anche quest’anno.

Vengo pertanto a proporla a tutti e a ciascuno dei confratelli.

Vi aspetto e vi benedico di cuore

1 novembre 2011

Invito alla settimana di fraternità presbiterale

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Decreti e Nomine

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Visita Pastorale

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Carissimo Don Roberto,Cari Membri del Consiglio Pastorale,Cari Fedeli,nello scrivervi a distanza di circa due mesi dalla visita pastorale - che si è

svolta nella vostra parrocchia dal 18 al 23 ottobre 2011 - rivivono dentro di me le emozioni già provate le prime volte che sono venuto presso di voi, in varie occasioni.

La sera dell'apertura della visita, mentre percorrevo in macchina le strade del quartiere per avvicinarmi alla vostra chiesa di Santa Maria Vergine, perce-pivo di nuovo quella sensazione di spersonalizzante anonimato che sempre si avverte quando ci si trova in una zona di periferia, cresciuta in fretta, in così breve tempo. In effetti, in questi sessanta anni circa, la zona ha registrato un massiccio processo di urbanizzazione che ne ha completamente riconfigurato la pianta e ridisegnato il volto. Mi avete raccontato che soltanto quindici anni fa, percorrendo la statale da Rimini per Ravenna, all'altezza di Viserba si potevano scorgere campi coltivati a ortaggi e una lunga catena di alberghi a ridosso della spiaggia. Solo una piccola chiesetta sovrastata da un cavalcavia indicava il luogo di culto per i contadini sparsi sul territorio. Nel giro degli ultimi quindici anni, la zona ha registrato una trasformazione radicale con la rapida costruzione di nuovi insediamenti, con enormi palazzi e una sproporzionata densità abitativa. Il boom edilizio ha fatto quadruplicare il numero dei residenti, con tutti i pro-blemi che questi fenomeni comportano. Nuove famiglie, famiglie giovani, di cui diverse ancora incomplete, nuclei di persone che ancora rimangono legate in gran parte alla loro realtà di origine: è da prevedere che la somma di questi fattori richiederà ancora molto tempo prima che il processo di socializzazione possa dirsi sufficientemente consolidato. Ed è fin troppo facile prevedere che sotto il profilo pastorale bisognerà lavorare molto per costruire un forte senso di appartenenza e una nuova identità religiosa.

Una volta arrivati nella piazzetta davanti alla vostra chiesa, si ha un grade-vole colpo d'occhio con la veduta del parco giochi per i bambini, e questo mi richiama alla mente non solo la presenza delle molte famiglie giovani che abita-no nel quartiere, ma anche la spiccata attenzione della parrocchia ai più piccoli, cosa che non può non rallegrare chi per la prima volta si avvicina alla chiesa. Nel parco giochi mi pare di poter ravvisare una sorta di biglietto da visita della comunità cristiana che sembra volere così rilanciare a tutti le parole di Gesù: "Lasciate che i bambini vengano a me". Un'analoga impressione di invitante ac-

Visita pastorale a Viserba Monte

Prot. VFL2011/69Rimini, 26 dicembre 2011

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Visita Pastorale

Bollettino Diocesano 2011 - n.4

coglienza ai ragazzi e ai giovani si riceve anche dai campi da gioco e dagli spazi verdi che si trovano di fianco alla chiesa parrocchiale.

Questa gradita impressione di familiarità e di cordiale apertura viene con-fermata entrando nella vostra bella chiesa luminosa e accogliente. Quella sera, prima di cominciare la veglia di apertura della visita pastorale, l'occhio mi è ca-duto su un grande cartellone dove vengono riportate di volta in volta le foto con il fiocco rosa o azzurro dei bambini battezzati lungo l'anno: un segno di delicata attenzione ai nuovi membri della comunità, che mi piacerebbe fosse presente in ogni chiesa che dispone del fonte battesimale.

Ma ora, per sviluppare alcuni pensieri sulla situazione e sulle prospettive pastorali della vostra comunità, vorrei prendere come traccia un passaggio con-tenuto nella relazione sintetica, che ritengo pienamente condivisibile: "tanto è stato fatto, ma molto resta ancora da fare".

Nell'elenco delle tante cose già fatte o almeno bene avviate, ritengo che vadano evidenziate le seguenti. Innanzitutto ho riscontrato uno sforzo convinto per creare un tessuto umano abbastanza integrato. Si sa: non è facile armo-nizzare esigenze e sensibilità dei primi nuclei abitativi con quelle dei nuovi arrivati; non è neppure semplice assicurare una impostazione unitaria e inte-grata dell'anno pastorale con la doppia stagione, estiva e invernale; resta poi difficile anche da voi, come dappertutto in questi tempi, il dialogo tra le diverse generazioni. Sono problemi, questi, comuni anche a tante altre parrocchie che condividono con voi ansie pastorali, impegni e sforzi tesi a rendere vivibile e accogliente l'habitat umano dei propri fedeli.

In questo senso un sottile, ma tenace filo di collegamento è rappresentato dal giornalino con i suoi cinque numeri all'anno e con più di ottanta messaggeri che ne curano la distribuzione più capillare possibile, casa per casa. Al riguardo mi viene da pensare che in una parrocchia, tutto - anche i gesti più minuti, an-che le iniziative apparentemente più modeste, proprio tutto - purché pensato con intelligente creatività e curato con una briciola d'amore, può risultare utile allo scopo di infittire la trama connettiva del tessuto parrocchiale.

Inoltre sono rimasto colpito dalla cura puntuale e dall'impegno intenso che la comunità parrocchiale investe nella catechesi sacramentale dei bambini e dei ragazzi. Si parte dalla seconda elementare e si arriva fino alla terza media. Ogni gruppo di catechismo, oltre che della presenza delle catechiste, si avvale anche dell'aiuto di ragazzi del dopo cresima; il cammino ha una sua dinamica celebrativa, che può essere ritmata sia da un sacramento come la prima con-fessione, sia dalla consegna del Rosario in seconda elementare o la consegna del credo in quinta o la presentazione dei candidati alla cresima in seconda media. Grande visibilità viene data alla presenza dei ragazzi nella celebrazione eucaristica domenicale, al punto che, se qualcuno è assente, il suo posto rima-ne volutamente vuoto per far comprendere l'importanza della presenza di tutti alla santa Messa.

Da sottolineare anche lo sforzo di arrivare alle famiglie, sia con gli incontri in vista della celebrazione del battesimo, sia con il coinvolgimento dei genitori dei bambini e dei ragazzi di catechismo, sia con la preparazione dei fidanzati al matrimonio, un ambito nel quale insieme al parroco, si dedica in modo parti-

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Bollettino Diocesano 2011 - n.4

colare il diacono Doriano, che con la sposa segue anche un gruppo di famiglie e un altro di giovani coppie.

Se ora sorvolo sugli ambiti della liturgia e della carità, non è solo perché mi sono apparsi impostati e ben curati, ma anche perché vorrei dare almeno un po' di spazio all'urgenza della nuova evangelizzazione, la frontiera che dovrà vedere ancora più convinte e impegnate le nostre comunità parrocchiali nei prossimi anni. Mi avete raccontato di vari tentativi già sperimentati e purtroppo falliti in passato, come i centri del vangelo nelle diverse zone, o come i gruppi di dopo cresima per i ragazzi. È la fatica di coinvolgere le fasce anagrafiche che più hanno bisogno di essere stimolate e aiutate in percorsi di riscoperta della fede. Ritengo che il punto di partenza possa essere proprio quel nucleo di cri-stiani che sono gli operatori pastorali, i collaboratori più stretti e motivati, adulti disponibili a seguire itinerari di rievangelizzazione per aiutarli a diventare a loro volta evangelizzatori nei vari ambienti di vita. Su questo fronte una mobilita-zione di tutta la parrocchia con opportune iniziative - come ritiri spirituali, mis-sione popolare, pellegrinaggi ecc. - , con un articolata riflessione del Consiglio Pastorale, con un percorso formativo per "formare i formatori", forse potrebbe rappresentare una serie di risorse da valorizzare.

Come sappiamo, l'urgenza della nuova evangelizzazione è un nodo pasto-rale con il quale tutte le parrocchie hanno la necessità di misurarsi. Ritengo quindi importante che almeno i Parroci viciniori, possibilmente con i loro Con-sigli Pastorali, si confrontino e cerchino assieme possibili interventi e opportuni percorsi.

Carissimi, ora vi saluto con le parole di s. Paolo: "In conclusione, fratelli, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è ama-bile, quello che è onorato, ciò che è virtù e merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri" (Fil 4,8).

Vi benedico di cuore, vi assicuro la mia preghiera e mi affido alla vostra

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don ROBERTO COSTANTINIe alla Comunità Parrocchiale di s.Maria VergineVISERBA MONTE

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Visita Pastorale

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Carissimi Don Tonino e Don Davide,Carissimo diacono Alberto,Carissimi Membri del Consiglio Pastorale, Carissimi Operatori Pastorali e Fedeli tuttidella Parrocchia del Sacro Cuore, in Bellaria Mare,

nel riandare con cuore memore e grato alla visita pastorale, che si è svolta nella vostra parrocchia dal 24 al 29 ottobre 2011, il primo sentimento che mi vibra forte nell’intimo è quello della lode al Signore e del rendimento di grazie. Permettetemi di dirvelo con le parole di s. Paolo: “Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo” (Fil 1,3s). Benedico il Signore perché ci siete, per quello che fate, e soprattutto per quello che siete.

Mi è rimasto stampato nel cuore il ricordo della veglia di apertura della visita, la sera del 24 ottobre. Eravate riuniti fuori della chiesa, abbiamo acceso le candele dal cero pasquale, e siamo entrati cantando. Arrivati in chiesa mi ha colpito il segno del pozzo d’acqua nel presbiterio, con lo slogan dell’anno pa-storale, ispirato al battesimo: “Immersi nel Suo amore. C’è una vita più umana di quella cristiana?”. Quel primo fotogramma della visita mi ha detto che siete e volete essere una comunità pasquale: battezzata nel sangue del Crocifisso, riunita nell’eucaristia attorno al Risorto, per poi disperdersi nella città e portare a tutti la luce del suo Vangelo. Da quella prima sera ho cominciato a sentirmi sgorgare dal cuore una lunga litania di grazie, che ora mi piace riprendere e condividere con voi.

Rendo grazie al Signore anzitutto per la vita di fraternità tra voi preti, che ho avuto modo di assaporare nei giorni della visita pastorale. Fin da quando è venuto don Davide come nuovo cappellano in canonica, ho visto instaurarsi tra voi sacerdoti un rapporto amicale e fraterno, in cui le differenze di età, sensibilità ed esperienza convergono nel creare una relazione improntata a vera comunione umana e presbiterale. Nel frattempo, da qualche mese, Don Claudio che già condivideva con voi i pasti, è venuto ad abitare in canonica, e così tra voi tre si va registrando quel circolo virtuoso - “dalla condivisione della spiritualità alla spiritualità della condivisione” - alimentato da momenti di spiritualità e di dialogo fraterno. Ogni giorno condividete un’ora di preghiera e il pranzo in comune; una volta a settimana, il mercoledì, vi incontrate per riflettere, verificare e progettare insieme; una volta al mese, vi ritrovate per una

Visita pastorale alla parrocchia del Sacro Cuore a Bellaria

Prot. VFL2011/70 Rimini, 28 dicembre 2011

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giornata di ritiro spirituale. Ritengo che questa vostra fraternità sia il vero mo-tore della vita della comunità parrocchiale; e la presenza di Don Claudio mi fa sperare con fiducia che anche le altre due parrocchie a lui affidate entreranno presto nel cerchio più ampio della zona pastorale.

Rendo grazie al Signore per il riflesso che di tale comunione presbiterale ho avuto la gioia di intercettare nella vita della comunità parrocchiale, a vari strati e in diversi ambiti, come nell’incontro degli operatori pastorali, in cui mi hanno molto colpito due aspetti particolari: da una parte l’ampiezza dell’oriz-zonte, che va dalla catechesi battesimale all’animazione liturgica alle frontiere avanzate, e spesso sguarnite, delle nuove povertà; e dall’altra parte l’unitarietà dell’impostazione progettuale, che viene raccordata attorno ai tre ambiti clas-sici della Parola, della Liturgia e della Carità.

Rendo ancora grazie al Signore per il clima spirituale che si è formato e va sensibilmente crescendo nella vostra parrocchia. Diverse persone si sono messe in cammino per riscoprire la bellezza della fede e per mettersi a dispo-sizione dei fratelli che condividono un’analoga esigenza. Anche il termometro della sensibilità missionaria ha registrato una decisa impennata - come si può vedere dallo sviluppo dei 26 Gruppi biblici, con la presenza di circa 240 per-sone che si incontrano nelle case - e questo fa ben sperare per una risposta matura e generosa al mandato della nuova evangelizzazione, che rappresenta la nuova frontiera per le nostre comunità cristiane.

Rendo grazie al Signore anche per la presenza delle équipes di animazione dei quartieri e per la rete dei messaggeri che passano mensilmente di casa in casa per consegnare la “lettera” della parrocchia: si tratta di uno strumento semplice e umile di annuncio del messaggio cristiano che permette alla co-munità di far fronte al rischio dell’anonimato e aiuta a tessere rapporti stretti e diretti con gli abitanti del territorio.

Carissimi, la litania della gratitudine dovrebbe continuare oltre, ma mi fer-mo qui, senza non avervi prima detto che se mi sono dilungato, è perché il servizio di confermare i fratelli nella fede che compete al Vescovo, mi chiede di dirvi con serena, fiduciosa franchezza evangelica: “Coraggio! la strada per la conversione missionaria della vostra parrocchia è felicemente intrapresa. Andate avanti nel nome del Signore!”.

Passo ora a richiamare alcune prospettive che attendono da voi un ulte-riore impegno per essere una comunità all’altezza dell’ideale cristiano e delle urgenze dei tempi correnti.

La prima è la spiritualità di comunione. La parrocchia non è una pura circo-scrizione amministrativa, ma è casa e scuola di comunione in un territorio, in cui si vigila costantemente per evitare il pericolo numero uno che attenta alla buona salute della comunità: l’individualismo, con tutta la ostile corte di altri pericolosi “ismi” da esso generati: protagonismo, elitarismo, corporativismo, antagonismo. Una parrocchia che non vive una costante “tensione unitiva”, prima o poi diventa un arcipelago di isolotti, separati e concorrenti, e si ri-troverà minacciata da due possibili derive: da una parte la spinta a fare della parrocchia una comunità autoreferenziale, in cui ci si accontenta di ritrovarsi insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti; dall’altra la percezione

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Visita Pastorale

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della parrocchia come centro di servizi per l’amministrazione dei sacramenti, dando per scontata la fede in quanti la richiedono.

La seconda è la scelta convinta ed effettiva della pastorale integrata. Se è vero che è ormai finito il tempo della parrocchia autosufficiente, un profondo ripensamento dell’attuale organizzazione parrocchiale richiede di evitare una logica puramente aggregativa - che si limita ad accorpare parrocchie vicine - e di favorire invece una logica integrativa, che cerca di mettere le parrocchie in rete. Anche questo obiettivo vi vede già in cammino, insieme alle altre due parrocchie di s. Mauro Mare e di Bellaria Monte, per arrivare ad una viva e dina-mica zona pastorale, come risulta da alcuni settori, quali la pastorale familiare, la pastorale giovanile e quella sociale. Un segno eloquente che tale cammino è già positivamente avviato, lo abbiamo avuto con l’assemblea congiunta dei Consigli Pastorali delle tre rispettive parrocchie, durante la visita, e in quella sede, oltre a verificare insieme le condizioni di possibilità per un cammino progressivamente unitario delle tre comunità parrocchiali, abbiamo anche sta-bilito alcuni criteri per il nuovo orario delle sante Messe festive.

Infine l’urgenza della nuova evangelizzazione. Oggi noi cristiani viviamo in mezzo a pervasivi processi di scristianizzazione, che generano indifferenza e agnosticismo, mentre i consueti percorsi di trasmissione della fede risultano in non pochi casi impraticabili. Occorre ripartire dal primo annuncio del Vangelo di Gesù Cristo. Non si tratta di fare piazza pulita dell’esistente, anzi semmai di valorizzarlo e di orientarlo verso questa direzione, innervando di primo annun-cio ogni azione pastorale. Penso per esempio all’azione che ancora aggrega il maggior numero di fedeli: la Messa domenicale. Non si tratta minimamente di eliminarla o di ridurla a semplice cornice di una catechesi approfondita o di una lectio divina, ma di prepararla e di celebrarla in modo tale che l’eucaristia possa generare una comunità cristiana che sia effettivamente adulta, consape-vole, riconoscibile, e perciò evangelizzante. Su questo fronte mi aspetto molto da voi, mentre vi assicuro la mia vicinanza e il sostegno del centro diocesano.

Carissimi, prima di salutarvi, permettetemi di ricordarvi alcuni impegni che vi ho richiamato a conclusione della visita pastorale. Ispirandomi al vangelo di quella Domenica - secondo Matteo 23,1-11, in cui Gesù rimprovera aspra-mente scribi e farisei di incoerenza e ipocrisia - vi ho invitato a rinnovare la vostra professione di fede, incoraggiandovi a dire alcuni no e alcuni sì. No al cristianesimo delle parole, sì a quello dei fatti; quindi no all’incoerenza, sì alla testimonianza. No al cristianesimo dell’abitudine, sì a quello della scelta. No al cristianesimo dello scenario, sì a quello dell’autenticità. Che questo vangelo vi sproni a testimoniare che non c’è obiettivamente vita più umana di quella cristiana!

Al termine di quella Messa ci sentivamo tutti ardere il cuore, e tu, Don Toni-no, visibilmente commosso, a nome di Don Davide e dell’intera comunità, hai rivolto al Vescovo parole schiette di gratitudine, che ora mi dovete permettere di ricambiare con altrettanta intensità e sincera commozione.

Vi auguro di essere sempre più una comunità parrocchiale, quale mi avete detto che volete essere: “attenta all’insieme della proposta cristiana, impe-gnata sul fronte della nuova evangelizzazione, capace di valorizzare la colla-

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borazione corresponsabile dei laici, contrassegnata da uno stile evangelico di servizio e di accoglienza”. Ve lo auguro di cuore e per questo vi assicuro la mia preghiera, mentre vi saluto con una benedizione particolarmente affettuosa

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don ANTONIO BRIGLIADORIe alla Comunità Parrocchiale del Sacro Cuore di Gesù BELLARIA

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Visita Pastorale

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Carissimo Don Claudio,Carissimo diacono Doriano,Carissimi Fratelli e Sorelle del Consiglio Pastorale,Carissimi Fedeli tuttidella Parrocchia di Santa Margherita, in Bellaria Monte,

in preparazione alla visita pastorale nella vostra parrocchia - svoltasi nei giorni dal 31 ottobre al 6 novembre 2011 - mi avete presentato attraverso la relazione sintetica una serie di “foto in movimento” del cammino della vostra comunità. In esse, con linguaggio nitido e obiettivo, mi avete elencato le note positive e insieme le fatiche e le difficoltà della situazione che state vivendo, senza tralasciare alcune prospettive che vi vedono già in cammino. Nei giorni della visita ho avuto modo di verificare come quella serie di flash combaciano fedelmente con la realtà oggettiva. Mi limito pertanto a sfogliare con voi alcune pagine di quella sorta di album che mi porto nel cuore, passando velocemente in rassegna i fotogrammi che ritengo più significativi.

Tra le note positive, che contrassegnano il vostro cammino, ho riscontrato le seguenti. Un Consiglio Pastorale unito, coeso, che “pensa” al cammino di tutta la comunità, attraverso un costante esercizio di discernimento che aiuti a vigilare attentamente sulla situazione in corso, a progettare con lungimiranza gli obiettivi del cammino e a verificarne l’effettivo conseguimento in modo se-reno e costruttivo. Una équipe di catechiste motivate, appassionate, disponibili, aperte al confronto con altre catechiste delle parrocchie vicine, e desiderose di esplorare vie nuove per proporre una esperienza di educazione alla fede, che sia coinvolgente e incisiva per la vita concreta di bambini e ragazzi. Un gruppo di uomini generosi e impegnati che organizza feste e vari momenti aggregativi. Un gruppetto di persone che si dedicano alla pulizia della chiesa. Un nucleo di coppie che si incontra mensilmente per un cammino di spiritualità familiare. Un gruppo missionario che organizza viaggi in paesi di missione. Una folta squadra di postini che svolgono il servizio di collegamento tra la parrocchia e le famiglie. Una filodrammatica che ogni anno mette in scena una commedia dialettale, il cui ricavato va per la parrocchia e le sue esigenze. Un nutrito gruppo di pro-fessori e insegnanti che portano avanti un doposcuola gratuito per bambini e ragazzi.

Nei giorni della visita sono rimasto favorevolmente colpito in particolare dal cordiale e schietto clima di famiglia cristiana, che si respira nelle celebrazioni

Visita pastorale alla parrocchia di S. Margherita a Bellaria

Prot. VFL2011/71 Rimini, 28 dicembre 2011

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liturgiche, animate da un bel coro, preparato, gioioso e coinvolgente, che aiu-ta a celebrare in modo attivo, consapevole e fruttuoso. Nella santa eucaristia conclusiva ho sperimentato come la gente esca dalle vostre celebrazioni con un cuore che arde e con tanta letizia sul volto. Inoltre, anche se non ho avuto modo di parteciparvi direttamente, godo ancora nel sapere che ogni mercoledì mattina si fa l’adorazione eucaristica dalle 6.00 alle 8.00. Ritengo che questo sia un bel segno per tutta la comunità, perché non venga mai meno quello stupore eucaristico, senza il quale la celebrazione della Messa rischia drammaticamen-te - e forse con più coraggio dovremmo dire “sacrilegamente” - di... “andare in automatico”!

Sempre nell’ambito delle note positive, vorrei incoraggiarne in modo par-ticolare due. La prima è quella del Centro estivo, in collaborazione con la par-rocchia di Bellaria, e la seconda è l’attività di volontariato nel commercio equo-solidale, nella vendita di prodotti da terreni confiscati alla mafia, nel servizio della carità.

Con franchezza evangelica voi avete messo in risalto anche fatiche e difficol-tà, che mettono alla prova il vostro coraggio e la tenuta della vostra fedeltà. Le enuncio schematicamente per riprenderle tra poco in modo più diffuso. Sono soprattutto tre: un deficit di comunione, dovuto a individualismo, a indifferenza generalizzata, a chiusura e diffidenza; una carenza nell’apertura missionaria e nella passione per un annuncio gioioso e coraggioso del vangelo; una scarsità di ministri istituiti, come lettori, accoliti, ministri per la comunione eucaristica, scarsità dovuta a una generale fatica ad assumere responsabilità all’interno del-la comunità, un fenomeno, questo, che denota una “clero-dipendenza” per cui ci si aspetta passivamente tutto dal prete.

Tra le prospettive che mi avete presentato, vorrei sottolineare - primo - la partecipazione piena alla zona pastorale, in comunione, collaborazione e corre-sponsabilità con le altre due parrocchie di san Mauro Mare e di Bellaria Mare; secondo, la spinta missionaria soprattutto nei confronti di ragazzi, giovani e nuove famiglie.

Prima di rilanciare alcuni messaggi che già in quei giorni vi ho anticicipato, vorrei ritornare su alcuni momenti che abbiamo vissuto insieme. La cena con il gruppo famiglie e con i rispettivi bambini, in un’atmosfera serena e armoniosa mi ha fatto pensare quanto ci sia bisogno di sostenere oggi le famiglie cristiane in un percorso di formazione permanente che le aiuti a vivere la grazia del sa-cramento, in un contesto di grande fragilità e fatica a livello di coppie e di nuclei familiari. Inoltre l’incontro con una decina di giovani del “gruppo Afrika”, in casa di Rolando e Lucia, che mi ha fatto toccare con mano quanto bene faccia ai no-stri ragazzi andare a vedere come vivono i giovani cristiani nei paesi di missione. Un altro momento di grande intensità e partecipazione è stata la festa con i tan-tissimi giovani di tutta la zona pastorale, con un vivace confronto sul tema della Lettera Pastorale: “Giovani, dove sta la felicità”. Ma è stata soprattutto la Messa conclusiva a costituire il momento clou dell’intera visita pastorale, non solo per la gran massa di gente che vi ha partecipato, ma soprattutto perché non si trat-tava affatto di una “massa” anonima e frammentata, ma perché si percepiva il cuore pulsante di una assemblea eucaristica centrata su Cristo Signore.

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Visita Pastorale

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Passo ora ad alcune brevi indicazioni per il cammino che vi attende. Debbo però premettere che questa parte della presente Lettera è praticamente iden-tica a quella della Lettera inviata alla comunità parrocchiale di s. Mauro Mare. Il motivo di questa scelta è facilmente comprensibile. Le due comunità condi-vidono lo stesso contesto geografico, sociale e culturale; inoltre sono affidate ambedue alla tua guida unitaria, con l’assistenza dello stesso Diacono; fanno ambedue parte, insieme alla parrocchia del sacro Cuore in Bellaria Mare, della stessa zona pastorale; tutt’e tre insieme le comunità stanno percorrendo un cammino di progressiva integrazione, verso una comunità pienamente e, a suo tempo, anche formalmente unita.

Mi domando: quali passi concreti sono necessari perché questo cammino non risponda a una logica puramente aggregativa, ma ad una che sia veramente integrativa?

La prima condizione assolutamente imprescindibile è la presenza di sacer-doti che si siano lasciati afferrare completamente da Gesù e che ogni giorno gli riconsegnino la vita per non spadroneggiare sul gregge di Dio, ma piuttosto per “pascerlo volentieri, come piace a lui, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone loro affidate, ma facendosi modelli del gregge” (cfr 1Pt 5,2ss). Inoltre, se questi confratelli realizzano, con l’aiuto del Signore e in piena comunione con il Vescovo, una piccola fraternità apostolica, allora si può nutrire fondata fiducia nella testimonianza di quell’es-sere uno in Cristo che diventa il segnale più convincente “perché il mondo creda”.

La seconda condizione è che in ogni parrocchia si ponga mano ad una pa-storale “a modo di Gesù buon pastore”. Mi spiego: vedo alle volte parroci che si sentono in tensione tra una pastorale per “i pochi ma buoni”, con il rischio di dimenticare poi che la parrocchia è fatta per tutti i battezzati che vivono nel suo territorio. Oppure una pastorale che vorrebbe arrivare a tutti, con il rischio poi di perdere i vicini e di non raggiungere i lontani. Anche in questo la pastorale del Buon Pastore rimane paradigmatica ed esemplare: Gesù si è dedicato alla formazione dei Dodici, ma per farli diventare una “fraternità in cammino”. Non dovremmo noi puntare a fare altrettanto, con la luce e la forza dello Spirito del Pastore supremo? Se in ogni parrocchia si costituisce un nucleo di cristiani che siano credenti e credibili e facciano da lievito per la crescita di tutta la comuni-tà; se concretamente abbiamo piccole comunità cristiane che vanno in chiesa per “fare il pieno” di fede e poi portano la fede nei loro ambienti di vita: non è questo che determina la conversione missionaria della parrocchia?

La terza condizione è che si imposti un cammino di vera pastorale integra-ta, ricordando che l’integrazione riguarda sia gli operatori pastorali che i vari ambiti della pastorale, così come l’ha definita autorevolmente papa Benedet-to. Su questo argomento, come sapete, sta lavorando da tempo una apposita Commissione diocesana, e appena possibile verranno offerte indicazioni utili e opportune risorse, di cui certamente vi potrete servire.

Accenno velocemente ad altre condizioni altrettanto imprescindibili. Una è senz’altro la cura e la formazione del laicato, indirizzata sia alla crescita della qualità testimoniale della fede cristiana, sia alla promozione di varie figure mi-

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nisteriali e di una adeguata capacità di servizio ecclesiale. Particolare attenzione va assicurata anche a quell’insostituibile organismo di partecipazione ecclesia-le, quale è il Consiglio Pastorale, come spazio di progettazione e di verifica pa-storale. A questo proposito mi auguro che quanto prima maturino le condizioni per dar vita un Consiglio Pastorale di zona.

Lo spazio che mi resta lo voglio utilizzare per indirizzarvi un augurio e dedi-carvi una grande benedizione. L’augurio ve lo formulo con le parole di s. Paolo: “Dal punto a cui siete arrivati, continuate ad andare avanti come avete fatto finora” (Fil 3,16). E vi benedico con tenero affetto di fratello nel battesimo e di padre nella fede

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don CLAUDIO COMANDUCCIe alla Comunità Parrocchiale di s.Margherita BELLARIA

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Visita Pastorale

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Carissimi Don Claudio e Don Ivo,Carissimo diacono Doriano,Carissimi Membri del Consiglio Pastorale,Carissimi Fedeli tutti,della Parrocchia di s. Maria Goretti, in san Mauro Mare,

la visita pastorale effettuata nella vostra parrocchia nei giorni dal 31 ottobre al 5 novembre 2011, mentre mi ha confermato l’immagine globalmente buona, che me ne ero già fatta nelle varie brevi visite precedenti, mi ha dato modo di starvi vicino con una presenza più distesa e in un momento per voi particolare, iniziato con il passaggio nella guida della parrocchia da Don Mirco Mignani a don Claudio Comanducci, in qualità di Amministratore parrocchiale.

Quella di s. Maria Goretti è una parrocchia giovane per la sua storia, poiché è nata nel 1963, e contenuta nella sua consistenza numerica, poiché conta solo 2.400 residenti. Nell’elencare i doni che la parrocchia sta vivendo, voi giusta-mente avete messo in rilievo i sacerdoti che vi hanno o vi stanno guidando. Anzitutto Don Ivo Rossi, il parroco fondatore ed emerito, sacerdote umile, gene-roso e molto attivo, che ha lasciato il segno non solo con le opere - dalla chiesa alla scuola materna alla canonica - ma soprattutto con la testimonianza di una vita totalmente donata al Signore e dedicata con fedeltà, passione e gioia, anco-ra oggi, alla vostra comunità. Nell’ottobre 2002 gli subentrò Don Mirco Mignani, giovane prete di notevole sensibilità relazionale e dotato anche di buona co-municativa. Don Mirco si è trovato ad esercitare il ministero in una fase di forte espansione urbanistica con una crescita demografica imponente, da un anno all’altro. Attraverso la visita alle famiglie nel periodo delle benedizioni pasquali, ha sempre cercato il contatto con i nuovi nuclei familiari. Inoltre vi ha aiutato ad allargare l’orizzonte della vita parrocchiale a quello più ampio della vita dioce-sana. Vi ha anche aiutato a crescere nell’attenzione verso i poveri con la nascita della Caritas interparrocchiale.

Attualmente state valorizzando un altro grande dono: mentre continua la presenza solerte e disponibile di Don Ivo, potete fruire della guida esperta e generosa di Don Claudio e della vicinanza del diacono Doriano. Mi ha colpito il fatto che nell’elencare i doni di cui gode la vostra parrocchia, mi abbiate presen-tato delle persone, ma non è forse vero che sacerdoti e diaconi sono i doni più grandi che il Signore possa assicurare a una comunità cristiana? Permettetemi a questo punto di esprimere tutta la mia più viva gratitudine, colma di stima

Visita pastorale a S. Mauro a Mare

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e di sincero affetto, a Don Claudio, che ha accettato di dedicarsi anche a voi, come padre, guida e sostegno nel vostro cammino di fede, insieme ai suoi ama-ti parrocchiani di Bellaria Monte. Colgo l’occasione per rinnovare i sentimenti di cordiale apprezzamento anche nei vostri confronti, perché lo avete accolto con gioia come un umile servo del Signore e del suo regno. Voi vi siete sentiti di esprimere gratitudine al Vescovo per le decisioni adottate a vostro riguardo, per il dono della presenza di Don Ivo fra voi, di Don Claudio e del diacono Do-riano. Mentre ricambio la vostra riconoscenza, vi raccomando caldamente di corrispondere con fiducia e generosa disponibilità alle indicazioni dell’Ammini-stratore Parrocchiale, che - so che lo credete - sono e saranno sempre ispirate al vostro vero bene, secondo lo spirito evangelico e la sapienza illuminata della santa Madre Chiesa.

Altri doni che la parrocchia sta vivendo sono il discreto numero di catechi-ste e di ministri istituiti che sono sorti fra voi, come pure i bei momenti di festa vissuti in buona armonia con tutti.

Tra le fatiche e le difficoltà più gravi, ho riscontrato quelle legate al nuo-vo contesto urbanistico e sociale, e determinate in particolare, oltre che dalla tumultuosa crescita demografica già richiamata, anche dall’apertura del cen-tro commerciale “Iper-Rubicone”, a Capanni, nel 1992, che ha letteralmente sconvolto il tessuto umano, culturale ed economico della vostra zona. A ciò va aggiunto sia il fenomeno di una massiccia immigrazione dal Meridione e da Paesi extraeuropei, sia la mobilità del lavoro e degli interessi commerciali che hanno trasformato il territorio in una grande “zona-dormitorio”. A ciò va aggiun-ta la chiusura della scuola elementare, nel 1995, e la dispersione dei bambini in vari plessi scolastici, distribuiti su quattro comuni diversi, con la conseguente disgregazione delle relazioni, anche di semplice vicinato.

Tali mutamenti hanno fatto registrare preoccupanti ricadute sulla realtà del-la parrocchia, che è diventata, come avete scritto, “più simile a una collettività che a una comunità”. Un altro fenomeno che non può non preoccupare anche il Vescovo è la fatica a passare da una fede puramente devozionale a una fede matura, consapevole, missionaria.

Tra i progetti che mi avete presentato, apprezzo e benedico l’impegno per la visita alle famiglie - impegno che, visto il carico pastorale che grava sulle spalle di Don Claudio e di Doriano, non potrà non essere condiviso da ministri istituiti e laici preparati. Inoltre ritengo che una maggiore attenzione alla zona di Capanni sarà concretamente possibile assicurarla a condizione di quella fattiva collaborazione appena richiamata. Altrettanto sarà possibile per quanto riguar-da la preparazione dei catechisti battesimali e per continuare la collaborazione tra le parrocchie che state sperimentando in vari campi, come quello molto positivo della pastorale giovanile di zona, di cui si sta occupando con grande passione, disponibilità e competenza il nostro caro Don Davide.

Passo ora ad alcune brevi indicazioni per il cammino che vi attende. Debbo però premettere che questa parte della presente Lettera è praticamente iden-tica a quella della Lettera inviata alla comunità parrocchiale di Bellaria Monte. Il motivo di questa scelta è facilmente comprensibile. Le due comunità condi-vidono lo stesso contesto geografico, sociale e culturale; inoltre sono affidate

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Visita Pastorale

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ambedue alla tua guida unitaria, con l’assistenza dello stesso Diacono; fanno ambedue parte, insieme alla parrocchia del sacro Cuore in Bellaria Mare, della stessa zona pastorale; tutt’e tre insieme le comunità stanno percorrendo un cammino di progressiva integrazione, verso una comunità pienamente e, a suo tempo, anche formalmente unita.

Mi domando: quali passi concreti sono necessari perché questo cammino non risponda a una logica puramente aggregativa, ma ad una che sia veramente integrativa?

La prima condizione assolutamente imprescindibile è la presenza di sacer-doti che si siano lasciati afferrare completamente da Gesù e che ogni giorno gli riconsegnino la vita per non spadroneggiare sul gregge di Dio, ma piuttosto per “pascerlo volentieri, come piace a lui, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone loro affidate, ma facendosi modelli del gregge” (cfr 1Pt 5,2ss). Inoltre, se questi confratelli realizzano, con l’aiuto del Signore e in piena comunione con il Vescovo, una piccola fraternità apostolica, allora si può nutrire fondata fiducia che essi saranno segno e fer-mento di quella piena unità in Cristo, che diventa il segnale più convincente perché tutta la comunità cristiana sia “una” e “perché il mondo creda”.

La seconda condizione è che in ogni parrocchia si ponga mano ad una pa-storale “a modo di Gesù buon pastore”. Mi spiego: vedo alle volte parroci che si sentono in tensione tra una pastorale per “i pochi ma buoni”, con il rischio di dimenticare poi che la parrocchia è fatta per tutti i battezzati che vivono nel suo territorio. Oppure una pastorale che vorrebbe arrivare a tutti, con il rischio poi di perdere i vicini e di non raggiungere i lontani. Anche in questo la pastorale del Buon Pastore rimane paradigmatica ed esemplare: Gesù si è dedicato alla formazione dei Dodici, ma per farli diventare una “fraternità in cammino”. Non dovremmo noi puntare a fare altrettanto, con la luce e la forza dello Spirito del Pastore supremo? Se in ogni parrocchia si costituisce un nucleo di cristiani che siano credenti e credibili e facciano da lievito per la crescita di tutta la comuni-tà; se concretamente abbiamo piccole comunità cristiane che vanno in chiesa per “fare il pieno” di fede e poi portano la fede nei loro ambienti di vita: non è questo che determina la conversione missionaria della parrocchia?

La terza condizione è che si imposti un cammino di vera pastorale integra-ta, ricordando che l’integrazione riguarda sia gli operatori pastorali che i vari ambiti della pastorale, così come l’ha definita autorevolmente papa Benedet-to. Su questo argomento, come sapete, sta lavorando da tempo una apposita Commissione diocesana, e appena possibile verranno offerte indicazioni utili e opportune risorse, di cui certamente vi potrete servire.

Accenno velocemente ad altre condizioni altrettanto imprescindibili. Una è senz’altro la cura e la formazione del laicato, indirizzata sia alla crescita della qualità testimoniale della fede cristiana, sia alla promozione di varie figure mi-nisteriali e di una adeguata capacità di servizio ecclesiale. Particolare attenzione va assicurata anche a quell’insostituibile organismo di partecipazione ecclesia-le, quale è il Consiglio Pastorale, come spazio di progettazione e di verifica pa-storale. A questo proposito mi auguro che quanto prima maturino le condizioni per dar vita a un Consiglio Pastorale di zona.

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“Per il resto, fratelli - vi dico con s. Paolo - siate gioiosi, tendete alla perfe-zione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi” (2Cor 13,11).

Vi saluto con grande affetto e vi benedico di vero cuore

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don CLAUDIO COMANDUCCIe alla Comunità Parrocchiale di s.Maria Goretti SAN MAURO MARE

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Visita Pastorale

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Carissimo Don Enzo,Carissimi Membri del Consiglio Pastorale,Carissimi Fedeli tuttidella parrocchia di S. Martino in Bordonchio,

quando la sera del 9 novembre 2011 abbiamo dato inizio alla visita pastora-le - che si sarebbe protratta fino al 12 novembre successivo - nell’entrare nella vostra splendida nuova chiesa, mi sono sentito raggiungere di soprassalto da tre pensieri che subito vi ho comunicato. Il primo l’ho ricavato dal luogo, appunto dalla chiesa come immagine trasparente della comunità cristiana: “Voi - ricordo che vi dissi - siete le pietre vive della santa Chiesa di Dio. Come avete rinnovato il luogo di culto, a che punto siete con il rinnovamento della comunità parroc-chiale?”. Il secondo pensiero lo presi dalla data: quel giorno si celebrava la festa della dedicazione della basilica di san Giovanni in Laterano, madre di tutte le Chiese del mondo, e la visita avrebbe avuto al centro la festa del vostro patro-no, s. Martino. Perciò vi domandai: “A che punto siete nel coltivare il vincolo di comunione con la Chiesa di Roma, con la Chiesa di Rimini e con la vostra comunità parrocchiale?”. Il terzo pensiero l’ho derivato dall’obiettivo della visita pastorale, e perciò vi posi la domanda: “Siete consapevoli che in questi giorni dovremo fare degli esercizi spirituali di discernimento del disegno di Dio sul cammino della vostra fede?”.

Nei giorni successivi ho avuto modo di constatare personalmente di quanti doni, talenti e risorse lo Spirito Santo vi abbia arricchito. Il dono più grande è la fede ricevuta nel battesimo e vissuta nei vari ambiti della testimonianza cri-stiana. Il sentirci amati a priori da Dio, “a prescindere” da ogni nostro merito o demerito, ci fa riconoscere l’infinita misericordia di Dio Padre, ci rende umili e grati, ci fa crescere nella fiducia, ci aiuta a vivere la nostra vita come un canto di lode all’Amore che ci ha creati, redenti, santificati. Questo dono di base fa-vorisce anche una diversa lettura di quelli che, guardati a occhio nudo, senza le lenti correttive della fede, potrebbero sembrare solo problemi e grandi rischi, come ad esempio l’intenso sviluppo demografico che ha caratterizzato la sto-ria recente della vostra parrocchia. Fate bene a interpretare questo fenomeno come dono, “in quanto può aumentare le potenzialità della parrocchia”. Ma, a questo punto, la litania dei doni potrebbe diventare più lunga di un rosario. Ne riprendo alcuni: la presenza di Don Emanuele, sacerdote congolese di grande spessore umano e sacerdotale; la fiducia della gente nei confronti della parroc-

Visita pastorale a Bordonchio

Prot. VFL2011/73 Rimini, 31 dicembre 2011

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chia; la richiesta pressoché totale dei genitori per i sacramenti dell’iniziazione cristiana dei loro figli; la rinascita dell’Azione Cattolica e la vitalità dell’AGESCI per la formazione dei ragazzi e dei giovani; l’ingresso in seminario del vostro carissimo Alessandro; e altri doni ancora. Da ultimo, le strutture logistiche: se 25 anni fa la vostra parrocchia non aveva quasi nulla, oggi potete disporre di una nuova chiesa imponente e solenne come una cattedrale, di un più che decoroso teatro, di una spaziosa sala per feste, di campi sportivi, nonché di aule e strutture necessarie per la vita pastorale di una parrocchia di notevoli dimensioni come la vostra.

Ma con parresia evangelica, durante i giorni della visita, mi avete fatto leggere anche i problemi e le difficoltà, con cui vi state fronteggiando da di-verso tempo. Una prima situazione problematica è rappresentata dalla “doppia velocità” della comunità cristiana: da una parte c’è la vasta “comunità batte-simale”, a cui appartiene la stragrande maggioranza dei fedeli, e dall’altra la piccola “comunità eucaristica” formata da coloro che partecipano all’eucaristia domenicale. Un’altra difficoltà è costituita dal turismo stagionale che condizio-na pesantemente la vita di molte famiglie. Inoltre siete interessati anche voi dal massiccio fenomeno della immigrazione con i circa 500 stranieri. Anche la drammatica situazione creatasi con la crisi finanziaria mondiale ha dolorose ricadute sulla vita di tanta gente. Infine siete anche voi afflitti dalla difficoltà a coinvolgere i giovani, che appaiono sempre più isolati e lontani dai nostri mes-saggi: come risaldare la catena della trasmissione della fede?

Ora mi piacerebbe ripercorrere l’agenda della visita pastorale, rileggere il fitto dossier di appunti che mi sono riportato a casa, rivedere volti e vissuti incontrati in quei giorni benedetti, ma preferisco dare spazio a qualche rifles-sione e a tentare alcune risposte.

Innanzitutto va tenuto presente che le difficoltà e i problemi con cui vi dibattete sono comuni a tante parrocchie italiane, anzi a tutto il nostro Occi-dente di vecchia cristianità, che qualcuno chiamerebbe ormai post-cristiano, e che invece a me francamente sembra di dover chiamare pre-cristiano. Certo, la situazione in corso appare contrassegnata da pesanti fenomeni culturali nega-tivi, quali l’individualismo libertario, il nichilismo etico, il relativismo valoriale ecc. Ma se è vero che tutti questi e altri ancora sono sintomi di un allontana-mento a velocità esponenziale della cultura attuale dal messaggio cristiano, non è forse altrettanto vero che è possibile anche un’altra lettura della realtà in atto? Quella di chi legge questa realtà in proiezione opposta: come sfide che possono diventare opportunità, come piste di sbocco non come vicoli ciechi, come segrete invocazioni di salvezza magari inconsapevoli e non come chiusu-re irreversibili di ogni circuito di comunicazione. E’ vero che i percorsi del non senso hanno fatto precipitare tanta gente fino a toccare il punto più basso del baratro del nulla, ma - fatte le debite proporzioni - non si viveva in una con-dizione culturale simile alla nostra quando il cristianesimo nascente cominciò a incendiare le città del bacino mediterraneo? Allora bisogna concludere che forse mai come oggi la comunità umana ha avuto un disperato bisogno di un messaggio di salvezza che annunci la vittoria di Gesù Risorto sulla morte e prometta una liberazione possibile dalle sabbie mobili del non-senso. Ha det-

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to bene chi ha scritto: “Tutti i tempi non si equivalgono, ma tutti i tempi sono tempi cristiani, e ve n’è uno che per noi praticamente li supera tutti: il nostro. Per questo tempo sono le nostre risorse native, le nostre grazie di oggi e di domani, per esso quindi lo sforzo che risponde a queste risorse e a queste grazie” (A.D. Sertillanges).

Questo, carissimi, mi pare il punto possibile di svolta: una rinnovata fiducia dei credenti nella capacità salvifica del vangelo, insomma un credito confer-mato nella forza magnetica della fede. Ha ragione papa Benedetto quando afferma che la crisi della nostra cristianità è una drammatica crisi di fede. Se non si riaccendono focolai di fede nelle nostre comunità parrocchiali, non è possibile alcuno slancio missionario, non si rivela praticabile alcuna strategia pastorale, non si farà mai il passaggio da un cristianesimo di convenzione a uno di convinzione, e da una parrocchia “centro di servizi” a una parrocchia fuoco di irradiazione del vangelo. Ecco la sfida che ci è davanti: ci crediamo che il braccio del Signore non si è accorciato, che la fede donataci nel battesimo è bella e possibile anche oggi, che il cristianesimo non ha imboccato il viale del tramonto, che non c’è vita più umana di quella cristiana? E’ una sfida che il Signore non vuole vincere senza di noi e che noi non possiamo vincere senza di lui.

Non posso chiudere questa lettera senza tornare su un problema che mi avete posto e sul quale vi debbo una risposta più pacata e pensata di quella che vi ho dato in quei giorni: la questione della collocazione del tabernacolo. E’ una questione tutt’altro che marginale, da non sottovalutare affatto, perché ne va di quel bene prezioso che costituisce un segno distintivo di una chiesa cattolica rispetto, ad esempio, a una evangelica. Se non si sta alla indicazione del messale romano - che vuole il tabernacolo “in una parte della chiesa assai dignitosa, insigne, ben visibile, ornata decorosamente e adatta alla preghiera”, la presenza “vera, reale e sostanziale” di Gesù nel tabernacolo rischia di diven-tare per molti - a cominciare dai bambini - una idea astratta e affermarne la verità nelle prediche o al catechismo sarebbe gettare parole al vento. Pertanto vi raccomando di tenere nel debito conto la chiara e inequivocabile indicazio-ne di Benedetto XVI: “Nelle nuove chiese è bene predisporre la cappella del Santissimo Sacramento in prossimità del presbiterio; ove ciò non sia possibile, è preferibile situare il tabernacolo nel presbiterio, in luogo sufficientemente elevato, al centro della zona absidale, oppure in altro punto ove sia ugualmen-te ben visibile” (Sacramentum Caritatis, n. 69).

Carissimi, ci sarebbero ancora molte altre cose da riprendere e da appro-fondire, ma mi fermo qui. Ho cercato di andare al cuore delle questioni e di dirvi quanto ho ritenuto fondamentale e più rilevante. Vi posso chiedere di farne oggetto di un’assemblea parrocchiale e di qualche seduta del Consiglio Pastorale, in modo da riferirmi per lettera - possibilmente entro il prossimo novembre, a un anno dalla visita pastorale - quanto avete maturato nel vostro discernimento comunitario?

Infine permettetemi di rinnovarvi la più sincera e cordiale gratitudine per l’accoglienza e l’attenzione che mi avete riservato. Mi avete detto e scritto che considerate un dono prezioso la presenza del Vescovo come “un padre, un

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maestro, un amico”. Vi chiedo una preghiera perché lo sia veramente e ogni giorno di più, per voi e per tutta la nostra bella Diocesi che il Signore ha voluto affidarmi.

Anch’io vi assicuro la mia povera preghiera e vi benedico di cuore, tutti e ciascuno.

Vostro nel Signore

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don ENZO GOBBIe alla Comunità Parrocchiale di s.Martino di BordonchioIGEA MARINA

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Visita Pastorale

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Carissimo Don Giancarlo, Carissimo Don CiroCarissimi Fedeli delle Parrocchiedella Beata Vergine del Carmine in Torre Pedrerae di San Giovanni Battista in Bagno,

la visita pastorale è sempre una benedizione: per il Vescovo, anzitutto, perché gli permette di conoscere più da vicino e in modo globale e organico la vita ordinaria delle comunità parrocchiali; ma anche per la parrocchia perché la stimola a stringere il suo legame di comunione con il Vescovo, e attraverso di lui, con tutta la Chiesa diocesana. L'obiettivo fondamentale della visita è e rimane quello di confermare i fratelli nella fede, incoraggiandoli a ripartire da Cristo, e di incrementare nelle comunità ecclesiali la passione e l'impegno per la nuova evangelizzazione.

A distanza di qualche tempo dalla visita pastorale effettuata dal 14 al 19 novembre 2011, nelle vostre parrocchie di Torre Pedrera e di s. Giovanni in Bagno - giuridicamente distinte e pastoralmente unite - mi domando con voi: quali elementi stanno caratterizzando il vostro cammino? a che punto è il pro-cesso di rinnovamento della parrocchia? quali prospettive si aprono per il cam-mino prossimo futuro?

Un dato in premessa è costituito dalla storia e dalla configurazione delle due parrocchie in oggetto. Di fatto, pur essendo nate in periodi e contesti di-versi, le due realtà hanno sempre interagito tra di loro, per cui l'unificazione pastorale non ha riscontrato tensioni e difficoltà. Si deve anche aggiungere che la venerabile Carla Ronci rimane una figura che ha segnato l'identità e ha unito le due comunità di Torre e di Bagno.

Il cammino pastorale risente della stagione turistica, durante la quale si cerca di accogliere i forestieri e i villeggianti, ma è da settembre a maggio che l'attività ordinaria interessa soprattutto i residenti. Si comincia a settembre con una vacanza estiva per famiglie, molto partecipata, sulle Dolomiti; si prosegue sul filo dell'anno liturgico, ritmato da feste e tempi forti; ci si dedica all'attività del catechismo per bambini e ragazzi, cercando di coinvolgere anche i genitori; nel tempo di Quaresima viene curata la visita alle famiglie con la benedizione pasquale.

Particolare attenzione merita l'attività dei nove centri di ascolto che aggre-gano complessivamente un centinaio di persone durante il periodo invernale, come pure è meritevole di nota la rinascita dell'Azione Cattolica (dal 1994) in

Visita pastorale a Torre Pedrera

Prot. VFL2011/74Rimini, 31 dicembre 2011

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cui si cura la vita interiore, per una vita pienamente umana e cristiana, nutrita di preghiera e di grazia sacramentale.

Dal 1999 è attivo il "campetto parrocchiale" per il tempo libero e lo sport dei ragazzi e il riposo degli adulti. Da un anno circa le Suore Orsoline hanno chiuso la loro casa, mentre la Scuola Materna parrocchiale è passata in gestione alla Karis Foundation di CL.

Un'altra realtà che accompagna la parrocchia di Torre Pedrera e di riflesso quella di s. Giovanni in Bagno è il Circolo ricreativo che funge da ritrovo per tante persone anziane che possono così coltivare amicizie e contatti fra di loro.

Dall'insieme mi sembra che emerga l'impegno e la fatica nel rispondere alle sfide della secolarizzazione e di una sempre più pervasiva scristianizzazione, come del resto avviene in molte parrocchie in Italia. La presenza valida e positiva di un parroco ormai non più giovane, affiancata dalla vicinanza preziosa e ancora disponibile dell'ultranovantenne don Ciro, ha bisogno di essere sostenuta da un maggior numero di laici cristiani adulti e maturi nella fede, in modo che la "scos-sa" del primo annuncio del vangelo venga trasmessa ai tanti fratelli che in modo consapevole o - forse più spesso - inconsapevole chiedono o hanno comunque bisogno di riscoprire la bellezza e la vivibilità della fede cristiana.

Prima di concludere, mi permetto di cogliere l'occasione per invitare il par-roco e amministratore parrocchiale a tener conto delle indicazioni di carattere liturgico che allego a parte.

Caro Don Giancarlo, ho visto che la gente le vuole bene e la circonda di ri-spetto e di molto affetto. Insieme ai suoi amati fedeli prego il Signore perché la sostenga con il suo Spirito di fortezza, continui a darle luce e pace per servire il popolo che le ha affidato con quell'amore e quella carità di cui ha bisogno e così condurre tutte le persone delle due comunità all'eterna salvezza.

La prego di salutarmi con tanto affetto il carissimo Don Ciro, tutti i collabo-ratori, i membri del Consiglio Pastorale, gli ammalati, e tutti i suoi cari fedeli. La saluto anch'io con sincera stima, con tanto affetto e fraterna cordialità.

Suo di vero cuore, nel Sommo ed eterno Sacerdote

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don GIANCARLO ROSSIe alle Comunità Parrocchiali della Beata Vergine del Carmine in Torre Pedrerae di San Giovanni Battista in BagnoTORRE PEDRERA

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OTTOBRE

Sabato 1 Mattino Clarisse - S. Messa Pomeriggio S. Andrea in Besanigo - S. Messa Domenica 2 Mattino Spadarolo - cresime Cattedrale - S. Messa, “Congrosso” Associazione Papa Giovanni XXIII Pomeriggio Santarcangelo - battesimi S. Fortunato - S. Messa, candidature agli ordini Lunedì 3 Mattino Bologna - Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna Sera Sala Manzoni - Settimana Biblica Martedì 4 Sera Cattedrale - S. Messa, festa di S. Francesco Mercoledì 5 Mattino Curia - Collegio Consultori Pomeriggio S. Agostino - S. Messa, festa del beato Alberto Marvelli Sera Sala Manzoni - Settimana Biblica Giovedì 6 Pomeriggio Rivazzurra - S. Messa Sera Sala Manzoni - Settimana Biblica

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Venerdì 7 Pomeriggio Udienze Sera Sala Manzoni - Settimana Biblica Sabato 8 Pomeriggio Cattedrale - S. Messa, ordinazioni diaconali Domenica 9 Mattino Salesiani - cresime Celle - cresime Pomeriggio Caritas - assemblea Caritas parrocchiali Riccione, parr. Ss. Angeli Custodi - battesimi Sera Cattedrale - Missa Pacis, concerto di musica sacra Martedì 11 Sera Faenza - incontro catechisti diocesi di Faenza Mercoledì 12 Mattino Curia - Vicari foranei Giovedì 13 Sera Sala Manzoni - Assemblea dei consigli pastorali parrocchiali Venerdì 14 Mattino Parr. San Gaudenzo - S. Messa Pomeriggio sala S. Gaudenzo incontro con le Autorità Cittadine Cattedrale - S. Messa, solennità di san Gaudenzo Sabato 15 Pomeriggio Palacongressi - inaugurazione Domenica 16 Mattino San Mauro Mare - cresime San Giovanni in Galilea - cresime Pomeriggio Bordonchio - S. Messa, festa unitaria AC

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Da Lunedì 17 a Domenica 23 Visita Pastorale a Viserba Monte Lunedì 17 Pomeriggio S. Agostino - S. Messa, scuole Maestre Pie Martedì 18 Udienze Sera Seminario - Scuola della Parola Mercoledì 19 Mattino Udienze Sera Curia - Consiglio Pastorale Diocesano Venerdì 21 Mattino Seminario – Presbiterio Bellaria – intervento al convegno AIFO Sera Cattedrale - Veglia Missionaria Domenica 23 Mattino Viserba Monte - cresime Pomeriggio Campo don Pippo - Festa diocesana della Famiglia Cattedrale - cresime parr. San Gaudenzo Da Lunedì 24 a Sabato 29 Visita Pastorale a Bellaria Martedì 25 Mattino Celle - funerale Pomeriggio Rimini, hotel Continental - Convegno CEI dei Direttori Diocesani della Pastorale Sociale Mercoledì 26 Pomeriggio Cappella Universitaria S. Messa, inizio Anno Accademico Giovedì 27 Pomeriggio Coriano - funerale Cattedrale - S. Messa, Convegno CEI dei Direttori Diocesani della Pastorale Sociale

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Venerdì 28 Sera Seminario - Prolusione ISSR Domenica 30 Mattino Bellaria monte - cresime Scacciano – cresime Pomeriggio Parr. Riconciliazione Gruppi di preghiera Padre Pio Sera Imola - incontro Vescovi della Romagna Da Lunedì 31 ottobre a Domenica 6 novembre Visita Pastorale a Bellaria Monte e San Mauro Mare

NOVEMBRE

Martedì 1 Mattino Rivabella - cresime Palacongressi - S. Messa, Conferenza Animatori R.n.S. Mercoledì 2 Pomeriggio Cimitero - S. Messa

Venerdì 4 Roma - Convegno per il 70° Anniversario della Pontificia Opera per le Vocazioni Sacerdotali Sabato 5 Mattino Parma - S. Messa, in memoria del beato Mons. Conforti Domenica 6 Pomeriggio Seminario - Presentazione sussidio Avvento-Natale Borghi - S. Messa, riapertura chiesa S.Cristoforo Da Lunedì 7 a Sabato 13 Visita Pastorale a Bordonchio Lunedì 7 Mattino Rimini, hotel Sporting - Corso Regionale Insegnanti di Religione

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Lunedì 7 Pomeriggio Seminario - Scuola Diocesana Operatori Pastorali

Martedì 8 Pomeriggio Anagni – funerale Sera Seminario - Consiglio Presbiterale Giovedì 10 Mattino Udienze Sera Curia - Consulta per la Scuola Venerdì 11 Mattino Riccione - S. Messa, festa san Martino Domenica 13 Mattino S. Agostino - cresime Da Lunedì 14 a Sabato 19 Visita Pastorale a Torre Pedrera Lunedì 14 Pomeriggio Cattolica, hotel Royal - S. Messa, con la Fraternità Jesus Caritas Martedì 15 Sera Seminario - Scuola della Parola Mercoledì 16 Udienze Pomeriggio Clarisse - S. Messa

Giovedì 17 Pomeriggio Riccione, S. Lorenzo – funerale

Venerdì 18 e Sabato 19 Bologna - Convegno Regionale Ufficio Catechistico e Ufficio Pastorale Familiare Domenica 20 Mattino Santarcangelo - cresime Pomeriggio Sacramora - cresime

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Da Lunedì 21 a Giovedì 24 Loreto - ritiro presbiterale

Venerdì 25 Pomeriggio Libreria Pagina - Lectura Dantis Sera Cattedrale - S. Messa, con le Aggregazioni Laicali Sabato 26 Mattino Maestre Pie - Ritiro USMI-GIS-CIIS Pomeriggio Saludecio – 2-giorni teologica FUCI Domenica 27 Mattino Parr. Riconciliazione - catechesi con Rinnovamento nello Spirito Cattedrale - S. Messa. I Domenica di Avvento Pomeriggio Verucchio - S. Messa, UNITALSI Sera S. Agnese - incontro con la GIOC Lunedì 28 Pomeriggio Sala Manzoni - Corso di aggiornamento per Insegnati di Religione Martedì 29 Sera Regina Pacis - presentazione lettera pastorale per la Zona Pastorale Mercoledì 30 Pomeriggio Curia - Consiglio Episcopale Sera Curia - Presidenza ACNOVEMBRE

Giovedì 1 Pomeriggio Curia – incontro Progetto Culturale

Venerdì 2 Mattino Bologna - incontro Vescovi per il Seminario Regionale Pomeriggio Udienze

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Sabato 3 Mattino Clarisse - S. Messa Palazzo Ghetti – presentazione volume su Padre Tosi Sera Convento Santo Spirito – S. Messa Domenica 4 Mattino Cattedrale - S. Messa, II di Avvento Pomeriggio Villa Verucchio - S. Messa, professione solenne Sera Seminario - incontro Vescovi della Romagna

Da Lunedì 5 a Sabato 10 Visita Pastorale a Igea Marina

Martedì 6 Pomeriggio Seminario - Incontro di Spiritualità per le persone impegnate in politica

Mercoledì 7 Mattino Udienze

Giovedì 8 Mattino Maestre Pie - S. Messa, con il Cenacolo della Ss.Trinità Mater Admirabilis - cresime Pomeriggio Misano Mare - cresime Venerdì 9 Mattino Udienze Sabato 10 Mattino Palacongressi - celebrazioni lodi con Cl Universitari Sera Paolotti - La Luce nella Notte Domenica 11 Mattino Cattedrale - S. Messa, III di Avvento Da Lunedì 12 a Domenica 18 Visita Pastorale a S. Martino in Riparotta Lunedì 12 Pomeriggio ENAIP, viale Valturio - S. Messa

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Martedì 13 Mattino Udienze Pomeriggio Ospedale - S. Messa e incontro con gli operatori e i pazienti Savignano - S. Messa Sera Seminario - Scuola della Parola Mercoledì 14 Pomeriggio San Gaudenzo - funerale Venerdì 16 Mattino Seminario - Incontro di Presbiterio Pomeriggio Chiesa dei Servi - S. Messa, per la Fondazione san Giuseppe Sera Curia - Consiglio Pastorale Diocesano Sabato 17 Mattino ITC Valturio - incontro con gli studenti Morciano - incontro preti giovani Domenica 18 Mattino Cattedrale - S. Messa, IV di Avvento Caritas - pranzo Pomeriggio Centro città - Presepe vivente organizzato dalla Karis Foundation Sera Cattedrale - rappresentazione musicale meditata in preparazione al Santo Natale Lunedì 19 Pomeriggio Seminario - S. Messa, Ufficio per la Pastorale della Scuola Sera Curia - Consiglio Diocesano AC Martedì 20 Mattino Cattedrale - S. Messa, con le Forze dell’Ordine Pomeriggio Teatro degli Atti - Cerimonia Sigismondo d’Oro Mercoledì 21 Mattino Tribunale - S. Messa

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Mercoledì 21 Pomeriggio Riccione, parr. San Martino – funerale don Pietro Cannini Giovedì 22 Mattino Udienze Chiesa dei Servi - S. Messa, con i dipendenti comunali Pomeriggio Misano - inaugurazione Caritas interparrocchiale Venerdì 23 Mattino Casa del Clero - S. Messa Sabato 24 Pomeriggio Casa Circondariale - S. Messa Arco d’Augusto - presepe ENAIP Notte Cattedrale - S. Messa solenne nella notte di Natale Domenica 25 Natale del Signore Mattino Cattedrale - S. Messa solenne nel giorno di Natale Da Lunedì 26 a Venerdì 30 Fatima, pellegrinaggio con i seminaristi Sabato 31 Pomeriggio Cattedrale - S. Messa, con canto del “Te Deum” Notte Clarisse - S. Messa, Veglia per la Pace

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Attività del Presbiterio

Consiglio Presbiterale Diocesano .....................................................................................96

Consiglio Presbiterale ...........................................................................................................99

Invito ritiro presbiterio....................................................................................................... 102

Settimana di fraternità presbiterale .............................................................................. 103

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Attività del Presbiterio

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Seconda Riunione 20112 Maggio ore 16:30 In SeminarioTutti i Membri sono presenti

Dopo la preghiera prende la parola Mons. Vescovo:1. Quest’anno ha concluso la visita pastorale di altri due vicariati: Coriano

e Valmarecchia. I sacerdoti visitati non dimostrano né tristezza né pentimento, il loro servizio è all’insegna della fedeltà.

2. L’incontro dei cresimandi-genitori col Vescovo (il 14-21-28 Marzo) è sta-to un piccolo passo avanti, grazie alla risposta massiccia. Si è rilevato che nel 1° e nel 3° incontro la sala Manzoni, per il numero dei partecipanti, non era ade-guata; va inoltre migliorata la proposta da fare ai ragazzi.

3. Nella notte di Pasqua il Vescovo ha conferito il Santo Battesimo a ben 23 catecumeni e prossimamente sarà conferito l’ Ordine Sacro a 3 giovani.

4. Bisogna ridefinire i criteri di distribuzione del clero della nostra diocesi. dopo Loreto 2009. Il quadro teologico è una ecclesiologia di comunione, una spiritualità di comunione che deve impregnare ogni settore della vita della chie-sa.

5. Una comunione pasquale: la Chiesa viene dalla Trinità, dallo svincolo del Calvario. Dobbiamo stimarci a vicenda, imparando a perdere. Ogni confratello è due volte fratello: nel Battesimo e nell’Ordine Sacro.

6. Fraternità concretamente vissuta, non attivismo (L.G 28, P.O. 17), identi-tà del Presbitero sacramentalmente unito al Vescovo e al Presbiterio.

Necessità di una rilettura non funzionale ma carismatica dell’ incardinazione.7. P.O.8: vita fraterna del Presbiterio (coabitazione, mensa comune, fre-

quenti periodici incontri).8. Pastorale integrata: integrare in un unico cammino le diverse dimensio-

ni del lavoro ,le capacità e inclinazioni, riequilibrio dei carichi di lavoro.9. Nei prossimi 7 anni, cioè entro il 2018, 34 sacerdoti arriveranno ai 75

anni, mentre ci saranno solo 11 ordinati.10. In una ecclesiologia di comunione sarà coinvolto il Presbiterio, le zone

pastorali, i vicariati, i laici in questo processo. Quale ruolo deve svolgere il Con-siglio pastorale diocesano?

11. Incontro prossimo coi vicari foranei. Uno strumento: una Commissione che aiuti il Consiglio presbiterale con funzione di studio. Come comporla? Solo sacerdoti o anche laici?

Consiglio Presbiterale Diocesano

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Viene lasciata la parola agli interventi.

Don Piergiorgio Farina: insistere su una ecclesiologia di comunione; nella prossima settimana del Presbiterio a Loreto (principi teologici e spiritualità). Finora passi avanti pochi, solo tentativi senza un progetto comune. Bisogna guardare al bene della pastorale, ma anche a non demotivare le persone a quello che possono dare.

Don Andrea Turchini: atteggiamento di delega dei preti più anziani, alla soglia dei 75 anni: ”ci penserete voi”. Criteri comuni da accogliere.

Don Aldo Amati: Noi siamo in missione: “pescatori di uomini”. Missione e persona in funzione della missione. C’è un nucleo bello, partecipe. Ma avanza la periferia ecclesiale, avanza un incredulità diffusa, sul piano formativo: educarsi ad un maggior impegno.

Don Dino Paesani: si avverte che un cambiamento è necessario. Grande risorsa è la famiglia, e laici formati (preziosità del nostro Istituto di Scienze re-ligiose)

Don Biagio Della Pasqua: piano sacramentale, recuperare la realtà della Chiesa particolare. Su cosa è radicata, su cosa nasce. Sul piano spirituale, vivere il dato teologico: una spiritualità trinitaria. Necessità della formazione culturale: decifrare le vie nel nostro mondo; laboratori che aprano prospettive nuove. C’è un laicato che viene per es. all’ istituto di Scienze religiose, ma non è mandato dalle parrocchie.

Don Giuseppe Maioli: rendersi conto della strada già fatta. I nostri problemi si respirano ovunque. La Chiesa, per testimoniare Cristo, implica l’ esperienza della persona e della comunità. Maggior attenzione alla vita e alle situazioni.

Don Fiorenzo Baldacci: commissione non solo intra-presbiterio; molto me-glio con l’esperienza di vita dei laici Come dice don Dino, commissione mista con le famiglie.

Don Maurizio Fabbri: Esigenza dei preti di non condividere solo un pasto, ma condividere la passione pastorale, la valutazione delle esperienze fatte e di quelle in corso. Maggior comunicazione.

Don Marcello Zammarchi: passaggio epocale. La svolta epocale ci deve es-sere. Tanti diaconi permanenti, non solo sul piano numerico. La commissione colga le luci delle nostre comunità, recuperi il loro fascino. Se no, la stanchezza rischia di offuscare la felicità.

Don Stefano Sargolini: non la pastorale al primo posto, nella destinazione dei sacerdoti, ma il criterio della fraternità.

Don Fabrizio Uraldi: coinvolgere il più possibile i sacerdoti. Valorizzare l’op-portunità di Loreto, facendo due turni.

Don Roberto Battaglia: sostenere la fede dei preti. Appartenenza a Cristo. Ogni confratello è affidato l’uno all’altro. Commissione all’interno del Consiglio Presbiterale.

Don Danilo Manduchi: conciliare le esigenze della missione e le esigenze delle persone, chiedendo alle persone, nel territorio, diverse tipologie di pasto-rale integrata.

Infine la proposta della maggioranza è una Commissione con un numero

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Attività del Presbiterio

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approssimativo di 3-5 preti nominati dal Consiglio Presbiterale e 2-3 preti no-minati dal Vescovo. Il Consiglio resta diviso circa il coinvolgimento o no dei laici nella Commissione.

Votazione: 20 Votanti don Gianpaolo Bernabini 7 voti; don Biagio Della Pasqua 6 voti; don Piergiorgio Farina 6 voti; don Andrea Turchini 4 voti; Mons. Dino Paesani 4 voti.

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Incontri e ritiri

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Tutti i Membri sono presenti.

Dopo la preghiera ed una riflessione di mons. Vescovo, prende la parola d. Andrea Turchini, presentando una sintesi del Convegno Diocesano sull’educa-zione: ”Educare alla vita buona del vangelo”. In particolare il Vescovo nelle sue conclusioni al convegno ha rilanciato tale impegno:“La prima consapevolezza riguarda il perché dobbiamo educare. Rispondiamo: perché si deve e perché si può! Educare si deve, perché l’uomo non cresce né si sviluppa da solo; fin dalla nascita ha bisogno di essere accompagnato… Per questo obbiettivo irrinunciabile, risultano decisivi e determinanti tre luoghi: la famiglia, la parrocchia, la scuola". Dopo il Convegno sull’Educazione si sono incontrati insieme su questo tema il Consiglio Presbiterale ed il Consiglio Pasto-rale Diocesano il 2 maggio scorso.Al termine, dopo aver enucleato 3 punti, si mantiene aperta la riflessione sull’i-niziazione cristiana nei prossimi tre anni, domandandosi dopo il Convegno: Come procedere da questo punto? Quale riflessione e quali linee d’azione?Terminata la presentazione prende la parola d. Dino Paesani: viene comunicato il lavoro svolto ,nel periodo estivo dalla commissione diocesana sulla Pastorale Integrata.Punto di riferimento per partire con la riflessione rimane la nota del 2004 sulle Zone Pastorali.Occorre porre attenzione ai fondamenti: la questione è prima di tutto di natura spirituale! Le fonti della pastorale di comunione sono la Parola, l’Eucarestia, la carità fraterna e aperta al mondo. Affermare l’ideale su cui dobbiamo conver-gere tutti: le unità pastorali per una nuova pastorale missionaria sul territorio. I primi referenti da coinvolgere e formare sono i presbiteri. Fraternità e collegia-lità. La formazione delle comunità e degli operatori pastorali: Parola, Liturgia, Discernimento comunitario. L’esigenza di un accompagnamento paterno delle nuove esperienze che nascono. L’attenzione agli ambiti di vita umana e agli ambienti di vita sociale.Alcuni punti rimangono aperti e occorre svilupparli ulteriormente, sia a livello di commissione che di organi collegiali:

• Il rapporto tra unità pastorale e singole parrocchie• Quale percorso per una formazione sulla Parola di Dio, che diventi fon-

Consiglio PresbiteraleTerza riunione 2011 - 14 Settembre - In Seminario

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te per una vita comunitaria e per l’annuncio missionario?• Quale percorso per una formazione liturgica, che diventi fonte per una

vita comunitaria e per la testimonianza di carità?• Quali nuove ministerialità occorre suscitare o riconoscere per la com-

posizione delle équipe missionarie nelle unità pastorali?• Infine Don Dino Paesani sottolinea come la Commissione, che il Vesco-

vo ha voluto, è semplice strumento del Consiglio Presbiterale, perché questo possa condividere con il Vescovo, il Vicario Generale e il Vicario per la pastorale l’impegno della chiesa di annunciare il vangelo ad ogni creatura.

Alcuni interventi:• Don Pierpaolo Conti: sostegno alla pastorale attuale, stando attenti alle

zone pastorali;• Don Giuseppe Maioli: come visibilità ecclesiale l’equipe è la guida, ma il

sacerdote? La comunione nella chiesa non è identificabile con l’ equipe.• don Piergiorgio Farina: pastorale integrata, non come frutto di ingegne-

ria, ma per il crollo del modello di cristianità. Ci vuole un modello più luminoso di chiesa: le liturgie parrocchiali feriali non sono più così.

• Mons. Aldo Amati: rapporto tra presidenza e sinodalità. Nel monastero la responsabilità ultima è dell’ abate. La comunione di vita tra più sacer-doti ha bisogno di un punto di riferimento.

Al termine della relazione di Don Dino Paesani, il Vescovo ha sottolineato l’ importanza dei temi trattati, che dovranno essere comunicati nei prossimi Pre-sbiteri.

Prende la parola d. Tarcisio Giungi, Vicario per la pastorale, per presentare il progetto Iniziazione Cristiana dei bambini e ragazzi.1. Perchè un cambiamento nella prassi di Iniziazione Cristiana? È cambiata la società e gli ambiti generativi della fede (famiglie, scuole, paese) non generano e non accompagnano più. La catechesi si trova sola a dover sopportare il peso della nascita stessa della fede.2. A che punto siamo in diocesi? Nella scorsa primavera è sorta una equipe che ha lavorato per molti mesi e continuerà a lavorare. Per conoscerne i frutti e gli strumenti per la sensibilizzazione e la formazione.3. Cosa occorre perché questo nuovo progetto di Iniziazione Cristiana possa avere successo, pur senza nascondersi le difficoltà e senza avere risolto tutti i problemi?

Un clima generale di simpatia e disponibilità a ricercare, anche se non tutti per il momento si potranno mettere in gioco direttamente (si tratta appun-to di sperimentazioni).Un lavoro di sensibilizzazione delle comunitàUna adeguata formazione dei catechisti, più direttamente coinvolti: cate-chisti battesimali e altri catechisti.

Conclude la sua relazione d. Tarcisio con alcune domande.

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Quale clima si respira in diocesi e specialmente tra i preti in ordine a questo progetto?

Quali avvertenze dobbiamo avere per non fare “un buco nell’acqua”?Come ci sentiamo interpellati nei vicariati e nelle zone pastorali ? Quali passi dovremmo fare tutti perché si possa avviare un reale cambiamento?

Si è lasciata la parola ad alcuni interventi:Don Piergiorgio Farina: sconcerto tra preti e catechisti. Reazione non così po-sitiva. La cresima è stata presentata fino ad oggi come tappa di una raggiunta maturità cristiana e pedagogica. Cosa fare dei catechismi?Don Biagio Della Pasqua: ha incontrato le esperienze di Brescia e di Milano. A Brescia vi è stata una preparazione di 3 anni con i sacerdoti e i catechisti, con propri testi.A Milano è stata lanciata troppo in fretta; questa diocesi soffre della crisi degli Oratori.Don Aldo Fonti: la famiglia non genera, non accompagna più. Bisogna formare le famiglie e trovare tra loro chi ha un dono, un carisma.Don Pierpaolo Conti: due anni di formazione con i preti nelle varie zone. Ca-techisti: sottolineare non solo il cambiamento, che genera paura, ma manca il coinvolgimento spirituale.

Al termine del dibattito e dei vari interventi d.Tarcisio ha ribadito di non aver fretta ,e che solo alcune parrocchie per ora iniziano a sperimentare.Prende la parola il Vescovo: bisogna curare la comunicazione. Bisogna partire da una conversione pastorale-spirituale. Non dobbiamo seguire il modello sco-lastico. Dobbiamo recuperare le motivazioni, ritornare alle sorgenti, andare in profondità : misurarci con il cambiamento

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Si è svolta a Loreto dal 21 al 24 novembre presso la Casa di Spiritualità Sa-lesiana la Settimana di fraternità Presbiterale dal titolo “La comunione presbiterale. Condivisione di vita e azione pastorale”

Il programmaLunedì 21

ore 10,30: Introduzioneore 11: “La Pastorale integrata”A cura della Commissione Diocesanaore 16: Ora mediaore 16,15: Discussione in Assembleaore 18,30: Vespro e S. Messa

Martedì 22ore 8: Celebrazione delle Lodi ore 9,15: “La grazia della relazione: dalla spiritualità della condivisione alla condivisione della spiritualità”ore 11,30: S. Messaore 16: Ora mediaore 16,15: “Relazione interpersonale e formazione permanente: docilitas relationalis”ore 17: Gruppi di studioore 18,30: Vespro e S. Messa

Mercoledì 23ore 8: Celebrazione delle Lodi ore 9,15: “Lo stile relazionale presbiterale e le sue caratteristiche”ore 11: S. Messa al Santuario di Loretoore 16: Gruppi di studioore 17: Discussione in Assembleaore 19: Vespro

Giovedì 24ore 8: Celebrazione delle Lodi ore 9,15: Conclusioni del Vescovo

Settimana di fraternità presbiterale

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Giovedì 24 Dialogo in Assembleaore 11,30: S. Messaore 12,30: Pranzo Ore 13,30: Partenza

L’Animatore della settimana è stato AMEDEO CENCINI, sacerdote canossiano. Ha conseguito la licenza in scienze dell’educazione all’Università Salesiana e il dottorato in psicologia all’Università Gregoriana; si è poi specializzato in psico-terapia all’Istituto Superiore di Psicoterapia analitica. Docente e formatore, ha scritto numerose opere, tra le quali ricordiamo una trilogia sul celibato sacer-dotale e religioso, una trilogia sulla vita comune e una trilogia sulla formazione permanente. Dal 1995 è consultore della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.

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Organismi Pastorali

Consiglio Pastorale Diocesano 19 ottobre 2011 ...................................................... 106Consiglio Pastorale Diocesano 19 ottobre 2011 ...................................................... 115

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Presenti: Anna Cicchetti, Sr. Paola Rado, don Renzo Gradara*, don Luigi Ricci**, Belletti diac. Alberto, Roberto Manzelli, Stefano Coveri*, Soldati Rober-to, Franco Casalboni, Liana Calzecchi, Fabbri Denis, Valentina Donati*, Rossano Guerra, Silvano Perazzini, Roberto Cesarini, Don Antonio Moro*, Anna Maria Annibali, Paolo Guiducci, Paolo Mancuso, Stefano Morolli, Stefano Giannini Na-vetta Veris**

[*] presenti solo nella prima parte[**] presenti solo nella seconda parte

Assenti: Luciano Chicchi, Concettina di Filippo, Giuseppe Pronti, Primo Fonti, Natalino Valentini, Guiduzzi Francesco, Ivan Pesaresi, Alberto Cenci, Pa-dre Donato Santini

Ordine del giorno: Riflessioni sulla Pastorale Integrata e contributi possi-bili del CPD

Il Vescovo Francesco guida la preghiera iniziale. Riflessione a partire dal versetto di San Paolo: “Offrite voi stessi a Dio come

viventi tornati dai morti”. Questo siamo diventati con il battesimo. Noi abbiamo già fatto l’esperienza della morte e della resurrezione. Già con sepolti con Cristo nella vasca battesimale che è per noi sepolcro e Madre. Battesimo è anticipo di un compimento che vedremo nella vita eterna ma che già comincia nella vita terrena. Offrite a Dio, ma per gli Ebrei si potevano offrire solo animali vivi, quin-di possiamo offrire noi stessi e non animali che con noi e con i nostri peccati non centrano niente. Possiamo invece offrire la nostra vita da cristiani risorti. Che questo anno del battesimo non sia solo un anno durante il quale ogni tan-to parliamo di Battesimo, in cui lo si celebra e lo si archivia, ma sia un anno di riscoperta per aiutare i nostri fratelli a riscoprirlo. Il Battesimo fa la differenza, una differenza che con il tempo si è scolorita per cui tanti cristiani si ispirano al buon senso piuttosto che al Vangelo, tanti hanno ridotto il cristianesimo ad un comportamento onesto, anche buono magari, ma dove non brilla più la “diffe-renza cristiana”.

Consiglio Pastorale DiocesanoVerbale del primo incontro dell’anno pastorale 2011/12in data 19 ottobre 2011Sala Santa Colomba

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Introduzione Vescovo fa una breve introduzione al tema della Pastorale integrata sul qua-

le il CPD lavorerà in questo anno, sulle ragioni della istituzione della Commis-sione per la Pastorale Integrata a partire dalla lettera con la quale l’ha indetta. La parrocchia rimane il dato fondamento e il suo punto di partenza. Ne sono il rinnovamento missionario. Promozione di una spiritualità di comunione (che non nasce “per decreto” ma dallo Spirito). La comunione è un dato imprescin-dibile per il suo rinnovamento. Integrati sia gli operatori pastorali che i diversi settori della pastorale in un quadro ampio. Il ridistribuire il clero e delle parroc-chie ne è solo una delle conseguenze. Perché non sia una semplice ingegneria ecclesiastica, occorre attivare un processo che su questo coinvolga l’intero po-polo di Dio (presbiteri e laici). Il vescovo ricorda anche i nomi dei componenti la commissione per la pastorale integrata che hanno compiti di studio, di pro-posta e di animazione.

Svolgimento dei lavori:Stefano Giannini introduce tecnicamente lo svolgimento della serata .Don Andrea Turchini espone la sua relazione (riportata in fondo a questo

verbale)L’intervento termina alle 21:35.Spazio agli interventi che aiutano a chiarire prima della suddivisione nei

due gruppi di lavoroCondivisione a partire dalle domande.

Don Renzo Gradara: distinzione tra “unità pastorali”, cioè la strategia pasto-rale, e “pastorale integrata”, cioè il come vivere la dimensione pastorale con ciò che comporta per la vita della comunità cristiana. La Pastorale Integrata non è da mettere in relazione solo con le unità pastorali, ma essa va attuata sia a livel-lo della parrocchia che a livello diocesano. Nell’ultimo CPD abbiamo detto che a partire dal Convegno sull’educazione, la dimensione e la prospettiva educativa della nostra pastorale rientra nella PI e ne è prospettiva fondamentale. Essa è stimolata dallo strumento dell’Ufficio Pastorale. Nella Nota pastorale del 2004 ci sono già prospettive ed embrioni della PI già presenti nel territorio, magari in un territorio non sempre ben definito ma che comunque esiste: corsi per mini-stri e catechisti a livello vicariale e tra parrocchie limitrofe. Ci sono ad esempi le esperienze come le Caritas interparrocchiali. Ci sono quindi molti elementi che si possono valorizzare in ottica meglio definita. Chiarire quindi compito del CPD e il ruolo delle aggregazioni laicali. Buona la loro presenza a livello diocesano ma non sempre integrabili a livello di zona.

(Il Vescovo ci lascia alle 20:20 per la Visita Pastorale)

Don Andrea Turchini: il lavoro del CPD dovrebbe prendere atto di queste nuove realtà che per i preti sono già più conosciute oppure delle esperienze delle zone pastorali già avviate. Il grosso lavoro è essenzialmente culturale, di cultura comunitaria. Le nostre realtà sono proiettate nella prospettiva di difen-

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dere l’esistente, cioè quando ci sono dei problemi, vediamo che le cose non vanno bene, ma tendiamo ad attestarci sull’esistente in modo rassicurante piut-tosto che pensare a come rivedere la realtà per vivere in modo positivo questa sfida. nei confronti delle prassi pastorali siamo di fronte ad una sfida, a partire dalla quale il CPD deve aiutare a pensare come aiutare le comunità ad uscire da una logica difensiva dell’esistente verso una logica che coglie questa situazione critica come una opportunità per rilanciare l’impegno missionario. Inoltre il CPD potrebbe affrontare l’esigenza ed il tema delle “nuove ministerialità”. In altre diocesi sono state individuate delle “coppie o famiglie ministeriali” a cui è stata affidata l’animazione di una comunità parrocchiale all’interno di una unità pa-storale. È possibile andare in questa prospettiva? Inoltre, se andiamo verso una PI, la territorialità che si esprimerà nella unità pastorale, come vivrà la liturgia che di per sé ad una comunità concreta, una realtà comunitaria che assume una forma diversa da quella alla quale siamo abituati.

Roberto Soldati: se vogliamo essere missionari per portare la Parola dove ancora non c’è o dove è andata persa, dobbiamo avere la capacità di fare vedere che essere cristiani è una cosa bella. Spesso nelle nostre chiese oggi questo non è evidente. Se andiamo fuori senza una gioia evidente e convincente, lo dobbiamo fare per ascoltare la vita delle persone con modalità nuove. I nostri operatori pastorali devono avere coscienza di questa gioia per poterla portare alla gente. Chiediamoci se siamo innovativi o siamo ancora ancorati a modelli di troppo tempo fa.

Fabbri Denis: vedere le esperienze in atto in altre diocesi per valutarne gli aspetti negativi e positivi.

Stefano Coveri: attenti a che questo non sia un atto di ingegneria pastorale solamente. Nasce da una necessità che chiede risposte, ma la necessità non deve essere l’unico binario che detta le scelte. La società è cambiata e va verso l’abbattimento delle barriere verso un allargamento territoriale e quello globale (associazioni sempre meno locali). La PI funzionerà se si arriva a costruire una comunità nell’Unità Pastorale ampia. Le parrocchie se funzionano non sono solo strutture ma diventano comunità parrocchiali. Servirà una nuova identità allargata degli operatori pastorali. Non dobbiamo solo superare il campanili-smo, ma cambiare il campanile.

Don Antonio Moro: già nella nota pastorale del 2004 si richiamava un la-voro sugli ambiti di vita che nelle parrocchie fa fatica a decollare. Recupero del rapporto tra associazioni parrocchia e movimenti. Questo è un possibile ambito di impegno del CPD.

Pausa 20:40 Ripresa dei lavori alle ore 22:30

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Gruppi:

Silvano Perazzini Stefano Giannini (fa il verbale)(Sala Uffici Pastorali) (Sala Santa Colomba)Belletti Diac. Alberto Sr. Paola RadoStefano Morolli, don Luigi RicciFranco Casalboni Liana CalzecchiPaolo Mancuso Anna Maria AnnibaliPaolo Guiducci Roberto CesariniFabbri Denis (fa il verbale) Anna CicchettiSoldati Roberto Roberto ManzelliRossano Guerra Veris Navetta

Domande per il lavoro nei gruppi:• Che cosa il CPD può fare a livello diocesano e a livello zonale/parroc-

chiale per aiutare lo sviluppo di questo percorso sulla pastorale inte-grata?

• Come contribuire a formare una mentalità che sostenga la logica del-la pastorale integrata? Su quali punti ci sembra importante insistere? Quali nodi individuiamo perché le comunità progrediscano in questa prospettiva?

Il lavoro dei due gruppi verrà raccolto I gruppi terminano la propria attività alle 22:30 e si incontrano in plenaria

per la preghiera conclusiva guidata dal vicario Don Luigi Ricci.

Termine dei lavori alle ore 22:40

CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO19 ottobre 2011

La scelta della Pastorale integrata coinvolge molte diocesi italiane e non solo. L’idea della pastorale integrata va di pari passo in quasi tutte le esperienze dio-cesane con la costituzione di Unità Pastorali (UP) che sono così definite:

“L’unità pastorale è nuovo soggetto pastorale, riconosciuto nel progetto pastorale diocesano, che fa riferimento a un’area territoriale che ha caratteri di omogeneità, nella quale sono presenti più comunità parrocchiali impegnate in modo unitario e organico in una azione pastorale espressa con ministerialità diverse, con la guida di uno o più presbiteri, al fine di un’efficace azione missio-naria nel territorio e di risposta ai suoi problemi”.

Si può subito dire che le UP esprimono il risultato della coniugazione armo-nica di quattro istanze: la comunione, la ministerialità, la missione e il territorio, tipiche della Chiesa fin dagli inizi, con la necessità di venire incontro al proble-

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ma della diminuzione numerica del clero. Tale coniugazione è realizzata in realtà molto diversificate: città, centri ur-

bani con situazioni di omogeneità comuni a più parrocchie; comuni e valli con frammentazioni di frazioni e paesi, ma con uguali problematiche sociali; catego-rie particolari di persone; più parrocchie unite in solido con lo stesso parroco, ri-sorse di persone più o meno vicine e che condividono la mentalità soggiacente, strutture adeguate o da rimettere in sesto o da valorizzare meglio….

Il carattere di “specificità” di questo soggetto viene senza dubbio dal “quali-ficante” riferimento alla comunione, alla ministerialità e alla missione (già pun-ti di forza di altre esperienze pastorali simili, non solo immediatamente dopo il Vaticano II°) ma, in particolare, dall’attenzione all’ “omogeneità” (non solo alla vicinanza tra parrocchie) del territorio inteso come habitat umano sintesi di dimensioni simboliche-culturali (panorami, edifici, luoghi particolari, radici, legami affettivi…), strumentali-economiche (funzioni e servizi, come la scuola, la sanità, il commercio, l’occupazione, il tempo libero per cui si ha mobilità e flussi di popolazione all’interno di un’area ben definita), istituzionali-sociali (lo stanziamento residenziale con le sue reti sia primarie – famiglia, parentela, amici – sia secondarie -associazioni, istituzioni rappresentative, tra cui eccelle il comune o il consorzio fra più comuni) religiose… e non solo e primariamente come confine geografico1. (don Giovanni Villalta, Diocesi di Torino)

Le unità pastorali, con denominazioni diverse, sono state avviate nel 1992 in circa 100 delle 224 diocesi italiane. Fin dalle prime realizzazioni il COP ha dedicato convegni e seminari di studio (Assisi 93; Bertinoro nel 1999; Anagni 2001; Verona 2003; Assisi 2005) per seguirne gli sviluppi

Anche la 60^ settimana nazionale dal titolo. “ Nuove forme di comunità cristiana” (Como 2010) è stata dedicata alla valutazione di questo cammino.

Viene confermata la validità della parrocchia, ma si coglie l’urgenza di un profondo rinnovamento: si deve passare dall’idea che il territorio appartiene alla parrocchia, all’idea che la parrocchia è in missione in un territorio.

Se il punto di partenza, quasi ovunque, è stato il vistoso calo dei sacerdoti, ci si è ben presto convinti che si richiedeva un impegno pastorale globale onde evitare la frammentarietà, la sovrapposizione e, a volte, la contrapposizione degli interventi pastorali promossi dai diversi soggetti sul medesimo territorio.

Emerge come l’unità pastorale prima di interessare una realtà geografica suppone una coraggiosa scelta pastorale in forza della quale si valorizzano più e meglio tutti gli operatori pastorali che sono già all’opera. Parlando di operatori pastorali il discorso si allarga a tutti i battezzati, perché partecipi del ministero sacerdotale, profetico e regale di Cristo. Ci si interroga su quali nuovi ministeri necessitino per la missione sul territorio e sul modo di promuoverli; o meglio sul modo di individuarli e riconoscerli dal momento che è lo Spirito a suscitarli.

L’invito di Gesù, a pregare il Padrone della Messe perché mandi operai nella sua Messe, è valido non solo per le vocazioni sacerdotali, missionarie e reli-

1 Cfr. G. CAPRARO, Verso una presenza più articolata di comunità cristiane sul territorio, in AaVv., Unità pastorali.Quale…,op.cit., 82-83.

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giose, ma anche per tutti gli operatori pastorali necessari alla missione della Chiesa.

Le ricerche statistiche hanno un valore limitato, ma sono pur sempre moti-vo di riflessione. L’ultima ricerca sulla religiosità degli italiani (Garelli 2010) fra gli altri dati: coloro che: credono in Dio, frequentano settimanalmente la Messa, hanno fiducia nella Chiesa, sono il 18%;

coloro che: non credono in Dio, non frequentano la Messa, non pregano, non hanno fiducia nella Chiesa, sono il 12%.

Tra questi due estremi c’è quel 70% che rappresenta la maggior parte della nostra gente.

Poi rimane sempre vero che la Missione della Chiesa si rivolge a tutti.

Il Cammino che ci aspetta non è nuovo, non è ancora da cominciare, non ci trova protagonisti isolati, ma camminiamo assieme a tutta la chiesa italiana e non solo.

E’ necessario che ci armiamo di pazienza, di fiducia, di perseveranza sicuri che i primi passi sono già stati mossi e i frutti nel futuro non mancheranno.

Il cambiamento in atto non dipende da noi, non possiamo decidere di arre-starlo; siamo chiamati a viverlo, a riconoscere i segni dei tempi e a individuare i passi possibili per noi.

E’ un cammino che necessita la collaborazione di tutti indipendentemente dall’età e dalle caratteristiche personali (nessuno è superato o non necessario).

La Commissione, che il Vescovo ha voluto, è semplice strumento del Con-siglio Presbiterale, perché questo possa condividere con il Vescovo, il Vicario generale e il Vicario per la pastorale l’impegno della chiesa di Annunciare il Vangelo ad ogni creatura.

I lavori della CommissioneDa quando è stata costituita, la commissione si è riunita in cinque occasioni

ed ha cercato di impostare il lavoro che ci attende. Il punto di riferimento per partire con la riflessione rimane la nota pastorale del 2004 sulle Zone Pasto-rali. Dal confronto vissuto in questi quattro primi incontri della commissione è emerso quanto segue:

- attenzione ai fondamenti/1: la questione è prima di tutto di natura spiri-tuale!

Parlare di Pastorale Integrata [PI] – come affermato dal Vescovo fin dal primo incontro - ci riporta a pensare come concretizzare la spiritualità di co-munione in questo tempo della vita della Chiesa. Non si tratta di ripetere degli enunciati, ma di rendere concreta questa essenziale dimensione della vita della Chiesa che tante volte ci siamo sentiti richiamare.

Se il primato è spirituale coloro che sono chiamati a condividere l’espe-rienza della PI e a dare forma ad esperienze ecclesiali che vadano in questa direzione, devono condividere uno stile di vita spirituale attento ai fondamenti. In questo senso la dimensione oggettiva della proposta deve coniugarsi con l’attenzione alle persone e alla loro concreta disponibilità a mettersi in gioco.

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- attenzione ai fondamenti/2: le fonti della pastorale di comunione (inte-grata) > la Parola, l’Eucaristia, la carità fraterna e aperta al mondo.

Parlare delle fonti significa riconoscere che la PI non è un’opera di ingegne-ria pastorale, come a volte si teme, ma è la risposta ad un vita ecclesiale aperta all’accoglienza dei grandi doni di Dio: la Parola di Dio, l’Eucaristia, la carità fraterna e aperta al mondo. È a partire da un’esperienza di vita nutrita in modo significativo da questi doni che può nascere una spiritualità di comunione e tra-dursi in concreto una pastorale di comunione (integrata). Lavorare sull’essen-ziale è fondamentale perché solitamente ciò che ci divide è soprattutto ciò che è relativo (dall’assolutizzazione del relativo nascono i campanilismi), mentre sull’essenziale siamo chiamati ad essere uniti “a priori” (NMI 45).

- affermare l’ideale su cui convergere tutti: le unità pastorali per una nuova pastorale missionaria sul territorio.

L’obiettivo non è la collaborazione tra le parrocchie o gli altri soggetti eccle-siali, ma una vera PI che sul territorio si esprime nella forma dell’Unità Pastorale guidata – nel rispetto delle diverse vocazioni e dei diversi ministeri - da un’e-quipe missionaria formata da preti, diaconi, religiosi e laici impegnati. Verso questo ideale occorre impegnarsi a camminare tutti.

Non in tutte le realtà territoriali sarà possibile realizzare immediatamente l’ideale; occorrerà dunque mettere in atto alcune forme di integrazione (più che collaborazione almeno nelle intenzioni) che facciano progredire verso l’ideale.

- i primi referenti da coinvolgere e formare sono i presbiteri. Fraternità e collegialità.

Occorre aiutare a tradurre in concreto gli enunciati della comunione presbi-terale, della fraternità sacerdotale e della dimensione collegiale del presbiterio. Occorre aiutare a ricuperare e a condividere in modo cosciente gli elementi della fraternità presbiterale prima e al di là di ogni possibile convivenza. I pre-ti devono essere aiutati a ricuperare la responsabilità di presiedere collegial-mente una comunità impegnata nell’evangelizzazione del territorio e capace di coinvolgere tutti i credenti, con tutti i carismi, le vocazioni e i ministeri. In que-sto senso – l’argomento va approfondito con cura – anche se può essere utile conservare tutte le parrocchie come stazioni di evangelizzazione, si pensa utile superare la destinazione di un parroco per ogni parrocchia, formando piuttosto dei collegi di presbiteri che insieme ad altri ministri animino l’evangelizzazione del territorio. Occorre evitare ogni tentazione di fuga individualistica ed auto-referenziale che vanificherebbe il cammino di comunione e di integrazione.

Per questa formazione occorre valorizzare i momenti della vita del presbi-terio (incontri di vicariato, assemblee, ritiri) puntando molto sulla qualità della proposta (Cfr. Proposta degli incontri di questo anno).

- la formazione delle comunità e degli operatori pastorali: Parola, Liturgia, Discernimento comunitario.

Un cammino ecclesiale di PI non può procedere senza una serio progetto di formazione delle comunità e degli operatori pastorali che tenga presenti questi tre pilastri della formazione anche se è necessario concretizzarne e specificarne le modalità concrete. L’obiettivo di tale formazione è giungere ad una corre-sponsabilità ministeriale in vista dell’annuncio e della missione.

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Quale formazione per nutrirsi della Parola e farla divenire Parola di vita?Quale formazione per una liturgia viva che divenga per i singoli e per la

comunità culmen et fons?Quale formazione per vivere un efficace discernimento comunitario nella

comunità che, interpretando i segni dei tempi e le domande di salvezza possa orientare l’impegno missionario ed educativo?

- l’esigenza di un accompagnamento paterno delle nuove esperienze che nascono

Non è difficile pensare che tutto questo non costi molta fatica alle comu-nità e ai presbiteri stessi. Sarà dunque fondamentale pensare ad un percorso di accompagnamento che possa monitorare e verificare il cammino delle realtà che partono verso una PI. Si vede anche importante “monitorare” la situazione personale dei preti sia sul piano umano che su quello spirituale per sostenerli nel far crescere la fraternità sacerdotale.

- l’attenzione agli ambiti di vita umana e agli ambienti di vita socialeL’impegno sul territorio non può far dimenticare gli ambienti di vita nei

quali è altresì necessario proporre un’evangelizzazione: la famiglia, ambienti del mondo giovanile, del mondo del lavoro, della sofferenza e del tempo libero… Da un attento discernimento comunitario ispirato dalla Parola e nutrito dall’Eu-caristia, nascerà un impegno per l’annuncio e le testimonianza del vangelo in tutti gli ambienti di vita.

Come procede il lavoro della commissione?à arrivare ad una definizione chiara e approfondita di cosa sia l’Unità pa-

storale per: chiarire bene l’ideale verso cui si sta camminando; aiutare le realtà zonali che già hanno attuato forme di collaborazione e sinergia a procedere nel cammino verso l’ideale riconoscendo cosa ancora manchi; avere chiaro un modello di comunità ecclesiale impegnata nella missione sul territorio su cui formare le varie ministerialità che dovranno sorgere.

à verificare le esperienza più significative realizzate in Italia negli ultimi 10 anni per evidenziare gli elementi di forza e gli elementi di debolezza che hanno fatto fallire o hanno reso vano l’intento iniziale (Brescia, Milano, Torino, Lodi, Piacenza, Cesena, Vicenza …).

à studiare insieme ai preti attualmente in servizio pastorale la proposta che era stata fatta dai vicariati nel 2003-2005 tempo in cui si era disegnata una mappa possibile per la costituzione delle Zone Pastorali (dopo la nota del 2004); verificare se quella mappa è ancora realistica, cosa sia effettivamente partito in questi anni, quali difficoltà sono insorte o quali resistenze si sono manifestate perché partisse qualcosa nella direzione di una pastorale integrata.

Dopo la fase di studio - sempre insieme ai preti ed ai consigli pastorali parrocchiali - disegnare una road map che progetti il percorso da svolgere nei prossimi 4-5 anni (considerando i passaggi intermedi) per arrivare alla costitu-zione delle UP nelle varie zone del territorio diocesano.

à accompagnamento delle esperienze nate di recente (Coriano, Bellaria, Riccione Mare, Cattolica): si tratta di esperienze nate dopo il 2010 e già partite

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nell’ottica dell’zona pastorale/unità pastorale. La partenza non è stata facile da nessuna parte; si tratta di accompagnare queste esperienze e sostenerle nelle eventuali difficoltà.

à ministerialità e formazione: la questione è cruciale perché la PI non è una cosa che riguarda solo i preti; è urgente individuare alcune ministerialità nuove che si collocano accanto a quelle già esistenti per sostenere e sviluppare la PI e le UP; accanto ai diaconi, ai ministri istituiti, ai ministri straordinari della comunione, ai catechisti dell’IC; … ai catechisti battesimali (in formazione da quest’anno), … forse è importante individuare alcune ministerialità che nasco-no proprio per la UP nella prospettiva della missione, del servizio al territorio, alle famiglie, agli ammalati, per l’animazione della Parola, della Liturgia, della Cultura, dell’Ecumenismo, dei giovani …; sarà importante creare reti virtuose tra tutti coloro che sono già impegnati sul territorio (scuole cattoliche, comunità religiose, associazioni e movimenti) nel rispetto della vocazione e del carisma di ognuno, ma impegnati in un’unica missione che è quella della Chiesa.

Questioni aperte da sviluppare sia in commissione che in altri am-biti collegiali

• Il rapporto tra unità pastorale e singole parrocchie• Quale percorso per una formazione sulla Parola di Dio che diventi fonte

per una vita comunitaria e per l’annuncio missionario?• Quale percorso per una formazione liturgica che diventi fonte per una

vita comunitaria e per la testimonianza di carità?• Quali nuove ministerialità occorre suscitare o riconoscere per la com-

posizione delle équipe missionarie nelle unità pastorali?

Alcune domande per il lavoro di questa sera:• Che cosa il CPD può fare a livello diocesano e a livello zonale/parroc-

chiale per aiutare lo sviluppo di questo percorso sulla pastorale inte-grata?

• Come contribuire a formare una mentalità che sostenga la logica del-la pastorale integrata? Su quali punti ci sembra importante insistere? Quali nodi individuiamo perché le comunità progrediscano in questa prospettiva?

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Domande per il lavoro di gruppo:• Che cosa il CPD può fare a livello diocesano e a livello zonale/parroc-

chiale per aiutare lo sviluppo di questo percorso sulla pastorale inte-grata?

• Come contribuire a formare una mentalità che sostenga la logica del-la pastorale integrata? Su quali punti ci sembra importante insistere? Quali nodi individuiamo perché le comunità progrediscano in questa prospettiva?

Gruppo coordinato da Stefano Giannini (fa il verbale)(presso Sala Santa Colomba)Sr. Paola Radodon Luigi RicciLiana CalzecchiAnna Maria AnnibaliRoberto CesariniAnna CicchettiRoberto ManzelliVeris Navetta

Roberto Cesarini: Esperienza delle parrocchie di Mater Admirabilis, Gesù Redentore e San Giuseppe. Le cose vanno bene, la cosa è estremamente po-sitiva. Mi sono ritrovato nella relazione di don Andrea che descrive i passi che anche noi abbiamo fatto. Le fondazioni sono importanti. Per 3 o 4 anni si è lavorato sulle fondazioni (agevolati dal fatto che don Matteo aveva già chiara unaa prospettiva nuova essendo nuovo anche lui). Parola, Eucaristia e Carità sono state il fulcro della sua pastorale. Siamo partiti dalla Parola: una lectio di-vina settimanale sempre più partecipata, la scrittura meditata pian piano ci ha formato. Poi si è iniziato a pensare a progettare iniziative fatte in comune con le parrocchie vicine, oltre che fare discernimento insieme tra consigli pastorali. Ci sono certo state contestazioni e obiezioni. Il nuovo campanile diventa Gesù Cristo. Abbiamo dovuto fare lo sforzo di passare da una fede pensata ad una fede pensata. Una volta che si è ben sicuri dei fondamenti, sul relativo si può ragionare. Le parole “zona” o “unità” pastorale non ci sono piaciute ed abbiamo deciso insieme che il termine più corretto poteva essere “comunità pastorale”,

Consiglio Pastorale DiocesanoVerbale del lavoro del Gruppo 1 sulla Pastorale Integrata in data 19 ottobre 2011Sala Santa Colomba

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che nel termine è ancora più impegnativo. Il nome con cui chiami le cose, non è indifferente! Abbiamo fatto la scelta di pensare un nuovo nome, che portasse a pensare alla Missione (il vescovo Francesco: “riccionesi, uscite dalle sacrestie”). Il nome doveva essere diverso da quelli delle parrocchie, che ora è “Sacra Fa-miglia” (Mater – Giuseppe – Gesù). Ora tutti si sentono appartenere al nuovo nome della comunità pastorale. Su questo si è cominciato a costruire, a partire dalla unione dei catechismi nel prossimo anno; la comunione dei sacerdoti anche come effettiva convivenza dei sacerdoti. Un problema è la celebrazione liturgica. Deve esser comunitaria, ma banalmente c’è un problema di spazi. Il CPD può fare un lavoro di risonanza e culturale. Confronto di esperienze. Un presidio sulle esperienze che si fanno. Se vogliamo partire dalle esperienze precedenti in questo campo, possiamo prendere in considerazione le prime co-munità, le quali si vedevano nelle case per andare incontro alla gente e perché non avevano spazi e ambienti a disposizione.

Liana Calzecchi: l’esperienza vissuta nei lavori del Convegno sull’educazio-ne ci dice che serve unità di intenti sulla liturgia.

Don Luigi Ricci: le resistenze maggiori anche sui giornali sono state fatte solo dai lontani, mentre è stato importantissimo il contributo e la reazione chi vive la comunità nota che non viene a mancare niente ma c’è un di più. Per questo il ruolo e la testimonianza dei laici è fondamentale.

Stefano Giannini: per aiutarmi a pensare in grande al cammino che ci aspetta per integrare la pastorale nelle unità pastorali, mi chiedo: ma se oggi dovessimo arrivare in un territorio in cui non c’è niente, cosa faremmo? Di quali ministerialità nuove avremmo bisogno e quali coglieremmo? A cosa dobbiamo fare fronte in un dato territorio per costruire la comunità che lì vive? Questo ra-gionamento mi aiuta a liberarmi da categorie predefinite che mi renderebbero difficile pensare in modo nuovo.

Veris Navetta: Essendo difficile coprire le zone coi sacerdoti che ci saranno e non si potranno più possibili orari delle messe così frequenti. Saremo portati a condividere le iniziative che vengono proposte sul territorio della unità pasto-rale senza rimanere più collegati ad una organizzazione prettamente territoriale o campanilistica.

Anna Maria Annibali: fare una pastorale negli ambienti di vita, con la ne-cessità di formare operatori pastorali di tipo nuovo. Case protette, ospedali, ecc, in cui sarà significativamente diverso e farà la differenza avere un opera-tore cristiano o meno. Tutte le pastorali che noi abbiamo sono comprese negli ambienti di vita ma non abbiamo ancora operatori pastorali pronti a questo. Impegnarsi a pensare come fare l’annuncio nel quotidiano di coloro che non hanno tempo di andare in parrocchia se non annunciarlo li dove vivono? Non è solo celebrare ma stare accanto e accompagnare.

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Liana Calzecchi: La Consulta lavora già in questo senso da parte di alcuni gruppi. Integrare il carisma e l’operatività di questi gruppi specifici. Alcuni aggre-gazioni più piccole stanno esaurendosi ma occorre recuperare il loro specifico attraverso il coinvolgimento delle persone che ne hanno vissuto il carisma.

Suor Paola Rado: parrocchie a volte possono apparire come semplici con-tenitori di iniziative in competizione tra loro. Questo è a causa della povertà spirituale, nell’incapacità di andare alle radici della propria vocazione partico-lare, incapacità di elaborare progetti pastorali condivisi. Un progetto pastorale deve essere espressione di un impegno e di una visione comunitari, e conte-stualizzato nello specifico territorio. Occorre una educazione alla condivisione e all’integrazione. Punto nodale è il coinvolgimento del laicato. Superare la lo-gica della delega riconoscendo il valore e la specificità della vocazione laicale attribuendo anche le giuste responsabilità. L’impegno dei laici costante e con sacrificio è fondamentale. Una parrocchia vicina alla gente, nell’ascolto dei mol-teplici bisogni. Ogni battezzato deve riconoscere l’urgenza dell’annuncio e della missionarietà senza delegarlo ai “soliti” della parrocchia.

Liana Calzecchi: RnS e altri movimenti sono chiamati mettersi a disposizio-ne a pensare e a farsi carico del cammino del post cresima. Può essere questa una pista per i Movimenti, nella quale anche non agire separati ma collaboran-do?

Roberto Manzelli: il CPD deve generare una prassi per le parrocchie per creare una mentalità nuova e definire con quali strumenti raggiungere questo obiettivo. Identificare come essere propositivi per promuovere i fondamenti nelle comunità che possano così favorire un clima recettivo. Fare un piccolo documento-strumento come linee guida per le parrocchie per recuperare i fon-damenti del cammino della comunità cristiana.

Roberto Cesarini: la rappresentatività del CPD ci può essere quella di costi-tuire gruppetti di lavoro da inviare nei CPP per avviare il percorso di accompa-gnamento e di tutor, per avviare uno scambio di esperienze.

Navetta Veris: nelle parrocchie si sa che stiamo affrontando la questione della PI, quindi ci si attende una proposta significativa. Essere testimoni e mis-sionari anche verso coloro che non sono cristiani ed essere in questo una pro-posta di vita “parlante” per le nuove generazioni o le nuove etnie.

Don Luigi Ricci: in 7 anni, avremo 10 preti in più e 35 preti supereranno i 75 anni d’età. Lo spirito e l’attuazione di una PI non è necessaria solo per ag-gregare le parrocchie, ma è una grossa opportunità soprattutto per quelle realtà parrocchiali molto grandi che hanno la necessità di avere un nuovo approccio con la realtà variegata delle persone sul territorio e negli ambienti di vita.

Stefano Giannini: partire non tanto dall’emergenza (la mancanza di sacer-

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doti e le immediate conseguenze dirette) ma dall’interrogarci su quale conver-sione pastorale e missionaria ci viene richiesta per fare incontrare Cristo con gli uomini e le donne di oggi. Come adeguarci al mondo che cambia?

Anna Cicchetti: la pastorale universitaria è un ambito di annuncio importan-te soprattutto per le persone extracomunitarie o italiani fuori sede (per studio o lavoro). CPD deve maturare uno spirito di condivisione e di dialogo, non di imposizione verso la realtà delle comunità che sono sul territorio, periferia dalla quale non si può prescindere.

Suor Paola Rado: per contribuire a creare una mentalità nuova, imparare da Verona. Centralità e valorizzazione della persona e dei rapporti interpersonali. 1) esigenza di lavorare in rete. 2) non essere tentati a personalizzazioni e com-petizioni che tradiscono la comunione ecclesiale. 3) verifica e discernimento su come è vissuta la comunione nella parrocchia. lavorare da soli, verifica di come si vive la comunione nella parrocchia, quali punti individuare. 4) quali nodi individuare perché la comunione prosegua, percorso non aggregativo ma integrativo, non insieme di persone qualsiasi ma in vista dell’unità verso pro-getti comuni. 5) Coinvolgimento del laicato. 6) sforzo comune su progetti di missionarietà e apertura al territorio.

Don Luigi Ricci: il punto 6 è il vero nodo: passare da una pastorale di con-servazione e di sacramentalizzazione ad una pastorale di Annuncio e di testi-monianza.

Anna Maria Annibali: oggi le nuove piazze sono i centri commerciali. Vedo come sbagliato il non avere un punto di incontro, una chiesa in una piazza come quella, così importante per la gente. Ci sono persone che si fermerebbero volentieri e che non hanno la possibilità concreta di raggiungere una chiesa e che vivrebbero questa come una possibilità.

Don Luigi Ricci: Discorso complesso quello dei centri commerciali, perché finiremmo per mettere nel pacchetto della spesa e del cinema anche la messa o il momento di preghiera.

Relazione Gruppo di lavoro n°2 coordinato da Silvano Perazzini (Sala Uffici Pastorali)

Silvano Perazzini Belletti Diac. AlbertoStefano MorolliFranco Casalboni Paolo Mancuso Paolo Guiducci Fabbri Denis (fa il verbale)

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Soldati Roberto Rossano Guerra

Si è richiamato i partecipanti a tenere ben presente le domande che sono state poste, in modo particolare quale sia la strategia corretta per sensibilizzare le ns. comunità.

In un primo momento sono state chiarite, da parte di vari consiglieri, le esi-genze per cui si è arrivati ad avere bisogno della PI: mancanza di vocazioni , ne-cessità di risposte a 360° ai bisogni delle persone che si rivolgono alla Chiesa.

Roberto Soldati: è necessario riunire la comunità tenendo presente le di-stinzioni, la diversità dei carismi, scoprire che qualunque sia il carisma che cia-scuna ha deve essere vissuto all’interno della comunità.

Riscoprire l’unità della persona (lavoro, figli, ecc) che però deve essere ac-colta all’interno della parrocchia o della UP. Ad es. utilizzare una pastorale tra-sversale (un argomenta che riguarda tutti).

Casalboni: al di là della formula usate, UP o PI , l’uomo di oggi aspetta Cri-sto, cosciente o meno. Non è un obiettivo programmato, ma insito nell’uomo; la risposta può arrivare nelle forme più disparate.

In parrocchia, nei movimenti, la gente rimane colpita quando vede un’uma-nità convinta. Lo Spirito è fantasioso, quindi è necessario tenere aperta questa finestra e non tentare di ingabbiarlo in schemi preconfezionati.

La chiesa è come una famiglia, guardiamo le nostre diversità, i nostri pro-blemi: questa diversità diventa ricchezza.

Speriamo che l’obiettivo non dia quello di uniformare la pastorale della Dio-cesi. C’è da domandarsi come mai , dopo 7 anni, che è stata fatta la proposta delle “zone pastorali” nulla o poco sia cambiato. Ci sono territorialità parroc-chiali molto disomogenee, per cui non si può pensare che la UP possa essere data solo dall’area geografica. Anche dal convegno di Verona, nei i 5 ambiti, si erano date delle indicazioni, ma probabilmente c’è la difficoltà che il cambia-mento deve passare attraverso i sacerdoti. Bisogna quindi rispettare i tempi necessari al presbiterio per adeguarsi alla proposta.

E’ comunque un lavoro che va al di là delle ns. capacità umane, veramente dobbiamo fidarci di Dio. Non servono regole da seguire, ma ci vuole molto altro, è necessario entrare nella concretezza, esempio che possiamo portare nelle ns. comunità. Puntare sui giovani, pongono meno resistenza alle novità, ad essere legati alla propria parrocchia. E’ un’esperienza che deve nascere dal basso.

Evitare forzature, dare prospettive per il futuro, far crescere la corresponsa-bilità dei laici

Denis : porta l’esperienza della propria zona pastorale: Le parrocchie di Re-gina Pacis, Cristo Re, San Giovanni e Colonnella stanno condividendo progetti comuni: catechesi, gruppi giovanili, comunione fra i sacerdoti che si ritrovano a

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pranzo e condividono le proprie esperienze.

Il coordinatore richiama a restare davanti alla domanda.

La Pastorale della comunione non è un vestito che si prende dall’armadio, va costruita, I sacerdoti devono testimoniare questa comunione. I laici possono e devono contribuire , forse potrebbero essere loro a decidere le zone pastorali, ambiti in cui pensare a lavorare insieme.

Necessaria una formazione specifica per i sacerdoti, coinvolgere i movi-menti che sono “sopra” le parrocchie , vivono realtà più ampie.

Pensare a organizzare incontri di formazione in diocesi per laici già impe-gnati nelle varie attività pastorali, che poi facciano da “rete” nei confronti della comunità.

Lavorare con i giovani , ascoltarli, qualunque sia la pastorale dobbiamo fare in modo che si incontrino con Cristo. Loro sono in grado di mettere in crisi tutte le grandi sovrastrutture che la Chiesa ha.

Noi stessi ci sentiamo chiamati a portare all’interno dei ns. consigli pastorali la novità della PI, nello stesso tempo dobbiamo ascoltare i problemi della genti, cosa la parrocchia, la Diocesi può fare per loro.

C’è bisogna di fare esperienze alle persone, proporre cose buone (mo-menti di preghiera) da fare in parrocchie limitrofe. Aiutare i ns. sacerdoti a fare comunione, farli innamorare delle proposte fatte dai laici se buone.

Dove si crea un buon rapporto fra il sacerdote e la propria comunità biso-gna mantenerlo , dalla nascita alla morte. Queste unità pastorali non vanno a discapito delle persone , è necessario che sacerdoti stia a contatto col territorio.

Pensare alla formazione di nuovi ministeri laici che siano di aiuto/supporto ai sacerdoti. Ad es. nella visita agli ammalati, nella gestione dei documenti, nell’accoglienza delle famiglie …..ecc.

Verificare sul territorio quali sono le esigenze comuni a più parrocchie.Iniziare già da ora, in parrocchie limitrofa qualche attività che faccia cono-

scere fra di loro le comunità (animazione culturale).

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Avvenimenti Diocesani

Festa del beato Alberto Marvelli .................................................................................... 124Iniziative per la Solennità di San Gaudenzo ............................................................. 125Scuola Diocesana Operatori Pastorali 2012 ............................................................... 127Don Pietro Cannini ........................................................................................................... 129

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Avvenimenti Diocesani

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In occasione della festa del beato, il Vescovo di Rimini Francesco Lambiasi ha presieduto la celebrazione eucaristica presso la chiesa di Sant’Agostino, in centro storico, a Rimini, mercoledì 5 ottobre alle ore 17.30.

In questa chiesa riposano i resti mortali dell’ingegnere della carità riminese, proclamato beato da papa Giovanni Paolo II a Loreto il 5 settembre 2004.

La Chiesa propone Marvelli come modello di “santità nel quotidiano” per i cristiani del terzo millennio. Giovanni paolo II, in occasione della visitapastorale a Rimini nel 1982, aveva affermato di lui: “Ha mostrato come, nel mutare dei tempi e delle situazioni, i laici cristiani sappiano dedicarsi senza riserve alla co-struzione del regno di Dio nella famiglia, nel lavoro, nellacultura, nella politica, portando il Vangelo nel cuore della società”.

In occasione della festa, mons. Lambiasi ha presentato e consegnato uffi-cialmente alla Chiesa riminese la Lettera Pastorale 2011, dal titolo “Giovani, dove sta la felicità?” è indirizzata ai giovani e ai loro educatori: genitori,insegnanti, educatori e guide spirituali. La Lettera è stata stampata in 15.000 copie.

L’Azione Cattolica diocesana è stata presente per la celebrazione dell’Impe-gno e ha animato la liturgia. Il coro interparrocchiale “Sant’Agostino” ha guidato i canti.

Festa del beato Alberto Marvelli

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Avvenimenti diocesani

Bollettino Diocesano 2011 - n.4

Venerdì 14 ottobre si è celebrata la solennità di San Gaudenzo, patrono della Città e della Diocesi di Rimini.

Nel Santo Vescovo e Martire si ritrovano le radici della storia cristiana della nostra terra. La festa di San Gaudenzo segna inoltre l’inizio ufficiale del nuovo anno pastorale.

La ricorrenza di San Gaudenzo vescovo e patrono della Diocesi è anche l’occasione in cui la Chiesa riminese rinnova l’espressione del suo affetto al suo Vescovo, mons. Francesco Lambiasi.

In occasione della Solennità di San Gaudenzo, la Diocesi di Rimini organiz-za una serie di iniziative correlate alla festa del Santo Patrono.

In preparazione alla Solennità, sabato 8 ottobre, alle ore 17.30, in Basilica Cattedrale, il Vescovo di Rimini Francesco Lambiasi ha ordinato un nuovo dia-cono in previsione del sacerdozio. Si tratta del 42 enne riminese don Eugenio Facondini.

Domenica 9 ottobre, alle ore 21, è stata proposta per la prima volta in Basilica Cattedrale “Missa Pacis”, di Amintore Galli, in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e sotto la direzione artistica di Gia-nandrea Polazzi. La “Missa” è stata interpretata dall’Orchestra dell’Istituto Mu-sicale “Giovanni Lettimi”, diretta da Filippo Maria Caramazza, e dal Coro Lirico Città di Rimini “Amintore Galli”, diretto dal Maestro Matteo Salvemini.

Giovedì 13 ottobre, in Sala Manzoni (presso la Diocesi), alle ore 21, si

è slvolta l’assemblea pubblica dei Consigli Pastorali Parrocchiali. Si tratta del secondo appuntamento con i CPP. In tale occasione è stato consegnato il pro-gramma pastorale 2011/2012 della Diocesi. Un breve video ha presentato l’at-tività pastorale del nuovo anno. Il Vescovo di Rimini terrà una breve medita-zione sull’anno battesimale e il sacramento del battesimo, mentre l’assistente dell’Ufficio Pastorale per la Famiglia don Giampaolo Bernabini illustrerà il lavo-ro dell’equipe sull’iniziazione cristiana.

Venerdì 14 ottobre, solennità di San Gaudenzo, Vescovo e martire, Patrono

della Città e della Diocesi di Rimini, in Basilica Cattedrale alle 17.30 solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo Francesco. Al termine della

Solennità di San Gaudenzo

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Avvenimenti Diocesani

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Bollettino Diocesano 2011 - n.4

Comunione Eucaristica è stata letta (e distribuita tra i fedeli) la preghiera com-posta dal Vescovo per questo anno pastorale.

In precedenza, alle ore 16.30 in Sala San Gaudenzo, presso la Diocesi,

tradizionale incontro del Vescovo di Rimini con le Autorità cittadine. In questa occasione, monsignor Francesco Lambiasi ha consegnato personalmente alle Autorità presenti alcuni documenti:

- Discorso del Santo Padre Benedetto XVI al Reichstag di Berlino, del 22 settembre 2011

- Prolusione del Cardinale Presidente della CEI Card. Bagnasco al Consiglio Episcopale Permanente del 26 settembre 2011

- Estratto del Documento Conclusivo del Consiglio Episcopale Permanente del 29 settembre 2011.

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Avvenimenti diocesani

Bollettino Diocesano 2011 - n.4

Dal 7 novembre al 12 dicembre si è svolta la scuola diocesana per operato-ri pastorali che si colloca come terzo livello di formazione della nostra Diocesi a cui rimandiamo.

I destinatari di questa scuola sono quegli operatori pastorali che hanno già acquisito una formazione di base nel loro settore di servizio e coloro per i quali è previsto che la formazione avvenga specificatamente in questo am¬bito (mi-nistri della comunione, mini¬steri istituiti, catechisti battesimali...).

I partecipanti alla Scuola per operatori pastorali normalmente vengono in-viati dalle rispettive comunità e non partecipano a titolo puramente personale.

La scuola si inserisce in un progetto Triennale che accompagna il piano pastorale della Diocesi: nel 2011 dedicato al Battesimo, nel 2012 alla Confer-mazione, nel 2013 all'Eucarestia.

Come ogni anno il corso è stato diviso in due parti: una prima parte unita-ria rivolta a tutti i corsisti, una seconda parte più specifica a seconda dei settori di impegno.

2011: anno del Battesimo

Il riferimento assunto per la parte comune al corso è il Rito per l'Iniziazione Cristiana degli Adulti (RICA) nella sua scansione temporale.

PROGRAMMA

7 novembreMons. Francesco LambiasiIl Battesimo: immersi nel suo amore. Annunciare la bella notizia della vita cri-stiana

14 novembre don Giampaolo BernabiniEvangelizzazione e primo annuncio: suscitare la fede in Gesù Cristo

21 novembredon Gianmario BaldassarriIngresso nel catecumenato: il discepolato nella comunità cristiana

Scuola Diocesana Operatori Pastorali 2012

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Bollettino Diocesano 2011 - n.4

28 novembrediac. Luigi BianchiniGli scrutini: l'impegno del cristiano nel mondo

5 dicembredon Andrea TurchiniLa mistagogia: l'accompagnamento nella formazione permanente del cristiano

12 dicembredon Tarcisio GiungiIl catecumenato modello della formazione cristiana (itinerari per fanciulli, gio-vani, famiglie)

LABORATORI DI FORMAZIONEa. Catechisti battesimali > d. G. Bernabinib. Ministri straordinari della Comunione > d. G. Baldassarri - d. M. Donatic. Pastorale biblica e della liturgia: accoliti e lettori > d. M. Donati e d. G. Bal-dassarrid. Catechesi dell'Iniziazione cristiana: il nuovo progetto > d. G. Giovanellie. Annuncio e accompagnamento di situazioni famigliari difficili

o irregolari > diac. C. Giorgetti

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Necrologi

Per mezzo secolo è stato il cappellano dell’ospedale di Riccione. Un punto di riferimento e sostegno spirituale per migliaia di pazienti e per i loro familiari. Don Pietro Cannini, 92 anni, se n’è andato in cielo, la notte di domenica 18 dicembre, proprio all’ospedale “Ceccarini” che dal 1962 era diventato anche la sua casa. Era stato ricoverato il giorno precedente, ancora in forza e lucidissi-mo come sempre. Ma il suo cuore non ha retto.

Grande la commozione in città. Non c’è, infatti, riccionese che non l’aves-se conosciuto, apprezzandone soprattutto la discrezione, il rispetto, la grande fede e la disponibilità.

Di passo lesto, con la stola al collo e Gesù nelle ostie consacrate che strin-geva al petto, a qualsiasi ora del giorno e della notte correva in tutti i reparti dov’era chiamato. Sotto certi aspetti era un prete di frontiera.

Come testimoniano medici e infermieri, non si tirava mai indietro, neppure quando era necessario dare una mano per altri lavori. Don Cannini, 60 anni di sacerdozio alle spalle, aveva celebrato l’ultima messa nella cappella dell’ospe-dale, sempre affollata, lo scorso 26 giugno, per cedere il passo a don Angelo Rubaconti, parroco di Misano. Poche settimane prima tutto il personale del “Ceccarini” assieme al direttore Romeo Giannei, aveva organizzato un mo-mento di festa per lui. Don Pietro per l’occasione aveva portato la sua ultima testimonianza di fede che aveva toccato tutti.

“Voglio fare un duplice ringraziamento. - aveva esordito - Il primo, ver-ticale, va a Dio che mi ha conservato la vita così a lungo e mi ha dato tanti doni per condurre la missione evangelica. Ho trascorso la mia vita prima per i bambini, poi per i poveri, gli anziani e gli ammalati, qui in ospedale, e quando c’era bisogno, a Casa Serena.

Il secondo grazie, orizzontale, va alle persone. I miei sessant’anni di sa-cerdozio li ho spesi in comune collaborazione, mai uno screzio con nessuno. In questo ospedale ci siamo sempre aiutati reciprocamente in tutto e con ri-spetto”.

In sala per l’addio tanta emozione, ma don Pietro si era lasciato convincere dal vescovo Monsignor Francesco Lambiasi, che mercoledì nell’affollata chiesa di San Martino, ha celebrato le esequie con tanti altri sacerdoti, a concedersi il meritato riposo nella Casa del Clero di Rimini.

Nato a Vecciano (Coriano), dov’erano venuti alla luce anche gli altri suoi dieci fratelli, don Cannini aveva cantato messa nel 1952. Era stato cappellano

Don Pietro Cannini Necrologio

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Avvenimenti Diocesani

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per due anni a Scacciano (Misano), e per altri quattro nella parrocchia di San Martino.

Il suo spirito missionario, che l’ha sempre spinto con energia a offrire con-forto e assistenza spirituale, anche nei momenti più drammatici, è stato sem-pre apprezzato da chiunque ha avuto la fortuna di conoscerlo. Come pure quel tenue sorriso che sapeva regalare a chi si fermava a parlare con lui. Doti ricono-sciute da tutti, tant’è che anche il Rotary Club Riccione-Cattolica, sotto la pre-sidenza di Orazio Motolese, gli conferì il premio “Paul Harris”, assegnato pure al latinista del Vaticano don Guglielmo Zannoni, scomparso qualche anno fa.

Nives Concolino

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BollettinoOttobre - Dicembre

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Direttore responsabile: Baffoni don RedeoSped. in abbonamento postale 70%Filiale di Forlì

Direz. Amministr.: Curia Vescovile, via IV Novembre, 35Rimini – Tel. 0541.24244Pubblicazione TrimestraleCon approvazione ecclesiastica

Progetto grafico e impaginazione - KaleidonStampa: Tipolito Garattoni - Rimini

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