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pagina 1 il Punt Fatti, notizie e riflessioni dalla Scuola d’Impresa della Facoltà di Ingegneria www.masterimpresa.it . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 » Da Adolf Hitler a Darth Vader Ovvero: il lato oscuro della leadership . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 » La piccola perla architettoni- ca del Mediterraneo Il punto di fuga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 » Come descrivere la comples- sità Leggi di potenza e frattali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 » Il marketing Scienza economica o scienza antropologica? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 » L’ACTA, un trattato contro- verso Il punto di vista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIUGNO 2012 Anno VI, Numero II Direttore responsabile: Agostino La Bella Redazione: Maria Assunta Barchiesi, Elisa Battistoni, Guendalina Cape- ce, Bruna Di Silvio, Marco Greco, Cristina Landi, Federica Lorini, Gian- luca Murgia Progetto grafico, copertina e impaginazione: Silvia Castellan

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il Punt

Fatti, notizie e riflessioni dalla Scuola d’Impresa della Facoltà di Ingegneria

 www.masterimpresa.it

             . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 » Da Adol f H i t ler a Darth Vader Ovvero: il lato oscuro della leadership . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

7 » La p icco la per la arch i tet ton i - ca de l Medi terraneo Il punto di fuga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 » Come descr ivere la comples-s i tà Leggi di potenza e frattali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

12 » I l market ing Scienza economica o scienza antropologica? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

16 » L ’ACTA, un t rat tato contro-verso Il punto di vista

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

GIUGNO 2012 Anno VI , Numero I I Direttore responsabile: Agostino La Bella

Redazione: Maria Assunta Barchiesi, Elisa Battistoni, Guendalina Cape-ce, Bruna Di Silvio, Marco Greco, Cristina Landi, Federica Lorini, Gian-luca Murgia Progetto grafico, copertina e impaginazione: Silvia Castellan

     

     

     

     

 

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DA ADOLF HITLER A DARTH VADER ovvero: i l la to oscuro de l la leadersh ip

i l Punto F isso , d i Agost ino La Bel la

Anakin Skywalker nasce in schiavitù, ma ri-vela ben presto doti eccezionali e diventa un valoroso guerriero. Per le sue imprese eroiche viene ammesso nell’ordine millenario e po-tente dei Cavalieri Jedi, votati alla difesa della pace, della giustizia e della libertà. Il lungo e difficile addestramento veniva rivolto a porre i Cavalieri in comunione con la “Forza” che pervade l'universo. Ma Anakin non riesce a controllare le proprie emozioni e gradualmen-te si avvicina al “lato oscuro”, che lo porterà ad allearsi con l’Imperatore Palpatine (secon-do la rivista Wizard uno dei 100 tiranni più cattivi del mondo) di cui diverrà il principale esecutore con il nome di Lord Darth Vader. Il lato oscuro gli donerà un potere immenso ma lo renderà al contempo autore di terribili ne-fandezze. Alla fine però l’incontro con il fi-glio Luke, creduto morto, susciterà in lui orro-re per il signore del male che ha servito per lunghi anni. Salverà il figlio sacrificando la propria vita e, morendo, si riconcilierà con la Forza divenendo tutt’uno con essa. Questi e-venti, che si svolgono tra il 42 BBY e il 4 ABY (“Before” e “After the Battle of Ya-vin”), fanno parte della famosa saga di Guer-re stellari, in cui personaggi straordinari, do-tati di straordinari poteri e carisma, si confrontano nell’eterna battaglia tra bene e

male. Come la Forza, anche la leadership ha il suo lato oscuro, prediletto da coloro che cer-cano di influenzare gli altri per ottenere pote-re, privilegi, ricchezze. Il primo studio sui metodi utilizzabili per soggiogare le masse si deve al saggista francese Gustave Le Bon, au-tore di Psicologia delle folle (1895). Il libro ebbe un vasto successo, fu tradotto in inglese l'anno dopo, ristampato decine di volte, e di-venne una sorta di manuale man mano che, nei primi decenni del ventesimo secolo, cre-sceva l’interesse per la leadership. Il mondo si riempì di leader “carismatici”: in campo mili-tare, nella politica, nelle arti, nelle scienze e nello spettacolo emersero figure cui l’influenza crescente dei media contribuiva ad attribuire un’aura di eccezionalità. In alcuni

«Come la Forza, anche la leadership ha il suo lato oscuro, predi-letto da coloro che cercano di influenzare gli altri per ottenere potere, privilegi, ricchezze.»

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Paesi si affermarono per-sone in grado di manipola-re il popolo attraverso l’uso di sofisticati sistemi di per-suasione e controllo di massa; alcuni di questi, as-surti al potere, instaurarono feroci dittature e commise-ro orrende atrocità. Adolf Hitler, nei dodici anni della sua parabola, è stato pro-babilmente il campione di questo tipo di leadership. Hitler rimase estremamente popolare fino ai momenti finali del suo regime. Era un maestro di oratoria, e con ogni ramo dell'infor-mazione e della vita cultu-rale e sociale tedesca (stampa, editoria, cinema, teatro, radio, sport) sotto il controllo del suo Ministro della propaganda, Joseph Goebbels, fu in grado di persuadere la maggioranza dei tedeschi che egli fosse il loro salvatore dalla depressione, dai comunisti, dall’umiliazione del trattato di Versailles e dagli ebrei. È paradossale il fatto che le tecniche utilizzate da Goebbels fossero dovute a sociologi e psi-cologi americani, di cui il Ministro era un at-tento studioso. Egli era in particolare un esti-matore di Edward Bernays, nipote di Freud, che nel 1928 pubblicò Propaganda. Bernays sosteneva: «La manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini organizzate e delle opinioni delle masse è un elemento importan-te in una società democratica. Coloro che ma-nipolano questo meccanismo nascosto costi-tuiscono un governo invisibile che ha il vero potere nel nostro paese. Veniamo governati, le nostre menti vengono modellate, i nostri gusti influenzati, le nostre idee suggerite per

la maggior parte da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare. Questa è la conseguenza logica del modo in cui è or-ganizzata la società democratica […] La mente collettiva non ragiona nel vero sen-so del termine. Al posto dei pensieri ha gli impulsi, le abitu-dini e le emozioni [...] il suo primo im-pulso è solitamente quello di seguire l'e-sempio di un leader fidato. Questo è uno dei principi basilari della psicologia di massa». In effetti negli Stati Uniti l’interesse per lo sviluppo dei media

e il loro possibile uso nella persuasione di massa a fini politici o di marketing era altis-simo fin dai primi anni del novecento. Nel 1908 nasce ufficialmente la Psicologia socia-le, per opera soprattutto dell'americano E-dward Alsworth Ross e del britannico Wil-liam McDougall che pubblicarono contemporaneamente due libri con lo stesso titolo (Social Psychology) dedicati a illustrare come rendere possibile l’omologazione dell’opinione pubblica. Nel 1922 esce Public Opinion di Walter Lippmann che conia il fa-migerato concetto di “fabbrica del consenso”. Lippmann, che considerava necessario l’uso propagandistico della comunicazione di mas-sa, dalla stampa al cinema, così spiegava la leadership in The Phantom Public (1927): «L’elaborazione di una volontà generale da una moltitudine di desideri generali è un'arte

«La leadership carismatica inizia a ricoprire, nelle società a capi-talismo diffuso, il ruolo che nelle società tribali rivestiva lo stre-gone, il cui compito principale era quello di incantare le folle.»

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ben conosciuta ai leader. Con-siste essen-zialmente nel-l’utilizzo di simboli che costruiscono le emozioni dopo averle staccate dalle rispettive idee. Poiché i sentimenti so-no molto meno specifici delle idee il leader è capace di ottenere una volontà omogenea da un’eterogenea massa di desideri. Il processo attraverso il quale le opinioni generali sono spinte all’omologazione consiste nell'intensi-ficazione dei sentimenti e in una parallela de-gradazione dei significati». Lippmann sugge-riva inoltre di gestire il rapporto tra le autorità e il pubblico attraverso la fruizione di segni di natura semplice, capaci di colpire emotiva-mente la collettività: «I segni devono avere un carattere tale da essere riconosciuti e compre-si senza la necessità di un sostanziale sguardo alla sostanza del problema [...] devono essere segni che diranno ai membri del pubblico do-ve conviene allinearsi per promuovere la so-luzione. In breve, devono essere guide per a-zioni ragionevoli a uso di persone disinformate [...] Senza una qualche forma di censura, la propaganda nello stretto senso del-la parola non è attuabile. Per condurre una propaganda ci deve essere una qualche forma di barriera tra il pubblico e gli eventi [...]». Mentre Lippman formulava le sue teorie sulla leadership politica, Harold Lasswell, uno dei maggiori politologi americani del XX secolo, affermava con forza il ruolo della propaganda bellica: «Un nuovo e ingegnoso strumento deve saldare migliaia e anche milioni di esseri umani in una massa amalgamata di odio, di volontà e di speranza. Una nuova fiamma do-

vrà bruciare il cancro del dis-senso e tempera-re la spada di un bellicoso entu-siasmo. Il nome di questo martel-lo e di questa in-cudine di solida-rietà sociale è propaganda». Nel campo de-

gli affari il tema della leadership si afferma più tardi, nella seconda metà del secolo scor-so. Soprattutto negli USA le persone al verti-ce di grandi organizzazioni, in tutti i settori, iniziano a ricevere un’attenzione da star. Le biografie di capi d’impresa diventano best seller. Molti CEO vengano reclutati soprattut-to per la loro capacità di proiettare ottimismo sugli investitori. La “leadership carismatica” inizia a ricoprire, nelle società a capitalismo diffuso, il ruolo che nelle società tribali rive-stiva lo stregone, il cui compito principale era quello di “incantare le folle”. Per non apparire un comune mortale, lo stregone doveva far ri-corso a diversi simboli per sostenere la sua immagine: maschere, ornamenti, costumi ela-borati. Per i leader dei tempi moderni lo stes-so ruolo ricoprono aerei privati, limousine, re-sidenze esclusive, partecipazioni speciali a eventi teatrali o sportivi. L’aumentato interes-se del pubblico per le vicende che riguardano le imprese ha fatto sì che coloro che le rappre-sentano vengano seguiti con lo stesso interes-se da rotocalco delle persone di spettacolo. Per servire l’accresciuto interesse per le noti-zie che riguardano il mondo degli affari, le imprese hanno gradualmente sviluppato una simbologia esasperata, quasi religiosa, di cui sono rimaste in qualche caso prigioniere, e-semplificata anche dall’uso smodato e spesso assolutamente improprio di termini come “vi-

«Poiché i sentimenti sono molto meno specifici delle idee il leader è capace di ottenere una volontà omogenea da un’eterogenea massa di desideri.»

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sione”, “missione”, “valori”. Il dirigente re-clutato per le sue caratteristiche “visionarie” non contribuisce realmente alle prestazioni; anzi, la sua remunerazione è assolutamente indipendente da queste, come dimostrano dati relativi anche alle retribuzioni percepite dai top manager non solo negli USA ma in tutto il mondo, Italia compresa. Si generano così effetti demotivanti che sono agli antipodi di ciò che una leadership efficace dovrebbe de-terminare. Non bisogna quindi dare troppo credito ai miti aziendali costruiti esclusivamente sull’imma-gine e sul carisma (presunto). La leadership, quando esiste veramente, è pervasiva, e se ne percepisce la presenza a tutti i livelli di un’organizzazione. Tornando all’arena politica, oggi la persua-sione si basa largamente sui media e in parti-colare sulle tecniche di “spin”. Il termine vie-ne dal baseball: si definisce spin l’effetto che la palla acquista quando viene colpita di ta-glio, producendo una traiettoria curva e non rettilinea in grado di mettere in difficoltà il battitore. Gli specialisti di queste tecniche so-no spesso definiti spin doctors. Il loro compi-to è quello di formulare messaggi in grado di mostrare il lato migliore di qualsiasi situazio-ne in cui siano implicati i loro clienti, fornen-do alla pubblica opinione versioni “aggiusta-te” di eventi e notizie. Intervengono anche per correggere e smussare eventuali incaute prese di parola del politico di turno, fornendone in-terpretazioni “autentiche” e astutamente ab-bellite al fine di evitare critiche o comunque commenti malevoli. Inoltre forniscono notizie “informali” ai giornalisti, facendole passare per “confidenze” o facendole filtrare come “anonime”. In altri casi si occupano di news management, ovvero creano ad hoc eventi che

possano interessare e convincere l'opinione pubblica. Tra le tattiche di persuasione che vengono uti-lizzate menzioniamo innanzi tutto quella del “nemico comune”, nel caso specifico identifi-cato nell’avversario politico che viene propo-sto all’opinione pubblica come un concentrato dei peggiori mali del mondo; e, per dare so-stanza e credibilità alla minaccia prospettata, non si esita a scavare con ogni mezzo anche nella vita privata delle persone, alla ricerca di qualunque torbido dettaglio che possa servire ad avallare la tesi. È una tattica che può fun-zionare anche molto bene ma che è difficile possa mantenere validità nel lungo periodo, sia per il rischio di back-firing dovuto alla na-turale tendenza a reagire con gli stessi stru-menti, sia per il senso di stanchezza indotto nel pubblico da una minaccia continuamente evocata e mai concretizzatasi. Il “principio del contrasto” viene di solito sfruttato attraverso il confronto tra due situazioni o scenari di cui uno, quello “buono”, è direttamente collegabi-le al persuasore di turno, mentre l’altro, quello “cattivo”, fa diretto riferimento all’avversario politico. Non c’è poi politico di rilievo che non vanti un presunto elevatissimo grado di consenso sulla sua persona: è l’applicazione del principio della “prova sociale”. L’osten-tazione di potere, ricchezza, influenza serve a sfruttare il “principio dell’autorità” e far leva sulla tendenza a essere deferenti verso i po-tenti; è vero che in questo modo si generano anche molti “anticorpi”, però in genere gli “anticonformisti”, più respinti che attratti dal-la tattica in questione, non costituiscono il target di messaggi persuasivi di questo tipo. Alcuni ricorrono al “principio dell’attrazio-ne”, che in questo caso viene utilizzato pro-ponendosi come simili, nelle opinioni genera-

«Non bisogna dare troppo credito ai miti aziendali costruiti e-sclusivamente sull’immagine e sul carisma (presunto). La leadership, quando esiste veramente, è pervasiva, e se ne per-cepisce la presenza a tutti i livelli di un’organizzazione.»

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li, nei gusti, nelle abitudini e, perché no, nei vizi e nei difetti, al pubblico di riferimento. In qualche caso questa tattica viene combinata con la precedente, ottenendo un messaggio di grande presa che suona più o meno così: «puoi fidarti, perché sono potente, ma sono come te, e tu puoi essere come me». Infine le promesse elettorali (ma anche quelle che ven-gono continuamente reiterate dai partiti e dai loro rappresentanti) non sono altro che “pillo-le magiche”, le quali garantiscono risultati ve-loci e sicuri in ogni settore; che poi queste siano impossibili da mantenere, o che di fatto non vengano mantenute, o infine che i fatti ri-velino orientamenti completamente diversi nelle azioni effettivamente intraprese, costi-tuisce un aspetto secondario lasciato alla cura dello spin doctor di turno. Si potrebbe pensare che l’uso intensivo di tat-tiche di persuasione, di distorsioni della veri-tà, di promesse non mantenute finisca alla fi-ne per ritorcersi contro chi le pratica in modo spregiudicato. Il rischio viene superato trami-te due tecniche codificate di propaganda. La prima è l’attacco sistematico e demolitore di qualunque critica, anche costruttiva, condotto tramite tutti i mezzi a disposizione, arrivando anche al coinvolgimento diretto delle persone oltre che delle idee. La seconda è la ripetizio-ne continua e ossessiva dell’idea da imporre, effettuata sempre nello stesso modo, senza tregua, attraverso tutti i canali di comunica-zione a disposizione; non importa che l’idea in questione sia falsa, assurda, in evidente contrasto con la realtà: alla fine, per quanto paradossale possa sembrare, entrerà nella mente delle maggioranza delle persone. Infine, non bisogna dimenticare il ruolo cre-scente di Internet, ritenuto ormai strumento

molto più affidabile dei canali “ufficiali” per acquisire, verificare, incrociare informazioni. Ovviamente anche politici e partiti si avval-gono del web per comunicare direttamente con i cittadini, anche se gli stessi politici e partiti manifestano di tanto in tanto insoffe-renza verso la libertà e l’indipendenza della rete, avanzando proposte che con intenti “mo-ralizzatori” cercano di nascondere il vero fine di sottoporla a qualche forma di controllo. Tuttavia anche il web può essere un’arma di persuasione. Esso permette la raccolta di e-normi quantità di informazioni su ciascuno di noi, con la costruzione di profili individuali molto precisi. Inoltre non è difficile creare ar-tificialmente un’aura di credibilità per un sito fraudolento: architettura raffinata, contenuti formalmente ben presentati, facilità di accesso e di ricerca interna, aspetto autorevole, link abbondanti, finte recensioni di utenti entusia-sti possono trarre in inganno anche i più e-sperti dei navigatori. Fortunatamente difendersi dagli innumerevoli tentativi di persuasione occulta non è poi così difficile, ma richiede uno sforzo mentale. Per mantenere un po’ di memoria sulle “pillole magiche” che ci sono state propinate. Per di-stinguere i canali indipendenti, in buona fede, da quelli chiaramente al soldo di parte e per identificarne le operazioni, spesso abbastanza scoperte, di framing. Per dedicare un po’ di tempo alla ricerca delle fonti libere sul web. Soprattutto, per coltivare lucidamente un sano scetticismo nei confronti di tutto ciò che non si basi esclusivamente sui fatti e sulla ragione.

Agostino La Bella

Cari amici lettori, questo editoriale conclude la serie dedicata alla leadership. Dal prossimo numero un nuovo tema, sempre nell’ambito dei comportamenti organizzativi. Grazie a tutti per l’attenzione, e che la Forza sia con voi!

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LA PICCOLA PERLA ARCHITETTONICA DEL MEDITERRANEO I l punto d i fuga , d i Guendal ina Capece

Oscar Ribeiro de Almeida Niemeyer Soares Filho (Rio de Janeiro, 15 dicembre 1907) è un architetto brasiliano, considerato uno dei più importanti nella moderna architettura interna-zionale. Pioniere dell’esplorazione delle pos-sibilità costruttive del cemento armato, ha rea-lizzato oltre seicento edifici che fanno parte dell’iconografia mondiale, tra cui il palazzo delle Nazioni Unite a New York e la Catte-drale di Brasilia. Il carattere distintivo delle sue opere è rappresentato dall’ispirazione a forme quanto più naturali possibili: «L’architettura – afferma – deve adattarsi alla natura senza modificarla [...] Non è l’angolo retto che mi attrae, e nemmeno la linea retta, dura, inflessibile creata dall’uomo. Ciò che mi attrae è la curva libera e sensuale. La curva che incontro nelle montagne del mio paese, nella donna preferita, nelle nuvole del cielo e nelle onde del mare. Di curve è fatto tutto l’universo. L’universo curvo di Einstein». In Italia ha realizzato tre opere: la sede delle Cartiere Burgo di Torino, la sede della Mon-dadori di Segrate e, ultimamente, l’Audito-rium Oscar Niemeyer di Ravello. Quest’ul-

tima è un’opera davvero straordinaria, realiz-zata su progetto del celebre architetto che lo donò al Comune in virtù dell’amicizia perso-nale che lo lega al sociologo Domenico De Masi, delegato da Niemeyer stesso a supervi-sionare e controllare il complesso come tutore morale del suo «stato di manutenzione e di e-stetica». Ravello è sede di un Festival internazionale che durante l’estate richiama turisti e appas-sionati da tutto il mondo. Il nuovo Auditorium è nato con l’intenzione di estendere la pro-

il Punto di Fuga pagina 8

 

grammazione con-certistica e turistica della piccola perla del Mediterraneo a tutto l’anno e di renderne possibile la fruizione a un maggior numero di estimatori. Il pro-getto, iniziato a lu-glio del 2000 con la consegna dei boz-zetti e di un plasti-co, è continuato nel 2002 con la costitu-zione della Fondazione Ravello che aveva come obiettivi lo sviluppo della città e la co-struzione dell’Auditorium stesso. L’Auditorium è stato inaugurato ufficialmente il 29 gennaio 2010, con un concerto dell’orchestra e del coro del Teatro San Carlo di Napoli. Incastonato in un declivio naturale della Co-stiera amalfitana a 365 metri s.l.m., gode di un panorama unico della Divina, soprattutto dalla piazza oblunga dalla quale vi si accede. Nella sala, il posto per il pubblico sfrutta pro-prio il declivio naturale del terreno, mentre il posto per l’orchestra e il foyer sono aggettanti nel vuoto, senza bisogno di sostegni. La per-fezione acustica è assicurata dalla forma con-cava dell’edificio. Un’ampia vetrata di acces-so e l’oblò posizionato dietro l’orchestra

permettono, anche una volta entrati nell’edificio, di continuare a gode-re dello straordi-nario paesaggio. «Non pensavo af-fatto a un’opera costosa che potes-se implicare dei movimenti di terra non necessari e perciò ho assunto come punto di partenza la deci-

sione di localizzare il parterre esattamente secondo l’inclinazione data e il progetto ha cominciato a sorgere». L’Auditorium risulta perfettamente inserito nell’architettura ravellese e della Costiera in quanto rappresenta sì una nuova chiave di let-tura volta alla modernizzazione estetica e cul-turale del paese, ma ne riprende anche i tratti salienti e caratterizzanti (la linea curva e il co-lore bianco) che affondano le loro radici nell’epoca romana e medievale. Se vi dovesse capitare di passare da quelle parti fateci un salto… ne vale sicuramente la pena!

Guendalina Capece

«Non è l’angolo retto che mi attrae, e nemmeno la linea retta, dura, inflessibile creata dall’uomo. Ciò che mi attrae è la curva li-bera e sensuale. La curva che incontro nelle montagne del mio paese, nella donna preferita, nelle nuvole del cielo e nelle onde del mare. Di curve è fatto tutto l’universo. L’universo curvo di Einstein.»

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COME DESCRIVERE LA COMPLESSITÀ Leggi d i potenza e f rat ta l i I l Punto Sc ient i f i co , d i Ste fan ia G iu f f r ida

Econometristi ed econofisici (i fisici che si occupano di economia) dibattono da tempo su quanto e fin dove sia lecito utilizzare la distri-buzione di probabilità di Gauss (la cosiddetta “normale”) per descrivere fenomeni fisici, biologici, ma anche sociali ed economici. Gli econometristi, infatti, tendono a usare di-stribuzioni normali o lognormali (distribuzio-ni di probabilità di una variabile aleatoria il cui logaritmo segue una distribuzione norma-le) anche in situazioni in cui tali distribuzioni non modellano bene i fenomeni descritti. La distribuzione dei rendimenti finanziari, ad e-sempio, è tipicamente leptocurtica, ossia più “appuntita” di una distribuzione normale. La ragione principale di questo “abuso” delle distribuzioni normali risiede nel fatto che esse hanno caratteristiche altamente “auspicabili” in un modello statistico, poiché le code sim-metriche che vanno a morire esponenzialmen-te significano intervalli di confidenza chiara-mente definiti (varianza limitata) e un valore medio stabile. In effetti, fenomeni lineari, con variabili indipendenti e in equilibrio, sono ben descritti da tali distribuzioni. Ma siamo certi che la realtà che ci circonda sia ben descritta da eventi lineari o da situazioni di equilibrio?

Ilya Prigogine, chimico e fisico russo, Nobel per la chimica nel 1977, fu tra i primi a stu-diare i sistemi dinamici instabili o lontani dall’equilibrio, divenendo uno dei precursori della teoria della complessità. Lo stato di e-quilibrio di un pendolo fermo si dice stabile perché ogni perturbazione del suo stato inizia-le (ad esempio una spinta per metterlo in mo-to) si concluderà con un ritorno alla posizione assunta inizialmente (quella a energia poten-ziale minima); l’equilibrio di una matita tenu-ta in piedi sulla sua punta, invece, si dice in-stabile, perché ogni minimo tocco la fa cadere da un lato o dall’altro (la posizione iniziale è quella di massima energia potenziale). I si-stemi dinamici stabili, quindi, sono quelli in cui piccole perturbazioni producono piccoli effetti (in questo sono intrinsecamente feno-meni lineari); i sistemi instabili sono, vicever-sa, quelli in cui piccole perturbazioni produ-cono effetti dirompenti (non linearità della risposta). Sistemi caotici sono considerati, quindi, quelli altamente sensibili alle condi-zioni iniziali. È quello che classicamente vie-ne definito “effetto farfalla” dai meteorologi: il battito d’ali di una farfalla in Amazzonia può influire sul tempo che farà negli Stati U-

«La ragione principale dell’abuso delle distribuzioni normali risiede nel fatto che esse hanno caratteristiche altamente “auspicabili” in un modello statistico, poiché le code simmetriche che vanno a mori-re esponenzialmente significano intervalli di confidenza chiaramente definiti (varianza limitata) e un valore medio stabile.»

il Punto Scientifico pagina 10

 

niti. Da notare che in genere si parla di “caos deterministico”, in quanto i sistemi caotici continuano a essere descritti da leggi newto-niane deterministiche (date le condizioni ini-ziali si può ricostruire la traiettoria a ogni i-stante); tuttavia il comportamento di tali sistemi nel tempo appare stocastico e alta-mente influenzato dalla variabilità delle con-dizioni iniziali. Molti fenomeni fisici, biologici, ma anche so-ciali ed economici studiati dai cosiddetti “au-tori della complessità” sono tutt’altro che li-neari o descritti da condizioni di equilibrio. Nell’ambito delle teorie organizzative, ad e-sempio, il concetto di linearità ha spesso di-mostrato la propria fallacia nella descrizione dei processi reali. I flussi delle decisioni a-ziendali e l’andamento dell’ammontare delle vendite, ad esempio, sono tipici processi non lineari, che in letteratura sono stati meglio de-scritti da distribuzioni cosiddette di “frequen-za di Pareto” o a legge di potenza. Tali distri-buzioni, anche dette “rank distribution”, sono caratterizzate da lunghe code, cioè la funzione di probabilità tende a zero lentamente all’aumentare del valore della variabile. Esse derivano il loro nome dall’ingegnere ed eco-nomista Vilfredo Pareto, che per primo le uti-lizzò per descrivere quanto fosse esiguo, ri-spetto al totale della popolazione, il numero di soggetti che percepivano redditi molto al di sopra della media, indipendentemente dal pa-ese o dall’epoca considerata. Infatti, si suole affermare che circa l’80% del reddito è in mano a circa il 20% della popolazione, se-condo la celebre regola dell’80-20 di Pareto (l’80% delle cause di un fenomeno è dato dal 20% dei fattori che lo contraddistinguono). In realtà il principio dell’80-20 è del tutto empi-rico, visto che, nel descrivere fenomeni reali, dette proporzioni sono solo indicative e stan-no a evidenziare semplicemente il fatto che solo pochi soggetti/fattori contribuiscono alla stragrande maggioranza dei risultati di un fe-nomeno: poche guerre fanno tantissime vitti-me, pochi portali web hanno moltissimi con-tatti, pochi libri vendono un gran numero di copie (la maggior parte, ahimè, sono destinati a biblioteche specializzate o dimenticati nello scaffale di una libreria).

Nel tempo, le distribuzioni a legge di potenza sono state anche dette “di Zipf”, dal linguista americano George Kingsley Zipf che, negli anni ’50, le utilizzò nel suo lavoro Human be-haviour and the principle of least-effort per rappresentare la frequenza d'uso delle parole nei testi: in ogni lingua, l’insieme delle parole utilizzate più di frequente è molto piccolo e comprende, in particolare, vocaboli più brevi e dotati di molteplicità di significato. In letteratura sono stati descritti molti feno-meni attraverso delle rank distribution: la di-stribuzione dell’intensità dei terremoti, il nu-mero di citazioni di lavori scientifici, le dimensioni delle città del mondo, i tassi di crescita delle imprese (in termini di ammonta-re delle vendite), la lunghezza dei fiumi, il numero di accessi ai siti web, la ricchezza tra gli individui, etc. In altre parole, leggi di po-tenza sono utilizzate per descrivere fenomeni di natura fisica, ma anche sociale ed econo-mica. La caratteristica principale di questo tipo di distribuzioni è l'assenza di una scala caratteri-stica dei fenomeni, i quali risultano invarianti per cambiamenti di scala. Così, ad esempio, dire che la distribuzione del reddito varia se-condo una legge di potenza significa dire che se ogni quattro individui con reddito annuo pari a diecimila euro ne esiste uno con reddito pari a ventimila, allora per ogni quattro con reddito pari a un milione di euro, ci sarà una persona che guadagna due milioni di euro. La forma più comune di una funzione a legge di potenza (grafico A) è:

f(x) = x -α

grafico A

0  

20  

40  

60  

80  

100  

120  

140  

1   4   7   10  13  16  19  22  25  28  31  34  37  40  43  46  

il Punto Scientifico pagina 11

 

Se si moltiplica la variabile x per una costante c, la funzione stessa viene moltiplicata per una costante:

f(cx) = (cx)-α = c-α f(x) α f(x) a dimostrazione dell’invarianza di scala delle leggi di potenza. In genere, si suole rappresentare le leggi di potenza su un grafico doppiamente logaritmi-co (grafico B), nel quale la funzione assume la forma di una retta con pendenza negativa pari all’esponente α.

grafico B

Le distribuzioni a legge di potenza, dunque, descrivendo fenomeni non lineari, non godo-no delle proprietà che rendono le distribuzioni gaussiane estremamente comode da un punto di vista statistico. A differenza delle distribu-zioni normali, infatti, il loro valore medio può non essere stabile e la loro varianza può dive-nire infinita. Ciò è stato spiegato in letteratura con il fatto che le distribuzioni a legge di po-tenza descrivono fenomeni complessi, dove molti elementi o fattori sono in connessione o

interdipendenti, laddove le distribuzioni gaus-siane sono generate, invece, da variabili tutte indipendenti tra loro. Inoltre, la proprietà di invarianza di scala richiede agli studiosi un approccio metodologico del tutto nuovo ri-spetto a quello utilizzato abitualmente nello studio di fenomeni complessi. Tradizional-mente infatti, i ricercatori, specie in campo fi-sico, cercano di scomporre ogni sistema nelle sue componenti principali, per studiarne le ca-ratteristiche e per poi ricostruire le proprietà della struttura nel suo complesso a partire dal-la conoscenza di quelle dei suoi elementi di base (ad esempio, per studiare le proprietà della materia si studiano gli atomi e le mole-cole che la compongono). Tutto ciò, tuttavia, implica che ci sia una corrispondenza lineare tra il comportamento del tutto e quello delle sue parti, cioè che sia possibile ridurre la complessità del fenomeno riducendo la scala di osservazione. Questo, nella realtà, non è sempre possibile: fenomeni non lineari, de-scritti da leggi di potenza, infatti, sono il tipi-co esempio di come, al variare della scala di osservazione, la complessità del sistema ri-manga invariata, a causa della caratteristica di invarianza di scala, di cui abbiamo parlato precedentemente. In natura, del resto, esistono molte manifesta-zioni di questa proprietà. Nel prossimo nume-ro de “Il Punto” ne parleremo in maniera più estensiva e vedremo come le caratteristiche delle leggi potenza diventino più intuitive nell’ambito della geometria frattale, la cui na-scita si deve a Benoit Mandelbrot, matematico polacco straordinariamente eclettico e visio-nario (nel senso più positivo del termine).

Stefania Giuffrida

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«Tradizionalmente i ricercatori cercano di scomporre ogni sistema nelle sue componenti principali, per studiarne le caratteristiche e per poi ricostruire le proprietà della struttura nel suo complesso a partire dalla conoscenza di quelle dei suoi elementi di base. Tutto ciò, tuttavia, implica che ci sia una corrispondenza lineare tra il comportamento del tutto e quello delle sue parti, e questo, nella re-altà, non è sempre possibile»

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IL MARKETING: SCIENZA ECONOMICA O SCIENZA ANTROPOLOGICA? i l Punto Let terar io , d i Feder ica Lor in i

Per lunghissimo tempo, dagli albori della di-sciplina fino almeno a tutti gli anni Ottanta, al marketing è stato attribuito un carattere esclu-sivamente economico: come dimostrato dal significato stesso (marketing letteralmente si-gnifica “collocare sul mercato”) l’unico obiet-tivo da raggiungere era il maggior piazzamen-to possibile di prodotti e il conseguente profitto. Successivamente, in seguito anche all’acquisizione da parte delle imprese del ruolo fondamentale svolto dalla comunicazio-ne, il marketing ha cominciato a guardare con crescente curiosità e interesse a discipline come la sociologia, la psicologia, l’antro-pologia e così via. Oggi la commistione è ancora più ardita ed efficace e il marketing si è aperto a tutto il complesso e seducente mondo delle neuro-scienze dando vita al marketing comporta-mentale e/o emozionale. Quest’ultimo in buo-na sostanza si propone di raggiungere il suo utente finale non preoccupandosi più della sua collocazione spazio temporale (sei qui, in questo momento e quindi ti bombardo di mes-saggi pubblicitari) bensì del suo stato d’animo e dei suoi più reconditi desideri (voglio capire cosa ti piace, cosa potrebbe gratificarti e ven-dertelo). Molti sono i mezzi, soprattutto in-formatici, con cui le imprese possono cono-scere i gusti dei propri utenti: sondaggi on line e cookie sono sicuramente i più usati.

Ma in questo contesto ci interessa analizzare la sfera emozionale più che gli espedienti uti-lizzati per attivarla tenendo, inoltre, presente che l’unione dell’aspetto meramente econo-mico con quello squisitamente antropologico, ha portato il marketing a considerare il merca-to come un insieme di persone, di consum-attori e non semplici consumatori. Sono sem-pre più numerosi, infatti, gli economisti che invitano a considerare il consumatore non so-lo come un portatore sano di bisogni ma an-che di emozioni, valori, sentimenti che non possono essere ritenuti indipendenti dal suo stesso comportamento economico. Il profitto non può più essere il solo obiettivo che un’impresa si pone: i nuovi compratori, soprattutto in periodi di crisi come quello at-tuale, non hanno bisogno del semplice prodot-to ma di sentirsi tutelati, di poter dare fiducia all’azienda e alla sua linea di prodotti e l’azienda deve imparare a fare i conti con le leve irrazionali dell’acquisto. Proprio così! È stato ormai ampiamente di-mostrato come nell’atto dell’acquisto il com-pratore sia il più delle volte soggetto all’azione di emozioni e aspettative assoluta-mente irrazionali. Ma non si tratta di un’irra-zionalità insensata o casuale bensì prevedibile e sistematica: siamo irrazionali sempre nello stesso modo e attuando le medesime dinami-che. Molte volte, ad esempio, non acquistia-

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mo un prodotto per le sue caratteristiche og-gettive ma per le convinzioni che abbiamo ri-guardo a esso. La sua provenienza, i materiali con cui è fatto, gli aneddoti sulla sua creazio-ne, sono elementi che impattano sulla nostra capacità di fruizione e la modificano in modo sostanziale. Pensiamo all’acquisto di una bot-tiglia di vino: un esperto potrà partire da ele-menti oggettivi quali il territorio, la vendem-mia, la raccolta, il metodo di lavorazione e così via ma un compratore medio si limiterà a leggere l’etichetta. Un esperimento condotto qualche anno fa ha dimostrato come, in pre-senza di due vini, uno pregiato e costoso e uno più modesto, ai quali erano state invertite le etichette, i consumatori abbiano trovato molto più gradevole il vino all’interno della bottiglia costosa. Questo a dimostrare che in mancanza di competenze specifiche e reali dati conoscitivi, le nostre convinzioni modifi-cano la percezione stessa del sapore del vino. Ecco perché molte aziende investono sempre di più nella creazione, prima, e nella comuni-cazione, poi, di vere e proprie storie di pro-dotto. Raccontare una storia, creare un vero e proprio vissuto, può modificare in modo sen-sibile la percezione del valore del prodotto. Pensiamo a quanto abbia influito nelle vendite di un noto caffè la presenza, nella storia pub-blicitaria, di due personaggi tanto amati dal pubblico come Bonolis e Laurenti, che non a caso hanno riproposto negli spot le stesse di-namiche agite solitamente nelle proprie tra-smissioni televisive. Oltre al racconto molto importante è, senza dubbio, il linguaggio. Quest’ultimo, definito non a caso polisensoriale, deve riuscire a sol-lecitare in modo strategico tutti e cinque i sensi del consumatore e non più semplice-mente udito e vista. Come farlo? Anzitutto at-traverso il linguaggio sinestetico ossia capace di assegnare qualità sensoriali a oggetti (un cibo dal sapore pungente, un colore morbido, un sapore vellutato, ecc.) e attraverso vere e

proprie stimolazioni sensoriali come l’immis-sione di determinati profumi nei punti vendita o di una musica particolarmente melodica ne-gli spot pubblicitari. Recenti studi dimostrano come quello del-l’immissione degli odori sia un trend in gran-de crescita e di come alcuni odori più di altri possano essere congeniali. Ad esempio il pro-fumo di caffè fresco o di torta fatta in casa, ri-sultano particolarmente adatti per persone che devono convincere potenziali acquirenti (ad esempio gli agenti immobiliari), mentre i pro-fumi legati al mondo naturale (lavanda, glici-ne, edera) sono particolarmente usati in luo-ghi, come i grandi magazzini, dove si vuole cercare di rallentare l’andatura dei clienti per-ché possano dedicare più tempo agli acquisti. Avvolto da profumi rassicuranti, cullato da musiche rilassanti il consumatore è ormai pronto a lasciarsi andare alla parte più irrazio-nale di sé e fortemente convinto che il prodot-to che ha di fronte non sia solo utile ma addi-rittura irrinunciabile (devo averlo a tutti costi!) e insostituibile (voglio solo ed esclusi-vamente quello!). Il desiderio indotto dalla percezione dell’esi-genza amplifica a sua volta il fattore della de-siderabilità arrivando a portare il consumatore a vere e proprie esperienze di consumo... ma questa è la storia del marketing esperienziale, che vi racconterò la prossima volta. Concludo con le parole di Henry Cartier-Bresson, considerato da molti il padre del fo-togiornalismo: «È solo un’illusione che le fo-to si facciano con la macchina. In realtà si fanno con gli occhi, con il cuore, con la te-sta.» E questo il mondo del marketing lo ha capito molto tempo fa.

Federica Lorini

«Il linguaggio, definito non a caso polisensoriale, deve riuscire a sollecitare in modo strategico tutti e cinque i sensi del consuma-tore e non più semplicemente udito e vista.»

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ARTE IN VIAGGIO

mostre e c i t tà da non perdere di Feder ica Lor in i

Paul K lee e l ’ I ta l ia Dal 9 ot tobre a l la Ga l ler ia d ’Ar te Moderna e Contemporanea d i Roma La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea dedica una mostra tutta particolare a Paul Klee. Come noto, il famoso pittore tedesco nasce a Berna in Svizzera da una famiglia di artisti, pa-dre tedesco e madre svizzera, entrambi musicisti e come molti altri artisti del Nord Europa sviluppa un precoce amore per il Sud, il sole e i paesaggi italiani. Proprio il nostro Bel Paese ricopre un ruolo determinante nella sua vita e nella sua arte. Il Mediter-raneo, non solo diventa mèta delle sue vacanze, ma anche luogo ispiratore di importanti svolte arti-stiche e di riflessioni teoriche. Se la critica ha già da tempo individuato nel viaggio a Tunisi del 1914 e in quello in Egitto nell’inverno 1928-1929 le due mète più significative, i numerosi viaggi che l’artista fa in Italia sono un universo tutto da esplorare e approfondire. Ecco svelato il tema do-minante di questa mostra che, come affermato da Tulliola Sparagni e da Mariastella Margozzi, cu-ratrici di essa, ha il preciso scopo di indagare il rapporto di Paul Klee con il nostro paese. Per in formazion i : tel. 06.32298221 - fax 06.3221579 - www.gnam.beniculturali.it

Raf fae l lo verso Picasso Dal 6 ot tobre a l la Bas i l i ca Pa l lad iana d i V icenza La Basilica Palladiana riapre dopo un imponente restauro e ospita una grande esposizione, grazie alla quale il pubblico potrà ammirare una se-lezione di più di ottanta opere di pittura e qualche scultura che racconta-no la storia della ritrattistica europea dalla fine del Quattrocento alla conclusione del XX secolo. Indicativo il titolo: Raffaello verso Picasso, cioè il lungo percorso che dal senso di una perfezione delle forme giunge fino alla rottura di quella stessa forma, con la ricerca cubista novecente-sca. Un titolo che vuole rappresentare contemporaneamente l’andare da un punto a un altro punto della storia dell’arte – il moto verso luogo – e il senso di una lotta tra l’elemento apollineo e quello dionisiaco. Esposti capolavori del Quattrocento e Cinquecento veneto (Bellini, Giorgione, Cima, Veronese, Tiziano, Lotto, Savoldo), del mondo fiorentino e dell’Italia centrale (Pontormo, Raffaello, Perugino), del Seicento di Ca-ravaggio, Velazquez, Vermeer e Rembrandt, opere di grandi impressionisti fino alle rappresenta-zioni di Bacon e Giacometti. Solo per citare alcuni tra i moltissimi che comporranno a Vicenza que-sto superlativo museo dei musei. Per in formazion i : tel. 0422.429999 - fax 0422.308272 - [email protected]

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Pablo P icasso. Capolavor i da l Museo Nazionale P icasso d i Par ig i Dal 20 set tembre presso i l Pa lazzo Reale d i Mi lano Quella che si inaugura a Milano il 20 settembre sembra essere una mostra destinata a rimanere nella storia. A curarla Anne Baldassari, riconosciuta a livello internazionale fra i più importanti studiosi di Pablo Picasso e direttrice del Musée National Picasso di Parigi, dove è conservata la più grande collezione al mondo dei lavori dell’artista. Con oltre duecento opere, molte delle quali mai uscite dal museo parigino, tra dipinti, sculture, foto, disegni, libri illustrati e stampe, la mostra rappresenta un excursus cronologico sulla produzione di Picasso, mettendo a confronto le tecniche e i mezzi e-spressivi con cui l’autore si è cimentato nella sua lunga carriera. Tra le tante opere esposte, capola-vori come: La Celestina (1904), Uomo con il mandolino (1911), Ritratto di Olga (1918), Due donne che corrono sulla spiaggia (1922), Paul come Arlecchino (1924), Ritratto di Dora Maar e La sup-plicante (1937). Per in formazion i : tel. 02.875672 - http://www.comune.milano.it

Luca S ignore l l i “de ingegno et sp i r to pe legr ino” Fino a l 26 agosto presso tre sedi espos i t ive umbre

Luca Signorelli (Cortona 1450-1523) è uno degli artisti più importanti del Rinascimento italiano, lungamente attivo in Italia centrale dal 1472 al 1519. «Tanto famoso... nessun altro in qual si voglia tempo sia stato giammai» secondo la testimonianza del Vasari. Curata da Fabio De Chirico, Vit-toria Garibaldi, Tom Henry e Francesco Federico Mancini, l'esposizione dal titolo Luca Signorelli “de ingegno et spir-to pelegrino” (come lo definì il padre di Raffaello, Gio-vanni Santi), segna un’ulteriore tappa del percorso per va-lorizzare gli artisti più rappresentativi della stagione

rinascimentale in Umbria. La mostra si articola in tre sedi espositive: a Perugia nella Galleria Na-zionale dell’Umbria a Palazzo dei Priori, a Orvieto nel Duomo, nel Museo dell’Opera e nella Chiesa dei Santi Apostoli, a Città di Castello nella Pinacoteca Comunale a Palazzo Vitelli alla Cannoniera. Per in formazion i : tel. 0763.341167 - [email protected]

Canova e la danza Fino a l 30 set tembre i l presso Museo Canova d i Possagno (TV) La mostra nasce con l’intento di mettere in luce lo stretto legame che unisce Canova al motivo della danza e della musica, evidente nell'elegante fluire della linea di contorno e nel ritmo musicale dell'intera composizione. Diversi i capolavori di Canova tesi a catturare il movimento: la celebre Tersicore, le Grazie che danzano davanti a Marte, la Ebe, dea greca dell'eterna giovinezza, rappre-sentata su una nuvola a sottolineare il motivo del movimento legato alla figura in volo. Particolare attenzione meritano le coloratissime tempere canoviane, visibili a Possagno entro un nuovo percor-so, affiancate alle corrispondenti incisioni della scuola bassanese dei Remondini: un tripudio di veli e leggiadri corpi femminili sospesi in un’eterea danza senza fine. D’altronde da documenti biografi-ci, emerge che Canova, oltre a essere un grande appassionato di musica (assiduo frequentatore di teatri), era un amico del coreografo e ballerino Carlo Blasis, maestro di danza alla Scala di Milano. Per in formazion i : tel. 0423.544323 - [email protected]

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L’ACTA, UN TRATTATO CONTROVERSO i l Punto d i V is ta , d i Antonio Iovanel la

La tutela dei diritti di sfruttamento delle opere dell’ingegno umano è un tema molto impor-tante negli ordinamenti giuridici di ogni Stato poiché coinvolge a diversi livelli i singoli cit-tadini e il mondo delle imprese e ha un impat-to significativo sulla circolazione delle idee. Tra le opere dell’ingegno presentano una grande rilevanza economica i brevetti, i mar-chi e le opere d’arte (musicali, cinematografi-che, di design, ecc.) e la necessità di indivi-duare una facoltà di sfruttamento esclusiva di queste opere ha portato a definire il concetto di Proprietà Intellettuale (PI) che si manifesta nel diritto a tale sfruttamento e nella tutela dell’opera stessa. Lo sviluppo dell’economia globalizzata ha però reso necessaria l’esten-sione delle politiche di gestione e protezione della PI poiché le attività illegali di contraffa-zione e di pirateria, soprattutto in alcuni setto-ri come l’intrattenimento, i prodotti farmaceu-tici e i prodotti di lusso, hanno seriamente inciso sui modelli di business delle varie mul-tinazionali operanti in tali mercati. Negli ultimi venti anni queste si sono coaliz-zate per rinforzare i termini della protezione della PI in modo da preservare la loro posi-zione dominante e hanno continuato a tutelare i loro interessi nelle sedi mondiali più impor

tanti come la World Trade Organization (WTO), la Word Customs Organization (WCO), i summit G8 e la World Intellectual Property Organization (WIPO). Sebbene la tutela della titolarità dello sfruttamento della PI sia un diritto fondamentale, il risultato che si è invece ottenuto è stato quello di alterare il bilancio tra la suddetta tutela e i meccanismi di creatività e innovazione con una conse-guente limitazione della circolazione della conoscenza. Tale bilancio si è nel tempo sempre più spo-stato verso gli interessi delle multinazionali intorno alla tutela dei diritti di sfruttamento della PI e dalla firma di uno dei trattati più importanti – il WTO Agreement on Trade-Related Issues of Intellectual Property nel 1994 (TRIPS) – molte altre iniziative sono state intraprese fino a giungere alla stesura di uno degli atti più controversi, l’Anti-Counterfeiting Trade Agreement, in breve, ACTA.

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I negoziati per l’ACTA tra gli Stati Uniti, l’Unione Euro-pea, la Svizzera e il Giappone – ai quali si sono aggiunti in se-guito Australia, Corea, Giorda-nia, Nuova Ze-landa, Ma-rocco, Messico e Singapore – sono stati annunciati nell’ottobre del 2007 e mantenuti fuori da ogni organizzazione multi-laterale ufficiale; inoltre, i contenuti sono stati tenuti segreti per lungo tempo, alimentando speculazioni e paure nella pubblica opinione nonché le preoccupazioni degli esperti di di-ritto e del mondo accademico. Il 21 aprile 2010, anche a seguito delle proteste del Par-lamento Europeo, è stata infine resa pubblica una prima versione dell’ACTA e, dopo suc-cessivi negoziati a Tokyo e Sydney, il 3 di-cembre 2010 è stata rilasciata quella ufficiale firmata a Tokyo il primo ottobre 2011 da Au-stralia, Canada, Corea, Giappone, Marocco, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Singapore e il 26 gennaio 2012 da ventidue stati membri sui ventisette dell’Unione Europea. L’assenza iniziale di trasparenza, l’impos-sibilità di partecipazione da parte dell’opinio-ne pubblica alla discussione e i meccanismi di responsabilità introdotti dall’accordo hanno provocato preoccupazioni riguardo all’effet-tivo impatto che l’ACTA potrebbe avere sulle politiche pubbliche e sulle libertà dei cittadini. In primo luogo, quello che è stato presentato come un accordo per la coordinazione delle attività doganali contro la contraffazione si è nel tempo tramutato in una regolamentazione

della PI, in parti-colare di quella legata agli am-bienti digitali per i quali è stata pre-vista una Sezione apposita, la 5, contenuta nel Ca-pitolo 2. In tale Sezione, l’impe-gno dei governi di cui al comma 3 dell’art. 27 alla promozione della

cooperazione tra imprese per affrontare in modo appropriato la violazione dei diritti di PI lascia spazio al timore di insorgenza di prassi extra - giudiziali per le quali eventuali sanzioni potrebbero essere comminate anche al di fuori delle normali tutele giudiziarie. Ancora più invasivo sembrerebbe essere il successivo comma 4 laddove prescrive che i detentori di diritti possano ordinare agli Internet Service Provider (ISP) di fornire loro informazioni private dei propri utenti senza l’intervento – anche in questo caso – dell’au-torità giudiziaria. Alla luce di questi aspetti, il timore è che l’ACTA possa indurre gli stati firmatari a promulgare delle leggi per gover-nare le reti digitali, i loro contenuti e le infra-strutture tecnologiche andando a limitare di fatto il flusso di informazioni, regolamentan-do le tecnologie di nuova generazione e, po-tenzialmente, criminalizzandole. Il testo dell’ACTA ha acceso un dibattito molto attivo anche nel mondo accademico dove recenti ricerche in economia, legge, so-ciologia e scienze politiche hanno affrontato il tema dell’intensificazione dei regimi di prote-zione della PI e del suo impatto sulla promo-zione della crescita e sull’innovazione con o-pinioni e posizioni spesso discordanti tra loro.

«...il timore è che l’ACTA possa indurre gli stati firmatari a pro-mulgare delle leggi per governare le reti digitali, i loro contenuti e le infrastrutture tecnologiche andando a limitare di fatto il flus-so di informazioni, regolamentando le tecnologie di nuova gene-razione e, potenzialmente, criminalizzandole.»

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Infatti, se molti degli studi condotti suggeri-scono che una politica di rafforzamento della tutela della PI porterà, come risultato, a un miglioramento dell’ef-ficienza dei mercati, altrettanti affermano esattamente l’opposto. Questo disaccordo non giova alla definizione di un punto di vista o-biettivo e lascia emergere una focalizzazione degli studi solo sulla pirateria e sulle perdite di profitto delle aziende; così facendo si tra-scurano completamente i costi sociali legati alla diminuzione dell’ac-cesso alla conoscen-za, alle barriere, ai follow up di innovazione e ai pericoli di incentivazione di comportamenti non concorrenziali. In questo momento nella comunità accademica sembrerebbe quindi dominare ancora la componente ideologica su quella scientifica mentre sarebbe indispensa-bile la pubblicazione di studi rigorosi sui costi economici e sociali dell’esercizio del diritto sulla PI – anche in termini degli effetti di pos-sibili abusi o usi inappropriati – e il suggeri-mento delle basi per la definizione di policy-making efficienti. L’ACTA ha provocato numerose mobilitazio-ni a livello internazionale tra le quali diverse petizioni al Parlamento Europeo, prima tra tutte quella di Avaaz.org che ha raccolto 2,4 milioni di firme, e comportato l’indizione di una giornata internazionale contro il trattato che si è tenuta l’11 febbraio scorso. La natura

controversa dell’ac-cordo è testimoniata anche dalla recente iniziativa della Commissione Euro-pea che il 22 febbra-io 2012 ha deciso di interpellare la Corte di Giustizia del-l’Unione circa la conformità del trat-tato ai principi del-l’ordinamento co-

munitario e alle libertà fondamentali di e-spressione e di informazione dei cittadini eu-ropei. La Commissione Europea ha quindi deciso di chiedere il parere della Corte per determinare la sua posizione al momento della votazione sul trattato che si terrà, presumibilmente, nel mese di giugno. Una volta ratificato dal Par-lamento Europeo e dai ventidue Stati dell’Unione firmatari dell’ACTA – Italia compresa – questi ultimi dovranno adeguare la propria legislazione in materia. Sarebbe quindi auspicabile che in queste fasi siano a-dottate politiche di trasparenza e strumenti di democrazia diretta raccogliendo le istanze dei singoli cittadini, delle loro associazioni, del mondo industriale per consentire la promulgazione di leggi che rispettino gli interessi di ogni parte pur salvaguardando i diritti di tutela della PI.

Antonio Iovanella

«Sarebbe auspicabile che siano adottate politiche di trasparenza e strumenti di democrazia diretta raccogliendo le istanze dei singoli cittadini, delle loro associazioni, del mondo industriale per consentire la promulgazione di leggi che rispettino gli interessi di ogni parte pur salvaguardando i diritti di tutela della PI.»

l’Appunto

MASTER UNIVERSITARIO DI II LIVELLO IN INGEGNERIA DELL’IMPRESA  

Sono aperte le iscrizioni alla XIV edizione del Master Universitario di II livello in Ingegneria dell’Impresa di cui è direttore il Prof. Agostino La Bella, Prorettore per l'Organizzazione e lo Svi-luppo dell'Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Iscrizione: dicembre 2012 Inizio lezioni: gennaio 2013 Il Master è destinato a laureati in discipline tecniche scientifiche o economico-sociali, dirigenti e quadri di aziende ed enti pubblici e privati che desiderino aggiornare la propria preparazione su ar-gomenti inerenti l'organizzazione e la gestione d'impresa. Attività outdoor Durante il Master verranno organizzate attività al di fuori del Campus universitario con il duplice obiettivo di fornire ulteriori occasioni di incontro che favoriscano l’integrazione dei partecipanti e l’applicazione concreta di alcuni dei concetti acquisiti durante i corsi. Nelle precedenti edizioni sono state proposte agli allievi:

• Il “leadership day”, giornata organizzata in collaborazione con la Lega Navale Italiana, che prevede una esperienza di “team building” in barca a vela.

• Il “corporate-fighting day” con la partecipazione del campione del mondo di kick-boxing, che prevede una esperienza di gestione delle relazioni e dei conflitti in particolari condizioni di stress.

• Uno stage di recitazione per migliorare il processo di comunicazione dei partecipanti. • Il “Global Management Challenge”, torneo internazionale di strategia d’impresa, che coin-

volge le migliori scuole di business di ventiquattro paesi. La partecipazione a questo tipo di attività è facoltativa. Il costo del Master è di 7.900 Euro. Per le aziende che intenderanno iscrivere i propri dipendenti sono previsti finanziamenti e agevola-zioni. Per maggiori informazioni contattare la segreteria del Master. La domanda di ammissione al Master (da scaricare dal sito www.masterimpresa.it), non vincolante ai fini dell'immatricolazione, potrà essere inviata via e-mail all'indirizzo: [email protected] Per ulteriori informazioni: Segreteria del Master in Ingegneria dell'Impresa Tel.: +39 6 7259.7361- 7302 Fax.: +39 6 7259.7305 E-mail: [email protected] Sito: www.masterimpresa.it

il Prossimo Punto pagina 20

Nel prossimo numero a metà settembre…  

• Un nuovo avvincente editoriale • Il marketing esperienziale in Il Punto letterario • Il seguito di Come descrivere la complessità: leggi di potenza e frattali ne Il Punto Scienti-

fico