pagine con i cavalli l’ultima “disfida” di caponetti · una nuova peripezia uscita dalla...

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►Testo di Barbara Leoni D a Venezia alla Maremma, dalla Sicilia alla Puglia, Alvise Pàvari dal Canal torna con una nuova peripezia uscita dalla penna di Giorgio Caponetti. È il Montalbano dei cavalli, ultimo rampollo di una nobile casata veneziana, docente di ippologia alla Ca’ Foscari, personaggio misogino e impavido donnaiolo, sempre pronto a ficcarsi in qualche pasticcio. Si intitola La disfida, la quarta avventura pubblicata dalla casa editrice Marcos Y Marcos. Caponetti, questa volta dove andiamo? «In Puglia e si parla della disfida di Barletta. La narrazione si sdoppia in due tempi storici differenti: nella contemporaneità ed in pieno periodo rinascimentale». Cosa succede ad Alvise? «Alvise parte da Venezia e arriva a Trani dove incontra Diomede, presidente della Lega Navale. Lì scopre di avere ereditato un debito di famiglia che risale a cinquecento anni prima… in parallelo, nel 1503, il suo omonimo avo Alvise si trova invischiato nella disfida di Barletta, in un viaggio che da Venezia lo porta giù, fino al tacco della penisola, con un carico di cavalli da vendere. Fil rouge è l’origine del Corsiero Napolitano, razza equina che Diomede sta tentando di riprodurre…». Come mai la disfida di Barletta? «È stato uno dei momenti più romanzati della storia italiana e probabilmente anche più L’ULTIMA “DISFIDA” DI CAPONETTI ► Venezia, lo storico scontro a Barletta del 1503 e il Corsiero Napolitano, sono gli ingredienti della quarta avventura di Alvise Pàvari dal Canal strumentalizzati in epoca risorgimentale. Lo stesso romanzo Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, scritto da Massimo d’Azeglio nel 1833, ha trattato il tema per infiammare la co- scienza patriottica». Ma cosa c’entrano i cavalli con la disfida di Barletta? «C’entrano nel momento in cui, nel 1503, il territorio di Barletta era dominato dalla Sere- nissima e i Pàvari erano i più importanti com- mercianti di cavalli di Venezia: di conseguenza, avevano tutti gli interessi a stringere affari con i belligeranti». Sempre il cavallo al centro della scrittura, qual è la chiave di lettura? «Il mio obiettivo è assegnare al cavallo un ruolo comunicativo che sia in grado di narrare il bello che abbiamo in Italia, dalla storia al- Pagine con i cavalli CM. 353 Aprile 2016 42

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!Testo di Barbara Leoni

Da Venezia alla Maremma, dalla Sicilia alla Puglia, Alvise Pàvari dal Canal torna conuna nuova peripezia uscita dalla penna di Giorgio Caponetti. È il Montalbano dei cavalli,ultimo rampollo di una nobile casata veneziana, docente di ippologia alla Ca’ Foscari,

personaggio misogino e impavido donnaiolo, sempre pronto a ficcarsi in qualche pasticcio.Si intitola La disfida, la quarta avventura pubblicata dalla casa editrice Marcos Y Marcos.

Caponetti, questa volta dove andiamo?«In Puglia e si parla della disfida di Barletta. La narrazione si sdoppia in due tempi storicidifferenti: nella contemporaneità ed in pieno periodo rinascimentale».

Cosa succede ad Alvise?«Alvise parte da Venezia e arriva a Trani dove incontra Diomede, presidente della LegaNavale. Lì scopre di avere ereditato un debito di famiglia che risale a cinquecento anniprima… in parallelo, nel 1503, il suo omonimo avo Alvise si trova invischiato nella disfidadi Barletta, in un viaggio che da Venezia lo porta giù, fino al tacco della penisola, con uncarico di cavalli da vendere. Fil rouge è l’origine del Corsiero Napolitano, razza equina cheDiomede sta tentando di riprodurre…».

Come mai la disfida di Barletta?«È stato uno dei momenti più romanzati della storia italiana e probabilmente anche più

L’ULTIMA “DISFIDA” DI CAPONETTI! Venezia, lo storico scontro a Barletta del 1503

e il Corsiero Napolitano, sono gli ingredienti della quarta avventura di Alvise Pàvari dal Canal

strumentalizzati in epoca risorgimentale. Lostesso romanzo Ettore Fieramosca o la disfidadi Barletta, scritto da Massimo d’Azeglio nel1833, ha trattato il tema per infiammare la co-scienza patriottica».

Ma cosa c’entrano i cavalli con ladisfida di Barletta?

«C’entrano nel momento in cui, nel 1503, ilterritorio di Barletta era dominato dalla Sere-nissima e i Pàvari erano i più importanti com-mercianti di cavalli di Venezia: di conseguenza,avevano tutti gli interessi a stringere affari coni belligeranti».

Sempre il cavallo al centro dellascrittura, qual è la chiave di lettura?

«Il mio obiettivo è assegnare al cavallo unruolo comunicativo che sia in grado di narrareil bello che abbiamo in Italia, dalla storia al-

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l’arte, attraverso l’esplorazione dei luoghi e dei personaggiche ne sono stati protagonisti».

In questo romanzo si parla anche di mare…«Sì, da un lato c’è il rapporto con il cavallo, dall’altro il rap-porto con il mare. Sono due elementi accostabili perché,chi pratica l’equitazione e la vela lo comprende, fanno sen-tire l’uomo un tutt’uno con la natura. Nel libro ho provatoa spiegare la sensazione che prova Alvise: “Due notti inpieno mare, solo, finalmente in pace con se stesso: unadimensione mentale, una pace che riusciva a raggiungeresolo quando era a cavallo o in barca (…) A cavallo, l’uomosmette di essere solo un uomo e diventa cavaliere, cen-tauro, semidio. In barca, diventa marinaio, navigatore,esploratore e signore delle onde e dei mari”».

Come nascono le sue storie?«Cerco di prendere spunto da quegli aspetti della civiltà del cavallo che poi non è stata

altro che la civiltà umana fino a cent’anni fa. Il fatto di aver coordinato il carosello italianodella Fieracavalli di Verona per vent’anni mi ha permesso di conoscere tutte le razze equinee gli allevatori che abbiamo sul territorio».

Lei dice di “aver sempre fatto un gran casino nella sua vita”. Cosa intende? «Non so come, ma alla fine sono sempre riuscito a creare collegamenti tra le cose cheamo: la storia, la natura, i cavalli e la comunicazione. Le mie passioni sono confluite unanell’altra. Sono le storie stesse che sono venute a cercarmi: forse sarà perché ho un tem-peramento vitale e mi piace investigare nei bauli polverosi dimenticati nelle soffitte».

Come nasce un suo libro?«Tutto inizia dalla ricerca, è l’aspetto più motivante. Poi mi reco sul posto per respirarel’aria del luogo. Lì saltano sempre fuori dettagli interessanti, in grado di far svoltare la storiache ho in testa. Mi è successo anche per La disfida: arrivato a Trani, sono andato a vederela Cavallerizza dei veneziani ad Alberobello e la Lega Navale, ho incontrato persone che si

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La copertina del libro! L’AUTOREClasse 1945, torinese per nascita, ma-remmano per amore. Giorgio Caponettivive tra Torino e Tuscania, sulle rovinedi una necropoli etrusca nel viterbese.Laureato alla Facoltà di Lettere e Filo-sofia di Torino, suona e canta nelgruppo de “I cantimbanchi”. A ven-t’anni inizia l’attività di copywriter, curasceneggiature e regie per spot pubbli-citari. Nel 1974 si trasferisce in Mon-ferrato dove pratica l’equitazione alfianco di Albert Moyersoen. IstruttorePony di 1° livello, apre la scuola diequitazione di Poggialto ai bordi delParco dell’Uccellina, in Toscana. Col-labora con “Linea Verde” e “Airone”,tracciando itinerari a cavallo in Italia.Cura per la Fise il “Manuale di Equita-zione” e nel ‘93 collabora con l’Asso-ciazione Italiana Allevatori, con ilformat “Carosello Italiano”, in scenaalla Fieracavalli di Verona. Dal 2011 al2014 insegna ippologia e gli viene as-segnata una cattedra in “Gestionedelle risorse faunistiche e zootecni-che” alla Sapienza di Roma e all’Uni-versità degli Studi a Viterbo. Alle portedella cosiddetta terza età, Caponettidebutta come scrittore. Il suo ultimoromanzo, La disfida, Marcos Y Marcos,2016, è in libreria dal 17 marzo.

sono rivelate preziose nell’infondermi un sa-pere marinaresco che ha arricchito la scrit-tura. Ho conosciuto Giuseppe MariaFraddosio, studioso che da anni si occupa diricreare la razza del Corsiero Napolitano, in-crociando il murgese con il lipizzano. Infine,scrivo: dal primo mattino fino a mezzogiorno.Poi mi concedo il pranzo ed un pisolo per ri-mettermi al lavoro nel pomeriggio».

Ma chi è Alvise Pàvari? «Alvise Pàvari dal Canal è un nobile discen-dente di antica casata veneziana. Insegna ip-pologia alla Ca’ Foscari ed è considerato unodei massimi esperti mondiali di cultura e sto-ria del cavallo. Viaggia in tutto il mondo perstudi e ricerche, è una sorta di Indiana Jonesanche se è un moderno uomo rinascimentale:si occupa di storia, arte, musica, cultura delcavallo e di ogni forma di “umanistica bel-lezza”, quindi, ovviamente, anche di donne».

È un Caponetti della fantasia?«Purtroppo no, mi sarebbe piaciuto essere unAlvise Pàvari dal Canal: ho poco in comunecon le sue avventure se non il fatto di aver in-segnato come lui ippologia all’Università.Anche se, certamente, gli ho attribuito queitratti avventurosi della mia personalità».

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Le precedenti tre avventure di Alvise Pàvari, Due belle sfere di vetro ambrato(Marcos Y Marcos, 2013) Venivano da lontano (Marcos Y Marcos, 2014), Lacarta della regina (Marcos Y Marcos, 2015) di cosa trattano?

«La prima è la storia di Bartolomeo Colleoni: la leggendaria questione dei tre testicoli delcondottiero bergamasco e dei preziosi attributi del suo cavallo, racchiusi nelle due sferedi vetro ambrato custodite a Ca’ Pàvari. A partire dal monumento equestre del Verrocchioche campeggia in Campo San Zanipolo, a Venezia, si racconta il ruolo dell’equitazioneclassica rinascimentale in Italia. La seconda si svolge a Tuscania e, da un lato, è una ricercasull’origine dei cavalli etruschi, dall’altro racconta la Maremma laziale di oggi, quello chene resta, piccoli francobolli di territorio dove sopravvivono i butteri. La terza narra la vitaed il governo di Adelasia Incisa del Vasto, andata in moglie a Ruggero d’Altavilla nel 1087e rimasta vedova a reggere la Gran Contea di Sicilia. Ovviamente si parla di cavalli, diquella razza di ambiatori che venivano impiegati dai falconieri. Bisnonna di Federico II diSvevia, Adelasia passò alla storia per aver lasciato il più antico foglio di carta esistente inEuropa, conservato all’archivio di Stato di Palermo».

La sua attività di scrittore ha avuto inizio nel 2011…«Sì, sono uno scrittore tardivo: il mio primo romanzo, Quando l’automobile uccise la Ca-valleria, è uscito nel 2011 ma ci stavo lavorando da trent’anni. È nato dalla passione peril rivoluzionario maestro d’equitazione Federigo Caprilli e dalle coincidenze storiche checircondano la sua strana fine con la morte del suo fedele amico Emanuele Cacherano diBricherasio, anche lui ufficiale di Cavalleria e tra i fondatori della Fiat agli inizi del ‘900. Èarrivato alla settima edizione ed è stato adottato in molti licei: è una grande soddisfazionesapere che nelle scuole si parla di storia dell’equitazione e che questo argomento suscitil’entusiasmo dei giovani».

Poi è nato Alvise Pàvari dal Canal. Un genere completamente diverso…«Sì, l’unico aspetto in comune è il desiderio di divulgare pillole di cultura equestre, ma lestorie di Pàvari sono di tutt’altra impronta. Sono libri in formato ridotto per corpo e pervelleità letteraria, sono piccoli gialli incentrati su un personaggio d’invenzione. Li considero

dei divertissements culturali. Ogni vicenda èambientata in luoghi ed epoche differenti, masullo sfondo c’è sempre Venezia e Cà Pavari,che dà sul Canal Grande».

Nostalgia del grosso formato?«Nessuna. Anche perché da tre anni sto lavo-rando al seguito di Quando l’automobile,anche se non so ancora quando lo terminerò».

La sua storia preferita di Alvise Pàvaridal Canal?

«Sempre la prossima! Posso già anticipareche è in arrivo la quinta avventura. Sarà am-bientata in Sardegna e tutto avrà origine daun’antica leggenda isolana....». !

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