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Fabrizio Serra editore and Accademia Editoriale are collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici. http://www.jstor.org Accademia Editoriale Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca (I): cadere a terra, alzarsi; coprirsi, scoprirsi il volto Author(s): Mario Telò Source: Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, No. 48 (2002), pp. 9-75 Published by: Fabrizio Serra editore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40236215 Accessed: 15-08-2015 05:55 UTC Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at http://www.jstor.org/page/ info/about/policies/terms.jsp JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. This content downloaded from 83.137.211.198 on Sat, 15 Aug 2015 05:55:12 UTC All use subject to JSTOR Terms and Conditions

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Per Una Grammatica Dei Gesti Nella Tragedia Greca (I) Cadere a Terra, Alzarsi; Coprirsi, Scoprirsi Il

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Fabrizio Serra editore and Accademia Editoriale are collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access toMateriali e discussioni per l'analisi dei testi classici.

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca (I): cadere a terra, alzarsi; coprirsi, scoprirsi il volto Author(s): Mario Telò Source: Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, No. 48 (2002), pp. 9-75Published by: Fabrizio Serra editoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/40236215Accessed: 15-08-2015 05:55 UTC

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Mario Telò

Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca (I): cadere a terra, alzarsi; coprirsi, scoprirsi il volto*

«Toutes deux d'ailleurs ajoutaient à leur rôle de nobles gestes que je di- stinguais clairement et dont je com- prenais la relation avec le texte, tandis qu'elles soulevaient leurs beaux pé- plums» M. Proust, Â l'ombre des jeunes filles en fleurs

1. Considerazioni preliminari

Dopo la pubblicazione nel 1977 dello studio di Taplin The Stagecraft of Aeschylus\ che affrontando per la prima volta in maniera sistematica la trattazione di uno degli aspetti più im- portanti della morfologia della tragedia attica, quale il com- plesso delle entrate e uscite dei personaggi, apriva nuove pro- spettive di ricerca sul teatro greco, i successivi tentativi eli ri- costruzione della dimensione scenica dei testi tragici si sono orientati prevalentemente verso la definizione dell'uso che

* Questo è il primo di una serie di contributi che ho tratto dalla mia tesi di lau- rea dal titolo La grammatica dei gesti nella tragedia grecaf discussa presso l'Uni- versità degli studi di Pisa nell'anno accademico 1999-2000. Desidero rivolgere un vivo ringraziamento al prof. F. Ferrari, che mi ha affidato questa ricerca, e agli altri relatori, i proff. E. Medda e M.C. Martinelli per numerosi e preziosi sugge- rimenti. Ho beneficiato anche di alcune discussioni con il prof. DJ. Mastro- narde, che ha seguito la stesura di parte della tesi durante un periodo di studio trascorso presso U.C. Berkeley nell'autunno 1999 grazie a una borsa di studio della Scuola Normale Superiore. Ringrazio anche gli amici Luigi Battezzato e Lucia Prauscello per l'attenzione con cui hanno letto diverse parti del mio lavoro.

1. O. Taplin, The Stagecraft of Aeschylus: thè Dramatic Use of Entrances and Exits in Greek Tragedy, Oxford 1977.

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nei singoli drammi viene fatto delle diverse aree dello spazio scenico2, verso l'individuazione dei meccanismi convenzio- nali che regolano alcune forme della comunicazione tra gli at- tori3. Scarsa attenzione è stata invece riservata alla gestualità dei personaggi, ovvero a quelle indicazioni verbali, contenute soprattutto nei drammi di Sofocle ed Euripide, da cui si ricava che un attore cade a terra, s'inginocchia, supplica, fa ricorso alla violenza fisica, si copre il volto, lo abbassa lo gira indietro4.

2. Rinunciando a una rassegna bibliografica esaustiva si possono ricordare (tralasciando gli studi di carattere generale): V. Di Benedetto, Spazio e messa in scena nelle tragedie di Eschilo, «Dioniso» 59, 1989, pp. 65-101; M. Ewans-G. Ley, The Orchestra as Acting Area in Greek Tragedy, «Ramus» 14, 1985, pp. 77-82; F. Ferrari, Visualita e tragedia: per una lettura scenica di «Persiani», «Sette contro Tebe» e «Supplici», «Civ. class. crist.» 7, 1986, pp. 133-154; M. Fusillo, Lo spazio di Filottete, «Stud. ital. filol. class.» 83, 1990, pp. 19-59, M.R. Halleran, Stagecraft in Euripides, London-Sidney 1985; G. Ley, A Scenic Plot of Sophocles' Ajax and Pbiloctetes, «Eranos» 86, 1988, pp. 85-115, idem, Scenic Notes on Euripides' He- len, «Eranos» 89, 1991, pp. 25-34; DJ. Mastronarde, Actors on High: thè Skene

Roofy thè Grane, and thè Gods in Attic Drama, «Class. Ant.» 9, 1990, pp. 247- 294; E. Medda, La casa e la città: spazio scenico e spazio drammatico nell'Oreste di Euripide, «Stud. ital. filol. class.» 92, 1999, pp. 12-65; G. Monaco, La scena al-

largata, «Dioniso» 53, 1982, pp. 5-18; L. Polacco, Come Euripide rappresentò le

Supplia, «Atti Ist. Ven. scienz., lett., arti» 145, 1986-1987, pp. 1-13; R. Rehm, The

Staging of Suppliant Phys, «Greek Rom. Byz. Stud.» 29, 1988, pp. 263-307; S. Said, L'espace d'Euripide, «Dioniso» 59, 1989, pp. 107-136, S. Scullion, Three Studies in Athenian Dramaturgy, Stuttgart und Leipzig 1994; D. Seale, Vision and

Stagecraft in Sophocles, London-Chicago 1982; S. Stelluto, La visualizzazione scenica dell'Aiace di Sofocle, «Civ. class. crist.» 11, 1990, pp. 33-64; O. Taplin, Greek Tragedy in Action, Berkeley-Los Angeles 1978; idem, The Mapping of So- phocles' Philoctetes, «Bull. Inst. Class. Stud.» 34, 1987, pp. 69-77; idem, Spazio e messa in scena in Sofocle, «Dioniso» 69, 1989, pp. 103-105, D. Wiles, Tragedy in Athens. Performance Space and Theatrical Meaning, Cambridge 1997.

3. D. Bain, Actors and Audience. A Study of Asides and Related Conventions, Oxford 1977; idem, Masters, Servants and Orders in Greek Tragedy. A Study of Some Aspects of Dramatic Technique and Conventions, Manchester 1981; L. Bat- tezzato, // monologo nel teatro di Euripide, Pisa 1995 e DJ. Mastronarde, Con- tact and Discontinuity. Some Conventions of Speech and Action on thè Greek Tragic Stage, Berkeley-Los Angeles-London 1979.

4. Al di là degli studi a carattere meramente elencativo di G. Capone, L'arte scenica degli attori tragici greci, Padova 1935, F.L. Shisler, The Use of Stage Busi- ness to Portray Emotion in Greek Tragedy, «Amer. Journ. Philol.» 66, 1945, pp. 377-397 e A. Spitzbarth, Untersuchungen zur Spieltechnik der griechischen Tra-

gödie, Zürich 1946, si riscontrano tentativi di valorizzazione di queste stage-di- rections in F. Lasserre, Mimésis et mimique, «Dioniso» 41, 1967, pp. 255-263; A. Pickard-Cambridge, The Dramatic Festivals of Athens, second édition revised by

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Trattandosi in ogni caso di notazioni registiche involonta- rie, non inserite deliberatamente dall'autore con un intento informativo nei confronti degli spettatori degli attori, ma presenti nel testo come naturale accompagnamento verbale5 dell'azione scenica in corso, risulta chiaro che il loro valore didascalico non può essere che indiretto e parziale.

Questa conclusione non è in realtà scontata dal momento che alcuni studiosi, in primis la Capone6, hanno ritenuto di poter

J. Gould and D.M. Lewis, Oxford 1968, pp. 171-176; Taplin, Greek Tragedy in Action cit., pp. 58 ss. e V. Di Benedetto-. Medda, La tragedia sulla scena. La

tragedia greca in quanto spettacolo teatrale, Torino 1997, pp. 198-201. Dedicato esclusivamente alle scene di contatto fisico il lavoro di M. Kaimio, Physical Con- tact in Greek Tragedy. A Study of Stage Conventions, Helsinki 1988. Utili consi- derazioni generali si trovano in L.E. Rossi, Livelli di lingua, gestualità, rapporti di spazio e situazione drammatica sulla scena attica, in Scena e spettacolo nell'an- tichità, a cura di L. De Finis, Firenze 1989, pp. 63-78. Il recente studio di C. Mar- zolo, L'ultimo Euripide: tra gesto e parola, Padova 1996 non adotta una prospet- tiva di tipo ricostruttivo, ma cerca di dimostrare semplicemente la presenza nel- l'ultima parte della produzione tragica euripidea (Ifigenia in Taunde, Elena, Fe- nicie, Oreste) di una più spiccata ricerca di effetti spettacolari sulla base della

maggiore ricchezza verbale delle indicazioni gestuali. Concerne solo parzial- mente l'ambito drammatico A.L. Boegehold, When a Gesture was Expected. A Sélection from Archaic and Classical Greek Literatur e, Princeton 1999.

5. Cf. Taplin, The Stagecraft cit., pp. 28, 31. Recentemente J.P. Poe, Multipli- atyy Discontinuity, and Visual Meaning in Aristophanic Comedy, «Rhein. Mus.»

143, 2000, p. 263 ha sostenuto: «If tragedy often calls verbal attention to what thè audience can plainly see, that is because a work that represents events as meanin-

gful is naturally inclined to emphasize what is more meaningful». Quest'osserva- zione può essere condivisa purché non implichi un deliberato intento di segna- lare agli spettatori ciò che sarebbe meaningful. Nell'analisi di Phil. 934-935

(...' ' , / ' ', ' $ ) Poe, tuttavia, afferma: «The function of thè description of Neoptolemus' gesture is to commu- nicate to thè audience not so much thè émotion that thè gesture conveys but thè

importance of thè émotion». Credo invece che il potenziale descrittivo di questi versi non sia nient'altro che un portato della situazione: Filottete sta cioè verba- lizzando pateticamente la sua disperata ricerca di contatto comunicativo con Neottolemo. Si veda la struttura esattamente parallela dei w. 932-937 e 950-953

(ricerca di contatto, constatazione del rifiuto di Neottolemo, ripiegamento sul contatto con gli elementi della natura circostante). Cf. Seale, Vision and Stage- craft cit., p. 40.

6. L'arte scenica degli attori cit., pp. 1-7, 51-97. Su una linea simile si mo-

strano, più recentemente, anche Rossi, Livelli di lingua, gestualità cit., p. 66, che in margine a Eur. Ba. 647 ( \ ' ) commenta:

«Questa è chiaramente una indicazione per il regista», e M. Di Marco, La trage- dia greca. Forma, gioco scenico, tecniche drammatiche, Roma 2000, pp. 111-118

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individuare una netta dicotomia tra didascalie effettive, con funzione istruttiva nei confronti degli attori7, e didascalie in- volontarie. Una classificazione di questo genere non regge tuttavia al confronto con i testi. Mi limiterò a portare due esempl. Secondo la Capone i w. 375-376 delVAlcesti rappre- senterebbero un esempio della prima categoria; Alcesti affida i figli ad Admeto dopo aver vincolato questo 'affidamento' al rispetto di alcune richieste: . . , . A un ordine segue un chiaro segnale esecutivo: questo sarebbe la prova dell'intento didascalico sotteso a questo verso. Credo tuttavia che la ratifica esecutiva del v. 376 sia semplicemente un por- tato della situazione: la consegna dei figli è subordinata a una specie di patto ( è eloquente in questo senso), quindi è naturale che debba venire dall'interlocutore una conferma esplicita di disponibilità a rispettarlo8. È in sostanza lo stesso meccanismo che entra in gioco quando un personaggio conse- gna a un altro un oggetto di importanza vitale: si veda il caso di /. T. 791-793 (Pilade consegna a Oreste la lettera ricevuta da Ifigenia) . , ... . - ·..., che pur essendo tipologicamente simile a Ale. 375-376 viene considerato dalla studiosa come «l'espressione naturale del momento»9. Anche Pretagostini10 segue la posizione teo- rica della Capone quando sostiene in relazione a And. 529 s., 722 s. e 747 che «la funzione didascalica di questi tre passi è si- cura proprio perché necessaria», dal momento che il destina- tario degli ordini ivi contenuti sarebbe un fanciullo attore, bi- sognoso di istruzioni esplicite. Tuttavia, almeno per il primo e l'ultimo passo si possono riscontrare didascalie parallele che lasciano dubitare che la particolare funzione istruttiva indivi- duata dallo studioso sia intenzionale. In And. 529-530 Andro-

che crede, per quanto cautamente, nella possibilità d'individuare indicazioni ver- bali il cui valore didascalico sia intenzionale (cf. infra). 7. In base a questo ragionamento il regista-poeta si sarebbe preoccupato di fornire agli attori informazioni registiche in vista delle seconde rappresentazioni, non allestite direttamente da lui. Contro quest'idea reagisce giustamente da ul- timo Di Marco, La tragedia greca cit., p. 115. 8. Lo stesso meccanismo di ordine-esecuzione può caratterizzare la richiesta di una stretta di mano, su cui cf. Kaimio, Pbysical Contact cit., pp. 29-32. 9. L'arte scenica degli attori, cit. p. 66. 10. R. Pretagostini, L'episodio di Caronte (Aristoph. Ran. 180-270), «Atene e Roma» 21, 1976, p. 63, n. 12.

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maca ordina a Molosso di supplicare Menelao ( / , ...), che è intenzionato a ucci- derlo: ora, il confronto con Hec. 339, in cui Ecuba sollecita Polissena (certamente non un attore-fanciullo) a supplicare Odisseo ( ' ' ' ), dimo- stra che dietro entrambi gli ordini si cela il motivo, presuppo- sto anche in /. A 99211, per cui la supplica messa in atto diret- tamente da chi rischia la vita, non da sua madre, può risultare

più efficace12. Per quanto concerne And. 747 ( ' 9 ), si deve notare che una precisa- zione simile circa le modalità attraverso cui dare realizzazione a un atto di sostegno fisico è comune e si riscontra, per esem-

pio, anche nell'ordine rivolto da Oreste a Pilade in Or. 799- 800 ' 5... / . Da un punto di vista generale si deve poi aggiungere che se c'era da parte dell'autore una preoccupazione didascalica nei confronti degli attori, cosa in sé già discutibile per il fatto che l'autore dirigeva personalmente le prove della rappresen-

11. Clitemestra, dopo aver supplicato Achille, gli chiede se vuole che lo stesso

gesto venga compiuto direttamente da Ifigenia: ; 12. Obiezioni simili si possono rivolgere all'idea di Di Marco, La tragedia greca cit., p. 114 secondo cui il v. 1070 (' ) del famoso addio ai figli di Medea nell'omonima tragedia euripidea «nasconde nella sua for- mulazione una precisa istruzione per i piccoli attori a compiere, in quell'istante, il gesto che il testo appunto suggerisce». Formulazioni molto simili si trovano tuttavia anche in casi in cui il destinatario del gesto non è un personaggio muto: Ion. 519 (Xuto si rivolge a Ione) , Erech. fr. 2, 32-33 Diggle TGFS ' , , dove Eretteo sta apostrofando il figlio ritrovato (sul problema della sua identità cf. C.

Collard, M.J. Cropp, K.H. Lee, Euripides. Selected Fragmentary PUys, I, War- minster 1995, pp. 181-182). Inoltre, la struttura espressiva dei w. 1069-1072 ri- calca da vicino quella della richiesta d'abbraccio fatta da Oreste ad Elettra in Or. 1047-1049 (per la difesa di questi versi cf. E. Medda, Un nuovo commento all'O- reste di Euripide, «Riv. filol. istruz. class.» 117, 1989, pp. 115-116): 1) enuncia- zione della volontà di compiere il gesto (Med. 1069 , Or. 1047-1048 * ) 2) esecuzione che trova il suo corrispettivo testuale nell'apostrofe alle singole parti del corpo coinvolte nel contatto fisico (Med. 1071-1072 , / ) 3) elemento di autoreferenzialità nella menzione al vocativo del gesto stesso (Med. 1074 , Or. 1049 - ' ).

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tazione, non si capisce perché per alcune azioni non fosse av- vertita l'esigenza d'introdurre esplicite note informative13.

Anche l'idea di indicazioni gestuali inserite a beneficio degli spettatori14 è difficilmente sostenibile, dal momento che molte presentano un senso didascalico insufficiente, che lungi dal- l'integrare, doveva al contrario essere integrato dalla visualiz- zazione scenica15: esemplari a questo proposito sono alcune scene di coercizione fisica, in cui il correlato verbale del sin- golo gesto poteva risultare perspicuo allo spettatore antico (non sfuggente ambiguo come al lettore moderno)16, sol-

13. Per esempio, nel caso del gesto di supplica si deve tener presente che non si trova mai un'indicazione testuale relativa al momento in cui un supplice pone fine al rituale e si alza in piedi, anche se un'informazione didascalica di questo tipo non sarebbe irrilevante nella prospettiva di una rappresentazione affidata esclusivamente agli attori: prova ne sia la presenza all'interno dell'apparato dida- scalico del teatro shakespeariano. In un passo del King Lear (II, 4, 152) Lear si- mula di fronte a Regan la supplica che si vedrebbe costretto a mettere in atto se ritornasse da Goneril: in corrispondenza del v. 155 si trova una didascalia esterna che sopperisce a una lacuna informativa del testo: (rising) Never, Regan... 14. Su questa linea: O. Taplin, Did Greek Dramatists wnte Stage Instructions*, «Proc. Camb. Philol. Soc.» 23, 1977, pp. 129-130; D. Del Corno, Scena e parola nelle «Rane» di Anstofane, in La polis e il suo teatro, a cura di E. Corsini, Padova 1986, pp. 205-214; N.J. Lowe, Greek Stagecraft and AHstophanes, in J. Redmond, Farce, Cambridge 1988, p. 34, e P.D. Arnott, Public and Performance in thè Greek Théâtre, London-New York 1989, pp. 49 ss. 15. Come metteva in luce già A.M. Dale, Seen and Unseen on thè Greek Stage: a Study in Scenic Conventions, «Wien. Stud.» 69, 1956, p. 96 (= Collected Papers, Cambridge 1969, p. 103) perché si possa pensare a una funzione integrativa della parola rispetto a elementi dell'allestimento scenico, presenti in forma rudimen- tale oppure difficilmente visibili per gli spettatori, le indicazioni verbali devono caratterizzarsi per un elevato grado di chiarezza e precisione informativa, cosa che generalmente non appartiene alle didascalie gestuali. Esse di conseguenza non devono essere trattate alla stregua delle indicazioni che funzionano da com- plemento descrittivo dell'apparato scenografico [cf. in proposito M. Fantuzzi, Sulla scenografia dell'ora (e del luogo) nella tragedia greca, «MD» 24, 1990, pp. 9- 12, con ulteriore bibliografia], degli annunci che facilitavano l'identificazione di un nuovo personaggio entrato in scena, su cui cf. N.C. Hourmouziades, Produc- tion and Imagination in Euripides, Athens 1965, p. 138; Rossi, Livelli di lingua, gestualita cit., p. 66; J.P. Poe, Entrance-Announcements and Entrance-Speeches in Greek Tragedy, «Harv. Stud. Class. Philol.» 94, 1992, pp. 142-156; Di Marco, La tragedia greca cit., pp. 116-117. 16. Per le difficoltà ricostruttive poste da queste scene si veda la rassegna di Kaimio, Physical Contact in Greek Tragedy cit., pp. 69-78. Il problema che si presenta in questi casi è di stabilire di volta in volta quando nelle intenzioni del poeta-regista una certa minaccia doveva rimanere confinata al livello verbale e quando tradursi in azione fattuale; nelle seconde rappresentazioni, gestite diret-

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tanto se si trovava nelle condizioni di seguirne visivamente nel dettaglio la concomitante resa performativa17.

Date queste premesse, si comprende che la traduzione di que- ste indicazioni verbali in autentiche didascalie da introdurre nelle edizioni del testo dei tragici può rivelarsi spesso opera- zione problematica: la traccia verbale di un gesto, punto di

partenza obbligato per ogni tentativo di ricostruzione18, deve

tamente dagli attori, la ricerca di effetti spettacolari (cf. D. Page, Actors' Interpo- lations in Greek Tragedy, Oxford 1934, pp. 16-17; T.B.L. Webster, Fourth Cen-

tury Tragedy and thè Poetics, «Hermes» 82, 1954, p. 297; Pickard-Cambridge, The Dramatic Festivals cit., p. 100; Taplin, The Stagecraft of Aeschylus cit., p. 47) doveva portare probabilmente a privilegiare la seconda modalità performativa. La Kaimio tende a risolvere indiscriminatamente l'incertezza del testo a favore del contatto fisico. Tuttavia, questa soluzione si rivela talvolta fuorviante: per un

esempio cf. il mio Contatto fisico vero presunto? A proposito di Soph. Phil. 813-8 (con considerazioni su Soph. El. 1205-10), di prossima pubblicazione. 17. A conclusioni generali simili alle nostre giungono anche J. Andrieu, Le dia-

logue antique. Structure et présentation, Paris 1954, pp. 192-194; Kaimio, Physical Contact in Greek Tragedy cit., p. 7; D. Lanza, Le regole del giuoco scenico nelVA- tene antica. Prime annotazioni, in Mondo classico. Percorsi possibili, Ravenna 1985, pp. 111-112; G. Mastromarco, // teatro di Aristo fane, introduzione a Com- medie di Aristofane, a cura di G. Mastromarco, I, Torino 1983, p. 27.

18. In questo senso rimane sostanzialmente valido il concetto di significant ac- tion enunciato da Taplin [cf. Significant Actions in SophoclesyPhiloctetes, «Greek Rom. Byz. Stud.» 12, 1971, pp. 25-44, The Stagecraft of Aeschylus cit., pp. 28-39, Greek Tragedy in Action cit., pp. 15-19, Opening Performance: Closing Textsf, «Essays in Criticism» 45, 1995, pp. 93-120], in base al quale ogni azione scenica che sia necessaria ai fini di una «viable and compréhensible production of Greek

tragedy» è douta di una qualche forma di riscontro testuale. Le modalità attra- verso le quali le singole componenti del dettato verbale ricevevano evidenza per- formativa erano invece di competenza del singolo attore, e in quanto tali non sono ovviamente ricostruibili [quindi non ha senso lamentare per esse la man- canza di un riscontro verbale, come fa H. Altena, «Mnemosyne» 50, 1997, p. 494]. Sono rari i casi in cui un'espressione verbale, in apparenza priva del valore di stage-direction, risulta tuttavia pienamente comprensibile soltanto se si pre- suppone un complemento gestuale non menzionato nel testo (cf. in proposito le considerazioni teoriche di E. Fischer-Lichte, The Dramatic Dialogue-Oral or Li- ter ary Communication?, in Semiotics of Drama and Théâtre. New Perspectives in thè Theory of Drama and Théâtre, edited by H. Schmid-. Van Kesteren, Am- sterdam 1984, pp. 145-146, 151). L'unico esempio certo è Or. 644. Oreste sta cer- cando di ottenere l'appoggio di Menelao ricordandogli i suoi doveri nei confronti di Agamennone (v. 643): 8 . In margine al verso successivo lo scoliaste annota (I, p. 163, 3-8 Schwanz): -

- . Effettivamente il primo emisti-

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essere integrata con informazioni didascaliche aggiuntive, che cercheremo di recuperare elaborando strategie interpretative specifiche per ciascuna tipologia gestuale.

2. 'Cadere a terra, alzarsi': una didascalia da recuperare

In questa sede esamineremo in primo luogo il caso delle scene in cui un personaggio cade a terra in seguito a uno svenimento improvviso: dopo la caduta gli può essere rivolto un esplicito ordine di sollevarsi in piedi, al quale tuttavia non segue mai al- cuna ratifica esecutiva19. L'editore moderno si trova di conse- guenza nella difficoltà di determinare il punto del testo in cui collocare la realizzazione del gesto e inserire la corrispon- dente didascalia. Quest'incompletezza informativa del testo rende illusorio, in quanto irrimediabilmente congetturale, ogni tentativo di ricostruire l'intenzione registica dell'au- tore?20 Credo che sia possibile approssimarsi ad essa, ricor-

chio del v. 644 ( * , ', / ...) acquista pieno senso soltanto se si immagina che Menelao equivocando sulla natura non pecu- niaria del debito menzionato da Oreste abbia dato segni di dissenso, abbia ma- nifestato il desiderio d'interrompere l'interlocutore [cf. per la difesa dei w. 644- 645, contro l'espunzione di Diggle OCT III, Medda, Un nuovo commento alVO- reste di Euripide cit., pp. 109-110]. La situazione è in realtà omologa a quella che si riscontra in Med. 547-550 in cui Giasone annuncia il proposito di dimostrare la propria buona fede rispetto alle accuse di Medea ( ), provocando nella donna una reazione gestuale che in questo caso è segna- lata esplicitamente nel testo da ' (analogo il caso di ^, in . F. 1264-1265, su cui cf. J.D. Denniston, The Greek Parti- clesy Oxford 19542, p. 405). Il tentativo di Boegehold, Wben a Gesture was Expec- ted cit., pp. 53-66 di individuare casi simili a Or. 644 (che tuttavia non viene preso in considerazione) conduce a notevoli forzature interpretative (per un esempio cf. infra, n. 69). 19. Come succede invece nel caso di molti ordini seguiti dal deittico , sul cui uso cf. P.T. Stevens, Colloquiai Expressions in Euripides, Wiesbaden 1976, p. 35.

20. Questo è il presupposto generale delle critiche rivolte agli studi di perfor- mance criticism da S. Goldhill in Reading Greek Tragedy > Cambridge 1986, pp. 283 ss., Reading Performance Critiasmy «Greece and Rome» 36, 1989, pp. 172- 182, e con più moderazione in Modern Criticai Approaches to Greek Tragedy y in The Cambridge Companion to Greek Tragedy ·, Cambridge 1997, pp. 336-340. Goldhill, seguendo gli orientamenti della critica post-strutturalista, sostiene una radicale svalutazione del concetto di 'intenzione autoriale', e per questa via giunge alla conclusione che ogni attore doveva dare del testo drammatico una

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 17

rendo per la risoluzione dei problemi posti da queste scene al concetto di «contatto comunicativo»21: se la caduta a terra e il

permanere in questa condizione vengono interpretati come tentativi di rescissione di contatto dalla situazione scenica in

corso, diventa chiaro che la valutazione del livello d'integra- zione dialogica tra il personaggio A, caduto a terra, e il suo in- terlocutore B, che gli ha ordinato di alzarsi, può assumere no- tevole rilevanza didascalica, nel senso che una ripresa di con- tatto verbale una dichiarazione di disponibilità ad avviare la comunicazione equivarranno a un'implicita conferma dell'e- secuzione dell'ordine. Questo nesso tra condizioni sceniche e condizioni comunicative, se verificato, potrebbe rendere ra-

gione di quell'assenza di un segnale esecutivo che abbiamo la- mentato all'inizio.

lettura propria, frutto di personale interpretazione: di conseguenza ogni tenta- tivo di ricostruzione scenica poggerebbe su basi illusone. Ciò che mi sembra del tutto inaccettabile della tesi di Goldhill è l'idea secondo cui il il poeta-regista du- rante l'allestimento della performance si sarebbe limitato a scegliere una delle

«plural potentialities of thè text»: è più verosimile pensare, invece, che l'autore

componesse il testo di una certa scena sulla base dell'assetto registico che già aveva in mente (cf. J.R. Green, On Seeing and Depicting thè Théâtre in Classical Athens, «Greek Rom. Byz. Stud.» 32, 1991, p. 17; L. Edmunds, The BUme of Karkinos: Theorizing Theatncal Space, «Drama» 1, 1992, p. 235). Questo è pro- babilmente lo stesso principio di cui Aristotele predicava l'applicazione in Poet. 1455a 22-23: ifl (cf. Aristote. La Poétique, texte, traduction, notes par R.

Dupont-Roc et J. Lallot, Paris 1980, p. 279; M. Di Marco, nella Poetica di Anstotele e nel Tractatus Coislinianus, in Scena e spettacolo nell'antichità cit., p. 147 e M.G. Bonanno, Ali thè (Greek) World's a Stage: Notes on (not just Drama-

tic) Greek Staging, in Poet, Public, and Performance in Ancient Greece, edited by L. Edmunds and R.W. Wallace, with a Preface by M. Bettini, Baltimore-London 1997, pp. 119 ss.). Credo pertanto che abbia un senso cercare di superare quelle che solo al lettore moderno appaiano come ambivalenze registiche, in vista della ricostruzione dell'assetto registico autoriale. Il metodo comparativo, come cer- cheremo di dimostrare concretamente (cf. per esempio il problema neWlpsipile, quello dei movimenti di Fedra, discussi infra) si rivela particolarmente utile a

questo proposito: l'individuazione di elementi differenziali rispetto a tendenze ricorrenti ricavabili dall'analisi dei casi non problematici consente, infatti, in

quelli incerti, di verificare se una certa soluzione scenica, a prima vista giudicata possibile, è davvero ammissibile.

21. Il concetto jakobsoniano è stato produttivamente utilizzato per il dramma antico da Mastronarde, Contact and Discontinuity cit.

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18 Mario Telò

2.1. Ritardi nell'esecuzione, iterazioni dell'ordine espiiate e impilate: Eur. Andr. 1076-1080, Hcld. 635-640 e Hec. 499- 507

Subito dopo la notizia data dal Messaggero della morte di Neottolemo a Delfi in Andr. 1073-1075, il Coro non com- menta, ma focalizza immediatamente la sua attenzione su Pe- leo (w. 1076-1077):

, , ; *

La presenza dei due imperativi ( ; ), lungi dal costituire una ripetizione, ha la funzione di marcare verbalmente due momenti distinti dell'azione: è probabile che il primo venga infatti pronunciato dopo che Peleo comincia a cadere, ed il secondo a collasso avvenuto. Dopo due versi, in cui Peleo da esplicita conferma del perdurare di questa sua condizione scenica, il Messaggero interviene riformulando l'ordine del Coro (w. 1079-1080):

, , ,

La prosecuzione della comunicazione ( ) viene dunque subordinata al recupero da parte di Peleo delle condizioni sceniche normali ( ). Ora, dato che il v. 1084 (9· ' ' ) segna chiaramente un totale ripristino del contatto dialogico interrotto già a partire dal v. 1077a ( '· ), di- venta assai verosimile che in corrispondenza di questo verso Peleo si trovi già in piedi, e che il movimento venga compiuto dopo il v. 1082: il v. 1083 mostra infatti già un superamento dell'isolamento comunicativo ancora perdurante nei due versi precedenti22.

In questo caso al ritardo nella realizzazione del gesto segue

22. Il v. 1083 ' ;, per quanto privo di espliciti segnali riconducibili alla funzione fatica, costituisce infatti l'oggetto del desiderio conoscitivo espresso da Peleo con il successivo , e pertanto pre- suppone un inizio di ripristino di contatto. Anche contribuisce a sottolineare

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 19

un'esplicita ripetizione dell'ordine23; in altre due scene euripi- dee (Hcld. 630-645; Hec. 492-502), invece, l'iniziale ritrosia del personaggio, che si trova a terra come risultato di un evento scenico precedente, viene risolta diversamente grazie alla persuasione argomentativa dell'interlocutore, che può consistere anche solo nella rivelazione della propria identità. Mentre nel caso dell3 Andromaca il momento in cui Peleo si al- zava era facilmente determinabile, nel senso che esso coinci- deva con la cessazione delle sollecitazioni del Messagero, in questi due passi sarà invece necessaria una più sottile disamina dell'articolazione del dialogo.

Al v. 635 degli Eraclidi il Servo di Ilio rivolge il consueto ordine a Iolao, che era caduto a terra prima dell'intermezzo corale (w. 602-603 , * / ):

,

La successiva battuta di Iolao costituisce un vero e proprio ri- fiuto dell'ordine ( ), a cui il Servo reagisce prospettando la possibilità di un probabile van-

taggio che Iolao potrebbe ricavare se decidesse di avviare la comunicazione ( 24). Ma

questa prospettiva non sembra sufficiente: Iolao infatti si

lo stacco rispetto al tenore dei w. 1081-1082 ( , - / ' ). 23. Lo stesso meccanismo si ritrova in una scena aristofanesca, Vesp. 996 ss. Il

primo ordine (996a ), con cui Bdelicleone cerca di far rinvenire Fi- locleone, è seguito da un'iterazione esplicita al v. 998 ( , ', ' ). La deformazione del modello tragico, probabibilmente proprio quello dell' Andromaca (come ha visto E.R. Schwinge, Kritik und Komik. Gedan- ken zu Aristophane? Wespen, in Dialogos. Für H. Patzer zum 65. Geburtstag von seinen Freunden und Schülern, herausgegeben von J. Cobet, R. Leimbach, A.B. Neschke-Hentschke, Wiesbaden 1975, pp. 36-38), comprende anche l'inusitato mantenimento di contatto verbale che segue alla caduta di Filocleone (996b-997a ;). 24. Che il Servo stia mettendo in atto una sorta di strategia persuasiva contro il

diniego espresso da Iolao è indicato nel testo dall'uso dell'associazione di parti- celle , che, come dimostra la rassegna di Denniston, The Greek Particles cit., p. 412, è spesso utilizzata in tragedia se non proprio in contesti agonali, co-

munque tali per cui due fronti portatori di vedute contrapposte cercano l'uno di convincere l'altro, controbattendo alle rispettive argomentazioni. Citiamo sol- tanto due esempi per tutti: Aesch. Ag. 938 (Agamennone risponde all'invito di

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vuole accertare preventivamente dell'identità dell'interlocu- tore (v. 638). Questo stesso tipo di articolazione interna carat- terizza il dialogo tra Taltibio ed Ecuba in Hec. 499-507. Dopo che Taltibio le ha ordinato di alzarsi (w. 499-500):

9, ,

Ecuba in un apparente 'a parte' (solo apparente, dal momento che in realtà Taltibio ne ha percezione, e risponde a esso im- mediatamente) si interroga, come Iolao, sull'identità del per- sonaggio appena arrivato. A questo punto lo sviluppo dialo- gico delle due scene combacia, entrambi i personaggi infatti si

rivolgono con la stessa apostrofe al loro interlocutore, che si è ormai presentato:

Hcld. 640 Io. ', ;25

Clitemestra di calpestare il tappeto rosso senza curarsi del biasimo degli uomini) e Hipp. 103 (il Servo cerca di convincere Ip- polito ritroso a venerare Afrodite) . 25. Accolgo per questo verso, che presenta un caso di violazione apparente del ponte di Porson (cf. Euripides Heraclidae, Edited with Introduction and Com- mentary by J. Wilkins, Oxford 1993, p. 134 e M.C. Martinelli, Gli strumenti del poeta, Bologna 19972, p. 101, n. 95), l'assetto testuale tradito, senza considerare necessari i tentativi di correzione avanzati recentemente da Kovacs. In Coniecta- nea Euripidea, «Greek Rom. Byz. Stud.» 29, 1988, pp. 122-123 Kovacs propo- neva di dare al verso il seguente assetto testuale: > [] - , mentre in Euripidea Altera, Leiden-New York- Köln 1996, pp. 12-13 e nel- l'edizione della tragedia (Euripides Children of Heracles-Hippolytus-Androma- che-Hecuba, Edited and Translated by D. Kovacs, Cambridge-London 1995) ne accoglie un altro, suggeritogli da Willink: ', ' ;. Quest'ultima scelta testuale comporta che al vocativo segua un verbo al plurale (i cui referenti sarebbero il Servo e l'esercito di Ilio) e che nel verso suc- cessivo (* * ) venga considerato come aggettivo. Il testo tradito fa difficoltà all'editore per la presenza del pronome , del quale risulta difficile stabilire i referenti («Why, we might ask, is thè rescue from harm restricted only to two persons?»); un'equivalenza con è proble- matica dal momento che l'unica possibile attestazione euripidea di quest'uso, ov- vero /. A. 1207, è inserita in un contesto fortemente corrotto (cf. J. Jackson, Mar- ginalia Scaenica, Oxford 1955, p. 81 e W. Stocken, Eunpides, Iphigenie in Aulis, Band 2, Wien 1992, pp. 538-539) e quelle certe sono estremamente tarde (cf. Quint. Sm. 1, 213, 369). Credo tuttavia che non sia impossibile giustificare e sai-

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Per una grammatica dei gesti nelL· tragedia greca 21

Hec. 505 . ', 9 '

;

Questa piena corrispondenza espressiva può essere sfruttata anche ai fini della determinazione del punto del testo in cui è verosimile immaginare che Ecuba e Iolao si alzino. La scena AtWEcaba risulta abbastanza chiara sotto questo aspetto; nel verso che segue (v. 507) alla citata apostrofe a Taltibio, Ecuba si mostra pronta a seguirlo:

, ,

vare questo duale pensando che esso si riferisca a Iolao e agli Eraclidi considerati come gruppo unitario (di personaggi muti) secondo un uso che si trova sporadi- camente attestato anche in Omero. Cf. i casi di //. 5, 487-488 (Sarpedone esorta Ettore) , ' / , in cui, come sostiene R. Gordesiani, Zur Interpretation der Duale im 9 Buch der Utas, «Phüologus» 124, 1980, pp. 173-174, la ragione del duale si ricava dai w. 485-486 dove si delinea la distinzione tra Ettore e il gruppo degli al- tri guerrieri, e 23, 413 * (Menelao si ri-

volge ai suoi cavalli) su cui si vedano la spiegazione dello scolio (V, p. 432, 45-46 Erbse) e il commento di N. Richardson, The Iliad: a Commentary. Volume VI: books 21-24, Cambridge 1993, p. 217. Alla seconda obiezione di Kovacs («Why indeed is thè bearer of thè news that Hyllus has re- turned treated as if he had thè rescuing property of Hyllus himself?») si può ri-

spondere con la seguente osservazione: quando Iolao pronuncia il v. 640 non fa altro che riprendere l'annuncio preventivamente dato dal Servo al v. 637 come incentivo per avviare il contatto ( ). Quindi, quando Iolao dice «Carissimo, sei venuto allora salvandoci da danni?», la sfuma- tura retorica che va probabilmente sottolineata è: «... sei venuto risparmiandoci cattive notizie?». Si deve vedere in altre parole nel verso un'applicazione del mo- tivo per cui dagli araldi ci si attende buone notizie (facilitata in questo caso dal fatto che lo stesso Servo al v. 637 da sua sponte un segnale esplicito in questa di- rezione), per cui si veda Phoe. 1072-1073 dove Giocasta uscendo dal palazzo vede l'araldo e instaura subito il contatto: ', / ... In questa prospettiva del verso successivo, in- teso come forma verbale, ha pieno senso, e viene ad aggiungere un dato nuovo, non ridondante rispetto al precedente , ovvero la vittoria militare

(per questo valore di cui si connota automaticamente nel contesto cf. M. McDonald, Terms for Happiness in Eunpides, Göttingen 1978, p. 62). A queste considerazioni si deve aggiungere l'incongnienza che l'intervento congetturale produrrebbe dal punto di vista dell'articolazione dialogica e dei suoi risvolti sce- nici: è più naturale infatti, data la funzione di avvio del contatto del v. 640, che come in Hec. 505, anche qui all'apostrofe segua una forma verbale di seconda

persona singolare.

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22 Mario Telò

Quando vengono pronunciati questi versi è evidente che Ecuba ha già modificato il suo stato scenico, ed è già in piedi: risulta dunque altamente probabile che i due versi precedenti accompagnino il corso del movimento di Ecuba26, e non sem- bra azzardato sulla base dell'analogia espressiva che abbiamo notato collocare il gesto parallelo di Iolao nella sezione di dia- logo corrispondente, cioè al v. 640. Dunque anche in queste due scene risulta confermato il principio enunciato all'inizio: l'esecuzione dell'ordine coincide con un forte segnale d'in- staurazione di contatto comunicativo, quale l'enfatica apo- strofe .

2.2. Ordine con esecuzione immediata in Eur. Ale. 248-279

Alcesti dopo l'annuncio del Coro (v. 233) arriva in scena ac- compagnata da Admeto, i figli e un gruppo di servi27 e, subito

26. Kovacs, Euripides Children of Héraclès cit., p. 443 inserisce la didascalia «Hecuba rises slowly to her feet» in corrispondenza del v. 501, ma appare assai improbabile che il correlato scenico dei w. 500-501 (la' / ; ', , ;), così fortemente connotati nel senso dell'isolamento comunicativo e dell'ostilità nei confronti delPinterlocutore, sia l'immediato esaudimento della richiesta di Taltibio. L'interpretazione didascalica a cui siamo giunti è sostenuta (senza tuttavia alcuna motivazione) dal recente commento della Gregory (Euripides Hecuba, Introduction, Text, and Commen- tary by J. Gregory, Atlanta 1999, p. 107). 27. È importante per un'esatta comprensione di questa scena mettere in luce come non sia giustificato dal testo ipotizzare la presenza di un letto trasportato in scena dai servi, sul quale Alcesti si getterebbe durante il delirio, come pensano invece la Dale (Euripides Alcestis, Edited with Introduction and Commentary by A.M. Dale, Oxford 1954, p. 73) e Conacher (Euripides Alcestis, edited with tran- slation and commentary by DJ. Conacher, Warminster 1988, p. 83), sul quale la giovane si troverebbe già quando fa il suo primo ingresso in scena, secondo ipotesi ancora più inverosimile di D.P. Stanley Porter, Mute Actors in thè Tragé- dies of Euripides, «Bull. Inst. Class. Stud.» 20, 1973, p. 73. Anche se quest'idea sembra essere abbandonata dagli interpreti più recenti (cf. Halleran, Stagecraft in Eunpides cit., p. 28, n. 30), sono opportune alcune precisazioni al riguardo:

1) la presenza di un letto non è menzionata nel testo, mentre nella scena corri- spondente deìYlppolito il ricorso a un tale espediente per presentare l'ingresso di Fedra risulta esplicitamente segnalato. Si veda a questo proposito l'annuncio contenuto nei w. 179-180: / . Cf. su questa scena Taplin, Greek Tragedy in Action cit., p. 94 e infra.

2) per quanto riguarda l'uso del verbo al v. 267 (\ ), bisogna notare che esso non implica necessariamente la presenza di un letto; in

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 2Ï

dopo la coppia di invocazioni liriche (w. 244-245, 248-249), che ne dimostrano la condizione di completa dissociazione comunicativa da Admeto28, è apostrofata dal marito nel modo tipico di tutte queste scene (v. 250):

, ,

II successivo intervento di Alcesti (w. 252-257) rappresenta una continuazione delle visioni deliranti precedenti all'ordine di Admeto, ordine che, dunque, rimane nel contesto total- mente irrelato. La situazione scenica fino a questo momento non è in sostanza molto diversa da quella già notata per lo svenimento di Peleo in Andr. 1077-1078: all'ordine del Coro Peleo opponeva chiari segnali di distacco comunicativo ( 5· ), a questo punto, tuttavia, giungeva l'iterazione da parte del Messaggero; non così nella scena delYAlcesti, dove il distico pronunciato da Admeto a conclusione dell'in- tervento di Alcesti dei w. 252-257 cancella ogni riferimento alla condizione scenica (in piedi a terra?) di Alcesti. In que- sto caso, inoltre, non si può rintracciare nessun progresso

questa direzione cTinterpretazione scenica va ovviamente Or. 227 1 , in cui tuttavia l'aggiunta della determinazione locale è signi- ficativa, se si pensa che i 'riferimenti alla presenza del in scena erano già stati numerosi durante il prologo (w. 35-36, 44). Invece nel nostro passo man- cano una determinazione locale e una qualsiasi forma di deittico, dunque è pro- babile che a si debba dare qui il valore di «stendere» (seil, «a terra»), come fanno per esempio Conacher, Ettripides Alcestis cit., p. 86 e Kovacs (Euripides Cyclops-Alcestis-Medea, Edited and Translated by D. Kovacs, Cambridge-Lon- don 1994, p. 187), valore che il verbo mostra in Cycl. 544 (Sileno al Ciclope): . Nel nostro caso manca l'indicazione espli- cita del suolo, sottintendere la quale mi sembra tuttavia più facile di un riferi- mento a un letto mai menzionato.

3) stando all'interpretazione della Dale dovrebbe significare «al- zati dal letto», non si può infatti intendere «sollevati (seil, rimanendo sul letto)» perché al v. 267 il testo lascia chiaramente inferire che Alcesti è in piedi. Ma at- tribuire questo significato a questo imperativo che viene sempre utilizzato per esortare un personaggio a sollevarsi da terra sembra inappropriato: sarebbe ne- cessaria piuttosto una precisa determinazione locale.

4) infine una considerazione di pura verosimiglianza drammatica: perché Ad- meto dovrebbe ordinare ad Alcesti di alzarsi dal letto, se i servi l'hanno portato in scena proprio per consentirle di trarre sollievo dagli attacchi del delirio?

28. Cf. Mastronarde, Contact and Discontinuity cit., p. 75: «Alkestis' vision is

preceded by an apostrophe to thè éléments which reveals that she and Admetos are already on différent wave-lenghts before Alkestis has her vision».

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24 Mario Telò

nelle condizioni della comunicazione tra i due personaggi, che rimangono invariabilmente sul versante della dissociazione: viene meno dunque lo strumento d'interpretazione scenica utilizzato nel paragrafo precedente.

Un'indicazione inequivocabile per la ricostruzione è costi- tuita dal v. 267, dove Alcesti prega i servi di lasciarla disten- dere a terra, chiarendo indirettamente che in questo momento si trova in piedi:

' * ', 29

Dunque, come nota la Dale, Alcesti deve essersi sollevata tra il v. 251 e il v. 267. Ma si possono ricavare informazioni dida- scaliche più precise? Il fatto che ai w. 257-258 Admeto non rinnovi l'ordine, come invece succede, in forma esplicita im- plicita, in tutti gli esempi finora esaminati non va sottovalu- tato, anzi questa assenza ci autorizza a sostenere che Alcesti si solleva, forse aiutata dai servi, di sicuro prima del v. 257, e probabilmente già prima delle visioni che hanno inizio con il . 25230.

Se si accetta la ricostruzione della dinamica scenica che ab- biamo qui proposto, si può arrivare a enunciare un principio generale per l'interpretazione di tutte queste scene: un ordine dalla cui realizzazione scenica dipende l'avvio il ripristino delle condizioni normali della comunicazione si deve conside- rare immediatamente eseguito se manca nella porzione circo- stante di testo una qualsiasi forma di iterazione, esplicita op- pure risultante da un ulteriore sviluppo argomentativo31.

29. Il testo che qui presentiamo con il lieve intervento di Hermann per il tradito , apparentemente confermato dallo scolio (II, p. 225, 14 Schwartz , ), è accolto da tutti gli editori. Cf. Dale, Euripides Alcestis cit., p. 73. L'argomento più forte a favore di è dato dal fatto che la conserva- zione del vocativo comporterebbe una rottura della dissociazione dialogica tra Admeto e Alcesti, evidenziata anche dall'alternanza trimetro giambico/metri li- rici, che caratterizza tutta questa scena. 30. In questa direzione interpretativa porta già forse un semplice principio di simmetria, ovvero che i singoli interventi lirici vengano pronunciati nelle stesse condizioni sceniche (quindi i w. 252-257 nelle stesse dei w. 244-245, 248-249 e 259-263). 31. Ulteriore esempio di esecuzione immediata è Andr. 7\7 s., in cui Peleo or-

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Per una grammatica dei gesti nelL· tragedia greca 25

Veniamo ora alla parte finale della scena. Alcuni elementi del testo hanno portato ad ipotizzare una seconda caduta di Alcesti32: i w. 266-267 dai quali sembrerebbe di poter ricavare un'imminente perdita dell'equilibrio, il v. 269 che segnala un annebbiamento della vista simile a quello riscontrabile nella scena finale del collasso (v. 385 - ), e soprattutto l'imperativo 9 ava pronunciato da Admeto al v. 27733. Tuttavia, un'assimilazione di questa forma al classico ordine è assai dubbia34, e inoltre il

dina ad Andromaca di alzarsi in piedi (la donna si era prostrata di fronte a lui per supplicarlo) perché le possa togliere le catene ( / ). II . 719, che accompagna l'esecu- zione di questo atto di liberazione (\ , ' ;), conferma indirettamente che Andromaca dopo il v. 718 si è alzata in piedi. 32. Cf. Dale, Euripides Alcestis cit., ad 266 ss.: «Alcestis sinks exhausted on thè couch».

33. Cf. la traduzione di Conacher, Eurìpides Alcestis cit., p. 87: «Rise up, then».

34. Le fonti grammaticali che si occupano di in relazione all'uso omerico concordano nel considerarlo equivalente alla forma attica (cf. ad esem-

pio Ap. Soph. Lex. Hom. 30, 19, Eust. Comm. ad IL 18, 178), ma si deve verifi- care se i singoli contesti legittimino quest'interpretazione. In //. 6, 331 Ettore, trovando Paride nel talamo con Elena, lo esorta a porre fine al suo atteggiamento imbelle e a partecipare ai combattimenti ' , : è certo probabile che Paride sia seduto (pochi versi prima, 321-324, ap- pare intento a lucidare le armi in mezzo a Elena e alle ancelle), ma è chiaro che

qui l'accento non batte sul dato specifico dell'alzarsi, ma sulla necessità di supe- rare una condizione di torpore complessivo, per cui è fortemente probabile che in questo caso abbia valore puramente esortativo. Considerazioni simili si

possono fare anche per //. 9, 247. Il passo che tutte le fonti grammaticali ed ese-

getiche ricordate menzionano come base per la traduzione '' è //. 18, 178-179 in cui Iris esorta Achille a riprendere parte nei combattimenti: ' , ' * / ^ - . Anche in questo caso è palese che non significa «alzati in piedi» (pace M.W. Edwards, The Iliadi a Commentary. Volume V: books 17-20, Cambridge 1990, p. 168), ma l'ambivalenza semantica di ' («non stare più inerte» come si deve intendere in questo passo specifico, ma anche in prima istanza «non stare più seduto») è stata sfruttata per legittimare l'idea di un' equivalenza gene- ralizzata con : cf. Eust. Comm. ad II. 18, 178 (IV, p. 155, 6-7 van der Valk) «» , (= Ai. 193 ' ), «» e Apoll. Soph. Lex. Hom. 30, 19. Un valore simile a quelli omerici qui visti si riscontra anche in Apoll. Rhod. 4, 1324-1325, dove le Nereidi esortano Giasone in questo modo: ' , ' , / -

' ; è chiaro che anche in questo caso un'equivalenza di ava con renderebbe ' ava del tutto disomogeneo con l'ordine coordinato. Nessuno di questi esempi epici (a cui si aggiunga Od. 18, 13) autorizza quindi di

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26 Mario Telò

commento di Admeto del v. 273 (ròós ) chiarisce retrospettivamente che il pericolo di una seconda ca- duta, ricavabile dalle parole di Alcesti, non ha avuto realizza- zione fattuale. In caso contrario Admeto avrebbe sicuramente reagito così come faceva in corrispondenza del v. 250, ovvero con il relativo ordine; invece egli si limita a formulare l'esorta- zione generica del v. 275 <> , che associata al successivo 9 , ricorda abbastanza da vicino l'esortazione rivolta da Teseo a Ippolito in Hipp. 1456 , , , quando Ippolito è verosimilmente ancora in piedi35.

per sé l'equivalenza di con . Se passiamo a considerare le occorrenze tragiche, oltre a Soph. Ai. 192 ' , in cui, dato il complemento di moto da luogo, il significato di è effettivamente «alzati», la forma si trova in Tro. 98, il cui assetto testuale è reso incerto da difficoltà d'interpunzione: il testo di Murray OCT II, separando dal seguente , crea un'impro- babile esortazione alla propria testa da parte di Ecuba (, , ), altrettanto inaccettabile mi sembra la scelta di Biehl (Euripides Troades, erklärt von W. Biehl, Heidelberg 1989, p. 129) di accogliere l'accusativo testimoniato da una parte della tradizione e farlo dipendere da , che invece è sempre usato in maniera intransitiva (, , ). Diggle OCT II invece spezza il nesso ... , ponendo punto in alto dopo - e accogliendo la variante insieme alla piccola integrazione di Mu- sgrave <'> dopo (che ha il vantaggio di creare una struttura sintattica, con il verbo reggente posto tra i due oggetti coordinati, riscontrabile anche in Hec. 499-500 ... / ) e ricostruisce la se- guente sequenza: , / <'>. Mi pare tuttavia inappropriato separare così fortemente ava dal resto dell'esortazione, forse sarebbe più opportuno porre una virgola dopo : in ogni caso è difficile legare ad ava per riprodurre un nesso simile a Soph. Ai. 193. Ri- tornando ad Ale. 277 si deve aggiungere che, come mi fa notare Enrico Medda, l'attribuzione ad ava del senso di «alzati» darebbe vita a un'esortazione «alzati, resisti» che suona poco simpatetica, e perdipiù non renderebbe ragione del le- game causale, evidenziato da , con il successivo . Questo verso comporta infatti che ciò che immediatamente precede e a cui si connette sia semanticamente omogeneo con il v. 275 <> , e ciò porta a concludere che dietro non si possa celare l'indica- zione scenica forte «alzati» (che renderebbe illogico il successivo ), ma si debba vedere un valore del tutto solidale con il seguente (che sarebbe, come mi suggerisce Lucia Prauscello, quasi epcsegetico rispetto ad ). 35. La richiesta di sostegno fisico fatta da Ippolito a Teseo in corrispondenza del v. 1445 ( ), mentre sta per cadere a terra (questo è il senso scenico che si deve inferire da sulla base del confronto con il già visto And. 1080, nonostante l'interpretazione data dallo sco- lio , e seguita dai com- menti di W.S. Barrett, Oxford 1964, p. 414 e M.R. Halleran, Warminster 1995, p.

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 11

2.3. Un caso apparentemente problematico: Eur. H. F. 1226- 1227, 1394

L'esortazione che Teseo rivolge ad Eracle in H. F. 1226-1227 dopo aver appreso, nel precedente dialogo con Anfitrione, dello scempio dei figli compiuto inconsapevolmente dall'eroe, pone una serie di problemi che hanno messo in difficoltà i commentatori: tra di essi la determinazione del momento in cui Eracle si alza in piedi36. Ne proporremo una soluzione alla luce delle conclusioni a cui siamo giunti fino a questo punto.

Teseo sollecita Eracle, che si trova a terra con il volto co- perto, a dimostrare gestualmente la disponibilità a instaurare il contatto comunicativo:

', ,

Quali segnali offre il testo per stabilire quale tra questi ordini viene effettivamente eseguito? L'intervento di Eracle al v. 1231 ( ' ;) rappresenta una sorta di risposta ad esecuzione avvenuta della seconda37 e conseguen-

267), deve essere verosimilmente eseguita (il contrario non sarebbe in linea con Fatteggiamento di Teseo nei confronti del figlio in questo finale del dramma): dunque in corrispondenza del v. 1456 Ippolito è in piedi, sostenuto dal padre e forse dai servi. È dunque improbabile un'altra caduta tra quella minacciata del v. 1445 e il collasso finale preannunciato dai w. 1457-1458.

36. Basti segnalare i dubbi di Bond (Euripides Herakles, with Introduction and Commentary by G.W. Bond, Oxford 1981, p. 374): «It is not certain when Hera- kles stands up». 37. La risposta di Eracle implica davvero che Teseo scopra il volto di Eracle? Di questo avviso si dichiarano Bond, Euripides Herakles cit., p. 374, Kaimio, Physical Contact in Greek Tragedy cit., p. 21, contro invece Halleran, Stagecraft in Euripides cit., p. 91. Supporre un'azione diretta di Teseo mi sembra eccessivo, soprattutto se si confronta il v. 1231 con il precedente 1202, dove Teseo ordina letteralmente ad Anfitrione di scoprire Eracle ( ), ma ciò comporta non che Anfitrione sia materialmente autore del gesto, ma soltanto che cerchi di persuadere Eracle a compierlo, come si evince chiaramente dai w. 1203-1204 ( , * / , , ). Inoltre se fosse direttamente Teseo a scoprire Eracle, ci aspetteremmo una maggiore enfasi nel testo sul tema dell'impurità di Eracle, che viene messo in forte evidenza nei w. 1398 ss. quando il contatto fisico con Teseo è certo (si confronti l'ammonimento di Eracle quando Teseo cerca di sollevarlo al v. 1399 '

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temente della terza richiesta. La prima rimane irrelata: non si trova infatti nessuna indicazione relativa alla condizione sce- nica di Eracle (a terra in piedi?) se non al v. 1394 (centocin- quanta versi dopo) grazie a un secondo ordine pronunciato da Teseo, subito dopo che Eracle si è congedato da Tebe con l'intenzione di seguirlo ad Atene: \ * - . Le possibilità interpretative sono essenzialmente due: si deve considerare il v. 1394 un caso di iterazione esplicita rispetto all'ordine pronunciato al v. 1226, e quindi supporre che Eracle pronunci la sua lunga rhesis rimanendo a terra fino al v. 1394 (per sintetizzare, ci troveremmo di fronte al modello scenico esemplificato da Andr. 1076-1080, ma con un'inusitata dilazione della ripetizione) oppure pensare che Eracle si alzi immediatamente dopo il v. 1226, pronunci la sua rhesis rimanendo in piedi, per cadere di nuovo poco prima del v. 1394. Wilamowitz propendeva giustamente per questa pos- sibilità, e scorgeva nelle apostrofi ai figli e alle armi la prova di un movimento di Eracle, ma, anche trascurando la verifica di questo particolare38, si può essere abbastanza certi di quest'in- terpretazione proprio tenendo conto del principio ricavato dall'analisi di Ale. 248-279: la mancanza di un'iterazione del primo ordine implica un'esecuzione immediata, senz'alcuna dilazione39.

), mentre al v. 1232 esso compare solo all'interno di una sorta d'immagine metaforica (ovvero la possibile contaminazione del sole nel momento in cui Era- cle, scoprendosi, entra in diretto contatto con la natura circostante), e nel verso seguente solo come esortazione generale (\ ', ). Per il problema dello svelamento nel finale dell'Alcesti, cf. infra, par. 5.2. 38. L'idea di Wilamowitz (Euripides Herakles, erklärt von U. von Wilamowitz- Moellendorff, Berlin 18952, p. 484) fu rigettata sbrigativamente da W. Schade- waldt, Monolog und Selbstgespräch. Untersuchungen zur Formgeschichte der Griechischen Tragödie, Berlin 1926, p. 183 n. 1 (e successivamente accolta con in- certezza da Bond, cit., ad loc). Le apostrofi alle armi, ricche di deittici (w. 1376- 1378 ... / , ' / ' ' ), potrebbero testimoniare un'effettiva instaurazione di contatto fisico, proprio come in Ion. 1389 ss. , - , / * ...;, dove Ione sta riprendendo possesso degli gnorismata appena recuperati, in Phoen. 1701-1702 dove Edipo e Anti- gone toccano i cadaveri di Eteocle e Polinice ( * ' / ). 39. In questo caso poi, a differenza di quanto accade nella scena dell' Alcesti, la battuta pronunciata da Eracle subito dopo l'ordine di Teseo (v. 1229 , - ' * ;) denuncia una forte ripresa di contatto, che sa-

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Per una grammatica dei gesti nelh tragedia greca 29

In corrispondenza del v. 1394 si può notare un'ulteriore analogia espressiva con Y Alcesti, che consente di avvalorare Pinterpretazione data. La caduta di Alcesti, segnalata testual- mente dall'ordine pronunciato da Admeto al v. 250, seguiva a un'invocazione alla Terra e ai «focal points of her's life affec- tions»40, il palazzo di Fere e la camera nuziale di Iolco ( / ); Sl- milmente l'ordine di Teseo (5, * ) cade alla fine di un saluto di Eracle a Tebe (1389 / , 5...), attra- verso il quale egli trapassa verso una condizione di distacco comunicativo dal suo interlocutore (si veda l'apostrofe a lui rivolta solo pochi versi prima, v. 1386 , , - 9), il cui congruente risvolto scenico deve consistere pro- prio in un ritorno a terra41.

2.4. Difficoltà ricostruttive in assenza di un ordine

Esaminerò ora due casi nei quali risulta più difficile stabilire con i mezzi usati finora in quale punto del testo si debba col- locare il gesto di sollevarsi da terra: manca infatti la solita

esplicitazione testuale nella forma di un ordine, e del compi- mento dell'azione si ha notizia indiretta a notevole distanza dal momento della caduta.

Partiamo dal caso degli Eraclidù Quando entra in scena, il Coro trova Iolao disteso a terra (75-76 ' - / ..., 77 5

rebbe nettamente in contraddizione con un eventuale permanere a terra di Eracle.

40. Dale, Euripides Alcestis cit., ad loc.

41. Si potrebbe annoverare dunque questo passo nella categoria denominata da Mastronarde, Contact and Discontinuity cit., pp. 76-77 «briefer involuntary breaks». Alla base della caduta di Eracle non si può certo vedere un effettivo stato di trance paragonabile a quello di Alcesti, ma piuttosto il perdurare di una condizione d'instabilità psicologica e fisica dovuta al sonno seguito all'uccisione dei figli. Una situazione simile a quella riscontrabile qui (perdita di contatto con l'interlocutore nella forma di un'invocazione) caratterizza anche la caduta a terra di Filottete in Soph. Phil 819-820 (la precedente battuta di Filottete, v. 817, mo- strava ancora il permanere del contatto dialogico con Neottolemo: ' , ): , ' / ' ' .

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;): questo è il risultato scenico della violenza usata con- tro di lui dall'Araldo argivo nel prologo (w. 66-72)42. Il pro- blema che si pone a questo punto è il seguente: quando Iolao si solleva da terra? Che ciò avvenga non è dimostrato soltanto dalla successiva drammatizzazione di una seconda caduta (w. 602-603), ma ancora prima dal fatto che Iolao comincia al v. 181 un discorso solenne rivolto a Demofonte, che non può, anche solo per pure ragioni di decoro, pronunciare rima- nendo disteso a terra, e poi mette in atto una supplica (w. 226-230), che comporta, qualunque sia la sua forma43, il supe- ramento della condizione scenica descritta dal Coro. Manca tuttavia, come abbiamo già accennato, il consueto ordine di sollevarsi: questa assenza può essere certo motivata dal fatto che la caduta a terra non è frutto di uno svenimento (ovvero di un'azione, per quanto non completamente volontaria, co- munque dipendente dal soggetto), ma di un atto coercitivo su- bito, e dunque l'invito, che ci aspetteremmo, a ripristinare le condizioni sceniche normali della comunicazione viene tra- scurato dal Coro a causa del prevalere di un atteggiamento di sympatheia tipico di molte parodoi44.

Bisogna tentare d'individuare nella sezione di testo com- presa tra i w. 77-180 il punto in cui verosimilmente l'azione inespressa abbia luogo. Kovacs45, che è il primo a prendere in considerazione il problema, sceglie la soluzione più semplice,

42. Questa è Tunica scena del teatro tragico attico in cui un personaggio viene gettato a terra. Cf. Kaimio, Physical Contact cit., p. 73 e Wilkins, Eunpides Hera- clidae cit., p. 58. Il testo dei w. 59-72 non consente una visualizzazione scenica di ogni fase dell'azione dell'Araldo: tuttavia per almeno due punti si possono avan- zare delle ipotesi dotate di un buon grado di probabilità. In corrispondenza del v. 63 ( xfiôe ;) si può immaginare che l'Araldo alzi mi- nacciosamente la mano contro Iolao (la sottolineatura deittica di è eloquente da questo punto di vista): lo scudiero di Eracle viene gettato a terra quando (v. 67) l'Araldo pronuncia il brusco imperativo (facile correzione di Cobet del tradito '). 43. Si tratta con tutta probabilità di una «figurative supplication», che non im- plica instaurazione di contatto fisico con il supplicato. Cf. Kaimio, Physical Con- tact cit., p. 57.

44. Su questo motivo si vedano M.P. Pattoni, La sympatheia del coro nella pa- rodo dei tragici: motivi e forme di un modello drammatico, «Stud. class. orient.» 39, 1989, pp. 33-82 (per la scena degli Eraclidi, p. 45) e DJ. Mastronarde, // coro euripideo: autorità e integrazione, «Quad. urb. cult, class.» 89, 1998, pp. 61, 64 (dove il motivo viene considerato una novità euripidea). 45. Euripides Children ofHeracles-Hippolytus-Andromache-Hecuha cit., p. 29.

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 31

ovvero quella di collocare il movimento di Iolao in corrispon- denza del v. 181, poco prima che prenda la parola di fronte a Demofonte. Ma si rende a questo punto necessaria un'ulte- riore considerazione, trascurata da Kovacs; quando Demo- fonte arriva in scena e chiede ragione dell'inusitato affolla- mento intorno all'altare, il Corifeo descrive la situazione sce- nica contingente in questi termini (w. 123-125):

' , , , .

La condizione scenica di Iolao viene pertanto equiparata a quella degli Eraclidi, e coincide con quella che lo scudiero di Eracle si attribuiva nel corso del prologo (v. 33 - & ). Possiamo dunque concludere che tra il primo intervento del Coro e questo punto del testo lo status scenico di Iolao è mutato: come chiarisce il segmento testuale richiamato, egli è ritornato nella condizione di - , che comportava verosimilmente che in quanto supplice rimanesse nell'area sacra intorno all'altare, adottando una po- stura di difficile identificazione.

Credo che si possa avere un'idea più precisa di essa valoriz- zando un'indicazione contenuta nei w. 127-129. Il Coro de- scrive in questi termini gli effetti della violenza dell'Araldo su Iolao: 5 5 / / ... Wilkins, Euripides Heraclidae cit., ad loc, non si sofferma a spiegare il senso preciso del nesso , e il significato che gli viene assegnato dalla maggior parte delle traduzioni è generico, centrato sull'effetto dell'azione dell'Araldo (la caduta a terra) più che sulle sue modalità di realizzazione46. In altre parole, essendo il ginoc- chio sede dell'equilibrio (e più in generale del principio vi- tale47), dire «ha fatto vacillare il ginocchio del vecchio» equi- varrebbe a indicare una qualsiasi perdita della posizione

46. Cf. Tragedie di Eunpide, & cura di O. Musso, I, p. 307: «... ha fatto cadere il vecchio» e Kovacs, cit., p. 23: «This man... has knocked thè old man to thè

ground...». 47. Cf. soltanto la dichiarazione esplicita di Plin. N. H. 11, 103: Haec (= genua) supplices attingunt, ad haec manus tendunt, haec ut aras adoranty fortassis quia inest iis vitalitas.

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eretta48. Il confronto con una scena plautina consente forse di ricavare qualche dato aggiuntivo. Nella Rudens Palestra e Ampelisca trovano rifugio presso l'altare di Venere (w. 692 ss.); Palestra ai w. 694-695 rivolge la seguente preghiera alla dea:

... Venus alma, ambae te opsecramus, aram amplexantes hanc tuam lacrumantes, genibus nixae

Dunque, le due supplici abbracciano l'altare di Venere49 stando inginocchiate. Ora, se Iolao fin dall'inizio della trage- dia si trovasse nella stessa condizione scenica delle due sup- plici comiche, risulterebbe immediatamente chiara la ragione del ricorso al nesso inusitato , che verrebbe facil- mente rapportato proprio alla specifica postura assunta dal

supplice50. In questo modo il v. 128 fungerebbe da informa- zione retrospettiva su un aspetto della condizione dei supplici che nelle altre tragedie riceve un riscontro testuale sempre piuttosto sbiadito51.

48. Per quanto riguarda il significato di , cf. //. 23, 719 (Odisseo cerca di far cadere a terra Aiace). Fuor- viante Tinterpretazione del v. 128 fornita dalla traduzione di Meridier (Euripide, tome I, le Cyclope-Akeste-Médée-les Héraclides, texte établi et traduit par L. Meridier, Paris 1961, p. 202): «... il a soulevé les cris et fait plier le genoux du vieillard». La visualizzazione scenica prodotta da questa esegesi non si concilia infatti con la descrizione di Iolao data dal Coro ai w. 75-76, in cui egli appare sdraiato a terra ( ), non semplicemente piegato sulle ginocchia. A questa postura corrisponde piuttosto la formula omerica ( ) pronunciata dagli eroi omerici nel momento della loro resa fisica. Cf. //. 5, 309-310; 8, 329; 11, 355 e il commento di Kirk (G.S. Kirk, The Iliadi a Commen- tary. Volume II: books 5-8, Cambridge 1990) ad //. 5, 309. 49. Aram amplexantes hanc è accostabile a ... di Held. 124.

50. C'è poi da tener presente che in molte rappresentazioni vascolari (soprat- tutto del quarto secolo) il supplice appare proprio inginocchiato su un altare. Si veda per esempio il caso del cosiddetto Würzburg Telephos discusso da O. Ta- plin, Comic Angels and Other Approacbes to Greek Drama tbrougb Vase-Pain- tings, Oxford 1993, pp. 40 ss. Sul supplice agenouillé cf. J.M. Moret, Vllioupersis dans h céramique Italiote. Les mythes et leur expression figurée au IV siècle, I, Genève 1975, pp. 106-107. 51. A descrivere la condizione di Andromaca nella tragedia omonima concor- rono i w. 44 ... / ' ..., 262-263 ... d / * ... - (questa stessa minaccia di Ermione viene ripetuta da Menelao al v. 380),

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Per una grammatica dei gesti neüa tragedia greca 33

Stabilito ciò, si può ritornare a esaminare la didascalia in- trodotta da Kovacs al v. 181: «rising to his feet». Essa, se in- tesa come indicazione del momento in cui Iolao abbandona il causato dall'atto violento dell'Araldo, è scor- retta perché non tiene conto dei w. 123-125, dai quali si evince che Iolao ha già riassunto la sua condizione scenica

originaria; se invece essa implica un effettivo sollevarsi in

piedi come superamento momentaneo, indotto da scrupoli di decoro nei confronti di Demofonte, dello stato di supplice, Kovacs aggiunge arbitrariamente un'indicazione ex silentio non necessaria, dal momento che il confronto con scene simili dimostra che è previsto che un personaggio possa pro- nunciare una rhesis rimanendo in questa condizione52.

e 266 ... Come si vede, anche a causa del valore ambiguo di oscillante tra «luogo» e «postura» (cf. le giuste osservazioni di M. Cropp, Hera- kleidai 603-4, 630 ff, and thè Question of thè MutiUtion of thè Text, «Amer.

Journ. Philol.» 101, 1980, pp. 283-286), non si può ricavare con certezza la con- clusione che Andromaca sia effettivamente seduta (considerazioni simili si pos- sono fare anche per l'indicazione contenuta in H. F. 48 -

). Se la ricostruzione della postura di Iolao che abbiamo proposto è corretta, si può ben comprendere il valore assai generico di un'indicazione come Hcld. 55 & ' e la validità dell'affermazione di

Cropp, Herakleidai cit., p. 285, secondo cui «sitting is a naturai but not a neces-

sary posture for suppliants to adopt at altars». In Supp. 93 Teseo ricorre all'e-

spressione (ovvero all'inarca la stessa espressione utilizzata da Io- lao al v. 33) per qualificare lo statuto scenico di Etra, che tuttavia non compare nel prologo in veste di supplice; secondo Collard (Euripides Supplices, edited with Introduction and Commentary by C. Collard, II, Groningen 1975, p. 137) il nesso «implies simply that she has sat down to await Th.'s co-

ming...», in altre parole dopo il prologo Etra avrebbe modificato la sua condi- zione scenica senza che di ciò rimanga un segnale nel testo. D'altra parte potrebbe indicare semplicemente che la donna sta occupando la zona in- torno all'altare (senza specificare con quale postura), e in quanto tale non diffe- rire nella sostanza dall'informazione prologica (v. 33) , coincidente con la descrizione della madre data ancora da Teseo al v. 290 . NeìVElena i punti chiavi per ricostruire la condizione scenica di Elena sono i w. 528-529 ' * * / ... e soprattutto la domanda rivolta a Menelao dopo il riconosci- mento (v. 797 * ;) con l'immediata risposta (v. 798) , , , da cui si può desumere che intorno alla tomba ci sia una specie di pagliericcio dove Elena effettivamente siede.

52. Per esempio Ermione in Andr. (266 * ...) lascia intendere che Andromaca ha pronunciato la lunga contropreplica dei w. 183-231 permanendo nella sua condizione di supplice presso l'altare, e d'altra parte anche Elena nella

tragedia omonima dialoga a lungo con Teucro rimanendo seduta accanto alla

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34 Mario Telò

Passiamo ora a considerare la sezione del prologo delle Troiane che segue al dialogo tra Poseidone e Atena. Ai w. 98- 99 Ecuba pronuncia la seguente esortazione autoreferenziale: ava, , / <'>53 in ese- cuzione della quale, come mostrano chiari indizi testuali, Ecuba non si alza, ma si limita a sollevare il capo da terra54. Durante il prosieguo di questa sezione in anapesti recitativi e nella successiva in lirici (w. 122-152) manca un'indicazione esplicita che lasci intendere che Ecuba si sia alzata in piedi, e d'altra parte che questo movimento abbia luogo prima del v. 152 è dimostrato dal fatto che nella parodo i due semicori non fanno alcun cenno alla condizione di Ecuba, particolare que- sto che risulta particolarmente sorprendente se confrontato con l'ingresso del Coro negli Eraclidi, dove invece i coreuti, arrivati in scena, come le donne troiane, in seguito alla perce- zione extrascenica di inusitate grida55, ponevano in primo piano proprio il fatto che Iolao si trovasse disteso a terra. An- che in questo caso per collocare con puntualità il momento dell'esecuzione del gesto è possibile solo avanzare delle ipo- tesi che si riducono sostanzialmente a due: in corrispon- denza del passaggio dagli anapesti recitati alla monodia (dopo il v. 121), oppure prima dell'invocazione alle Troiane (w. 143 e ss. ' / ...), che po- trebbe segnare un tentativo d'instaurazione di contatto, e dunque implicare come congruente risvolto scenico l'atto di alzarsi da terra.

Per quanto il caso di Trach. 983 ss. non consenta di esclu- dere che un attore possa intonare una monodia stando di-

tomba (cf. l'indicazione indiretta fornita dal Coro al v. 315 oìoff 5 ). 53. Cf. per il problema connesso con il significato di ava e l'assetto testuale complessivo di questi versi supra, n. 34. 54. Prove indubitabili del fatto che Ecuba sia ancora distesa a terra sono i w. 112-114 / , , / * e 116-119 ... / / . Su questi versi cf. Biehl, Euripides Troades cit., p. 125 che immagina in questo modo la dinamica scenica: «Jetzt ver- sucht sie sich aufzurichten (98-109), sinkt jedoch... erneut in sich zusammen und wälzt sich in ihren Konvulsionen am Boden (110-21)». 55. Cf. Pattoni, La sympatheia del coro cit., p. 45, n. 21 e Battezzato, // mono- logo cit., p. 85, n. 25.

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steso56, risulta verosimile, sulla base del parallelo di Hec. 59- 96, che al trapasso metrico si accompagni un mutamento di condizione scenica57. Inoltre l'indicazione contenuta al v. 138 (, ) non può essere utilizzata come in- dizio a favore di un permanere a terra di Ecuba: infatti, se nessi simili possono essere impiegati per denotare la condi- zione di un personaggio seduto58, non è questo il caso perché

56. Sulle precise condizioni sceniche di Eracle mentre canta prima la sequenza di anapesti dei w. 983-1003, e poi la sezione strofica dei w. 1003-1016 e 1023- 1040 si possono formulare solo ipotesi; Tunica scena accostabile è Hipp. 208 ss., dove Fedra, in preda al delirio, canta una serie di anapesti, dopo che tuttavia è stata sollevata dalle ancelle in adempimento degli ordini impartiti ai w. 199-201 (su cui cf. Bain, Masters, Servants, Orders cit., p. 21). Si potrebbe pensare che in maniera simile Eracle pronunci i w. 983-1003 stando sollevato, anche se il gesto non è esplicitato dal testo, e che alla fine di questa sezione anapestica stia per di- stendersi di nuovo, ma questo tentativo sia bloccato dai servi (a questo si potreb- bero riferire le proteste dei w. 1004-1006 / , / ), che lo rimettono nella posizione idonea per la prosecuzione del canto. Sembra difficile pensare infatti che un canto (cf. Sopbocles. The

Phys and Fragments, by R.C. Jebb, part V, thè Trachiniae, Cambridge 1892, p. 147), assimilabile a un'aria d'opera, venga cantato mentre l'attore si trova sdraiato.

57. Prima di cantare la sua monodia prologica in anapesti (w. 68-97), Ecuba or- dina (sempre in anapesti recitati, w. 59-67) alle ancelle di concederle sostegno fi- sico. Dopo averlo ottenuto, si mette a cantare. Di Benedetto-Cerbo {Euripide. Le Troiane, introduzione di V. Di Benedetto, traduzione di E. Cerbo, Milano 1998 p. 136 n. 32 e pp. 29-30 dell'introduzione), che si mostrano sostanzialmente sulla stessa linea interpretativa che abbiamo accolto, citano come parallelo anche

Hipp. 1347-1388: in concomitanza col passaggio dagli anapesti recitativi (w. 1347-1369) alla sezione lirica (w. 1370 e ss.) si avrebbe un mutamento nella con- dizione scenica di Ippolito, perché cesserebbe l'opera di sostegno fisico dei servi in esecuzione dell'ordine dato da Ippolito al v. 1372 . Tuttavia l'esecuzione di quest'ordine non è scontata (dubbi in questo senso sono mostrati

già da Bain, Masters, Servants and Orders cit., p. 23, n. 4), soprattutto se si tiene

presente che quello simile formulato da Alcesti in Ale. 266 ( ) rimaneva irrealizzato (cf. le considerazioni fatte supra): mi sembra obiettiva- mente difficile che i servi possano lasciare la presa da Ippolito sofferente, per quanto venga loro richiesto. L'idea che Ippolito si appoggi su un letto (cf. Bat- tezzato, // monologo cit., p. 42, n. 55) si scontra con la difficoltà dell'assenza di un

esplicito riferimento testuale ad esso, e soprattutto con quella di stabilire in quale punto del testo il giovane si rialzerebbe prima della perdita dell'equilibrio del v. 1445 (cf. supra, n. 35). 58. Prendiamo in considerazione gli usi tragici di , , . Il verbo è impiegato per descrivere un personaggio seduto ne\V Aiace, w. 105-106 (Aiace descrive Odisseo) ... / , e soprattutto 325 (Tecmessa de- scrive Aiace) ... . In diversi passi lo stesso verbo definisce gene- ricamente la condizione del supplice: Ai. 1173, . 20, O. G 1160 (dove si trova

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Ecuba si può trovare solo sdraiata oppure in piedi. Il valore di è invece genericamente locativo («sedi»), come dimo- stra la precisazione , che serve a rideterminare pateticamente l'ambientazione del dramma. Proponiamo dunque di collocare il movimento di Ecuba dopo il . 12159.

Nel corso della tragedia, com' è noto, Ecuba cade a terra in corrispondenza del v. 462. L'ordine dato dalle coreute alle serve è eloquente in proposito (w. 464-465): 5; 9, , / ; 5 . Dopo una rhesis di circa quaranta versi Ecuba, rivolgendosi probabilmente alle serve60, esclama (v. 505): 9 9; Il problema che si pone a questo punto è di stabilire se l'or- dine dato dal Coro ai w. 464-465 sia effettivamente eseguito oppure se tale esecuzione, come pensa Bain61, venga rimandata

però il sostantivo ) e Eur. Hcld. 239. Per quanto concerne invece l'uso di , esso può significare genericamente sede, luogo in cui si vive (si veda l'in- vocazione alPusignolo in Hel 1108 / évi-/ ...), oppure precisarsi attraverso una qualificazione aggettivale, come in H. F. 1097 (Eracle che si sveglia prendendo atto di ciò che lo circonda) , , e Hel. 895 (Elena supplica Teonoe) - , che presuppone la figura etimologica «star seduto su un seggio», come in Aesch. P. V. 389 ;, ma rovesciandone decisamente la prospettiva. Nessuna delle due posture risultanti da questa rassegna (star seduti, la condizione di un supplice) è dunque applica- bile al personaggio di Ecuba in questo contesto. 59. Un ulteriore argomento a favore di quest'interpretazione è costituito dai ri- ferimenti al desiderio di accompagnare il canto con movimenti di danza, che si riscontrano ai w. 116 ss. Cf. su questo aspetto F. Perusino, II pianto di Ecuba nelle Troiane di Eunpide, in Mousike. Metrica, ritmica e musica greca in memoria di G. Comotti, Pisa-Roma 1995, p. 255. 60. Battezzato, // monologo cit., p. 113 sostiene che «alla fine della rhesis il coro è chiamato in causa come se tutto il discorso fosse stato rivolto a lui (v. 505, che riprende i w. 466-468)»; questa osservazione non può essere data tuttavia come certezza, dal momento che le destinatane dell'ordine del Coro di sollevare Ecuba e della protesta di quest'ultima ai w. 466-467 ( ' ... ) sono ve- rosimilmente le serve (il vocativo del . 466 è eloquente da questo punto di vista nel senso che non può essere indirizzato alle coreute che, come emerge per esempio dai w. 1083 ss., sono donne sposate), e di conseguenza risulta più congruente che siano le stesse serve al v. 505 a sorreggere Ecuba e a essere da lei apostrofate. 61. Masters, Servants and Orders cit., p. 11, dove si sostiene che Ecuba «deli- vers her speech on her knees».

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al v. 505. Mi sembra che una semplice osservazione possa es- sere utile a questo proposito. L'ordine ' si ritrova anche in Hipp. 198 dove viene pronunciato da Fedra ( , ): è chiaro che in questa scena Fedra non chiede di essere aiutata ad alzarsi in piedi, ma sem- plicemente ad assumere una posizione eretta, pur rimanendo sul letto. Quindi nel caso di Tro. 465 pensare che l'ordine del v. 465 venga immediatamente eseguito non è in contrasto con l'indicazione del v. 505 dal momento che la lettera dell'ordine

comporta semplicemente che Ecuba raggiunga temporanea- mente una posizione eretta, non stabile, che probabilmente in

corrispondenza del v. 505 sta di nuovo per perdere, provo- cando un nuovo intervento delle serve62. Il dato più rilevante è che la protesta dei w. 466-467 ... non

può essere considerata, come fa Bain, un elemento tale da an- nullare l'azione scenica innescata dall'ordine dei w. 464-465:

significativo in questo senso il confronto con Soph. Tr. 1004- 1007, in cui Eracle protesta slmilmente contro i servi ( 9 / / ), che stanno cercando di modificare la sua posizione sulla barella, ma non riesce a fermare la loro opera, come si evince chiaramente dal v. 1007 <nq> ; ; Per queste ragioni ri-

tengo che annoverare questa scena nella categoria dei «coun- termanded orders» come fa Bain non tenga conto dei dati of- ferti dal testo.

3. 'Coprirsi, scoprirsi il volto': una proposta d'interpreta- zione

Trattando dei problemi d'interpretazione scenica posti dal- l'ordine , abbiamo proposto di motivare l'as- senza di un segnale esecutivo esplicito considerando il parti- colare significato drammatico del gesto di cadere a terra: esso

rappresenta una rescissione di contatto comunicativo, e di

conseguenza l'esecuzione dell'ordine che sollecita il ripristino

62. In alternativa si potrebbe valorizzare la decisa ripresa di contatto che si rea- lizza al v. 505 dopo la lunga sequenza paramonologica dei w. 469-504, e pensare che con ' Ecuba stia semplicemente rifocalizzando la

propria attenzione sull'atto scenico già in corso.

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delle condizioni sceniche normali coincide con la piena rein- tegrazione nei ranghi della finzione dialogica. Un ragiona- mento simile può essere utilizzato anche per Pesegesi di un'al- tra categoria di situazioni sceniche, quelle in cui un personag- gio si copre il volto e riceve successivamente Pordine di sve- larsi: anche in questo caso, dunque, si può ovviare alle ellissi didascaliche del testo (riguardanti il punto in cui Pordine di svelarsi viene eseguito) considerando il livello di contatto ver- bale tra i due personaggi (autore e destinatario dell'ordine) coinvolti63. Bisogna però rilevare una differenza rispetto alla categoria gestuale esaminata in precedenza: mentre la caduta a terra di un personaggio può essere segnalata testualmente an- che solo attraverso l'ordine di sollevarsi64, il gesto di velarsi ri- ceve sempre una segnalazione verbale diretta. La verifica di questo principio d'integrazione tra opsis e lexis ci consentirà di chiarire il senso di un'indicazione gestuale problematica.

3.1. Eur. Hyps. fr. 60, 43 Bond: scoprire alzare il volto?

Il fr. 60 delVlpsipile, che tramanda una delle parti più consi- stenti della tragedia, presenta Ipsipile sul punto di essere con- dannata a morte da Euridice, che la ritiene responsabile della morte del figlio Ofelte. La speranza, espressa ai w. 16-19, che Anfiarao la possa salvare dalla morte è immediatamente esau- dita dall'arrivo dell'eroe (si veda al v. 27 la reazione di Ipsipile

63. La determinazione del momento in cui un personaggio si svela non si pone generalmente in termini problematici. Il principio generale che abbiamo enun- ciato a testo trova chiara applicazione in Supp. 111-113; dopo l'ordine che ha ri- cevuto da Teseo (111 1/ ), Adrasto instaura il contatto verbale (113 ' ): lo svelamento è avvenuto dunque immediatamente. Per quanto concerne la simile esortazione rivolta da Teseo alla madre nella stessa tragedia ai w. 286-290, si può fissare il momento delPesecuzione da parte di Etra in corrispondenza del v. 293, quando recupera fi- nalmente il contatto ( , , ;). Slmilmente la dida- scalia che segnala lo svelamento di Elettra in adempimento dell'ordine di Oreste in Or. 294 ( ', , ) si dovrà collocare al v. 307, con cui si apre il primo intervento di Elettra dopo la rbesis del fratello. Per /. A. 1122- 1123 cf. infra, per Ion 967, n. 74.

64. Gli unici due casi in cui si riscontra uno Svenimento annunciato* sono Hcld. 602-603 ( , ' / ...) e Hec. 438 ( ', - , ).

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[] ), che a partire dal v. 43 si rivolge a Euridice65:

, , *

Cosa sta chiedendo Anfiarao a questo punto? Qualunque sia la risposta, siamo certi grazie al successivo intervento di Euri- dice che l'ordine viene eseguito (w. 50-52):

" [] , ' 9 [] · ' 9 9 <> []

Secondo Bond66 le parole di Anfiarao andrebbero intese come richiesta di scoprirsi il capo: Euridice se lo sarebbe velato, in- fatti, nel momento dell'arrivo in scena dell'eroe67. Se ci ba-

65. Riporto il testo secondo l'assetto di Eunpides Hypsipyle, Text and Annota- tion based on a Re-examination of thè Papyri by W.E.H. Cockle, Roma 1987.

66. Eunpides Hypsipyle, Edited by G.W. Bond, Oxford 1963, p. 110.

67. Gli argomenti usati da Bond (sulla sua stessa linea interpretativa anche M. Heath, The Poetics of Greek Tragedy, Stanford 1987, p. 141 e S. Montiglio, Si- lence in thè Land of Logos, Princeton 2000, pp. 178-179) per dimostrare la sua tesi sono assai discutibili. In primo luogo, Hec 973-974 ... * - , / (su cui cf. infra, n. 75), citato come pre- sunto parallelo, è da considerarsi semplicemente come una sentenza di carattere

generale sulla necessità per le donne di non guardare in faccia un uomo, gesto questo ben distinto dall'atto di velarsi il volto. E infatti il gesto compiuto da Ecuba, rispetto al quale la sentenza suona come una sorta di giustificazione, con- siste semplicemente nelPabbassare lo sguardo di fronte a Polimestore, come si

può ricavare facilmente da almeno due punti del testo (968 - , 972 - ). Cf. in proposito Eunpides Hecuha, with Introduction, translation and commentary by C. Col- lard, Warminster 1991, p. 182 e Gregory, cit., p. 163 contro D. Kovacs, The He- roic Muse: Studies in thè Hippolytus and Hecuha of Eunpides, Baltimore 1987, p. 106 che pensa che Ecuba si copra. Il secondo argomento di Bond consiste nel- Paccostare l'azione di rimozione del velo che suppone nel testo all'atto con cui Anfitrione libera Eracle dalle catene, come conseguenza dell'annuncio dato in H F. 1123 (, , , ;). Ma i due passi non sono compa- rabili: il fatto che Eracle esca dalla casa incatenato infatti risulta dal testo già prima dell'annuncio di Anfitrione (cf. w. 1094 ss. , - ... ), l'annuncio appare pertanto del tutto congruente, ciò che è invece

singolare nell'interpretazione del testo data da Bond è che Euridice modifiche- rebbe il suo stato scenico improvvisamente, e a questa nuova condizione di 'vela-

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siamo soltanto sulla lettera del testo, l'ordine di Anfiarao e la successiva reazione di Euridice potrebbero adattarsi tuttavia non solo all'atto di scoprire un volto velato, ma anche a quello di alzare lo sguardo68 per mostrare all'interlocutore la dispo- nibilità a iniziare il dialogo69. L'unico modo per risolvere que- st'ambiguità consiste nel verificare, attraverso una ricogni-

ta', in alcun modo segnalata dal testo, farebbe riferimento l'ordine di Anfia- rao. 68. L'espressione è infatti ambivalente: Hipp. 946-947 ', ' , / * mostra come essa possa essere impiegata semplicemente in riferimento a un personaggio (Ippolito in questo caso) con il volto abbassato. Un esempio che potrebbe invece suppor- tare la tesi di Bond (ma da lui non citato) è H. F. 1203-1204 , * / , , , ma, come si può vedere, l'ordine di scoprirsi il volto emerge con chiarezza non dall'imperativo, ma dall'inequivoca- bile * . Quando poi in ordini di questo genere non viene espressamente menzionato un velo simili (, , ), si trova di solito un verbo che evoca inequivocabilmente un atto di svelamento ( in Supp. 110 e H. F. 1202 in Or. 294). 69. Esempi di questo genere sono costituiti da: Hcld. 942-944 (Alcmena ad Eu- risteo: ' / / *...), il già citato Hipp. 946-947 , Cyd 211 (il Ciclope al Coro: ), su cui cf. infra, e in ambito sofocleo Ant. 441 (Creonte ad Antigone: , / ,...;), su cui si veda Sopbocles Antigone, Edited by M. Griffith, Cambridge 1999, p. 198 contro A.L. Boegehold, Antigone Nodding, Unbowed> in F.B. Tichener-R.F. Moorton, The Eye Expan- ded. Life and thè Arts in Graeco-Roman Antiquity, Berkeley-Los Angeles-Lon- don 1999, pp. 19-23 e idem, When a Gesture was Expected cit., pp. 59-62, che at- tribuisce al nesso il significato di («assentire»); a rendere improbabile quest'interpretazione concorre non solo la presenza della stessa espressione ai w. 269-270 con inequivocabile valore di «abbassare il volto» ( , / ), ma anche l'ag- giunta di due ulteriori considerazioni: 1) lo studioso ritiene che Pinterpretazione tradizionale dell'espressione sarebbe in contrasto con la caratterizzazione prece- dente del personaggio di Antigone, che a questo punto non avrebbe motivo di provare vergogna paura, in realtà il gesto di Antigone si adatta perfettamente alla condizione in cui si trova al momento, ovvero quella di prigioniera (una con- ferma di ciò è data dal fatto che, come abbiamo già ricordato, lo stesso gesto è at- tribuito anche da Alcmena ad Euristeo, portato sulla scena in catene, in Hcld. 942-944) 2) l'associazione del verbo con una determinazione locale che esprima un movimento dall'alto verso il basso non si identifica semanticamente con , cf. per esempio schol. R ad Ar. Nub. 187 ( * - ;): , dove il gesto visualizza evidentemente un momento di meditazione. Cf. per altri passi, non drammatici: L. Ricottilli, «Tum breviter Dido voltum demissa profa- tur» (Aen. 1, 561): individuazione di un 'cogitantis gestus* e delle sue funzioni e modalità di rappresentazione nell'Eneide, «MD» 28, 1992, pp. 190-191, n. 27.

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zione comparativa di tutti i passi d'interpretazione non pro- blematica, se è possibile che un personaggio si veli durante un dialogo senza che nel testo rimanga alcuna traccia verbale di ciò, come appunto dovrebbe fare Euridice stando al com- mento di Bond.

Cominciamo da Eur. Supp. 110-111. Teseo apostrofa Adra- sto che si trova in un angolo della scena con il volto coperto:

, '

Adrasto compare in scena già velato, ed è pertanto del tutto normale che la prima menzione di questo stato scenico coin- cida con l'ordine di scoprirsi, dall'esecuzione del quale, come abbiamo ricordato all'inizio, dipende la sua partecipazione at- tiva al dialogo.

Vediamo ora il caso di quattro scene in cui il gesto di velarsi si colloca in un momento dello sviluppo scenico posteriore alla prima apparizione del personaggio che ne è coinvolto: esse dunque possono rappresentare, a differenza di Supp. Hi- ll 2, un adeguato termine di paragone per l'esegesi del verso

delYIpsipile. Per sintetizzare nella maniera più chiara possi- bile: mentre nel passo delle Supplici lo stato scenico di Adra- sto attraversa due fasi (volto coperto nell'ingresso in scena / successivo svelamento), nelle scene su cui concentreremo l'at- tenzione ora si individua un'evoluzione tripartita (ingresso con il volto scoperto / il personaggio si copre / successivo

svelamento). L'esempio base è costituito da H. F. 1159 dove Eracle, seduto a terra, ormai consapevole del delitto com-

piuto, accorgendosi dell'imminente arrivo di Teseo annuncia il proposito di velarsi:

\ < >70

L'eccezionaiità di questo passo consiste proprio nel fatto che

70. Ho riportato il testo secondo l'edizione di Diggle OCT II (con la corre- zione di Faust ): il verso, così come è tradito da L ' ..., è sicura- mente corrotto all'inizio e privo dei due elementi finali. Plausibile l'integrazione di Pflugk <>.

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l'indicazione verbale di questa azione non compare mai al- trove nella forma diretta di un annuncio71, ma sempre come reazione dell'interlocutore. Si veda a questo proposito il caso dell' Oreste; al v. 294 Oreste ordina alla sorella:

', ,

Quando Elettra si è coperta il volto? Oreste rendeva conto in-

71. Mi sembra interessante notare come una situazione scenica del tutto specu- lare a quella dell'Evade sia riscontrabile in Or. 459-469. I commentatori (Bond, Euripides Herakles cit., p. 361 e Eunpides Orestes, With introduction and com- mentary by C.W. Willink, Oxford 1986, p. 163) segnalano un rapporto tra le due scene soltanto per quanto concerne Or. 467-469 / ; / , ;, che presuppone certamente, per quanto riguarda l'equazione metaforica Velo = / *, . F. 1216-1217 * / . D'altra parte una ricognizione contestuale consente forse di indivi- duare anche una concezione strutturale comune: Eracle vede appressarsi Teseo (1154 * ' ), come conseguenza di questa perce- zione visiva, che funziona da informazione scenica sull'ingresso di un nuovo per- sonaggio, l'eroe decide di velarsi, e subito dopo l'annuncio del gesto (w. 1159- 1160), Teseo inizia a esporre le ragioni e le modalità del suo arrivo ( - ...). Allo stesso modo Oreste si accorge dell'arrivo di Tindareo (459-461... / , ' ' / ' ), sente l'esigenza di coprirsi (w. 467-469 «quale oscurità potrei prendere per il mio volto? Quale nube potrei mettermi in fronte, evitando le pu- pille degli occhi del vecchio?»), e a quel punto interviene Tindareo (w. 470 ss.). L'elemento comune consiste nella connessione causale esistente tra l'annuncio, in sé del tutto normale e poco connotato, dell'arrivo di un nuovo personaggio e l'intenzione di coprirsi. Oreste si trova evidentemente nella stessa condizione di Eracle, ma l'intenzione di coprirsi, a cui Eracle dava effettiva realizzazione, non supera in questo caso il livello puramente verbale. Ma c'è un'ulteriore osserva- zione da fare: nel momento in cui si chiede retoricamente ... / ... , Oreste sembra evocare un modello comportamentale già costruito a cui cerca di adeguarsi, proprio come in Andr. 859-860 faceva, in relazione a un gesto diverso, Ermione, abbandonata da Menelao e spaventata dall'atteso ritorno di Neottolemo: ; / ; In quel caso veniva richiamato il gesto effettivamente compiuto da Andromaca per resistere a una simile situazione di all'inizio della tragedia, w. 115- 116 (parole di Andromaca) ' / - (cf. in proposito F. Ferrari, Struttura e personaggi nelV Andromaca di Euri- pide, «Maia» n.s. 23, 1971, p. 218). Nel passo dell'Oreste il fenomeno è più sor- prendente perché il 'modello' a cui Oreste si richiama non si ritrova in una se- zione antecedente del dramma, ma appartiene a una scena di una tragedia rap- presentata probabilmente circa dieci anni prima (cf. Bond, Euripides Herakles cit., pp. XXX-XXXII), scena della quale, come si è visto, viene riprodotta anche l'articolazione complessiva.

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direttamente di questo mutamento di condizione scenica al v. 280, dopo la cessazione dell'attacco di follia, riprendendo il contatto con la sorella (w. 268-276):

, 9 ;

Pertanto, anche in questa scena il passaggio da una situazione iniziale, in cui un personaggio si trova col volto scoperto, al momento in cui appare velato viene esplicitamente marcato nel testo prima che venga pronunciato l'ordine che segna la reintegrazione nella finzione dialogica. Questo schema con- venzionale trova ulteriore conferma in Supp. 286-289, dove Teseo riprende il contatto comunicativo con Etra apostrofan- dola in questo modo:

, 9 9 ;...

,

In questo caso, tuttavia, rispetto all'esempio tratto dall'Oreste la distanza testuale tra la notifica del mutamento scenico e il consueto ordine viene azzerata, e quindi questi due momenti risultano contigui. Questo tipo di realizzazione dello schema è dovuto al fatto che Teseo è impegnato fino al v. 285 nel dia-

logo con Adrasto, e quindi è costretto convenzionalmente a

prendere atto soltanto in un secondo tempo del gesto com-

piuto da Etra nel frattempo. Vediamo ora il caso atipico di /. A. 1122-1123. Ifigenia era

apparsa la prima volta in scena ai w. 631 ss., e rientrata nella skené in corrispondenza dell'esplicito ordine di Agamennone al v. 685 (W ); quando ricompare richiamata dalla madre (la sua presenza è segnalata nel testo solo dall'annuncio di Clitemestra al v. 1120), Agamennone si rivolge alla figlia in

questo modo (w. 1122-1123):

, ' 9 <9> $, 9 9 9 ;

Il testo fornisce un'informazione sul mutamento scenico in- tervenuto, ma a ciò non segue una sollecitazione a scoprirsi,

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ed inoltre Ifigenia rimane senza parte attiva nel dialogo fino al v. 121 172. In questo punto, che segna la ripresa della comuni- cazione, è da collocare l'azione i cui presupposti testuali sono collocati quasi cento versi prima della sua esecuzione, ed espressi solo in forma di constatazione, non di ordine73. An- che in questa scena, comunque, nonostante l'atipica disloca- zione dell'azione gestuale dalla sua segnalazione verbale, il principio emerso dalle analisi precedenti rimane operante. Eb- bene, accettare l'interpretazione di Bond significa ignorarlo, dal momento che, come abbiamo già visto, avremmo un or- dine privo di una precedente indicazione dell'avvenuto muta- mento scenico, mentre l'esempio dclYlfìgenia in Aulide dimo- stra che è ammissibile soltanto la situazione inversa.

Possiamo a questo punto utilizzare i risultati di questa rico- gnizione come termini di confronto per l'interpretazione sce- nica di Hyps. fr. 60, 43 Bond: Euridice non è ovviamente ve- lata durante il dialogo precedente all'arrivo di Anfiarao, dun- que, stando all'interpretazione di Bond, e contestualmente at- tenendoci allo specifico meccanismo di sottolineatura verbale che abbiamo rilevato per il gesto di velarsi74 dovremmo tro- vare nel testo, prima dell'ordine di mostrare il volto, un'indi-

72. Cf. Stocken, Eunpides Iphigenie in Aulis cit., p. 517. 73. Naturalmente da un punto di visto teorico si potrebbe collocare lo svela- mento subito dopo l'apostrofe di Agamennone, ma ciò è ovviamente inverifica- bile, dal momento che, come si è visto, per questa categoria di gesti il momento della realizzazione scenica coincide con il punto in cui ha inizio la comunica- zione dialogica. 74. Alle scene di Eracle, Oreste, Supplici e Ifigenia in Aulide, che abbiamo esa- minato, va aggiunto anche Ion. 967, dove Creusa rende conto del gesto compiuto dal Vecchio in concomitanza con l'esclamazione di dolore del v. 966 (, )): , , ; Due sono gli ele- menti singolari di questo passo rispetto alle scene che abbiamo portato a con- fronto di Hyps. fr. 60, 43 Bond: in primo luogo il gesto viene messo in atto nel corso di un dialogo fitto con andamento sticomitico, pertanto è assente una qual- siasi forma di interruzione comunicativa, che Tatto di coprirsi il volto statutiva- mente comporta, in secondo luogo, la reazione di Creusa, che funzione da impli- cita stage direction, è simultanea al velamento. Manca d'altra parte il consueto ordine a scoprirsi, e pertanto risulta impossibile applicare il metodo impiegato fi- nora per stabilire il momento preciso in cui il Vecchio si scopre (forse il v. 970 dove viene formulato il proposito di porre fine ai lamenti?). Ma comunque anche Ion. 967 contribuisce a confermare l'infondatezza dell'interpretazione data da Bond per la scena dcìVIpsipile, nel senso che prima dell'ordine di svelarsi, che in questo caso, come abbiamo già ribadito, è assente, è prevista una notifica dell'av- venuto mutamento scenico. La maggioranza degli editori (Wilkins, cit., p. 128 e

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 45

cazione relativa al mutamento intervenuto nella condizione scenica di Euridice. Essa invece manca, e quindi risulta più ve- rosimile che Euridice dopo l'arrivo di Anfiarao abbia sempli- cemente abbassato il volto, proprio secondo il modello di comportamento teorizzato da Ecuba a questo riguardo in Hec. 973-974 (... ' , / )75.

4. Eur. Cycl. 210-213: un esempio di autoparodia euripidea

Accogliendo Tinterpretazione che proporremo per i w. 210- 213 del Ciclopey si potrà ottenere direttamente dal testo con- ferma dello statuto peculiare che abbiamo riconosciuto agli ordini riguardanti i gesti esaminati fino a questo punto, in pri- mis quello di alzare lo sguardo.

Polifemo, giunto in scena, si vuole immediatamente accer- tare che il Coro di satiri abbia adempiuto ai propri doveri ser- vili nella grotta, ma non riceve da loro nessuna risposta, anzi nota con disappunto che abbassano il volto, mettono in atto cioè il tipico gesto con cui un personaggio in tragedia cerca di

Kovacs, Eunpides Children of Héraclès cit., p. 67) è convinta che anche in Hcld. 604 il volto di Iolao venga coperto dagli Eraclidi come messa in atto dell'ordine... * / , (ovvero lo stesso gesto che Ippolito in punto di morte chiede a Teseo in Hipp. 1458 ). Credo tuttavia che abbia ragione Cropp, He- rakleidai 603-4, 630 ff., cit. nel ritenere che, se l'ordine fosse stato realizzato, nel- l'intervento del Servo dei versi successivi ci sarebbe stata, oltre all'invito ad al- zarsi, un'esplicita esortazione a scoprirsi, come succede per esempio in H. F. 1226 (\ ). D'altra parte è certo che la prima parte dell'ordine di Iolao non viene eseguita, dal momento che dalle parole del Servo

(v. 633) si evince chiaramente che egli si trova ancora sdraiato a terra.

75. Questi due versi sono stati espunti da Diggle, OCT I, seguito da Kovacs, Eunpides Children of Héraclès, cit. e Gregory, cit., che è l'unica a fornire una

spiegazione dell'intervento. Si veda la sua nota a p. 163: «thèse Unes... contradict thè explanation Hecuba has just supplied for her refusai to look Polymestor in thè eye». Non credo tuttavia che ci sia contraddizione con i w. 970-971 ( ', * / * ' ), dal momento che il richiamarsi al principio generale del pudore femminile (w. 974-975) viene

esplicitamente presentato dal testo come motivazione aggiuntiva rispetto a quella addotta nei versi precedenti: l'uso di ' è eloquente da questo punto di vi- sta. Cf. W. Biehl, Textkrìtik und Formanalyse zur eurìpideischen Hekabe. Ein Verständnis der Komposition, Heidelberg 1997, pp. 145-146.

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sottrarsi alla comunicazione per vergogna paura76: ne ab- biamo rinvenuto un'attestazione anche nella scena esaminata nel paragrafo precedente. Il Ciclope tenta dunque con un or- dine di porre fine all'ostinata reticenza, ma la risposta imme- diata del Corifeo si rivela congruente soltanto con la lettera, non con l'effettivo intendimento dell'ordine dal Ciclope (w. 210-213):

(.) , ; 210 . ' .

. * ' '

In tutti i passi tragici in cui compare, l'ordine di alzare lo sguardo rimane privo di risposta perché, come nel caso di quello di sollevarsi da terra di scoprire il capo, la conven- zione prevede che, nel momento in cui il personaggio col volto abbassato avvia riprende la partecipazione al dialogo, il mutamento scenico richiesto si consideri già avvenuto.

Al v. 212 invece si trova stranamente il deittico , e in ag- giunta un'indicazione esplicita dell'effetto prodotto dalla nuova condizione scenica. Quale la ragione di questo tratta- mento inusitato? Riesaminiamo il v. 211. L'ordine di Polifemo sembra discostarsi in termini di struttura formale da quelli pronunciati nelle scene tragiche a cui abbiamo rimandato: in esse mai compare un'esortazione a «rivolgere lo sguardo in alto ()». La sbrigativa e rozza maniera in cui il Ciclope formula un ordine tanto frequente in contesto tragico è all'o- rigine dell'equivoco che giustifica la risposta deittica: la lettera delle parole di Polifemo è infatti più vicina a un altro tipo di ordine, quello con cui la percezione visiva di un interlocutore viene effettivamente indirizzata verso il cielo. In questo caso il segnale deittico in risposta suona del tutto prevedibile. Si veda infatti Ba. 1264-1265, dove Cadmo si rivolge ad Agave:

. ' ' .

. · 9 ;77 1265

76. Si veda la rassegna fatta alla n. 69. 77. Si veda il puntuale commento di Dodds (Eunpides Bacchae, Edited with In- troduction and Commentary by E.R. Dodds, Oxford I9602, p. 229), che, benché

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 47

Risulta chiaro da questo confronto che la risposta data dal Corifeo ai w. 212-213 del Ciclope si potrebbe adattare perfet- tamente all'ordine di Cadmo, rispetto al quale la lettera di

quello di Polifemo si può considerare equivalente. Siamo certi in questo modo che la risposta del Corifeo travisi intenzional- mente la richiesta del Ciclope, sfruttandone l'incapacità di far

corrispondere alle intenzioni espressive mezzi verbali appro- priati.

Mi pare pertanto possibile concludere che nell'iniziale dia-

logo tra il Ciclope e i Satiri viene sfruttata con un sottile gioco scenico l'analogia, sia a livello formale sia sul piano delle con-

seguenze in termini di realizzazione gestuale, di due ordini

(alzare il volto da terra / rivolgere lo sguardo verso il cielo), per i quali sono previsti trattamenti differenti. Rispondere con un deciso a quella che vuole essere, almeno nelle inten- zioni di Polifemo, una normale richiesta di sollevare lo

sguardo per avviare la comunicazione produce nel testo un ef- fetto comico, che forse può essere percepito parzialmente an- che solo prestando attenzione al tono complessivo del dia-

logo. D'altra parte, il confronto che abbiamo portato depone a favore dell'idea che nel passo esaminato si possa rintracciare

in forma soltanto parentetica, sembra connettere questo passo con CycL 211 ss., e sottolinea giustamente lo scopo concreto dell'ordine, ovvero la riacquisizione del senno. Non si vuole naturalmente postulare un rapporto diretto tra Ciclope e Baccanti (sulle analogie di motivi e situazioni esistenti tra questi due drammi si veda comunque R. Seaford, Dionysiac Drama and Mystenes, «Class. Quart.» n.s.

31, 1981, pp. 272-274), che è reso impossibile anche da ragioni di pura cronologia: come è noto infatti le Baccanti furono rappresentate postume nel 406 (T.B.L. Webster, The Tragédies of Euripides, London 1967, p. 238), per il Ciclope man- cano invece dati certi, anche se tutti concordano nel collocarlo nell'ultima fase della produzione euripidea (cf. Euripides Cyclops, With Introduction and Com-

mentary by R. Seaford, Oxford 1984, pp. 48-51 secondo il quale l'anno più pro- babile sarebbe il 408, e le precisazioni di Battezzato, // monologo cit., pp. 134-

135). Abbiamo richiamato il passo delle Baccanti soltanto per dimostrare che un ordine come quello che, al di là delle sue reali intenzioni, viene pronunciato da Polifemo, necessita convenzionalmente della conferma esecutiva rappresentata da . Un altro esempio certo della situazione scenica presente in Ba. 1264- 1265 si trova, in contesto comico, in Ar. Av. 175-176 dove Pisetero indirizza lo

sguardo dell'Upupa verso il firmamento, sito della nuova città che gli uccelli in- tendono fondare: anche in questo caso all'ordine segue una marca deittica con funzione di ratifica esecutiva, ( / / / ).

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un vero e proprio esempio di autoparodia78 determinata dall'i- nopportuna applicazione di un meccanismo convenzionale: la conferma esecutiva non è necessaria nei casi in cui si sollecita l'instaurazione di un contatto comunicativo rifiutato.

5. Due tentativi di ricostruzione scenica

In conclusione affronteremo l'analisi dettagliata di due scene che presentano alcuni aspetti problematici per la risoluzione dei quali saranno sfruttate alcune delle conclusioni raggiunte sul trattamento scenico dei gesti esaminati fino a questo punto.

5.1. / movimenti e il 'velo' diFedra in Eur. Hipp. 198-310

Riesamineremo i problemi concernenti la condizione scenica di Fedra durante e dopo il corso del delirio di cui viene data descrizione verbale nel dialogo lirico con la Nutrice che oc- cupa l'inizio del primo episodio délYIppolito. La donna viene trasportata in scena su un letto (cf. l'annuncio dato dalla Nu- trice ai w. 179-180); si tratta di stabilire in quale punto del te- sto scende e recupera le condizioni sceniche normali, ma pre- liminarmente di ricostruire in che modo Euripide avesse con- cepito la resa performativa dei w. 208-231.

Secondo Taplin79, durante questa sezione lirica Fedra scen- derebbe dal letto, e si esibirebbe in una serie di movimenti di danza, che fungerebbero da visualizzazione del desiderio, espresso verbalmente80, di raggiungere i luoghi ippolitei. Ma il testo consente davvero di ipotizzare ciò?

78. Prima e importante trattazione di fenomeni di autoparodia nel Ciclope è G.W. Arnott, Parody and Ambiguity in Euripides* Cyclops, in Antidosis. Fest- schrift für W. Kraus zum 70. Geburtstag, Wien-Köln-Graz 1972, pp. 21-30 e dello stesso autore, a proposito degli effetti drammatici prodotti da casi di ambiguità espressiva, Red Herrings and Other Baits. A Study in Euripidean Techniques, «Mus. Lund. Philol.» 3, 1978, pp. 21-24. 79. Greek Tragedy in Action cit., p. 94. 80. Il riferimento è soprattutto al contenuto dei w. 215-218: ' · / , ... Ecco la didascalia di Taplin: «She probably

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 49

Un confronto con una situazione omologa può forse for- nire la risposta: Oreste all'inizio della tragedia omonima giace su un letto ricevendo le cure di Elettra81. In corrispondenza della visione delirante delle Furie (w. 255-257) l'eroe accenna probabilmente un tentativo di alzarsi (questo il senso scenico che si può ricavare dalla reazione di Elettra al v. 258 5, - ', ), subito bloccato da Elettra che riuscirà a trattenere fisicamente il fratello fino al punto, compreso tra i w. 265-276, in cui egli si allontana effettiva- mente dal letto82. Il dato rilevante che si può ricavare è che an- che un solo tentativo di Oreste produce un'immediata rea- zione da parte della sorella.

Vediamo se le reazioni della Nutrice possono costituire un simile mezzo di verifica del presunto movimento di Fedra. A dire il vero, esse collocano su un piano puramente verbale i

propositi di evasione di Fedra (v. 215 9 *

stands up and may even almost dance as her desire to be with Hippolytos finds this barely concealed expression...». Prima di Taplin (dello stesso suo avviso si mostra anche Bain, Actors and Audience cit., p. 27 che non prende in considera- zione specificamente il problema, ma afferma «after 249 Phaedra has sunk back on her couch» presupponendo di conseguenza un precedente spostamento di Fe-

dra) Barrett (Euripides Hippolytos, Edited with Introduction and Commentary by W.S. Barrett, Oxford 1964, pp. 201-202, 205) aveva mantenuto una posizione moderata sull'argomento liquidando giustamente come riflesso di una pratica scenica ellenistica le indicazioni dello scolio ( -

' ', -

), ma nello stesso tempo marcando la necessità di «some show of ac- tion» durante la performance. Ma questo quid attraverso cui il testo diventava

rappresentazione pertineva all'abilità di ogni attore, ciò che invece da un punto di vista ricostruttivo si deve stabilire è se nel testo si possono rinvenire segnali che inducano a pensare che nell'ideazione registica dell'autore era previsto un si- mile movimento da parte di Fedra.

81. Cf. Medda, La casa e h atta: spazio scenico cit., pp. 14-15.

82. Di Benedetto (Euripidis Orestes, a cura di V. Di Benedetto, Firenze 1965, p. 57) sembra ritenere che in corrispondenza dei w. 258-259 Oreste si sia già alzato in piedi («Già nei w. 258-259 Elettra afferra il fratello cercando di farlo ritornare nel suo letto...»). Credo tuttavia che il v. 263 ( ), pronunciato da Elettra, non consenta di immaginare in corrispondenza dei w. 258-259 più di un tentativo di movimento. L'esclamazione di Elettra ai w. 266- 267 ( ' , * ,...) indica chiaramente un senso di dispe- razione che risulterebbe drammaticamente ben giustificato se si correlasse al de- finitivo fallimento nell'azione di trattenere il fratello. Sulla base di quest'osserva- zione si può avanzare l'ipotesi che Oreste si svincoli del tutto da Elettra e si al- lontani dal letto proprio in corrispondenza del v. 265.

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50 Mario Telò

): significativi in questo senso il v. 223 9, - , ; dove il verbo 83 esprime l'assoluta ineffettualità dei desideri annunciati, e il v. 232 5 - ; Dobbiamo pensare che se Fedra si fosse davvero allontanata dal letto come fa Oreste, questo movi- mento inconsulto non avrebbe ricevuto nessun commento da

parte della Nutrice? Ma c'è un altro punto di convergenza nella strutturazione

delle due scene che ne può mettere in luce le differenti impli- cazioni in termini di resa scenica. Il recupero della stabilità

psicologica si realizza per entrambi i personaggi attraverso un breve soliloquio: ciascuno si chiede dove l'abbia condotto il delirio, ma se nell'Oreste ciò porta alla constatazione del con- creto movimento di allontanamento dal letto (v. 278 & ;), nélYlppolito l'evasione che Fe- dra intende localizzare con la sua domanda retorica ha come unico punto di fuga quello astratto del raziocinio (v. 240 ;). Dunque, la puntuale corri- spondenza formale consente di ricavare un elemento differen- ziale che risulta motivato proprio grazie alla diversa realizza- zione scenica dei due passi, già in parte deducibile dal tenore delle risposte della Nutrice. Mi sembra pertanto più verosi- mile pensare che Fedra, a differenza di Oreste, durante i w. 208-231 rimanga sul letto84.

Passiamo ora all'altra questione che abbiamo posto all'ini- zio: quando Fedra si alza in piedi? Mi sembra importante af- frontare questo punto soprattutto dopo che Kovacs85 ha col- locato in corrispondenza del v. 564 la didascalia «Phaedra ri- ses from her couch and stands with her ear to thè palace door»: l'inverosimiglianza di questa soluzione emerge facil- mente anche solo dalla considerazione delle conseguenze che essa implica, ovvero che Fedra sia ancora sdraiata sul letto

83. Cf. H. F. 518 ; ' ; 84. Questo risultato non implica che in eventuali seconde rappresentazioni della tragedia gli attori si staccassero dall'assetto registico autoriale, e per otte- nere effetti di maggiore spettacolarità (su cui cf. supra, n. 16) introducessero mo- vimenti di danza da parte di Fedra simili a quelli a cui accenna lo scolio riportato alla n. 80.

85. Eunpides Children ofHeracles-Hippolytus-Andromache-Hecuba cit., p. 1 77.

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 51

quando subisce la supplica della Nutrice (w. 324 ss.)86 e

quando successivamente pronuncia il solenne discorso alle donne di Trezene (w. 373-430). Bisogna appurare dunque se il testo offre elementi per collocare il movimento di Fedra in un momento precedente. Barrett non si pronuncia in propo- sito, a differenza di Taplin87 che individua nel v. 310 il punto in cui «she throws off her veil and rises to her feet». Inten- diamo valorizzare la seconda parte di questa ricostruzione, ma

prima si deve verificare se si può ipotizzare, come fa Taplin, in

corrispondenza del v. 310 anche la rimozione di un velo. Ve- diamo nel dettaglio il problema esegetico che si cela dietro la didascalia proposta dallo studioso.

Al v. 243 Fedra rivolge alla Nutrice un ordine che ha messo in difficoltà gli interpreti: , . Se- condo Barrett88 rimanderebbe a un precedente atto di svelamento avvenuto in scena, e l'unico possibile momento in cui collocarlo sarebbe costituito dai w. 201-202, dove Fedra ordina alla Nutrice: / 9, . Tuttavia, per Barrett il misterioso termine non sembrerebbe indicare un indumento dall'effetto coprente, ma semplicemente un nastro per i ca-

pelli, mentre la richiesta contenuta al v. 243 deporrebbe a fa- vore di un atto di velamento completo. Per un riesame critico della questione mi pare possibile procedere in questo modo: in primo luogo, accertarsi sulla base di alcune testimonianze

lessicografiche della precisa natura delvov e infine sta- bilire se come risultato scenico conseguente si debba ipotiz- zare che il volto di Fedra venga effettivamente coperto.

86. Se Fedra rimanesse sul letto, ciò equivarrebbe a un permanere della malat-

tia, e ciò renderebbe del tutto impossibile per la Nutrice la messa in atto della

supplica, che già in condizioni normali, come nota efficacemente J.P.A. Gould, Hiketeia, «Journ. Hell. Stud.» 93, 1973, p. 87, comporta «an atmosphère of strain and embarassment» prodotta dal fatto che il supplice varca i confini del proprio status per esercitare una pressione psicologica su un individuo detentorc di con- dizione sociale superiore. Sulle modalità di realizzazione della supplica della Nu- trice cf. Kaimio, Physical Contact cit., pp. 50-51.

87. Greek Tragedy in Action cit., p. 116.

88. Euripides Hippolytos cit., p. 206.

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52 Mario Telò

Diversamente da Barrett Halleran89 ha proposto di conside- rare un equivalente del omerico. Eusta- zio90 sembrerebbe confermare l'ipotesi di Halleran in due di- versi passi:

I, p. 290, 11-12 van der Valk (ad II. 2, 117): . , ;

, p. 538, 67-68 van der Valk (ad II. 8, 83): ... , ' , - .

Se si prendono tuttavia in considerazione le occorrenze ome- riche di e i relativi commenti scoliastici, emerge un dato importante, ovvero che si tratta di un indumento che co- pre i capelli scendendo fin sulle spalle91. Questo dato risulta tuttavia inconciliabile con la richiesta di Fedra: l'effetto, in- fatti, che la donna ricerca attraverso la rimozione deirèmxQct- vov consiste nell'avere le chiome sciolte sulle spalle (v. 202 ', ), ovvero proprio la condi- zione che viene presentata come caratterizzante di chi indossa un 92. La notizia di Eustazio, pertanto, risulta fuor- viante per la comprensione del testo euripideo, e allo stesso modo la proposta d'identificazione di Halleran, che non ve- niva supportata da nessun argomento, va scartata, benché la tradizione iconografica riconducibile a questa scena euripidea

89. Euripides Hippolytus, with an Introduction, Translation and Commentary by M.R. Halleran, Warminster 1995, p. 169. 90. La voce di Esichio (Hesych., II, p. 160, 90 e 99 Latte) non fornisce alcuna notizia di rilievo: 90 * , ; 99 - . Come si può vedere si tratta di definizioni estremamente generiche che non consentono di precisare la foggia dell'indumento. 91. Si veda schol. ad II. 14, 184a (III, p. 602, 58-59 Erbse) <:> . . Che il debba essere concepito in questo modo è dimostrato dai passi odissiaci in cui i suoi lembi vengono utilizzati da Penelope per coprirsi le guance, vd. per es. Od. 1, 334 su cui cf. A. Heubeck, S. West, J.B. Hain- sworth, A Commentary on Homer's Odyssey, vol. I (Introduction and Books I- VIII), Oxford 1988, p. 118. Si vedano poi in generale le trattazioni di H.L. Lori- mer, Homer and thè Monuments, London 1950, pp. 385-389 e S. Marinatos, Ar- chaeologia Homerica I A. Kleidung, Göttingen 1967, pp. 13-14. 92. Devo quest'osservazione a Luigi Battezzato con cui ho discusso questo problema.

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 53

sia concorde nel rappresentare Fedra con un indumento assi- milabile al 93. Lo spunto per una soluzione alterna- tiva può essere fornito da un altro passo eustaziano (IV, p. 657, 52-60 van der Valk), in cui viene richiamata l'autorità del

grammatico atticista, Pausania ( ), per spie- gare la foggia del copricapo che Andromaca getta via (II. 22, 469-470) prima del compianto funebre per Ettore. La men- zione delle tre componenti di questo copricapo (a cui si ag- giunge poi il ) occupa tutto il v. 469: - . Come spiegazione del ter- mine Eustazio cita la seguente serie di glosse esplicative di Pausania94: · , , , -

, , . Cerchiamo ora di chiarire quale sia la foggia di un sulla base delle seguenti testimo- nianze:

1) schol. A ad II. 22, 469-470 (V, p. 352, 30-32 Erbse): , - .

2) schol. BCDEQ ad Pind. . 5, 15 b (I, p. 143, 5-7 Dra-

chmann): ,

,

. 3) Ap. Soph. Lex. Hom. 25, 5: · -

, ... « », , .

Appare chiaro, come tra l'altro hanno già messo in luce al- cuni lavori fondamentali sui realia omerici95, che altro non è che una fascia, talvolta ornata di pietre preziose, che ve- niva posta dalle donne intorno alle tempie di modo che le chiome venissero compattate sulla parte superiore del capo. A

questa benda, come mette chiaramente in luce Apollonio Sofi-

sta, poteva aggiungersi un altro copricapo (il ) che consentiva di avvolgere e coprire tutta la massa dei capelli ed

93. Cf. LIMC, VII, 2, pp. 314-316 e per considerazioni generali P. Ghiron-Bi-

stagne, «// Motivo di Fedra» nell'iconografia e h Fedra di Seneca, «Dioniso» 52, 1981, pp. 261-270.

94. Cf. H. Erbse, Untersuchungen zu den Attiztsttschen Lexika, Berlin 1950, pp. 160, 98.

95. Cf. in particolar modo Lonmer, cit., p. 387.

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era equiparabile a una specie di cuffia. Menzione di questo - si trova anche in Ar. Thesm. 257, dove il travesti- mento femminile di Mnesiloco deve essere completato con un copricapo acconcio, di cui Euripide fa richiesta ad Agatone: . Dunque, come in Apollonio Sofi- sta, così anche in Aristofane il viene associato a un altro indumento, la mitra. Alcuni studi specifici hanno di- mostrato quasi concordemente che con veniva designata nel corso del quinto secolo una benda utilizzata per racco- gliere i capelli sulla testa, dunque assimilabile, almeno dal punto di vista funzionale, & di età arcaica96: in questa direzione esegetica sembra indirizzare anche una delle attesta- zioni tragiche del termine, ovvero Hec. 923-924 - / , dove il nesso - ... 97 è facilmente accostabile alla funzione indivi- duata per 1' da Apollonio Sofista: ó - . Collegando i dati e le testimonianze raccolte finora di- venta plausibile, dunque, un'equiparazione tra e . A questo punto, se si recupera la testimonianza del gramma- tico Pausania citata all'inizio, si potrebbe ricavare una sostan- ziale identità tra e una mitra (corrispettivo in età

96. L'equivalenza tra 1' e la mitra è sostenuta esplicitamente da Lorimer, cit., p. 387, . 3. Cf. specificamente sulla : E. Abrahams-L. Evans, Ancient Greek Dress, Chicago 1964, pp. 111-112 e R. Tolle Kastenbein, Zur Mitra in Klassischer Zeit, «Rev. Archéol.» 1977, pp. 23-36, che reagisce contro l'idea di H. Brandenburg, Studien zur Mitra, Münster 1966, secondo cui la si dovrebbe identificare con una cuffia a forma di turbante. Anche se le testimonianze icono- grafiche attestano questo tipo d'indumento, credo che la Tolle Kastenbein abbia ragione nel distinguere la natura della mitra (benda che può lasciare visibile parti dalla chioma) da quella del che aggiunge un effetto coprente parago- nabile appunto a quello di una cuffia (si vedano le Figure 1 e 2 per un confronto tra l'effetto prodotto dalla sola mitra e quello derivante dall'aggiunta di un - ). Quest'interpretazione viene confermata anche dalla maschera della commedia nuova identificata come (si veda la Figura 3), su cui cf. L. Bernabò Brea, Menandro e il teatro greco nelle terracotte liparesi, Genova 1981, pp. 230-232 e F. Ferrari, La maschera negata: nflessioni sui personaggi di Menandro, «Stud. class. orient.» 46, 1996, pp. 244-245. Per Thesm. 257 cf. L.M. Stone, Costume in Aristophanic Poetry, New York 1981, pp. 203-204. 97. Su questo passo cf. Gregory, cit., pp. 156-157. Le altre ricorrenze tragiche sono rappresentate da Ba. 833... 1 , 928-929 ' ' , / , 1115, su cui cf. Dodds, Euripìdes Bacchae cit., pp. 177-178 e Tolle Kastenbein, Zur Mitra cit., pp. 29-31.

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 55

classica di un 98), e di conseguenza si avrebbe che Fedra sta indossando un indumento che, data la parodia aristofane- sca, doveva essere spesso utilizzato dalle eroine euripidee. Bi- sogna tuttavia chiedersi se Fedra stia indossando soltanto la benda oppure anche il , che, come si ricava dal passo di Aristofane (oltre che da Apollonio Sofista), risulta nell'abbigliamento femminile associato / . Il fatto che a partire dal v. 243 il ripristino della condizione ante- cedente all'ordine del v. 202 venga definito in termini di - potrebbe autorizzare a immaginare che anche il - faccia parte del copricapo di Fedra, anche se ciò natural- mente non è sicuro e in ogni caso non toglierebbe nulla alla specificità nell'uso linguistico di come indumento assimilabile alla mitra al v. 201".

Risulta chiaro in questo modo che 1' non può co- prire il volto della donna, e non può essere equiparato ai veli utilizzati nelle scene di cui abbiamo trattato in precedenza100. Si possono di conseguenza superare i dubbi di Barrett che giu-

98. Per l'uso di quest'indumento nel quinto secolo si veda per esempio Plut. Sol. 8, 5 ó ... ,

- ... 99. In realtà non è necessario pensare a un del tipo di quello raffi-

gurato alla Figura 2, dal momento che come si può vedere dallo schema riportato alla Figura 4, le fogge che la mitra poteva assumere erano molteplici, ed essa po- teva avere anche un effetto 'coprente' della testa (v. 243 , ).

100. Un altro problema consiste nel definire il rapporto esistente tra del v. 201 e il copricapo 'retroscenico' descritto dal Coro nella parodo ai w. 133- 134 (... ). Alcuni studiosi infatti danno per scontata un'equivalenza tra i due indumenti: cf. in proposito G. Paduano, Ippo- lito: L· nvelazione dell'eros, «MD» 13, 1984, p. 50, n. 23, e Montiglio, Silence cit.,

pp. 177-178. Credo che sia importante un confronto con l'unico altro passo euri-

pideo in cui un svolge la funzione di copricapo, ovvero And. 830-1 (Er- mione si sta liberando delle vesti): ' - / , . Mentre lo scolio relativo (II, p. 303, 17 Schwartz) sosteneva l'identifica- zione con un (cf. P.T. Stevens, Eunpides Andromache, Oxford 1971, p. 195), E.M. Craik, Notes on Eunpides'Andromache, «Class. Quart.» n.s. 29, 1979,

p. 65 ha richiamato giustamente l'attenzione sul fatto che la successiva reazione della Nutrice (v. 832 , , ) lascia pensare che a coprire la testa di Ermione fosse semplicemente la parte superiore della veste da lei indossata (« was...worn, perhaps, like an Indian sari, with thè end

draped over thè head or thè shoulder»). L'effetto prodotto sarebbe comunque

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stamente considerava un elemento contradditorio rispetto alla possibilità che Fedra fosse giunta in scena con il volto coperto il fatto che ai w. 174-175 il Coro sembra in realtà vedere il volto della donna ( / - )101: Fedra, dunque, arriva in scena con 1' (una mitra) sul capo, ne chiede la rimozione ai w. 201-202 prima del delirio, e poi, riacquistata la ragione, chiede d'indossare nuovamente il suo copricapo.

Certo, rispetto al v. 244 e al se- guente riferimento a un senso di , sembrerebbe più ap- propriato un velamento effettivo del volto, tanto più che in H. F. 1160 la stessa frase esplicativa - è preceduta dal noto annuncio di Eracle ', < >102, ma è ragionevole pensare che una violazione del principio delPaîôcoç sia implicata anche dal- l'atto di rimozione dell'èji^avov. Può essere utile in questo senso richiamare un passo della Lisistrata (w. 529-534): Lisi- strata cerca di ridurre al silenzio l'Arciere, il quale risponde all'intimidazione della donna in maniera eloquente: 9, , 9

, / - ; . Sembra dunque che indossare un - , che la specificazione consente di con- siderare funzionalmente simile al copricapo di Fedra103, venga percepito come un elemento costitutivo della condizione fem-

equivalente a quello di un (su cui cf. supra), nel senso che doveva co- prire i capelli sciolti sulle spalle. Ora, se si ritiene che ci sia coincidenza tra i di Hipp. 133 e il di And. 831, allora diventa improba- bile un'equivalenza del 'copricapo retroscenico' di Fedra con dal mo- mento che quest'ultimo raccoglie i capelli sulla testa. La tradizione iconografica su Fedra che abbiamo richiamato in precedenza ha dunque probabilmente rece- pito e sviluppato solo lo spunto contenuto nel v. 133. 101. Poco convincenti i tentativi di Halleran, Eunpides Hippolytus cit., pp. 170- 171 di replicare all'obiezione sulla base di scrupoli di realismo: «... we do not know how opaque thè veil was and realism was hardly a defining characteristic of thè ancient stage». 102. Cf. supra, n. 70. 103. Cf. Stone, Costume cit., pp. 202-203, che annovera tra i paralleli di questo anche Thesm. 890 dove del si dice che è . Tutta- via, come chiarisce la specificazione , il di Lisistrata è semplicemente un copricapo, e in quanto tale nettamente distinto dal velo con cui i personaggi tragici possono coprirsi il volto in segno di vergogna. Di que- st'ultima condizione scenica Aristofane vuole invece fornire una riproduzione

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minile104; l'Arciere vuole infatti sostanzialmente dire: «Io, che sono un uomo, dovrei stare zitto di fronte a una donna, a cui si addice per natura il silenzio?»105. In questa prospettiva di- venta forse meglio spiegabile il contenuto di Hipp. 243-246: la donna si vergogna di essersi liberata sotto l'effetto del delirio di una parte d'abbigliamento distintiva della sua condizione, e rindossandola cerca dunque di visualizzare il recupero della normalità razionale.

Gli argomenti qui richiamati possono portare alla conclusione che l'interruzione della comunicazione tra la Nutrice e Fedra è accompagnata solo da una copertura del capo, ovvero dal ri-

pristino delle condizioni in cui una donna normalmente si

presentava in pubblico, non dal velamento del volto, come in- vece Taplin presuppone quando sostiene che prima di alzarsi «she throws off her veil». Ciò non toglie che Fedra possa aver interrotto il contatto visivo voltando abbassando lo

sguardo106, anzi una conferma in tal senso viene data dall'esor- tazione che la Nutrice le rivolge al v. 300:

, 9 ...

parodica nel momento in cui descrive Mnesiloco-Elena come (su questa scena cf. infra). 104. Su questa linea si vedano: L.K. Taaffe, Arìstophanes and Women, London- New York 1993, p. 64 dove il di Lisistrata viene analizzato tra gli «external components of gender identity»; R. Finnegan, Women in Anstophanes, Amsterdam 1995, p. 75 e da ultimo M. Dorati, Lisistrata e U tessitura, «Quad. urb. cult, class.» 58, 1998, pp. 45-46.

105. La Montiglio, Silence cit., pp. 179-180 assimila impropriamente questo passo di Aristofane ai casi tragici, che abbiamo richiamato in precedenza, in cui un personaggio si vela come mezzo di isolamento comunicativo. Che questo ac- costamento non sia legittimo è dimostrato anche solo dalla determinazione , che, come si è visto, è incompatibile con la designazione di un velo.

Inoltre, se in Thesm. 890 la possibilità che un personaggio col viso velato parli è eccezionalmente ammessa in conseguenza della necessità di riprodurre in forma

parodica una tipologia situazionale tragica, non si capisce per quale motivo Lisi- strata dovrebbe velarsi (cosa che è sempre presentata come eccezionale e quindi ben motivata) e continuare in queste condizioni a parlare per tutto il corso della commedia.

106. Cè poi da tener presente che Fedra dopo il v. 249 si e probabilmente sdraiata sul letto, riassumendo la condizione che aveva caratterizzato il suo ingresso in scena. Cf. su questo punto Barrett, Eunpides Hippolytos cit., p. 208; Taplin, Greek

Tragedy in Action cit., p. 94; Halleran, Eunpides Hippolytos cit., p. 1 71 .

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58 Mario Telò

Questo primo tentativo di reintegrazione si rivela tuttavia im- produttivo (v. 301 , ), pertanto la Nutrice ricorre a quel procedimento che avevamo rintracciato in relazione agli ordini del tipo di , definendolo iterazione implicita, affidata all'abilità argomen- tativa (v. 304 5 ...): il confronto tra Hdd. 640 e Hec. 505 aveva consentito di fissare il momento dell'esecu- zione in corrispondenza della rivelazione da parte degli inter- locutori di Iolao "e Ecuba del loro nome107. Ebbene, la men- zione incidentale del nome di Ippolito segna per Fedra la fine del silenzio, rotto da un'interiezione (v. 310):

'... . . . ;

Il contatto comunicativo con la Nutrice (e implicitamente quello visivo che era stato esplicitamente richiesto al v. 300) viene ripreso nel verso successivo108: è quindi verosimile che a questo punto Fedra scenda dal letto. La mancanza di un espli- cito ordine in questo senso non rappresenta una difficoltà, come può dimostrare il confronto con Supp. 110-114: Adra- sto, che dalla presentazione prologica di Etra risulta disteso a terra109, riceve da Teseo l'ordine di scoprirsi il volto110; quando apostrofa Teseo (v. 113

' ), si

deve pensare che egli non solo abbia il volto scoperto, ma che si sia anche alzato in piedi111, nonostante il suo interlocutore avesse presentato come condizione primaria per l'inizio della comunicazione lo svelamento. Allo stesso modo il fatto che l'ordine della Nutrice si concentri soltanto sul dato del con- tatto visivo non toglie che Fedra, prima di cominciare a par- lare, abbia posto fine a una condizione scenica, che come il giacere a terra è statutivamente incompatibile con una piena instaurazione di contatto verbale.

107. Cf. supra. 108. Vv. 311-312 , , / ' . 109. Vv. 21-22 " . 110. Vv. 110-111 / * - su cui cf. supra. 111. Conferma di ciò viene data dai w. 164-165, che preludono alla supplica di Adrasto:

' , /

.

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 59

5.2. Eur. Ale. 1119-1120: una ricognizione scenica e un'espun- zione necessaria

Nel finale deìYAlcesti Eracle riporta dall'oltretomba al co-

spetto di Admeto la moglie perduta, che, secondo l'assetto scenico accolto dalla maggioranza dei commentatori112, non sa- rebbe riconosciuta fino a quando Eracle non rimuoverebbe dal suo volto il velo con cui era comparsa in scena; nella rico-

gnizione del testo che proponiamo ci soffermeremo in parti- colar modo su due punti:

- esaminare la scelta dell'ultimo editore euripideo, Kovacs, che ha riaccolto a testo i w. 1119-1120, espunti da Diggle OCT I sulla scorta di Hübner113. Sarà necessaria a questo pro- posito una più attenta disamina dell'effetto che la presenza di

questo distico produce nella dinamica scenica complessiva; - considerare le obiezioni che sono state mosse di recente

all'interpretazione scenica tradizionale dei w. 1 121-1 122114; l'assenza di una menzione esplicita del fatto che Alcesti com-

paia in scena velata e l'atipicità del corrispettivo testuale riser- vato al gesto di svelamento, che viene solitamente fissato in

corrispondenza del 1121, sono state addotte come ragioni di dubbio in proposito.

Riportiamo il testo dei w. 1117-1122 secondo l'edizione di Kovacs115:

.

. , 9 .

. ; . , . . ' . 1120

, / ' .

112. Si vedano in proposito: Dale, Euripides Alcestis cit., pp. 119, 128; Halleran,

Stagecraft in Eurìpides cit., p. 52; Conacher, Euripides Alcestis cit., pp. 194-195; Kaimio, Physical Contact cit., pp. 32-33, che tuttavia si mostra per altri aspetti cauta nella ricostruzione della scena, e Kovacs, Euripides Cy clops- Alcestis- M edea

cit., pp. 155, 274.

113. U. Hübner, Text und Bühnenspiel tn der Anagnortsisszene der Alkestis, «Hermes» 109, 1981, pp. 156-166.

114. E. Masaracchia, // velo di Alcesti, «Quad. urb. cult, class.» 71, 1992, pp. 29-35.

115. Euripides Cy clops- Alcestis- Medea cit., pp. 272-27 .

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60 Mario Telò

Eracle riesce a vincere la precedente resistenza di Admeto a instaurare un contatto fisico con Alcesti, e al v. 1118, grazie all'inequivocabile marca deittica 116, siamo certi che Ad- meto protende la sua mano verso quella della donna. La se- conda parte del verso, come già notava lo scolio117, fornisce una seconda informazione sulla condizione scenica di Admeto in questo punto dell'azione: infatti l'espressione ' - indica la messa in atto del gesto di volgere il capo in- dietro rimandando a una sua celebre, paradigmatica, attesta- zione mitica. È necessario soffermarsi ora sul piccolo pro- blema testuale contenuto in questo verso.

L'assetto testuale accolto da Kovacs, sulla scorta di tutti gli editori precedenti, è frutto di una piccola correzione del tra- dito proposta da Lobeck, per ovviare dell'anomalia prosodica di considerare la forma elisa 9 un dativo. La Masaracchia118 ha riproposto la difesa del testo tradito conside- rando infondati i dubbi sull'ammissibilità dell'elisione119 e cer-

ii 6. come sottolinea l'esecuzione di un ordine, cf. Denniston, Greek Parades cit., pp. 251-252. Sulla messa in atto di questo gesto concordano natu- ralmente tutti i commentatori: cf. Dale, Euripides Alcestis cit., p. 128; W. Steidle, Studien zum Antiken Drama, München 1968, p. 30 e Kaimio, Physical Contact cit., p. 32, n. 25, che giustamente reagisce contro l'interpretazione riduttiva di Hübner, Text und Bühnenspiel cit., p. 161, secondo cui si dovrebbe ipotizzare da

parte di Admeto solo un «Ausstrecken des Arms ins Leere» senza reale contatto fisico.

117. Schol. ad Ale 1118, II p. 243, 15-17 Schwanz xoi :... - . . 118. // velo di Alcesti cit., p. 30, n. 4.

119. La questione dell'ammissibilità in tragedia dell'elisione dello iota del dativo della terza declinazione è dibattuta. Rimane ancora importante la rassegna, citata anche dalla Masaracchia (art. cit., p. 30, . 4), di R.C. Jebb, Sophocles, the Plays and the Fragments, the Oedipus Coloneus, Cambridge 1907, p. 289: l'unico caso possibile (* in Aesch. Pers. 913 * * è considerato una forma di accusativo essendo retto da come in Cho. 411, su cui cf. Kühner-Gerth, II, p. 112, mentre Soph. . G 1436 è proble- matico anche per il senso generale) sarebbe Soph. Track 675 / , * , ma i più recenti editori (Dawe II, Lloyd-Jones e Wilson OCT) accolgono la correzione proposta da Bergk del tra- dito * in per evitare la successione di due attributi riferiti allo stesso sostantivo, che è fenomeno riscontrabile nella sintassi sofoclea perlopiù nelle

parti liriche, ma, a dire il vero, anche in Ant. 1197 / ... e Phil 227... , (cf. A.C. Moorhouse, The Syntax of Sophocles, Leiden 1982, p. 169). Cf. in generale sulla questione Martinelli, Gli strumenti del

poeta cit., pp. 40-41, n. 13.

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Per una grammatica dei gesti nelL· tragedia greca 61

cando di fornire una spiegazione scenica congruente. Su que- sto punto l'idea della studiosa non convince: uno sguardo alle testimonianze iconografiche sull'uccisione di Medusa da parte di Perseo sarà eloquente in proposito. È vero che la tradizione attribuisce alla testa della Gorgone il potere di pietrificare an- che dopo essere stata mozzata (come dimostra il contesto di Phoe. 455 / ), ma siamo sicuri che l'espressione che si ricava mantenendo il te- sto tradito si possa considerare equivalente a , il capo reciso che indurrebbe Perseo a voltarsi indietro? Ci sembra che indichi piuttosto «la Gor- gone con la testa mozzata», ovvero ciò che rimane di Medusa dopo che il capo è già stato asportato (così intende anche la Dale). Il corpo così mozzato non possiede più il potere di pie- trificare dal quale Perseo dovrebbe cercare di cautelarsi. La te- stimonianza offerta da una calpis attica databile all'incirca al 460 a. C. (Fig. 5) è significativa a questo riguardo: Perseo ha ormai reciso la testa della Gorgone, che fa capolino dalla sua borsa, e rivolge spavaldamente il volto verso il corpo mozzato

quasi a sottolineare con spregio la condizione di totale inno- cuità a cui il mostro è stato ridotto. Posto dunque che la situa- zione che si avrebbe stando alla lettera del testo tradito non motiverebbe il gesto (quello di voltarsi indietro) richiesto dal contesto120, si deve aggiungere che il risultato testuale prodotto dalla correzione di Lobeck ha il vantaggio di produrre una

duplice specularità gestuale con la tradizionale rappresenta- zione dell'uccisione di Medusa: essa121 prevede, infatti, non solo che Perseo abbia il volto girato, ma che protenda una mano per afferrare il corpo del mostro, mentre con l'altra im-

pugna la spada122.

120. Questa testimonianza iconografica (e al suo interno in particolar modo la

rappresentazione dell'atteggiamento di Perseo) confuta l'idea espressa dalla Ma- saracchia in questi termini: «...anche se vogliamo vedere nel di . 1118 il riferimento ad un tronco privo di testa, l'espressione mantiene la sua validità

perché un mostro che abbia perduto il principale mezzo per incutere terrore non

provoca necessariamente piacere in chi lo avvicina^ ma piuttosto una sensazione di repulsione e fastidio che spinge a distogliere lo sguardo* (il corsivo è mio). 121. Si veda Polpe attica di Vulci databile alla seconda metà del sesto secolo ri-

portata alla Figura 6.

122. Connessioni tra la messa in atto di un gesto e il paradigma mitico della Gor-

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62 Mario Telò

Chiarita in questo modo la condizione scenica di Admeto,

gone si trovano anche in Or. 1519-1525 e Phoe. 454-458. Il primo caso si trova nel celebre dialogo di Oreste con il Frigio: Oreste esce dalla skené con la spada in mano (v. 1504). Probabilmente in corrispondenza del v. 1516 Oreste si accosta al Frigio avvicinandogli minacciosamente la spada (Fimmediata esecuzione del giu- ramento al v. 1517 rende probabile che la minaccia di morte del v. 1516 , sia supportata da un gesto congruente). Al v. 1519 il Frigio chiede che la spada venga allontanata ( ), e di fronte alla mancata esecuzione della richiesta si volta indietro, come illustra chiaramente la seguente battuta di Oreste: ' ; Si pone il problema di stabi- lire quando il Frigio ripristini le condizioni sceniche normali: anche se la comu- nicazione viene continuata, tuttavia mancano nei w. 1521 e 1523 segnali di un contatto forte con Pinterlocutore. Per questo ritengo probabile che il contatto visivo venga ripreso in corrispondenza del v. 1525: Oreste ha lasciato intendere una possibilità di scampo (v. 1524 ' ), e il Frigio risponde (v. 1525a) ; Mi sembra drammaticamente efficace immaginare che il Frigio si volti di scatto per approfittare dell'occasione presentatasi. In Phoe. 454-458 Giocasta esorta i figli a guardarsi in faccia: mentre la seconda esorta- zione, rivolta a Polinice, * è chiarissima, quella diretta a Eteocle ( ) aveva indotto giu- stamente Mastronarde a inserire nell'edizione teubneriana (Eunpides Phoenissae, edidit DJ. Mastronarde, Lipsiae 1988, p. 43) la seguente didascalia: «Eteocles ve- lut torvis oculis fratrem aspicit. Polynices a fratre oculos primo avertit, deinde (457) ad fratrem revertit». Credo che non sia necessario postulare, come ha fatto successivamente Mastronarde nel commento (Eunpides Phoenissae, edited with Introduction and Commentary by DJ. Mastronarde, Cambridge 1994, p. 278), il

gesto di voltare indietro lo sguardo anche per Eteocle: il riferimento alla Gor- gone si può spiegare, infatti, anche pensando a una generica espressione d'ira d'orrore, che forse, data la caratterizzazione di Eteocle come personaggio - nel corso della tragedia, corrispondeva alle reali fattezze rappresentate sulla maschera indossata dall'attore (cf. Di Benedetto-Medda, La tragedia sulla scena cit., p. 176). Per quanto concerne l'ordine rivolto a Polinice, H. Altena, «Mnemosyne» 50, 1997, p. 493 e Text and Performance: On Significant Actions in Eunpides' Phoenissae, «Min. Class. Stud.» 24-25, 1999-2000, pp. 313-314, si è chiesto se esso fosse veramente eseguito (parziali dubbi in questo senso già in Eunpides Phoenician Women, edited with Translation and Commentary by E. Craik, Warminster 1988, p. 195). Se si tengono presenti le posizioni relative dei tre personaggi in questa fase dell'azione scenica, Giocasta è al centro, con un fi- glio da una parte, l'altro dall'altra (cf. Mastronarde, comm. cit., p. 279, E. Scharf- fenberger, A Tragic Lysistrataf Jocasta in thè «Reconciliation Scene» of thè Phoe- nician Women, «Rhein. Mus.» 138, 1995, pp. 322-323), si comprende che se Poli- nice non ponesse fine al suo gesto, si metterebbe a parlare senza guardare in fac- cia nemmeno Giocasta che è la sua diretta interlocutrice (cf. v. 494). Quindi, se non c'è effettiva instaurazione di contatto visivo con il fratello (e questo per le regole del dialogo a tre è normale, fino a quando Polinice non si rivolge diretta- mente al fratello), è certo tuttavia che Polinice prima di iniziare a parlare ha smesso di tenere lo sguardo rivolto dalla parte opposta rispetto a Giocasta e Eteocle.

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Per una grammatica dei gesti nelh tragedia greca 63

bisogna passare a considerare i w. 1119-1120, espunti per la

prima volta da Nauck soprattutto per la presenza di una dop- pia antuabé al v. 1119 (difesa invece da Wilamowitz)123, e più recentemente, sulla base di ragioni prettamente sceniche, da Hübner. Credo che alcune considerazioni di ordine scenico, trascurate da Hübner, possano dimostrare contro Kovacs la necessità di stabilire contiguità tra il v. 1118 e il v. 1120.

Il gesto di Admeto, come quelli di abbassare coprire il volto cadere a terra, rappresenta un tentativo di dissocia- zione, in questo caso non tanto dalla comunicazione dialo-

gica, ma dall'azione (il contatto fisico con Alcesti) a cui è stato costretto dall'ordine di Eracle. Questi tentativi, come si è già avuto modo di vedere, innescano nell'interlocutore un'imme- diata reazione, che mira a reintegrare il personaggio autore del

gesto nella realtà scenica che aveva momentaneamente abban- donato. Due esempi risultano particolarmente significativi a

questo riguardo: AL· 388-390, e El 566-567. Alcesti prima ab- bassa il volto, poi, su sollecitazione di Admeto, lo rialza per congedarsi dai figli (v. 389b), ma questa ripresa di contatto vi- sivo viene subito bruscamente interrotta. Questa è la sequenza gestuale che si deve con tutta probabilità scorgere nei w. 388-390124;

. , .

. ' '· ', .

. , . 390

Ancora più interessante perché inserito in un contesto di rico- noscimento è il caso di El 566-567: il Pedagogo, ormai certo della presenza di Oreste di fronte a sé, cerca di avviare Elettra verso la stessa conclusione, dunque di accelerare l'agnizione, e le ordina in un primo momento di pregare gli dei (v. 565). Ecco il prosieguo della scena (w. 566-567):

. · , , ;

123. Euripidis Tragoediae, ex recensione A. Nauckii, I, Lipsiae, p. LUI; U. Wila-

mowitz-Moellendorf, Analecta Eunpidea, Berolini 1875, p. 196.

124. L'apostrofe ai figli del v. 389b assicura che l'ordine del v. 388 è stato ese-

guito; di conseguenza , non può che riferirsi a un gesto d'interruzione di contatto distinto da quello stigmatizzato al v. 388.

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64 Mario Telò

. ', ,

In che modo Elettra può manifestare visivamente (come deve fare, data la presenza di ) Pesecuzione dell'ordine? Certo non può sbrigativamente dire senza accompagnare le sue parole con un'azione concreta: forse mette in atto il ge- sto più ovvio, alzare la testa verso il cielo125, ma in questo modo si estrania momentaneamente, anche se non per propria iniziativa, dal contatto visivo con Oreste. Al v. 567, in seguito a un ulteriore ordine del Pedagogo, questo contatto viene ri-

pristinato e il riconoscimento diventa possibile. In questi casi, dunque, un gesto che equivale a una dissocia-

zione dall'azione scenica in corso viene immediatamente se- guito da un tentativo di reintegrazione (). Si può com-

prendere allora quale effetto drammatico si viene a perdere spezzando la continuità tra l'indicazione verbale del gesto di Admeto e l'ordine di Eracle del v. 1121: Eracle rimarrebbe stranamente indifferente a un atto che da un punto di vista di semantica gestuale corrisponde a una forte rescissione di con- tatto. Se si conservano i w. 1119-1120126, si verrebbe poi a creare nel testo una sequenza di due ordini piuttosto impro-

125. Il testo consente naturalmente di dare a quest'interpretazione soltanto va- lore di ipotesi (si veda però la testimonianza di Filostrato, Vit. Soph., p. 52, 16-21

Kayser dove si presuppone che gli attori tragici, mentre pronunciavano un'escla- mazione come , tenessero lo sguardo rivolto verso il cielo), ma Pesorta- zione del Pedagogo ' ...lascia comunque intendere che Elettra ha interrotto fino a questo punto il contatto visivo proprio in adempimento del- l'ordine di pregare, qualunque siano state le conseguenze in termini di visualiz- zazione scenica di quest'ordine. 126. Dopo l'articolo di Hübner (Text und Bühnenspiel cit.) gli interventi contro la sua proposta di atetesi si sono moltipllcati: il primo a rigettarla è stato H. Er- bse, 2h Eunpides Alk. 1119-20, «Hermes» 110, 1982, pp. 127-128 che propone tuttavia un ragionamento non decisivo per la difesa di 1119-1120. Secondo lo stu- dioso tra i w. 1114 e 1131 si avrebbe un uso del verbo con due differenti valenze semantiche: al v. 1114 ( ) Admeto esprimerebbe disgusto per la connotazione affettivo-sessuale implicita nel verbo quando utilizzato in relazione al rapporto uomo-donna (come per esempio in El. 51 dove il Conta- dino, marito di Elettra, difende la sua scelta di castità, espressa in questi termini: ... / ), invece l'imperativo del v. 1117 rappresenterebbe una sollecitazione di Eracle ad Admeto a dimo- strare la disponibilità ad accogliere la . Al v. 1131, a riconosci- mento avvenuto, il verbo (Admeto chiede: , - ' ;) sarebbe invece utilizzato nel significato precedentemente rigettato da Admeto. Non si capisce come però queste pur valide precisazioni possano avere

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 65

babile: quello di salvare la donna ( ), infatti, segue lo- gicamente a del . 1121, nel senso che pre- suppone da parte del suo destinatario una condizione di nor- male integrazione dialogica, che a questo punto, invece, non è stata ancora raggiunta.

Un altro indizio che si può addurre a favore delPespun- zione è la presenza di una doppia antuabé\ la rarità di questo fenomeno in tragedia non rappresenterebbe ovviamente di per sé una difficoltà, in questo caso, tuttavia, esso si trova realiz- zato in maniera del tutto inusitata. Due tratti accomunano in- fatti tutti gli esempi di doppia antilabé all'interno del trimetro tragico (cinque sofoclei, tre euripidei), ovvero la tendenziale conclusione sintattica alla fine del verso tripartito, e la co-

ripercussioni sul mantenimento dei due versi: Paccettazione della è infatti già implicita nel gesto di Admeto segnalato da , che ha il valore di un impegno ufficiale rispetto alla richiesta di Eracle. Halleran ha invece

rigettato la proposta di espunzione in due differenti contributi: nel primo (Alke- stis Redux, «Harv. Stud. Class. Philol.» 86, 1982, pp. 51-53) considera la presenza di una doppia antilabé al v. 391, poco prima della morte in scena di Alcesti, e una seconda volta al v. 1119, alla vigilia del riconoscimento, come segno dell'inten- zione del poeta di collegare attraverso una marca formale il momento del con-

gedo di Alcesti dal mondo dei vivi e quello del suo ritorno. Tuttavia è difficile

pensare che Euripide affidasse la creazione di un effetto di specularità tra due scene distanti soltanto a un elemento formale così poco connotato, dunque diffi- cilmente percepibile dal pubblico. Quanto poi a al . 390 in relazione a di 1119, Halleran considera l'analogia espressiva come un caso di reminiscenza verbale, non come l'applicazione di uno stesso meccanismo drammatico all'interno di situazioni sceniche, la cui omogeneità si

può cogliere soltanto rapportando l'ordine al precedente gesto, che andava in una direzione scenica contraria a esso. Nel contributo successivo [Text and Ce-

rimony at thè Close of Euripidei Alkestis, «Eranos» 86, 1988, pp. 123-129] Halle- ran cerca di dimostrare che nella scena sarebbe messo in atto «a symbolic ree- nactement of thè Greek betrohtal and wedding cerimonies» all'interno del quale i w. 1119-1120 rappresenterebbero il rituale del (in ciò Halleran

segue H.P. Foley, Ritual Irony. Poetry and Sacrifice in Euripides, Ithaca-London 1985, p. 87). Si deve rilevare, tuttavia, qualche incongruenza: secondo Halleran nel rito matrimoniale il gesto della doveva essere successivo al mo- mento delFvov, di conseguenza per salvare l'ipotizzato rispecchia- mento rituale-azione scenica lo studioso deve supporre una deliberata inversione a scopi ironici dell'ordine tradizionale. Tuttavia, la testimonianza offerta da una

lutrophoros del Museo Nazionale d'Atene (fig. 7) mostra chiaramente che la

sposa poteva essere svelata anche dopo che il marito le aveva appoggiato la mano sul polso. L'elemento di «ritual irony» è costituito, piuttosto, dall'assenza di contatto visivo tra Admeto e Alcesti, dal momento che questa e altre testimo- nianze vascolari (Fig. 8) attestano chiaramente che in questo momento del rito lo

sposo ha lo sguardo rivolto verso la sposa.

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66 Mario Telò

stante presenza di cambio d'interlocutore127. Questi due ele- menti sono entrambi assenti nel v. 1119, e ciò sembra un argo- mento non irrilevante per negare la paternità euripidea del distico128.

Cerchiamo di vedere ora quale funzione drammatica po- trebbe avere nel contesto lo scambio di battute . ; . , 129: in questa fase Admeto non ha ancora abbracciato Alcesti, come invece indicheranno i w. 1134-1135, dunque

127. La trattazione fondamentale relativa a questi fenomeni rimane W. Köhler, Die Versbrechung bei den Griechischen Tragikern, Darmstadt 1913. Si veda più recentemente anche M. Bonaria, L'antilabé nella tragedia greca antica, in Studi di filologia cUssica in onore di G. Monaco, I, Palermo 1991, pp. 173-188. Riporto qui tutti i casi tragici di doppia antihbé per mostrare la caratteristica comune che ho ricordato sopra. Casi con conclusione sintattica e cambio di interlocutore: Soph. El. 1502 . ' '. . . (il verso successivo è in- trodotto da Egisto); Phil. 810 . , . . ; . (successiva battuta pronunciata da Filottete); 816 . . . ; . (successivo verso introdotto da Neottolemo); . G 832 . . . ; . (nel verso successivo si trova un intervento di Edipo); Eur. Ale. 391 . ; ; . '. . (con successivo intervento del Coro); Hipp. 310 . ... . . . ; (verso seguente pronunciato da Fedra); H. F. 1418 . . \ . , (successivo intervento di Eracle). Unico caso di sermo fractus in Soph. Phil. 814 . ', . ; . (la successiva battuta, che interrompe Filottete, è pronunciata da Neottolemo) sul quale cf. Mastronarde, Contact and Discontinuity cit., p. 66. 128. A ciò si aggiunga poi il fatto, già notato da Hübner, Text und Bühnenspiel cit. p. 164 con n. 39, che l'ordine con cui si apre il v. 1121 viene introdotto da un brusco asindeto. Secondo P. Riemer, Die Alkestis des Euripides. Untersuchungen zur tragische Form, Frankfurt am Main 1989, p. 192 Pasindeto segnalerebbe una pausa in corrispondenza della svolta scenica costituita dallo svelamento di Alce- sti, ma dato l'imperativo precedente ci si aspetterebbe un elemento connet- tivo più marcato a sottolineare appunto «den nun einsetzenden Wiedererken- nungsteil». Supp. 284, in cui si trova un imperativo () introdotto in asin- deto rispetto al periodo precedente concluso da , non può essere utiliz- zato a favore della difesa di Riemer, dal momento che in questo caso la presenza dell'asindeto ben si spiega come conseguenza del carattere di supplica-preghiera di questo intervento del coro (non è necessario pensare a un'indicazione di «Per- sonenwechsel», come fa Hübner). 129. Anche l'uso asseverativo di questo vai posto dopo il verbo lascia perplessi (Weil tentava di correggerlo in viv), e, stando almeno agli esempi ricordati da LSJ, sembra un caso unico. Riemer, Die Alkestis des Euripides cit., p. 190, n. 473 cita come parallelo Ba. 534, che tuttavia non è pertinente perché vai è costruito qui con l'accusativo all'interno di una sorta di giuramento (w. 534-536): vai / / (come per esempio an- che in Ar. Vesp. 1438 ... vai ).

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 67

dovrebbe significare «la tieni». Ma per quale motivo Era- cle dovrebbe chiedere conferma di un gesto, la cui esecuzione con implicito valore di era già stata chiarita dalla precedente battuta di Admeto ( )? Risulta dunque fortemente verosimile che la prima parte del verso sia stata coniata sul modello dei w. 1134-1135, dove a 5 - di Admeto segue la conferma di Eracle , che, data la condizione di personaggio muto di Alcesti, rappresenta un surrogato della tradizionale risposta asseverativa prevista in

queste scene da parte dell'altro personaggio coinvolto nel riconoscimento130.

Una parte della tradizione (BOLP) attesta per il v. 1121 (con- tro del solo V) la variante 5 , che è frutto verosimil- mente di un intervento successivo alPinterpolazione (dopo il v. 1118, infatti, l'ordine di ripristino del contatto visivo intro- dotto da non necessita di alcun connettivo del tipo di ), finalizzato proprio ad evitare l'asindeto ed ottenere un le-

game più visibile con i due versi precedenti. Il fatto che que- st'interpolazione sia presente in tutta la tradizione rende pro- babile che appartenga per lo meno all'età tardoantica, ma forse la presenza in V di consente di aggiungere un'altra consi- derazione: se essa fosse prodotta dall'intervento di un lettore erudito, sarebbe strana la mancanza (attestata appunto da V, che da questo punto di vista configura uno stadio più antico della tradizione rispetto a BOLP) di una particella che elimini l'asindeto. Si può immaginare invece che in una fase in cui il testo veniva ancora utilizzato con una finalità performativa questa difficoltà venisse poco percepita: per questa ragione si

può ipotizzare che i w. 1119-1120 siano il frutto di un'inter-

polazione istrionica131, prodotta dall'esigenza di dare un ri-

130. Cf. Soph. El 1226 . ; . ' ; Eur. El 579 .

' . ' ; Hei 650 . ..., 652 , '... Per un elenco completo vedi Kaimio, Physical Contact cit., pp. 35-37.

131. Hübner, Text und Bühnenspiel cit., p. 166, . 43 sembra invece considerare i due versi un caso di Binneninterpolation (su cui cf. Jachmann, «Gott. Nachr.» 1, 1936, pp. 123-133). Accogliendo l'origine istrionesca, che abbiamo proposto, si

potrebbe qualificare l'interpolazione come «expansive interpolation» (secondo la classificazione di Page, Actors* Interpolations cit., pp. 117 ss.): attraverso mate- riali attinti da un'altro momento dello sviluppo drammatico (quello, come si è vi-

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68 Mario Telò

scontro testuale più esteso al momento della attraverso materiali attinti perlopiù dai versi successivi.

Passiamo al problema conclusivo: si può davvero ipotizzare che in corrispondenza del v. 1121 Eracle scopra il volto di Ai- cesti? Questo interrogativo si ricollega ai dubbi che, come ab- biamo accennato all'inizio, sono stati sollevati sulla condi- zione scenica di Alcesti. Ora, posto che i dati ricavabili dalla rhesis di Admeto (w. 1037-1069) non sono in contraddizione con la possibilità che la donna giunga in scena velata132, si deve

sto, del riconoscimento) viene infatti data maggiore visibilità alFatto della . 132. Si vedano dunque il v. 1050 ( , ), e soprat- tutto i w. 1061-1063, in cui Admeto nota una somiglianzà in termini di e tra la donna sconosciuta e la moglie perduta. Per il v. 1050 si veda il com- mento dello scolio (I, p. 241, 22-23 Schwartz): * . Non del tutto convincente Finterpretazione datane da Masaracchia, // velo di Alcesti cit., p. 32 secondo cui il verbo sa- rebbe utilizzato per indicare la copertura del corpo femminile prodotta da chi- tone e himation, «che copre i capelli, ma lascia assolutamente scoperto il volto» (abbigliamento questo tipico delle giovani donne nel V secolo). La testimonianza dello scolio sarebbe dunque a favore di un* Alcesti col volto scoperto. Credo tut- tavia che sia possibile un'esegesi alternativa; se si attribuisce, infatti, a un va- lore limitativo, si può intendere anche: «appare giovane per quanto si può desu- mere solo dalla veste: infatti è coperta». Ovvero il fatto che la donna sia giovane si ricava solo dal tipo di veste che porta, non dal suo volto (è infatti coperta). In relazione al prosieguo della descrizione data da Admeto di Alcesti, sono sicura- mente interessanti i paralleli notati dalla studiosa con YElena: Menelao vedendo per la prima volta Elena in Hel 559 reagisce in maniera assai simile ad Admeto (1062-1063 ' , ' / ' , ): ' . Menelao sembra, dunque, ricono- scere la moglie, ma si esprime cautamente in termini esclusivi di somiglianzà, a causa della certezza razionale di non poter trovarsi di fronte a un'altra Elena. Si- gnificativa è anche la coincidenza, trascurata dalla studiosa, tra la domanda reto- rica attraverso cui Elena sollecita il riconoscimento al v. 576 ' ; e l'affermazione conclusiva della rhesis di Admeto (1066-1067): * / . Menelao non fa altro che notare una vaga somiglianzà, come fa anche Admeto, ma ciò, come suggerisce Elena e conferma la battuta di Admeto, dovrebbe essere già sufficiente ad avviare il riconoscimento. Ciò è momentaneamente reso impossibile solo perché Mene- lao crede di avere con sé la moglie: l'agnizione, infatti, risulterà immediata subito dopo la notizia della scomparsa della falsa Elena (w. 605-620), senza ulteriore bi- sogno di verifica. Si può pertanto concludere che questa iniziale osservazione dell'aspetto fisico di Elena, anche solo in termini generici di , è il motore del riconoscimento che attende solo una successiva ratifica. Le modalità che portano all'agnizione nel finale deìYAlcesti sono invece, come vedremo, ben diverse.

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 69

tener presente il meccanismo, esemplificato da Eur. Supp. 111- 112133, per cui, se un personaggio fa il suo primo ingresso in scena coperto da un velo, la prima menzione di questa sua condizione coincide con l'ordine l'indicazione fattuale della sua rimozione: di conseguenza la reticenza testuale, lamentata dalla Masaracchia134, deve essere considerata del tutto nor- male.

Per quanto concerne specificamente lo svelamento da parte di Eracle, credo che possa essere utile un confronto con scene in cui un personaggio A scopre un personaggio senza che vi sia stata una richiesta esplicita in questo senso da parte di B. Come abbiamo già notato135, in H. F. 1226-1231 è assai difficile che sia Teseo a scoprire direttamente il volto di Eracle, quindi l'unica scena in qualche modo comparabile è Hec. 679-682, in cui si ritrova lo stesso connubio di situazioni, svelamento e ri- conoscimento, ipotizzabile neìYAlcesti: Ecuba infatti non ri- conosce l'identità del cadavere che la Serva ha portato in scena fino a quando esso non viene privato del velo che lo copre. Ci troviamo dunque di fronte a un caso di ritardo nel riconosci- mento di un personaggio a causa del diaframma realistico rap- presentato da un velo. Ecco come si arriva allo scioglimento di

questo nodo drammatico:

. ... ' , 9 . 680

. , 9

II gesto di rimozione del velo compiuto dalla Serva al v. 679 trova un chiaro corrispettivo verbale nel participio , nessun indizio testuale di questo genere invece nel nostro

passo, soltanto l'ordine , che, se viene ac- colta la dinamica scenica che abbiamo proposto sopra, è da in-

terpretare in primo luogo come reazione al fatto che Admeto

133. Cf. supra. 134. Cf. // velo di Alcesti cit., p. 31. Parzialmente sulla stessa linea della studiosa anche N. Rabinowitz, Veiled Anxiety: Euripides and thè Traffic in Women, Ithaca-London 1993, p. 87 («The évidence that Alcestis is actually veiled is obli-

que and not textual») e F. Ahi, Admetus Deuteragonistes, «Colby Quart.» 33, 1997, p. 13 («there is no clear indication that Alcestis is actually veiled when

brought back in»). 135. Cf. supra, n. 37.

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ha girato indietro il volto, come Perseo di fronte a Medusa. Una lettura ravvicinata dei due passi consente di scoprire qualche elemento comune in più; in particolare, il nesso 5 , con cui la Serva designa generica- mente la visione imminente di Ecuba, corrisponde perfetta- mente all'espressione utilizzata da Admeto al v. 1123 per qua- lificare ciò che in adempimento dell'ordine di Eracle ha ap- pena visto di fronte a sé: , ; ' 136. Dunque, quando Admeto ha ripreso contatto visivo con Alcesti è avvenuto qualcosa che lo rende certo della pre- senza della moglie. Secondo la Masaracchia «sono le parole di Eracle a fugare ogni dubbio dall'animo di Admeto», ma ciò non sembra sufficiente perché il dato della somiglianzà della donna con Alcesti era già stato espresso chiaramente da Ad- meto ai w. 1066-1067 ( 5 / ), quindi l'affermazione di Eracle non introduce un ele- mento nuovo che possa segnare la svolta per il riconosci- mento137. In altre parole Eracle non porta, come il Servo nella scena dell' Elena che abbiamo richiamato alla n. 132138, un dato

136. È importante sottolineare che questo nesso + espressione negativa legata alla sfera semantica di si trova, in Euripide, soltanto in questi due passi. 137. Masaracchia, // velo cit., p. 34 istituisce a proposito della funzione decisiva che nel riconoscimento avrebbero le parole di Eracle un parallelo con la scena delle Baccanti in cui sotto la guida di Cadmo (w. 1279, 1281) Agave giunge a ri- conoscere la reale identità di ciò che ha nelle sue mani. Ma in questo caso è in corso una progressiva riacquisizione di stabilità mentale, che rende conto dei dif- ferenti risultati cognitivi a cui conducono le due successive visioni (al v. 1278 Agave, ancora sotto l'effetto del delirio, crede di sorreggere la testa di un leone, nei versi successivi acquista progressiva coscienza della verità). Nel nostro caso invece nulla è intervenuto nelle capacità cognitive di Admeto, tra l'inizio della scena e questo punto, che gli consenta di scorgere più della somiglianzà già pre- cedentemente espressa. 138. Mi pare rilevante notare un particolare trascurato dalla Masaracchia, // velo cit., pp. 34-35 nella sua discussione di altre scene di riconoscimento euripidee: che in Elettra, Ifigenia Taurica e Elena l'elemento finale dell'agnizione non sia un atto visivo è dimostrato dal fatto che durante l'usuale abbraccio che segue in tutte queste scene manca un'indicazione del vedere (anzi in El. 568 l'atto visivo sollecitato dal Pedagogo nel verso precedente - \.. è program- maticamente considerato inefficace - * ' ' ; - fino a quando non si concentra su un dato nuovo al. v. 575: - ), essa invece è inclusa nella prima reazione di Admeto ( ) proprio come in quella di Ecuba (, ' ).

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 71

conoscitivo nuovo che confermi l'impressione sulla somi-

glianzà espressa da Admeto all'inizio. Questa funzione deve essere pertanto svolta da un'azione la cui realizzazione sia

però compatibile con la mancanza nel testo di un'indicazione verbale esplicita. Pensare a uno svelamento è probabile pro- prio perché anche nella scena delYEcuba (dove pure la pre- senza di un velo sul corpo di Polidoro emergeva attraverso il

participio ) di un'azione del genere, concernente un cadavere, dunque un personaggio 'muto' (a tale ruolo è so- stanzialmente ridotta anche Alcesti139 nel finale della tragedia), si ha una menzione verbale soltanto indiretta, tutta centrata sull'effetto, 'una nuova visione' ( / ), che essa

produce sull'interlocutore di chi la sta compiendo.

Appendice

xoçaç Nota a Ar. Tbesm. 902-903

Credo che alcune delle considerazioni svolte nella discussione di Ale 1119-1120 possano contribuire all'esegesi di Ar. Thesm. 902.

Tra le metamorfosi tragiche a cui Mnesiloco si sottopone nel corso delle Tesmoforiazuse, quella derivata aAVElena eu-

ripidea riveste primaria importanza perché ampi spezzoni del-

l'ipotesto tragico vengono ripresi in maniera letterale, in forma variata140. Nella sequenza testuale compresa tra il v. 855 e il 916, tuttavia, al di là del vistoso modello di base si possono rintracciare altri motivi scenici tipicamente tragici, ma non ap-

139. Le possibili ragioni del 'silenzio* di Alcesti nel finale della tragedia sono an- cora oggetto di discussione. Si vedano a questo proposito: G.G. Betts, The Si- lence of Alcestisy «Mnemosyne» 18, 1965, pp. 181-182; Riemer, Die Alkestis des

Eunpides cit., pp. 93-103; Di Benedetto-Medda, La tragedia suUa scena cit., p. 222; V. Wohl, Intimate Commerce. Exchange, Gender and Subjectivity in Greek

Tragedy, Austin 1998, pp. 150-151, 255 (con discussione della bibliografia precedente). 140. Fondamentali a questo proposito: H.W. Miller, Some Tragic Influences in thè Thesmophoriazusae of Aristophanes, «Trans. Amer. Philol. Assoc.» 77 ', 1946, pp. 171-182 e P. Rau, Paratragodia. Untersuchung einer Komischen Form des

Aristophanes, München 1967, pp. 53-65.

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72 Mario Telò

partenenti all· 'Elena: tra di essi spicca quello del velamento di Mnesiloco-Elena141. Si veda il testo dei w. 902-903:

. , ; .

. .

Secondo alcuni commentatori, in corrispondenza del v. 903 Mnesiloco si scoprirebbe il volto (in accordo con il dato sce-

141. Questo dato emerge dai w. 889-890a, in cui Euripide rivolge a Mnesiloco la seguente domanda: Ti / , ; Questa divergenza di presentazione scenica rispetto alFipotesto ha portato H.J. Mette, Der verlorene Aischylos, Berlin 1963, p. 46 n. 1 a ritenere che i w. 889-890a vengano attinti da un'altra tragedia, e precisamente dalla Niobe di Eschilo, in cui Niobe compariva nel prologo prostrata su una tomba con il capo velato - cf. per quest'ultimo dato le testimonianze, in primo luogo Ar. . 911- 912, citate da Radt (Tragicorum Graecorum fragmenta, vol. 3, Aeschylus, editor S. Radt, Göttingen 1985, pp. 265-267), . Taplin, Aeschylean Silences and Silen- ces in Aeschylus, «Harv. Stud. Class. Philol.» 76, 1972, pp. 60-62 e A. Garzya, Sur U Niobé d'Eschyle, «Rev. Étud. Grecq.» 100, 1987, pp. 185-202]: la proposta di Mette è stata accolta nell'edizione dei frammenti eschilei di Radt, dove i due versi figurano come fr. 157a. Tuttavia essi non presentano elementi espressivi tali da garantire l'effettiva paternità eschilea: per esempio, come nota già Rau, Para- tragodia cit., p. 60, il nesso ricorre in Eur. H. F. 1214 (... - ), mentre l'aggettivo ha due ricorrenze in Soph. Ant. 255 e 947. D'altra parte, se i versi in questione fossero un libero ria- dattamento dalla stessa E lena (i w. 890b-891 - possono indurre a pensare che il v. 889 rielabori in forma dialogica le informazioni prologiche contenute in Hel. 64b-65 ... ' / e 63b-64a ... / ) con l'aggiunta del particolare eccentrico del velamento, l'operazione non costi- tuirebbe un unicum nel contesto, per il fatto che si riscontrano casi simili di va- riazione notevole del modello di base ai w. 857, 867, 873-874, 877, 886, 902-903, 914-916. È sicuramente verosimile che l'associazione dei due dati scenici già menzionati, la prostrazione sulla tomba e il velamento, potesse suscitare il ri- cordo della tragedia eschilea (conferma di ciò potrebbe venire dal fatto che le Rane, in cui il ricordo di Niobe è esplicitamente sollecitato, furono rappresentate sei anni dopo le Tesmoforiazuse, nel 405), ma il dato rilevante è piuttosto che Aristofane non considerava il particolare del velamento di Mnesiloco incompati- bile con la condizione scenica detenuta da Elena nel modello euripideo (l'intro- duzione infatti di un vistoso dato scenico assente nell'ipotesto potrebbe di per sé comprometterne la riconoscibilità). Ricollegandoci alle osservazioni fatte in pre- cedenza a proposito del finale dell' Alcesti (cf. n. 132), si può tentare un'ipotesi esplicativa pensando che la descrizione data da Menelao di Elena nella scena del frustrato riconoscimento (w. 559, 576) non differisce in molto da quella data da Admeto per Alcesti velata, e che proprio ciò renda plausibile l'applicazione a Elena di un tratto tipico della Niobe eschilea.

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Fig. 1 - Monaco, St. Ant. Slq., 2305. Anfora attica a figure rosse. Età tardo-arcaica. Immagine tratta da R. Tolle Kastenbein, Zur Mitra in Klassischer Zeit, «Rev. Archéol.» 1977, p. 32.

Fig. 2 - Londra, British Museum E 44. Coppa a figure rosse da Vulci. Età tardo-arcaica. Immagine tratta da R. Tolle Kastenbein, Zur Mitra in Klassischer Zeit, «Rev. Archéol.» 1977, p. 32.

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Fig. 3 - Terracotta liparese tratta da L. Bernabò Brea, Menandro e il teatro greco nelle terracotte liparesi, Genova 1981, p. 231, fig. 396.

Fig. 4 - Schema tratto da E. Abrahams-L. Evans, Ancient Greek Dress, edited by M. Johnson, Chicago 1964, p. 115.

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Fig. 5 - Londra, British Museum E 181. Calpis attica a figure rosse da Capua (ca. 460 a.C). Immagine tratta da LIMC VII, 2, p. 299.

Fig. 6 - Londra, British Mu- seum 471. Olpe attica a figure nere da Vulci (ca. 550 a.C). Immagine tratta da LIMC VII, 2, p. 290.

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Fig. 7 - Atene, Mus. Naz. Frammento di loutrophoros a figure rosse. Immagine tratta da G. Neumann, Ge- sten und Gebärden in der griechischen Kunst, Berlin 1965, p. 63.

Fig. 8 - Toronto, Royal Ont. Muse- um 635. Loutro- phoros attica a fi- gure rosse attribuita a Polygnotos. Im- magine tratta da J. Boardman, Athe- nian Red Figure Vases: thè Classical er io d. A Hand- book, London 1989.

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Per una grammatica dei gesti nelh tragedia greca 73

nico emerso al v. 890a ) come risposta gestuale all'ordine di Euripide142. Nel . 902143 Tinterpretazione di - è considerata problematica: l'aggettivo può essere inteso infatti come attributo esornativo («luminoso»)144 o, in accordo con lo scolio145, come predicativo, che produrrebbe il seguente senso complessivo: «Volgi i tuoi occhi in modo che risplen- dano di fronte ai miei» (ovvero «Volgi gli occhi verso di me»)146. Si comprende bene che, qualunque sia l'esegesi cor- retta, l'ordine di Euripide può difficilmente rappresentare un invito a togliersi il velo. Per coglierne il vero senso scenico bi- sogna partire dai w. 899b-901: Mnesiloco si rivolge alla se- conda Donna, che impersona in questa scena il ruolo di Teo- noe (cfr. v. 897), rimbeccandola per i continui tentativi di smontare la sua messinscena tragica (cfr. w. 887-888, 892-894, 898-899a) e ribadendo l'intenzione di rimanere fedele al ma- rito Menelao. Ora, è verosimile pensare che per pronunciare questi versi147 Mnesiloco-Elena si volti verso la sua imperti- nente interlocutrice, interrompendo momentaneamente il contatto visivo con Euripide-Menelao, che, tuttavia, sentendo menzionare il proprio nome con la qualifica di vuole

riaprire subito il canale comunicativo, per verificare l'identità

142. Si vedano: Aristophanis Tbesmophoriazusae, cum prolegomenis et commen-

tariis, edidit J. Van Leeuwen, Lugduni Batavorum 1904, p. 116; Aristofane. Le

Commedie, edizione critica e traduzione a cura di R. Cantarella, IV, Milano

1953, p. 503; The Comédies of Aristophanes, voi. 8, Thesmophoriazusae, edited with translation and notes by A.H. Sommerstein, Warminster 1994, p. 105; Ari-

stophanes Birds-Lysistrata-Women at thè Thesmophoria, edited and translated by J. Henderson, Cambridge-London 2000, p. 569 e Aristofane. Le donne alle Te-

smoforie, a cura di C. Prato, traduzione di D. Del Corno, Milano 2001, p. 99.

143. La porzione di verso che segue la cesura pentemimere ( ) viene annoverata da Kannicht-Snell nella raccolta dei frammenti tragici adespoti (Tragicorum Graecorum fragmenta, vol. Il, fragmenta adespota, testi- monia volumini I addenda, indices ad volumina I et II, editores R. Kannicht et B.

Snell, Göttingen 1981) dove figura come fr. 67.

144. Cf. Cantarella, cit., p. 503; Aristofane. Le Commedie di Aristofane, a cura di B. Marzullo, Bari 1968, p. 461.

145. : . 146. The ThesmophoriazHsae of Aristophanes, edited by B.B. Rogers, London

1920, p. 96; Sommerstein, cit., p. 215; Henderson, cit., p. 569; Del Corno in Del

CornorPrato, cit., p. 99.

147. Vv. 899b-901: . / / . Si noti la funzione di contatto impli- cita nel possessivo .

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74 Mario Telò

della presunta moglie. In sostanza il v. 902 può essere equipa- rato agli ordini di ripristino del contatto visivo formulati, proprio alla vigilia di un riconoscimento, in due scene tragiche già esaminate148: quello rivolto da Eracle ad Admeto in Ale. 1121-1122 ( , / )149, e quello indirizzato dal Pedagogo a Elettra in Eur. El. 567 ( ', , ). L'unica differenza è che nel nostro caso a sollecitare la verifica visiva dell'identità non è un personaggio terzo, ma direttamente uno dei personaggi coinvolti nel riconoscimento. Appare chiaro a questo punto che la spiegazione di fornita dallo sco- lio va sicuramente accolta.

La risposta di Mnesiloco-Elena potrebbe sembrare incon- gruente con la ricostruzione qui proposta, nel senso che il contatto visivo con Euripide-Menealo era stato interrotto non per l'insorgere di un sentimento di , ma per l'esigenza di un rapporto comunicativo polemico con la seconda Donna. L'incongruenza si risolve immaginando un altro gioco para- tragico: la lettera dell'ordine presenta infatti tratti di affinità con quelli impartiti a personaggi con il volto abbassato in segno di vergogna150. Mnesiloco-Elena sfrutta, dunque, la polisemia scenica di quest'ordine per dare una risposta che almeno nell'incipit riproduce la giustifica- zione che un'eroina tragica potrebbe dare del proprio pudico modo di presentarsi con il volto abbassato151. Si veda a questo proposito la spiegazione data da Ecuba a Polimestore in Hec. 968:

Tornando ora al problema iniziale dello svelamento di Mnesi- loco-Elena, si deve concludere, sulla base dell'interpretazione

148. Cf. supra. 149. Si veda l'analogia tra la reazione manifestata da Admeto dopo il riconosci- mento (1123 , ; ' ) e quella di Euripide-Menelao ( , ' ;), attinta da Hel. 72 ( , ' ;), nel momento in cui ha percezione di trovarsi di fronte la moglie. 150. Si veda per esempio l'ordine impartito da Alcmena a Euristeo in Hcld. 942- 943 ' / - . Cf. per una rassegna completa n. 69. 151. Per l'effetto di «parodische Deformation» che si realizza nella seconda parte del verso cf. Rau, Paratragodia cit., p. 61.

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Per una grammatica dei gesti nella tragedia greca 75

scenica che abbiamo sostenuto, che non è su questo dato che si concentra la sequenza di motivi paratragici presente nel te- sto. Immaginare uno svelamento, che naturalmente non sa- rebbe incongruente con il contesto di riconoscimeno e con le sue particolari condizioni nelPipotesto euripideo di base (cf. . 141), presuppone una coerenza nello sviluppo scenico a partire dal dato introdotto al v. 890a, di cui non si può essere certi in una scena come questa costruita mediante Passemblag- gio di elementi disparati, omogenei nella comune apparte- nenza al genere tragico, ma reciprocamente accostati in ma- niera disinvolta.

Scuola Normale Superiore, Pisa

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