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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL'EDUCAZIONE PER UNA PEDAGOGIA COMUNICATIVA: IL MODELLO DI DANILO DOLCI E LE SUE POSSIBILI APPLICAZIONI RELATORE PROF. FRANCO CAMBI CANDIDATO ALESSANDRA CLARA MARIA VALSEGA ANNO ACCADAMICO 2003-2004

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL'EDUCAZIONE

PER UNA PEDAGOGIA COMUNICATIVA: IL MODELLO DI DANILO DOLCI E LE SUE

POSSIBILI APPLICAZIONI RELATORE PROF. FRANCO CAMBI CANDIDATO ALESSANDRA CLARA MARIA VALSEGA

ANNO ACCADAMICO 2003-2004

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INDICE Pag. PREFAZIONE 3 1 COMUNICAZIONE E PEDAGOGIA 8 1.1 Il contesto 9 1.2 Chi sono gli umani 16 1.3 Formazione perché 21 1.4 Un altro mondo è possibile 29 1.5 Le scienze ci danno una mano 31 1.6 Per una pedagogia comunicativa 37 2 DANILO DOLCI E LA COMUNICAZIONE MAIEUTICA 41 2.1 Socrate padre della maieutica 42 2.2 Danilo Dolci pedagogista per vocazione 46 2.3 Nonviolenza-dominio-educazione, connessioni problematiche di processi comunicativi 55 2.4 Come obiettivi: consapevolezza e valorizzazione 63 2.5 Come metodo: la comunicazione maieutica 67 2.6 Come finalità: la mondializzazione delle metodologie maieutiche 72 3 UN'APPLICAZIONE DEL MODELLO 79 3.1 Socioanalisi del problema 80 3.2 La realtà locale 84 3.3 Comunicare nella 3° età 91 3.4 Quale metodo allora 98 3.5 Il laboratorio maieutico 101 3.6 La pratica autobiografica 108 CONCLUSIONI 115 BIBLIOGRAFIA 117

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PREFAZIONE L'imparare-insegnare è stato ed è tutt'ora nella mia vita il baricentro, il porto sicuro a cui sempre mi rivolgo, quando il "vasto mare" della quotidianità si fa turbolento e l'anima si inquieta. Nella casa dove sono cresciuta il mio amatissimo nonno (classe 1904) era poeta e la mia adorata nonna (classe 1907) era maestra. Da loro ho respirato quell'eros specialissimo che si sprigiona nel condividere immagini, fantasie, pensieri, quando l'emozione si accende e diventa fusione, piacere, bellezza e gioia nel comunicare: l'imparare-insegnare insomma, come fatto primordiale che risveglia l'anima partendo dall'occhio del cuore. E poi mia madre, maestra montessoriana, in quella veste ha dato il meglio di sé, ha espresso la sua intelligenza, la sua passione, la sua creatività. Così io… diciamo pure come i papaveri nei prati d'estate o le castagne in un bosco autunnale, già a diciannove anni non ancora compiuti (primi di ottobre del 1978), ero "in cattedra" con una intera classe di prima elementare! E' come se i miei occhi non avessero mai smesso di osservare, ricercare e interpretare materiali, ambienti, linguaggi, testi e contesti secondo una prospettiva pedagogica, sentendomi sempre, dialogicamente insieme, apprendista e maestra. Anche oggi, dopo venticinque anni di docenza nella scuola elementare, dopo aver visto passare molta, moltissima "acqua sotto i ponti", eccomi ancora a cercare oltre il mio baricentro, in quella dimensione della autoformazione permanente che è " cura del sé", percorso necessario per sentirmi integra ed integrata con il mondo. Questa mia tesi, dedicata a Danilo Dolci allora, non può che rispecchiare inevitabilmente, questa mia visione dialogica, innamorata e curativa della pedagogia. Una pedagogia comunicativa cioè, che ci consenta di costruire relazioni significative in cui mettere a punto la

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continuità e la discontinuità della nostra esistenza, una pedagogia comunicativa che presuppone ed implica il rispetto, l'amore, l'interesse, la possibilità per ognuno di diventare persona integra e cooperante. Si parte dal presupposto che noi ci evolviamo all'interno di strutture comunicative e il nostro io ne è quindi il prodotto: la vita è una rete, in cui ogni singolo nodo, è parte integrante dell'unico stesso filo intrecciato. Il pensiero, come ogni altra cosa, si nutre dunque di rapporti, di connessioni, di relazioni fra similarità, differenze, antinomie e, in un'epoca, in cui si sta tristemente configurando un'ingegneria del consenso atta a riprodurre schemi di adattamento all'esistente, occorre costruire occasioni formative, dove si possa ancora comunicare creativamente. C'è alla base di questa tesi, un'idea poetica della mente capace di superare il nichilismo e l'ottusità contemporanei in modo che oltre alla logica, la mente possa riappropriarsi del sogno, dell'immaginazione, possa coniugare arte e scienza, passato e presente , obiettività e soggettività. Si tratta di superare il concetto di formazione-educazione come trasmissione e modellamento unidirezionale, espressione di una deflagrante crisi del comunicare connotante la nostra civiltà e finalizzato alla produttività spicciola, "a breve termine", alla omologazione ed alla " mente unica", che sclerotizza chi la riceve e chi la trasmette, depauperandoci della nostra umanità. La chiave interpretativa, il modello di riferimento più consono ad indicare concreti percorsi e possibili soluzioni, si trova nel fecondo pensiero di Danilo Dolci che, in tutte le sue opere, ripropone al centro del paradigma educativo e formativo, la COMUNICAZIONE come vero, responsabile ascoltare… - complesso processo in cui due o più sistemi di

osservazione-esperienza in ricerca, nel confronto, riescono ad integrarsi superandosi.-1

1 D. Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica,, Bari, Piero Lacaita Editore, 1993, p.95.

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Come Danilo Dolci ci suggerisce urge costruire laboratori maieutici di continuativa emancipazione, luoghi dove poter elaborare prospettive e diagnosi della contemporaneità, organizzando criticamente e costruttivamente gli eventi della nostra memoria personale e collettiva. Il problema fondamentale è principalmente metodologico: come individuare di volta in volta, nei vari contesti le condizioni necessarie e le priorità scaturenti "dal basso" per costruire le strutture capaci di incrementare e suscitare la comunicazione e la creatività individuale e di gruppo, consapevoli che solo radicandoci nei bisogni comuni, nei profondi interessi personali, ambientali ed etici comunicandoceli, che possiamo giungere a costruire organizzazioni energizzanti, vitali e connesse empaticamente con il mondo. In particolare, il percorso di questa tesi si sviluppa in tre tappe, la prima dove, innanzitutto, si delinea l'orizzonte storico ed epistemologico di riferimento, che va ad individuare in una pedagogia essenzialmente comunicativa, il dispositivo focale per rispondere alle emergenze pedagogiche attuali; in un momento storico particolarmente connotato da eclatanti ingiustizie e da una cultura fondata sulla scissione, sul dominio, e sulla violenza, apprendere o ri-apprendere a comunicare creativamente urge diventare prassi pedagogica emergente. Ciò si connette alla "cura del sé" e si identifica con la questione dei diritti della persona, dei gruppi e dei popoli. La scelta è quella di un paradigma radicalmente comunicativo che, riconoscendo epistemologicamente nella socialità/relazionalità il fattore chiave della vita e quindi della formazione, promuova la salute delle persone e dei gruppi nei loro contesti di vita, rafforzando le reti sociali, attivando la partecipazione, la possibilità di agire dell'individuo come attore-autore del proprio cambiamento e della propria storia personale. Questo arricchimento delle potenzialità, questa valorizzazione, può avvenire solo attraverso percorsi comunicativi interiori e riflessivi, intersoggettivi, negoziali e di sistema, il cui strutturarsi diventa primario compito delle Scienze della Formazione.

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Nel secondo capitolo si apre una discussione sui temi ed i problemi sopra esposti, inerenti ad una possibile pedagogia comunicativa, con Danilo Dolci e attraverso Danilo Dolci. Questo capitolo è soprattutto un omaggio a questo incantevole e generoso poeta-educatore, architetto-sociologo, pedagogista-comunicatore e profeta, che ha saputo tessere infiniti fili rossi tra il passato e il presente, fra il lontano e il vicino, fra il fuori e il dentro di sé. Egli ci ha regalato preziose intuizioni, stimolanti riflessioni ed illuminanti versi poetici chiamandoci a compiti ineludibili: sui bisogni di libertà e di non violenza, sulla dimensione umana, sulle necessità axiologiche, sulla democratizzazione dello sviluppo come idea regolativa di base di ogni progetto pedagogico, attraverso una maieutica valorizzatrice fondata sul dialogo, sulla narrazione e sull'ascolto, in un " palpitare di nessi". La sua opera è una vitale ed attuale interpretazione dell'odierno e drammatico contesto planetario in cui egli ci indica la strada per contrastare le involuzioni democratiche e l'attacco ai diritti a cui oggi stiamo assistendo su tutti i fronti. La sua opera lascia a noi, educatori di professione, una serie di brucianti quesiti aperti, una serie di compiti urgenti da svolgere, una serie di intuizioni e di connessioni da sviluppare e praticare: è il più fecondo tesoro che ho scoperto in questi miei ultimi anni di studi accademici (e ritengo sia da riscoprire ancora e più a fondo all'interno della cultura della formazione). Nel terzo capitolo si tratteggia, all'interno della problematica emergente della gestione dell'anzianità (che chiaramente mi sta molto a cuore in quanto si tratta anche del mio prossimo futuro), un progetto socio-pedagogico fattibile nel microcontesto di una comunità per anziani che, utilizzando appunto quella pedagogia comunicativa delineata in linee generali nel primo capitolo ed approfondita in particolare nel modello dolciano nel corso del secondo capitolo, riesca ad integrare e promuovere gli individui anche nell'ultima parte della loro vita (integra è la creatura non mutilata o danneggiata, integrare significa

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soprattutto valorizzare, rendere completo).Quanto proposto nell'ultimo capitolo è solo un piccolo esempio di ciò che si può fare. Oggi nuove progettualità s'impongono: progettualità che, individuando necessità e priorità scaturenti "dal basso" valorizzino l'imparare insieme a risolvere concretamente i problemi, progettualità che ridefiniscano i rapporti uomo-natura, uomo-ambiente, uomo-risorse, nuovi modi di intendere antiche tematiche come la nascita, la vita, la morte, la malattia…nuovi modi di pensare che si connettano ai numerosi conflitti in atto ed alle nuove speranze di cambiamento possibile. Per costruire un'esistenza progettata attraverso l'impegno quotidiano, etico e civile nel rapporto solidale con gli altri e per la pacificazione universale, sulle strade del possibile dove l'utopia ci è orizzonte luminoso e sereno, così come già I. Kant aveva intuito: - Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente (…): il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me. Queste cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell'oscurità o fossero nel trascendente, fuori dal mio orizzonte, io le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza.- I. Kant 2

2 I. Kant in : D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, Firenze, La Nuova Italia, 1997, ,p.78.

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CAPITOLO PRIMO PEDAGOGIA E COMUNICAZIONE

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1.1 IL CONTESTO Oggi ci troviamo in uno stato di profonda crisi a livello mondiale. E’ una crisi complessa, multidimensionale, le cui svariate sfaccettature toccano ogni aspetto della nostra vita e del nostro futuro, la qualità del nostro ambiente e dei nostri rapporti sociali. Questa è una crisi che investe le nostre dimensioni intellettuali, morali e spirituali, ci troviamo, forse per la prima volta nella storia dell’umanità, di fronte alla realistica minaccia dell’estinzione della specie umana dal pianeta. La corsa agli armamenti continua senza sosta: attualmente al mondo si spendono 900 miliardi di dollari per spese militari, 300 milioni per sussidi agricoli e solo 50 per aiuti allo sviluppo3. I diritti umani vengono calpestati in nome dell'ossessione per la sicurezza e una paradossale "alleanza" fra gruppi armati e governi, pur partendo da obiettivi opposti, crea gli stessi disastrosi e sconcertanti effetti sulle popolazioni: la violazione delle tutele garantite per legge, in nome di una visione miope e ambigua di ordine, sviluppo e democrazia. Contemporaneamente più di quindici milioni di persone muoiono di fame ogni anno, centinaia di milioni di persone vivono in uno stato di denutrizione continua, più del 40% della popolazione mondiale non ha acqua sufficiente per vivere e oltre un miliardo di persone non dispone di acqua potabile.4 L’ecosistema globale e l’ulteriore evoluzione della vita sulla Terra sono gravemente danneggiati e potrebbero essere presto coinvolti in un disastro ecologico su vasta scala. Il degrado dell’ambiente di vita da cui dipendiamo si accompagna ad un corrispondente aumento, anche nei paesi ricchi, dei problemi sanitari degli individui, sul versante psicologico si manifestano disagi e sofferenze mentre aumentano i segni della disgregazione sociale: crimini, incidenti stradali, suicidi, alcolismo, 3Dati tratti da : La Repubblica, 27/05/04, p.14. 4 Dati tratti da: Il Manifesto, 27/08/04, p.7.

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tossicodipendenze, malattie mentali, abuso di farmaci…..Parallelamente a queste forme di patologia sociale, si manifestano anomalie economiche che pare accentrino l’interesse, l’energia dei nostri governanti, monopolizzino l’attenzione dei media occidentali e siano causa di conflitti e di guerre. In questa maniera si perde di vista che, si parli di salute, di comportamenti devianti, di rischio nucleare, di problemi energetici o di inflazione, la dinamica che sta alla base di questi problemi è sempre la stessa. Questi problemi, sono problemi sistemici, cioè sono interconnessi ed interdipendenti e perciò non possono essere compresi in una metodologia di approccio frammentato, tipica delle nostre discipline accademiche e della nostra cultura “specialistica”. Un approccio riduttivo ai problemi ci consentirà soltanto di spostarli da un campo all’altro nella rete di complesse relazioni sociali ed ecologiche che caratterizzano la vita del pianeta… La concezione sistemica della vita è una prospettiva appropriata, anche per le scienze sociali più tecniche come per esempio l’economia. Secondo l’approccio sistemico, infatti, l’economia è un sistema vivente composto da esseri umani ed organizzazioni sociali in continua interazione fra loro e con gli ecosistemi circostanti da cui dipende la nostra vita. La “saggezza sistemica”, come la chiamò Bateson si fonda su un rispetto profondo per la sapienza della natura: i principi di organizzazione degli ecosistemi sono considerati superiori a quelli delle tecnologie umane fondate su invenzioni recenti, su progetti lineari a breve termine. La percezione di fondo è che la dinamica dell’auto- organizzazione negli ecosistemi è fondamentalmente la stessa che negli esseri umani e quindi è “intelligente”. L’intelligenza degli ecosistemi, in contrapposizione a molte istituzioni umane, si manifesta nella tendenza onnipresente a stabilire rapporti di cooperazione, che facilitano un’integrazione armonica di tutti i componenti a tutti i livelli di organizzazione. Il nostro pianeta inoltre, è oggi così

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densamente popolato, che tutti i sistemi sono profondamente intrecciati ed interdipendenti: i problemi più importanti di oggi sono problemi globali e per questo ci è richiesta una veduta diversa che superi i vecchi modelli e diventi planetaria. Ma, i problemi generali concernenti la sopravvivenza sulla Terra, l'autodeterminazione politica e l'identità culturale dei popoli, la lotta all'alienazione umana nelle sue varie forme, all'emarginazione nelle sacche di sottosviluppo, l'impegno per combattere l'anomia e il disorientamento, la violenza, il disagio esistenziale, non possono essere affrontati al di fuori di un'intenzionalità educativa, un'attività conoscitiva e progettuale che chiama in causa la pedagogia e quindi l'approccio anche pedagogico ai problemi deve farsi sistemico. Come ci ricorda E. Morin: - A un pensiero che isola e separa si dovrebbe sostituire

un pensiero che distingue e unisce. A un pensiero disgiuntivo e riduttivo occorrerebbe sostituire un pensiero complesso nel senso originario del termine complexus: cioè che è tessuto insieme… Un pensiero che collega e che affronta l'incertezza.-5

- Ma per costruire una "civiltà della Terra" dove ognuno sia riconosciuto sia come singolo, che come parte di una comunità, immersa in un intreccio globale di interdipendenze, il modello scientifico e tecnologico di sviluppo, fondato sulla razionalità strumentale e cartesiana, non solo mostra chiaramente la sua insufficienza, ma anzi corre in direzione antitetica. C'è un forte bisogno di immaginazione dunque, uno sforzo creativo da fare, in quanto la pedagogia è comunque e sempre progetto, per prefigurare nuovi modelli di convivenza solidale fondati sul principio di responsabilità e di universalità che possano accogliere le sfide del nostro tempo. 5 M. Callari Galli, F. Cambi, M.Ceruti (a cura di), Formare alla complessità, Roma, Carrocci , 2003, p.146.

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Piuttosto dobbiamo rivolgerci verso modelli olistici, non violenti, ecologici e dinamici e, per trovare radici in questa visione si può attingere alla tradizione non violenta della cultura occidentale che attraverso Socrate, S. Agostino, Comenio, J. Rousseau, J. Dewey, J. Piaget, M. Montessori, D. Dolci, ecc…, giunge fino a noi. La pedagogia canonica invece, quella tradizionale, quella trasmissiva, conformista, adattiva, spesso implicita e mascherata, è soprattutto adattamento strumentale degli individui e dei popoli ai modelli politici dominanti, socializzazione conformistica, ed anche induzione all'alienazione e al malessere; essa oggi più che mai produce vaste sacche di trasgressione, rifiuto ed emarginazione. Ora, sebbene il trasmettere conoscenze, perpetuarle, conservarle, diffonderle è stato ed è utile per la sopravvivenza non solo del soggetto, ma di tutta la comunità, la pedagogia non può certo identificarsi e consumarsi in questo compito metodologico di inglobamento e di controllo sociale, ma deve anche e più di tutto innovare, trasformare, valorizzare, emancipare secondo quella vocazione profetica che le è propria. - Ogni pedagogia è anche profezia, non come divinazione,

bensì come pro-vocazione e pro-iezione. Inoltre: come per il profeta anche per il pedagogista il futuro è la dimensione propria del tempo, anzi il passaggio dal presente al futuro, e ad un futuro prefigurato anche se mai garantito né nella forma né nella realizzazione. Senza questa dimensione di stimolo, di prefigurazione, di futuro la pedagogia perde ogni autonomia e viene a disperdersi nell'ethos, riducendosi a inculturazione teorizzata.-6

Oggi formare significa integrare il nuovo, il diverso, l'altro, secondo una dialettica radicale tra forma acquisita e problemi aperti attraverso il dialogo, che è il regolatore di tutte le tensioni e deviazioni della comunicazione, dialogo 6 F. Cambi (a cura di), La tensione profetica della pedagogia,, Bologna, CLUEB, 2000, p.21.

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fondato sulla parola e sul volto dell'altro, fondato su una razionalizzazione imperniata sulla ricerca di senso. E qui si colgono i contrasti, le antinomie su cui si fonda la nostra dialettica pedagogica, il paradosso paradigmatico di questa disciplina complessa e trasversale che si muove oscillante, ma ormai consapevole su un continuo gioco di sponde. Per connotare dunque questa pedagogia altra, critica allora e inevitabilmente complessa, dobbiamo utilizzare una logica nuova e diversa, una logica intesa in senso dialogico che, abbandonando la rassicurante casualità lineare della logica classica aristotelica, ci permetta di apprezzare tutte le potenzialità del paradosso che questa nuova prospettiva inevitabilmente ci comporta. E' attraverso la metafora del DIALOGO che meglio si esprime la dialettica che unisce e rende inseparabili nozioni contraddittorie e principi che si autoescludono, il pensiero del futuro, attraverso il dispositivo dialogico, deve dunque riuscire a tenere insieme i due antagonisti che oggi sempre tendono ad escludersi l'uno con l'altro: l' io - l'altro da me… Ed è il momento in cui le certezze vacillano, le verità si appannano ed emerge con tutta la sua forza archetipica la complessità labirintica del nostro essere nel mondo. Ecco perché il criterio interpretativo si fa prevalente in tutta la ricerca epistemologica contemporanea, ecco perché l'attenzione si sposta sulla "ricerca di senso" e sulla "comunicazione" come fondamentale dispositivo all'interno del quale si definisce il proprio indicatore di significatività, secondo la razionalità tipica dell'essere umano, immerso nella sua storia culturale e biologica. Parlando di comunicazione però dobbiamo in primis specificare che essa può avere, a livello di senso comune, due diverse accezioni, spesso infatti la si confonde con una trasmissione di dati, notizie, informazioni, mentre qui la si intende come il trasparente disporsi in relazione reciproca, il comune costruirsi, l'aprirsi l'un l'altro per creare comunione.

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- L'uso del termine comunicare per dire trasmettere è una delle furbesche forzature moderne da cui occorre liberarsi, disintossicarsi: una forma di criminalità virale- col segreto, con la falsità legalizzata- sostanziata nel moderno dallo Stato.-7

L'atto comunicativo, così come qui lo si intende, presuppone dunque l'empatia, quella disposizione emotiva ed etica che si apre all'altro, in quanto lo riconosce col cuore come parte di sé. Paracelso : - Il linguaggio non è della lingua, ma del cuore. La lingua è solo lo strumento con il quale parliamo. Chi è muto, è muto nel suo cuore, non già nella lingua… Quali le tue parole , tale il tuo cuore.-8 Ed è attraverso il cuore che, come J. Hillman ci suggerisce, il pensiero si fa immaginativo e, l'atto del meditare, il concepire, l'immaginare, il progettare, il desiderare ardentemente, il sognare e il fantasticare diventano forza vitale . In questo senso la pedagogia può contrastare il collasso dell'immaginazione collettiva che caratterizza la nostra società occidentale, in cui l'unico orizzonte cognitivo si identifica con il mercato e il modello della competizione si va pericolosamente sostituendo a quello della mediazione. Il paradigma neoliberista che si sta concretizzando pone le condizioni per lo sgretolamento del tessuto sociale imperniato sul concetto di welfare state, mentre viene esaltata la libertà del singolo individuo a scapito della dimensione collettiva e si esaltano la tecnologia e la scienza classica ponendo al centro gli interessi del mercato. Tutto questo viene supportato dall'inasprimento delle politiche giudiziarie, dall'aumento del controllo sociale e contemporaneamente dalla dissolvenza della solidarietà, della tolleranza, dell'attenzione verso i deboli e i marginali. Il senso di insicurezza e di inadeguatezza che tutto ciò produce e che caratterizza la cosiddetta post-modernità, 7 D. Dolci , Nessi fra esperienza etica e politica, op. cit., p.170. 8 J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore, Milano ,Adelphi, , 2002, p.41.

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insieme al disincanto, alla sfiducia, al senso di solitudine e di precarietà che l'abitante delle opulente società industrializzate percepisce, va oltretutto coniugato con l'incremento convulso delle nuove tecnologie, con la globalizzazione e con le massicce migrazioni in atto, con l'inasprirsi delle tensioni e degli integralismi a livello internazionale… La creatività, la progettualità e l'autonomia del soggetto rischiano di diventare preda passiva del consumismo, del qualunquismo e del conformismo. E' perciò urgente ricucire lo strappo tra mente e cuore, tra pensiero e sentimento, tra conoscenza ed amore, è fondamentale recuperare il giusto valore del cuore in una società come la nostra ricca e tecnologica dove, e non per caso, le malattie cardiache costituiscono la prima causa di decessi. - Se il cuore è il luogo delle immagini, allora l'infarto

cardiaco allude a un cuore infarcito (in-farctus = imbottito, stipato, ripieno, ingrassato) dei suoi prodotti, di immagini. Un cuore ostruito, intasato dalle sue stesse ricchezze sulfuree che non sono entrate in circolo, o perché bloccate da restringimenti delle vie, oppure perché sono state viste soltanto come azioni-nel mondo, e non anche come immagini dl cuore destinate alla sua interiore circolazione.-9

In questa ottica, la consapevolezza dell'eterna unicità dialettica e comunicativa insita nel processo vitale, mai pienamente e definitivamente realizzato, ci riporta al compito prioritario della pedagogia contemporanea: il raggiungere questa disposizione d'animo prima di tutto e soprattutto dentro noi stessi, come progetto regolativo e come spinta utopica ineludibile, per poter elaborare e proporre oggi un nuovo modo di intendere la società, la natura, la gestione della vita e delle risorse del pianeta. 9 J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore, op. cit. , p.56.

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1.2 CHI SONO GLI UMANI Nell’affrontare il problema COMUNICAZIONE dobbiamo partire dalla consapevolezza che il vivente è una unità che si AUTO-ORGANIZZA, cioè il vivente ha come peculiare caratteristica il fatto che “si fa da sé”. Il vivente è esso stesso che definisce e governa l’insieme dei rapporti tra le sue parti costitutive e le mantiene in un sistema di auto- regolamento. Quando il vivente si imbatte nei condizionamenti ambientali, è difendendo il suo processo endogeno di distinzione, che trova le risposte adattive di riorganizzazione e ristrutturazione trovando soluzioni adeguate ai problemi della sua conservazione e riproduzione: il vivente dunque è tale, in quanto produce e riproduce se stesso, modificandosi. I sistemi viventi sono sistemi cognitivi, e il vivere, come processo, è un processo di cognizione. In altre parole la cognizione è un saper interagire con il mondo nei modi in cui si è appreso di interagire, imperniata sia sul contesto che sulla autodeterminazione degli umani con tutte le loro potenziali interazioni. - Dal conoscere deriva il potere, il quale può trasformarsi

in accrescimento vitale, fermento, attivazione di processi sociali e politici, gioia, osservano Spinoza e i suoi amici. E cresci nella gioia quante più creature con te pervengono nel passaggio da una minore a una maggiore perfezione, e cioè ad un aumento della realtà: conoscere indice a quella letizia che Virgilio sente nel campo fertile (ager laetus), del campo mentre cresce.-10

Nell’evoluzione del processo di distinzione del vivente e dell’organizzazione del suo processo di auto-organizazione quindi, una parte di questo si viene via via specializzando nelle funzioni di DIALOGO con l’ambiente, dove la comunicazione si va a connotare nel senso di un mutuo orientamento, nella ricerca di dominii consensuali d 10 D. Dolci, Dal trasmettere al comunicare, Alessandria, EDIZIONI SONDA, 1998, p.42.

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interattivi che si articola in soluzioni organizzative, che ampliano in maniera enorme lo spettro delle possibilità esplorative dell’ambiente stesso adattando e regolando le forme e i modi per realizzare l’esplorazione, attraverso le funzioni del sistema nervoso. La configurazione del sistema nervoso, ci introduce direttamente alla “biologia della conoscenza”. I neuroni, attraverso un sistema di ramificazioni, determinano connessioni sinaptiche che si influenzano reciprocamente attraverso impulsi sia elettrici che chimici, innescando cambiamenti funzionali e strutturali continui delle cellule del sistema. Avanzando lungo la storia evolutiva del vivente, possiamo osservare come questa struttura neuronale sistemica, si articola e si organizza in maniera sempre più complessa, ma come tuttavia la base della conoscenza, la via maestra di ogni apprendimento, rimane sostanzialmente la stessa uguale per tutti i viventi: E’ IL CONTINUO SAPER DIALOGARE CON L’AMBIENTE, CON L’ALTRO DA SE’…E’ IL SAPER COSTRUIRE PONTI. Qui cade e si sfata il mito classico dell’immaterialità della conoscenza e della materialità del corpo. La conoscenza ha una sede neurobiologica e, d’altro canto, la materia di cui è fatto il corpo è costituita da impulsi elettrici continui e permanenti, flussi energetici dunque, regolati da reattivi chimici. Balza agli occhi il valore di categorie nuove che ci parlano di INTEGRAZIONE,CONNESSIONI,INTERFACCE,CONTAMINA=ZIONE e, il centinaio di miliardi di cellule nervose moltiplicate per le molteplici possibili sinapsi di ogni cellula, ci dà la misura del potenziale conoscitivo umano sul piano biologico… Così come afferma R. Laporta : -Il fare esperienza, l’apprendere risulta cioè giustificato dalle nostre origini biologiche. Senza imparare a vivere nessun vivente può sopravvivere e l'essere umano è soltanto quello che impiega più tempo e più fatica di ogni altro in un tale apprendimento.

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Quanto al rapporto educativo, la comunicazione in cui esso consiste è a sua volta ravvisabile nel primo darsi della vita, che non può esistere al di fuori di un costante comunicare del vivente con l'ambiente che lo nutre e gli invia messaggi, sia favorevoli che letali, che esso deve apprendere e decifrare a suo rischio. La comunicazione metabolica, fra un organismo ed un ambiente costituenti un sistema si estende a quella fra gli organismi del sistema, e si associa alla comunicazione neurale mediante la quale gli organismi più complessi addestrano alla vita i loro nati. Nella nostra specie assume un’importanza decisiva per la formazione lunga e difficile delle nostre competenze a sopravvivere la costituzione di un ambiente essenzialmente culturale che si sovrappone a quello biologico; un ambiente permeato cioè da una cultura che costituisce al tempo stesso la maggiore garanzia di sopravvivenza, ma anche la moltiplicazione di rischi proporzionale alla quantità e qualità di rapporti attraverso i quali l’individuo deve personalmente guadagnarsela.-11 E’ con l’affermarsi del sistema nervoso dell’homo sapiens, che questo potenziale conoscitivo comincia a spaziare dalle funzioni e dai saperi esclusivamente senso-motori a quelli emozionali per finire a quelli cognitivi quando nasce il sistema organizzativo della psiche umana che presiede alla definizione del proprio mondo individuale, così come a quello collettivo, che si esprime nell’organizzazione sociale e culturale. Se partiamo da questo assunto per cui: la percezione, l'emozione e il pensiero confluiscono nella psiche, ed essa definisce il mondo allora possiamo dire che è nella psiche che si trova il mondo e viceversa, ogni più piccola cosa esistente ha un significato psicologico. - La fisiologia coincide con l'anima; la fisiologia è sempre psicologica. I sistemi biologici sono campi psichici che chiedono di essere letti per trasmetterci la loro intelligenza.-12 11 F. Cambi (a cura di), La tensione profetica della pedagogia, op. cit., p.77. 12 J. Hillmann, La forza del carattere, Milano, Adelphi, 1999, p.108.

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Qui si intende dare priorità alla realtà psichica e a considerare tutti gli eventi alla luce del significato ed al valore che essi hanno dunque per l'integrità dell'individuo, perché in sostanza, la realtà dell'essere umano è la realtà dell'essere psichico. L’homo sapiens, non possedeva alle origini un’identità ben delimitata dall’eredità filogenetica come avveniva per tutte le altre specie viventi, ma è nato ed è cresciuto col bisogno di darsela lui stesso, utilizzando appunto quella parte di cervello umano abilitato ad elaborare non una, ma illimitate soluzioni conoscitive, essendo dotato cioè, di uno spazio di apprendimento senza confini… Con homo sapiens è esploso l'immaginario, la danza, il canto, il segno, il simbolo, il linguaggio… E poi la magia, il mito e la religione hanno narrato le trame della nostra specie dando consolazione e speranza alle soggettività in perenne ricerca di stabili certezze… Ma tutto questo marasma di creazione e di illusione, di errori e di conquiste, di intense e di instabili emozioni, incessanti e contraddittori tentativi di raggiungere infine il piacere, il godimento, l'estasi, è proprio ciò che ci contraddistingue come specie. - Il profumo di zagara ci invita a divenire creature pronube? Il rapporto d'amore ci è maieuta, suscita e inventa dentro noi un crescere imprevedibile. L'innamorarsi è prima condizione di ogni rinascita. Nell'estasi, "abolizione dell'alterità", il trasformarsi viene suscitato non dall'intelletto ma dalla "comprensione per congiunzione" (Plotino). -13 Emerge da questa breve sintesi il potenziale aperto degli umani non esclusivamente legato alla sua distinzione- riproduzione biologica, ma anche alla sua identità storica da realizzare in un’adeguata organizzazione sociale e culturale. Questo potenziale ha generato nei millenni organizzazioni sociali e culturali alimentate dai saperi collettivi via via elaborati e trasmessi, arrivando a generare le attuali 13 D. Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, op. cit., p. 344

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società e culture e così continuerà fino a quando l’homo sapiens, di cui tutti gli umani sono ancora diretti discendenti, continuerà a mantenere la sua identità continuando a garantirsi sufficienti condizioni di vita biologica, trasformandosi in armonia con gli altri e con l’ambiente. Risulta evidente allora come ogni distorsione della comunicazione, ogni repressione, divieto, alienazione, ogni perdita di contatto intimo con l'ambiente, con l'esterno a se stessi, con l'altro, come ogni separazione con la realtà esterna, sta creando così tanti problemi: la frammentazione, i linguaggi settoriali, l'iperspecializzazione, la depressione, l'inflazione, l'esaurimento, l'emarginazione, la diminuzione della biodiversità, tutta la violenza che la vecchia cultura ha prodotto suscitano un impellente bisogno di ricominciare a percepire con il cuore, cominciare ad aprirci all'immaginazione considerando il mondo come parte integrante di noi stessi. Bisogna dunque risvegliare ed educare il cuore coniugando la ricerca di senso con il sentimento estetico, con la capacità di ritrovare il sapore delle cose, l'eccitazione, il dolore, il piacere…il senso della bellezza del mondo come percezione sensoriale del creato. Ora, se consideriamo che attualmente gli abitanti umani del pianeta sono oltre sei miliardi, possiamo renderci conto dell’infinità varietà e differenza che si genera continuamente nei vari contesti di vita, sempre più intrecciati, velocizzati, interdipendenti, sorge spontanea la domanda: - Dove ci porterà quest’era globale dove tutti possono incontrarsi, venire a contatto con i diversi saperi, società e culture? Prevarrà la paura di perdersi e quindi la paura “dell’altro” e quindi aumenterà ancora la spinta al dominio “sull’altro” attraverso una tecnologia destinata al dominio ed al controllo, oppure queste possibilità comunicative offerteci, saranno generatrici finalmente di un’identità di specie, un sentirsi appartenenti tutti alla specie degli umani cittadini di un’unica Terra?- Questo dipenderà soprattutto dai processi comunicativi e formativi , che sapremo mettere in atto.

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1.3 FORMAZIONE PERCHE’ Nei sistemi biologici le cause sono sempre molteplici e possono essere descritte a molti livelli e con molti linguaggi diversi. I fenomeni sono sempre complessi ed intensamente interconnessi in un processo autopoietico specifico, come ben hanno illustrato Maturana e Varela, ma plastico. Ogni riduzionismo che tende ad ignorare il paradosso (vedi paradosso di Zenone: la freccia scoccata verso il bersaglio che in ogni istante di tempo deve essere sia in un punto che in transito verso un altro punto), è la trappola a cui dobbiamo sfuggire: la stabilità attraverso la dinamica, l’oscillazione tra due poli è ciò che permette ai sistemi complessi di auto organizzarsi e mantenere una forma mutando costantemente con il loro ambiente. Il concetto di ambiente stabile, influenzato e controllato dall’intervento umano e tecnologico è pura fantasticheria. Il processo di trasformazione a cui stiamo assistendo oggi, sembra essere molto più vistoso di quelli passati in quanto il ritmo del mutamento è molto più rapido di prima, più esteso e coinvolge simultaneamente l’intero globo terrestre, la crisi presente perciò, non è solo una crisi di individui, di governi o di istituzioni, ma la possiamo considerare una transizione di dimensioni planetarie, che va accolta riesaminando i principali presupposti e valori della nostra cultura tradizionale occidentale, andando ad incidere nella modifica proprio dei rapporti sociali e delle forma di organizzazione sociale ed implicando come campo privilegiato di intervento il campo della formazione. Se gli umani trasformano i loro modi di sentire e di pensare rielaborando le loro reti mentali fino alla vecchiaia, è questo processo di modificazione permanente che possiamo identificare con il termine AUTO-FORMAZIONE/ FORMAZIONE, il rimodellamento continuo che ci consente di affrontare situazioni diverse e cangianti, la capacità di riattribuire significati per recuperare un ordine nel pensiero e nelle proprie conoscenze.

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E’ sempre presente la ricerca comunque di un ordine plausibile, di un senso, di una narratologicità che rassicuri l’individuo dalla minaccia del nuovo, del diverso, del caos, dell’altro da sé rispetto alla propria identità personale e collettiva. G. M. Edelman osserva: - Ciò che definiamo mente ha la sua base materiale nello sterminato connettersi dei 10 miliardi di neuroni che formano il sistema nervoso centrale. La mente è un processo, un processo di inaudita complessità, risultato della interazione tra questi circuiti. Ed è unica, per ognuno di noi. I circuiti che ognuno di noi ospita nella sua scatola cranica sono il prodotto di storie individuali. (…) Se certamente è vero che il nostro sistema nervoso centrale è un'antenna sul mondo, uno strumento per elaborare le informazioni in entrata e che successivamente guida le nostre risposte, è anche però altro. Non è uno strumento passivo, uno specchio del mondo. La maggior parte dei tessuti cerebrali riceve e invia segnali, dialoga con le altre aree del cervello. In ogni momento la nostra mente reagisce principalmente con se stessa, seleziona, rafforza, cancella.14 Ogni conoscenza dunque, mai è indipendente dal suo contesto né dalla sua storia, ogni conoscenza si manifesta inoltre in molteplici modalità non ordinabili gerarchicamente e non legate a causalità lineari o meccaniche, l'evoluzione umana quindi, come l'evoluzione di ogni altra specie vivente risulta imprevedibile, ma SOPRATTUTTO INTERCONNESSA ALLE CIRCOSTANZE STORICHE ED AMBIENTALI IN MODO PLASTICO, DINAMICO , AUTOPOIETICO. Questa provvisorietà spinge gli umani in modo particolare a cercare di interpretare e cambiare il mondo attraverso convenzioni accettate alla comunità. E' attraverso queste convenzioni che gli scienziati hanno rappresentato, interpretato, utilizzato il mondo, esprimendo però solo verità parziali e partigiane. Occorre oggi la consapevolezza che ogni narrazione del mondo, così come ogni metodo, 14 D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p.140.

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linguaggio o credenza basata spesso sull'analogia o sulla somiglianza non è altro che METAFORA o espressione poetica, ma che purtroppo spesso ci viene spacciata come verità, viene confusa con la realtà dimenticando che per ogni fenomeno osservato, vi sono moltissime interpretazioni e descrizioni legittime: tutto dipende dagli scopi per i quali si fornisce la spiegazione. Questo confronto/ conflitto tra modelli in corso in tutte le discipline afferenti alle Scienze della Formazione, ci è imposto da quella condizione postmoderna che caratterizza il nostro tempo e in cui assistiamo simultaneamente ad arroccamenti integralisti, rapporti dialettici e reciproche connessioni apparentemente analogiche, in un doppio movimento che sfugge ogni prevedibilità. Già J.J. Rousseau aveva inquietato le certezze degli illuministi con la sua diffidenza verso il "progresso", che non teneva conto dei costi antropologici, e dopo di lui sempre più lo sviluppo delle tecniche investirà e farà da motore alla civiltà, fino ad arrivare col positivismo al primato della scienza sulla coscienza. E' nel primo novecento che questo predominio comincia ad incrinarsi, l'analisi di Nietzsche, impietosa ed imprescindibile aprirà interrogativi anche pedagogici, tutt'oggi pregnanti e ineludibili per la cultura occidentale, interrogativi che riguardano la cancellazione delle differenze, dell'alterità, del sentimento delle passioni e dei valori, in nome della razionalità metafisica. Il positivismo si convertirà in pragmatismo ed in analisi logica dei procedimenti scientifici, con la conseguente destabilizzante consapevolezza dei limiti della scienza , degli altissimi rischi che essa produce e della sua intellegibile complessità. Fondamentali a questo riguardo risultano gli studi della Scuola di Francoforte che ripropongono, attraverso una dialettica della conoscenza, il recupero di una ragione sostanziale che rimette al centro delle azioni umane la supremazia dei fini e dell'etica, invocando una necessaria resistenza per combattere il dominio della tecnica e della ragione strumentale.

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Il concetto di disincanto presentato da Weber, seppure riesce ben a descrivere ciò che accade all'uomo postmoderno, non ci aiuta nella ricerca di soluzioni e di cambiamento, non ci aiuta nella formulazione di nuovi e diversi orizzonti. E' invece nella pedagogia di resistenza delineata dai francofortesi che si ripristina il valore dell'utopia e della critica radicale all'esistente, incentrata su concetti di trasformazione e di cambiamento, contrapponendo il possibile al " già dato".. Habermas ricolloca IL DIALOGO al centro del dispositivo pedagogico del cambiamento, con l'argomentazione tra scelta dei mezzi e dei fini, aldilà dei dogmatismi, e questo non solo eticamente, ma anche epistemologicamente ancora ci supporta nella scelta del nostro paradigma, per Habermas il dialogo è il fondamento che unisce l'etica al pensiero democratico e ci consente di superare le contraddizioni, tenendo in vita una rielaborazione personale costantemente aperta. Anche Marcuse ci richiama ad un progetto critico dell'esistente, un progetto che coinvolge le strutture tecnologiche e le infrastrutture umane, oggi fondate sulla VIOLENZA E SUL DOMINIO, un progetto critico di uomo dove il primo passo è la presa di coscienza e la ricerca di nuova dimensione estetica. Gadamer con la sua ermeneutica ci regala un apporto essenziale: il concetto ermeneutico di verità, verità come interpretazione e non più come spiegazione, ciò sarà fondamentale per comprendere l'individuale attraverso un processo di contestualizzazione. Verità torna ad essere Aletheia platonica, disvelamento, pratica cognitiva di interpretazione, dove la conoscenza è un atto vitale e circolare, che si integra con gli altri processi di vita soggettivi e pone al centro l'autonomia dell'oggetto e il pluralismo delle possibili letture. Fondamentale in questo contesto è anche l'attenzione alla coscienza posto dalla corrente fenomenologica, corrente inaugurata da Husserl e poi sviluppatasi nell'antipsichiatria che ha rimesso il fuoco sul soggetto con le sue sofferenze e

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i suoi disagi ed ha evidenziato come l'istituzionalizzazione dei " non conformi ", sia funzionale al controllo ed alla repressione. Questi contributi ci hanno messo in guardia anche nei confronti di una psicologia molto potente e prigioniera della tecnica, che valorizza gli aspetti razionali interpretando la razionalità come efficienza e produttività e provoca una visione impoverita del soggetto derubato della sua più intima e complessa identità. In questa carrellata di punti di riferimento, non può mancare J. Dewey: il suo contributo alla costruzione/mantenimento della democrazia attraverso l'educazione, è ancora oggi essenziale, così come il richiamo alla responsabilità dei cosiddetti intellettuali e scienziati, chiamati a compiti di vigilanza e di risveglio dell'opinione pubblica. In questi autori troviamo la ricchezza di una verità che va oltre le scienze, che si ricongiunge all'arte ed alla poesia, in uno spazio aperto dove la scienza mantiene tutto il suo valore, ma non come unica lettura, bensì come una delle letture del mondo. E' proprio in questo confronto dialettico che la pedagogia diventa postmoderna e cioè si lega a: complessità, disseminazione, nomadismo, de-centramento, sfondamento in un sottile gioco di sponda fra le differenze …. Sono queste le consapevolezze di fondo che sia l'educatore che il formatore postmoderno deve avere, come base per pianificare i propri interventi, l’importanza fondamentale dei propri valori etici e di conseguenza delle proprie scelte all’interno di un processo di cambiamento di cui è urgente essere protagonisti, consapevoli dei propri principi e dei propri orizzonti. - Nella società contemporanea, in breve, siamo davanti ad un effetto crescita e a un effetto dispersione delle professionalità educative che reclamano sì la descrizione tassonomica ma, ancor più, una comprensione del senso di tali professionalità, delle intenzioni che le guidano e del tipo di coscienza che esse postulano.(…) Nelle professionalità

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educative c'è sempre un raccordo (diverso ma forte; presentato sotto diverse angolazioni, ma comune) con la formazione: la sua idea, un suo modello, la sua problematicità. Proprio questa prospettiva dà unità e forza alle professionalità educative e anche le irretisce in una logica in qualche modo comune. Tutte vertono su soggetti, tutte tendono a operare una trasformazione "miglioristica", che deve agire nel soggetto e secondo il soggetto, che lo promuovono ecc., nell'àmbito che esse assumono come proprio, il quale - però implica la formazione (come logica) e una formazione (come obiettivo intenzionale). Tale orizzonte non può, né deve, essere passato sotto silenzio.-15 E' quindi il privilegiare la dimensione del non- ancora, adatta ad un soggetto in perenne mutamento, in una condizione di continua formazione che, come un flusso ininterrotto ci dà comunque "una forma". E' il ricordare, come disse C. Marx, che la mente dell'uomo è plurale e onnilaterale, in fisiologico contrasto con il tentativo di omologazione conformista orientata alla passività della cultura odierna del pensiero unico. E' il ricordare che la cultura deve rendere consapevoli i soggetti dei propri bisogni, della propria dimensione ludica, estetica ed etica, così che le contraddizioni contemporanee vengano a galla. E' il tentativo di utilizzare proprio quegli aspetti critici, riflessivi e politici che normalmente trascuriamo ed accantoniamo. Si vuole evidenziare qui, un concetto di formazione che umanizza l’uomo, lo fa partecipe del mondo, costruisce il senso della comunità affidandogli il compito del DIALOGO, DEL CONFRONTO E DELLA COLLABORAZIONE. Si potrà trovare una soluzione modificando la struttura della rete stessa, attraverso una metamorfosi profonda delle nostre istituzioni, dei nostri valori, della nostra “ forma mentis”; 15 F. Cambi, La professionalità educativa: appunti per una definizione "en theorie", in : STUDIUM EDUCATIONIS, n°2, 1999, pp.330-331.

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- (…) nel Postmoderno - tutta l’esperienza viene a

collocarsi in una quota di precarietà, di trasformazione costante, di apertura verso il futuro. Il soggetto, la mente, la comunicazione, in questo contesto, sono in quanto costantemente si fanno, mutano statuti e forma, si costruiscono , si decostruiscono, si riprogettano. La formazione (continua) è la condizione stessa dell’abitare la postmodernità.-16

Formazione come processo costantemente in fieri, in progress, non chiuso, non determinato, che riguarda tutto l'arco della vita, ma non solo, esso continua oltre la morte attraverso gli altri, attraverso la vita che continua. Questo concetto di formazione implica un sé, implica un prender forma a partire dalla propria soggettività, un imprescindibile prendersi cura di sé per darsi forma e diventare corresponsabili del modello ipotizzato. Il soggetto si fa attore di un processo aperto, libero anche rispetto a qualsiasi educazione, un soggetto consapevole anche dei rischi di spaesamento che questa strada comporta. La pedagogia allora prende una strada discorsiva, fondata su un modello di IPERCOMPLESSITA' 17implicante il sapere critico, dialettico, incentrato sulla dicotomia individuo/ società che riflette sulle strutture della mente e sul ruolo della coscienza, che pone al centro l'interpretazione e il ruolo della tradizione nelle conoscenze, CHE SI FONDA SU ANTINOMIE STRUTTURALI ORMAI NON PIU' IGNORABILI. Risulta perciò indispensabile il lavorare sulla consapevolezza delle persone, di come i loro comportamenti, i loro atteggiamenti riflettano un sistema di valori non più adeguato ad affrontare il “mondo che cambia”, dove il principio di responsabilità sottolineato da Dewey è di importanza fondamentale per la formazione dell'uomo nell'era tecnologica. 16 F. Cambi, Prefazione, in : Frontiere della formazione postmoderna, a cura di G. Bandini e R. Certini, Roma, Armando Editore, 2003, pp.7-8. 17 Vedi: A. Granese, Pedagogia e formatività educativa, oggi, , in : STUDIUM EDUCATIONIS, op. cit., pp.311 - 328.

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La concezione dell’uomo dominatore della natura e della donna, la convinzione della superiorità della mente razionale, hanno trovato avvallo anche nella tradizione ebraico–cristiana, ma oggi è sempre più evidente che questa insistenza sul metodo scientifico, basato sul pensiero razionale, analitico, deduttivo, ha prodotto un generale atteggiamento anti-ecologico: il pensiero razionale è lineare, mentre la consapevolezza ecologica non lo è. Il problema contingente da affrontare è il superamento dell'atteggiamento diffuso, con il quale siamo abituati a spiegare le manifestazioni di conflitti o di incomprensioni con i motivi che gli antagonisti riconoscono coscientemente come origine della disputa, oppure con i "fatti oggettivi" che stanno alla base di questi motivi. M. Buber per esempio, ci fa notare come in realtà il separare dal tutto elementi e processi parziali, ostacola sempre la comprensione della totalità, e che solo la comprensione della totalità in quanto tale può comportare una trasformazione reale, una reale risoluzione, innanzitutto dell’individuo e poi del rapporto tra questo e i suoi simili dove ogni ricerca della verità non può passare che attraverso il dialogo. Osserva M. Buber: - Bisogna che l’uomo si renda conto innanzitutto lui stesso che le situazioni conflittuali che l’oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate.(…) Ma proprio questo modo di vedere- in base al quale l'essere umano si considera individuo di fronte al quale stanno altri individui, e non come una persona autentica la cui trasformazione contribuisce alla trasformazione del mondo- proprio qui risiede l’errore fondamentale contro il quale si erge l’insegnamento chassidico. Cominciare da se stessi: ecco l’unica cosa che conta.(…) Così insegnava Rabbi Bunam:- I nostri saggi dicono “ Cerca la pace nel tuo luogo”. Non si può cercare la pace in altro

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luogo che in se stessi finché qui non la si è trovata.(…) Quando l’uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.-18 Già Seneca aveva affermato:- Non è il cielo sotto cui vivi che deve cambiare, ma l’anima…- 1.4 UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE Nel corso degli ultimi cinquant’anni, in occidente sono sorti, e nel nuovo millennio sembra si stiano sempre più estendendo e connotando, variegati movimenti filosofici, spirituali e politici, che vanno decisamente oltre la classica visione occidentale e comunque si muovono tutti nella stessa direzione: essi esprimono i limiti di questo tipo di sviluppo e sostengono una nuova etica ecologica, evidenziando un bisogno significativo di modifica valoriale e paradigmatica. Queste nuove proposte cercano di concretizzarsi negli esperimenti in atto in tutti i SOCIAL FORUM sorti nel mondo in questi ultimi anni, che si sono confrontati per esempio, a Porto Alegre dal 31 gennaio al 5 febbraio 2002. A Porto Alegre c’è stato un grande evento, un vero evento:154 paesi rappresentati in qualche modo, magari da una sola persona , come nel caso dell’Africa o dell’Europa dell’est, la massiccia presenza dell’America Latina, grande protagonista dell’evento, oltre ad una miriade di organizzazioni (complessivamente 4099) di tutto il mondo.19 Erano presenti soprattutto dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina molte donne, testimoni di un inedito soggetto in movimento: le comunità locali rurali, e portatrici di bisogni elementari , veri, naturali , che hanno portata mondiale: l’acqua innanzitutto, uno dei problemi più

18 M. Buber, Il cammino dell'uomo, BI, Ed. Qiqajon, , 1990,pp. 44-46. 19 Dati tratti da : AA.VV., Porto Alegre 2 il mondo diverso, Roma, Editrice Arci Nuova Associazione, 2002.

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gravi e contingenti del globo terrestre, così come la salvaguardia della biodiversità. Questo carattere frammentato e molto di base della rappresentanza di Porto Alegre, ci dà il segno che il clima culturale del mondo è già cambiato, il pensiero unico si è ormai spezzato e non poteva che cominciare così “l’altro mondo possibile”, con una capillare e variegata nuova esperienza fondata sul dialogo e sul possibile. Il documento finale dei movimenti esalta proprio la diversità e allo stesso tempo l'unità come caratteristiche primarie dell'assemblea: - Siamo diversi, donne e uomini, giovani e adulti, contadini e contadine, pescatori e pescatrici, abitanti della città, lavoratori, lavoratrici, disoccupate e disoccupati, studenti , professionisti, migranti, popoli indigeni, persone di tutte le credenze, colori ed orientamenti sessuali. La diversità è la nostra forza e la sua espressione è la base della nostra unità. -20 Qui è stata sperimentata una ricerca comune, orientata da idee condivise fra le quali la prima discriminante risulta essere la lotta contro la guerra, contro la distruzione degli esseri umani, contro la distruzione del pianeta. Questo è stato l’ultimo laboratorio dove sono nate e si sono sviluppate idee che riguardano il destino di tutti, che ci interrogano sulla povertà, sulle disuguaglianze, sull’ambiente, sull’economia, sul commercio mondiale, che leggono il globale e lo declinano dalla parte dei diritti, della giustizia sociale per tutti, registrando il fallimento della politica neoliberista. A Porto Alegre il protagonista è stata la società civile organizzata di tutto il mondo, i movimenti sociali del sud come “ VIA CAMPESINA” e “SEM TERRA”, e le ASSOCIAZIONI e le ONG del nord di tutto il mondo, che meglio interpretano la responsabilità globale di offrire una via di uscita per tutti alla domanda di cambiamento. E' la consapevolezza di un orizzonte comune ancora tutto da esplorare , è la consapevolezza di essere coinvolti in una 20 AA.VV. ,Porto Alegre 2 il mondo diverso, op. cit., p.38.

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ricerca interattiva e partecipativa dalle dimensioni planetarie, che rende così viva e vitale questa esperienza e che si va a prefigurare come una indicazione metodologica preziosissima a livello pedagogico, che non possiamo ignorare. E' la possibilità di liberare domande ed intraprendere ricerche alternative il suggerimento pregnante che i Social Forum ci regalano: liberare domande che ci consentano di rompere con il fatalismo e la rassegnazione generati dal pensiero unico, per esplorare nuove frontiere .Ai militanti di Porto Alegre il segretario dell’ONU Kofi Annan ha inviato un messaggio: - La ricerca di vie alternative all’attuale sistema è talmente urgente che nessuno può permettersi il lusso di atteggiamenti di solo scontro, è per questo che vi chiedo di collaborare sia con i governi che con il settore privato nel far fronte alle gravi emergenze del pianeta.-21 Oggi la porta del dialogo e del confronto pare più aperta di prima e Porto Alegre diventa il simbolo della cittadinanza planetaria, la capitale di un progetto globale dalla parte del rispetto dei diritti e della dignità umana. Che cosa ha spinto a Porto Alegre, da tutte le parti del mondo, persone così diverse che si pongono però le stesse domande e tentano di elaborare insieme proposte che parlino a tutti? 1.5 LE SCIENZE CI DANNO UNA MANO Una risposta ci può venire dalla teoria dei sistemi, che guarda al mondo in funzione dell’interrelazione e dell’interdipendenza di tutti i fenomeni: organismi viventi, società ed ecosistemi, sono altrettanti sistemi connessi fra loro. - Come scrisse Niels Bohr, " le particelle materiali isolate sono astrazioni, poiché le loro proprietà sono definibili ed 21 AA.VV. ,Porto Alegre 2 il mondo diverso, op. cit., p.33.

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osservabili solo mediante la loro interazione con altri sistemi".22 In questa prospettiva, tutte le entità, dalle molecole agli esseri umani, ai sistemi sociali, al cosmo, possono essere considerate come totalità nel senso di essere strutture integrate, parti di totalità maggiori a maggiore complessità. L’universo non è più visto come una macchina composta da oggetti separati ma ci appare oggi come un tutto indivisibile, una rete di rapporti dinamici, comprendente anche l’osservatore umano, maschio o femmina, e la sua coscienza. Il fatto che la fisica moderna, la manifestazione cioè di una specializzazione estrema della mente razionale, stia oggi prendendo contatto col misticismo, che è l’essenza della religione e la manifestazione di una specializzazione estrema della mente intuitiva, evidenzia molto bene l’unità e la complementarietà dei modi razionali ed intuitivi della coscienza. Già nel 1890 W. James, esponente principale della corrente psicologica del funzionalismo, aveva scritto:- La nostra coscienza normale allo stato di veglia o coscienza razionale come la chiamiamo, altro non è che un tipo speciale di coscienza, mentre tutto intorno ad essa , separate da uno schermo più sottile, ci sono forme potenziali di coscienza del tutto diverse. Noi non possiamo vivere tutta la vita senza neppure sospettarne l’esistenza, ma basta applicare lo stimolo richiesto e al minimo tocco esse sono presenti in tutta la loro completezza…Nessuna spiegazione dell’universo nella sua totalità può essere completa se trascura queste altre forma di coscienza. In che modo considerarle è il problema… In ogni modo esse ci impediscono di chiudere prematuramente i conti con la realtà.23 Purtroppo però la cultura ufficiale dominante si è disinteressata ben presto della coscienza e per tutto il secolo successivo in occidente ha imperato sia nel campo della psicologia, che della psichiatria, che nel campo 22 F. Capra, Il punto di svolta, Milano, Feltrinelli, 1982,p.69. 23 F. Capra, Il punto di svolta, op. cit., pp. 142-143.

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dell’educazione e dell’apprendimento l’approccio comportamentistico; è stata l’epoca della psicologia senza coscienza, una psicologia che non riflette altro che l’interesse della nostra cultura per una tecnologia manipolativa, destinata al dominio ed al controllo. Ma oggi, la fisica contemporanea può fornirci lo sfondo scientifico dei mutamenti, degli atteggiamenti e dei valori di cui il nostro mondo ha così urgente bisogno. La fisica moderna cioè, può dimostrare alle altre scienze, che il pensiero scientifico non deve essere necessariamente riduzionistico e meccanicistico, e che anche concezioni olistiche ed ecologiche sono scientificamente corrette. I fisici del XX secolo, hanno capito innanzitutto che, i concetti e le teorie che noi usiamo per descrivere la natura sono limitati, W. Heisenberg ha detto: “Ogni parola o concetto, per chiari che possono sembrare, hanno soltanto un campo limitato di applicabilità”.24 Le teorie scientifiche non descriveranno mai in maniera esatta ed esaustiva la realtà e si può concludere affermando che gli scienziati si occupano inevitabilmente di descrizioni limitate ed approssimative di aspetti del mondo. Questa deflagrante consapevolezza, avvenne all’inizio del novecento quando anche i fisici estesero i loro studi all’ambito dei fenomeni atomici e subatomici, in quel campo tutti i loro concetti di base sulla realtà non erano più adeguati! Essi dovettero dolorosamente rimettere in discussione il loro sistema di riferimento concettuale, partorendo però nuove intuizioni sulla natura della materia e della mente umana, più olistiche ed ecologiche, culminate nella teoria della relatività e nella teoria quantistica.25 Questa esplorazione del mondo atomico e subatomico portò gli scienziati in contatto con realtà strane ed inattese che frantumarono le basi della tradizionale visione del mondo. Ogni volta che essi ponevano una domanda alla natura in un esperimento atomico, la natura rispondeva con un paradosso. Quei fisici dovettero comunque accettare il fatto

24 F. Capra, Il punto di svolta, op. cit., p.43. 25 Vedi : M. Della Chiara e Toraldo di Francia, Introduzione alla filosofia della scienza, To, Il Capitello, 1999, pp.133-145.

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che i paradossi in cui si imbattevano, erano un aspetto essenziale della fisica atomica e che essi si presentavano ogni qualvolta si cercava di descrivere quel tipo di fenomeni nei termini di concetti classici. L’investigazione sperimentale degli atomi, fornì risultati sensazionali: essi non erano particelle solide, bensì ampie regioni di spazio al cui interno unità subatomiche, orbitavano attorno al nucleo. Queste unità subatomiche, sono anch’esse in realtà molto astratte, a seconda di come le osserviamo, ci appaiono a volte come particelle, a volte come onde, e questa proprietà duale è propria anche della luce, le particelle luminose furono chiamate da Einstein per la prima volta “quanti” e di qui l’origine dell’espressione “teoria quantistica”. La situazione sembra paradossale finche non ci si rende conto che i termini “particella” ed “onda” si riferiscono ad un paradigma non adatto alla descrizione dei fenomeni atomici, un elettrone infatti può cambiare “natura” trasformandosi continuamente connettendosi col suo ambiente e ciò che più fa specie, le proprietà che esso manifesta, dipendono dalla situazione sperimentale, cioè dalla apparecchiatura con cui esso è costretto ad interagire. Dunque questo processo di osservazione ha permesso di dimostrare che le particelle materiali isolate sono astrazioni poiché le loro proprietà sono definibili solo mediante la loro interazione con altri sistemi. Le cose quindi non sono cose, ma interconnessione fra le cose e così via… Ecco in che modo la fisica quantistica ci rivela la fondamentale unità dell'universo. Un’altra certezza dobbiamo alla fisica quantistica, e cioè che tutto ciò che è cosmo è in perenne movimento: le particelle subatomiche possono essere intese solamente in un contesto dinamico, in termini di movimento, interazione, trasformazione…Secondo la teoria quantistica, la materia è sempre in moto, non si ferma mai. A livello macroscopico, gli oggetti materiali attorno a noi possono sembrare passivi e inerti, ma quanto più da vicino li guardiamo, tanto più vivi essi ci appaiono, in una varietà di strutture molecolari che

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vibrano in accordo con le vibrazioni termiche del loro ambiente e, la conseguenza più importante della teoria della relatività è appunto che la massa non è altro che una forma di energia… In contrasto con la concezione meccanicista, cartesiana del mondo, la nuova visione che si prospetta dalla fisica quantistica, si può appunto definire organica, olistica ed ecologica, multidisciplinare e dinamica, ovvero una visione sistemica di un unico processo cosmico. Ma questo è innegabilmente simile alla visione del mondo delle tradizioni mistiche ed è straordinario come un numero crescente di scienziati, stiano rendendosi conto che il pensiero mistico fornisce uno sfondo coerente e rilevante alle teorie della scienza contemporanea, una concezione del mondo in cui le scoperte scientifiche siano in perfetta armonia con fini spirituali e credenze religiose. Nel 1931 James Jeans aveva scritto:- Oggi c’è una grande misura di accordo (…) sulla tesi che la corrente della conoscenza sta puntando verso una realtà non-meccanica; l’universo comincia a sembrare più simile ad un grande pensiero che non a una grande macchina”.-26 Le evidenti somiglianze fra la struttura della materia e la struttura della mente sanciscono l’assunto che la coscienza umana svolge un ruolo determinante nel processo di osservazione, così come nella fisica atomica determina in grande misura le proprietà dei fenomeni osservati.27 La mia decisione cosciente di come osservare, per esempio un elettrone, determinerà in qualche misura le proprietà di quell’elettrone stesso, l’elettrone non ha proprietà oggettive indipendenti dalla mia mente.28 NOI PERCIO’ NON POSSIAMO MAI PARLARE DELLA NATURA O DEGLI ALTRI, SENZA PARLARE AL CONTEMPO DI NOI STESSI. La fisica moderna allora, non solo ha invalidato l’idea classica di una descrizione obiettiva della natura, ma ha

26 F. Capra, Il punto di svolta, op. cit., p.74. 27 Vedi :A. Peruzzi, Definizione, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pp.132-136. 28 Vedi : M. Della Chiara e Toraldo di Francia, Introduzione alla filosofia della scienza, op. cit.p.136.

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anche contestato il mito di una scienza libera da valori e scelte etiche. I modelli che gli scienziati osservano in natura sono connessi con la forma delle loro menti, così come i loro risultati scientifici saranno condizionati dai loro schemi mentali: gli scienziati sono perciò responsabili non solo intellettualmente ma anche moralmente delle loro ricerche. Il fatto che tutte le proprietà delle particelle siano determinate da principi strettamente connessi ai metodi di osservazione, porta come conseguenza che il mondo materiale è determinato dal modo in cui noi lo osserviamo e perciò esso non è altro che un riflesso della struttura della nostra mente.Possiamo concordare a questo punto che, l’esistenza consapevole si svolge a livello dell’organismo totale, caratterizzato da un senso di identità implicante la consapevolezza del sistema mente-corpo come totalità comunicativa integrata, auto-organizzantesi. Gli organismi viventi tendono comunque alla stabilità, ma questa stabilità è altamente dinamica e caratterizzata da fluttuazioni continue, multiple e indipendenti. Per essere sano dunque un tale sistema deve essere flessibile, deve avere un gran numero di scelte nella comunicazione con l’ambiente. Il necessario equilibrio è dunque un modello comunicativo flessibile, in fluttuazione, è insomma un equilibrio dinamico. Quanto più è comunicativo e dinamico lo stato dell’organismo, tanto maggiore è la sua flessibilità, ed essa è essenziale perché il sistema abbia la capacità di adattarsi ai mutamenti ambientali. Ogni individuo deve quindi preservare la sua autonomia individuale, ma al tempo stesso deve essere in grado di integrarsi continuamente con gli altri sistemi comunicando. Essere sani significa dunque essere in sincronia con se stessi e col mondo. Lo studio di questo tipo di autoconsapevolezza, l’esplorazione di tutte le sue potenzialità, ed il raggiungimento di uno stato mentale in cui i problemi esistenziali individuali siano percepiti nel loro contesto cosmico sono, a mio parere, il fine ultimo delle Scienze della Formazione.

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1.6 PER UNA PEDAGOGIA COMUNICATIVA "LA PRIMA ESPERIENZA DELLA PERSONA E' L'ESPERIENZA DELLA SECONDA PERSONA:IL TU E QUINDI IL NOI VIENE PRIMA DELL'IO... L'IO SI FA NEL TU”.- M.BUBER - Nel mondo antico vi era stretta reciprocità tra hostis ed hospes. Queste due figure s'intrecciano di continuo e a livello sociale, riproducono le dinamiche dell'anima individuale che, sempre ospita uno straniero inquietante, in quanto sempre è estranea a se stessa ma, quando l'alter diventa alienus , si interrompe per l'uomo l'esperienza fondamentale della comunicazione intersoggettiva e l'uomo rischia di diventare estraneo e nemico anche a se stesso.(…) L'essere con altri costituisce il fondamento, l'attributo dell'esistenza umana, “Io sono responsabile nel momento in cui incontro l'altro e qui si fonda la struttura essenziale e primaria della soggettività”.-29 E' nella continuità che si instaurano dunque le reti relazionali e sociali, che formano un sistema sinergico e dinamico composto di individui che non sono ATOMI SOCIALI, bensì espressione di campi relazionali. Ecco emergere l'importanza fondamentale dello sviluppo delle capacità relazionali e comunicative di tutti i membri della comunità sociale. La comunicazione infatti è l'esperienza fondamentale dell’essere vivente, è “ l'altro” che ci permette di essere e di svilupparci: la persona non esiste se non in quanto diretta verso gli altri, non si conosce che attraverso gli altri, si ritrova soltanto negli altri.

29 P. Milani, La Comunità, in : STUDIUM EDUCATIONIS, op. cit., p.303.

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- Lo sguardo dell'altro è sconvolgente: scuote le mie sicurezze, le mie abitudini, il mio torpore egocentrico e, pur nemico, è il più sicuro rivelatore di me stesso.-30

- Nella pedagogia oggi, ciò che risulta veramente importante, è dunque dirigere l’attenzione sui vari modelli di comunicazione con l’intento di intensificare la consapevolezza. Sempre più all’individuo spetta il compito di reinventare i propri saperi, le proprie competenze e persino la propria professionalità e sempre più la formazione deve fornire agli individui le chiavi per apprendere ad apprendere in una dimensione sociale, comunicativa ed etica. Ancora una volta emerge qui l’importanza di dare attenzione alla soggettività, al ruolo degli individui con i loro corpi, convinzioni, pregiudizi, ossessioni, con le loro identità politiche, etniche e culturali, le loro religioni, le vicende grandi e piccole delle loro esistenze. Le idee nascono, si sviluppano, si trasformano, muoiono e rinascono in una storia fatta di individui, gruppi, collettività, di relazioni e tensioni che coinvolgono il DENTRO degli individui stessi in un processo continuo. Non si tratta più di semplificare, abbreviare, condensare i singoli linguaggi disciplinari, quanto tradurli, interpretarli, farli partecipi di altri linguaggi e di condividerli, con la consapevolezza che , nello scarto fra essi, qualcosa si perde e contemporaneamente qualcosa si acquisisce e ciò può essere punto di partenza per un dialogo continuo e perennemente inconcluso. Dobbiamo mobilitare le nostre capacità cognitive ed emotive per percepire questa inevitabile incompletezza come un valore antico e positivo, che fa parte della nostra natura biologica e storica. Quanto perderemo in completezza e razionalità, lo guadagneremo in intensità ed unicità. In questo contesto la disponibilità al dialogo, non viene intesa come un dare all'altro qualcosa, ma piuttosto un 30 P. Milani, La Comunità, in : STUDIUM EDUCATIONIS, op. cit., p.307.

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aiutarlo a scoprire la propria individualità in una positiva reciprocità educativa, ciò si collega all'antico detto socratico: " realizza te stesso realizzando l'altro".. Il problema è come giungere a un progetto globale , condiviso, negoziato fra i diversi attori sociali, comprensivo degli obiettivi di ogni soggetto, in cui le diverse influenze siano armonizzate in un programma comune, concertato a tutti i livelli della comunità, come in un programma di cooperazione educativa, in un patto educativo negoziato dall'insieme dei diversi partner, ossia dai politici dell'educazione, cui spetta il compito di governo, e dai tecnici dell'educazione, cui spetta il compito di gestione. Fondamentali risultano le pratiche comunitarie della intersoggettività e della mediazione, dell'informazione, del coinvolgimento, della partecipazione e della concertazione in cui ogni soggetto tiene conto dell'intenzionalità e delle finalità altrui e non solo delle proprie. Nel paradigma soggetto-partner è attivata la coscienza riflessiva dell'altro, la sua capacità di trovare soluzioni adeguate ai propri problemi, la sua possibilità di cambiamento ed emancipazione all'interno della comunità sociale: egli è attore ed autore del suo cambiamento, ma allo stesso tempo la comunità, e non il soggetto singolo è al centro dell'intervento: è il paradigma dello scambio che presuppone ascolto e reciprocità. L’esercizio del dialogo, del confronto, dell’ascolto autentico , della relazione reciproca che produce la capacità di condurre gruppi, di valorizzare le risorse, di costruire e realizzare progetti formativi integrati nel territorio con il metodo della mediazione e della negoziazione. Tutto questo si esprime nella capacità d'intraprendere percorsi di ricerca azione partecipativa, di valutare secondo l'ottica della qualità basata su una intenzionalità responsabile e solidale aperta al futuro ed al lontano accogliente la differenza. E’ la possibilità per il soggetto di protendersi al di là della sua “attualità” verso la possibilità e il suo “ altrove” dove l'identità si realizza nella pluralità e la comunità diventa lo

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spazio per la conservazione della distanza, dell’accettazione e dell’incontro. E' in questa cornice che si erge la figura di Danilo Dolci, poliedrico interprete di urgenti istanze pedagogiche. Danilo Dolci incarna, con la sua vita e con le sue opere, un insegnare/apprendere sovversivo, emancipativo e fondato sulla nonviolenza. Egli annota: - Fra i punti certi della nuova scienza dell'evoluzione, due essenziali emergono:

il codice genetico di ogni creatura si esprime in una sola lingua, in miliardi di anni: è universale;

l'apparire di un più complesso grado di intercreaturale organizzarsi può produrre inauditi, illimitati livelli creativi: pure semplici. Moltissimo dipende dal sapere scoprire i propri interessi, bisogni comuni. Dal modo di scoprirli.

Ogni foglia, direbbe Goethe, e ogni albero (" le foglie si trasformano anche in petali") è la variazione di un tema. Possiamo aggiungere: ogni creatura.-31 Il paradigma formativo con lui si fa post-umanistico, post-borghese e post-moderno, disilluso della razionalità e del progresso, e fondato sulla comunicazione e sul dialogo come principi fondanti e regolatori di senso. La sua proposta reclama il progetto, la responsabilità, il consenso-accordo per una vita in cui, tra soggetto-cultura e mondo-società, corra un rapporto integrato e funzionale nel quale all'individuo venga consegnato un ruolo generativo. Danilo Dolci, attraverso la metafora socratica dell' "arte della maieutica", ci delinea una pedagogia comunicativa, che scardina il paradigma tradizionalistico ed istituzionale e si va a prefigurare come un paradigma della speranza nello sfondo di un orizzonte connotato dal disincanto. 31 D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p.279.

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CAPITOLO SECONDO DANILO DOLCI E LA COMUNICAZIONE MAIEUTICA

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2.1 SOCRATE PADRE DELLA MAIEUTICA - Socrate è reo, si dà da fare in cose che non gli spettano: investigando quel che c’è sotto terra e quello che in cielo ; tentando di far apparire migliore la ragione peggiore, e questo medesimo insegnando altrui.- 32 Secondo un aneddoto riportato da Platone e da Diogene Laerzio, fu l’Oracolo di Delfi, interrogato dall’amico Cherofonte ad avviare Socrate verso la Filosofia .Il responso dell’Oracolo secondo il quale “degli uomini tutti Socrate è il più sapiente”, segnò l’intera esistenza di Socrate e determinò la sua ricerca filosofica. Le parole dell’Oracolo erano un enigma e Socrate decise di scioglierlo. Non credendosi affatto sapiente, e tuttavia sapendo che l’Oracolo del DIO non poteva né mentire, né indagare, egli provò dapprima ad interrogare coloro che giudicava i più sapienti tra tutti i cittadini: i politici, i poeti, gli artigiani, ma non pervenne a nulla di soddisfacente. Egli concluse perciò che quella che è ritenuta, dal senso comune, la Cultura Ufficiale è in realtà una Falsa Cultura. Fu invece interrogando se stesso che riuscì ad interpretare l’Oracolo: quello che il Dio intendeva dire era che la sapienza umana vale in realtà poco o nulla. Nessun uomo è infatti sapiente, il più sapiente tra tutti è dunque proprio colui, che come Socrate, “sa di non sapere”. Per Socrate la sapienza umana è la ricerca di un fondamento per la vita morale che coincide poi con la natura stessa dell'uomo, perciò l'uomo è la sua anima, la sua coscienza, la sua consapevolezza . Interpretando l’Oracolo, egli si dedicò, per il resto della sua vita, alla missione di rendere consapevoli gli uomini della loro ignoranza, di modo che imparassero a conoscersi e ad avere cura della propria anima, secondo la prescrizione dell’antico motto delfico :“conosci te stesso” .

32 Platone, Apologia di Socrate,19 b -c, trad. di Manara Valgimigli, in :Platone, Opere complete, Roma-Bari , Laterza, 1988, vol. I.

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“… Mi parve che bisognasse rifugiarsi nei logoi , e conoscere in essi la realtà delle cose … Io mi misi dunque per questa via…” Ed ecco che per Socrate, la cura dell'anima diventa la massima virtù e siccome l'anima è conoscenza, la virtù sarà un suo potenziamento, ossia “scienza”. Se la virtù è scienza, allora chi pecca lo fa per ignoranza e dunque ognuno è in teoria educabile alla virtù, la libertà si identifica con l'AUTODOMINIO ed ha valenza spirituale. Nei rapporti fra gli uomini allora non è la violenza che vince ma il convincere: è qui la radice socratica occidentale della non violenza. Il suo eroe è colui che sa vincere i nemici interiori che si annidano nell'anima. Per Socrate dunque l'uomo è la sua anima, in quanto è la sua anima che lo distingue dagli altri esseri viventi, è la presenza del pensiero autoriflessivo ed etico, è l'io consapevole, la coscienza e la personalità interiore e morale. Curare se stessi è allora il primo compito da insegnare all'uomo per farsi carico della propria anima. Socrate nelle frequenti conversazioni pubbliche, discuteva vivacemente intorno alle questioni più importanti concernenti la morale e la conoscenza. Si serviva spesso di esempi, ricorreva alla forma del racconto e soprattutto, poneva in modo insistente dubbi e domande. La filosofia di Socrate si fonda dunque sul linguaggio e sul ragionamento i quali non sono però (come invece per i Sofisti) strumento retorico di persuasione, ma il mezzo attraverso il quale l’uomo può pervenire alla soluzione: una verità condivisa da tutti e quindi universale. L’uomo tuttavia, non perviene alla verità spontaneamente, ma ci arriva attraverso un faticoso processo di educazione, per mezzo di un esercizio tecnico chiamato Dialettica cioè “ l’arte del discorso”. Anche il saper vivere ed agire bene all’interno della Polis, non sono per Socrate disposizioni spontanee, ma il risultato di un processo formativo, fondato sul dialogo e sulla discussione…

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Già il metodo dell’indagine socratica è dunque costituito dal dialogo (dia-logos) e la struttura della sua dialettica si costruisce attraverso i due momenti quello critico/negativo dell’ironia (da eiron: colui che interroga fingendo di non sapere) e quello costruttivo/ positivo della maieutica. L’ironia svolge la critica e la distruzione delle opinioni e dei pregiudizi attraverso la confutazione del presunto sapere dell’interlocutore ; la maieutica invita il dialogante ad avere una consapevolezza della verità che egli porta in sé senza saperlo. Il metodo dialettico tende a spogliare l'anima dall'illusione del sapere e così a curarla per renderla idonea ad accogliere la nuova verità . Il dialogare con Socrate è cioè un “esame dell'anima” un “esame morale” un “ dover rendere conto della propria vita” che risulta essere il fine specifico del metodo . Ed è precisamente in questo “dover render conto…” che Socrate intravede la vera ragione della sua condanna a morte. Del messaggio di Socrate è debitore l’intero occidente. E’ Platone ad attribuire a Socrate l’invenzione della maieutica attraverso una similitudine molta nota: come sua madre, la levatrice Fenarete, aveva praticato l’arte di far partorire i corpi, così il figlio possiede l’arte di far “partorire” le anime, cioè di far nascere nell’animo di chi dialoga con lui la consapevolezza di sé.La verità non può essere data dall’esterno, ma viene ad identificarsi con la ricerca stessa scaturendo dalla coscienza. Discutendo le ipotesi via via introdotte, indotto dall’analisi di numerose situazioni particolari, Socrate guida il dialogante verso una definizione della questione che non è più opinabile, ma su cui è possibile un accordo razionale ed una comune comprensione la cui validità è “qui ed ora” universale ,cioè condivisa. In questo senso possiamo ritenerlo un padre, non solo della maieutica in senso educativo- formativo, ma anche dell’arte della ricerca azione partecipativa, che si fonda sulla

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relazione tra i soggetti ed ha per fine un contesto mutualmente condiviso. Egli infatti percepisce e si muove, dalla difficoltà INCOMPARABILMENTE ATTUALE, di definire un assunto, un significato stabile e condiviso attraverso un procedimento induttivo . Si tratta di un tipo d’induzione che, sul piano linguistico, consente il costituirsi di un discorso che può superare le opinioni personalistiche ed i pregiudizi ed attraverso il quale, gli uomini possono costituire un terreno comune di DIALOGO , Ancora oggi la nostra storia di donne e uomini è caratterizzata dal paradosso da cui si mosse Socrate: l’essere perennemente protesi verso condizioni di stabilità definitiva, percorsi pianificati, giustificazioni ed interpretazioni collettivamente riconosciute come certezze, ed al tempo stesso il sentirsi comunque instabili ed incompiuti di fronte all’ineluttabilità che il tempo sancisce senza appello. Gli umani lottano continuamente per conservare quella stabilità ed i suoi connessi, perché su di essi abbiamo costruito l’identità individuale e l’appartenenza collettiva. Ogni volta però il cambiamento riprende il sopravvento, il nuovo avanza e a sua volta si parte alla ricerca dell’assetto stabile e definitivo da assicurare a se stessi. Gli esiti del nuovo dipenderanno però non poco dalla gestione della transizione attraverso cui il “Vecchio” e il “Nuovo” verranno comunque a patti. Danilo Dolci è colui che si nutrirà della metafora socratica: la maieutica, rielaborandola creativamente; possiamo infatti definire Danilo Dolci come l'educatore della domanda, l'educatore che innesta tutta la sua azione formativa sul chiedere, sull'esplorare, sull'interrogare, sull'andare oltre l'apparente, cercando di scoprire il "non-noto", ciò che è velato dalle tradizioni, dalle consuetudini, dagli stereotipi. In questo sta il profondo richiamo a Socrate ed alla sua maieutica, intesa come arte del "tirar fuori" del porre l'educatore ed i soggetti in formazione nella condizione di

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allargare la propria sfera di apprendimento, a partire dalla capacità di utilizzare in maniera costruttiva le domande. E non per arrivare a definire la verità, quanto per " trovare accordi" 33, per crescere insieme attraverso il dialogo, momento non violento di presa di coscienza, maturazione , rielaborazione, aggiustamento continuo di sonorità, spazio ricorsivo e mai finito di confronto, contaminazione e meditazione. Il dialogo inteso dolcianamente, non coinvolge solo la sfera razionale, bensì è un aprirsi anche alle attese, alle speranze, ai sogni, alle delusioni. L'uomo interroga se stesso ascoltando gli altri e confrontandosi con loro mediante il dialogo con il gruppo, in questo modo l'eredità socratica diventa dolciana: - Quando fiorisce una creatura può cambiare e il mondo ci emerge profondamente nuovo - - La visione del mondo a poco a poco: coi fiori con tutte le creature…bellezza -34 2.2 DANILO DOLCI : PEDAGOGISTA PER VOCAZIONE Danilo Dolci è oggi una delle voci che caratterizzano la cultura mondiale, le sue opere nel 1984, erano già tradotte in quindici lingue. Il successo della sua produzione sta nell'aver innervato la crisi sociale ed antropologica prodotta dai modelli attuali di sviluppo, di una feconda speranza di cambiamento possibile. - Se le raffiche della burrasca crescono

devi inventare l'angolo, ogni tratto, a cui la furia sommerge infonda forza avanzante-

33 R. Fornaca, Riflessioni su un poema educativo, in :D. Dolci, Palpitare di nessi, Roma , Armando, 1985, p.263. 34 D. Dolci, Copia degli ultimi appunti, da: Rosa Grillo, www.Documenti\dolci1htm,pg6.

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col timone arrischiare di sapere come tagliare il mare. - 35

Nella seconda metà del novecento in un'area degradata della Sicilia occidentale connotata da una cultura fondata sulla logica del dominio clientelare - mafioso di antiche origini, oggi sempre più supportata e potenziata dallo sviluppo tecnologico, egli inventa un'esperienza controcorrente, che si fonda prioritariamente sulla componente axiologica e tende a dar vita ad un modello dove lo sviluppo individuale e collettivo, si basa sull'umanizzazione e la democratizzazione. Per far questo egli progetta e progetta non su, ma con le persone, ripristinando un circolo tra base e vertice, tra l'uno e i molti, tra l'individuo e la collettività e, nel momento in cui si mette a progettare idee sul cambiamento umano, ecco che il poeta, il sociologo e l'architetto che in lui erano già, si fondono per un'azione educativa, forgiandolo pedagogista di vocazione. - Vedi candide nuvole dissolversi adagio e ampie ricomporsi attorno un paese tondo: vario verdeggia da scintillii di neve a trasparente lucere d'acque-scorrono indugiando a imbeversi di sole e di notturno cielo quartieri organici comunicanti per aree snodi di erte rocce dune cespugliose lineate pianure e molli seni di ramose colline un'isola arruffata di scirocco- a una costa s'infrangono le schiume, dall'altra levigato il mare trepida ogni creatura respira- 35 D. Dolci, Creatura di creature, Venezia, Corbo e Fiore Editori, 1983, p. 67.

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pur bruniti i fanciulli biondi, forse apprendono svernare dagli uccelli: la pelle della gente splende simile da ove sbocciare indugia a ove l'hevea tiepida disgorga- voci odi, non rumore: imparano scoprire toccando udendo guardando sapendo, si educano al rapporto tra creature: la città terrestre è il cantiere di ognuno più intima la zagara di mandarino nella sera umida Crateri vetrigni espandono cancrene Sterili calanchi, barbagli di deserti: un altro globo scorgi tra fuligginose foschie esercitati a divorare terra superstiti ravvisi: tentano selezionarsi al colore della pelle piagata, dividere battezzati da eretici- in reciproco risucchio frugnolano rifugio sotto insegne NOI SIAMO GIUSTI SANI DOTTORI esangui nel rigettare gli altri Tra recinti spinati sotto i cartelli MALATI IGNORANTI

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VECCHI PUTTANE LADRI.36 Inserirsi in un'area deteriorata sia dal punto di vista economico, che culturale e sociale , tentare di trasformare gli abitanti in individui che si riappropriano del loro potere, che analizzano la loro cultura di base, che riprendono in mano il filo del loro sviluppo, imparano a progettarlo ed a gestirlo in modo autonomo è l'esperienza viva che riporta Danilo Dolci in quell'ambito della pedagogia emancipativa che già da Socrate ci è stella polare. Danilo Dolci nasce come poeta (dal greco poietes: "che fa", creatore), vive come operatore sociale, e muore come educatore (dal latino educo: allevare, alimentare, nutrire curare, ma anche: trarre fuori, far uscire, condurre, trarre alla luce, generare, sbocciare), facendo di queste tre peculiarità un tutt'uno, ma dedicandosi negli ultimi venti anni della sua vita soprattutto alla formazione, avendone intuito l'importanza fondamentale per gli assetti planetari futuri. Danilo Dolci è dunque prima di tutto, un poeta con la coscienza del mondo: - Ma essenziale è poetare ogni rapporto dalla sua intima profondità: la più abissale poesia non si fa con le creature, di creature? E' vero, riuscire è necessario quanto arduo: l'immagine non è la creatura, il colloquio, non è solo parlare, non germogliano solo le parole. Non si crea poesia 36 D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., pp. 152-153.

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svegliando a poetare le creature?-37 Questo suo modo di essere poeta coniuga perfettamente l'apprendere e l'insegnare continuo, è il suo ritmo vitale, se ne sente il palpito in ogni suo verso, Danilo Dolci è poeta/educatore in quanto in continuo dialogo con il creato. PREMESSA a " Palpitare di nessi" : - Che sono queste pagine? Perché e per chi le ho scritte?

Anch'io mi interrogo. - La prima parte è un dialogo. Lei e lui, cercando scoprire il

reciproco adattamento creativo, provano tramutare bisticci e familiare guerra in nuova creatività. Ognuno in sé può riconoscerli, coi loro bambini, nel proprio sogno più che nella sua pelle. Muovendosi dalle intime esperienze, questo dialogo (anche per essere letto e discusso in piccoli gruppi) cerca di aprirsi a rivisitare vaste angosce e incogniti luoghi comuni: per lo scandaglio e la riproposta di ognuno.

- La seconda parte (confesso è quasi un testamento) cerca i nessi tra educare, creatività e sviluppo; guarda nel disperato vuoto prodotto dal mancare della creatività; verifica la nuova forza che può crescere da un rapporto reciprocamente maieutico. Provando, osservando, meditando, sbagliando e risbagliando, mentre ormai la mia vita sta compiendosi mi pare intuire come un mondo nuovo potrebbe crescere diverso.-38

Egli ci insegna attraverso il dialogo, attraverso l'azione, attraverso la poesia, attraverso le sue parole , ma soprattutto attraverso le parole degli altri… a riconoscerci. - Se l'occhio non si esercita, non vede Pelle che non tocca, non sa Se il sangue non immagina, si spegne. 37 D. Dolci, La morte di Empedocle, da: Pennisi , introduzione, www.danilodolci.toscana.it ,p.2. 38 D. Dolci, Palpitare di nessi, op. cit., p. 7.

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Pure provato da fatiche e lotte, meravigliato dei capelli bianchi di persistere vivo, la tua voce pudore ha di poetare: a irreprimibile esigenza, terra acqua creature orizzonte, ti sono adolescenti parole.-39 Proprio sull'insegnare ad attivare questo dialogo, si fonda la sua scuola ricca di poesia, ma anche di un messaggio pedagogico potente e sovversivo, che va a sollecitare quell'eros forse un po' scomodo (vedi anche: Socrate, Marcuse e Hillman),quanto necessario, perché il desiderio e l'immaginazione si accendino. - Non trovi eguali pini né ranuncoli, due petali- o canti o accordi. Un'alba non ritorna O un tramonto, una stella - né un'ora, un attimo. Due occhi non s'eguagliano: due rondini ti sono eguali se non sei rondine.-40

39 D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p. 15. 40 D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p. 16.

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In questo senso egli è pedagogista per vocazione, nel senso che gli è inevitabile, è endemico al suo essere nel mondo, è il vivere in quel costante palpito tra l'apprendere e l'insegnare, è la costante riflessione, è la ricerca continua di confronto, è tutta la sua vita e non solo le sue opere che fanno di Danilo Dolci una preziosa, luminosa figura nello sfondo crepuscolare della pedagogia italiana di fine millennio. - Oltre le sue diverse impronte, non è la poesia l'estremo-

e pur misterioso- sviluppo creativo? Condizione per esistere? Trafitto dal richiamo non sai più quanto è tuo. E in luce antica denudi: niente è tuo, eppure tutto è tuo.

La scuola usualmente privilegia il timido, conformista raffinato. E controlla l'attenzione. Necessita a ognuno la poesia? E, immaginando, il concepire insieme? Non necessita ad ognuno e all'intero sistema della vita? La creatività tende a valorizzare ogni intima spinta verso un corale (civile, vitale) compiersi: l'interesse risucchia nell'esprimersi il sommuoversi di energie che altrimenti rischiano di sperdersi (frustrando) e esplodere.-41 Quest'uomo vissuto fra i confini di diverse discipline e culture, tra conoscenza e prassi, ci racconta la realtà non come dato ma come possibilità. Egli ha scritto che la poesia è più vera della storia, per dirci che sono la creatività, l'immaginazione e l'utopia che danno sostanza all'agire attraverso la ricerca incessante del non ancora, sostenendo anche che l'intuito profetico richiede un preludio poetico profondo. La complessità che egli ci impone è il concetto essenziale, il filo rosso che segna la via: com-plexus che vuol dire intrecciare, tessere insieme, che implica il passaggio dalla competizione alla cooperazione, dalla logica della leadership alla prospettiva della partnership, secondo cui tutti 41 D. Dolci, Palpitare di nessi, , op. cit. ,p. 138.

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collaborano alla realizzazione ed al miglioramento dei più profondi interessi di ciascuno e di tutto il sistema di cui fanno parte. Se questo è il concetto guida, l'etica del futuro ne è il contenitore, all'interno del quale si dispiegano le professionalità pedagogiche afferenti alle scienze della formazione: qui c'è un forte richiamo alla responsabilità ed alla partecipazione attiva come discriminante, come prerequisito dell'essere "formatori". Il messaggio di Danilo Dolci è chiaro: la nuova etica deve farsi biocentrica, dove l'io esiste perché esiste l'altro, in quanto inter-esse, in contrapposizione all'interesse come guadagno, valore economico, accrescimento del proprio capitale. - Per secoli si è analizzato spezzettando. Smembrare

mutila, deprime, ammattisce: e dai frammenti estraniati scaturisce poi protesta, rifiuto, ribellione.

- Saper leggere nell'apparente caso, scoprire interazioni anche lontane, saper elaborare i risultati dell'osservatore, intuitivo operare che riscontra comportamenti e dottrine consolidate, saper scorgere i nessi tra il particolare e l'insieme. Nel processo creativo avvengono intimi circuiti tra diversi fattori: bisogna identificarli, interesse, un certo clima di innamoramento, intimità con la natura dell'ambiente, conoscenza di strumenti e tecniche, sensibilità nell'esplorare, gusto dell'avventura e dell'iniziativa, speranza e fiducia, saper coraggiosamente porsi problemi e interrogativi, saper organizzarsi a osservare, saper scoprire esprimendo, perseverare intensamente disciplinati nella ricerca, saper intuire possibili dissociazioni e associazioni, elaborare nessi astraendo, saper scegliere le alternative più valide, autonomia capace di cooperare, liberare potenziali energie,

- saper produrre innovando, collegare e orientare forze potenzialmente operanti a conseguire lo stesso scopo, e ancora altro. Autentico significa originale, e signore di sé.

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L'immaginare creativo opera oltre sé. Profeta, esprime nuova realtà: smette di inchinarsi riverente a chi distrugge distruggendosi, smette d'inchinarsi riverente alla miope smania del principe, cerca nel governare corresponsabili prospettive.-42 E' una spinta profetica a prefigurare un migliore futuro per l'umanità, che sta alla base del progetto dolciano. E' un anelito profetico intessuto di sogno, poesia ed utopia, che proprio per questo toccandoci il cuore, ci apre la mente a nuove e vividissime immagini: - non fiorisce cristallo da cristallo la terrestre città; per capillari vene non dissuga da rami di rami- né isterilisce arcipelaghi di mandorle serrate: fluire e rifluire in linfe e voli- un centro è nella terra Nella parola trasparente scorrono curvi fiumi di stelle- Profeti hanno annunciato e moltitudini non hanno inteso: ogni poro, vagina; ogni esprimere, seme la città nuova inizia dove un bambino impara a costruire provando rimpastare sabbia e sogni inarrivabili… 43 42 D. Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, Bari, Piero Lacaita Editore, 1993, pg. 148. 43 D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p. 159.

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2.3 NONVIOLENZA-DOMINO-EDUCAZIONE: CONNESSIONI PROBLEMATICHE DI PROCESSI COMUNICATIVI Nonviolenza e comunicazione sono, nell'opera di Danilo Dolci due termini interdipendenti in quanto il secondo sottintende ed è il presupposto del primo. In tutta la vita di Danilo Dolci emerge l’importanza della nonviolenza nella sua azione diretta, cioè nella lotta verso le ingiustizie della società attuale, e viene sottolineato il progetto costruttivo, cioè la ricerca di soluzioni a queste ingiustizie con progetti costruiti con la gente che subisce le ingiustizie stesse. Progetti che però trascendono dai particolari interessi di questi gruppi emarginati e che possono servire all’intera collettività (un esempio tipico in questo senso: la diga sul fiume Jato). Ritroviamo in Danilo Dolci la scelta cosciente dei metodi non violenti: l'accettazione del sacrificio di sé (digiuno, sciopero alla rovescia), la rivendicazione al diritto alla ricerca costante per andare al fondo dei problemi, l'allargamento della partecipazione a progetti costruttivi e il definitivo passaggio verso strumenti di lotta che servono per promuovere, valorizzare, creare con la gente. Danilo Dolci ha cercato di dar vita ad una struttura creativa nuova, per dare la possibilità agli individui di trasformarsi e di promuovere una cultura diversa, progettuale e cooperativa, ponendo al centro dell'interesse, non solo le istanze storiche ed ambientali dei soggetti , ma anche quelle endogene, insite nel soggetto umano, che Danilo Dolci considera soffocate e represse dai vigenti modelli culturali intrisi di dominio. Il dominio è come un virus, che ci distrugge lentamente : - Una frode sottile ma vasta degenera il mondo, acuta,

sistematica, mentre il rapporto esclusivamente unidirezionale nel tempo tende a passivizzare l'altro, gli altri e a divenire violento: l'inoculazione, la trasmissione

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propagandistica vengono più e più camuffate da comunicazione.-44

- - La brama di potere, la smania di prepotenza, inebria

avvampando chi è meno chiaro, chi ha più paura della vita e della morte (avvampa quanto più ci sentiamo inferiori, all'oscuro, e più paurosi): è una malattia del rapporto, una risposta sbagliata alla deficienza di partecipazione creativa.45

Nelle società industrializzate infatti viene esercitato, con il concorso di una tecnologia sempre più sofisticata, un dominio pervasivo, collegato ad un'imperante violenza, che si manifesta nelle forma più disparate, non solo fisiche , ma anche morali ed intellettuali. Il dominio è per Danilo Dolci, nella forma clientelare-mafiosa, l'espressione patologica del potere, che sempre ed inevitabilmente si intreccia con la violenza. Il dominio in questo senso è ciò che mutila, rende impotente l'uomo, incapace di progettare e di cooperare: azioni imprescindibili alla vita autentica. - Fiumi sprecati, aride montagne erose a ogni piovasco allagano, case senza respiro, le scuole sono camuffate galere, dalle fontane quattro pisciatelle tra qualche frasca nel giardino pubblico la domenica- e restare inerti o vagare per venderci altrove. Impariamo a vedere attorno laghi nitidi, una nuova città, tra spiagge e boschi rilucenti: 44 D. Dolci, Variazioni sul tema Comunicare , Vibo Valentia, Ed. Qualecultura, , 1991,p. 21. 45 D. Dolci, Palpitare di nessi, op. cit., p.238.

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non abbiamo altra arma che svegliarci trasformando miliardi di minuti sprecati e lagne in forma organizzata- dal nostro angolo del mondo siamo immersi in una guerra integrale che ogni giorno rischiamo di perdere.-46 La prima forma di dominio è quella sulla natura, che consiste nell'inquinamento, nella riduzione della bio-diversità, nell'imperante "sviluppo insostenibile", nel rischio di un collasso della co-evoluzione dei viventi sul pianeta. Altre forme di dominio connotano il campo economico: dall'abuso dei beni di consumo, ai processi di disoccupazione, di aumento esponenziale della povertà, dal tradimento dei diritti umani, dalla progressiva concentrazione della ricchezza in poche mani, sia nel "nostro Occidente " che nel "Terzo e Quarto Mondo". Nel campo culturale assistiamo alla imperante tendenza alla occidentalizzazione del mondo con la conseguente distruzione delle diversità culturali, sulla base di un etnocentrismo rinforzato da un uso strumentale delle moderne tecnologie, soprattutto dei mass- media. Secondo il pensiero di Danilo Dolci, è proprio lo sviluppo dei poteri dell'individuo e del gruppo (i poteri creativi, l'iniziativa, i rapporti interpersonali, la crescita "dal profondo") che un potente mezzo come la televisione reprime ed atrofizza. Il dominio culturale perpetrato attraverso un uso strumentale dei mezzi di comunicazione di massa, atto a costruire il cosiddetto " consenso" , costituisce il principale problema per disinnescare il processo di controllo delle menti e del pensiero.

46 D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p. 29.

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Nel campo educativo poi, ogni volta che si pretende di trasferire delle verità già pronte, cioè di trasmettere un sapere prestabilito e definitivo nella mente di uno studente, senza educarlo alla formulazione di ipotesi, alla ricerca, alla critica, alla contestualizzazione di ogni apprendimento, si fa dell'altro un oggetto della violenza del dominio. Il dominio crea esseri omologati, tende all'uniformità, al consumismo, al "pensiero unico", è il diretto discendente del pensiero razionale positivista che ha imperato per decenni ed ancora, nell'universo scientifico e tecnologico degli umani. - Umano, dice l'uomo benevolo significando, mite compassionevole: e devasta foreste sino alle intime fibre avvelena fiumi azzurri mari stermina creature uniche, assassina per ornarsi della pelle altrui quando non scanna in furia, spinola i prigionieri fino al macello incenerisce chi astrae diversamente, incenerisce le iridi non uniformi l'aspersorio del Dio delle zecche benedice benedice benedice. -47 Così Danilo Dolci distingue il potere dal dominio. Il potere è qualcosa non solo di legittimo , ma anche di imprescindibile per l'uomo sociale, potere è infatti il sentirsi portatori di libertà, libertà di scelte consapevoli, possibilità di progettare e trasformare la realtà secondi i bisogni, 47 D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p. 118.

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possibilità di autoprogettarsi, è quella facoltà autopoietica costitutiva degli esseri viventi, che già abbiamo esposto nel primo capitolo. Sono le diversità e le energie autopoietiche presenti in tutto il sistema planetario che vengono implicate e promosse, a prescindere dalle quali, la democrazia resta un ordine puramente di facciata, come ampiamente accade oggigiorno. Danilo Dolci definisce la struttura consolidata dal dominio, autoritaria ed arbitraria, eticamente indegna. Egli spiega come facilmente il potere venga trasformato in dominio attraverso la violenza, e come ciò avvenga nelle case, nelle fabbriche , nelle scuole, nelle città come nelle campagne, nell'industria culturale e nel tempo libero, come il potere dominante porti malattia, inquinamento materiale e spirituale, conformismo e ingiustizia, sia freno allo sviluppo civile dei popoli e degli individui. Nella sua analisi egli parte dal piccolo territorio siciliano e attraverso indagini ed inchieste, che sottendono alla ricerca sociale più avanzata, coniuga la ricerca quantitativa a quella qualitativa ; egli farà di quel luogo- esperienza, un laboratorio sperimentale di un nuovo modo di fare pedagogia, portando a termine progetti altamente significativi, raccogliendo materiale prezioso e sviluppando una riflessione pedagogica, che andrà ben oltre i confini siciliani, fino a configurarsi in una sintesi che ci richiama ad una visione planetaria. In questa sua visione di un'alternativa non violenta e cooperativa, egli individua nell'educazione, attraverso una pedagogia dell'ascolto, la chiave di volta del cambiamento possibile: - nell'attendere pregno l'occhio dello sperare vede altro- tutto inventare pioggia sulle crepe aride nei deserti, avvalorare ostacoli e fuoco di vulcani

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da stretto fiato, sboccia il sogno del cielo aperto- e il respiro del sogno rinunciando talora a mescolarti esplori nel tuo abisso lampi d'intime immagini- quando scorci di altre creature variare tuo appaiono identifichi da infiniti sensi il seme di parabole future-48 Contro il riduzionismo pedagogico, contro la frammentazione, e l'assolutizzazione di aspetti di una realtà complessa, l'educazione concepita da Danilo Dolci è sempre ancorata ai problemi, essa non si limita all'ambito cognitivistico, di promozione dell'apprendimento , ma contempla anche un progetto etico- politico all'interno del quale, attraverso la metodologia si definisce il senso dell'apprendimento in atto. In questo senso anche l'istruzione non può essere più intesa come trasmissione pura e semplice della cultura tradizionale, ma deve anche mirare all'acquisizione del metodo critico della ricerca, alla rielaborazione, alla produzione culturale e all'innovazione. L'educazione per Danilo Dolci pervade e sostanzia tutta la vita degli uomini e della donne, perché diventa processo necessario per una soggettività nuova adeguata all'odierna, frenetica complessità, per un adattamento creativo e cooperativo. - Da un'attenta utopia non è forse concreto l'imparare a progettare? 48 D. Dolci, Creatura di creature, op. cit., p.129.

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Tra Creature incantate Imparare Maturare"49 L'educazione dolciana è restituire potere agli individui, è la capacità di scelta e di progettazione autonoma del tipo di sviluppo che il gruppo preferisce, è la capacità di leggere ed incrementare le risorse del territorio, è saper analizzare le contraddizioni presenti nei vari contesti, capire ciò che blocca l'iniziativa e l'associazionismo, fino a cambiare i comportamenti, fino a sottrarsi alla passività, ossia è favorire la realizzazione della democrazia utilizzando la creatività come forza trasformatrice, come impegno etico, come apertura a nuove ipotesi e a nuovi orizzonti, come ricchezza, potenzialità e fiducia nel futuro. Egli propone dunque una promozione umana che parte dall'interno degli individui, delle comunità, delle culture; operando dal 1952 nella Sicilia occidentale, in contatto con una popolazione provata dalla miseria e dagli abusi, ma che comunque egli stima profondamente, comincia chiedendo e chiedendosi come poter trasformare il contesto e risolvere i problemi che si vanno a prefigurare in conseguenza ai bisogni, cercando assieme alla gente le soluzioni. L'azione educatrice di Danilo Dolci si connota come promozione della coscienza dei propri diritti, come offerta di strumenti tecnico-scientifici per la realizzazione concreta di quanto progettato, di ricerca e di analisi degli ostacoli, anche culturali, che si oppongono alla realizzazione. Qui si ribalta i concetto di sviluppo collegato al dominio sulla natura e sull'uomo collegandolo invece agli individui, alle comunità alle culture, al Pianeta. Danilo Dolci propone, il costituirsi di "strutture creative" dove gruppi di persone, trovino soluzioni a problemi comuni in sincronia con la dimensione creativa degli individui e del 49 D. Dolci, Copia degli ultimi appunti, da: Rosa Grillo, www.Documenti\dolci1htm,pg6.

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gruppo stesso. Così l'educazione diventa "coscientizzazione", ma anche impegno personale attraverso una comunicazione vera, plurilaterale, maieutica e di gruppo fondata sulla creatività. L'aver posto la creatività, con tutte le sue connotazioni non solo civili , ma anche estetiche e scientifiche al centro della sua idea di educazione e quindi come caratteristica portante della sua idea di futuro ,di storia e di civiltà, gli conferisce un valore decisamente rivoluzionario ed al tempo stesso non violento. Così come abbiamo sottolineato all'inizio del paragrafo egli le colloca, in opposizione alle teorie deterministiche per la trasformazione del mondo. Per Danilo Dolci si può costruire una struttura sopra alle strutture esistenti, che ci può far agire sull'attuale dominio per modificarlo e per trasformare una massa disgregata e dipendente in un soggetto propositivo ed alternativo. In Danilo Dolci educazione e politica dunque, vengono inevitabilmente ad identificarsi in quanto i presupposti della democrazia non sono solo istituzionali ,ma soprattutto culturali. Per il mantenimento e lo sviluppo della democrazia è fondamentale una crescita collettiva "dal basso", una presa di coscienza delle persone sul proprio valore, delle proprie risorse e quindi delle potenzialità di generare nuove strutture. La democrazia cioè, può vivere solo in quanto ci si impegni a rimettere continuamente in discussione il potere, dando voce agli "ultimi" e ai "senza voce". E' l'educazione come pratica della libertà attraverso l'azione non violenta il contributo più pregnante del suo esempio, l'educazione come impegno a sviluppare un modo creativo di stare al mondo, rielaborando con gli altri significati e credenze e strategie di azione. Egli ha sfidato il modo di intendere l'educazione mettendo in evidenza la centralità del processo di comunicazione in cui ognuno diventa educatore- educando in ogni azione volta alla crescita. Danilo Dolci ha ripreso e gestito in questa nostra postmodernità, il paradosso già evidenziato da Socrate della ricerca di stabilità come impossibilità e processo

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continuamente in fieri ,movimento dialettico fra le differenze, il come combinare uguaglianza e libertà … Ricerca e azione sono state però per Danilo Dolci, non solo strumento e metodologia, ma un modo di esserci , con una costante attenzione ai linguaggi, ai segni, al mito, al desiderio, alle esperienze delle persone con le loro paure, le loro passioni, le loro verità. Il suo lavoro è costantemente volto a coniugare infatti il microcambiamento individuale, con il macrocambiamento sociale, mentre emerge la sua prospettiva radicale, che si focalizza nell'individuazione della comunicazione come fattore critico e strategico per la presa di coscienza e l'emancipazione. - C'è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo. Forse c'è chi si sente soddisfatto, così guidato. C'è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo. C'è pure chi si sente soddisfatto, essendo incoraggiato. C'è pure chi educa senza nascondere l'assurdo che è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo, cercando di essere franco all'altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono. Ciascuno cresce solo se sognato.-50 2.4 COME OBIETTIVI : CONSAPEVOLEZZA E VALORIZZAZIONE In un'epoca in cui le scienze (e vogliamo qui evitare la classica distinzione fra scienze della natura e scienze sociali ormai ampiamente obsoleta), scorgendo la complessità del reale e intuendo l'interdipendenza planetaria, si pongono dunque il problema di come riconcepire i rapporti fra gli uomini e con la natura, sorge quindi il problema di come 50 D. Dolci, in : G. Spagnoletti ( a cura di) ,Un modo diverso di esistere, www.ddesistere.splinder.com, p.9.

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riconcepire e ricostruire il paradigma educativo, all'interno del quale i rapporti costruttivi e/o distruttivi si generano. In condizioni naturali, la personalità umana, pur vivendo in condizioni di interscambio continuo con l'ambiente, manifesta da subito una soggettività auto- organizzatrice, con leggi proprie, che sono il risultato di miliardi di anni di evoluzione. L'organismo vivente esprime i suoi bisogni rivolgendo domande all'ambiente, scegliendo fra le opportunità che l'ambiente offre, elaborando materie ed energie che riesce a scambiare, assimilando, elaborando trasformando, è insomma in continua ricerca all'interno dell'ambiente medesimo; anche nell'organismo fisico dell'uomo accade tutto ciò, anche se moltissimo di tutto questo avviene con un'intenzionalità non consapevole. L'età dei perché, in poche parole, dura tutta la vita, essa fa parte del processo autopoietico e quando questo processo si interrompe o si deprime, significa che qualcosa di distruttivo ha agito per bloccare la sana e vitale tensione di ricerca. Quando l'ambiente è ostile e si tende ad atrofizzare questa spinta geneticamente codificata in natura, la crescita umana non può più dirsi tale e si assiste ad una devianza, ad una repressione delle potenzialità degli individui, ad una violenza sulla natura umana: ciò è quanto di prassi accade nelle nostre istituzioni, anche "cosiddette educative". - Nelle scuole la lezione o la lettura della carta stampata, ad ognuno e nei secoli, sovente sostituisce- e di fatto impedisce- la lettura del mondo, il decifrare la vita. Il leggere, quando non è un atto criticamente creativo, cristallizza lo studio.-51 I meccanismi tradizionalmente e istituzionalmente codificati infatti sono finalizzati all'assuefazione, all'adeguamento ad un ordine prestabilito, cominciando dalla famiglia e continuando nella scuola: ogni volta che mostriamo indifferenza alle domande dell'altro, ogni volta che 51 D. Dolci, Palpitare di nessi, op. cit., p.132.

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rendiamo gli altri estranei al progetto ed all'auto-progetto, ogni volta in cui ci mettiamo fuori dal percorso consapevole di ricerca. (vedi: studi sulla personalità autoritaria- Scuola di Francoforte) E' invece l'implementazione dei poteri naturali della persona umana come: il pensiero, l'immaginazione, la creatività e l'affettività, la comunicazione interpersonale, il conflitto nonviolento, l'uso dell'informazione critica per trasformare la realtà , che devono essere messi al centro del nuovo paradigma educativo con il prioritario scopo di consapevolizzare i soggetti. E' urgente disinquinare le menti da secoli di dominio e per salvaguardare e rilanciare l'idea di democrazia, oggi sempre più a rischio, in un mondo in cui la manipolazione delle verità attraverso i mass media, le nuove tecnologie e le cosiddette scienze della comunicazione, possono trasformare la formazione delle donne e degli uomini in una colossale ingegneria del consenso e del controllo. La situazione attuale, secondo la lettura di Danilo Dolci, è stata creata dal modo di pensare tipico del dominio e dalla violenza che lo accompagna. Secondo il modo di pensare tipicamente violento l'altro, sia esso un elemento naturale oppure sia esso una parte del mondo diversa dalla nostra, l'umanità più povera e derelitta, così come gli abitanti delle aree più degradate delle nostre città, i disoccupati, i deboli, i giovani, gli anziani, l'altro insomma viene concepito come staccato da noi ed ecco che così può diventare indifferentemente oggetto della nostra violenza, può essere sfruttato, colonizzato, asservito, emarginato, eliminato. Da questo modo di ragionare e di intendere l'altro, non comunicativo, né interdipendente, inconsapevole della profonda legge interattiva che lega ognuno di all'altro da noi ed alla natura come in una imprescindibile totalità, si generano i problemi attuali. - Altro che affettuoso sentimentalismo. Un rapporto

intonato, creativo, tendenzialmente onnidirezionale senza sfocarsi, non è essenziale alla crescita di ognuno e di un

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nuovo mondo? E non bastano certo le "didattiche razionali" e quelle pseudoscientifiche pedagogie unidirezionali che ignorano, o quasi, i più giovani come copromotori, coautori. Una scienza dell'educazione non può non studiare e valorizzare le dinamiche interne dei rapporti e non tener presente che, comunque, i processi creativi proprio per loro natura si nutrono pur di nessi viventi e associazioni: anche quanto viene assunto dall'esperienza di altri occhi, altre mani e altro immaginare in millenni e millenni, deve poter essere rielaborato intimamente e proiettato a concretarsi.

- Forse creatività è riuscire a tenere insieme quanto appare, o diviene , frammentato.-52

Il primo compito dell'educazione è dunque diventare consapevoli che la natura non è altro da noi, che il mondo è uno, che le sue parti sono interdipendenti, che le diversità sono connaturate all'esistenza e che dominio e violenza sono antitetici alla legge simbiotica ed interattiva dell'evoluzione. - Anche un vero medico , d'altronde, è un educatore. Anche un buon agricoltore, un buon operaio. Un vero psichiatra. O un cooperativista, un vero sindacalista, un vero politico. Chiunque aiuta la terra a crescere partorendo. Parafrasando liberamente Dewey, potremmo dire: ogni educarsi deriva dal cosciente partecipare- individuale, di gruppo, strutturale- al creativo sviluppo del mondo. Non è " nucleo dell'educare", nei più diversi contesti, cercare che l'individuo (il gruppo , la struttura) pervenga alla capacità di agire, e di reagire agli eventi, valorizzando ottimamente le potenzialità proprie dell'ambiente? Chi negli ultimi secoli solitario ha tentato tenere insieme la vita, sovente è stato combattuto- e talora nello sforzo immane si è dilacerato. Per superare l'attuale crisi dell'educare non urge maturare un concepire che ci riconosca creature locali e cosmopolite?

52 D. Dolci, Palpitare di nessi, op. cit., p.149.

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La parola ambiente- e così mente (pur se ne sappiamo ancora poco), non ci è ogni giorno più complessivamente viva? Alla fine del secolo scorso (e anche oggi in diverse regioni) la fame del boccone, delle cose, era la più sentita: forse l'oscura fame, ora, è di ampio educare creativo?-53 Per Danilo Dolci non ci sono altri modi, altre strategie per cambiare il sistema, che quelle della valorizzazione, attraverso la creatività e la non violenza, attraverso il dialogare maieutico, confidando soprattutto nelle potenzialità dell'essere umano, delle sue capacità relazionali e comunicative, della sua fondamentale vocazione poetica. - Quaranta anni fa ho cominciato a verificare come una

terra può malamente soffrire perché non si riconosce, non riconosce le proprie possibilità di autentica crescita, finche non identifica il proprio specifico " Spreco" e lo trasforma in occasioni pregne di valorizzazione.

- Negli ultimi decenni sto accorgendomi che il più nefasto spreco di energia ci risulta dal non sapere accogliere le intuizioni valide di ognuno, soprattutto di quelli che riescono a leggere nel mondo quale è, e come potrebbe essere. Questo è il più grave spreco, che impedisce una vita più sana al nostro cosmo, ad ogni creatura e al mondo intero: non sapere orientarsi a maturare.-54

2.5 COME METODO : LA COMUNICAZIONE MAIEUTICA Promuovere un progetto emancipativo di questa portata, ha significato per Danilo Dolci un'immersione profonda nelle discussioni, nelle riunioni, nelle inter-azioni fra individui, nella ricerca di com-prensione, nella negoziazione di significati, istanze, bisogni, speranze e progetti; la 53 D. Dolci, Palpitare di nessi, op. cit., p.240. 54 D. Dolci, La comunicazione di massa non esiste, Bari, Piero Lacaita Editore, 1995,pp 7-8.

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maieutica con lui diventa un modo di vivere, imparando a comunicare, cooperando e crescendo reciprocamente. - La struttura maieutica è invisibile crisalide, tornare a un

nuovo crescere nel guscio di un ambiente che respira :cellula creatura e insieme crescono nell'identificarsi .

La struttura maieutica difende l'esperienza genetica, riaprendola all'evolutivo esperire. L'esperienza non può affatto indicarci quanto solo può essere inventato.-55

La certezza che bisognasse "discutere insieme per costruire " traspare in tutte le sue opere, partendo dai bisogni, dalle domande e dalla ricerca, non solo individuale , per dare risposte ai bisogni stessi degli individui, in contrapposizione ad una trasmissione unidirezionale della cultura, delle informazioni, delle soluzioni, che trasforma in ripetitori passivi e spreca preziose risorse umane. La maieutica si fa metodo indispensabile per la ristrutturazione dei rapporti umani e per la riconquista da parte degli uomini della propria anima e dei propri logoi. Essa risponde ai bisogni profondi dell'uomo inteso come parte pulsante di un universo vivo ed interattivo . - Ma ognuno per comunicare deve essere creativo. Come

per essere creativo occorre sappia comunicare. Sapere interrogarsi e interrogare è essenziale per essere creativi?

- Una scuola che spegne le domande, non spegne le creature, criminale?

- A persone giovani, non eticamente robuste, l'impedimento alla crescita, l'offesa, il vilipendio, la manifestazione di disistima, può provocare danno. Si ferisce, si ammazza soltanto a coltellate? -56

55 D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, Firenze, La Nuova Italia, 1996, p.200. 56 D. Dolci, La comunicazione di massa non esiste, op. cit., p. 7.

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A fronte dello spreco di risorse perpetrato nelle vigenti istituzioni, Danilo Dolci inventa per noi ambienti idonei allo sviluppo delle potenzialità creative e cooperative dell'individuo, proponendo la creazione di strutture maieutiche , luoghi in cui l'apprendimento passa dalla problematizzazione, dalla ricerca, dall'immaginazione e dalla qualità della comunicazione con l'altro, luoghi in cui teoria e prassi non si separano mai. L'educazione dolciana, in rapporto ritmico fra teoria e prassi, avviene dunque all'interno di una struttura maieutica dove è implicita la relazione comunicativa. La parola struttura (da struere = costruire) implica inevitabilmente una consapevolezza: l'interdipendenza organica delle parti che la compongono, e cioè nel laboratorio dolciano, delle persone che sedute in cerchio, cercano di comunicare, esprimersi, progettare, cambiare; la struttura diventa maieutica in quanto è fondata sul non sapere e contemporaneamente su bisogno di sapere, ed è con l'altro che si perviene alla costruzione delle risposte, dove ognuno è maieuta con l'altro. La struttura maieutica si fonda sul dispositivo del dialogo e anche se la comunicazione va molto oltre il dialogo, esso ne è la sua rappresentazione narrativa. Nel dialogo troviamo: - l'essenza della domanda che è aprire possibilità e mantenerle aperte. Nella dialettica di domanda e risposta si mantiene l'alterità del vero, si compie un continuo andare oltre. Se si manifestano sempre nuovi punti di vista si danno sempre nuove risposte, anche se non si sa dove ciò ci conduce. (…) C'è un reale dialogo solo laddove esso conduca continuamente all'apertura di un possibile progresso. La risposta dell'altro può essere sorprendente (…). Si rivela l'essenza enigmatica della domanda. Il segreto della domanda è la meraviglia del pensare (…). Ricercare significa porre domande, che portano ancora a domande che non si erano previste. Non è facile porre

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domande. Il domandare aperto, fertile, è più difficile che il rispondere. -57 Ma in una struttura maieutica attraverso il dialogo, le parti non perdono la loro identità correlandosi in un tutto organico, così il tutto non perde la sua unità, sostanziandosi diversità. - Il problema è quello di restituire al molteplice il senso dell'organicità e del sistema vivente. E' una restituzione fondamentalmente etica, fondata non solo sull'accettazione, ma anche sulla valorizzazione del diverso. Essa reclama l'integrazione dell'altro nell'ego non come rapporto meccanico fra due unità precostituite che accidentalmente si incontrano, ma come interazione permanente e vivente fra due poli, quale legge simbiotica dell'esistenza.-58 Se mancano le condizioni però, il crescere rimane monco, insensato, solo attuando certe condizioni è possibile lo sviluppo e queste condizioni sono le connessioni comunicative, lo strutturarsi del necessario comunicare che ci è essenziale alla crescita ed alla vita: le condizioni sono decisive, e modificandole, modifichiamo anche noi stessi. Oggi secondo la lettura di Danilo Dolci, esistono moltissimi luoghi vicini e lontani, ricchi di possibilità, luoghi trascurati e dimenticati, anfratti di vite mai realizzate, dove può - lievitare immensa la potenza creatrice se lo strutturarsi sboccia al miracolo della poesia.(…) Il desiderio di comunicare è connesso all'amore per la vita.59 Ed esplicitamente Danilo Dolci si rivolge all'Università auspicando la costituzione di seminari che favoriscano il formarsi di maieuti nelle più varie discipline scientifiche ed

57 H. G. Gadamer, in: D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p. 234. 58 A. Mangano, in: D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p.157. 59 D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p.238.

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umanistiche, nell'ottica di una cultura della città- territorio, secondo la visione della scienza della complessità. Naturalmente tutto questo prevede la presenza di formatori maieuti, persone che vivano a contatto con i luoghi degli apprendimenti, che conoscano i contesti di vita degli studenti, ma che soprattutto siano rispettosi dei loro allievi e delle loro culture di provenienza, premessa indispensabile ad una società veramente democratica. E' essenziale dunque riuscire a costruire strutture maieutiche, laboratori comunicativi e creativi, inventando occasioni di comunicazioni autentiche dove, sentendosi accettati e riconosciuti gli individui possano sciogliere le proprie difese ed essere disponibili ad incontrare ed ascoltare l'altro per crescere. In questa accezione però, questo tipo di formazione richiama inevitabilmente e prioritariamente la cura di sé come concetto fondamentale della formazione: la struttura maieutica reciproca delineata da Danilo Dolci acquista così anche una funzione terapeutica, di cura dell'anima, di supporto narrativo alla ricerca di senso e di significatività, dove si concretizza la possibilità di ritessere il proprio sé e, attraverso gli occhi e le parole degli altri , riconoscersi. Così Danilo Dolci conclude il libro - La struttura maieutica e l'evolverci - ed è impossibile trovare parole più appropriate: - Sapere concretare l'utopia chiede, col denunciare, un

annunciare capace di lottare e costruire frontiere che valorizzino ognuno: l'educazione è rivoluzionaria se si matura valorizzatrice, dunque maieutica.

Riepilogando in breve. Leggere fiori e alberi è primario, voli di uccelli e api, creature, acque, rocce, infiorescenze, nessi, in maieutico rapporto col mondo. Nella Sicilia del '52 con la gente "bandita" si è svelato pur primario aiutare alla scoperta di interessi, necessità, problemi, trovando leve per la costruzione di sé e del proprio mondo, sempre nuovo: l'interesse di ognuno,

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individuato, si trasforma in potere collettivo, processo democratico, salute.-60 Da queste parole emana l'umiltà del maieuta, che tende sempre a valorizzare l'altro perché esprima tutta la sua ricchezza, la sua cultura, la sua facoltà di autoprogettazione. Progettare l'azione è infatti il momento propulsivo conseguente all'emergere dei bisogni, progettare significa essere disponibili al cambiamento, significa prevedere, significa confrontarsi con la realtà. Il progettare non è dunque solo il momento conclusivo del dialogo maieutico , bensì uno dei momenti ricorsivi e ciclici di questa metodologia sempre in fieri. Il progetto è l'idea che si coniuga con la realtà a contatto con l'ambiente e gli altri, è la verifica nella prassi, è la necessaria immanenza sposata alla imprescindibile trascendenza. I progetti calati dall'alto (vedi prospettiva top- down) che oggi caratterizzano le scelte e le politiche dei nostri governanti, ignorando le creature le distruggono, il progetto deve invece nascere "dal basso" comunicativamente, è questo che dobbiamo imparare a fare. 2.6 LA PLANETARIZZAZIONE DELLE METODOLOGIE MAIEUTICHE Danilo Dolci è riuscito ad attuare un'autoanalisi popolare che, attraverso la presa di coscienza dei bisogni e dei problemi della comunità, attraverso la cooperazione e la creatività dei singoli, ha risolto sofferenze ed ingiustizie. Nel suo progetto egli mira a risvegliare le coscienze ed a porre fine allo stato di degrado in cui vive la popolazione

60 D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p.283.

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non solo siciliana, ma di tutto il mondo. Per lui è essenziale che si creino ovunque strutture non violente di comunicazione maieutica per promuovere la crescita sana degli uomini e così del pianeta. - Seppur arduo, è semplicemente necessario progettare,

realizzare, ampliare e moltiplicare vallate di pacifico sviluppo, "parchi di pace", dall'India gandiana e dalla Sicilia Calabria, Sardegna su su per l'Appennino-italico fino alle Alpi, dalla Costa Rica e dai territori sovietici ove si cerca di esercitare la trasparenza della nuova politica nonviolenta fino all'altopiano del Tibet. E' essenziale per costruire la dimensione etica. Per ogni progetto.-61

La pretesa di universalità, di assoluto e di generalità delle scienze tradizionali si era già comunque infranta e le nuove prospettive scientifiche postmoderne si stanno proprio ricollocando nel qui e ora, nelle storie biografiche delle persone, nei luoghi delle esperienze e anche la sociologia di oggi, con l'attenzione alla ricerca qualitativa, attribuisce al locale il focus della conoscenza: le culture locali diventano il laboratorio delle attuali scienze umane antropologiche I micro-mondi locali sono oggi i luoghi e le condizioni vitali, necessari e possibili per una riconversione ecologica della formazione e della conoscenza. Nel locale è dunque veramente possibile organizzare attraverso strutture maieutiche il divenire, imparare nuove logiche per pensare ed agire, in riferimento alla biosfera, alla eco-sfera, secondo la legge del vivente, che integra e coopera allo sviluppo, contro la logica del dominio e della violenza. La teoria eco-sistemica sottostante e connessa ad una cultura di pace, rischia però di vanificarsi se la cultura, la conoscenza, la formazione, restano imbrigliati nelle dimensioni istituzionali intrise di ideologia del dominio, dove è prassi manipolare l'intelligenza ed il comportamento umano. 61 D. Dolci, Variazioni sul tema Comunicare ,op. cit. , p.73.

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La strategia agita dal dominio è infatti quella di inculcare, nelle menti degli uomini, attraverso un uso manipolatorio e tendenzioso dei linguaggi, messaggi finalizzati all'adattamento passivo ed all'alienazione. La distorsione linguistica, per esempio può inficiare e distruggere il rapporto comunicativo. - Se la parola manca, quando il nome manca, alla struttura

della verità manca un suo palpito: non vi è verità senza riconoscimento. La parola che aiuta il rapportarsi, il colloquio organico attraverso l'annunzio e la denuncia, aiuta a vivere. Dove questa parola manca, dove manca l'osare di riconoscere gli eventi, nel fessurarsi di un'esangue realtà si agguata la violenza implicita nello sconnettere, si agguata la rottura del vivere_62

I linguaggi utilizzati per addomesticare e manipolare le menti sono oggi nelle nostre società "avanzate", il primo strumento di dominio ed è per questo che urge la relazione maieutica interculturale, che recuperi la sincerità, la ricerca collettiva di significati e la presa di coscienza degli individui. Le modalità di ricerca e di sapere scientifico devono dunque appropriarsi di nuove categorie mentali, che connettano il locale con il globale, il centro con la periferia, intendendo il locale come luogo elettivo dove sviluppare una coscienza terrestre, una dimensione planetaria e cosmica. Dobbiamo costruirci, così come già A. Einstein aveva auspicato, una dimensione circolare e reticolare , che sia disposta ad abbandonare i vecchi schemi fondati sulla triade scienza- tecnica- sviluppo. Non la tecnica va rifiutata, ma il "tecnicismo", l'uso aggressivo di essa sull'uomo e sulla natura. - L'idea di sviluppo è stata ed è cieca dinanzi alle ricchezze culturali delle società arcaiche o tradizionali, che sono state viste solo attraverso occhiali economicistici e quantitativi. In queste culture ho scorto soltanto idee false, ignoranza, superstizioni, saperi accumulati nel corso dei millenni, 62 D. Dolci, Sorgente e progetto, CZ, Rubbettino Editore, 1991, p.145.

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saggezze di vita e valori etici che in noi erano ormai atrofizzati. (…) Dopo aver liberato incredibili forze creative, e dopo aver scatenato incredibili forze distruttive, la nostra civiltà va verso la sua autodistruzione o verso la sua metamorfosi? (…) …Irrompono sul piano mondiale forze cieche, una follia suicida; ma abbiamo anche una mondializzazione della domanda di pace, di democrazia, di libertà, di tolleranza. Occorre ritrovare la relazione passato- presente- futuro. (…) …Vivevamo su una terra misconosciuta, vivevamo su di una terra- oggetto. La nostra fine di secolo ha scoperto la terra- sistema, la terra- gaia, la biosfera, la terra particella cosmica, la terra patria. Ormai possono convergere messaggi venuti dagli orizzonti più diversi, alcuni dalla fede, altri dall'etica, altri dall'umanesimo, altri dal rinascimento, altri dalle scienze, altri dalla presa di coscienza dell'età del ferro planetaria. Possiamo far confluire l'amore per il prossimo, per il lontano, che è alla fonte delle grandi religioni universalistiche, la commiserazione buddista per tutti i viventi, il fraternalismo evangelico e il senso di fratellanza internazionalistico, erede laico e socialista del cristianesimo, nella coscienza planetaria che lega gli esseri umani fra loro e alla natura terrestre. Col tempo tutti questi messaggi, nelle istituzioni, sono stati alterati, degradati, talvolta anche trasformati nel loro contrario; dunque, hanno continuamente bisogno di essere rigenerati e forse possono rigenerarsi gli uni gli altri. L'agonia planetaria potrebbe diventare gestazione per una nuova nascita.-63 Danilo Dolci attinge la sua forza dalla coscienza non violenta che da millenni accompagna l'avventura umana in modo trasversale al tempo ed allo spazio, egli danza, o dialoga con vivi e morti , lontani e vicini per tessere insieme 63 D. Dolci, La comunicazione di massa non esiste, op. cit., pp.78-79.

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nella comunicazione maieutica un messaggio etico, che comprenda i singoli e l'insieme, che sia partecipazione alle energie cosmiche. Le sua consapevolezza lo porta a connettersi con l'induismo, il buddismo e la loro nonviolenza, con la tradizione socratico-platonica, col cristianesimo, con la fraternità evangelica ed il francescanesimo, con la cosmopolita legge kantiana, con la solidarietà socialista e con la resistenza attiva gandiana nonviolenta, con le ultime frontiere della ricerca scientifica: - Antica e nuova è la semplicità. Einstein, Born,

Heisenberg, Plank hanno cercato di combinare il semplice al complesso; e altri stanno ancora provando nella più ampia prospettiva.-64

Per Danilo Dolci là dove la democrazia viene impedita bisogna approfondire e promuovere processi maieutici popolari, partecipativi, che smuovano ad ognuno ricerca creativa in un'etica maieutica, che valorizzino le diversità e facciano crescere una visione etica planetaria fino ad arrivare a dire che: - un governo mondiale maieuticamente creativo, non è solo concepibile, ma ci urge articolarlo, perché è già in ritardo in questa immensa crisi epocale.- (…) -Per riuscire a realizzare questa necessaria struttura, occorre apprendere a immaginare sperimentando già nel nostro ambito.- 65 Danilo Dolci ha diffuso la sua esperienza e il suo pensiero dalla Sicilia occidentale alla Calabria, all'Italia e all'estero sostenendo insistentemente che le strutture maieutiche andassero estese a tutto il mondo in un progetto planetario: - come sarebbe l'Africa se l'acqua vi dissetasse i deserti?

Qualcuno qui potrebbe obiettare : ma a noi, ora, non 64 D. Dolci, La comunicazione di massa non esiste, op. cit., p. 206. 65 D. Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, op. cit. , ,p. 341.

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interessa la nostra acqua? Certo. Ma non abbiamo già fra noi gente che fuggendo dall'Africa ci impone problemi che sovente sarebbero risolti meglio, per tutti, alle radici, dalle radici, radicalmente risolti?-66

Danilo Dolci ci chiama all'impegno, ci chiama ad alimentare una cultura multiculturale, interattiva, situazionale, emancipatrice, multiprospettica, riscoprendo i nessi che esistono tra i popoli e le culture per la costruzione di una società interculturale, fondata sul rispetto e la cooperazione. Il metodo maieutico va diffuso in ogni paese del mondo, fino a pervenire ad una maieutica planetaria, che coinvolga i paesi e le creature del mondo contro il dilagante ed anestetizzante " virus del dominio". La maieutica ci risulta così necessaria in ogni ambito: familiare, scolastico, lavorativo, sociale, civile, nazionale ed internazionale, perché la democrazia reale ha bisogno di uomini svegli, attenti, creativi, capaci di modulare le loro azioni al mondo in cui vivono. - …La domanda di riconoscimento che oggi viene da

culture diverse e da diverse identità, ha bisogno di un lungo percorso di autocomprensione da parte di tutti. Se i pregiudizi sono, come indica Alberto L'Abate, delle reazioni ad una minaccia avvertita e si sviluppano sulla base di schemi cognitivi semplificati, è sempre più necessaria, mano a mano che la società contiene identità plurime e complesse, una consapevolezza reciproca dell'esistenza e della natura dei pregiudizi, accanto alle strategie per riconoscerli, per non averne timore, superandoli nella comunicazione.-67

Bisogna crederci, bisogna sperare, bisogna ancora continuare a sognare e muoversi nella direzione indicata dai sogni. 66 D. Dolci, Verso l'alba del prossimo millennio, in: T. Morgante, Maieutica e sviluppo planetario in D. Dolci, Bari, Piero Lacaita Editore, 1992, p.81. 67 N. Baracani in: N. Baracani e L. Porta ( a cura di), Il pregiudizio antisemitico. Una ricerca - intervento nella scuola , Milano, Franco Angeli, 1999, p.14.

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- Se illusione è conoscere il futuro, se illusione è il progresso fatale, ineluttabile, ci è semplicemente necessario ipotizzare, scegliere e inventare il futuro: è un bisogno profondo di chi è sano e non teme il futuro. - 68 CAPITOLO TERZO UN'APPLICAZIONE DEL MODELLO

68 D. Dolci, Verso l'alba del prossimo millennio, in: T. Morgante, Maieutica e sviluppo planetario in D. Dolci, op. cit., p.169.

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3.1 Socioanalisi del problema L’allungamento della vita media ed il conseguente invecchiamento della popolazione, determinando una vera e propria rivoluzione demografica, pongono alla ricerca

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scientifica ed alle istituzione politiche, sociali e formative inquietanti interrogativi. Le strutture familiari appaiono soggette a forti mutamenti, sia per quanto riguarda le loro caratteristiche oggettive, sia per quanto riguarda i modelli di comportamento e le relazioni interpersonali. Fino ad oggi la famiglia ha costituito un forte punto di riferimento per le persone anziane, sopperendo a molte delle loro necessità e costituendo un valido filtro rispetto al rischio di emarginazione, o meglio di istituzionalizzazione. A questo proposito, è opportuno ricordare che in Italia il tasso di istituzionalizzazione degli anziani continua ad essere modesto, attorno al 2-3 %, rispetto al 6-8 % dei paesi del Nord Europa. Nello stesso tempo, i dati censuari mostrano come il tasso sia fortemente connesso allo stato civile: esso è infatti inferiore allo 0,4 % per i coniugati, attorno al 2 % per i vedovi, ma sale ad oltre il 10 % per i celibi e le nubili. 69 Nel prossimo futuro è però prevedibile un incremento delle condizioni di solitudine, vuoi per una minore propensione verso modelli di famiglia estesa, vuoi come effetto del diffondersi di separazioni e divorzi, fenomeni questi che finora hanno ben poco riguardato la popolazione anziana. Vale a dire che tendono a diminuire proprio quelle convivenze che hanno costituito finora, un sostegno fondamentale per gli anziani scarsamente autosufficienti. Occorre ricordare inoltre che i grandi anziani odierni sono l’ultima generazione ad aver adottato da un lato un comportamento procreativo che prevedeva un alto numero di figli, dall’altro un modello matrimoniale improntato ad una forte stabilità. Negli anni più recenti le politiche sociali sembrano ignorare le trasformazioni intervenute nella famiglia a seguito dei processi demografici e dei mutamenti comportamentali, ma anche il problema “ anziani” andrà al più presto affrontato in tutte le sue sfaccettature: politiche, economiche, legislative, sanitarie, pedagogiche ed etiche. 69 Dati tratti da: M. Barbagli e C. Saraceno (a cura di), Lo stato delle famiglie in Italia, Bologna, Il Mulino, 2000.

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Come cioè, garantire alle crescenti fasce della popolazione anziana i fondamentali diritti alla vivibilità della vita allungata, all'autonomia fisica e mentale, alla salute, all’attività creativa ed alla formazione? Più in particolare, come garantire la possibilità di continuare ad essere e sentirsi affettivamente e socialmente significativi, capaci di provare curiosità, desiderio ed interesse nei confronti degli altri e del mondo, ancora capaci di pensiero ipotetico e metaforico, di pensiero riflessivo ed investigativo? - Non sarà che, non mettendo in luce possibili ruoli

tradizionali per loro, siamo noi a rendere "decrepiti" i vecchi?

- Forse i vecchi diventano disfunzionali perché non immaginiamo per loro alcuna funzione. (…)

- Una donna vecchia può essere utile semplicemente in quanto figura da apprezzare per il suo carattere. Come un ciottolo sul fondo di un fiume, può darsi che si limiti a stare lì, immobile, ma il fiume deve tenerne conto, e a causa della sua presenza, modificare la propria corrente.70

Vivere la vecchiaia come età ancora ricca di fascino e di novità, significa: apprendere a vivere il tempo nel suo procedere reticolare dentro al quale continuità e discontinuità, permanenza e mutamento, memoria e attesa, opacità e solarità si contrappongono e si intrecciano, apprendere a cogliere le differenze che caratterizzano i molteplici tempi della vita, ad accettare la propria alterità rispetto alle età precedenti ed insieme apprendere ad affrontare la vecchiaia come tempo di profondo rinnovamento, come età potenzialmente ancora ricca di attività e di speranza progettuale. Per affrontare questa serie di problematiche non si può non tener conto che, durante tutto il XX secolo, la ricerca, la sperimentazione e la riflessione pedagogica si sono incentrate e focalizzate su un'idea di infanzia, giovinezza, e 70 J. Hillman, La forza del carattere, Milano, Adelphi, 1999, p. 52.

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"adultità" collegata ad una concezione stadiale dello sviluppo umano. La vecchiaia è stata praticamente esclusa dalle attenzioni pedagogiche in quanto considerata come parte della vita ineducabile ,"residuale", non più produttiva e quindi non più progettabile. Questa lettura lineare e separata del corso della vita sta evidenziando oggi tutti i suoi limiti e la sua incapacità di far fronte alle esigenze della realtà attuale, essa non può che essere considerata attualmente, il punto di partenza per una nuova visione dell'evoluzione e dei "percorsi di vita" della nostra specie. Il nuovo millennio si apre infatti nell'ottica di una complessità che coinvolge direttamente anche la visione delle cosiddette "fasi della vita", scardinandone la rassicurante lettura ordinata, cronologica ed algoritmica su cui era basata la riflessione e la proposta psico-pedagogica novecentesca. Su quella lettura di demarcazione però, si èstrutturata anche tutta l'organizzazione sociale ed istituzionale in cui oggi viviamo: la divisione fra infanzia, giovinezza, "adultità" e vecchiaia, scandisce oggi più o meno rigidamente, sia i tempi che gli spazi di ognuno di noi. - Esistono negli Stati Uniti comunità (…) in cui vivono soltanto "anziani": intere città di pensionati, "case di riposo per anziani" che adesso si estendono per chilometri quadrati. Esistono nuovi quartieri in Francia, dove l'età media della popolazione non raggiunge i ventun anni. In Svezia, in Inghilterra, negli Stati Uniti, troviamo comunità delle dimensioni di piccole città dove vivono esclusivamente giovani coppie; e insediamenti, condomini, luoghi di villeggiatura solo per giovani o solo per vecchi.(…) si prevede che nel giro dei prossimi trent'anni circa la terra dovrà sopportare una popolazione doppia rispetto all'attuale e, una volta ancora, in questo sovraffollato mondo del futuro, la divisione è tra vecchi e giovani. Da un lato, le nazioni da tempo consolidate, con tassi di natalità più lenti e controllati, e una popolazione sempre più vecchia; dall'altro, le cosiddette nuove o giovani nazioni, le nazioni

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povere, con alti tassi di natalità e una proliferazione di figli che si riflette in un'età medio bassa. La medesima divisione troviamo nella famiglia come conflitto generazionale, un conflitto, a volte fatto non tanto di incomprensioni, quanto di silenzio. Tra vecchi e giovani esiste infatti una netta separazione dei sistemi di comunicazione: oggi, nel nostro collettivo urbano, i giovani non apprendono più attraverso le tradizionali forme della cultura e la parola scritta, ma attraverso mezzi di comunicazione di tutt'altro genere.71 Questo modo di vivere e di organizzare la nostra società, riflette ancora una volta quella polarità , quella scissione, quella incapacità di integrazione, che caratterizza la nostra più riduttiva cultura occidentale, cristiana e cartesiana. In questo modo riusciamo ad emarginare, non solo il vecchio, ma anche il giovane, in quanto anche essere giovani oggi significa avvertire sulla propria pelle la marginalità, l'incomunicabilità, il silenzio del dialogo rubato assieme alla partecipazione ed alla cittadinanza attiva, anche essere giovani significa avere un ruolo subordinato e sempre più prestabilito da logiche Top down, finalizzate al controllo ed al dominio anziché alla integrazione-valorizzazione degli individui. - I suicidi aumentano: di norme sbagliate ci si mutila, si

muore.(…) I curatori dello studio "Suicidio" (Telefono Amico di Torino, 1995) nel capitolo "La società suicidogena" , riferendosi agli sviluppi delle ricerche di Durkheim, osservano: " Tanto più si indeboliscono i legami che integrano l'individuo alla società, tanto più frequenti si fanno le condotte suicidali, perché il singolo non trova nel gruppo un appoggio ed un aiuto per superare le sua crisi esistenziale" . (…) Una costante emerge in varie forme : quanto meglio ciascuno è interpretato e valorizzato, tanto meno rischia

71 J. Hillman, Puer Aeternus, Milano, Adelphi, 1999, pp. 56-57.

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di disperarsi. Questo rimarca la necessità di rapporti strutturali maieutici. Ovunque.- 72

E' ora di lavorare affinché la cultura della separatezza venga superata così che, anche imparare a vivere la vecchiaia in maniera diversa, diventa uno dei passaggi prioritari ed imprescindibili per quel cambiamento culturale, globale che auspichiamo: - Il diffondersi di coscienza nuova, col connettersi dei

diversi fronti in strutture maieutiche civili- organizzate a reggere conflitti- può d'altronde avviare metamorfiche spirali. Utopia? Finché non si maturerà in progetto. Anche la luce elettrica, anche il voto alle donne era utopia. E pure i fiori erano utopia.-73

3.2 La realtà locale L’Assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Massa-Carrara in collaborazione con l’Università degli Studi di Pisa, ha costituito un Osservatorio per le Politiche Sociali nella provincia, come primo strumento e testimonianza di un impegno verso l’applicazione di nuove modalità di intervento sul territorio che non si fermino solo alla “riparazione dei guasti sociali” ma, attraverso una maggiore conoscenza, mettano in campo efficaci strumenti di prevenzione relativi alle criticità del territorio. Questo Osservatorio, istituito nell’anno 1999, ha prodotto il primo “RAPPORTO SULLA SITUAZIONE SOCIALE DELLA PROVINCIA DI MASSA CARRARA” nell’ottobre 2002, che può considerarsi uno strumento a disposizione di tutti i

72 D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, Firenze, La Nuova Italia, 1996, p. 275. 73 D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit. , p. 274.

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soggetti che costituiscono la welfare comunità, un utile supporto per la programmazione, realizzazione e verifica di progetti di intervento sociale, nell’ottica di una piena integrazione delle azioni a favore dei soggetti più disagiati per dare risposte, le più possibili mirate, ai bisogni espressi dai cittadini. Da questo documento, che raccoglie dati relativi alla struttura sociale del nostro territorio, si evince immediatamente la complessità crescente del sistema sociale e la conseguente difficoltà di monitorare la qualità, l’efficienza dei servizi offerti e di pianificare e programmare le politiche di intervento, basandoci esclusivamente su criteri di tipo quantitativo caratterizzanti la ricerca sociologica tradizionale. Ad esempio per quanto riguarda la condizione anziani, i dati ci dicono che, anche nella provincia di Massa-Carrara, la popolazione tende nel medio periodo ad invertire i naturali processi di sostituzione tra generazioni: • L’indice di vecchiaia, pari a 201% indica che per ogni

100 giovani di età inferiore ai 14 anni ci sono 201 anziani ultra65enni.

• L’indice di dipendenza, risulta pari al 51%, significa che

per ogni cento persone appartenenti alle potenziali classi lavoratrici (dai15 ai 64 anni) esistono 51 persone che dipendono economicamente dalle prime.

• L’indice di struttura della popolazione attiva, pari al

102,5%, fotografa i processi di invecchiamento di questo settore della popolazione (15-65). Poiché l’indice supera il 100% significa che il volume complessivo della popolazione attiva è tendenzialmente e fortemente decrescente: infatti più alto è l’indice tanto più vecchia è la struttura della popolazione in età lavorativa.

• L’indice di ricambio della popolazione in età attiva è pari

a 147,4%, significa che per ogni 100 individui che entrano nella popolazione attiva ve ne sono più di 147

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che escono da questa classe; è indice di senilizzazione della popolazione in età lavorativa.74

• Provincia di Massa Carrara Popolazione residente per classi di età Classi di età Provincia di Massa Carrara 0-14 22463 11,2% 15-29 34351 17,2% 30-64 97728 48,9% 65-74 23914 12,0% 75-w 21286 10,7% Totale 199742 100,0% Fonte: Istat, 2001 Emerge così con sufficiente chiarezza e scientificità il livello di progressivo invecchiamento della popolazione. Una recente ricerca realizzata su 1461 persone ultra60enni dal Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Pisa, per conto dell’Osservatorio per le Politiche Sociali della Provincia di Massa –Carrara, ha fornito uno spaccato abbastanza ampio sui caratteri specifici di fragilità della condizione anziana in questo territorio, ma anche sulle possibilità attivate ed attivabili da parte di queste generazioni. Da questo campione risulta soprattutto la sofferenza di sentirsi soli dato che va aldilà dello stato anagrafico o oggettivamente relazionale, il senso di solitudine tende ad aumentare con l’età e si sedimenta un senso di inutilità che produce una forte deprivazione delle abilità e capacità nell'anziano.

74 Dati tratti da : G. Tomei ( a cura di), Rapporto sociale 2002, Osservatorio per le Politiche Sociali Prov. Massa Carrara.

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Da questi dati emerge un netto rifiuto della condizione stereotipata del proprio ruolo di anziani ed una confutazione della teoria del disimpegno sociale spontaneo, in quanto i soggetti campionati sembrano tutt'altro che disposti a cedere il proprio ruolo di membri attivi della comunità. Si nota un pessimismo maggiore e repentino per chi vive al di fuori del nucleo familiare e in "casa di riposo" rispetto alla condizione di anziano che vive con persone con cui stringe vincoli relazionali. Inoltre il 31% degli intervistati ha risposto di sentirsi nella fase “della piena maturità”, il 47% “in quella in cui occorre riguardarsi e risparmiarsi” e solo il 21% “in quella dove si sente di più la solitudine e il bisogno”.75 Da ciò si evincono tutta una serie di potenzialità sociali nella condizione anziana, che vanno a sollecitare conseguentemente l’organizzazione dei servizi socio- assistenziali e le politiche di cui sono destinatari. Al centro dell’interesse si colloca il modo in cui, le trasformazioni strutturali che attraversano la realtà sociale, si coniugano con le situazioni di benessere/malessere dei cittadini e dei soggetti sociali, in funzione della loro capacità di gestire la propria esistenza in uno scenario di sempre più ampie compatibilità con quelle stesse trasformazioni. Le ricerche più recenti, sia a livello nazionale che locale, ci restituiscono un quadro che sottolinea le opportunità che possono esser colte, anche all’interno di processi di invecchiamento, in termini di riconfigurazione dell’identità individuale e in termini di nuovi significati della presenza sociale dell’anziano nella collettività. Tuttavia nell’età anziana, si manifestano con una certa rilevanza situazioni e percorsi biografici connotati da livelli consistenti di disagio e di esclusione sociale. Questi fenomeni non sono tanto, o non sono solo, correlati con il processo di invecchiamento biologico, ma assumono rilievo proprio in quanto prodotto del modo di essere e di funzionare della società, a livello locale e sovralocale. 75 Vedi : F. Ruggeri (a cura di), Progetto per la costituzione di un osservatorio per le Politiche Sociali Prov. Massa Carrara, 1999.

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Le elaborazioni che l’ISTAT diffonde annualmente sulla povertà, descrivono una situazione critica all’interno dell’età anziana, dove appunto si concentra percentualmente il maggior numero di persone al di sotto della soglia di povertà. La risposta dei servizi sociali nella provincia apuana, tende a coprire i versanti del disagio più consistenti, come quello degli anziani non autosufficienti e degli autosufficienti non completamente indipendenti, anche se si cerca di favorire livelli sempre più elevati di inclusione e di integrazione sociale. In applicazione al principio della de- istituzionalizzazione, nella nostra provincia si verifica dunque la tendenza a decentrare sempre di più i servizi, tuttavia, le Residenze Sanitarie Assistenziali costituiscono le strutture mediante cui si tende a dare risposta alle situazioni più difficili in termini di non autosufficienza o di limitata indipendenza, affiancati dai centri diurni. Nel 1999 vi erano in provincia 22 strutture di ospitalità degli anziani, gestite in assoluta prevalenza da privati (15, rispetto alle 7 offerte dal pubblico o dal privato sociale), che garantivano 799 posti, di cui 400 per anziani non autosufficienti; posti coperti del tutto, che lascia presagire una tendenza di richiesta che tende a crescere nel tempo . Strutture di ospitalità per anziani per forma di gestione e zona socio-sanitaria al 31/12/1999 e incidenza sulla popolazione anziana nella Provincia di Massa Carrara Zone socio sanitarie Comunale IPAB Privato Privata Totale Popolaz. Strutture

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o AUSL Sociale 65 + X 10000 anziani

Lunigiana

3 0 2 8 13 14.850 8.8

Apuane

1 1 0 7 9 29.282 3.1

PROVINCIA

4 1 2 15 22 44.132 5.0

Totale regionale

106 33 54 168 361 764.01 4.7

Fonte: Provincia di Massa Carrara- OPS, 2001 Incidenza dei posti disponibili e delle presenze in strutture residenziali per 1000 anziani residenti per zona socio-sanitaria (1999) Posti residenziali per 1000

anziani residenti Presenze per 1000 anziani residenti

Zone socio sanitarie

Autosufficienti Non Totale autosufficienti

Autosufficienti Non Totale autosufficienti

Lunigiana Apuane

19.6 17.1 36.7 3.7 5.0 8.7

18.0 18.4 36.4 3.9 4.8 8.7

Totale regionale

7,8 11,5 19,4

7,5 11,0 18,4

Fonte: Regione Toscana, Strutture per anziani in Toscana,2000 L’altro caposaldo tra gli interventi nei confronti della popolazione anziana è costituita dalla Assistenza Domiciliare Integrata, che però non riesce a coprire le esigenze di supporto reale degli anziani (si va da una media

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di 5,8 anziani assistiti su 1000 anziani residenti delle Apuane a 25,9 in Lunigiana) . 76 Dobbiamo a questo punto ribadire ed essere consapevoli che l’impoverimento della capacità d’azione degli individui è fonte di progressivo disagio e di malessere, entrambi connaturati con le dinamiche sociali che contribuiscono a produrle. Le cause del disagio sociale si inseriscono appunto all’interno di interstizi strutturali e di vuoti relazionali di cui è sempre più complesso cogliere l’intima connessione con il malessere dell’esistenza in termini generali e con la sofferenza biografica in termini particolari. Ed è proprio cercando di descrivere questi luoghi di debolezza e la loro qualità per progettare interventi mirati, che emerge una evidente inadeguatezza del metodo esclusivamente quantitativo per rilevare informazioni e dati significativi, dovuta alla natura stessa dei fenomeni da indagare. Se il paradigma positivista, statistico e quantitativo, legato a misurazioni di dati esclusivamente socioeconomici esprime qui la sua limitatezza, in quanto ci rimanda una visione esclusivamente quantitativa di gruppi di individui, senza nulla dirci dei loro bisogni e delle molteplici dimensioni delle loro identità, allora il compito pedagogico che emerge , è quello non più di "classificare l'oggetto dei nostri interventi" , bensì quello di cominciare a porre domande. - Dall'Università di Princeton, scrive Johan Galtung: "Gli

oppressi non nascono come protagonisti, attori. Non hanno voce, non hanno ancora consapevolezza. Voci e consapevolezza crescono correlate, progressivamente. La trasmissione dall'alto non aiuta: mistifica le situazioni. Solo l'atto genuino di comunicazione può favorire il processo di crescita.

76 Dati tratti da : G. Tomei ( a cura di), Rapporto sociale 2002, Osservatorio per le Politiche Sociali Prov. Massa Carrara.

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Questo agire comunicante quasi sempre assume la forma di un dialogo: e comincia con un punto interrogativo.-77 E' dunque sempre rivolgendoci al dispositivo del dialogo, del colloquio, della dialettica, dell'ascolto e del racconto, che possiamo impostare un nuovo modo di progettare con e per i soggetti, secondo una prospettiva inevitabilmente fenomenologica ed interpretativa, così che sarà la qualità della comunicazione, lo snodo focale di ogni intenzionalità pedagogica. 3.3 Comunicare nella terza età Si prefigura qui un modello qualitativo di ricerca-intervento pedagogico che, restituendoci " racconti di vita" e punti di vista personali, si fa occasione maieutica ed educativa, si fa autoformazione permanente ed occasione di miglioramento sociale. Il problema principale riguarda il come sviluppare il processo di relazione fra i vari soggetti implicati, il come sviluppare un sistema che possa favorire lo sviluppo di una comunicazione maieutica fra i diversi vissuti e le diverse aspettative degli individui. Prendendo in considerazione la vecchiaia come area di studio, dobbiamo tener presente come, oggi come oggi, nel senso comune e nell'immaginario collettivo, vecchiaia significhi soprattutto vicinanza alla morte, depauperamento ed indebolimento di facoltà, malattia, invalidità e bisogno di assistenza: una visione complessivamente negativa e, come contraltare in positivo, si trova solo la bizzarra idea della saggezza della vecchiaia, come se le esperienze accumulate, in se stesse, potessero essere fonte di saggezza… Ecco, l'invecchiare deve confrontarsi inevitabilmente con tutto ciò, con questi stereotipi, con queste immagini… 77 D. Dolci, Variazioni sul tema Comunicare, vol I, p. 131, in : T.R. Morgante " Maieutica e sviluppo planetario in Danilo Dolci, Bari, Piero Lacaita Editore, 1992, p.159.

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Acutamente Guggenbuhl-Craig osserva: - L'immagine dell'archetipo del Senex è orribile, tutto il

contrario dell'immagine dell'archetipo del Puer. Quest'ultima ha a che fare con il nuovo, il creativo, la speranza, la crescita e il futuro. Con la vecchiaia le cose stanno nel modo esattamente opposto : qui non esiste speranza né crescita, la vecchiaia non ha futuro.-78

Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una lettura dicotomica della realtà, ad un'interpretazione a senso unico del mondo, che separa, allontana e contrappone, ma al contempo ci suscita tutta una lunga serie di interessanti quesiti e riflessioni. J. Hillman considera per esempio queste due parti, quella del Senex e quella del Puer, che fanno parte dell'immaginario collettivo, come due metà dello stesso archetipo e non due metà della vita intesa in senso cronologico. - Questa segreta identità tra due facce che sono in realtà

una sola pur con piccole differenze di lineamenti non dovrebbe sorprenderci, dal momento che una corrispondente unione di uguali (i misteri Madre - Figlia) è stata posta al centro della personalità femminile. Rappresentazioni archetipiche di questa singola figura con due aspetti sono: Tagete, il dio etrusco in forma di fanciullo dai capelli bianchi "tratto dal solco arato di fresco"; l'islamico al- Khidr, bellissimo giovane dalla barba bianca; e Lao-Tzu, il cui nome significa senex-puer (Lao = "vecchio" e Tzu = sia "maestro" che "fanciullo"). (…) Anche Jung descrive questa unione degli uguali: a) a un livello primitivo e pericoloso nella figura di Wotan, che ha attributi insieme giovanili e di Crono, b) nelle figure del Sé di Mercurio, Dioniso e Cristo, viste ciascuna come senex-et-puer, c) in Asclepio, il senex-et-puer che guarisce, e d) nel Re e nel Figlio del Re, due facce della medesima dominante, che rappresentano la totalità

78 A. Guggenbuhl- Craig , Il vecchio stolto, Bergamo, Moretti e Vitali, 1997, pp.135-136.

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dell'individuo, coscienza ed inconscio insieme. (…) Ciascuna di queste figure mitologiche, che rappresentano l'unione degli uguali di volta in volta energizzante (Wotan), trasformatrice ( Mercurio, Dioniso), risanatrice ( Asclepio ), rinnovatrice (Re-cum - Figlio del Re) e redentrice (Cristo), asserisce l'assioma psicologico dell'atemporalità del Sé. Il Sé sembra assolutamente indifferente nei confronti dell'invecchiamento, dell'accumulazione storica; per il Sé non esiste conflitto generazionale, in quanto esso è in ogni momento tutte le generazioni.-79

La nostra epoca richiede quindi che i due estremi vengano ricongiunti, che l'altro da noi, sia riconosciuto ed integrato, che gli opposti speculari si trasformino in un cerchio dinamico: - la sua scissione è la nostra sofferenza.(…) Da questa

scissione ci viene la sofferenza del conflitto padre- figlio e del silenzio che separa le due generazioni, della ricerca del padre da parte del figlio e della nostalgia del figlio da parte del padre, che sono la ricerca e la nostalgia del proprio significato da parte di ciascuno; nonché gli enigmi teologici del Padre e del Figlio. Questa scissione ci dice che siamo scissi dalla nostra stessa "immagine e somiglianza" e che abbiamo trasformato l'identità con la nostra immagine in una differenza.-80

Un modo nuovo per vivere l'ultima parte della nostra vita richiede dunque, innanzitutto, il ricongiungimento tra l'idea di Senex e Puer, con queste due parti insieme dobbiamo ritrovare il senso delle nostre esperienze. Ciò si può attuare attraverso il fenomeno del dialogo inteso nell'accezione che in tutta questa tesi si descrive, il dialogo come unico dispositivo attraverso il quale ogni ricongiungimento diventa possibile.

79 J. Hillman, Puer Aeternus, op. cit , pp.112-113. 80 J. Hillman, Puer Aeternus, op. cit. , pp.120-121.

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Nel dialogo ogni domanda genera risposte che a loro volta si trasformando in domande e nella ricerca di un senso condiviso, anche nell'alterità possiamo cercare soluzioni ad infiniti problemi che l'esistenza ci pone. - E' nel nostro modo di pensare che l'inferiorità si rivela. Proprio per i sentimenti d'inferiorità e di insicurezza, escogitiamo costruzioni mentali che tengano a bada questi sentimenti. E queste costruzioni agiscono come finzioni che guidano e come fantasie che governano, ed è attraverso esse che percepiamo il mondo. La più essenziale di queste protezioni nevrotiche, quella cui forse possono essere ricondotte tutte le altre, Adler la chiama " pensiero antitetico", un "tipo di percezione basata sul principio degli opposti". La mente stabilisce polarità opposte: forte/debole, sopra/sotto, maschile/femminile- e queste finzioni-guida determinano il mondo in maniera netta, e danno così la possibilità di esercitare un potere con azioni decise, preservandoci dal sentirci deboli e inefficaci.(…) Il pensare per antitesi non serve dunque una logica della realtà, ma una magia di potenza su di essa.-81 Parlare di "terza età", può essere dunque fuorviante: parlare di vecchiaia non ci deve allontanare dal problema uomo in senso sincretico, non ci deve sviare verso forme di preconcetti e pregiudizi riduttivi e semplicistici, sempre dobbiamo mantenerci all'interno di una teoria- prassi comunicativa e dialogica, dobbiamo sforzarci di stare all'interno di un dialogo senza fine, prima di tutto in noi stessi, tra tutte le nostre parti e i nostri sé, e poi tra noi e il mondo, per mantenerci dentro al senso delle nostre esistenze. Il ruolo della pedagogia comunicativa diventa allora necessario proprio anche e prioritariamente, in funzione dell'apprendimento di strategie per fronteggiare la cura del sé e le trasformazioni da essa implicate.

81 J. Hillman, Le storie che curano, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1984, p. 134.

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Occorre costruire un nuovo vocabolario, che ci aiuti ad interpretare le percezioni dei soggetti rispetto alle proprie tappe di vita, che ci aiuti a decodificare e ricostruire la nostra esperienza, anche in quella parte della vita che, ad un occhio superficiale, potrebbe sembrare inadatta all'apprendimento e di conseguenza al cambiamento cognitivo, emozionale e relazionale. Emerge qui l'esigenza di predisporre ed organizzare luoghi / momenti, nei quali sia possibile anche e soprattutto nella tarda età, raccontare ed ascoltare della propria vita e di quella di altri, della propria cura, e di quella di altri, luoghi / momenti nei quali sia possibile condividere, ma soprattutto tentare di ricostruire e ritrovare insieme ad altri il proprio progetto di vita, e non importa quanto tempo ancora ci resta da vivere. J. Hillman aggiunge: - Io mi estendo per il tramite di quegli "altri" le cui

immagini animano le mie cogitazioni solitarie, e non solo tramite gli "altri" quotidiani, che passano a trovarmi per vedere come sto. La curiosità inquisitiva per la vita altrui estende la nostra vita. Non sto parlando di servizi di volontariato; ma dell'arte di ascoltare. L'altro è una fonte di linfa vitale, che trasfonde vitalità nella tua anima, se, prestandogli orecchio, riesci a provocarlo ad uscire. Annusa nel sottobosco, fruga tra i piccoli scandali, cerca ghiotti bocconcini di pettegolezzi piccanti che stuzzicano l'appetito per la vita brulicante intorno a te: la curiosità allenta i cordoni angusti delle preoccupazioni private, personali. Il movimento all'indietro, all'ingiù e all'infuori estende la vita oltre i suoi confini e la libera dall'attaccamento all'identità personale, libera il carattere da quell'incontenibile bulletto che è il mio "io". Più riesci a protenderti all'indietro, nel passato storico, e all'ingiù, verso ciò che è dopo di te e in basso, e all'infuori, verso l'altro da te, e più la tua vita si estende. La longevità si libera, della capsula temporale. Questa è la vera

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longevità, un durare di più che dura per sempre, perché non c'è capolinea.-82

Ed ecco che da questa prospettiva emerge l'intreccio primordiale e ineludubile tra: comunicazione, memoria ed immaginazione. Narrando di me io ricordo, ma il ricordo non è altro che sequenze di immagini fantastiche, mia interpretazione del vissuto e, sia di memoria che di immaginazione abbiamo bisogno per comunicare. Da sempre nell'anziano queste due facoltà cambiano ritmo e forma, la capacità della memoria a breve termine si riduce, mentre quella a lungo termine si acuisce, l'immaginazione si fa introspettiva, lenta, sedimentata; è da queste peculiarità e da molto altre sfumature ancora che dobbiamo partire per porci di fronte alla vecchiaia con un sentimento di empatia e di ascolto. - Gli ultimi anni sono così preziosi per ripassare la propria

vita e fare ammenda, per dedicarsi a speculazioni cosmologiche e per l'affabulazione dei ricordi in storie, per il godimento sensoriale delle immagini del mondo e per il contatto con le apparizioni e gli antenati: e tutti questi valori la nostra cultura li ha lasciati avvizzire!-83

La vecchiaia mette a disposizione il tempo per ricordare, per commemorare ciò che è ancora un valore nella nostra vita e quindi il ricordare restituisce dignità, la rassegna della vita ci aiuta a costruire trame ricche di senso, e sempre memoria ed immaginazione sono intrecciate fecondamente insieme in ogni atto comunicativo, ma memoria intesa in senso aristotelico, come collezione di immagini appunto… ( e non solo come strumento pragmatico). Sollecitare la memoria riteniamo sia l’attività fondamentale per educare la mente, sapere chi siamo, chi siamo stati, chi sono gli altri attorno a noi e come con noi sono connessi,

82 J. Hillman, La forza del carattere, op. cit., pp. 66-67. 83 J. Hillman, La forza del carattere, Adelphi, Milano, 1999, pg 53.

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senza la memoria non esiste il pensiero, non esiste riconoscimento. - Il congegno dell'apprendimento, il ritenere certe

impressioni e informazioni, non dipende forse anche dal nostro rapporto con gli eventi? Il ricordo non è tanto più vivo quanto più profondamente abbiamo partecipato all'evento, co-struito l'evento?

- La capacità di progettare e costruire validamente nei più vari campi non dipende anche dalla capacità di sperimentare e memorizzare complessivamente?

- Il linguaggio, la narrazione non sono tentativi di scoprire e di organizzare quanto ci appare caos? La scrittura non è solo memoria strutturata: come lo schizzo di Leonardo, è anche strumento e occasione di scoperta nuova.

- Osserva giustamente J. Le Goff:" l'amnesia è soltanto una turba nell'individuo ma determina perturbazioni più o meno gravi della personalità. Allo stesso modo l'assenza o la perdita, volontaria o involontaria, di memoria collettiva nei popoli e nelle nazioni può determinare turbe gravi dell'identità collettiva. (…) Impadronirsi della memoria e dell'oblio è una delle massime preoccupazioni delle classi, dei gruppi, degli individui che hanno dominato e dominano le società storiche. Gli oblii, i silenzi della storia, sono rivelatori di questi meccanismi di manipolazione della memoria collettiva".

- Quanto chiamiamo esperienza non è forse il rapporto fra memoria- anche genetica- , continuo provare, osservare e coscienza?

- Non è la maieutica strutturante un'arte-scienza per attualizzare, riconoscere e pur convalutare, oltre le profonde informazioni del collettivo patrimonio genetico, anche quelle recenti, personali? In un tempo in cui le pur utili schedature meccanografiche ed elettroniche tendono a "scaricare", con la nostra memoria, le nostre capacità di concepire il connettersi vitale, ci occorre sapere chiaramente che indebolire la nostra memoria inconscia e cosciente, non coltivare la nostra capacità di sperimentare il nostro intelletto e la coscienza, atrofizza,

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col nostro equilibrio psichico, anche le nostre potenzialità, il nostro potere.84

Dobbiamo dunque imparare a vivere come risorsa anche quest'età che avanza, se la vita media in occidente si sta allungando, ciò significa che da questo dato dobbiamo saper attingere creativamente potenzialità utili a tutti; la fertilità degli umani si esaurisce molto prima della vita e forse duriamo ancora così a lungo dopo, perché la nostra specie ha bisogno proprio della memoria e dell'immaginazione tipiche dei vecchi per perpetuare la specie…Pensiamo alle figure dei nonni anche nelle nostre storie personali, quanti significati hanno apportato e quanta intelligenza emotiva! Emarginando e tacitando i vecchi, boicottiamo l'avventura della specie umana. 3.4 Quale metodo allora A fronte di queste consapevolezze un po' tutte le scienze umane si stanno indirizzando verso ricerche anche qualitative che, utilizzando la raccolta di "storie di vita", possano meglio leggere ed interpretare eventi che, con la mera statistica, non sarebbero comprensibili. Qui il metodo scientifico classico si coniuga allora con la fenomenologia e con l'ermeneutica, diventando un problema essenzialmente comunicativo, un problema sempre in fieri, sempre implicante "l'io-soggetto" e "l'altro da me". Questa prospettiva di ricerca implica, in un'ottica di complessità, la necessità di uno strutturarsi maieutico, la necessità di un metodo che valorizzi l’unicità di “ogni versione del mondo”, la necessità di occuparsi delle narrazioni dei singoli indipendentemente dal loro stato di salute, dall’età o dal genere, la necessità di utilizzare il 84 D. Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, Bari, Piero Lacaita Editore, 1993, pp. 69-70.

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metodo autobiografico come modo privilegiato per conoscere meglio se stessi, gli altri e il mondo , Louis Smith appropriatamente afferma che: - “L’autobiografia nelle sue forme cangianti è al centro

degli slittamenti paradigmatici delle strutture di pensiero nel ventesimo secolo”.- 85

Partendo dunque dalla definizione dell’ipotesi che è sottesa a questa proposta e cioè che, al momento dell’istituzionalizzazione l’anziano perda repentinamente i punti di riferimento utili al mantenimento, sviluppo, integrazione della propria identità e da quel momento in poi non abbia più la possibilità di :rielaborare ed utilizzare il proprio passato, essere attivo nel presente, essere propositivo, non si senta più autore della propria vita, con delle conseguenze irreversibili sul suo stato di salute fisico, mentale e psicologico, viene elaborato questo progetto. Utilizzando appunto il metodo autobiografico all'interno di una struttura maieutica, ci si propone l’obiettivo di costruire un laboratorio in una comunità per anziani, dove si possa recuperare e mantenere la memoria consolidando l'identità personale, perché gli anziani possano progettare ancora e comunque il proprio futuro ed inoltre possano contribuire alla costruzione di affresco della memoria storica, locale e cittadina. E' nella struttura maieutica che anche - la narrazione autobiografica ci offre l’apertura per sviluppare una ricerca fondata su una pedagogia riflessiva dell'incontro,(…) ci apre alla sfida di ri-conoscere il mondo e di riconfigurare le relazioni sociali della conoscenza. Pratiche pedagogiche fondate su scritti di vita, incluse le autobiografie, le memorie, e l'autoritratto, possono rendere più facili le articolazioni narrative su come i sistemi di potere e di costrizione, sia sociale che familiare, saturano e

85 G. Bandini, R. Certini ( a cura di), Frontiere della formazione postmoderna, Roma, Armando Editore, 2003, p.154.

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compongono il linguaggio stesso, collocando ciascuno di noi. -86 La narrazione autobiografica risulta essenziale inoltre, per il recupero critico di valori e di conoscenze su cui si è fondata l'evoluzione della comunità e su cui si poggia l'idea di futuro: - Un approccio pedagogico critico ai progetti di scrittura-di-

vita è, credo, diretto al meglio verso la loro espressione come atti di resistenza. Possono situare la conoscenza in esperienze e riflessione sulle trattative spesso tese e ambigue fra soggettività private interiorizzate e spazi e relazioni pubbliche e intersoggettive. Sono punti di possibile ridefinizione e identità che devono essere sostenuti dalla partecipazione all'azione e riflessione pubblica.(…) L'atto autobiografico lavora per sdoppiare il sé come oggetto di consapevolezza e intenzionalità attraverso l'impegno dell'autore in una complessa congiunzione di cognizione, affetto, e memoria, e lavora inoltre come dialettica dissimulata di posizioni pubbliche e private del soggetto, spesso giocata in modo complesso.( ...) E' una forma di scrittura costruttiva, un atto di mediazione che intesse lungo il proprio filo narrativo identità disparate e disgiunzioni temporali con le loro memorie e referenti ricontestualizzati.87

Questa ridefinizione e riconfigurazione della soggettività implica necessariamente un’articolazione dell’impegno politico ed etico dell’azione, ma non in un senso trasgressivo o semplicemente utopistico privo di relazione e valore materiale ed esperienziale nei confronti della comunità, -ma fornisce le condizioni di possibilità per problematizzare e discutere la soggettività, per spostare e aggiustare le strutture, i termini, e i tropi formativi

86 G. Bandini, R. Certini ( a cura di), Frontiere della formazione postmoderna, Roma, Armando Editore, 2003, p.154. 87 G. Bandini, R. Certini ( a cura di), Frontiere della formazione postmoderna, op. cit. , pp.155-156.

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dell'identità all'interno degli spazi negoziati, della valenza, e degli atti di bilanciamento di una ( perlomeno) immaginata comunità.88 Come ben Danilo Dolci ci rammenta: - E' civiltà il costruire condizioni per cui ognuno possa sbocciare e, attraverso il proprio impegno, fiorire creatura. Altro è l'omile ammorbato dei propri rifiuti, il luogo dello spreco, delle chiacchiere e del fumoso rumore ove i bambini sono scandalizzati e in infinite forme violentati, ove la scuola atomizza massificando;(…) Altro è l'omile che forzatamente e per omissione, viene deciso altrove, dall'esterno(…)- e altro la città che dall'intimo dei suoi quartieri, (…) in nuove prospettive fiorisca costruita da chi veramente ami la vita e voglia vivere.-89 3.5 Il laboratorio maieutico Il racconto della propria storia di vita e la raccolta di storie di vita risultano dunque rilevanti, sia come riflessione su di sé, comprensione di sé, ricostruzione dei temi dominanti e delle svolte significative della propria vita, presa di coscienza della propria identità ,cura di sé, sia come strategia per definire se stessi, la propria cultura, il proprio “ qui e ora”, dare un senso al proprio presente e progettare il proprio domani... Nel nostro caso specifico, l’approccio autobiografico diventa allora strumento di pedagogia comunicativa e maieutica in un progetto di ricerca-azione; per ricerca-azione si intende: - una ricerca sociale applicata, caratterizzata dal coinvolgimento immediato del ricercatore nel processo “d’azione”. Il suo obiettivo è di fornire un contributo, nello

88 G. Bandini, R. Certini ( a cura di), Frontiere della formazione postmoderna, op. cit., p.167. 89 D. Dolci, Verso l'alba del prossimo millennio, inedito, in : T. R. Morgante, Maieutica e sviluppo planetario in Danilo Dolci, Bari, Piero Lacaita Editore, 1992, pp. 117-118.

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stesso tempo alle preoccupazioni pratiche delle persone che si trovano in una situazione problematica ed allo sviluppo delle scienze sociali, per una collaborazione che le collega secondo uno schema etico reciprocamente accettabile90 La maieutica si presenta in questo caso come la metodologia più adatta a creare un'autoanalisi attraverso cui, ciascuno, può prendere coscienza dei bisogni e dei problemi della comunità in cui vive ed opera e che, solo attraverso un lavoro di cooperazione possono trovare una risoluzione, riscoprendo l'autentica creatività di ognuno. La maieutica dolciana, si caratterizza proprio in quanto non solo riscoperta di sé, ricerca dell'autoconsapevolezza, autoanalisi e conoscenza dei propri bisogni e interessi profondi, ma anche promozione dell'agire in vista della realizzazione di un progetto che trasformi la realtà. La maieutica dolciana dunque va oltre il dialogo, perché l'azione e la progettazione diventano con Danilo Dolci, imprescindibili fasi di una metodologia che tende sempre a trasformare i bisogni in problemi e dunque in progetti di sviluppo sociale. Progettare infatti significa essere creativi e liberi, sentirsi soggetti in continua evoluzione, capaci di formulare ipotesi, realizzare, valutare e verificare i propri propositi, i propri ideali e i propri valori. Questo tipo di approccio, che sottintende ed implica la "cura del sé", è particolarmente importante quando abbiamo a che fare con strutture istituzionalizzanti come ad esempio le Case di Riposo, nelle quali il disagio è una condizione tangibile e quotidiana. - Questi scenari e gli attori che li abitano ci parlano di modi e stili di vita che lasciano tracce permanenti nel corpo e nella mente, che trasformano il significato stesso di parole come“ benessere” e “identità”, quindi non solo gli utenti, ma anche gli operatori ed educatori, che a vario titolo entrano in questi mondi, vivono concretamente e umanamente la necessità di elaborare il disagio; per questi

90 R. N. Rapoport, Three dilemmas in action research, " Human Relation" , 5, 1970,p.499, in : S. Mantovani ( a cura di) , La ricerca sul campo in educazione I metodi qualitativi, Milano , Bruno Mondadori, 1998, p.167.

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attori la cura di sé non è un lusso, un optional, ma un bisogno vitale. Troppo spesso siamo portati a pensare al disagio come una condizione oggettiva e comunque oggettivabile. Nella prospettiva fenomenologica (Bertolini, 1988; Demetrio, 1995), il disagio è invece prima di tutto un vissuto, e come tale può essere compreso soltanto a partire dal punto di vista del soggetto.(…) L’origine etimologica della parole dis-agio conferma il senso di qualcosa che non c’è, un vuoto una assenza. Potremmo dire che il disagio è una mancata risposta ad un bisogno od anche a un desiderio dell’essere umano.(…) Un primo passo per comprendere il disagio consiste proprio nel dargli un nome, dei confini, dei connotati che non sono assoluti o generalizzabili, ma proprio perché soggettivi e locali hanno una elevata probabilità d’incidere significativamente sull’esperienza, di dare forma all'esperienza. Un singolo attore (…) potrebbe dirci, se adeguatamente avvicinato, che cosa è il suo disagio, qui e ora, quali sono le condizioni e le esperienze disagianti o disagiate dal suo punto di vista, se ci sono bisogni o desideri, per quanto frustrati. Forse potrebbe anche indicarci percorsi possibili per ritrovare il gusto del desiderare al di là del bisogno, attraverso l'ascolto di sé e l'educazione interiore (Demetrio, 2000) che sono inestricabilmente connessi al dare senso. “Se adeguatamente avvicinato…” in queste parole c’è tutta la problematica della co-costruzione del disagio o del problema e quindi della sua soluzione.-91 Ed è qui che il laboratorio maieutico risulta fondamentale come luogo privilegiato dove sviluppare e valorizzare le soggettività attraverso l'incontro e la comunicazione, dove sperimentare pratiche comunicative che comprendono l’uso del linguaggio, della parola scritta, oppure orale, della conversazione e del dialogo.

91 L. Formenti, Prendersi cura di sé nel disagio: la proposta autobiografica, in: G. Concato ( a cura di) , Educatori in carcere, Milano, Edizioni Unicopli 2002, pp. 112-113.

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Ancor prima di parlare delle tecniche comunicative da mettere in campo, occorre quindi considerare che in ogni relazione educativa, in ogni relazione d’aiuto la base d’incontro non sta soltanto nel saper fare, ma nel sapere essere, occorre che gli operatori credano nell’utilità della proposta ma soprattutto occorre che la sappiano vivere. Una tecnica è sempre una cosa, un mezzo usato per un fine, ma se la tecnica si ferma a questi aspetti non serve a molto; la tecnica deve essere “technè” cioè arte, quindi gli operatori maieuti devono essere artisti, capaci cioè di ascoltare di dare fiducia, di far ritrovare le ricchezze celate di ciascuno individuo. Il luogo d’incontro che chiameremo” laboratorio” dovrà quindi avere certe caratteristiche : - Innanzitutto sarà necessario dedicare tempo a questa

attività perché i ritmi narrativi e dialoganti prevedono un clima “intimo” con silenzi pause e riflessioni;

- Occorrerà sempre cercare il senso di ciò che si sta ascoltando, leggendo, narrando;

- Occorrerà trovare il modo di accogliere le diversità che sono intra ed inter individuali, avere rispetto delle resistenze e delle difese che gli individui metteranno in atto;

- Anche racconti veri- falsi avranno bisogno di un clima di accoglienza, divertimento e serenità.

Ora, siccome questo progetto mira sia a fare emergere negli utenti alcune microprogettualità che vadano a migliorare la dimensione del loro quotidiano, sia a costruire un luogo privilegiato della memoria cittadina, pensiamo che il metodo della intervista semistrutturata descritto da S. Mantovani, sia quello che meglio può aiutarci a placare l'ansia del " cosa fare praticamente " e che ben esso si possa integrare con la maieutica dolciana. Questa metodologia da un lato non è invasiva né rigidamente predeterminata, e dall’altro focalizza comunque alcuni temi ritenuti da fondamentali ai fini del raggiungimento degli obiettivi prefissati.

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Nell’intervista semistrutturata, i contenuti da sviluppare costituiscono non delle domande rigidamente prefissate, ma piuttosto un promemoria per l’operatore che cerca comunque di farli emergere durante il colloquio, se non emergono spontaneamente dalla narrazione. Gli argomenti cioè sono decisi, mentre le sequenze e le modalità di esposizione sono lasciate alla libera scelta del soggetto. I temi da caratterizzare riguardano : 1. La famiglia di origine, i luoghi e le persone dell’infanzia,

gli episodi salienti. 2. La scuola, il lavoro, l’amore e i sogni, gli episodi salienti

della giovinezza. 3. Il contesto lavorativo, il matrimonio, i figli, gli interessi,

gli episodi salienti. 4. I rapporti famigliari ed amicali, l’età della pensione, gli

episodi salienti della maturità. Dalla analisi delle storie di vita raccolte, il passo successivo sarà quello di grigliare i dati emergenti utili al completamento del progetto, sia facendo capo a delle categorie tipo: famiglia / scuola / lavoro/ ambiente…, sia partendo dall’analisi degli episodi significativi per rilevare gli interessi, i desideri , le potenzialità del soggetto, fino a mettere a punto sia un autoritratto letterario che rimanga come testimonianza intergenerazionale, sia una microprogettualità da impostare e negoziare nella conduzione del proprio quotidiano all’interno dell’istituto. Si ritiene utile l’uso di un registratore e il conseguente lavoro di elaborazione scritta delle narrazioni da parte degli operatori, e ovviamente si ritiene cruciale, sia il momento dell’ascolto delle storie altrui , sia il momento del riascolto e messa a punto della propria storia, che il momento interattivo preludio della progettazione di gruppo. Sarebbe oltremodo necessario che questa esperienza fosse proposta in parallelo, anche ad un gruppo di anziani non

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istituzionalizzati, ma anzi integrati ed ancora attivi sul territorio e coinvolti in forme di volontariato. Ho pensato che l’Associazione AUSER, possa offrire un ottimo campione di confronto dati, proprio per le marcate differenze anagrafiche, sociali e psicologiche che demarcano le due realtà. Chiaramente in questo secondo caso non si tratterà più di un progetto di ricerca-azione, bensì di una ricerca con fini comparativi e di implementazione della memoria storica cittadina. La maieutica qui favorisce uno scambio fertile tra gli individui e le loro culture, tra i loro vissuti e così, attraverso l'accettazione delle reciproche diversità, si cessa di violentarsi sulla base di presunte superiorità/inferiorità, magari scontrandosi ed incontrandosi subito dopo in modo nonviolento, dialettico, creativo e solidale. - La struttura maieutica reciproca è l'organizzazione più

evoluta? Ma non vuole proporsi da modello; non può esistere, né deve esistere un modello. E' infinita la varietà di eventi strutturali maieutici in ambienti diversi, età diverse, competenze e potenzialità divergenti, anche da storie diverse. Senza valorizzare, senza intimo slancio per le scelte, senza esercizio nel coorganizzarsi a un livello più ampio e profondo, senza persistere nell'inventare, non cresce una struttura più complessa per adempiere potenzialità necessarie alla nostra sanità.-92

Ogni uomo , se rispettato nella sua "cultura", diventa disposto ad ascoltare le voci di altri, portatori di diverse " versioni del mondo". Le pratiche comunicative indirizzate alla cura del sé sono dunque miste, mescolano cioè vari linguaggi e forme del pensiero immaginativo, connotano ambiti di esperienza abitualmente disconnessi nella vita quotidiana.

92 D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze, 1996, pg.200.

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- La struttura maieutica reciproca ha una funzione psicoterapeutica: scioglie " recite, maschere, menzogne, difese e ansietà, vecchie abitudini" dal profondo più intimo. Ove il morbo non abbia devastato, favorire il reciproco incontrarsi nella fusione fertile degli io, recupera l'integrità e la crescita. Sapere veramente riconoscerci è terapeutico genuinamente.-93

L’idea centrale di questo progetto allora è che, le persone coinvolte nel disagio percepibile e pervasivo all’interno di quel tipo di istituto, dovrebbero essere inserite nel processo maieutico di individuazione e di ricerca fin dall’inizio, individuando i rimedi possibili, progettando e realizzando in collaborazione con i ricercatori la azioni necessarie per perseguirli, all'interno anch'essi , di laboratori maieutici . Nel laboratorio maieutico - …non esistono regole fisse ma disponibilità, ricerca , confronto, non pretesa di insegnare e indottrinare, non arroccarsi su false scienze, riconoscere che l'altro oltre ad aprirsi ci ha aiutato a vedere un mondo nuovo, gioia pur faticosa di imparare e risultare alla fine diversi. La maieutica è un'arte, un metodo, ma soprattutto una profonda esperienza umana, abituarsi a pensare coinvolti, stabilire collegamenti: in un mondo che vuole informare, formare, indottrinare, instillare verità, credenze, dogmi ma non stimola a vedere chiaro operando scelte responsabili; in un mondo in cui prevale il consumo di prodotti preconfezionati da enti, istituzioni, persone, partiti che agiscono come se possedessero la verità.-94 Le indicazioni devono invece nascere dal contesto collaborativo mutualmente condiviso e dunque motivante un cambiamento, che ci consenta di dare connotati precisi al disagio, alle paure, alle emozioni, ai conflitti, fino all’emergere dei desideri realizzabili, ai bisogni inespressi e dimenticati…

93 D. Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, op. cit., p. 282. 94 R. Fornaca Riflessioni su un poema educativo, in: D. Dolci, Palpitare di nessi, Roma, Armando, 1985, p.267.

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Queste scelte implicano decisamente la costituzione di un gruppo di operatori che lavori in modo coeso e collaborativo, quindi il primo obiettivo da realizzare sarà quello della sua costituzione attraverso:

♦ La presentazione del progetto da parte del ricercatore agli operatori coinvolti e l’analisi delle problematiche emergenti dagli stessi

♦ La formazione del gruppo che decide di cooperare attraverso un adesione spontanea al laboratorio maieutico e la condivisione della metodologia proposta

♦ La precisazione delle mete del gruppo: esse devono essere flessibili, articolate, realistiche e significative per tutti

♦ La formazione del gruppo alle metodologie ed agli strumenti che si intendono utilizzare, divisione di compiti e ruoli di ciascuno esplicitando anche aspettative e dubbi emergenti.

♦ Il prevedere incontri ciclici per confronti e dialogo su possibili difficoltà, conflitti problemi incontrati dagli operatori

A questo punto i ricercatori con il gruppo degli operatori dovrebbero essere pronti per incontrare gli utenti dell’istituto e presentare a loro il progetto, con l’obiettivo primario di instaurare un clima maieutico, di empatia e di fiducia reciproca, che consenta di sancire il “patto autobiografico” (P. Lejeune, 1975). 3.6 La pratica autobiografica Per dare un senso ed un significato alla progettazione esistenziale dell'uomo nella nostra epoca, e sottrarsi dunque alle manipolazioni ed alle massificazioni collettive dispensate a piene mani da una società protesa ad investire

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soltanto sulla mercificazione e sul mercato, risulta fondamentale ripartire dunque dalla propria interiorità, dalla propria singolarità e attraverso il confronto con gli altri, definire la propria identità. Qualità della vita e qualità della formazione in questo senso coincidono, se appunto intendiamo la formazione come valorizzazione, come processo di perfezionamento dell'uomo. Ora, tra i primi prodotti nei quali noi occidentali riconosciamo la soggettività e l'identità umana, ci sono le narrazioni. E' nella narrazioni che da sempre l'uomo ritrova una struttura di riferimento, un'organizzazione coerente , nelle narrazioni stanno i fondamenti non solo delle identità soggettive, ma anche della nostra cultura in senso lato. La caratteristica della narrazione è appunto quella di illustrare, esemplificare i temi dell'esistenza umana per mezzo dei personaggi, dei luoghi e dei fatti tipici delle storie. La nostra mente si è evoluta all'interno di un paradigma narrativo attraverso il quale riusciamo ad interpretare la nostra esistenza e dare un senso e un significato alla nostra vita; esso ci consente di coniugare il passato con il presente e proiettare il presente nel futuro, di esprimere valori, scopi e legami. Il narrare è quanto di più umano possa esistere e noi lo utilizziamo ogni volta che, mettendoci in relazione con noi stessi o con gli altri, ci troviamo di fronte alla necessità di comprendere. Scrive G. O. Longo: - Da sempre gli uomini narrano e si narrano, e con questa continua narrazione tentano di costruire un'immagine del sé e di trovare il senso del mondo e della loro presenza nel mondo. E in questo raccontare e raccontarsi gli eventi si trasformano e si sublimano. I ricordi, attraverso le storie, diventano ricordi di ricordi, in una stratificazione che si allontana sempre più dalla concretezza primitiva per assurgere all'astrazione della leggenda e del mito, formando un nucleo denso e dinamico che sta al cuore del nostro "sé". Se ci ascoltiamo con attenzione, avvertiamo un misterioso senso d'identità personale, che si manifesta da

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una parte in una sensazione di unità e dall'altra in una sensazione di permanenza. L'unità è espressa dall'uso del pronome "io" e la permanenza dall'abitudine di riferire a questo pronome le azioni passate e i progetti futuri. Ma i neurofisiologi ci hanno insegnato che dietro le quinte del nostro teatro interiore si agita una molteplicità di personaggi muti ma attivi, che emettono segnali, inviano ordini, irradiano emozioni. Analogamente l'invarianza temporale del sé si rivela, a un'analisi attenta, più simile a una lenta trasmutazione che a una permanenza stabile. Talvolta, infatti, certe azioni e certe opinioni del passato ci appaiono appartenere a un sé ormai scomparso, cui ci lega solo la catena delle trasformazioni che porta al nostro sé attuale. A questa "complessificazione" e moltiplicazione del sé ha fatto riscontro, negli ultimi decenni, una profonda trasformazione della scienza. La fede nel riduzionismo, nell'oggettività e nella reversibilità sta cedendo alla sensazione che indeterminazione e caso non siano trascurabili sbavature di un quadro in sé nitido che aspetterebbe solo di essere disvelato, ma siano invece caratteri intrinseci della realtà conoscibile. A questo mutamento di prospettiva si accompagna un recupero del discorso polivalente e articolato della narrazione, che non rifiuta l'ambiguità ma ne trae alimento e ricchezza. Raccontare le storie è l'unico modo per riacquistare il senso della Storia.-95 E' dunque inoltrandoci nella pratica del raccontare e del raccontarsi che possiamo ricapitolare la nostra vita, ritesserne i brandelli, e tanto più abbiamo vissuto, tanto più aumenta il bisogno di dedicarci a questo: - La comparsa spontanea di immagini negli anni della

vecchiaia con la sensazione di " doverci fare i conti", riferita da molti, per me ha senso se la vedo come un'intenzione dell'anima.(…) La rassegna della vita offre guadagni a lungo termine che arricchiscono il carattere

95 G.O. Longo, La gerarchia di Ackermann,, Faenza, Mobydick, 1998, p. 138.

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perché aggiungono comprensione agli eventi. Gli schemi ricorrenti della nostra vita emergono più riconoscibili in mezzo alle macerie dei fallimenti e alla idealizzazioni romantiche, un po' come in un romanzo ben congegnato, che rivela il carattere dei personaggi attraverso le loro azioni e reazioni. La rassegna della vita in realtà non è altro che la riscrittura (o forse la prima stesura) della storia della nostra vita sotto forma di storie. E senza storie non c'è trama, non c'è comprensione, non c'è arte, non c'è carattere: soltanto abitudini, avvenimenti che scorrono davanti agli occhi di un osservatore ozioso, una vita che nessuno legge, una vita perduta nel viverla.-96

Eppure oggi stiamo assistendo ad un ridimensionamento progressivo dei luoghi e dei tempi dove avveniva una trasmissione spontanea della memoria personale e collettiva, mentre emerge una profonda crisi del senso della Storia e quindi dell'identità soggettiva. Contemporaneamente le banche dati imperversano dandoci la sensazione di vivere in un eterno presente dove passato e futuro sembrano retaggio di nostalgici utopisti. Ma ciò è contrario alla natura dell'essere umano, la nostra umana propensione è di stare dentro ad una storia ed all'annullamento del valore della memoria ci dobbiamo opporre fermamente: non dobbiamo permettere che una memoria artificiale, statica e cumulativa si sostituisca alla nostra memoria umana che è sì instabile e imperfetta, ma fonte di indispensabile energia vitale e creatività dove il narrare ed il narrarsi si mescolano e si intrecciano… Così si esprime Clarissa Pinkola Estes: - Una volta sognai di raccontare delle storie e di sentire

qualcuno che mi toccava affettuosamente il piede per incoraggiarmi. Abbassai lo sguardo e scoprii di trovarmi sulle spalle di una vecchia che mi teneva forte le caviglie e mi sorrideva. Le dissi: " No, no, vieni tu sulle mie spalle perché tu sei vecchia ed io sono giovane".

96 J. Hillman, La forza del carattere, op. cit., pp. 142-143.

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"No, no", insistette, "così deve essere." Vidi che lei stava sulle spalle di una donna molto più vecchia, che stava sulle spalle di una donna col mantello, che stava sulle spalle di un'altra anima, che stava sulle spalle… Credetti alla vecchia del sogno che così deve essere. Il nutrimento per la narrazione viene da loro che se ne sono andate. Il narrare o ascoltare storie trae il suo potere da una colonna di umanità unita attraverso il tempo e lo spazio, abbigliata in modo elaborato in cenci o in mantelli, o nella nudità dell'epoca, e piena fino a scoppiare di vita ancora vissuta. Se unica è la fonte delle storie e unico il "numen" delle storie, tutto sta in quella lunga catena umana. (…) Le storie mettono in moto la vita interiore, e ciò è particolarmente importante là dove la vita interiore è spaventata, incastrata o messa alle strette. Le storie ingrassano carrucole e pulegge, stimolano l'adrenalina, ci mostrano la via d'uscita in basso o in alto, e aprono per noi grandi finestre in muri prima ciechi, aperture che conducono nella terra dei sogni, all'amore e alla conoscenza, che ci riportano alla nostra vita vera…-97

Per aprirsi agli altri ed al futuro dobbiamo quindi partire da noi stessi domandandoci :- Come sono arrivato fin qui?- e dalla nostra storia personale dobbiamo partire per comunicare con gli altri e con il mondo. Si tratta di mettere in campo con una certa dose di coraggio, una nuova intenzionalità formativa ed autoformativa che tenda sia al recupero delle progettualità individuali , sia al mantenimento delle memorie collettive attraverso una comunicazione libera e creativa, cioè maieutica. Questo è il nostro compito. - Connettere, accendere scintille, dirmi come parola

autentica: coi miei occhi, il mio volto, le mie mani, con tutto il mio essere. E' necessario apprendere a essere

97 C. P. Estes, Donne che corrono coi lupi, Como, Frassinelli Editore,1993, pp. 19-20.

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parola: sincera, silenziosa, amorosa. Rompere le mie croste, le mie corazze, le mie chiusure, tutto quello che mi impedisce di comunicare. La parola incarnata diviene fuoco e cristallo, e fiume, e mare: e tutte queste sono parole che mi permettono divenire parola. Per me stesso e per l'altro, gli altri. Le parole sono uccelli che mi trasportano alle alture. Mi conducono, ti conducono, ci conducono. Parole-occhio, parole-mani, parole-gesto, parole-silenzio, parole-acqua. Non mascherate: nude. Le incontro in una porta, dentro una muraglia, nelle altezze e nelle profondità di me stesso, di te, di noi… Questa parola strana, noi, che contiene le più solide forze del comunicare: significa che non sono più una parola isolata, che evapora, ma nel mare delle molecole che si fondono. Il nostro essere-parola è il modo di comunicarci: se è impregnato dalla energia "che muove il sole e le altre stelle". Nel mondo che ancora tortura, nel mondo che ancora si tortura.-98

Via via che ci si addentra in un progetto pedagogico, ci si accorge che non è possibile trattare di un problema specifico a cui si possano dare risposte specifiche, esaurienti e definitive, perché l’analisi di un aspetto del sociale si va a configurare come “ aspetto specifico” di un più ampio problema che coinvolge il momento della condizione esistenziale nella sua totalità. Allora, guardando il problema dell’anziano sotto il profilo delle condizioni e dei modi della sua emarginazione-alienazione-esclusione, è facile accorgersi come la logica della risposta a questo problema è la stessa logica della risposta a problemi diversi da quelli dell’anziano. Il tema dell’emarginazione-alienazione-esclusione, chiama in causa il tema dell’integrazione comprendendo tutti quei fenomeni che investono individui e gruppi deprivati della possibilità di inserirsi pienamente nel sistema di rapporti sociali. 98 G. Michel, in: D. Dolci, Comunicare legge della vita, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pp.69-70.

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E’ proprio la prospettiva pedagogica che chiama necessariamente in causa la struttura sociale in senso sistemico: la struttura sociale identifica le condizioni reali in cui si animano e si consumano i processi collettivi. Dunque in questa prospettiva è la dimensione formativa-autoformativa che inevitabilmente emerge come catalizzatore delle linee possibili di azione tendenti a modificare l’esistente. C’è dunque, fin dal primo momento della stesura di un progetto pedagogico, un’intenzione, un orientamento valutativo, un giudizio, una finalità di trasformazione così che, a livello operativo, si possono intravedere linee che potrebbero attenuare l’emarginazione-alienazione-esclusione dell’anziano attraverso scelte politiche e pedagogiche che implichino: ♦ La costruzione di una cultura del lavoro e del profitto

diversa da quella attuale. ♦ Una socializzazione pluralista ed interculturale. ♦ Una politica culturale globale aperta alla partecipazione,

contro la massificazione consumistica. ♦ Una strategia di “servizi aperti” e forme di “welfare” che

puntino alla prevenzione del bisogno e del disagio. ♦ Una formazione maieutica. E’ in questa direzione di utopia ed immaginazione che, anche questo piccolo progetto sul problema degli anziani ospiti di una Casa di Riposo, può diventare come: -…IL BATTITO D’ALI DI UNA FARFALLA CHE, DALL’ALTRA PARTE DELL’UNIVERSO, PUO’ PROVOCARE UN’INCREDIBILE TEMPESTA…- (M. Planck )

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CONCLUSIONI In un mondo stretto nella morsa devastante della guerra preventiva e del terrorismo che dilagano alimentandosi a vicenda; in una società connotata dall'invasione tecnologica dirompente nell'ambito dell'informazione e della trasmissione, fondata sull'omologazione e sul dominio; in un momento storico in cui ci si " rimoderna" la faccia a colpi di lifting reprimendo e rimuovendo anche la vecchiaia per cercare di annullare ogni vulnerabilità, ogni incrinatura, ogni divergenza mentre le identità individuali e collettive vacillano, l'unica chance possibile per riconquistare il senso del futuro come ben Danilo Dolci ha profetizzato, è porre la comunicazione al centro di un nuovo paradigma formativo per apprendere o ri-apprendere a comunicare creativamente. Scriveva Danilo Dolci:

- " Le istituzioni laiche o non che si presumono monopolio della verità, in ogni tempo, nei secoli passati e nel futuro cercano impedire la crescita autentica delle persone, dei gruppi e dei popoli. Occorre appellarsi a chi più avverte l'immensa portata di questa problematica per la vita del mondo, a tutti coloro cui non sfuggono gli intimi nessi tra la valorizzazione delle intime risorse inesplorate, e la pace- o tra sfruttamento e violenza, soprattutto a chi nei diversi contesti esercita una pur varia funzione educativa. Per scoprire ed esprimere i dirompenti segreti del comunicare occorre che germinino ovunque i suoi laboratori, consolidandosi in comuni fronti(…).99

99 D. Dolci (a cura di), Comunicare legge della vita, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p. 42.

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Ciò significa porre tutte le nostre attenzioni al dialogo, all'ascolto e all' "altro", per alimentare ancora quella pietas, quella sincerità, quella humanitas, quell'immaginazione, che sono sorgenti di fratellanza, di comunione e di riconoscimento. Ciò significa considerare il dialogo come occasione formativa primigenia, fonte di inedite opportunità, possibilità, necessità, desiderio vivo e motivante a tutte le età. Ciò significa rompere gli schemi direttivi e lineari a cui la nostra mente è abituata, per coinvolgerci direttamente sia come soggetti con tutta la nostra corporeità ed interiorità, sia come cittadini, come problema etico e sociale. Ciò significa esprimere una forte valenza laica in una prospettiva olistica ed ecologica che connette ogni essere vivente alle " cose" del mondo, anzi, dell'universo. Questa tesi vuole essere una specie di danza che, attingendo a molte "narrazioni del mondo" che illuminati saggi ci hanno regalato, cerca di tessere una trama plausibile… Sono nello sforzo, come colui che vuol comprendere con lo sguardo l'intero creato e invece vede solo miriadi di piccole parti del mondo o miriadi di microscopiche stelle… ma talvolta si ha l'impressione, magari in una goccia d'acqua, in un piccolo fiore o in un volto, di coglierne la visione completa, anzi essenziale… Ecco, questa mia tesi è la ricerca di uno di questi fugaci momenti in cui l'ordine pare imporsi al disordine. E' un contributo per la dimostrazione di come, ancora una volta, una "narrazione del mondo" comunicata, fra le tante, sempre ci conforta, ci cura e ci dà la speranza necessaria per continuare ad immaginare il futuro.

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