pietro sanua... un uomo semplice

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Bando Giovani Reporter contro l'Usura 1° Edizione, 2011 Via Nazionale, Roma – 00184, Roma – tel. Tel. 06/47251 – [email protected]http://www.sosimpresa.it SECONDO PREMIO Pietro Sanua: storia di un uomo semplice di Lidia Baratta, Paolo Fiore

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Autore: Lidia Baratta, Paolo Fiore. Bando Giovani Reporter contro l'Usura - 1° Edizione, 2011 Secondo Premio ex aequo Categoria “Giovani autori, 18 – 26 anni” Secondo Premio ex aequo Categoria “Giovani autori, 18 – 26 anni”. Motivazione: premio assegnato per il rigore della ricostruzione del contesto criminale, a cui si aggiunge, nel linguaggio degli autori, la forza e l'emozione della testimonianza in presa diretta. Giuria: Presidente Stefano Maria Bianchi – Giornalista Anno Zero; Lino Busa' - Pres. Sos Impresa/ Confesercenti; Dario Coletti - Fotografo, Vicedirettore Isfci Di Roma; Gabriele Paci - Giornalista, Docente Universitario; Marcello Ravveduto - Storico, Scrittore, Presidente dell'associazione antiracket Coordinamento Libero Grassi.

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Bando Giovani Reporter contro l'Usura

1° Edizione, 2011

Via Nazionale, Roma – 00184, Roma – tel. Tel. 06/47251 – [email protected] – http://www.sosimpresa.it

SECONDO PREMIO Pietro Sanua: storia di un uomo semplice

di Lidia Baratta, Paolo Fiore

Bando Giovani Reporter contro l'Usura

1° Edizione, 2011

Via Nazionale, Roma – 00184, Roma – tel. Tel. 06/47251 – [email protected] – http://www.sosimpresa.it

Un progetto promosso da SOS Impresa - Confesercenti, Rete per la Legalità

Secondo Premio ex aequo Categoria “Giovani autori, 18 – 26 anni” Motivazione: premio assegnato per il rigore della ricostruzione del contesto criminale, a cui si aggiunge, nel linguaggio degli autori, la forza e l'emozione della testimonianza in presa diretta. Giuria: Presidente Stefano Maria Bianchi – Giornalista Anno Zero; Lino Busa' - Pres. Sos Impresa/ Confesercenti; Dario Coletti - Fotografo, Vicedirettore Isfci Di Roma; Gabriele Paci - Giornalista, Docente Universitario; Marcello Ravveduto - Storico, Scrittore, Presidente dell'associazione antiracket Coordinamento Libero Grassi.

Pietro Sanua: storia di un uomo semplice di Lidia Baratta, Paolo Fiore

«Mio padre ce lʼhanno sulla coscienza almeno cento persone: una mano quello, un occhio quellʼaltro». Lorenzo Sanua sorride amaro mentre ordina una bionda alla spina in un piccolo bar adi Milano, ma ha gli occhi umidi e rabbiosi di chi ha visto morire suo padre e non sa ancora perché. Pietro Sanua è stato ucciso nella milanesissima Corsico con un colpo di lupara, come omicidio di mafia esige. Era il 1995. Nel 2011 Lorenzo e la sua famiglia aspettano ancora di conoscere i colpevoli. Pietro Sanua era nato in provincia di Potenza. Si era trasferito a Milano a dodici anni per fare il panettiere. A diciotto, nel 1969, compra la licenza di ambulante. Dalla farina alla frutta: una storia semplice, di lavoro e immigrazione, come tante in quegli anni. Una storia che si ferma il 4 febbraio di sedici anni fa. Alle 5.30, Pietro, 47 anni, sale sul suo furgone per dirigersi a Corsico, dove lo aspetta una giornata dietro il suo banco di frutta e verdura. Accanto a lui il figlio Lorenzo, allora ventenne, che oggi racconta: «A poche centinaia di metri dal mercato, vedemmo unʼauto, una Fiat punto marrone targata Genova. Rallentò e fece inversione a U a 500-600 metri davanti a noi». Una manovra brusca, inconsueta per una strada provinciale. «Se mio padre avesse avuto dei sospetti, perlomeno avrebbe tentato di tutelare me. Invece disse solo ʻGuarda quel pirla che manovra che fa in una strada cosìʼ». Tutto pensava Pietro Sanua, tranne che ʻquel pirlaʼ stesse per ucciderlo. «Ho sentito uno sparo secco. Hanno colpito mio padre alla testa. Io sono stato sfiorato da qualche scheggia – ricorda Lorenzo mentre le dita salgono alla fronte per indicare i graffi rimasti sulla pelle-. Proiettili auto esplosivi, dissero gli inquirenti». Fuor di gergo tecnico, fucile a pallettoni. Se non è abbastanza chiaro: «Hanno ucciso mio padre con un colpo di lupara». Perché ammazzare così, come si fa con i boss, un fruttivendolo? Pietro Sanua era un dirigente dellʼAnva di Milano, lʼassociazione nazionale venditori ambulanti affiliata a Confesercenti. E aveva fondato Sos impresa, unʼorganizzazione nata per tutelare il lavoro pulito. Un impegno che lo portava a contatto con le logiche poche limpide dei mercati itineranti. E non mercati qualunque. Pietro Sanua era il fiduciario di quelli di Buccinasco, Corsico e Quarto Oggiaro. Zone delicate. Periferie milanesi dove i padrini fanno sentire la loro voce. Sedici anni fa come adesso, ieri con meno rumore di oggi. «Quando cʼera da affrontare un problema, mio padre era lʼunico che si sbatteva per difendere la categoria», ricorda Lorenzo. È probabile che Pietro abbia pestato i piedi a chi non era abituato a vederseli pestare. «Mio padre – Lorenzo ne è convinto – doveva morire

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per far sì che dopo di lui nessuno prendesse il suo posto». Così è stato: nessuno, dopo Pietro Sanua, ha avuto la forza e la possibilità di occuparsi allo stesso tempo dei mercati di Buccinasco, Corsico e Quarto Oggiaro. Di minacce Pietro Sanua non aveva mai parlato. Forse per tutelare la famiglia, forse perché «è stato un ingenuo a non capire i messaggi che gli erano arrivati». Come quella Lancia che, racconta Lorenzo, qualche giorno prima dellʼomicidio aveva fatto strani giri intorno a casa Sanua. O come ʻquel pirlaʼ che stava facendo inversione a u per ammazzarlo. Pietro Sanua era una persona troppo semplice per pensare di poter essere visto come un pericolo dai i boss del luogo. «Dopo lʼomicidio – afferma Lorenzo – le indagini andarono in unʼaltra direzione. Si pensò che potesse essere lʼamante di una persona sbagliata. Scavarono a fondo tra i familiari». Dovranno passare due mesi dallʼomicidio prima che Fabrizio Gatti, il 21 aprile del 1995, parli sul Corriere della Sera di “Mafia delle licenze” a proposito del delitto Sanua. Lʼindagine, però, viene archiviata. «Nel fascicolo di 50-60 pagine non cʼera nessun nome con delle prove. Solo supposizioni. E io – dice stizzito Lorenzo – non fui chiamato a testimoniare nonostante fossi lʼunico testimone dellʼomicidio». Nessun colpevole, dicono le carte. Ma Lorenzo unʼidea ce lʼha: per lui lʼassassinio del padre prende forma nel 1994. «Venne a casa nostra Piero, un suo amico. Che disse: ʻMi hanno detto che anche questʼanno non prenderò il posto al mercato del cimitero monumentaleʼ. Mio padre rispose: ʻE come fai a saperlo se il sorteggio ancora non è stato fatto?ʼ». Una bancarella di fiori accanto al cimitero è posto ambito. Per questo, ogni anno, le postazioni vengono assegnate a sorte. Questione di fortuna. Piero aveva appena fatto capire a Pietro Sanua che la dea bendata ci vedeva benissimo. È a questo punto, secondo Lorenzo, che suo padre si scontrò con il racket delle tangenti per lʼassegnazione delle postazioni nei mercati. «Penso che quellʼepisodio abbia acceso una lampadina nella testa di mio padre. Che fece presente lʼaccaduto allʼinterno di Confesercenti». A quanto pare senza seguito. Come dimostra, secondo Lorenzo, il comportamento degli ex colleghi del padre. Fino al giorno dellʼomicidio, tutti cercavano Pietro per risolvere i loro problemi. Dopo, tutti si sono allontanati. Come “lʼamico” Piero. «Non lʼho più visto. Lʼho incontrato solo una volta, quattro anni, dopo sulla tomba di mio padre». «Mio padre», lo ripete spesso Lorenzo. Cʼè un «mio padre» quasi in ogni frase, scandito con orgoglio. A voler ricordare quellʼuomo «brillante, sorridente, ben voluto da tutti», almeno fino a che era vivo e difendeva gli interessi dei colleghi. «I suoi ultima anni li ha vissuti per il prossimo e questo lo ha portato alla morte». Glielo avevano detto di «farsi i fatti suoi», magari scherzando e senza pensare a quello che sarebbe poi successo anni dopo. Come quella volta alla fiera dei navigli di Milano «Io avevo 14 anni – ricorda Lorenzo – e lui guidava un corteo. Mio zio gli disse ʻPietro, ti sbatti talmente tanto che farai una brutta fineʼ». Quando, dopo lʼomicidio, Lorenzo rimette su la bancarella del padre, tutti sembrano aver già dimenticato i consigli, le battaglie, i cortei. «Al mercato non gliene fregava niente a nessuno. Ho un concorrente in meno: la cosa venne letta così. Nessuno si aspettava che io e mia madre ci saremmo rimboccati le maniche. Ma dopo due anni e mezzo ho venduto perché non ce la facevo più a continuare quel lavoro. Nel commercio devi sorridere. Per me a ventʼanni era difficile, ero sempre nervoso». Adesso Lorenzo, le mani macchiate di vernice, lavora nellʼedilizia. Ha una compagna e una figlia che, manco a dirlo, ha chiamato Petra, come il nonno. Lorenzo si è allontanato dai mercati, ma non ha mollato lʼidea di fare chiarezza sullʼassassinio del padre. «Nei momenti di non lucidità ho anche pensato di andare da chi penso io con un registratore nascosto», ammette Lorenzo, convinto che molte persone sappiano chi ha ucciso Pietro Sanua. «Non voglio sapere chi sono gli esecutori. Voglio sapere chi è il mandante. Gli esecutori li avranno fatti sparire subito. I mandanti sono ancora qui, liberi, a Milano».

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Per i giudici, lʼomicidio di Pietro Sanua non ha colpevoli. Per lo Stato, quel fruttivendolo ucciso a colpi di lupara in provincia di Milano non è stato ammazzato dalla malavita organizzata. Ci sono voluti quindici anni perché qualcuno riconoscesse Lorenzo come familiare di vittima di mafia. Succede il venti marzo 2010, grazie allʼassociazione antimafia Libera. Un discorso di Lorenzo Sanua apre la manifestazione organizzata da Don Luigi Ciotti a Milano. «Dissi che mio padre era una persona semplice, non famosa, umile. Don Ciotti mi rispose che non ci sono vittime di mafia di primo e di secondo ordine, sono tutte vittime. Adesso mio padre – rivendica Lorenzo – è come Tobagi, Moro, Dalla Chiesa». Un piccolo riconoscimento, lʼunico. Lorenzo Sanua parla senza pause, abbandona gli affondi e le accuse per riscoprire i ricordi: «Mio padre era anche il mio migliore amico. Mi confidavo con lui. Mi ha accompagnato al concerto di Vasco. Persone come lui non ce ne sono più e tu vorresti essere uguale per tua figlia». La birra piccola ordinata allʼinizio dellʼintervista è ancora tutta lì, ormai calda. Ride Lorenzo. E con le parole, con il racconto, cerca di riempire il vuoto lasciato da quello che manca, la verità: «A distanza di sedici anni, ancora non so perché non ho più un padre».