quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · questo significa che la scuola, anche in...

22
1 Mario Pollo Quale scuola, quale educazione oggi? Fidae, Roma 7 Aprile 2005 Parte prima Anche la scuola così come la famiglia è stata oggetto negli ultimi decenni di profonde crisi e tra- sformazioni. Per comprendere la portata di queste trasformazioni occorre ricordare che sino agli an- ni sessanta la scuola godeva di un vero e proprio monopolio educativo e si presentava come l’unica istituzione capace di rispondere ai bisogni ed alle attese formative individuali e sociali, e come que- sto monopolio si sia in seguito dissolto nel policentrismo formativo. Questo fenomeno ha contribuito anche, insieme alla complessificazione della società, alla messa in crisi del legame tra scuola e lavoro, nel senso che il titolo di studio non era più sufficiente per ga- rantire lo sbocco professionale ad esso corrispondente. In altre parole si può dire che l’inflazione dei titoli di studi ha fatto perdere ad essi valore. Secondo alcuni sociologi 1 la conseguenza di questa riduzione di valore dei titoli di studio è stata la perdita della speranza di mobilità sociale per mezzo del titolo di studio. L’importanza sociale della scuola, nonostante tutto Uno degli effetti del policentrismo formativo è stato l’individualizzazione dei percorsi di cresci- ta. Questo fenomeno che, apparentemente, scioglie i legami tra la condizione sociale di appartenen- za e il tipo di percorso di crescita che le nuove generazioni debbono seguire, e che dovrebbe perciò garantire ad esse una opportunità di realizzazione personale maggiormente paritaria, di fatto tende a esaltare ancora di più le differenze sociali tra chi ha a disposizione nel proprio ambiente un insieme di opportunità formative ricco ed evoluto e chi vive, invece, in un ambiente sociale deprivato da questo punto di vista. La stessa scuola gioca un ruolo differenziato a seconda dei giovani che la frequentano. Infatti la medesima scuola per alcuni rappresenta una tratto importante nel proprio percorso di crescita, men- tre per altri questo tratto può essere insignificante o, addirittura, regressivo. La possibilità di utilizzare adeguatamente l’offerta scolastica deriva, infatti, da una pluralità di condizioni personali, sociali e culturali, oltre che dalla capacità della scuola “vendere” la propria formazione. Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- scita, ha molte difficoltà a sottrarsi al suo ruolo storico di riproduttrice delle disuguaglianze sociali. Tra l’altro, un effetto paradossale della scolarizzazione di massa e stato quello di rendere imme- diatamente percepibili le disuguaglianze sociali. A questo proposito Cavalli afferma che è la scuola di massa a livello di medio e medio-superiore che rende:«per la prima volta possibile l’esperienza della disuguaglianza sociale come esperienza intensa e diffusa nella sfera dei rapporti interpersonali quotidiani che si stabiliscono nel gruppo dei apri, Paradossalmente, più una scuola è di èlite, meno visibile è la disuguaglianza: solo quando la scuola diventa di massa, quindi quando si attenua la di- suguaglianza nell’accesso all’istruzione, essa diventa visibile ed è possibile farne esperienza concre- ta». 2 1 Boudon R., Effets pervers et ordre social, Puf, Paris, 1977 ; Barbagli M., Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, Il Mulino, Bologna, 1974. 2 Cavalli A., “Perché nasce nella scuola l’istanza rivoluzionaria”, Annali della Pubblica Istruzione , XXIV, 4-5: 448.

Upload: doanh

Post on 21-Feb-2019

216 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

1

Mario Pollo

Quale scuola, quale educazione oggi? Fidae, Roma 7 Aprile 2005

Parte prima Anche la scuola così come la famiglia è stata oggetto negli ultimi decenni di profonde crisi e tra-

sformazioni. Per comprendere la portata di queste trasformazioni occorre ricordare che sino agli an-ni sessanta la scuola godeva di un vero e proprio monopolio educativo e si presentava come l’unica istituzione capace di rispondere ai bisogni ed alle attese formative individuali e sociali, e come que-sto monopolio si sia in seguito dissolto nel policentrismo formativo.

Questo fenomeno ha contribuito anche, insieme alla complessificazione della società, alla messa in crisi del legame tra scuola e lavoro, nel senso che il titolo di studio non era più sufficiente per ga-rantire lo sbocco professionale ad esso corrispondente. In altre parole si può dire che l’inflazione dei titoli di studi ha fatto perdere ad essi valore.

Secondo alcuni sociologi1 la conseguenza di questa riduzione di valore dei titoli di studio è stata la perdita della speranza di mobilità sociale per mezzo del titolo di studio.

L’importanza sociale della scuola, nonostante tutto Uno degli effetti del policentrismo formativo è stato l’individualizzazione dei percorsi di cresci-

ta. Questo fenomeno che, apparentemente, scioglie i legami tra la condizione sociale di appartenen-za e il tipo di percorso di crescita che le nuove generazioni debbono seguire, e che dovrebbe perciò garantire ad esse una opportunità di realizzazione personale maggiormente paritaria, di fatto tende a esaltare ancora di più le differenze sociali tra chi ha a disposizione nel proprio ambiente un insieme di opportunità formative ricco ed evoluto e chi vive, invece, in un ambiente sociale deprivato da questo punto di vista.

La stessa scuola gioca un ruolo differenziato a seconda dei giovani che la frequentano. Infatti la medesima scuola per alcuni rappresenta una tratto importante nel proprio percorso di crescita, men-tre per altri questo tratto può essere insignificante o, addirittura, regressivo.

La possibilità di utilizzare adeguatamente l’offerta scolastica deriva, infatti, da una pluralità di condizioni personali, sociali e culturali, oltre che dalla capacità della scuola “vendere” la propria formazione.

Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre-scita, ha molte difficoltà a sottrarsi al suo ruolo storico di riproduttrice delle disuguaglianze sociali.

Tra l’altro, un effetto paradossale della scolarizzazione di massa e stato quello di rendere imme-diatamente percepibili le disuguaglianze sociali. A questo proposito Cavalli afferma che è la scuola di massa a livello di medio e medio-superiore che rende:«per la prima volta possibile l’esperienza della disuguaglianza sociale come esperienza intensa e diffusa nella sfera dei rapporti interpersonali quotidiani che si stabiliscono nel gruppo dei apri, Paradossalmente, più una scuola è di èlite, meno visibile è la disuguaglianza: solo quando la scuola diventa di massa, quindi quando si attenua la di-suguaglianza nell’accesso all’istruzione, essa diventa visibile ed è possibile farne esperienza concre-ta».2

1 Boudon R., Effets pervers et ordre social, Puf, Paris, 1977 ; Barbagli M., Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in

Italia, Il Mulino, Bologna, 1974. 2 Cavalli A., “Perché nasce nella scuola l’istanza rivoluzionaria”, Annali della Pubblica Istruzione , XXIV, 4-5: 448.

Page 2: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

2

Nonostante tutto questo e la perdita dell’egemonia nella formazione delle nuove generazioni la scuola svolge comunque un ruolo ancora molto importante. Se non altro perché essa occupa molto tempo nella vita di un giovane. Secondo un’indagine dell’Istat nel corso di una normale settimana i bambini italiani passano più tempo a scuola di quello che utilizzano per giocare o per stare con gli amici3. Brint ha calcolato che negli Stati Uniti il numero di ore passate a scuola da un giovane tra i cinque e i diciotto anni è di almeno 13.000 e per quelli che hanno frequentato l’università esso supe-ra le 17.0004. Oltre che per la quantità le ore passate a scuola «hanno una maggiore influenza in termini di socializzazione, in quanto la scuola richiede un elevato grado di concentrazione, compe-tizione e interazioni di gruppo. Anche se si considera solo il tempo che vi si trascorre, la scuola è molto più importante delle altre agenzie di socializzazione come le chiese e le attività del tempo li-bero».5

L’importanza della scuola è resa evidente dal fatto che gli Stati investono in essa percentuali di spesa pubblica che arrivano in alcuni casi sino all’8% e che essa occupa una quantità cospicua di docenti e di personale non docente. Gli Stati, nonostante il policentrismo formativo, continuano a ritenere che l’istruzione scolastica sia fondamentale per «formare una forza lavoro qualificata e una cittadinanza qualificata»6.

Il dibattito sulla positività o sulla negatività dell’istruzione scolastica va avanti da oltre due seco-li, senza che i sostenitori delle due posizioni estreme riescano a trovare un punto di accordo.

Tra le caratteristiche positive che vengono normalmente indicate a favore della scuola vi sono quelle riferite alla selettività, all’organizzazione curricolare ed alla capacità di stabilire dei confini. Il termine selettività non va inteso nel senso tradizionale, perché esso indica, semplicemente, che le scuole sono molto selettive intorno a ciò che insegnano. Infatti «l’esplicito commercialismo, le mo-de popolari, la musica popolare, i gerghi della strada e i dialetti, i pregiudizi etnici e religiosi, ad esempio, di solito sono vietati. E quasi sempre sono previste la lingua nazionale, la letteratura, la matematica, le scienze, la storia, l’educazione civica, nonché (poche) altre materie»7.

L’organizzazione curricolare, testimonia, invece, che nella scuola, a differenza di quanto accade nella vita quotidiana, gli oggetti dell’apprendimento sono presentati in modo progressivo, dove ciò che precede rende possibile o facilita l’apprendimento di ciò che segue, all’interno di una progres-sione verso oggetti di studio sempre più complessi.

Infine, i confini indicano semplicemente che la scuola è nettamente separata dall’ambiente ester-no, perché in essa non possono entrare quegli aspetti dell’ambiente sociale esterno che vengono ri-tenuti negativi. Ma non solo. Anche le differenze che caratterizzano la vita sociale, come la ricchez-za o la povertà, la religione, il genere ecc. non dovrebbero avere corso all’interno della scuola.

Queste caratteristiche dell’organizzazione scolastica sarebbero quelle che offrono ai ragazzi «l’opportunità di sottrarsi ai vincoli imposti dalla natura e dai gruppi sociali a cui appartengono per nascita».8

A questa visione positiva dell’organizzazione scolastica fa da contrappunto quella di chi vede dominante in essa la presenza di un lato oscuro. Secondo questi studiosi la scuola sarebbe essen-zialmente un luogo in cui i giovani sono sottomessi al dominio della paura e della noia.

Un pedagogista americano sostiene, ad esempio, che:«in grandissima misura la scuola è un luogo dove i bambini imparano ad essere stupidi. I bambini di uno, due o persino tre anni si impegnano totalmente in tutto ciò che fanno. Abbracciano la vita e la divorano; per questo motivo imparano co-sì in fretta e costituiscono un’ottima compagnia. L’indifferenza, la noia, l’apatia […] queste vengo-no dopo. I bambini arrivano a scuola curiosi; entro pochi anni quella curiosità è morta, o quanto

3 Brint S., Scuola e società, Il Mulino, Bologna 2002, p.11. 4 Ivi, p.10. 5 Ivi, p.11. 6 Ivi, p.13 7 Ivi, p.15. 8 Ivi, p.15.

Page 3: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

3

meno inerte. Se permetti a una classe di prima o di terza elementare di rivolgerti domande, ti som-mergeranno; i ragazzi della quinta non dicono nulla».9

Nella scuola poi le caratteristiche personali degli alunni interessano meno i docenti della loro ca-pacità di apprendere. Infine le scuole, in quanto ambienti fisici, sarebbero luoghi grigi e spesso squallidi, oltre che emotivamente piatti, in quanto non sono quasi mai presenti in essa manifestazio-ni affettive, di gioia o di rabbia.10

A fronte di queste critiche radicali nei confronti dell’organizzazione scolastica i sostenitori della sua funzione positiva controbattono che seppur è vero che:

v la scuola richiede al bambino di imbrigliare la sua energia, di concentrarla per un tempo ab-bastanza lungo su un unico oggetto;

v alcuni bambini non riescono ad adattarsi facilmente all’ambiente scolastico e si trovano pe-rennemente a disagio in esso;

v in essa danno le migliori prestazioni quei soggetti che riescono a controllare meglio la loro emotività.

È altrettanto vero che la scuola può comunque riuscire a stimolare e motivare gli alunni e, quin-di, ad ottenere da essi le prestazioni richieste attraverso delle strategie adeguate.

Secondo Brint il fondamento di queste strategie è costituito dall’ordine morale. Dove «per “ordi-ne morale” intendo un insieme condiviso di norme di comportamento, orientamenti e identità. Fan-no parte dell’ordine morale costruito dalla scuola i seguenti elementi: l’organizzazione dello spazio e del tempo, il ricorso a rituali di differenziazione e di integrazione, la creazione di gerarchie di sta-tus, l’uso di categorie di appartenenza standardizzate. Alcuni elementi dell’ordine morale delle scuole non sono consapevolmente costruiti, bensì emergono dall’attività congiunta di docenti ed alunni nella vita quotidiana in aula».11

Insieme agli elementi indicati nella citazione, costituisce una parte importante dell’ordine morale delle scuole la vita comunitaria che scaturisce dalle interazioni di vita quotidiana delle persone che la formano. In altre parole questo significa che la scuola diventa una sorta di villaggio, dove si è ri-conosciuti attraverso forme particolari di comunicazione, solitamente piacevoli, come soprannomi, battute personalizzate, dove si formano miti e leggende circa studenti e insegnanti del passato e do-ve esiste un tempo sociale scandito attraverso le cadenze dell’anno scolastico, della settimana e del-la routine quotidiana: fare l’appello, riprendere la lezione del giorno precedente, presentare la lezio-ne odierna, dare i compiti a casa, l’intervallo, ecc.12.

La scuola e la selezione sociale

La scuola, come si è già accennato, rischia in molte situazioni di svolgere la funzione di riprodut-trice delle disuguaglianze sociali, in quanto non offre a tutti pari opportunità di raggiungimento di un elevato livello scolare, sia in termini di titoli di studio che di acquisizione di competenze.

La scuola, da questo punto di vista, fa parte a pieno titolo delle «disparità sistematiche nella di-stribuzione di beni e privilegi, con le quali si usa definire il concetto di disuguaglianza».13

Questo ruolo è stato attribuito alla scuola nel momento in cui nella società industriale si è costi-tuito il legame tra istruzione e occupazione, in cui il conseguimento del titolo di studio è diventato la via principale per il ottenere il successo nella vita adulta. Nonostante il policentrismo formativo e la riduzione del valore dei titoli di studio, la scuola continua a essere, specialmente se associata ad altri fattori individuali, sociali ed economici, uno dei fattori decisivi per la collocazione nel mercato del lavoro.

Per spiegare questa connessione fra il livello di istruzione ed il successo nella vita adulta vi sono due tipi di teorie che si collocano su due poli opposti.

Il primo tipo è costituito dalle teorie meritocratiche che affermano che le società moderne garan-tiscono ad ogni generazione la ridistribuzione dei privilegi selezionando le persone intellettualmente

9 Holt J., How Children Fail, Pittman, New York, 1964, p.157. 10 Goodland J, A Place Called School: Prospect for the Future, McGraw-Hill, New York, 1984. 11 Brint S., Scuola e società, cit., p.18. 12 Ivi, pp.20-21. 13 Besozzi E., Elementi di sociologia dell’educazione, cit. p.108.

Page 4: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

4

più capaci, volenterose e tenaci. In questa selezione la scuola giocherebbe un ruolo fondamentale perché offrirebbe ad ogni persona, al di là della sua condizione socio – economica – culturale origi-naria, le stesse opportunità di istruzione. Ad ogni generazione si formerebbe, attraverso una selezio-ne assolutamente democratica, una sorta di “aristocrazia del talento” la cui estrazione sociale è la più variegata.

Queste teorie meritocratiche si fondano sulla concezione che per garantire l’uguaglianza dei cit-tadini è sufficiente offrire ad essi uguali opportunità di accesso a posizioni economiche, di potere e di prestigio che rimangono disuguali. D’altronde la democrazia non si basa su «una radicale pere-quazione della ricchezza» perché essa richiede «un processo continuo in base al quale potere e pri-vilegi siano automaticamente distribuiti alla fine di ogni generazione».14

Per svolgere questa funzione democratica/meritocratica la scuola deve, quindi, garantire a tutti pari opportunità di istruzione.

Il secondo tipo di teorie, definite della “riproduzione sociale”, negano che alla fine di ogni gene-razione i privilegi siano automaticamente ridistribuiti e affermano che la cosiddetta “aristocrazia del talento” è il frutto di status trasmessi ereditariamente. La meritocrazia non sarebbe che una sorta di maschera che nasconde il fatto che ad appartenere a questa aristocrazia sarebbero principalmente coloro che già godono di posizioni sociali privilegiate, che risulterebbero essere anche i più merite-voli.

Questo perché la scuola non riuscirebbe a «scorgere il potenziale di coloro che non sono portato-ri del linguaggio, della cultura e dei valori delle classi privilegiate».15 Questo perché «per riprodurre la forza lavoro, la scuola è destinata a legittimare la disparità, a limitare lo sviluppo personale a forme compatibili con la sottomissione all’autorità e a concorrere alla rassegnazione della gioventù al proprio destino».16

Sottostante a queste teorie vi è la concezione che la vera uguaglianza non nasce dall’uguaglianza delle opportunità di accesso ai privilegi sociali ma dall’accesso a posizioni uguali.

In queste teorie viene sottolineato come nel percorso formativo scolastico entrino in gioco non solo le potenzialità individuali ma in modo significativo le risorse o i limiti familiari, sociali, cultu-rali ed economici di cui ogni studente è portatore. La scuola non sarebbe in grado di far superare, perché le ignora sistematicamente, le condizioni disuguali di partenza dei suoi allievi. Tra l’altro questo fatto sarebbe all’origine dell’insuccesso scolastico.

Bourdieu e Passeron in particolare hanno sviluppato questa riflessione attraverso l’introduzione dei concetti di “capitale culturale” e di “ethos di classe”17.

«Il capitale culturale è costituito dall’insieme dei beni simbolici trasmessi dalle agenzie educati-ve, in primo luogo la famiglia, e denota la possibilità di un soggetto di avere successo e di collocarsi nella scala sociale. Esso è costituito dalle buone maniere, dallo stile di vita, dal buon gusto oltre che dalle informazioni e conoscenze.[…] L’ethos di classe è invece costituito dall’insieme dei valori, che contribuiscono a definire anche gli atteggiamenti verso la scuola e la cultura scolastica. Capitale culturale ed ethos formano pertanto l’eredità culturale di ciascun allievo»18.

Per attenuare il determinismo di questa concezione Boudon ha introdotto il concetto di “bivio” all’interno della carriera scolastica. «Boudon avanza pertanto, contro il rigido condizionamento dell’eredità culturale, una teoria della “scelta scolastica” attraverso la quale poter spiegare sia «per-ché ci si debba attendere che un individuo di classe sociale inferiore abbia, in generale, un basso li-vello di scolarità» - in relazione a un calcolo molto più frequente e necessario dei costi benefici cui va incontro investendo in istruzione – sia anche «perché le scelte in campo scolastico dipendano piuttosto debolmente dall’origine sociale quando la resa scolastica è buona e invece perché ne di-pendano fortemente quando la resa scolastica è cattiva». Pertanto, «l’iter scolastico di un adolescen-

14 Conant J.B., “Education for a Classless Society: The Jeffersonian Tradition”, The Atlantic, 165, 1940: 548. 15 Brint S., Scuola e società, Cit., p.171. 16 Bowles S. e Gintis H., Schooling in Capitalist America, Basic Book, New York 1976, p.266. 17 Bourdieu P e Passeron C., La riproduzione, Guaraldi, Rimin, 1972. 18 Besozzi E., Elementi di sociologia dell’educazione, cit., pp.116-117.

Page 5: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

5

te può essere considerato come una somma di decisioni, la cui frequenza, natura e importanza sono determinate dalle istituzioni scolastiche»»19.

Come si vede questa teoria di Boudon, pur tenendo nel debito conto l’influenza dei fattori fami-liari e sociali, introduce anche le scelte individuali creando una dialettica tra individuo e condizio-namenti sociali.

Al di là delle teorie rimane comunque il fatto, sottolineato dagli studi degli anni ottanta e novan-ta, che le diverse classi sociali hanno differenti abilità nell’utilizzare i tutoli di studio e le credenzia-li educative e, quindi, di appropriarsi dei vantaggi forniti dall’istruzione.20

Lo stesso titolo di studio e gli stessi crediti formativi hanno un diverso valore a seconda di chi li possiede. E questo conferma quanto affermato all’inizio circa l’indebolimento del legame tra istru-zione scolastica e lavoro.

La dispersione scolastica

L'espressione dispersione scolastica indica, come è noto, un insieme di situazioni che comprende l'evasione dell'obbligo scolastico, gli abbandoni prima della conclusione di un ciclo formativo, le ripetenze, le frequenze irregolari e i ritardi rispetto all'età scolare.

Alcuni studiosi comprendono poi nel fenomeno della dispersione scolastica anche il sommerso costituito da coloro che, pur avendo raggiunto il titolo di ammissione ad una classe o ad un grado ulteriore di studi, non hanno maturato quei requisiti che consentirebbero loro di frequentare con successo le ulteriori fasi di istruzione.21

Secondo alcune valutazioni molto attendibili questo sommerso riguarderebbe il 50% dei ragazzi che al termine della scuola media accedono alla scuola superiore. Sarebbe tale infatti la percentuale di coloro che non hanno maturato i requisiti conoscitivi e comportamentali necessari ad affrontare con successo il ciclo di studi della scuola media superiore.

C'è da tenere presente che questa dispersione sommersa è destinata ad emergere quasi comple-tamente nel prosieguo del corso di studi dei ragazzi che ne sono protagonisti. Basti pensare al nu-mero delle bocciature e degli abbandoni nel biennio (ma anche nel triennio) delle scuole medie su-periori per avere una conferma puntuale di questo fenomeno. Questa dispersione si proietta anche negli studi universitari ed è responsabile di molti fallimenti ed abbandoni o mancate conclusioni in questo ordine di studi. Infine occorre segnalare che una quota di dispersione sommersa riguarda an-che coloro che hanno concluso l'università con il conseguimento della laurea, in quanto anche in questo caso alcuni laureati non posseggono i requisiti necessari all'inserimento nel mondo del lavo-ro in ruoli congruenti con la loro scolarità formale.

Il fenomeno della dispersione sommersa rischia di essere in qualche modo incrementato dalla comparsa nel nostro ordinamento scolastico del cosiddetto “debito formativo” in sostituzione dei corsi di recupero e del precedente esame di riparazione. Ora se è pur vero che né gli esami di ripara-zione, né tanto meno i corsi di recupero sono stati un efficace antidoto alla dispersione sommersa, è altrettanto vero che il debito formativo rischia di essere una sorta di formalizzazione e, quindi, di accettazione della sua esistenza.

Come si vede il fenomeno della dispersione scolastica è molto complesso e variegato al suo in-terno, abbracciando una gamma di situazioni che va da quella dell'abbandono a quella della conclu-sione del ciclo di studi con un livello di preparazione inferiore a quello necessario per affrontare gli impegni successivi di studio o professionali.

L'introduzione nel fenomeno della dispersione scolastica sommersa consente anche di considera-re questo fenomeno più attentamente, sia per la sua funzione di produttore potenziale di disagio giovanile, sia in quanto indicatore inequivocabile delle disfunzioni strutturali del sistema scolastico italiano.

19 Ivi, pp.117-118. 20 Schizzerotto A., I rapporti tra istruzione e occupazione, in Moscati (a cura di), La sociologia dell’educazione in Italia. Centralità e marginalità della scuola. Zanichelli, Bologna, 1989,

pp.41-42. 21 De Rossi A., “Dispersione che fare”, Animazione Sociale, 5, 1993: 4-5.

Page 6: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

6

C'è da tenere conto, infatti, che il fenomeno della dispersione scolastica ha assunto una notevole importanza nel dibattito sulla scuola e, più in generale, sulla condizione esistenziale e sociale delle nuove generazioni per due distinte ragioni. La prima è quella della correlazione esistente tra questo fenomeno ed alcuni percorsi di accesso alla devianza ed alla marginalità sociale. La seconda riguar-da, come si è prima visto, l’incapacità del sistema scolastico di far superare ai suoi alunni gli svan-taggi materiali od immateriali di cui sono portatori, con la conseguente messa in crisi del modello costituzionale di una scuola in grado di fornire pari opportunità a tutti i giovani cittadini italiani.

Se a queste ragioni si aggiunge che il fenomeno della dispersione scolastica non si distribuisce in modo uniforme nel territorio nazionale, ma tocca con più intensità le aree territoriali più deprivate in termini materiali e culturali, si ha un ulteriore motivo di giustificazione dell'importanza sociale di questi fenomeno che, per alcuni versi, assume i caratteri di una vera e propria emergenza educativa.

Occorre, infine, ricordare che nella prospettiva europea è importante per il nostro sistema scola-stico raggiungere un livello di produttività superiore, in quanto attualmente, pur non essendo molto distante da quello degli altri paesi europei, il tasso di scolarizzazione italiano è superiore, all'interno dell'OCDE, solo a quelli del Portogallo e della Turchia.

Per quanto riguarda il contrasto della dispersione scolastica si può affermare, in generale, che le proposte di contrasto della dispersione scolastica debbono tenere conto non solo della scuola ma, vista la particolare eziologia del fenomeno, anche della famiglia e dell’ambiente sociale in cui l’alunno vive.

Senza un intervento a rete in grado di integrare azioni che agiscono a livelli differenti della com-plessa dimensione esistenziale del ragazzo è assai improbabile ottenere un qualche successo nella prevenzione di questa disfunzionalità del processo educativo sociale.

Se è vero che le condizioni familiari sociali, economiche e culturali giocano un ruolo molto im-portante nella dispersione scolastica, è anche vero, come afferma Boudon, che le scelte individuali possono far superare al giovane lo svantaggio di partenza..

Questo appare ancor più vero per l’esistenza, come si è visto, dell’individualizzazione dei per-corsi di crescita e della liquefazione dei legami comunitari, che fanno del soggetto l’unico respon-sabile della propria traiettoria di vita, del successo o dell’insuccesso della propria personale realiz-zazione umana.

Questa possibilità di scelta può essere offerta dalla scuola attraverso tre vie: la relazione educati-va, la gestione educativa del gruppo classe e la personalizzazione dei curricoli scolastici.

La relazione educativa Per quanto riguarda la relazione che gli insegnanti debbono instaurare con gli alunni essa, per es-

sere educativamente efficace essere caratterizzata: q dalla capacità di ascolto dell’insegnante, ovvero della sua capacità di comprendere gli alunni

e di far sentire ognuno di essi una persona unica perché riconosciuta nelle sue caratteristiche particolari;

q dalla cura dell’insegnante nel mettere al centro della propria azione educativa gli alunni, prima ancora della materia e delle esigenze organizzative;

q dalla passione comunicata dall’insegnante per la materia scolastica insegnata; q dall’utilizzo di metodi didattici che prevedano la partecipazione attiva degli alunni; q dalla capacità di usare l’ironia, di fare battute e di scherzare all’interno dell’insegnamento

della materia, aiutando in questo modo l’attenzione degli alunni e rendendo più piacevole la lezione.

Queste caratteristiche, oltre che rispondere ai requisiti di una buona pedagogia, rispondono anche dalle aspettative che gli scolari e gli studenti hanno nei riguardi del loro rapporto con gli insegnanti, come emerge dalle ricerche qualitative.

Oltre a queste caratteristiche positive i ragazzi sottolineano solitamente gli elementi distruttivi che alcune volte compaiono nella relazione insegnanti/alunni:

• il disprezzo e lo stigma che alcuni insegnanti manifestano nei confronti delle scarse capacità di alcuni alunni;

Page 7: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

7

• il tentativo, da parte di alcuni insegnanti, di coinvolgimento, attraverso una vera e propria ri-chiesta di comprensione e sostegno, degli alunni intorno ai motivi della loro disaffezione nei confronti dell’insegnamento;

• la centratura dell’insegnamento sulla disciplina, a cui si accompagna la messa in atto di una sorta di isolamento relazionale tra il mondo vitale degli insegnanti e quello degli alunni.

La gestione educativa del gruppo classe Oltre che la relazione insegnante/alunno nel vissuto di questi ultimi gioca un ruolo importante, ai

fini del buon adattamento scolastico, il rapporto con il gruppo classe. Infatti, per molti ragazzi que-sto rapporto è un fattore determinante nel rendere più o meno piacevole l’andare a scuola.

Ci sono dei ragazzi la cui la motivazione principale dell’andare a scuola è quella dell’incontro con i compagni di classe. All’estremo opposto ci sono, invece, i ragazzi per i quali l’esperienza dell’andare a scuola è resa particolarmente sgradevole dalla relazione negativa con alcuni o con la maggioranza dei compagni di classe. Si tratta di quei ragazzi che sono vittime o del bullismo o dello scherno dei compagni per le loro carenti prestazioni scolastiche o per le loro limitate doti intellet-tuali. C’è da dire che alcune volte gli autori del dileggio imitano con questo comportamento quello di alcuni insegnanti.

Dalle ricerche emerge anche che oltre che per il vissuto relazionale la classe è importante per le sue potenzialità di contagio positive e negative. Infatti dal gruppo classe si può generare la motiva-zione o la demotivazione nei confronti dello studio. A questo proposito occorre sottolineare che ogni gruppo classe elabora, quasi sempre, delle norme relative alle prestazioni scolastiche, oltre a fornire un senso positivo o negativo a queste stesse prestazioni.

L’azione degli insegnanti e della scuola in generale nei confronti del gruppo classe è spesso semplicemente inesistente, perché purtroppo nella scuola la classe è assai raramente considerata un gruppo e, quindi, una risorsa educativa. Di solito essa è considerata una sorta di contenitore, più o meno grande, di individui con i quali, nella quasi totalità dei casi, l’insegnante sviluppa una relazio-ne duale, l’unica che viene considerata necessaria allo svolgimento del processo educativo. Le rela-zioni tra gli alunni nella classe sono quasi sempre presi in considerazione solo come elemento di di-sturbo o di interferenza nella comunicazione insegnanti/alunni. Al massimo queste relazioni sono ritenute utili in particolari attività integrative extracurricolari finalizzate alla socializzazione.

Senza voler negare il ruolo fondante per il processo educativo scolastico della relazione duale in-segnante/alunni, è però necessario sottolineare che essa può essere potentemente integrata dall’utilizzo del gruppo in chiave educativa, che tra l’altro è utilizzato su vasta scala in molte attivi-tà educative extrascolastiche.

Utilizzare la classe come gruppo educativo arricchirebbe indubbiamente l’offerta educativa della scuola e le consentirebbe di affrontare meglio le sfide che l’attuale cultura sociale le pone, special-mente dal versante della formazione della persona e di una evoluta socialità, oltre naturalmente alla prevenzione di quelle situazioni che possono produrre forme gravi di disaffezione alla scuola sino all’abbandono della stessa.

Per non dimenticare la possibilità concreta che il lavoro con il gruppo offrirebbe alla soluzione di problemi interni alla classe come il bullismo, i sottogruppi trasgressivi, l’emarginazione di alcuni soggetti deboli o, anche, lo scarso rendimento collettivo di alcune classi.

La gestione del gruppo classe richiede però agli insegnanti sia l’acquisizione di una particolare competenza, sia l’adozione di un modello di lavoro sui gruppi classe condiviso all’interno di un progetto comune.

La personalizzazione del curricolo scolastico e l’orientamento Il primo livello di personalizzazione del curricolo dovrebbe consistere nell’offrire ai ragazzi, che

possiedono un capitale culturale poco funzionale al successo nella carriera scolastica, delle espe-rienze in cui essi possano attivare dei processi di traduzione della propria cultura e del proprio lin-guaggio nella cultura e nel linguaggio tipico della scuola. Questo richiede, tra l'altro, un approccio

Page 8: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

8

al sapere più vitale, l'utilizzo di percorsi di apprendimento più personalizzati e un maggiore colle-gamento della scuola alla cultura sociale del territorio in cui è allocata.

Per realizzare tutto ciò è necessario un aggiornamento ed, in alcuni casi, una vera e propria ri-conversione degli insegnanti. Tra l’altro, potrebbero essere individuati degli insegnanti particolar-mente preparati sul problema della dispersione e dell’insuccesso scolastico a cui affidare i progetti di recupero e di prevenzione della.

L’autonomia scolastica permette, tra l’altro, di realizzare, percorsi formativi maggiormente indi-vidualizzati in grado di evitare che le carenze del patrimonio culturale invece di ridursi si amplino in modo esponenziale, come solitamente accade.

Non si è in grado di capire una materia perché non si possiedono le conoscenze di base e questo produce, inevitabilmente, un abbandono di quella stessa materia e l’innesco di una sorta di reazione a catena.

Questa azione dovrebbe essere fatta propria e sostenuta dai dirigenti scolastici attraverso l’invito ai consigli di classe di elaborare veri e propri progetti educativi individualizzati che tengano conto del rischio dispersione, uscendo dalla esclusiva logica “disciplinare” che sovente questi consigli as-sumono.

Un'altra iniziativa che i dirigenti scolastici potrebbero prendere è quella della trasformazione del momento della pre-iscrizione in una vera opportunità formativa per i genitori. Infatti in quell’occasione dovrebbe essere esposto il progetto educativo della scuola, con le indicazioni delle condizioni che le famiglie debbono garantire perché il progetto stesso possa essere realizzato.

È necessario poi realizzare un migliore raccordo con l'extrascuola sia per l'integrazione delle at-tività scolastiche con le opportunità educative presenti nel territorio, sia per la realizzazione di atti-vità didattiche scolastiche nel territorio.

L'intervento verso la famiglia L'interesse che le famiglie dei ragazzi a rischio di insuccesso e/o dispersione per l'attività scola-

stica del figlio dovrebbe essere incrementato e reso più completo e produttivo. Le famiglie dovreb-bero essere stimolate negli incontri con la scuola sia nella direzione dello sviluppo della comunica-zione sui temi personali esistenziali con i figli, sia verso quelle attività che possono sostenere la produttività scolastica del ragazzo: controllo del diario, dei compiti e del tempo scuola; elaborazio-ne di un tempogramma per la parte della giornata e della settimana extrascolastica.

Dovrebbe poi essere promossa da tutte le agenzie educative presenti nel territorio, e non solo dal-la scuola, un’attività formativa rivolta ai genitori che li aiuti a superare la deprivazione culturale di cui alcuni sono portatori.

In questa attività appare importante promuovere forme di associazionismo dei genitori, dove i temi inerenti il rapporto famiglia scuola non siano gestiti dalla scuola ma dagli stessi genitori. Que-ste forme associative possono promuovere incontri di formazione sui problemi inerenti l’educazione dei ragazzi, con particolare riferimento alle specifiche problematiche delle varie età, individuare forme di sostegno mutualistico tra i genitori, avviare forme organizzate di dialogo scuola famiglia, ecc.

Page 9: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

9

Parte seconda

Oltre l’emergenza Gli interventi indicati sono essenziali per migliorare la qualità esistenziale della scuola che è un

elemento decisivo ai fini del buon adattamento degli alunni all’ambiente scolastico con le sue nor-me, regole ed aspettative e, necessariamente, allo sviluppo di un apprendimento più efficace.

Tuttavia da soli essi non bastano perché è necessario anche intervenire strutturalmente sulla ge-stione della conoscenza e della sua trasmissione da parte della scuola.

Tra l’altro questa funzione è quella tipica della scuola, che la differenzia profondamente da ogni altra istituzione o agenzia educativa.

L’intervento sulla gestione/trasmissione della conoscenza è, quindi, l’unica azione che può salva-re la specificità della scuola aprendola nel contempo al futuro.

Il termine conoscenza viene utilizzato qui non solo in riferimento ai contenuti delle discipline ma anche a ciò che comunemente viene definito esistenziale e che comprende sia la dimensione perso-nale che quella scoiale.

Qui di seguito vengono indicati alcuni interventi sulla gestione/trasmissione della conoscenza da parte della scuola che sono tratti nella maggioranza dei casi da Morin22 e nella minoranza dei casi dalle mie teorie educative23:

Educare all’apprendimento sistematico del sapere, alla metodologia dell’apprendimento, all’interpretazione e alla critica e in particolare alla compren-sione della cecità della conoscenza, ovvero dell’errore e dell’illusione

Uno degli effetti delle trasformazioni della temporalità presente nell’attuale cultura sociale com-plessa, di cui si parlerà esplicitamente più avanti, è come noto quello della frammentazione dell’esperienza esistenziale, personale e sociale, in un insieme di vissuti reciprocamente autonomi e non in grado di intrecciarsi in una storia unitaria. La vita delle persone appare più come un disordi-nato e caotico accostamento di vissuti che come una storia che trova il suo senso lungo la direzione futuro → passato.

Questa frammentazione si manifesta anche nel linguaggio e, quindi, nel modo di pensare delle nuove generazioni. Infatti le conoscenze più che come insieme sistematici appaiono come accosta-menti di informazioni che stentano a integrarsi in un sistema unitario. Il parlare a flash, per fram-menti è un tratto caratteristico delle nuove generazioni contemporanee (e non solo loro).

Per questo motivo è necessario sostenere le nuove generazioni nello sviluppo di un apprendi-mento sistematico attraverso un metodo che li aiuti a ordinare e a collegare in strutture gerarchiche le loro conoscenze.

Un veicolo importante in questo apprendimento può essere giocato dallo sviluppo della capacità di usare la lingua secondo il modello lineare consequenziale che la caratterizza sin dalla sua com-parsa nell’orizzonte umano. In altre parole di si tratta di far scoprire l’uso narrativo della lingua e il ruolo della trama nel dare senso ai singoli eventi che vengono narrati nella storia.

Oltre ad abilitare le nuove generazioni ad un apprendimento sistematico della conoscenza è im-portante che esse scoprano come rileva E. Morin che ogni conoscenza comporta in sé il rischio dell’errore e dell’illusione. Per comprendere questa affermazione occorre partire dalla considera-zione che la conoscenza non è uno specchio fedele della realtà. Questo perché «Tutte le percezioni sono nel contempo traduzioni e ricostruzioni cerebrali a partire da stimoli e segni captati attraverso i sensi. Da qui derivano come ben sappiamo gli innumerevoli errori di percezione che ci provengono comunque dal nostro senso più affidabile, quello della visione. All’errore di percezione si aggiunge

22 Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina, Milano, 2001. 23 Pollo M., Manuale di Pedagogia Sociale, Franco Angeli, Milano, 2004. Pollo M., Animazione culturale. Teoria e metodo,

LAS, Roma, 2002.

Page 10: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

10

l’errore intellettuale. La conoscenza sotto forma di parole, di idee, di teorie, è il frutto di una tradu-zione/ricostruzione attraverso i mezzi del linguaggio e del pensiero e perciò sperimenta il rischio dell’errore. Questa conoscenza, a livello sia di traduzione che di ricostruzione, comporta, l’interpretazione che introduce il rischio dell’errore all’interno della soggettività di chi conosce, del-la sua visione del mondo, dei suoi principi di conoscenza. La proiezione dei nostri desideri o delle nostre paure, le perturbazioni mentali provocate dalle nostre emozioni moltiplicano i rischi di erro-ri».

L’antidoto a questi errori nasce dalla “conoscenza della conoscenza” che comporta l’integrazione di chi conosce nella sua conoscenza.

Più ampiamente, dobbiamo tentare di giocare sulle doppie possessioni – quelle delle idee da par-te della nostra mente, quella della nostra mente da parte delle idee – per trasformare il reciproco as-servimento in convivialità con le nostre idee come con i nostri miti.

Educare alla comprensione attraverso l’esperienza dell’alterità e lo studio delle radici dell’incomprensione, delle sue modalità e dei suoi effetti

Vi sono due tipi di comprensione. La prima è quella intellettuale, oggettiva che passa attraverso l’intelligibilità e la spiegazione. È quella che presente nella relazione espressa, come indica Buber24, dalla parola fondamentale Io-Esso. La seconda comprensione è quella che avviene attraverso l’empatia, l’identificazione e la proiezione. Per mezzo di questa comprensione intersoggettiva l’altro da ego alter diventa alter ego. Questa comprensione, riprendendo il linguaggio buberiano è quella detta dalla parola fondamentale Io-Tu che «si può dire solo con l’intero essere»25. È questa una comprensione che oltrepassa la spiegazione perché «Chi dice tu non ha alcun qualcosa per og-getto […] non ha nulla. Ma sta nella relazione».26

Questi due tipi di comprensione incontrano una molteplicità di ostacoli. Per quanto riguarda la comprensione intellettuale questi ostacoli sono costituiti essenzialmente: a) dal “rumore” che distorce la trasmissione dell’informazione e che crea il mal-inteso e non-

inteso; b) dalla soggettivizzazione del significato che fa si che agli stessi segni linguistici corrisponda-

no significati diversi; c) dall’ignoranza dell’ambiente culturale sociale dell’altro, della storia in cui inscrive la sua vi-

ta e degli imperativi etici che la segnano; d) la difficoltà ad uscire da una visione del mondo per incontrare quella dell’altro; e) la difficoltà della comprensione delle “altre menti”.

La comprensione “umana” è ostacolata dall’egocentrismo e dall’etnocentrismo che nutre la self-deception, l’auto-inganno e che fa si che si proietti sugli altri l’origine di tutti i mali. L’egocentrismo è sviluppato in questa realtà socioculturale dall’individualizzazione a cui corri-sponde la liquefazione dei legami comunitari e la incapacità di assumere responsabilità nei confron-ti dell’altro.

L’etnocentrismo nasce dal considerare la propria cultura e la propria organizzazione sociale co-me la migliore, l’unica veramente umana.

Egocentrismo e etnocentrismo producono una sorta di cecità verso l’altro e spesso anche la sua squalifica a livello morale.

L’antidoto a questi ostacoli alla comprensione umana sono costituiti dall’arte del dialogo. La dialogicità, infatti, è l’unica forma di comunicazione umana che rispetta e valorizza la diver-

sità dei comunicanti, diversamente dalla dialettica che, invece, l’abolisce. Per questo motivo si richiede che la comunicazione promossa dall’educazione sia interattiva, au-

tentica, solidale e dialogica.

24 Buber M., Il principio dialogico, Cinisello Balsamo, 1991. 25 Ivi, p.59. 26 Ivi, p.60.

Page 11: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

11

Ciò significa che essa deve rispettare i caratteri tipici del dialogo, che sono: la reciprocità, l’introiezione dell’immagine dell’altro, la terziarietà del messaggio, la ciclicità, il riferimento all’esperienza e la capacità di divenire spazio del dialogo.27

L’ascolto Il principio dell’ascolto è semplicemente l’affermazione che ogni partner del dialogo non deve

solo preoccuparsi di emettere messaggi, ma anche di produrre dopo di esso spazi di silenzio in cui poter ascoltare i messaggi dell’altro. Tuttavia produrre spazi di silenzio non deve essere semplice-mente inteso come un passivo tacere, bensì come un’azione tesa a produrre la conoscenza dell’altro. Questo significa che il silenzio è il far tacere se stessi, la propria visione del mondo, le proprie pre-comprensioni, i propri pregiudizi per cercare di cogliere l’altro nella sua autenticità e, soprattutto, collocandosi dal suo punto di vista. Il silenzio è la capacità di contemplare l’altro, creando però le condizioni perché questi possa esprimersi nella sua autenticità e non sia troppo condizionato dalle attese degli altri nei suoi confronti.

L’introiezione dell’immagine dell’altro Il secondo principio fondamentale del dialogo è costituito dalla constatazione che esso è possibi-

le solo se i dialoganti hanno in sé una corretta immagine dell’altro. Le incomprensioni e l’incapacità di stabilire un dialogo sono spesso il frutto della interiorizzazione di una immagine distorta o caren-te dell’altro. Questo significa che il dialogo deve essere preceduto da un processo conoscitivo in cui i protagonisti cercano di costruirsi una corretta immagine dei partner del dialogo.

Perché questo si realizzi occorre cercare di conoscere in profondità sia la condizione sociale e culturale in cui vive l’altro, sia la storia e la sua particolare identità personale.

Il riferimento all’esperienza Per superare i problemi posti dalla soggettivizzazione del significato dei segni linguistici e nello

stesso tempo valorizzare la differenza di linguaggio dei comunicanti è quello di comunicare facendo riferimento a un’esperienza comune. E’ infatti la riflessione intorno ad una esperienza comune quel-la che consente ai differenti linguaggi di confrontarsi e di scoprire i codici della traduzione recipro-ca dell’uno nell’altro. Questo consente, infatti, ai comunicanti di tradurre nel proprio linguaggio quello dell’altro e nello stesso tempo di acquisirlo. Il dialogo richiede sempre il riferimento ad espe-rienze fisiche o mentali comuni.

Anche il racconto di una storia può costituire una esperienza comune tra narratore e ascoltatore in grado di supportare il dialogo che si sviluppa a partire da essa.

Il fare esperienze comuni, ovvero il vivere degli eventi insieme e verbalizzarli, è l’unica via at-traverso cui le persone possono costruire un significato comune.

La terziarietà del testo Il riferimento all’esperienza è fondamentale anche per la costruzione del terzo testo. Dietro questa espressione alquanto ermetica vi è il principio secondo cui è necessario, affinché il

dialogo si realizzi, che il “messaggio” trasmesso e quello ricevuto formino, da un terzo punto di vi-sta, un unico messaggio. Questo significa che il messaggio che una persona trasmette deve essere strutturato in modo da consentire una corretta traduzione nel linguaggio del ricevente.

Questo poi è anche un modo sia per dare fiducia all’altro, per fargli comprendere che egli pos-siede gli strumenti linguistici e culturali per dialogare adeguatamente, sia per sviluppare la sua competenza linguistica.

Tutto questo avviene però solo se, con l’aiuto dell’esperienza, i dialoganti hanno costruito il ter-zo testo.

27 Lotman J.M., La semiosfera, Marsilio, Venezia 1985.

Page 12: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

12

La ciclicità Il dialogo richiede anche, per potersi svolgere, che quando uno dei due comunicanti è in fase

espansiva l’altro sia in intervallo. Questo significa, ad esempio, che quando un comunicante è nella fase euforica, ovvero è in una fase di forte ed intensa espressività, l’altro deve essere in una fase de-pressa, ossia deve essere in una posizione di silenzio e di ascolto. Infatti, due comunicanti entrambi euforici o depressi non riescono a dialogare. Nel primo caso, perché si sovrappongono, nel secondo perché creano un clima di faticoso ed imbarazzato silenzio.

Capita, invece, alcune volte, o magari anche spesso, che le persone in relazione abbiano entram-be contemporaneamente una voglia sfrenata di dire delle cose, di esprimersi e non abbiano la pa-zienza di lasciar esaurire la emissione dell’altro prima di avviare la propria. Il risultato sono quelle chiacchiere rumorose e caotiche in cui ognuno comunica solo con se stesso e non è in grado di ascoltare l’altro.

Divenire spazio del dialogo Ogni partecipante al dialogo è, nello stesso tempo, partner del dialogo e spazio del dialogo. Lo

spazio del dialogo, infatti, non è esterno ma interno ai comunicanti. Sono i comunicanti che creano un maggiore o un minore spazio del dialogo.

Questo significa che lo spazio del dialogo è qualcosa di interiore dei comunicanti prima ancora di essere il frutto di situazioni e di circostanze a loro esterne. Il dialogo è frutto di una scelta perso-nale e solo in seconda istanza lo è delle condizioni favorevoli o sfavorevoli in cui esso si svolge.

La criticità Il dialogo per essere pienamente produttivo deve essere caratterizzata dalla razionalità critica.

Questo vuol dire che una persona quando è in relazione deve essere in grado di osservarsi mentre dialoga, ovvero che deve mantenere un controllo critico della dinamica interattiva che sta vivendo.

Questo al fine di evitare che i sentimenti e le emozioni che sono presenti nella relazione possano subire sviluppi dannosi del clima, di rispetto, di fiducia e di apertura reciproca che è necessario alla buona riuscita del dialogo.

Educare al senso del frammento tanto nella sua solitudine quanto nella sua ap-partenenza a un insieme globale

Le persone spesso pensano che il senso della vita stia di casa nelle avventure eroiche, eccezionali o comunque in una vita assai diversa da quella che il quotidiano offre alla gente comune.

Il quotidiano è infatti visto come luogo della banalità da accettare con spirito di sacrificio e adat-tamento, senza entusiasmo, sperando che un giorno una vita enormemente più ricca possa irrompere all’improvviso salvando dalla routine.

Oppure si ha, nei confronti del quotidiano, l’atteggiamento di chi lo considera una parentesi da vivere in apnea in attesa del «festivo», del tempo particolare, cioè, in cui la gioia, la felicità, se non il significato, sono a portata di mano.

Ora, se è giusto dare valore alla festa, all’avventura, all’esperienza di vita eccezionale, è alienan-te fuggire il quotidiano o subirlo semplicemente senza viverlo sino in fondo.

Il quotidiano è uno scrigno di senso; basta saperlo scoprire sotto il velo di polvere che lo copre e aprire con la giusta chiave. Nessuna avventura è così affascinante come la scoperta dell’universo di senso in cui è embricato il quotidiano.

L’educazione deve aiutare il giovane ad aprire la porta del quotidiano, indicargli l’esaltante e ter-ribile avventura che dietro le spoglie della banalità può vivere sino a ritrovare alla fine se stesso, «uomo nuovo».

C’è un famoso racconto di Borges, «L’aleph», in cui al personaggio protagonista capita di perce-pire in una misera fessura della scala della cantina, da cui filtra un raggio di luce, la visione simul-tanea del mondo nella sua interezza.

Page 13: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

13

Si potrebbe dire che in un banale frammento di realtà, la fessura nella scala della cantina, un uo-mo scopre il senso del tutto.

Questo fatto non è una brillante invenzione di un narratore fantastico come Borges, in quanto appartiene alla cultura mistica di gran parte dell’umanità.

Esempi di come un frammento del reale, in circostanze particolari ed eccezionali, possa essere il veicolo di una comprensione dell’essenza più profonda della stessa realtà, si trovano sia nell’esperienza di mistici cristiani che in quella di mistici buddisti. Per non parlare poi dell’arte. C’è un quadro di van Gogh, «la sedia», che è esemplare da questo punto di vista. Sembra che l’autore abbia voluto condensare nell’immagine della sedia tutto il senso più profondo dell’universo.

Viene in mente a questo proposito la domanda che un novizio Zen fa al suo maestro: «Che cos’è il corpo (dharma) del Buddha?». Dove l’espressione «corpo/dharma del Buddha» non è che un mo-do per esprimere l’essenza e la divinità. Il maestro ineffabilmente risponde: «La siepe in fondo al giardino»28. Questa risposta sta ad indicare che, a saperlo osservare, ogni particolare della realtà porta in sé un significato profondo che lo ricollega al senso del tutto.

In una realtà sociale in cui la frammentazione dell’esperienza di vita, oltre che della propria iden-tità e dei propri sistemi di pensiero, è un dato costitutivo la capacità di cogliere nei frammenti il senso del tutto appare decisiva per la costruzione di un progetto di sé che consenta ad ogni persona lo sviluppo delle potenzialità umane di cui è portatrice.

Insegnare la condizione umana Lo sviluppo delle scienze umane e di quelle biologiche che caratterizza la nostra epoca se, da un

lato, ha indubbiamente incrementato la conoscenza dei processi emozionali, cognitivi, relazionali e sociali dell’uomo e delle loro basi fisiologiche, dall’altro lato, non ha prodotto alcun significativo sviluppo della conoscenza della natura umana.

Anzi, per alcuni versi lo studio scientifico dell’uomo e della sua vita individuale e sociale sembra avere allontanato, se non addirittura rigettato, le possibilità di una miglior conoscenza della natura umana.

La consapevolezza che la frammentazione degli studi sull’uomo stesse producendo un oscura-mento della sua comprensione era già presente, ad esempio, più di settant’anni fa nei lavori di Max Scheler che in proposito scrisse: «In nessun altro periodo della conoscenza umana l’uomo è divenu-to così problematico a se stesso come ai nostri giorni. Abbiamo un’antropologia scientifica, un’antropologia filosofica e un’antropologia teologica che s’ignorano a vicenda. Così non posse-diamo più una qualche idea concreta di quel che l’uomo è. Nella loro sempre più grande molteplici-tà le discipline particolari applicatesi allo studio dell’uomo, più che chiarirne il concetto, lo hanno oscurato e reso confuso».29

Oggi la situazione non appare certo migliorata, anzi l’ulteriore sviluppo delle scienze umane e della logica della conoscenza sembra aver addirittura messo fuori gioco la possibilità di compren-sione della natura umana.

Tuttavia, il fatto che l’uomo non sia in grado di comprendersi, a livello dell’indagine razionale, non deve essere visto come uno scacco, bensì come un miglioramento della sua autoconsapevolez-za.

Infatti, da più parti si sostiene, anche a livello filosofico, l’obiettiva impossibilità dell’uomo di conoscersi pienamente non potendo egli «scavalcare la propria ombra».30

Hanna Arendt, ad esempio, imputa questa impossibilità al fatto che l’uomo non sarebbe in grado di conoscere la propria natura: «il problema della natura umana [quaestio mihi factus sum (io stesso sono divenuto domanda) come dice sant’Agostino] pare insolubile sia nel suo senso psicologico in-dividuale sia nel suo senso filosofico generale. E’ molto improbabile che noi, che possiamo cono-scere, determinare e definire l’essenza naturale di tutte le cose che ci circondano, di tutto ciò che

28 Tucci G. (a cura di), Il libro tibetano dei morti, Utet, Torino 1989. 29 Scheler M., Die Stellung des Menschen im Kosmos, Darmstadt 1928, p.13. 13 Arendt H., Vita activa, Bompiani, Milano 1989, p.10.

Page 14: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

14

non siamo, possiamo mai essere in grado di fare lo stesso per noi: sarebbe come scavalcare la nostra ombra. Per di più nulla ci autorizza a ritenere che l’uomo abbia una natura o un’essenza affini a quella delle altre cose. In altre parole, se abbiamo una natura o un’essenza, allora certamente soltan-to un dio potrebbe conoscerla e definirla,...».31

Solo Dio può rivelare all’uomo chi è, ed è questo il motivo per cui, come ancora la Arendt rileva: «tutti i tentativi di definire la natura umana quasi invariabilmente finiscono con l’introduzione di una divinità, cioè con il dio dei filosofi, che, da Platone in poi, si rivela ad un esame rigoroso come una specie di idea platonica dell’uomo».32

Questa riflessione della Arendt indica chiaramente che la comprensione di chi è l’uomo rinvia necessariamente a ciò che è oltre, a ciò che è superiore all’uomo stesso.

Questa considerazione è coerente con i frutti della riflessione logica e logico-filosofica del nostro secolo. Basti pensare alla prova di Godel che dimostra come ogni sistema formale (matematico, simbolico e logico) sia sempre incompleto. Ovvero dimostra che la coerenza di un sistema può esse-re provata solo utilizzando metodi di dimostrazione più generali di quelli che il sistema formale stesso può produrre, e che questi medesimi metodi per essere validati richiedano a loro volta il ri-corso a sistemi più generali in un gioco senza fine.

A livello filosofico questo principio logico è ripreso e ampliato, in modo da essere applicabile al-la condizione umana, da Wittgenstein laddove nel Tractatus logico-philosophicus afferma:

«6.52. Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto una risposta, i nostri problemi vitali non sarebbero neppure toccati. Certo allora non resta più do-manda alcuna; e appunto questa è la risposta.

6.521 La risoluzione del problema della vita si scorge allo sparir di esso. (Non è forse per questo che uomini, cui il senso della vita divenne, dopo lunghi dubbi, chiaro, non seppero poi dire in che cosa consisteva questo senso?)

6.522 Vi è davvero l’ineffabile. Esso mostra sé, è il mistico».33 La domanda sulla natura umana è perciò, coerentemente con queste acquisizioni del pensiero

contemporaneo, destinata a rimanere senza risposta; almeno quando la risposta è ricercata attraverso i sistemi formali della scienza o filosofici.

Come si vede, la via della conoscenza della natura umana, nell’autoconsapevolezza della cultura contemporanea, appare interdetta alla riflessione scientifica e a quella razionale in genere, ragion per cui la riflessione sull’uomo si è spostata da quella sulla sua natura a quella sulla sua condizione.

Dove per condizione umana si intende l’insieme delle attività e delle capacità umane che influi-scono, condizionandoli, sui modi di essere, e forse sulla stessa formazione delle persone umane. In altre parole questo significa che lo studio dell’uomo può riguardare solo la sua azione nello spazio-tempo del mondo, i processi che ne sono alla base e attraverso i quali conosce se stesso, gli altri e il mondo.

La comprensione della condizione umana è comunque indispensabile perché l’uomo possa dare una risposta alle domande relative alla sua situazione nel mondo.

Lo studio della condizione umana consente, infatti, di comprendere come gli oggetti, materiale e immateriali, che l’uomo produce diventino le condizioni della sua esistenza, in quanto, come affer-ma Hannah Arendt: «Gli uomini sono esseri condizionati perché ogni cosa con cui vengono in con-tatto diventa immediatamente una condizione della loro esistenza. Il mondo in cui si svolge la vita activa consiste di cose prodotte dalle attività umane; ma proprio le cose che devono la loro esistenza solo agli uomini condizionano costantemente i loro artefici». E più avanti, «tutto ciò che è in rela-zione prolungata con la vita dell’uomo assume immediatamente il carattere di una condizione dell’esistenza umana».34

31Ivi, pp.9-10. 32Ivi, p.10. 33 Wittgenstein L., Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino 1973, p.81. 34Arendt H., Vita Activa.La condizione umana, Il Mulino, Bologna 1988.

Page 15: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

15

Questo significa la possibilità di riconoscere che l’uomo si sviluppa secondo un progetto i cui materiali costitutivi sono forniti dalla cultura sociale che abita.

Questo perché l’uomo, a differenza degli altri esseri viventi, non è definito alla nascita. Questo concetto è stato espresso anche da Nietzsche che definì l’uomo come «l’animale non definito». Con questa definizione egli sottolineava, tra l’altro, il fatto che l’uomo al momento della nascita è un es-sere incompiuto che si completa nel corso della sua vita individuale e sociale.

L’uomo non è determinato, infatti, da un codice genetico o da costrizioni ambientali assoluta-mente vincolanti, come accade per gli animali, ragion per cui al momento della nascita ha di fronte a sé una molteplicità di possibilità di essere. Questo significa che ogni individuo diviene ciò che è in seguito alla intersezione di più fattori: il suo progetto personale, la cultura sociale, le condizioni dell’ambiente sociale e naturale in cui vive, i processi educativi di cui è protagonista e, naturalmen-te, il suo patrimonio genetico.

Tra tutti questi fattori la progettualità gioca un ruolo importante -a patto naturalmente che la per-sona abbia sviluppato un adeguato livello di coscienza - e nella persona matura essa è l’asse attorno a cui si strutturano le influenze di tutti gli altri fattori.

A questo proposito è interessante notare quanto afferma Gehlen: «L’uomo è un animale non an-cora costituito una volta per tutte. Egli è anche un essere che ritrova in sé il compito, e proprio per questo ha bisogno di un’interpretazione di se stesso, la quale interpretazione è sempre aperta (...).L’uomo non è costituito una volta per tutte significa: egli dispone delle sue proprie predisposi-zioni e dati per esistere, egli assume un comportamento nei suoi propri confronti per necessità vita-le, come nessun altro animale fa; egli non tanto vive, quanto, come è mia abitudine dire, dirige, la propria vita».35

È chiaro che nei primi anni della sua vita l’essere umano ha un ruolo maggiormente passivo in ordine alla progettualità, se non in riferimento alle specifiche caratteristiche e condizioni della sua personalità, organiche e psichiche, che lo spingono ad agire in un dato modo, ma man mano che cresce egli diventa sempre più protagonista della progettazione e della realizzazione della sua vita.

Nei primi anni di vita i genitori e gli educatori in genere gli proporranno un progetto elaborato da loro, che spesso non è altro che il progetto che la cultura sociale elabora per i suoi membri a secon-da del loro status socioculturale, ma progressivamente il bambino assumerà un ruolo sempre mag-giore nella sua autocostruzione.

Affermare che la progettualità gioca un ruolo fondamentale nella realizzazione dell’essere uma-no significa anche dire che questi è un essere aperto, a differenza delle altre specie viventi che han-no, invece, un ambiente saldamente strutturato dalla loro organizzazione istintuale.

Questa apertura verso il mondo che caratterizza la specie umana è sottolineata anche dal fatto che nell’uomo il periodo fetale si prolunga di almeno un anno dopo la nascita e che il cervello, co-me afferma Boncinelli, sino all’età di quindici anni, si espande e si dilata con un movimento se-quenziale, durante il quale incorpora le nozioni di base riguardanti le cose del mondo.

Ciò vuol dire che vi sono dei processi essenziali di sviluppo dell’organismo che avvengono dopo che il bambino si è già separato dal grembo materno e mentre è già in interazione con l’ambiente naturale e sociale. Negli altri mammiferi, analoghi processi di sviluppo avvengono esclusivamente nel corpo materno. Questo significa che l’interazione con gli altri esseri umani, mediata dal lin-guaggio e dalla cultura, si intreccia nell’uomo con la sua stessa formazione organica e, in qualche modo, non può non influenzarla.

Infatti, riprendendo ciò che afferma Boncinelli: «Il nostro cervello finisce di svilupparsi alla luce del sole , a occhi aperti e con tutti gli altri sensi affacciati sul mondo. Di conseguenza, questo orga-nismo finirà per contenere non solo l’informazione che gli deriva dal patrimonio genetico, cioè dal-la saggezza biologica accumulata in milioni di anni di storia evolutiva, ma anche una grande quanti-tà di informazioni sui vari aspetti del mondo che ci circonda».

35 Gehlen A., L'uomo: la sua natura ed il suo posto nel mondo, Feltrinelli, Milano, 1983, p.43.

Page 16: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

16

Questa considerazione è quella che già nel passato ha indotto alcuni studiosi ad affermare che «se è possibile dire che l’uomo ha una sua natura ha più significato dire che l’uomo costituisce la propria natura, o, più semplicemente, che l’uomo produce se stesso».36

La progettualità nell’uomo riguarda sia la sua formazione come persona, sia la costruzione della realtà, ovvero del mondo che abita. Infatti egli producendo se stesso incorpora la cultura, i linguaggi e tutti i sistemi simbolici che mediano e medieranno il suo rapporto con la realtà.

E questo è il significato autentico dell’affermazione che l’uomo è condizionato dalle cose che produce.

Insegnare l’identità terrestre: la scoperta della comunità di destino a cui appar-tengono tutti gli esseri umani

Le riflessioni intorno al fenomeno della globalizzazione da un lato e la scoperta delle teorie della complessità e del “piccolo mondo” hanno posto in luce come il nostro pianeta sia molto più piccolo di quanto pensiamo e come ogni parte di esso sia interdipendente con tutte le altre.

La teoria della complessità ha dimostrato come gli eventi che accadono nello spazio-tempo del mondo interagiscono e si influenzino reciprocamente e, quindi, come un piccolo fatto possa scate-nare grandi conseguenze:«Una farfalla batte le ali nella foresta amazzonica e si scatena un uragano in centro america».

La teoria del piccolo mondo ha invece dimostrato, sia a livello teorico che sperimentale, che me-diamente gli esseri umani di ogni parte del mondo sono distanti tra di loro sette passaggi comunica-tivi. Questo significa che sul pianeta terra vi è una comunità di destino a cui appartengono tutti gli esseri umani. Questo significa che la terra deve essere considerata la nostra patria.

Per maturare questa convinzione è necessario educare le nuove generazioni a interiorizzare37: - la coscienza antropologica, che riconosce l’unità degli esseri umani nella loro diversità; - la coscienza ecologica, ovvero la coscienza di condividere con tutti gli esseri viventi la stes-

sa biosfera. Questo significa abbandonare l’dea del dominio all’interno della biosfera per so-stituirlo con quella della convivialità;

- la coscienza civica terrestre, che comporta l’assunzione della responsabilità solidale nei confronti degli altri esseri viventi, umani e non.

Il dialogo anche in questo caso rappresenta la via principale per consentire l’unità nella diversità. L’unica via che il mondo ha a disposizione per salvare la ricchezza della diversità biologica e cultu-rale è quella dell’unità che il dialogo può tessere.

Insegnare a navigare nell’oceano dell’incertezza: “L’atteso non si compie, all’inatteso un dio apre la via” (Euripide)

Nei secoli precedenti il futuro era molto spesso concepito o come ripetizione o come progresso. In ogni caso si postulava l’esistenza di un forte legame tra futuro, presente e passato.

In questi ultimi decenni, il futuro sembra essere stato eclissato dall’imprevedibilità. L’eclisse ha riguardato sia il futuro inteso come ripetizione prodotta dal tempo ciclico, sia il futuro atteso come progresso prodotto dal tempo lineare dell’evoluzione umana.

Nella nostra realtà culturale, dove la concezione del tempo ciclico era da tempo tramontata, è scomparsa la certezza che il futuro non fosse altro che lo sviluppo di ciò che era dominante nel pre-sente. Al posto di questa concezione, che era presente in molte ideologie salvifiche o del progresso, si è imposta quella per cui il futuro è spesso determinato da fattori minoritari, marginali o addirittu-ra devianti rispetto a ciò che è culturalmente dominante.

Come afferma E. Morin «La storia no costituisce quindi una evoluzione lineare. Conosce turbo-lenze, biforcazioni derive, fasi immobili, stasi, periodi di latenza seguiti da virulenza, come fu il ca-so del Cristianesimo, che rimase in incubazione per due secoli prima di sopraffare l’impero romano; processi epidemici estremamente rapidi, come la diffusione dell’islam. È un accavallarsi di processi

36 Berger P.L., Luckmann T., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969, p.76. 37 Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, cit., p.78.

Page 17: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

17

contrastanti, con rischi e incertezze, che comportano evoluzioni, involuzioni, progressioni, regres-sioni, rotture. E allorché si costituisce, la storia planetaria si sviluppa nel caso, fino a comportare nel XX secolo, due guerre mondiali e le eruzioni totalitarie. Obbedisce allo stesso tempo a determinismi e a casi in cui sorgono senza sosta “il rumore e il furore” . Essa ha sempre due facce opposte: civil-tà e barbarie, creazione e distruzione. Genesi e morte …».38

Secondo questo pensatore dobbiamo, dopo il XX secolo, abituarci a pensare al mondo come frut-to del gioco relazionale, fatto nello stesso tempo di antagonismo, concorrenza e complementarietà, tra ordine, disordine e organizzazione.

Per poter giocare questo gioco è necessario educare a riconoscere le incertezze legate alla cono-scenza. Il primo frutto di questa educazione è l’accettazione dei limiti della conoscenza sia per quanto riguarda il ragionamento che l’azione.

Per quanto riguarda l’azione questo significa, ad esempio, essere consapevoli che è impossibile aggregare un interesse collettivo a partire da interessi individuali (teorema di Arrow). Questo con buona pace di chi pensa che nella vita sociale e politica e moderna i sondaggi di opinione siano un buon strumento per scegliere l’azione collettiva più appropriata.

Ogni azione umana deve sempre poi fare i conti con altre tre incertezze. La prima è quella che nasce dall’antinomia rischio/precauzione che è presente in ogni azione umana, perchè entrambi i poli sono importanti per il successo dell’azione stessa. La seconda incertezza nasce dal rapporto non lineare tra fini e mezzi, nel senso che seppur è vero che i mezzi ignobili utilizzati per perseguire fini nobili li pervertono e finiscono per sostituirsi ad essi, è altrettanto vero che non sempre i mezzi no-bili conducono al raggiungimento di fini fausti. Infine, la terza incertezza è prodotta dal rapporto non prevedibile tra azione e contesto, in quanto ogni azione sfugge alla volontà del suo promotore quando entra nel gioco interattivo/retroattivo dell’ambiente in cui avviene.

A fronte di queste incertezze non vi deve però essere la rinuncia, come purtroppo oggi avviene, a sognare il futuro agendo nel presente per costruirlo. Questo perché è possibile affrontare l’incertezza che affligge l’azione attraverso quelli che Morin chiama due viatici: la scommessa e la strategia, dove la scommessa deve essere intesa in senso pascaliano, mentre l’altro viatico indica semplicemente che la strategia deve prevalere sul programma.

Per comprendere quest’ultima affermazione occorre ricordare che il programma indica in modo deterministico una sequenza di azioni mentre la strategia designa l’elaborazione di uno scenario di azione attraverso l’analisi delle certezze e delle incertezze presenti nella situazione. A questo occor-re aggiungere che la strategia è flessibile e può essere modificata sulla base dell’evolversi della si-tuazione, delle informazioni, delle opportunità e degli ostacoli che si incontrano, dei successi e dei fallimenti.

In altre parole, questi due viatici indicano che il futuro può essere ancora sognato e costruito a condizione però di avere una fede per la quale scommettere e una capacità di pensare in modo stra-tegico uscendo dalla fallace sicurezza dei programmi.

Educare alla nootemporalità e alla progettualità Ma non solo. Il futuro può essere recuperato anche se si recupera il passato e se li si intreccia en-

trambi con il presente in una storia dotata di senso. Per comprendere questa affermazione nel giusto significato occorre ricordare che l’eclisse del fu-

turo che la maggioranza delle persone vive, in particolare tra le nuove generazioni, le ha, di fatto, imprigionate nella dimensione del presente facendo smarrire loro non solo la dimensione progettua-le della propria vita ma anche la concezione della storia come luogo di salvezza.

Oltre che alla scoperta dell’incertezza questo fenomeno è una conseguenza del fatto che il rap-porto tempo vita umana nella cultura dell’attuale società è stato banalizzato in quanto il tempo è sta-to ridotto ad un puro evento meccanico, mentre la vita dell’individuo, e forse anche quella della so-cietà, è stata privata della dimensione progettuale.

38 Ivi, p. 85.

Page 18: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

18

Il tempo nella cultura sociale attuale non ha alcuna consistenza se non il suo scorrere regolare ed omogeneo. In altre parole questo significa che nella attuale vita sociale non si riconosce al tempo alcuna qualità rilevante per la vita umana se non la sua disponibilità. Sono le cose che si fanno che rendono il tempo prezioso o dozzinale, pieno o vuoto, costruttivo o distruttivo. Il tempo libero, o addirittura la festa, non ha alcun valore se non quello di essere sottratto al lavoro e reso disponibile per il riposo, lo svago e il gioco.

È questa, indubbiamente, una concezione riduttiva del tempo a cui fa da contrappunto l’offuscamento della concezione del tempo storico, intesa nel senso biblico dell’assunzione di re-sponsabilità della memoria dell’uomo verso il suo futuro.

Questa concezione, infatti, sembra essersi dissolta e di essa rimane traccia solo all’interno di sempre più esigue minoranze sociali. Ad essa sembra essersi sostituita la concezione di un tempo quotidiano insignificante. La vita umana, nella sua dimensione quotidiana, sembra non offrire più alcun senso esplicito e comprensibile che possa essere considerato vero. La vita quotidiana, infatti, sembra risolvere la ricerca della felicità umana esclusivamente all’interno dei gesti che connotano il consumo quotidiano delle informazioni, dei beni materiali e delle relazioni sociali.

Anche se non esclusiva questa cultura del tempo è oggi dominante e lo scorrere del tempo è ri-dotto ad un meccanico movimento, utile solo alla regolazione della vita sociale, all’interno del quale ogni istante è separato da tutti gli altri.

La solitudine di ogni istante è il segno dell’impossibilità del tempo di proporsi come un disegno dotato di un senso globale e in cui ogni istante assume la funzione di un particolare. Ogni istante, infatti, propone il suo significato, irrimediabilmente relativo e soggettivo, senza avere la pretesa di proporsi come un passo di quel cammino che prende il nome di storia.

Questa concezione del tempo ossessivamente fissato sul proprio presente è uno dei prodotti della cultura sociale attuale che si è verificato a causa della rottura dell’equilibrio tra sociotemporalità e nootemporalità e del conseguente predominio della prima. L’affermazione della sociotemporalità caratterizza le società complesse.

La nootemporalità è la concezione del tempo tipica della condizione dell’uomo e nasce dal fatto che esseri umani «sono capaci di comprendere il mondo nei termini di un futuro e di un passato di-stanti, e non solo nei termini delle impressioni sensoriali del presente»39 e che le loro azioni nel pre-sente sono influenzate dalla consapevolezza della morte, che appare come «un ingrediente essenzia-le del tempo dell’uomo maturo, i cui orizzonti si estendono senza limiti nel futuro e nel passato».40

Il tempo che dal futuro attraverso il presente scorre verso il passato è il telaio che tesse l’ordito della vita umana nel mondo e che orienta tutte le domande e le risposte di senso degli uomini maturi emersi alla coscienza.

Infatti, almeno nell’orizzonte dell’Occidente, la vita umana trova il suo senso nella storia, cioè nella memoria e nel progetto di futuro.

All’interno della concezione del tempo di questo tipo l’atteggiamento degli adulti verso le nuove generazioni è sempre stato legato da un lato alla fedeltà verso la memoria e dall’altro lato ai progetti di futuro.

L’educazione e la socializzazione che una società, saldamente inserita nella nootemporalità, pro-pone alle nuove generazioni è sempre finalizzata a porre queste in continuità con la storia, ovvero a fare si che la vita dei giovani sia coerente con la memoria del passato e con i progetti di futuro di cui il presente degli adulti è l’espressione.

Oggi proprio perché la concezione del tempo noetico sembra essersi oscurata, l’atteggiamento degli adulti verso le nuove generazioni non sembra essere coerente con questa concezione, in quan-to appare indebolita sia la capacità degli adulti di inserire i giovani nell’alveo vitale della memoria sia quella di affidare loro un ruolo nel progetto del futuro.

39Fraser J.T., Il tempo una presenza sconosciuta, Feltrinelli, Milano 1993, p.17. 40Ivi, p.22.

Page 19: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

19

L’atteggiamento degli adulti verso le nuove generazioni sembra, al contrario, essere centrato sull’inserimento di questi ultimi nel presente, ovvero sulla loro integrazione nel sistema sociale in modo che la loro presenza non lo perturbi e sia funzionale alla sua vita nel presente.

Questo significa che il problema educativo e socializzante che gli adulti debbono risolvere è ri-dotto all’inserimento dei giovani nella vita del sistema sociale così come esso è e non, quindi, all’affidamento ad essi della continuità della storia nel tempo futuro.

Questo manifesta l’emersione nella cultura sociale di quella concezione del tempo che è stata chiamata sociotemporalità.

La sociotemporalità è null’altro che la socializzazione del tempo che si esprime nella sincroniz-zazione e nella pianificazione delle azioni collettive senza cui nessuna società può esistere. Il tempo sociale è fondato sull’esistenza del presente sociale, che è l’intervallo di tempo necessario a consen-tire alle persone di agire di concerto. Il presente sociale si forma e si mantiene attraverso la comuni-cazione che interrela i membri di un determinato gruppo sociale e l’ampiezza dell’intervallo tempo-rale che lo costituisce dipende dalla velocità dei processi di comunicazione. È chiaro che quando i messaggi venivano portati da corrieri a cavallo il presente sociale era molto esteso, mentre ora che i messaggi viaggiano alla velocità della luce esso è molto piccolo.

La sociotemporalità è tanto più sviluppata nella vita delle persone che fanno parte di una società quanto più esse sono in relazione. Più la sociotemporalità è sviluppata più gli stili di vita, i valori e le condotte delle persone divengono omogenei.

La sociotemporalità mantiene il suo valore solo se si armonizza con la nootemporalità, ovvero solo se le esigenze della sincronizzazione sociale non entrano in conflitto, o ostacolano, il progetto particolare di vita dell’individuo, non mettono cioè in pericolo la sua unicità, la sua differenza parti-colare, ovvero non minano la sua identità personale e storico culturale.

Oggi si assiste, invece, ad una dilatazione della temporalità sociale prodotta dai bisogni delle economie e delle culture delle società complesse.

Infatti «via via che i bisogni e le necessità politiche costringono il genere umano ad adottare un comune ritmo di lavoro, procedimenti industriali simili e ragionamenti scientifici identici, viene a mancare la base stessa della molteplicità dei modi di socializzazione e di valutazione del tempo, che ci ha accompagnato sin dall’inizio della storia»41

Le tecnologie della comunicazione che relano gli individui nelle società complesse tendono sempre più a far dipendere, per la loro sopravvivenza, questi individui dalla rete del sistema infor-mativo in cui sono inseriti. La possibilità di lavorare a distanza, di avere diagnosi sulla loro salute via telefono, di ricevere tutto quanto ciò che hanno bisogno a domicilio, di avere informazioni in tempo reale attraverso la televisione e la radio, di partecipare a video conferenze, ecc, tutto questo fa si che le persone debbano occuparsi solo del loro presente, mentre la capacità di fare progetti a lunga scadenza, come l’imparare dal passato dipende sempre di più dagli specialisti.

Il presente diventa l’unica dimensione esistenziale significativa per la vita delle persone. La sto-ria, invece, diventa un impaccio perché è molto più semplice garantire «la collaborazione tra perso-ne prive di senso storico, che non fra popolazioni con storie diverse e solitamente antagoniste»42.

L’omogeneizzazione della temporalità degli individui, oltre che dall’abolizione della loro dimen-sione esistenziale di tipo storico è causata anche dall’ingrigimento del calendario, ovvero alla ridu-zione delle differenze tra il giorno e la notte, delle distinzioni tra i giorni della settimana, tra i giorni feriali e quelli festivi e, infine, delle diversità tra le stagioni.

Tutto il processo di omogeneizzazione del tempo e, quindi, dei modi di vita delle persone è fina-lizzato all’aumento della produttività del lavoro umano e a migliorare la qualità della vita delle per-sone. Tuttavia proprio perché sradica le persone dalla temporalità noetica produce esattamente il contrario di ciò che si propone, ovvero un abbassamento della qualità della vita delle persone e una perdita della loro capacità di governare e di dare senso alla propria vita.

41Fraser J.T., Il tempo una presenza sconosciuta, cit., p.300 42 Ivi, p.304

Page 20: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

20

Secondo altri autori43 questo fenomeno è prodotto dalla “spazializzazione del tempo” che non sa-rebbe altro che il risultato della supremazia nell’attuale vita sociale delle coordinate spaziali su quelle temporali che, di fatto, anestetizza l’idea del tempo e della storia, del vissuto diacronico a fa-vore della sincronicità spazializzante.

Immersi in questo tempo spazializzato gli individui perdono la coscienza della propria apparte-nenza alla storia e, quindi, anche la propria capacità di produrre storia e divengono delle comparse prive di memoria e di sogni di futuro.

Questo fa si che solo ciò che è immediato e simultaneo venga vissuto come reale. Le dimensioni del passato e del futuro sono espulse dalla coscienza, la memoria e il sogno sono esiliati. L’istante diviene un punto nello spazio in cui non vi è durata ma solo l’appartenenza atemporale ad un insie-me spaziale.

Questa trasformazione della temporalità ha degli effetti profondi sull’identità delle persone, sulla loro coscienza e sulla possibilità di dare un senso alla propria esistenza.

Non è casuale che oggi il percorso di conquista dell’identità che le nuove generazioni debbono percorrere sia frammentato, accidentato e che spesso conduca a quelle forme che vengono definite “deboli”. Allo stesso modo la vita priva del tessuto del progetto e della storia appare sempre di più come un caotico susseguirsi di opportunità a volte positive ed a volte negative, piacevoli o spiace-voli ma in cui comunque il paradigma del consumo si manifesta come dominante. La coscienza del-la propria responsabilità personale e sociale risulta indebolita e la persona sembra avere responsabi-lità, spesso illusoria, solo verso se stessa e le persone che le sono spazialmente ed affettivamente prossime.

Occorre poi sottolineare che tutto il processo di omogeneizzazione del tempo e, quindi, dei modi di vita delle persone è finalizzato all'aumento della produttività del lavoro umano e a migliorare la qualità della vita delle persone. Tuttavia proprio perché sradica le persone dalla temporalità noetica produce esattamente il contrario di ciò che si propone, ovvero un abbassamento della qualità della vita delle persone e una perdita della loro capacità di governare e di dare senso alla propria vita.

Questa incapacità delle persone di governare la propria vita lungo l'asse storico del tempo si ma-nifesta in una concezione di vita a-progettuale, di una vita cioè che si costruisce, all'interno della sociotemporalità, attraverso la capacità di cogliere con un atteggiamento pragmatico e utilitaristico le occasioni e le opportunità che la vita quotidiana offre, senza la necessità di porsi domande se queste stesse occasioni sono coerenti o meno con il proprio progetto di vita, ovvero se sono compa-tibili con i propri sogni di futuro e con la propria storia, individuale e sociale.

Il risultato è una persona che vive senza un'etica che non sia quella dell'utilità personale e dell'a-dattamento alla realtà sociale ed alla sua cultura.

Di una persona che non sa assumere impegni a medio e a lungo termine, che non sa sacrificarsi e rinunciare alle gratificazioni che il presente offre in nome della coerenza a un impegno di costru-zione di un futuro personale e sociale.

Educare a una partecipazione sociale fondata sul reciproco controllo tra indivi-duo e società: insegnare la democrazia

Ciò che caratterizza la democrazia rispetto ad altri regimi politici è il controllo «dell’apparato di potere da parte dei controllati e con ciò riduce l’asservimento (determinato da un potere che non su-bisce la retroazione di coloro che sottomette); in questo senso la democrazia è più che un regime politico; è la rigenerazione continua di un anello complesso e retroattivo: i cittadini producono la democrazia che produce i cittadini».44

Tuttavia la democrazia è anche qualcosa di più complesso di questo meccanismo retroattivo tra governo e cittadini, in quanto essa si fonda su alcuni rilevanti principi.

Il primo è quello dell’autolimitazione della sovranità sia dei cittadini che dello Stato. Infatti i cit-tadini limitano la propria sovranità trasferendo parte della propria sovranità agli eletti e obbedendo

43 Gross D., Space, Time and Modern Culture, Telos, 1981, p.50 44 Ivi, p. 113.

Page 21: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

21

alle leggi elaborate da questi, mentre lo Stato si limita attraverso la separazione dei poteri, la garan-zia dei diritti individuali e la protezione della vita privata

Il secondo principio è quello della limitazione del potere della maggioranza in quanto la società democratica per essere vitale ha bisogno dal proprio interno della diversità di interessi, di idee, ecc. e degli antagonismi che questa produce.

La democrazia non può esistere senza la tutela dei diritti delle minoranze e, quindi, della diversi-tà culturale che caratterizza la vita sociale.

Una democrazia priva di conflitti di idee e di opinioni si condanna alla sterilità ed alla morte. Il terzo principio di limitazione è quello che fa si le battaglie fisiche siano sostituite dalle in-

cruente battaglie delle idee. L’equilibrio sistemico che queste limitazioni producono è alquanto fragile e instabile e può esse-

re rotto, ad esempio, dal conflitto di idee che può sopraffarlo. Ma non solo. La democrazia può regredire perché i cittadini sono espropriati della partecipazione

alla decisione in quanto si ritiene che i problemi che lo Stato nelle sue varie articolazioni deve af-frontare e risolvere siano troppo complessi perché la loro soluzione possa essere affidata al popolo. Oppure perché la complessità dei problemi innesta una deriva tecnocratica/burocratica in cui la po-litica «si autodissolve nell’amministrazione, nella tecnica, nell’economia e nel pensiero quantifican-te (sondaggi, statistiche). La politica in briciole perde la comprensione della vita, delle sofferenze, delle miserie dei bisogni non quantificabili. Tutto ciò contribuisce a una gigantesca regressione de-mocratica, attraverso la quale i cittadini vengono espropriati dei problemi fondamentali della cit-tà».45

Educare alla democrazia significa, quindi, educare al gioco complesso in cui i giocatori sono la libertà individuale, il dovere della solidarietà e della condivisione nell’uguaglianza, la ricerca del consenso, la disponibilità al conflitto incruento, il rispetto delle leggi e la possibilità della loro con-testazione se esse ledono la libertà individuale o i diritti delle minoranze, la partecipazione attiva al-la vita della città intesa come metafora non solo della società ma dell’intera comunità terrestre.

Educare all’accettazione e alla comprensione della debolezza umana. Nella cultura sociale attuale la debolezza umana viene per molti versi esorcizzata negandola. La

necessità di esorcizzare la debolezza nasce dalla diffusa convinzione che l’uomo di successo è solo colui che manifesta la propria forza, la propria buona salute, la propria efficienza fisica e mentale e, con un’espressione comune, una personalità vincente.

La debolezza, così come la sconfitta e la sofferenza debbono essere nascoste o addirittura negate, non riconoscendo in questo modo che è proprio la negazione della finitudine umana ciò che dà ad essa un potere devastante e disgregativo per la vita sociale e che impedisce alle persone di realizzare compiutamente la loro umanità e di scoprire realmente la vera forza di cui sono portatrici.

Infatti la vera forza nell’essere umano nasce dalla scoperta e dall’accettazione della propria de-bolezza pur nel tentativo di superarla.

Senza sconfitte e senza sofferenze non è possibile per l’uomo innalzarsi e raggiungere le vette spirituali che sono insiste nelle sue potenzialità umane.

Questa constatazione, sedimentata nella sapienza umana da millenni e resa esplicita dal sacrificio di Gesù, è alla base dell’affermazione che le nuove generazioni debbono essere educate a vivere in modo creativo la sofferenza ed il senso di fallimento che derivano dallo scarto che, purtroppo, esiste nella vita umana tra il fare ciò che richiederebbe il proprio progetto di vita e ciò che la realtà perso-nale e sociale consente effettivamente di fare.

Educare al senso della vita e all’impegno per la costruzione della storia richiede necessariamente la capacità del giovane di vivere serenamente la propria debolezza, i propri limiti e i propri insuc-cessi, nella consapevolezza che anche una sconfitta, quando è sofferta nel segno di una donazione per la trasformazione della storia umana, è un grande contributo al cambiamento della storia sociale e personale.

45 Ivi, p. 117.

Page 22: Quale scuola, quale educazione oggi? - lumsa.it 05.pdf · Questo significa che la scuola, anche in una società individualizzata non solo nei percorsi di cre- ... L’importanza della

22

La maledizione che affligge il lavoro umano sulla terra sta in questo conflitto tra ciò che è bene per l’uomo e ciò che effettivamente egli può fare. Tuttavia, questa maledizione è stata sconfitta dal sacrificio di Gesù il Cristo, per cui ogni fallimento umano diventa lievito per la trasformazione della storia.

Questa educazione all’accettazione della debolezza può avvenire solo se la persona elabora una comunicazione autentica con se stessa, gli altri e il mondo attraverso quattro passi.

Il primo passo è costituita dal riconoscimento e dall’accettazione, da parte della persona, della propria identità personale e, quindi, del proprio progetto personale di vita. Occorre chiarire che que-sto riconoscimento e questa accettazione dell’identità personale non si esauriscono nella presa di coscienza del proprio corpo, della propria psiche e delle proprie condizioni economiche e sociali. Infatti, essi richiedono che la persona scopra il senso ed il significato che lei conferisce alla realtà e che dipende dal modo in cui assume la propria esistenza.

In altre parole, il riconoscimento e l’accettazione di sé dipendono dal senso che si dà al proprio corpo, alla propria psiche ed alla realtà socio-economica che si abita.

L’identico corpo, l’identica psiche e le identiche condizioni socio-economiche possono dar vita a differenti progetti esistenziali, a seconda del senso che ad essi viene attribuito da chi li possiede.

La scoperta del proprio modo di interpretare la realtà e, conseguentemente, dell’assunzione co-sciente e responsabile del proprio progetto di vita è un passaggio indispensabile nella costruzione di una conoscenza autentica di sé e degli alttri..

Il secondo passo è dato dal riconoscimento e dall’accettazione dei limiti e delle possibilità che la realtà offre. In altre parole questo significa che la persona deve sviluppare una concezione realistica del mondo e della vita e, quindi, riformulare il proprio adattamento all’ambiente naturale e sociale in modo da poter esprimere il massimo di se stessa all’interno delle condizioni sociali, economiche, culturali e naturali in cui vive.

Il terzo passo viene fatto, invece, con il riconoscimento e con l’accettazione integrale degli altri e della loro identità e dei loro progetti di vita. Questo significa non solo la conquista della tolleranza, ma la capacità di capire gli altri, di interpretare, cioè, correttamente il loro modo di porsi nei con-fronti di se stessi, degli altri e del mondo. Questo esige uno sforzo di decentramento, un mettersi “nei panni” degli altri, cercando di capire il senso che questi danno della propria vita, di se stessi e delle proprie azioni.

Infine, il quarto passo è la decisione a cooperare, ovvero a vivere un rapporto solidale, di mutuo aiuto, con gli altri al fine di favorire il proprio e l’altrui cambiamento verso una forma più autentica di vita. Questo significa che la comunicazione scopre, al di là del rapporto Io-Tu, quello del Noi. E’ questa indubbiamente la fase finale del cammino verso la costruzione di una comunicazione con se stessi e gli altri autentica..

Conclusione La scuola è, almeno in questa fase storica, un’istituzione educativa insostituibile, tuttavia se non

ritorna ad essere l’autentica casa della sapienza in cui i giovani sviluppano una conoscenza fondata sulla coscienza critica di se e del mondo, essa rischia se non la morte una condizione di vita vegeta-tiva, se non per tutti, per una gran parte degli alunni che la frequentano.

Per tornare ad essere la casa della sapienza essa deve, da un lato, rinnovare la sua gestio-ne/trasmissione del sapere e, dall’altro lato, sviluppare la qualità relazionale che tesse la sua orga-nizzazione sociale e didattica.

Per fare questo occorrono insegnanti e dirigenti scolastici che amano i loro alunni, che sono aperti alla speranza, che abitano il mondo dei valori e degli ideali e che, quindi, hanno un’autentica passione educativa.