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QUANDO SONO I BAMBINI AD AVERE BISOGNO DI CURE Il punto di vista della psicologia evolutiva di Giulia Callegaro Le cardiopatie e altre forme di patologie di natura cardiovascolare vengono spontaneamente associate all’età adulta, se non matura: effettivamente tale connessione è veritiera, in quanto la patologia cardiaca che richieda trattamento farmacologico intensivo è sicuramente più diffusa tra le persone in età avanzata. Tuttavia, tali condizioni di salute possono riguardare anche i più piccoli: in Italia si calcola che ogni anno nascano circa 4000 bambini con cardiopatie congenite, un gruppo molto eterogeneo per causa, tipo di diagnosi e di cura. Nel caso essi debbano ricevere trattamenti farmacologici e clinici particolari, nonché frequenti esami e visite mediche come è meglio comportarsi? Qual è il modo migliore per prendersi cura dei piccoli pazienti? Secondo Anna Oliverio Ferraris, nota psicologa e docente di Psicologia dello sviluppo presso l’Università La Sapienza di Roma, quando i bambini affrontano una malattia possono rivivere vecchie angosce che hanno lasciato una qualche traccia a livello profondo, e che in occasione della diagnosi tornano in superficie, provocando la reazione emotiva della paura o anche del senso di colpa. Ogni bambino differisce dall’altro sia per il grado di intensità con cui percepisce le emozioni, sia per le modalità in cui le manifesta; queste differenze sono dovute a numerosi fattori: età del bambino, tipo di patologia diagnosticata e di cura prescritta, temperamento (caratteristiche innate del carattere), esperienze, tipo di relazione con le persone che lo accudiscono. La comprensione della malattia è invece legata strettamente all’età: prima dei 5-6 anni, raramente i bimbi hanno i mezzi cognitivi per poter comprendere appieno le spiegazioni sull’origine della patologia e, conseguentemente, capire necessità e benefici della terapia a cui devono sottoporsi. Fino a quell’età un bambino “accetta” di ricevere cure anche invasive e/o dolorose non tanto perché ne valuta oggettivamente i vantaggi e l’importanza per la salute, bensì lo fa perché così gli viene chiesto dai genitori. In questa fase è quindi fondamentale che siano innanzitutto le figure di accudimento (genitori in primis, ma anche nonni, zii, baby-sitter) a mostrarsi serene e ben disposte verso le cure proposte per il bambino. Comportamenti contraddittori e inquieti (come ad esempio le “troppe rassicurazioni”) sono invece controproducenti, data l’alta capacità ricettiva dei bambini che penseranno “ma se la mamma è così agitata, parla veloce e le tremano le mani… perché dice che andrà tutto bene? Io non ci credo!”. In sintesi: meglio poche frasi pronunciate in modo fermo, rispetto ad un fiume di parole che non tranquillizza ma agita ancora di più. In secondo luogo, la dott.ssa Ferraris consiglia di “lasciare che i bambini, almeno un po’, possano protestare e anche arrabbiarsi” nel momento in cui provano dolore e/o rabbia per una visita o un

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QUANDO SONO I BAMBINI AD AVERE BISOGNO DI CURE

Il punto di vista della psicologia evolutiva

di Giulia Callegaro

Le cardiopatie e altre forme di patologie di natura cardiovascolare vengono spontaneamente associate all’età adulta, se non matura: effettivamente tale connessione è veritiera, in quanto la patologia cardiaca che richieda trattamento farmacologico intensivo è sicuramente più diffusa tra le persone in età avanzata. Tuttavia, tali condizioni di salute possono riguardare anche i più piccoli: in Italia si calcola che ogni anno nascano circa 4000 bambini con cardiopatie congenite, un gruppo

molto eterogeneo per causa, tipo di diagnosi e di cura. Nel caso essi debbano ricevere trattamenti farmacologici e clinici particolari, nonché frequenti esami e visite mediche come è meglio comportarsi? Qual è il modo migliore per prendersi cura dei piccoli pazienti?

Secondo Anna Oliverio Ferraris, nota psicologa e docente di Psicologia dello sviluppo presso l’Università La Sapienza di Roma, quando i bambini affrontano una malattia possono rivivere vecchie angosce che hanno lasciato una qualche traccia a livello profondo, e che in occasione della diagnosi tornano in superficie, provocando la reazione emotiva della paura o anche del senso di colpa. Ogni bambino differisce dall’altro sia per il grado di intensità con cui percepisce le emozioni, sia per le modalità in cui le manifesta; queste differenze sono dovute a numerosi fattori: età del bambino, tipo di patologia diagnosticata e di cura prescritta, temperamento (caratteristiche innate del carattere), esperienze, tipo di relazione con le persone che lo accudiscono.

La comprensione della malattia è invece legata strettamente all’età: prima dei 5-6 anni, raramente i bimbi hanno i mezzi cognitivi per poter comprendere appieno le spiegazioni sull’origine della patologia e, conseguentemente, capire necessità e benefici della terapia a cui devono sottoporsi. Fino a quell’età un bambino “accetta” di ricevere cure anche invasive e/o dolorose non tanto perché ne valuta oggettivamente i vantaggi e l’importanza per la salute, bensì lo fa perché così gli viene chiesto dai genitori.

In questa fase è quindi fondamentale che siano innanzitutto le figure di accudimento (genitori in primis, ma anche nonni, zii, baby-sitter) a mostrarsi serene e ben disposte verso le cure proposte per il bambino.

Comportamenti contraddittori e inquieti (come ad esempio le “troppe rassicurazioni”) sono invece controproducenti, data l’alta capacità ricettiva dei bambini che penseranno “ma se la mamma è così agitata, parla veloce e le tremano le mani… perché dice che andrà tutto bene? Io non ci credo!”. In sintesi: meglio poche frasi pronunciate in modo fermo, rispetto ad un fiume di parole che non tranquillizza ma agita ancora di più.

In secondo luogo, la dott.ssa Ferraris consiglia di “lasciare che i bambini, almeno un po’, possano protestare e anche arrabbiarsi” nel momento in cui provano dolore e/o rabbia per una visita o un

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esame poco gradito, per poi “avvicinarsi e parlargli con calma” instaurando un contatto visivo e cercando una situazione di vicinanza ed empatia.

Questo comportamento è adeguato per due validi motivi: da un lato lascia ai bambini uno “spazio di manovra”, uno sfogo di emozioni intense come la paura e l’ansia che essi non sono ancora in grado di gestire. Inoltre, i genitori così facendo danno al piccolo un messaggio importantissimo, che è il seguente: “So cosa stai provando, lo riconosco e lo capisco; hai tutto il diritto di provare anche queste emozioni e non per questo sei un bambino cattivo o inadeguato”.

Questa semplicissima ma efficace operazione rientra in ciò che gli psicologi chiamano “rispecchiamento”, ovvero la funzione genitoriale per cui il bambino ritrova se stesso nello sguardo e nelle parole della madre e del padre, attraverso l’immagine che essi gli restituiscono. È proprio questa immagine che andrà a costituire il nucleo profondo della sua personalità, è su questo processo che si costruiscono le fondamenta della consapevolezza rispetto a chi è, cosa vuole, cosa prova.

Il noto psicoanalista Donald Winnicott, che più di ogni altro ha teorizzato l’importanza di tali processi, scriveva che essi si attivano fin dalla primissima infanzia ma continuano anche oltre:

“ogni bambino trae beneficio dall’essere in grado di vedere se stesso nell’atteggiamento dei singoli membri, o della famiglia nel suo insieme” .

Abbiamo menzionato la grande abilità dei bambini nel cogliere le sfumature, nel capire al volo “se c’è qualcosa che non quadra” nei comportamenti altrui: ecco perché è sempre consigliabile condividere con loro la verità rispetto alla loro patologia. Certo, non si tratta della verità che concepiamo noi adulti, inserita in una prospettiva di passato e futuro; è piuttosto la verità del qui ed ora, concentrata sul presente, su azioni concrete che possono essere pienamente comprese dalla mente del bambino. Sono sufficienti poche, ma semplici e veritiere informazioni per permettere al bambino di padroneggiare meglio cosa sta per succedere (per esempio, spiegandogli che quel giorno mamma e papà lo accompagneranno in clinica per una visita importante e che staranno sempre vicino a lui). Inutile mentire, inutile nascondere.

Per facilitare la comunicazione genitori-bambino (ma anche medici-bambino!!) uno strumento fondamentale sono le storie, le favole: mettendo il dialogo sul piano della narrazione sarà possibile parlare di ciò che sta accadendo, delle emozioni in gioco, dando al bambino rassicurazioni e senza sovraccaricarlo di troppa intensità e preoccupazioni; ad esempio, invece di chiedergli direttamente “come stai?” è possibile chiedergli “come sta il bambino che era vicino a te a fare il prelievo?”: può sembrare un cambiamento sottile, in realtà è un modo per togliere tensione, evitare lo scontro diretto con emozioni spesso troppo forti… spostando l’attenzione, parlando di qualcun altro e facendo diventare il dialogo “una storia” è possibile permettere al bambino di esprimere stati d’animo, emozioni ed intenzioni che appartengono a sé ma che può proiettare su un terzo soggetto, proteggendolo quindi dal contatto diretto con esse.

I medesimi accorgimenti possono essere utilizzati anche in presenza di eventuali sorelle e fratelli: gli esperti del settore concordano rispetto al fatto che le famiglie che meglio affrontano la presenza di una

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patologia sono quelle che riescono a coinvolgere in una comunicazione aperta e adeguata all’età sia i figli che ricevono cure, sia i loro fratelli.

Infine, una peculiarità da tenere presente quando si comunica con i bambini (su qualsiasi argomento, ma in particolare quando lo si fa rispetto a temi delicati o spiacevoli) è la loro predisposizione a chiedere ripetutamente le stesse cose: in questo caso la ripetizione non è sintomo di scarsa competenza o intelligenza, ma è un modo attraverso il quale il bambino cerca di rendersi più sicuro e “padrone” di ciò che si sta dicendo. Siate quindi pronti a rispondere più volte alle stesse domande.

In conclusione quindi ecco le parole chiave da tenere a mente per sostenere il più possibile i bambini cardiopatici lungo il percorso di diagnosi e cura:

1. Fiducia (che i genitori, come primo modello, devono trasmettere nei grandi che somministrano le cure);

2. Rispecchiamento (come capacità dei genitori di intuire e mettere in parola le emozioni , anche quelle più sgradevoli o temute, e promuovere così la consapevolezza di sè);

3. Condivisione con i bambini della diagnosi e degli aspetti/informazioni che riguardano le modalità di cura.

4. Narrazione (attraverso la storia, è possibile far uscire ciò che fa paura, o fa soffrire, e renderlo meno minaccioso);

5. Fratelli (resi partecipi attraverso dialogo e comunicazione adeguati all’età).

6. Ripetizione (rispondere ripetutamente alle stesse domande è parte normale del processo di interiorizzazione di ciò che sta accadendo).

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Dr.ssa Giulia Callegaro

Laureata in Psicologia Clinico-Dinamica presso l’Università degli studi di Padova, attualmente in formazione presso il Servizio di Neuropsichiatria, Psicologia e Riabilitazione per l’Età Evolutiva dell’ULSS 15 di Camposampiero (PD) Ha svolto la tesi di laurea sull’”Efficacia di interventi volti alla prevenzione del disagio ed alla promozione del benessere della famiglia nel territorio padovano”. Tirocinio e stage formativo svolti presso Associazione Psicom-Psicologia per la Comunità con sede a Padova. Collabora con AIPA Padova nell’ambito del progetto TAO Giovani per i giovani pazienti in terapia anticoagulante orale. Aree di intervento e ambiti di interesse: Genitorialità, dinamiche relazionali intrafamiliari, promozione del benessere familiare, potenziamento delle risorse individuali e familiari.

e-mail: [email protected]

Bibliografia e siti web consultati per l’articolo:

� “Gioco e realtà” di D. Winnicott, Ed. Armando, 1973. � “A piccoli passi” di Silvia Vegetti Finzi e AnnaMaria Battistin, Ed. Mondadori, 1994 � “Lo sviluppo psicologico” di M.C. Levorato, Einaudi Editore, 2002 � “La comunicazione della diagnosi” di R.Buckman, Raffaello Cortina Editore, 2003 � “Prova con una storia” di A. Oliverio Ferraris, Ed. Rizzoli, 2009 � “Non solo amore” di A.Oliverio Ferraris, Ed. Giunti Demetra, 2010 � www.salute.gov.it � www.aipapadova.com � www.psicologiacontemporanea.it � www.annaoliverioferraris.com