questioni primarie n°5

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[1] C&LS - candidateandleaderselection.eu 21 Novembre 2012 Votare (e dibattere) informati……………………………………………...p. 1 Finché voto non vi separi…………………….……………………………...p. 2 Le ragioni del selettore………………………………………………………...p. 4 C’è una gran confusione sotto il cielo.………………………………...p. 7 Sentimeter e primarie…………………………………………………….…….p. 9 L’incognita partecipazione…………………………………..………………p. 12 I vincoli delle primarie..………….………………………………………..….p. 11 Una lezione di primarie……………………………….………………………p. 14 Votare (e dibattere) informati Nel limite del possibile Stefano Rombi, Università di Pavia Tra pochi giorni sapremo. Sapremo, innanzitutto, se, come sembra emergere dai sondaggi e dall’analisi dei tweet, dovremo attendere un’altra settimana per conoscere il vincitore. Ma sapremo anche se l’elefantiasi burocratica delle primarie 2013 avrà messo alla prova la pazienza e l’entusiasmo dei potenziali selettori al punto da indurli a desistere, a rimanere a casa. Le primarie, insomma, sono in dirittura d’arrivo. Tuttavia, benché sia paradossale, non è affatto chiaro quale sia il loro approdo. Per cosa si vota? In un sistema partitico strutturato la risposta sarebbe banale: si vota per il candidato alla presidenza del consiglio della coalizione di centrosinistra. Purtroppo, però, il nostro sistema partitico più che liquido, è gassoso. E, tanto per non porre limiti al peggio, quel poco che si sa sulla futura, e incertissima, legge elettorale promette nientemeno che un ritorno al mai troppo criticato assetto pre-1994. Se la legge elettorale fosse proporzionale, se il centro si costituisse in forma solida, se…cosa accadrebbe? I “se” sono troppi e, perciò, le previsioni diventano azzardate. In ogni caso, pur azzardando, è utile immaginare cosa potrebbe accadere. Il fattore più rilevante è, come dicevamo, la legge elettorale. Le primarie possono far esplodere tutto il loro potenziale solo all’interno di democrazie maggioritarie. Acquisiscono significato soprattutto in sistemi nei quali le coalizioni, costituendosi prima del voto, possono lasciare ai propri sostenitori la selezione del leader. Se, come potrebbe accadere, si tornasse ad una legge proporzionale le coalizioni si costituirebbero in parlamento e, con tutta probabilità, l’unità della coalizione che ha firmato la Carta d’Intenti comincerebbe a vacillare. Bersani apre al centro; Renzi vorrebbe tornare ai fasti di una vocazione maggioritaria di veltroniana memoria; Vendola non vuole saperne di Casini. Nel frattempo, Tabacci è convinto di essere il simbolo del centro nel centrosinistra. E, tra parentesi, gradirebbe che gli fosse riconosciuto dagli altri, indaffaratissimi, centristi. Puppato? A quanto pare, non sopporta la politique politicienne. Basta questa semplice e, in certa misura, sommaria ricognizione delle varie posizioni per farsi un’idea del caos, tutt’altro che calmo, nel quale i simpatizzanti del centrosinistra si accingono a votare. Se gli articoli contenuti in questo numero di QP non potranno far nulla contro il caos, potranno, si spera, aiutare i selettori a votare (anzi: a selezionare) informati. Da questo punto di vista, l’elemento cruciale sono, o dovrebbero essere, i programmi. Programmi che, come scrive Marco Leonardi, hanno avuto poco spazio nelle scorse settimane. Fortunatamente Voices from the Blogs ha sintetizzato le diverse posizioni collocando ogni candidato sulla base delle dimensioni Tradizione/Progresso e Sinistra/Destra. Offrendo ai selettori un’efficace strumento per la costruzione delle proprie preferenze. L’informazione corroborata dai fatti non dovrebbe interessare solo i selettori ma anche, se non soprattutto, i sempre più diffusi e sempre meno accorti opinion leader che ingorgano il nostro sistema mediatico. A tal proposito, conoscere le motivazioni alla base della scelta di voto nelle primarie passate e essere consapevoli dell’altissimo livello di fedeltà dei selettori del centrosinistra potrebbe essere molto istruttivo. E, soprattutto, potrebbe consentire lo svolgimento di un dibattito pubblico meno fumoso, ammiccante, allusivo e più circostanziato, distaccato, chiaro. In attesa che tutto ciò si realizzi, per adesso buon voto. D’altra parte, come cantava il Magnifico, del doman non v’è certezza.

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"Questioni Primarie" è un osservatorio sulle primarie 2012 del centrosinistra. È un progetto di Candidate & Leader Selection, realizzato grazie alla collaborazione con l'edizione online della rivista "il Mulino" e il coinvolgimento dell'Osservatorio sulla Comunicazione Politica dell'Università di Torino. L'obiettivo è offrire uno spazio di analisi, approfondimento e discussione aperto a diversi orientamenti e approcci, ma ancorato a due riferimenti irrinunciabili: l’impiego di conoscenze di tipo empirico e il ricorso a una terminologia appropriata.

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Page 1: Questioni Primarie n°5

[1] C&LS - candidateandleaderselection.eu

21 Novembre 2012

Votare (e dibattere) informati……………………………………………...p. 1 Finché voto non vi separi…………………….……………………………...p. 2 Le ragioni del selettore………………………………………………………...p. 4 C’è una gran confusione sotto il cielo.………………………………...p. 7 Sentimeter e primarie…………………………………………………….…….p. 9 L’incognita partecipazione…………………………………..………………p. 12

I vincoli delle primarie..………….………………………………………..….p. 11 Una lezione di primarie……………………………….………………………p. 14

Votare (e dibattere) informati Nel limite del possibile

Stefano Rombi, Università di Pavia

Tra pochi giorni sapremo. Sapremo, innanzitutto, se, come sembra emergere dai sondaggi e dall’analisi dei tweet, dovremo attendere un’altra settimana per conoscere il vincitore. Ma sapremo anche se l’elefantiasi burocratica delle primarie 2013 avrà messo alla prova la pazienza e l’entusiasmo dei potenziali selettori al punto da indurli a desistere, a rimanere a casa. Le primarie, insomma, sono in dirittura d’arrivo. Tuttavia, benché sia paradossale, non è affatto chiaro quale sia il loro approdo. Per cosa si vota? In un sistema partitico strutturato la risposta sarebbe banale: si vota per il candidato alla presidenza del consiglio della coalizione di centrosinistra. Purtroppo, però, il nostro sistema partitico più che liquido, è gassoso. E, tanto per non porre limiti al peggio, quel poco che si sa sulla futura, e incertissima, legge elettorale promette nientemeno che un ritorno al mai troppo criticato assetto pre-1994. Se la legge elettorale fosse proporzionale, se il centro si costituisse in forma solida, se…cosa accadrebbe? I “se” sono troppi e, perciò, le previsioni diventano azzardate. In ogni caso, pur azzardando, è utile immaginare cosa potrebbe accadere. Il fattore più rilevante è, come dicevamo, la legge elettorale. Le primarie possono far esplodere tutto il loro potenziale solo all’interno di democrazie maggioritarie. Acquisiscono significato soprattutto in sistemi nei quali le coalizioni, costituendosi prima del voto, possono lasciare ai propri sostenitori la selezione del leader. Se, come potrebbe accadere, si tornasse ad una legge proporzionale le coalizioni si costituirebbero in parlamento e, con tutta probabilità, l’unità della coalizione che ha firmato la Carta d’Intenti comincerebbe a vacillare. Bersani apre al centro; Renzi vorrebbe tornare ai fasti di una vocazione maggioritaria di veltroniana memoria; Vendola non vuole saperne di Casini. Nel frattempo,

Tabacci è convinto di essere il simbolo del centro nel centrosinistra. E, tra parentesi, gradirebbe che gli fosse riconosciuto dagli altri, indaffaratissimi, centristi. Puppato? A quanto pare, non sopporta la politique politicienne. Basta questa semplice e, in certa misura, sommaria ricognizione delle varie posizioni per farsi un’idea del caos, tutt’altro che calmo, nel quale i simpatizzanti del centrosinistra si accingono a votare. Se gli articoli contenuti in questo numero di QP non potranno far nulla contro il caos, potranno, si spera, aiutare i selettori a votare (anzi: a selezionare) informati. Da questo punto di vista, l’elemento cruciale sono, o dovrebbero essere, i programmi. Programmi che, come scrive Marco Leonardi, hanno avuto poco spazio nelle scorse settimane. Fortunatamente Voices from the Blogs ha sintetizzato le diverse posizioni collocando ogni candidato sulla base delle dimensioni Tradizione/Progresso e Sinistra/Destra. Offrendo ai selettori un’efficace strumento per la costruzione delle proprie preferenze. L’informazione corroborata dai fatti non dovrebbe interessare solo i selettori ma anche, se non soprattutto, i sempre più diffusi e sempre meno accorti opinion leader che ingorgano il nostro sistema mediatico. A tal proposito, conoscere le motivazioni alla base della scelta di voto nelle primarie passate e essere consapevoli dell’altissimo livello di fedeltà dei selettori del centrosinistra potrebbe essere molto istruttivo. E, soprattutto, potrebbe consentire lo svolgimento di un dibattito pubblico meno fumoso, ammiccante, allusivo e più circostanziato, distaccato, chiaro. In attesa che tutto ciò si realizzi, per adesso buon voto. D’altra parte, come cantava il Magnifico, del doman non v’è certezza.

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Finché voto non vi separi... … Quanto sono fedeli gli elettori delle primarie?

Marco Valbruzzi, Istituto Universitario Europeo

Ormai ci siamo. Domenica prossima i cittadini italiani e, in particolar modo, gli elettori di centrosinistra, sono stati invitati a scegliere il loro candidato alla carica di presidente del Consiglio. I giochi sembrano in parte fatti e anche i sondaggisti, benché sempre più impacciati nell’intercettare il parere di un elettorato dubbioso e pensoso, danno per acquisiti due elementi: 1) il front runner della contesa elettorale, cioè chi scatta avvantaggiato rispetto a tutti gli altri concorrenti, è Pier Luigi Bersani; 2) molto probabilmente assisteremo ad un secondo turno tra i due candidati più votati (con Renzi a ricoprire il ruolo del runner up, ossia del principale rivale dell’attuale Segretario del PD). Quello che è davvero certo, al di là dei sondaggi quotidiani, è che alla fine ci sarà un vincitore e quattro sconfitti. Di conseguenza, ci sarà, da un lato, una parte cospicua di selettorato “vincente”, che ha votato per il candidato che ha ottenuto la nomina, e, dall’altro lato, ci saranno quei selettori “sconfitti”, che hanno espresso la loro preferenza per uno dei quattro candidati rimasti (per il momento) a bocca asciutta. Come si comporteranno queste persone deluse? Sosterranno lealmente il vincitore oppure scapperanno a gambe levate verso altri lidi politici più accoglienti e a loro più affini? Insomma, che fine faranno i delusi, quelli che hanno visto perdere il loro candidato preferito?

In attesa che gli exit-poll di C&LS ci svelino come si comporteranno i selettori del 25 novembre, possiamo

provare a dare una prima risposta, approssimativa ma per nulla campata per aria, andando a vedere come, in passato, si sono comportati quei cittadini che hanno partecipato all’elezione del Segretario del PD nel 2009. Ovviamente, ci sono enormi differenze tra i due tipi di votazione, e quindi la comparazione va fatta e presa con molte cautele, ma le affinità tra i due gruppi di votanti sono così profonde che vale la pena tentare. Nelle consultazioni del 2009 si fronteggiavano tre candidati: Bersani, Dario Franceschini e Ignazio Marino. Come sappiamo, Bersani vinse ottenendo il consenso del 53% dell’elettorato, lasciando a Franceschini il 34% dei voti e a Marino poche, ma importanti e laiche, briciole (13%). Come direbbero i veri sportivi, l’importante è partecipare… però perdere brucia e lascia sempre piccole o grandi ferite. Ad ogni modo, i due candidati perdenti hanno rapidamente riconosciuto la vittoria del nuovo Segretario, ma i loro elettori sono stati altrettanto leali? A tal proposito, diamo un’occhiata alla Figura 1. Il primo elemento che emerge è l’alta fedeltà dei partecipanti: all’incirca un votante su tre è disposto a giocare lealmente alle primarie, sostenendo il vincitore (e il PD). Il dato riferito a coloro che hanno votato un candidato sconfitto è leggermente più basso rispetto alla media (75%), ma comunque superiore al 70%. In maniera speculare, gli elettori delusi per la sconfitta del loro candidato sono più incerti sul loro futuro comportamento elettorale, e scioglieranno più avanti la propria riserva, magari nel corso della successiva campagna elettorale. In questo caso, sta all’abilità del candidato vincente cercare di fare in modo che questi elettori non vadano altrove e votino per la coalizione di centrosinistra. Infine, ci sono gli elettori “sleali”, che sosterranno il PD (o la coalizione da esso formata) soltanto se vincerà il loro candidato preferito. In questo caso, la differenza tra “vincenti” e “sconfitti” è minima e, complessivamente, alquanto ridotta (all’incirca il 2%). Dunque, ipotizzando per il 25 novembre una partecipazione (più che plausibile) attorno ai 3 milioni di elettori, il candidato vincitore potrà contare su una base di potenziali consensi, già assicurati o da rassicurare, di circa due milioni e ottocentomila votanti. Non poco e non male. Anzi, coi tempi che corrono, un capitale elettorale di partenza che va curato, preservato e, se possibile, ma qui sta il compito della politica, sapientemente allargato

ipotizzando per il 25 novembre una partecipazione (più che plausibile)

attorno ai 3 milioni di elettori, il candidato vincitore potrà contare su una base di potenziali consensi, già

assicurati o da rassicurare, di circa due milioni e ottocentomila votanti. Non poco e non male. Anzi, coi tempi che

corrono, un capitale elettorale di partenza che va curato, preservato e, se

possibile, ma qui sta il compito della politica, sapientemente allargato

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Fig. 1 Intenzioni di voto al PD tra i partecipanti all’elezione del Segretario del 2009, %

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Le ragioni del selettore Una riflessione sulle motivazioni di voto

Luciano Fasano, Università di Milano e Coordinatore C&LS

Si è tanto discusso, nelle scorse settimane, sulla capacità del Pd di condizionare l’esito delle primarie attraverso un’opera organizzata di sostegno nei confronti del Segretario Pierluigi Bersani. È vero che i candidati democratici in lizza sono ben tre, essendovi anche Renzi e Puppato. Però è altrettanto evidente come gran parte del gruppo dirigente centrale e locale del Pd stia facendo campagna elettorale per Bersani proprio perché è il segretario del partito, e in quanto tale il più naturale destinatario dei consensi di quella che egli stesso ha in più occasioni definito "la ditta". Ciò che del resto trova anche riscontro nel fatto che da più parti la candidatura di Renzi venga accusata di non avere nulla a che vedere con il suo stesso partito di appartenenza. Ma sarà poi vero che un partito, con la sua macchina organizzativa e politica, riesca a condizionare in modo decisivo il voto alle primarie secondo le proprie indicazioni? questo interrogativo rinvia chiaramente alle motivazioni di voto. Occorre cioè chiedersi quali siano le ragioni che spingono un elettore delle primarie a votare un candidato piuttosto che un altro: l’indicazione di quel candidato da parte di un partito? Il fatto che quel candidato rappresenti la propria identità o cultura politica? Le caratteristiche personali di quel candidato? L’esperienza empirica cumulata nello studio delle primarie comunali, attraverso la realizzazione di indagini demoscopiche sui selettori, ha permesso di fornire qualche prima fondata risposta. In generale, infatti, possiamo senza tema di smentita sostenere che nelle primarie comunali la motivazione prevalente di voto riguardi le caratteristiche personali del candidato. Ciò trova corrispondenza anche nella letteratura specialistica, che ha contribuito a mettere in luce come fra i criteri di valutazione dei candidati che maggiormente influenzano la scelta di voto vi sia un insieme di fattori strettamente individuali, riconducibili al concetto di valence (valenza individuale), che includono capacità, competenze, intraprendenza, integrità, carisma e leadership del candidato votato. Ciò detto, è assai probabile che nel contesto di un voto nazionale, come le primarie del 25 novembre, il peso di fattori quali l’indicazione partitica e l’identificazione piano politico-culturale sia sensibilmente maggiore di quanto non accada nel

contesto di un voto locale, come le primarie per la scelta di un candidato Sindaco. Tuttavia l’influenza delle caratteristiche personali del candidato, e quindi del rapporto fiduciario che sulla base di tali caratteristiche l’elettore cerca di instaurare con il destinatario del proprio voto, può a ragione considerarsi la motivazione principale anche nel caso di primarie per la leadership di coalizione. La domanda, a questo punto, diventa un’altra e cioè se nel selettorato (cioè gli elettori che partecipano alle primarie) vi siano segmenti di elettorato sensibili al richiamo dell’indicazione di partito. Perché se così fosse, si potrebbe trarre la conclusione che una maggiore o minore mobilitazione di tali segmenti possa favorire Bersani, in quanto destinatario privilegiato dell’indicazione di voto da parte del maggiore partito della coalizione.

Di scontato, vi è una certa propensione naturale degli iscritti del PD a votare per il candidato indicato dal proprio partito (quando è uno solo), ovvero per colui che si presenta favorito ai blocchi di partenza proprio perché sostenuto dal partito più grande. Ma poiché l’incidenza degli iscritti al PD sul complesso degli elettori che partecipano alle primarie è piuttosto limitata, questa non sembra una ragione sufficiente a garantire il successo ad uno dei contendenti. Più in grado di orientare l’esito delle primarie sono invece i veterani, cioè coloro che in passato hanno già preso parte ad altre

Appare quindi chiaro come indirizzare il consenso, nel caso delle primarie, sia

un'impresa assai difficile da realizzare. Così come esercitare la necessaria influenza attraverso l'indicazione da parte di un

partito del candidato da votare. Per certi versi, infatti, gli esiti di questo tipo di consultazioni dipende assai più dalla

capacità di portare al voto nuovi elettori, matricole alla prova dei gazebo che con

maggior probabilità possono giocare brutti scherzi al verificarsi dei pronostici. Forse

questa è anche la sfida di domenica

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consultazioni dello stesso tipo, a cominciare, ad esempio, dall’elezione diretta del segretario del Partito Democratico. I veterani sono, in un certo senso, il corpo attivo del centrosinistra, oltre che la parte preponderante del selettorato, e tra loro, sebbene prevalga comunque un voto che premia le caratteristiche personali del candidato, l'incidenza del voto secondo indicazione del partito è sensibilmente più alta. Ma il segmento di elettorato più interessante, perché è quello che in alcune occasioni si è rivelato in grado di sovvertire i pronostici della vigilia, è rappresentato dalle cosiddette matricole, cioè coloro che in precedenza non avevano mai partecipato a una consultazione di questo tipo, né per la scelta di un candidato Sindaco, né per l'elezione diretta del segretario del Pd. Si tratta di elettori che - a loro volta - scelgono di votare un candidato prevalentemente per le sue caratteristiche personali. E che, in talune circostanze, hanno favorito con il loro voto il sorpasso del candidato maggiormente accreditato per la vittoria (front runner) da parte di uno degli sfidanti.

Appare quindi chiaro come indirizzare il consenso, nel caso delle primarie, sia un'impresa assai difficile da realizzare. Così come esercitare la necessaria influenza attraverso l'indicazione da parte di un partito del candidato da votare. Per certi versi, infatti, gli esiti di questo tipo di consultazioni dipende assai più dalla capacità di portare al voto nuovi elettori, matricole alla prova dei gazebo che con maggior probabilità possono giocare brutti scherzi al verificarsi dei pronostici. Forse questa è anche la sfida di domenica. Del resto, uno dei casi in cui la mobilitazione di una consistente fetta di matricole ha permesso ad un candidato di affermarsi contro il concorrente predestinato alla vittoria è proprio quello delle primarie di Firenze per la scelta del candidato Sindaco nel 2009. Vedremo se una situazione di questo tipo si verificherà anche domenica. O se viceversa i pronostici della vigilia troveranno conferma.

Fig 2. Le motivazioni di voto Fonte: Candidate & Leader Selection

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Fig. 3 Matricole e Veterani a confronto Fonte: Candidate & Leader Selection

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C’è una gran confusione sotto il cielo Ecco perché voto

Marco Leonardi, Università di Milano

Tra due settimane voteremo a delle primarie che assomigliano di più ad un congresso che a delle vere e proprie primarie. I due maggiori contendenti sono distinti solo in maniera marginale dai rispettivi programmi: Bersani vuole meno IMU e più patrimoniale straordinaria, una revisione parziale della riforma delle pensioni e la difesa senza se e senza ma della scuola e degli insegnanti. Renzi sembra più tiepido su tutte e tre le questioni. Ma i programmi sono necessariamente generici e la prova si avrà sul campo quando si tratterà di prendere delle decisioni. C’è a mio parere però una distinzione chiara tra i due: al di là dei dettagli dei programmi di Bersani, Renzi e Vendola, conta quel che i candidati pensano e dicono del governo di Monti e quel che potranno fare per continuare l’agenda Monti se vinceranno le primarie e poi le elezioni. Io non credo che nessuno dei tre candidati farà necessariamente il primo ministro se vince queste primarie: ci sono troppe variabili ancora in gioco, prima bisogna conoscere la legge elettorale poi bisogna vincere le elezioni poi bisogna vedere quali saranno gli accordi con gli alleati. Se cambia la legge elettorale è più probabile che il primo ministro lo faccia di nuovo un tecnico se non Monti stesso. Vendola ha già detto che si candida in funzione anti-Monti. Bersani è quello che ha garantito finora la maggioranza per il governo Monti e Renzi è quello che ha detto parole più chiare di sostegno all’agenda Monti. Come scegliere tra i due? Il problema di Bersani è che si è apparentemente impegnato in una coalizione con Vendola, e forse si allearà anche con qualche fuoriuscito del partito di DiPietro se si voterà con il porcellum e ci sarà la gara ad allargare le coalizioni. A questo punto se anche vincesse le elezioni, come potrà mai Bersani continuare nel solco di Monti con questi compagni di strada? Credo che più degli alleati “naturali” (Vendola appunto) sia molto più importante scegliere una linea politica. Su la linea politica di Monti credo che dia garanzie più credibili Renzi di Bersani. I critici dell’agenda Monti sostengono che la definizione stessa dell’agenda Monti o è strumentale o è fumosa. È vero tutto il contrario. Non è affatto strumentale perchè il giudizio sul governo passato è l’unico criterio che ci guida in questa situazione di incertezza. Non è affatto fumosa, in quanto in Europa tutti sanno benissimo cosa si intende per agenda Monti; se definissimo agenda Monti semplicemente andare avanti sulla strada delle riforme di questo governo e non tornare indietro, basterebbe questa

definizione davvero scarna per escludere moltissimi dal numero dei sostenitori di Monti. Infine una nota importante: gli ultimi sondaggi sulle primarie danno Bersani avanti con Renzi a un’incollatura e più staccato Vendola. I dati relativi ai due candidati del PD parrebbero dunque indicare un partito più o meno paritariamente diviso tra i sostenitori del segretario e quelli del sindaco di Firenze, tra una linea più orientata a sinistra, ad una futura alleanza con Vendola, ed una più in continuità con il governo Monti, sotto il profilo dei contenuti, e nel solco della vocazione maggioritaria di veltroniana memoria, sotto quello dell’offerta politica. Se tuttavia guardiamo al partito nella larghissima maggioranza dei suoi quadri e dirigenti, per non parlare degli eletti di ogni ordine e grado, sono tutti schierati con Bersani. Tra parlamentari e senatori i sostenitori di Renzi si contano sulle dita di una mano o forse due. Di poco meglio la situazione tra gli eletti nei consigli regionali e comunali nonché tra i vertici locali del PD. Come si spiega questa differenza così grande tra le preferenze degli elettori (ovviamente se i sondaggi saranno confermati) e quella degli eletti? Se Renzi fosse un candidato puramente di bandiera senza nessuna proposta politica distintiva e sostenuto solo da una campagna elettorale molto visibile, si potrebbe sostenere che i politici di professione sanno distinguere le promesse della campagna elettorale da una solida linea politica e per questo scelgono Bersani. Purtroppo non ci sembra che sia così: al di là della promessa di ricambio generazionale che pur sembra giustificato dopo anni di sconfitte, la proposta di Renzi sembra ben distinta da quella di Bersani come abbiamo detto sopra. La spiegazione sembra piuttosto essere che gli eletti del PD stanno facendo dei calcoli sulle probabilità di entrare di nuovo in lista alle prossime elezioni. Se è così però si certificherebbe il distacco del partito degli eletti da quello (molto più numeroso) degli elettori. Nel frattempo bisogna solo ringraziare chi queste primarie le ha volute e porta a votare circa 1 milione di persone che avevano votato PD nel 2007 e poi non più alle elezioni seguenti. .

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Sentimeter e primarie previsioni e programmi al tempo di Twitter

Andrea Ceron, Luigi Curini, Stefano M. Iacus, Giuseppe Porro, Voices from the Blogs, Università degli Studi di Milano

Certo, non siamo ancora come negli Stati Uniti, dove i tweet postati durante il primo dibattito tra i candidati Obama e Romney avevano toccato l'impressionante cifra di 10 milioni. Ma per essere delle primarie, anche in Italia l'utilizzo di social media, Twitter su tutti, per discutere, inneggiare, criticare i contendenti è stato e continua ad essere massiccio. Con decine di tweet al secondo, ad esempio, nelle due ore di diretta tv in cui la sera del 12 novembre i cinque candidati alle primarie del centro-sinistra si sono confrontati sotto lo sguardo delle telecamere SKY. Ecco perché cercare di capire l'umore della rete su queste primarie non rappresenta un esercizio velleitario. Quanto, al contrario, una modalità differente per sondare l'opinione di diverse decine di migliaia di italiani che, in modo poco eterodiretto, scelgono di dire la loro in materia. Come Voices from the Blogs (VfB), osservatorio dell'Università degli Studi di Milano sui social media, abbiamo così deciso di seguire nell'ultimo mese le diverse fasi della campagna elettorale delle primarie, pubblicando i nostri risultati sul sito del Corriere della Sera. Ciò che differenzia l'analisi di VfB dalle tecnologie esistenti, tutte largamente basate sull’utilizzo di dizionari ontologici, è la capacità di unire i pregi della codifica manuale (che permette di cogliere le allusioni, le ironie, le sfumature semantiche o i cambiamenti nel linguaggio naturale che possono emergere proprio nel corso di una campagna elettorale) ai vantaggi propri di un’analisi altamente automatizzata attraverso l’impiego di un algoritmo originariamente sviluppato presso la Harvard University da Daniel Hopkins e Gary King, con cui VfB collabora anche su questi temi. Questa modalità di analisi consente di ricostruire accuratamente e in modo sistematico l’orientamento di chi scrive su Internet, le sue opinioni e preferenze, ottenendo così un controllo costante dei temi discussi, quasi “in tempo reale”. D'altra parte, tale metodo di analisi è stato utilizzato con successo da VfB per monitorare sia le elezioni presidenziali francesi che quelle americane per lo speciale del Corriere della Sera. Al 18 novembre, VfB ha effettuato 5 rilevazioni, per un totale di quasi 200 mila tweet analizzati. La prima rilevazione è del 10 ottobre e cattura l’opinione dei tweet che parlano di primarie relativi

ai 10 giorni precedenti. La seconda è del 6 novembre, la terza è del 12 novembre, mentre le ultime due sono rispettivamente del 16 e del 17 novembre. Cosa ci dice dunque la rete? In tutte e cinque i periodi temporali analizzati il segretario del PD Bersani è sempre stato in testa con una percentuale di voto sostanzialmente stabile intorno al 40%. Insomma, un forte sostegno che però non appare sufficiente per riuscire a vincere già al primo turno. Questo è almeno quello che emerge dall’analisi su Twitter. Al secondo posto, e anche qua in tutte e cinque le rilevazioni, c’è Matteo Renzi, anche se con un gradimento più ondivago rispetto a Bersani. Terzo incomodo Vendola, seppure chiaramente staccato dagli altri due. In modo interessante, almeno per i candidati principali alle primarie del centro-sinistra, le preferenze espresse su Twitter appaiono molto prossime a quelle dei sondaggi demoscopici. Ad esempio, l’ultimo sondaggio del 17 novembre dell'Istituto Swg presentato durante la trasmissione Agorà su Rai Tre, dava Bersani al 41% e Renzi al 26%, un dato assai vicino a quello della nostra ultima rilevazione. D’altra parte, l’umore della rete non si limita necessariamente ad esprimere giudizi nei confronti dei candidati. Nella rilevazione di ottobre, ad esempio, avevamo anche cercato di capire la reazione al cambiamento delle regole (doppio turno ed albo dei votanti) che l’assemblea nazionale del PD del 6 ottobre aveva introdotto. A testimonianza, in questo senso, della estrema flessibilità che una analisi sulla rete permette in termini di temi monitorati. A questo riguardo era emerso una vera e propria spaccatura tra chi voleva primarie aperte (52,4%) e chi invece riteneva giusto restringere la platea dei votanti (47,6%). Ma le elezioni primarie non servono solo a scegliere il leader, perché ad ogni leader sono associate idee e proposte, le une diverse dalle altre. Nonostante infatti la carta di intenti, firmata da Partito Democratico, Sinistra Ecologia e Libertà e Partito Socialista Italiano, racchiuda le linee generali che la coalizione di centrosinistra intende perseguire, i singoli leader hanno visioni diverse rispetto alle politiche da attuare. Il centrosinistra a guida Renzi sarebbe inevitabilmente diverso da una coalizione a sostegno di Vendola, per non parlare della candidatura di Tabacci, esponente di un partito

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(Alleanza per l’Italia) che ha proposto alcuni emendamenti alla carta d’intenti. Un modo per fare luce su questi aspetti, è analizzare i programmi dei cinque candidati premier per il centro-sinistra. Questo è quello che abbiamo fatto, attraverso il ricorso a moderne analisi quantitative del testo utilizzate sempre più diffusamente nella letteratura politologica che permettono di farsi una idea delle relative somiglianze (e differenze) delle varie posizioni. E infatti i distingui non mancano. Sulla scala sinistra-destra della coalizione di centro-sinistra si va ad esempio dalla posizione più radicale di Vendola a quella, molto moderata, di Renzi, passando per Bersani, il cui programma è a metà strada tra i due, ma non perfettamente equidistante. La linea politica dell’attuale segretario del PD è infatti parzialmente sbilanciata a sinistra, forse anche per convincere i potenziali elettori di Vendola a sostenerlo durante le primarie.

Anche sui diritti civili le distanze tra i vari candidati si fanno sentire. Tabacci, ad esempio, non cita nemmeno il tema nel suo programma, ma dalle dichiarazioni rilasciate emerge come il più moderato su queste tematiche. Vendola al contrario, e senza alcuna sorpresa, è il più progressista quanto a laicità. Molto più cauto Bersani, che su questo terreno non si discosta troppo da Matteo Renzi, incalzato forse dalla necessità di non perdere il sostegno degli elettori cattolici del PD. Insomma, a chiunque uscirà vincitore dalle primarie, toccherà non solo confrontarsi con gli altri partiti nella competizione elettorale, ma anche affrontare un compito più insidioso: quello di sintetizzare al meglio le diverse (e a volte confliggenti) anime che attraversano il centro-sinistra, per evitare rischi di future divisioni e per dare al contempo agli elettori l’immagine di una coalizione unitaria.

Fig. 4 L’andamento dei candidati su Twitter

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Fig. 5 Il dibattito sulle regole visto da Twitter

Fig. 6 Destra e Sinistra su Twitter

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I vincoli delle primarie Come e perché la scelta del candidato rischia di essere depotenziata…

Nicola Martocchia Diodati, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

Se le primarie all’italiana avessero un ruolo realmente centrale nel processo di definizione della linea politica di uno schieramento e non solo della leadership, le proposte programmatiche dei candidati risulterebbero determinanti, sia durante la competizione attuale sia in vista delle elezioni del prossimo anno. A causa del patto di coalizione stipulato fra i partiti protagonisti delle primarie, invece, le policies che verranno proposte nella campagna elettorale risulteranno da un compromesso tra quelle che le singole candidature hanno per ora esposto. Del resto, i partiti nelle competizioni elettorali, perseguono strategie office oriented, piuttosto che policy oriented, come invece fanno gli elettori, soprattutto coloro che non si riconoscono ideologicamente in un partito, ma che di volta in volta decidono chi votare. In un simile contesto, l’utilità percepita dall’elettore nel partecipare alle primarie potrebbe anche essere maggiore di quella che trarrebbe dal votare la coalizione di centrosinistra alle elezioni politiche della prossima primavera. Il beneficio percepito da coloro che sarebbero disposti a votare alle primarie in funzione esclusiva delle proposte dei candidati, verrebbe meno nel momento in cui tali proposte dovessero essere mitigate da una sintesi più generale prodotta dai partiti della coalizione. E ciò ovviamente allontanerebbe dal voto gli elettori indipendenti dalle appartenenze ideologico-partitiche, che sono soliti votare in funzione delle issue politiche.

Considerando il dibattito tra i candidati (si pensi alla posizione sull’Art. 18 e sulla riforma delle pensioni), la policy che sembra essere più in grado di polarizzare l’elettorato è rappresentata dalle questioni economiche e di riforma del lavoro, che peraltro, secondo la letteratura, è anche la issue che meglio definisce lo spazio sinistra/destra. Dall’analisi dei dati rilevati da C&LS durante le primarie di coalizione in vista delle elezioni amministrative del 2011 in quattro capoluoghi di regione come Bologna, Cagliari, Milano e Torino, è stato possibile notare come circa il 22% dell’elettorato, nel caso il candidato votato non dovesse vincere la competizione, valuterà successivamente (anche in funzione del vincitore) se votare la coalizione di centrosinistra o meno, contro quasi il 69% che invece voterà la coalizione comunque. Osservando poi la distribuzione degli elettori su scala sinistra/destra in funzione della strategia scelta, si riscontra una presenza decisamente maggiore di elettori che decideranno in seguito al di fuori di quella che è percettivamente considerata la collocazione media di una coalizione di centrosinistra (valori 2 e 3). Ciò a conferma di come la possibilità di coinvolgere parti di elettorato non tradizionalmente di centrosinistra sia reale, e sia basata sulle proposte politiche. Le primarie all’italiana potrebbero così paradossalmente allargare lo spazio politico del centrosinistra esclusivamente in vista della consultazione del 25 di novembre, perdendo quella possibilità di rendere i cittadini realmente parte della costruzione della piattaforma politica della coalizione, allontanando parti di elettorato che potrebbero trovare nel centrosinistra una collocazione e riducendosi così ad un mero spot pre-elettorale. Per ampliare il loro spazio politico, evitare una conseguenza come quella appena descritta e rendere le primarie un “gioco con senso”, è necessario quindi che le organizzazioni politiche cedano effettivamente una parte del proprio potere decisionale, non solo per quanto riguarda il volto che verrà ritratto sui manifesti elettorali, ma anche, e soprattutto, su ciò che quel volto proporrà agli elettori.…

A causa del patto di coalizione stipulato fra i partiti protagonisti delle primarie, invece, le policies

che verranno proposte nella campagna elettorale risulteranno

da un compromesso tra quelle che le singole candidature hanno per

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L’incognita partecipazione

Un difficile pronostico Antonella Seddone, Università di Torino

A pochi giorni dalla fatidica data del 25 novembre ci A pochi giorni dalla fatidica data del 25 novembre ci sono ben poche certezze. Tralasciando la questione delle regole, messe in discussione per l’ennesima volta per via dei tortuosi percorsi di pre-registrazione che i potenziali selettori dovrebbero seguire per poter esprimere il voto. L’incognita è soprattutto la partecipazione. Nel balletto dei numeri Bersani ha fissato il traguardo in 2 milioni di votanti. Al di sotto di quella cifra si parlerà di fallimento, al di sopra di successo. Facile, no? Il punto è capire cosa c’è oltre quella soglia. Un successo sicuro, ma di chi? Una larga partecipazione favorirebbe Renzi, capace di mobilitare soprattutto all’esterno del bacino elettorale del suo partito, mentre una quota di partecipazione più contenuta dovrebbe aiutare Bersani a fronteggiare l’avanzata delle “matricole”, che si suppone siano per lo più renziane. Come di consueto con l’avvicinarsi del (s)election day si moltiplicano i sondaggi. I media, facendo il loro mestiere, si affannano per riportare il dato più aggiornato, enfatizzando gli scostamenti fino all’ultimo centesimo, arrivando talvolta anche a sbirciare fra gli appunti di candidati e organizzatori. Il problema è che in questa competizione primaria i numeri sono più che mai scivolosi. Perché, mai come in questa occasione, sarà la partecipazione il termometro che ci dirà già prima della chiusura dei seggi se si andrà – com’è probabile – a un secondo turno. I sondaggi hanno un loro fascino e la tentazione di dare i numeri è forte perché C&LS possa resistervi. Vogliamo però considerare le percentuali retrospettivamente, con il senno di poi. In attesa di analizzare i dati che raccoglieremo domenica proviamo a considerare l’andamento dei sondaggi sulle primarie negli ultimi due mesi. Non ci interessa interpretarli in un’ottica predittiva, piuttosto li usiamo per capire se e, eventualmente, come la curva di gradimento dei candidati sia mutata nel corso della campagna elettorale. La Figura 7 racconta di una competizione serrata, ma non giocata sul filo del rasoio. Descrive un film con pochi colpi di scena. Proviamo a guardare a queste primarie come a un Gran Premio di Formula 1. A settembre, ai blocchi di partenza Bersani e Renzi partivano in pole position: erano in prima fila. In seconda fila si collocava Vendola confortato, però, da un sostegno compatto e unitario del suo partito e di

tutta l’area della sinistra (ormai) extra-parlamentare, che ha visto in lui l’opportunità di un riscatto elettorale. E dunque libero dalle beghe di partito che invece coinvolgevano Bersani e Renzi. Nelle retrovie c’erano Tabacci e Puppato.

A distanza di oltre due mesi la situazione è… la stessa. La corsa è iniziata. I candidati hanno fatto i loro pit-stop, giocato le loro strategie comunicative, litigato quanto basta e fatto la pace il necessario per partecipare al chiaccheratissimo dibattito televisivo. Il quale, ad essere onesti, aveva l’obiettivo di dare un’immagine unitaria e compatta della coalizione più che di offrire uno spazio di confronto e dialettica fra proposte alternative. A vedere l’andamento dei sondaggi sarebbero Puppato e Tabacci a giocare la partita più avvincente. Ma parliamo di poche manciate di voti e di un margine troppo ristretto per consentire alcuna argomentazione. In testa alla corsa i tre big hanno giocato una partita molto tranquilla. Non si evidenziano inversioni di tendenza. E le oscillazioni sono tutto sommato limitate a pochi punti percentuali. Sembra che si sia spostato poco o nulla. Certo alcuni eventi hanno prodotto minime variazioni: la vicenda delle regole, le polemiche fra Renzi e Marchionne, le vicende beghe interne al PD connesse al futuro di Veltroni e al destino di D’Alema. Tutto sommato, l’impressione è che l’andamento dei sondaggi sia stato piuttosto lineare, senza colpi di scena o stravolgimenti importanti. Certo, tutto può

I sondaggi hanno un loro fascino e la tentazione di dare i numeri è forte perché

C&LS possa resistervi. Vogliamo però considerare le percentuali

retrospettivamente, con il senno di poi. In attesa di analizzare i dati che raccoglieremo

domenica proviamo a considerare l’andamento dei sondaggi sulle primarie negli ultimi due mesi. Non ci interessa

interpretarli in un’ottica predittiva, piuttosto li usiamo per capire se e, eventualmente, come la curva di gradimento dei candidati

sia mutata nel corso della campagna elettorale

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succedere e si sa che i giorni che precedono il voto sono determinanti nella definizione della scelta degli indecisi. Ecco gli indecisi sono la vera incognita: certamente gli indecisi sul candidato da votare, ma

anche gli indecisi sul recarsi o meno a votare. E le equazioni a due incognite non sono poi così semplici da risolvere. …

Fig. 7 L’andamento dei sondaggi

Nota: selezione dei sondaggi sul tema delle primarie pubblicati sul sito http://www.sondaggipoliticoelettorali.it/ Sono stati inclusi nell’analisi tutti quei sondaggi che offrissero agli intervistati l’alternativa di risposta su tutti e 5 i candidati in lizza, pertanto sono state incluse tutte quelle rilevazioni focalizzate su soli due o tre candidati, inoltre abbiamo selezionato solo quei sondaggi che rispettassero i seguenti parametri: un minimo di 800 casi, utilizzo di metodo CAWI o CATI, Campionamento su base nazionale.

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Una lezione di primarie …ad uso di critici e scettici

Marco Valbruzzi, European University Institute

È un vero peccato che un’opinionista così raffinata come Nadia Urbinati non riesca a guardare al di là del proprio naso quando intravede con qualche anno di ritardo, in Italia, l’avvento di un’“età delle primarie”. Avesse osservato più nel dettaglio quello che accadeva a livello locale/municipale, si sarebbe accorta del suo errore, e cioè di avere elevato a regola quella che è soltanto una eccezione. Secondo Urbinati, la via italiana alle primarie è stata intrapresa non tanto per “selezionare i candidati”, ma, soprattutto, al fine di ”tenere alta l’attenzione dei cittadini nei confronti della politica”. Per farla breve, le elezioni primarie sarebbero soltanto un efficace specchietto per le allodole. Così non è, anche se a Urbinati non pare. Osservare, per credere, la Figura 8. Dal 2004 ad oggi, a livello comunale, abbiamo assistito a 508 elezioni primarie, la maggior parte delle quali (oltre il 97%) organizzate dal PD o dai partiti di centrosinistra nel suo insieme. E la stragrande maggioranza di queste votazioni sono servite non tanto a scaldare i cuori degli elettori, bensì a scegliere, dopo una vera competizione, i candidati sindaci. Pensi un po’, cara Urbinati: si è trattato di primarie così competitive che in alcuni e noti casi il candidato del PD (a volte, addirittura, sindaco uscente in cerca di rielezione) è stato sconfitto da un altro candidato, rappresentante di un altro partito.

Ma pensare che le primarie italiane siano una specialità tutta nostrana, un altro prodotto made in Italy da guardare con un certo accigliato sospetto (perché la partecipazione va e fa bene, ma solo se assunta a piccole dosi e, soprattutto, se serve a non

decidere mai nulla…), è un altro errore di interpretazione nel quale Nadia Urbinati cade troppo facilmente. Sono certo che dalle finestre del suo studio newyorkese la studiosa italiana abbia assistito alle faraoniche primarie statunitensi, sia a quelle presidenziali che a quelle per le tante cariche pubbliche sottoposte ad elezione (dai governatori, ai senatori, rappresentanti, procuratori generali, per arrivare addirittura ai provveditori agli studi). Meno probabile, invece, è che abbia avuto occasione di osservare i tanti altri casi di elezioni primarie sparse per il mondo, dal Cile al Messico, dall’Argentina a Israele, dall’Uruguay a Taiwan, dalla Colombia alla Francia, dall’Islanda al Ghana, dalla Spagna alla Germania... Essendo uno strumento estremamente camaleontico, nel corso del tempo le primarie si sono adattate a diversi contesti, culturali e istituzionali, e hanno svolto e svolgono numerose funzioni, tra cui la mobilitazione dell’elettorato, la selezione delle candidature e, last but not least, la diffusione di informazioni politiche. Prendiamo, soltanto a mo’ di esempio, i tre ultimi casi in ordine di tempo: Germania, Honduras e Francia. Il 10 novembre scorso la Germania ha assistito al primo caso di elezioni primarie in un partito politico. I Verdi, forti della loro Basisdemokratie, hanno organizzato primarie chiuse, riservate ai soli iscritti, per scegliere i loro candidati (un uomo e una donna) alla Cancelleria. Come debutto, le primarie tedesche hanno avuto un indubbio successo: hanno partecipato 35.065 iscritti su un totale di circa 57.000 (pari al 61,7% degli aventi diritto). Uno dei vincitori, Jürgen Trintin (71% delle preferenze), già ministro e attuale presidente del partito, era prevedibile e non ha creato sorprese. Al contrario, la vincitrice femminile, Katrin Göring-Eckardt (47% delle preferenze), vice-presidente del Bundestag e presidente del sinodo della Chiesa Evangelica Tedesca, ha smentito ogni sondaggio riuscendo a conquistare la candidatura femminile. Prima lezione per gli italiani: attenzione ai sondaggi, ai quali sempre più spesso sfugge l’umore degli elettori più incerti e dubbiosi. Domenica 18 novembre l’Honduras ha organizzato le sue prime elezioni primarie dal 2009, quando un colpo di Stato costrinse all’esilio l’allora presidente Manuel Zelaya. Le primarie della scorsa domenica sono viste, giustamente, da molti osservatori come uno strumento per facilitare e rafforzare il cammino honduregno verso una stabile democrazia. Le primarie erano obbligatorie per tutti quei partiti al cui

Dal 2004 ad oggi, a livello comunale, abbiamo assistito a 508 elezioni primarie, la maggior parte delle quali (oltre il 97%) organizzate dal PD o dai partiti di centrosinistra

nel suo insieme. E la stragrande maggioranza di queste votazioni

sono servite non tanto a scaldare i cuori degli elettori, bensì a scegliere, dopo una vera

competizione, i candidati sindaci

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interno è presente più di un movimento (in Italia, parleremmo di fazioni, correnti o clan). Alla luce di questo curioso criterio, tre erano i partiti che hanno preso parte alle primarie per la Presidenza, la vice-Presidenza, il Congresso, i sindaci e i seggi al Parlamento centroamericano: il Partito Liberale, il Partito Nazionale e il (nuovo) Partito Libertà e Rifondazione. La partecipazione è stata ampia e significativa, e probabilmente segnerà una tappa importante nel rafforzamento della democrazia in Honduras. Seconda lezione per gli italiani: le primarie, a differenza di quanto pensano molti scrittori e intellettuali guachistes, possono essere uno strumento di consolidamento, piuttosto che di scadimento, democratico. Da ultimo, c’è il caso francese. Domenica scorsa, i circa 300mila iscritti dell’Union pour un Mouvement Populaire (UMP) sono stati chiamati a eleggere

direttamente il presidente del loro partito in quelle che Le Monde ha correttamente definito “pre-primaires” (quelle vere ci saranno, quasi certamente, nel 2016). Hanno votato 176.608 iscritti, ossia il 59% degli aventi diritto. Purtroppo, nonostante l’elevata mobilitazione il voto è stato rovinato dalle accuse di brogli e imbrogli che si sono scambiati i due candidati, giunti a soli 98 voti di scarto l’uno (Jean-François Copé, 50,03%) dall’altro (François Fillon, 49,97%). Da qui arriva la terza lezione per gli italiani: anche primarie chiuse, come molti dirigenti partitici sognano, se mal regolate possono favorire pasticci, manipolazioni e confusioni. Insomma, c’è tanto da imparare dalle tante primarie sparse e diffuse in Italia e un po’ in tutto il mondo. Basterebbe avere voglia di leggere e imparare, ma – si sa – il tempo è una risorsa sempre più scarsa, anche per le pensose editorialiste di La Repubblica…

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Fig. 8 Diffusione delle primarie comunali in Italia

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